Federico Chabod Storia Della Politica Estera Italiana Dal 1870 Al 1896 Parte2

April 3, 2017 | Author: Betty Bup | Category: N/A
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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896

e 1870 e le nuove elezioni. Presagi di N. T. avverati, e perché più non si avverino, Firenze, 1870, p. 81). 774 P. V IGO, Annali d’Italia. Storia degli ultimi trent’anni del sec. XIX, Milano, 1908, I, p. 40 sgg. Per altri eccessi degli anticlericali, cfr. P ESCI, I primi anni di Roma capitale, cit., pp. 500-501. Contro la mascherata, protestò la Gazzetta d’Italia del 19 febbraio 1871; ma soprattutto protestò il cardinale Antonelli in una circolare ai Nunzi, e il Beust richiamò la più seria attenzione del governo italiano su tali manifestazioni «fort regrettables» (d. Beust e Kübeck, 10 marzo; r. Kübeck a Beust, 14 marzo, n. 20; Saw P. A., XI/235). Cfr. anche il r. dell’inc. d’affari francese presso la S. Sede, Lefebvre de Béhaine, 22 febbraio, n. 33; AEP, C. P., Rome, t. 1049, f. 261 v. sgg. Per altre manifestazioni degli anticlericali – a cui facevano degno riscontro manifestazioni clericali non meno grossolane – cfr. V. G ORRESIO, Papalini e liberali dopo il ’70, in Il Mondo, 23 luglio – 27 agosto 1949. 775 Il banchetto, organizzato dai liberi pensatori di Pisa, provocò una richiesta di divieto al ministro di Grazia e Giustizia da parte di monsignor Ghilardi, vescovo di Mondovì, e poi iniziative di espiazione (la via Crucis) da parte delle associazioni cattoliche di Torino, Milano e altre città. Cfr. l’art. del B ONGHI, che deplora decisamente il gesto dei liberi pensatori, pur non approvando nemmeno la richiesta di mons. Ghilardi (Fenomeni nuovi e vizi vecchi, in La Perseveranza, 11 aprile 1871). 776 A Girgenti, per il matrimonio di un ex-canonico, numerosa schiera di «liberali» si radunò in municipio: il sindaco lodò l’operato degli sposi, auspicò al progresso e augurò che l’esempio dato dalla coppia trovasse imitatori (G. Arrò Carroccio, Il cattolicesimo ed il liberalismo, Firenze, 1872, p. 6, n. 1). 777 Ricasoli a Torelli, 9 novembre 1870 (in M ONTI, Il conte, L. Torelli, cit., p. 295). 778 Bon Compagni a Torelli, 27 luglio 1869 (ib., p. 288). 779 Cfr. lo Statuto della unione dei liberi pensatori già società, di mutua onoranza funebre tra i volontari, Firenze, 1871, p: 3. Art. 1: «Scopo della Società è ... di togliere per mezzo della istruzione tutti i pregiudizi e credenze divulgate dalle religioni rivelate come cose dannose e contrarie alla civiltà e libertà di coscienza e di pensiero»; art. 3: «Credono che l’attività umana si esplichi in un progresso indefinito». E cfr. anche il

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Catechismo del razionalista, di Luigi Stefanoni, nel 1869 (in E. C ONTI, Le origini del socialismo a Firenze (1860-1880), Roma, 1950, p. 251 sgg.). 780 Il pensiero di Dante è affrancamento del laicato, unità d’Italia (F. D E S ANCTIS, Il pensiero di Dante, 1865, in Scritti politici, p. 32 sgg.). E si veda la curiosa lettera dell’anticlericale Settembrini al Tinelli, del 22 luglio 1870: in un quadro del pittore Angelo Mazzia, Dante, discendendo dalla luce del Paradiso, guarda Roma immersa nelle tenebre, il Colosseo con corvi svolazzanti, sotto un nero nuvolato, e, tutto in ombra, il Vaticano: «Il concetto del quadro è vero pei tempi di Dante, è vero pei tempi nostri». Dante, il gran laico, raffigura l’età moderna in contrasto col medioevo: ora i chierici non han più ragione di comandare, anzi devono ubbidire, e in mondo non si cura di loro (Epistolario, cit., p. 247). 781 Giovanni Bovio intendeva contrapporre la cattedra dantesca, istituita a Roma nell’87 «a quella di Pietro» (Carteggi politici inediti di F. Crispi, cit., p. 409). E quanto la cosa premesse ai circoli anticlericali, dimostra la lettera che il gran maestro della massoneria, Adriano Lemmi, scrisse all’amico Crispi, presidente del Consiglio, perché, a persuadere il Carducci che accettasse la cattedra, gli offrisse anche un altro incarico universitario (per es., di letteratura medievale), permettendogli così di integrar lo stipendio (lett. 24 settembre 1887, MRR, Caste Crispi, b. 660, 6/11). 782 V IGO, Annali d’Italia, cit., II, pp. 283-85. 783 L’espressione è del cardinale Umberto da Silva Candida nel frammento De sancta Romana ecclesia, circa il 1053 (P. E. S CHRAMM, Kaiser, Rom und Renovatio, Lipsia-Berlino, 1929, II, p. 129). 784 Lett. del 2 marzo 1873 (Epistolario, Verona-Padova, 1879, p. 315). 785 Così l’Amari al Michelet, il 6 luglio 1871 (Carteggio, cit., III p. 297). 786 Amari a Renan, 2 agosto 71 (ib., III, p. 297). 787 F. D E S ANCTIS, Il realismo moderno, 1877 (Scritti politici, p. 143). 788 Cfr. G. W EILL, Storia dell’idea laica in Francia nel secolo XIX, trad. ital., Bari, 1937, p. 173 sgg.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 789 Lo disse il Messedaglia, nella seduta del 25 aprile 1872: «Abbiamo posto il principio della separazione dello Stato dalla Chiesa ... siamo logici adunque; la Chiesa istruisca nel campo che é il suo proprio e noi pensiamo a quello che è nostro. Lo Stato di sua natura, e come lo vogliamo intendere noi, è laico, e non può avere che insegnamenti laici» (A. P., Camera, p. 1721). 790 Cfr. M ATURI, l. c., Pp. XX-XXI. 791 Discorso Bon Compagni del 25 aprile 1872 (A. P., Camera pp. 1715-16). 792 Si vedano le belle pagine di G. B ARZELLOTTI, L’idea religiosa negli uomini di Stato del Risorgimento, in Dal Rinascimento al Risorgimento, 2ª ed., Palermo, 1909, p. 145 sgg. Il Visconnti Venosta affermava al ministro di Francia nel 75 di credere all’influenza e allo sviluppo del cattolicesimo nell’avvenire (r. Noailles, 9 marzo 1875, n. 18, già cit.; AEP, C. P., Italie, t. 391, f. 255). 793 Accenni alla necessità di Chiese nazionali si ebbero nel ’70-71: cfr. il discorso contrarissimo, dell’on. Toscanelli alla Camera il 23 gennaio 1871, Discorso ... , cit., p. 30; e Guarentigie papali. Lettera di Nicolò Tommaseo al deputato Giovanni Bortolucci e risposta al medesimo, Firenze, 1871, p. 10. Le auspicò sempre il Crispi, Pensieri e profezie, cit., p. 87; e anche lo Z ANICHELLI, Monarchia e Papato in Italia, cit., pp. 207-209. Per il Pannelli e il Prota Giorleo, cfr. S. J ACINI, Il tramonto del potere temporale nelle relazioni degli ambasciatori austriaci a Roma (1860-1870), Bari, 1931, p. 75. 794 Cfr. S. J ACINI, Un riformatore toscano dell’epoca del Risorgimento. Il conte Piero Guicciardini (1808-1886), Firenze, 1940. Da notare, che la propaganda protestante in Italia costituì un altro motivo di ostilità della Curia Romana contro il governo italiano. Così, per es., L’Osservatore Romano del 6 settembre 1878 riferisce la protesta del vescovo di Tivoli (25 agosto) perché l’ex priorato di San Nicola, a Tivoli, dichiarato proprietà demaniale, era stato poi affittato ad un ministro evangelico che «viene a spargere la maledetta zizzania dell’errore e della seduzione» (L’Italia officiale protestante). 795 Al Lambruschini, 9 luglio 1833 (G AMBARO, Riforma religiosa, cit., II, p. 131 sgg.). 796 Oltre al noto «Indirizzo dei professori della Università di Roma» (10 aprile 1871), che provocò grosse polemiche, cfr. la

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lett. al Döllinger premessa dall’avv. romano C. Lozzi al suo opuscolo La questione pontificia delineata nella vita e nelle opere di Eusebio Reali, Civitavecchia, 1871. 797 Un paese come l’Italia «dove si contano più fanatici o indifferenti che credenti veri e operosi, avrebbe da mettersi nella via della riforma religiosa e discutere seriamente se nel Vangelo di San Luca XXI, 32 si contenga o non si contenga l’infallibilità pontificia?». L’Opinione, 26 settembre 1874 (I vecchi cattolici in Italia). 798 Lett. al Naville, 10 marzo 1874 (Lettere e documenti, X, pp. 304-305). 799 Lettere e documenti, X, p. 299. 800 Lettere e documenti, X, p. 212. 801 Ib. Per la fiducia nel futuro rivivere del sentimento religioso, cfr. anche la lett. al Bonghi, del 27 marzo 1871, pubbl. dal M ATURI, Prefazione, cit., pp. XIX-XX. 802 Il Minghetti «l’unico consigliere ch’io abbia in questo negozio» a detta dello stesso Cavour (La questione romana negli anni 1860-61. Carteggio del conte di Cavour, cit., I, p. 279) aveva da prima proposto, rosminianamente, la «presentazione» a clero e popolo (progetto del 1° febbraio 1861, ivi, p. 254); per le osservazioni del Cavour, che, al dir del Pantaleoni, voleva riservare al solo clero tali questioni (D. P ANTALEONI, Del presente e dell’avvenire del Cattolicesimo. A proposito del concilio ecumenico, Firenze, 1869, estr. dalla Nuova antologia, dicembre ’69, p. 42), la dizione finale del progetto di convenzione fu assai vaga: «la nomina dei vescovi sarà fatta con un sistema elettivo nei modi da combinarsi ...» (La questione romana, cit., I, p. 315). Come risulta dalle Avvertenze, però (ib., p. 318), il governo aveva per scopo di cercare un sistema «mercé cui il clero stesso di ciascuna diocesi concorra per via di elezione alla nomina dell’ordinario. Il modo sarebbe da concertarsi in appresso». Niente più intervento dei laici; ma sistema elettivo, sì. Cfr. anche il progetto Artom (ib., p. 308 n. 2 e p. 328). 803 Cfr. P ANTALEONI, op. cit., p. 42 sgg. Sempre nel dicembre ’69 L’Emancipatore cattolico di Napoli, che, più ancora dell’Esaminatore di Firenze, era l’organo dei gruppi cattolicoriformisti, pubblicava (numero 50, dell’11 dicembre) un Memorandum dei cattolici italiani membri della Società Nazionale Emancipatrice e di Mutuo Soccorso del Sacerdozio Italiano in Na-

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poli del Prota Giorleo, ai vescovi congregati nel concilio per sostenere, fra l’altro, il ritorno alla elezione dei vescovi a clero e popolo, giusta l’apostolica disciplina (p. 6 dell’estratto). Tali idee riapparvero ancora ad opera del noto padre Giacinto (H. L OYSON, Programme de la réforme catholique, Parigi, 1879, pp. 7-8). 804 Della libertà della Chiesa, ne La Perseveranza, 7 gennaio 1871. 805 Cfr. M ATURI, Prefazione, cit., p. XV sgg.; F ALCO, La politica ecclesiastica della Destra, cit., p. 28 e soprattutto Il riordinamento della proprietà ecclesiastica, Torino, 1910, p. 33 sgg. Il controprogetto Peruzzi (cfr. soprattutto art. 27 e 28) è ripubblicato in F. S CADUTO, Guarentigie pontificie e relazioni fra Stato e Chiesa, Torino, 1889, pp. 257-58. 806 Questo, del tenere il temporale per influire sullo spirituale, è pensiero che ispirava anche gli uomini di governo nel mantenere l’exequatur: cfr. le dichiarazioni del guardasigilli Vigliani, il 4 maggio ’75, alla Camera: «noi possediamo i beni della mensa e continuiamo a tenerli fino a che, stanchi coloro i quali siedono vescovi non regolarmente nominati, siano costretti a venire ad atto di sommessione ed a regolarizzare le loro nomine» (A. P., Camera, p. 2901). Era anche il pensiero del Lanza (T AVALLINI, op. cit., II, p. 93 sgg.). 807 Nel discorso alla Camera del 7 maggio 1875 (Discorsi Parlamentari di M. Minghetti, VI, p. 551). Stessi concetti in M IN GHETTI , Stato e Chiesa, Milano, 1878, pp. 178-81: introdurre il principio elettivo nell’amministrazione ecclesiastica, e, grazie all’amministrazione della proprietà, mettere i fedeli in condizione di stringere la gerarchia ecclesiastica ad ascoltare le loro ragioni e anche le loro proposte di riforma. Propugnatore dell’amministrazione laica del patrimonio ecclesiastico, ma con molto più accentuato intervento dello Stato nella vita intima della Chiesa – che il Minghetti rifiutava-era anche il P IOLA, La libertà della Chiesa, Milano, 1874, pp. 234 sgg., 247 sgg. 808 Nell’ottobre del 70 il Minghetti, sempre fedele alle idee del ’61, aveva proposto al Visconti Venosta: «... io direi che rispetto alla nomina dei vescovi, qualora la Santa Sede decidesse a ripristinare un sistema elettivo, S. M. il Re si dichiara sin da ora pronto a rinunziare ad ogni sua prerogativa in tale materia. Fino a quell’epoca la nomina dei vescovi si farà di concerto fra

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il Sommo Pontefice, ed il Re. In tale ipotesi il Re sarebbe solo il rappresentante degli elettori», lett. 4 ottobre, e nuovamente in lett. 12 ottobre dove si precisa ancor più: «qualora la Santa Sede volesse ripristinare il sistema della elezione dei vescovi a clero e popolo, S. M. il Re s’impegna» ecc. (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). È il sistema preconizzato dal Rosmini. 809 E. S ERRA G ROPELLI, Parrocchia e Diocesi. Piano di guerra contro la fazione episcopale, Torino, 1864, p. 21 sgg. Stesse idee nello scritto posteriore Le cinque piaghe del Regno d’Italia, Milano, 1870, p. 59 sgg., 69 sgg. 810 Sulla forte impressione prodotta dal Rosmini sul Minghetti giovane, cfr. M INGHETTI, Ricordi, cit., I, p. 81. 811 Cfr. anche in una lett. al Nigra del 15 settembre 1872: «Quanto a me vorrei che ci sollevassimo più alto, e sciogliessimo tutte le questioni con una sola legge che separasse la Chiesa dallo Stato. Ma temo che l’opinione pubblica non sia matura a tanto; e di più si richiederebbe molta calma – mentre il Vaticano non lascia occasione di gittare l’irritazione negli animi» (A RCH . D E V ECCHI). 812 Così Carlo Cadorna, allora ministro a Londra e poi presidente del Consiglio di Stato, in una lettera al Visconti Venosta del 16 febbraio ’71 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Il Cadorna nega la validità del principio posto a base della legge delle Guarentigie «che i preti soli sono la Chiesa; che la Chiesa Gerarchica (ossia i Preti) è, in faccia allo Stato, un Potere»: la Chiesa sono i preti e i laici. La legge, mantenendo gli enti morali benefiziarii, e tanti altri enti ecclesiastici di creazione civile, spoglia il laicato della libertà che gli spetta sulle temporalità della Chiesa. «Dando ogni libertà ai Preti, e lasciando sussistere ciò che toglie la libertà a tutti gli altri cittadini; è uno dei modi coi quali lo Stato si mescola nelle cose religiose». Occorrerebbe, invece, affidare tutte le temporalità della Chiesa a congregazioni elettive, diocesane e parrocchiali. Queste idee il Cadorna cercò poi di concretare nel suo progetto per il riordinamento dell’asse ecclesiastico, nel 1887 (S CADUTO, op. cit., p. 602 sgg.; F ALCO, Il riordinamento..., cit., p. 36 sgg.). 813 Nel discorso alla Camera del 13 marzo 1871 (Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, III, specialmente p. 644 sgg.). Cfr. anche il discorso del 28 gennaio, ib., p. 462 sgg.; e quello del 3 maggio ’75, ib., V, p. 39. L’art. 19 del controprogetto

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Mancini in S CADUTO, op. cit., p. 255. Anche il Crispi batte sullo stesso motivo, nel discorso del 13 marzo ’71: ciò che il governo propone non è la libertà della Chiesa, ma il dispotismo del suo capo (Discorsi Parlamentari, II, p. 115 sgg.). 814 Cfr. la tesi di A. B INCHY, Church and State in Fascist Italy, Oxford, 1941, p. 19 sgg., che insiste appunto su tale intreccio di questione religiosa e questione politica (cfr. anche G. S ALVEMINI -G. L A P IANA, Chiesa e Stato nell’Italia del dopoguerra, in Nuovi quaderni di Giustizia e Libertà, 2-3, luglioottobre, pp. 43-44). . Ed è tesi che ha certo una parte grande di verità, ma è sempre da completare nel senso, che il Piemonte aveva «dovuto» entrare nella via della legislazione ecclesiastica. L’abbandono, dopo il ’48, da parte della S Sede della politica filo-nazionale e il suo riaccostarsi all’Austria e agli Stati assolutistici della penisola costrinse i liberali italiani a passare alla politica antiiclericale nell’unico Stato da loro dominato, il Piemonte, che sino al ’48 preoccupava i liberali proprio per il suo clericalismo. Politica ecclesiastica e politica italiana e liberale fecero così tutt’uno: cfr. G S ALVEMINI L’Italia politica nel sec. XIX, in L’Europa nel secolo XIX, Padova, 1925, p. 356; ma soprattutto le assai belle pagine dello J EMOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, cit., p. 182 sgg., che ha chiarito perfettamente il problema. Naturalmente, poi, l’ulteriore irrigidimento della Curia pontificia, e il contrasto in tutta la sua gravità. 815 Ne è prova anche il colloquio che il cardinal Antonelli ebbe con il Blanc il 7 ottobre 1870. Alle assicurazioni del segretario generale del ministero degli Esteri sulle comunicazioni postali e telegrafici del Pontefice con l’Orbe cattolico rispose di non dubitare degli attuali ministri del Re, ma di non aver nessuna sicurezza di continuità; e aggiunse, portando il discorso su un tema assai più generale: «Nello Statuto ... è pure stabilito che la religione cattolica è religione dello Stato, e tuttavia vediamo a che punto è ridotta la Chiesa in Italia, e sappiamo a quali nuovi atti s’intenda di por mano anche a Roma ... Meno male se, come nel Belgio ed altrove, la Chiesa fosse separata dallo Stato; ognuno in allora avrebbe a pensare ai fatti suoi; ma voi continuate ad impedire che siano provvedute le sedi vescovili, ponete ostacoli all’esercizio dell’autorità ecclesiastica ...», r. Blanc, 7 ottobre 1870, Libro Verde riservato Roma, cit., n. 10, nn. 17-18. Per i precedenti cfr. anche il colloquio tra Pio IX e

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il Minghetti, il 20 luglio 1857, nel quale Pio IX già anticipa l’atteggiamento dell’Antonelli nel ’70 (Minghetti, Ricordi, cit., III, p. 179). 816 Non a torto l’Oriani poté poi battezzare don Giovanni Verità l’«ultimo prete rivoluzionario» (Fino a Dogali, p. 2). 817 Lo afferma lo stesso Cavour, nella lettera a Matilde de la Rive, il 13 febbraio ’48, dieci giorni dopo cioè la stesura dell’articolo per Il Risorgimento: «je ménage beaucoup le clergé ... s’il passait au radicalisme nous serions perdus. S’il reste aver nous, nous n’avons Tien è craindre. Mais tout en le ménageant, je ne m’aveugle pas à son égard, et je surveille attentivement tous ses mouvements» (Lettere, V, p. 172). 818 Nell’articolo, celebre, pubblicato ne Il Risorgimento 4 febbraio 1848. 819 A. L UZIO, La Massoneria e il Risorgimento italiano, Bologna, 1925, I, p. 273; e cfr. ID., I Martiri di Belfiore e il loro processo, 4ª ed., Milano, 1925, p. 191 sgg. 820 Cfr. A. M ARAZZA, IL clero lombardo nella Rivoluzione del ’48, Milano, 1948, p. 68 sgg. 821 Cfr. p. es. la Dichiarazione del clero italiano, pubbl. dal giornale L’Amicodi Genova, 1860, in cui 568 sacerdoti di Genova e della Liguria, dell’Emilia, Toscana e Lombardia, e qualcuno del Piemonte, si rivolgono a Vittorio Emanuele II dichiarando «che essi come cittadini Italiani amano la Patria loro e ne desiderano l’esterna indipendenza e l’interna libertà quale viene assicurata dallo Statuto che ci governa: che in qualità di Sacerdoti essi disapprovano coloro che nel preteso nome del Clero sostengono teorie o manifestano desideri contrari all’Italiana nazionalità, invocando o giustificando l’oppressione straniera, o mostrando esclusiva predilezione pei governi assoluti». 822 Petizione di novemila sacerdoti italiani a S. S. Pio Papa IX ed ai Vescovi Cattolici con esso uniti, Torino, 1862, Le firme raccolte furono 8943; altre erano annunziate, che avrebbero fatto ascendere il numero a più di 10.000. L’indirizzo Passaglia, certo ortodosso, era contro il potere temporale («réprimable», lo definisce il M OLLET, La question romuine de Pie VI à Pie XI, Parigi, 1932 p. 340): cfr. la prefazione del Passaglia, Petizione ... , clt., pp. 11-12, 15-16, 17 sgg.; e lo stesso indirizzo, perché il Papa annunzi la pace tra la voce «di religione, di pietà cattolica:

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Viva il Papa» e la voce «di patriottismo, e ... di nazionale indipendenza, Viva Roma Metropoli del nuovo Regno». Tra il maggio 1871 e il maggio 1875 vennero nominati dalla S. Sede 135 vescovi e 15 vescovi coadiutori con diritto di successione: di questi, soli 94 chiesero l’exequatur, il governo ne concesse 28, ne negò 65, uno era in corso di esame il 7 maggio ’75 (Discorso Minghetti alla Camera, 7 maggio 1875, Discorsi Parlamentari VI, p. 546. E cfr. anche il discorso Mancini, del 3 maggio, Discorsi Parlamentari, V. p. 41). 823 Si veda il quadro che dei clero rurale dell’alta Lombardia traccia E. F ERRARIO, Qual’è la moralità de’ campagnuoli e come possa migliorarsi, Milano, 1875, p. 62 sgg. Questo studio aveva vinto il concorso «Fondazione Ciani» bandito dall’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; giudici erano il Cantù, il Cantoni e il Piola. Il solo nome del Cantù basta ad assicurare che il Ferrario non era reo di tendenze anticlericali, e che la sua descrizione doveva esser ben fondata sulla realtà. Il Ferrario in effetti sogna l’accordo fra Chiesa e Stato, persuaso com’è, sulle orme del Lambruschini, che il miglioraento morale dei contadini deve effettuarsi soprattutto mediante l’opera del clero. 824 Cenni sulla tregua accordata al Vaticano, premessi alla trad. di E. D E L AVELEYE, L’avvenire dei popoli cattolici, Roma, 1876, p. 11; e cfr. pure il discorso dell’on. Tommasi Crudeli, 5 maggio ’75, A. P., Camera, p. 2934. 825 Il parroco di Santa Maria del Carmine a Porta Portese in Roma, don Nicola Cafiero, sospeso a divinis per aver celebrato la messa per le reclute nella Pasqua del ’71 (P ESCI, op. cit., p. 504). Le onoranze funebri e la stessa deposizione nel camposanto di Messina negate all’on. Giuseppe Natoli, ex-ministro, per non aver ritrattato i suoi atti826 come ministro e legislatore; funerali e sepolcro parimenti negati all’on. Gaetano Caruso, che aveva pure respinto l’invito alla ritrattazione (Discorso Mancini alla Camera, 3 maggio 1875, Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, V, pp. 58-59). 826 Così a Biella, all’inizio, fa il vescovo nominato dopo le Guarentigie, uomo pio e caritatevole in sé, ma «cieco strumento dei gesuiti» (S ELLA, Epistolario in., cit., p. 275).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 827 Così a Biella, all’inizio, fa il vescovo nominato dopo le Guarentigie, uomo pio e caritatevole in sé, ma «cieco strumento dei gesuiti» (S ELLA, Epistolario in., cit., p. 275). 828 C. TACCHINI, La voce del sacerdote italiano sopra gli avvenimenti politico-religiosi compiuti nel 1870, Roma, 1871, p. XI. Per la reazione contro il clero dopo il ’60, cfr. anche V. G ORRESIO, Il processo al clero dopo il ’60, in Il Mondo, 30 aprile – 28 maggio 1949. 829 In P. M ONGINI, Il nuovo Sinodo di monsignor Gastaldi arcivescovo di Torino indetto per i giorni 25, 26 e 27 giugno 1873 e le libertà del clero, Torino, 18-3, p. 24 e cfr. anche p. 35. Il Mongini, già parroco, poi scomunicato (cfr. J ACINI, Il tramonto ... , cit., p. 73), era un seguace del Passaglia; propugnava i diritti del laicato nella Chiesa, non solo per le elezioni ma anche per i sinodi, a cui avrebbe dovuto intervenire pure esso. 830 Op. cit., p. 47. 831 I TALICUS, Le condizioni presenti ed il prossimo avvenire della Chiesa, Roma, 1874 (estr. dal giornale Libertà, gennaiofebbraio 1874), p. 31. L’autore sostiene che per tali motivi l’accusa di antipatriottismo rivolta al clero è in gran parte ingiusta. Rimedio, il solito: riforma della Chiesa, chiamando i laici a partecipare al governo di essa (p. 75 sgg). 832 Il clero e L’inondazione di Roma, ne La Perseveranza del 4 gennaio 1871. 833 Memoriale, 20 gennaio 1872, cit. 834 L. C ARPI, L’incameramento dei beni parrocchiali, l’esercizio delle ferrovie dello Stato e l’ammortamento del corso forzoso, Roma, 1877, p. 51 sgg., 55, 58, 73, 79. Lo studio era stato pubblicato ne Il Popolo Romano, l’organo ormai di Depretis. Cfr. anche M AZZOLENI, op. cit., p. 144: il povero clero inferiore ridotto sul lastrico. E si veda come già nel 1861 il Pantaleoni, inviato dal Minghetti in missione a Napoli, sostenesse le necessità di guadagnarsi il basso clero, sin d’allora incolpando la politica governativa di inerzia (F. D ELLA P ERUTA, Contributo alla storia della questione meridionale. Cinque lettere inedite di Diomede Pantaleoni (1861), in Società, VI «1950», pp. 79 e 89). 835 Così un sacerdote, don G UIDO P ICCARDI, cappellano di Cavriglia nel Valdarno Superiore, anti-codino, ancor par-

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tecipe dello spirito del clero patriota del Risorgimento e untiastensionista (Un viaggetto a Roma uscente il novembre 1876, in Le astensioni politiche dei 5 e 12 novembre 1876 celebrate in prosa ed in versi, Firenze, 1876, p. 64). 836 Discorso di Sidney Sonnino alla Camera, 30 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari di S. Sovrano, I, p. 33). Giudizio non dissimile nello Z ANICHELLI, Monarchia e Papato in Italia, cit., p. 200. 837 Cosa l’on. Tommasi Crudeli, alla Camera, il 5 maggio 1875 (A. P., Camera, p. 2934). Poiché il Tommasi Crudeli era tra i più risoluti oppositori della politica del Vaticano, le sue dichiarazioni sul patriottismo del vecchio clero sono significative. 838 Parole dure Pio IX pronunziò contro i cattolici liberali (parlando anche del Döllinger), ricevendo l’amb. di Francia, d’Harcourt, il 19 giugno ’71; e anche ricevendo il 3 luglio 2500 ex funzionari pontifici: gli uomini del juste-milieu sono i peggiori di tutti (rr. d’Harcourt, 21 giugno e 5 luglio, nn. 21 e 25; AEPC. P., Rome, t. 1051, f. 174 v. e t. 1052, f. 14 v.). Per combattere i cattolici liberali, ci si appellava anche alla «grandezza» della nazione, sfruttando motivi già semi nazionalistici: così, il 15 ottobre 1874, L’Osservatore Romano deplorava il ritiro dell’Orénoque da Civitavecchia, fatto che dimostra «come nel cattolicisimo liberale lo spirito di dignità ed indipendenza nazionale sia più basso che nel volterianismo e nella stessa damagogia, e come meglio da questi che da quello possano essere tutelati la grandezza e l’onore della nazione». 839 Così don G UIDO P ICCARDI (op. cit., pp. 37-38). L’ultimo esempio di simile lotta contro il «cattolico liberale» l’aveva dovuto sopportare, a Firenze, Eugenio Albéri. Anche l’abate A RRÒ C ARROCCIO, op. cit., p. 13, constata, nel 1872, che «l’appellativo di cattolico-liberale, che molti ... lanciavano come un’ingiuria si loro avversari politici, è ormai morto e sepolto». Egli, che ama la libertà, non vede con sfavore tale fine perché, per lui, la religione deve mantenersi superiore ai partiti ed alle tendenze politiche, e non può quindi essere né liberale né illiberale, né monarchica, né repubblicana. Egli rappresenta potremo dire la tendenza di centro, mentre il Piccardi la sinistra cattolica e il Nicora la destra.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 840 D ON L UIGI N ICORA, Sull’intervento del clero nella politica, Milano, 1873 (estr. dal periodico La Scuola Cattolica, diretta da mons. Parocchi vescovo di Pavia), p. 16 sgg., 40. Il Nicora (poi vescovo di Como) ancora nel congresso cattolico di Bergamo del 1877 sostenne la tesi dell’intransigenza assoluta: niente alleanze – per le elezioni amministrative – coi liberali, fossero essi progressisti, moderati o cattolici liberali: F. O LGIATI, La storia dell’azione cattolica in Italia (1865-1904), Milano, 1922, p. 91. 841 Notato dall’ire. d’affari francese, Tiby (r. Tiby, 6 ottobre 1875, n. 85; AEP, C. P., Italie, t. 393, f. 148 v.). 842 Zar Nominato senatore il 5 novembre 1866, mons. Giovanni Corti fu uno dei tre vescovi ascesi al laticlavio dopo le leggi Siccardi (cfr. I Senatori del Regno. Nomina-convalidazione ... ecc., a cura del Segretariato Generale del Senato, Roma, 1935, I, p. 82). 843 Cfr. Luzio, I Martiri di Belfiore e il loro processo, cit., pp. 246, 280, 292, 450 sgg. e passim (sul Corti, pp. 196-206); Profili biografici e bozzetti storici, II, cit., p. 393 sgg. E si veda del Martini stesso Il Confortatorio di Mantova negli anni 1851, ’52, ’53 e ’55, pubbl. a Mantova proprio nel 1870, nel cui prologo egli dichiara: «confesso di essere italiano anch’io, ma confesso insieme di essere cattolico e di riparare mia gloria il professare la fede della Chiesa cattolica»; così come i martiri erano sinceramente cattolici e sinceramente italiani, cattolici e liberali insieme, amici d’Italia senza essere nemici della Chiesa (II, p. 331). Sull’assistenza a Calvi, II, p. 287 sgg.; anche Memorie politiche di Felice Orsini, ed. Ghisalberti, Roma, 1946, p. 269. 844 Sulla situazione delle diocesi di Mantova e di Pavia dopo il ’70 e la caccia al sacerdote liberale da parte dei vescovi, cfr. il discorso di Anselmo Guerrieri Gonzaga, alla Camera, il 5 maggio 1875 (A. P., Camera, p. 2940). E anche il Raffini sottocit. 845 Cfr. A. C AUCINO, I frutti della legge sulle Guarentigie, in L’Unità Cattolica, 23 luglio-4 agosto 1876, pp. 19-20 dell’estr., Torino, 1876. 846 A. S. Giovanni del Dosso i votanti furono 207; a Frassine, 203.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 847 Per questi fatti cfr. C. G UERRIERI G ONZAGA, I parroci eletti e la questione ecclesiastica, Firenze, 1875, e art. ne Il Diritto, 30 giugno e 15 agosto 1875; L’Opinione, 3 dicembre 1873 (I parrocchiani di Frassine); La Perseveranza, 7 dicembre 1873 (I parroci popolarmente eletti); la discussione alla Camera dei Deputati, il 4 dicembre 1873 (A. P., Camera, p. 290 sgg.), e gli echi nella discussione il 1, 4, 5, 6, 7 maggio 1875 (ib., pp. 2834, 2842, 2906, 2940, 2994, 3013), soprattutto il discorso Mancini che accennò anche ad elezioni consimili in alcune parrocchie della Sicilia e di altre regioni (Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, V, p. 61 sgg.); S CADUTO, op. cit., pp. 450 n., 452 sgg.; F. R UFFINI, L’elezione popolare dei parroci, in Scritti giuridici minori, cit., I, p. 337 sgg.; A. D ELLA T ORRE, Il cristianesimo in Italia dai filosofi ai modernisti, app. alla trad. di S. R EINACH, Orpheus, II, Palermo, 1912, p. 874 sgg. 848 Cfr. la prefazione del Lazio alle Memorie e lettere di Carlo Guerrieri Gonzaga, in Rassegna storica del Risorgimento, II (gennaio-febbraio 1915), p. 3 sgg. dell’estr. (anche in Profili e bozzetti storici, cit., II, p. 473 sgg.); e le dichiarazioni del Guerrieri Gonzaga stesso, I parroci eletti ... , cit., p. 6 sgg., 61 sgg., 70. 849 l. p. Cadorna a Visconti Venosta, 16 febbraio ’71, cit. 850 L’Italia e la sua Chiesa, trad. ital., Roma, 1875, p. 39 sgg. Per altri esempi di elezioni popolari di parroci: estate 1875, a Pignano, presso Cividale (ib., pp. 44-45); nel 1879 a Ricaldone (Acqui), cfr. F. B ATTAGLIA, Lettere di Angelo Camillo De Meis a Donato Jaia, in Memorie Acc. Scienze di Bologna, serie IV vol. IX (1950), p. 128; ivi e a San Quirino (Udine), pure nel ’79, D ELLA T ORRE, l. c., p. 927. 851 ¯ Libera Chiesa in libero Stato, nei Preussische Jahrbucher, cit., pp. 238-39. 852 La sentenza del tribunale riconobbe ai parrocchiani il diritto di riunirsi ed eleggere il loro pastore, come la minoranza a sua volta poteva scegliersi il parroco che le conveniva; e respinse la domanda degli attori che al Lonardi fosse interdetta ogni funzione spirituale nella parrocchia (ne Il Diritto, 5 luglio 1875). L’unico ad aver titolo ad azione sarebbe stato il vescovo di Mantova: ma mons. Rota, essendo privo di exequatur, non era tale agli effetti della legge civile (cfr. anche C AUCINO, l. c., p. 14 sgg.).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 853 Oltre l’art. de La Perseveranza ora cit., cfr. anche, per comprendere bene il pensiero del Bonghi, il precedente discorso alla Camera, il 29 aprile 1872 (Discorsi Parlamentari, I, p. 387). Nessun movimento interno si può produrre nella Chiesa sino a che al benefizio alla fabbrica, non venga sostituita, come soggetto giuridico della proprietà ecclesiastica, l’associazione dei fedeli, dei parrocchiani, dei diocesani. «Oggi, i cittadini non hanno altro diritto che uscire nudi dalla chiesa, di esserne cacciati, senza che lo Stato li difenda più, né essi stessi abbiano nessun modo di difendersi ne’ loro diritti.». 854 Diffidenti riserve espressero pure taluni fra i maggiori giureconsulti d’Italia, il Cassani, il Padelletti ecc. 855 Dichiarazioni Minghetti alla Camera, 7 maggio 1875: «io auguro al mio paese che si risvegli il sentimento religioso, e che quello che è succeduto in una o due parrocchie avvenga per vero e profondo sentimento in molti paesi, ma finché tutto si restringe a così piccole manifestazioni, non posso credere che quella piccola scintilla produca gran fiamma. Ad ogni modo ... se taluno può vedere con desiderio ridestarsi il sentimento religioso, e prendere quelle forme alle quali l’on. Guerrieri Gonzaga alludeva, io credo però che il Governo debba astenersi completamente dall’ingerenza in simile materia. Lo Stato ... non [deve] mai farsi propugnatore ed eccitatore di riforme religiose» (Discorsi Parlamentari, VI, p. 556). Cfr. pure la lett. dello Artom al von Treitschke, nel 1875, sulla legge delle Guarentigie, in E. A RTOM, L’opera politica del senatore I. Artom nel Risorgimento italiano, I, cit., p. 199: nessuna illusione sulle «proportions microscopiques» del movimento mantovano. Analogamente il Pansa, allora giovane funzionario al ministero degli Esteri, annotava nel suo Diario: «mi pare che si sia esagerato l’importanza del movimento mantovano» (sub 6 novembre 1875). 856 Bisogna andar guardinghi prima di affrontar le insidie e i pericoli di un generale perturbamento degli ordini ecclesiastici. S’imponga a vescovi e parroci, con leggi speciali, di rispettare la costituzione civile e politica del Regno; si frenino gli abusi ecclesiastici; si educhi il clero nelle scuole pubbliche; insomma, si promuova il rinvigorimento del senso religioso in Italia e da esso si attenda la riforma interna della Chiesa: ma niente imposizioni dal di fuori. Per ciò egli era contrario anche ad istituire congregazioni laiche per l’amministrazione dei beni

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ecclesiastici (Cenni sulla tregua accordata al Vaticano, premessi alla trad. italiana di E. D E L AVELEYE, L’avvenire dei popoli cattolici, cit., p. 15 sgg.). 857 Si rammenti come la questione dell’elezione popolare nella Chiesa il Minghetti la proponesse, nel ’61 e nel ’70, come materia da far approvare dalla S. Sede (cfr. qui sopra p. 344-45, n. 208, e p. 346, n. 214). 858 È motivo, questo, del momento politico che s’attraversava fra il ’74 e ’75, con il Kulturkampf in Germania e, in Italia, le pressioni della Sinistra per una politica assai più anticlericale, che va tenuto ben presente nel valutare l’azione del governo e, in particolare, anche le dichiarazioni del Minghetti, presidente del Consiglio, alla Camera. Egli si oppone al programma della Sinistra, che si ridurrebbe a «qualche durezza, a qualche persecuzione» (e aveva ragione): perciò, insiste sulla necessità che lo Stato rimanga estraneo, e attenua o persino sembra abbandonare alcuni suoi convincimenti, ch’erano invece ben radicati, e prima e dopo il ’75 (cfr., per es., le sue dichiarazioni sul controprogetto Peruzzi e suo del ’71, Discorsi Parlamentari, VI, p: 551). Ben ferma rimase, invece, sempre nel Minghetti l’avversione a qualsiasi costituzione civile del clero (cfr. anche il discorso del 17 marzo 1871, Discorsi Parlamentari, V, p. 163 sgg.) e a qualsiasi intervento dello Stato nella vita interna della Chiesa (v. anche il discorso dell’11 marzo 71, ib., pp. 154-55 e Stato e Chiesa, cit., p. 180). 859 Cfr. la discussione del 1° maggio ’75 alla Camera (A. P., Camera, pp. 2834, 2841, 2847). Nel ’75 ne invocò l’applicazione il M ARSELLI (La rivoluzione parlamentare del marzo 1876, cit. pp. 66-67 e 124); e vi tornò su ancora il D E C ESARE, nella Nuova Antologia del 15 gennaio 1895. Nel maggio 1909 ne parlò nuovamente alla Camera il Guardasigilli V. E. Orlando (cfr. F ALCO, Il riordinamento della proprietà ecclesiastica, cit., p. VI sgg.). 860 La commissione, istituita con decreto 22 novembre 1871, designò gli onn. Bonghi, De Filippo, Mauri, a redigere un primo progetto. L’on. Mauri ne presentò uno, in ventun articoli, che prevedeva deputazioni diocesane di sette membri (il vescovo, un canonico della cattedrale, un parroco della città e uno della campagna, tre laici da designarsi dai Consigli provinciali), e deputazioni parrocchiali di cinque c tre membri,

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a seconda se la parrocchia annoverasse più o meno di 10.000 anime (il testo, in B. D E R INALDIS, Dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato e del riordinamento dell’asse ecclesiastico a norma dell’art. 18 della Legge sulle Guarentigie della S. Sede, Napoli, 1873, pp. 118-20). Altra commissione nel 1885 e progetto Cadorna del 1887, sempre a base di congregazioni parrocchiali e diocesane, costituite però solo da fedeli (cfr. S CADUTO, op. cit., p. 602 sgg.; F ALCO, op. cit., p. 36 sgg.). 861 Sui pericoli dell’indifferenza del laicato insiste p. es. il B ORGATTI, Della libertà della Chiesa cattolica nel Regno e delle sue necessarie attinenze alle altre libertà, Firenze, 1870, p. 32. 862 La Perseveranza, 10 luglio 1867. Sulle difficoltà di poter stabilire istituti misti di chierici e laici che offrano garanzie di regolare e buona amministrazione, insiste poi il P ACIFICI M AZZONI, La quistione romana nella seconda fase e la sua soluzione, Firenze; 1870, pp. 43-44; ma soprattutto insiste sui pericoli di una riforma come quella contenuta nel progetto Mauri, il D E R INALDIS, op. cit., pp. 5-6, 11-12, 117. Una simile sistemazione non farebbe che rafforzare il clero a danno della nazione. I laici sarebbero soverchiati e assorbiti dall’elemento che essi invece dovrebbero ammodernare. Sul clero padrone delle eventuali congregazioni aveva insistito il D E R INALDIS, giannonista e tanucciano, già nello scritto Sull’emendamento dell’onor. Peruzzi al titolo II della legge sulle relazioni della Chiesa con lo Stato firmato da altri 76 Deputati, Napoli, 1871, p. 49 sgg. Anche il M ARSELLI è contrario alle comunità laiche: i beni ecclesiastici li amministri lo Stato (La Rivoluzione parlamentare ... , cit., p. 123). Favorevole è invece il De Meis, che auspica anche l’elezione popolare dei parroci e dei vescovi (B ATTA GLIA , l. c., pp. 127-28). 863 A. P., Camera, p. 6190 (discorso del 9 maggio 1873). 864 Lett. al De Cesare, s. d., ma primi mesi 1895 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Nel novembre 1875, dopo il discorso a Cologna Veneta del Minghetti, che s’era nuovamente impegnato alla legge sulla proprietà ecclesiastica, il ministro di Francia osservava che una legge simile sarebbe stata fonte di gravi turbamenti, che gli uomini di Stato italiani se ne rendevano ben conto, e che perciò avrebbero cercato (secondo gli era stato dichiarato) di far una legge il meno possibile vessatoria e soprattutto di trascinar le cose in lungo – come fu (r. Noailles, 9 novembre 1875, n.

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92; AEP, C. P., Italie, t. 393, f. 208 sgg.). Cfr. anche M INGHETTI,Discorsi Parlamentari, VI, pp. 551-52. 865 V IGO, op. cit., I, p. 39. Sul dilagare di tali associazioni, per cui i clericali «vogliono combattere l’Italia colle armi medesime che essa loro fornisce», introducendosi nei Consigli comunali e provinciali, occupando le amministrazioni delle opere pie, e di lì muovendo guerra alle istituzioni politiche «senza uopo di entrare in Parlamento e di passare sotto le forche caudine del giuramento», vedi l’art. de La Perseveranza, 15 maggio 1871 (Agitazioni religiose). 866 Cfr. E. V ERCESI, Il movimento cattolico in Italia (18701892), Firenze, 1923, p. 12 sgg. Sulla storia del movimento cattolico in Italia, si vedano soprattutto fini osservazioni in F. F ONZI, I «cattolici transigenti» italiani dell’ultimo Ottocento, in Convivium, 1949, p. 955 sgg., e Per una storia del movimento cattolico italiano (1861-1919), in Rassegna storica del Risorgimento, XXXVII (1950), p. 140 sgg. V’è però da osservare che, se per il periodo più tardo può essere vero che gli intransigenti pervenissero anche a posizioni politiche e – direi soprattutto – sociali assai più ardite di quelle dei transigenti, sì da non poter esser battezzati semplicemente quali «conservatori», è però ben certo che per parecchio tempo dopo il ’70 gli intransigenti furono, dichiaratamente, reazionari nel senso di avversare l’unità d’Italia con Roma capitale: e in tal senso la loro azione fu interpretata, in Italia e fuori d’Italia, e pesò sulla situazione del Regno. Dimenticare questo, sarebbe alterare tutta quanta la realtà storica. E quanto agli appelli di stile spesso addirittura socialisteggiante che la stampa «intransigente» rivolge al popolo, già dopo il 1860, va tenuto ben presente ch’essi sono mezzo tattico proprio per la lotta contro lo Stato italiano (cfr. qui appresso, p. 431 sgg.). 867 La Perseveranza, 17 ottobre ’70 (Il Papa va o resta?). Cfr. anche 18 settembre. 868 Così il Settembrini: «la monarchia tutto d’un pezzo, forte, con un principe rispettato, la monarchia stabilita in Roma, distruggerà necessariamente e inevitabilmente il papato, un poco più presto o più tardi non importa» (Epistolario, cit., p. 283). 869 Correspondance 1872-1892, pp. 15, 27, 29, 43, 131. E cfr. anche La crise religieuse en Europe (1874), in Mélanges religieux

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et historiques, cit., p. 15: impossibili i conclavi in Roma libera: il Papato dovrà abbandonare Roma. Molto diversamente opinava l’artista francese che nel ’67 sconsigliava al Massari di andare a Roma «y songez-votis ... placer un berceau dans un tombeau!» (Discorso Massari alla Camera, 13 marzo 1872, A. P., Camera, p. 1183). 870 S. A GOSTINO, De civitate Dei, I, 1 e 7 (ed. Dombart, Lipsia, 1863, 1, pp. 4 e 11). 871 Si veda come egli attribuisca al Papato tutta la responsabilità dell’oppressione angioina in Sicilia; e come a 81 anni, rivedendo «le tresche de’ papi con Pipino e Carlo Magno ... le basse adulazioni, le fraudolenti proposte, le insinuazioni superstiziose gli venisse «la rabbia oggi come a 18 0 20 anni» (Carteggio, II, pp. 258, 304). Quanto al giudizio sul Papato del sec. XIX, cfr. III, p. 291 (e II, p. 305): «Oh, avess’io lo spirito di Maometto, per convertire gli Italiani ad un’altra religione che non fosse la Cattolica Apostolica Romana!». Sulla sua educazione giovanile, del tutto irreligiosa, cfr. L’Elogio del D’A N CONA (Carteggio, II, pp. 321-322 e 368, n. 6); e sul suo disincantamento, sul non credere più alla «spirale» progressiva, Carteggio, II, p. 252. 872 A Renan, 30 marzo 1883 (Carteggio, II, p. 282 e cfr. p. 290). 873 Così il Kálnoky, all’inizio delle trattative che condussero alla Triplice Alleanza, e, sulle sue orme, il barone Hiibner (G. P., III, p. 194; F. S ALTA, Per la storia diplomatica della questione romana, I, Milano, 1929, p. 169). Cfr. la mia nota Kulturkampf e Triplice Alleanza ... , in Rivista Storica Italiana, LXII (1950), pp. 261-62, 275. 874 Così il Bismarck (G. P., III, p. 197). 875 Fra i quali, Anselmo Guerrieri Gonzaga, fratello di Carlo: cfr. Discorso dell’on. A. Guerrieri Gonzaga agli elettori del collegio di Mantova, 19 ottobre 1876, Mantova, 1876, p. 24. 876 La diplomazia in Roma, 2 marzo 1872. 877 E la tesi del D E L AVELEYE, L’avvenire dei popoli cattolici, cit., p. 25 sgg. Nel 1872, il S ERRA G ROPELLI pubblicò nel Diritto, e poi a parte, considerazioni su L’Italia Nera, sostenendo che i popoli di religione papale o erano morti o andavano morendo (2ª ed., Roma, 1873, p. 5). Anche per il M ARSELLI

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il cattolicesimo era una potente causa di rovina per le nazioni latine (La Rivoluzione parlamentare, cit., p. 103). 878 Nel discorso alla Camera il 6 maggio 1875 (A. P., Camera, pp. 2977-78). Anche il Vignoli insistette, nel ’76, che il Papato non era nemico da prendere alla leggera; che il credere nella fine prossima del cattolicesimo era un errore funesto, un abbaglio comune a molti e causa di sconfitte continue per i liberali; e affermò la potenza e temibilità del Papato (Delle condizioni morali e civili d’Italia, Milano, 1876, p. 71 sgg.). 879 Discorso alla Camera del 14 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari, I, p. 301). 880 Visconti Venosta a Minghetti, 8 luglio 1874: «... non sono nel vero quei nostri amici della Camera e del giornalismo i quali s’immaginano, solo leggendo i giornali, che il Papa è diventato a un tratto meno che un canonico del Duomo» (BCB, Carte Minghetti, cart. 35 a). Già per La Nazione del 22 novembre 1870 i romani, così impazienti, avrebbero dovuto considerare «che il Papa ... non si può trattare con tanto sprezzante confidenza» (La politica a Roma). 881 Era quel che chiedeva Giuseppe Ferrari, nel dicembre ’70 (Carteggio inedito, cit., p. 253). Cfr. Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 323. 882 Affermò egli stesso, nel discorso alla Camera del 28 novembre 1895, di non essere ateo ma deista (Discorsi Parlamentari, III, pp. 860-61). 883 Discorsi Parlamentari, III, p. 859; e cfr. Pensieri e Profezie, pp. 80 e 92. 884 Discorsi Parlamentari, III, p. 686. 885 Lett. 24 agosto 1894 (MRR, Carte Crispi, b. 660, n. 8/4): e cfr. anche lett. 6 novembre 1887 (ib., b. 660, n. 6/12). 886 Carteggio, cit., II, pp. 215-16. L’Amari, però, non pensava – né s’augurava! – quel mariage fra la Chiesa e il secolo bensì fra quest’ultimo «et l’utilité sociale du christianisme» cioè una «riforma» che della Chiesa romana avrebbe dovuto, certo, lasciar assai poco. 887 Leone XIII nell’enciclica Quod Apostolici muneris, 28 dicembre 1878 (il testo ital. in Le encicliche sociali dei Papi, a cura di I. G IORDANI, 2ª ed., Roma, 1944, p. 25).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 888 Tolgo l’espressione al G IORDANI, op. cit., p. 13. L’indifferenza teorica della Chiesa per il «principato d’uno o di molti, purché esso sia giusto e rivolto al comune vantaggio» è affermata già – com’è noto – nella Diuturnum (29 giugno 1881) e nella Immortale Dei (1° novembre 1885; ib., pp. 57, 69, 81. Cfr. E. S ODERINI, Leone XIII, Milano, 1932, pp. 322-23). 889 In Francia, alla vigilia della politica di Leone XIII, gli ultra continuavano a ripetere, in perfetta linea col Sillabo: «la società attuale è incurabile, essa è uscita per intiero dall’89, noi non distinguiamo l’89 dal ’93, combattiamo collo stesso ardore la causa e l’effetto». Il cattolico doveva essere o controrivoluzionario o niente; e doveva «sputare» sulla rivoluzione, si chiamasse ’89 o ’93. Contro tali eccessi polemizzò un cattolico sicuro come il D E F ALLOUX, La controrivoluzione, trad. ital., Firenze, 1879, pp. 12 e 27. 890 Su questa intesa col mondo moderno del Cattolicesimo, dopo il Sillabo e nonostante il Sillabo, cfr. efficaci osservazioni in G. P EPE, Il Sillabo e la politica dei cattolici, Roma, 1945, pp. 7-8, 34. E cfr. anche J ESOLO, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, cit., p. 191, sulle molte condanne di istituti e asserite inaccettabilità di situazioni, pronunziate dalla Civiltà Cattolica e poi modificate. 891 Il gustoso episodio dell’incontro fra Taine e Pasteur è narrato dallo H ANOTAUX, Mon temps, cit., II, pp. 165-67. E si pensi, anche, alla «conversione» di Brunetière e al suo affermare il «fallimento della scienza». 892 Così l’Amari, nel 1878 (Carteggio, II, p. 236). 893 Cfr. P. G OBETTI, Risorgimento senza eroi, Torino, 1926, p. 313. 894 Discorso alla Camera del 5 maggio 1881 (Discorsi Parlamentari di A. Depretis, VII, p. 681; e cfr. anche M. C OPPI NO , Commemorazione di A. Depretis letta a Stradella il 4 ottobre 1888, Torino, 1888, p. 38). 895 Così lo S PAVENTA, La Politica della Destra, cit., p. 199. 896 Nella seduta del 9 marzo 1877 (A. P., Camera, p. 1922). 897 Congresso generale delle Società Operaie Italiane tenuto in Roma nell’aprile del 1872, Roma, 1873, p. 149 sgg.; in genere, G. M ANACORDA, Il movimento operaio italiano attraverso i

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conggressi operai e socialisti, suppl. al n. 8-9 di Rinascita (1949), p. 4. 898 Il quale approvò infatti l’ordine dei giorno Arbib per l’istruzione obbligatoria, con sanzioni agli inadempienti (l. c., pp. 160-61). 899 Correspondance, IV, pp. 29-30, 56. 900 La réforme intellectuelle et morale, cit., p. 103. Naturalmente, esaltazioni delle Università tedesche, focolai di libero pensiero, ma non di proselitismo indiscreto. 901 «Que l’Eglise admette deux catégories de croyants, ceux qui sont pour la Iettre et ceux qui s’eri tiennent à l’esprit. A un certain degré de la culture rationelle, la croyance au surnaturel devient pour plusieurs une impossibilité; ne forcez pas ceux-là à porter une chape de plomb. Ne vous mêlez pas de ce que nous enseignons, de ce que nous écrivons, et nous ne vous disputerons pas le peuple; ne nous contestez pas notre piace à l’université, à l’académie et nous vous abandonnerons sans partage l’école de campagne. L’esprit humain est une échelle où chaque degré est nécessaire; ce qui est bon à tel niveau n’est pas bon à tel autre; ce qui est funeste pour l’un ne l’est pas pour l’autre. Conservons au peuple son éducation religieuse, mais qu’on nous laisse libres» (La réforme intellectuelle et morale, cit., pp. 98-99). È difficile immaginare un pensiero dove preoccupazioni sociali-politiche in senso conservatore e aristocraticismo culturale si intreccino e influiscano l’uno sulle altre con maggior chiarezza. Da notare, anche, il mutamento del Renan 1871 di fronte al Renan 1848-49 il quale aveva invece affermato proprio l’opposto, e cioè la necessità dell’educazione del popolo: per i progressi dello spirito umano non basta che alcuni pensatori isolati pervengano a grandi scoperte. Un risultato non è acquisito che quando è entrato in circolazione su vasta scala (L’avenir de la science, Parigi, 1890, pp. 325, 335, 364). Nel 1890, scrivendo la prefazione per L’Avenir, continua sul tono del ’71: le conquiste della Scienza non hanno alcun rapporto con l’estensione dell’istruzione popolare; anzi, volgarizzare la Scienza significa diluirla e quindi indebolirla (cfr. S TRAUSS, op. cit., p. 75). Le supposizioni del Sorel (Germanesimo e storicismo di E. Renan, l. c., pp. 432-34), che Renan nelle sue affermazioni de La réforme si dev’essere ispirato a Le Play e persino a Proudhon, non mi sembrano, nonché provate, nemmeno

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necessarie: il problema dell’educazione del popolo a mezzo del parroco era, proprio in Francia, problema vecchio dal ’48-49. 902 Cfr. S TRAUSS, op. cit., p. 230. 903 S TRAUSS op. cit., p. 260 sgg. 904 Classiche, al riguardo, sono le espressioni del Voltaire nelle lettere del 1°, 13 e anche 28 aprile 1766 (Oeuvre complètes, ed. Parigi, 1911, XL, pp. 387, 392, 397). 905 G. W EILL, Histoire de t’enseignement secondaire en France (1802-1920), Parigi, 1921, pp. 102, 108, 126; P. D E L A G ORCE, Histoire de la seconde République française, 93 ed., Parigi, 1925, II, p. 274; E. B EAU D E L OMÉNIE, Le responsabilità delle dinastie borghesi, trad. ital., Milano, 1946, p. 150. Anche ai suoi amici italiani, il Cousin raccomandò gran prudenza: il Piemonte stesse quieto quieto, non facesse ricordare che era un paese libero, se non voleva perdersi (Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi, 1821-1860, a cura di A. Malvezzi, 1924, p. 503). 906 È interessante osservare la posizione assunta dal Cavour, al riguardo della legge Falloux, nella discussione alla Camera subalpina con l’on. Valerio, il 21 novembre 1851: dove la fede del Cavour nella libertà, e quindi anche nella libertà di insegnamento, si contrappone ai timori del Valerio, corroborati proprio con l’esempio della Francia, che la libertà d’insegnamento si converta in potenza della Chiesa (Discorsi Parlamentari, ed. Omodeo Russo, IV, Firenze, 1934, p. 511 sgg.). È tuttavia fuori dubbio che la legge Falloux significò il trionfo delle tendenze clericali in Francia e l’inizio di una dura reazione nell’insegnamento, di cui fecero le spese, ad esempio, un Michelet e un Taine. Sull’atteggiamento del Cavour, cfr. alcune mie osservazioni in ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI, Convegno di scienze morali storiche e filologiche, 4-10 ottobre 1948. Il 1848 nella storia d’Europa, Roma, 1949, pp. 347-49. 907 D. H ALÉVY, Le courrier de M. Thiers, cit., p. 240 e cfr. anche p. 230; H. M ALO, Thiers, Parigi, 1932, p. 387 sgg. Per la reazione dei ceti medi francesi contro i «montagnards» del giugno ’48 e a favore di una repubblica «des honnétes gens», D E L A G ORGE, op. cit., I, pp. 406 sgg. 908 «... veuillez m’expliquer la conduite de Thiers; est-il tellement vieilli qu’il a perdu le fil de ses idées? Que veut-il

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donc? Qu’espère-t-il?» Costanza Arconati a Jules Mohl, 7 gennaio 1850 (Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi, cit., p. 437). 909 C FR . H ALÉVY, op. Clt., p. 256 Sgg.; D E L A G ORCE, op. cit., II, p. 274 sgg.; M ALO, op. cit., p. 400 Sgg.; B EAU D E L OMÉNIE, op. cit., pp. 150-51; G. B OURGIN, La question scolaire en 1848 et la loi Falloux, Parigi, 1948, p. 183 sgg.; G. B OURGIN, La question scolaire en 1848 et la loi Falloux, in Convegno ... 1848, cit., p. 329 sgg. Il giudizio dato subito dal Marx era giusto (C. M ARX E F. E NGELS, Il 1848 in Germania e in Francia, Roma, 1946, pp. 226 e 301-302). 910 È uno dei nomignoli con cui fu battezzato dai comunardi (R. D REYFUS, M. Thiers contre l’empire, la guerre, la commune, 1869-1871, Parigi, 1928, p. 33-1, n. 2). 911 Altri però temettero anche l’insegnamento medio; gli studi di umanità furono accusati di favorir il socialismo, per esempio dal Bastiat, e il risultato di queste preoccupazioni fu il piano di studi statuito dal governo il 30 agosto 1852, che faceva assai più largo posto alle scienze e alle lingue moderne, ma che tendeva ad abbassare il livello degli studi, per il timore di eccitare troppe ambizioni e troppi sogni nei giovani (W EILL, op. cit., p. 134 sgg.). 912 Correspondance, III, p. 276 (9 settembre 1875). 913 Ib. IV, p. 204 (25 giugno 1885). 914 Si vedano le considerazioni del D E L AVELEYE, Nouvelles Lettres d’Italie, cit., p. 57. 915 Così, proprio il Visconti Venosta parlando dei contadini della Valtellina, in una Iett. del 1856 alla contessa Clara Maffei (C. O LMO, Lettere giovanili di Emilio Visconti Venosta, in Nuova Antologia, CCLXII, 1° luglio 1915, pp. 8-9). 916 Ora in L AMBRUSCHINI, Scritti politici e di istruzione pubblica, a cura di A. Gambaro, Firenze, 1937, pp. 465-66. Dei pensieri degli uomini «di poca fede» era partecipe anche Vittorio Emanuele II, il quale scriveva a Pio IX, il 21 settembre 1849: «Le presenti callamità [sic!] dobbiamo riconoscerlo hanno per sola origine la mancanza di quella fede che promettendo un compenso alle pene della vita, insegna e persuade a soffrire, mentre quelle scuole invece che togliendo all’uomo la speranza futura, gli insegnano soltanto a godere, lo spingono a cercare il

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suo a qualunque costo, e così sconvolgono la società. L’ufficio principale del Clero è l’impedire che il popolo beva tali perverse dottrine» in p. P. P IRRI S. J., Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, I, Roma, 1944, p. 41. 917 In errogazione Bonghi, 13 giugno 1871, sopra il progettato congresso degli studenti universitari a Firenze ecc. (A. P., Camera, p. 2858 sgg. Manca nella raccolta dei Discorsi del Bonghi). Cfr. anche La Perseveranza, 15, 19 e 20 giugno, anche in polemica con Il Diritto, che aveva preso le difese delle associazioni universitarie. Si veda, anche, la discussione alla Camera, il 13 e 19 dicembre 1885, sul decreto Coppino che proibiva le associazioni politiche universitarie: gli uni temono i circoli cattolici, gli altri i circoli radicali – la solita preoccupazione per i due pericoli, il rosso e il nero (A. P., Camera, pp. 15697 sgg., 15887 sgg., e soprattutto 15889). 918 Seduta del 20 gennaio 1874 (A. P., Camera, pp. 770 e 784). Motivi analoghi nel Ferrarlo: i contadini che hanno un po’ di istruzione, sono i più svogliati al lavoro; o corrono avidamente «a certi giornalacci ed opuscoli». Codesti «letterati da villaggio», arruffoni ed intriganti, tengono conferenze nelle bettole, nei bugigattoli, nelle piazze, facendosi «maestri di quelle dottrine che appianano meravigliosamente la strada ai seguaci dell’Internazionale» (Qual’è la moralità de’ campagnuoli e come possa migliorarsi, cit., p. 110). Identica deprecazione per la diffusione dei giornali «rossi» in T AINE, Correspondance, III, p. 181 (1872). 919 Relazione del ministro Coppino al progetto di legge sull’obbligo dell’istruzione elementare. 16 dicembre 1876 (A. P., Camera, Documenti, n. 42, p. 5). Già lo Scialoja, allora ministro, nel ’74 aveva trovato esagerati i timori dell’on. Lioy (A. P., Camera, p. 799). 920 Seduta del 6 marzo 1877 (A. P., Camera, pp. 1818 e 1831). Già Renan aveva detto che i mezzi letterati dovevano esser considerati come scimmie inutili e piene di pretese: op. cit., p. 230. 921 Così l’on. Luigi Ferrati, della Sinistra, che il 26 febbraio 1883 parlò alla Camera contro l’insegnamento elementare affdato ai comuni, proprio perché in molti di essi, dove lo spirito democratico non era ancora penetrato e spirava ancora un’aria quasi medievale, i conservatori non avrebbero fatto nulla per

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far progredire sul serio l’istruzione del popolo (A. P., Camera, p. 1513). Nel 1894, di fatto, i proprietari terrieri della Sicilia, riuniti nella sala Aragona a Palermo, proposero di eliminare dalle spese obbligatorie dei comuni quelle che si riferivano all’istruzione elementare nelle scuole che ciò nonostante sussistessero, si doveva stabilire l’obbligatorietà dell’insegnamento religioso (S. F. R OMANO, Storia della questione meridionale Palermo, 1945, p. 189. E cfr. l’Avanti del 9 aprile 1897: gentile comunicazione dello stesso prof. Romano). 922 Discorso ala Camera del 3 dicembre 1878 (Discorsi Parlamentari, I, p. 680). 923 Su queste distinzioni fra educazione e istruzione, cfr. il discorso del De Sanctis alla Camera il 6 maggio 1878 (La Critica, XI, pp. 337-38). 924 Così il Sonnino, nel discorso alla Camera del 30 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari, I, p. 36). 925 Cfr. anche, durante le discussioni per la legge elettorale nel 1881, gli attacchi all’istruzione monca, all’istruzione disgiunta da educazione morale degli onn. Di Rudinì, Brunetti, Pandolfi, Saladini alla Camera, il 25, 28, 31 marzo e 4 aprile (A. P., Camera pp. 4705, 4773, 4874 sgg., 5034. Anche, l’on. Maurigi, ib. ib., p. 4695). 926 T. M ARTELLO, Storia della Internazionale dalla sua origine al congresso dell’Afa, Padova-Napoli, 1873, p. 399. La scienza incompleta, superficiale e scompagnata dalla pubblica educazione, è molto più funesta all’ordine sociale dell’ignoranza: l’on. Brunetti alla Camera, il 28 marzo 1881 (A. P., Camera, p. 4773). 927 1° aprile 1881 (A. P., Camera, p. 4923 sgg., 4927). 928 P. es., il col. A. Ricci, Appunti sulla difesa dell’Italia in generale e della sua frontiera nord-ovest in particolare, Torino, 1872, p. 110, che protesta contro il miracolismo dell’alfabeto e sostiene la necessità della elevazione della classe colta, che è la grande caratteristica della civiltà. 929 A Lidia, 21 marzo 1877 (Lettere, XI, p. 58. Per l’atteggiamento politico di allora, ib., pp. 57, 63-64, 172). 930 Seduta del 22 gennaio 1874 (A. P., Camera, p. 288). 931 Relazione, cit., p. 15.

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Seduta del 20 gennaio 1874 (A. P., Camera, p. 779). Seduta del 21 gennaio 1874 (A. P., Camera, pp. 805-806). 934 Seduta del 5 marzo 1877 (A. P., Camera, pp. 1810-11). 935 Op. cit., p. 430 sgg., 445. 936 Così l’Amari, nel 1879 (Carteggio, II, p. 244). L’Amari scrive questo al Renan, contro una eventuale autorizzazione agli allievi dei Seminari di sostenere gli esami di licenza liceale senza aver prima fatto nessun anno di studi laici. Nel 1875, la stampa italiana anche moderata aveva biasimato la libertà dell’insegnamento superiore, sancita dall’Assemblea Nazionale francese: pericolosa, giacché metteva gli ultramontani in posizione soverchiante (cfr. La Perseveranza, 18 giugno 1875; La Nazione, 19 giugno 1875). L’inc. d’affari francese, Tiby, constata che in Italia quella libertà è ritenuta un abbandono delle costanti tradizioni francesi, a profitto dell’ultramontanismo (r. Tiby, 8 settembre 1875, n. 78; AEP, C. P., Italie, t. 393, ff. 105-105 v.). 937 L’on. Faldella, nella seduta del 16 marzo 1881 (A. P., Camera, p. 4406). 938 L’on. Fusco, nella seduta del 22 febbraio (A. P., Camera p. 1425. Cfr. anche gli on. Indelli e Merzario, il 23 febbraio, ib., pp. 1433 e 1442). 939 La libertà della Chiesa, cit., pp. 198, 203. 940 Il problema sociale e morale in Italia, ne La Perseveranza del 30 maggio 1871. 941 La Perseveranza, 2 e 7 giugno 1871 (La voce de’ fatti e La donna a Parigi). L’art. del 2 giugno è del Bonghi. 942 Discorsi Parlamentari, I, p. 487 (19 dicembre). 943 Studi e discorsi intorno alla Pubblica Istruzione, Firenze, 1937 (Opere, VIII), p. 124. 944 Discorsi Parlamentari, II, p. 287 sgg. Nella discussione, precisando, il Bonghi affermò di non aver detto che nella scuola fosse già proibito di pronunziare il nome di Dio, ma che si era su di una via per cui a quel risultato si sarebbe arrivati in breve (A. P., Camera, p. 1626). Nelle lamentele sui maestri ecc. il Bonghi aveva fatto sue le proteste di un maestro elementare pensionato, leggendone alla Camera brani di lettera. 945 Le carte di G. Lanza, cit., X, p. 106. 932 933

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 946 Così il D E L AVELEYE, d’accordo col Luzzatti, Nouvelles Lettres d’Italie, cit., pp. 33-34. 947 Così Diomede Pantaleoni in una lettera al De Laveleye, nel 1882 (D E L AVELEYE, op. cit., p. 103). 948 Pensieri e profezie, cit., p. 177. 949 Op. cit., pp. 163-64. 950 Appunti del dicembre 1896 (MRR, Carte Crispi, busta 668 n. 3/18). 951 Colloquio col Farini, 12 marzo 1895 (F ARINI, Diario, I, p. 663). 952 Si vedano le reazioni degli anticlericali irriducibili, e le dichiarazioni del Crispi, fermo nell’opporsi all’anarchia «che si fa avanti colla dinamite e col pugnale» (Carteggi politici inediti, cit., pp. 519-20; F ARINI, Diario, I, pp. 577-78). 953 L’on. Rosano, nella seduta del 2 marzo 1883 (A. P., Camera, p. 1605). 954 Discorso alla Camera, 2 marzo 1883 (A. P., Camera, p. 1616 sgg.). Per il discorso Bovio del 26 febbraio, ib., p. 1518. 955 Discorso alla Camera, 6 maggio 1875 (A. P., Camera, p. 2978). 956 Martini a Carducci, 16 ottobre 1894 (M ARTINI, Lettere (1860-1928), Milano, 1934, pp. 291-92). 957 Così Il M INGHETTI, Stato e Chiesa, cit., p. 227 sgg. 958 Cfr. per la Francia C H . M ORAZE:, La France bourgeoise, Parigi, 1946, p. 122. 959 Considerazioni malinconiche, ne La Perseveranza dell’11 settembre 1870. 960 La politica della Destra, cit., pp. 201-202. 961 Discorso alla Camera, 1° marzo 1883 (Discorsi Parlamentari, II, p. 284). Il Bonghi polemizza proprio contro gli intendimenti del ministro Baccelli, di rinnovare la storia romana e l’educazione romana antica. 962 «L’Italie ne sera jamais avec personne, elle trahira toujours, jusqu’au moment où, délivrée de ses politiciens et de ses journalistes, esse se résignera à être un Etat de second ordre, très heureug à sa manière» (R ENAN -B ERTHELOT, Correspondànce, p. 504). Questo fu scritto nel 1881, dopo Tunisi.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 963 Cfr. anche il discorso Massari, alla Camera, il 13 marzo 1872 (A. P., Camera, p. 1183). 964 Leone XIII, nell’enciclica Inscrutabili Dei consilio, 21 aprile 1878 (cfr. il testo ital. ora in Le encicliche sociali dei Papi, cit., p. 17). 965 C. Correnti al MicheIet, 20 febbraio 1871 (M ONOD, Jules Michelet, eit., p. 59). 966 Cfr. C. A. B ODELSEN, Studies in Mid-victorian Imperialism, Copenaghen-Cristiania-Londra-Berlino, 1924 pp. 124 sgg., 174 sgg., D. C. S OMERVELL, English Thougth in the Nineteenth Century, Londra, 1.929, pp. 182 sgg., 188-89; R. H. M URRAY, Studies in the English Social and Political Thinkers of the Nineteenth Century, II, Cambridge, 1929, pp. 185 sgg., 207-208; e in genere F. B RIE, Imperialistische Strömungen in der Englischen Literatur, in Anglia, 1916, f. I, pp. 110-184. 967 A Song of the English (The Seven Seas). 968 Non a caso lo Hanotaux, gran colonialista, dedicò la sua opera di storico alla Histoire du cardinal de Richelieu. 969 Quartetto, ed. Milano, 1883, pp. 44-45. 970 Vi fu una certa irritazione in Italia per le iscrizioni del monumento ad Arminio: cfr. R. D E Z ERBI, Il trionfatore della doppiezza italiana, in Scritti Politici, Napoli, 1876, p. 401 sgg.; r. Tiby, 8 settembre 1875, n. 78; AEP, C. P., Italie, t. 393, f. 106. 971 De Laveleye, Nouvelles lettres d’Italie, cit., pp. 67 sgg. 99-100. Lo scrittore belga già nel 1871 aveva esortato l’Italia ad accontentarsi di essere uno Stato di second’ordine, anziché aspirare alla parte di grande potenza (Causes de guerre en Europe, Bruxelles, 1871, p. 122); e cfr. Lettres d’Italie, Bruxelles, 1880, p. 365: «I’àmbition déplorable de jouer un róle dans les complications de la politique européenne». Il B ERTHELOT invece trovava nel 1872 che gli Italiani avevano compreso «que le bonheur est dans la médiocrité» (R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 425). 972 Il De Laveleye infatti deplora che l’Italia, priva di carbone e di ferro, voglia industrializzarsi, e le suggerisce di dedicarsi soltanto all’agricoltura (Nouvelles Lettres, cit., pp. 16 s. 75). 973 Si veda infatti come anche il Nigra, al pari del Minghetti, reagisce contro l’idea che l’Italia possa limitarsi ad essere «un

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grande Belgio, senza l’industria» (l. p. al C RISPI, 7 agosto 1890, in C RISPI, Questioni Internazionali, p. 132, ripubbl. in C. M., D E V ECCHI D I V AL C ISMON, Lo scioglimento della «Pro Patria» di Trento nel carteggio Crispi-Nigra, in Rassegna Storica del Risorgimento, XXI 1934, p. 17). 974 Per l’influsso che, più tardi, gli eventi internazionali e il dilagar dell’imperialismo ebbero sulla formazione del nazionalismo italiano, cfr. le belle pagine del V OLPE, Italia moderna, cit., II (1898-1910), Firenze, 1949, p. 341 sgg. 975 Seduta del 23 gennaio 1874, alla Camera (La Critica, XI, p. 324). 976 Sedute del 30 maggio e 17 giugno 1878 (La Critica, XI, pp. 398 sgg., 405 sgg.). 977 Cfr. M ORANDI, La Sinistra al potere, cit., p. 86. 978 Correnti a Cairoli, 28 aprile 1881 (MRP, Carte Cairoli, pacco 19). Queste cose Correnti le aveva dette a Crispi il giorno prima. 979 Discorsi alla Camera, il 16 marzo 1881 (Roma, 1881, p. 16) e al Senato, il 12 maggio (Roma, 1881, pp. 10 e 13), sul Policlinico e sul Palazzo delle Scienze in Roma. Per Roma, che fa convergere su di sé come sopra uno specchio i raggi di sapienza e di luce delle cento città d’Italia, ecc., si veda anche il discorso in Campidoglio, l’8 ottobre 1882, per la premiazione dei vincitori della gara fra i licenziati d’onore dei Licei, in G. G ORRINI, Guido Baccelli, Torino, 1916, p. 50 n. 1. 980 Discorsi alla Camera il 17 e 18 dicembre 1881, (Roma, 1882, p. 23). 981 Oltre ai discorsi già citati, cfr. il discorso alla Camera del 28 febbraio 1883, in occasione della discussione del bilancio 1883 della Pubblica Istruzione (A. P., Camera, p. 1554 sgg.); la conferenza a Genova il 1° settembre 1881, su La scuola popolare. L’autonomia delle università, pubbl. nel Giornale della Società di lettere e conversazioni scientifiche di Genova, 1881 (soprattutto p. 8 sgg.) e, ancora, la conferenza tenuta a Roma nel 1897, Educazione nazionale ed esercito. Contro la «romanità» del Baccelli cfr. il discorso del Bonghi alla Camera (Discorsi Parlamentari, II, p. 283 sgg.). Esatto il giudizio del C AN DELORO Che Roma, mentre per Bonghi rappresentava un valore storico-culturale, per Baccelli invece era un ideale politico

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nazionale (prefazione a B ONGHI, Studi e discorsi intorno alla pubblica istruzione, cit., p. XV). 982 Educazione nazionale ed esercito, p. 12 sgg. 983 Educazione nazionale ed esercito, p. 20. 984 Educazione nazionale ed esercito, p. 28. 985 Scritti e discorsi politici, cit., p. 441. 986 Op. cit., p. 449. 987 Così l’A MARI nella chiusa della Storia dei Musulmani di Sicilia, apparsa nel 1872 (III p. 895; ora, nell’ed. Vallino, III, parte 3ª, Catania, 1939, p. 922). 988 C RISPI, Scritti e discorsi politici, cit., p. 496. E cfr. il discorso alla Camera il 10 marzo 1881, a favore del disegno di legge per il concorso dello Stato nelle opere edilizie e di ampliamento della capitale (Discorsi Parlamentari, II, p. 480 sgg.). 989 C RISPI, op. cit., p. 669 (Commemorazione di Marco Minghetti, 1887). 990 Op. cit., pp. 544, 712. 991 Scritti e discorsi politici, pp. 737 e 759. È ben vero che, nel primo discorso (Palermo, 14 ottobre 1889) Crispi afferma di non voler «l’imperio di Roma» di cui l’Italia ha scontato la gloria per troppi secoli: quindi, rispetto degli altri popoli. Ma, intanto, è questo il discorso in cui Crispi si difende dall’accusa di megalomania, di voler fare una politica imperiale (ivi, p. 735). E soprattutto, come s’è detto e si dirà (cfr. qui appresso p. 600 sgg.), mentre è certo che sarebbe assurdo voler fare di Crispi un dottrinario dell’imperialismo, anche solo dell’imperialismo fine Ottocento, è altrettanto certo che quegli appelli a Roma, alla potenza di Roma ecc., finiscono – fatalmente – con lo sfociare, tosto o tardi, nell’anelito alla potenza. 992 Op. cit., pp. 593 e 603; Pensieri e profezie, pp. 21 e 173 (culto delle grandi memorie). 993 Il clamore irredentistico nel ’76 comincia a Milano con la celebrazione del VII centenario della battaglia di Legnano (S ANDONÀ, op. cit., I, p. 123 sgg.). E si tenga presente che l’interpretazione corrente della storia comunale italiana era, allora, quella della lotta per la libertà e l’indipendenza contro gl’im-

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peratori tedeschi (carducciana Canzone di Legnano): interpretazione a cui soltanto sulla fine del secolo doveva succedere un diverso modo di valutare e comprendere. 994 La Riforma, 1° settembre ’72 (La politica italiana in Oriente); e cfr. l’esaltazione di Venezia ecc. oltre che di Roma in L. C AMPO F REGOSO, Del primato italiano sul Mediterraneo, Torino, 1872, pp. 4, 9, 52 sgg., 64 sgg. Anche P. L. B ARZELLOT TI , pur riluttando ai grandi voli dell’immaginazione e contento che l’Italia potesse occupare u parte notevole» nei commerci con l’Oriente, senz’essere la prima, rievocava le gloriose tradizioni delle repubbliche marinari (La questione commerciale d’Oriente. L’Italia e il Canale di Suez, Firenze, 1869, p. 63 sgg., 234, 237-38). 995 Canti di Aleardo Aleardi, Firenze, 1867, p. 176 (Le città italiane marinare e commercianti). 996 Acutamente annotato dal M ARSELLI, Raccogliamoci!, 3ª ed., Roma, 1878, p. 5. 997 A. F AGIUOLI, La Francia repubblicana, Verona, 1879, p. 67. 998 Cfr. le assai acute e giuste considerazioni del J ACINI, Pensieri sulla politica italiana, cit., pp. 73-75. 999 Sommario della storia d’Italia, VI, 15 (ed. Firenze, 1856, pp. 190-93). 1000 Si pensi infatti a tutto il lavoro compiuto, negli ultimi decenni del secolo XIX e nei primi del XX, per mettere in luce la «continuità» della tradizione di Roma nel Medioevo e, in particolare, per rivendicare l’elemento romano anche nell’alto Medioevo, in confronto al germanico, per trovare i collegamenti, p. es., fra corporazioni medievali e associazioni romane di mestiere (su queste tendenze generali nella storia del diritto italiano cfr. L. B ULFERETTI, prefazione alla Storia del diritto italiano di Federico Patetta, Torino, 1946, p. XIII Sgg., e soprattutto G. P. B OGNETTI, L’opera storico-giuridica di Arrigo Solmi, in Rivista di Storia del Diritto Italiano, 1947, p. 173 sgg.). 1001 C ATTANEO, La città considerata come principio ideale delle istorie italiane, ed. Belloni, Firenze, 1931, p. 102. Il saggio apparve nel 1858, dopo la ripresa quarantottesca dell’idea di Roma. 1002 C AMPO F REGOSO, op. Cit., p. 7.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1003 S. A GOSTINO, De civitate Dei, V, 13 (ed. cit., I, p. 191) e cfr. anche 12 e 15. 1004 Così il G ABOTTO nel discorso inaugurale dell’anno accademico La gloria di Genova, Genova, 1907, p. 4. 1005 Caratteristica tradizione italiana è quella di usare di mezzi spirituali, morali e apolitici con intenzioni patriottiche, ha osservato il V OSSLER (L’idea di nazione, cit., p. 108). 1006 Anche nel Mazzini, appello alla storia (cfr. A. C ODI GNOLA , I fratelli Ruffini, parte II, Genova, 1931, pp. LXXILXXII). Cfr. in genere, V OLPE, op. cit., I, pp. 38-39). 1007 Op. cit., introduzione, pp. 10-11, 13, 16. 1008 Per l’Italia degli Italiani, Milano, 1923, p. 14. 1009 La canzone d’oltremare. 1010 Il dannunziano Canto augurale per la nazione eletta (Elettra) è del 1899. 1011 All’Adriatico (La Nave). 1012 Per la morte di Giuseppe Garibaldi, Opere, VII, p. 456. 1013 A proposito del nome di Ruggero di Lauria imposto ad una nave da guerra, per Crispi a torto, perché Ruggero era un traditore e un pirata (Carteggi politici ined., cit., p. 397). 1014 Scritti e discorsi politici, cit., pp. 737-38. 1015 Fino a Dogali, pp. 311-12. 1016 C RISPI, Pensieri e profezie, cit., p. 111. 1017 Fino a Dogali, pp. 134-35. 1018 La rivolta ideale, ed. Napoli, 1908, pp. 282-85. 1019 Fino a Dogali, nn. 313 sgg., 319. 1020 P. E LLERO, La tirannide borghese, 2ª ed., Bologna 1879, pp. 5, 14-17, 587 sgg., 660; La questione sociale, 3ª ed., Bologna, 1889, p. 414 sgg. 1021 Il Turiello, per es., lamentava che lo Stato italiano non avesse preparato «fuori più nuove Italie ai diseredati, dando organismo e protezione ai numerosi emigranti, aprendo loro con l’armi nuove dimore in terre nostre, e coltivando tra essi i legami morali; avviando con essi il curato ed il maestro. Ma il maestro già dianzi avrebbe dovuto esser reso qui l’uomo venerato ed amato dalle famiglie per durar tale fuori; ed il

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curato di campagna avrebbe dovuto qui sentirsi protetto prima per un pezzo dallo Stato a casa sua» (Governo e governati in Italia, cit., 242 ed., II, p. 222). Come anche in altri casi, la 242 ed. accentua il tono della lª ed., dove mancava l’accenno alle armi («aprendo fuori qualche dimora in terra nostra» II, p. 322) e mancava tutto l’accenno finale al curato di campagna). Da notare, inoltre, che anche la scuola il maestro – è qui apprezzata in funzione politica, di espansione. 1022 A. Lemmi al Crispi, 17 luglio 1892 a ... anche tutta la tua musica è scritta su questo pentagramma» (MRR, Carte Crispi, b. 660, n. 7/20). 1023 Al fratello Vincenzo, 5 ottobre 1870 (Lettere e documenti, X, p. 140). E. G. T ANCREDI, La vocazione d’Italia. Programma, Genova, 1867, p. 12, aveva pure affermato che l’Italia doveva dividere con la Francia il protettorato dei cattolici in Oriente. 1024 La fonte non sarebbe sicurissima trattandosi del pettegolo D’I DEVILLE, Les piémontais à Rome, cit., pp. 244-45. Ma in Francia si parlò effettivamente di promesses les plus séduisantes del governo italiano a Propaganda Fide, di intrighi del governo italiano per soppiantar la Francia nella protezione dei cattolici in Oriente: e questo si potrebbe connettere precisamente all’iniziativa del Pantaleoni, che avrebbe agito però solo di testa propria (L. V ALFREY, Histoire de la diplomatie du gouvernement de la Défense Nationale, II, Parigi, 1872, p. 145). Già nel ’61 il Pantaleoni si lasciava «emporter par son imagination» (così il Cavour) a determinare la parte che all’Italia sarebbe toccata nelle spoglie dell’Oriente (La questione romana. Carteggio ... Cavour, cit., II, p. 233). E cfr. Le carte di Giovanni Lanza VI, p. 295. 1025 La Fédération et l’Unité en Italie, Parigi, 1862, p. 47. 1026 È, questo, un problema su cui si dovrà ritornare nel prosieguo di quest’opera: basti, per ora, accennare ai timori per questa supposta volontà italiana (il Visconti Venosta non ci pensava davvero!) di servirsi della Chiesa, soprattutto in Oriente, u danni della Francia (rr. Lefebvre de Béhaine, 11 gennaio, 1° e 15 febbraio 1871, nn. 4, 22, 30, AEP, C. P., Rome, t. 1049, f. 38 sgg., 167 sgg., 227 sgg.; r. d’Harcourt, 6 giugno, s. n., ib., ib., t. 1051, f. 133 con annesso memoriale di mons. Simeoni, della Propaganda Fide, il quale chiede che i governi

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esteri proteggano la Propaganda da ogni ingerenza italiana, ff. 134-39). E. cfr. D.D.F., s. la, I, pp. 22-23; H ALÉVY, Le courrier de Monsieur Thiers, cit., p. 477; S. W. H ALPERIN, Italy and the Vatican at War, Chicago, 1939, pp. 205-206. 1027 Cit. in S. N EGRO, Seconda Roma, 1850-70, Milano, 1943, pp. 219-20. Il Rey però non era francese, ma ginevrino (R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., II, p. 278). Che il suo opuscolo fosse una «prestazione politica» a favore della tesi di Napoleone III, non toglie interesse alla osservazione su riferita, che è, d’altronde, perfettamente collimante con quelle di tutta una parte dei moderati italiani. 1028 Lett. 15 ottobre 1814 (Epistolario, II, Firenze, 1854, p. 69). 1029 La vita di Cola di Rienzo, ed. Ghisalberti, Firenze-RomaGinevra, 1928, p. 55. 1030 P. P IUR, Cola di Rienzo, trad. ital., Milano, 1934, p. 107 sgg. 1031 Cfr. ne L’Opinione del 24 e del 26 ottobre 1870 il primo articolo (Il Re a Roma), la lettera del Rusconi e la controreplica. Sul progetto cfr. anche U. P ESCI, Come siamo entrati in Roma, n. ed., Milano, 1911, p. 245. 1032 L’Opinione insisteva molto anche sul fatto che mentre l’Europa era travagliata da mali gravissimi; e due nazioni amiche dell’Italia si combattevano con crudele accanimento, non era opportuno si pensasse a feste e onori trionfali da parte di chi, come gl’Italiani, faceva pur parte della «grande famiglia europea». È una caratteristica espressione di quell’europeismo de’ moderati di cui s’è ampiamente detto. 1033 Si noti infatti che anche Il Diritto, l’organo – allora – di Depretis, svolge considerazioni assai similia quelle dell’Opinione: «...l’entrata del re [a Roma], più che un trionfo dinastico, è un trionfo nazionale – è un fatto nuovo e commovente per quanto possa avere parvenze modeste, in un paese come questo dove la storia, le vie, i ruderi grandiosi portano eterne tracce di cento e cento trionfi imponenti per sfarzo e splendore. Gli è che consoli e imperatori, Mario come Cesare e Cesare come Tito entravano per la via trionfale in mezzo ad una folla plaudente di schiavi e cortigiani entusiasti nella presuntuosa albagia del civis romanus sum. Ma domani Vit-

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torio Emanuele passerà in mezzo ad un popolo d’uomini liberi, fra i cittadini di un paese che non aspira né a rinnovare i fasti del cattolicismo né alle apoteosi del cesarismo» (A Roma!, 3 luglio 1871, corr. part. da Roma). Concetti non dissimili aveva già espresso La Nazione sin dal 10 ottobre 1870: «Noi non siamo, a Roma, gli eredi né dell’antica repubblica aristocratica, né dell’impero militare, né del Papato. Siamo a Roma gl’istauratori del diritto moderno ... Non è la repubblica romana che risorge; essa peri per sempre a Filippi; non è l’Impero dei Cesari; la spada provvidenziale dei barbari ne liberò il genere umano, e l’ultima forma superstite di lui si dissipa oggi, che il voto del Popolo Romano ha tolto di capo a Pio nono il diadema reale ... il nostro trionfo è il trionfo del diritto e dell’idee moderne contro l’antico» (Roma italiana). 1034 G UICCIOLI, Diario, in Nuova Antologia, 1° luglio, 1935, p. 86. 1035 Nell’Opinione, si ritorna più volte su quest’argomento: troppa voglia di far festa, di afferrar l’occasione per sospendere il lavoro e buttar denaro. Già nell’agosto del ’71, di fronte alla disputa sul modo di celebrare il 20 settembre, il Dina ammoniva «... l’Italia ha scelta Roma a capitale per assistere di continuo a celebrazioni di anniversari»: sono i poteri assoluti che hanno interesse a divertire con feste i sudditi, mentre lo Stato libero deve preoccuparsi che il cittadino s’interessi della cosa pubblica (Le Feste, ne L’Opinione del 23 agosto ’71). Un’altra volta ancora si torna su questa mania delle dimostrazioni, mania quarantottesca (Le dimostrazioni, ib., 30 settembre 1873), dopo di aver già per il carnevale romano osservato ch’esso era troppo lungo: dieci giorni di sospensione da ogni lavoro sono eccessivi e parrebbero indizio di una assai scarsa voglia di lavorare (II Carnevale, ib., 26 febbraio 1873: si noti che, in effetti, il carnevale del ’73 fu di uno splendore straordinario, cfr. U. P ESCI, I primi anni di Roma capitale, cit., pp. 73, 301 sgg.). Infine, nel 1876, le discussioni vivacissime che per parecchi giorni avvinsero l’attenzione della cittadinanza romana, sul ripristino o no delle corse dei barberi al Corso, ispirarono un’altra, e giusta, nota dell’Opinione su questa frivolezza di sentire (Questioni municipali, 15 gennaio ’76 e, anche, Il Carnevale, 26 gennaio). La Nazione, per conto suo, il 17 novembre 1870 aveva avuto dure parole per le dimostrazioni dei Romani sollecitanti l’ingresso del Re «... pare ... che finora della libertà por-

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tata loro colla nostra bandiera, essi non abbiano preso sul serio che la facoltà di dimostrare a tutte le ore del giorno ...», l’Italia comincia ad essere noiata di «dimostrazioni romane» (L’ingresso del Re a Roma). E cfr. anche 31 ottobre (A Roma). Ma i rimproveri per le tendenze eccessivamente festaiole dei Romani (e in genere degli Italiani) non derivano, solo dai moderati; anche nei giornali di sinistra, idee del tutto simili a quelle dell’Opinione. Un articolo della Riforma, il 15 febbraio 1872, su Il carnevale di Roma, svolge idee identiche a quelle dell’art. dell’Opinione del 23 agosto 71: era il dispotismo ad avere bisogno delle feste rumorose, panem et circenses; ora invece «ci sarà lecito domandare se convenga ad un popolo libera ad un popolo chiamato ai alti destini il darsi in preda per dieci giorni all’ozio ...». E Il Diritto, anch’esso, più volte torna sull’argomento, sempre per ammonire a smetterla con le idee dei festeggiamenti (Non più feste!, 11 ottobre ’70; Gaudeamus!, 19 febbraio 1871; Il Re e la capitale a Roma, 29 giugno ’71; Nuove feste, 13 agosto 1871), finendo col dar ragione al Times, che l’Italia era proprio la nazione-carnevale. 1036 Con molta assennatezza protestava contro simili «declamazioni» uno dei due massimi organi della Sinistra, Il Diritto (La retorica a Roma, 25 settembre 1870). Al G REGOROVIUS, di ritorno dalla visita ai campi di battaglia in Francia, i «vantamenti» per Porta Pia facevano «schifo». Diari Romani, cit., p. 460. 1037 «... Soltanto da Roma levasi un popolo che procede e si agita nell’infinito. Ogni famiglia vi ha un eroe: anzi una pleiade di eroi; ogni sasso ricorda un eroe ed ogni sepolcro racchiude un eroe. A petto di una razza che sola dié al mondo uomini interi, oh quanto impiccioliscono ed immiseriscono le altre genti! ... Un popolo come il romano se continua nella vita dee continuare eziandio nella grandezza. Egli ha condizione di essere grande perché vivo: o nullo perché morto. Se Roma esiste, devono coesistere in essa le profonde cagioni di una esistenza immensa. Quelle cagioni che produssero la sua grandezza passata stanno là ferme ed operose per cominciare la sua grandezza avvenire». Nel libretto Roma ed i Romani nel loro passato, nel presente e nell’avvenire, cit. in N EGRO, op. cit., pp. 226-28. 1038 Cfr. per es. la sua lettera alla regina Margherita, con l’accenno alla città eterna che deve essere «la più gloriosa delle me-

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tropoli capitali e invece è affetta da lenta consunzione» e occorre farla risorgere alla sua grandezza (in V IGO, Annali d’Italia, cit., IV. pp. 40-41). Motivo analogo di Roma prima città del mondo moderno come di quello antico, nell’ex-garibaldino V. N OGHERA, L’avvenire di Roma Capitale, Roma, 1871, p. 49. 1039 V. G HINASSI, Canti, Roma, 1871, e Il 27 novembre [1871]. Canzone. Al Parlamento Italiano in Roma. Naturalmente, i carmi d’occasione fiorirono ovunque: v. per es., G. R IGHI, Una corona a Roma inaugurata capitale d’Italia nei luglio 1871, Ferrara, 1871 (venti sonetti, con gl’immancabili accenni ai prischi fati, alla risurrezione, all’alma di Muzio trasfusa nei nipoti, ecc.). 1040 Il Canto dell’Italia che va in Campidoglio è del 12 novembre 1871. Uno spirito non dissimile è nell’O RIANI che biasima tempo e modo dell’ingresso del re a Roma (La lotta politica in Italia, 5ª ed., Firenze, 1921, III, pp. 284 e 295). 1041 B. C ROCE, Giosuè Carducci, 4ª ed., Bari, 1946 p. 42 sgg. 1042 Proprio per evitare molte difficoltà, per «ménager con uno scopo di beneficenza e di soccorso molti sentimenti» ed evitare «le feste e i chiassi», il Visconti Venosta aveva insistito molto perché Vittorio Emanuele cogliesse occasione dalla inondazione del Tevere e facesse il suo primo viaggio a Roma (lett. al fratello Giovanni, 30 dicembre 1870, A RCH . V ISCONTI V E NOSTA ). 1043 Così, assai giustamente, lo Z ANICHELLI, Studi politici e storici, cit., pp. 490-91. 1044 L’organo magno della stampa europea, il Times, osservava infatti, il 6 luglio 1871, che se il ritardo dell’ingresso del re a Roma per un lato era stato biasimato non senza ragione, forse però si concludeva con un vantaggio per il governo italiano, perché dimostrava «che la distruzione del potere temporale non era soltanto un’impresa possibile, ma anche sicura e facile, che poteva esser compiuta non per sorpresa, ma con calma e deliberazione, guardando fermamente il mondo in faccia, costringendolo a dar la sua adesione, se non la sua piena approvazione ed incoraggiamento». La maniera calma, temperata, seguita dal Lanza era quindi – e se ne comprende bene il perché – tutt’altro che indecorosa per l’Italia. 1045 Cfr. la lettera al Chiarini del 23 dicembre 1870: «tutto merita d’esser disprezzato, e massimamente questa ridicolissi-

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ma e vigliacchissima Italia col suo papa, col suo re, e co’ suoi democratici» Lettere, VI, p. 262. Su questo atteggiamento del Carducci cfr. anche P. M. A RCARI, Le elaborazioni della dottrina politica nazionale fra l’unità e l’intervento (1870-1914), Firenze, 1934-1939, 1, p. 151 sgg. 1046 Io triumphe! (luglio ’71). E v. anche Per il trasporto delle reliquie di Ugo Foscolo in Santa Croce (24 giugno 71) Co ’I bello italo regno non crebber Palme ... ... Ahi, ahi; mal con le impronte De le catene a i polsi e più nel core, Mal con la mente da l’ignavia doma, Mal si risale il Campidoglio e Roma! XX Settembre (è del 1895), in Opere, XIX, p. 60. Cfr. C ROCE, op. cit., p. 45 sgg. E v. anche L. R USSO, La fede politica e il nazionalismo letterario del Carducci in Belfagor, V (1950), p. 12 [Ora in Carducci senza retorica, Bari, 1958, N.d.E.] 1049 Lett. già cit. Borromeo a Minghetti, 12 giugno 1871 (BCB, Carte Minghetti, cart. XVI, fase. 4). Il 31 luglio il Borromeo ripeterà allo statista bolognese il suo dispiacere per il «... modo quasi vergognoso» con cui si è andati e si rimane a Roma; e il 14 settembre continuerà a dire: «Siamo a Roma, come se fossimo all’albergo» (ib., ib.,). 1050 Sulla posizione del Jacíni e, in genere, le discussioni circa Roma capitale, cfr. J ACINI. Un conservatore rurale della nuova Italia, cit., II, p. 44 sgg.; In., La crisi religiosa del Risorgimento. La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia, Bari, 1938, p. 380 sgg. 1051 A. P., Senato, pp. 120 e 123. 1052 C AVOUR, Discorsi Parlamentari, XI, p. 317 (discorso del 25 marzo 1861). 1053 J ACINI, Un conservatore rurale della nuova Italia, cit., II, p. 247. 1054 Della nazionalità italiana, cit., Introduzione, p. 10 sgg. 1055 D’A ZEGLIO, Scritti e discorsi politici, a cura di M. De Rubris, III, Firenze, 1938, p. 372 sgg.; e cfr. anche De Rubris, Confidenze di Massimo D’Azeglio cit., pp. 296, 302, 309. 1047

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Contro lo scritto d’azegliano si alzarono vivaci proteste romane: cfr. Sulle Questioni Urgenti di Massimo D’Azeglio. Esame e confutazione di un romano, Torino, 1861; così come contro uno scritto antiromano del Giorgini, protestò più tardi il duca S FORZA -C ESARINI, Che cosa è Roma. Osservazioni su l’ultimo opuscolo del deputato Giorgini, Torino, 1865. E. F LORI ha voluto ora combattere la «ridicola diceria» dell’avversione del d’Azeglio a Roma capitale (Massimo d’Azeglio e Roma capitale, in Nuova Antologia, ottobre 1950, p. 143 sgg.) ma il suo assunto riposa su di un equivoco: la confusione, cioè, tra Roma italiana, che certo anche d’Azeglio, Giorgini e poi Jacini volevano, e Roma capitale – che era, per essi, tutt’altro problema, come nettamente specificò poi, dopo il d’Azeglio, il Jacini, nel suo discorso al Senato. 1056 Ib., p. 378. E per i vantaggi di Firenze su Roma, da quei punti di vista, p. 383. 1057 Ib., p. 452 sgg. 1058 Cfr. R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., I, pp. 221-22; N. V ACCALLUZZO, Massimo d’Azeglio, 2ª ed., Roma, 1930, p. 225 sgg.; P. E. S ANTANGELO, Massimo d’Azeglio politico e moralista, Torino, 1937, p. 277 sgg. 1059 N EGRO, op. cit., p. 220 sgg. 1060 I vari scritti e discorsi dell’Alfieri sul problema di Roma sono raccolti ne L’Italia liberale, cit., p. 211 sgg. e specialmente 225-26. Ritenendo però inutile l’opporsi alla corrente quasi irresistibile che trascinava il governo a Roma, l’Alfieri voleva almeno il decentramento, per diminuire l’importanza della capitale. La libertà non ha nulla da guadagnare con Roma capitale; almeno si faccia in modo che non patisca danno. Motivi siili ritornarono anche più tardi, e servirono anche da pretesto alla stampa clericale per cercar di eccitare la «nobile indignazione» dei Romani (così, L’Osservatore Romano, 20 novembre 1874, Roma e i suoi conquistatori, contro la Gazzetta d Italia di Firenze, che non voleva saperne del prepotere della capitale). 1061 Lettere romane di K. nella Nazione, 21 aprile 1871. 1062 Roma ci è fatale, Firenze, 1870, specialmente pp. 12, 18, 19, 27-28, 30, 35, 47. 1063 Rimpianti di questo genere furono espressi ancora 1896 da G. C ORSI, Italia, 1870-1895 Torino, 1896, p. 20.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1064 II senatore Gabrio Casati nella stessa seduta del 23 gennaio si associò alle considerazioni del Jacini, rinunziando anzi a parlare per non ripetere le cose già dette dal suo conterraneo e amico (A. P., Senato, pp. 126-27). E si veda anche l’atteggiamento dell’Alfieri, di Sostegno, del Monabrea e di alcuni altri (J ACINI, Un conservatore rurale della nuova Italia, cit., II, p. 47; ... La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia, cit.) p. 384 sgg.; A. P., Senato, 2-1 e 25 gennaio, pp. 133 e 153). 1065 Così s’espresse una volta La Nazione: «Roma ci fa paura». 1066 Così il d’Azeglio, nelle Questioni Urgenti (l. c., p. 376). 1067 J ACINI, Un conservatore rurale della nuova Italia, cit., II, p. 249. 1068 La questione di Roma al principio del 1863, Torino, 1863 pp. 8, 14 sgg. 1069 La Perseveranza, 20 settembre 1870 (Roma capitale) e 28 gennaio ’71 nel commento al discorso Jacini. Identico sentire in quel deputato – non nominato – che nel settembre 1874 dichiacava all’inc. d’affari francese, Tiby: di tute le città d’Italia, Roma è la peggiore di tutte come rapitale. Non ci si crederebbe in Italia. Eppure, essa ci è necessaria non meno della Real Casa di Savoia per assicurare l’opera della nostra unità (r. Tiby, 21 settembre 1874, n. 66; AEP, C. P., Italie, t. 390 ff. 161 v. 162). 1070 Si rammenti l’espressione di Arnolfo «forte dicetis: veneranda est Roma in Apostolo. Est utique; sed nec spernendum Mediolanum in Ambrosio» Historia Irlediolanensis, R.I.S., IV, 29. E siamo nel secolo XI! 1071 L’espressione è del Cattaneo, La città considerata come principio ideale delle istorie italiane cit., p. 101 e cfr. 111. 1072 Lo osserva, giustamente, il N EGRO, Seconda Roma, cit., p. 10. 1073 Nel 64, il Manzoni volle andare a Torino a dare la sua approvazione, in Senato, alla Convenzione di Settembre (prima tappa, pensava, verso Roma), nonostante il d’Azeglio facesse di tutto per dissuaderlo. (R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., I, p. 222; V ACCALLUZZO, op. cit., pp. 274-75); e per i gesuiti divenne allora ce déplorable Manzoni (pref. di F. G HISALBERTI a M ANZONI, Dell’indipendenza dell’Italia,

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Milano, 1947 p. XLVIII). Sul «chiodo di Roma» fitto più che mai in testa al Manzoni nel ’64, cfr. anche F LORI, l. c., p. 151. 1074 Sull’antiromanità del Manzoni cfr. C ALOSSO, op. cit, p. 24 sgg. 1075 Questo motivo cavouriano è, naturalmente ripreso anch’esso dai politici del ’70: si veda la Relazione dell’Ufficio Centrale del Senato (relatore Scialoja) sul progetto di legge per il trasferimento della capitale: «Il primato fra le città come fra gli upmini è in gran parte opinativo. Esso è più sentito che ragionato; e cento furono le cagioni che tennero vivo negli animi il culto di Roma ed alta l’ammirazione per la sua grandezza e per la sua potenza, non sempre benefiche, ma pur sempre o gloriose o preponderanti nello svolgimento della storia» (Senato, Documenti, leg. XI, sess. 1870-71, n. 23 A, p. 2). 1076 Le divergenze fra i glossatori della parola cavouriana furono; come è noto, parecchie, a proposito della questione romana. Jacini dirigeva dalla communis opinio per la formula di Roma capitale, e con lui l’Alfieri di Sostegno, autorevole certo quale congiunto del gran Conte (J ACINI, La politica ecclesiastica ... , cit., p. 384); il Padelletti, per la formula Libera Chiesa in Libero Stato (Libera Chiesa in Libero Stato, in Nuova Antologia, luglio 1875, pp. 690-91): entrambi sostenendo l’«opportunismo» del Cavour nell’un caso e nell’altro. Ma il 2 aprile 1861, inviandogli i suoi due discorsi su Roma, il Cavour aveva scritto al conte di Circourt: «J’ai parlé sans réticence et sans arrière-pensée», Cavour e l’Inghilterra. Carteggio con V. E. d’Azeglio, II, Bologna, 1933, p. 293. Su tutto l’atteggiamento del Cavour, cfr. la fine analisi dello J EMOLO, Chiesa e Stato in Italia ... , cit., p. 165 sgg. 1077 Difendetevi!, cit., pp. 50-51. 1078 Così il Crispi, nel 1881 (Scritti e discorsi politici, cit., p. 496). 1079 Così il Crispi, nel discorso alla Camera del 10 marzo 1881(Discorsi Parlamentari, II, p. 480). 1080 Rassegna Politica della Nuova Antologia, LVI (1881), p. 367. 1081 Il partito moderato e la capitale d’Italia, 22 settembre 1875.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1082 Il 29 agosto 1875 L’Opinione lamenta la «mancanza di vita e d’autorità politica» della capitale; colpa anche del governo, che tratta affari importantissimi lungi da Roma. Le trattative per il trattato di commercio italo-francese, tra il Luzzatti e l’Ozenne, si svolgevano a Bellagio (I rappresentanti di Roma). 1083 L UZZATTI, Memorie, cit., I, p. 354; Epistolario di Aleardo Aleardi, cit., p. 400. Simili lamentele eccitavano a sdegno i Romani, che affermavano esser la città sanissima e la malaria confinata nelle campagne (F. G ORI, Sullo splendido avvenire di Roma capitale d’Italia e del mondo cattolico e sul modo di migliorare l’interno della città e l’aria delle campagne, Roma, 1870). Per le yoci e dicerie e pregiudizi su Roma, cfr. A. G ABELLI, Roma e i Romani, ed. Vinciguerra, Firenze, 1949, pp. 31-33. Ma eran, quelle almeno di carattere igienico, preoccupazioni vive anche negli stranieri; e il ministro di Francia, Fournier osservava «qu’il y a un moment, où la nouvelle capitale de l’Italie, n’ispire qu’une idée, celle de la fruir, tant la santé y court de mauvaises et soudaines chances» (r. Fournier, 1° luglio 1872, n. 31; AEP, C. P., Italie, t. 385, f. 188). 1084 Alle frequenti e lunghe assenze del Re da Roma, e al loro duplice motivo, accenna con molta violenza di linguaggio La Riforma del 22 agosto 1873: «Mac Mahon non teme l’afa di Versailles, né fugge atterrito dalle censure degli internazionalisti di Parigi. Egli non tenta scontare un breve fallo di gloria inseguendo i camosci dei monti, o andando, con lussuria rimbambita, in traccia di ballerine e di simili fervine da conio» (L’Italia senza governo). 1085 Il 9 aprile 1875 il Re telegrafa, da Napoli, al Minghetti: «La prevengo che fino a maggio io non desidero andare nella Città eterna perché appena ristabilito un poco delle febbri che presi colà non desidero andarne subito prendere delle altre» (BCB, Carte Minghetti, cart. 35, b). 1086 Cfr. qui appresso, p. 708. 1087 Che al Re ripugnasse abitare il Quirinale, è esplicitamente detto dal C ASTAGNOLA, Diario, cit., p. 86. Del tutto sbagliato il giudizio del Berti, d’intonazione patriottico-apologetica, che il Re venisse a Roma a con tranquillità perfetta d’animo» (D. B ERTI, L’educazione di Vittorio Emanuele ed il suo matrimonio, in Nuova Antologia, LVII, 1881, p. 217). Più esattamente riconosce il «dolore» del Re uno studioso pur tenero per lui come il

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M ONTI, Vittorio Emanuele II, Milano, 1941, pp. 387-88 e cfr. p. 376. Il Castelli, intimo di Vittorio Emanuele, scriveva il 13 luglio al Dina: «Il Re fu contentissimo di essersi tolta la spina della sua andata a Roma ... molti credono che si inquietasse per la minacciata partenza del Papa – ma s’ingannano; egli preferirebbe di trovarsi solo a Roma, libero da quei contrasti personali e da quel contro-altare» (Carteggio, cit., II, pp. 510-11 e cfr. p. 509). È la conferma delle esitazioni dei dubbi e del dispiacere di Vittorio Emanuele di trovarsi fronte a fronte col Papa. Il giudizio del Castelli è confermato dall’inc. d’affari francese, de Sayve, che garantisce l’autenticità di ciò che Vittorio Emanuele avrebbe detto alla regina d’Olanda, di passaggio a Firenze nel novembre: vorrei che il Papa lasciasse Roma, perché non posso guardare dalle finestre del Quirinale senza vedere dinanzi a me il Vaticano e mi sembra sempre che Pio IX ed io siamo due prigionieri (r. 14 novembre 1871, n. 136; AEP, C. P., Italie, t. 383, ff. 201 v.-202). Frase analoga, detta, in altra occasione, all’aiutante di campo, in A. L UMBROSO, Vittorio Emanuele II e Pio IX. Il loro carteggio inedito dal 1870 al 1878, in La Tribuna, 11 settembre 1911. Quanto alla frase famosa, che Vittorio Emanuele avrebbe detto al La Marmora, arrivando a Roma il 31 dicembre 1870 «ci siamo e ci resteremo», anch’essa sembra una amplificazione apologetica: l’Oriani, allora giovanetto e presente alla scena, dichiara che la frase, pronunziata col tono di un viaggiatore seccato del viaggio, fu, in piemontese «Finalment i suma», finalmente ci siamo (La lotta politica in Italia, III, p. 285 e n. 1). Tanto esultante proprio, con Pio IX in Vaticano, Vittorio Emanuele non si sentiva: e lo conferma la espressiva frase riferita dal Menabrea, nel luglio ’71, a proposito del rifiuto del Re di recarsi in Trastevere «Il papa lì a doi pass a sentirà. I l’hai già faine abastansa a cool pover veii» (in Lumbroso, l. c., 6 settembre 1911). Il «ci resteremo» o l’hic manebimus optime sono inizialmente del Sella, non del Re che pronunzia il «ci resteremo» il 2 luglio ’71, nel ricevimento ufficiale dei sindaci: questo è il momento della «storica frase che ebbe quasi valore e forza di giuramento e che fu di altissima soddisfazione ai liberali, i quali l’andarono ripetendo da un capo all’altro d’Italia» (V IGO, op. cit., I, p. 71). 1088 Naturalmente, erano soprattutto i giornali dell’opposizione a deplorare che Roma non fosse capitale sul serio, per

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colpa del malgoverno dei moderati: oltre Il Diritto e La Riforma, cit., cfr. Il Popolo Romano del 5 settembre 1875, che lamenta l’ozio girovago dei ministri, l’assenza del Re e dei principi (La Capitale). Ancora nel 1893 Guido Baccelli si sdegnerà: «Il Vaticano sta qui tutto l’anno; la Corte e tutti ne fuggono» (F ARINI, Diario, I, p. 333). Anche i deputati sentivano di essere in una capitale che non era il centro dell’opinione, dello spirito pubblico del paese (r. Fournier, 23 aprile 1873, n. 114; AEP, C. P., Italie, t. 387, f. 282 v.). 1089 Così il Jacini, nel discorso al Senato del 21 gennaio 1879, svolgendo le sue considerazioni sul carattere generale della politica estera italiana «eminentemente conservatrice della pace e dell’ordine europeo», si riferiva a dichiarazioni personali del Cavour «lasciate che raggiungiamo la nostra mèta, cioè la nostra indipendenza nazionale, e vedrete quale garanzia dell’ordine europeo noi diverremo» (A. P., Senato, p. 1110. Come è noto, queste idee stanno a base dei Pensieri sulla politica italiana, cit., cfr. specialmente pp. 65-67). Cfr. anche le dichiarazioni Artom, ib., p. 1112. 1090 Bon Compagni al Minghetti, 28 ottobre 1870 (BCB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 67). 1091 Così il Bonfadini alla Camera, il 21 marzo 1872 (A. P., Camera, p. 1383). 1092 Così il Castelli, confidente del Re, al Dina (Carteggio; II, p. 511). Il Castelli crede che in Roma «l’influenza del Re può spiegarsi molto più nettamente, ed esercitarsi con vero benefizio della causa costituzionale»; a Roma il nome del Re può più ancora che in altri luoghi. 1093 «... il programma di governo dee modificarsi rispetto all’Italia. Politicamente dovrebbe diventare conservativo, amministrativamente discentratore» (Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 195). Nella seduta del 20 marzo 1872, il Minghetti ripeté alla Camera il suo credo «noi abbiamo sempre detto e crediamo che, giunti a Roma, il periodo della rivoluzione è finito, che l’Italia deve avere una politica essenzialmente pacifica nelle sue relazioni estere ed essenzialmente conservatrice nella sua condotta interna» (Discorsi Parlamentari, V, p. 253). 1094 Minghetti a Visconti Venosta, 12 ottobre 1870 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1095 A. P., Senato (22 aprile 1871), pp. 776-77.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1096 Nuovamente nel discorso della Corona del 27 novembre 1871: «risorti in nome della libertà, dobbiamo cercare nella libertà e nell’ordine il segreto della forza e della conciliazione». 1097 A. P., Camera, p. 3389. 1098 r. Fournier, 28 marzo 1872, n. 3; AEP, C. P., Italie, t. 384, ff. 280-280 v. 1099 Cfr. R. M OSCATI, La diplomazia europea e il problema italiano nel 1848, Firenze, 1947, p. 8; il dispaccio Pareto al marchese Carrega, il 23 marzo 1848, in La diplomazia del regno di Sardegna durante la prima guerra d’indipendenza, I, Relazioni con il Granducato di Toscana (marzo 1848-aprile 1849), a cura di C. Pischedda, Torino, 1949, p. 3 e le acute considerazioni del Pischedda nell’Introduzione, pp. XVI e LXXXVI-LXXXVII. 1100 Così il La Marmora il 1° febbraio 1861 al ministro degli Esteri di Prussia, von Schleinitz, per contestare l’invasione degli Stati pontifici (L A M ARMORA, Un po’ più di luce, cit., p. 15). La carta giuncata da Cavour con Berlino fu sempre questa (V ALSECCHI, La politica di Cavour e la Prussia nel 1859, cit., pp. 49, 54-56, 59). Analogamente, il Peruzzi in missione a Parigi dopo Villafranca, minacciò la repubblica in Toscana e poi in Italia e forse oltr’Alpi, ove non si consentisse l’annessione al Piemonte (Z ANICHELLI, Studi politici e storici, cit., p. 451). 1101 Cfr. le due grandi circolari ai rappresentanti italiani all’estero, del 29 agosto e 7 settembre 1970, Libro Verde 17, nn. II e III, pp. 11 e 13. Ma anche il dispaccio al Minghetti, del 21 settembre, ib., XXIV, p. 36: nel Libro Verde anzi, forse appunto per evitare maggiori critiche da parte della Sinistra, è stato soppresso tutto un periodo del testo originale, in cui il Visconti Venosta agitava assai di più lo spettro rivoluzionario. Dopo le parole «récessités supérieures» (p. 36, r. 13), il dispaccio proseguiva infatti: «Il étaít en effet urgent d’aviser a empêcher que toute notion d’autorité ne fut emportée dans le tourbillon du désordre, et qu’on ne se trouvât tout-à-coup dans l’impossibilité de sauvegarder le principe monarchique et l’indépendance spirituelle du St. Siège». E cfr. nuovamente l’accenno al principio di autorità rafforzato dall’azione italiana nella circolare del 18 ottobre (ib., LVI, p. 71). 1102 Il governo ha occupato Roma – dice – per difenderla dalle incursioni garibaldine e mazziniane: ma, soggiunge il Capponi «io non so veramente qual pericolo abbia fatto correre

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il Mazzini ... credo che la vigilanza esercitata sul Garibaldi fosse più che sufficiente». (Senato, 29 dicembre 1870; Scritti editi e inediti di G. Capponi, cit., I, p. 459.) 1103 Contro gli «umoristici pretesti» del governo e per un procedere aperto e franco scrive La Riforma del 25 settembre 1870 (La moralità dell’idea nazionale). Alla Camera, il 30 gennaio 71, l’on. Oliva, direttore della Riforma, accusò invece il governo di essere entrato nel territorio romano proprio perché spinto da motivi di sicurezza pubblica, «dalla necessità della sua conservazione» (A. P., Camera, p. 432). 1104 Sin dal 7 settembre La Nazione di Firenze aveva espresso idee alla Visconti Venosta: «quest’atto [l’andata a Roma] è cosa grave, che noi non possiamo giustificarlo, se non col mostrarlo, com’è veramente, conforme agl’interessi e alle necessità dell’ordine pubblico europeo. Compiendo questo atto, che nella forma è rivoluzionario, noi veramente non facciamo che mostrare la nostra forza, affermare la nostra esistenza, come governo essenzialmente conservativo» (La Francia repubblicana). 1105 Nella ben nota lettera dell’8 settembre affidata al conte Ponza di San Martino. Anche nelle istr. del Lonza al Ponza di San Martino, identici motivi: si può aspettare che l’agitazione conduca a gravi disordini ecc. Il Blanc assicurava poi al card. Antonelli che il gen. Cadorna aveva preso Roma solo per impedirvi la proclamazione della repubblica, ad opera del Cernuschi incoraggiato da Parigi (r. incar. affari francese, Lefebvre de Béhaine, 28 dicembre 1870, n. 130; AEP, C. P., Rome, t. 1048, f. 398 sgg. Naturalmente, per il Lefebvre tutti questi erano pericoli immaginari, inventati). 1106 Il 18 ottobre 1870, dando istruzione al de Launay di parlare col Bismarck anche sulla questione di Roma, il Visconti Venosta osserva che essa, oltre a diminuire la libertà d’azione della politica italiana legandola a quella francese, era «una di quelle parole d’ordine che non si possono lasciare, come un monopolio, ai partiti rivoluzionari perché realmente corrispondono a un sentimento nazionale vero e profondo nel paese. Nell’interesse del principio monarchico e conservatore il Governo doveva, con una risoluta iniziativa, prendere egli stesso nelle sue mani questa quistione per non lasciarla in mano della rivoluzione che si sarebbe accinta a risolverla colle forse sue e co’ suoi mezzi. Il partito rivoluzionario fu completamente disorganizzato dalla nostra iniziativa, esso fu ridotto all’impotenza e la pro-

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va ne è nella stessa avventura sterile e inutile che Garibaldi è andato a cercare in Francia». Anche la formula, proposta dal conte di Arnim, di Roma città libera, è pericolosa: «... Roma città libera sarebbe inevitabilmente diventata la Repubblica romana» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Stessi concetti nei due dispacci al Cadorna (Londra), 30 marzo e 12 aprile 1871 (AE, Ris., 51): la presa di Roma se «ha posto l’Italia in una situazione internazionale difficile, ha però reso sicura e tranquilla la nostra condizione interna. I partiti estremi furono disarmati d’ogni mezzo d’agitazione; le elezioni riuscirono buone; il paese è sordo ad ogni esterno eccitamento; il governo è padrone della situazione, e l’Italia non domanda altro che di poter attendere con sicurezza al suo pacifico progresso. È d’uopo chiedersi se tale sarebbe la condizione delle cose se il sentimento nazionale non fosse soddisfatto in modo definitivo, se la quistione di Roma rimanesse insoluta come una parola d’ordine per la rivoluzione ... invece di esseré ora uno dei paesi più calmi e tranquilli di Europa, quali sarebbero le nostre condizioni se, colla rivoluzione in Francia, Roma fosse un campo aperto ai Garibaldini?» (30 marzo). E il 12 aprile insiste: «Quant à nous nous avons dû songer surtout à maintenir la tranquillité intérieure, à éviter le contxecoup des évènements de Parie. Mieux vaut avoir quelques discussions diplomatiques que l’anarchie». 1107 Cfr. l’opuscolo, anonimo, Pro populo italico, Berlino, 1871 (trad. ital., Difesa della nazione italiana, Roma, 1872, p. 21), scritto per controbattere le affermazioni di A. V ON R EU MOUNT . Pro romano pontefice, Bonn, 1870. La motivazione addotta dal Visconti Venosta (occupar Roma per mantener l’ordine), non era affatto «una satira fatta dal governo italiano a se stesso» siccome sosteneva il Reumont, ma una giusta preoccupazione: Mazzini e Garibaldi non si sarebbero accontentati della distruzione del potere temporale. 1108 La tesi sabauda nel ’48 impedire che la Lombardia divenisse il centro di un movimento repubblicano in Italia – era stata fatta propria dal governo inglese (M OSCATI, op. cit., p. 8). 1109 Minghetti (Vienna), 19 novembre 1870, n. 27. Analogamente, Jules Favre accettava l’argomentazione del Nigra, che se il governo italiano fosse rimasto inerte, tutto sarebbe stato perduto: i partiti demagogici si sarebbero impadroniti di Roma «et la tempéte qui ferait disparaître la papauté nous exposerait aux plus graves désordres». E conchiudeva: «je crois, comete

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vous, que si vous n’y allez pus, Rome tombe: a au pouvoir d’agitateurs dangereux. J’aime mieux vous y voir», pur rifiutandosi di esprimere alcun consenso formale (Rome et la république française, Parigi, 1871, pp. 5-7). Il Rothan invece osservava che per molti anni l’Italia era riuscita «à nou donner, dune l’intérêt de sa politique, le change sur sa situatíon intérieure. Elle passait, en effet, en Europe, pour un foyer de troubles, tant quelle s’est trouvée sous la domination étrangère. C’était l’époque oú ses hommes d’état conspiraient aver Mazzini et Garibaldi pour l’indépendance de la Péniasule» (r. 27 marzo 71, n. 77; AEP, C. P., Italie, t. 381, ff. 240-240 v.; cfr. R OTHAN, op. cit., II, p. 348, sub 21 marzo). Scettico, il Decazes il 22 dicembre 1873 avrebbe scritto: «je crois le gouvernement italien plus maître chez lui qu’on ne le suppose. Je dirai volontiers qu’il exploite les ardeurs démocratiques plutót qu’il ne les subit» (in G. H ANTAUX, Histoire de la France contemporaine, II, Parigi, s. a., p. 394, n. 2). 1110 Nell’indirizzo presentato al Re Guglielmo I di Prussia (Libro Verde 17, p. 110). 1111 Nel suo discorso alla Camera del 21 dicembre 1870, l’on. Toscanelli rimproverava al governo questa politica della paura: la politica del governo è, all’interno, di aver paura della Sinistra, e, all’estero, di aver paura della Destra (A. P., Camera, p. 138). Ma il deputato toscano non s’accorgeva come, nell’insieme, il governo sapesse sfruttare bene una posizione siffatta. 1112 Soltanto in questo senso è esatta l’affermazione del G RAMSCI, che storicamente il Partito d’Azione fu guidato dai moderati (Il Risorgimento, Torino, 1949, p. 70 sgg.): cioè nel senso che i moderati, da Cavour in poi, riuscirono, più o meno felicemente a seconda dei tempi e degli uomini, ad imporre, in concreto, le soluzioni a loro più accette. Ma, a loro volta, i moderati subirono, soprattutto dopo Cavour, il Partito d’Azione, si mossero in gran parte perché premuti da esso: basti pensare agli eventi del settembre 1870 che, non fossero state la Sinistra e la minaccia del Partito d’Azione, a Roma i moderati non ci andavano di certo, in quel modo. Sella poté imporsi perché aveva dietro a sé la Sinistra. Esatto, invece, e anche naturale, che dopo il ’70 la Sinistra perda ogni spirito rivoluzionario e s’imbeva di spirito e adotti metodi da moderati. 1113 M ARTINI, Confessioni e ricordi, cit., p. 71.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1114 «Ce qui est surtout indispensable c’est de réprimer énergíquement le moindre mouvement républicain en Lombardie. Faites moi fusiller fort et ferme le premier lombard qui poussera un cri séditieux, sans vous soucier des commentaires des Brofferio et des Valerio» Cavour al duca di Dino, 14 marzo 1849 (Lettere, V, p. 193). E ancora nel ’57, per Mazzini «je payerais je ne sais quoi pour le faire arrêter», e, se si trovasse che è a capo del complotto per assassinare Napoleone III «on le pendrait haut et court; à la grande satisfaction des honnétes gens de tous les pays» (Carteggio Cavour-Salmour, Bologna, 1936, p. 129). Non lo avrebbe fatto; ma insomma ... 1115 La Francia repubblicana. 1116 Cfr. qui sopra, p. 466, n. 28, le lett. del Visconti Venosta, soprattutto quella del 12 aprile ’71 al Cadorna che esprime pienamente quali fossero state le preoccupazioni del Governo dopo il 4 settembre (e cfr., infatti, per te immediate ripercussioni del 4 settembre parigino, i rr. dei prefetti di Bologna, Grosseto e Caserta, in Le carte di G. Lanza, cit., VI, pp. 57-58, 65-66, 68, 77). E per il Visconti Venosta, cfr. anche qui appresso, p. 733, n. 20. 1117 ACR, Verbali delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, II, p. 69; pubbl. in Le carte di G. Lanza, cit., VI, pp. 404-405. E cfr. C ASTAGNOLA, Diario, p. 32. Da notare che, forse per i’emozione, era stato scritto «risoluzione del Governo Pontificio» anziché italiano, come fu poi corretto, a matita blu, da altra mano. Cfr. anche G UICCIOLI, op. cit., I, pp. 300-301 che però anticipa al 3 settembre, alla notizia di Sedan, mentre fra il 3 e il 4 il Consiglio dei ministri è ancora nettamente diviso (C ASTAGNOLA, pp. 30-31); e ora S. W. Halperin, Italy and the Vatican at War, cit., pp. 42-43. Chi ha visto perfettamente le cose è stato l’Oriani «o marciare tosto su Roma, o disporsi alla guerra civile contro la rivoluzione», La lotta politica in Italia, cit., III, pp. 277-78. 1118 Monarchia e Papato in Italia, cit., pp. 213-22. 1119 Correspondance, 1872-1892, p. 141. 1120 Pensieri e profezie, pp. 96-98. 1121 Cfr. G. F ALCO, Spunti sociali nel pensiero e nell’opera di Cavour fino al ’48, in Convegno di scienze morali ... Il 1848 nella storia d’Europa, cit., p. 377.

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B ALBO, Della monarchia rappresentativa in Italia, cit., p.

322. 1123 Cfr. G. P ERTICONE, Gruppi e partiti politici nella vita pubblica italiana, Modena, 1938, p. 13 sgg. 1124 Lo confessò egli stesso, molti anni più tardi, al De Marcère (D E M ARCÉRE, L’assemblée nationale de 1871, II, La présidence du marécbal de Mac-Mabon, cit., pp. 7-8). Al ritorno da Parigi, l’Arrivabene raccontava a Torino «che tutti questi vecchi liberali non hanno più fede ne’ loro principi e quindi non avranno l’energia di difenderli» (Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi, cit., maggio 1850, p. 449). 1125 Diario, ed. Salvatorelli, Milano-Roma, 1941, p. 199. Cfr. anche R. D E M ATTEI, La prima coscienza in Italia d’una «questione sociale», in Storia e politica internazionale, marzo 1943, p. 98. 1126 Cfr. l’articolo nel Risorgimento, 30 giugno 1848; e anche la lett. al Corio del 27 giugno (Cavour agricoltore. Lettere inedite ... a G. Corio, a cura di E. Visconti, Firenze, 1913, p. 230). E cfr. S ALVATORELLI, Pensiero e azione del Risorgimento, cit., p. 165. 1127 Timori e speranze [ottobre 1848], in Scritti e discorsi politici, cit., II, p. 83. 1128 l. c., p. 133 (Ai suoi elettori, gennaio 1849). 1129 Nel discorso alla Camera del 30 gennaio 1851 (Discorsi Parlamentari, ed. Omodeo-Russo, II, Firenze, 1932, p. 449). E cfr. in genere G. S ALVEMINI, La paura del socialismo fra il 1847 e il 1860, Appendice C a Mazzini, cit., p. 201 sgg. 1130 Margherita Collegno ad Antonio Trotti, 12 dicembre 1851 (Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi, cit., p. 487). Questo è il sentimento della «grande maggiorità»; la Collegno invece pensa con altri che «il regno prepotente della spada è un male certo, quello della demagogia non lo era». 1131 Cfr. qui sopra pp. 194-95, n. 395. 1132 Così G. E. G ARELLI, Del principio di autorità, Torino, 1874 (Orazione inaugurale dell’anno accademico nell’Università di Torino), pp. 4344 e cfr. p. 8 e 17. Cfr. anche R. C ORNIA NI , II principio d’autorità in Italia ed il partito conservatore, Torino, 1878, pp. 35-36, 151-52, 217.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1133 1134

L’Italia liberale, cit., pp. 477-78. Del governo rappresentativo in Italia, Roma, 1872, p. 32

sgg. 1135 Per il Bonghi, lo ha già dimostrato il C ROCE, La letteratura della nuova Italia, III, 5ª ed., Bari, 1949, pp. 274-75. 1136 L UZZATTI, Memorie, cit., I, p. 287 sgg., 411; II, p. 30 sgg. 1137 Cfr. N. R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, Torino, 1927, p. 42 sgg. Per i moderati del ’70 e dopo, possono valere parecchie delle osservazioni che il Pisacane faceva a proposito dei moderati del ’48 (Guerra combattuta in Italia, eit., p. 355). 1138 Così un tipico moderato come il F INALI, nel suo elogio del Minghetti (op. cit., p. 376). 1139 L. L IPPARINI, Minghetti, I, Bologna, 1942, p. 11; D. P ETRINI, Motivi del risorgimento, Rieti, 1929, p. 73. 1140 Al ritorno da una gita fra il Po, ii Panaro, il Secchia, Minghetti scriveva il 5 gennaio 1872 ad un amico di Bergamo «vidi colà grandi miserie, e bisogni di ogni genere, e pericoli per l’avvenire» (BCB, Carte Minghetti, cart. XVI, fasc. 57). 1141 Tolgo la felice espressione al B ACCHELLI, Il Mulino del P, III, p. 148. 1142 Cfr. C IONE, Francesco de Sanctis, cit., p. 269 sgg. 1143 Così il senatore Alessandro Rossi, l’eminente laniere di Schio, certo benemerito dell’industria nazionale (Di una proposta di legge sul lavoro dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche, in Nuova Antologia, XXXI, 1876, pp. 170, 171, 185. Contro, il L UZZATTI, La tutela del lavoro nelle fabbriche, ib., p. 397 sgg.). Per i suoi operai il Rossi faceva molto (asili, scuole, case, pensioni ecc.): ma in sede di discussione generale il suo urto col Luzzatti fu decisissimo (cfr. L UZZATTI, Memorie, cit., II, p. 30 sgg.). 1144 L UZZATTI, Memorie, cit., II, p. 36. 1145 Lett. 5 settembre 1843 al Gobineau (Correspondance entre A. de Tocqueville et A. de Gobineau, cit., pp. 8-9). 1146 B ALBO, Della monarchia rappresentativa, cit., pp. 182-3; lett. Capponi al Lambruschini, 14-18 agosto 1834, in G AMBA RO , Riforma religiosa nel carteggio inedito di Raffaello Lambruschini, cit., II, p. 107. Sulla «scienza della carità», cfr. anche

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L AMBRUSCHINI, Scritti di varia filosofia e di religione, cit., pp. 209, 222 sgg. 1147 Cfr. la lettera al de Sellon, del marzo 1836 (in R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., II, pp. 33-34 e 50); e l’articolo ne Il Risorgimento, 17 marzo 1843. Cfr. fini osservazioni in F ALCO, l. c., p. 378 sgg. Sull’atteggiamento dei liberali italiani, in genere, pre ’48, cfr. N. R ODOLICO, Convegno di scienze morali ... , cit., pp. 362, 391 e anche A. C. J EMOLO, ib., pp. 389-90. 1148 De la nationalité. Au «Propagador», Scr. Ed. In., VII, p. 339. 1149 La disfatta della Francia, cit., p. 132. 1150 Lo osservava già il Bonghi, nel 72 (cfr. P. A LATRI, Bonghi e la vita politica italiana, in Nuova Antologia, ottobre 1946, p. 177). 1151 R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, cit., p. 13, n. 2 e p. 16. Naturalmente, stavano a sé gli onn. Fanelli e Friscia, legati con l’Internazionale (ivi, passim, e M. N ETTLAU, Bakunin e l’Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra, 1928, passim). 1152 Scritti e discorsi politici, p. 472. Crispi approvava le idee del Minghetti (ib., pp. 673-74). 1153 Le accuse dell’A NELLI contro la politica sociale dei moderati non colpiscono, per questo lato, nel segno (I sedici anni del governo dei moderati 1860-1876, Como, 1929, p. 85 sgg.). 1154 II Diritto, 31 marzo 71 (Il «Terzo stato» in Italia). Su questo «sforzo» delle classi superiori a pro delle inferiori cfr. anche, nel ’70, il Bonfadini, cit., in L. B ULFERETTI, Socialismo risorgimentale, Torino, 1949, p. 250. 1155 Cfr. gli art. pubbl. nel Journal des Débats il 22 giugno 1831, il 18 aprile 1832, il 17 maggio 1853, raccolti in Souvenirs et réflexions politiques d’un journaliste, 2ª ed., Parigi, 1873, pp. 114 sgg., 157-58. E si rammenti che anche per il Cavour la proprietà «grazie al Cielo, non era in Italia privilegio esclusivo di alcuna classe» (F ALCO, l. c., p. 377). Cfr. pure Il Diritto, 30 marzo 1871 (La Francia). 1156 Simili tendenze affiorano già prima del ’48, in Piemonte per es.: cfr. B ULFERETTI, op. cit., p. 149.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1157 Cfr. G. M ARTELLI, Ammonimenti morali agli artigiani, Torino, 1871, pp. 49-50, 74; I. S CARABELLI, I padroni, gli operai e l’Internazionale. Libro di lettura popolare e di premio dedicato agli operai italiani, Milano, 1872, p. 7 sgg.; C. R E VEL , Il libro dell’operaio, 4ª ed., Torino, pp. 19 sgg., 41-42 ecc.; C. F ACCIO, Della possibile azione della società operaia nell’educazione civile e sociale delle classi minori, Vercelli, 1875, pp. 13-14, 20-21; A. R AVÀ, Consigli agli operai, Milano, 1878, pp. 7-8, 25 sgg. ecc.; anche E. S TRINI, Catechismo dell’operaio, Torino, 1873, p. 7 sgg., il quale crede che il miglior libro da offrire agli operai sia un manuale alla buona di economia politica. Per la fortuna di Franklin, soprattutto G. D ECASTRO, La morale dell’operaio desunta dalla vita e dai pensieri di Beniamino Franklin. Libro di lettura e di premio per le scuole popolari, Torino, 1874. Parecchio esaltato lo S MILES, Il carattere destò «un poco di fanatismo», ebbe in un anno 3 ristampe (7000 copie, allora!); G. B ARBERA, Memorie di un editore, Firenze, 1883, p. 388. Contro gli eccessi della letteratura «self-helpista» cfr. G. B OCCARDO, Prediche di un laico, Forlì, 1872, pp. V-VI. Anche la borghesia tedesca rinviava volentieri gli operai al Self-help (J. Z IEKURSCH, Politische Geschichte des neuen deutschen Kaiserreiches, II, Francoforte s. M., 1927, p. 328; per l’atteggiamento degli industriali – educazione morale dei lavoratori ecc. – G. W ITTROCK, Die Kathedersozialisten bis zur Eisenacher Versammlung 1872, Berlino, 1939, p. 186). «Aiutati da te», raccogliendo le proprie forze morali e spirituali, diceva il deputato Braun di Wiesbaden (cit. in Aktenstücbe zur Wirtschaftspolitik des Fürsten Bismarck, ed. da H. V ON P OSCHINGER, l, Berlino, 1890, p. 166, n. 1). 1158 P. es. cfr. A. A LBERTI, Memorie d’un maestro di scuola. Libro di lettura pel popolo, Ferrara, 1877. 1159 La circolare del Menabrea ai consoli, in data 17 dicembre 1867, in M. L ESSONA, Volere è potere, 14ª ed., Firenze, 1889, pp. IX-X. Di quest’opera in otto anni si stamparono circa 20.000 copie, come dei Ricordi del d’Azeglio (B ARBERA, op. cit., p. 360-361). 1160 Cfr. C. F. V OLNEY, La loi naturelle ou catéchisme du citoyen français, ed. Gaston Martin, Parigi, 1934, p. 136 e la n. 1 dell’editore. Per il Mantegazza, L. B ULFERETTI, Le ideologie socialistiche in Italia nell’età del positivismo evoluzionistico (1870-1892), Firenze, 1950, p. 106.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1161 Pensieri e profezie, p. 62. Identico concetto ed espressione del discorso alla’ Camera del 28 febbraio 1894 (Discorsi Parlamentari, III, p. 686). E cfr. l’affinità con l’atteggiamento alla Saint-Marc Girardin. 1162 Pensieri e profezie, pp. 53 e 56; discorso alla Camera del 28 febbraio 1894 (l. c.). 1163 Pensieri e profezie, pp. 12, 51 e 54. Cfr. qui sopra, pp. 305-306. 1164 Z ANICHELLI, Studi politici e storici, cit., p. 499. 1165 Nella Prefazione alla Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-49 (ed. cit., p. 7 sgg.). E sulla borghesia che in Italia possiede le terre, i capitali, ha il monopolio del commercio, delle scienze, dell’industria, degli impieghi ecc., cfr. 1166 R. D E C ESARE, Le classi operaie in Italia, Napoli, 1868, p. 2 sgg., 11 sgg. 1167 Discorso dell’on. Corrado Tommasi Crudeli agli elettori politici del Collegio di Cortona, a Foiano il 10 settembre 1876; Firenze, 1876, p. 28. Il Tommasi Crudeli stava col Sella: quindi, non era un sovversivo. Che queste cose venissero dette in un discorso elettorale, non è argomento per ritenerle captatio benevolentiae: anzi, data la composizione d’allora del corpo elettorale, un rimprovero di questo genere poteva semmai influire in senso opposto. In altro discorso, tenuto a Lucignano il 29 ottobre ’76, il Tommasi Crudeli torna a parlare di «proprietari avari e tirannici» (Firenze, 1876, p. 18). Renan, in viaggio per l’Italia, nell’ottobre 1871, osservava che in Lombardia, presso il basso popolo, vi erano certi rimpianti per l’Austria: «la nouvelle bourgeoisie est avare, économe, ne fait rien pour le peuple, tandis que les Tedeschi spendevano molto» (R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 413, sotto la data errata 1872). 1168 Discorso alla Camera del 30 marzo 1881 (Discorsi Parlamentari, I, p. 28). Per il Villari, cfr. B ULFERETTI, Le ideologie socialistiche ... , cit., p. 86 sgg. 1169 Discorso alla Camera del 13 maggio 1881 (A. P., Camera, p. 5687). 1170 È osservazione del Renan (R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 413).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1171 «Adolfo Thiers, in quel suo libro Della proprietà, che meno splendido di altri, è forse il più esatto di tutti i suoi ...» B ALBO, Della monarchia rappresentativa, cit., p. 121. 1172 Cfr., p. es., la lett. al fattore di Brolio del 7 agosto 1849, dopo una rovinosa grandinata: «ci vuole una gran fede [in] Dio per rassegnarci a queste amarezze, e specialmente per me, che il primo pensiero è dei contadini, e meno mi dispiacerebbe se mi fosse scritto che dieci botti si sono sfondate e ho perso tutto il vino» (Carteggi III, p. 424). 1173 Soprattutto significative, al riguardo, le lettere al fattore di Brolio, Ferdinando Batistini, del 7 e 21 gennaio 1852 (Carteggi, IV, pp. 198 sgg., 207-208): «Io non mi piglio a male che i contadini dicano che io voglio tutto quello che mi appartiene; lo voglio tutto ... sì, ditelo, io guardo a tutti i bruscoli, perché è appunto con i fuscelli che si fa il fuoco, e ripeto che assolutamente e rigorosamente voglio tutta la roba mia, e voglio cavar profitto da tutto; e non siete Voi, ditelo, ma io stesso che voglio così, ed io ho ragione, ed i contadini hanno il torto, e non veggono il loro danno, perché così mi disgustano e qualcuno la pagherà ... Io provvedo perché tutti i contadini stieno il meglio possibile; ma voglio essere padrone e disponitore del mio, come ne ho il diritto». E pertanto «io licenzierò quel contadino che si sarà permesso di parlare male di me ... esigerò che mi si paghi quello che ho diritto che mi sia pagato, vale a dire tutto ciò di cui si può fare un ritratto, e che mi appartiene». 1174 Lett. al fattore, 14 e 28 febbraio 1849, e, per altra occasione, 11 aprile 1852 (Carteggi, III, pp. 313 e 322; IV p. 214). 1175 Sono espressioni del Lambruschini (Carteggi Ricasoli, III, p. 385). 1176 Così il sen. Alessandro Rossi (Di una proposta di legge sul lavoro dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche, l. c., p. 166). 1177 L’Opinione, 14 marzo 1871 (Versailles-Parigi). Rientra anche in quest’ordine di idee il tentativo fatto dai moderati, fra il ’50 e il ’60, di mantenere le società operaie nell’ambito del mutuo soccorso: gli operai possono occuparsi di politica come singoli cittadini, individualmente, fuori delle società; niente politica nelle società (cfr. G. M ANACORDA, Sulle origini del movimento operaio in Italia, in Società, III «1947», p. 49). Il popolo si astenga dalla politica: così La Nazione di Firenze, fra

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’61 e ’62 (cfr. E. C ONTI, Le origini del socialismo a Firenze «1860-1880», cit., p. 37). 1178 R OSSI, l. c. 1179 C RISPI, Scritti e discorsi politici, cit., p. 726 (1889). 1180 P ERTICONE, op. cit., p. 21. 1181 Speranze d’Italia, c. VIII (ed. Firenze, 1855, pp. 86-87). 1182 l. 1° aprile 1766 (Oeuvres complètes, ed. cit., XL, p. 387). 1183 Cfr. qui sopra pp. 279-80. 1184 Dichiarazioni Tavassi (Napoli) al Congresso generale delle Società operaie in Roma, 18 aprile 1872 (l. c., pp. 64-65). Significativo che il primo tema del Congresso fosse proprio questo «Cosa è l’operaio al cospetto della Società Civile?» (p. 15). E cfr. i democratici nella Firenze di dopo il ’60, in Conti, op. cit., pp. 33-34. Per le preoccupazioni degli operai francesi, che, verso la fine del Secondo Impero, s’interessano sempre più dell’istruzione «generale» e meno di quella puramente professionale, cfr. G. D UVEAU, La pensée ouvrière sur l’éducation pendant la seconde République et le second Empire, Parigi, 1948, p. 103 e cfr. pp. 9, 41, 111. 1185 Della monarchia rappresentativa, pp. 33-34. Non dissimili pensieri nel marchese Alfieri di Sostegno quando, difendendo in Senato il 12 dicembre 1881 il principio della riforma elettorale, chiedeva se della democrazia s’intendeva sul serio esser «perpetuamente pedagoghi e tutori» (A. P., Senato, p. 2015). 1186 Discorso Pantaleoni al Senato, 10 dicembre 1881 (A. P., Senato, p. 1959). 1187 Così il sen. Zini, nella discussione al Senato sul progetto di legge per la riforma elettorale politica, il 9 dicembre 1881 (A. P., Senato, p. 1922). Il giorno appresso, Diomede Pantaleoni tuonava anch’egli centro «quella lebbra del suffragio universale» (ib. p. 1962). 1188 Discorso Zini, cit. (ib., pp. 1927-29; cfr. 1923-24). Concetti analoghi nel discorso del sen. Tinelli (ib., p. 1937). 1189 Il sen. Zini lamentava che dal dispregio verso la religione e i sacerdoti, a cui era stata avvezza, la plebe avesse appreso a disprezzare il principio di autorità e a deriderne i rappresentanti: «oggi il monello quando incontra il parroco, invece di levar-

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si il berretto gli fa boccaccia» e ride del sindaco, e delle guardie municipali e de’ questurini. Questo monello sarà domani l’operaio riottoso che non solo resisterà all’autorità, ma provocherà l’agente e perfino i rappresentanti della legge; e dico provocherà sul serio; proprio pel gusto di provocare» (l. c., pp. 1926-27). Lamentele simili in un rapporto del delegato di P. S. di S. Spirito a Firenze, nel 1875 (in C ONTI, op. cit., p. 220 n. 1). 1190 Così i senatori Zini e Tinelli (l. c., pp. 1922, 1928, 1937). 1191 Discorso Zini, cit., (l. c., p. 1932). 1192 Z ANICHELLI, Studi politici e storici, cit., p. 499. 1193 Discorso Pantaleoni, cit., (l. c., p. 1963). Il Pantaleoni trovava che il censo era il più democratico di tutti i princìpi elettotali esistenti al mondo, dato che il vero, il primo fattore del progresso e dell’umanità ... sta nell’accumulo del portato del lavoro, e quindi nell’accumulo di quello che si chiama capitale» (ib., p. 1944). 1194 A. P., Senato, p. 2190 (18 dicembre 1881). 1195 A. P., Camera, p. 4653 (24 marzo 1881). E cfr. anche l’esaltazione del censo fatta dall’on. Tenani (ib., ib., p. 4731, 26 marzo). 1196 Discorso Tinelli, cif. (l. c., p. 1937). Da notare che il Tinelli prelude con la constatazione che il Risorgimento è proceduto dall’alto ad opera dell’aristocrazia dell’intelligenza, della nascita, del censo, e così dovrebbe continuare a svolgersi. 1197 Carteggi Ricasoli, III, p. 381 (2 maggio 1849). 1198 Discorso Cannizzaro, al Senato, 13 dicembre 1881 (l. c., p. 2037, con appello all’esempio dei rurali francesi). Sono motivi comuni anche alla Civiltà cattolica, da tempo (cfr. B ULFE RETTI , op. cit., p. 302). 1199 Così il relatore Lampertico, al Senato, il 18 dicembre (l. c., p. 2188). Nelle campagne si trovano i buoni e forti costumi (on. Saladini, alla Camera, il 4 aprile 1881; A. P., Camera, p. 5034). 1200 Così il Lampertico nel difendere l’emendamento proposto dall’Ufficio Centrale del Senato, perché nelle lire 19,80 di imposte (limite di censo) fossero comprese anche: le sovrimpo-

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ste provinciali (A. P., Senato, pp. 2186-87). L’emendamento fu approvato con 102 sì, 92 no. 1201 L’on. Codronchi, alla Camera, il 24 marzo 1881 (A. P., Camera, pp. 4651-52); e anche Giustino Fortunato riteneva «sicuro il sacrificio totale della classe agricola all’industriale» (ib., pp. 4678 e 4688; 25 marzo). Perciò, e per la «dura condizione» creata al Mezzogiorno, egli era per il suffragio universale, come vari altri degli avversari della legge, per es. l’on. Brunetti che negava il pericolo clericale (ib. ib., p. 4774; 28 marzo). 1202 Così il ministro Zanardelli, al Senato, seduta 18 dicembre 1881 (A. P., Senato, p. 2183). Prima di lui, il sen. Griffini, il 12 dicembre (l. c., p. 2009 sgg.). Lo stesso Finali, tanto preoccupato dei rossi, ammoniva che «se, invece del grido né eletti né elettori, si facesse sentire dal Vaticano un diverso grido, forse l’universalità del voto impaurirebbe» (l. c., p. 2003). Alla Camera, l’on. Parenzo aveva parlato dei rurali con tinte assai fosche: sono quasi dei bruti, parlano ancora «della venuta degli Italiani come se si trattasse di un cambiamento di dominatori» (2 aprile 1881; A. P., Camera, p. 4963). Cfr. anche il discorso Faldella, alla Camera, il 16 marzo 1881 (ib., ib., p. 4407). 1203 Pessina (A. P., Senato, p. 2171) e Zanardelli citano Taine; Lampertico, Vacherot. 1204 Il duplice timore viene espresso alla Camera dall’on. Arbib (28 marzo 1881; A. P., Camera, p. 4783 sgg.); al Senato, dai senatori Pantaleoni, Finali, Ricotti. 1205 Così i senatori Griffini e Ricotti (A. P., Senato, pp. 2012 e 2046). Il Griffini osservava: se, visti inefficaci gli altri mezzi per ricostituire il potere temporale, il Papato si ponesse alla testa del socialismo facendo appello al Vangelo? 1206 Il suffragio universale in Italia. Noterelle di un ex Deputato, Torino, 1873, p. 17. Dalla dedica al Dina, firmata E. Di S. (esemplare della Biblioteca Nazionale di Roma; anche la lettera di dedica a stampa è firmata con la sigla D. S.), e da altri accenni (cfr. pp. 3, 4-5) argomento trattarsi del conte Ernesto di Sambuy, deputato per la X legislatura, sino al ’70, rimasto fuori dalla Camera nell XI, rieletto nella XII e successivamente fino alla XV. Il Di S. è, naturalmente, contro il suffragio universale, che avrebbe le conseguenze sopra descritte.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1207 Che il suffragio universale conduca, tosto o tardi, alla repubblica, dicono chiaramente i senatori Pantaleoni e Vitelleschi (l.c., pp. 1961 e 1985); fra suffragio universale e monarchia costituzionale v’è inconciliabilità, e il primo implica un presidente elettivo, non un monarca. Anche per il Finali, l’allargamento del suffragio è chiesto dai partiti ostili alla monarchia (l. c., pp. 2003-2004). Invece il Sonnino affermava che il suffragio universale era, allora, monarchico, e che solo a rinnegarlo avrebbe potuto diventare domani rosso o nero (Discorsi Parlamentari, I, p. 42). 1208 Secondo A. G UALDO, La riforma elettorale, Venezia, 1879, gli stessi moderati, pur timorosi dei rossi, erano contrari al suffragio universale soprattutto perché temevano che da un corpo elettorale esteso uscissero vittoriosi i clericali (pp. 12 e 14). 1209 Scritti e discorsi politici, cit., p. 464. 1210 Nel discorso di Biolio, 18 ottobre 1874 (Discorsi Parlamentari, V, p. 880). Ma già nella lett. al Döllinger, del 20 settembre 1872: Germania e Italia strettamente congiunte da pericoli comuni «Eorum enim audaciam in dies increscere videmus, qui parricidium religione excusantes, nil intentatum se relicturos fatentur, ne bonis„ quibus vix potimur, et vel multorum sanguine, vel omnium fere consensu probatis, tandem aliquando frui liceat. Commune igitur ... bellum nobis gerendum» (ib., I, p. 804). 1211 R OTHAN, op. cit., II, p. 344. 1212 Discorso alla Camera del 25 gennaio 1875 (Discorsi Parlamentari, II, p. 208). 1213 11 dicembre 1881 (l. c., p. 1976). Identiche osservazioni nei discorsi Griffini, Deodati, Rossi (ib., pp. 2011, 2058, 21902191). 1214 Discorso al Senato, il 15 dicembre 1881 (l. c., p. 2094). 1215 L’elogio dell’istruzione, come ottima misura di valore perdiscriminare l’elettore dal non elettore, soprattutto in Zanardelli, discorso al Senato del 15 dicembre 1881 (l. c., p. 2093). Ma vedi anche il discorso Allievi al Senato, l’11 dicembre (l. c., p. 1922 sgg.). 1216 V’era bensì la questione dei beni ecclesiastici, di cui s’erano venduti, al 31 dicembre 1877, 124.551 lotti per un tota-

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le di 535.297 ettari (G. C. B ERTOZZI, Notizie storiche e statistiche sul riordinamento dell’asse ecclesiastico nel regno d’Italia, in Annali di Statistica, serie 2ª, IV, 1879, p. 200). Ma a prescindere dal quesito, quanti fossero i proprietari «interessati» in tal modo alla difesa del nuovo ordine di cose (per l’agro romano, sarebbero molto pochi, cfr. A. C ARACCIOLO, Le origini della lotta di classe nell’agro romano (1870-1915), in Società, V, 1949, p. 610), sta di fatto che l’esperienza della Rivoluzione francese aveva dimostrato in concreto che in tal materia anche le Restaurazioni non erano poi troppo da temere. 1217 Su questo punto, dell’indiffereliza cioè delle masse per l’ideale politico del Risorgimento – libertà, indipendenza, unità – si veda il suggestivo quadro, pur non potendosi sempre condividere i giudizi particolari, di R. B ACCHELLI, Il Diavolo al Pontelungo, 5ª rist., p. 258 sgg.; Il Mulino del Po, II, pp. 334, 534, III, specialmente pp. 144 sgg., 211, 257 sgg. 1218 Cfr. N. R OSSELLI, Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Torino, 1946, p. 262. 1219 Così il F ERRARIO, a proposito dei contadini dell’alta Lombardia, op. cit., p. 43. 1220 Cit. in A RCARI, Le elaborazioni della dottrina politica nazionale, cit., I, pp. 152-53. 1221 Cfr. le belle pagine dell’O MODEO, La cultura francese nell’età della Restaurazione, cit., p. 74 sgg. 1222 Cfr. A. S AITTA, Sull’opera di Andrea Luigi Mazzini «De l’Italie dans ses rapports avec la liberté et la civilisation moderne», in Annali della R. Scuola Normate Superiore di Pisa, serie II, X (1941), p. 109; D. C ANTIMORI, Utopisti e riformatori italiani, 1794-1847, Firenze, 1943, p. 177 sgg. 1223 Epistolario, cit., p. 144. E cfr. anche Saggio sulla Rivoluzione, cit., p. 108. Sui caratteri del socialismo del Pisacane, cfr. però, oltre alla prefazione di G. P INTOR al Saggio cit., p. 11, F ALCO, Note e documenti intorno a Carlo Pisacane, l. c., p. 292; T AVIANI, Problemi economici nei riformatori sociali del Risorgimento italiano, cit., p. 227 sgg. E, naturalmente, il Rosselli appressò cit. 1224 Su questo, si vedano le fini osservazioni del P ETRINI, op. cit., p. 66 sgg., 71 sgg.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1225 N. R OSSELLI, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, 2ª ed., Genova, 1936, pp. 213-14; V. M AZZEI, Il socialismo nazionale di Carlo Pisacane, I, Roma, 1943, pp. 209-210. 1226 Carteggi Ricasoli, III, p. 388. 1227 Cfr. p. es., il discorso Zini al Senato, 9 dicembre 1881, sulla legge elettorale: bisogna evitare che «i molti insipienti vengano a sopraffare i sapienti» (A. P., Senato, p. 1921). E nel discorso Vitelleschi: il sistema delle maggioranze è un progresso, quando s’intenda fra idonei; è un assurdo, applicato semplicemente al numero «è la sovrapposizione dell’insipienza sulla sapienza, del disordine sull’ordine, della ignoranza sulla coltura» (ib., p. 1981; 11 dicembre 1881). 1228 M ACHIAVELLI, Principe, c. XVIII. 1229 G UICCIARDINI, Scritti politici e Ricordi, ed. Palmarocchi, Bari, 1933, p. 315. 1230 Così in uno dei testi classici della polemica ugonotta contro l’assolutismo monarchico, nella seconda metà del Cinquecento (D U P LESSIS M ORNAY, Vindiciae contra tyrannos, ed. Francoforte, 1622, II, pp. 36-37). E cfr. nella Franco-Gallia di F. H OTMAN «imperitae vulgi multitudinis cuius proprium est nihil sapere» (ed. Francoforte, 1665, p. 1-17). 1231 Così Scipione Ammirato, cit., in R. D E M ATTEI, L’idea democratica e contrattualista negli scrittori politici italiani del Seicento, inRivista Storica Italiana, LX, 1948, p. 7, n. 1. 1232 C RISPI, Pensieri e profezie, cit., p. 51. 1233 Questo quadro è schizzato in una lettera di Jacob Burckhardt del 28 aprile 1872 (in K AEGI, Historische Meditationem, cit., I, p. 313). 1234 F. S CHNABEL, Storia religiosa della Germania nell’Ottocento, trad. it., Brescia, 19-14, p. 163 sgg. 1235 Della tendenza agli interessi materiali che è nel secolo presente (1841), di cui la conclusione in appendice a La legislazione sociale, Milano, 1882, p. 53 sgg.; e nel secondo opuscolo Nuove osservazioni intorno alla tendenza agli interessi materiali che è nel secolo presente; lettera al signor A. P. (pure 1841, parz. ib.; p. 64 sgg.); e Della economia pubblica e delle sue attinenze colla morale e col diritto, cit., p. 52. Per i consensi che le idee del Minghetti suscitarono cfr. Lipparini, Minghetti, I, cit., p. 262.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1236 Colloquio con Pio IX, 6 agosto 1875, Ricordi, III, pp. 191-92. 1237 Così tra gli altri il Gobineau al de Tocqueville, il 15 gennaio 1856 (Correspondance entre A. de Tocqueville et A. de Gobineau, cit., p. 274, e cfr. p. 279). 1238 Sella ad Amari, 25 aprile 1882 (Carteggio di M. Amari, II, p. 276 e cfr., la nota 1 del D’Ancona). 1239 Di un’opinione sul carattere del secolo (1845), in Scritti storici, ed. Croce, Bari, 1945, III, p. 343 sgg. Cfr. anche lo scritto del 1846 Una disposizione dominante del nostro tempo: la noia (ib., p. 349 sgg.). 1240 Cfr. C IONE, op. cit., pp. 250-51. 1241 Sulla necessità che lo sviluppo intellettuale proceda di pari passo con lo sviluppo delle forze economiche cfr. l’interessante lettera del Salvagnoli al Ridolfi, nel novembre 1842 (in R. C IAMPINI, Due campagnoli dell’800. Lambruschini e Ridolfi, Firenze, 1947, p. 107). 1242 Nello scritto Erhebung der Geschichte zum Rang einer Wissenschaft, in Historik, ed. Hübner, cit., p. 386 sgg. 1243 La legge di evoluzione nella scienza e nella morale, Venezia, 1876; L’elemento morale nel progresso secondo la dottrina di Buckle, Venezia, 1876. Approva le idee del Luzzatti P. S BARBARO, Sulle condizioni dell’umano Progresso, Macerata, 1877, pp. 10-11, 18 sgg. 1244 Oltre all’opera Dell’economia pubblica ... , cit., cfr. anche La legislazione sociale, cit., soprattutto p. 48. Dei rapporti fra progresso tecnico e progresso morale lo statista bolognese dissertò anche con la regina Margherita (Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, cit., pp. 42-43 e 53). Su strada analoga si mise anche il Toniolo: cfr. la prolusione a Padova, il 5 dicembre 1873, Dell’elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche, Padova, 1874. 1245 M INGHETTI, La legislazione sociale, cit., p. 44. L’«influenza sana e benefica», cura dei malanni sociali, è auspicata anche dalla Perseveranza (30 maggio 1871, Il problema sociale e morale in Italia). Considerazioni analoghe, sull’esempio che devono dare i proprietari, anche in F ERRARIO, op. cit., pp. 73 sgg., 116 sgg. Ed erano motivi già affiorati nel Cavour (F ALCO, l. c., pp. 379-80).

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Viceversa, deprecazione dei cattivi esempi offerti da molti dei ricchi, i quali si adoprano – senza volerne – a promuovere l’avvento dell’Internazionale «più effcacemente assai del Comitato di Londra e dei demagoghi di tutte le capitali di Europa» (B OCCARDO, op. cit., pp. 193-94). Anche qui, per il valore dell’esempio, si potrebbe risalire su su nel tempo: basti richiamare la lett. del Voltaire, 13 aprile 1766 (Oeuvres complètes, ed. cit., XL, p. 392): il basso popolo deve essere ammaestrato dall’esempio dei principali cittadini. 1246 Si veda l’interessantissima lettera del Lambruschini al Ricasoli, 10 giugno 1847, in cui il solitario di San Cerbone esorta il barone a scrivere un articolo su quel tema per il primo numero della Patria (Carteggi Ricasoli, II, p. 230). 1247 Questo «tardivo assolutismo fuminato dei privati gentiluomini di campagna» è stato acutamente visto da E. S ESTAN, Gino Capponi storico, in Nuova Rivista Storica, XXVII (1945), p. 9 dell’estratto. 1248 Nell’art. del 26 marzo 1871 ne La Perseveranza (Parigi e l’Europa). 1249 Cfr. K. R. G REENFIELD, Economia e liberalismo nel Risorgimento, trad. ital., Bari, 1940, passim. 1250 C AVOUR, Lettere, I, pp. 337, 350, 355, 360; V. p. 86; Diario, p. 234 sgg. 1251 Carteggi Ricasoli, IV, pp. 155, 160, 163, 167-68, 178. Per l’agricoltura industrializzata, fondata sulla scienza e sui capitali, nel Ridolfi, cfr. La Mezzadria negli scritti dei Georgofili (18331872), Firenze, 1934, p. 156 sgg.; nel de Cambray-Digny, ib., p. 217. 1252 Che pure non manca, talora, nel Cavour (F ALCO, l. c., pp. 379-80). 1253 Lettere ... , V, pp. 46, 61-62, 66. Cfr. anche Cavour agricoltore. Lettere ... a G. Corio, cit., p. 13. 1254 Lettere, I, p. 305; V, p. 50: «Mon but est de retirer la plus grande somme possible de la terre ... je tâche de me procurer le plus grand nombre d’écus». 1255 Diario, p. 122. 1256 Diario, p. 155; Lettere, V, pp. 62 e 79.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1257 Cfr. fini osservazioni in L. A MBROSINI, Cavour agricoltore, in Cronache del Risorgimento, Milano-Roma, 1931, pp. 125-126 e 130-31; anche, Z ANICHELLI, Cavour, cit., p. 47; P. M ATTER, Cavour et l’unité italienne, I, Parigi, 1922, p. 188. Nella famosa lettera del 18 ottobre 1840, il padre gli scrisse: «ne parle pas constamment de la campagne pour rester en ville». R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., II, p. 218. 1258 Cfr. Nouvelles lettres inédites, publl. da A. Bert, Torino, 1889, p. 15 sgg., 24-25, 80 sgg. E sulla mentalità dell’uomo d’affari nel Cavour, cfr. fini osservazioni in V ALSECCHI, L’alleanza di Crimea, cit., pp. 133-34. 1259 Nel discorso al banchetto dei commercianti in Torino, il 29 dicembre 1847 (il testo ora in G. F ALCO, Lo Statuto Albertino e la sua preparazione, Roma, s. a. ma 1946, pp. 72-74). Certamente, non è solo il Cavour a combattere il «pregiudizio» fondiario, né solo il Cattaneo: cfr. L. B ULFERETTI, Sul progressismo sociale della borghesia nel Risorgimento-Antonio Scialoja, in Miscellanea del centenario (Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, Comitato di Torino), Torino, 1949, p. 10. 1260 Art. ne Il Risorgimento del 15 dicembre 1847. 1261 Cfr. per questo il mio Lo Stato di Milano nell’impero di Carlo V, I, Roma, 1934, p. 197 sgg.; N. R ODOLICO, Il ritorno alla terra nella storia degli Italiani, in Atti. R. Acc. dei Georgolli di Firenze, 1933, pp. 329-30; G. B ARBIERI, Ideali economici degli Italiani all’inizio dell’età moderna, Milano, 1940, pp. 462 sgg., 471 sgg., 490-91. Tra questa corsa alla proprietà fondiaria nel ’500 e l’investimento fondiario da parte dei mercanti, per appoggiarvi su il sistema creditizio, nei secoli XIII-XIV (bene messo in rilievo da A. S APORI, I mutui dei mercanti fiorentini del Trecento e l’incremento della proprietà fondiaria, in Studi di storia economica medievale, Firenze, 1940, p. 43 sgg.), c’è una sostanziale diversità di scopi, di mentalità, di risultati. 1262 Nella Memoria ora ripubblicata in La Mezzadria negli Scritti dei Georgofili (1833-1872), cit., pp. 35-36 e cfr. anche p. 42. Anche Gino Capponi osserva che «ogni capitale fuori della terra è stimato cosa buona solamente da sprecare, o gelosa da nascondere» (ib., p. 70). 1263 G REENFIELD, op. cit., pp. 208-209.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1264 G REENFIELD, op. cit., p. 203. Ivi, continue e sagaci osservazioni non soltanto sul predominio della attività agraria, ma anche sulla mentalità agraria in Lombardia per tutta la primametà dell’Ottocento. 1265 Cavour: «je suis bien loin de me plaindre du sort qui m’à forcé à sortir de la paisible retraite agricole, oú j’étais renfertné polir me lancer sue la mer orageuse des luttes politiques» (1° gennaio 1849; Lettere, V, p. 186). 1266 Lettere e documenti, X, p. 323. 1267 Sul fondo conservatore, anche in economia, dei Toscani, rimasti fuori dall’idea della rivoluzione economica moderna, cfr. N. Q UILICI, La borghesia italiana, Milano, 1942, p. 242 sgg. Ma per le preoccupazioni di fronte all’industria, anche in Piemonte, cfr. il rapporto del jacquemond e lo studio del Massino Turina (A. F OSSATI, Il pensiero e la politica sociale di Camillo Cavour, Torino, 1932, p. 13 sgg.); e sul senso generale di disagio, attorno al 1830, per la rovina del sistema tradizionale (agrario), R. M ORANDI, Storia della grande industria in Italia, Bari, 1931, pp. 78-79. 1268 Così la battezzò il Salvagnoli (Carteggi Ricasoli, II, p. 216). 1269 La Mezzadria, cit., pp. 62-64. 1270 Così, nel settembre 1871, il Lambruschini (La Mezzadria, cit., pp. 253-54. Cfr. anche pp. 175-76). Su questi problemi, cfr. ora fini osservazioni in E. P ASSERIN, L’anticapitalismo del Sismondi e i «campagnoli» toscani del Risorgimento, in Belfagor, IV, 1949, soprattutto p. 402 sgg. 1271 Cfr. anche G REENFIELD, op. cit., pp. 182-83 e 186. 1272 Così il romanticissimo M ICHELET, che vede nella macchina lo strumento di sterminio (La France devant l’Europe, cit., p. 43). 1273 Cfr. R. C IAMPINI, La «Palinodia» di Leopardi e il «sistema» di Gino Capponi, in Nuova Antologia, giugno 1948, p. 136 sgg. e soprattutto p. 142. 1274 Pensieri sull’educazione, in Scritti editi e inediti, cit., I, p. 304.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1275 Per il vecchio Capponi, nel novembre del 1873, la stessa politica era ormai «nella meccanica» Lettere, cit., IV, p. 326 e cfr. anche 311: «uomo tutto meccanico» il Bismarck. 1276 G REENFIELD, op. cit., p. 292. 1277 S. Betti alla contessa Pepoli Serpieri, 24 settembre 1841 (in L IPPARINI, Minghetti, cit., I, p. 262). E cfr. M INGHETTI, Nuove osservazioni ... , l. c., p. 62. 1278 E. R UBIERI, Dottrine economiche e industriali (1856), ora in La Mezzadria, cit., pp. 139 e 144. 1279 Lo diceva il Ridolfi; e lo confermava quell’altro tipico agricoltore ch’era Giuseppe Pasolini, anch’egli pienamente partecipe del modo di vedere dei Toscani (Memorie, II, Torino, 1915, p. 90 sgg., 137 sgg., 141). 1280 L’interessantissima discussione ora nel volume La Mezzadria negli Scritti dei Georgofili, cit., cfr. soprattutto pp. 16, 25 sgg., 33 sgg.,.49, 57, 62, 70-71, 74 sgg., 84. 1281 Nel colloquio con Pio IX, il 6 agosto 1875 (Ricordi, III, p. 192). Delle concezioni del Minghetti sono percepibili assai gli influssi del Rosmini, che pure subordinava l’economia alla morale e combatteva l’utilitarismo (cfr. L. B ULFERETTI, Antonio Rosmini nella Restaurazione, Firenze, 1942, p. 172 sgg. e 179, n. 1). 1282 R UFFINI, La giovinezza del conte di Cavour, cit., I, pp. 81 sgg., 92; M INGHETTI, Ricordi, I p. 57, III, p. 200 sgg. Sul valore morale dell’agricoltura per il Minghetti, cfr. G. M AIOLI, Marco Minghetti, Bologna, 1926, p. 315 sgg. 1283 Della famiglia, III (ed. Pellegrini, Firenze, 1913, pp. 379, 388-89, 392, 394). 1284 Carteggi, III, p. 299. 1285 Cfr. al riguardo l’interessantissima lettera del Capponi al Lambertico, Lettere, IV, pp. 417-18. 1286 Anche nell’Inno a Satana, l’unica nota di modernità, fra i ricordi classici e quelli di Wiclif e Lutero, è quello della ferrovia «bello orribil mostro». 1287 Per questo senso della terra e dell’agricoltura nel Carducci, cfr. C ROCE, Carducci, cit., pp. 50-51. 1288 Lettere, cit., pp. 53 e 167. E cfr. Ricordi, III, p. 79.

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Diario, pp. 238 e 243; R UFFINI, La giovinezza ... , cit., I,

p. 95. 1290 È significativa l’ammirazione del Minghetti per il Capponi, che è una tipica figura di conservatore umanista (Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, cit., pp. 157-58). 1291 Lettere, cit., pp. 53 e 167. E cfr. Ricordi, III, p. 79. 1292 L’on. Lioy alla Camera, il 10 aprile 1881 (A. P., Camera, p. 4922). 1293 A. B ALDINI, Lettere per Robinson, nel Corriere della Sera del 10 agosto 1948. 1294 Tema prediletto dal d’Azeglio anche nelle conversazioni private (M INGHETTI, Ricordi, III, p. 55). 1295 Cfr. p. es. la prolusione letta all’Università di Genova il 22 novembre 1860 da P. G IURIA, Lettere e industrialismo, Genova, 1860, soprattutto pp. 9 sgg., 15-16; e G. B ERIO, Preminenza delle lettere e dell’idealismo sulle scienze positive in ordine alla cultura dell’individuo, all’incremento delle arti e degli studi scientifici, alla potenza ed al decoro della nazione, Oneglia, 1874. 1296 Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, cit., p. 212. Uno degli argomenti per negare che l’Internazionale avesse possibilità di attecchire in Italia, fu, per il Martello, proprio il sentimento del bello, così diffuso in Italia, e legame di unione, di rispetto fra i cittadini (Storia della Internazionale dalla sua origine al congresso dell’Aja, cit., 1873, p. 381). 1297 Cfr. p. es. P. S ELVATICO, Educhiamo il capitale alle industrie, Bergamo, 1871, pp. 21 sgg., 28 sgg. Contro la «anticheria» e per un’istruzione «necessaria alla operosità produttrice» si schiera anche l’on. B. C ASTIGLIA, Dell’istruzione e del libro vivente, Roma, 1874, p. 5 prefaz.; p. 19 sgg. 1298 È affermazione già del B ALBO, Pensieri sulla storia d’Italia, p. 290. 1299 Cfr. il giudizio del Berthelot: «Renan ... avait moins de goîit [que moi] pour la démocratie, pour la Révolution française, et surtout pour celle transformation à la fois rationelle, industrielle et socialiste, dans laquelle est engagée la civilisation moderne. Les anciennes monnières d’envisager la protection des sciences, des lettres et des arts, par un pouvoir supérieure

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et autocratique, l’attiraient davantage: il n’en a jamais fair mistère» (R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 2). E cfr. infatti l’assai significativo articolo La poésie de l’exposition, dove Renan, nel 1855, proclamava «errore» l’esaltar sopra modo l’industria, rimpiange si sia persa la distinzione fra le arti «liberali» e non (a queste ultime appartiene l’industria) ecc. (ora in Oeuvres complètes, II, p. 239 sgg.). È fondamentalmente, lo stesso stato d’animo dei Capponi, Minghetti ecc. 1300 Discorso alla Camera del 5 maggio 1881 (Discorsi Parlamentari, VIII, p. 123). 1301 Carteggi Ricasoli, III, p. 333. Contro l’accezione in cui si vuol intendere ora il popolo, «cioè la parte inferiore e meno educata della nazione», cfr. B ALBO, Della monarchia rappresentativa, cit., pp. 181-82. 1302 Su questo cfr. buone osservazioni in G. B ERTI, Appunti sull’epoca romantica, in Società, II (1946), p. 587 sgg. 1303 Carteggi, III, p. 444. 1304 G. Bardi al Ricasoli, annunziandogli la scoperta della società di comunisti a Ponte al Serchio, presso Pisa, nel novembre 1846 (Carteggi Ricasoli, II, p. 179. Sull’episodio, cfr. G. A NDRIANI Socialismo e comunismo in Toscana tra il 1846 e il 1849, Milano-Roma-Napoli, 1921, p. 4 sgg.). 1305 L AMBRUSCHINI, Ricordi di fatti posteriori atl’8 febbraio 1849, in Scritti politici e di istruzione pubblica, cit., p. 417. 1306 Qual fosse l’opinione dei moderati, e del Minghetti in particolare, sull’assassinio di Pellegrino Rossi è noto: cfr. anche L IPPARINI, Minghetti, cit., I, p. 73 sgg. 1307 Carteggi Ricasoli, III, pp. 339-40; L AMBRUSCHINI, Scritti politici e di istruzione pubblica, cit., p. 419. 1308 Questo modo di vedere è caratteristicamente espresso dal Bonghi ne La Perseveranza: l’8 settembre 1870, contro la proclamazione della repubblica in Francia ad opera di un colpo di mano del popolo fuori delle vie legali; il 20 novembre ’70 contro le impazienze dei Romani per il tardato arrivo del re; il 26 marzo ’71 contro la Comune. 1309 Così D OMENICO C ARUTTI, lo storico di casa Savoia, nell’ode Liberi Voti, Roma, 1878, vv. 33-36.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1310 Cfr. anche la Traccia per un programma dell’opinione nazionale moderata italiana nel 1856 di D IOMEDE P ANTALEO NI , il quale nel 1881 combatte l’estensione del suffragio come eccitamento al disfrenarsi dei due partiti estremi, il rosso e il nero, e ad una tremenda lotta finale fra di essi (in L IPPARINI, op. cit., I, p. 288 sgg.). 1311 M INGHETTI, Ricordi, II, p. 143. 1312 Così chiude il suo discorso al Senato sulla legge elettorale, il 12 dicembre 1881, il Finali (A. P., Senato, p. 2006). 1313 Discorso alla Camera il 5 maggio 1881 (Discorsi Parlamentari, VIII, pp. 116 e 132). Degli effetti «assai temibili» della legge elettorale il Minghetti parla anche ir. una lettera del 1° gennaio 1882 al Visconti Venosta (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1314 Lett. al fratello Giovanni, 7 febbraio 1882 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). 1315 Discorso agli elettori di Cossato il 15 ottobre 1876, cit., p. 26 sgg. 1316 Carteggio di Michele Amari, II, p. 277. Anche l’Amari era contrario alla legge (ib., II, pp. 264-65). Nel 1894, il Guiccioli ripeterà «fu errore fatale allargare il suffragio nel 1882» (F ARINI, Diario, I, p. 615). . Per il Sella e i suoi amici l’estensione del suffragio voleva dire «che padroni di tutto sarebbero le società operaie»; e perciò nessuno ne vuol sapere (al La Marmora, 27 ottobre 1876; Epistolario inedito, cit., p. 76). Che se poi, nel 1881, taluni della Destra si mostrarono assai più radicali dello stesso ministero Cairoli-Depretis, e proposero il suffragio universale, ciò avvenne in buona parte «per disperazione», secondo diceva il Depretis alla Camera (discorso 5 maggio 1881; Discorsi Parlamentari, VII, p. 675): e cioè per contrappesare almeno, col voto celle masse rurali, il voto degli operai, per evitare che lo Stato cadesse in mano alle plebi cittadine (Sonnino, il 30 marzo; Discorsi Parlamentari, I, p. 36). Persino il Minghetti preferiva «come minore male» il suffragio universale a quello limitato dall’istruzione «perché quello include molti elementi conservativi, che questo esclude» (l. 1° gennaio 1882 al Visconti Venosta, cit.; e cfr. Discorsi Parlamentari, VIII, p. 128). 1317 l. al Minghetti, 5 marzo 1881 (BCB, Carte Minghetti, cast. XXIII, fase. 14).

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M ARTINI, Confessioni e ricordi, cit., pp. 194-95. Minghetti al Luzzatti, 29 agosto 1881 (L UZZATTI, Memorie, II, p. 180); e soprattutto il discorso alla Camera del 12 maggio 1883, con la difesa del trasformismo «legge generale delle cose viventi» (Discorsi Parlamentari, VIII, pp. 253 rgg., 271 sgg., 276-77). 1320 Il Visconti Venosta, p. es., era «un po’ restio a correre per la via ch’egli [Minghetti] apre. Se l’opposizione che abbiamo fatto in questi sei anni, è stata una cosa seria è perché aveva le sue ragioni morali. Sinché non abbiamo delle guarentigie che attenuino queste ragioni credo che dobbiamo restare un’opposizione, non intransigente, non faziosa, ma un’opposizione» (Al fratello, 17 ottobre 1882; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1321 Lo disse il Minghetti al D E L AVELEY, Nouvelles lettres d’Italie, cit., pp. 96-97. 1322 Il Sella non era mai stato un ortodosso del dottrinarismo costituzionale, fermo allo schema dei due partiti contrapposti: il suo discorso alla Camera del 19 maggio 1871, in cui, rispondendo al La Marmora desideroso di sapere se il ministero Lanza fosse di Destra o di Sinistra, affermava che il ministero era «indipendente dai partiti», scandalizzò, imbrogliardo «terribilmente le idee di tutti i dottori della scolastica costituzionale» (G. G UERZONI, Partiti vecchi e nuovi nel Parlamento italiano. Lettera ad Antonio Mordini, Firenze, 1872, p. 68). Cfr. R. D E M ATTEI, Dal «trasformismo» al socialismo, Firenze, 1940. 1323 Quella volta, invece il Visconti Venosta era stato favorevole (ovviamente, dato che il perno della combinazione era Sella, cioè uno della Destra); e ne scrisse al fratello Giovanni, il 4 luglio 1879: «Vi era in realtà un’accordo se non completo, abbastanza inoltrato, fra Sella e Nicotera per fare insieme un Ministero. Ma appunto l’ultimo giorno ch’io fui a Roma la combinazione era caduta perché Sella voleva poter dire che aveva fatta la cosa col consenso de’ suoi amici politici e incontrò la più decisa opposizione di Lanza e di Spaventa. Sella stesso me ne parlò a lungo. La cosa in sé desta tutte quelle repugnanze che tu comprendi. Io ero però dell’avviso che non si dovesse prendersi la responsabilità di sconsigliare Sella e di trattenerlo perché, le elezioni essendo inevitabili, era questo forse il solo mezzo possibile ... per tirare a galla il nostro partito, coll’aiuto sicuro e necessario del governo, soprattutto nel mezzogior1318

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no». (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA; e cfr. Visconti a Minghetti, 8 luglio 1879, BCB, Carte Minghetti, cart. XXI, fasc. 129.) E l’8 aprile 1881: «Quanto a Sella, egli sarebbe disposto a fare un Ministero andando in là verso i Centri e la Sinistra moderata. Ieri mi parlò per sapere come la pensavo. Io l’ho molto incoraggiato, perché non vedo altro modo per trattenerci sulla china, per cominciare un riavvicinamento alle idee moderate, e per tenerci a galla nelle elezioni future» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Cfr. anche G UICCIOLI, Sella, cit., II, pp. 265-266, 338 sgg. 1324 C RISPI, Pensieri e profezie, p. 50. 1325 De la liberté des anciens comparée à celle des modernes (1819), in Cours de politique constitutionelle, cit., II, p. 539 sgg. Per gli antichi, l’individuo, sovrano in quanto membro dell’assemblea pubblica, era in privato uno schiavo presso i moderni, la sovranità dell’individuo è limitata, appuente, ma il singolo come privato è libero, indipendente in modo assoluto. 1326 Il Sella, scriveva Il Diritto, è l’uomo «che in un eccesso di smania autoritaria ha fatto sorgere in Italia una scuola di adoratori dello Stato, che accennano a concentrare nello Stato ogni forza morale, politica ed economica della nazione ... (Il capo dell’opposizione, 7 maggio 1876. 1327 Il progetto fu infatti vivacemente combattuto da Francesco Ferrara e dal Majorana Calatabiano: cfr. la discussione alla Camera, il 19 e 20 aprile 1875 (A. P., Camera, pp. 2493, 2520 sgg.). 1328 Che fu la tesi sostenuta dall’on. Merzario, alla Camera, il 20 gennaio 1871 (A. P., Camera, p. 763). Anche l’on. Lioy fu contrario (ib., p. 772), e Cairoli dovette difendere il progetto dichiarando che «l’interesse sociale giustifica un vincolo alla libertà il quale emancipa la coscienza» (ib, p. 779). Contrario all’obbligo era pure F RANCESCO F ERRARA, Il Germanismo economico in Italia, in Nuova Antologia, XXVI, agosto 1874, p. 1012. 1329 Così l’on. Merzario, nel discorso sopra cit., p. 763. 1330 C ONSTANT, l. cit., p. 541. 1331 Cavour agricoltore. Lettere ... , cit., pp. 64-66; G. P RA TO , Fatti e dottrine economiche alla vigilia del 1848. L’Associazione agraria subalpina e Camillo Cavour, Torino, 1919, p. 58

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sgg. All’esempio di Cavour, contro l’obbligatorietà dell’istruzione, si appella il F ERRARA, l. c. 1332 P RATO l. c., p. 181 sgg. 1333 Allo Stato «spetta di mantenere e garantire la sicurezza delle persone e de’ beni, e l’ordine e ’a tranquillità pubblica; di reprimere le offese al diritto e alla libertà; di punire le infrazioni alle leggi di tutela e interesse generale, le frodi, le coalizioni criminose, gli attentati alla libera concorrenza ... E lo Stato è appunto il primo agente, e la prima di tutte le forze economiche della Nazione, in quanto produce la sicurezza, e mantiene la libertà e il diritto» (A. M AGLIANI, L’azione economica dello Stato, in Nuova Antologia, XXVIII, gennaio 1875, pp. 193-94). Tale e quale il pensiero dei redattori della Dichiarazione dei diritti. 1334 Ricasoli a Borgati, 10 febbraio 1875 (Lettere e documenti, X, pp. 338-39). E cfr. allo stesso, 5 marzo 1876: «Dieci errori derivati dall’uso della libertà, non valgono un errore all’ingerenza Governativa attribuibile: che dico? dieci errori dovuti alla libertà riescono a benefizio della Nazione, e un’opera fatta bene dal governo, quando fosse di quelle che i privati possono compiere, si chiude infine con un malefizio» (ib., p. 361). Condizione prima «ad ogni efficace miglioramento dello stato sociale» è, per Luigi Ridolfi, nell’ottobre 1871, il rimuovere le cause delle perturbazioni nelle industrie «restringendo le ingerenze governative» (La Mezzadria, cit., p. 263). 1335 Il sen. Alfieri, al Senato, il 12 dicembre 1881 (A. P., Senato, pp. 2014-15). 1336 Artom a Minghetti, 21 maggio 1884 (BCB, Carte Minghetti, cart. XXIV, fasc. 65). 1337 Il Germanismo economico in Italia, l. c., p. 1011. Per il Ferrara, coloro che propugnano l’accordo della morale e dell’economia sono già dei convertiti al germanesimo e al socialismo della cattedra: di qui la polemica anche contro il Toniolo (ib., p. 1010). Per le discussioni tra scuola classica e scuola positiva o germanica cfr. S. M AJORANA C ALATABIANO, La scuola germanica e la scuola Adamo Smith in economia politica, Catania, 1875; L UZZATTI, Il centenario della pubblicazione dell’opera di A. Smith, Roma, 1876, pp. 13-14 (estr. dagli Atti Acc. Lincei). Anche per il Ricasoli, la scuola economica «che si vorrebbe oggi imporre» è rovinosa per l’avvenire economico, civi-

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le e politico d’Italia (Lettere e documenti, X, p. 362). Su queste discussioni cfr. ora anche B ULFERETTI, Sul progressismo sociale della borghesia nel Risorgimento Antonio Scialoja, cit., pp. 31-32. 1338 M INGHETTI, La legislazione sociale, cit., pp. 11 sgg., 30 sgg. Cfr. anche Ricordi, III, p. 207 sgg., dove il Minghetti afferma di serbare quella posizione mediana, già assunta nell’opera Dell’economia pubblica, fra la scuola economica ortodossa e il socialismo «comunque si ammanti del nome di cattedratico o di popolare». Ivi, p. 208, contro la legislazione sociale alla Bismarck. Concetti analoghi sull’azione indiretta e cooperatrice dello Stato nel M AGLIANI, l. c. 1339 Sul Piemonte della carità cfr. N. R ODOLICO, Carlo Alberto negli anni di regno 1831-1843, Firenze, 1936, p. 345 sgg. Su tale via sono le proposte come quella del conte Achille Laderchi, a Bologna, per un’associazione fra le persone abbienti che si occupino dei miglioramenti economici e morali del popolo (La lega del bene, Bologna, 1874). Anche in Francia, tradizionalismo della carità fin dopo il ’70 (H. R OLLET, L’action sociale des catholiques en France, 1871-1901, Parigi, 1947, p. 8), nonostante gli sforzi delle prime correnti di «cattolicesimo sociale» (J. B. D UROSELLE, Les débuts du catholicisme social en Franco (1822-1870), Parigi, 1951, soprattutto p. 699 sgg., ma anche, per il tradizionalismo della carità nell’alto clero, p. 689 sgg.). 1340 Le regole per ben servire gli inermi, par. XXVI (in M. V ANTI, S. Giacomo degli incurabili di Roma nel Cinquecento, Roma, 1938, p. 132.). 1341 C ORNIANI, Il principio d’autorità in Italia ed il partito conservatore, cit., p. 216. 1342 Terza Appendice alle Speranze d’Italia, ed. cit., pp. 320321. Rapidissimi appunti per una storia di tal genere in Pensieri ed esempi, Firenze, 1856, pp. 337-40. 1343 Pensieri ed esempi, cit., p. 340. E cfr. Speranze d’Italia, c. XI (ed. cit., p. 189): «Come operosità pubblica, la carità è scioglimento ultimo forse di quei grandi problemi economici ... di una quasi legge agraria del mondo cristiano». 1344 V IGNOLI, Delle condizioni morali e civili d’Italia, cit., pp. 98 e 104 sgg. Il Vignoli, democratico, è per la lotta contro il Papato, sempre affidandosi alla scuola (p. 80 sgg.).

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D E C ESARE, Le classi operaie in Italia, cit., p. 2 sgg. Cfr. p. es., la circolare Lanza ai prefetti, nel 1870, Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 362. 1347 Cfr. A RCH . STORICO DEL C ORPO DI S TATO M AG GIORE , Roma, Cart. Confid. del Ministro, cart. 75, fasc. I (1874); alla comp. disciplina il caporal magg. Zirardini Odoardo e il fratello soldato Giovanni, da Ravenna, perché affiliati all’Internazionale, e in corrispondenza con Andrea Costa. Idem, per il soldato Venturelli, pure di Ravenna, ib., ecc. Il 26 aprile 1876 circolare del ministero della Guerra ai comandi generali di Milano e Torino perché vigilino sulla propaganda che il Comitato per la Rivoluzione Sociale, di sede a Locarno, cerca di far nell’esercito (ib., ib., cart. 75); altra, riservata, del 16 dicembre 1876 (ib., ib., cart. 80), sullo stesso argomento, dopo informazioni dei ministeri Interni ed Esteri, sulla base di un rapporto del console a Ginevra; e il 13 settembre 1878 altra circolare, riservata, del ministero ai comandanti di Corpo d’Armata sulla propaganda e la diffusione di manifesti clandestini dell’Internazionale (ib., ib., cart. 81). Su questa propaganda fra la truppa «la quale in parte è già guasta» del partito «repubblicano sociale», cfr. anche la relazione di un informator – e anonimo – al Visconti Venosta, il 27 novembre 1872 (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fase. 4). E si veda L’Osservatore Romano del 14 settembre 1878 (Le soldatesche e l’internazionalismo: «espulso Dio dalle caserme, è naturale che v’entri l’internazionalismo»). Nel 1870, circa 3000 affiliati nell’esercito (molti sottufficiali), A. R OMANO, Storia del movimento socialista in Italia, I, p. 317. 1348 Il ministro della Giustizia, Vigliani, al ministro della Guerra, 23 novembre 1874 (A RCH . STORICO C ORPO S TA TO M AGGIORE , l. c., cart. 75). 1349 Al riguardo, l’energico gen. Pianell comandante del II Corpo d’Esercito (Verona), indirizzò, il 16 aprile 1870, una lettera al ministro della Guerra, per ammonire di non riposare sopra una fatale sicurezza, di non «continuare nella dissimulazione e contentarsi di una sorveglianza che alla fin fine non sappiamo quanto sia efficace», ma studiare un mezzo onde, almeno, espellere dall’Esercito quei sottufficiali che, per forti indizi, si ritenessero rei di tradimento. E già il 27 marzo aveva invitato il generale comandante la divisione di Milano ad attenta vigilanza: è necessario che generali, colonnelli e comandanti in 1345 1346

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genere «non tollerino quella specie di atonia da cui gli ufficiali paiono colpiti e che si mostrino rigidissimi» (A RCH . STORICO C ORPO S TATO M AGGIORE, l. c., cart. 59). Da notare, che il rigetto del ricorso in grazia del Barsanti – condannato a morte – fu votato dal Consiglio dei ministri, il 18 agosto ’70, solo a maggioranza e a scrutinio segreto «tenute presenti le informazioni ricevute sulle conseguenze per la disciplina dell’esercito» (Verbali del Consiglio dei Ministri, II, p. 67, ACR; pubbl. in Le carte di Giovanni Lanza, cit, VI, p. 403). 1350 Così nel 1874 il ministero degli Interni segnala a più riprese l’ingresso nell’esercito di internazionalisti, oltre che di republicani: 12 febbraio, Errico Malatesta; 6 e 15 marzo, 17 e 18 aprile, altri (A RCH . STORICO C ORPO S TATO M AGGIORE, l. c., cart. 75). 1351 N. R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, cit., p. 229 sgg. 1352 La Perseveranza, 26, 28, 31 luglio, 6 e 8 agosto. In realtà, com’è noto, si trattava di moti repubblicani, da cui il Mazzini trasse le sue ultime illusioni di un’insurrezione generale (cfr. A. C ODIGNOLA, Mazzini, Torino, 1946, p. 359 sgg.). 1353 R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, cit., p. 268 sgg.; N ET TLAU, op. cit., p. 165 sgg.; R. M ICHELS , Storia critica del movimento socialista italiano, Firenze, 1926, p. 26 sgg. e 63 sgg. 1354 r. Nigra, gel 16 maggio 1871, n. 1539. Su questo processo, conclusosi l’8 luglio, v. E. V ILLETARD, Histoire de l’Internationale, Parigi, 1872, pp. 228 sgg., 311 sgg. 1355 Così il 10 agosto 1870 il ministero della Guerra indirizzò ai comandanti di Divisione una circolare riservatissima sullo «Scompartimento del territorio continentale del Regno per servizio militare di ordine pubblico», che prevedeva disordini «per opera dei partiti avversi all’attuale stato politico d’Italia» (A RCH . STORICO C ORPO S TATO M AGGIORE, Cart. Conf. del Ministro, cart. 62, prat. 36). Di fatto, a Milano il gen. Ricotti temeva disordini repubblicani come contraccolpo di gravi torbidi in Francia, pur ritenendo di poter fronteggiare la situazione (ib., ib., cart. 69, prat. 6). 1356 Le carte di G. Lanza, cit., V, pp. 207-208 (l. p. prefetto di Bologna, 19 luglio ’70). E si veda la lavata di capo del Lanza. Il 12 agosto, al prefetto di Genova che gli aveva chiesto «con qual titolo e con qual mandato» arrestare Mazzini (ib., V, p. 233). Per le pratiche bismarckiane in Italia – a mezzo Holstein

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– allo scopo di impedire l’alleanza italo-francese, cfr. G. P. G OOCH, Holstein: oracle of the Wilhelmstrasse, in Studies in German History, Londra, 1948, pp. 395-96; C HIALA, op. cit., I, p. 84, n. 1. 1357 La Perseveranza, 8 agosto 1870, e cfr. anche 11 agosto (La Monarchia italiana e l’impero francese). Entrambi del Bonghi. Anche il ministro degli Stati Uniti a Firenze, Marsh, aveva espresso, il 28 agosto, il parere, che se in Francia cadeva l’Impero e si stabiliva la repubblica, ci sarebbero stati grossi pericoli repubblicani in Italia (H. R. M ARRARO, Unpublished American Documents on Italy’s Occupation of Rome, in Journal of Modern History, XIII, 1941, p. 51 sgg.). 1358 Lo stesso Thiers, non sospetto di voler attenuare il pericolo rosso, nella sua deposizione del 24 agosto, in occasione dell’inchiesta, indicò l’ingresso dei Tedeschi a Parigi come una delle cause principali della rivolta. E si vedano infatti le prime dimostrazioni del 26 e 27 febbraio (D REYFUS, Monsienr Thiers contre l’Empire, la guerre, la commune 1869-1871, cit., pp. 286-87). 1359 Renan p. es. notava l’estrema complessità degli avvenimenti: l’Internazionale non spiegava tutto (Correspondance, 1846-1871, p. 355). 1360 C FR . R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, cit., p. 280 sgg. Marx e il Consiglio Generale dell’Internazionale accentuavano naturalmente la rivoluzione proletaria», operaia (K. M ARX -F. E NGELS, Il partito e l’Internazionale, trad. Togliatti, Roma, 1948, pp. 169, 181, 207-280). 1361 Basti vedere la circolare di Jules Favre ai suoi agenti all’estero, il 6 giugno 1871 (Staatsarchiv, XXI, 1871, n. 4453). 1362 r. 21 marzo, n. 1448. 1363 r. Nigra, 22 marzo, s. n. (postilla autogr.). 1364 Così il 31 marzo: «Comitato Centrale o Comune, il potere che dal 18 marzo padroneggia Parigi, figlio primogenito dell’«Internazionale», non nasconde le sue speranze nel rapido e vasto contagio delle idee ch’esso rappresenta, nel prossimo scoppio d’altre rivoluzioni e nello stabilimento di altre repubbliche, e finalmente nella fondazione della Repubblica universale» (r. n. 1467. Meno esclusivo il rapp. 24 marzo n. 1454). E il 16 maggio, dopo aver rammentato «i rapidi progressi fatti ...

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dalla Società [l’Internazionale], la recente sua apparizione sulla scena della politica in azione, le proporzioni formidabili della rivoluzione di cui essa fu ed è l’anima» inviava, per istruzione del governo, una Notice Historique sur l’Association Internationale des Travailleurs, compilata il 6 giugno 1870 per ordine di E. Ollivier e comunicata ad alcuni governi esteri (r. cit. n. 1539). Il cenno storico fu comunicato dal ministero degli Esteri all’Interno, il 1° giugno. 1365 r. 2 aprile 1871, n. 805. 1366 r. 3 maggio 1871, n. 819. Che Parigi fosse diventata «le rendez-vous des perversités du monde entier» disse poi anche Jules Favre, nella circolare del 6 giugno cit. 1367 Cfr. R. M OSCATI, Costantino Nigra anticomunista, nel Risorgimento Liberale, 24 dicembre 1947 1368 r. 16 maggio cit. 1369 r. 22 aprile 1871, n. 815. Come la fantasia spaventata moltiplicasse le cifre, risulta anche dai dati forniti, più tardi, dal M ARTELLO, che faceva ammontare gli aderenti all’Internazionale in Europa, al minimo, ad 1.000.000, mentre un suo amico «internazionale» gli parlava di 2.594.000, e il Times nel giugno del 71 parlava di 2.500.000 (Storia della Internazionale dalla sua origine al congresso dell’Aia, cit., pp. 464-65); o dal F ORNI, già questore di Napoli, che diceva di 1.864.000 affiliati nella sola Europa, più due milioni al di là dell’Equatore (L’Internazionale e lo Stato, Napoli, 1878, pp. 49 sgg.). 1370 B ISMARCK, Ges. Werke, 11, p. 168. 1371 L’Opinione, 3 aprile ’71 (La Francia). 1372 L’Opinione, 30 maggio ’71 (La guerra sociale in Parigi). E cfr. già 13 aprile (La repubblica sociale). 1373 L’Opinione, 26 maggio ’71 (Parigi). 1374 L’Opinione, 26 maggio (art. cit.). 1375 L’Opinione, 30 maggio (art. cit.). 1376 L’Opinione, 25 giugno ’71 (L’Internazionale). 1377 Come la pensassero i moderati risulta anche dalla lettera 13 giugno 1871 del Castelli al Dina «Prima che si faccia la replica del dramma parigino sarò fuori di ogni politica di questo mondo; ma per quei che sono ancora giovani non hanno da metterla nel dimenticatoio» Carteggio Castelli, cit., II, p. 505.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1378 Cfr. anche gli articoli del 2 e 7 giugno (La voce de’ fatti e La donna a Parigi). Gli articoli del 26 marzo e del 2 giugno sono del Bonghi. 1379 Art. Parigi (26 maggio 1871); e cfr. anche L’anarchia francesee noi (31 marzo), Lezioni (18 aprile), I Giacobini (21 maggio). 1380 Nove anni di storia d’Europa, cit., II, pp. 469, 481, 492. 1381 La Riformaé, 24 marzo 1871 (Gli avvenimenti di Parigi). 1382 La Riforma, 10 maggio ’71. 1383 La Riforma, 24 agosto ’71 (Gli Internazionalisti): l’Associazione Internazionale degli operai ha «il peccato fondamentale di essere incompatibile colle esigenze e le necessità logiche del principio di nazionalità». È superfluo il condannarne le teorie sociali «rifrittura di errori giuridici ed economici» Il punto di vista «patriottico», che informa l’atteggiamento della Riforma, riappare, poco più tardi, nel novembre, nella polemica tra Giorgio Pallavicino, arati-internazionalista, e Garibaldi che, com’è ben noto, fu allora di acceso entusiasmo filo-comunardo e filo-intemazionalista (cfr. Su le quistioni del giorno. Alcune lettere di Giorgio Pallavicino, a cura di B. E. Maineri, Milano, 1874, p. 47 sgg.; e cfr. p. 79). È notevole che il Pallavicino, così violento in genere contro gli uomini della Destra, di fronte al pericolo dell’Internazionale uscisse poi in espressioni del tutto simili a quelle degli odiati moderati: «la nuova irruzione di barbari, dalla quale siamo minacciati per le selvagge dottrine della Comune» di cui egli parla al Guerrazzi nel ’73 (ib, p. 96), richiama subito alla mente la «nuova barbarie» anatemizzata da L’Opinione sin dal marzo del ’71. 1384 Il Diritto, 21 marzo 71 (Anarchia e reazione). 1385 Il Diritto, 30 marzo 71 (La Francia). 1386 Il Diritto, 29 maggio ’71 (Il Diritto di estradizione). 1387 R OSSELLI, Mazzini e Bakounin, cit., p. 283. 1388 Sui motivi che determinarono l’atteggiamento di Mazzini, cfr. R OSSELLI, op. cit., p. 284 sgg. Anche Giuseppe Ferrari condannò, allora, la pazzia del movimento (La disfatta della Francia, cit., specialmente p. 119 sgg.; Carteggio inedito, I, cit., p. 257). E cfr. anche Giuseppe Petroni, direttore della maz-

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ziniana Roma del popolo, a Garibaldi (G. F ONTEROSSI, Garibaldi e l’Internazionale, in La Stirpe, XI [ 1933 ], pp. 10-11). 1389 r. Basso, l° ottobre, n. 25. 1390 Cfr. il rapp. del console generale A. Strambio, 11 marzo 1871, n. 51 (scioperi ecc.). 1391 L’Opinione, 16 marzo ’71 (La lega Internazionale). 1392 Cfr. Part. dell’Opinione qui sopra citato e l’art. dello stesso giornale – in senso però assai più ottimistico – del 13 maggio (L’Internazionale in Ispagna). Questa volta, si constata infatti, con soddisfazione, che in Spagna la setta ha poco successo. 1393 Memoria del console Cerruti. Parecchi particolari: ufficio centrale d’organizzazione, rue des Couronnes 3, Parigi; città designate per l’inizio dell’azione, Nizza e Genova: fra gli Italiani (la legione contava anche Francesi, Polacchi e persone di altre nazionalità) l’avv. Semenza di Milano, Biffi pure di Milano, Miele di Napoli (AE, Rapp. Francia, all. a r. Nigra, 12 marzo 1871, n. 1436). Il problema dei garibaldini in Francia e del loro ritorno in Italia costituì motivo di gravi preoccupazioni, d’ordine interno, per il governo. 1394 G. V ISCONTI V ENOSTA, Ricordi da gioventù, Milano, 1904, pp. 150-51. 1395 Cfr. S ALVEMINI, Mazzini, cit., pp. 202-203, e anche I partiti politici milanesi nel sec. XIX, con lo pseud. di Rerum scriptor, Milano, 1899, pp. 60-62, 102-106. Cfr. anche S. C ANZIO, La reazione e la paura del socialismo nel 1848, in Atti e Memorie del XXVII Congresso Nazionale dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Milano, 1948, p. 157 sgg.; id., Lotta di classe nel 1848 in Lombardia, in Il 1848, quaderni di Rinascita, I, Roma, s. a. [1949] p. 77 sgg.; D. D EMARCO, Le rivoluzioni italiane del 1848, in Società, V (1949), pp. 201 sgg., 218-19. 1396 Così all’amico Minghetti, parlando dei «rossi», cioè dei radicali, del suo collegio di Tirano (1. 31 agosto 1876, BCB, Carte Minghetti, cart. XX, fasc. 18). 1397 La conversazione, di carattere personale e non ufficiale, è riferita dallo Zaluski nel rapporto al Beust del 21 aprile 1871 (S AW, P. A., XI/77, n. 29 B, riserv.). Ne ho pubblicato la traduzione integrale nella rivista Popoli, 15 giugno 1941.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1398 Nel discorso alla Camera del 15 aprile 1851 (Discorsi Parlamentari, ed. Omodeo-Russo, III, pp. 268-69). Cfr. anche Ricordi di M. Castelli, cit., p. 121. 1399 Cfr, O MODEO, La cultura francese nell’età della Restaurazione, cit., p 88. 1400 Cit. in M AZZEI, II socialismo nazionale di Carlo Pisacane, cit., p. 111. E cfr. anche L. D AL P ANE Il socialismo e le questioni sociali nella prima annata della «Civiltà cattolica», in Studi in onore di Gino Luzzatto, Milano, 1950, III, p. 126 sgg. 1401 Per un giuoco di palla nella valle di Fumane, 5 dicembre 1857 (Canti di Aleardo Aleardi, cit., p. 292 ma cfr. n. 3, p. 322. Cfr. C ROCE, La letteratura della nuova Italia, I, 5ª ed., Bari, 1947, p. 85). 1402 Per lo Schwarzenberg, M OSCATI, op. cit., p. 80. 1403 Cfr. in genere A. G ORI, Gli albori del socialismo (17551848), Firenze, 1909, pp. 123, 328 sgg., C. S PELLANZON, Storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, III, Milano, 1936, pp. 389 e 430. E cfr. la protesta del Palmerston, nel novembre 1848, contro l’Austria che fa «del comunismo» ed eccita le classi inferiori contro le superiori, in V ALSECCHI, L’alleanza di Crimea, cit., p. 47. 1404 R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, p. 241, e cfr. Saggi sul Risorgimento e altri scritti, cit., pp. 263 sgg. e 273; M ORANDI, La Sinistra al potere, cit., p. 50. Per il Rosselli, «la prima seminagione del sentimento classista tra le masse» è, in Italia, «di color nero» (Saggi ... , p. 273). Ancora il 25 giugno 1877. Domenico Farini scriveva a Depretis – ammonendolo a non chiuder gli occhi per non vedere – che a Saluggia, il giorno dello Statuto, c’eran state luminarie con scritte a «Pio IX trionfatore» e inni al Papa Re. «A chi rispondeva con viva V. E. i papisti rimandavano V. E. mette il macinato, Pio IX ci salva l’animi (testuale)» (ACR, Carte Depretis, s. I, b. 22, fasc. 69). Roma è capitale d’Italia, ma la miseria cresce e i liberali non trovano altri rimedi che i provvedimenti di polizia contro le richieste della classe operaia; l’Italia una volta era il giardino del mondo, paese invidiato per l’agiatezza del vivere vent’anni di dominio liberale le han fatto conoscere la piaga del pauperismo, l’unico frutto, con la corruzione, della libertà: sono temi su cui ricama la stampa clericale (cfr. L’Osservatore Roman, 28 settembre 1878, Confronto di date; Civiltà cattolica, Del paupe-

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rismo in Italia, s. 10ª vol. IX, 18 gennaio 1879, p. 129 sgg.). Per questa propaganda clericale, di indubbia efficacia, e il mito del «Risorgimento tradito», C ONTI, op. cit., pp. 10, 16 sgg., 133 sgg. 1405 Si veda la figura di don Asdrubale, nella «Commedia soviale» in 5 atti di A. R AVÀ. Gli operai, premiata al concorso per drammi popolari bandito da Alessandro Rossi, il noto laniere di Schio, senatore del Regno (Milano, 1872). 1406 Così, il 28 marzo, L’Unità Cattolica sfrutta l’articolo della Perseveranza del 26 marzo contro la bordaglia, per ammonire che quel che succede ora in Francia, succederà domani in Italia (Oggi in Francia e domani in Italia). 1407 L’Unità Cattolica, 26 maggio (L’incendio di Parigi). 1408 Questo motivo, che riconduce d’altronde all’atmosfera della reazione cattolica fine Settecento e primi Ottocento, e in particolare a Novalis e a de Maistre, è ripreso e svolto anche da papa Leone XIII, il 28 dicembre 1878, nell’enciclica Quod Apostolici Muneris (Le encicliche sociali dei Papi, cit., p. 25) e, nuovamente, nella Diuturnum e nella Immortale Dei (1881 e 1885; ib., pp. 64 e 77). 1409 Sono tutti motivi già toccati nel ’48-49, quando comunisti, socialisti, democratici, massoni, liberali erano stati mischiati in una sola prava entità (M AZZEI, l. c.). Cfr. anche padre C UR CI , Sopra l’Internazionale, nuova forma del vecchio dissidio tra i ricchi ed i poveri, Firenze, 1871, pp. 103-104; G. M ONTALDI NI , Uno sguardo al passato, al aresente e all’avvenire dell’Europa, Torino, 1872, pp. 87 sgg., 124 sgg. 1410 L’Osservatore Romano, 25 maggio (I veri comunisti d’Italia). 1411 L’Osservatore Romano, 1° giugno (Parigi). Concetti simili nella rivista politica settimanale del 28 maggio, 4 giugno, 2 luglio. 1412 L’Osservatore Romano, 28 maggio (Rivista politica settimanale). 1413 L’Osservatore Romano, 31 marzo (Rassegna politica). 1414 L’Osservatore Romano, 23 aprile (Medici ignoranti).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1415 L’Unità Cattolica, 4 maggio 1871 (La repubblica e la guerra sul collo del Regno d’Italia) e 20 maggio (La colonna Vendôme a Parigi e la Basilica di S. Pietro a Roma). 1416 L’Osservatore Romano, 23 aprile, art. cit. 1417 Alla questione, la Civiltà Cattolica dedica tre articoli, che costituiscono la più significativa testimonianza del tentativo dei clericali di volgere a profitto della reazione anti-liberale gli eventi di Parigi: I liberali italiani ed i comunisti francesi; Il liberalismo generatore del socialismo (serie 8ª vol. II, 6 maggio 1871, p. 257 sgg., ib., 3 giugno ’71, p. 524 sgg); La progenie dei comunisti (serie 8ª, vol. III, 1° luglio 1871, p. 16 sgg.). Che il liberalismo sia «padre e maestro di questa mostruosità» (socialismo ecc.) e quindi primo responsabile di ogni male, è tema d’obbligo anche in seguito: cfr., per es., Civiltà Cattolica, serie 10ª, vol. IX, 1° febbraio 1879, p. 336; L’Osservatore Romano, 18 settembre 1878 (Il socialismo). 1418 È contro simili profezie di sciagura che il Minghetti ostentava, nel ’78, il suo ottimismo, i suoi dubbi se davvero «codesto universale diluvio sia per ricoprire la civiltà» (Stato e Chiesa, cit., pp. 227-28). 1419 Civiltà Cattolica (L’Internazionale e la circolare del ministro Favre, serie 8ª, vol. III, p. 284). 1420 Enciclica Quod Apostolici Muneris (Le encicliche..., cit., pp. 24, 30-31). Concetti analoghi nella lettera al card. Nina, del 27 agosto 1878: la violazione delle ragioni più sacrosante della Sede Apostolica «è fatale anche al benessere e alla tranquillità dei popoli, nei quali, al vedere i più antichi e i più sacri diritti impunemente violati nella stessa Persona del Vicario di Cristo, resta profondamente scossa l’idea del dovere e della giustizia, vien meno il rispetto alle leggi, e si giunge a rovesciare le stesse basi della civile convivenza» (Leonis XIII ... Acta, I, Roma, 1881, p. 107; L’Osservatore Romano, 27 settembre 1878). Riprende La Civiltà Cattolica: «... seminando odio contro la Santa Sede, si raccolgon tempeste contro lo Stato». (La libertà del Papa e l’Italia, s. 10ª, vol. X, 19 aprile 1879, p. 139). 1421 Il deputato Palluel nel 1850 combatte, nel Parlamento subalpino, l’abolizione del foro ecclesiastico, perché occorre non perdere l’appoggio del clero di fronte al socialismo. Cfr. S ALVEMINI, Mazzini, cit., p. 203 sgg.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1422 Così lo definisce il ministro di Francia, Fournier (r. Fournier, 26 giugno 1873, n. 142; AEP, C. P., Italie, t. 388, f. 98). 1423 Queste analogie fra i tempi presenti e i tempi di Cesare e Clodio, erano state già poste innanzi da un cattolico come il conte Paolo di Campello, ch’era in rapporti col Menabrea, in un art. I demagoghi nel tempo di Cesare, nella Rivista universale, gennaio e febbraio 1870. Anche ora, il partito di Clodio (cioè i «settari») vuol far prevalere i suoi torbidi elementi (pp. 184-86; 287-89). 1424 A. P., Senato, pp. 825-27. 1425 Cfr. J ACINI, La politica ecclesiastica italiana da Villafranca a Porta Pia, cit., p. 267 sgg. 1426 Cfr. J ACINI, op. cit., p. 478. 1427 A Francesco Borgatti, 31 marzo 1871 (Lettere e Documenti, X, pp. 219-20). 1428 Cfr. anche Bonghi ne La Perseveranza del 12 maggio 1871 (Che sarà della Francia?). In Germania, cfr. Part. del V ON T REITSCHKE, Parteien und Fractionen, in Preuss. Jahrbücher, 27 (1871), pp. 178-79 (crolla il culto della Rivoluzione ecc.). 1429 Nella nota al Ça ira (Poesie, ed. Bologna, 1902, p. 737). 1430 Così alla Camera, l’on. Broglio, il 14 maggio 1872 (A. P., Camera, p. 2115). 1431 Cfr. p. es. l’opuscolo Concorso o astensione? Considerazioni proposte al clero italiano in occasione delle prossime elezioni politiche per C. S. F., Torino, 1874, p. 33 sgg.; C. V ANCIA NO . Come possa formarsi un partito conservatore, Napoli, 1879, pp. 8 sgg., 18 sgg., che propone l’alleanza fra i cattolici e i moderati rispettosi della religione; anche C ORNIANI, op. cit., p. 213. Naturalmente, da parte cattolica risposta, negativa: cfr. la presa di posizione della Civiltà Cattolica (Il disegno d’un partito conservatore in Italia, s. 10ª, vol. IX, 1° febbraio 1879, p. 276 sgg. e anche s., 10ª, X, p. 5 sgg.). 1432 Così Pietro Sbarbaro, ne La Perseveranza del 13 giugno ’71. 1433 Così il padre Tosti, il 2 giugno ’71 (in F. Q UINTAVALLE, La Conciliazione fra l’Italia ed il Papato nelle lettere del p. Luigi Tosti e del sen. Gabrio Casati, Milano, 1907, p. 336).

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C ONTI, op. cit., pp. 220-21. Lettera al Capponi, 9 agosto 1859 (N. T OMMASEO e G. C APPONI, Carteggio inedito dal 1833 al 1814, ed. da I. Del Lungo e P. Prunas, IV, parte 2ª, Bologna, 1932, p. 165). 1436 Crispi, nella discussione sull’art. 7 della legge delle Guarentigie, il 3 febbraio ’71 (Discorsi Parlamentari, II, p. 110. Simili preoccupazioni ritornano nel Crispi anche altre volte, Pensieri e profezie, p. 103). 1437 M. Amari a T. Massarani, nel 1878 (Carteggio, cit. II, p. 240). L’Amari, parlamentarmente uomo della Destra, temeva la «fortissima tentazione» dei moderati di «chiamare in aiuto questa parte sì pericolosa» (i clericali, p 228). Identiche preoccupazioni in Renan (ib., II, p. 239 e R ENAN, Correspondance, 1872-1892, cit., p. 131). Cfr. anche F ERRARI, La disfatta della Francia, cit., pp. 131-32. 1438 Non sospetto di tenerezza per i comunardi «ces misérables», Flaubert è tuttavia stomacato da questi borghesi: «Ah! Dieu merci, les Prussiens sont là! est le cris universel des bourgeois. Je mets dans le méme sac messieúrs les ouvriers, et qu’on f ... le tout ensemble dans la rivière» (Correspondance, IV, pp. 55 e cfr. 47 e 49). 1439 Voyage en Italie, cit., I, p. 385. 1440 Discorsi Parlamentari, I, p. 33. 1441 L’Osservatore Romano, 27 settembre 1878 (Povera Francia!). 1442 Civiltà Cattolica, s. 10ª vol. IX, 1° marzo 1879, p. 518 (Gli ultimi avvenimenti della Francia). 1443 Dopo i suoi discorsi del dicembre ’67, la Civiltà Cattolica aveva infatti scritto: «anche il Menabrea, altra volta si generoso in rifiutarsi a manomettere i diritti della Chiesa, ora si gloria di voler al tutto spogliare il Papa e compiere l’assassinio iniziato dai Garibaldi!» (cit. in J ACINI, La politica ecclesiastica italiana ... , cit., p. 271, n. 1). 1444 Lo diceva il Cialdini, sin dall’11 settembre ’70: «Io vedo che l’Europa rimane in assoluta balla della Prussia e della Russia, vale a dire di una ineluttabile reazione» (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, p. 481). E il 30 settembre, il Minghetti al Luzzatti: «Non si può dimenticare che il predominio prussiano darà all’Europa un periodo nel quale l’ele1434 1435

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mento conservatore sarà rinforzato. Se sentisse questi Prussiani come parlano delle repubbliche e anche un poco dei governi parlamentari! E pensare che i nostri rossi prussieggiavano!» (L UZZATTI, Memorie, I, p. 309). 1445 La Perseveranza, 13 novembre e 12 dicembre 1870 (L’Europa e la guerra; Due principati nuovi). Entrambi gli art. sono del Bonghi, acuto osservatore. 1446 l. p. al Cadorna, a Londra, 5 giugno 1871 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Sin dall’inizio della Comune, il Visconti Venosta era inquieto per un «terrore bianco» in Francia, con inevitabili conseguenze internazionali (R OTHAN, L’Allemagne et l’Italie, cit., II, p. 373). Il timore di una reazione clericale fu vivo, per es., anche in Ungheria: cfr. un interessante rapporto del console generale a Budapest, Luigi Salvini, il 29 maggio 1871, n. 23. 1447 Lett. al La Marmora del 27 luglio 1852 Lettere, I, p. 524). E cfr. O MODEO, L’opera politica del conte di Cavour, cit., I, pp. 89 sgg., 127 sgg. 1448 Carteggio di M. Castelli, II, p. 518. Anche in Francia i liberali, pur aborrendo dalla Comune, non volevano fare il giunco dei reazionari, né lasciar toccare la libertà: cfr. il Journal des Débats, 18 giugno, ’71. 1449 L’Opinione, 1° giugno ’71 (Le progenie dei comunisti). 1450 L’Opinione, 9 giugno ’71 (La festa nazionale). 1451 Il Diritto, 9 aprile ’71 (Ipotesi). 1452 II Diritto, 2 luglio ’71 (L’Internazionale e gli Ultramontani). 1453 L’Opinione, 24 settembre ’71 (Un dilemma). 1454 Anche il M ARTELLO accusava l’alto clero cattolico di essere alleato dell’Internazionale, per il momento (op. cit., p. 440 sgg.). 1455 Nel febbraio 1872 il Visconti Venosta riceve dal ministro a Lisbona, Oldoini, notizia che in una conversazione intima Pio IX ha di recente detto al ministro portoghese presso la Santa Sede: «nous sommes dans des temps impossibles. Cet état de choses doit terminer d’une manière ou de l’autre. Ce sera l’«Internationale» qui arrivera la première pour tout détruire. Il y aura ensuite grande réaction qui aura beaucoup de difficul-

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té, mais reconstituera société et retablira religion. Ministre des affaires étrangères et comte Thomar [ministro portoghese presso la S. Sede] voyent dans ces paroles tout le programme présent et avenir de la politi. que du Vatican et l’alliance du parti qui l’inspire avec l’«Internationale»» (r. 5 febbraio ’72, n. 165, annesso. Si tengano presenti i rapporti di parentela tra la dinastia sabauda e la dinastia portoghese, per cui quest’ultima cercava di aiutare la prima relativamente alla Santa Sede. Di fatto l’Oldoini aveva avuto dal governo l’incarico di «fare del Portogallo ... l’intermediario tra noi e la Santa Sede»; appunti di diario Oldoini «Mio ritorno in Portogallo», AE, Carte Oldoini, cart. 6, fasc. IX). I timori di Pio IX sono da lui stesso confermati al ministro d’Olanda presso la S. Sede, du Chastel, nell’udienza di congedo di questi, il 4 maggio 1872: «Le Saint Père s’étendit alors longuement sur la situation actuelle de l’Europe, sur les principes dangereux qui y prédominent et qui doivent nécessairement conduire la société à sa perte si la Providence ne vient en aide» (r. du Chastel, 5 maggio 1872; MRR, Arch. della Legazione dei Paesi Bassi, gentilmente comunicatomi dal prof. A. M. Ghisalberti). 1456 Un esempio caratteristico si ebbe nel ’74, col tripudio dei circoli intransigenti cattolici per il notevole successo dell’opposizione nelle elezioni politiche del 9 e 15 novembre: sconfitta che parve preludio ad un più deciso scivolare a sinistra, cioè, nelle speranze di quei circoli, alla rivoluzione e, attraverso a questa, alla vagheggiata restaurazione papale. Più di buon senso, Pio IX era lungi dal credere che il trionfo del partito radicale potesse giovare agli interessi della Chiesa. Cfr. l. p. Wimpffen ad Andrássy, 28 novembre 1874, S AW, P. A., XI/82, da me pubblicata, trad., nella rivista Popoli, 15 aprile 1941, p. 27. Certo in quelle elezioni i clericali spalleggiarono la Sinistra, così come nelle elezioni amministrative del ’77 si unirono talora ai repubblicani e perfino ai socialisti contro i liberali (A MARI, Carteggio, II, p. 234). Già nel ’61, d’altronde, secondo Diomede Pantaieoni, il card. Antonelli aveva invitato vescovi e cattolici a favorir nelle elezioni i repubblicani, in modo da aver, fra qualche mese, la repubblica in Italia (l. al Cavour, 7 gennaio 1861, La questione romana. Carteggio Cavour, I, p. 179). 1457 Questo dice il ministro d’Austria, Wimpffen, al suo collega di Francia, Fournier, poco prima dell’abdicazione di re Amedeo in Spagna (r. Fournier, 11 febbraio 1873, n. 97; AEP, C.

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P., Italie, t. 387, ff. 107-107 v.). Per conto suo, il Fournier, in occasione del comizio al Colosseo, nel novembre 1872, aveva già riferito le voci contro il clero, accusato «non sans motif, parait-il» di servirsi dell’Internazionale per disorganizzare la società (r. Fournier, 20 novembre 1872, n. 68; ib. ib., t. 386, f. 145). 1458 r. inc. d’affari Palomba, 30 novembre 1872, n. 12 (S AW, P. A., XI/229). Il Palomba esclude naturalmente che le alte gerarchie ecclesiastiche e i clericali intelligenti possano prestarsi ad intrighi del genere: essi hanno un vero orrore per qualsiasi soluzione rivoluzionaria e sanguinosa, anche se dovesse convertirsi poi a tutto favore della loro causa. Il card. Antonelli era persuaso, però, che le cose sarebbero sboccate nella rivoluzione. Pio IX, convinto che l’Italia non sarebbe rimasta a lungo a Roma, pensava invece che questa sarebbe stata l’opera della Provvidenza e sperava che Roma sarebbe stata sempre esente da ogni scena sanguinosa. Soltanto, talora, in occasione di discorsi improvvisati, Pio IX diceva cose che, malevolenza aiutando, potevano prestarsi ad un’interpretazione analoga alle aspirazioni degli ultraclericali (quest’osservazione del Palomba può essere bene commentata col r. Oldoini sopra cit.). 1459 Il Tommaseo infatti sin dal ’70 protestava contro la tattica astensionistica nelle elezioni. Che si spera? «Che il disordine cresca, s’accumulino le rovine, venga la giustizia di Dio a far la loro vendetta». Ci si appella a S. Michele. Speranze disperate, senza fede né carità (Roma e l’Italia nel 1850 e nel 1870 e le nuove elezioni. Presagi di N. T. avverati, e perché più non si avverino, cit., p. 8). Il Wimpffen, nella cit. l. p. all’Andrássy del 28 novembre 1874, parlando dei clericali che nel Mezzogiorno avevano votato per la Sinistra, aggiungeva che, così agendo, i clericali si uniformavano ad istruzioni non derivanti dal Pontefice, ma da un partito che attorniava il Pontefice «et qui aujourd’hui plus que jamais suit la maxime de chercher le salut dans l’excès du mal». 1460 lett. Wimpffen sopra cit. E cfr. la richiesta solo di un petit coin de terre, rifiutando i suoi antichi domini, nel colloquio col d’Harcourt, l’aprile 1871 (Archives diplomatiques, 1874, II, p. 224; il commento di J. Favre, ib., p. 227).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1461 Così la cattolica Unione di Bologna del 3 gennaio 1879, cit. da G. Z OCCHI, Alle urne politiche si va? o non si va?, Bologna, 1879, p. 49. 1462 A. B ASCHIROTTO, La vita politica dei cattolici in Italia, Padova, 1879, p. 15. 1463 V ON S YBEL, Klerikale Politik im 19. Jahrhundert, Kleine Historische Schriften, III, Stoccarda, 1880, p. 454, e cfr. pp. 377, 448 sgg. 1464 L. F RIEDLEB, Die rothe und die schwarze Internationale oder Verhàltniss der socialdemokratischen Arbeiterbewegung zur Religion, Monaco, 1874, polemizza contro le accuse al clero di lavorare per la rivoluzione e il socialismo. Cfr. E. N AUJOKS, Die katholische Arbeiterbewegung und der Sozialismus in den ersten Jahren des Bismarckschen Reiches, diss. Giessen (Neuen Deutschen Forschungen, 228, Berlino, 1939, pp. 14 sgg.). 1465 Mons. P. E. T IBONI, Il Comunismo e il Vangelo, Brescia, 1872 (discorso letto all’ateneo di Brescia il 7 gennaio 1872). 1466 Ges. Werke, 6 c, pp. 9, 16, 22 e soprattutto 32; 11, pp. 228, 241-42 (discorso alla Camera dei Signori, 24 aprile 1873: lo Stato minacciato da due partiti, entrambi internazionali contro la nazione: è lo stesso motivo enunciato pure dal Sella nel discorso di Biolio del 18 ottobre 1874, contro l’internazionale rossa e l’internazionale nera, Discorsi Parlamentari. V, p. 880). E cfr. anche 14/11, p. 894; N AUJOKS, op. cit., p. 20 sgg. 1467 Cfr. G. H OOG, Histoire du catholicisme sociale en France 1871-1931, n. ed., Parigi, 1946, pp. 24-25. 1468 Cfr. A. S CHIAVI, La formazione del pensiero politico di Andrea Costa, in Nuova Antologia, maggio 1948, pp. 12-13. 1469 Fa eccezione La Perseveranza, per cui il pericolo c’è, e occorre premunirsene. Non giova dire che mancano i grossi centri operai: se l’Italia deve progredire, si formeranno. E poi, in molte provincie d’Italia le classi agricole sono assai più piene di rancore contro i proprietari di quanto non siano in Francia, dove costituiscono invece una gran forza di conservazione (30 maggio ’71, Il problema sociale e morale in Italia). 1470 La progenie dei comunisti. Si noti che l’affermazione sulla scarsa pericolosità dell’Internazionale per l’Italia vien fuori in questo articolo che è polemico contro i clericali e i reazionari. 1471 Il «terzo stato» in Italia.

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L’Opinione, 13 giugno ’71 (La circolare del signor Favre). L’Opinione, 31 ottobre ’71 (L’Internazionale; Dina): contro la tendenza delle Cortes di Madrid, per leggi speciali contro la setta. In Italia l’Internazionale ha avuto minor fortuna che altrove; e «in alcune grida troppo clamorose sospettiamo un interesse di reazione che ci menerebbe troppo lontano». Quando poi il governo spagnolo diramò la sua circolare del 9 febbraio 1872, per promuovere una difesa comune dei vari governi europei contro un nemico comune. Il Diritto prese nettamente posizione contraria: «l’idea di formare una lega di difesa contro l’Internazionale, ci pare una di quelle utopie appena paragonabile a quell’altra utopia della Lega della pace che ha capo a Ginevra» (La Lega dei governi contro l’Internazionale, 26 febbraio 1872). D’accordo, L’Opinione del 17 marzo ’72 disapprova ogni idea di lega reazionaria e sconsiglia le «prepotenze legislative» (L’Internazionale). Il 19 aprile altro articolo del Diritto in argomento (L’Internazionale nella Camera dei Comuni), dove riappare il solito ritornello, che in Italiai pericoli derivanti dall’Internazionale finora «sono molto lontani». 1474 L’Opinione, 2 settembre ’72 (Il Congresso dell’Aja). 1475 Il Diritto, 28 ottobre ’71 (L’Internazionale in Italia e la quistione sociale). 1476 Cfr. Il Diritto, 8 agosto ’72 (Padroni ed operai): «una folla di operai abbandona il lavoro e porge all’Italia il primo doloroso esempio di estesi scioperi». 1477 L’Opinione, 12 (Gli operai e le autorità) e 20 agosto 72 (Gli scioperi). Gli scioperi non possono esser gran che pericolosi per l’ordine pubblico, dato che in nessun luogo gli scioperanti hanno assunto contegno ostile verso l’autorità; l’Italia non è terra da scioperanti. 1478 I Governi, l’Internazionale e la Chiesa. Cfr. anche 9 agosto (Gli scioperi); 21 agosto (I Sovrani a Berlino e l’Internazionale) e 22 agosto (Rivista Politica). 1479 II Diritto, 29 luglio 1872 (L’Internazionale e gli scioperi). Ma anche ora l’organo massimo della Sinistra afferma che i primi sintomi della comparsa dell’Internazionale in Italia non devono impaurire nessuno, non devono provocare alcun rigore: «Non bisogna trasformare in settari i pochi ed oscuri aderenti dell’Internazionale, perché la lotta darebbe loro quella coesione e quella vita che naturalmente non hanno. Non leggi nuove e 1472 1473

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più severe si devono invocare: ma dove occorra, si applichino severamente quelle che abbiamo». 1480 Il Diritto del 14 agosto 1872 (Un’ultima parola a proposito dei recenti scioperi) è però nuovamente ottimista: s’è vista la differenza fra i nostri scioperi, presto sopiti, e quelli assai più gravi, che avvengono altrove 1481 L’Opinione, 29 luglio 1872 (l’Internazionale). 1482 Così, Il Petrolio, uscito a Ferrara ai primi del ’74. Sul «sorprendente» estendersi dell’Internazionale dalla seconda metà del ’71, cfr. R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, cit., p. 299 sgg.; l’espressione, del Consiglio Generale, p. 316. 1483 Cfr. infatti L’Opinione, 18 agosto ’73 (L’Internazionale in Ispagna). 1484 La confusione è palese nell’Opinione (La polizia internazionale, 22 agosto ’74) che ripete bensì non essere l’Italia matura per l’Internazionale, mancando la grande industria, ma ammonisce sulla necessità di vigilare, dopo la dolorosa sorpresa. «Il paese si è destato come da un sogno molesto». 1485 Così accade al Bonghi, dal caso di Villa Ruffi e dai disordini di Romagna e di Toscana condotto ad affermare che, in Italia, l’Internazionale «è assai più diffusa che non si credeva» e che «se nelle condizioni economiche della società l’Internazionale trova minor fomite in Italia che altrove, vi trova forse istrumenti più preparati nelle inclinazioni turbolente, nelle combinazioni nascoste di alcune classi» cioè nello spirito di setta, antica e grave abitudine italiana; condotto, dunque, a temere che il campo prossime dei tentativi dell’Internazionale dovesse essere proprio l’Italia, dove «già più d’uno dei figliuoli di essa rumina l’incendio dei monumenti ereditati de’ padri, e il sovvertimento d’ogni relazione sociale più stabile» Rassegna Politica (31 agosto ’74), nella Nuova Antologia, XXVII (1874), pp. 225-26. 1486 L’Opinione, 17 novembre 1872 (Le conferenze di Berlino): «La nostra fiducia è tutta nell’efficacia salutare della libertà ... [L’armonia fra il capitale e il lavoro] non s’impone con un sistema autocratico; soltanto la corrispondenza della legislazione coi progressi economici può affrettarla». 1487 L’Opinione, 21 ottobre ’72 (Il Congresso d’Eisenach).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1488 L’Opinione, 14 settembre ’73 (Il Congresso dell’Internazionale). 1489 C HIALA, Giacomo Dina, cit., III, pp. 389 e 426-27; L UZZATTI, Memorie, cit., I. pp. 392-93. 1490 L’Opinione, 19 maggio 1875 (Un processo politico). Si trattava del processo, svoltosi innanzi la Corte d’Assise di Roma (cfr. qui appresso, pp. 317-18, n. 494). 1491 La proposta è fatta dall’Opinione il 22 agosto ’74 (art. La polizia internazionale già cit.): bisogna che le polizie dei vari paesi stiano fra loro in diuturno rapporto, si comunichino reciprocamente le informazioni e si prestino reciproco aiuto. 1492 Visconti Venosta al Launay, 29 aprile 1871, n. 207. 1493 Visconti Venosta al Launay, 10 luglio 1871, n. 216. Dispaccio analogo, sotto la stessa data, al Migra. 1494 Nel disp. Al Nigra, cit., n. 322. 1495 Da notare che tale preoccupazione era stata, si può dire, suggerita al Visconti Venosta dal Lanza, il quale, il 21 aprile, gli aveva scritto di far eseguire le opportune indagini a Londra per verificare se veramente il «Comitato internazionale repubblicano» di Londra, di cui facevano parte Mare ecc., fosse in «attiva corrispondenza coi capi del partito d’azione in Italia» e fornisse loro i mezzi per l’attuazione dei loro progetti sovversivi (AE, Rapp. Inghilterra, n. 2527). 1496 Nigra, 28 aprile ’71, n. 1519. Si trattava dell’indirizzo ai «Cittadini della Comune di Parigi», inviato il 14 aprile dalla Società Democratica Internazionale di Firenze, oltre che ne Il Dovere a Genova, pubbl, ne L’Ami du Peuple del 27 aprile e nel Journal Officiel del 28 aprile. Per un secondo indirizzo ai «Superstiti della Comune», la Società, che non era affatto una sezione della Internazionale, né un circolo socialista, fu sciolta. Cfr. R OSSELLI, op. cit., pp. 303-305; C ONTI, op. cit., Pp. 100, 116-17, 247-49. 1497 Min. Interno a Esteri, 22 maggio ’71, n. 1938 (AE, Rapp. Francia). Dopo aver constatato, giustamente, che la Società Democratica di Firenze non era una sezione della vera Internazionale, il dispaccio continua: «In questi ultimi anni, e specialmente sul finire del 1868, e sul principio del 1869, venne segnalata a questo Ministro la partenza dall’estero per il Regno di agenti dell’Internazionale incaricati di trovar modo di stabilirla an-

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che in Italia, svolgendo la loro azione nei centri principali come Torino, Milano, Napoli, Palermo, ma dalle investigazioni che nel tempo furono fatte praticare, non si è potuto acquistare la certezza dell’arrivo dei medesimi. Ad ogni modo se vennero, la loro opera deve essere riuscita insufficiente. Né a ciò si limitarono le investigazioni di questo Ministero, che le ha estese anche a tutti gli scioperi di operai verificatisi in questi ultimi anni, non esclusi quelli recentemente avvenuti ad Oggiono (Como) ed a Milano, allo scopo di appurare precisamente se non vi fosse estranea l’azione dell’Internazionale. Però esse investigazioni portarono a stabilire il contrario, ed inoltre che vi fu anche estranea l’opera dei partiti politici, i quali del resto in questi momenti, mostrano ben poche velleità di agitarsi, meno force nelle Romagne, mentre tutto il resto d’Italia è pienamente tranquillo». 1498 Lanza a Visconti Venosta, 2 luglio, n. 2590 (AE, Rapp. Inghilterra). L’indirizzo fu pubblicato a Parigi, dal Paris-Journal e dall’Opinion Nationale; appariva firmato da Maldini, Giovacchini, Léon Dupont. Ne parlò il Bonghi ne La Perseveranza per affermare che non solo i fatti di Parigi non avevano indotto a resipiscenza i membri dell’Internazionale, ma anzi la grandezza della battaglia combattuta aveva infuso in essi il sentimento della propria forza; e per ripetere le sue vedute sulla gravità del pericolo (28 giugno 71, L’impressione de’ fatti). Alla falsità di questo indirizzo (ripr. in V ILLETARD), op. cit., pp. 265-66) si richiama il Visconti Venosta nel disp. cit. al de Launay del 10 luglio. 1499 Rapp. Inghilterra, n. 4623. Ancora a fine maggio del ’72 il Lanza dichiarerà al ministro di Francia, Fournier, di esser perfettamente informato sull’attività dell’Internazionale in Italia, ma di esser pure molto tranquillo sulle sue possibilità attuali di propaganda su larga scala. Riteneva che il numero degli aderenti non superasse, in tutto il Regno, i 3 o 4000. Internazionalisti e mazziniani erano in contrasto; e Garibaldi, che vorrebbe unirli, non ha le qualità organizzative necessarie: «Il n’est guère qu’ un nom, et un drapeau dont le róle a fair son temps en Italie». L’unico pericolo – relativo anche– sarebbe in un avvicinamento fra l’Internazionale e la Massoneria (r. Fournier, 31 maggio 1872, n. 23; AEP, C. P., Italie, t. 385, f. 128 sgg.). Per rendersi conto di un accenno di questo genere,

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si devono ricordare i rapporti fra Bakunin e la Massoneria, nel 64-65 (cfr. N ETTLAU, op. cit., pp. 22-24, 46-41, 58). 1500 16 ottobre 1871, in M ARX -E NGELS, Carteggio da e per I’Italia (1871 1895), a cura di G. Bosio, in Movimento Operaio, II, nn. 3-4, dicembre-gennaio 1940-1950, p. 87. 1501 Cfr. R OSSELLI op. cit., pp. 268-69; N ETTLAU, op. cit., p. 167 sgg. Su analoghi raggruppamenti un po’ in tutto il Mezzogiorno, specie nella Puglia, A. L UCARELLI, Carlo Cafiero, Trani, 1947, p. 19. Tracce evidenti dell’ottimismo ufficiale si hanno ancora nell’opera cit. del Forni (p. 50), che calcola a non più di 2000 gli affiliati all’Internazionale in Italia, di fronte ai quasi 2.000.000 di affiliati in Europa. E si che il Forni era stato per quattro anni questore di Napoli. 1502 Ministero Interni a Esteri, 7 settembre e 2 ottobre 1871 (nn. 3413 e 3762). Il Gambuzzi doveva rappresentare la sezione di Napoli all’adunanza di Londra del 17 settembre (AE, Rapp. Inghilterra: notizie desunte da lett. sequestrata al Cafiero). Sul Meeting effettuatosi «in una taverna situata in Percy Street n. 17» con la partecipazione pure di un italiano, probabilmente il Gambuzzi, r. Maffei, il 25 settembre (n. 248). Sull’attività del Gambuzzi cfr. anche M ARX -E NGELS, Carteggio da e per l’Italia (1871-1895), cit., in Movimento Operaio, I, n. 1, ottobre 1949, p. 8, n. 2, novembre 1949, p. 47 sgg., II, nn. 3-4 dicembre-gennaio 1949-1950, p. 90 sgg. Sul nuovo procedimento contro gli internazionalisti di Napoli nell’agosto 1871, ivi, n. 2, p. 51 e n. 3-4, pp. 92-93; N ETTLAU, op. cit., p. 225 sgg. 1503 Ministero Interni a Esteri, 7 settembre 1871, cit. 1504 «... regna attualmente un insolito movimento ed andirivieni di comunisti tra il continente e questo paese e ... il numero di rivoluzionari italiani in Londra è pure maggiore dell’usato» r. Maffei, 25 settembre, cit. Ma già il 31 agosto (r. n. 239) egli aveva così riferito: «Da più fonti so che i membri dell’Internazionale hanno in questo momento un centro attivissimo e, da un’informazione privata ... mi risulta che i famigerati Felix Pyat e La Cecilia riuscirono recentemente a prendere rifugio in Londra». 1505 La necessità di avere un agente speciale retribuito, essendo «impossibile di ottenere qui il concorso della Polizia in affari di tale natura», è sottolineata infatti dal ministro a Londra,

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Carlo Cadorna, sin dal 5 maggio 1871 (r. n. 215). Si tratta della richiesta Lanza 21 aprile: presunti rapporti fra capi dell’Internazionale a Londra e capi del partito d’azione in Italia. Dopo altre richieste del ministero dell’Interno, Cadorna ripete esser necessario disporre di un agente privato (r. 10 luglio n. 225). Nuovo scambio di note fra il ministero degli Esteri e quello dell’Interno (d. di quest’ultimo, 5 agosto); nuovo r. Maffei, del 31 agosto (n. 239), in cui si ritorna sul fatto che le autorità inglesi sorvegliano sì le mene dell’Internazionale «ma, secondo gli usi e i princìpi della costituzione britannica, i risultati delle loro investigazioni sono tenuti gelosamente segreti»; e il 2 ottobre (e nuovamente il 18 novembre) il Ministero dell’Interno consente a che si stipendi per qualche mese un agente, agli ordini immediati della legazione di Londra. Il primo rapporto dell’agente venne trasmesso dal Cadorna a Roma il 22 gennaio 1872 (n. 266). Ma i risultati non furono, a detta del Cadorna, soddisfacenti, e l’agente chiese invece – ottenendola– maggiore rimunerazione (r. Cadorna, 29 luglio, n. 322). 1506 Il suggerimento è, sempre, del Cadorna (r. 13 novembre 1872, n. 365); se si vuol essere informati di ciò che fa qui l’Internazionale e delle sue relazioni con l’Italia, occorre organizzare un servizio di polizia, in modo che una persona pratica diriga e possa far eseguire le ricerche da dipendenti. Una simile organizzazione importerebbe una spesa annua di 240 sterline, cioè di 6000 lire. Non risulta che la proposta si sia poi concretata. 1507 Il 21 marzo 1872 il Consiglio dei ministri delibera «di annullare le deliberazioni dei Municipi portanti dimostrazioni a favore di Mazzini, sia coll’erezione di monumenti, che coll’intitolazioni dal suo nome di piazze e strade, siccome eccedenti il campo amministrativo ed afferenti quello della politica». Meno di un anno dopo, il 26 gennaio 1873, lo stesso Consiglio dei ministri delibera «non doversi considerare atto politico la sottoscrizione i dei Municipi pel monumento a Napoleone III e non essere quindi il caso di vietarle» (ACR, Verbali delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, II, pp. 112 e 132; Le carte di G. Lanza, cit., VIII, pp. 667 e 681). 1508 Così nel dispaccio, già cit., del 21 aprile 1871 al min. Esteri. 1509 Lanza dichiarò al Choiseul, ministro di Francia a Firenze, esser fuori dubbio che Garibaldi e i suoi due figli erano affiliati all’Internazionale (r. Choiseul, 5 giugno ’71, n. 104; AEP, C.

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P., Italie, t. 382, f. 111). Sull’atteggiamento di Garibaldi di fronte all’Internazionale, R OSSELLI, Mazzini e Bakounine, cit., passim, soprattutto p. 205 sgg., 317 sgg., 386 sgg.; N ETTLAU, op. cit., passim, soprattutto p. 214 sgg.; F ONTEROSSI, l. c., pp. 9 sgg., 65 sgg. Sui rapporti fra Man, ed Engels e Ricciotti Garibaldi – che si reca a far vispa al Marx a Londra – cfr. M ARX -E NGELS, Carteggio da e per l’Italia, 1871-1895, cit., in Movimento Operaio, II, nn. 3-4, dicembre-gennaio 1949-1950, pp. 89-90. 1510 La proposta germanica è comunicata al Visconti Venosta dal conte Brassier de Saint Simon il 10 luglio 1871. Nella comun. è detto che l’azione dell’Internazionale si è manifestata in Italia j «dans l’émuete de Pavie en mare 1810, dans le brigandage en Calabre et les agitations en Sicile. De plus après le 18 mare passé, un grand nombre des Garibaldiens qui avaient pris en France les armes contre les troupes allemandes, se firent remarquer ouvertement comme partisans de la Commune de Paris. Il est évident í que la rentrée de ces individus en Italie, ne fera que redoubler leur activité ...» (AE, Rapp. Germania) Anche per rettificare simili apprezzamenti, in gran parte inesatti, il Visconti Venosta accentua il suo ottimismo nel dispaccio al de Launay, dello stesso 10 luglio. 1511 Visconti Venosta al de Launay, 10 luglio 1871, n. 216. La richiesta bismarckiana suonava «d’adopter préalablement comme principe, que les attentate à la vie et à la propriété, comete on les a vu se manifester à Paris, appartiennent à la catégorie de crimes communs et non de crimes politiques». La risposta italiana, pienamente d’accordo circa l’impegno di informazioni reciproche («nous acceptons donc avec empressement la proposition de S. A. le prince de Bismarck en ce qui concerne l’échange réciproque des renseignements regardants l’organisation et les projets de l’Internationale») suona così circa il secondo punto: «Quant à la déclaration à émettre au sujet des crimes et délits dont elle serait le prétexte, je n’ai qu’à vous rappeler ... que nous avons été des premieres à déclarer à la France que nous étions disposés à appliquer les conventíons d’extradition aux auteurs des homicides et des incendies dont Paria a été le théàtre. Nous sommes disposé à renouveler cetre déclaration soit vis-à-vis de l’Allemagne, soit, vis-à-vis de toute autre puissance. A mon avis cela pourrait suffire pour parvenir au hut quo se propose le Prince Chancelier». La dichiara-

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zione suddetta alla Francia era stata fatta il 31 maggio, con nota del Visconti Venosta al conte di Choiseul (AEP, C. P., Italie, t. 382, ff. 100. 101, 109. Per altri provvedimenti di vigilanza alla frontiera, e il ringraziamento di Jules Favre, ib. ib., ff. 83 e 88. Cfr. A. P., Senato, 2 giugno ’71, p. 1010. Per il pensiero di Bismarck, cfr. Ges. Werke, 6 c, pp. 7-8 (a Vienna, 7 giugno). 1512 Visconti Venosta a Nigra 10 luglio 1871, n. 322 (a proposito dell’invito di Jules Favre alle altre potenze per un’azione comune: cfr. M. R ECLUS, Jules Favre, Parigi, 1912, pp. 493-94. L’incaricato d’affari francese, de la Villestreux, comunicò al Favre la «adhésion complète» del ministro italiano alle sue idee: il che non era, di fatto. Cfr. r. 12 luglio, n. 109; AEP, C. P., Italie, t. 382, f. 215). Sia in questo come nel dispaccio al de Launay dello stesso giorno il Visconti Venosta ricorda le precauzioni già prese dal R. Governo «les mesures préventives qui étaient compatibles avec nos institutions»; ricorda le disposizioni legislative recenti sulla tutela delle persone e della proprietà, che danno al governo «une plus grande latitude pour la défense de l’ordre». Il Rémusat, successo alla fine di luglio al Favre, si sforzò di attenuare, formalmente, la portata delle richieste francesi (non aver egli affatto intenzione di provocare una specie di Santa Alleanza contro l’Internazionale); e quindi dichiarò di ritenere sufficiente lo scambio di reciproche informazioni, promesso dal governo italiano (r. Ressmann, 18 agosto, n. 161-1). Ma a Berlino faceva sapere invece, ancor più tardi, come egli giudicasse convenienti le misure preventive, cioè il considerar delitto il fatto solo di appartenere all’Internazionale: mostrandosi, dunque, più «repressivo» che non col governo italiano (r. Tosi, 28 settembre ’71, n. 878). 1513 Sulle preoccupazioni nutrite da re Guglielmo, dal Bismarck e in genere dai circoli dirigenti di Berlino a proposito dell’Internazionale, molti ragguagli in D E G ABRIAC, Souvenirs diplomatiques de Russie et d’Allemagne (1870-1872), Parigi, 1896, p. 233 sgg., soprattutto pp. 238, 242 sgg. Cfr. anche L. S CHNEIDER, L’empeseur Guillaume. Souvenirs intimes, trad. franc. Parigi, 1888, III, pp. 279-80. 1514 Due milioni di aderenti! (r. de Launay, 12 giugno ’71, n. 832). 1515 Dichiarazioni del Gorciacov e del conte di Eulenburg al de Launay (r. de Launay, 5 giugno 1971, n. 825). Che l’iniziativa muovesse dal Gorciacov è esplicitaratnte affermato dal

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principe stesso al de Launay: «Le cabinet de St. Pétersbourg a chargé ses différents Légations de faire des rapports à cot égard [l’Internazionale], de suivre de près les menées de cos associations dangereuses. Le Pr. Gortchacov se proposait d’en parler à l’Empereur d’Allemagne, et ne doutait point quo S. M. partagerait la même manière de votr, sur la solidarité de tous les Gouvernements pour se mettre en garde contro le banditismo international». Dopo l’insuccesso del tentativo, il Gorciacov affermava, nell’autunno, in nuovi colloqui col de Launay, di non credere «à la possibilité de formuler entro les différents pays un accord sur cotte importante matière. La diversité des législations serait un des principaux obstacles; mais rien n’empécherait quo chaque gouvernement prît chez lui des mesures énergiques pour mieux se garantir contro ce verrongeur de l’Europe» (r. Launay, 2 novembre 1871, n. 897). E di questo rinunciare del cancelliere russo ai provvedimenti necessari, si lamentava Guglielmo I di Germania (Occupation et libération du territoire, 1871-1873, Correspondances, I, Parigi, 1900, p. 155). Assai significativo che Eulenburg attribuisse una gran parte di responsabilità della Comune «aux utopistes, aux libéraux de mauvais aloí, qui, sans en prévoir les conséquences, ont contribué pendant des années à entretenír et à aviver l’esprit révolutionnaire»: come che in tali dichiarazioni venisse in luce quell’atteggiamento non solo anti-internazionale, sì anzi anti-liberale, che caratterizzava in Italia la polemica de’ clericali contro i fatti di Parigi. 1516 r. de Launay, 12 giugno ’71, n. 832 cit., Bismarck avverte il ministro italiano dell’importanza attribuita dal governo russo e personalmente dallo zar «à ce que les différentes Puissances se montrassent solidaires pour surveiller et combattre les tendances d’une associatíon qui comptait plus de deux millions d’adeptes. Son Altesse ne doutait pas quo nous partagerions comme le Gabinet de Berlin de semblables vues sur la nécessité d’opposer une digue à des doctrines qui sont la négation de tout ordre social. Le Chanceiier Impérial n’avait pas à nous donner des conseils. Mais il croyait quo nous ferions acre de sage politique si nous chargions notre mission en Russie de communiquer une dépéche établissante quo notre Gouvernement abonde dans le méme idées. En agissant ainsi, nous produirions le meilleur effet sur l’esprit du Tzar. C’est une occasion qu’il nous conviendrait de ne pas négliger». In pari tempo il Cancelliere germanico avverte il de Launay della richiesta che il Brassier de

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Saint Simon ha ordine di muovere al Visconti Venosta, e di cui qui sopra. 1517 Cfr. . R OTHFELS , B ISMARCKS ENGLISCHE B ÚNDNI SPOLITIK , B ERLINO -L IPSIA , 192-1, p. 13 e anche M EINE , op. cit., p. 77. Questi due autori accentuano, nella richiesta bismarckiana, l’elemento «politica estera» nel senso che, proponendo la creazione di un fronte comune contro l’Internazionale, Bismarck avrebbe cercato anzitutto di attirare a sé l’Inghilterra. Nila e soprattutto i rr. de Launay conducono a rettificare quest’interpretazione. L’iniziativa prima partì dalla Russia, e proprio per motivi di politica interna ed ideologici; l’invito fu fatto, non solo all’Inghilterra (come aveva supposto il Rothfels, che conosceva solo il carteggio Bismarck-Bernstorff), sl anche all’Italia, all’Austria e perfino alla Francia. Non è quindi il caso di pensare a secondi fini, nei riguardi dell’Inghilterra, di parlare di «erstes tastendes Sondieren». (N. J APIKSE, Europa und Bismarcks Friedenspolitik. Die Internationalen Bexiebungen von 1871 bis 1890 Berlino 1927, p. 21). D’altronde, Bismarck, che conosceva assai bene le tendenze degli inglesi in genere e del gabinetto Gladstone in particolare circa le «libertà» Interne, avrebbe dato prova di singolare mancanza di senso politico nel cercare di avvicinarsi il Regno Unito proprio proponendogli uno sgradito accordo e rinfacciandogli la «responsabilità morale» ch’esso si assumeva, ospitando gli aderenti dell’Internazionale (così nel dispaccio al Bernstorff del 14 giugno ’71). Nel suo sdegno contro l’Internazionale Bismarck era allora, evidentemente, sincero: prova ne è che due mesi appresso, nei colloqui di Gastein, tornava alla carica col Beust, per persuaderlo ad aderire alla repressione dell’Internazionale; e, come lui, sia con il Beust sia con lo stesso Francesco Giuseppe insisteva il suo sovrano, Guglielmo I (B EUST, Mémoires, cit., II, pp. 491-92, 499; e cfr. qui sopra pp. 455-56). Cfr. anche il colloquio col Gorciacov, nell’aprile 1873, in G ORIAÏNOV, La question d’Orient à la veille du traité de Berlin (1870-1876), Parigi, 1948, p. 51. 1518 Così il segretario agli Esteri, von Thile (r. de Launay, 15 luglio 1871, n. 848). 1519 Quanto alla Francia, già promotrice essa di azione diplomatica contro l’Internazionale, si manteneva in atteggiamento di comprensibile riserbo di fronte alla proposta germanica «M. Thiers a dit au comte de Waldersee qu’une telle question méri-

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tait un sérieux examen, et qu’il se réservait che lui donner une rersponse» (r. de Launay, cit.). 1520 «Au reste, Lord Granville ne semblait pas attribuer à l’Internationale, pour ce qui concernait du mains l’Angleterre, une bien grande portée et une propagande dangereuse» (r. de Launay, cit.). 1521 «In Inghilterra prevale l’opinione che la Società «Internazionale» non eserciti molto prestigio sulle classi operaie, le quali sono unite in associazioni certamente fondate su basi democratico-radicali, ma non comuniste al pari delle affgliazioni che esistono per lo più nelle stesse classi sul continente. Si crede dunque, che, anche ammettendo che l’«Internazionale» abbia potuto trarre a sé un certo numero di incauti, quando le masse inglesi si accorgeranno della perversità e della negazione d’ogni principio sociale da cui è animata tal setta, si affretteranno a rescindere ogni le game con essa» (r. Maffei, 31 ottobre ’71, n. 255). 1522 Così quando nel luglio ’71 il governo francese chiede di poter inviare in Italia due agenti di polizia, con l’incarico di assecondare l’opera delle autorità locali per la ricerca degli individui che avevano partecipato alla Comune, il ministro dell’Interno, Lanza, trova più opportuno «che i due agenti possano avere ingresso nel Regno, come ogni altro straniero, per compiervi le loro esplorazioni, senza però esercitarvi alcuna azione che avesse l’apparenza di funzione pubblica, mediante dirette o indirette relazioni colle nostre Autorità, rimanendo ad essi naturale il diritto di muovere; col mezzo del Rappresentante della loro nazione, tutte quelle domande che fossero consentite dagl’interessi internazionali e dai trattati in vigore» (agli Esteri, 25 luglio ’71, AE, Rapp. Francia). Che era une fin de non recevoir molto chiara. 1523 AE, Rapp. Spagna; cfr. d. Visconti Venosta a Robilant, 27 febbraio 1872, n. 25 (e simile alle altre Legazioni). La circolare esprime il desiderio che qualcuna delle grandi potenze si assuma il compito di concretare le basi dell’accordo. Dell’idea del trattato, o almeno di un accordo speciale per l’estradizione, come compresa nella circolare spagnola, parla il de Launay, r. 26 febbraio, n. 953. Per l’azione del ministero Sagasta contro l’Internazionale – messa fuori legge – cfr. J. G UILLAU ME , L’Internationale. Documents et souvenirs (1864-1878), II, Parigi, 1907, p. 273.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1524 Il ministro di Francia, Fournier, a Visconti Venosta, 16 aprile ’72 (e, anche, Rémusat a Nigra, 22 aprile). La proposta è di completare la convenzione di estradizione franco-italiana, firmando un articolo addizionale che ne estenderebbe l’applicazione ai delitti di cui nella legge francese del 14 marzo; da notare che in questa è considerato delitto anche il solo fatto della affiliazione all’Internazionale o ad ogni altra associazione che professi le stesse dottrine ed abbia lo stesso scopo. Nel testo definitivo di legge fu soppressa la seconda parte, contemplata nel progetto dell’estate ’71, contro i cittadini sospetti di mene separatiste (con il che, si voleva alludere alle mene a Nizza e in Savoia, r. Nigra, 22 febbraio ’72, n. 1803). Sulla legge e gli scambi di vedute con gli altri governi assai sommario lo H ANOTAUX, Histoire de la France contemporaine, cit., I, p. 403. Da notare, che quando nel maggio il Lanza propose uno scambio continuo di informazioni fra i governi francese ed italiano sulla Internazionale (qui appresso, pp. 511-12, n. 465), il Rémusat tornò ad insistere sull’idea del completamento del trattato di estradizione (docc. ivi cit.), inutilmente: la cosa venne lasciata cadere da parte italiana. 1525 Dichiarazioni Thile a de Launay: il governo tedesco è disposto a concludere, su queste basi, un trattato di estradizione con la Spagna. Bisognerebbe però sempre esaminare: «si les lois actuelles de l’Empire qui régissent le droit d’association pourraient être modifiées dans ce sens» ciò di cui il de Launay dubita (r. de Launay, 2 marzo ’72, n. 956). Vi fu poi un nuovo scambio d’idee fra Berlino, Vienna e Pietroburgo (r. de Launay, 22 aprile, n. 996); e la legge francese del 14 marco non spiacque a Berlino, ove si trovava ch’essa conteneva princìpi e disposizioni «dont il y aurait peut-être lieu de tenir comete aussi en Allemagne, afin de se prémunir contre une association aussi dangereuse» (dichiarazioni Thile a de Launay, r. de Launay, 25 marzo, n. 979). Ma, notavasi a Pietroburgo, la difficoltà di stabilire un accordo era grande, specialmente con la Germania «atteso il tenore della Legislazione Prussiana che non forniva i mezzi preventivi per contrastare ad una Associazione così grandemente pericolosa, di cui non pertanto i fini politici erano celati, e i fini apparenti, prettamente economici e sociali, erano di tal natura da non poter provocare per se stessi l’azione riparatrice della legge» (dichiarazioni dell’imperatore Alessandro II all’inviato spagnolo: l. Caracciolo, Pietroburgo, 7/19 marzo 1872).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1526 Il Gorciacov tuttavia osservava che «il documento spagnolo gli pareva concepito ed espresso in forma troppo generale ed indeterminata, e che sarebbe stato mestieri, prima di venire di pié fermo ai negoziati, il definire quali sarebbero per l’appunto i casi attendibili e i fatti specialmente criminosi degli affliati soggetti alla sanzione del trattato» (l. Caracciolo, cit.). Il Gorciacov ammetteva una «Estradizione speciale in vista della Internazionale». 1527 «Sì, dissemi allora il Conte Andrássy, è questa una questione nella quale parmi essere bene camminar d’accordo, in quanto a me sembrerebbemi abbastanza pratica ed efficace l’idea messa avanti dalla Spagna, di estendere per atto internazionale, l’estradizione accordata pei reati comuni agli imputati di fatti dipendenti dall’affigliazione all’Internazionale, e ciò, non mi parrebbe difficile a conseguirsi ove Austria, Italia e Germania si mettessero su ciò d’accordo» (r. Robilant, 15 marzo ’72, n. 64). 1528 r. de Launay, 22 aprile, n. 996. Naturalmente, il de Launay trova fort regrettable il no britannico, dato che le misure preventive o repressive nel continente perderebbero la loro efficacia, l’Inghilterra accordasse asilo ai membri dell’Internazionale. Ma il Thile gli dice che la risposta inglese non scoraggerà il governo tedesco «de vouer tout ses soins à combattre des menées cosmopolites et de faciliter, si possible, une entente avec les Etats qui jugeraient, comme lui, que le système du laisser faire est hors de mise en pareille matière». 1529 Lanza a Visconti Venosta, 2 marzo ’72, n. 1231 ris. (AE, Rapp. Spagna) e 8 aprile ’72, n. 2282 riserv. Allo stato presente delle cose manca «adeguata materia e fondamento legale ad una estensione tale dei vigenti trattati di estradizione, che comprenda i casi di affigliazione e di appartenenza all’associazione ... Non accade ricordare alla E. V. quale liberale interpretazione, tanto nelle discussioni e negli atti del Parlamento, come nel Consiglio di Stato sia prevalsa, in ordine al diritto di associazione, e quale larghezza alle discussioni filosofiche, politiche e religiose consenta la nostra legislazione sulla stampa. Finché una Società si raccoglie intorno ad un programma economico politico, inspirato anche ai più assurdi sofismi della Scuola socialista, il potere esecutivo, se non vede una offesa alle leggi od una minaccia positiva di distruzione dell’ordine esistente, non può applicare la repressione penale». E d’altra parte non conviene

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aprire processi, che nella maggior parte dei casi riescono solo a porre in maggior rilievo l’associazione che si intende di combattere. Il reato comincia solo quando «dal campo delle vaghe aspirazioni verso nuovi ordini di cose ... si passa al fatto od alla diretta preparazione di questo, mediante accordi e tentativi per delinquere contro le proprietà o le persone. In tali circostanze le disposizioni del nostro codice penale e l’elenco dei reati per cui si concede l’estradizione ... provvedono pei casi più rilevanti». L’Internazionale, massime in Italia, è tuttavia «in uno stato di formazione assai rudimentale» e in tale condizione «è difficile ora di determinare i casi che dovrebbero essere colpiti da disposizioni penali, e riesce quindi anche più difficile definire quali nuovi reati debbano iscriversi nell’Elenco di quelli per cui si fa luogo all’estradizione [sic!]». La sostanza di questa nota di Lanza dell’8 aprile (AE, Rapp. Germania) viene poi comunicata, il 12 aprile, da Artom a de Launay (d. n. 244). 1530 Proposta francese: De Falco a Visconti Venosta, 26 aprile ’72. La conclusione è: «Se pertanto i fatti imputabili ad affiliati dell’Internazionale costituiscono uno de’ reati enumerati nell’art. 2° [della convenzione di estradizione italo-francese del 12 maggio 1870], od anche un reato non enumerato ma ammesso nella legislazione italiana, l’estradizione dovrà e potrà accordarsi secondo i princìpi vigenti. Di fuori di questi casi il Governo del Re, ad onta di ogni buon volere, non si troverebbe in grado di assecondare le domande che venissero fatte, perché il semplice fatto di affiliazione all’Internazionale non è annoverato fra i crimini o delitti nel codice penale italiano. Epperò fino a tanto che lo stato della legislazione non venga mutato, sarebbe inefficace o superfluo lo stipulare un accordo nei sensi proposti dal Governo francese» (AE, Rapp. Francia). 1531 Cfr. il Discorso pronunziato in Pavia ... il 15 ottobre 1878. Roma, 1878, p. 6 «L’autorità governativa invigili perché l’ordine pubblico non sia turbato; sia inesorabile nel reprimere, non arbitraria col prevenire». 1532 Nel discorso elettorale d’Iseo, del 3 novembre ’78, e nel discorso alla Camera del 5 dicembre (A. P., Camera, pp. 3077, 3081; e cfr. anche 6 dicembre, pp. 3085, 3089). 1533 «L’autorità ha il diritto di prevenire, come l’autorità giudiziaria ha il diritto di reprimere i reati». E la prevenzione «consiste in un complesso di atti di prudenza; in molti provvedimenti cauti, sicuri e morali, mercé cui il Governo mantiene la

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pace pubblica senza cadere nell’arbitrio. È difficile esercitarla. Chi l’esercita, non solo dev’essere preveggente, ma deve aver un gran sentimento di giustizia, ed una grandissima moralità». Discorsi Parlamentari. II, p. 313 (5 dicembre 1878). Dove l’estrema indeterminatezza dei criteri atti a prevenire, affidati in ultima analisi alla perspicacia di chi governa, apre la via, appunto, alle aspirazioni al governo dell’uomo capace, dal Crispi auspicato in quello stesso discorso (ancor sempre con alti omaggi alla libertà, che e «il nostro idolo, la nostra vita»). 1534 Scritti politici di Francesco de Sanctis, cit., p. 220 sgg. 1535 L’espressione è del Bonghi, avversissimo all’Internazionale, ma avverso anche alla legge francese, e, in genere, a qualunque misura eccezionale: Rassegna Politica del 30 marzo 1872, in Nuova Antologia, XIX (18 7 2), p. 921 e Rassegna del 31 agosto 1872, ib.. XXI (1872), p. 222. La frase «rispettare ...» ecc., nella nota Lanza, 2 marzo, cit., n. 1231. 1536 Questo accostamento dei Gesuiti e dell’Internazionale, fatto dal Fournier, che certo non era persona grata ai clericali e dopo la caduta del Thiers dovette lasciar Roma, provocò, a margine del rapporto, un «!» negli uffici del Quai d’Orsay. 1537 Fournier, 12 agosto 1872, n. 46; AEP, C. P., Italie, t. 385, ff. 295-295 v. 1538 r. Fournier, 31 maggio 1872, n. 23, già cit.; AEP, C. P., Italie, t. 385, f. 128 sgg. 1539 La sezione di Vienna entrava in relazione «con alcuni individui del partito demagogico» in Italia (min. Interno a Esteri, 4 dicembre ’71, n. 5063, AE, Rapp. Austria). 1540 Min. Interno a Esteri, 27 gennaio 1872, n. 553 (AE, Rapp. Francia): comunicato da Artom a Nigra il 28 gennaio, e da Nigra al ministro degli esteri francesi, Rémusat. Il governo francese era già stato informato che pel 24 febbraio si sarebbe tentata una dimostrazione in qualche città della Francia, e aveva preso perciò le misure occorrenti (r. Nigra, 8 febbraio, n. 1793). Il 22 febbraio nuova comunicazione del min. Interno a Esteri, dove si accenna anche alla possibilità di un movimento in Spagna (n. 1055). Cfr. Part. del Journal des Débats, nel dicembre ’71 (R OSSELLI, op. cit., p. 396, n. 2). 1541 L’8 marzo 1872 il Lanza comunica al Visconti Venosta (n. 1393) due circolari segretissime del Comitato Generale del

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Risorgimento Sociale [sic! la prima; solo Comitato Generale la seconda] di Londra, in data 24 settembre 1871 [scritto 1872] e 5 febbraio 1872, a firma rispettivamente di E. Woordel [sic?] ed Engels, sulle trattative con Napoleone III. Dapprima, il Comitato si è impegnato con l’aiutante di campo dell’imperatore visconte Baute de Liverny «a coadiuvare potentemente per la riuscita della Casa Bonaparte al trono di Francia, sicuri, che riuscendo, noi avremo fatto un gran passo verso la nostra mèta: «il risorgimento e emancipazione sociale»» (su ciò, il ministero dell’Interno aveva già trasmesso il 17 ottobre ’71 agli Esteri, n. 4039, due circolari a firma Woordel, del 4 e 8 ottobre ’71, AE, Rapp. Francia); poi, avendo Napoleone III mancato «in alcune parti del contratto», il Comitato decide, il 3 febbraio ’72, di «tentare un doppio movimento in Francia ed in Ispagna e con un colpo di mano impadronirsi del potere». Obbedendo a tali ordini, continua il Lanza in altro dispaccio agli Esteri dello stesso giorno (n. 1421), l’ispettorato generale del Risorgimento sociale in Roma «fa uffici alle Sezioni italiane dell’Internazionale, affinché si tengano pronte per un movimento insurrezionale, che si ritiene favorito dalle presenti condizioni dell’Europa» (AE, Rapp. Inghilterra). Tutto ciò, è naturalmente fantasioso anche se è certo che vi fossero contatti fra gli ambienti bonapartistici ed elementi già comunardi (cfr. R. S CHNERB, Rouher et le Second Empire, Parigi, 1949, pp. 296-298), ed è da ricollegare con probabilità al curioso, ma reale tentativo di due degli «internazionalisti» di Lione del ’70-71, Albert Richard e Gaspard Blanc, che avevano fatto offerte precise a Napoleone III e pubblicato, nel gennaio 72, un appello a favore dell’imperatore – e per ciò erano stati condannati come traditori dal Marx e dall’Internazionale (G UILLAME, op. cit., II, pp. 256-57, 260-61; N ETTLAU, op. cit., pp. 338-39). 1542 Febbraio e marzo ’72: carteggio tra il ministero Interno ed Esteri, fra quest’ultimo e il Nigra e il governo francese, su un certo Antonio Rocher, francese, affiliato all’Internazionale, che ha partecipato all’insurrezione di Lione nel ’71, e ora fa propaganda a Napoli finché vien espulso nel marzo. La sua espulsione diede origine ad un’interrogazione dell’on. Friscia, alla Camera (A. P., Camera, p. 1293, 19 marzo ’72). A Napoli, si agita pure un francese di origine italiana, Giuseppe Polio, che pare sia stato segretario di Félix Pyat, su cui pervengono rapporti del prefetto di polizia di Parigi (rr. Nigra, 25 aprile e 11 maggio, nn. 1842 e 1850). E il 14 giugno il Fournier segnala

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al Visconti Venosta la partenza da Ginevra per Torino di un certo Gaillard, agente dell’Internazionale. 1543 Tra l’aprile e l’agosto del ’72 il Nigra, a Parigi, deve porsi sulle tracce di alcuni perugini, tutti in fama di appartenere al «partito radicale», recatisi in Francia con gran sospetto del Ministero dell’Interno (Interno a Esteri, 3 aprile); né vale che sin dal 7 e 14 maggio il nostro diplomatico assicuri, su notizia della polizia francese, che si possono escludere i motivi politici del viaggio. Poiché a tutto il 25 giugno gli individui sospetti non sono ancora rientrati in Italia, il min. Interno chiede ulteriori informazioni: e da Parigi si tornano ad escludere i motivi politici (r. Nigra, 27 agosto n. 1908). Nel settembre il ministro degli Esteri francese, il Rémusat, avverte della partenza per l’Italia di Mario Cacai, Marco Héridier a Guyot, accompagnati da altre 10 persone: il viaggio di questi membri dell’Internazionale avrebbe, secondo il Rémusat, maggiore importanza che non lo si potesse supporre da principio, avendo essi il progetto di recarsi a Roma a fine di prepararvi un’insurrezione generale (rr. N igra, 3 e 8 settembre ’72, n. 1910 e 1914). Nel dicembre, ricerche senza esito a Marsiglia, con la cordiale collaborazione delle autorità francesi, su presunte spedizioni di armi e di bombe per l’Italia, in seguito al rinvenimento di bombe presso Livorno (min. Interno a Esteri, 28 novembre, e r. console generale a Marsiglia, Strambio, del 20 dicembre, n. 78). Con la Francia, dopo ulteriori informazioni trasmesse dal ministro presso il Quirinale al Visconti Venosta e da questi al Lanza (r. del console francese a Genova sulle mosse dell’Internazionale e di Garibaldi: Lanza risponde al Visconti Venosta rilevando le inesattezze di tali informazioni e ribadendo che l’Internazionale ha pochi aderenti e sprovvisti di mezzi: r. Fournier, 28 maggio 1872, n. 20, con annessa lett. Lama a Visconti Venosta, trad.; AEP, C. P., Italie, t. 385, ff. IIL-112), si addivenne, su proposta dello stesso Lanza al Fournier, ad uno scambio regolare di informazioni, pur se il ministro francese dell’Interno facesse presente che le informazioni dalla Francia non potevano esser sempre complete, perché l’Internazionale, perseguita dalla legge, vi conduceva – differenza dell’Italia attività clandestina e non facile a controllare (rr. Fournier, 31 maggio 1872, n. 23, 10 luglio 1872, s. n. e annessa lett. Lanza 3 luglio; d. Rémusat a Fournier, 15 giugno 1872, n. 25; Rémusat al suo collega dell’Interno, 15 luglio; ministro Interno francese a Ré-

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musat, 24 luglio: AEP, C. P., Italie, t. 385, ff. 128 sgg., 151-151 v., 206-208, 225-225 v., 254, 274). 1544 Si ricordi infatti che proprio dagli scioperi l’Osservatore Romano traeva argomento per vaticinare l’imminenza della vendetta di Dio (cfr. qui sopra p. 443). 1545 Lo osserva l’ incaricato d’affari austro-ungarico, Herbert, in un rapporto del 10 agosto all’Andrássy (Saw, P. A., XI/80, n. 25 D). Per conto suo, invece, lo Herbert credeva, già allora, all’esistenza di un preciso programma unitario, ad una parola d’ordine emanante da organizzazioni più o meno segrete. Comunque, dato l’interesse che la questione offriva, egli chiese informazioni al governo italiano; e in effetti il 19 ottobre trasmise a Vienna (ib., ib., ad n. 35 C) un memoriale, inviatogli dal Tornielli, che insisteva sull’azione dell’Internazionale. Anche il rappresentante russo preso il Quirinale chiese informazioni sugli scioperi (min. Esteri a Interno, 19 agosto). Infine il de Sayve compilò un ampio memoriale su «Les sociétés ouvrières et politiques et l’Internationale en Italie», trasmesso dal ministro Fournier a Parigi il 7 febbraio 1873 (all. a r. 94; AEP, C. P., Italie, t. 387, ff. 70-77). Sugli scioperi, cfr. L. V ALIANI, Le prime grandi agitazioni operaie a Milano e a Torino, in Movimento Operaio, ottobre-novembre 1950, p. 365 sgg. 1546 d. Peiroleri a Nigra, 27 luglio, n. 402. La risposta del Rémusat fu «che non risultava al Governo francese, in modo positivo che vi fosse un nesso visibile e materiale tra gli scioperi dei due paesi. Ma egli mi parve convinto dell’esistenza d’una connessione morale prodotta in parte da cause identiche ed in parte dall’esempio» (r. Nigra 12 agosto, n. 1901). 1547 Ministro Interni a Esteri, 2 settembre (ivi, i dati sugli scioperi). Dichiarazioni analoghe dello Artom al ministro di Francia, Fournier: è l’Internazionale che ha cercato di agitare le popolazioni operaie delle principali città dell’Alta Italia. Si crede che questi scioperi fossero collegati con l’attentato in Spagna contro re Amedeo (18 luglio): infatti si sono estesi, come per una parola d’ordine, su una parte della Francia dell’Italia, della Spagna (r. Fournier, 16 agosto 1872, n. 48; AEP, C. P., Italie, t. 385, f. 315). Ad un’intesa occulta dei partiti estremi in Italia, Spagna e Francia si torna a pensare al momento dell’abdicazione di re Amedeo (r. Fournier, 11 febbraio 1873, n. 97; ib., ib., t. 387, ff. 107-107 v).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1548 Di questi screzi, il ministero dell’Interno è al corrente: se ne parla già in una nota di Lanza al Visconti Venosta del 1° maggio ’72 (n. 2994; AE, Rapp. Inghilterra). Su di essi, cfr. R OSSELLI, op. cit., p. 433 sgg. 1549 Nel 1874, le sezioni dell’Internazionale erano 155, con 32.450 iscritti (F. D ELLA P ERUTA, La consistenza numerica dell’Internazionale in Italia nel 1874, in Movimento operaio, II, nn. 34, dicembre-gennaio 1949-50, pp. 104-106). Alla cifra ufficiale minore, si attiene il Conti, Op. cit., p. 146: ma nel 1874, le dieci federazioni dell’Internazionale in Italia credevano di poter contare con sicurezza, per la ventilata insurrezione generale, su 33.000 seguaci pronti alle armi (L UCARELLI, Carlo Cafiero, cit., pp. 39 e 81), la prova concreta fu un crudo disinganno. 1550 Così nel decreto Gadda (19 novembre) di proibizione del comizio. 1551 r. Fournier, 20 novembre 1872, n. 68; AEP, C. P., Italie, t. 386, f. 143 sgg. E cfr. pure i rr. 23 e 26 novembre, nn. 70 e 71, ib. ib., ff. 154 e 160 sgg. Cfr. gli articoli del Dina ne L’Opinione del 19 e 21 novembre; Vico, Annali d’Italia, cit., I, p. 208 sgg.; G. S PADOLINI, I radicali dell’Ottocento, ne Il Mondo, 10 febbraio 1951; e per la discussione alla Camera, il 25 novembre, S. C ILIBRIZZI, Storia parlamentare politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio Veneto, Milano-RomaNapoli, II, 1925, p. 51. Dall’altra parte, in Vaticano, vi furono serie preoccupazioni che, in caso di disordini in città, ci fosse un attacco diretto al Vaticano stesso: si presero misure di precauzione, ma il card. Antonelli era vivamente preoccupato (r. Palomba, 30 novembre 1872, n. 12, cit.). 1552 Così nelle circolari del ministro dell’Interno, Cantelli, il 5 luglio e 20 agosto 1873 (v. nell’Opinione, del 30 agosto. Il 1° settembre il giornale torna per cono suo sull’argomento con l’art. L’Internazionale e gli scioperi). 1553 Così l’Andrássy (r. Robilant, 11 marzo ’72, n. 62). 1554 r. inc. d’affari francese de Sayve, 25 gennaio 1872, n. 10; AEP, C. P., Italie, t. 384, f. 84 sgg. Il Rémusat rispose, il 31 gennaio (n. 4; ib. ib., f. 94), di non capire come il ministro svizzero avesse potuto dar importanza a tali voci. Il governo francese può rammaricarsi che i fautori di disordini abbiano abusato dell’ospitalità svizzera per centralizzare i loro sforzi e

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assicurare l’impunità alle loro colpevoli manovre: ma non pensa minimamente a ricorrere a tali misure! 1555 Così nella circolare del 9 febbraio (cit. e disp. Visconti Venosta a Robilant, 27 febbraio, n. 25 cit.). Un anno più tardi il ministro degli Esteri portoghese, preoccupatissimo per i progressi dell’Internazionale, diceva all’Oldoini: «Se io fossi ministro d’un grande Paese ... tenterei l’iniziativa di un concerto europeo [contro l’Internazionale] ...» (r. Oldoini, 8 maggio 1873, n. 197, conf.; e r. 4 settembre 1872, n. 182, annesso lavorio del governo di Lisbona per convincere qualche grande potenza ad assumere l’iniziativa di un congresso europeo contro l’Internazionale). 1556 Che a Berlino si discutesse dell’Internazionale era stato nelle previsioni del governo italiano. «È noto che fra l’Austria e la Prussia sono pendenti delle trattative per istudiare i rimedda opporsi alle tendenze ed alle imprese della «Internazionale». Il gabinetto di Pietroburgo si è spesse volte dimostrato molto preoccupato dei progressi che quella associazione faceva in Europa. Non è adunque fuori di proposito il supporre che, come l’anno passato a Salzburg ed a Gastein, così quest’anno a Berlino la situazione, fatta agli stati dall’associazione anzidetta, abbia ad essere uno dei temi delle conversazioni dei sovrani e dei loro primi ministri. Sarebbe perciò da considerarsi se non converrebbe che anche il Ministro d’Italia a Berlino avesse delle notizie precise sopra i disordini accaduti fra gli operai italiani affinché, ove egli avesse l’occasione di dover esprimersi sopra tale argomento, lo possa fare con la necessaria cognizione di causa.» Min. Esteri (a firma Artom) a Interno, 19 agosto, già cit. Il 25 agosto, in l. p. Artom al de Leunay: se dai colloqui di Berlino uscirà qualche idea pratica, tale da poter essere accettata in un governo costituzionale, noi saremo lieti di associarvici. (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Dell’Internazionale parlarono, in quell’occasione, l’Andrássy e il Gorciacov al de Launay (rr. de Launay, 9 e 12 settembre, nn. 1061 e 1062); il Gorciacov al Gontaut-Biron (D.D.F., s. 1ª, I, n. 156, p. 186) e a lord Odo Russell (cfr. il r. Russell a Gran ville, il 12 settembre 1872, in W. TAFFS, Conversations between lord Odo Russell and Andrássy, Bismarck and Gorchakovin september 1872, in The Slavonic Review, VIII «1929-1930», p. 705). Chi prese l’iniziativa di parlar dell’Internazionale, nel convegno, e con propositi decisamente reazionari, fu l’András-

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sy (cfr. r. Gorciacov ad Alessandro II, 9 settembre 1872, in A. M EYENDORFF, Conversations of Gorchakov with Andrássy and Bismarck in 1872, in The Slavonic Review, VIII, p. 405 sgg.). Cfr. G ONTAUT -B IRON, Mon ambassade en Allemagne (1872-1873), Parigi, 1906, pp. 157 e 166; E. V ON W ERTHEI MER , Graf Julius Andrássy, II, Stuttgart, 1913, pp. 74-75. 1557 Il pensiero del Bismarck al riguardo è chiaramente espresso il 21 ottobre e il 17 novembre 1871 (Aktenstücke zus Wirthschaftspolitik des Fürsten Bismarck, cit., I, pp. 160-61, 164 sgg.) E anche il 19 giugno 1872 (cfr. Ges. Werke, 6 s, pp. 10-11 e 22). Secondo il Beust, tuttavia, nei colloqui dell’estate 71, Bismarck era venuto innanzi con la parte repressiva soprattutto: e sarebbe stato il ministro austriaco a insistere sulla parte diremo preventiva (così anche dice il Tosi, r. n. 878 sotto cit.). Certo, nella risposta allo Itzenplitz, il 17 novembre, il Bismarck sottolíneava anche il vivo interesse di Francesco Giuseppe per la questione, che diveniva quindi pure «ein Bedürfniss unserer auswärtigen Politik». 1558 Così il Beust stesso nei suoi Mémoires, cit., li, pp. 491492. 1559 r. Tosi, incaricato d’affari a Berlino, 28 settembre ’71, n. 878 (cenni già nei precedenti rr. 5 e 10 settembre, nn. 872 e 873). Dopo i convegni, il Beust inviò a Berlino successivamente due memorandum in cui insisteva «sulla insufficienza della repressione» e voleva «che la commissione internazionale si prefiggesse apertamente come programma del suo lavoro, lo scopo di migliorare le condizioni delle classi sofferenti della società e di soddisfare con maturo esame le loro richieste che ora paiono così pericolose: la repressione sarebbe un corollario di questo programma, il quale non apparirebbe quindi siccome odioso alle classi popolari». Questo largo programma di miglioramenti sociali del Beust incontrava l’approvazione anche del nuovo ministro francese degli Esteri, il Rémusat, il quale però insisteva in pari tempo sulla necessità di reprimere (delitto il solo fatto dell’appartenenza all’Internazionale). 1560 r. Robilant, 11 marzo 1872, già cit. Dichiarazioni di Andrássy: l’unico risultato delle discussioni Bismarck-Beust era stato «la compilazione da una parte e dall’altra di due memoriali, che nulla contenevano di pratico né di efficacemente corrispondente allo scopo che i due governi s’erano prefisso. Dopo di ciò nulla erasi fatto, e la quistione erasi nuovamente posta

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a dormire». Andrássy qui equivoca: non vi furono due memoriali da una parte e dall’altra, ma due memoriali del solo Beust (r. Tosi sopra cit.). E il giudizio del conte magiaro sulla «negatività» dei memoriali conferma com’egli non condividesse le vedute del suo predecessore sul prevenire, bensì propendesse per il reprimere: come già risultava dal diverso contegno dei due di fronte rispettivamente alle proposte francese e spagnuola. Invece, a Berlino fu nominata una commissione per i lavori preparatori (Aktenstücke, cit., I, pp. 161 e 167 n. 2): ma i lavori di essa procedettero nell’inverno ’71-72 con molta lentezza (r. d. Launav, 26 febbraio ’72, n. 953 cit.). 1561 r. Robilant, 11 giugno 72, n. 86. La Conferenza di Berlino aveva «mandato larghissimo, inteso però solo a sviscerare la questione ed al più a proporre modificazioni da fare ai Codici Penali dei due Stati onde l’Internazionale nei suoi affigliati o nei fatti delittuosi da essa commessi venisse colpita dalla legge». Così si dichiarò al nostro ministro, al Ballhaus. In realtà, la conferenza s’occupò poi soprattutto della questione sociale in sé, dal punto di- vista preventivo. D’altronde già fra gli stessi delegati dell’impero austro-ungarico v’era in proposito divergenza di vedute; giacché, secondo Robilant, i due delegati ungheresi parevano disposti ad introdurre nella loro legislazione disposizioni penali pel solo fatto della affiliazione all’Internazionale, mentre gli austriaci sembravano «poco disposti ad entrare in un ordine di idee che come accentuava la Neue Freie Presse pochi giorni fa, accenna ad un regresso delle idee liberali verso i principi dei 1815». Nuovamente, dunque, quel contrasto pure avvertibile fra l’atteggiamento de! Beust, liberale, e quello dell’Andrássy, più reazionario. Per la convocazione della conferenza, cfr. H. S CHULTES, Europäischer Geschichtskalender, XIII, 1872, p. 17 sub 10 giugno. 1562 La commissione prussiana aveva concluso i suoi lavori particolari, proprio con dichiarazioni su molteplici punti (istruzione della classe operaia, protezione degli operai contro i capitalisti, miglioramento delle condizioni, materiali e morali, delle classi lavoratrici, componimento pacifico delle contese), ma anche con il deciso giudizio che «quanto alle agitazioni dei socialisti, lo Stato non deve adottare nessuna misura repressíva» (ampio r. de Launay, 10 novembre 1872, n. 685). Che i lavori della conferenza plenaria austro-tedesca si concludessero pure proponendo misure preventive più che repressive, è detto nel

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r. de Launay, 9 dicembre, n. 704. Cfr. anche r. Robilant, 7 dicembre, n. 119. 1563 Alla domanda del de Launay, di aver qualche particolare sui risultati della Conferenza, il segretario di Stato, Balan, rispondeva «si le travail des délégués austro-allemandes était vraiment de nature à être porté à la connaissance d’autres Cabinets, que nous serions des premiers à étre renseignés à cet égard» (r. de Launay, 9 dicembre cit.). E poi, fu il silenzio. Solo a Vienna il Bismarck faceva comunicare, nel gnaio 1873, un’ampia relazione sui lavori della Conferenza, con una lett. all’ambasciatore von Schweinitz dove, però, si diffondeva solo sui legami fra ultramontanismo e Internazionale, fra rossi e neri, toccati già nella relazione (Ges. Werke, 6 c, pp. 32-33). . Su questo tentativo del ’71-72, rimasto senza esito concreto, ma che offrirebbe già i Grundzúge della più tarda politica sociale bismarckiana, secondo aveva annotato già il P OSCHIN GER , Aktenstücke zur Wirthschaftspolitik, cit., I, p. 165, n. 1, cfr. B. S EESERG, Bismarck und die Soziale Frage, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 59 (1940), p. 388 sgg. Un accenno, in O. Q UANDT, Die Anfänge der Bismarckschen Sozialgesetzgebung und die Haltung der Partenien. Das Unfallversicherungsgesetz 1881-1884, Berlino, 1938, p. 9. 1564 Per es., il ministro degli esteri portoghese, Andrade Corvo (e si tengan sempre presenti i legami fra la dinastia sabauda e quella portoghese per cui re Luigi s’era anche rivolto direttamente a Vittorio Emanuele, per aver notizie sul processo istruito a Roma contro l’Internazionale, r. Patella, 8 agosto ’73, ann. n. 201) diceva all’incaricato d’affari, Patella, di non aver alcun dubbio «che il Governo di Sua Maestà sia al fatto di quanto ha luogo in Italia ove, dalle informazione qui pervenute, pare che siano rivolti i più grandi sforzi della associazione Internazionale ... parecchi dei miei Colleghi mi hanno tenuto un identico linguaggio, poiché le loro informazioni pare coincidino perfettamente con quelle del signor de Andrade Corvo» r. Patella, 17 novembre 1873, n. 206. 1565 r. Cadorna, 28 luglio ’72, n. 320. Il Cadorna era stato avvertito già parecchio tempo prima che l’attentato sarebbe stato commesso, e ne aveva reso edotta la legazione di Spagna. L’incaricato d’affari, Maffei, ritorna il 2 settembre sulla questione, riferendo il racconto di Carlo De Dominicis sulle vicende dell’attentato (r. n. 340).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1566 Su di un attentato in preparazione contro lo zar di Russia, informa il ministro inglese a Roma, A. Paget, in una nota del 26 aprile ’72 al Visconti Venosta. 1567 rr. Cadorna, 31 dicembre 1872, n. 373, 24 e 31 gennaio, 10, 17 febbraio ’73, nn. 379, 380, 388, 392; min. Interno a Esteri, 9 gennaio ’73. 1568 Alternarsi nelle stesse persone, che si sfogano contro il comunismo e, ad un tempo, dicono di non temerlo in Italia. Cfr., p. es., E. M USATTI, La Proprietà, Padova, 1878 (memoria letta alla R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova), che da un lato tuona contro il comunismo, dall’altro afferma di non paventarlo in Italia, dove la proprietà si fraziona sempre di più (p. 29 sgg.). Il motivo della «non pericolosità» è, naturalmente, svolto dagli avvocati a difesa nei processi contro gli internazionalisti: cfr. p. es. la arringa dell’avo. F. S ARRI, nel processo di Trani del 1875 (La Internazionale innanzi alla sezione d’accusa di Trani, Barletta, 1875, p. 15). 1569 Scriveva il V IGNOLI, già collaboratore del Politecnico nel 1876: «Odesi tutto giorno dalle persone di ogni ordine e d’ogni ceto, tra quelli più agiati, lamenti e querimonie rispetto ai pericoli che ci sovrastano da parte della demagogia universale, e si paventa, si trema, s’impreca, o si pronostica il finimondo». Ma questi tali non fan poi nulla, aspettando la spada salvatrice di un arcangelo (Delle condizioni morali e civili d’Italia, cit., p. 96). Anche il Renan nel settembre 1874, trovava in Italia maggiori preoccupazioni di quei che avesse creduto, dopo i movimenti di Romagna. «La situation est moins bonne qu’il y a deux ans, et, si le roi venait à mourir, l’Italie courrait des dangers» R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, cit., p. 441. 1570 Così l’Aleardi, che nutre cupi presagi: «L’Europa, o presto o tardi, dovrà passare per una guerra sociale che sarà men nobile e più crudele della guerra servile che Roma passò. Spartaco almeno non conosceva il petrolio» Epistolario, cit., p. 309 (20 febbraio 1872). 1571 Nel processo di Roma, nel maggio 1875, per cospirazione ecc., su 10 imputati si ebbero 5 condanne a 10 anni di lavori forzati, e altre a 10 anni di reclusione (L’Opinione, 9 maggio). Prima della lettura della sentenza, l’imputato Giuseppe Bertolani ribatté: il P. M. «ci ha trattato da straccioni e da melma sociale. Noi siamo poveri ed onesti operai, della qual cosa ci sentiamo

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onorati». L’insulto «non può giungere infino a noi» (F. C O LACITO , L’Internazionale a Roma, Roma, 1875, pp. 125-126). Sulla sezione romana dell’Internazionale, cfr. F. D ELLA P E RUTA , Nuovi documenti sull’Internazionale in Roma, in Movimento Operaio, I, n. 2, novembre 1949, p. 38 sgg. 1572 Il motto, assai incisivo, del conte Roger du Nord, è riferito dal B ÜLOW, Memorie, IV, p. 476. Ma nella sua essenza è già implicito nei giudizi della stampa italiana nel ’71-72. Da una parte, furori anarchici, e dall’altra frenesie reazionarie: ecco la Francia» Il Diritto, 21 marzo 71 (Anarchia e reazione); e cfr. anche 23 marzo (La Francia giudicata da G. G. Gervinus) e 30 marzo (La Francia: pauroso dilemma della storia francese, anarchia e reazione). Da 80 anni la Francia si aggira in un circolo vizioso, tra insurrezione e dispotismi (La Riforma, 8 luglio ’71 e cfr. 2 luglio e 31 agosto; e, ancora, 13 luglio ’73). Il 3 gennaio del ’73 L’Opinione (La libertà del pensiero in Francia) osserva che non v’è paese che dia l’esempio di così frequenti contrasti come la Francia. Ora l’adorazione della libertà, ora il disprezzo di essa; ora la tolleranza più sconfinata, ed ora il più irragionevole dispotismo. Si passa da un estremo all’altro. Identici giudizi in altri giornali, di varia tendenza: così ne La Nazione dell’8 settembre 1870 (La Repubblica e la libertà). E cfr. anche nel F ERRARI «la nazione francese è mobile, irrequieta e capricciosa, esposta a trabalzi che oggi la rendono florida, all’indomani desolata» (La disfatta della Francia, p. 67). Giudizio simile nel Minghetti, nell’ottobre del ’70 «La Francia ... si trascinerà fra il dispotismo e l’anarchia» (Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 196). 1573 Si tenga presente che soprattutto nei primi anni il radicalismo di Gambetta spaventava i moderati (cfr. L’Opinione, 1° e 7 ottobre 1872). L’appello del discorso di Grenoble alle nouvelles couches sociales piace poco anche al Nigra (r. 5 ottobre 1872, n. 1924). 1574 Il quale Le Flô, conversando con il nostro incaricato d’affari a Pietroburgo, mostrandosi sempre molto preoccupato della questione sociale, propugnava risolutamente le repressioni sommarie (r. Marochetti, 6 agosto-’25 luglio 1871, n. 249). 1575 «... on a constaté une fois de plus le fait, combien il était malaisé à ces hauts fonctionnaires, à ces juriconsultes, de combiner quelque chose de pratique et de salutaire dans les mesures à adopter, soit en voce préventive, soit en voie

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répressive. Il est à craindre qu’on fasse des commentaires à pene de vue sur la légalité, sur les théories de l’économie politique, sur les droits et devoirs des patrons et des ouvriers, tandis que l’Internationale mettra à profit le temps pour étendre son organisation. Il faut encore espérer cependant que les Gouvernements s’écarteront de leur routine traditionnelle, et qu’ils se mettront en guerre ouverte avec une association, qui ne vise à rien moins qu’à renverser la société, la famille et la propriete, par tous les moyens révolutionnaires» (r. 26 febbraio 1872, n. 953, cit.). 1576 Sempre parlando dei lavori della commissione tedesca, il de Launay commenta, il 23 giugno (n. 1027): «Nous sommes donc bien éloignés encore du but à atteindre; il est même presque a douter que la solution du problème fasce un véritable progrès. Tant que le niveau de la moralité publique ne sera pas élévé, la meilleure garantie restera toujours celle de sévir aver énergie contre les abus, qui se commettent par les ouvriers aussi bien que par les patrons». 1577 «Le parlamentarisme, que je ne confonds pas aver le véritable et bon constítutionalisme, nous tuera, si ori ne lui oppose pas une digue». Questa, e le altre espressioni, in una lettera personale al Robilant, 7 marzo 1871 (AE, Carte Robilant). 1578 Dichiarazioni di Vittorio Emanuele al ministro di Francia, Choiseul (r. Choiseul, 21 aprile 1871, n. 95; AEP, C. P., Italie, t. 381, ff. 442-442 v.). E si vedano anche le dichiararioni fatte al Fournier (qui appresso, p. 790, n. 419). 1579 La Perseveranza, 6, 8, il settembre e 20 ottobre 1870. 1580 La Nazione di Firenze muta infatti radicalmente contegno: ancora il 17 agosto del ’70 riafferma i vincoli di gratitudine e di simpatia per Napoleone III e la Francia (La Storia); ma il 7 settembre dichiara che la proclamazione della Repubblica impone nuovi doveri agli Italiani, ammonendoli di nuovi pericoli. Nessun patriota italiano può volere in Italia «gl’influssi della Francia repubblicana e socialista». Si tratta di salvare la Patria e la società minacciate; da oggi noi siamo un popolo conservatore e sciolti dai vincoli di gratitudine a Napoleone III «non abbiamo, non vogliamo avere nulla di comune coi comitati di salute pubblica, colle repubbliche universali, coi falansteri e colle officine nazionali che la Francia già ci minaccia» (La Francia

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repubblicana; e cfr. 10 settembre, 13, 25, 29 settembre). Dopo la Comune, l’invocazione: siate antifrancesi, per mantenervi civili (26 maggio 1871; Parigi). E cfr. il Civinini, nella Nuova Antologia, XVII (maggio 1871), p. 48 sgg. 1581 Nel luglio del ’70, in fatti, l’accettazione era stata decisa «per aiutare la Spagna ad uscire d’imbarazzo e al primo annuncio della infelice domanda di garanzia contro il ritorno della candidatura Hohenzollern, parve a Lanza ed a me che l’accettazione del Principe potesse essere il contributo dell’Italia alla conservazione della pace europea» l. p. Visconti Venusta al Nigra, S luglio 1893 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). E cfr. E. M AYOR D ES P LANCHES, Re Vittorio Emanuele II alla vigilia della guerra del Settanta, in Nuova Antologia, CCLXXXIX, 16 aprile 1920, pp. 344-345. Questo, del servire la causa dell’Europa, la causa della libertà e dell’ordine, della sicurezza generale che voleva poi dire anche la sicurezza dell’Italia, fu la giustificazione ufficiale a cui il Visconti Venosta tenne fermo anche in Parlamento (cfr., alla Camera, il 18 marzo 1873, A. P., Camera, p. 5379). 1582 l. p. Visconti Venusta al de Launay, 18 ottobre 1870, già cit., con l’incarico di sentire Guglielmo I e il Bismarck (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Al governo italiano, quello spagnolo aveva fatto «sentire» che se il duca non accettava prima della fine dell’anno, la repubblica sarebbe stata proclamata in Spagna (ib., e Visconti Venosta al fratello Giovanni, 22-25 ottobre 1870; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Anche il Massari – bene informato di quel che pensassero i moderati – parla dei pericoli che derivavano alla causa monarchica, dopo il mutamento successo in Francia, come del motivo determinante nella decisione italiana (La vita ed il regno di Vittorio Emanuele II, n. ed., Milano, 1896, p. 525). 1583 Cfr. anche A. S TERN, Geschichte Europas seit den Vertràgen voti 1815 bis zum. Frankfurter Frieden von 1871, X, Coccarda-Berlino, 1924, p. 443. Questo stesso motivo, e cioè l’interesse «del principato dinastico in Europa, senza che la Spagna sarebbe stata repubblicana», con pericoli anche per il Portogallo, è sottolineato pure dall’Oldoini, ministro d’Italia a Lisbona. L’Oldoini vi aggiunge che così l’Italia si garantiva d«un’alleanza franco-spagnuola per la questione di Roma, pericolo certo se la regina Isabella fosse rimasta sul trono (?); e, soprattutto, che movente di Vit-

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torio Emanuele II era l’imitare l’antica politica dei Borboni di Francia, applicata all’Italia: in Italia, Spagna, Portogallo (?) sovrani sabaudi di sangue. Altissima politica, quella di Vittorio Emanuele (appunti di diario dell’Oldoini «Mio ritorno in Portogallo». AE, Carte Oldoini, cart. 6, fasc. IX). Ma queste ultime sono considerazioni dell’Oldoini, da altri certo condivise in Italia, ma totalmente estranee al pensiero del Visconti Venosta. L’Oldoini, padre della più famosa contessa di Castiglione, non era un’aquila: cfr. il giudizio, sprezzantissimo, del Cavour, Carteggio Cavour-Salmoni, cit., p. 115 e cfr. p. 116. 1584 l. p. Visconti Venosta a de Launay, sopracit. 1585 t. Visconti Venosta a Cerruti (Madrid), 27 ottobre 1870: «... la France malgré ses malheurs actuels, restera toujours la plus puissante voisine de l’Italie et de l’Espagne: il faut éviter, surtout à présent, d’avoir fair de ne pas tener compte de ses dispositions». Id. al Nigra (Tours), 28 otobre 1870: «... je mets un tel prix à ne pas m’engager officiellement dans cette affaire sans être sûr des dispositions de la France, que je vous prie de faire vous même une démarche confidentielle ... Voisine de l’Italie et de l’Espagne, la France pourrait ne pas étre indifférente au choix du Roi d’Espagne. Nous désirons donc avant tout nous assurer et pouvoir constater au besoin que les trois puissances latines qui commandent la Méditerranée ont procedé d’accord dans cette occasion». E cfr. t. 29 ottobre al Cerruti, in cui si esprime la soddisfazione per l’adesione della Francia. Il governo di Tours, nella sua risposta, si attenne alla stessa formula di cui già s’era servito nei riguardi del governo di Madrid, al quale spettava sondare ufficialmente le grandi potenze: ci si rimette alla volontà del popolo spagnuolo; fra tutte le candidature, quella del duca d’Aosta «nous convient’ le mieux» (AEP, C. P., Italie, t. 379, ff. 327 v., 328, 329-30, 334). 1586 Visconti Venosta al fratello Giovanni, 22-25 ottobre 1870 Cit. (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). E cfr. le sue dichiarazioni al D E C ESARE, Il conte Giuseppe Greppi e i suoi ricordi diplomatici (1842-1888), Roma, 1919, p. 202: dove però non è minimamente accettabile, e dev’essere frutto di una’ svista del De Cesare, che anche la Germania (leggi Prussia) premesse insistentemente – con l’Inghilterra e l’Austria – perché il duca accettasse. 1587 l. cit.; e altra sempre al fratello del 1° novembre: «II Duca d’Aosta che ha una gran voglia della Corona di Spagna, ognuno

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i suoi gusti, ha definitivamente accettato» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Prima, invece, il duca aveva dimostrato decisa riluttanza (M AYOR D ES P LANCHES, l. c.; M ASSARI, op. cit., pp. 525 e 544). 1588 La Perseveranza, 18 ottobre ’70 (Il duca d’Aosta Re di Spagna). L’art. è del Bonghi. 1589 «Le peuple prend de plus en plus conscience de cette formule qu’il faut qu’il alt un ’89, c’est-à-dire qu’il fasse à la bourgeoisie ce que le bourgeoísie a fait à la noblesse. Il est certain que la bourgeoisie avait eu tort de croire au caractère absolu de son idéal; mais il est certain aussi que ces idées, poussées au summum de la logique, aboutissent à la décomposition de la société» (Renan Berthelot, 1° novembre 1896, R ENAN -B ERTHELOT, Correspondance, p. 355). E sono preoccupazioni che possono dirsi comuni a molti anche dei moderati italiani. 1590 Dell’insurrezione di Milano, cit., p. 293. 1591 Cfr. E. D OLLÉANS, Proudhon, Parigi, 1948, pp. 408409. Evidentemente sono diversi i motivi di Sorel e quelli di Proudhon, per il quale la ricostituzione delle nazionalità non era che un diversivo dei retrogradi contro la rivoluzione sociale. Proprio in Italia, l’unità è voluta dalla borghesia per fare i propri affari e «s’engraisser»: cfr. anche M. A MOUDRUZ, Proudhon et l’Europe, Parigi, 1945, p. 81. 1592 G. Mosca, I fattori della nazionalità, in Rivista europea a. XIII, vol. 27, fasc. IV (16 febbraio 1882), pp. 708-709, 720. 1593 Lettre à Monsieur Strauss, l. c., p. 183. 1594 Per il Bonghi e la sua irriducibile avversione alla Germania e alla Triplice, oltre il M ATURI, La politica estera di R. Bonghi; cit., cfr. anche F. D’Omno, L’avversione di Ruggiero Bonghi alla Triplice Alleanza, Campobasso, 1915. 1595 Tipica l’evoluzione de Il Diritto, che deciso sostenitore dell’alleanza germanica fra il ’71 e il ’76, muta poi registro. Già il 15 settembre 1874 dichiarava: «Noi non siamo più nemici della Francia che amici della Germania. Abbiamo approvato ed approveremo sempre la politica anticlericale del principe di Bismarck». Abbiamo combattuto invece la politica francese perché reazionaria e clericale. «Se ... il Governo tedesco diventasse clericale e...il Governo francese prendesse a combattere

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gli oltramontani, anche noi muteremmo linguaggio» (La politica del Governo francese). Il 7 marzo 1876 esprime la sua meraviglia per il fatto che nel discorso della Corona del giorno innanzi si sia parlato della Germania e dell’Austria e non della Francia «ora appunto che questa nazione, costituitasi definitivamente a repubblica, ... mostra di voler seguire verso l’Italia una politica sinceramente benevola, una politica affatto anticlericale» (Il discorso della Corona). Infine il 1° gennaio 1878 saluta Gambetta, leale amico dell’Italia e difensore di tutte le libertà, aggiungendo che «quali che siano le conseguenze delle evoluzioni dei partiti [in Italia], tutti però sono unanimi nel considerare l’Italia come amica naturale della Francia» (L’on. Gambetta in Italia). L’Italia «amica naturale» della Francia: qual mutamento dal linguaggio tenuto fra ’70 e 74’ Sin dal 13 settembre 1870 la Germania era, per Il Diritto, l’alleata «naturale e permanente» dell’Italia (La pace). 1596 l. p. Visconti Venosta a de Launay, 7 marzo 1871 (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fasc. 2 cit. 1597 Farini a Cairoli, 1° giugno 1878 (MRP, Carte Cairoli, pacco 31). La chiusa della lettera è anch’essa rivelatrice di come la questione romana pesasse su tutto il giudizio «... se un giorno cessi, e lo potrebbe presto, la lotta fra la Germania ed il Papato, io vedrei dileguarsi uno dei più importanti punti di contatto, di affinità, di simpatia fra noi ed il potente impero». 1598 Carteggio, cit., II, p. 205. 1599 Nove anni di storia di Europa, cit., II, p. 357 (31 luglio 1870) 1600 3 gennaio 1877, da Pietroburgo (BCB, Carte Minghetti, cart. XX, fasc. 73). 1601 T OMMASEO, Colloqui col Manzoni, Firenze, 1929, p. 143. 1602 Lo osservava, già nel 1877, l’amb. austriaco, Haymerle: «La politique étrangère [de l’Italie] est dominée par l’Allemagne, les condittons intérieures de l’Italie subissent l’influence de la France» (r. Haymerle, 22 dicembre 1877, n. 76 A; Saw, P. A., XI/86). E lo Artom scriveva al Nigra, il 23 novembre 1888: «Qui continuiamo a far della politica radicale alla francese all’interno e teutonica all’estero» (AE, Carte Nigra).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1603 Tra il 1870 e il 1880, infatti, gli scambi commerciali italo-tedeschi erano assai modesti, inferiori a quelli italofrancesi, italo-inglesi, italo-austriaci di gran lunga – e perfino italo-svizzeri e italo-russi – (C ORBINO, Annali dell’economia italiana, Città di Castello, II, 1931, pp. 163-64). Considerevole aumento fra il 1881 e il 1890, soprattuto dopo il 1887 (ib., III, pp. 188-89), grazie anche alla rottura commerciale fra Italia e Francia; e tra il 1881 e il 1900 la Germania è già in primissimo piano negli scambi con l’Italia (ib., IV, p. 182); e ancor più dopo il 1900 (ib., V, p. 210). 1604 Cfr. M EINE, op. cit., p. 31; S. G ORIAÏNOV, Le Bosphore et les Dardanelles, Parigi, 1910, pp. 193-95; K. R HEINDORF, Die Schwarze Meer (Pontus)-Frage, 1856-1871,, Berlino, 1925, pp. 100 e 107. 1605 La Perseveranza, 21 febbraio (La politica inglese) e 1° marzo 1871. I due articoli sono del Bonghi. 1606 Discorsi Parlamentari, II, p. 481 (discorso alla Camera il 10 marzo 1881). 1607 l. p. 9 giugno 1881 al Mancini. I rapporti fra Roma e Pietroburgo sono «eccellenti e cordiali» ma senza alcun impegno reciproco, che non v’è e non vi è mai stato. In generale, non vi sono interessi divergenti; le due nazioni «sono chiamate ad essere amiche e lo sono». (A RCH . D E V ECCHI). Sull’inesistenza di qualsiasi accordo segreto fra Italia e Russia fra il 1876 e il 1882 – e pure se ne era molto favoleggiato nella stampa, fra il ’77 e il 78 – il Nigra ritorna nel r. riserv. 1° febbraio 1888 (AE, Cas. Verdi, 16, fasc. 1). 1608 Cfr. qui appresso pp. 755-56, n. 186. 1609 Di questo, e cioè dell’atteggiamento del governo italiano alla Conferenza di Londra del 1871, si tratterà ampiamente nel secondo volume di quest’opera [L’A. si riferisce al volume che avrebbe dovuto far seguito a questo delle Premesse. N.d.E.]. Cfr. già qui sopra pp. 106-107. 1610 Cfr. L ECATUS (pseud. di R. C ANTALUPO), Vita diplomatica di Salvatore Contarini, Roma, 1947, passim. 1611 Si veda come pe: l’Engels, nel marzo 1871, la Russia si preparasse alla guerra, guerra di conquista (anche come diversivo alle difficoltà interne), Notes ... , cit., p. 300 sgg. e cfr. anche p. 197.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1612 C ONSTANT, prefazione alla la ed. De l’esprit de conquéte et d’usurpation, l. c., II, p. 131. 1613 B ALBO, Delle speranze d’Italia, c. IX (ed. cit., pp. 93-94). 1614 Nel 1840, riportate dal M ICKIEWICZ, in L’idea polacca e l’idea russa (Gli Slavi, Torino, 1947, p. 291). 1615 Cfr. B. C ROCE, Russia ed Europa, in Pensiero politico e politica attuale, Bari, 1946, p. 52. 1616 Così il M ARSELLI, Gli avvenimenti del 1870, p. 90. 1617 Cfr. F. V ALSECCHI, L’Alleanza di Crimea, cit., pp. 450-51. 1618 Mémoire sur les derniers évenements de l’Orient (1844), ripubbl. di seguito alle Speranze d’Italia, ed. cit., p. 495. Questo Mémoire, che propugna un’alleanza anglo-franco-austropiemontese, prepara l’atteggiamento del Cavour. Per l’atteggiamento del Balbo di fronte alla Russia cfr. anche ib., p. 499 e Delle speranze d’Italia, c. IX, pp. 102-103, dov’è da notare la gran somiglianza addirittura di immagine con il discorso del Cavour alla Camera il 6 dicembre 1855. Per il pensiero del Gioberti, anch’egli contrapponente Russia ed Europa come servaggio contro libertà, barbarie contro gentilezza, cfr. Primato, ed. Losanna, 1946, II, p. 129. E cfr. in genere E. R OTA, La partecipazione di Cavour alla guerra d’Oriente nei suoi precedenti ideali, in Studi in onore di Gino Luzzatto, cit., III, p. 149 sgg.; e anche D. V ISCONTI, La concezione unitaria dell’Europa nel Risorgimento, Milano, 1948, pp. 127, 155. 1619 Cfr. Il Risorgimento, 4 gennaio, 28 marzo, 23 maggio 1848 1620 Per l’apprezzamento che il Cavour faceva dell’appoggio russo, cfr. Lettere, VI, pp. 337 e 339-440; Il Carteggio CavourNigra, I, Bologna, 1926, pp. 174 sgg., 237-38; II, p. 117. Anche il Visconti Venosta riconobbe che «la Russia favorì piuttosto che osteggiare la nostra indipendenza ed unità: l’ostilità sua coll’Austria giovò a noi e potrebbe giovare in appresso» (nelle istruzioni al Cadorna per la conferenza di Londra, 28 dicembre 1870; AE, Missioni all’estero,, cart. 2). Anche nelle istruzioni al Barbolani, nuovo ministro a Pietroburgo, il 16 gennaio 1875: «...è noto che la Russia contribuì efficacemente, d’accordo con

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la Francia, al riconoscimento del Regno d’Italia per parte delle altre Grandi Potenze». (AE, reg. Istruzioni [1875-1882], n. 22). Per l’incontro di Varsavia, nel 1860, fra Alessandro II e Francesco Giuseppe, e le sue conseguenze vantaggiose per l’Italia, cfr. L. S ALVATORELLI, Prima e dopo il Quarantotto, Torino, 1948, p. 153. Soprattutto cfr. l’importante articolo di P. S ILVA, I rapporti fra il piemonte e la Russia prima dello scoppio della guerra del 1859, in Nuova Antologia luglio 1945, p. 247 sgg., basato su documenti russi inediti. Di fatto, ancora più tardi, nella grave crisi dopo Mentana, quando in Europa parecchi credettero probabile lo sfasciarsi dell’unità italiana, l’atteggiamento russo fu nettamente amichevole, certo molto più di quello inglese: si vedano le dichiarazioni del Gorciacov al principe di Reuss, sull’interesse russo all’unità d’Italia, al rafforzamento e non all’indebolimento dell’Italia, sulla «calda» amicizia dell’Italia. (Die auswärtige Politik Preussens, cit., IX, pp. 615-16. Per lìatteggiamento inglese, pp. 595-596.) Per le forti simpatie nella società russa verso l’Italia, cfr. la lett. di Adelaide Ristori al Cavour, il 4 aprile 1861, pubbl. da C. T UMIATI, ne Il Ponte, IV (1848), p. 1138. 1621 E. A RTOM, L’opera politica del senatore E. Artom nel Risorgimento Italiano, cit., p. 361. Per l’Artom, le dichiarazioni del Cavour sulla necessità dell’intervento piemontese in Crimea a fine di impedire l’avanzata russa su Costantinopoli, erano dichiarazioni ad uso pubblico: scopo vero, spezzare l’alleanza austro-russa (ib., p. 347 sgg.). 1622 Cfr. anche nel Cattaneo l’avversione all’autocrate russo e al «principio asiatico dell’arbitrio militare» (Epistolario, ed. Caddeo, cit., I, p. 356 e cfr. 450). Per Andrea Luigi Mazzini la Russia era «una potenza direttamente nemica della missione liberale dei popoli europei» cit. in M ORANDI, L’idea dell’unità politica d’Europa, cit., p. 51. 1623 Che in Europa il giudizio dei Russi fosse generalmente e sostanzialmente questo, osserva a più riprese il DOSTOIEVSHIJ, Diario di uno scrittore, cit. pp. 434, 642, 821. E cfr. infatti, per scegliere testimonianze di diverso genere, Rattazzi et son temps, II, p. 486; D.D.F., serie 1ª, II, p. 319; G. Boglietti, l’autocrazia e il nihilismo russo, in Nuova antologia, LVII (1881), p. 385. Ancora nel 1898 Paul Cambon scriveva: «Le vrai Russe... est plus loin de nous que le Turc ou le Chinois. Nous jugeons la Russie sur une petite aristocratie aux apparences civili-

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sées mais quelles désillusions nous réserve notre engouement!» (Correspondance, I, Parigi, 1940, p. 446). 1624 Avvertiva il Dostoievskij che Anna Karenina poteva essere la gran prova che l’Europa culturale chiedeva alla Russia (op. cit.. p. 680). 1625 La dimostrazione della falsità del testamento – già sostenuta nel 1863 dal Berkholz – fu data dal Bresslau nel 1879 (Das Testament Peter’s des Grossen, in Historische Zeitschrift, 41 «1841», p. 385 sgg.). 1626 Questo art., Testamento di Pietro il Grande, pubbl. ne L’Italia, nel 1864, fu attribuito dal Ferrarelli al De Sanctis e pubbl. negli Scritti politici di lui (p. 3 sgg. Lo scritto, secondo mi hanno assicurato Benedetto Croce e Nino Cortese, non è, invece, del De Sanctis, anche se, pubblicato come fu nel giornale suo, debba ritenersi non contraddicente, anzi conforme alle sue idee). Baluardo contro la Russia, sarà l’unità germanica. . La propaganda pansalva è un altro elemento su cui la Russia può contare, oltre che sull’esercito e sulla flotta, e ad esso non si pone l’attenzione che merita (L’Osservatore Romano, 26 luglio 1872, Rivista Politica). 1627 Quartetto, pp. 11-13. 1628 Cfr. G. B OGLIETTI, Nihilisti e slavofili, in Nuova Antologia, LVIII (1881), p. 255. 1629 Op. cit., p. 315 sgg. 1630 In un articolo della Gazzetta di Mosca alla vigilia del Congresso panslavista del 1867 (B OGLIETTI, l. c., p. 242). Su questo e sulla cosiddetta Bibbia del panslavismo, e cioè l’opera di Nikolaj Danilewskij, Russia ed Europa, cfr. K. S TÄHLIN, Geschichte Russlands von den Anfängen bis zur Gegenwart, IV, 1, Königsberg-Berlino, 1939, p. 264 sgg.; B. H. S UMNER, Russia and the Balcans,1870-1880, Oxford, 1937, pp. 56 sgg., 76 sgg. 1631 Op. cit., pp. 649 e 806. 1632 r. del console a Fiume, Seyssel di Sommariva, 10 febbraio 1871. 1633 Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, cit., p. 211. Per Crispi, cfr. Politica estera, cit., I, p. 287, dove, per una volta tanto, Crispi si appella al Cavour (alleanza di Crimea).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1634 Lett. al Greppi del 29 dicembre 1886 (in D E C ESARE, il conte Giuseppe Greppi e i suoi ricordi diplomatici, cit., p. 241). 1635 B ALBO, Delle speranze d’Italia, c. IX (ed. cit., pp. 103-104); Meditazioni storiche, pp. 536-37. 1636 B ALBO, Meditazioni storiche, pp. 518-19. 1637 Veramente, già prima le idee di Cesare Balbo avevano ispirato tentativi – almeno – della politica ufficiale italiana: così tra ’63 e ’65, la soluzione della questione veneta era stata cercata, dapprima, per via di accordi con l’Austria, a cui avrebbero dovuto andare i Principati Danubiani (cfr. P. S ILVA, Il sessantasei, Milano, rist., 1919, pp. 220, 32 sgg.). 1638 La Perseveranza, 14 giugno 1871 (Le tribolazioni dell’Austria). 1639 La Perseveranza, 17 giugno 1871. 1640 Questa idea è da motu espressa, per es., all’inizio stesso del 1878 (r. Haymerle, 19 gennaio 1878, n. 8 A; Saw, P. A., XI/87). 1641 Queste dichiarazioni il Robilant faceva in conversazioni con gli amici intimi (R. C APPELLI, Il conte Carlo Nicolis di Robilant, in Nuova Antologia, CLXXI, 1° giugno 1900, p. 392). Il Robilant era convinto che una vittoria in guerra dell’Italia sull’Austria «potrebbe essere lo sfacelo di quella vecchia Monarchia che credo non andare errato, confortato d’altronde dall’opinione ripetutamente espressa da eminenti ingegni italiani, dicendo avere noi ogni interesse a conservarla in vita, onde mantenga lontano da noi il pangermanismo ed il panslavismo, la cui contiguità ci sarebbe ben altrimenti pericolosa». Perciò, il Trentino sl, ma in conseguenza e come prezzo di una solida e duratura alleanza italo-austriaca (r. 3 ottobre 1878, pubbl. in Rosi, L’Italia odierna, cit., vol. II, t. II, p. 1767). 1642 Ancora da ultimo la recisa opposizione dell’Avarna e del Bollati all’intervento dell’Italia in guerra a fianco della Triplice Intesa, fu determinata – oltre che dal ritenere preminenti per l’Italia i problemi del Mediterraneo, e non la questione «sentimentale«di Trento e Trieste – proprio dalla convinzione della indispensabilità dell’impero asburgico per l’equilibrio europeo, e dai umori dell’avanzata slava verso Occidente (cfr. il carteggio fra i due ambasciatori, pubb. da C. A VARNA D I G UAL -

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 TIERI , Il carteggio Avarna-Bollati. Luglio 1914-maggio 1915, in Rivista Storica Italiana, LXI «1949», pp. 249, 262-63, 389 sgg., LXII «1950», pp. 380, 391). 1643 Riprendo un’immagine del S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1925, p. 209, che ha già perfettamente delineato il carattere della politica italiana verso l’Austria e il persistere dei progetti alla Balbo, ivi, pp. 60 sgg., 210. 1644 Discorsi Parlamentari, V, pp. 260-6I (24 aprile 1872). 1645 S ANDONÀ, op. cit., I, pp. 124-25. 1646 Questo pensavano Tornielli e Pansa (Diario Pansa, sub 31 dicembre 1882). 1647 È concetto, questo, ripetutamente espresso dal Visconti Venosta (l. p. Robilant a Visconti Venosta, 28 aprile 1875; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1648 Carteggi Verdiani, III, p. 98. 1649 Un esempio tipico, nel 1890, quando il Crispi pensò che l’atteggiamento del governo di Vienna nei riguardi della Pro Patria di Trento e della Dante Alighieri potesse dipendere anche «dalle ispirazioni del Vaticano»: al che il Nigra lo supplicava, per carità «di non vedere i Gesuiti là dove proprio non ci sono». Non era questione di clericalismo, ma di irredentismo (C RISPI, Questioni Internazionali, pp. 126, 127, 128, 131). 1650 Su questo interessante episodio, cfr. il preciso studio di M. T OSCANO, L’Italia e la prima conferenza per la pace dell’Afa del 1899, in La Comunità Internazionale, IV (1949), p. 245 sgg. 1651 Contro questi timori, si veda l’art. di H. V ON S YBEL, pubbl. nella Fortnightly Review, 1° gennaio 1871, e poi, col titolo Das neue deutsche Reich, in Vorträge und Aufsätze, Berlino, 1874. 1652 M EINE, op. cit., pp. 55-56 (200.000 copie vendute fra maggio e dicembre). 1653 G ARIBALDI, Scritti e Discorsi Politici e Militari, cit., III, pp. 92-93. 1654 N OVICOV, La missione dell’Italia, cit., p. 288 sgg. 1655 L’Opinione, 19 settembre ’72 (II tribunale di Ginevra) Sull’importanza della decisione dei due Stati di adire un tribunale internazionale cfr. pure 11 e 17 febbraio (La quistione dell’Alabama; La risposta dell’Inghilterra). Pienamente favore-

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vole all’arbitrato internazionale il giornale si dimostra anche il 20 luglio ’73 (L’arbitrato internazionale). Per le discussioni in Europa sul problema cfr. T ER M EULEN, op. cit., II, p. 89 sgg. 1656 Cfr. M ATURI, Ruggero Bonghi e i problemi di politica estera, cit., p. 416 sgg. 1657 Il Diritto, 14 settembre 1872 (L’Italia all’arbitrato di Ginevra). 1658 T ER M EULEN, op. cit., II, p. 45 sgg. Al Richard venne offerto un banchetto a Milano, il 12 dicembre 1873; qualche mese dopo vi veniva festeggiato pure il Lemonnier, vice-presidente della Lega della Pace di Ginevra (M AZZOLENI, op. cit., p. 461 sgg.). 1659 Discorsi Parlamentari di P. S. Mancini, IV, p. 233 sgg. (In A. P., Camera, pp. 33-36, anche il discorso del Visconti Venosta e del relatore Boselli). Uno dei più ferventi propugnatori dell’arbitrato fu allora Benedetto Castiglia (cfr. lett. al Minghetti, 29 agosto e 19 ottobre 1873, BCB, Carte Minghetti, cart. 39). L’anno appresso A. T URCOTTI pubblicava la sua Introduzione al Nuovo Codice del diritto delle genti (cfr. T ER M EULEN, op. cit., II, p. 113 sgg.). 1660 Della economia pubbica, cit., p. 494. 1661 Questi e altri dati sulla vita italiana sono desunti dalla pubbl. ufficiale nella Direzione di Statistica del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, L’Italica economica nel 1873, 2ª ed., Roma, 1874. 1662 H ANOTAUX, op. cit., II, p. 512 (ivi, altri dati sulla vita francese). 1663 Si tenga sempre presente che, nel 1860, nel Mezzogiorno su 1848 comuni 1621 mancavano di strade e quasi tutti di fontane (N ISCO, Storia civile del Regno d’Italia, Napoli, 1890, V, p. 86); che v’erano soli 125 km. di ferrovie (niente nelle isole), in confronto degli 850 km. del Piemonte-Liguria, dei 607 del Lombardo-Veneto, dei 149 di Parma e Modena, dei 323 della Toscana, dei 132 dello Stato Pontificio (F. T AJANI, Storia delle ferrovie italiane, Milano, 1939, p. 69). È vero che subito dopo il ’61 s’era dato inizio alla costruzione delle grandi arterie del Mezzogiorno: la Ancona-Brindisi, la Pescara-Sulmona, la Napoli-Foggia (ib., p. 70 sgg).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1664 Discorsi Parlamentari, III, pp. 324-26. Minore l’aumento delle strade provinciali e nazionali, da 22.493 chilometri nel 1863 a 27.217 nel 1870. Cfr. per questi ed altri dati: C ORBINO, Annali dell’economia italiana, cit., I, Città di Castello, 1931, pp. 180 e 193; II, pp. 222 e 239; anche E. L ÉMONON, L’Italie économique et sociale (1861-1912), Parigi, 1913, p. 23 sgg.; e il quadro riassuntivo delle ferrovie italiane, dal 1839 al 1884, in I. S ACHS, L’Italie. Ses finances et son développement économique depuis l’unification du royaume, 1859-1884, Parigi, 1885, p. 993. 1665 Per il periodo ’61-70 invece, che fu periodo assai più critico e perfino, in certo modo, di arresto e di crisi, cfr. l’acuta disamina di G. L UZZATTO, Storia economica dell’età moderna e contemporanea, II, Padova, 1948, p. 350 sgg. 1666 Cfr. C ORBINO op. cit., I, pp. 201 sgg., II, p. 222 sgg. 1667 S ACHS, op. cit., p. 793. Leggere variazioni di dati in S ELLA, esposizione finanziaria del 12 dicembre 1871, Discorsi Parlamentari, III, pp. 320-21; L ÉMONON, Op. cit., pp. 33-34; V. P ORRI, L’evoluzione economica italiana nell’ultimo cinquantennio, Roma, 1926 (nell’opera I Cavalieri del Lavoro 1901-1926, p. 325). E cfr. C ORBINO, op. cit., I, pp. 121-23, II, p. 149. 1668 Questo progresso era apertamente riconosciuto dagli stranieri, giornalisti e diplomatici: p. es. il 15 dicembre 1871 l’incaricato di affari austro-ungarico presso il Quirinale, conte Zaluski, osservava, a proposito del bilancio italiano per il 1872: «si le trésor est loin de présenter un aspect très satisfaisant, la richesse publique se trouve en voie de progrès» (SAW, P. A., XI/78, n. 79 B). Nel journal des Economistes del dicembre 1872 L. S IMONIN tesseva un grande elogio del «meraviglioso» sviluppo economico italiano (L’Italie en 1872. Ses progrès et sa transformation, pp. 9, 23, 27 dell’estratto, 2ª ed., Parigi, 1873). E cfr. le giustissime osservazioni del R OSSELLI, L’opera della Destra, in Saggi sul Risorgimento e altri scritti, cit., p. 217 sgg. 1669 H ANOTAUX, op. cit., II, pp. 505-507. 1670 S ACHS, op. cit., p. 656. 1671 Secondo il Pantaleoni, la ricchezza degli Italiani ammontava, nel 1884, a poco più di 48 miliardi, pari a circa 1660 lire a testa, mentre quella dei Francesi oscillava, secondo le diverse valutazioni, fra i 160-170 e i 215-220 miliardi, comunque

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sempre più di tre volte tanto (M. P ANTALONI, Dell’ammontare probabile della ricchezza privata in Italia, in Rassegna Italiana, 1884, vol. IV, pp. 232-33 e 242). Secondo il C OPPOLA D’A N NA , il reddito medio italiano era, nel 1870-76, di 94 unità internazionali mentre era di 235 in Francia, di 197 in Germania, di 295 in Gran Bretagna: saliva nel 1877-85 a 117 in confronto a 256, 225, 348 rispettivamente (Popolazione reddito e finanze pubbliche dell’Italia dal 1860 ad oggi, Roma, 1946, pp, 49 e 67). 1672 M INGHETTI, Discorsi Parlamentari, V, p. 349. Cfr. A. P LEBANO, Storia della finanza italiana, Torino, 1899, I, p. 423. I dati per questi anni sono, come è noto, tutt’altro che omogenei e sicuri: di qui le variazioni, anche notevoli, nelle cifre riportate dai vari studiosi, p. es., dal Sachs o dal Lémonon o dal Corbino. 1673 F. A. R APACI, Il bilancio dello Stato italiano dalla unificazione ad oggi (1862-1934-35), in Rivista di Storia Economica, II (1937), p. 148 (tab. II). La cifra è minore nei rendiconti (ib., p. 141, tab. I; e cfr. Il bilancio del regno d’Italia negli esercizi finanziari dal 1862 al 1907-1908, a cura della Ragioneria generale dello Stato, Roma; 1909, pp. 134-35). 1674 C ORBINO, op. cit., I, p. 272, II, p. 327. Fino al ’68, invece, le entrate superavano, per il complesso dei Comuni, le spese: donde il giudizio che lo Stato, per raggiungere il pareggio della propria finanza, avesse messo a soqquadro quella dei Comuni (ib., I, p. 270). Anche i bilanci delle Provincie andavano gradatamente verso il dissesto (ib., II, p. 333). 1675 L’Opinione, 11 agosto ’71 (Il ritorno della fiducia); e cfr. il quadro statistico in C ORBINO, op. cit., II, p. 323. 1676 La media dell’aggio nel ’67 era stata di 7,81; nel 1873 sarà di 14,21% (L ÉMONON, op. cit., p. 18). 1677 Cambio medio su Parigi nel ’71, 105,44; nel ’73, 112,44 (L ÉMONON, op. cit., p. 18, n. 1). 1678 Con la solita acutezza lo notava sin d’allora il B ORGHI: «... oggi hanno perduto valori certi princìpi ideali, che hanno negli anni scorsi creato un certo vincolo comune di simpatia tra popolo e popolo, sicché la dignità e la coerenza dei partiti liberali è consistita nel professarli a dispetto d ’ogni apparenza di contrario interesse. Oggi, non basta, che una nazione parli di rivendicare il diritto suo, perché trovi aiuto, non diciamo di mano, ma neanche d’augurio; e alla libertà stessa si offre un culto meno spassionato...» Rassegna Politica del 1° novembre

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1871, in Nuova Antologia, XVIII (1871), p. 679. E. cfr. C ROCE, Storia d’Europa, cit., p. 254 sgg. 1679 Per simili considerazioni, frequenti in Europa, cfr. i rapporti Bernstorff a Bismarck, 6 gennaio 1868 (scetticismo inglese sulla vita futura dell’Italia, sulla «Kraft und Lebensfähigkeit» quindi sul «Bestand des einheitlichen Italiens»); e Reuss a Bismarck, 17 gennaio 1868 (desiderio russo che sia evitato uno smembramento ‘Zerstückelung’ dell’Italia). E cfr. Bismarck e Usedom, 2 febbraio ’68: il capo del governo prussiano non condivide le preoccupazioni e gli apprezzamenti anglo-russi, ritiene esagerati quei timori e crede che l’unità italiana è troppo fondata su di un profondo e reale bisogno della Nazione per esser così facilmente messa di nuovo da parte; ma anch’egli riconosce che: il processo di consolidamento interno non ha fatto quei progressi che gli amici dell’Italia si auguravano e che il primo interesse dell’Italia è «vor allem sich in sich selbst zu kräftigen, seine Einheit zu konsolidieren... die Finanzen zu regeln...». E, ancora, il dispaccio, sempre allo Usedom, del 9 marzo ’68, già in tono di assai minor simpatia per l’Italia (Die auswärtige Politik Preussens 1858-1871, IX, cit., pp. 595-96 615-16, 653-54, 771-74). È vero che s’era dopo Mentana; ma il pessimismo sull’Italia non fu solo di quel particolare momento. 1680 Così, Francesco Ferrara, nel gennaio 1866 (cit. in L UZ ZATTO , op. cit., p. 351). 1681 R OSSELLI, L’opera della Destra, l. c., p. 217; L UZZAT TO , op. cit., p. 355. 1682 L’espressione è del Giolitti, che lavorò appunto a quell’unificazione sotto il Sella (G IOLITTI Memorie della mia vita, I, Milano, 1922, p. 17. Per altre manchevolezze dell’amministrazione, cfr. anche lett. Sella a Perazzi, nel 1872, in Epistolario inedito di Q. Sella, cit., p. 259). Fino al ’72, in alcune regioni si riscuoteva direttamente, in altre col sistema degli appalti: e le conseguenze per l’erario non erano piacevoli. Anche nella riscossione e ripartizione dei dazi consumo, estrema varietà di criteri a seconda delle regioni (C ORBINO, Annali dell’economia italiana, cit., I, pp. 225-26. E cfr. anche, in genere, M AZZOLENI, op. cit., p. 289 sgg). 1683 Epistolario del duca Michelangelo Caetani di Sermoneta, Firenze, 1902, I, pp. 80, 107-108, 112, 118, 125, 128, 137-39 ecc. (lett. al Circourt del 1871, 1872, 1873, 1874).

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ib. p. 141 (22 novembre 1874). Cfr. la polemica del Diritto a questo riguardo: Il patriottismo dei capitali italiani e l’imprestito francese (22 luglio ’72); L’aggio cresce... (26 luglio); L’imprestito francese in Italia. Avvertimento agli Italiani (28 luglio). Il 1° agosto il giornale si rallegra che in Italia non si siano sottoscritti più di 620 milioni. 1686 P ESCI, op. cit., p. 161; N EGRO, op. cit., pp. 131 e 140. 1687 Questo fatto è categoricamente affermato dal Farini, che, presidente della Camera, fu pregato dal Minghetti di evitare la commemorazione funebre del Caetani in Parlamento, appunto perché non saltasse fuori la ritrattazione (Diario, cit., I, pp. 282-83, ed ancora pp. 669, 710, 712). 1688 Si rammenti che, deputato, prima si dimise, poi passò con la Sinistra, malcontento di come andavano le cose. L’Amari lo giudicò una degli uomini più dotti, vivaci e originali che conoscesse, piacevolissimo al conversare, cortesissimo «ma assolutamente pessimista ne’ suoi giudizi su le cose che lo interessano da vicino o da lungi» (Carteggio, III, pp. 347-48). 1689 Lo stesso Artom, Segretario Generale agli Esteri, che all’inizio del ’74 si adoperava per cercar di raccogliere in uno stesso Ministero il Sella, il Visconti Venosta e il Minghetti, come la sola combinazione che avrebbe potuto dar vere garanzie di serietà e di durata, annotava sconfortato, di fronte alla «confusione dei partiti» e agli intrighi: «intanto l’aggio cresce, il disavanzo non diminuisce, la rendita ed il credito pubblico ne soffrono. Dio ce la mandi buona» (al Nigra 5 febbraio 1874, AE, Carte Nigra). 1690 Epistolario, cit., p. 139. 1691 L’Opinione, 4 luglio ’71 (La nuova Roma). 1692 Questo è stato visto benissimo dall’O RIANI, che ha celebrato giustamente il Sella (La lotta politica in Italia, cit., III, p. 243 sgg.). 1693 S ILVIO S PAVENTA lo aveva avvertito sin dal 1867 «In politica, questione unica: la finanza» (Lettere politiche ‘18611893’, cit., p. 108). 1694 Lo narra il Sella stesso al Lanza, in una lettera del 6 luglio ’71 (Le carte di G. Lanza, cit., VII, p. 141). 1684 1685

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1695 L’aneddoto è ricordato dall’on. Pisanelli nel discorso elettorale tenuto a Taranto l’8 ottobre 1874 (cfr. L’Opinione, 14 ottobre ’74). 1696 L’Opinione, 29 gennaio 1874 (La quistione politica). Dati i legami tra L’Opinione ed il ministero degli Esteri, la notizia è sicura; ed è confermata nuovamente dall’Opinione del 30 aprile, con l’aggiunta del consiglio sugli armamenti (Le spese militari in Italia). 1697 Dichiarazioni Bismarck al Keudell, ministro germanico a Roma, da questi riferite al de Launay (l. p. de Launay al Visconti Venosta, 10 settembre 1874, ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 8, fasc. 3). 1698 E si può anche aggiungere il Thiers, il quale, in una conversazione con il generale Ricci, il 9 ottobre 1872, diceva di non comprendere come mai non si fosse ancora eliminato il deficit dal bilancio italiano (Précis d’une conversation de M. r le Présidente de la Republique avec le général Ricci, ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fase. 4). 1699 Fra il 1861 ed il 1870 il Tesoro pagò, per interessi sui titoli del Debito Pubblico collocati all’estero, 848 milioni di lire (di cui 743 sulla sola piazza di Parigi), mentre, per interessi dei titoli collocati all’interno, la somma spesa nello stesso periodo fu di 1748 milioni. Alla fine del 1870 v’erano all’estero due miliardi di titoli di rendita italiana, su poco più di 8 miliardi a cui ammontava nel complesso il Debito Pubblico del Regno. Quanto al capitale straniera investito in Italia alla fine del ’70 – soprattutto nelle ferrovie – era lievemente superiore al miliardo (C ORBINO, op. cit., I, pp. 165, 169, 255 e cfr. anche L UZZATTO, op. cit., II, pp. 358 e 365). In questo; c’era anche un vantaggio politico: ed era – come notava il Peruzzi – che in tal modo «in quei momenti d’incertezza politica, l’Italia legò alle sue sorti gli interessi dei capitalisti grossi e piccoli dei principali Stati d’Europa» (cit, in L UZZATTO, l. c., p. 358). 1700 Il Times era infatti il portavoce degli uomini d’affari della City, possessori di rendita pubblica italiana e irritati di dover pagare l’imposta sulla rendita stessa (r. Cadorna, 4 dicembre 1872, n. 369; d. Visconti Venusta a Cadorna, 22 dicembre 72, n. 160; l. p. Cadorna a Visconti Venosta, Novara, 11 settembre 1874, ACR, Carte Visconti Venosta, 1874, pacco 8, fase 4). Ciò non toglie che apparissero anche, di quando in quando, articoli

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elogiativi sui progressi economici dell’Italia: così il 12 settembre 1872. Per la diffidenza e l’avversione di altri periodici inglesi alla politica finanziaria italiana, cfr. r. Maffei, 18 agosto 1872, n. 334. 1701 Cfr. L’Opinione, 18 marzo, 8 aprile, 4 e 8 maggio ’74. Anche in organi minori della stampa britannica si trovano in quegli anni, spesso, violenti attacchi all’Italia per le sue condizioni finanziarie. Così nell’Examiner, ebdomadario, del 1° aprile 1871. L’attacco veniva confutato da un inglese amico del Cadorna e impastante uomo d’affari, sir D. A. Lange, in The Asiatic del 18 luglio, a mezzo di dati forniti dal ministero delle Finanze per rettificare – inizialmente presso uno dei membri del gabinetto britannico – molte ingiuste accuse e osservazioni erronee dell’Examiner; ma quest’ultimo tornò alla carica nell’agosto (rr. Cadorna e Maffei, 6 aprile, n. 204, 22 luglio, n. 229, 1° settembre, n. 243). 1702 Cfr. P. W OLFFRAMM, Die deutsche Aussenpolitik und die grossen deutschen Tageszeitungen (1871-1890), Zeulenroda, 1936, p. 5. 1703 Nel gennaio 1873, una sua corrispondenza da Roma, contro il Visconti Venosta per il suo atteggiamento nell’estate 1870, provoca un passo amichevole del de Launay presso il segretario agli Esteri, Balan (ll. pp. de Launay al Visconti Venosta, 22, 23, 28 gennaio, 10 febbraio 1873; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1704 Cfr. L’Opinione, 30 aprile e 28 maggio 1874. La Spenersche Zeitung era giornale importante ben visto dal governo (cfr. H. V ON T REITSCHKE, Briefe, cit., III, p, 310). 1705 Voyage au pays du déficit è il titolo, senz’altro, di un volume del N EUKOMM sull’Italia (A RCARI, Le elaborazioni della dottrina politica nazionale, cit., p. 116, n. 28). 1706 Questo episodio fu narrato dal Sella stesso ad un gruppo di suoi elettori a Biella, la sera del 30 ottobre 1882. La conversazione fu pubblicata ne Il Monte Rosa di Varallo e riportata dall’Opinione del 10 novembre. Il Sella non precisò né quale fosse il diplomatico straniero, né l’anno; probabilmente si tratta del criticissimo autunno 1864, il momento cioè in cui il Sella assunse per la seconda volta il dicastero delle Finanze (cfr. G UICCIOLI, op. cit., I, p. 102, dove si parla di inammissibilità «anche al punto di vista dell’onore del paese» delle condizioni pretese dai finanzieri esteri per ulteriori crediti, ed anche H.

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F RAENKEL, Storia di una nazione proletaria, Firenze, 1938, pp. 40-41). 1707 Che è il ragionamento per es. di M. B ONFANTINI, Per una storia d’Italia dal 1871 al 1915, in Società Nuova, I, l (1945), pp. 7-8. Ma il Bonfantini, appunto, ragiona in base a premesse teoriche e senza rendersi esatto conto di quale fosse la situazione generale dell’Italia di allora. Cfr. invece l’elogio della politica del pareggio fatta dal C ORBINO, op. cit., I, p. 15, e dal L UZZATTO, op. cit., II, pp. 372-73 e 377, il quale osserva come, in quella situazione, la sistemazione del bilancio statale fosse la necessaria premessa anche per lo sviluppo delle iniziative in campo economico (p. 355): nell’averne dimostrata l’urgenza, fu il vantaggio offerto dallo stesso corso forzoso (ib., p. 372). Nemmeno calza l’osservazione del S ERENI(Il capitalismo nelle campagne (1860-1900), Torino, 1947, p. 82) che la politica finanziaria della Destra è stata politica di classe borghese e che gli sforzi per il pareggio perdono, perciò, buona parte della loro aureola mistica: perché, anche ammessa la premessa, che invece non è così assoluta (cfr. pp. 572-73) sta di fatto che in un’Europa tutta borghese e tutta a finanza borghese l’Italia non poteva fare, proprio essa, una politica rivoluzionaria in tal campo. Il pareggio del bilancio, con i metodi di allora, significò la salvezza dell’unità d’Italia nell’Europa di allora: questo, e non altro, è il problema. 1708 P LEBANO, op. cit., I, p. 337. 1709 Cfr. A. G ARINO C ANINA, I princìpi finanziari di Quintino Sella, in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, LXXIII (1939-40), p. 565. 1710 M ARSELLI, La rivoluzione parlamentare del marzo 1876, cit., p. 11; e cfr. M ORANTI, La Sinistra al potere, cit., pp. 64-65. 1711 Rispettivamente il 49,67% per le imposte sui redditi e patrimoni, ed il 44,37% per le imposte sui consumi. Con l’avvento della Sinistra il rapporto diviene 47,40% e 46,62%, fra il 1876 ed il 1880; e poi, fra il 1881 ed il 1885, 45,45% e 48,34%, per continuare poi sempre con la prevalenza delle imposte sui consumi, eccetto che nel 1896-1900 (C OPPOLA D’A NNA, op. cit., p. 102). Cfr. anche E. S CALARI, La politica finanziaria della Destra nel periodo delle origini (1860-1864), in Nuova Antologia, luglio 1947, p. 299, che pure non si può dire favorevole a quella politica.

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Da notare, anche, che tutto il periodo della Destra segna – con indirizzo costante – il progressivo incremento della percentuale delle imposte dirette: nel 1861-65, il rapporto con le imposte sui consumi è 46,73%-47,40% (il 5,87% è dato dalle tasse e diritti): nel ’66-70, è già 47,13% -46,90% per salire infine a 49,67% 44,37%, del già ricordato periodo ’71-75. Nel 1911-15, il rapporto fu di 38,46%-54,94%; nel 1936-40 di 37,97%-56,68%. (C OPPOLA D’A NNA, l. c.) Che poi a popolazione più povera, le imposte sui consumi gravassero più pesantemente che non a percentuale anche maggiore su popolazione più ricca; che il carico tributario fosse inegualmente distribuito; che, per es., la proprietà fondiaria fosse gravata assai pesantemente, molto più della ricchezza mobile, anche per effetto delle sovrimposte comunali e provinciali (cfr. anche N A TALE , Giolitti e gli Italiani, cit., p. 138 sgg.), quest’è certissimo. Ma rientra, appunto, nella ricerca affannosa dei mezzi che dessero risultati immediati, di cui s’è detto e ch’era imposta dalle circostanze generali. 1712 La definizione, felicissima, è del B ACCELLI, Il mulino del Po, III, p. 144 1713 G ARINO C ANINA, l. c., p. 562; cfr. anche P ETRUC CELLI D ELLA G ATTINA , Storia d’Italia cit., p. 158. La mancanza degli «accorgimenti, ingegnosi e di lunga vista» dei grandi finanzieri gli fu infatti poi rimproverata (La terza Italia. Lettere di un Yankee, trad, e ann. da F. G ARLANDA, 3ª ed., Roma, s. d., p. 302; anche L UZZATTI, Grandi Italiani. Grandi sacrifici per la Patria, Bologna, 1924, p. 47, che però riconosce che nelle condizioni di allora non si poteva far diversamente. E il punto è proprio questo, se gli accorgimenti dei grandi finanzieri potessero applicarsi all’Italia d’allora). 1714 Cfr. nel discorso di Biolio del 18 ottobre 1874: «Supponete un nemico mortale dell’unità e libertà d’Italia. Io non so quale condotta più efficace al suo intento potrebbe tenere, che spingendoci all’aumento di spese e trattenendoci dall’incremento del lavoro e del sacrificio, cioè delle imposte». (Discorsi Parlamentari, V, p. 873). 1715 Cfr. il discorso alla Camera del 27 marzo 1879 (Discorsi Parlamentari, V, p. 833). 1716 Nel discorso elettorale di Legnago, il 4 ottobre 1874 (ne L’Opinione, del 7 ottobre).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1717 Discorso alla Camera del 7 maggio 1875 (Discorsi Parlamentari, VI, p. 538). 1718 Il giudizio è di un buon intenditore, il M ARTINI (Confessioni e ricordi, 1859-1892, cit., p. 130). 1719 Egli lo sapeva benissimo: «Sella sente la propria importanza e vorrebbe far tutto; Lanza si lagna che Sella sia troppo imprudente e si occupi di cose non sue». Dina a Castelli, 19 novembre 1870 (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, p. 492). 1720 Cfr. L’Opinione, 28 agosto ’72 (Un giudizio sull’Italia). Anche l’incaricato d’affari a Londra, Maffei, riferisce con compiacimento i commenti della Saturday Review, sulla situazione generale dell’Italia e soprattutto sui rapporti col Papato (r. Maffei, 18 agosto 1872, cit.). 1721 Il S ACHS, op. cit., pp. 232 sgg., 274, offre i seguenti dati: spese effettive ordinarie e straordinarie comprese, per il Ministero della Guerra 230, 289, 246, 262, 189 milioni per gli anni 1861-1865; 174, 178, 155, 162, 161, 162, 181, 192, 187, 192 per gli anni dal 1867 al 1876 (il ’66 evidentemente non può essere calcolato). Per la Marina 79, 61, 59, 60 milioni (arrotondati) nel 1862-65; 46, 39, 32, 25, 29, 31, 35, 37, 38, 36 milioni, nel 1867-1876. Nel Bilancio del Regno d’Italia, cit. p. 118 sgg., dove si analizzano le spese solo a partire dall’esercizio 1868, le cifre sono le seguenti: Guerra, 167, 149, 183, 151, 166, 176, 183, 180, 186 milioni per gli anni dal ’68 al 76; Marina, 35, 35, 32, 37, 31, 32, 34, 38 e 28 milioni. Il C OPPOLA D’A NNA dà le cifre complessive per la difesa militare (op. cit., p. 106), e le percentuali (p. 108), da cui risulta che mentre le spese militari nel quinquennio 1861-1865 gravavano per il 34,76% sul totale delle spese effettive dello Stato, nel quinquennio 1866-70 scesero, nonostante la guerra del 66, al 25,75% e nel quinquennio 1871-75 al 18,66%, per risalire poi al 20,47% nel 1876-80, al 21,95% nel 1881-85 ecc. 1722 Cfr. per es. G. B. B RUZZO, Considerazioni sulla difesa generale dell’Italia, 2ª ed., Napoli, 1871, p. 12. 1723 Gli avvenimenti del 1870, p. 72. 1724 Op. cit., p. 4. 1725 Op. cit., p. 7.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1726 Op. cit., pp. 6 e 24. Per altre discussioni in materia cfr. A. G ANDOLFI, Bologna e l’Appennino nella difesa d’Italia, Bologna, 1871; e le preoccupazioni di Nino Bixio,. G. B USETTO, Notizie del generale Nino Bixio, II, Fano, 1876, pp. 88-89. 1727 26 marzo 1873 (La difesa non è offesa); e cfr. 20, 22, 23, 24 marzo (La proposta Nicotera, Confidate nel Ministero!, Il trionfo del Ministero, Riflessioni). E già il 25 luglio ’72 (Si vis pacem para bellum). 1728 L’espressione cromwelliana ritorna più volte nella stampa di Sinistra: cfr. La Riforma, 20 febbraio ’71 (Adolfo Thiers); Il Diritto, 12 settembre 1872 (Le esagerazioni del Diritto). 1729 Lo stesso Luzzatti, nell’ottobre del 1870, temendo gli imbarazzi che sarebbero derivati dall’essere a Roma, voleva un «nuovo e formidabile assetto alla difesa nazionale... un forte esercito... E le finanze? È evidente che peggioreranno; ma oggi bisogna rovesciare la formula dell’attuale amministrazione e pensare prima a difenderci e poi all’assetto finanziario» (Memorie, cit., I, p. 310 e cfr. II, p. 96). In altri momenti invece il Luzzatti oscillò tra le due esigenze (ib., I, p. 398). 1730 La Riforma, 17 febbraio ’71, (L’organizzazione della forza). 1731 Crispi alla Camera, 4 Febbraio 1872: «... la posizione dell’Europa è mutata e... per essere forti ed aver pace, bisogna armarsi, armarsi e sempre armarsi» (Discorsi Parlamentari, II, pp. 136-37). 1732 Discorso sopra cit., ib., II, p. 139. 1733 Su Cialdini oratore cfr. La Perseveranza 5 agosto 1870. 1734 Cfr. il Diario del generale Govone, in Le carte di Giovanni Lanza, cit., VI, pp. 375-76. 1735 A. P., Senato, p. 987 sgg. 1736 A, P., Senato, pp, 885-86. 1737 Arte della Guerra, VII (ed. Casella-Mazzoni, Firenze, 1929; p. 363). 1738 Marselli a Robilant, 8 gennaio 1874 (AE, Carte Robilant). Anche in altra lettera del 5 giugno 1874 il Marselli esprime i suoi timori che, con il vento avverso levatosi nel paese contro qualunque spesa militare, si finisca col rifare l’opera di Govone alla vigilia di una guerra nell’Europa. Nuovamente nel 1881,

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nel noto articolo Politica Estera e Difesa Nazionale (Nuova Antologia, LVIII, p. 127) egli esprimerà lo stesso pensiero in forma sdegnosa: i denari sono la sola cosa «cui la politica passiva si studi di provvedere largamente, anzi è quella cui tutte le altre sacrifica, compresa la dignità della nazione». 1739 Lett, a Gabrio Casati, 25 maggio 1871 (in Q UINTAVAL LE , La conciliazione..., cit., pp. 334-35 e cfr. anche 338). 1740 Cfr. l’Opinione, 13 marzo ’71 (art. di fondo): fine dei «sogni dorati» della pace universale ecc.; 29 marzo ’71 (La difesa generale d’Italia); 1° maggio ’71 (Le spese militari): nelle nuove condizioni d’Europa s’intende da ognuno che la forza morale d’una nazione è in ragione diretta della sua forza militare; 15 maggio ’71 (L’ordinamento dell’esercito); 19 agosto ’71: nazione pacifica, l’Italia deve armarsi per toglier dalla testa a chicchessia di meditare un’aggressione contro di lei (La vera questione); 3 gennaio ’72 (La politica estera). 1741 Su questa espressioni il Bonghi chiude il suo primo discorso alla Camera sulla legge delle Guarentigie, il 31 gennaio 1871 (Discorsi Parlamentari, I, p. 237). Anche il Nigra se ne vale in una lettera al Visconti Venosta del 6 marzo 1871 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1742 Così il Bonghi, (Nove anni di storia d’Europa, cit., II, p. 451). 1743 L’Opinione, 17 gennaio 1871 (La questione militare). 1744 Cfr. qui sopra pp. 93-94. 1745 Molto assennatamente lo aveva detto il Lanza al Cialdini, nel dicembre del ’69: «Guardi, Generale, di non mettere al paese il dilemma: o riduzione dell’esercito, o riduzione della rendita, perché rifiutando le riduzioni, l’esercito che era meritatamente amato dal paese, sarebbe divenuto odioso ed il paese avrebbe detto; prima del fallimento, si distrugga piuttosto l’esercito» (Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 376). 1746 Le spese per l’esercito delle grandi potenze europee nel 1874, p. es. furono le seguenti (lire it.): Russia 788.390.103; Francia 719.929.753; Germania 488.742.315; Gran Bretagna, 378.418.040; Austria-Ungheria 254.983.593; Italia 192.011.542. Anche proporzionatamente, nel bilancio generale dello Stato, l’Italia era quella che dedicava alle spese dell’esercito la percen-

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tuale minore (L. C ISOTTI, La pace armata e l’esercito italiano, in Nuova Antologia, XXIX, 1875, pp. 921-23). 1747 Dai 29.637 reati di sangue del biennio 1863-64 si sale ai 55.825 del biennio ’69-70. E va bene che si era aggiunto il Veneto (nella statistica Roma non c’entra ancora): ma l’aumento rimane pur sempre impressionante. Dal gennaio 1861 al maggio 1870, 75.000 mandati di cattura non erano stati eseguiti (relazione Lanza al progetto di legge per i provvedimenti speciali di P. S., Camera dei Deputati. Raccolta dei docum. stampati, Leg. XI, Sess. 1870-71, voll. II, n. 83, e allegato A; cfr. anche n. 83 B, all. A e N). Donde il giudizio: «una polizia, che non dappertutto guarentisce la vita e la sicurezza de’ cittadini, una giustizia punitiva; alla quale in parecchie provincie manca il mezzo di raggiungere il delitto» (B ORGHI, Nove anni di storia d’Europa, cit., II, p. 462). Cfr. L’Opinione, 5, 7, 12 gennaio, 26 febbraio ’71 (La sicurezza pubblica; Polizia-Tribunali-Giurati; Provvedimenti eccezionali; L’amministrazione della giustizia) e La Perseveranza del 5 e del 25 gennaio ’71, che segnala la gravità della criminalità nella Romagna (l’art. del 25, Cose serie, è del Bonghi). Cfr. Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, pp. 203, 209, 213 sgg.; Crispi alla Camera, 10 giugno 1875 (Discorsi Parlamentari, II, p. 243 sgg.); L’Italia economica, cit., p. 348 sgg. 1748 P. es. nel Times del 10 settembre 1872 vien pubblicata una lettera da Napoli che dà un quadro assai tetro della recrudescenza del brigantaggio nel Mezzogiorno: lettera commentata in un editoriale di biasimo al governo italiano che non agisce con sufficiente energia (r. Maffei, 11 settembre n. 348). Ma poi, sempre nel Times del 3 dicembre ’72, lettera contro le manette adoperate dai carabinieri, qualificate come strumento di tortura (r. Cadorna, 4 dicembre, n. 369 già cit.). Dunque proteste contro le cattive condizioni della sicurezza pubblica, e ad un tempo, contro i veri o presunti soprusi delle forze di polizia 1749 X, in Rassegna politica della Nuova Antologia, XXVII (1874), p. 984. 1750 r. de Launay, 21 novembre 1870, n. 714. Già nel r. 14 novembre, n. 708; ma soprattutto in quello del 17 novembre, n. 711: «l’état de nos finances, à moins de vouloir marcher à una ruine complète, à une banqueroute, nous impose de ne nous mêler à aucune guerre tant que notre territoire n’est pas menaci».

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1751 L’Opinione, 23 settembre 1870 (La pacificazione interna). E il Bonghi ne La Perseveranza del 18 ottobre: non v’è italiano che non aneli al posare (Il Duca d’Aosta re di Spagna). 1752 Nel discorso del 9 novembre 1870 al banchetto offertogli dalla Società Patriottica di Milano (La Perseveranza, 11 novembre). Anche per l’Amari, l’Italia aveva bisogno «di calma politica e di vigore amministrativo»(Carteggio, III, p. 314). 1753 La Perseveranza, 20 settembre 1870 (Roma Capitale). 1754 Commemorazione, cit., p. 27. 1755 T AINE, Voyage en Italie, cit., I, p. 355. 1756 Pensieri sulla politica italiana, cit., p. 60. 1757 D. P APA, Il giornalismo, Verona, 1880, pp. 265-66. La tiratura complessiva di 525 tra quotidiani e settimanali era, nel 1874, di 797.590 copie. Va tuttavia notato, anche qui, l’incremento del numero dei periodici, tra quotidiani, settimanali e mensili, che dai 185 del 1836 e dai 450 del 1864 era salito rapidamente ai 723 del 1870, ai 765 del ’71, ai 1126 del ’74, di cui 387 quotidiani (P. L IOY, Elettori e deputati, Milano, 1874, pp. 53-55). Per un raffronto con la tiratura dei maggiori giornali esteri, P APA, op. cit., pp. 27 e 51-52: 30.000 copie il Times e 170.000 il Daily Telegraph; 72.000 il Figaro e mezzo milione il Petit Journal. Sulla scarsa importanza della stampa in Italia insistevano l’inc. d’affari francese, de Sayve (r. 3 febbraio 1872, n. 13; AEP, C. P., Italie, t. 384, f. 106 sgg.) e nuovamente, l’altro inc. d’affari Tiby, nel ’74 (r. Tiby, 19 febbraio 1874 n. 16; ib., ib, t. 389, f. 112 v.). 1758 B ACCELLI, Il mulino del Po, II, p. 334. 1759 F ERRARIO, Qual’è la moralità de’ campagnoli, cit., pp. 31-32. 1760 B ORGHI, nella Rassegna Politica del 1° dicembre 1871 e del 30 novembre 1873, in Nuova Antologia, XVIII, p. 912, e XXIV, pp. 944-45. 1761 Così il B ORGHI, Rassegna Politica del 31 gennaio 1872, in Nuova Antologia, XIX, p. 465; e cfr. le Rassegne del 30 marzo e del 30 giugno 1872, ib., p. 927, e XX, p. 696; e la Rassegna dei 2 novembre ’72, ib., XXI, p. 746. 1762 La scuola e la questione sociale in Italia, in Nuova Antologia, XXI, 1872, pp. 477-78.

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M EINECKE, Johann Gustav Droysen, l. c., p. 249. B ORGHI, in Nuova Antologia, XIX, 1872, p. 927. 1765 L’inc. d’affari francese, Tiby, nel r. n. 51 del [?] luglio 1874 [arr. a Parigi il 22]; AEP, C. P., Italie, t. 390, f. 44. 1766 I dati in L’Italia Economica nel 1873, cit., pp. 727-28. Sulle divergenze dei dati dal Manuale dei Senatori e Deputati, cfr. ivi. 1767 L’espressione è già nel J ACINI, Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866, cit., p. 17. 1768 Cfr. la tabella statistica in L IOY, Elettori e deputati, cit., p. 188. La percentuale degli aventi diritto a voto su 1000 abitanti era nel 1870: Piemonte 26,10; Liguria: 30,70; Lombardia 19,70; Veneto 15,10; Emilia 19,90; Toscana 22,40; Marche 15,10; Umbria 15; Lazio 15,20; Abruzzi e Molise 16,70; Campania 20,60; Puglia 20; Basilicata 17,20; Calabria 16,40; Sicilia 16,10; Sardegna 26,50. La media del Regno era 19,70. Nel 1876 sali a 22,60 sempre con forti sperequazioni fra le varie regioni. (Cfr. la Statistica elettorale politica a cura del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Roma, 1877, p. V). Anche nei singoli collegi forti sproporzioni: nel ’65, solo 10 collegi avevano da 50 a 54 elettori per 1000 abitanti; 25 ne avevano da 8 a 10; 129 da 10 a 15; 138 da 15 a 20 ecc. (L IOY, p, 90). Non minore sperequazione nella formazione dei collegi, dato che ai 1848 elettori per collegio della Sardegna e ai 1589 della Liguria facevano riscontro i 776 della Calabria, i 775 del Veneto (1866), i 716 dell’Abruzzo, i 694 delle Marche (ib., pp. 89-90). Con le ultime sperequazioni tuttavia si correggevano almeno in parte, empiricamente e territorialmente, gli inconvenienti della prima, nel senso che alla più alta percentuale di elettori della Liguria e della Sardegna non corrispondeva, per effetto della distribuzione dei collegi, un maggior numero di rappresentanti in Parlamento. Anzi la Sardegna finiva con l’aver minor numero di deputati delle Marche. (Mi sono attenuto ai dati statistici dell’epoca. Nelle tabelle di recente pubblicate nel Compendio delle statistiche elettorali italiane dal 1848 al 1934, a cura dell’Istituto Centrale di Statistica e Ministero per la Costituente, Roma, 1946, I, tavv. 2 B e 6, pp. 9 sgg., 36 sgg., ci sono alcune leggere variazioni di dati (cfr. già L’Italia economica nel 1873, cit., p. 728): resta tuttavia ben fermo il fatto essenziale delle enormi disparità fra regione e regione sia per la percentuale di aventi 1763 1764

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diritto al voto, sia per il numero degli elettori formanti collegio; disparità denunziate dallo Zanardelli, nella sua celebre Relazione per la riforma della legge elettorale politica (Compendio, cit., p. * 97). Nel 1870 ci sono già spostamenti rispetto al ’65: secondo il Compendio (tav. 6 cit.) gli elettori per collegio erano 1614 in Liguria, 1540 in Sardegna, 1352 in Piemonte, 1201 in Toscana, per scendere a 850 nel Veneto, 827 nell’Umbria, 805 nell’Abruzzo, 790 in Calabria, 775 nelle Marche. La percentuale massima della Liguria e della Sardegna si spiega con il fatto che nelle due regioni (come nei circondari di Bobbio e di Novi) il minimum d’imposta era di 20, anziché di 40 lire (cfr. M INGHETTI, Discorsi Parlamentari, VIII, p. 118). 1769 I votanti furono 561.683 (cfr. L. M ARCHETTI, I moti di Milano e il problema della fusione col Piemonte, in Il 1848 nella storia italiana ed europea, a cura di E. Rota, Milano, 1948, II, p. 723). 1770 G. F ERRERO, Potere, Milano, 1947, p. 307. 1771 Nei ballottaggi, la percentuale scese al 34,07%. 1772 Nel ’74 si tornò a salire al 55,7%; nel ’76 al 59,2% (Statistica delle elezioni generali politiche per la XXV Legislatura, a cura dell’Ufficio Centrale di Statistica, Roma, 1920, p. XXXVIII). In Francia, nel 1876 si ebbe il 74%; in Inghilterra, nel ’74, il 79%. 1773 L’Opinione lamenta infatti che nelle grandi città abbia votato appena 1/4 degli iscritti. È questo un fatto che si ripeterà costantemente: ancora nel 1919 l’astensionismo sarà molto più accentuato nelle grandi città che non nelle campagne. A Palermo vota solo il 18,3%, a Catania il 22%, a Napoli il 27,2%, a Roma il 29,7%, nella stessa Genova solo il 44,7%: questo, mentre nei collegi di Ravenna e di Forlì si raggiunge l’84,8% ed in quello di Cremona l’83,6%. (Statistica delle elezioni generala politiche per la XXV Legislatura, cit., pp. XXXVI-XXXVII). E le cause oggettive, addotte a spiegazione del fenomeno, non lo spiegano che parzialmente. Cfr. ivi e anche Compendio cit., II, p. * 32 sgg. 1774 L’Italia economica, cit., pp. 725-26. E cfr. L’Opinione, 27 marzo 1873. Perfino in Spagna la percentuale era superiore (44%; L IOY, op. cit., p. 84). Anche in Belgio, però, si eb-

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bero fenomeni analoghi di astensionismo in elezioni municipali (Compendio, cit., II, p. * 19, n. 1). 1775 L’Opinione, l. c.; cfr. anche L. P ALMA, La riforma elettorale in Italia, in Nuova Antologia, XXXVI (1877), p. 582. 1776 S ERRA G ROPELLI, Le cinque piaghe del Regno d’Italia, cit., p. 157. 1777 Il Diritto, 28 giugno ’72. 1778 Sui pericoli di questa situazione si sofferma infatti L’Opinione il 27 marzo 1873; i piccoli Comuni sono anche quelli nei quali i partiti estremi e sovversivi possono maggiormente far proseliti. Dov’è soprattutto un accenno alla propaganda clericale. 1779 S ERRA G ROPELLI, op. cit., p. 158. 1780 Che i gruppi nazionali fossero una minoranza, era vero; ma anche gli altri, i clerico-legittimisti, erano una minoranza, e una minoranza fossilizzata, mentre l’altra era attiva e trascinatrice: cfr. l’acuta analisi del S ALVEMINI, L’Italia politica nel secolo XIX, in L’Europa nel secolo XIX, cit., p. 372 sgg. 1781 Giuseppe (leggi Giovanni) Fabrizi al Ricasoli, il 15 novembre 1870 (Lettere e documenti di Bettino Ricasoli, X, p, 164). Il Fabrizi, deputato, rinunciò a ripresentarsi. 1782 Sino al ’71 valeva il responso della Sacra Penitenzieria del 1 ° dicembre 1866, che era, invece, in sostanza, favorevole alla partecipazione alla lotta elettorale (il testo, ancora in E UFRA SIO, Il «non expedit», in Nuova antologia, CXCVII, 1° settembre 1904, p. 86); responso confermato dal Penitenziere Maggiore al vescovo di Mondovì, il 25 febbraio 1867 (M ONTALDI NI , Uno sguardo al passato, al presente e all’avvenire dell’Europa, cit., pp. 156-57). Nel marzo 1871 il Montaldini inviò copia dell’atto 1° dicembre 1866 alla S. Penitenzieria, chiedendo se «nelle circostanze attuali... sia espediente concorrere alle politiche elezioni». La risposta fu non expedire (M ONTALDINI, op. cit., p. 152 sgg., che è la più precisa analisi in materia. E U FRASIO , sopra cit., ha qui equivocato, parlando di 1874 anziché di 1871). Tuttavia, con ciò la questione non appariva affatto decisa. Per vero, il 5 luglio 1872 La voce della Verità, organo ufficiale della Società per gli interessi cattolici, battagliando contro l’astensionismo (Le elezioni), dichiarava di non conoscere una inibizione del Papa a votare (con ampi riferimen-

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ti proprio al Montaldini e alla risposta della S. Penitenzieria del marzo 1871); e L’Osservatore Romano, decisamente favorevole – nelle elezioni politiche – alla formula né eletti né elettori, ribattendo il 6 luglio (Le elezioni comunali), non poteva addurre nessuna decisione precisa, e si limitava a genericità («evidentemente favorita [la formula] ed approvata dalle più eccelse autorità») e a ricordare, le istruzioni di Pio VII al momento dell’invasione francese. Il mtamento radicale della situazione avvenne con il discorso di Pio IX alle donne del circolo romano di Santa Melania, l’11 ottobre 1874, quando il Papa affermò «non è lecito andare a sedere in quell’aula» (Montecitorio. Cfr. L’Osservatore Romano, 13 ottobre 1874, Ultime notizie, e il testo del discorso pontificio 14 ottobre, Ultime notizie; La Voce della Verità, 14 e 16 ottobre). Così, L’Osservatore Romano del 28 ottobre 1874 poteva dichiarare che l’argomento delle elezioni era ormai esaurito per i cattolici («nessuno può più essere tra questi il quale non senta il dovere di una assoluta astensione»), richiamandosi questa volta non più a Pio VII, ma a Pio IX e al suo discorso al circolo di S. Melania (Gli elettori alla corte d’Assise; e cfr. 18 novembre Le elezioni). La stessa Voce della Verità, il 17 novembre 1874, dichiarava «... ubbidienti alla parola ispirata... del Sommo Pontefice Pio IX, i cattolici d’Italia si sono astenuti». Pio IX tornò sull’argomento, in risposta ai cardinali, il 21 dicembre 1874, in forma ancor più decisa, contro i ministri di Dio che non si vergognavano di partecipare alle elezioni (L’Osservatore Romano, 25 dicembre 1874). Si può quindi concludere che le prime elezioni politiche per la quali si ebbe una vera presa di posizione da parte delle supreme gerarchie ecclesiastiche, furono quelle del novembre 1874. Cfr. anche J ACINI, La politica ecclesiastica italiana..., cit., p. 370, n. 1; H ALPERIN, op. cit., pp. 377-78. 1783 Così A. G IURIA, I cattolici e le elezioni politiche, Savona, 1870, è per la partecipazione alle urne. A Roma, nel ’79, adunanze e progetti per ottenere l’abolizione del non expedit (P. C AMPELLO D ELLA S PINA, Ricordi di 50 anni dal 1840 al 1890, Spoleto, 1910, p. 133 sgg.; T. F ITTONI, Ricordi personali di politica interna, in Nuova Antologia, CCCXLII, 1° aprile 1929, p. 308 sgg.). 1784 Così, nel 1886, a San Damiano, a favore di Giolitti (G IO LITTI , Memorie, cit., I, pp. 41-42).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1785 Su questo episodio si sofferma l’inc. d’affari francese presso la S. Sede, Lefebvre de Béhaine (r. 25 gennaio ’71, n. 15; AEP, C. P., Rome, t. 1049, f. 121 sgg.). 1786 Cfr. G. M ANFRONI, Sulla soglia del Vaticano, Bologna, I, 1920, p, 101. A Roma la lotta finì con la vittoria dei liberali (417 ai moderati, 217 ai clericali, 117 ai democratici), con gran tripudio della stampa, di Destra e di Sinistra, che esaltò il nuovo esempio di senso civile e di operoso patriottismo, dato da Roma all’Italia (così per es. Il Secolo del 7 agosto). Ma il Tornielli, allora capo della divisione politica agli Esteri, deprecando che si fosse voluto dare un colore schiettamente politico ad un’elezione che sarebbe dovuta rimanere sul terreno puramente amministrativo, osservava: «A porte chiuse poi, noi non possiamo disconoscere che gl’inscritti non Romani nelle liste elettorali sono vicini a 4 mila; 3 mila i soli impiegati, uscieri, guardie, militari di guarnigione, ecc.», confermando così la grande accusa mossa dai clericali (Tornielli a Visconti Venosta, 6 agosto ’72 e cfr. lett. 3 agosto: ACR, Carte Visconti Venosta, 1872, pacco 5, fase. 4). A Napoli, notevole successo dei clericali. Sull’importanza della partecipazione clericale alle elezioni si soffermavano prima l’incaricato d’affari, e poi il ministro austro-ungarico pressa il Quirinale, Herbert e Wimpffen, in rapporti a Vienna del 10 agosto, 7 settembre e 5 ottobre 1872 (SAW, P. A., XI/80). Cfr. anche D’I DEVILLE, Les Piemontais à Rome, cit., p. 266. 1787 Pio IX diceva: «Ma sì, ma sì, non hanno capito eppure l’ho detto tante volte, che mi fa piacere, che mi fa piacere che vadano alle elezioni amministrative...» (C AMPELLO D ELLA S PINA, op. cit., p. 121). E nel 1871 si fonda l’Unione Romana, per far entrare un «elemento cristiano» in Campidoglio (ib., p. 119). Nell’allocuzione agli ex impiegati del suo ministero del Commercio e dei Lavori Pubblici, il Pontefice ripeteva «ognuno... faccia quello che può, segua il consiglio di persone autorevoli, e se non si riuscirà sarà una prova di più della ipocrisia delle guarentigie e della libertà» (L’Osservatore Romano, 14 luglio 1872). 1788 Per la propaganda dei giornali cattolici, cfr. L’Osservatore Romano, 5, 6, 12, 13, 16, 24 luglio; La Voce della Verità, soprattutto con l’appello del 4 agosto «Cristiani, accorriamo alle urne!». Il 6 agosto, La Voce della Verità deplora che i cattoli-

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ci si siano astenuti per più di metà, negando poi, il 7, che molti sacerdoti siano andati a votare. Per vero, a Roma l’aristocrazia nera si era quasi completamente astenuta dal recarsi alle urne, dopo aver già prima deplorato che si fosse deciso e propugnato l’intervento (rr. Palomba, inc. d’affari austriaco presso la S. Sede, 13 luglio e 10 agosto 1872; SAW, P. A., XI/229, nn, 4 A e 6 F); e che anche non tutto il clero e non tutti i clericali, timorosi di guai, andassero a votare, riconosce pure il Manfroni. Ma è ovvio che, dopo lo scacco, i giornali e ambienti clericali minimizzassero il più possibile la loro partecipazione alle urne. Cfr. invece P ESCI, op, cit., pp. 511-12. 1789 Così l’amb. di Francia presso la S. Sede, Bourgoing (r. 3 luglio 1872, n. 17; AEP, C. P., Rome, t. 1055, f. 90 sgg.). Sul card. Riario Sforza e la sua azione allora cfr. F. D I D OMENICO, La vita del cardinale Sisto Riario Sforza, 2ª ed., Napoli, 1905, p. 232 sgg.; E. F EDERICI, Sisto Riario Sforza cardinale di Santa Romana Chiesa arcivescovo di Napoli 1810-1877, Roma, 1945, pp. 300-301 (con l’aggiunta della assurda notizia che il cardinale sarebbe stato sollecitato dal prefetto di Napoli a nome del governo (!), perché si adoperasse a far votare i cattolici. Sull’azione del prefetto d’Afflitto, cfr. Le carte di G. Lanza, cit., VIII, pp. 211-14; e quanto invece al governo, basti pensare alla circolare Lanza ai prefetti l’8 luglio, determinata proprio dalla preoccupazione per il deciso intervento dei cattolici nella lotta elettorale: Cfr. V IGO, op. cit., I, p. 174 sgg. 1790 Lo afferma una fonte non sospetta di antivaticanismo e filoitalianismo, come l’amb. Bourgoing (r. sopra cit.). 1791 r. Fournier, 22 luglio 1872, n. 38; AEP, C. P., Italie, t. 835, f. 239 sgg. 1792 Nel discorso al comizio all’Argentina, il 2 agosto (Scritti e discorsi politici, cit., p. 465). 1793 Su 15.369 elettori iscritti votarono 8029 cioè poco più del 52%. A Napoli, su 20.000 iscritti, 8407 cioè il 42,03%. (A RCH . S TATO N APOLI, gab. Prefettura: dato gentilmente comunicatomi dal dott. Giuliano Procacci). Ed erano cifre record! 1794 Il F ONZI, nello studio cit. I «cattolici transigenti» italiani dell’ultimo Ottocento, l. c., pp. 961-62, sostiene infatti, sulla base dei dati elettorali, che il non expedit non attecchì nel Mez-

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zogiorno, cattolico e magari legittimista-borbonico, ma anticlericale, e rimasto facile feudo del «personalismo liberale» e delle clientele locali, chiuso invece all’«Opera dei Congressi», e cioè alla grande organizzazione dei clericali. Che la Lombardia e il Veneto fossero le regioni dove il movimento cattolico organizzato aveva le basi più salde, risulta anche dalla «petizione» del 1887 (cfr. C ANDELORO, L’azione cattolica in Italia, Roma, s. a. ma 1949, p. 15). 1795 Nelle elezioni politiche del 1870 in prima votazione, a Piacenza votava il 33,04%; a Parma il 33,69%; a Reggio il 32,34%; a Modena il 36,38%; a Bologna, il 28,26%; a Ferrara il 33,64%; a Forlì il 34,27%; a Ravenna il 31,69%; a Firenze il 28,95% ad Arezzo il 32,48%; a Lucca il 32,27%; a Pisa il 34,61%; a Livorno il 16,21%, la percentuale più bassa di tutto il Regno (media generale, 45,8%). Le medie per regioni erano le seguenti: Piemonte 46,09; Liguria 40,76; Lombardia 40,34; Veneto 41,37; Emilia 32,42; Toscana 31,63; Marche 37,97; Umbria 30,77; Lazio 43,27; Abruzzi e Molise 56,99; Campania 50,32; Puglie 55,59; Basilicata 57,97; Calabria 58,59; Sicilia 61,15; Sardegna 46,32. Nei ballottaggi la percentuale fu, quasi ovunque, assai inferiore. (L’Italia economica nel 1873, cit. pp. 729-31). Livorno, che pure era la città dove la percentuale degli elettori in rapporto agli abitanti era la più alta di tutto il Regno (L IOV, op. cit., p. 84), s’era già trovata all’ultimo posto nelle elezioni del 1865 con il 33%. Ed anche allora le provincie di Ravenna, Bologna, Forlì, Ferrara, Modena, Parma erano state fra le più basse, sempre inferiori alla media del Regno. Si noti che sino alle elezioni del 1909 la percentuale massima di votanti fu sempre data dal Mezzogiorno e dalle isole (Compendio.... cit., II, p. * 28; tav. 13 B, p. 9). 1796 Cfr. le osservazioni de La Perseveranza, 24 novembre 1870. Sulla varia ispirazione delle astensioni, cfr. anche Rattazzi et son temps, cit., II, p. 455. 1797 Gli articoli del Bertani su Gli astensionisti sono pubblicati ne Il Lombardo del 10, 17 e 29 gennaio, 14 e 15 febbraio, 6 e 7 marzo 1871. Sugli sforzi del Bertani per convincere i repubblicani a votare, cfr. J. W HITE M ARIO, Agostino Bertani e i suoi tempi, II, cit., pp. 357 e 361. Su tali contrasti interni fra i repubblicani, cfr. G. S PADOLINI, I repubblicani dopo l’unità, ne Il Mondo, 28 aprile 1951, pp. 9-10.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1798 Cit. in M AZZOLENI, op. cit., p. 44. Anche il Mazzoleni è contrario all’astensione. 1799 L’Opinione, 27 marzo 1873 (Le elezioni amministrative). 1800 L’Opinione, 15 novembre 1870 (Agli elettori). Sulla «apatia» e «scandalosa accidia» degli elettori cfr. anche La Perseveranza, 15 novembre ’70 (Bonghi) e La Nazione, 16 novembre ’70 e 15 gennaio ’71. Il 2 dicembre Guido Borromeo segnalava al Minghetti che a Milano il Correnti doveva andare in ballottaggio, perché nessuno dei suoi s’era recato a votare: «questa indifferenza o meglio questo disgusto è a parer mio la peggiore delle piaghe presenti» (BCB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 69). 1801 La Riforma, 18 gennaio, 6 agosto 1871. 1802 r. Kübeck, 13 gennaio ’71 (SAW, P. A., XI/77, n. 4 A). Anche posteriormente, il 2 marzo (ib., n. 17 C), il Kübeck continua a porre in rilievo «l’époque de calme relatif qui a succedé aux émotions de l’année dernière». L’incaricato di affari di Francia, de Sayve, parla a sua volta dell’indifferenza politica, sia nei deputati, sia negli elettori (r. 23 gennaio 1872, n. 9; AEP, C. P., Italie, t. 381, f. 76). 1803 Ricordi, cit., p. 39. 1804 Cfr. soprattutto la lettera del Ricasoli a Francesco Borgatti, il 17 settembre 1870: «Che ha dunque saputo fare fin qui il Regno italiano? Niente, niente di sapiente, e di storico, e di felice per sé, e di esempio altrui! Che fece?... Demolì!». (Lettere e documenti, X, pp. 131-32). Per il De Sanctis, cfr. il discorso alla Camera del 23 aprile 1874 (La Critica, XI, 1913, p. 331 sgg.) e gli art. del giugno 1877 nel Il Diritto (Scritti politici, ed. Ferrarelli, cit., p. 65 sgg.). Cfr. anche il giudizio del Crispi, in una lettera a Primo Levi del 29 ottobre 1882 (Carteggi politici inediti, cit., p. 393). 1805 Cfr. per es., il discorso elettorale del De Sanctis a Foggia, l’11 maggio 1880 (La Critica, XI, pp. 475-76). 1806 Sono le lagnanze espresse già dal J ACINI, Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866, cit., p. 21 sgg. Cfr. anche il giudizio del R ICASOLI, Lettere e documenti, X, p. 255 e lo sfogo del Lanza col Rattazzi, nel dicembre ’71 (Rattazzi et son temps, cit., II, p. 487).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1807 Così il Ricasoli al Borgatti, 30 dicembre 1871 (Lettere e documenti, X, p. 239). 1808 Al Borgatti, 27 gennaio 1872 (Lettere e documenti, X, p. 248). 1809 Sulle condizioni..., cit., p. 25 sgg., 92 sgg. 1810 Così lo Spaventa, sin dal 1877 (R OMANO, op. cit., p. 230 sgg.). 1811 «Ma che apatia? Volete sempre che ci sia una agitazione nelle piazze?» Discorso alla Camera del 18 marzo 1872 (Discorsi Parlamentari, IV, p. 177). 1812 Lo dice egli stesso (Lettere e documenti, X, p. 504). 1813 Al Ricasoli, 26 dicembre 1872 (Lettere e documenti, X, p. 271). 1814 Discorso alla Camera del 17 maggio 1873 (Lettere e documenti, X, p. 500). 1815 30 marzo 1881 (Discorsi parlamentari di S. Sonnino, I, p. 222 cfr. p. 40-41). 1816 Su questo tasto batte soprattutto La Riforma, 18 gennaio, 7 e 10 giugno 1871, 21 e 24 gennaio 1872, 11 e 16 marzo, 9 giugno, 20 novembre 73. Ma anche Il Diritto, 20 gennaio e 17 aprile ’71, 7 novembre ’72; L’Opinione, 1° luglio ’72, 10 marzo ’73; La Perseveranza, 19 gennaio ’71; Bonghi nella Rassegna Politica del 31 gennaio 1872 e del 30 novembre 1873, Nuova Antologia, XIX, p. 465, XXIV, p. 945. A Rattazzi, nel giugno ’71, faceva pena assistere alle sedute della Camera spopolata (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, p. 503). Nella tornata del 7 marzo 1873, alla Camera, deplorazione pubblica del presidente, dell’on. La Porta e del Lanza, per l’assenteismo dei deputati, che non consente di raggiungere il numero legale per le votazioni (A. P., Camera, pp. 5130-31.). Nuove proteste il 22 e 28 aprile (ib., pp. 5902-5903, 5967). 1817 C. F., Le riforme militari e la legge del 19 luglio 1871, in Nuova Antologia, XVIII (1871), p. 115. 1818 Sono parole dello stesso Ricasoli nella sua lettera pubblica di rinunzia (L’Opinione, 14 novembre 1870; cfr. Lettere e documenti, X, pp. 144 e 166). 1819 Cfr. le lamentele de La Nazione, 15 novembre 1870, e anche 12 novembre; L’Opinione 10 novembre; La Perseveranza,

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10 novembre (Bonghi); lett. Massari a Ricasoli, 15 novembre, Lettere e documenti di B. Ricasoli, X, p. 163. Ma anche uno dei maggiori organi della Sinistra, Il Diritto, esprime il 10 novembre le stesse lagnanze. 1820 Così la battezza L’Opinione, 11 novembre 1870. Il Borromeo adduceva motivi di salute (ib., 16 novembre; la sua lettera anche ne La Perseveranza del 17 novembre). L’Alfieri di Sostegno diceva di non potere assentire al trasferimento della capitale a Roma e lamentava la mancanza di ogni organizzazione del partito liberale, ib., 13 novembre. Un altro, Giovanni Fabrizi, rinunziava a tornare in Parlamento perché, offeso dal modo con cui si era andati a Roma, non intendeva porre il visto all’operato del Sella e del San Martino (Lettere e documenti di B. Ricasoli, cit, X, p. 165; err. firm. Giuseppe). 1821 Così l’Alfieri di Sostegno, nel 1868, nello scritto Del dovere di esercitare la libertà (L’Italia liberale, cit., p. 428-29). 1822 Lettere e documenti, X, pp. 143, 148, 150, 156, 161 sgg., 172, 175, 176, 186, 194, 198, 240, 248. Nuovamente nel ’74 il Ricasoli esternò il proposito di non voler più tornare in Parlamento; e nuovamente tornò a cedere (ib., pp. 317, 319-20, 323-24 e 328). 1823 L’Opinione dell’11 e 13 luglio 1873 lamenta che il ministero Minghetti sia composto quasi esclusivamente di uomini tolti dalla pubblica amministrazione. 1824 Cfr. le fini osservazioni del M ORANTI, La Sinistra al potere, cit., p. 63. 1825 Così giudicava il La Marmora: «pare inoltre che si diffonda in molti la sfiducia, sull’andamento delle cose nostre, a giudicare dal numero, e qualità, delle rinuncie alla deputazione (Monale, Alfieri, Peruzzi, Ricasoli, ecc.)». Al Lanza, 14 novembre 1870 (Le Carte di G. Lanza cit., VI, p. 248). Preoccupazioni non dissimili in D. P ANTALONI, Delle probabili sorti del Regno d’Italia, in Nuova Antologia, XXI (1872), p. 624. 1826 Basti rammentare gli scritti del J ACINI, Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866, che è del 1870, e del S ONNINO, Del governo rappresentativo in Italia, che è del 1872 Cfr. R. D E M ATTEI, La critica antiparlamentaristica in Italia dopo l’unificazione, in L’Educazione Fascista, aprile 1928, pp. 193-201 e Il problema della democrazia dopo l’unità, Roma, 1934, p. 13 sgg. e sopratutto p. 23 sgg.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1827 È questo anche il giudizio di C. M ORANTI, Il pensiero politico di R. Borghi, in Annali di Scienze politiche (Pavia), Il (1929), p. 233; M. D ELLE P IANE, Tendenze antiparlamentari in Italia ed accenni ad una risoluzione al di fuori del sistema dopo il 1880, in Studi Senesi, LII (1938), pp. 481-93; I D., Il liberalismo di Ruggiero Borghi, in Rivista Storica Italiana, serie VI, V (1940), p. 19 sgg. dell’estratto (ora in Liberalismo e parlamentarismo. Città di Castello, 946, pp. 15-28 e 52 sgg.); P. A LATRI, Bonghi e la vita politica italiana, l. c., pp. 173-74. 1828 Così nella lettera del 31 maggio ’71 a Carlo Lozzi (F. D E S ANCTIS, Pagine sparse, a cura di B. Croce, Bari, 1934, p. 112; la lett. a cura di C. Muscetta). 1829 L’onorevole Massari alla Camera, il 13 marzo 1872 (A. P., Camera, p. 1182). 1830 Cit. in L. D AL P ANE, Antonio Labriola. La vita e il pensiero, Roma, 1935, pp. 293-94. 1831 Marselli a Robilant, 25 marzo 1873 (AE, Carte Robilant). In questa lettera egli propende per la vecchiaia. 1832 Così Il diritto, 11 gennaio 1875 (L’apatia politica). 1833 Su questo stato d’animo, non ho che da rinviare alle pagine del C ROCE, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, 3ª ed., Bari, 1928, p. 1 sgg. 1834 Cfr. R OMANO, Silvio Spaventa, cit., p. 271. 1835 M ARTINI, Confessioni e ricordi, 1859-1892, cit., p. 195. 1836 Lo osservò, ancora molti anni più tardi, il B ULOW, Memorie, cit., IV p. 658. 1837 Lo lamentava il conte Guido Borromeo, in una lettera al Minghetti del 31 luglio ’71: «... Alle tre principali Corti saremo rappresentati da Piemontesi. E poi si ride se il Papa parla sempre del Governo Subalpino«(BCB. Carte Minghetti, cart. XVI, fasc. 4). 1838 r. Kübeck, 2 marzo ’71, già cit. Stesso giudizio già nel r., pure cit., del 13 gennaio. 1839 J ACINI, Pensieri sulla politica italiana, cit, p. 60. 1840 Nel discorso elettorale di Tirano, il 25 ottobre 1874 (ne L’Opinione, 30 ottobre).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1841 Così nella lettera al Nigra del 27 febbraio 1871»l’Italia, in una parola non ha bisogno che di una cosa sola, della sicurezza e della pace» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1842 «L’Italia è paga di aver compiuto i suoi destini, non chiede altro, non ha progetti ostili contro alcuno. Essa ha soprattutto bisogno di pace, di tranquillità, di sicurezza per riordinare e per svolgere gli elementi della sua forza e della sua prosperità...» Così nella seduta alla Camera del 14 maggio ’72 (A. P., Camera, p. 2121); e nuovamente il 27 novembre dello stesso anno «L’Italia vuole innanzitutto mantenere ciò che ha acquistato, vuole conservare ad ogni costo ciò che ha ottenuto coll’aiuto, è vero, della fortuna, ma anche con una grande persistenza di sacrifizi, di volontà e di fede. Ma questi cimenti, ai quali pure siamo preparati, la gran maggioranza degli Italiani preferisce di prevenirli. L’Italia desidera di avere dinanzi a sé un lungo periodo di pace, di sicurezza e di tranquillità durante il quale essa possa svolgere le sue risorse materiali e morali, possa restaurare le sue forze, attendere ad un grande lavoro di progresso interno» (ib., p. 3397). Cfr. per tutto questo anche qui sopra pp. 135-37. 1843 G. Borromeo a Minghetti, 3 marzo 1871 (BCB, Carte Minghetti, cart. XVI, fase. 4). 1844 S. S PAVENTA, La politica della Destra, cit., pp. 201-202. 1845 L’espressione è del Bonghi, nel discorso tenuto a Napoli il 29 ottobre 1874, che fu una calorosa difesa della politica estera della Destra (vedilo nel supplemento dell’Opinione, 7 novembre, e nell’opuscolo a parte, Roma, 1874 p. 9). 1846 X, in Rassegna Politica della Nuova Antologia,. LI (1880), p. 177. 1847 J ACINI, Pensieri sulla politica italiana, cit., p. 15 sgg., 66 sgg. Sola differenza fondamentale, è che tutti questi scrittori pongono – giustamente – lo stacco netto fra i due periodi nel 1870, dopo la presa di Roma, mentre il Jacini fa punto al 1866, e di là inizia il nuovo periodo (pp. 11-12). 1848 L’Opinione, 20 luglio ’71 (I partiti parlamentari). 1849 A. P., Camera, p. 2687. Anche qui il raffronto con le idee del tutto analoghe svolte più tardi dal Jacini dimostra come i moderati avessero realmente un programma comune di politica estera, in cui non c’era quasi più posto per divergenze

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individuali; e dimostra i vincoli stretti soprattuto del gruppo lombardo, Visconti Venosta, Jacini, Casati, ecc. ecc. 1850 L’Opinione, 28 luglio ’73 (La situazione politica). 1851 9 gennaio ’72. 1852 Lett. già cit. (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1853 Così il Depretis, nel discorso agli elettori a Stradella il 10 ottobre 1875 (ne Il Diritto, 15 ottobre). 1854 Il Diritto, 31 ottobre 1874 (La politica estera), E cfr. il Discorso elettorale tenuto il 10 novembre 1874, ad Aragona, dal duca Gabriele Colonna di Cesarò, uno dei caporioni della Sinistra in fatto di politica estera (Palermo, 1874, p. 9). 1855 La Riforma 8 settembre 1872 (Le condizioni d’Italia secondo il ministro degli esteri). Cfr. anche 9 settembre, Ancora del discorso del ministro degli esteri. A tale discorso (il cosiddetto programma di Tirano) il Visconti Venosta accennò, nel discorso alla Camera del 27 novembre 1872 per dire anzitutto di aver parlato in un convegno improvvisato e di non poter accertare l’esattezza di ogni relazione pubblicata nei giornali; e, in secondo luogo, che non era solito cercar frasi che rendessero il suo pensiero nel modo più infelice. Smentì insomma e non smentì (A. P., Camera, p. 3397). 1856 Nel saggio su Goffredo Mameli che è del 1872 (Opere, p. 398). 1857 Nel discorso agli elettori di Alba, settembre 1874 (cfr. L’Opinione, 15 settembre). 1858 Cfr. l’art. Dopo Roma ne La Perseveranza del 10 settembre 1870. Nessuno dei mali attuali dell’Italia sarà più facile a risanare dopo l’acquisto di Roma: non la grande fiacchezza morale dei cittadini, non la grande debolezza del governo, non il dissesto persistente della finanza. Si vada dunque a Roma ma senza nutrire alcuna illusione che questo sol fatto abbia virtù di modificare tutto. 1859 «Ma siamo a Roma? Ci siamo, è vero, ma con tutti gli imbarazzi, con tutte le questioni che ci angustiavano a Torino ed a Firenze. Se un solo problema si fosse sciolto, io ne sarei lieto; ma i più angosciosi dettagli sono allo stato di pendenza come due o tre anni or sono. Sento parlare del contatore come se fossi a Firenze; intendo strillare i contribuenti, come se fossi a Torino; non parlo del disavanzo, della carta monetata, ma ur-

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ge una riforma militare dispendiosa per raggiungere il progresso degli altri Stati, e vedo gli onorevoli ministri della guerra e della marina colle mani legate dal piano finanziario dell’onorevole Sella, il quale per lo spazio di cinque anni loro vieta forzatamente, col piano suo, di fare le innovazioni necessarie» (discorso alla Camera del 14 maggio 1872, A. P., Camera p. 2107). Analogamente, il Nicotera, nella seduta del 21 marzo (ib., p. 1374). 1860 Osserva non del tutto ingiustamente il Bonghi ne La Perseveranza del 20 agosto 1870 (L’opinione pubblica in Italia) che l’opposizione vuole una qualunque direttiva politica, purché diversa da quella del governo; e com’è prussiana oggi, ed è stata inglese ieri, diventerebbe russa domani, senza che, sotto tale tendenza, vi, sia «nessun preciso concetto». 1861 Per questo trapasso del Melegari dal mazzinianesimo al moderatismo (come nel Visconti Venosta) cfr. G. F ERRETTI, Luigi Amedeo Melegari a Losanna, Roma, 1942; anche, Melegari à l’Académie de Lausanne, Lausanne, 1949. 1862 Seduta del 23 aprile 1877 (A. P., Camera, p. 2712). Per l’influsso del re sul governo, in quel preciso momento, cfr. qui appresso p. 788, n. 407. 1863 Che è l’accusa mossa dall’on. Miceli, il 14 maggio 1872, alla Camera (A. P., Camera, p. 2109 sgg.) 1864 A. P. Camera, p.3328. E per il discorso Miceli pp. 33223324. 1865 Così lo battezzò il Bonghi nel discorso di Napoli del 29 ottobre ’74 (l. c., p. 11; L’Opinione, 7 novembre). 1866 Cfr. il programma de La Riforma (C RISPI, Politica interna, Milano, 1924, p. 32). 1867 I doveri del Gabinetto del 25 marzo (1876) in Scritti e discorsi politici, cit., p. 408; e il discorso alla Camera del 13 dicembre 1871 (A. P., Camera, p. 199 sgg., non compreso nei Discorsi Parlamentari), che era programma di tutto un partito (La Riforma, 1° gennaio 1872. I nostri intendimenti). 1868 Pensieri e profezie, p. 130 e cfr. p. 135. In questo Crispi si ricollega alla corrente gallofoba di cui si è parlato qui sopra; e, in modo preciso, a Mazzini (cfr. qui sopra, pp. 47-48). 1869 «Io ritengo che gli Statuti non creino diritti, che i diritti individuali siano innati, anteriori a qualunque carta scritta. Gli

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Statuti possono affermarli guarentirli qualche volta anche offenderli, ma non sono gli Statuti cui l’uomo attinge i suoi diritti» discorso alla Camera, 5 dicembre 1878 (Discorsi Parlamentari, II, p. 315; e cfr. anche III, p. 190). Per l’idea di nazione, intesa giusnaturalisticamente, cfr. qui sopra p. 64. Cfr. anche C ROCE, Storia d’Italia, cit., pp. 177-78; V OLPE, Italia moderna, cit., I, pp. 420-21 e Francesco Crispi, Venezia, 1928, p. 32; F. E RCOLE, La personalità storica e il pensiero politico di Francesco Crispi, in Pensatori e uomini d’azione, Milano, pp. 354-55. 1870 Cfr. Discorsi Parlamentari, II, pp. 149, 211, 313; III pp. 214, 245, 459, 497, 500, 508 548 550-51 576 675 ecc. Per i frequenti appelli all’esempio inglese, ib., III p. 14, 86, 194,196, 199, 208, 286, 454, 508, 560 594 761. Nella tornata del 26 maggio 1890, ad un suo ennesimo invito «andate in Inghilterra, signori», l’on. Luigi Ferrari l’interruppe «vien sempre fuori con l’Inghilterra!»; e Crispi di rimando «l’Inghilterra in coteste materie dà lezioni a tutti» (ib., III, p. 545). E cfr. le fini osservazioni dello J EMOLO sopra lo spirito legalitario di lui (Crispi, Firenze, 1922, pp. 51 sgg., 103 sgg.). Difatti, per il Turiello, che dottrinalmente era già uomo di fine secolo, Crispi aveva sì per primo cominciato ad intendere quel che avrebbe dovuto diventare l’Italia in Europa e fuori «ma la sua educazione dottrinaria e francese gli fa ostacolo ad ogni passo dentro» (Governo e governati in Italia, cit.,2ª ed., II, p. 214) 1871 F ARINI, Diario, I, pp. 607, 611, 625-26, 663. 1872 Cfr. il colloquio di Crispi con la regina Margherita, il 2 gennaio 1897 (Politica estera, cit., I, p. 281 n. 1). 1873 Discorsi alla Camera del 3 febbraio 1879, 7 aprile 1881, 4 maggio 1894 (Discorsi Parlamentari, II, pp. 335, 494, III, p. 743). 1874 I doveri del Gabinetto del 25 marzo (Scritti e discorsi politici, p. 405). 1875 Così, nella lett. al Cavallotti del 30 settembre 1882, mentre da una parte condanna coloro che in politica internazionale si alimentano d’illusioni e difendono in astratto le sane teorie di libertà, e parla della Gran Bretagna che assicurerà il suo predominio in Egitto, dall’altra difende l’azione del governo inglese in Egitto: «Questa volta il cannone non fu violatore del diritto, e lo straniero non è apportatore di schiavitù, Gladstone

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e Granville sono una garanzia di libertà, ed agli Arabi di Egitto non avverrà quello che è avvenuto agli Arabi della Tunisia» (Carteggi politici inediti, cit., pp. 391-92). 1876 Lettere fra la regina Margherita e M. Minghetti, cit., pp. 159, 175, 188-89, 195, 268. 1877 Discorsi Parlamentari di M. Minghetti, VIII, p. 47. 1878 A questo infatti riconduce l’accenno alla risoluzione di sbarcare le nostre truppe a Tunisi: «in un momento nel quale l’Italia era in difficoltà gravissime interne». Sul progetto di spedizione cfr. G. C APPELLO, La spedizione francese in Tunisia, in Memorie storiche-militari a cura del Comando del Corpo di Stato Maggiore, fasc. II, 1912, pp. 2-3, e, in genere, G. D E ’ L UIGI, Il Mediterraneo nella Politica Europea, Napoli, 1925, p. 141 sgg.; P. S ILVA, Il Mediterraneo dall’unità di Roma all’impero italiano, 7ª ed., Milano, 1942, p. 329. 1879 A RCH . V ISCONTI V ENOSTA. 1880 C ASTAGNOLA, Diario, cit., p. 96. 1881 Così ai primi d’aprile del 1872 parlando col ministro di Francia il Visconti Venosta affermava che l’Italia non era abbastanza ricca per pagarsi il lusso di un’Algeria e che aveva a Tunisi interessi commerciali, mentre la Francia vi aveva interessi politici. Eran dichiaraioni fatte proprio al rappresentante della Francia, ma eran anche molto perentorie (D. D. F., s. I, I, p. 138). E per vero, le aveva già fatte in forma molto simile(niente «lusso d’un’Algeria») nel 1871 (l. p. 23 marzo ’71 al Cadorna; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA); e le ripeteva al Nigra, il 25 gennaio 1875: «Noi non abbiamo colà [Tunisi] altro in vista che il mantenimento dello statu quo senza arrière pensée di sorta» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1882 Parecchi lo pensarono, infatti, allora: cfr. anche qui sopra pp. 306-307 e p. 618. 1883 A. P., Camera, p. 4286 (12 maggio 1864). 1884 Così, in una lettera del 28 giugno 1864 ad Emanuele d’Azeglio (cit. in E. P ASSAMONTI, Un colonialista del nostro Risorgimento, in Atti del Primo Congresso di Studi Coloniali, Firenze, 1931, p. 4 dell’estratto). Perciò, al riaprirsi della questione d’Oriente nel ’76-77, il Visconti Venosta osservò ch’era scoppiata troppo presto «perché l’Italia potesse trarne quei

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vantaggi che poteva sperare» (l. p. Corti al Visconti Venosta, da Berlino, 9 luglio 1878, A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1885 Cfr. V OLPE, Italia moderna, cit., I, pp. 98=99. 1886 Lettera al Visconti Venosta del 19 novembre 1870: «l’avvenire d’Italia è in gran parte nell’Oriente. Verso le Alpi non abbiamo a desiderare che rettificazioni di frontiera. Il nostro commercio si volge colà. È necessario che il Mar Nero non divenga un lago russo» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1887 Le carte di G. Lanza, X, pp. 383-84 e 446. 1888 Lettera al fratello Giovanni, 20 luglio 1878 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). 1889 Discorsi Parlamentari di M. Minghetti, VIII, p. 216 sgg.; L UZZATTI, Memorie, II, p. 150, e Grandi Italiani. Grandi sacrifici per la patria, cit., p. 22. 1890 Robilant al Corti, 25 novembre 1883 e 1° marzo 1884 (AE, Carte Robilant). E al Minghetti, confermava il suo profondo convincimento che il governo italiano avesse fatto bene a rifiutare; anzi, riferiva un giudizio del Kálnoky «... si Mr. Minghetti avait été Ministre des Affaires Etrangères à la place de Mr. Mancini il n’aurait pas non plus lui accepté d’aller en Egypte» (Robilant a Minghetti, 20 marzo 1883; BCB, Carte Minghetti, cart. XXIV, fasc. 48). 1891 Robilant a Corti, 21 luglio, 8 settembre, 20 novembre 1884, (AE, Carte Robilant). Sulla fine del secolo, il Visconti Venosta diceva a Wickham Steed: «Pour Tripoli, même moi, je mettrais le feu aux poudres» (W ICKHAM S TEED, Mes souvenirs, cit., I, p. 135). 1892 Giovanni Bovio, nel 1890 (Discorsi Parlamentari di F. Crispi, III, pp. 499-500). 1893 Cfr. p. es. il divieto opposto, nel 1889, alla commemorazione dei martiri del 6 febbraio 1853, in Milano, il successivo intervento della truppa ecc. (Discorsi Parlamentari, III, p. 277 sgg.). Anche in teoria, d’altronde, Crispi trovava che «il diritto di riunione... presenta maggiori pericoli del diritto di associazione», dopo aver affermato che quei due diritti sono «i più gelosi per un popolo libero» (ib., ib., p. 544). 1894 Discorsi Parlamentari, III, p. 443.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1895 Il 10 giugno 1894 il fedele Abele Damiani gli scrive: «Mi sono accorto da molto tempo che con te si parla invano se non si riesce a darti ragione. Il tempo ha aggravato l’indole del tuo spirito; ed oramai non basta né la fedeltà de’ tuoi amici, né la loro età né il loro credito, nulla... tu devi avere ragione, specialmente quando hai torto – l’avvocato al posto del giudice; e il cliente sei tu!... ti ostini ciecamente a seguire un destino avverso, dimostrando anche a’ più fidenti in te, che ti manca l’energia di altri tempi e ti perdura il dispreggio d’ogni consiglio. A me non resta che chiudere il libro perché vi ho letto abbastanza» (MRR, Carte Crispi, b. 667, n. 32/19). 1896 P. es. il brusco richiamo del Ressmann dall’ambasciata di Parigi, il 5 gennaio 1895, fu deciso dal Crispi all’insaputa di tutti i ministri, eccetto il Blanc, ministro degli Esteri. Quando Umberto I gli riferì la «sorpresa» di Sonnino, Saracco, Boselli, Barazzuoli, Crispi rispose che non dovevano saperlo: «Queste cose si fanno dal Presidente del consiglio, d’accordo col ministro degli affari esteri, che ne riferiscono al Re... Si è fatto così dai tempi di Cavour sino ai tempi di Depretis... Non sono cose da consiglio de’ ministri» (MRR, Carte Crispi, b. 667, n. 34/1. Niente di questo in Questioni Internazionali, pp. 174-75. E cfr. F ARINI, Diario, I, p. 631, con le proteste dei ministri e il commento di Umberto I, che approvava la sostanza del provvedimento, non il modo). Il modo fu certo brutale, come col Corti (qui appresso, p. 646, n. 257 e pp. 766-67, n. 266) e col Greppi (D E C ESARE, Il conte G. Greppi, cit., p. 249). Dai molto sommari verbali del Consiglio dei ministri (su cui cfr. E. R E, I verbali del Consiglio dei Ministri (1859-1903), in Notizie degli Archivi di Stato, II, gennaio-marzo 1942) non risulta tuttavia, che sempre e sistematicamente simili questioni venissero discusse collegialmente: cfr. le deliberazioni per nomine o trasferimento di diplomatici o accettazioni di dimissioni, del 16 novembre 1872, 4 gennaio e 11 aprile 1875, 7 e 28 febbraio, 17 marzo, 8 e 27 giugno, 23 novembre 1876, 7 ottobre e 30 ottobre 1879, 18 giugno 1880, 30 giugno 1881, 7 novembre e 13 dicembre 1885, 28 dicembre 1886. Per il periodo Crispi, cfr. le deliberazioni 16 e 24 dicembre 187 (collocamento a riposo di Corti ecc.), 22 febbraio 1888, 20 settembre 1894 (collocamento a disposizione di Tornielli, in aspettativa di Marochetti ecc.), 30 ottobre 1894. Per il collocamento in aspettativa di un console generale, Nicola Santasilia, la questione era stata portata al Consiglio dei ministri, il 28 ottobre 1894, poco prima del caso Ressmann.

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Del Ressmann il Consiglio dei ministri si occupò il 16 gennaio 1895, per promuoverlo di classe; il 2 settembre, per passarlo dalla disposizione all’aspettativa. (Verbali del Consiglio dei ministri, ACR, voll. II, III, IV, V, alla data.) 1897 Pensieri e profezie, p. 129. 1898 Cfr. T EMOLO, Crispi, cit., pp. 100-101. 1899 «Certamente se continuano a governare coloro che hanno dimenticato le tradizioni della rivoluzione italiana, i suoi scopi, la grandezza alla quale miravamo, non solo c’immiseriremo all’interno, ma ci umilieremo sempre più di fronte all’estero.» Crispi a Primo Levi, 14 novembre 1891 (Carteggi politici inediti, p. 462). Già il 27 luglio 1862 aveva attaccato, alla Camera, i ministri «che, non sentendo la forza che loro viene da una grande nazione, agiscono con la timidezza del piccolo Stato che fa nucleo al Regno d’Italia...» (Discorsi Parlamentari, I, 215). In questo, la coerenza di Crispi fu continua e assoluta. 1900 Nel discorso per l’inaugurazione del monumento a Garibaldi a Palermo, 27 maggio 1892 (Ultimi scritti e discorsi extra-parlamentari, cit., pp. 163-64). 1901 Tipico il giudizio del Castelli, già intimo di Cavour e poi dei maggiori tra i moderati, confidente di Vittorio Emanuele II, che il 1° agosto 1870 scrive al Lanza: «Dalle complicazioni degli imbrogli esteri ed interni è sorta l’Italia per azione propria negativa più che attiva. Per coronare l’opera ci voleva questa guerra e spero bene» (Le carte di G. Lanza, cit., V, p. 217). 1902 «Io conosco, per intime ed oramai lunghe e provate relazioni, le vostre convinzioni su questo grave soggetto della pace europea, e le divido con voi. So quindi che per parte vostra continuerete ad adoperarvi nella misura che vi è permessa per allontanare l’eventualità d’una guerra, la quale, comunque l’esito riuscisse, sarebbe per la nuova Italia un disastro» (l. p. Nigra al Visconti Venosta, 17 maggio 1875, a proposito della «crisi di primavera»; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). E infatti il Visconti Venosta dichiarava al Robilant, il 1° luglio: «Desidero ardentemente la pace... la pace è un assoluto interesse del nostro paese... È un assoluto interesse che essa sia per lo meno aggiornata il più a lungo possibile, quando in una crisi europea l’Italia possa agire come una Grande Potenza e non apparire dominata da quella specie di fatalità che è la legge dei de-

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boli» in S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1925, pp. 193-94. 1903 Cfr. qui sopra p. 641, n. 244. E cfr. anche in S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1925, p. 188 (2 marzo 1875). 1904 «Convengo pienamente con Voi che noi avressimo tutta convenienza acché la questione d’Oriente dorma ancora placidi sonni per dieci anni almeno...«(l. p, al Visconti Venosta, 13 agosto 1875; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1905 tt. Depretis a Mancini, 19 e 28 luglio 1882 (AE, Telegrammi con il Presidente del Consiglio, nn. 15 e 32); t. id. a id., 25 giugno (MRR, Carte Mancini, b. 646, n. 13/6) e cfr. per questi sforzi del governo italiano, L. E. R OBERTS, Italy and the Egyptian Question, 1878-1882, in The Journal of Modern History, XVIII, 1946, p. 323. Circa la questione d’Oriente, stessi desideri nel Depretis che nel Visconti Venosta: «è mia opinione che l’Italia deve fare ogni sforzo per mantenere la pace o ritardare lo scioglimento della questione d’Oriente...» (t. Depretis a Vittorio Emanuele II, s. d., ma giugno 1876; ACR, Carte Depretis, serie I, b, 22, fasc. 69). 1906 r. Tavera, 30 settembre 1881 (SAW, P. A., XI/91, n. 46 A). Mancini tacque. 1907 Si veda, infatti, come il Bismarck nel gennaio 1880 parli di «cinque» grandi potenze il cui instabile equilibrio governa il mondo, mentre l’Italia «is of no account as a Great Power» (The Saburov Memoirs or Bismarck and Russia, ed. da J. Y. Simpson, Cambridge, 1929, pp. 111 e 119). E cfr. l’annotazione marginale n. 12 dell’imperatore Guglielmo I al rapporto del Bismarck del 24 settembre 1879: «Unser Beistand kann nur gegen eine der wirklichen Grossmächte gerichtet sein, zu denen Italien und die Türkei nicht zu rechnen sind» (G. P., III, p. 99). L’esarchia formale del concerto europeo dopo il ’70 era ancora, in sostanza, la pentarchia di prima il 1861. 1908 «Was die künftige Haltung Italiens betrifft, so wird dieselbe von dem General-Sekretär dahin resumirt, dass dasselbe ohne die Rolle einer Grossmacht spielen zu wollen, zu der es nicht die Mittel besitze, zu den konservativen Traditionen des alten Piemont zurückzukehren habe und indem es die gleichen guten Beziehungen zu allen seinen Grenznachbarn unterhalte, sein Hauptaugenmerk auf die Haltung des materiellen Wohles

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des Landes richte» (r. Tavera sopracit.). Secondo il Tavera, queste dichiarazioni del Blanc sarebbero da connettere – come conseguenza – con quelle Uxkull a Mancini. Le dichiarazioni analoghe del Blanc all’incaricato d’affari germanico, von Derenthall, pure verso la fine di settembre del 1881, in W. W INDELBAND, Bismarck und die europäischen Grossmächte 1879-1885, Essen, 1940, p. 313. In parte, tali affermazioni erano certamente dettate dalla ansiosa preoccupazione di dissipare a Vienna e a Berlino i timori che un’intesa con l’Italia – che il Blanc proprio allora lavorava a stabilire – trascinasse i due imperi in questioni coloniali a favore dell’Italia: le stesse preoccupazioni, cioè, che inducevano il de Launay, nel gennaio 1882, a dichiarare che l’Italia voleva solo il mantenimento della pace «rinunciando perfino a qualsiasi idea di accrescimento della nostra influenza dalla parte del Mediterraneo» (in A. F. P RIBRAM, Les traités politiques secrets de l’AutricheHongrie, 1879-1914, trad. frane., I, Parigi, 1923, p. 186, n. 30; e cfr. L. S ALVATORELLI, La Triplice Alleanza. Storia diplomatica 1877-1912, Milano, 1939, p. 59). E infatti il Blanc dice al von Derenthall, niente più politica coloniale avventurosa. In parte, però, erano anche riflesso dello stato d’animo dei circoli dirigenti italiani, dopo lo scacco di Tunisi: l’Italia si sentiva realmente un paese vinto in una guerra diplomatica (cfr. il suggestivo giudizio di G. S ALVEMINI, La politica estera dell’Italia dal 1871 al 1915, 2ª ed., Firenze, 1950, p. 59). 1909 Dichiarazioni di Umberto I al conte Ludolf, ambasciatore austro-ungarico, il 24 novembre 1882: il Re «Se montra pénétré de l’espoir que l’Italie a devant elle une période de tranquillité intérieure, dont elle pourra profiter et dont elle profitera pour le développement de ses ressources et pour s’élever au rang des puissances qui sont un garant solide pour le maintien de la paix» (r. Ludolf, 24 novembre 1882; SAW, P. A., XI/92, n. 62 A). Naturalmente, c’era in primo luogo la questione dell’inferiorità militare dell’Italia, su cui Umberto I si era già soffermato nella prima udienza concessa al Ludolf (r. Ludolf, 7 luglio 1882; ib., ib., XI/92, n. 26 A). 1910 Nell’articolo La verità sulla nostra politica estera, pubblicato ne La Rassegna del 26 agosto 1882. L’incaricato d’affari austro-ungarico, Tavera, trovava perfetta sincronia fra queste affermazioni e quelle del segretario generale agli Esteri, Blanc,

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tanto da attribuire a quest’ultimo l’ispirazione dell’articolo (r. Tavera, 26 agosto 1882; SAW, P. A., XI/92, n. 41). Ancora nell’articolo della Rassegna, una constatazione alla Visconti Venosta «La questione di Egitto è sorta male a proposito, troppo presto per noi, troppo presto per le nostre alleanze». 1911 Art. del sen. C. Cadorna, ne L’Opinione del 13 agosto 1881 (Italia e Francia). 1912 La Rassegna, art. cit. 1913 Auguri alla Patria, ne La Rassegna settimanale, 2 gennaio 1881. 1914 L’esercito e la marina, ib., 22 maggio 1881. 1915 Si veda, nel discorso alla Camera del 27 luglio 1862, il richiamo alla prima repubblica francese che «s’impose, non supplicò di essere accettata tra i Governi d’Europa» mentre alla «timidezza» del governo italiano pare toccare l’apice della fortuna se una grande potenza ci riconosce (Discorsi Parlamentari, I, p. 215). 1916 Così il F ARINI (Diario, I, p, 577). 1917 Alberto Pansa, che pure era tenuto in gran conto fra i diplomatici giovani (F ARINI, Diario, I, p. 130, n. 1), così annota nel suo Diario, alla data del 16 agosto 1888 «Arrivo a Roma. Visita alla Consulta. Ricevimento ineducato di Crispi». Anche il richiamo del Ressmann da Parigi fu brutale nella forma: t. Crispi a Ressmann, 5 gennaio 1895 «Parigi non è più per voi. Ritornate in Italia consegnando l’ufficio al consigliere Gallina che funzionerà fino all’arrivo costà di un nuovo ambasciatore» (MRR, Carte Crispi, b. 664, n. 18/6). Per il Crispi maître-charmeur invece, cfr. A. B ILLOT, La France et l’Italie. Histoire des années troubles, 1881-1899, Parigi, 1905, I, p. 182. 1918 «Del resto con un cocchiere come Crispi a cassetta bisogna aspettarsi a sentire, a ogni tratto, urti e spintoni», Visconti Venosta al fratello Giovanni, 4 agosto 1888 (A RCH . V ISCON TI V ENOSTA ). Sulla mancanza di misura e di equilibrio della politica crispina, anche in lettera al Rudinì, s. d. (1895), ib. 1919 Definirsi un vecchio cospiratore piaceva al Crispi: si veda infatti il discorso di Torino del 25 ottobre 1887 (Scritti e discorsi politici, p. 709). E ancora, in un teleg. al Nigra del 5 settembre 1887, accusando il Cappelli di aver fatto conoscere

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all’Opinione consenziente il di Robilant, le clausole della Triplice nel febbraio 1887 «Certes vous ne vous étonnerez pas de ces faiblesses de quelques vieux diplomates qui n’ont pas les habitudes des vieux conspirateurs» (AE, Cas. Verdi, 1, fase. B). 1920 Si deve tuttavia osservare – ed è caratteristico per l’oscillare del Crispi fra prassi liberale e prassi autoritaria – che il discorso di Palermo del 14 ottobre 1889 fu da lui accennato «per sommi capi» al Consiglio dei ministri del 10 ottobre; e quello di Torino del 18 novembre 1890 fu letto da lui al Consiglio dei Ministri del 15 novembre e da questo approvato (Verbali del Consiglio dai Ministri, alla data). Qui trionfa la prassi liberale. 1921 Acutamente osservato dal V OLPE, L’Italia moderna, cit., I, p. 419. 1922 Così dice del Gioberti Margherita Collegno (Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti lombardi, cit., p. 481), a proposito del Rinnovamento. 1923 Discorsi Parlamentari, II, p. 486. 1924 La Riforma, 25 giugno 1872 (Il sentimento nazionale). 1925 Che è un rimprovero non solo espresso nell’articolo citato, ma anche in altri art. de La Riforma; cfr. per es., 24 gennaio ’72 e, anche, 1° febbraio ’74. 1926 La Riforma, 1° febbraio 1874 (Non in solo pane vivit homo). 1927 La Riforma, 25 giugno ’72 (Il sentimento nazionale). 1928 Per es., il 29 ottobre 1882, in un momento cioè in cui l’atmosfera internazionale non aveva nulla di particolarmente inquietante, anzi s’era nella fase di distensione franco-germanica e dei buoni rapporti russo-austro-tedeschi, Crispi scriveva a Primo Levi «Io tremo al pensiero che, ove scoppiasse la guerra – la quale non credo sia molto lontana – noi non potremmo sostenerci validamente» Carteggi politici inediti, cit., p. 394. 1929 Cfr. qui sopra pp. 98-99. 1930 Bene lumeggiato dall’E RCOLE, op. cit., p. 336. 1931 Cfr. qui sopra, pp. 225-26. 1932 La Riforma, 22 agosto ’72 (La politica italiana in Oriente). 1933 Cfr. qui sopra, p. 298 sgg.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1934 Discorso al Senato del 3 agosto 1870 (A. P., Senato, pp. 987-92). 1935 A. P, Senato, p. 856, 4 giugno. 1936 Cfr. una sua lettera al Nigra del 10 gennaio 1874: difficile il compito del canavesano a Parigi «centro degl’intrighi, dei risentimenti, degli odii politico-religiosi che fermentano contro il regno d’Italia» (A RCH . D E V ECCHI). 1937 11 settembre 1870 (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, p. 481). 1938 L’ambasceria finì presto; il Cialdini che avrebbe dovuto, terminata la missione straordinaria, rimanere a Madrid come ministro plenipotenziario, tornò in Italia infuriato contro il Visconti Venosta, che, dopo la morte del Prim, ritenne non più attuabile il progetto. E si lagnò col re del modo di fare del ministro (Cialdini a Vittorio Emanuele II, 6 febbraio 1871; ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 4, fasc. 1); e si sfogò contro il Visconti Venosta, che si era – a suo dire – preso gioco di lui, il Blanc e il Sonnino, che rinviò in Italia per avergli mancato «d’une manière inconvenante» (l’intero carteggio sulla questione, compresi t. e r. al Visconti Venosta, in A RCH . C ASA R EALE, Carte Vittorio Emanuele II, cart. V, amb. straordinaria a Madrid, 1870-71, Carte Cialdini). 1939 Cfr. qui sopra, pp. 25-26. 1940 G. V ISCONTI V ENOSTA, Ricordi di gioventù, cit., p. 7; altre notizie, pp. 15, 64, 286, 518. 1941 B ÜLOW, Memorie, cit., IV, pp. 335-36; F. P ETRUC CELLI D ELLA G ATTINA , Storia d’Italia dal 1866 al 1880, Napoli, 1882, p. 157; E. D E L AVELEYE, Lettres d’Italie, cit., pp. 245-46; C IMBRO [G. F ALDELLA], Salita a Montecitorio (1878-1882). Caporioni, Torino, 1883, p. 102; G. R ICCIARDI, Schizzi fotografici dei Deputati del 1, 2 e 3 Parlamento italiano, Napoli, 1870, p. 40; M AZZOLENI, op. cit., p. 331. 1942 Cfr. la lettera del Mazzini a lui, del 5 aprile 1853 (Scr. Ed. In., XLIX, Epistolario, XXVII, p. 38 sgg.). Per l’ostilità della Sinistra, Rattazzi et son temps, II, p. 392; e La Riforma del 5 agosto 1871: «il signor Visconti Venosta, questo antico mazziniano, è divenuto una calamità per l’Italia, come tutti i rinnegati» (Nulla dies sine linea).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1943

Cfr. B ARBIERA, Il salotto della Contessa Maffei, cit., p.

213. 1944 Fu padre affettuosissimo tanto da smarrir quasi la ragione per la morte di una sua bambina (F ARINI, Diario, M RR, sub. 12 marzo ed anche 24 aprile 1898, e cfr. un suo commovente biglietto al L UZZATTI, Memorie, II, p. 153 e una lettera a lui di Giovanni Morelli, il 24 luglio 1886, che lo esorta a cercar di liberarsi dalla malinconia che lo opprime, pur avendo sacra la memoria della bambina, perduta, A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1945 Così La Perseveranza del 27 gennaio 1871. Ivi, 21 agosto 1870 (Bonghi) per il suo discorso nella difficile seduta alla Camera del 19 agosto. Era fra gli oratori lenti; nei discorsi, pronunziava 80 parole al minuto, mentre il Minghetti 100, il Depretis 120, il Sella 150 C IMBRO [G. F ALDELLA], Salita a Montecitorio (1878-1882). Il paese di Montecitorio, Torino, 1882, p. 103). 1946 Fra l’altro aveva in orrore le rivelazioni post facta ad opera di diplomatici ed uomini di governo troppo ciarlieri e preoccupati di sé e della propria reputazione; ed un giorno scrisse al Nigra: «Non è piacevole il sapere, a ogni tratto, che si sarà stampati vivi in tutte le conversazioni che si possono aver avute quindici o vent’anni or sono. Sta bene che si debba sempre, rispondere delle parole che hanno avuto un’effetto positivo e concreto, ma non di quelle che, nel corso di un remoto colloquio, furono suggerite da un sentimento di opportunità morale che ora sfugge a ogni giudizio competente. Per conto mio, mi sono sempre astenuto dal farmi dei meriti retrospettivi, ma non repugno meno dalle polemiche, dalle rettifiche, dalle difese postume. Anche in questo, caro amico, siamo sempre stati di accordo» (3 dicembre 1884, A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1947 Quando dovette accettare di esser arbitro italiano per la questione della pesca nello stretto di Behring, mentre egli avrebbe voluto si designasse un giurista, scrisse al fratello di vivere sotto un incubo: «Non avrei esitato... se si fosse trattato d’una quistione politica. Ma qui non sono al mio posto. Sono un’uomo che sa suonare il flauto e a cui si fa suonare il violino» (24 agosto 1892; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1948 A proposito della lunga, spinosa questione dell’Orénoque, egli dichiarò al Nigra di preferire infinitamente la soluzione del

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ritiro spontaneo della nave da parte francese, ad una richiesta ufficiale italiana. Quest’ultima avrebbe potuto esser abbastanza popolare all’interno «ma di quella popolarità ch’io pongo gran cura a non meritare» (l. p. al Nigra, 17 agosto 1874; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1949 Per questo anche, all’inglese, il Visconti Venosta non rinunziava alle sue vacanze, anche in periodi mossi, tra i commenti di taluno dei suoi subordinati, uno dei quali, il Pansa, scriveva nel suo Diario, il 7 settembre 1875: «Anche il Ministro, finalmente, par si decida a tornare domattina; ecco uno, per esempio, qui ne se gêne pas per andare a spasso quando gli accomoda». E cfr. l’attacco della Riforma, 19 agosto 1871 (Il Ministro degli Esteri in vacanza). 1950 Soleva dire che per un diplomatico «il est fort important de savoir retirer à temps son épingle du jeu» (B ÜLOW, Memorie, III, p. 193). 1951 Che la politica del lasciar tempo al tempo richieda ad un certo punto, l’intervento di una volontà chiara e decisa, dice infatti lo stesso Visconti al Robilant, in una lettera del 12 aprile 1878. «Non vedo neppur io con animo tranquillo l’andamento delle cose nel nostro paese. Può darsi che, nel momento in cui parliamo, il più savio partito sia di prender tempo. Ma la politica del differire le difficoltà suppone poi l’energia e la decisione necessaria pel giorno in cui non potranno esser differite» (A E, Carte Robilant). Di fatto, nel periodo più difficile dei rapporti con la Francia, il Visconti Venosta aveva, sì, cercato di non farsi sopraffare dai timori, come gli uomini della Sinistra, perdendo calma e sicurezza di giudizio; ma aveva pure cercato per tempo di premunirsi contro ogni sorpresa: «Non rimane dunque che a trattare con una cura blanda una situazione di cui non si possono far scomparire a un tratto le cause, cercando di non compromettere l’avvenire e sperando nei beneficii del tempo. Per parte nostra, cerco di seguitare questa politica, evitando gli incidenti, palliandoli all’occorrenza, facendo prova di disposizioni sinceramente amichevoli e concilianti... Ma voi comprendete che questa politica di posizioni calmanti non può essere tutto. V’è anche un’altra politica di previdenza pei casi peggiori, indipendenti dalla nostra volontà, politica che ci si impone come un dovere. Finché ci sarà nella situazione un’elemento di incertezza o di diffidenza è naturale che noi facciamo corrispondere

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ad esso un elemento adeguato di precauzioni» (l. p. al Nigra, 2 febbraio 1873: A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1952 Cfr. le sue dichiarazioni alla Camera, il 19 agosto 1870: «Io credo, signori, che sia pericoloso chiedere al governo quale linea di condotta esso intenda precisamente seguire nelle attuali condizioni, e quando la nostra condotta può essere determinata da circostanze che ora è impossibile il prevedere e il definire. Noi, signori, non possiamo utilmente discutere le incerte eventualità, né vi è alcun governo il quale possa prendere degli impegni sopra delle ipotesi» (A. P., Camera, p. 4027). 1953 Lo ha notato, acutamente, per la «praticità» del Balbo, N. V ALERI, Problemi di storia del Risorgimento, Milano, 1947, pp. 101-102 (cit. in M ATURI, L’aspetto religioso del 1848 e la storiografia italiana, in Convegno... 1848, cit., p. 267): ma l’osservazione calza anche per la maggior parte degli uomini della Destra post-cavouriana, Sella, e, forse, Minghetti eccettuati. 1954 In questo senso non è del tutto inesatto il giudizio che di lui dà il G UICCIOLI: «Era un discreto ministro quando una prudente astensione, una accorta inazione erano saggezza. Il giorno in cui una linea di condotta ben determinata o, quel che è più grave ancora, rendesse necessaria una pronta e grave risoluzione, terrà che V. sarebbe impari al suo compito» (Diario cit., in Nuova Antologia, 1° luglio 1935, p. 86). Soltanto, in luogo di discreto ministro, bisognerebbe scrivere «ottimo ministro». 1955 Cfr. C ASTAGNOLA, Diario, cit, pp. 6-7 (Consiglio dei ministri dell’8 agosto ’70). Inesatto, quindi, F. C ATALUCCIO, La politica estera di E. Visconti Venosta, Firenze, 1940, p. 53, che fa del Visconti il rappresentante nel Gabinetto Lanza della tendenza favorevole all’intervento a fianco della Francia (erano decisamente per esso, invece, l’8 agosto, Lanza, Castagnola, Gadda e Acton). Sul suo atteggiamento, cfr. anche la sua discussione col de Launay (cfr. sopra, p. 27): neutralità per ora; in caso si dovesse abbandonare, a fianco della Francia. E. cfr. G UICCIOLI, op. cit., I, pp. 263-66 che ha bene colto e lumeggiato la questione, soprattutto nel giudizio riassuntivo a p. 265. E cfr. anche qui appresso pp. 736-37, n. 38. 1956 Se per andare a Roma occorre il cannone, diceva ai capi della Sinistra, allora sarete voi ad andarci; quanto a me, io non faccio una simile politica, (Rattazzi et son temps, cit., II, p. 348.

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Questa notizia corrisponde effettivamente all’atteggiamento generale e alle convinzioni del Visconti Venosta; e può quindi essere accolta, anche se deriva da M.me Rattazzi). Sulla condotta del governo italiano sino al 20 settembre, che sarà esaminata da Walter Maturi e a cui si accenna qui solo per quel tanto ch’è necessario ad illuminare la figura del Visconti Venosta, si veda l’ampia e precisa analisi di S. W. H ALPERIN, Italy and the Vatican at War, cit., p. 28 sgg. Meno importante, L. P ARKER W ALLACE, The Papacy and European Diplomacy, 1869-1878, Chapel Hill, 1948, p. 116 sgg. 1957 Al Cadorna, 12 aprile 1871 (A E, Ris., c. 51). La soluzione intermedia sarebbe stata la «città leonina» (R OTHAN, op. cit., II, p. 280 e qui appresso pp. 737-38, n. 40). In lettera al fratello Giovanni (senza data, ma dei primi di settembre 1870): «Oggi [a Parigi] v’era della agitazione nei boulevards e vi erano grida di Viva la Repubblica», il Visconti Venosta diceva: «Io temo di non andare d’accordo co’ miei colleghi per Roma. Voglio fare al pari degli altri ma far bene e in modo di non mettermi dalla parte del torto e compromettere l’Italia» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1958 C ASTAGNOLA, op. cit., pp. 30-31. Di questa seduta del 3 settembre nessun cenno nei verbali del Consiglio dei ministri, redatti dal Lanza, verbali d’altronde estremamente sommari (A CR, Verbali delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, II). È probabilmente ad essa che si riferisce il colorito racconto di M.me Rattazzi, Rattazzi et son temps, II, p. 351, la quale, con la solita confusione cronologica, accomuna in un sol giorno discussioni e decisioni del Consiglio dei ministri durate più giorni e precisamente il 3, il 4 ed il 5 settembre, e aggiunge particolari fantastici, come quello della mobilitazione a favore di Napoleone (che, semmai, è fatto del 30 luglio). Più che di «seduta» ufficiale per il 3 settembre, si deve parlare di riunione ufficiosa, a cui non si volle dar carattere ufficiale forse perché i dissensi sul quid agendum erano ancora troppo forti. 1959 t. al Minghetti (Vienna), 5 settembre: «La situation est changée aver la République. Je crois qu’il est maintenant le temps d’osar. Telegraphiez moi vos conseils et le plan que vous suivriez dans la question romaine» (A E, Ris., 51). 1960 Verbale del Consiglio dei Ministri dell’8 settembre (A CR, Verbali delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri, II, pp.

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71-72; pubbl. in C RISPI, Politica interna, cit., p. 70 e in Le Carte di G. Lanza, cit., p. 406). Il Castagnola (p. 36 sgg.) attribuisce inesattamente questa dichiarazione al Consiglio dei ministri del 7 settembre. Da notare, che le istruzioni al gen. Cadorna approvate dal Consiglio dei ministri dicevano: «che le truppe non procederanno alla occupazione della Città di Roma quando fosse necessario espugnarla colla violenza»: s’era in quella fase, durata sino al 17 settembre, in cui il governo italiano s’illuse ancora nella non opposizione del Papa; o almeno, in un movimento popolare a Roma (cfr. anche l. p. Blanc a Minghetti, 12 settembre; B CB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 66). È degno di nota che nei laconicissimi verbali del Consiglio dei Ministri sia questo uno dei rarissimi casi in cui sia fatta espressa menzione del modo di vedere di un singolo ministro: segno che il Visconti Venosta volle marcar nettamente il suo dissenso. A voce, dichiarò che in caso di occupazione di Roma con la forza egli si sarebbe dimesso (C ASTAGNOLA, op. cit., p. 39). 1961 C ASTAGNOLA, op. cit., pp. 46-48. Il Ponza di San Martino, di ritorno l’11 sera da Roma e decisissimo nel voler l’immediata occupazione, aveva ammonito coloro che erano al potere a non mettere bastoni fra le ruote mdash; proprio parlando col Visconti Venosta (l. p. Blanc a Minghetti, sopra cit.). 1962 Verbale della seduta del 17 settembre (A CR, Verbali, II, p. 75; C RISPI, Politica interna, cit., p. 71; Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 408; C ASTAGNOLA, op. cit., pp. 52-53). 1963 J ACINI, Un conservatore rurale della nuova Italia, cit., II, p. 46. 1964 Visconti Venosta a Lanza, 25 settembre ’70 (il Consiglio dei Ministri aveva deliberato invece, il 24, di mandare il La Mormora a Roma solo dopo l’accettazione del plebiscito). Lanza riuscì a convincerlo a desistere dal proposito: Lanza a Visconti Venosta, 27 settembre (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA. Cfr. C ASTAGNOLA, Diario, pp. 68-69). La nomina del La Marmora fu infatti interpretata, all’interno e all’estero, nel senso voluto dal Visconti Venosta (H ALPERIN, op. cit., pp. 90 sgg.). Da notare che ancora una volta nella seduta del 24 il Visconti Venosta aveva fatto inserire a verbale il suo dissenso dai

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colleghi (A CR, Verbali... II, p. 76; Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 409). 1965 Cfr. anche una lettera di D. Pantaleoni al Minghetti (a Vienna) il 22 ottobre 1870 «Stimo urgente che tu venga e lasci Vienna... Visconti con quell’onestà che il caratterizza mi disse già che egli avversava di portare la capitale a Roma». Poi il valtellinese muta parere; e lo stesso Pantaleoni ne avverte il Minghetti il 4 novembre: «Godo moltissimo che il Visconti abbia receduto dall’opinione che mi aveva manifestato. È il migliore che abbiamo nel ministero e certo il più leale» (B CB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 114). 1966 Lanza dichiarava al Castelli, il 10 novembre, che se il re fosse stato spinto (da Sella e compagni) ad andare a Roma prima che il Parlamento avesse approvato il plebiscito, egli e La Marmora si sarebbero dimessi. «Se poi il Sella la vuole vinta a qualunque costo, io sono persuaso che questa volta andrà a pentirsene a Roma» (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, pp. 489-90). 1967 C ASTAGNOLA, op. cit., p. 86. 1968 C ASTAGNOLA, op. cit., pp. 143-44. L’emendamento Cencelli-Ruspoli, il 10 febbraio, al disegno di legge sulle Guarentigie (cfr. J ACINI, La politica ecclesiastica..., cit., p. 435) dichiarava proprietà nazionale i Musei Vaticani e la biblioteca (il testo definitivo dell’art. 5, dopo aver affermato che il Sommo Pontefice continuava a godere dei palazzi apostolici Vaticano e Lateranense, con tutti gli edifici, giardini e terreni annessi e dipendenti ecc., si limitò ad aggiungere: «I detti palazzi... ed annessi, come pure i Musei, la Biblioteca e le collezioni d’arte e d’archeologia ivi esistenti, sono inalienabili, esenti da ogni tassa o peso e da espropriazione per causa di utilità pubblica»). L’11 febbraio il Visconti Venosta scriveva al fratello Giovanni che perdeva la pazienza ed aveva deciso di dimettersi: «il meglio è di lasciare questi signori [i deputati] nel guado perché imparino che ci vuole un po’ di discrezione e un po’ di disciplina» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1969 Capo della tendenza reazionaria nel Ministero: così lo battezzò il manifesto di un gruppo di liberali romani per proporre la candidatura Sella, nel novembre 1870 (La Perseveranza, 21 novembre 1870). Cfr. ancora nella seduta del 25 novembre 1872 le accuse del Miceli (A. P., Camera, p. 3324); e

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in quella del 16 maggio 1873 le accuse dell’on. Oliva (ivi, p. 6418). Più tardi, all’apparir del Diario del Castagnola, Domenico Farini noterà come tale pubblicazione metta a nudo «la pusillanimità di Visconti Venosta nel 1870» (Diario, M RR, sub 20 settembre 1895: a proposito dell’estratto apparso nel Popolo Romano). 1970 Nel discorso alla Camera, il 13 marzo 1872 (A. P., Camera, p. 1179). 1971 Così lo battezzava il Lanza (Le carte di G. Lanza, VI, p. 268). Identica espressione in un bigliettino al Visconti Venosta del 15 novembre ’70 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Quanto alle lunghe discussioni sulla questione Lanza-Sella di fronte al problema di Roma e sui meriti rispettivi (T AVALLINI, op. cit., II, p. 178 sgg., 453-54, 485, 489; Le carte di G. Lanza, cit., IX, pp. 68, 73, 79-80, 383 sgg., X, p. 376 sgg., 429) basti osservare che la volontà più decisa fu, senza dubbio alcuno, quella del Sella. Il 3 e il 4 settembre Sella insisteva per l’occupazione anche di Roma e il Lanza v’era contrario, mutando parere solo dopo le notizie sulla proclamazione della Repubblica in Francia, il 5 settembre (C ASTAGNOLA, Diario, pp. 30-32, decisivo al riguardo; G UICCIOLI, op. cit., I, pp. 300-301). Nelle critiche mosse dal G ADDA al Diario del Castagnola (Roma capitale e il Ministero Lanza-Sella, in Nuova Antologia, CLV, 16 settembre 1897, p. 193 sgg.), il Gadda rivendica al Lanza e al Visconti Venosta d’aver già fissa in mente assai prima l’occupazione di Roma. Unico punto di divergenza dal Sella: il momento di mettersi in marcia. Ce n’era invece, occorre precisare, uno molte più grosso: il «modo» dell’azione. Sella propugnò la politica di, forza, quella che poi tutti dovettero adottare: il Lanza (e non solo il Visconti Venosta, anche se questi fu sino all’ultimo fermo sul suo punto di vista) repugnava invece alla forza, e sperava anch’egli o in un accordo col Pontefice, o almeno in un’insurrezione dei Romani che scaricasse il governo italiano dalle sue responsabilità di fronte al mondo cattolico (cfr. H ALPERIN, Op. cit., pp. 35-36). E tutta la questione è qui, non se Lanza e Visconti Venosta volessero anch’essi Roma italiana, che è pacifico. 1972 Sella a Minghetti, 21 settembre ’70: «So che sei stato il più efficace consigliere per decidere Emilio a superare le sue titubanze, le quali a dir lo vero non furono e non sono poche. Io ti ringrazio vivissimamente dell’aiuto capitale che desti a

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coloro i quali come me vedono in Roma il fata trabunt». E lo invita a incoraggiare anche in seguito (plebiscito ecc.) «il nostro bravo Emilio, cui giova fra tanto contrasto di opinioni un autorevole confonto, e niuno più efficace di quello che proviene da te» (B CB, Carte Minghetti, cart. XV, fasc. 127). Cfr. Pure Carteggio Minghetti-Pasolini, cit., IV, p. 195; L UZZATTI, Memorie, I, p. 308; C RISPI, Scritti e discorsi politici, cit., p. 672; F ARINI, Diario, M RR, sub 24 settembre 1895; M AIOLI, M. Minghetti cit., p. 270. 1973 Il 19 agosto 1870 Crispi aveva dichiarato alla Camera «... voi potete, soddisfacendo gli interessi nazionali, impedire lo scoppio della rivoluzione da voi temuta... Urge sciogliere la questione di Roma: 1° per la necessità della interna sicurezza del paese» (Discorsi Parlamentari, II, pp 78-79). IlMancini lo stesso giorno: «l’iniziativa della privata violenza... inevitabilmente soverchierebbe l’azione del governo quando il paese fosse dominato dalla ragionevole diffidenza dell’efficacia di volontà e della capacità dei reggitori della cosa pubblica» (Discorsi Parlamentari, III, p. 375). E il giorno appresso, il Bertani: «Se non si provvede presto noi ci tra veremo davanti alla dura alternativa: o dispotismo, o rivoluzione» (Discorsi Parlamentari, p, 141). E si veda l’indirizzo della Sinistra al governo, il 3 settembre in C RISPI, Politica interna, cit., p, 68. 1974 «Gli avvenimenti hanno fatto tutto per noi, e noi poco o niente» Dina a Castelli, 17 ottobre ’70 (Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., II, p, 487; Ricordi di Michelangelo Castelli, cit., p. 188). 1975 La differenza tra i due caratteri è bene delineata dal Sella stesso in una lettera al Minghetti del 5 ottobre 1878: «Non dubitare che per parte mia faccio e farò il possibile per andare in tutto d’accordo con Emilio [Visconti Venosta]. Io il pregio ogni giorno più per l’elevatezza dell’ingegno e la nobiltà del sentire. Se vi ha troppa indecisione o come tu diresti morbidezza hinc vi ha troppa durezza inde, e la chimica m’insegna che tanto più forte è l’attrazzione molecolare quanto più antinomo è lo stato elettrico delle molecole» (B CB, Carte Minghetti, cart. XXI, fasc. 54). Non sempre però i rapporti fra i due uomini furono amichevoli; in genere anzi, come nel 70, vi furono forti screzi: cfr. Le carte di G. Lanza, cit., IX, p. 49: Carteggio politico di Michelangelo Castelli, II, p. 501. Nel febbraio ’74 lo Artom, che si adoperava per raccogliere in uno

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stesso ministero Minghetti, Sella e Visconti Venosta, dovette faticar non poco per far cessare lo screzio personale fra i due (al Nigra, 6 febbraio, A E, Carte Nigra). 1976 Lo vide subito e bene il Minghetti, il quale scrisse al Luzzatti il 30 settembre 1870: «Quanto a Roma... non potevamo non profittare di questa occasione. Il contegno di Visconti ha giovato però moltissimo ad abbuonire le Potenze; e se al primo momento avesse detto che volevamo entrare a Roma peti la breccia, non sarebbero forse mancate difficoltà. Dinanzi a un Parlamento ci vogliono profili netti e recisi, ma in diplomazia ci vogliono contorni morbidi e sfumati. Quindi il Sella e il Visconti mi paiono necessari l’uno all’altro, e non vi sarebbe cosa peggiore che si separassero» (L UZZATTI, Memorie, I, p. 309). 1977 Nel 1907, così spiegò il perché del suo procedere nell’estate del ’70: necessità di non compromettersi, di temporeggiare, alla vigilia di eventi di cui nessuno poteva prevedere la portata (Le projet d’alliance franco-austro-italienne est 1869-70. Explications attribuées à E. Visconti Venosta, in Revue d’Italie, settembre 1906. p. 605 sgg.). 1978 Libro Verde 17, p. 11. E si confronti la più cauta espressione ufficiale del Visconti Venosta con quella del Lanza, assai più decisa e precisa, perché in lettera confidenziale ad un amico: «la soluzione poi definitiva della gran questione sul libero esercizio del potere temporale sarà opera di un congresso delle potenze cattoliche». Al Castelli, 8 settembre 1870. A ciò il Castelli reagiva come ai «più funesto degli errori. Non vi fate illusioni: Roma occupata, Roma capitale» (Le carte di G. Lanza, cit., II, pp. 479-80: Carteggio politico di Michelangelo Castelli, cit., pp. 187-88). Alle promesse della circolare 29 agosto e delle altre dichiarazioni del Visconti Venosta si richiamarono poi, spesso, governi e diplomatici stranieri, per intervenire presso il governo italiano, sia in genere, sia per fatti speciali, e per lamentare il forte discostarsi delle leggi italiane da quelle promesse (rr. Trauttmansdorff a Beust, 20 e 24 dicembre 1870, S AW, P. A. XI/224, nn. 128 e 130 A; d. Beust a Hoyos, Parigi, 16 marzo 1871, ib., XI/235; rr. Lefebvre de Béhaine, 11 e 20 febbraio ’71, nn. 25 e 32. A EP, C. P., Rome, t. 1049, ff. 190 sgg., 252 v.). Sempre alla circolare 29 agosto si richiamò, nel 1874, M ONS . D UPANLOUP, Lettre de M. l’évêque d’Orléans à M. Minghetti... sur la spoliation de l’Églíse à Rome et en Italie, Parigi, 1874, pp. 7, 28, 54.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 1979 Questo memorandum del 29 agosto, non pubblicato (et pour cause!) nel Libro Verde, che venne presentato al Parlamento il 19 dicembre ’70, in Das Staatsarchiv, XX (1871), 4290, pp. 219 sgg., sulla città leonina pp. 226-27. Ora in B ASTGEN, Die römische Frage, II, Freiburg i. B., 1918, p. 626 sgg. Redatto dal Blanc, esso non doveva essere divulgato; ma già il 17 ottobre il card. Antonella ne parlava, nella sua circolare ai nunzi redatta precisamente per confutarlo. Il memorandum era stato confidenzialmente comunicato al cardinale: «un exemplaire manuscrit est resté entre mes mains à la suite d’une circonstance tout à fait accidentelle» (Staatsarchiv, XX, 1871, n. 4291, p. 227; B ASTGEN, op. cit., II, p. 635. Cfr. F. S ALATA, Per la storia diplomatica della Questione Romana, I, cit., pp. 12 e 44-45). Il memorandum fu divulgato, affermò poi il Visconti Venosta, solo per una indiscrezione (r. Rothan, 10 marzo 1871, n. 61; A EP, C. P., Italie, t. 381, f. 133). «Inopportunamente comunicato al Gabinetto Inglese» dice lo Artom in 1. 26 marzo 1880 al Visconti Venosta (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Il memorandum del 29 agosto viene trasmesso confidenzialmente dal Blanc a sir A. Paget, che lo trasmette a Londra l’8 settembre 1870 (r. n. 101; F. a. 45/166). Ma a fine agosto del ’70, esso esprimeva bene i propositi del governo italiano! Sulla questione della città leonina, cui era favorevole perfino il Sella – perché il Papa avrebbe così riconosciuto tutto l’operato dell’Italia –, C ASTAGNOLA, op. cit., p. 27; G UICCIOLI, Quintino Sella, cit., I, p. 304. Anche il Minghetti approvava la clausola della città leonina al Papa (ll. pp. al Visconti Venosta da Vienna, 25 settembre, e 4 ottobre ’70; A RCH . V ISCONTI V E NOSTA ), se il Papa l’avesse accettata. Cfr. le osservazioni dell’on. Oliva, il 16 maggio 1873, sul memorandum che si è cercato di far dimenticare (A. P., Camera, p. 6418); e le dichiarazioni Sella alla Camera, il 16 marzo 1880, Discorsi Parlamentari, I, pp. 201-202. 1980 Libro Verde 17, p. 13. 1981 Libro Verde 17, pp. 59 e 64. 1982 Per questo, cfr. G. P ALADINO, Roma. Storia d’Italia dal 1866 al 1871, con particolare riguardo alla Questione Romana, cit., p. 201; H ALPERIN, op. cit., op. 109-10. 1983 Libro Verde 17, p. 69 sgg. Su questo non parlar più delle vecchie promesse, quando si vide che le potenze europee si preoccupavano del potere temporale meno di quanto si fosse

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temuto, oltre allo H ALPERIN, op. cit., pp. 111-12, cfr. anche S CADUTO, Op. cit., pp. 111 e 205. 1984 Lettera al fratello Giovanni, 22-25 ottobre A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). 1985 Lett. sopra cit. 1986 l. p. Minghetti a Visconti Venosta, da Vienna, 21 settembre 1810: «... il Beust mi chiese anche con molta curiosità se fosse possibile il trasferimento immediato della capitale. Risposi che un certo tempo avrebbe dovuto passare necessariamente sia per riconoscere la volontà dei romani, sia perché il Parlamento votasse il trasferimento e fornisse i fondi necessarii... concludo che bisogna in ogni modo camminare con tutta la rapidità che sia compatibile colla serietà e dignità degli atti». Nuovamente insiste il 25 settembre: «... dobbiamo trasportare la capitale a Roma con tutta la rapidità compatibile colla dignità e colla serietà di questo fatto»; e il 9 ottobre (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Quanto al Sella, i motivi che gli fanno apparir necessaria l’immediata andata del re a Roma, sono esposti con estrema chiarezza nella lett. del 26 ottobre al La Marmora Epistolario inedito di Quintino Sella, cit., pp. 67, 68; cfr. anche pp. 66 e 69-70). 1987 Discorso Mancini alla Camera, 19 agosto 1870 - (Discorsi Parlamentari, III, p. 374). $ la stessa posizione del S ALVA TORELLI , La Chiesa e il mondo, Roma, 1948, p. 149 sgg. Sull’atteggiamento delle potenze, cfr. H ALPERIN, op. Cit., pp. 39 sgg., 51 sgg.; S ALATA, op. cit., pp. 123, 129 sgg.; S CADUTO, op. cit., p. 186 sgg.; J ACINI, Il tramonto..., cit., p. 317 sgg. 1988 Il 1° ottobre 1870 il Nigra da Tours consigliò «vivamente» al suo ministro di applicare al più presto possibile alla questione di Roma «la soluzione intiera m guisa che quando la guerra sarà finita e l’Europa rientrerà nel suo stato normale, essa si trovi in presenza d’un fatto, anzi d’una serie di fatti irevocabilmente compiuti» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 1989 Il 1° ottobre Minghetti telegrafava, da Vienna, al Visconti Venosta «Je ne puis admettre en aucun cas votre demission. Vous avez le devoir et le droit d’exiger l’exécution... [spazio in bianco] de tout ce que vous avez promis à l’Europe pour l’indépendance spirituelle du Pape acceptant franchement le transfert de la capitale comme une nécessité inévitable pour tout le reste vous devez en imposer à vos collègues. En dernier ressort

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j’en appellerai au Roi plutôt que de sortir du Gouvernement» (A E, Ris., c. 51). 1990 ll. pp. Minghetti a Visconti Venosta, 25 settembre, 22 e 27 ottobre (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Nella stessa l. p. Visconti Venosta al de Launay, 18 ottobre, che veniva incaricato di parlare col Bismarck, non si accenna ad alcun consenso da chiedere al Cancelliere, anche se non precisissimo. Il Visconti Venosta cioè giuocò assai bene la partita: si limitò a comunicare le direttive del governo italiano, salvo a vedere, in caso di proteste gravi, che cosa poi convenisse fare. 1991 Cfr. qui sopra, p. 241. 1992 Si veda come giudicasse gli eventi il ministro inglese a Firenze, Paget, in un rapporto a Lord Granville del 29 settembre: «Il governo italiano, quando invase il territorio pontificio, si mosse con intenzioni assai ragionevoli e moderate; Roma non doveva essere attaccata, l’autorità del Papa doveva venir preservata; l’occupazione doveva essere puramente militare e limitata a certi punti strategici necessari per il mantenimento dell’ordine... Il governo non ha agito in mala fede, ma è stato trascinato dalia forza delle circostanze e dalla corrente popolare, resistendo alla quale si sarebbe potuto provocare una rivoluzione». Ed è giudizio che, sostanzialmente, viene fatto proprio anche dallo H ALPERIN, op. cit., p. 65. Il giudizio è esatto se riferito al Visconti Venosta e al Lanza; ma non lo è più, se s’intende riferirlo a tutto il governo, dove c’era un Sella che sapeva bene dove voleva arrivare. Al riguardo, mi sembra notevole anche il passo di una lettera dove Nino Bixio, destinato a Bologna, dice alla moglie, il 17 agosto del ’70, che Sella gli ha parlato di cose molto delicate, tanto delicate da non poterle riferir per lettera «tuttoché io sia l’uomo scelto da lui per l’esecuzione». Son cose che Sella volge in mente: e, verosimilmente, si trattava proprio dell’occupazione di Roma (il testo, prima in B USETTO, op. cit., p. 191, ma ora, completo, in Epistolario di Nino Bixio, a cura di E. Morelli, III, Roma, 1949, pp. 496-97). Anche da osservare, al riguardo, che il Bixio fu aggiunto, al comando della 2ª divisione, al corpo di spedizione ad insaputa, anzi contro l’espresso volere del gen. Cadorna (R. C ADORNA, La liberazione di Roma nell’anno 1870 ed il plebiscito, Torino, 1889, pp. 61, 66, 531 sgg.; e cfr. contro i rilievi del Cadorna ostili al Bixio, e in pieno riconoscimento dell’abilità con cui seppe afferrare il «concetto delicatissimo del mandato ricevuto» – sembra che parli il Sella!

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–, C. R ICOTTI, Osservazioni al libro di Raffaele Cadorna la liberazione di Roma nell’anno 1870 ed il plebiscito, Novara, 1889, p. 29 sgg.). 1993 Così il ministro austro-ungarico a Firenze, barone Kübeck, nel riferire al Beust la notizia delle dimissioni Visconti Venosta per l’emendamento RuspoIi (r. 10 febbraio 1871; S AW P. A., XI/77, n. 11 B). 1994 r. Kübeck, 14 febbraio ’71, sulla questione dell’art. 7 della legge delle Guarentigie (S AW P. A., XI/77, n. 13 A). 1995 r. Kübeck, 10 marzo 1871 (S AW P. A.,. XI/77, n. 19 A). 1996 r- Kübeck, 4 febbraio ’71 (S AW P. A., XI/77, n, 9 B). 1997 l. p. Kübeck, a Beust, 12 novembre ’70 (S AW P. A., XI/76). Stessi giudizi nei diplomatici francesi, soprattutto nel Lefebvre de Béhaine, per cui addirittura sia il debole re che i suoi più deboli ministri non sarebbero stati che i prestanome del partito radicale (r. 4 marzo 187.1, n. 40; A EP, C. P. Rome, t. 1050, f. 33. E cfr. anche rr. Choiseul, 28 maggio, 20 giugno 71, nn, 101, 106; ib., Italie, t. 382, ff. 80 e 142). 1998 r. Kübeck, 18 marzo ’71 (S AW P. A., XI/77, n. 21 A). 1999 Il 23 dicembre il Kübeck, in una lettera personale al Beust, ne tracciò il seguente profilo «Visconti ist ein echter Italiener, wenn auch in der besseren Bedeutung. Er ist nüchterner, bescheidener und zuverlässiger als die meisten seiner Landsleute in öffentlichen Stellungen, treibt aber instinktmässig italienische d. h. mehr oder weniger Machiavellische Politik. Seinem weichen Naturell entspricht es grösseren Schwierigkeiten aus dem Wege zu gehen durch expédients und vermittelnde Temperamente. Es fehlt ihm nicht an Ueberzeugungen und verständiger politischer Combination, aber er hat nicht immer die Energie sie durchzuführen und, ohne eigene Initiative, lässt er sich auch gegen seinen besseren Willen leicht durch Seine mehr oder weniger radikalen Collegen beeinflussen. Sollte dies wirklich nur eine angenommene Rolle sein, so führt er sie jedenfalls gut und consequent durch»; (S AW P. A., VI/76). 2000 l. p, Kübeck a Beust, 12 novembre 70, sopra cit. Anche il Thiers aveva «piena fede nella saviezza e nella equità di Visconti Venosta», ch’era anche per lui, la rocca dell’ordine nel governo italiano (L UZZATTI, Memorie, I, p. 339). Il Sella, invece era poco accessibile ai consigli di moderazione per il suo

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anticattolicesimo attinto nelle università tedesche e per i suoi legate con la Sinistra (r. Rothan, 6 aprile 1871, n. 87° A EP C. P. Italie, t. 381, f. 350 v. sgg.): Rothan dice di averla convinto a maggior moderazione. 2001 Dichiarazioni Visconti Venosta al Rothan (R OTHAN, L’Allemagne et l’Italie, cit., II, p, 280) e al Kübeck (cfr. la nota seguente). 2002 Dichiarazioni Visconti Venosta al Kübeck il 13 aprile ’71 (r. Kübeck, 14 aprile 1871; S AW P. A., XI/77, n. 28 A). 2003 E infatti il Visconti Venosta riusciva assai simpatico ai diplomatici: lo riconosce perfino M.me Rattazzi (Rattazzi et son temps, cit., II, p. 392. E cfr., per la sua abilità nel trattare con i giornalisti, W ICKHAM S TEED, Mes souvenirs, cit., I, PA 106-107). 2004 Visconti Venosta a Nigra, 26 aprite 1885 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Nel ’70 «la forza superiore era l’immediata e assoluta prevalenza militare della Prussia». Per Roma, gli eventi si sono svolti «suivant la logique de la fatalité inhérente à toutes les institutions [Papato] qui ne savent pas se modifier» (al Cadorna, 12 aprile 1871, cit.; A E, Ris., c. 51). 2005 Alle prese con il Choiseul, con cui gli era necessaria la pazienza di Sant’ Antonio, il Visconti Venosta cercava di guarirlo delle sue fissazioni (ostilità italiana alla Francia) «con effusione amichevole» (l. p. a Nigra, 20 giugno 1871; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2006 R OTHAN, op. cit., p. 90. 2007 S AW P. A., XI/78, n. 53 A. 2008 Non è possibile, però, condividere certi giudizi dei C A TALUCCIO (op. cit., pp. 7, 75-76, non giusto poi questo anche nella fattispecie, p. 111) sulla mancanza di ampio respiro, soprattutto sulla visione angusta della posizione dell’Italia nella vita europea-mentre è vero esattamente il contrario (cfr. anche M ATURI, Un buon europeo. Emilio Visconti Venusta, cit.). Giuste, invece, altre valutazioni del Cataluccio (pp. 8-9, 113), con cui mi accordo. Cfr. anche il giudizio di E. S ERRA, Emilio Visconti Venosta e il «colpo di timone» alla politica estera italiana, in Nuova Antologia, gennaio 1949, p. 42; ma soprattutto l’alto elogio che ne tesse un giornalista di gran classe come W ICKHAM S TEED, Mes souvenirs, cit., I, p. 105 sgg.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2009 Guido Borromeo a Minghetti, 29 marza 1871 (B CB, Carte Minghetti, cart. XVI, fasc. 4°). Più tardi, nel ’96, il Rudinì lamenterà col Farini la irresolutezza e l’irrequietezza del Visconti Venosta: «se io non gli stessi ai panni, se non gli scrivessi i telegrammi non si verrebbe mai a capo di nulla» (Diario Farini, M RR, sub 28 settembre 1896). Questo era, per lo meno, una esagerazione; ma anche il Martini lamentava, nel gennaio 1901, di aver inviato dall’Asmara telegrammi su telegrammi al Visconti Venosta per questioni che esigevano pronta risoluzione, senza aver la minima risposta (Lettere, cit., p. 367). 2010 Oltre alle discussioni parlamentari, cfr. p. es., il Discorso elettorale del duca Gabriele Colonna di Cesarò (uno dei sistematici oppositori alla Camera della politica estera del governo), tenuta il 10 novembre 1874 ad Aragana (cit., pp. 6 e 9). 2011 Cfr. p. es. alla Camera, 14 maggio 1872: «se in certe questioni giovasse di chiamare un poco anche il tempo a nostra collaboratore» (A. P., Camera, p. 2119). 2012 Discorso alla Camera del 27 novembre 1872 (A. P., Camera, p. 3387). 2013 Discorso alla Camera del 19 agosto ’70 (A. P., Camera, p. 4027). 2014 Discorso al Senato del 24 agosto 1870 (A. P., Senato, p. 1230); stesso concetto nella discussione alla Camera il 19 agosto (ib., Camera, p. 4029) e nella risposta allo Scialoja e al Cialdini, il 3 agosto... «l’Italia è chiamata a prendere il suo posto in mezzo alla grande solidarietà degli interessi pacifici dell’Europa... l’interesse principale dell’Europa e dell’Italia... noi... al pari di tutte quelle altre potenze che non possono separare gli interessi della propria politica dalle condizioni generali dell’equilibrio europeo» (ib., pp. 997-98). 2015 Cfr. anche nel discorso alla Camera del 19 agosto ’70: se tutte le questioni che riguardano l’«equilibrio e la libertà d’Europa» (A. P., Camera, p. 4028). 2016 l. p. al conte di Robilant del 1° luglio 1875 (pubbl. in S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1925, p. 194). Queste dichiarazioni confidenziali sono la piena conferma della sincerità del pensiero espresso, varie altre volte, nei discorsi pubblici, in Parlamento e altrove.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2017 Cfr. la lettera cit. al Robilant, del 1° luglio ’75 «combinazioni eccessive, non naturali e quindi anche effimere, che ricorderebbero quelle con cui Napoleone I faceva e disfaceva le sue paci». 2018 Nella lett. cit. al Robilant del 1° luglio ’75: se la Germania vincesse la Francia in una nuova guerra «ne verrebbe fuori probabilmente un’Europa, di cui l’Occidente apparterrebbe alla Germania e l’Oriente alla Russia». E cfr. pure i timori per la soverchia potenza e la prepotenza tedesca nel ’77, al momento del viaggio di Crispi, timori espressi nella lettera al Minghetti del 13 ottobre 1877 (qui sopra p. 100): timori, cioè, di «interpretare la politica dell’alleanza colla Germania in modo di dovere per necessità cadere nella sua assoluta dipendenza e di diventare in Europa non già un elemento della pace, ma una ragione di timore e di pericolo». 2019 Su questo «europeismo» del Visconti Venosta, cfr. fini osservazioni in W. M ATURI, Un buon europeo. Emilio Visconti Venusta, cit.; ivi, le commosse dichiarazioni al Minghetti sull’Italia. 2020 Cfr. qui sopra, p. 135 sgg. Per il Gladstone e gli altri liberali inglesi, cfr. F. R. F LOURNOY, British Liberal Theories of International Relations (1848-1898), in Journal of the History of Ideas, VII, n. 2 (aprile 1946), p. 195 sgg. 2021 Discorso alla Camera, 14 maggio 1872 (A. P., Camera, p. 2119). 2022 l. p. a Raffaele De Cesare, s. d., ma primi mesi 1895 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2023 Queste idee il Morini espresse in vari scritti su la Corruzione elettorale (Milano, 1894), Corruzione parlamentare. Il potere regio in Italia ecc.; cfr. anche La decadenza del sentimento monarchico in Italia, Firenze, 1900. 2024 lett. al Morini, s. d. ma 1895, a proposito del volume su la Corruzione elettorale (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Da notare che, dopo i fatti del maggio 1898, il Visconti Venosta usci dal ministero Rudinì, provocandone la crisi. Giolitti lo battezza addirittura uno degli «elementi di Sinistra» del ministero, con Zanardelli ecc. (Memorie, I, p. I40): ciò è troppo, tanto più che le dimissioni del Visconti Venosta furono motivate dal progetto, formulato proprio dallo Zanardelli, di togliere l’exequatur all’arcivescovo di Milano, vale a dire da un provvedimento in

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opposizione al principio «Libera Chiesa in libero Stato» e cioè al classico principio dei moderati cavourriani. Nonché accordo, ci fu invece dissidio fra il Visconti Verosta e lo Zanardelli (M. R OSSI, L’Italia odierna, vol. II, t. III, Torino, 1926, p. 1982; e soprattutto W ICKHAM S TEED, Mes souvenirs, cit., I, p. 116; L. A LBERTINI, Venti anni di vita politica, I, Bologna, 1950, p. 15). Ma è certo, comunque, che proprio su di un principio fondamentale di libertà il Visconti Venosta rimase allora irremovibile. 2025 «Un’opposizione può temperarsi secondo i casi, può sospendere l’azione sua, può anche patriotticamente cooperare...»; quel che occorre è «una personalità politica elevata, conciliante, fedele ai princìpi, superiore ai minori vincoli di parte» lett. al Rudiní, s. d., ma gennaio-febbraio 1895 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). 2026 Di caparbietà in certe idee del Visconti Venosta parla anche il Codronchi (F ARINI, Diario, M RR, sub 12 marzo 1898). 2027 F ARINI, Diario, M RR, sub 4 giugno 1898. 2028 B ISMARCK, Erinnerung und Gedanke, in Ges. Werke, 15, pp. 317, 321, 323 (nella trad. it. Pensieri e ricordi, Torino, 1898, 11, pp. 98, 105, 108). 2029 Su questa antipatia del Bismarck per il Visconti Venosta concordano R ADOWITZ, Aufzeichnungen und Erinnerungen, Berlino-Lipsia, 1925, I, p. 279 e B ÜLOW, op. cit. IV, p. 343. Cfr. anche la nota seguente. 2030 l. p. Wimpffen, ministro austriaco a Roma, ad Andrássy, 27 dicembre 1873 (S AW P. A., XI/81; già citato in S ANDONÀ, op. cit., I, p. 104). A margine, l’Andrássy segnò a matita «Bismarck mi ha parlato di Visconti Venosta press’a poco nello stesso modo». Identica notizia nel r. Tiby, incaricato d’affari francese, il 21 gennaio 1$74, n. 7: «La Prusse, a dit M. Visconti Venosta, est un compagnon de promenade avec lequel il n’est pas toujours agréable de faire route» (A EP, C. P., Italie, t. 389, f. 49 v.). 2031 Nel discorso, già ricordato, del 9 novembre 1870, al banchetto della Società Patriottica. 2032 Discorso alla Camera del 14 maggio 1872 (A. P., Camera, p. 2118).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2033 Così il Borghi nel celebre saggio sul bismarckismo, ch’è del 1871; ora in Ritratti e profili di contemporanei, III, cit., pp. 150 e 161. 2034 Così il B ONGHI nel saggio sul Gladstone (Ritratti e profili di contemporanei, II, cit., p. 302. E cfr. p. 304). 2035 Cfr. H. M ICHEL, Bismarck England und Europa, Monaco, 1930, p. 326. 2036 Tanto che nel marzo e nel luglio 1896, il Bülow, allora ambasciatore a Roma, premette sul Di Rudinì e sullo stesso Umberto I, perché il Visconti Venosta non diventasse ministro degli Esteri; e occorsero spiegazioni con Berlino, tanto la «francofilia» del valtellinese era sospetta lassù! (F ARINI, Diario, M RR, sub 7 marzo, 20 luglio e 30 ottobre 1896, 6 aprir 1899). E cfr. anche il r. Bülow del 26 marzo 1895 dove il Visconti Venosta è designato, con il Borghi e il Prinetti, come uno dei più tenaci avversari della Triplice (G. P., VII, n. 1462). 2037 L’«elevatezza» del carattere del Visconti è, fra l’altro, lodata da un severo giudice in materia, il Ricasoli (Lettere e documenti da Bettino Ricasoli, X, p. 124). 2038 Anche qui, identità di notizie in Radowitz e Bülow: Minghetti va molto a genio al cancelliere. 2039 Cfr. fra i molti, il richiamo al gran conte fatto nella tempestosa seduta alla Camera del 19 agosto e in quella al Senato del 24 agosto 1870 (A. P., Camera, p. 4026, Senato, p. 1231); e la prefazione alla trad. ít. di W. D E L A R IVE, Il conte di Cavour,. Torino. 1911, p, IX. 2040 S ALVATORELLI, Pensiero ed azione del Risorgimento, cit., pp. 176 e 188. 2041 Al Bon Compagni che esitava ad eseguire le sue istruzioni, di tener mano ai cospiratori toscani contro quella corte granducale presso cui egli era accreditato come ministro del re di Sardegna, il Cavour ripeté «che quelli non eran tempi di scrupoli» (M ARTINI, Confessioni e ricordi, cit., pp. 4-5). Nel 1860, quando il cardinale Coseno Corsi, arcivescovo di Pisa, fu tradotto a Torino per render ragione della sua condotta apertamente antipatriottica e perfino antistatale, e a Torino trattenuto per più di un mese e mezzo, il Cavour ne scrisse ai Ricasoli: «l’atto è forse poco legale, ma è siffattamente conforme ai consigli della politica, ch’io mi lusinga di vederlo approvato an-

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che dai Puritani parlamentari» (Lettere e documenti da Bettino Ricasoli, V, p. 81). 2042 Felice il giudizio del S ANTANGELO Sul d’Azeglio «che una vocazione piuttosto morale che politica rese lo stesso, un personaggio politico di primo piano in un momento in cui la morale e la politica venivano a coincidere» (Massimo d’Azeglio politico e moralista, cit., p. 280). È vero che di recente il Cognasso ha parlato del «solito cinismo» del d’Azeglio (Vittorio Emanuele II, Torino. 1942, p. 96); e a tale giudizio ha aderito p. P IRRI, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, cit., pp. 119 ^ e anche 196, n. 7. Ma l’accusa, originata dalla nota lettera del d’Azeglio al re, il 29 aprile 1855, è stata esaurientemente confutata dal G HISALBERTI, L’intervento di Massimo d’Azeglio nella crisi politico-religiosa del 1855, in Ricerche Religiose, XVIII (1947), p. 40 sgg. Quanto poi al giudizio del p. Pirri sull’«assai esiguo rilievo» della personalità spirituale e morale del d’Azeglio (Massimo d’Azeglio e Pio IX al tempo del quaresimale della moderazione, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, III, 1949, p. 191), basterà osservare ch’esso è ampiamente confutato dall’influsso – proprio soprattutto di carattere morale – che il cavalier Massimo ebbe su molti dei moderati, e che durò a lungo. 2043 R ICASOLI, Carteggi, II, p. 60. 2044 Lo osservò, una volta, La Perseveranza, in una discussione col Vidari che non ammetteva la tesi bonghiana (caduto l’impero napoleonico, la Convenzione di settembre decade ipso facto e perciò noi siamo liberi di andare a Roma) e affermava che un d’Azeglio queste cose non le avrebbe dette. Il d’Azeglio, ribatteva l’articolista era certo onesto e leale «ma anche... un po’ più corto di mente del dovere per la condotta delle cose umane. Poiché la onestà; la lealtà, com’egli, in certi momenti di malumore le intendeva, non ci avrebbero condotti neppure al trattato di Zurigo; ora è fortuna che coteste due virtù non abbiano il passo così breve: altrimenti – tanto sono impazienti e sottili gli uomini – sarebbero belle e spacciate» (La convenzione del settembre, ne La Perseveranza, 10 settembre 1870). 2045 La felice espressione è del G HISALBERTI, Doppia verità di Massimo d’Azeglio, in Il Giornale d’Italia, 4 febbraio 1948. 2046 Il Bonghi affermava nel 1886 che «un popolo che si componesse tutto di ministri degli Esteri, avrebbe perso l’anima»

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(La politica estera dell’Italia, in Nuova Antologia, LXXXIX, 16 settembre 1886, p. 305). 2047 Cfr. le sue dichiarazioni sulla lealtà e la sincerità come «malleverie migliori d’una sana e buona politica» e sul doversi badare in politica, più che alla legalità, alla moralità delle azioni (Un po’ più di luce sugli eventi politici e militari dell’anno 1866, cit., pp. 120 e anche p. 89). È caratteristico che il La Marmora battezzasse come triste il proverbio à corsaire, corsaire et demí, che il Bismarck invece invocava: tanta era l’antitesi dei due uomini che la sorte avvicinò, per un momento, nel ’66. 2048 Cfr. F INALI, op. cit., pp. 17-18. 2049 Bella e felice la raffigurazione che ne dà lo J EMOLO, Chiesa e Stato, cit., p. 317. 2050 A. M AURI, Cenni biografici premessi ai Ricordi del Castelli, cit., p. 12. 2051 Lett. al Ricasoli di Giuseppe [Giovanni] Fabrizi, 15 novembre 1870 (Lettere e documenti da Bettino Ricasoli, X, pp: 164-65). 2052 Così, secondo il B ÜLOW (Memorie, cit., IV, p. 389) il Bismarck si sarebbe espresso con Bülow padre nei riguardi di Holstein; cfr. G. P. G OOCH, Holstein: oracle of the Wilhelmstrasse, in Studies in German History, cit., p, 404. 2053 Cfr. le fini osservazioni di A. H UXLEY, L’eminenza grigia, trad. ital., Milano, 1946, p. 171. 2054 Per il d’Azeglio, cfr. V ACCALLUZZO, op. cit., p. 249. 2055 D E L AVELEYE, Nouvelles lettres d’Italie, cit., p. 145. 2056 Cfr. nel discorso alla Camera del 19 agosto 70 la dichiarazione su una politica «la quale crede.., che... la questione romana deve essere posta in condizioni tali da poter procedere per una via di ulteriori progressi verso una soluzione... può darsi... che la via seguita dalla nostra politica sia lunga; rimane a vedere se ce ne sia un’altra più breve, o se ve ne siano di quelle che possano chiamarsi tali soltanto perché dopo breve tratto conducono all’abisso» (A. P., Camera, p. 4027). E in Senato, il 24 agosto, rispondendo al senatore Siotto-Pintor: «ed egli che vuole? vuole andarvi [a Roma] con una violenta ed immediata invasione, vuole sciogliere la questione con un fatto materiale qualunque esso sia, con un’opera di conquista violenta e san-

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guinosa? Questa politica avrebbe due grandi inconvenienti...» (A. P., Senato, p. 1231). 2057 Discorso del 19 agosto ’70 alla Camera, l. c. 2058 Cfr. Per tutti il discorso del 14 maggio 1872 alla Camera, in risposta al violento attacco dell’on. Miceli: «Non sappiamo che in Italia non avvicineremmo il momento della conciliazione, anzi lo allontaneremmo, se volessimo cercare la conciliazione nella via della reazione e nella rinuncia ai princìpi liberali... la conciliazione non intendiamo crearla per altra via che per quella della libertà; di quella libertà... che si ispira al rispetto di tutti i diritti, e quindi al rispetto del più incoercibile del più sacro fra essi, che è quello della coscienza religiosa» (A. P., Camera, pp. 2118-2119). 2059 Nella commemorazione di Carlo D’Adda, cit., in C ATA LUCCIO , op cit., p. 22. 2060 Più volte d’altronde questo saggio consiglio ritorna nei discorsi del Visconti Venosta; così il 14 maggio ’72, alla Camera, rispondendo alI’on. Miceli ... «noi non abbiamo voluto complicare le questioni, non abbiamo voluto sollevare dei conflitti evitabili per un interesse di un ordine assai minore a quello che credevamo essere l’interesse supremo del paese. Abbiamo applicato alla politica e alla trattazione degli affari pubblici quelle norme di volgare prudenza che si seguono con successo nella trattazione degli affari privati» (A. P., Camera, p, 2121). Su questo passar sopra del Visconti Venosta alle questioni secondarie a vantaggio degli interessi essenziali, cfr. anche J. L A ROCHE , Quinze ans à Rome avec Camille Barrére (1898-1913), Parigi, 1948, pp. 29-30. 2061 Discorso alla Camera del 27 novembre 1872 (A. P., Camera, p. 3385). 2062 Lett. al fratello Giovanni, 20 luglio 1878: ‘Ma è però vero che il trattato di Berlino colle sue conseguenze ha diminuito e compromesso la situazione che l’Italia aveva in Oriente. Ora abbiamo i meetings! Quest’agitazione ha i suoi gravi pericoli e ci prepara a poco a poco una situazione diplomatica fiacca, isolata, sciocca e confusa. Ma più del pericolo mi spiace il ridicolo, e l’offesa a ogni vero e delicato senso d’orgoglio e di serietà nazionale. È doloroso l’assistere a questo straripamento della politica da caffè sul proprio paese’ (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2063 «... la quistione dell Orénoque è piccola, se vuolsi, ma è una di quelle questioni che toccano alle suscettibilità nazionali e, per questa sua natura, non può essere sollevata che per essere risoluta. È questo un’affare nel quale, una volta ufficialmente posto, il governo italiano non potrebbe per’ alcun modo rimanere in presenza d’una fin de non recevoir. Il giorno in cui la richiesta formale fosse presentata, noi saremmo necessariamente preparati ad accettare tutte le conseguenze possibili» (l. p. al Nigra, 17 agosto 1874, A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2064 Discorso alla Camera del 27 novembre 1872. Concetti analoghi nel discorso alla Camera del 14 maggio ’72 (A. P., Camera, pp. 3398 e 2121). 2065 Cfr. il giudizio del Visconti Venosta sui consoli italiani e francesi a Tunisi, sul loro grossir les questions, per accrescere la propria importanza personale (conversazione col ministro di Francia, Fournier, aprile 1872, D.D.F., s. lª, I, p. 138: è già la musica che giungerà al crescendo del 1879-1880, con la rivalità Macciò-Roustan). In genere, si veda quel che scrive al Nigra, il 30 maggio 1871, a proposito del ministro di Francia Choiseul: «è alquanto nuovo e un po’ esprit chagrin, non sa che cosa sono i consoli in generale e i consoli francesi in particolare... anche noi avevamo dei consoli in Francia, i quali mi mandavano dei pacchi di giornali francesi pieni di ingiurie contro il Re e l’Italia. Io, dissi a Choiseul [che protestava per il contegno dei giornali italiani verso la Francia], vi confesso che... mi occupo poco dei giornali» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2066 Verbali del Consiglio dei Ministri, A CR, II, p. 85 (cfr. Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 415). 2067 Cfr. in genere E. A RTOM, L’opera politica del senatore I. Artom nel Risorgimento italiano, I, cit. 2068 Il 21 maggio 1884, scrive al Minghetti: «... ragioni per cui al concetto di libertà di Cavour si contrapponga adesso una specie di Statolatria alla Bismarck, che ora appare come Socialismo dello Stato, ora come tirannia dello Stato sulla Chiesa» (B CB, Carte Minghetti, cart. XXIV, fasc. 65). Il poco favore verso le forme autoritarie trapela anche dalle osservazioni sul Crispi; «tu sai già quale sia la condizione del [sic!] cose qui. È una dittatura, anzi, come mi diceva Biancheri, una vera abdicazione del Parlamento. Il che può avere vantaggi parecchi ed inconvenienti o pericoli che puoi indovinare da te stesso. Nel-

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l’orizzonte politico italiano brilla un astro solo. Non v’è alcuno cui venga neanche n mente di fare opposizione» (al Nigra, 21 dicembre 1887; A E, Carte Nigra). 2069 Lo dice lo Artom stesso al Nigra, in una lettera dell’8 marzo ’72: «benché Visconti sia per me un amico assai più che un ministro e mi abbia lasciato e mi lasci la più completa libertà» (A E, Carte Nigra); e quando gli toccò lasciar l’ufficio, nel marzo del ’76, scrisse al Nigra di abbandonare ‘non senza pena queste camere ove abitai sei anni in comunione intima d’idee con Visconti e con te’ (31 marzo; l. c.). 2070 Questo desiderava il F ARINI, Diario, M RR, sub 26. marzo 1899. 2071 Si veda l’alto elogio che ne fece il Cavour (D’I DEVILLE, Journal d’une diplomate en Italie, 1859-1862, cit., p. 239. Non accettabile però nel racconto del diplomatico francese è invece che il Cavour anteponesse nettamente Artom a Nigra e che il giudizio su quest’ultimo fosse in sostanza così poco favorevole, mentre da fonti certissime sappiamo in quale considerazione il Nigra fosse tenuto dal Cavour: cfr. L UZIO, Garibaldi, Cavour, Verdi, cit., p. 265 sgg.; Aspromonte e Mentana, cit., p.60). Quanto al Visconti Venosta, diceva del suo collaboratore: «quando non è troppo pessimista, è uomo di buon consiglio» (al Minghetti, 8 luglio 1874; B CB, Carte Minghetti, cart. 35 a). 2072 Cfr. E. A RTOM, op. cit., p. 181 sgg. e La questione romana. Carteggio del conte di Cavour, I, p. 308, n. 2, e p. 320 sgg. 2073 La lett. dello Artom al Treitschke in E. A RTOM, op. cit., p. 196 sgg. 2074 Lo dice egli stesso, in una lettera al Nigra del 30 aprile ’77 (A E, Carte Nigra). 2075 Il Salata osserva che l’Artom è l’autore della importante lettera Visconti Venosta al de Launay, 21 marzo 1875 (F. S ALATA, Per la storia diplomatica della Questione Romana, cit., p. 272 sgg). 2076 Artom a Nigra, 29 settembre 1870: «l’accordo che esiste in generale fra noi sulle questioni più importanti è tale che rendeva quasi superfluo uno scambio di frasi». E il 10 giugno ’72: «quante volte vorrei poterti chieder consiglio!» (A E, Carte

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Nigra). Quando il Nigra, nei giugno del ’71, volle abbandonare la legazione di Parigi (cfr. qui appresso), il Visconti Venosta gli scrisse il 20: «Oramai non possiamo lasciare le cose a mezzo e voi ed io e l’amico nostro Artom abbiamo tutti un fato comune» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). E il Nigra rispondeva il 24 ricordando anche l’amicizia comune «del nostro bravo Artom che ci stima ed ama entrambi come noi amiamo e stimiamo lui». 2077 Nel 1898, p. es., il Visconti Venosta, desideroso di uscire dal ministero Rudinì, consultò Artom; questi lo consigliò di interrogare il Nigra, e il Nigra rispose che il Visconti doveva restare al suo posto (Diario Farini, M RR, sub 22 marzo 1898). 2078 Si veda la bella e franca dichiarazione del Nigra al Visconti Venosta, quando i due uomini discutevano sull’allontanamento del primo da Parigi: «Anzitutto devo premettere una con siderazione sulla quale non dubito che sarete pienamente d’accordo con me. Nelle vostre relazioni con me e nelle mie relazioni con voi, noi abbiam sempre preso e prendiamo per base in primo luogo l’interesse del nostro paese, in secondo luogo la nostra reciproca e già lunga amicizia, questa naturalmente subordinata a quello» (Nigra a Visconti Venosta, 24 giugno 1871; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). E già prima, il 20 novembre del ’70, scrivendo all’Artom che non accettava ora il posto di Vienna, offertogli dal Visconti Venosta, diceva: «... ciò che ho dimenticato di dire a Visconti e che ti prego di dirgli a mio nome si è che ora e sempre, con lui non farò mai questione di posti, e che quando egli creda che vi è un interesse vero di servizio dello Stato o un’esigenza parlamentare in favore del grande partito a cui egli, tu ed io abbiamo sempre appartenuto, non solo può liberamente disporre, com’è giusto, del posto che mi fu affidato, ma mi troverà pronto ad accettarne un altro quale che esso sia, e benché non potesse convenirmi personalmente, il che probabilmente non farei con un altro Ministro» (ib.). 2079 Carteggio Cavour-Nigra, II, pp. 87, 126, 133, 151. 2080 Cfr. L A M ARMORA, Un po’ più di luce... cit., pp. 119, 122, 170, 295, 303. 2081 Così lo descrive, sotto la data del 1864, la contessa Savio in un Giornale, inviato da Raffaele De Cesare al Nigra (A R CH . D E V ECCHI ). Cfr. anche C H . Z U H OHENLOHE S CHILLINGSFÜRST, Denkwürdigkeiten, II, Stoccarda-Lipsia,

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1907, p. 126; e F. T OMMASINI, Erinnerungen an Wien (19001912), in Berliner Monatshefte, XIX (luglio 1941), p. 470. 2082 Sull’episodio, narrato dal Mérimée, cfr. N IGRA Poesie originali e tradotte, a cura di A. D’Ancona, Firenze, 1914, p. 29. Ma Eugenia interruppe bruscamente (H. S ALOMON, L’ambassade de Richard de Metternich à Paris, cita p. 63; R. S ENCOURT, L’imperatrice Eugenia, trad. ital., Milano-Roma, 1932, p. 138). Non è qui il caso di toccare il punto dei rapporti fra l’imperatrice e Nigra, che è quello in cui la storia più svanisce nella leggenda. Basterà osservare che ad esagerazioni di un genere, si è recentemente contrapposta l’esagerazione del Sencourt, secondo cui Nigra avrebbe ispirato ad Eugenia non tenerezza bensì odio. La contraddicono, non soltanto il ricordo che il Nigra serbò sempre dell’imperatrice, la quale gli aveva fatto dono di una sua miniatura bellissima (R. D E C ESARE, Gli ultimi anni di Costantino Nigra, nel Giornale d’Italia del 4 dicembre 1915) e la visita che Eugenia fece il Nigra a Venezia, nell’estate del 1905, ma i precisi giudizi di uomini ben informati come il Mérimée, il generale Fleury, il principe di Metternich, che parlano invece di un Nigra persona grata anche all’imperatrice, nonostante i suoi scatti e rabbuffi a proposito delle questioni italiane e soprattutto del Papa (S ALOMON, op. cit., p. 60 sgg.). Cfr. ora, C. R ICHELMY, Il silenzio di Costantino Nigra, in Il Mondo, 16 luglio 1949, p. 12 (visita di Eugenia a Nigra morente, nel 1907). 2083 Così il Menabrea, per sua esplicita dichiarazione al Pansa, aveva «una pessima opinione di Nigra come agente diplomatico» Diario Pansa, sub 10 novembre 1875. Il L A M ARMO RA espresse pubblicamente, nel ’73, la sua scarsa simpatia e stima per il Nigra (Un po’ più di luce, cit., passim, e specialmente p. 334), provocando la difesa del Nigra fatta dal B ONGHI (Nuova Antologia, XXV, 1874, p. 719). Per l’ostilità del Rattazzi, cfr, Rattazzi et son temps, II, pp. 176 e 407 e L UZIO, Aspromonte e Mentana, cit., pp. 61, 397 sgg. Anche in Francia, voci ostili: oltre al d’Ideville già ricordato, cfr. M. D U C AMP, Souvenirs d’un demi-siècle, I, Au temps de Louis Philippe et de Napoléon III, 1830-1870, Parigi, 1949, p. 162 e II, La chute du Second Empire... 1870-1882, pp. 99, 104. 2084 Lo riconosce Emile Ollivier, in una lettera del 1° agosto 1905 al Nigra stesso: «Peu d’Italiens ont rendu de plus éminents services que vous à l’oeuvre de la régénération nationale

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et en méme temps vous avez su, par votre tact et votre loyauté, gagner la confiance et l’estime de ceux dont les intéréts et les idées étaient en contradiction avec ceux que vous étiez chargé de sauvegarder». E subito prima, tra le doti del Nigra, ha enumerato la «forte sincérité» (A RCH . D E V ECCHI). Cfr. anche L UZIO, La Massoneria e il Risorgimento italiano, cit., I, p. 292. 2085 Secondo E. Ollivier, Nigra «riuniva ad una grazia e ad una flessibilità seducente la più chiara fermezza di spirito. Quando si negoziava con lui al primo momento si sarebbe potuto credere che egli avrebbe ceduto su tutto, tanto sembrava preoccupato di non ferire chicchessia, ma quando si giungeva al punto decisivo d’un trattola sua figura diventava grave, i suoi occhi fissavano con una penetrazione ferma e là dove voi avevate sperato di trovare una debolezza incontravate una irriducibilità» (Giornale d’Italia, 3 luglio 1907). Il de Moüy, che nell’inverno del ’70-71 era presso il ministero degli Esteri del governo di Tours, ricorda che nell’ottobre del ’70 Nigra «accoutumé aux nuancens des conversations mondaines, s’attachait à couvrir des affabilités de sa parole la réserve calculée du Cabinet italien» (Souvenirs et causeries d’un diplomate, Parigi, 1909, p. 11). 2086 Nigra apprezzava, oltre a tutto, le «alte» qualità morali di Napoleone III (Il conte Costantino Nigra, necrologio di R. D E C ESARE, nel Giornale d’Italia del 2 luglio 1907). 2087 È alla luce di questa animosità personale del Rattazzi che bisogna interpretare le affermazioni di M.me Rattazzi sul Nigra (op. cit.. II, pp. 176 e 407). Ma già prima di Mentana i rapporti fra i due uomini non erano facili: «Rattazzi dice di lui [Nigra], quel che lui dice di Rattazzi. Stima, ma non amicizia – posizione difficile per ambidue» M. Castelli al Vimercati, 15 agosto 1867; (A RCH . C ASA R EALE, Corrispondenza Vimercati). 2088 Lett. 19 gennaio 1868 (A E, Carte Nigra, cit.). 2089 Cfr. , gi W. M ATURI, Costantino Nigra secondo il carteggio col Cavour, in Il Risorgimento italiano, XXII, (1929), p. 10 dell’estratto. 2090 Cfr. la decisa lettera personale al Crispi del 7 agosto 1890 (C RISPI, Questioni Internazionali, cit., p. 130 sgg.; D E V ECCHI DI V AL C ISMON, Lo scioglimento della «Pro Patria» di Trento nel carteggio Crispi-Nigra, cit., p. 15 sgg.). Cfr. anche

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D E C ESARE, Gli ultimi anni di Costantino Nigra, nel Giornale d’Italia del 4 dicembre 1915. 2091 L’avversione del principe Gerolamo per il Nigra poteva anche trovar alimento in questioni di donne (cfr., ancora, Ressmann a Nigra, 31 dicembre 1884, da Parigi: «La sempre bella, ma di più in più copiosa Marchesa in ispecie mi fece vedere il ritratto di Nigra esposto nel suo salotto a marcio dispetto d’altissime gelosie», M RT, Carte Nigra, 73/23); ma la causa essenziale dopo il ’70 fu la leale condotta verso il nuovo governo francese del Nigra, che non volle farsi istrumento di certi disegni (evidentemente politici) del principe (Artom a Nigra, 29 aprile 1874; A E, Carte Nigra). Il principe (il tuo rivale come diceva l’Artom) mosse pertanto guerra al Canavesano, venendo anche appositamente a trovare il suocero in Italia e consigliando addirittura il Visconti Venosta di richiamare il Nigra da Parigi – proprio quando in Italia i giornali della Sinistra accusavano il Nigra di favorire le mene bonapartiste in Francia (r. de Sayve, 5 marzo 1872, n. 27; A EP, C. P., Italie, t. 384, f. 217 v. sgg.). Una volta che il Nigra, per restituire una visita fattagli, si era recato, come tutti i suoi colleghi, ad uno dei ricevimenti bisettimanali del conte di Parigi, il principe Gerolamo si affrettò ad informarne, chissà con quali commenti, Vittorio Emanuele; e questi allora interpellò il Vimercati che stava a Parigi... Il Nigra concludeva: «mi pesa oltremodo e trovo anche umiliante, che mentre i due governi ed anche un po’ l’opinione pubblica si mostrano favorevoli al mio mantenimento a Parigi, io sia poi esposto ad un capriccio del Principe Napoleone» (l. p. Nigra a Visconti Venosta, 13 aprile 1874; A RCH . V ISCONTI V E NOSTA ). Va rilevato che, come il Nigra si rifiutò, allora, di assecondare i disegni del principe Napoleone, parimenti, più tardi, si rifiuta di intervenire in questioni interne francesi secondo gli aveva ingiunto il Melegari: e questo servì da spunto per la sua rinunzia a Parigi (cfr. C. M. D E V ECCHI DI V AL C I SMON , L’episodio di Ems nel testo di C. Nigra, in Nuova Antologia, l° settembre 1934, pp. 4-5 dell’estratto). E va rilevato pure che più tardi il principe Gerolamo chiedeva quattrini per fondare un gran giornale (Cialdini a Vittorio Emanuele II, 23 maggio 1877, A RCH . C ASA R EALE, Carte Vitt. Em. II, b. 40). 2092 Se già nel ’68 Vittorio Emanuele gli era avverso, forse per influsso di Rattazzi, più tardi le cose peggiorarono ancora: nell’autunno del ’73 il re chiese personalmente al Nigra, venuto a

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Roma, di rinunziare a Parigi, e il 3 dicembre telegrafò al fido Vimercati, che si trovava nella capitale francese: «J’en ai assez de Nigra à Paris. Faites en sorte que Mínistre Affaires Etrangères en France ne fasse aucune demande à ce sujet et télégraphiez» (A RCH . C ASA R EALE, Corrispondenza Vimercati). Nigra tornò a Parigi per starci solo ancora tre mesi; e il 16 marzo 1874 scrisse al Visconti Venosta mettendo a disposizione il suo posto e chiedendo la legazione di Berna (come già prima: t. s. d. [ottobre ’73?] del re allo Artom che Nigra desiderava essere trasferito a Berna: «mi stupisce ma se è vero dia corso alla domanda», proponendo per Parigi il suo caro Barral, A E, Ris., 87). Il Visconti Venosta invece tenne duro, persuadendo Nigra a rimanere al suo posto; Nigra consenti, ma pregò il ministro di avvertire il re ch’egli non teneva a restare a Parigi «a dispetto suo, tanto meno poi, se dovessi farvi una politica altra da quella che ho fatto finora che è quella del re e dell’Italia, e non quella dell’uno o dell’altro partito che scindono questa sciagurata Francia» (ll. pp. Nigra a Visconti Venosta, 16 marzo e 13 aprile 1874; Visconti Venosta a Nigra, 24 marzo: A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Da notare che il principe Napoleone aveva annunziate al Víiriercati, a Parigi, «le resistenze del re» al ritorno di Nigra a Parigi (Vimercati a Minghetti, 29 novembre 1873, B CB, Carte Minghetti, carta 39). 2093 l. p. al Visconti Venosta, 26 marzo 1871 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). 2094 R. D E C ESARE, Nigra a Parigi dopo l’Impero, nel Giornale d’Italia del 30 ottobre 1915. Nigra era in ottimi rapporti con Thiers e Rémusat. Il salotto Circourt, tra l’altro, gli aveva permesso di aver relazioni cordiali anche sotto l’Impero, con uomini eminenti dell’opposizione (cfr. l’introd. del Nigra, a Le comte de Cavour et la comtesse de Cireourt. Lettres inédites, Torino-Roma, 1894, pp. 7 e 16). Importante, anche, l’amicizia con i Rothschild. 2095 D E C ESARE nel Giornale d’Italia del 4 dicembre 1915; T OMMASINI, l. c., p. 472. 2096 «Io serbo per l’Imperatore Napoleone e per la famiglia imperiale ora in esilio la più sincera riconoscenza per la benevolenza speciale che l’uno e l’altra mi mostrarono costantemente. Questo sentimento io lo serberò fedelmente, e lo confesso altamente» l. p. al Visconti Venosta del 26 marzo ’71 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2097 Fu il Nigra, e non il principe di Metternich a dare il braccio all’imperatrce nell’uscire dalle Tuileries (D E C ESARE nel Giornale d’Italia del 30 ottobre 1915). 2098 Si veda la sua opera a favore dell’istituzione di un tribunale arbitrale permanente, durante la Conferenza dell’Aia nel maggio-luglio 1899 (R UFFINI Scritti giuridici minori, cit., I, p. 268 e soprattutto T OSCANO, L’Italia e la prima conferenza per la pace dell’Aia del 1899, l. cit., p. 261 sgg.). 2099 «Il tempo che rimena la calma negli spiriti e colla calma il sano giudizio degli uomini e delle cose, e la vicenda delle circostanze potranno a poco a poco modificare questo sentimento [rancore dei francesi contro l’Italia] e farlo sparire di poi» al Visconti Venosta, 6 marzo 1871 (A RCH . V ISCONTI V ENO STA ). 2100 Tracciando un quadro magistrale della situazione della Francia nei riguardi dell’Italia, nella lettera sopracit. del 6 marzo 1871, il Nigra scriveva: «Vi ho tracciato la situazione quale sembra a me che sia in questo momento e per un dato tempo. Se voi mi domandate che cosa potrà nascere fra uno: due o tre anni, esiterei a rispondervi, o per meglio dire risponderei che non ne so nulla e mi riserverei di rispondere in modo più adeguato fra qualche tempo... Bisogna adunque lasciar molto ali imprevisto, ben inteso nelle congetture, e per contro nell’ordine dei fatti lasciare il meno che si può al caso». 2101 «Il savait tout dire et tout entendre», diceva di lui uno scrittore francese (T OMMASINI l. c., p. 471). 2102 L’espressione è del Nigra nella lettera al Crispi del 7 agosto 1890 (C RISPI, Questioni Internazionali, p. 132). 2103 T. Catalani al Nigra, 25 mazo 1891 (M RT, Carte Nigra, 69/16). Il Catalani era stato col Nigra a Londra. I versi citati sono nel Richard II, atto V, scena V, 42-44. 2104 Così al Mancini, da Pietroburgo, il 12-24 febbraio 1882 (A E, Personale, LVI). 2105 Nell’A RCH . D E V ECCHI (e anche in M RT) molte le lettere al Nigra del Novati, Balzani, D’Ancona, D’Ovidio, Parodi, Rajna, Del Lungo, Meyer-Lübke, Gaston Paris, Schuchardt, Th. Sickel, ecc.; soprattuto di Graziadio Ascoli. Quando il Nigra morì, di lui scrissero con alte parole il D’A NCONA nel Giornale d’Italia (7 luglio 1907) e il R AJNA nel Marzocco del 14 lu-

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glio 1907 (rip. come prefazione all’ed. cit. delle Poesie del Nigra). 2106 Non a sproposito gli scriveva un giorno il Münz «Ammiro sempre la sua grande dottrina, che la renderebbe capace d’occupare una cattedra a qualunque Università» (M RT, Carte Nigra, 72/15 pubbl. da L. C OLLINO, Costantino Nigra nel pensiero dei suoi corrispondenti letterati ed artisti, in Il Risorgimento italiano, XXII «1929», p. 655). E si vedano gli alti elogi del D’Ovidio (nel Giornale d’Italia del l° gennaio 1904). 2107 È significativo, infatti, che negli ultimi anni, dal 1904 al 1907, a Venezia, bruciasse gran parte delle sue carte, lasciando poi per altre (come i fascicoli dei Ricordi diplomatici) l’indicazione tassativa «da ardersi in caso di morte» o simile. Fu «una feroce distruzione» (D E C ESARE, Gli ultimi anni di Costantino Nigra, cit.; C. M. D E V ECCHI D I V AL C ISMON, Costantino Nigra. Un capitolo inedito dei «Ricordi diplomatici» , in Nuova Antologia, 16 gennaio 1934, pp. 178-79; R ICHELMY, l. c., p. 11). 2108 D E V ECCHI, Costantino Nigra. Un capitolo inedito dei «Ricordi diplomatici» , cit., p. 177. Lo Joil, l’abile capo della Banca Commerciale, ammirava invece la freschezza spirituale del Nigra ancora nei 1905 (cfr. B OGDAN G RAF V ON H UTTEN -C ZAPSKI, Sechzig Jahre Politik und Gesellschaft, I, Berlino, 1936, p. 448). Lucidissima la memoria sino all’ultimo: era «un archivio vivente» dice il L UZIO (La Massoneria e il Risorgimento italiano, cit., I, p. 292; e cfr. D. O RSI, in Nuova Antologia, 16 novembre 1928, p. 138). 2109 Nella lett. del 26 marzo ’71 al Visconti Venosta, più volte cit., rifiutando per allora di cambiar sede proponeva di rimaner in Francia fin che durava «la terribile crisi attuale ed il pericolo», ma di esser poi sollevato «da questo enorme peso che ho sulle braccia», appena le cose di Francia fossero tornate allo stato normale. Allora, rinunziando anche all’idea di chiedere il posto di Madrid «e vi domando di darmi o congedo, o la disposizione, o la disponibilità, o l’aspettativa secondoché giudicherete meglio conforme a’ miei interessi e conciliabile coi regolamenti. Son certo che tutto ciò che i regolamenti vi permetteranno di fare per me, lo farete. Ritirandomi, senza pensione alla quale non ho ora diritto, rimango a dir vero in una posizione molto difficile. Ma se posso conservare per un

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anno o due lo stipendio personale, avrò tempo ed agio a tirarmi d’imbarazzo e così non sarò di peso al bilancio dello Stato, e sarò lieto se pigliando definitivamente congedo dalla carriera potrò dire con qualche ragione di non rimanere debitore del governo». 2110 Così è raffigurato dal Fasciotti, ch’era stato con lui all’ambasciata di Vienna, in una conversazione con il Tittoni (appunti aut. del Tittoni, A E, Ris., carte personali riservate, busta Nigra). Cfr. giudizi non dissimili in C. R ICHELMY, La Triplice e gli ambasciatori italiani a Vienna, in Nuova Antologia, novembre 1950, p. 304. Anche sul Nigra degli ultimi anni, dunque, giudizi contrastanti: perché alle lamentele del Fasciotte e a quelle raccolte dal Richelmy si contrappone l’ammirazione di un Avarna, l’entusiasmo di un Luzio che lo conobbe proprio a Vienna, e di altri studiosi come il Sorbelli (che me n’ebbe a parlare) per l’affabilità dell’accoglienza ecc. 2111 Nigra a Visconti Venosta, 10 marzo ’71 (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Nella successiva lettera del 26 marzo identico pensiero: «... se avesse qualche anno de meno, se non fosse tanto affaticato de sperato e de corpo come sono, e se avesse un po’ più di fiducia in me, non avrei esitato ad accettare la vostra offerta». 2112 La legazione di Vienna gli fu offerta dal Visconte Venosta il 17 novembre 1870; dopo una sospensione de due mesi, il ministro tornò sulla questione il 26 febbraio 1871 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Vienna o Pietroburgo. 2113 Artom a Nigra «dopo le terribili mutazioni avvenute in Francia, fu generale anche nei tuoi amaci più schiette la convinzione che a te non convenisse più rimanere a Parigi» (A E, Carte Nigra; 14 marzo 1871). Anche il re era preoccupato (Nigra a Visconti Venosta, 24 giugno 1871; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Certo, della sostituzione del Nigra si continuò a parlare, non solo nella stampa: il successore designato in pectore era il Minghetti (l. p. Artom a Robilant, 15 gennaio 1872; A E, Carte Robilant), al quale, su nuove insistenze del Nigra per venirsene via da Parigi, il Visconti Venosta se rivolse. Minghetti chiese tempo per rispondere... e la cosa finì lì, certo perché il Minghetti non volle abbandonare la scena politica italiana (dichiarazione Visconti Venosta al Fournier; r. Fournier, 13 maggio 1872, n. 13, A EP, C. P., Italie, t. 385, ff. 51-52 v.; e cfr. già r. de Sayve, 5 marzo, n. 27, ib., t. 384, ff. 218-218

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v.). Perfino L’Opinione, il 26 novembre 1873, pur facendone grande lodi, riteneva necessaria la sua sostituzione a Parigi (La diplomazia italiana). 2114 Tra i malevole, Guido Borromeo che non tralascia occasione per lamentare che il Nigra rimanga a Parig: al Minghetti, 29 marzo, 31 luglio, 16 settembre 1871 (B CB, Carte Minghetti, cent. XVI, fasc. 4). Anche il Marselle era avverso al Nigra (al Robilant, 17 novembre 1873; A E, Carte Robilant). 2115 Alla stanchezza fisica e alle «emozioni morali» il Nigra accenna ripetutamente nelle sue lettere al Visconti Venosta e allo Artom, nel novembre del ’70 e nel marzo-aprile del ’71. 2116 A RCH . V ISCONTI V ENOSTA. 2117 l. p. Robilant a Nigra 15 ottobre 1886 (A RCH . D E V EC CHI ); tt. Robilant a Nigra e Nigra a Robelant, 8 dicembre 1886 (A E, Cas. Ver., ib.?; Triplice Alleanza). Ciò non impedì che, invitato – come il de Launay – dal Robilant a proporre una formula che meglio gli sembrasse garantire gli interessi italiani nel Mediterraneo (Africa e Balcani), il Nigra rispondesse proponendo una formula che nella sostanza, fu poi quella dell’art. I del trattato separato italo-austriaco e soprattutto dell’art. III del trattato separato italo-germanico. Robilant ringraziò, assicurando di aver tenuto particolar conto della formula Nigra nel redigere il progetto di trattato, trasmesso poi a de Launay e Nigra il 23 novembre 1886 (t. Robilant a Nigra, 27 ottobre; l. Nigra a Robilant, 1° novembre e l. p. Robilant a Nigra, 15 novembre; A E, Cas. Verde, 1b, Triplice Alleanza. Sull’invito al Nigra e al de Launay, cfr. già C RISPI, Politica estera, p. 215). 2118 «Nella posizione mia posso dire molto liberamente a loro [Kàlnoky ace.], come a Lei, come ad ognuno, quello che penso, anche quando ciò che penso possa tornar sgradevole» (l. p. al Crispi, 7 agosto 1890; C RISPI, Questioni Internazionali, p. 132). Declinando, l’8 agosto 1887, l’offerta del portafoglio degli Esteri, Nigra chiudeva così il tel. al Crispi: «Je parle à un homme résolu. J’espère qu’il ne me fera le tort de penser que ce langage puisse émaner d’une volonté moins résolue» (A E, riservatissimi Leg. Vienna, fasc. C.). 2119 A Vienna riuscì ad imporsi anche ad un Kàlnoky, notoriamante poco affabile con i diplomatici: unico, con gli ambasciatori di Germania e di Russia che però erano principi (fatto importante per una Vienna!) e poi avevano dietro le spal-

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le la potenza dei loro imperi, mentre Nigra valeva solo perché «geistig so bedeutend» (Erinnerungen und Gedanken des Botschafters Anton Graf Monts, Berlino, 1932, p. 122). Sul prestigio personale del Nigra cfr. anche J. M. V ON R ADOWITZ, Aufzeichnungen und Erinnerungen, cit., I, p. 72; W ALDERSEE, Denkwürdigkeiten, Stoccarda-Berlmo, 1922, I, p. 159. 2120 Il Catalani, in altra lettera al Nigra del 17 luglio ’94, ricorda appuno le «lunghe letture» e le serate insieme trascorse (M RT, Carte Nigra, 69/17). 2121 Inutile insistere sul fascino mondano e sulle eccezionali doti di conversatore del Nigra, anche vecchio: cfr. D E C ESA RE , Gli ultimi anni di Costantino Nigra, l. c. Formatosi, da questo punto di vista, a Parigi nel salotto Circourt, Nigra rimase sempre convento, da diplomatico classico, della grande importanza delle relazioni mondane per la vita diplomatica (Le comte de Cavour et la comtesse de Circourt, cit., introd., p. 7). 2122 tt. Mancini a Nigra e Nigra a Mancini, 27 giugno 1885 (A RCH . D E V ECCHI e A RCH . M ANCINI). Il bello è che il Mancini diceva contemporaneamente la stessa cosa al Robilant, con l’aggiunta «J’espère et désire vivement votre acceptation!» 2123 Il tel. di Umberto I, del 7 agosto, era veramente un appello molto pressante: Nigra rispose, l’8 agosto, pregando il re di non esigere da lui quel che non sapeva fare («je n’ai ni les qualités ni le tempérament, ni la position nécessaires pour faire un bon Ministre des Affaires Étrangères») e ricusando (A E, riservatissimi Leg. Vienna, fasc. C). Stesso motivo nel tel. al Crespi, 8 agosto «n’exigez pas de moi ce qua je ne sais pas faire» (ib.). 2124 C RISPI, Politica interna, cit., p. 187, e cfr. Carteggi politici inediti, pp. 410-11. Ancora nel febbraio 1891, dopo le sue dimissioni, Crespi indicava Nigra come augurabile ministro degli Esteri; ma «Nigra è un altro Ferini; non vuole assumere alcuna responsabilità» (Politica interna, p. 267). 2125 Lo stesso re Umberto aveva telegrafato, il 30 luglio 1895, pregandolo di accettare il posto difficile di Pietroburgo. Ancora una volta, Nigra rispose al re con un rifiuto, piuttosto secco anzi, mettendo a disposizione del governo il suo posto di Vienna per andarsene a riposo. Gesto irritato, di chi sospettava reconditi fini nella proposta (A E, Carte Nigra. Ivi i tt. col Blanc e col Crispi nel marzo 1894 circa, Parigi, cfr. C RISPI, Questio-

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ni Internazionali, cit., p. 162 sgg,). Tant’è il Crispi lo assicurò che «nell’animo nostro non era un pensiero che fosse men che rispettoso per Lei» (Crispi a Nigra, 12 agosto 1895; A RCH . D E V ECCHI); e il re stesso lo volle subito assicurare (I° agosto) che a nessuno era venuto in mente di «allontanarlo» da Vienna, dove rendeva i migliori servizi (A E, Carte Nigra; e cfr. R ICHEL MY , in Nuova Antologia, 16 novembre 1928, p. 155 e nel Mondo, cit., p. 12), Calmatosi, il Nigra scrisse cordialmente al Crispi, il 15 agosto, spiegandogli perché non aveva potuto accettare: ragioni di età e di salute; necessità di poter colà disporre di 50 mila lire annue, oltre all’assegno; timore di suscitare nuovamente, andando nella capitale russa, le «diffidenze ingiuste del Times» (M RR, Carte Crispi, b. 662, n. 2/15). Non condivido l’interpretazione del Richelmy che il Crispi volesse allontanar Nigra da Vienna, perché troppo triplicista (e il Crispi?), agiva da freno verso l’Austria (C. R ICHELMY, La Triplice e gli ambasciatori italiani a Vienna, in Nuova Antologia, novembre 1950, cit., p. 304). Di fatto, Crispi cercava di uscire dalla difficile situazione italo-russa; riteneva necessario mandare a Pietroburgo «un personaggio, che possa e sappia riannodare relazioni di vera amicizia» tra i due governi; e perché il Blanc, ministro degli Esteri aveva detto a lui e al re che Nigra era amico del ministro russo degli Esteri, Lobanov, così si pensò a lui. 2126 Quando nel 1882 fu destinato a Londra, in connessione con la nomina di Menabrea da Londra a Parigi, Depretis e Mancini lo fecero perché nella capitale britannica «attualmente abbiamo bisogno di eccezionale attività lunga pratica di negoziati importanti» (t. Mancini a Umberto I s. d. ma 5 o 6 novembre 1882, M RR Carte Mancini, b. 638, fase. 5/6). 2127 A E, Carte Robilant (cfr. anche D E C ESARE Il conte G. Greppi, cit, pp. 218-19). Da notare che Londra era sede «desideratissima» dal Niigra, secondo sue dichiarazioni al Mancini (t. Mancini ad Umberto I, [6] novembre 1882; M RR, Carte Mancini, b. 638, fasc. 5/10. E cfr. infatti l. Nigra a Mancini, 5 novembre, ib., ib., 5/5). Tre anni più tardi, al momento di lasciar Londra per Vienna, riappare un identico stato d’animo: «Lascio a malincuore il posto di Londra, ove di dífficoltà politiche, sociali o altre non v’è ombra. Non so che cosa mi attende a Vienna» (Nigra a Minghetti, 26 novembre 1885; B CB, Carte Minghetti, cart. fast. 60).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2128 Cfr. gli articoli de La Riforma, 11 gennaio e 29 ottobre 1872, 7 dicembre 1873. Il 2, 3 e 5 aprile 1876 Il Diritto disse chiaro che Nigra doveva cambiar sede; e uno dei primi consigli di Cesare Correnti al Depretis fu quello di mandar via. Nigra (cfr. il promemoria pubb. da M ORANDI, La Sinistra al potere, cit., p. 134. Per il libello del Petruccelli della Gattina contro di lui, nel ’67, cfr. L UZIO, Aspromonte e Mentana, cit., p. 335 sgg.). La sede di Pietroburgo fu però richiesta al Melegari dal Nigra stesso, il quale, resosi subito conto della situazione, fece lui stesso il primo passo traendo accortamente motivo dall’incauta istruzione del Melegari di intervenire nei dibattiti politici francesi interni, per ottenere la soppressione della ambasciata di Francia presso il Vaticano (si veda il racconto dello stesso Nigra, in D E V ECCHI, L’episodio di Ems nel testo di C. Nigra, l. c.). 2129 È il giudizio del D E C ESARE, nel Giornale d’Italia del 30 ottobre 1915. 2130 Al Robilant che, data la situazione internazionale, non gli aveva concesso l’annuale congedo, il Nigra scrisse da Vienna il 1° novembre 1886: «Ella era qui colla sua famiglia e aveva qui una parentela estesa e amicizie contratte da un lungo soggiorno. Io invece sono qui solo. Se cado malato, sono in mano di mercenari. Più invecchio, più sento il bisogno di rivedere i pochi parenti e amici che mi restano e che non posso aver qui con me, almeno una volta all’anno, perché l’anno può esser l’ultimo» (A E, Carte Robilant). 2131 Lo notava il Vimercati, già nel ’61: Nigra dopo la morte di Cavour non è più il Nigra di prima. Avrebbe bisogno che il re lo sostenesse un po’ (L UZIO, Aspromonte e Mentana, cit., p. 172). 2132 Cfr. M ATURI, Costantino Nigra secondo il carteggio col Cavour, cit., p. 11. Identica affermazione al Crispi, 18 agosto 1887, declinando la nomina a ministro degli Esteri: «n’exigez pas de moi ce que je ne sais pas faire». 2133 Cfr. C ROCE, La letteratura della nuova Italia, V, 3ª ed., Bari, 1950, p. 126 sgg.; G. P ETROCCHI, Scrittori piemontesi del secondo Ottocento, Torino, 1948, p, 3 sgg. 2134 Ne sono prova varie lettere al Crispi: p. es., il 5 settembre 1894: «fo voti perché Ella voglia continuare a tener su questa nostra Italia, che ha tanto bisogno di Lei» e in altra del 15

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agosto 1895: «coraggio adunque e perseveri» (M RR, Carte Crispi, buste 666, n. 4/6 e 662, n. 2/15). Cfr. anche D E C ESA RE , nel Giornale d’Italia del 30 ottobre 1915. È vero che il Crispi ebbe verso il Nigra un contegno di deferenza, di cui il Nigra parlava soddisfatto (D E C ESARE, Il conte Giuseppe Greppi, cit., pp. 250-Sl). Per es. al momento di recarsi in Germania per incontrarsi col Bismarck, Crispi telegrafò al Nigra di desiderare che, su tutte le questioni delicate in corso, egli gli telegrafasse direttamente ai vari e successivi indirizzi (Milano, Francoforte, Amburgo): t. 27 settembre 1887, riservatiss. (A E, riservatissimi Leg. Vienna, fasc. B). Poco più tardi, il Nigra esprimeva al Crispi un suo parere personale: «considerez cet avis comme celui d’un ami» (Ib., ib., fasc. C). L’affermazione di G. A RDAU, Francesco Crispi, Milano, 1939, p. 315 (seguita dal R ICHELMY, La Triplice..., l. c., p. 304), che Nigra non facilitò la politica di Crispi non ha fondamento. Quanto all’ammirazione per il Bismarck, cfr. H. V ON P O SCHINGER , Fürst Bismarck und die Diplomaten, 1852-1890, Amburgo, 1900, pp. 6 e 452; e anche G. C ABASINO -R ENDA, Memorie e giudizi inediti di Costantino Nigra, nel Giornale d’Italia, 22 dicembre 1907. 2135 Su questo stato d’animo del d’Azeglio vecchio cfr. V AC CALUZZO , op. cit., p. 285 sgg.; S ANTANGELO , op. cit., pp. 266-67; P. S ILVA, Figure e momenti di storia italiana, Milano, 1939, p. 170 sgg.; A. M. G HISALBERTI, Come sono nati «I miei ricordi», in Rassegna Storica del Risorgimento, XXXIV (1947), p. 12 sgg. dell’estratto. Ma per le sue origini che risalgono alle delusioni del ’48, cfr. O MODEO, L’opera politica del conte di Cavour, cit., I, p. 129. 2136 Cfr. l’esaltazione del Canavese nel carme per le nozze D’Azeglio-Ricci (N IGRA, Poesie originali e tradotte, ed. cit., pp. 7-8). 2137 D E R UBRIS, Confidenze di Massimo d’Azeglio, cit., pp. 263 e 291. 2138 Nel 1833 Cavour osservava «... qualunque sia la forma di un governo, è inevitabile che la maggior parte degli individui che occupano il potere e di quelli che vi aspirano siano corrotti» Diario, cit., pp. 43-44. 2139 F. Govean a Nigra, 12 gennaio 1879 (A RCH . D E V EC CHI ).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2140 «Je ne vous parte pas de notre pays et de tout ce qui s’y passe de triste car vous devez le savoir aussi bien que moi, seulement vous vous rappellerei de tout ce que je vous en avais dit me sui s j’e trompé?» (6 luglio ’75. A RCH . D E V ECCHI). Il 20 novembre 1874, gli aveva scritto, che la prima volta in cui si sarebbero visti gli avrebbe detto «comment je juge les affaristes (passez moi le mot qui n’est pas français) de notre époque» (ib.). 2141 E. M. de Vogüé al Nigra, 5 settembre 1896 (M RT, Carte Nigra, 74/60). 2142 Da ultimo, infatti, Nigra sentiva «... di sopravvivere politicamente ai suoi tempi» (D E C ESARE, Gli ultimi annidi Costantino Nigra, I. c.). 2143 Ancor più tardi, si accorò per le polemiche suscitate dalla pubblicazione: nel 1895, di un frammento dei Ricordi Diplomatici: che è altro significativo indizio della sua natura (cfr. D E V ECCHI, Un capitolo inedito dei «Ricordi Diplomatici» di C. Nigra, cit., pp. 178 e 180; O RSI, l. c., p. 146). 2144 Il 12 aprile del ’71 il Visconti Venosta scriveva al Nigra: «La vostra lettera mi sembra scritta in un momento di sconforto. Questi sconforti li provo io pure. L’antica lena cade qualche volta e dà luogo a un senso di stanchezza, direi di disgusto. È questo pur troppo, io temo, un primo oltraggio degli anni. Ma all’età nostra bisogna reagire e un po’ di riposo basta a rifare le forze... Non è fra qualche mese, ma fra qualche anno, almeno, che potremo ripetere il nunc dimitte e dire alla generazione che ci incalza: l’opera è compiuta, a voi il conservarla» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2145 Un po’ più di luce, cit., pp. 338-39. 2146 Artom a Nigra, 25 marzo ’71: «saremo quindi costretti a nominare là [Vienna] Barrai. Egli è persona accetta a Vienna, ma inter nos, non mi pare all’altezza dell’incarico» (A E, Carte Nigra). A Vienna andò invece il Robilant e il Barrai a Madrid, a fianco di Re Amedeo; e a volerlo a Madrid, accanto al figlio, fu proprio Vittorio Emanuele II (Visconti Venosta a Robilant, 10 maggio e 4 giugno ’71; A E, Carte Robilant). 2147 B ÜLOW, Memorie, cit., IV, p. 600. 2148 Artom a Nigra, 14 marzo ’71: «è poco probabile però che si riesca a toglier di là [Londra] Cadorna. Pare che il clima gli

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giovi, è convinto di far benissimo: è amico personale di Lanza: insomma il nostro desiderio di levarlo di là ha poca probabilità d’essere esaudito» (A E, Carte Nigra) e cfr. Minghetti a Visconti Venosta 9 ottobre ’70: «confesso che qualche volta mi spaventa l”incapacità di Cadorna a tanto ufficio» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Anche qui, come nel caso del Greppi, i documenti confermano il giudizio: diligente e preciso, ma niente più. 2149 Per es., il 23 febbraio e il 18 giugno 1872 impartisce consigli al Visconti Venosta, mentre deplora l’insufficienza dei giovani diplomatici, taluno del quali entra in carriera senza alcuna conoscenza, sapendo a malapena il francese, e senza alcuna serietà di carattere. In 19 anni, fra Pietroburgo e Berlino, soltanto tre dei giovani segretari di legazione lo hanno soddisfatto: fra essi, il Sonnino (A CR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fasc. 2). Più tardi, col Mancini insistette perché ci si assicurasse delle «condizioni personali» necessarie ai giovani diplomatici (M RR, Carte Mancini, b, 644, fasc. 8/10). 2150 Nel ’72, quando si trattò di inviare una missione militare per assistere alle manovre della Guardia Prussiana, con a capo un generale (Petitti di Roreto), avvertì il Visconti Venosta che le questioni politiche dovevano rimanere per intero nelle sue mani: «il ne faut pas que mon jeu soit géné par des courants qui m’échapperaient. La position doit rester très nette» (12 agosto: A CR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fasc. 2). 2151 Già il 1° ottobre 1866 lo scriveva al Greppi: è necessario riorganizzare il servizio diplomatico; chiuderne l’accesso agli estranei che oggi balzano innanzi, ai danni di coloro che si sono dedicati con lungo studio alla carriera (Lettres du comte Ed. de Launay... au comte J. Greppi, cit., p. 752). 2152 Si veda come rifiuti la nomina a senatore, perché, con le funzioni che ha, non potrebbe assistere alle sedute e, anche quando vi potesse assistere, non gli sarebbe dato «di partecipare alle discussioni con quella indipendenza assoluta che sola dà al voto un carattere veramente coscienzioso» (in R OSI, L’Italia odierna, cit., vol. Il, t. II, pp. 1758 e 1761 e il giudizio del Rosi, p. 1702). 2153 Verboso certo il de Launay appare dalla sua corrispondenza: il più verboso di tutti i nostri rappresentanti all’estero. Lo stesso Greppi, pur suo grande ammiratore, osserva che era di quelli che si ascoltano con compiacenza (Lettres...,

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cit., p. 739). Prolisso anche era nel conversare e nel discutere (H OHENLOHE -S CHILLINGSFÜRST, Denkwürdigkeiten, II, cit., p. 296; D E M OÜY, op. cit., p. 106). Dolciastro, lo definiva il Radowitz, secondo cui Bismarck non lo avrebbe amato «durch sein vieles und etwas süssliches Gerede» (op. cit., II, p. 30), pur apprezzando in lui il sicuro amico della Germania. Assai più benevolo (una mente politica di valore) il giudizio di B Ü LOW , Memorie, cit. IV pp. 320-21. Nell’ambiente cavouriano, aveva goduto reputazione di «bon diplomate», anche se il Cavour l’avesse, una volta, cacciato di «pleurnicheur» (Carteggio Cavour-Salmaur, cit., pp. 142 e 170). 2154 B ÜLOW, Memorie, cit., IV, pp. 295-96. 2155 «S’il fallait ici un représentant n’ayant pas la faculté d’émettre une opinion personelle, aussi longtemps du moins qu’il est sans mot d’ordre, il me faudrait de grands efforts pour me sottomettre à ce rôle de personnage muet vis’à-vis de mes collègues», l. p. de Launay a Visconti Venosta, 20 dicembre 1870 (A E, Ris., 10). 2156 t. de Launay a Vittorio Emanuele II, 18 [dicembre] 1877, (A CR, Carte Depretis, serie 1ª, b. 22, fasc. 69); e id, a id., 24 marzo 1876 (A RCH . C ASA R EALE, Carte Vittorio Emanuele II, b 32, e 41 per il ’77). 2157 Il 2 febbraio del ’71, seccato per il discorso di Riccardo Simeo alla Camera, osservava al Visconti Venosta esser «vraiment regrettable qu’à chaque session de nos Chambres, des députés si peu compétents sur la matiere se permettent de critiquèr notte personnel diplomatíque, sans que personne ne prenne la parole pour nous défendre» (r. n. 775). 2158 Cfr, qui sopra p. 459 e, ancora, il suo insistere, nel febbraio 1873 «... aujourd’hui oú il faudrait contrebalancer le trop plein de Iiberté, en accentuant davantage les principes d’ordre et d’autorité...» (l. p. il febbraio 1873 al Visconti Venosta; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2159 Così, nel ’75: «L’élévation d’esprit de ce grand patriote [Cavour], son attachement aux doctrines vraiment libérales, doivent nous inspirer plus de confiance que les principes élastiques de l’école utihtaire à laquelle appartiene le pance de Bismarck» (l. p. al Visconti Venosta, 31 marzo 1875; A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Questo, a proposito dei rapporti con la Santa Sede e delle pretese bismarckiane di «enróler des auxi-

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liaires contre le Pape» e in primis l’Italia. In tale questione, veramente, il de Launay assunse atteggiamento assai fermo, consigliando di respingere nettamente qualsiasi tentativo d’intromissione germanica nella politica ecclesiastica italiana, e di far sentire chiaramente a Berlino che «charbonnier est maître chez soi» (ll. pp. al Visconti Venosta, 23 e 31 marzo 1875; ib.). 2160 Cfr. qui sopra, p. 17. 2161 Naturalmente, anche col Nigra v’era poco accordo: cfr. qui sopra, p. 18, n. 4, e anche l. p. al Visconti Venosta, 21 febbraio 1875: «... il est complètement anormal que des agente de notre pays... soit à Paris lors des fétes commémoratives de Petrarque... manifestent des opinione qui laissent trop clairement entrevoir qu’ils mourront dans l’impénitence finale de leurs sympathies outrées pour la France» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2162 A E, Carte Robilant; già in S ALVEMINI, l. c., 1925, p. 76. In una l. p. al Visconti Venosta, dell’11 giugno 1875, il de Launay si sfoga apertamente: «Je ne vous parte pas d’autres sujets, mon cher: Ministre, puisque vous prenez le parti de ne pas répondre à mes lettres particulières... A vour la responsabilité. L’avenir prouvera qui des deux avait raison. Avant 1870 j’ai longtemps préché, dans le désert. Les évènements ont fini par me donner raison» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2163 Il 4 gennaio 1872, Armand Ruiz, amico di Gambetta e, più tardi, tramite fra quest’ultimo e i capi della Sinistra italiana (cfr. pp. 793-94, n. 438), gli dice di scrivergli (da Parigi) non senza umidità, perché... «j’ai su tout le mal que vous dites de nous... votre antipathie – je dis antipathie pour étre poli – contre mon fou de pays» (A E, Carte Robilant). Nel ’75, sarà il duca Decazes, ministro francese degli Esteri, ad accusare il Robilant di non essere amico della Francia (l. p. Robilant a Visconti Venosta, 7 luglio 1875; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Su Ferdinando Ruiz, ufficiale napoletano poi stabilitosi in Francia, prefetto della Nièvre, cfr. C. P ISACANE, Epistolario, a cura di A. Romano, 1937, p. 463, n. X. 2164 l. p. Robilant a Visconti Venosta, 7 febbraio 1873 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2165 de Launay a Robilant, 21 luglio 1871 «J’abonde dans vos considérations sur notte Ministre des Affaires Etrangères. Je

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le crois,. comete vous irop porté à la conciliation vis-à-vis de la France...». E dopo una ampia esposizione del suo pensiero sui rapporti italo-francesi e italo-germanici, continua: «Te sais que vous pensez comete moi. Peut-étre sommes nous les seuls dans le corps diplomatíque qui soient animés de ces convinctions. Travaillons dune d’un commun accord pour inspirer plus d’énexgie à nos gouvernants» (A E, Carte Robilant; in parte – ma non quella che qui interessa – pubbl. in S ALVEMINI, l. c., 1924, p. 362). 2166 «...nous serons désormais deux chefs de mission qui navigueront certainement dans les mémes eaux. Je vais méme plus loro, j’espère que le poste de Vienne sera pour votis un marchepied pour arrmer un jour à étre Ministre des Aflaires Etrangères pour mettre à exécution un programme de parfaite indépendance de l’étranger». A Robilant non mancherà certo il coraggio di dire apertamente il proprio parere «au risque de déplaire à Florence. Pour mon compte je rame souvent contre le courant». A Berlino, la sua nomina sarà certo bene accetta «car on connaître votre manière de voir et au besoin je suis là pour expliquer» (a Robilant, 9 giugno ’71; A E, Carte Robilant). 2167 Se ne veda il profilo tracciato dal D E M OÜY, op. cit., p. 224. 2168 «Sai che sono uso a spingere la franchezza fino alla brutalità magari. Puoi dunque essere certo che quando ho parlato nulla più mi resta da dire» Robilant a Corti, 29 dicembre 1886 (A E, Carte Robilant). Radicato era il convincimento che «in politica nulla ci ha di peggio che le illusioni, il nascondersi gli ostacoli che si frappongono al conseguimento di un risultato» (r. 18 dicembre 1883, n. 2020). 2169 La frase è del Kàlnoky: il Robilant è un ambasciatore di relazioni leali e sicure, ma non comodo (C APPELLI, 1. c., p. 392). Stessa espressione nell’ufficioso Fremden-Blatt del 17 ottobre 1885, che nell’articolo di fondo saluta il Robilant ministro degli Esteri, con molti elogi. 2170 Di qui, forse, la ragione del «dolciastro» applicato al suo linguaggio dal Radowitz. 2171 Predicò l’energia anche al Nigra, nei confronti del Ballhaus; e un giorno, a proposito di uno dei tanti reclami da muovere, osservò: «Comprendo del resto benissimo che i continui reclami a rivolgersi al governo I. e R. le rechino noia; conosco

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troppo quei fastidi per averli sopportati durante oltre 14 anni; ma non è men vero che col governo austriaco nulla si guadagna lasciando correre. La tolleranza a Vienna è considerata pusillanimità; ed a lasciar correre ne va di mezzo il credito del governo ed il prestigio dell’Ambasciatore. Sta di fatto che per reclamare conviene aver ragione, ma quando la si ha non si deve esitare mai a farla valere anche nel modo il più energico» (l. p. al Nigra, 14 maggio 1886; A RCH . D E V ECCHI e A E, Carte Robilant). 2172 r. 9 febbraio 1880. n. 1210 (A E, Rís., c. 27). E cfr. l. p. al Corti, 21 febbraio (A E, Carte Robilant); D.D.F., s. lª, III, p. 34. Che Bismarck premesse su Vienna per un atteggiamento più duro, è verissimo (cfr. P RIBRAM, op. cit., I, pp. 172-73); The Saburov Memoirs, cit., p. 115; S ALVATORELLI, La Triplice Alleanza, cit., pp. 53-56; W. L ANGER, European Alliances and Alignments, 1871-1890, New York, 1931, p. 201; E. L ALOY, La politique de Bismarck, Parigi, 1939, p. 420); che potesse pensare di «venirne al gran ballo» e invitare alla danza, per prima e da sola, l’Italia, è escluso. Per vivere in pace con l’Italia, egli riteneva «die Furcht dort wirksamer als die Liebe» (W INDELBAND, Bismarck und die europäischen Grossmächte 1879-1885, cit., p. 111 sgg.). Un’eco del giudizio del Robilant in C HIALA, Pagine, II, 2ª ed., 1895, p. 49, dove pure si parla del Bismarck che eccitava l’Austria ad agire. 2173 Questo giudizio sul Sella è del B ARZELLOTTI, Studi e ritratti, 2ª ed., Palermo, s. d. [ 1911], p. 192. 2174 C APPELLI, l. c., p. 388. 2175 Il de Moüy, che fu ambasciatore di Francia a Roma quando il Robilant era ministro degli Esteri, lo ha così raffigurato: «Il dirigeait de haut les affaires extérieures, tout ensemble très ferme, très avisé et très réservé au fond sous une apparente cordiale et enjouée» (op. cit., pp. 224-25). 2176 Alla fermezza di carattere del Robilant, oltre che all’ingegno, pensava il generale Govone nel 1869 quando voleva proporlo al Lanza come ministro della Guerra o della Marina (Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 364). 2177 Così egli chiama la sua villa in una lettera al Corti del 1° marzo 1884, (A E, Carte Robilant). 2178 Il 16 aprile 1884 scrive al Corti: «... io sono più che mai stufo del mestiere da trappista che faccio, costretto a riempire

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continuamente una secchia che perde l’acqua da ogni parte. Su tutti i toni ripeto continuamente a Roma l’invito, la preghiera, anzi, di darmi un successore più di me capace o fortunato; per ora non mi si vuol dare ascolto, ma verrà il giorno e questo sarà quello del trionfo da noi dei Pentarchi, in cui mi incaricherò io di risolvere definitivamente la questione» (A E, Carte Robilant); cfr. anche lett. al Corti del 16 dicembre 1882 e del 1° marzo 1884 «... si parla della possibilità dei Pentarchi al potere. Non ci mancherebbe altro. Già io pazzo non lo voglio diventare, e se gli uni o gli altri si uniscono per rendermi la vita qui impossibile, pianto lì tutto e tutti, e vado a stabilirmi al mio Tusculum del Lingotto». Anche da ministro attende la sua «liberazione» (lett. al Corti, del 30 maggio 1886, l. c.). Di fatto, alla fine del 1882, il Robilant aveva offerte le dimissioni, per la questione della visita imperiale a Umberto I: Mancini le respinse (l. p. Mancini a Robilant, 4 dicembre 1882; Robilant a Mancini, 14 gennaio 1883, A RCH . M ANCINI). 2179 «S’Ella potesse rimontarmi alquanto il morale... mi renderebbe un vero servizio, poiché non Le nascondo che più nero di così non saprei vedere» al Nigra, 4 gennaio 1882; e nuovamente il 4 dicembre: «Dacché ci lasciammo, passai nuovamente cattivissimi giorni. Questi a dir il vero si ripetono con una tal frequenza che proprie mi sento oltremodo stanco e sfiduciato» (A RCH . D E V ECCHI; anche A E, Carte Robilant, dove pure lett. Nigra a Robilant, 9 gennaio 1882: «Per carità, non si perda d’animo.»). Anche al Minghetti il Robilant esprimeva, il 6 gennaio 188, la sua stanchezza (B CB, Carte Minghetti, cart. XXIV, fasc. 48). 2180 Robilant a Corti, 26 aprile 1887: «Fui trattato come non avrei potuto esserlo diversamente, se nei miei 43 anni di carriera altro non avessi fatto che compromettere le sorti del Paese; e ben mi sta, non muovo lamento di sorta, comprendendo perfettamente che in un governo parlamentare, non può essere diversamente. Capirai però che ciò mi toglie ogni desiderio di rimettermi all’opera». E tuttavia già allora aggiunge «Ben inteso che se per avventura la mia azione in qualunque direzione potesse ancora essere ritenuta di qualche utilità, non esiterei ad abbandonare il mio quieto vivere per servire il Paese collo stesso zelo ed attività che pel passato» (A E, Carte Robilant). 2181 Al Corti, 10 luglio 1887 (ib.).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2182 «Ciò che accade prova del resto anche un’altra cosa, ed è che se abbiamo fatto l’Italia, non abbiamo fatto gli italiani e che anzi il regime inauguratosi colla venuta della Sinistra al potere, ha talmente corrotto gli Italiani, che non c’è più da sperare di farne qualche cosa. Questo mio apprezzamento è duro ma esatto» (al Corti, 28 febbraio 1887, ib. Già pubbl. dal S ALATA, Corriere della Sera, 1 agosto 1926). 2183 Nigra a Robilant, 11 dicembre 1882: «Io mi rendo perfettamente conto di ciò che si passa nel suo animo e comprenda gli accessi di scoraggiamento da cui Ella deve essere sovente assalito. Ma La scongiuro di resistervi. Ella ha la tempra dei forti, ed è una delle rare persone su cui il nostro paese fa assegnamento ora e poi. Non si lasci scoraggiare dalle difficoltà, e quando si presentano, pensi al primo motto della sua divisa pugna» (ib.). 2184 Al Corti, 6 dicembre 1877 (ib.). 2185 Al Corti, 18 dicembre 1878 (ib.). 2186 Al Corti, 28 febbraio 1887 (ib.). 2187 tt. Mancini a Robilant e Robilant a Mancini (27 giugno, A RCH . M ANCINI); C HIALA, Pagine, III, 2ª ed., 1898, p. 399. 2188 C HIALA, op. cit., III, pp. 399-400. Egli stesso così comunicò al marchese Cappelli, poi suo segretario generale, la sua accettazione, il 28 settembre: «Dopo una resistenza disperata alle insistenze del Depretis vivamente appoggiate da Sua Maestà, ha dovuto cedere! Il re mi espresse ieri il suo preciso desiderio in maniera equivalente ad un ordine; e siccome un vecchio soldato come me non discute gli ordini del suo sovrano, ho telegrafato che obbedivo... Sono rassegnato come sempre allorché ebbi con sagrifizio della mia persona a compiere il mio dovere pel servizio del re e per l’inseparabile bene del Paese. Non mi faccio illusioni di sorta ma ciò nondimeno mi lancierò con coraggio nell’arringo disposto a precipitare dalla rocca Tarpeja anche senza essere passato dal Campidoglio» (A E, Carte Robilant). E al Visconti Venosta, il 15 ottobre: «Non mi faccio illusione di sorta sul conto mio. Il Paese stufEo degli avvocati applaudì alla scelta fatta della mia povera persona, sperando ch’io potrei dar soddisfazione alle sue informolabili aspirazioni. La disillusione non tarderà a farsi strada, ed allora nascerà ciò che potrà» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). E cfr. t. e l. Robilant a Umberto I, t. Umberto I a Robilant, 27 giugno-27

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settembre 1885 (A E, Carte Robilant; R ICHELMY, La Triplice e gli ambasciatori italiani a Vienna, l. cit., pp. 299-301; la l. 27 giugno parzialmente già in F. S ALATA, Il conte di Robilant, in Corriere della Sera, 7 agosto 1926). 2189 Così, per il conte di Saint Vallier, ambasciatore di Francia a Berlino, il Robilant, sì per famiglia sì per le simpatie, apparteneva «à la droite la plus pure» (8 marzo 1880; D.D.F., s. 1ª, III, p. 51). 2190 Egli stesso lo diceva al Corti: «Del resto non si vorrebbe di me [come ministro degli Esteri] per troppe ragioni ed anche perché come mi fu detto recentemente ho una riputazione di autoritarismo che non è consona colle nostre condizioni parlamentari». (8 settembre 1884, A E, Carte Robilant; e cfr. la lett. a Umberto I in R ICHELMY, l. c., p. 300). E infatti quando fu nominato, Coltoli si sfogò con l’amico Napoli, pigliandosela col Depretis che aveva osato ciò che la Destra stessa «pur avendo nel cuore l’ultraconservatore Robilant, non avrebbe mai osato: farne un ministro degli Esteri» (6 ottobre 1885; M RP, Carte Cairoli, pacco 30). 2191 Stesso giudizio in una lett. del 4 dicembre 1884 al Greppi: «... è certo che il prepotente cancelliere prepara dei brutti giorni al suo paese, pel giorno in cui sparirà dalla scena», in (D E C ESARE, Il conte Giuseppe Greppi, cit., p. 234). 2192 A E, Carte Robilant. È soltanto alla luce di tutto il suo modo di pensare – che qui si cerca di lumeggiare – che possono essere rettamente intese le dichiarazioni del Robilant stesso «Sì davvero sarei autoritario, coi miei colleghi, col Parlamento, e col Paese...» (l. a Umberto I, 27 giugno 1885; A E, Carte Robilant; S ALATA, Corriere della Sera, 7 agosto 1926; R ICHELMY, La Triplice e gli ambasciatori italiani a Vienna, l. c., p. 300), le quali, altrimenti, potrebbero farlo accostare – a torto – ad un Bismarck o ad un Crispi. 2193 Episodio molto commentato (cfr. C HIALA, Pagine, II, p.43). 2194 «Del resto al giorno d’oggi i destini d’Europa stanno nelle mani del ‘solitario di Varzin’ che fa manovrare uomini e cose a seconda della maggiore o minore giornaliera eccitazione dei suoi nervi, incalcolabile è dunque l’avvenire» Robilant a Corti, 3 marzo 1880 (AE, Carte Robilant).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2195 L’8 settembre 1884, il Robilant scrive al Corti «Bismarck sta odiando, come sa odiare lui, Gladstone, cioè sino oltre la tomba» (ib.). Che era giudizio esattissimo: cfr. E YCK, op. cit., III, p. 408, e sul Bismarck ‘odiatore’, ib., p. 14. 2196 Nella lettera al Greppi del 4 dicembre 1884 «Lo scopo a cui Bismarck mirava era di ridurci all’impotenza; non lo si è voluto capire allorché si era in tempo, ora lo scopo è raggiunto e ci si tratta come limone spremuto» (in D E C ESARE, Il conte Giuseppe Greppi, cit., p. 234). 2197 15 gennaio 1885 (AE, Carte Robilant). 2198 Così l’8 settembre 1884, proprio prima del convegno di Skiernevice a cui egli non voleva «dare un’importanza massima», diceva al Corti: «Il fatto per me capitale fu la chiamata di Kàlnoki a Vrazin per udirvi il Verbo e conformarvisi. In quel convegno vennero poste le basi di granito della politica europea fino acché Bismarck dura, tutto il rimanente non è che accessorio». 2199 Il 2 settembre 1886 scrive al Corti «Mi riuscirono grate le tue felicitazioni per la mia assenza dai vari convegni, ove più o meno si prepararono i bei fatti che si verificarono testé [in Bulgaria], e che probabilmente avranno ancora peggior coda. Come ben avrai capito mi sarebbe costato di alzar un dito, anzi di non far il sordo; ma mi applaudisco grandemente dell’osservata riserva e della resistenza da me opposta a chi [Launay] forte della sua vecchia esperienza mi spingeva a non lasciar sfuggire l’occasione di uno scambio di idee col pro tempore padron del mondo!» (ib.). Sulle insistenze del de Launay, perché il Robilant si incontrasse col Bismarck, cfr. C HIALA, Op. cit., III, p. 468 sgg.; C RISPI, Politica estera, p, 213; S ALVEMINI, La politica estera dell’Italia, cit., p. 72. 2200 Per queste campagne di stampa Cfr. B ÜLOW, Memorie, IV, Pp. 510-11 (estate 79, per vincere le resistenze di Guglielmo I all’alleanza austro-prussiana) 2201 l. p. Robilant a Corti, 8 febbraio 1879 (AE, Carte Robilant). 2202 Il 12 luglio 1887 scrive al Greppi: Crispi «... intanto ha acquistato il predominio assoluto da quasi dittatore del paese. Giustizia vuole che io dica, che di questo stia forte potere egli fa, sino ad ora, ottimo uso, reggendo egli la cosa pubblica

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con quella ferrea mano, che da tanto tempo non si faceva più sentire» (in D E C ESARE, Il conte G. Greppi, cit., p. 244). 2203 «Per un momento ho avuto paura di un Ministero Crispi non per le conseguenze che un tal fatto avrebbe in ordine alla mia persona, ma unicamente pel danno immenso che ne toccherebbe al Paese nostro che già durammo tutti tanta pena a ricondurre sulla buona strada; ma ora che ho sott’occhio discorso testuale di quel Tribuno [di Palermo, del 18 novembre 1883: Scritti e discorsi politici di F. Crispi, cit., p. 536 sgg.] per quanto ha tratto alla politica estera, non posso più ammettere che il re ed il Paese sopporterebbero che chi si lasciò sfuggire quelle malsane ed insensate elucubrazioni possa afferrare il potere per sciupare un’opera che tal volta parmi ancora impossibile si sia riuscito a compiere in mezzo a tutte le difficoltà in cui ci trovavamo impigliati.» (Al Corti, 25 novembre 1883; AE, Carte Robilant), 2204 Robilant a Tosi, 3 agosto 1882: «Quell’uomo [Crispi] vuol far parlar di sé, ed io temo molto che se al riaprirsi della Camera il Depretis va giù, sii lui che ne raccolga la successione, ciò sarebbe proprio fatale, ci sarebbe di che disperare delle sorti d’Italia» (ib.). 2205 Robilant a Corti, 10 luglio 1887: «Certo è ch’egli [Crispi] è uomo di molto valore e che non vi ha pericolo si lasci prendere la mano dalla piazza; ma quando sarà lui padrone assoluto potrebbe anche far correre dei seri pericoli alla nave dello Stato, poiché i colpi di testa sono sempre a temersi con un uomo del suo carattere». Alcuni vorrebbero che Crispi si unisse a Robilant «per affrontare lui le burrasche interne, lasciando a me di cavarmela all’estero». Ma a tal soluzione si oppongono due difficoltà gravissime, anzi insormontabili «la prima che Crispi osi gettare il guanto in faccia ai Radicali venendo a cercare me». La seconda «che io ricercato, mi associ ad un uomo che non sa, e non può che dominare» (ib). Nuovamente, l’11 novembre al Corti: «Sono colpi alla Crispi [il richiamo, brutale nelle forme, dello stesso Corti da Londra], e ben altri ne vedremo, poiché quell’uomo d’incontestabile ingegno fu e sarà sempre vittima dei suoi colpi di testa» (ib.). Più benevolo, il giudizio in lett. 20 novembre, sempre al Corti: «L’Italia attraversa un momento assai difficile. La situazione del Crispi presenta molti pericoli, ma è al tempo stesso assai forte, nessuna sapendogli vedere un successore. D’altronde gli uomini della sua tempra non

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si lasciano facilmente sbalzare dal seggio; occorrerebbero per ciò eventi che tutti dobbiamo augurarci Dio tenga lontani dalla Patria nostra. Il suo peggior avversario è il suo carattere, ma c’è da credere che riuscirà a vincerlo» (ib.). 2206 Robilant a Corti, 8 aprile 1881 (ib.). A sua volta, com’è noto, Crispi era avverso al Robilant. Una volta, nella questione con la Colombia, trovò che il Robilant – proprio lui! – non aveva saputo tutelare gli interessi italiani, anzi li aveva piuttosto compromessi «con proposte inadeguate e con un’assenza di dignità ed energia» (ad Alberto Pisani Dossi, 20 agosto 1886; ACR, Arch. Pisani Dossi, busta 1ª, fasc. 1). 2207 Marselli a Robilant, 7 gennaio 1873 (ib.). Questa lettera, assai interessante, è tutta un violento sfogo contro il «dormire» di tutti in Italia, proprio mentre «i nostri possibili avversari non se ne stanno con le mani alla cintola». I presentimenti del Marselli sono «oscuri, oscurissimi». Stesse idee in altra lettera del 25 marzo ’73: «dei miei presentimenti, tremo. Mi arrovello sempre sulla questione se noi siam vecchi o se siamo giovani con grande avvenire dinanzi» (ib.). Cfr. qui sopra p. 159, n. 81. 2208 Non che il Robilant non avesse avuto proprio nessun rapporto con il Cavour: ne ebbe anzi personali istruzioni, sia nell’autunno del 1858, al momento della missione dell’Angrogna a Berlino, Pietroburgo e Mosca, sia nel marzo 1861, prima di recarsi a Napoli. Per il Robilant, Cavour era il più grande uomo che l’Italia avesse avuto (cfr. Notizie storiche sulla famiglia Nicolis ed in particolare sul conte Carlo Felice Nicolis di Robilant, raccolte e pubblicate dal figlio conte Edmondo, Venezia, 1929, pp. 16 e 18. E anche S ALATA, nel Corriere della Sera del 7 agosto 1926). 2209 Cfr. il giudizio che ne dà alla regina Margherita (Lettere fra la regina Margherita e Marco Minghetti, cit., p. 209). 2210 Minghetti a Robilant, 30 dicembre 1882 (AE, Carte Robilant). 2211 Minghetti a Luzzatti, 12 agosto 1886 (L UZZATTI, Memorie, II, p. 263). 2212 Al Corti, 24 agosto 1887 (AE, Carte Robilant). 2213 «Da noi tutto è questione personale, l’interesse, l’onore del Paese un nulla» al Corti, 11 aprile 1879 (AE, Carte Robi-

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lant). E nuovamente il 21 febbraio 1880, sempre al Corti: «da noi... tutto è niente a fronte del partito che ad ogni costo deve mantenersi al potere anche a malgrado una generale dégrangolade» (ib.). 2214 Cfr. anche E. P ESCE Ruggero Borghi, in Civiltà Moderna, III, 1931, p. 280-81. 2215 Per gli scoraggiamenti del Sella «disgustatissimo fino alla nausea», del Lanza, che vedeva crescere il caos e buio l’avvenire, e del Visconti Venosta, cfr. L UZZATTI, Memorie, cit., II, pp. 89, 106, 176, 223. Per il Luzzatti stesso, pp. 98, 103. Per il Ricasoli, Lettere e documenti, X, p. 421. Nel 1882, il Visconti Venosta dichiarava all’amb. austriaco, Wimpffen, che «par excès de Parlementarisme le Gouvernement n’est plus que le comité exécutif de la Chambre» (r. Wimpffen, 17 febbraio 1882; SAW, P. A., XI/92, n. 10 B). 2216 Così il Minghetti lumeggiava il trasformismo del Depretis al Robilant nella lett. cit., del 30 dicembre 1882. 2217 Questo carattere fondamentale della storia politica italiana è stato acutamente segnato dall’O MODEO, L’opera politica del conte di Cavour, cit., I, p. 144. 2218 Corti a Robilant, 20 marzo 1877: «Per me credo che ciò che è più desiderabile nell’interesse del paese, è che si formi un gran partito nel centro sotto l’egida del Sella, il quale sia libero dagli elementi usati della Destra, e respinga apertamente gli ultrademocratici»; e il Robilant gli risponde il 25: «Ritengo io pure che il rimedio sii quello che tu mi indichi, ma credo poco alla sua attuazione per ora» (AE, Carte Robilant). 2219 Robilant a Corti, 11 aprile 1879: «Il Sella in cui ho lungamente sperato si mostra esso pure da qualche tempo al disotto del compito che gli spetterebbe e quindi cerco invano la stella in cui fissar lo sguardo» (AE, Carte Robilant). E cfr. B ORGHI, Programmi politici e partiti, Opere, I, Firenze, 1933, p. 224. Ma Sella scriveva il Corti al Robilant il 20 marzo ’77, dopo un colloquio col biellese, Sella «crede assai poco all’avvenire del partito che è supposto dirigere ed il partito si diffida di lui». 2220 Così il L UZZATTI, Memorie, II, p. 103.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2221 «... le intenzioni di Depretis sono ottime, faccia Iddio che egli abbia la forza di tradurle in atto». Robilant a Corti, 16 dicembre 1882 (AE, Carte Robilant). 2222 «... abbiamo bensì una maggioranza, ma forte non lo siamo: il Depretis fu sempre sommo negli espedienti, abilissimo, sì, ma forte no, e tanto meno lo è oggi colla grave sua età e cogli acciacchi» al Corti, 30 maggio 1886. E il 16 marzo 1887, allo stesso: «... il peggior male... si è la pessima salute ed anche la senilità del Depretis!» (ib.). 2223 «Del resto noi non facciamo politica estera, non facciamo che della politica interna, anzi dell’alchimia parlamentare» Robilant a Corti, 16 ottobre 1880. E nuovamente in altra lettera del 21 luglio 1884, allo stesso «l’alchimismo parlamentare domina ogni cosa e primeggia su ogni altra considerazione» (ib.). E al Greppi, il 5 settembre 1884: l’Italia é più isolata che mai, com’era prevedibile «poiché col parlamentarismo che sgoverna in Italia, è impossibile fare una politica estera... conseguente. Sono anni che non mi stanco dal predicare la serietà, ma la mia voce è soffocata dal chiasso di Montecitorio» (D E CESARE, IL conte G. Greppi, cit., p. 234 e cfr. anche pp. 236 e 239). 2224 L’8 febbraio del ’77, comunicando al Corti voci di prossimi rimpasti ministeriali, commentava: «La matassa si arruffa più che mai, e noi scegliamo precisamente questi momenti per darci il lusso di una crisi che può imprimere un mutamento quasi radicale nella nostra politica estera. Ti accerto che parlo con riguardo della Turchia sempre per timore di odiosi confronti. Basta, Iddio ce la mandi buona» (AE, Carte Robilant). E il 27 dicembre dello stesso anno, dopo l’uscita del Melegari dal ministero, commenta, sempre con il Corti «... in tutto ciò c’è più da piangere che non da ridere. In un momento come questo, darsi il divertimento di una crisi, e ciò senza una ragione, un concetto qualsiasi, questione di persone, di consorterie sempre, sì proprie di consorterie» (ib.). E si rammenti l’ironico commento del Times, nel 1869, sulla vita parlamentare italiana: «Un’interpellanza, una crisi ministeriale e un esercizio provvisorio; poi da capo, una crisi ministeriale, un esercizio provvisorio ed un’interpellanza!» in J ACINI, Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia dopo il 1866,. cit., p. 21. 2225 «... purtroppo è difficile sperare colle condizioni nostre interne, si possa fare della sana politica all’estero. Anzitutto converrebbe dare un’intonazione generale uniforme, di cui la

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necessità si fa vivamente sentire: poiché a cosa serve ch’io mi adoperi qui a riavvicinare i due paesi, mentre... a Bukarest chi rappresenta il governo italiano [Tornielli] si direbbe non si fa altro studio se non di metterci male coll’Austria. L’avverto caro collega che la mia pazienza è da molti anni messa a ben dura prova, e che se io non fossi stato sorretto fin qui dalla mia devozione al re ed alla patria, avrei smesso da assai tempo dal far un mestiere in cui ebbi a pungermi a troppe spine» al Nigra, 2 luglio 1881 (AE, Carte Robilant). E più tardi: «... sono arcistuffo di quella prolungata navigazione senza bussola che sta facendosi sistema da noi» al Corti, 31 luglio 1885 (ib.). 2226 «... nessuno ci bada in Europa, poiché le circostanze hanno fatto sì che il Gabinetto di Roma gode di un effacement che non potrebbe essere più completo. Le relazioni diplomatiche esigono anzitutto stabilità ed un uomo anche mediocre alla direzione degli Affari Esteri dà più forza alla voce del suo Paese nei Consigli dell’Europa di quanto possono riuscire a dargli una successione di uomini anche di preclaro ingegno» al Corti, 17 agosto 1876 (AE, Carte Robilant). Il 4 dicembre 1878, pure al Corti: «in faccia all’Estero l’Italia non esiste già più»; e il 22 maggio 1879, allo stesso: «... abbiamo ben si può dire perduto ogni considerazione in Europa e non ce n’accorgiamo, ci dimeniamo maledettamente quasi fossimo noi padroni della situazione» (ib.). 2227 Al Nigra, 11 febbraio 1887 (A RCH . D E V ECCHI; AE, Carte Robilant). Già pubbl. in S ALATA, Corriere della Sera, 7 agosto 1926. 2228 Cfr., p, es., lo Artom all’Amari, 7 febbraio 1882 (Carteggio di M. Amari, III, p. 353). 2229 D.D.F., serie 1ª, III, pp. 385-86. Che questo non fosse solo un momentaneo sfogo di fronte al timore di vedere la Francia umiliata a Tunisi, dimostrano successive e non dissimili dichiarazioni, nel settembre 1881, cioè dopo il trionfo a Tunisi (ib., IV, p. 111). 2230 P. C AMION, Correspandance, I, cit., p. 131. 2231 C APPELLI, 1. c., p. 392. 2232 Della «bekannten Empfindlichkeit» del Robilant parla lo Haymerle (r. 13 ottobre 1877, n. 61b, conf.; SAW, P. A., XI/86).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2233 «Ma ai nostri grandi Patrioti d’oggi tutto ciò poco importa, il loro ideale si è il sistema che fiorisce nelle repubbliche dell’America del Sud, e bene avviati come il siamo non tarderemo a raggiungere quella desiderata meta» al Corti, 4 dicembre 1878 (AE, Carte Robilant). Allo stesso, 22 maggio 1879: «Il peggio si è che il Paese non mi par suscettibile di un risveglio. Siamo caduti in uno stato ispanico colli differenza a nostro danno che non ci troviamo nelle felici condizioni geografiche degli Iberici, ed inoltre che quei nostri fratelli in razza latina possiedono virtù che pur troppo fanno difetto alla massa degli Italiani» (ib.). 2234 L’espressione «vecchia imbellettata» è di Antonio Scialoja in una lettera al Luzzatti del ’73 (L UZZATTI, Memorie, I, p. 358). 2235 Robilant a Corti, 31 luglio 1885: «Indubbiamente c’è del marcio in Italia, ma vi ha pure del buono molto, il Paese si muove e lavora e di meglio non richiederebbe che di essere ben governato, locché non sarebbe poi risultato irrealizzabile. Splendido oltre ogni dire fu ieri il varo della ‘Morosini’ ed anche per chi è poco chauvinista, come lo sono io, c’era di che insuperbirsene» (AE, Carte Robilant). 2236 «Che si fa nel paese? Apparentemente poco; ma in fondo ferve una certa vita nuova economica ed intellettuale... Una certa smania di studiare, d’imparare il tedesco si è destata. Un po’ di nausea della politica arcadica si è svegliata. E nella nuova generazione si disegnano qui e là... aspirazioni virili e spunta la fede nelle grandi cose» Marselli a Robilant, 13 gennaio 1872 (ib.). 2237 Una questione grossa. La decadenza del regime parlamentare, in Opere, I, cit., p. 310. E si veda anche la prolusione, improntata ad ottimismo, dello Z ANICHELLI, nel 1885, su Le difficoltà del sistema rappresentativo-parlamentare (in Studi politici e storici, cit., pp. 91 sgg., 106, e cfr. anche Il partito liberale storico in Italia, ib., p. 218 sgg.). 2238 Così, felicemente, il Bonghi (in A LATRI, Bonghi e la vita politica italiana, cit., p. 176). 2239 Mi sia lecito rimandare qui, al mio scritto Del Principe di N. Machiavelli, Milano-Roma-Napoli, 1926, passim. 2240 V OLPE, Italia moderna, cit., I, p. 263; D ELLE P IANE, Liberalismo e parlamentarismo, cit., pp. 22 sgg. (non mi par però possibile interpretare il passo dei Bonghi, I. s., p. 324,

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come l’attesa di un uomo di genio: il Bonghi parla infatti dell’effetto per lo più «poco durevole», arrecato dall’uomo di genio che ha afferrato il timone dello Stato. Sull’atteggiamento antipersonalistico del Bonghi cfr. invece A LATRI, I. c.). 2241 Il quale scriveva al Robilant, il 6 dicembre 1881: «Non mai come ora l’Italia avrebbe bisogno di uno di quegli uomini, de’ quali il Piemonte non ebbe difetto, e che in certe ore supreme hanno il coraggio di sfidar qualunque ostacolo, perché hanno la fede nel risultato benefico dell’opera loro. In quella vece che abbiamo noi? Un paese indifferente, una Camera stanca e scettica, un governo tentennante, il quale si prepara a logorarsi intorno allo scrutinio di lista. Oh Dio!» (A E, Carte Robilant). Soltanto, il Marselli andava assai più in là del Robilant, e voleva i metodi bismarckiani. 2242 D ELLE P IANE, op. cit., p. 23. E cfr. lo scatto di Michele Amari: «Sarei pronto, almeno nel malumore che ho in questo momento, a fare un baratto del suo tiranno [Bismarck] co’ miei arruffoni; dico della Camera dei deputati e degli idoli che essa ha creati, e ne spezza uno ogni sei mesi per poi rincollarlo e metterlo di nuovo sugli altari... Hanno perduto anco il pudore, poiché dicono in pien Parlamento che il tale o tal altro provvedimento è necessario ‘al partito’, come se si trattasse di questo, e non dell’Italia!». Allo Hartwig, 7 luglio 1879 (Carteggio, II, p. 246. E cfr. anche II, p. 293 e III, p. 348). 2243 Robilant a Corti, 11 aprile 1879, già cit.: «Da noi tutto è questione personale, l’interesse, l’onore del Paese un nulla. E proprio non c’è che dire, manchiamo completamente d’uomini o per meglio dire di Un uomo». E il 3 luglio 1880, sempre al Corti: «... alla Destra non c’è da pensare, manca l’Uomo» (AE, Carte Robilant). 2244 Robilant al Corti, 3 marzo 1880 (ib.). 2245 Il 18 dicembre del ’78, in un momento pure da lui ritenuto gravissimo, affermava al Corti, discutendo sulla formazione del nuovo ministero dopo le dimissioni di quello CairoliZanardelli: «A riguardo poi di una formazione extra parlamentare anzitutto non ne vedrei la necessità né l’opportunità» (ib.). 2246 Nella lettera in cui auspica «un gran re e un gran ministro», che sappiano dominare il Parlamento e riformare l’educazione morale degli Italiani, il Lanza osserva che senza que-

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st’educazione, l’Italia «non si rileverà dal marasma che la consuma, rimarrà una nazione fiacca, gracile e sbattuta da tutti i venti, ossia dalle passioni violente di qualche individualità audace o astuta» (Le carte di G. Lanza, cit., X, p. 392;C AVALLI NI , Op. Cit., II, p. 202). Lanza riprende il motto d’azegliano «fare gli italiani». 2247 Questo stato d’animo miracolistico e in sé abbastanza contraddittorio, è stato perfettamente colto dal C ROCE, Storia d’Italia, cit., p. 176. 2248 Si veda l’acuta analisi del V OLPE, Op. cit., I, p. 262 sgg. 2249 Nella lett. al Mazzini (Scritti e discorsi politici, cit., 352). 2250 Per il Marselli cfr. C RISPI, Carteggi politici inediti, cit., p. 429; per l’Amari, Carteggio, II, p. 305 e anche 309. 2251 Cfr. infatti già nel T URIELLO, Governo e governati in Italia, cit., 1ª ed., II, p. 328 sgg. E accenni non dubbi anche nella commemorazione del Lanza fatta dallo Spaventa nell’aprile 1882, La politica della Destra, cit., pp. 125-26. Certo lo Spaventa non era un vagheggiatore di «uomini forti»; ma la sua critica alla Corona, fatta apertamente responsabile della degenerazione politica, è perfettamente conforme alle critiche del Robilant e a quelle del Bonghi (cfr. R USSO, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana, cit., pp. 269-70; R OMANO, Silvio Spaventa, cit., p. 249 sgg.). Diversa profondamente invece la posizione del Turiello, il quale, invocando «un uomo che apparisse franco, risoluto ed autorevole sulla scena politica, ed intendesse da sé quello che il popolo s’aspetta dal governo» allude apertamente ai due uomini che l’Italia ha dato due volte in questo secolo ad una nazione vicina, ai «due grandi di nome e sangue italiano che in questo secolo han rivelata due volte la Francia» (1. c.). Il richiamo alle dittature napoleoniche è significativo. 2252 F ARINI, Diario, I, pp. 218 e 222. 2253 AE, Carte Robilant. 2254 Cfr. D ELLE P IANE, op. cit., pp. 64-65, 90-91; F ARINI, Diario 1898 (II), in Nuova Antologia, aprile 1950, p. 373. 2255 Dichiarazioni di Umberto I all’amb. austriaco, Wimpffen, il 24 giugno 1881: «Le Roi m’a dit qu’on peut ramener toutes les questions à des intérêts personnels et surtout à des mobiles d’argent. Il n’en excepte, aucunement l’affaire de Tu-

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nis et les agitations qui s’y rattachent. A son avis elles n’ont été que des prétextes pour les passions individuelles et au fond personne n’y pense plus sérieusement depuis que la question a été résolue par des faits accomplis qu’on peut regretter mais auxquels il n’y a plus rien à changer. Le Roi a fait très bon marché de Ses ministres auxquels il n’accorde aucune confiance, mais Il a été particulièrement sévère pour Monsieur Depretis. ‘Monsieur Depretis’ me dit Sa Majesté ‘est habile mais il ne vit que de compromis et de concessions et en le voyant je ne sais jamais quel nouveau mensonge il va me débiter’» (l. p. Wimpffen, segreta, 24 giugno 1881; SAW, P. A., XI/91). Sette mesi prima, aveva fatto, invece, molti elogi del Depretis, di cui si diceva completamente sicuro (r. Wimpffen, segreto, 26 novembre 1880, ib., XI/90, n. 75 A). 2256 «... vorwiegend fatalistischen Zug im Charakter des Königs Humbert» (r. Wimpffen, 1° aprile 1881, ris.; SAW, P. A., XI/91, n. 16 A). La regina dimostra «weit mehr Muth». E già nel r. cit., del 26 novembre 1880, il Wimpffen notava che il re vede molto chiaramente quale sia la situazione interna dell’Italia (agitazione repubblicana), ma che, non trovando né in sé, né nel governo la forza e la volontà di porvi rimedio «Il s’abandonne au courant et laisse aller les choses, en aimant à dire, comme Il le fit aussi envers moi, qu’Il est un ‘philosophe’». 2257 Cfr. B ORGHI, L’ufficio del Principe..., in Opere, I, p. 520. Anche il Visconti Venosta sin dall’82, lamentava la passività, la mancanza di fiducia in se stesso del re (r. Wimpffen, 17 febbraio 1882; SAW, P. A., XI/92, n. 10 B, cit.). 2258 Lo stesso Farini trovava che il re avrebbe dovuto muoversi di più, visitare più spesso le caserme: egli peccava da un lato, mentre Vittorio Emanuele II aveva peccato «per il difetto apposto: voleva fare troppo» (Diario Farini, MRR, sub 14 febbraio 1898. E sì che il Farini era di coloro per i quali valeva il nihil de Principe. 2259 Nella Commemorazione del Lanza, dello Spaventa. 2260 C AVALLINI, Op. cit., II, p. 202. Ne Le carte di G. Lanza, X, p. 392, invece di «re» ci sono dei puntini. 2261 Aveva visto bene il Jacini, quando rifiutava con sdegno i primi sussurrii, già dopo Mentana, sulla necessità, per salvare l’Italia, di un colpo di Stato che abolisse lo Statuto e insediasse la dittatura regia. Questo era un rimedio da maniscalco di

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campagna «il quale non sa far altro che recidere il membro ammalato, perché ignora l’arte di guarirlo, conservandolo intatto», Sulle condizioni della cosa pubblica in Italia, cit., pp. 79-80. 2262 «... vous soupirez après la tranquillité. Je crois fort aisé de l’obtenir; mais la conserver avec la liberté, voilà ce qui me paroît difficile... Le repos et la liberté me paroissent incompatibles; il faut opter» (Considérations sur le gouvernement de Pologne, c. I; Oeuvres complétes, ed. cit., p. 356). 2263 Minghetti a Robilant, lett. cit. del 30 dicembre 1882. E cfr. anche la vera requisitoria dello Zanichelli contro i radicali (Studi politici e storici, cit., p. 175 sgg.). 2264 Cfr. C HIALA, Pagine di storia contemporanea, cit., III, p. 411; e anche DE M OÜY, Op. cit., p. 225: si sentiva in lui un certo disdegno da gran signore che nuoceva alla sua popolarità. 2265 «Io, signori, non faccio sentimentalismo di sorta in politica. Intendo di fare la politica degli interessi e della dignità del mio paese, ma all’infuori di questa, non sono legato né da pregiudizi né da sentimenti» (A. P., Camera, p. 16107). Proprio questa frase offrì motivo al Baccarini per accusare il Robilant di intendimenti reazionari (e l’accusa era cervellotica davvero): «se dovessi prendere alla lettera le sue impressioni, dovrei dire che si rialza la bandiera sulla quale sta scritto Dieu et mon droit». Cfr. sull’episodio e le sue conseguenze, sino alla rettifica del Finali, C HIALA, op. cit., III, pp. 420-22. 2266 Marselli a Robilant, 17 novembre 1873: «Il conte Manzoni... mi diceva che nella diplomazia si sparla sempre di tutti coloro che chiamano intrusi ma che per Lei si fa un’eccezione» (AE, Carte Robilant). 2267 Artom a Nigra, 11 maggio 1871 (AE, Carte Nigra). Invece, Francesco Giuseppe aveva fatto sapere al governo italiano che avrebbe gradito la nomina del Robilant (C APPELLI, 1. c. p. 391). A volerlo a Vienna, furono il Lanza e il Visconti Venosta. 2268 L’Opinione, 22 giugno 1871 (La diplomazia italiana). Gli argomenti addotti erano due: la nessuna prova che si aveva delle attitudini diplomatiche del Robilant, e l’ingiustizia che si sarebbe commessa promuovendo di colpo a ministro plenipotenziario di 1ª classe, anziché di seconda, un maggior generale. La nomina avrebbe potuto sollevare malcontento nel corpo diplo-

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matico. È uno dei casi in cui è più agevole scorgere i legami fra il Dina e l’Artom, giacché questi, in altra lettera al Nigra del 19 giugno, osservava che con la nomina del Robilant non v’era più alcun posto vacante nel ruolo diplomatico, ed era quindi impossibile concedere alcune promozioni richieste. Privatamente poi il Dina trovava che quella nomina era «uno sproposito» (Carteggio politico di M. Castelli, II, p. 504). 2269 Così lo definisce il G IOLITTI (Memorie, cit., I, p, 20). 2270 Il 31 maggio 1872 inviò improvvisamente le dimissioni al re, all’insaputa dei colleghi di Ministero, perché, mentre egli rispondeva a Nicotera, alla Camera, la Destra non era stata abbastanza silenziosa, e perché trovava che la Destra gli dimostrava malevolenza. Le ritirò poi, anche per le pressioni del Sella (cfr. Le carte di G. Lanza, cit., VIII, pp. 171-72). Il retroscena fu svelato al Fournier dal Visconti Venosta, che tracciò in quell’occasione un profilo del Lanza nel senso sopra riferito. Lanza è un presidente del Consiglio «peu conciliant dans les détails de la vie» (r. Fournier, 6 giugno 1872, conf. n. 24; AEP, C. P., Italie, t. 385, f. 131 sgg,). 2271 Cfr. S PAVENTA, La politica della Destra, cit., pp. 112-13 e 127-28; G. M ASSARI, Uomini di destra, Bari, 1934, pp. 115 e 140; F. F IORENTINO, Ritratti storici e saggi critici, Firenze, 1935, pp. 277-79. Indubbiamente eccessivo l’elogio del B OR GHI , che egli fosse l’uomo di Stato più compiuto dell’Italia dopo il Cavour, benché a gran distanza dal Cavour, Ritratti e Profili di contemporanei, I, (Opere, IV), Firenze, 1935, p. 414. 2272 «Bisogna collocarsi sopra un buon terreno, stabilire buoni accordi di vicinato, e poi se il vicino non vuole trattare, peggio per Lui. Noi rimarremo tranquilli senza molestarlo ed attenderemo che al vicino ritorni la calma e colla calma l’uso della ragione. Tutta la difficoltà sta nel fare persuaso il popolo romano e la maggioranza del Parlamento essere questa la linea politica da seguire» a Gabrio Casati, 27 ottobre 1870, in Q UIN TAVALLE , La conciliazione fra l’Italia ed il Papato..., cit., p. 587. 2273 I moderati di Napoli consideravano il Sella per un ministro puramente e semplicemente di Sinistra (La Perseveranza, 29 aprile 1871). Cfr. anche P ETRUCCELLI DLLA G ATTINA, Storia d’Italia, cit., p. 158. Secondo il G IOLITTI (Memorie), cit., I, 35, nel 1873 il Perazzi aveva consigliato al Sella di passa-

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re alla Sinistra, dato ch’egli rappresentava idee più avanzate del resto della Destra ecc. 2274 Minghetti mentore e Visconti Venosta allievo: così li definisce il ministro austro-ungarico a Firenze, Kübeck (l. p. Kübeck al Beust, 23 dicembre 1870; SAW, P. A., XI/76; e già nella 1. 12 novembre cit.). 2275 Basti l’esempio narrato dal Giolitti: il quale, durante le discussioni parlamentari, stava in tribuna, pronto ad accorrere ad un segnale del Minghetti, presidente del Consiglio e ministro delle finanze (un foglio rosso alzato), nel suo studio di presidente; al Minghetti forniva allora i dati tecnici necessari, e su di essi il Minghetti, rientrato in aula, svolgeva subito un bel discorso (op. cit., I, pp. 21-22). 2276 Il giudizio del Bacchelli sul Minghetti: «lo statista forse meno energico ma più sensibile fra quelli del Risorgimento» (Il Diavolo di Pontelungo, p. 265), per la parte negativa ha il suffragio quanto mai autorevole e più spicciativo e icastico del conte di Cavour stesso. Ercole Oldofredi, che del Cavour era stato intimo, scriveva al Nigra, il 14 giugno 1875: «Il Minghetti è uomo di maggior talento [del Farini] ma si destreggia troppo, e poi, come diceva Cavour, al a nen d’c... [ non ha c... ]. A parole, colla facile parlantina vince tutti: a fatti gli tremano i polsi» (A RCH . D E V ECCHI). 2277 Parte della stampa francese lo battezzò «prussofilo» e gli fu avversa, quando costituì nel ’73 il suo ultimo ministero (L UZZATTI, Memorie, cit., I, p. 361). 2278 Fin alla Camera indulgeva alle attrattive mondane: cfr. l’episodio narrato dal F ALDELLA, Il paese di Montecitorio, cit., p. 234. 2279 Cfr. P ETRUCCELLI DELLA G ATTINA, Storia d’Italia, cit., pp. 177-78; L IPPARINI, Minghetti, cit., I, p. 254. 2280 Questo europeismo culturale del Minghetti, che lo faceva simile agli Italiani cari a Federico il Grande, è quel che più colpisce il Ranke, nel suo colloquio con lo statista bolognese il 26 settembre 1873, a Berlino (Tagebuchblätter, in Sämtliche Werke, 53/54, Lipsia, 1890, p. 599). Cfr. L. B IANCHI, Una visita di Minghetti a Ranke, in L’Arduo, gennaio-dicembre 1923, pp. 156-57.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2281 B ORGHI, Ritratti e profili di contemporanei, cit., I, pp. 289-291. 2282 Il 22 ottobre 1870, in un momento di contrasti grossi in seno al Ministero per la questione del trasferimento della capitale a Roma, il Minghetti scriveva al Visconti: «Tu devi restare al Ministero ed imporre le tue opinioni agli altri. Vorrei che la facessi un poco alla Bismarck» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Era proprio ciò che il valtellinese non avrebbe mai fatto, ed era incapace di fare! 2283 G UICCIOLI, op. cit., I, pp. 267-68 (una variante in L UZ ZATTI , Memorie, cit., I, pp. 306-307). Non sarà inutile avvertire che il lavoro del Guiccioli fu corretto nel cap. VIII e nel cap. IX del I vol. (sugli eventi dell’estate 1870), rimpastato dal Guiccioli «tenendo conto delle conversazioni avute insieme e di nuovi schiarimenti fornitimi dal Malvano circa ai negoziati Vitzthum» (Guiccioli a Visconti Venosta, 2 marzo 1885, inviandogli nuovamente il manoscritto, ora ritoccato; A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Circa le pressioni del re sul Sella «minacce lusinghe promesse appena credibili. Ingiurie», cfr. gli appunti del Sella stesso pubbl. da P. S ELLA, Quintino Sella nell’Agosto del 1870, Milano, 1928 p. 3. Da questi appunti risulta anche che il 30 luglio il Consiglio dei ministri aveva deciso l’intervento a lato della Francia. Solo Sella e Covone avevano votato contro. Sella s’era dimesso all’istante: allora, s’era sospesa ogni cosa, non registrando neppure la deliberazione, dichiarandosi se ne sarebbe riparlato (p. 4). Secondo il Guiccioli (I, p. 277) si sarebbe trattato di «mediazione armata dell’Italia», non ancora di un intervento aperto a fianco della Francia. 2284 R OTHAN, L’Allemagne et l’Italie, II, p. 80; E. B OUR GEOIS -E. C LERMONT , Rome et Napoléon III, Parigi, 1907, pp. 332 e 334; C OGNASSO, Vittorio Emanuele II, cit., p. 367. Vittorio Emanuele lo ripeté al de Launay„ ancora nel ’71: «Nous l’avons échappé belle» l. p. n. 2 de Launay al Visconti Venosta, 10 febbraio 1873 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2285 Il re, Cialdini, Menabrea e altri erano infatti sicuri della vittoria francese sino al 6 agosto (G UICCIOLI, Op. cit., I, pp. 259 e 286). Nel prevedere la vittoria della Prussia erano pochissimi: Sella, Marselli, Bonfadini e pare anche Luzzatti (L UZZATTI, Memorie, I, p, 307), Il bello si è che dopo il Venti Settembre Vittorio Emanuele rimproverò Sella di non averlo saputo persuadere in tempo della vittoria tedesca; «i avriô pôdú

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ranché quaich cosa!». Sella ne fu molto colpito, e disse di aver compreso solo allora quale differenza corresse tra il modo di concepire del re ed il suo (P. S ELLA, op. cit., p. 6) 2286 T AVALLINI, Op. Cit., II, pp. 40-41; C ASTAGNOLA, Diario, p. 33; C ADORNA, La liberazione di Roma, cit., p, 37. 2287 «Questa missione di Vimercati [a Metz, agosto 1870] ebbe luogo a mia insaputa e dei Ministri tutti e dietro le nostre spalle», l. p. Visconti Venosta al Nigra, 30 luglio 1893 (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Secondo il Visconti Venosta, Vittorio Emanuele per scendere in guerra a fianco della Francia, voleva Roma «... forte di una concessione [di Napoleone III] il Re si impegna ad ottenere il consenso dei Ministri e, se non l’ottiene, a mandarli a casa, per la quale eventualità egli ha già un Ministero fatto, che sarebbe stato, suppongo, un Ministero Cialdini o Menabrea». Quanto al Nigra, egli non vide né volle vedere il progetto di trattato portato da Vimercati a Metz: «Rimasi estraneo a tutto quel negoziato che prevedevo inconcludibile» (Nigra a Visconti Venosta, 30 aprile 1885; ib.). E cfr. già il tel. del 14 luglio del re al Visconti Venosta: «dans cette grave question... je ne voudrais pas me trouver embarrassé par des obstacles ministériels» (in M AYOR DES P LANCHES, l. c., p. 351). Invece, le trattative svoltesi durante il ministero Menabrea, nel 1868-69, il Visconti Venosta le aveva approvate pienamente: questo gli obbiettò il Vimercati, rispondendo ad un rimprovero di «colpevole leggerezza» mossogli dal Visconti Venosta (l. p. Vimercati a Visconti Venosta, 29 agosto 1870; A RCH . C ASA R EALE, Corrispondenza Vimercati). 2288 Lamentando col fratello Giovanni, il 18 aprile 1878, le indiscrezioni del principe Napoleone e del duca di Gramont sugli eventi dell’estate 1870, il Visconti Venosta osservava che esse «pongono in una situazione abbastanza spiacevole me e i miei colleghi del Ministero del 1870. Infatti noi potremmo facilmente mettere affatto in chiaro la nostra condotta, ma bisognerebbe scoprire il re Vittoria Emanuele e gli imbrogli che ci faceva dietro le spalle e che eravamo costretti fino a un certo punto, a tollerare, salvo poi il ripararvi colle resistenze nostre e del Parlamento. Se appena dunque sarà possibile, io consiglierei di tacere» (A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Sempre sugli stessi eventi in una lettera ad uno svizzero [Chenevrière di Ginevra] s. d. [1895] a proposito del chiasso fatto in

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Svizzera dalla pubblicazione del Nigra, Ricordi diplomatici, il Visconti Venosta diceva di aver taciuto per non aggravare la polemica «et parce que je n’aurais pû donner aux évènements leur véritable physionomie sans toucher à un point délicat, sans mettre en scène la personne du Roi et les relations entre le Roi et ses Ministres. Je crois qu’il y a des devoirs qui survivent aux fonctions qu’on a remplies» (ib.). 2289 «L’impératrice nous déteste et nous en donnera ainsi un nouveau témoignage» (recandosi a Baden e rimanendo così assente da Berlino, al momento dell’arrivo di Vittorio Emanuele) l. p. de Launay, 3 settembre 1873 (AE, Ris., 10). 2290 Quando il figlio Amedeo rinunciò alla corona di Spagna, Vittorio Emanuele telegrafò al Visconti Venosta da Napoli, il 12 febbraio ’73: «Tutto ciò non mi insegna nulla di nuovo ma mi persuade sempre di più che viviamo in un mondo cattivo» (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 6, fase. 10/C). 2291 Questa giusta fierezza c’era, fuori dubbio. Cfr. la lett. ad Erminia Chisolfi, del 21 settembre 1870: «... la grande opera fu compiuta, il sogno dei secoli verificato. Sappiano gli italiani mantenersi degni delle loro glorie, delle loro fortune». Parla di giorno «solenne per la Patria nostra»: e la sua anima è calma e la mente serena (in M ONTI, Vittorio Emanuele II, cit., p. 385, e cfr. A. M. G HISALBERTI, Introduzione alla storia del Risorgimento, Roma, 1942, p. 81, n. 1). 2292 R. B ALLERINI, Pio IX, Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Ricordo storico del 1859-60, nella Civiltà Cattolica, serie 14, vol. III, 3 e 17 agosto 1889, pp. 266 e 414. 2293 Cfr. la lettera di Vittorio Emanuele a Pio IX, il 13 febbraio 1852, in P. P IRRI S. J., Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, I, cit., p. 95. Questo importante volume documenta bene come la politica ecclesiastica dei ministeri d’Azeglio e Cavour fosse seguita contro voglia dal re: cfr. soprattutto la lettera del re al Papa del 9 febbraio 1855, con il poscritto che è veramente uno strabiliante documento (p. 157). Per il cattolicesimo superstizioso del re e il suo timore di fronte al pensiero dei possibili castighi divini, cfr. H. D’I DE VILLE , Victor Emmanuel, sa vie, sa mort. Souvenirs personnels, Parigi-Bruxelles, 1878, pp. 25, 27, 74, 77 n. 4; per i rimorsi, Rattazzi et son temps, II, p. 384. E cfr. anche l’aneddoto narrato dalla regina Margherita al F ARINI, Diario, cit., I, p. 91.

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Pettegolezzi; ma che trovano conferma – come atteggiamento generale – nei documenti e nei fatti. 2294 l. p. Fournier a Rémusat, 7 dicembre 1872 (AEP, C. P., Italie, t. 386, f. n. ma tra i ff. 189 e 190): «Le Pape parle du Roi d’Italie, le ‘povero Vittorio’ en termes toujours affectuex et dit presque qu il ne pouvait pas faire autrement qu’il n’a fait. Ils sont en plus fréquente correspondance qu’on ne le suppose, et le commandeur Aghemo, secrétaire du Roi, voit souvent le Cardinal Antonelli». Stesse dichiarazioni da parte del ministro di Portogallo presso la S. Sede, conte Thomar, all’Oldoini, nell’estate 1871: «Sua Santità parla sempre con affetto del re personalmente» (r. Oldoini, conf., 25 luglio 1871, n. 145). Ancora nel 1877 l’Aghemo, che era infine riuscito a farsi ricevere dallo stesso Pontefice, dichiarava all’amb. d’Austria che Pio IX «n’était pas aigri contre le Roi («Il est trop italien pour cela»)» (r. Haymerle, conf., 3 marzo 1877, n. 12 C; SAW, P. A., XI/85). 2295 Così Vittorio Emanuele al ministro di Francia, Fournier, nella prima udienza (r. Fournier, conf., 26 marzo 1872, n. 2; AEP, C. P. Italie, t. 384, ff. 273-273 v.). Ivi: «Il [le St. Père] a aussi des mauvaises têtes qui l’entourent: il y a des mauvaises têtes de toutes les couleurs». Perciò, il re faceva pregar Pio IX che lo avvertisse, ogni qualvolta avesse un servigio personale da chiedergli; e di fatto intervenne più volte per aggiustar faccende che stavano a cuore a Pio IX, anche se non erano faccende di rilievo politico (r. Haymerle, sopra cit.; e L UMBROSO, Vittorio Emanuele II e Pio IX..., cit., ne La Tribuna, 11 settembre 1911). Cfr. M ASSARI, op. cit., p. 538 sgg. e qui appresso. 2296 Nel ’73 p. es., egli pregò il ministro degli Esteri di evitargli l’incontro con lo scià dì Persia, che aveva espresso il desiderio di salutarlo a Torino nell’estate: in quella stagione egli voleva dedicarsi alle sue dilettissime battute di caccia (tel. del capo-gabinetto Aghemo al Visconti Venosta, 24 giugno 1873; ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 6, fast. 10/G). E anche di fronte al ben più grave problema del viaggio a Vienna e a Berlino, egli dapprima aveva preso tempo, dichiarando di aver assoluto bisogno di passare alcune settimane sulle Alpi. (Minghetti al principe Umberto, 5 agosto ’73; t. e d. Visconti Venosta a Robilant, 10 e 28 giugno ’73; BCB, Carte Minghetti, cart. 36 h). 2297 Nel luglio 1871 l’intendimento di Vittorio Emanuele sembra soprattutto quello, dichiarando al Castelli, di sorveglia-

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re l’andamento dei partiti, dato che l’andata a Roma avrebbe dovuto portare ad un lavorio di trasformazione dei partiti: quindi, problemi di politica interna (Carteggio di M. Castelli, cit., II, pp. 510-511). 2298 Del tutto erroneo è però quanto si afferma in Rattazzi et son temps, II, p. 408, dove si dice, riferendosi al febbraio del ’71, che il re è anche indirettamente ministro della Guerra non avendo Govone né autorità né iniziativa. Sta di fatto che da parecchi mesi ministro della Guerra era il Ricotti, succeduto al Govone, che si era dimesso sin dal 6 settembre 1870 (Le carte di G. Lanza, cit., VI, p. 71); e che la nomina del Ricotti il 7 settembre, aveva sollevate le ire di Vittorio Emanuele, che avrebbe voluto il gen. Bertolè Viale (C ASTAGNOLA, Diario, p. 33). È un pasticcio di M.me Rattazzi, che parla ancora, nel febbraio del ’71, di rapporti diretti tra Vittorio Emanuele e Napoleone III (p. 407)! 2299 È il giudizio dello Artom, che ne poteva parlare (E. A RTOM, op. cit. p. 222). 2300 Cfr. su questo fini osservazioni in Q UILICI, La borghesia, italiana, cit., p. 332 sgg. La monarchia sabauda dovette accettare il regime «parlamentare» perché vinta nel ’48-49: H. M C G AW S MYTH, Piedmont and Prussia: The Influence of the Campaigns of 1848-1849 on the Constitutional Development of Italy, in The American Historical Review, LV, aprile 1950, p. 479 sgg. 2301 «Il re nomina e revoca i suoi ministri». Cfr. C OGNAS SO , op cit., p. 374. Ed è preziosa, al riguardo, la dichiarazione del re a Silvio Spaventa, nel dicembre 1862: «Hai avuto torto di credere che io volessi formare un governo al di fuori del Parlamento: in ogni modo, non sarebbe stata una cosa così incostituzionale, come può parere a primo aspetto» (S PAVENTA, Lettere politiche 1861-1893, cit., p. 43). 2302 O MODEO, L’opera politica del conte di Cavour, cit., II, p. 75. 2303 D’I DEVILLE, Victor Emmanuel, cit., p. 86; C OGNASSO, op. cit., pp. 80 sgg., 370-71. 2304 Thiers si rivolgeva al re, tramite il Visconti Venosta, quando c’erano lagnanze del Papa a carico del governo italiano (T HIERS, Notes et souvenirs, 1870-1873, Parigi, 1903, p. 377).

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Per rapporti col Pontefice, M ONTI, Vittorio Emanuele II, cit., p. 374 sgg., 390 sgg. Uno scambio di lett. fra il Papa e il re avvenne nel settembre 1871: lo comunicò lo stesso Pio IX all’amb. di Francia, d’Harcourt (r. d’Harcourt, 27 settembre, n. 60; AEP, C. P., Rome, t. 1052, f. 287. Pio IX scrisse a Vittorio Emanuele ch’egli aveva voluto far di Roma la capitale dell’Italia e ne aveva fatto solo la capitale del disordine e dell’empietà: la risposta del re fu rispettosa e deferente). L’anno appresso altra lett. di Pio IX a Vittorio Emanuele, e risposta evasiva di questi (r. Bourgoing, 22 settembre 1872, s. n.; ib., ib., t. 1056, f. 44 v.).. Altra lettera del re a lui Pio IX fa vedere al conte Campello della Spina (Op. cit., p. 130). In attesa del terzo volume dell’opera cit. del p. Pirri, cfr. anche il L UMBROSO, Vittorio Emanuele e Pio IX. Il loro carteggio inedito, ne La Tribuna, 6 e 11 settembre 1911, cit., tenendo presenti le riserve del p. Pirri (Op. cit., I, p. VI). Come Vittorio Emanuele seguisse attentamente tutto ciò che si riferiva alla Santa Sede, risulta anche dalla lettera del suo capo di gabinetto, Aghemo, al Visconti Venosta, il 21 gennaio 1874: «... ora debbo pur constatarle quanto la M. S. abbia trovato di sua pienissima soddisfazione e quanto abbia approvato il tenore della Circolare emanata dalla E. V. ai Regi Agenti sulla questione del Conclave» (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 8, fasc. 5). 2305 Il conte di Barral comunicava direttamente con lui, e a voce e per iscritto, oltre che col governo (l. p. Barral a Visconti Venosta, 13 marzo 1872; ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5,. fasc. 1; ivi e anche f. 4 altre ll. pp. Barral a Visconti Venosta); ed era Vittorio Emanuele ad avvertire talora il Visconti Venosta (così, t. 19 giugno 1872, da Firenze: «La prevengo che gli affari di Spagna vanno al gran diavolo») e a dar le direttive generali: nell’agosto 1872, dopo l’attentato al figlio e di fronte alla gravità della situazione, espostagli a voce dal de Barral Vittorio Emanuele crede «qu’il faut pousser l’expérience jusqu à bout» e pensar all’abdicazione solo dopo «avoir épuisé tous les moyens de gouverner, et devant l’impossibilité absolue d’aller plus loin» (Barral a Visconti Venosta, 18 agosto 1872; ib., ib., pacco 5, fasc. 4). Al momento dell’abdicazione, il 12 febbraio ’73, Vittorio Emanuele telegrafò al Vimercati a Parigi «tout a marché si vite qu’il m’a été impossible arrêter cours des évènements...» (A RCH . C ASA R EALE, Corrispondenza Vimercati e v.

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anche in genere Carte Vittorio Emanuele II, bb. 32-35, 37). Per il tel. del 12 febbraio, anche M ASSARI, Op. cit., p. 545. 2306 Così, per sollecitare la riforma giudiziaria in Egitto «onde favorire i sudditi italiani in Egitto» (tt. al Visconti Venosta,. 28 giugno 1872 e 20 aprile 1875; ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 5, fasc. 10 q e pacco 9, fasc. 9 e). Naturalmente venivano sottoposte all’approvazione di Vittorio Emanuele le nomine dei rappresentanti all’estero: così, il 30 marzo 1875 l’Aghemo comunicava al Visconti Venosta che il re approva le nomine di Greppi a Madrid e di Corti a Costantinopoli, che desidera, o contemporaneamente o in epoca prossima, la nomina a ministro – con destinazione all’estero – del Tornielli, e che si trovi modo di non danneggiare possibilmente nella carriera il marchese Migliorati (ACR, Carte Visconti Venosta, pacco 9, fasc. 4). La nomina del Greppi fu approvata dal Consiglio dei ministri l’11 aprile (quella del Corti non figura); la promozione del Tornielli, con il Maffei, a ministro plenipotenziario, invece avvenne solo il 17 marzo 1876 (Verbali delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri; ACR, vol. II, pp. 215 e 252). Tale fu anche la consuetudine con Umberto I: per la nomina di Menabrea a Londra e di Nigra a Parigi, nel 1882, cfr. tt. Mancini a Umberto I, s. d., e Umberto I a Mancini, 6 novembre (MRR, Carte Mancini, b. 638, fasc. 5/6 e 7). 2307 Cfr. già S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1924, p. 368. 2308 Quando decise, dopo molte esitazioni, di recarsi a Vienna e a Berlino nel settembre del ’73, per presentarsi ad un antico nemico quale era Francesco Giuseppe, il re si appoggiò ai vincoli di parentela fra le due dinastie (Ricordi di M. Castelli, cit., p. 274). 2309 Cfr. S ANDONÀ, Op. cit., I, p. 113. Wimpffen poteva riferire che «le Roi partage en tous points Votre opinion et les arguments développés dans cette lettre» (l. p. Wimpffen, 7 giugno ’74; SAW, P. A., XI/82). A Vienna si fu, logicamente, molto soddisfatti (l. p. Robilant a Visconti Venosta, 28 giugno 1874; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). Cfr. anche S ALVEMINI, La politica estera della Destra, l. c., 1925, p. 190; per il convegno di Venezia, anche p. 189. Le parole del re erano state «press’a poco analoghe» a quelle del Visconti Venosta (l. Robilant, cit.; anche l. p. Wimpffen, 13 giugno, l. c.). In realtà, il re – almeno

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secondo l’Aghemo – era andato più in là, con l’approvazione dei concetti Andràssy. A proposito di questo documento di fondamentale importanza per i rapporti austro-italiani, non sarà fuor d’opera osservare che esso fu inizialmente ignorato, dopo l’avvento della Sinistra al potere, sia dal Melegari ministro, sia dal Tornielli segretario generale (che pure nel 1874 era direttore della divisione politica alla Consulta), mentre il Wimpffen ne aveva parlato subito al Melegari «come della base sulla quale si era stabilita la riconciliazione fra le due Monarchie». (E più volte poi s’era accennato, da parte austriaca, ad esso, come approvato anche da Vittorio Emanuele II, cfr. S ANDONÀ, Op. cit., I, p. 126: un richiamo ad esso era fatto, per es., dal Gravenegg al Melegari, nell’ottobre 1876: r. Gravenegg, 14 ottobre, n. 75 A; SAW, P. A., XI/84.) Copia della nota fu trovata dal Tornielli «pochi giorni dopo aprendo un buvard rimasto sul tavolo di lavoro del mio predecessore» [Artom]: più tardi, il Tornielli chiese al Robilant se la lettera dell’Andràssy così trovata, in data 24 maggio 1874, e di cui gli inviava copia, fosse «la stessa cosa che la nota a cui ora il Gabinetto di Vienna si riferisce». Questo fu il modo con cui il Melegari e il Tornielli conobbero la nota Andràssy, senza però che risultasse loro nulla dell’adesione del re e del Visconti Venosta (l. p. Tornielli a Robilant, 10 novembre 1876; AE, Carte Robilant). 2310 Poiché l’imperatore non aveva ancora restituito la visita a Vittorio Emanuele, creando «una situazione per noi poco lusinghiera», il Robilant aveva creduto necessario «mantener un contegno marcatamente freddo non solo col conte Andràssy ma anche a riguardo dell’Imperatore. Vi confesso però che temo assai questa mia tattica abbia servito a poco, poiché il Re deve essersi espresso coll’addetto militare austriaco a Roma in termini sì calorosamente amichevoli per l’Imperatore, che questi ha molto probabilmente dovuto persuadersi, che l’Augusto Nostro Sovrano non gli tiene affatto il broncio per la scortesia ch’Egli sta usandogli» (l. p. Robilant al Visconti Venosta, 4 marzo 1875; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2311 Il pp. Robilant a Visconti Venosta, 7 marzo 1875, e Visconti Venosta al fratello Giovanni, 14 marzo (A RCH . V I SCONTI V ENOSTA ). Lo conferma l’Andràssy al Kàrolyi, amb. a Berlino, l. p. 21 marzo, SAW, P, A., III/112. Cfr. M ASSARI, Op. cit., p. 575.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2312 Ricevendo, il 6 febbraio 1877, il nuovo ambasciatore austro-ungarico, Haymerle, Vittorio Emanuele «en me voyant entrer et sans me laisser le temps de prendre la parole, me tendit la main et me dit à peu près textuellement: ‘ je suis bien content que l’Empereur vous ait nommé son Ambassadeur; je tien tant à l’amitié de l’Empereur; je l’aime; Il a été si bon pour moi; je n’oublierai pas l’acte généreux de Venise, j ’ai dit à l’Empereur que difficilement j’en aurais fait autant. J’ai donné ma parole à l’Empereur que je suis et resterai son ami; je ne manquerai pas à ma parole ’ (cette phrase fut répétée dans le courant de l’entretien)» (r. Haymerle, 6 febbraio 1877; SAW, P. A., XI /85, n. 9 A. Cfr. S ANDONÀ, Op. cit., I, p. I43). Dichiarazioni quasi identiche il re aveva fatte all’incaricato d’affari Gravenegg: ricordo gratissimo di Venezia; amicizia fedele a Francesco Giuseppe; volontà di allontanare ogni causa di perturbamento nei rapporti fra le due nazioni (r. Gravenegg, 31 dicembre 1876; SAW. P, A., XI/84, n. 107). 2313 AE, Carte Robilant. La versione del Bertolè Viale è pienamente conforme a quella data dall’Andràssy nel suo dispaccio del 14 settembre 1879 all’incaricato d’affari a Roma, principe Wrede: «Le Roi Victor Emmanuel en a eu connaissance [della nota 24 maggio ’74] et Sa Majesté a daigné approuver ma manière de voir, en m’autorisant à m’adresser directement à Elle en tout ce qui concerne ces questions» (in S ANDONÀ, Op. cit., l. p. 259). E Cfr. infatti la comunicazione del Wrede al Maffei, segretario generale agli Esteri, il 18 settembre: t. Maffei a Cairoli, 19 settembre 1879 (e altro al Robilant in AE) in R O SI , L’Italia odierna, vol. II, t. III, cit., p. 1880 e anche I Cairoli, cit., II, pp. 17-19. Il Sandonà, che si era accorto, dai documenti, dell’esistenza di relazioni dirette fra il re e il governo austriaco a mezzo dell’Aghemo – senza dar loro, a dir vero, molta importanza – si chiedeva a chi risalisse l’iniziativa di questo canale diretto (ib., p. 259, n. 2). Il dubbio è ora risolto. 2314 Cfr. anche i tt. Cairoli a Umberto I, 1° ottobre, e Umberto I a Cairoli, 4 ottobre 1879 (AE, tel. a Sua Maestà, n. 204-205). Umberto dichiara: «Haymerle... ha detto a me le identiche cose che espresse nell’abboccamento con Lei. Accennò alla lettera di Andràssy a Wimpffen, aggiungendo che, poiché il Maffei non ne aveva accettato copia, egli l’aveva recata con sé onde io ne avessi esattamente conoscenza; insistendo perché io l’avessi ritenuta, chiedendomi che mi avessi pronun-

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ciato esplicitamente riguardo alla nota Wimpffen, dicendo che come erano conosciuti i sentimenti personali di Vittorio Emanuele, desiderabile che mi avessi pronunciato nello stesso senso, naturalmente dichiarandomi perfettamente informato (lettera Andràssy), neppure volli accettarne lettura. Riguardo all’altra Nota, ho risposto amabilmente che, senza entrare nelle ragioni che l’avrebbero fatta accettare in quell’epoca, non vedeva perché mi si chiederebbe di pronunciarmi in quel senso, vedendo in ciò, stante i nostri buoni rapporti, certa diffidenza. Dall’impressione generale avuta da Haymerle, potei scorgere sentimenti di diffidenza marcata». I documenti austriaci a cui Umberto I qui accenna, in modo alquanto confuso, sono due: uno, è la celebre nota Andràssy a Wimpffen del 24 maggio 1874; l’altra, è la lettera dell’Andràssy all’inc. d’affari, principe Wrede, intorno all’incidente provocato dalla pubbl. delle Italicae res, del colonnello Haymerle. Questa è la comunicazione che il Wrede fa al Maffei, e di cui il Maffei dichiara di non voler ricevere copia, per non dar altro seguito all’incidente stesso, (cfr. R OSI, op. cit., vol. II, t. III, pp. 1877 sgg. e soprattutto p. 1880; S ANDONÀ, I, pp. 258-61). Nel colloquio Cairoli-Haymerle (su cui t. Cairoli ad Umberto I, 1° ottobre 1879; AE, tel. a Sua Maestà, n. 204), Cairoli aveva dichiarato di ignorare la nota Andràssy del maggio ’74: ma questo sembra essere soltanto un modo di evitare di entrar nel merito mentre l’esistenza del documento doveva esser nota al Cairoli: (cfr. t. Cairoli a Maffei, 20 settembre 1879, in R OSI, l. c.; p. 1881). 2315 Il bello si è che il Cairoli, allora presidente del Consiglio, sembrava non credere all’impegno preso da Vittorio Emanuele II «grande anche per lo scrupoloso rispetto delle forme costituzionali [!] e delle manifestazioni del sentimento nazionale» (t. Cairoli a Maffei, 20 settembre ’79, in R OSI, L’Italia odierna, cit., p. 1881, – trasmesso al Robilant dal Maffei, in AE). È proprio vero che il Cairoli era un candido uomo! Troppo più intelligente, il Crispi non si nascondeva che l’intervento del re in questioni estere poteva sembrare censurabile; lo difendeva, in base alla necessità della tradizione in politica estera, superiore ai mutamenti di Ministero; ma richiedeva che la volontà del re non si esprimesse se non con l’intervento del ministero responsabile – proprio il contrario di quel che faceva Vittorio Emanuele (Scritti e discorsi politici, cit., p. 660-61).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2316 Nigra a Robilant, 9 agosto 1886 (AE, Carte Robilant; A RCH . D E V ECCHI). Cfr. C HIALA, Op. cit., III, p. 475, n. 1, dove sono testualmente riferite le parole del Nigra, designato come «il più illustre fra i nostri diplomatici». 2317 Al Melegari, che il 18 giugno 1877 lo informava dell’esito di un dispaccio al Cialdini sulla crisi francese del 16 maggio, Vittorio Emanuele rispose seccamente: «Non conoscendo quali sono le istruzioni che Vous données au général Cialdini, que j’aurais désiré connaître, La prego di Vous expliquer plus clairement. Tanti saluti» (19 giugno; AE, tel. a Sua Maestà, n. 35). 2318 A RCH . C ASA R EALE, Carte Vittorio Emanuele II, b. 38. Di fatto, da allora c’è una serie notevole di rr. de Launay e Menabrea soprattutto, ma anche di Robilant al re (ib., bb. 38, 39, 40, 41). Alcuni di essi si trovano anche in AE, Carte Robilant: così il r., stringato, ma chiaro ed acuto, che il Robilant mandò a Vittorio Emanuele il 26 gennaio 1877, sull’insieme dei rapporti italo-austriaci (cfr. qui appresso). A mezzo dell’Aghemo, il re espresse in modo assai marcato la sua soddisfazione, invitando il conte a «ripetere queste così utili informazioni politiche» (Aghemo a Robilant, 8 febbraio ’77). Altro, ma più breve e meno importante rapporto del Robilant seguì il 10 febbraio. Finalmente, il 23 dicembre il Robilant avvertiva telegraficamente l’Aghemo – in pari tempo che il Ministero – della pubblicazione nella Neue Freie Presse delle presunte dichiarazioni Andrássy alla delegazione cisleitana (se continuasse il movimento irredentistico in Italia, l’Austria passerebbe all’offensiva e si prenderebbe il Quadrilatero. Smentita ufficiosa della Wiener Zeitung il giorno dopo: cfr. S ANDONÀ, Op. cit.. I, pp. 170-71). Sempre a mezzo Aghemo, il re rispose telegraficamente, il 24 dicembre, da Torino: «Tachez aller chez Andràssy dites lui que le Roi s’il [sic!] s’est montré très offensé de ce dont la Nouvelle Presse vient de pubblier parce que c’est un acte de défiance complete à la parole que le Roi a donnée à l’Empereur. Dites lui en méme temps que si imprime des articles semblables en Austriche il ne doít pas s’étonner des polémiques qui peuvent naître» (per questo tel. seguo il testo dell’AE). Quanto al Menabrea, il 19 dicembre del ’77 telegrafava al re sulla questione d’Oriente, annunziando anche un rapporto (ACR Carte Depretis, serie 1ª, b. 22, fasc. 69).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2319 La lett. di Mac Mahon al re, in data 29 giugno 1876, fu recata da un ufficiale di ordinanza del maresciallo (l’ambasciata di Francia non era al corrente della cosa); Vittorio Emanuele telegrafò a Mac Mahon il 17 luglio, inviando anche a Parigi (il 28 luglio) il prefetto di palazzo, Panissera, che parlò col maresciallo. Questi il 18 rispose al re di accettare «avec résignation» Cialdini (A RCH . C ASA R EALE, Carte. Vittorio Emanuele II, bb. 38 e 39). 2320 t. Vitt. Emanuele (da Napoli) a Depretis, 1° febbraio 1877 (ACR, Carte Depretis, serie I, b. 24, fasc. 85). 2321 t. Vitt. Emanuele a Depretis, 4 novembre ’77; e cfr. t. Aghemo – a nome del re – a Depretis, 7 novembre, e t. Depretis a Aghemo, 10 novembre (ib., ib., b. 24, fasc. 84). Di fatto, fu sulla questione delle convenzioni ferroviarie che lo Zanardelli si dimise da ministro dei Lavori Pubblici l’11 novembre, Depretis assumendosi l’interim. 2322 tt. Aghemo – a nome del re – a Depretis, 22 e 23 dicembre ’77 (ib., ib., b. 24, fasc. 85). 2323 t. Vitt. Emanuele a Depretis, 22 giugno ’77 (ib., ib., b. 24, fasc. 85). 2324 t. Vitt. Emanuele a Depretis, 21 giugno ’77 (ib., ib., b. 24, fasc. 85). Altra volta, il ministro dell’Interno era andato a Napoli a conferire (t. Vitt. Emanuele a Depretis, 3 febbraio ’77, ib., ib., b. 24, fasc. 85). 2325 tt. Depretis a Vitt. Emanuele, 21 aprile 1876, e all’Aghemo, 10 novembre 1877, ib., ib., b. 24, fasc. 85 e 84. 2326 t. Vitt. Emanuele a Depretis, 3 febbraio ’77 (ib., ib., b. 24, fasc. 85). 2327 t. Vitt. Em., 4 febbraio (ib., ib., b. 24, fasc. 85). 2328 t. Depretis al re, senza data (ib., ib., b. 24 fasc. 85). 2329 Scriveva il Castelli al Vimercati, il 29 aprile 1875 che «a quest’ora egli [il re] può tutto quello che vuole, l’opinione pubblica lo mette al disopra di tutto, e di tutti» (A RCH . C ASA R EA LE , Corrispondenza Vimercati). E già l’11 maggio 1873, deprecando la mancanza di uomini politici, aveva detto sempre al Vimercati: «Tutto è negativo, il re solo cresce ogni dì più nell’opinione generale» (ib. ib.). Non a torto osservava il Minghetti che non si poteva trattare con Vittorio Emanuele II come con un qualunque altro principe che avesse ereditato la Corona d’I-

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talia e imporgli rigidamente tutte le forme costituzionali. Bisognava tener conto «che egli era l’autore primo della grande impresa della liberazione della patria» (M. R OSI, Vittorio Emanuele II, Bologna, 1930 II, p. 246). 2330 t. 30 gennaio 1877 (ACR, Carte Depretis, serie 1ª, b. 24, fasc, 85). 2331 Così, quando Vitt. Emanuele, nel febbraio del 1877, per non muoversi voleva ricevere a Napoli il nuovo ambasciatore d’Austria, Haymerle, dicendo che ambasciatori ed ambascerie ne aveva già ricevuti a Napoli e a Torino, Depretis rispose di esser dolente di non poter mutare il suo parere, che cioè l’ambasciatore d’Austria il re lo doveva ricevere a Roma. E allora Vitt. Emanuele gli fece telegrafare dall’Aghemo che «per assecondare i desideri di V. E. e per farle piacere» sarebbe partito subito per Roma, malgrado che ciò lo contrariasse un po’ (tt. Depretis al re, senza data, e Aghemo a Depretis, 4 febbraio, ib., ib., b. 24, fasc. 85). 2332 Nel 1872, ad una allusione del Wimpffen «à Son talent de manier les hommes politiques de Son Pays, Sa Majesté me répondit ‘En cela Vous pouvez avoir raison. Je connais leur corde sensible à tous’» (r. Wimpffen, 16 novembre 1872; SAW, P. A., XI/235, n. 37 A). Al Vimercati, il Castelli scriveva l’11 maggio 1873 che nessuno meglio di Vittorio Emanuele conosceva «i suoi polli (A RCH . C ASA R EALE, Corrispondenza Vimercati). 2333 Il S ANDONÀ, op. cit., I, pp. 143-44, non riporta queste affermazioni, che pure si trovano, oltre che nel rapporto, anche nel telegramma Haymerle: «... si les ministres italiens étaient du parti avancé, ils avaient pourtant les meilleurs sentiments pour l’Autriche-Hongrie et s’ils hésitaient le Roi leur ferait bien faire ce qu’il voulait». A margine di queste espressioni, anzi, l’Andràssy tracciò, a matita, un segno e un punto interrogativo. Certo, però, il Melegari si riferiva nei suoi colloqui con il rappresentante dell’Austria, anche al «vivo» desiderio del re di aver le più amichevoli relazioni con Francesco Giuseppe, desiderio a cui corrispondevano gli intenti del governo (r. Gravenegg, 14 ottobre 1876, n. 75 A, cit.; SAW, P. A., XI/84). 2334 L’Aghemo, osservava lo Haymerle, è imparentato per via di matrimonio con la famiglia della contessa di Mirafiori, e tal parentela spiega in gran parte l’influenza di cui gode presso

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il Sovrano (r. 24 marzo ’77; SAW, P. A., XI/85, n. 16 F). Lo Haymerle non ne aveva però grande stima: «Aghemo ist politisch zu ungebildet, zu sehr gewöhnlicher finasseur als dass man auf die genaue Wiedergabe dessen rechnen kann was man ihm sagt» (l. p. Haymerle all’Andràssy, 5 gennaio 1878; SAW P. A., XI/88). 2335 «Die Minister kennen disen Willen des Königs und insbesondere Depretis wird nicht einen Finger rühren ohne den König zu fragen» (r. Haymerle, segreto, 24 novembre ’77, SAW, P. A., XI/86, n. 69 A). 2336 «Vous ne cessez pas de vous méfier de moi», dit le Roi, «j’ai donné ma parole à l’Empereur d’être son ami; je la rappelle à chaque occasion pour prouver que je ne veux pas m’y soustraire, il n’est pas bien de donner si peti de valeur à ma parole... Rien ne se fera ici que Moi et le Parlement ne permettent; et Moi j’ai donné ma parole» (r. Haymerle, 5 gennaio 1878; SAW, P. A., XI/87, n. 1 A. Molto sommario l’accenno del S ANDONÀ, op. cit., I, p. 177). 2337 Si vedano p. es., le dichiarazioni di Vittorio Emanuele al nunzio Antonucci, il 10 settembre 1849: «... faccia ben capire a S. S. che quando io ho detto una cosa è quella, e che non permetterò mai che sia fatto un torto alla Chiesa Cattolica nei miei Stati», in P IRRI, op. cit., p. 29 e cfr. p. 157 nella lettera del re a Pio IX il 9 febbraio 1855. E si veda la dichiarazione del re nel novembre 1876 a chi gli chiedeva se i suoi ministri fossero davvero radicali: «Sieno pure radicali, ma che monta? non ci sono forse io?... se... fosse un ministero di cardinali, le cose non procederebbero diversamente», in M ASSARI, op. cit., p. 585; ivi, p. 586 il «maestro di cappella». Anche al ministro di Francia, Fournier, Vittorio Emanuele, al termine della prima udienza, disse nel marzo del ’72: «Tenez... je connais bien l’Italie et tous les partis. Quand vous aurez besoin d’arriver à quelque chose que vous trouverez peu facile à faire avec mes ministres venez me trouver: nous tâcherons d’arranger cela à nous deux. Je ferai de mon mieux» (r. Fournier, cit., 26 marzo 1872, n. 2; AEP, C. P., Italie, t. 384, f. 273 v.). 2338 Osserva infatti – e giustamente – lo Haymerle nel rapp. cit. del 5 gennaio ’78: «Quoique la manière franche et dégagée du Roi semble rendre la conversation avec lui facile, la di-

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scussion n’est pourtant pas sans embarras pour son interlocuteur parce qu’Il revient toujours à ses deux arguments de prédilection: ‘Ayez confiance en moi’ et ‘Rien ne se fera sans moi ou en dehors de moi’. Or, comment exprimer un doute sur l’une ou l’autre de ces deux assertions? Les détails de la politique étrangère sont difficiles à suivre; quant aux affaires intérieures les semaines dernières n’ont pas prouvé qu’il est en Son pouvoir de les diriger à son gré. Il y a un mois, le Roi était bien décidé et convaincu de marcher aver Nicotera vers un régime plus conservateur; aujourd hui Il en est arrivé à Crispi et en arrivera peut-être à Cairoli malgré toute l’aversion qu’Il professe pour cette éventualité». E lo ripete nella l. p., cit., della stessa data all’Andràssy: «Der König verlangt immer Vertrauen in sein Wort und in seine Macht; und dock lässt er schliesslich Alles geschehen». E già altra volta, il 3 marzo ’77, lo Haymerle aveva annotato: «Je suis tout-à fait convaincu de la sincérité et de la loyauté des assurances du Roi; mais je ne le suis pas également de son initiative et de l’étendue de son pouvoir. J’avoue que la phrase qu’Il m’a dit avec tant d’assurance: ‘Les Ministres ne feront que ce que je veux’ m’a un peu dérouté; car c’est évidemment une illusion qui diminue la valeur des protestations du Roi» (r. Haymerle, 3 marzo ’77; SAW, P. A., XI/85, n. 12 B). Che anche a Vienna si avessero forti dubbi sulle effettive possibilità d’azione di Vittorio Emanuele, prova il punto interrogativo posto dall’Andràssy a margine di certe espressioni del tel. Haymerle del 6 Febbraio. 2339 Sempre nel rapporto del 3 marzo lo Haymerle osserva, dopo i dubbi sulla potenza effettiva del re: «Cette réserve faite, je crois qu’il se présente, pourvu qu’on arrive à temps, dans les intentions actuelles du Roi un terrain favorable à exploiter, s’il s’agit d’enrayer l’action de ce Gouvernement, ou de le pousser dans une certaine direction». Proprio per arrivare a tempo, era utile l’Aghemo! E infatti a quest’ultimo l’Haymerle raccomanda vigilanza «parce que le Roi est très peu au courant de la marche des affaires; les Ministres ne lui rendent qu’un compte très sommaire; on m’assure qu’il ne voit presque jamais les dépêches qui vont à l’étranger; le ‘ laisser-faire ’ lui a tellement réussi qu’il se départira difficilement de cette douce habitude». 2340 «Mr. Aghemo ajouta qu’il savait que le Roi l’avait désigné à V. E. [Andràssy] comme un homme de confiance et s’offrit

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comme intermédiaire si j’avais quelques communications confidentielles à faire parvenir à Sa Majesté» (r. Haymerle, 3 marzo ’77, cit.). Lo Haymerle rispose coi consigli di vigilanza, qui sopra riportati, e l’Andràssy ringraziò, dicendo che all’occorrenza si sarebbe approfittato «avec empressement» dei servizi dell’Aghemo (d. Andràssy _ ad Haymerle, 18 marzo, SAW, P. A., XI/86; cfr. S ANDONÀ, op. cit., I, p. 259, n. 2). 2341 Lo narrò l’Aghemo allo Haymerle (r. Haymerle, 28 aprile ’77; SAW, P. A., XI/85, n. 25 C): «le Roi l’avait expressément envoyé de Pise ici pour bien recommander aux Ministres de tenir un langage correct à l’égard des puissances voisines». 2342 Vittorio Emanuele a Depretis (senza data, ma del 19 aprile) «Ho preso conoscenza delle interrogazioni fatte nella seduta di avanti ieri alla Camera [17 aprile] intorno alla politica estera e Le significo come io desideri vi si risponda nella seduta di lunedì quando queste interrogazioni saranno svolte. Desidero che il governo si limiti assicurare che starà sempre nella più vigilante attenzione sul corso degli avvenimenti che si stanno svolgendo in Oriente e che qualunque deliberazione avesse a prendere avrà sempre in mira il bene della Nazione, e sarà ispirato a quell’attitudine indipendente finora osservata dall’Italia. Che se in avvenire si dovesse prendere qualche seria determinazione la Camera ne sarà informata, e che frattanto il governo provvederà perché gli interessi dei nostri connazionali siano convenientemente tutelati. Prego comunicare questi miei intendimenti ai ministri Esteri ed Interno». Risposta Depretis (20 aprile): «Ho comunicato ai ministri degli Esteri e dell’Interno il telegramma di V. M. e mi faccio un dovere di assicurare V. M. che nella prossima discussione sul Libro Verde ci atterremo ai desideri di V. M.» (AGR, Carte Depretis, serie 1ª, b. 24, f. 85). 2343 A. P., Camera, p. 2710 sgg. (in quella importante seduta era stata svolta, fra le altre, anche la nota interrogazione del Visconti Venosta). Cfr. specialmente pp. 2712 e 2717 (la Camera sarà consultata se si dovesse prendere qualche grave decisione, che sarebbe dettata dal «nostro onore» dai «nostri interessi vitali, essenziali»; si è rassicurata l’Europa sulla politica italiana, ci sono ottimi rapporti con tutte le potenze ecc.); 2713 (protezione dei connazionali): dov’è una parafrasi delle istruzioni del re. 2344 E infatti lo Haymerle nel complesso espresse la sua soddisfazione all’Andràssy, e trovò, nell’insieme, un progresso «in

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der richtigen Auffassung der Lage und des Verhältnisses zu uns... meiner Ansicht nach ist das Ministerium gegenwärtig in guter Richtung», pure con qualche riserva e dubbio per il futuro (r. Haymerle, 28 aprile ’77; SAW, P. A., XI/85, n. 25 A). 2345 r. Haymerle (segreto) 12 maggio ’77 (SAW, P. A., XI/85, n. 29 F). Con ciò veniva tolto il dubbio sugli armamenti straordinari dell’Italia, che lo Haymerle aveva ritenuto non eliminato dalle dichiarazioni Melegari e Depretis del 23 aprile. 2346 d. Andràssy a Haymerle (segreto) 22 maggio ’77 (SAW, P.A., XI/86). A sua volta, Vittorio Emanuele ringraziò, a mezzo dell’Aghemo, che ripeté le sue assicurazioni di tener al corrente, occorrendo, lo Haymerle (Aghemo a Haymerle, 25 giugno ’77; SAW, P. A., XI/86). 2347 «Von erbärmlichen Leuten ...» r. Gravenegg, 31 dicembre ’76, cit. 2348 Riproduco qui, sottolineando, il passo del r. Haymerle, 6 febbraio, già più volte cit., che non risulta dal testo del S ANDO NÀ , I, p. 143, il quale segue non il rapp., ma il tel. Più conciso «Nous avons bien de têtes chaudes en Italie; je ne veux pas de toutes ces polémiques et demonstrations; mais souvent la repression empirerait le mal. Cependant si un acte vraiment coupable contre l’Autriche se produisait, on le punirait sévèrement». 2349 Anche qui, sottolineo il passo del r. Haymerle: «... mais ce que nous sommes en droit de demander, c’est qu’en Italie on considère dans toutes les éventualités, les comptes avec l’Autriche-Hongrie comme entièrement liquidés» – Mais certainement! interjeta le Roi – «et que le Ministère se prononce franchement dans ce sens, si des doutes ou des projets contraires venaient à se produire. Quant à moi, Sire, j’ose placer sous Votre protection mes efforts pour maintenir les meilleurs rapports avec Votre Gouvernement». «Vous pouvez y compter» me répondit le Roi; «dites surtout à l’Empereur combien je tiens à son amitié». Anche nel telegr. lo Haymerle asseriva «Der König begleitete diese Worte [sui conti liquidati] mit zeichen der Zustimmung». Questo, invece, non risulta dal S ANDONÀ. Da notare che il rapp, Haymerle è in francese, non in tedesco come il Sandonà afferma nella nota 1 di p. 144. 2350 rr. HaymerIe 21 e 24 novembre ’77 (SAW, P. A., XI/86, nn. 68 A e 69 A segreto).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2351 Dichiarazioni al ministro austriaco a Torino, Apponyi, a fine giugno 1850: «Il y a des gens que les mouvements populaires font trembler, moi, cela me fait rire. Rien n’est plus facile que d’en venir à bout; on tombe sur cette canaille et on l’écrase, comme des mouches. Qu ils bougent seulement et ils verront; je les ferai pendre tout!». E tutto ciò condito da esclamazioni e da termini troppo espressivi perché l’Apponyi si permettesse di riferirli allo Schwarzenberg (A. M ONTI, La giovinezza di Vittorio Emanuele II ‘ 1820-1840’, Milano, 1939, p. 513). 2352 Dichiarazioni di Vittorio Emanuele al barone di Malaret, ministro di Francia (r. Malaret, 29 novembre 1867, Les origines diplomatiques de la guerre 1870-71, XIX, Parigi, 1926, p. 380. E cfr. L UZIO, Aspromonte e Mentana, cit., p. 431 sgg.). Il re era persuaso che, sgombrato così il terreno, gli sarebbe poi stato molto facile accordarsi con il Papa. 2353 «On reparle toujours d’expéditions projetées contre le Trentin, de visées sur le Trentin et même sur l’Albanie; je n’y songe pas. Les individus qui chez nous mettent ces choses en avant, nous les considérons comme des chiens (textuel)» (r. Haymerle, 5 gennaio 1878, cit.). Nel testo del telegramma, spedito subito dopo l’udienza, il 31 dicembre ’77 «... er [der König] denkt weder an Triest [sic! ], noch an Albanien; die Leute, die diese Frage aufwerfen seien Gesindel» (SAW, P. A., XI/86, n. 93). Il Triest del tel. è, evidentemente, un lapsus calami, oppure un errore di cifra o di decifrazione, facile a succedere, d’altronde, data la somiglianza, Trient, Triest. 2354 Si veda, per es., come il Malaret lasciasse dire, ma senza prender troppo sul serio la sparata del re. Che non si debbano prender troppo alla lettera espressioni di quel genere, dimostra anche il fatto che, nel marzo del 1872, ricevendo per la prima volta il nuovo ministro di Francia, Fournier, e deplorando con lui il pericolo delle masse, della «canaille... notre ennemie à tous», Vittorio Emanuele ripeteva quasi testualmente le stesse cose già dette, cinque anni innanzi, al barone di Malaret «Si on m’avait laissé faire comme je l’aurais voulu j’aurais laissé 30 ou 40.000 vauriens, des communaux comme ceux de Paris s’emparer de Rome pendant quelques jours, y faire ce que font les communaux, mais pas un seul n’en serait sorti. Ceût été atroce peut-être, mais l’Italie eût été purgée de cette vermine, pour toute une génération. Cela eût bien simplifié les choses»

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(r. Fournier, cit., 26 marzo 1872, n. 2; AEP, C. P., Italie, t. 384, ff. 272 v.273). Questo, cioè, diventa un po’ un cliché ad uso dell’estero. E anche il Fournier annotava, in genere «il y a dans sa [du Roi] parole plus de fougue que de conviction peut être...» (ib. f. 275). Nel re v’è «un singulier mélange de grosse bonhomie, de finesse, d’astuce même». 2355 Così lo stesso Robilant nel rapp. personalmente al re del 10 febbraio ’77 «Circostanze di varia natura impediscono in questo momento che le relazioni fra i due Governi siano tanto intime quanto sarebbe desiderabile: ma certo si è: che mantenendosi cordiali i rapporti fra i due Sovrani, si conserva intatto il più valido anello fra i due Stati, e le circostanze mutando, i rapporti fra i due governi potranno ritornar ad essere cordialissimi quali già lo furono». 2356 Cfr. le tipiche espressioni di Guglielmo I di Germania, nell’estate del 1879 (G. P., II, pp. 21-22, 66). 2357 Cfr. l’espressione di Guglielmo I di Germania nella nota marginale n. 1 al r. Bismarck 24 settembre 1879 (G. P., III, p. 98). 2358 Dichiarazioni Blanc all’inc. d’affari austro-ungarico, von Tavera (t. Tavera, 8 ottobre 1881, segretissimo, n. 78; SAW, P. A., rot. 459. Mi valgo della copia dattiloscritta del sen. Salata, dato che il fascicolo non si era ritrovato nell’Archivio, nel 1941). 2359 C RISPI, Politica estera, cit., I, pp. 8-9. 2360 Proprio a proposito dei colloqui col Bismarck e con Lord Derby nel 1877, Crispi riferì al Farini, nel 1896, che nel fargli l’«offerta» dell’Albania Derby e Bismarck gli dissero: «Ce sera... toujours un gage come se potesse poi barattarsi coll’Austria mediante cessione a noi della frontiera orientale» (F ARI NI , Diario, MRR, sub 26 ottobre 1896. La versione Crispi del colloquio in Questioni internazionali, cit., pp. 237-38. Identica l’affermazione – per il solo Derby – sul gage e identica l’inesattezza di far parlare prima Derby e poi Bismarck). Queste dichiarazioni di Crispi sono annotate dal Farini: «a tutto ciò bisogna fare la tara naturalmente perché Crispi dimentica volentieri o mente». Ora è certo che almeno di imprecisione nel riferire si può parlare nel Crispi: la stessa sua versione dei colloqui con Bismarck e Derby, si presenta in due forme non proprio identiche: quella espressa al Farini, la più estensiva; e quella, più restrittiva – mancando il gage – pubbl. in Politica estera,

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I, pp. 27, 34-35, 57. Per il colloquio con Bismarck, anzi, c’è una terza versione, riferita subito dal de Launay al Melegari, in base al racconto del Crispi: Bismarck avrebbe detto: «Pourquoi ne songeriez vous pas à l’Albanie?» (come aveva già detto prima allo stesso de Launay), che è meno di «prendetevi l’Albania» e non tocca il gage, che riappare invece nel C HIALA, op. cit., I, p. 275 (r. Launay, 20 settembre 1877; AE, Ris., c. 27. Già pubbl. dal S ALVEMINI, Alla vigilia del Congresso di Berlino, in Nuova Rivista Storica, IX, 1925, p. 86 sgg.). Così si spiegano anche evidenti incongruenze nei resoconti del Crispi: tipica, quella di Fiume anziché Trieste, nel colloquio con l’Andràssy il 20 ottobre ’77 (Politica estera, I, p. 67; S ALVEMINI, Alla vigilia del Congresso di Berlino, cit., p. 75 sgg.). In altri casi, si tratta indubbiamente, chiaramente di voluta alterazione della realtà: così per le affermazioni, fatte nel ’92 al Chiala, di non aver parlato col Bismarck di un’alleanza – sia pure, inizialmente, solo difensiva – contro la Francia! (S ALVEMINI, l. c., pp. 85-86), anche se si debba qui tener conto della posizione di Crispi, sempre in lizza nel ’92 per tornar al governo, e perciò costretto a non compromettersi. 2361 Politica estera, p. 10. 2362 l. c., p. 38. Depretis a Crispi 21 settembre: «Lasci in sospeso una grave questione e la più urgente [quella dell’Austria e degli eventuali compensi all’Italia]. Procura, se non puoi ottenere altro, di lasciare un addentellato che ci permetta di ritornarci sopra e d’insistere. Pare a me si dovrebbe comprendere che nella questione Orientale non è possibile rimanere indifferenti ad una soluzione che ingrandisce l’Austria». E cfr. anche lett. Depretis, 26 settembre, dove, parlando delle cose estere, si tratta proprio soltanto dell’Austria (ib., p. 53). Si osservi, ancora, come nel colloquio con lord Derby la questione essenziale è proprio quella dell’eventuale ingrandimento dell’Austria ad Oriente e del diritto italiano a compensi sulle Alpi – secondo aveva già detto, d’altronde, il Menabrea (Politica Estera, I, p. 57 – cfr. pp. 28, 35; r. Menabrea, 5 ottobre 1877. AE, Ris., c. 27). 2363 Cfr. C HIALA, op. cit., I, p. 280; G. S ALVEMINI, La politica estera di Francesco Crispi, Roma, 1919, pp. 9-10; S ALVATORELLI, La Triplice Alleanza, cit., p. 37. 2364 Questo colloquio, del 23 ottobre, è riferito dal Crispi in Scritti e discorsi politici, cit., p. 659 sgg. Il re – secondo il

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Crispi – ritorna proprio lui sulla questione dell’Austria: «Voi sapete essere interesse dell’Italia che nessuna grande potenza s’ingrandisca a spese della Turchia». 2365 Vittorio Emanuele al principe Eugenio di Carignano, da Padova, 3 settembre 1866: «non ho mai avuto tanti dispiaceri come da due mesi a questa parte e sono sempre più convinto che la razza umana è perfida. Imperatori e re, cattivi e spergiuri, popoli pazzi e dementi, ministri ignoranti e bastardi e incapaci, generali che non potevo guidare e che perdevano la bussola, bestialità sopra bestialità. Ti assicuro che mi sono trovato in un bel ballo. Ma ho avuto una famosa lezione, e ora so come devo regolarmi per l’avvenire. Quel momento arriverà ancora. Come me ne sia cavato non lo su, quel che so è che in un modo o nell’altro la Venezia è nostra e gli italiani devono essere contenti. Volere o non volere quando si ha il Quadrilatero si può dire Alleluia e se quel barone di Broglie me lo lasciava prendere prima quando ci fu offerto a quest’ora sarei a Vienna col mio esercito trionfante. Non pensiamoci più, l’esercito è ancora la sola cosa buona che ci resti e farò vedere un’altra volta cosa sa fare. Ma bisogna che mandi al diavolo certi generali. Nessuno mi vuole ascoltare quando dico le cose, ma purtroppo ho sempre ragione io. Addio caro Eugenio, mi preparo per Venezia e ti abbraccio di tutto cuore» (A RCH . C ASA R EALE, Carte Vitt. Em. II, b. 24). 2366 Così, secondo l’Aghemo (r. Haymerle, 3 marzo 1877, n.12D; SAW, P. A., XI/85). 2367 Lo raccontò il Depretis all’amb. d’Austria (r. Haymerle, 5 gennaio 1878, n. 1 C, conf.; SAW, P. A., XI/87). Anche del Depretis è l’interpretazione della pressione sui deputati ecc., identica a quella che ne dava Crispi, e che era la versione ufficiosa (cfr. anche t. Haymerle, 2 gennaio, n. 1; ib., XI/87). Cfr. S ANDONÀ, op. cit., I, p. 177. 2368 Tel. del re del 17 settembre (Politica estera, I, p. 32). 2369 Tel. del re del 7 ottobre (ib., p. 59). Si rammenti che a Roma la situazione del ministero era difficile: lo stesso Depretis telegrafava al Crispi, il 14 ottobre: «procura... di affrettare tuo ritorno qui. Le cose si fanno gravi e la tua presenza qui è assolutamente necessaria» (ib., p. 60). Di fatto, si preparava la crisi che condusse, poco più tardi, all’uscita di anardelli poi di Nicotera e Melegari e all’ingresso di Crispi nel ministero.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2370 Si veda infatti con quale soddisfazione il Crispi riferisca al re, e come facile sbocci sotto la sua penna l’elogio di Vittorio Emanuele (op. cit., I, pp. 18-21); oppure come egli osservi al Depretis: «S. M. il re fu più gentile di te» (ib., p. 36). 2371 Tra l’agosto e l’ottobre del ’76 andò a Parigi e a Londra Domenico Farini (ACR, Carte Depretis, b. 23, fast. 76 e b. 29 fasc. 111); nell’agosto del ’77 andò a Vienna e a Graz il gen. Luigi Seismit-Doda, con precise raccomandazioni del Depretis che Robilant non ne sapesse nulla (ib., b. 22, fasc. 69: Seismit-Doda a Depretis I° e 10 agosto ’77). Egli doveva raccogliere informazioni e vedere come si presentasse la situazione generale. (Su di lui, fratello del più noto Federico, cfr, L. G. S ANZIN, Federico Seismit-Doda nel Risorgimento, Bologna, 1950, passim) Nuovamente nel febbraio 1878 Domenico Farini andò a Bucarest, ufficialmente, sollevando le proteste del Tornielli, per il colore troppo «manifestamente politico» della missione che «dispiacerà ugualmente a Vienna e a Pietroburgo» (Tornielli a Depretis, 6 febbraio 78; ib., b. 22, fasc. 71). Da Vienna, poi, il Depretis riceveva informazioni frequenti, e anche documenti (ottenuti da un impiegato «del noto ministero»), da Sigismondo Kaykowski. Tramite, spesso, Cesare Correnti (che ne trasmetteva anche al re: A RCH . C ASA R EALE, Carte Vittorio Emanuele II, busta 41); e altre volte il conte Ladislao Kulczycki, che già nel ’70-71 aveva inviate informazioni al Visconti Venosta sul Vaticano (AE, Ris., c. 51; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA), e che abitava a Roma, via dei Pontefici, 64 (ACR, Carte Depretis, serie 1ª, b. 22, fasc. 69 e 71). 2372 Questo, nei rapporti con la Francia, per i quali, alleato della diplomazia ufficiale, si ebbero le prese di contatto tra Gambetta e gli uomini della Sinistra, tramite spesso il Farina. Nel giugno e luglio del ’77 il Farina trasmetteva al Depretis lettere da Parigi (ACR. Carte Depretis, b. 2, fasc. 69). Egli era in relazioni costanti. con Armand Ruiz, tramite con il Gambetta (ll. Gambetta a Ruiz, 14 marzo ’77 e Ruiz a Depretis, 17 marzo ’77: ib. lett. e tel. Ruiz-Farina in MRR, Carte Farini). Nel maggio-giugno 1878 stretti contatti Cairoli-FariniRuiz-Gambetta sia per il trattato di commercio italo-francese, sia per una visita di Umberto I all’esposizione universale di Parigi, a cui da parte francese si annetteva grande importanza (Farini a Cairoli, 30 maggio e 1° giugno 1878; MRP, Carte Cairoli, p. 31. Anche l. Ruiz, 29 maggio, in ACR. Carte Depretis, se-

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rie 1ª, b. 22, fasc. 69). Altra missione il Farini assolse, presso Gambetta, nell’ottobre 1878 a proposito della questione egiziana (tt. Maffei a Cairoli, 28, 29, 30, 31 ottobre 1978; MRP, Carte Cairoli, reg. tel. al pres. del Consiglio, nn. 14, 16, 17, 21). Di questi rapporti fra Depretis, Cairoli, Farini e Gambetta (La politique occulte de Mr. Gambetta), s’era al corrente anche in Francia (dichiarazioni Waddington all’amb. austriaco Wimpffen; ll. pp., I e II, Wimpffen, segrete, 5 marzo 1880; SAW, P. A., XI/90). E l’amb. d’Austria, anch’egli al corrente, informava Vienna: il Ruiz, naturalizzato francese, conosce bene l’Italia e ha prestato servizio nell’esercito piemontese, pare nel 1859; egli è l’uomo di fiducia di Gambetta, di cui è segretario, e viene spesso a Roma; Farini è l’uomo politico italiano in cui Gambetta ha più fiducia (r. Wimpffen, 25 giugno 1880, n. 44 C, segreto; SAW, P. A., XI/90). Sul Ruiz, cfr. Lettres de Gambetta, cit., nn. 312, 314, 354, 562, 562 bis. 2373 F ARINI, Diario, MRR sub 4 agosto 1898. «Nel 1877; in primavera, ufficiato da Depretis stavo per recarmi a Berlino presso il Bismarck. Avevo messa una sola condizione. mi si procurasse il modo di farmi ricevere. Qualunque ne fosse il motivo Depretis ne abbandonò il pensiero, surrogando alla mia, forse, la missione di Crispi nell’autunno successivo». Il Farini era «il ragguardevole uomo politico» di cui parla il C HIALA, op. cit., II, p. IX. Cfr. anche F ARINI, Diario, I p. 115. 2374 Così secondo il Keudell, che lo raccontò allo Haymerle. Il Keudell – va però notato – era ostile al Melegari (r. Haymerle, 4 agosto 1877, n. 52 A, conf.; SAW, P. A., XI/86). 2375 Il grande influsso dell’esperto Tornielli sulla politica estera italiana in un momento in cui al governo regnava l’inesperienza (Unerfahrenheit) – Melegari compreso – è notato dall’ambasciatore austriaco (l. p. Haymerle ad Andràssy, 12 maggio 1877; SAW, P. A., XI/86). 2376 Conversazione avuta col sig, de Keudell il 2 luglio 1877 (AE, Ris. 10; carte rinvenute nello scrittoio del conte de Launay). Che si tratti del Tornielli risulta sì dalla calligrafia, sì dall’accenno «credete a me che dal 1866 in poi non ho abbandonato un solo giorno la direzione del nostro dipartimento politico». Il Tornielli si sforzò di persuadere il Keudell, e questi promise tutta la sua personale cooperazione per far entrare in un nuovo ordine d’idee il suo governo, ma (com’era nel suo stile) senza urtar di fronte la tendenze finora prevalenti.

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2377 L’espressione è dello Keudell, nel parlare con l’ambasciatore austriaco Haymerle dei suoi contatti con il governo italiano (r. Haymerle, 4 agosto 1877, n. 52 A, cit.; SAW, P. A., XI/86). 2378 Depretis al re, 9 agosto 1877 (ACR, Carte Depretis, serie 1ª; b. 24, fasc. 85). Id. a id. 19 agosto (A RCH . C ASA R EALE, Carte Vittorio Emanuele II, b. 40). 2379 9 agosto, I. c. Il Depretis insiste perché Crispi possa partire al più presto, e chiede per lui udienza a Vittorio Emanuele, che aveva detto di ritardare al 25 o 26 agosto (t. Vittorio Emanuele a Depretis, da Valsavaranche, 12 agosto; t. Depretis al Re, senza data; ACR, l. c.). E insiste: «Io ritengo sempre questo viaggio non solo utile ma indispensabile; nessun inconveniente può derivarne giacché V. M. potrà fissare i limiti della missione la quale affidata ad un uomo accorto e prudente potrà illuminare il governo sui provvedimenti da prendersi nell’interesse dello Stato». 2380 Che Crispi si mettesse avanti da sé affermò il C HIALA (op. cit., I, p. 270 sgg.), e riconosce anche il P ALAMENGHI C RISPI, Politica Estera, cit., p. 7; Politica Interna, cit., p, 160. Questo, contro la rettifica inviata il 16 febbraio 1892 dal Crispi al Chiala (C HIALA, op. cit., II, p. VII), in cui lo statista siciliano protestava che il viaggio «non avvenne per mia iniziativa, ma a proposta dell’on. Depretis e d’accordo col re». Ora è perfettamente esatto che l’idea d’inviare presso il Bismarck un missus speciale era, da tempo, del Depretis. Appare tuttavia assai verosimile, certo, che il Crespi si mettesse avanti per fare attribuire a sé l’incarico. Le due versioni cioè devono essere completate l’una con l’altra (cfr. S ALVATORELLI, La Triplice Alleanza, cit., p. 34), 2381 Nel telegramma al re del 9 agosto, sopra cit. 2382 Che il Depretis volesse tener buono il Crispi era noto (cfr. anche r. Seiller 15 settembre 1877, n. 57 B; SAW, P. A., XI/86). 2383 Quando si discuteva della restituzione della visita da parti di Francesco Giuseppe, Depretis telegrafò ad Umberto I, il 19 luglio 1882: «Nelle circostanze attuali cioè in prossimità elezioni generali la controvisita resa altrove che a Roma potrebbe avere gravi conseguenze nella politica interna» (AR, Carte Depretis, serie 1ª, b. 24, fasc. 85). Il Blanc lo disse all’inc. d’affari tedesco (t. Tavera, sereto, 24 agosto 1882, n. 77; SAW, P. A., XI/92).

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Federico Chabod - Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 2384 Su questi motivi di politica interna nella missione Crispi, ha giustamente e acutamente richiamato l’attenzione W. S CHINNER, Der österreichisch-italienische Gegensatz auf dem Balkan und an der Adria... 1875-1896, Stuttgart, 1936, p. 18. 2385 Infatti l’Andràssy scriveva allo Haymerle, il 13 agosto 1877, che «... le Cabinet de Berlin a conseillé au Gouvernement Royal de ne pas nous irriter. Je le sais, Votre Lettre du 4 du courant le confirme et je crois pouvoir attendre, sans crainte d’être détrompé, qu’au moment donné il renouvellera avec insistance à Rome ces conseils de modération» (SAW, P. A., XI/86, segreto. Cfr. su questo dispaccio S ANDONÀ, op. cit., I, p. 169). Dallo Haymerle, l’Andràssy veniva informato infatti della «doccia fredda» del Keudell sul governo italiano, nella questione Austria Bosnia ecc. (cfr. qui sopra); e anche che l’amb. inglese, sir Paget, aveva dato al governo italiano energici consigli di star quieto (l. p. Haymerle, 4 agosto; ib., ib., XI/86). Logico, che a viaggio Crispi compiuto lo Haymerle dicesse al Depretis: «... je suppose que Mr. Crespi a rapporté de ses voyages la convinction que nos relations avec l’Allemagne sont trop bien établies pour que l’Italie puisse être son amie, sans être bien avec nous et sans se rattacher franchement à la politique des deux Puissance». È proprio quel che Andràssy ha detto a Crespi, risponde Depretis... (r. Haymerle, 27 ottobre 1877 n. 63 A; SAW, P. A., XI/86). 2386 Nell’estate 1877 il Melegari dichiarava allo Haymerle che per l’Italia non esisteva una questione del Trentino (l. p. Haymerle ad Andràssy, 4 agosto 1877, cit.). E al Keudell, nel colloquio cit., del 2 luglio, il Tornielli dichiarava che l’Italia non chiedeva all’Austria un pollice di terreno; voleva bensì il mantenimento dello status quo nei rapporti di forza militare fra i due Stati. 2387 Sin dal 7 agosto 1875, cioè sin dall’inizio della nuova crisi d’Oriente: l’Austria potrebbe finir con l’essere costretta ad annettersi la Bosnia-Erzegovina, ciò che forse nessuno desidera oggi. A me pare s’abbia da parte nostra a star molto attenti, perché sarebbe per noi un’occasione forse unica di migliorare la nostra frontiera in Val d’Adige o sull’Isonzo (l. p. al Visconti Venosta; A RCH . V ISCONTI V ENOSTA). 2388 Cfr. il r. 3 ottobre 1878, pubbl. in R OSI, L’Italia odierna, cit., vol. II, t. II, pp- 1765-67. Cessione da parte dell’Austria

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del Trentino, come prezzo di una solida e duratura alleanza con l’Italia. 2389 AE, Carte Robilant (minuta). 2390 Sono giusti gli elogi che alla diplomazia della Destra rivolse, nel 1881, un ex diplomatico (il marchese d’Arcais) autore del notevole articolo su Le alleanze dell’Italia (Nuova Antologia, LIX, 1881, pp. 6-7). 2391 Così, felicemente, il B ORGHI, Il Congresso di Berlino e la crisi d’Oriente, Milano, 1878, p. 1.

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