Fagnani - Torti Profilo Storico Di Bassignana Vol 1

July 8, 2017 | Author: tim_lxn | Category: Hannibal, Ancient Rome, Rome
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1?LAVIO FAGNANI- GIOVANNI TORTI

VOLUME PRIMO

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PROFILO STORICO DI BASSIGNANA I Le linee generali di svolgimento

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VOLUME PRIMO

Le linee generali di svolgimento

Al Cav. Gr. Cr. Dott. UGO MURSIA e alla sua gentile consorte Comm. Dott. GIANCARLA MURSIA RE Editori in Milano fondatori di una delle Case fra le pi4 vive e stabili dell’editoria italiana con animo grato e affettuosa devozione. FLAVIO FAGNANI DI GERENZANO Pavia, 20 settembre 1970.

©

Copyright 1970 Br. Flavio Fagnani - Pavia - Italy Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy

Dedico questo libro alla cara memoria di — mia madre, Maria Garavelli ved. Torti — mio zio, Giuseppe Garaveffi — mio nipote, Guido Lombardi, mancato imniaturamente all’affetto dei suoi cari il 2~ ottobre 1968 — tutti i miei Morti di prima.

UNA PAGINA PER GUIDO Guido, tu eri tutto per noi: scopo principale della nostra vita, nostra speranza nell’avvenire, nostro sostegno morale, nostro conforto in ogni evento, nostro orgoglio. Questa nostra casa la tua dove hai trascorso l’in fanzia e la prima giovinezza; dove, con entusiasmo, sem pre tornavi recando la gioiosa esuberanza della tua pre senza, ora che più non torni è vuota e triste; vi regna solo la nostra angoscia. Ci sei mancato ancora giovane, nel vigore della vita che trascorrevi in una intensa e inteffigente attività, non disdegnando il lavoro, superando serenamente ogni diffi coltà, per il benessere della tua adorata Famiglia. Sei mancato quando la vita ti sorrideva carica di pro messe, dopo avere superato i travagli della tua giovinezza nell’inferno della guerra e della prigionia. Sei mancato troppo presto all’affetto di tua moglie, di tuo figlio, di tua madre, dei tuoi suoceri che tanto ti apprezzavano, dei tuoi zii, dei parenti e dei numerosi amici e conoscenti che ti stimavano e amavano per i tuoi senti menti di bontà, di generosità; per la tua lealtà, saggezza ed onestà; per la cordiale simpatia che ispiravi sempre. Noi siamo certi che tutte le tue encomiabili doti e virtù saranno di esempio e sprone per tuo figlio, che hai lasciato ancora giovinetto accanto alla tua adorata moglie. Unico nostro conforto è l’averti a Bassignana, accanto a tuo padre e a tua nonna, con la quale tanto simpatizzavi; Il porteremo tutti i nostri fiori, e li verremo a cercare la forza spirituale per lenire la nostra indefinibile tristezza. Addio GUIDO, su questa terra dove per noi, ormai, c’è solo la tristezza che ci attende e ci accompagna dall’alba al tramonto di ogni giorno, e nell’insonnia di ogni notte. Arrivederci nell’Aldilà, se anche noi saremo meritevoli del Paradiso, come lo sei stato tu. —

Dr. Ing. GIOVANNI TORTI Bassignana, nel giorno 2 di novembre del 1968.



Tuo Zxo GmoTTo

RINGRAZIAMENTO Riteniamo doveroso rivolgere un pensiero di viva gra titudine a tutti coloro che in qualsiasi forma hanno con tribuito alla ricerca e alla raccolta del materiale storico contenuto nel presente volume. Senza il loro intervento, lo svolgimento delle indagini avrebbe richiesto un tempo di gran lunga superiore e, in qualche caso, la consultazione cli alcuni documenti non sarebbe stata possibile. In particolare, si sono distinti per la loro cortese e assidua collaborazione le seguenti persone che additiamo alla perenne riconoscenza dei bassignanesi:

Dott. Vittorio Biotti, dell’Archivio di Stato di Milano. Conte Carlo Borromeo d’Adda, di Milano. Sig. Angelino Fabbio. Maestro Sandrino Freschi. Cav. Uff. Rag. Maestro del Lav. Ludovico Gatti, di Pavia (t). Avv. Pietro Moretta. Prof. Giuseppe Sampietro. Mons. Mario Tavazzani, cancelliere vescovile di Pavia. Comm. Enzo Tosetti. Geom. Guido Zanaboni, di Pavia.

PREFAZIONE

Il volume che vede• era la luce’ è frutto di una iniziativa promossa in sede locale sin dal 1963, c~on la éostituzione di un comitato incaricato di raccogliere in un opuscolo le methorie storiche di Bassignana. Lungo il cammino, il proposito è stato continuato con tale impegno da imprimere un nuovo e diverso orientamento ai modesti obiettivi ini ziali. Difatti, il mteriale via via raccolto si è rivelato, talmehte cospicuo e interessante da far pensare a una monografia piz1 ampia articòlata in ùno o pid òolumi. Il proposito è ora parzialmehté realizzato con la pubblicazione di questo, primo volume, che sarà seguito da un secondo per il quale è già stata raccolta buoi~a parte del materiale.’ Purtroppo, il, compito si è rivelato particolarmente arduo e la raccolta dei dati, attinti a fotiti nu merose e spesso lontane, ha’ richiesto un tempo superiore a quàlsiasi ottimistica previsione. ‘Del ritardo è pur doveroso chiedere venia a tutti coloro che, fiduciosi nella riuscita dell’iniziativa, hanno già sottoscritto da tempo là ‘quota .di prenotazione dell’opera. Nella stesura di questo primo volume si’ è cercato di’ ricostruire le linee generali dello, svolgimento storiòo di Bassignana, nèl ‘preciso intento di. dèlineare la posizione assunta dal paese nel quadro delle vi èende ‘stdriché’ della regione e, non di .nido, della stessa nazipne. I volumi seguenti,. invece, si soffermeranno sulla storia delle istituzioni in terne del paese, da quelle civili a quèlle ecclesiastiche, da quelle cul turali a quelle assistenziali. Il compito peraltro .non è stato facile, soprattutto perché si è in teso rinunciare ‘agli schemi solitamente seguiti da certi storici locali, i quali non sempre sanno resistere alla tetitazione di magnificare le vicen de di un piccolo centro rurale, quasi che le pòche tracce lasciatevi dai grandi eventi ‘della storia fossero tali da aggiungere qualcosa di essen ziale al quadro che di tali eventi si aveva. La storiografia locale invéce richiede anzitutto umiltà, nella piena consapevolezza dei propri limiti e dei pròpri obiettivi. Significa scavare .

lo

PREFAZIONE

in profondo in un preciso, unico punto, rinunciando a spaziare su pid vasti orizzonti. Ma proprio qui sta il pregio e la funzione della storio grafia locale, quando appunto è sensibile interprete dello spiritus loci, quel protagonista della storia che è presente ovunque, ma quasi sempre diverso da paese a paese. Come è stato giustamente affermato, è solo accettando serenamente fin dall’inizio la necessità di tale impostazione, eleggendola a norma del la propria ricerca, che allo storico locale è talora consentito di schiudere uno spiraglio che, pur aprendosi in un piccolo mondo, come può essere appunto Bassignana, può gettare luce su orizzonti piz2 vasti. Il cortese lettore vorrà certo riconoscere che nella ricostruzione delle vicende generali della storia del paese si è cercato di evitare l’in sidia sottile e cattivante della retorica, della rievocazione agiografica, della cristallizzazione monumentale. Si è preferito conservare, di quelle lontane vicende e dei nostri avi, la presenza viva e autentica, come preziosa eredità da tramandare soprattutto ai giovani, ma al loro spirito, non alla memoria di uomini e di date soltanto. Nonostante tutto, l’uomo rimane il centro, la ragione stessa della storia. I tempi cambiano, la società cambia con essi, ma la paura, il coraggio, la fede, l’avidità e tutti i sentimenti che si agitano in questo guazzabuglio del cuore umano, non vengono modificati dalla storia, o solo in parte. Resterà sempre una immensa parte dell’uomo che affonda le sue origini cosi lontano, da metterla al riparo da qualunque azione, cultura, annientamento. Ecco perché la storia non muore, non deve morire. Al pid, si allontana, si confonde nella nebbia del tempo, ma ecco un episodio, un documento, una traccia qualsiasi e la storia rie merge dalla polvere e, con la sua eloquente lezione, aiuta a conoscere meglio noi stessi. Dopo questa premessa, che intende delineare gli obiettivi e i cri teri ispiratori della ricerca, avviamoci a resuscitare le trascorse vicende di Bassignana, che ci introducono in un passato non perduto ma sol tanto velato, in cui possiamo riconoscere una parte non minima di noi stessi. Una meravigliosa resurrezione, perché è miracolo ogni voce che risorge dal lontano passato e ci introduce in un tempo remoto, per far rivivere le età che non sono. pid e insieme per farci sentire che tutto è ancora prodigiosamente vivo e vero.

F. F.



G.

PARTE PRIMA L’età romana Dalle origini cristiane alla pieve L’età longobarda Dall’età carolingia all’età ottoniana Nella lotta tra i Comuni e l’Impero

L’ETÀ ROMANA

La pista dell’uomo preistorico, risalente il corso medio del Po e snodata lungo la sponda destra del fiume, varcata la foce del Tanaro si scontrava contro un terrazzo naturale che si levava a dominare la piana circostante. Su questo modesto rilievo, presso la confluenza del Tanaro col Po, si sviluppò un centro abitato che assunse in seguito il nome di Bassi gnana. Quando ciò sia avvenuto è per il momento difficile da precisare: nessun rinvenimento archeologico anteriore alla venuta dei Romani può aiutarci a diradare la densa cortina di tenebre che avvolge le origini prime dell’abitato. Certo, non va trascurato il fatto che in età preistorica il corso del Po costituf un’importante arteria di traffico commerciale che poneva in comunicazione l’Adriatico con i centri rivieraschi dell’entroterra padano. Forse, l’origine della località va proprio collegata alla fitta rete di basi d’appoggio sorte lungo il remoto itinerario fluviale, quale stazione commerciale e anche di transito verso l’opposta sponda del fiume. È comunque fonte di grave imbarazzo ogni tentativo di identificare i primi abitatori della zona con una delle stirpi preistoriche (liguri o gaffiche che fossero) che popolarono le regioni affacciate lungo il corso medio del Po. È noto del resto che neppure gli antichi ebbero una sicura conoscenza geografica ed etnica dell’Italia superiore. Le contrad dizioni e le confusioni delle fonti letterarie, anzi, dimostrano che prima del III sec. a.C. la valle padana è stata una delle regioni europee meno note, o che ha interessato in minor misura gli scrittori greci di storia e di geografia, uniche fonti per noi come lo furono per gli antichi. Sappiamo con certezza comunque che la zona in oggetto fu punto d’incontro di due popoli: i Liguri e i Gaffi. Purtroppo, i dati forniti dagli antichi rivelano quasi sempre la mancanza di una qualsiasi impal catura geografica sulla quale articolare un discorso sulle effettive sedi di stanziamento delle due popolazioni. Il Piemonte Cispadano, d’altra parte, è zona etnicamente mista di Liguri e Galli ed il quadro della

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civiltà protostorica che ne risulta è ancora insufficientemente chiaro) Numerosi storici del passato ed anche recenti hanno sostenuto l’ipotesi che la zona a sud del Po, presso la confluenza del Tanaro, fosse abitata da popolazioni di stirpe ligure appartenenti alle tribù dei Marici e dei Levi che, secondo Plinio (III, 17, 124), fondarono Pavia: «Laevi et Mistici condidere Ticinum non procul a Pado ». Livio (V, 35; XXXIII, 37) a sua volta ricorda la tribù ligure dei Levi «incolentes circa Ticinum amnem » mentre Polibio (Il, 17, 4) afferma che i Levi erano di stirpe gallica discesa nella valle del Po, con gli altri Galli, nel IV sec. a.C. In epoca storica i Levi si ritrovano accanto ai Vertemacori, che risultano stanziati nel novarese e sono ritenuti i fondatori di Novara, I Libui sono considerati da Polibio (lI, 17, 4) e da Livio (XXI, 38) come Galli: Livio anzi li dice sospinti fuori dalle loro sedi del veronese e del bresciano da un’invasione di Galli Cenomani (V, 35). In epoca storica appaiono stanziati presso Vercellae e Laumellum (Livio, XXI, 38). A sud del Po, Livio (XLII, 7-8-9-10-21-22-26-27) e Plinio (III, 5, 47; XXXI, 2) ricordano gli Statielli stabffiti attorno a Carystum (Acqui) mentre ad est era l’importante centro di Clastidium (Casteggio) che viene alternativamente attribuito ai Liguri e ai Gaffi. Come si può desumere da queste testimonianze apparentemente contraddittorie, ci troviamo al centro di una zona di popolazione mista ligure e gallica in cui nessuna delle due stirpi doveva assumere una netta prevalenza sull’altra, tanto che si può parlare di una vera e propria simbiosi fra i due gruppi etnici. Più antico quello ligure, cui si sovrap pose quello gallico dopo la grande invasione avvenuta nel IV sec. a.C. É impossibile per il momento dire di più per quanto riguarda il territorio attorno a Bassignana. Soltanto un fortunato rinvenimento ar cheologico potrebbe consentire di assodare la presenza di un insedia mento umano, e stabilire a quale popolazione preistorica esso apparte nesse.

Avviata ormai al dominio della penisola e pronta ad assumere il ruolo di dominatrice del Mediterraneo, Roma intraprese quattro cam pagne militari che, dal 225 al 222 a.C., le assicurarono il possesso della Una prima rassegna dei trovamenti archeologici effettuati nella pianura alessandrina è stata tentata da 1’. PaoLA, Protostoria e romanità dell’agro alessandrino, in Riv. di storia, arte, archeologia per le Pro,.’. di Alessandria e Asti, XLVIII (1939), 491, e XLIX (1940), 5.

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valle del Po. Oltre che dalla loro vocazione imperiale, i Romani erano spinti da un obiettivo più immediato: sottomettere i Galli che più di una volta avevano dato del filo da torcere alla potenza romana e costi tuivano quindi una permanente minaccia. Principale artefice della conquista fu il console Marco Claudio Mar. celo che, con il collega Cn. Cornelio Scipione, nel 222 a.C. passò il Po con l’esercito romano ponendo l’assedio ad Acerrae (Gerre di Piz zighettone) ove si erano arroccati gli Insubri, la principale popolazione di stirpe gallica stanziata nella pianura a nord del Po. Gli Insubri, dopo aver chiesto l’aiuto dei Gesati condotti da Viridumaro, tentarono di liberare Acerrae operando un’audace diversione sulla destra del Po, puntando sulla fortezza di Clastidium (Casteggio) che i Romani ave vano occupato nel 223. Intuito il pericolo che si stava profilando, Claudio Marcello lasciò il grosso delle forze all’assedio di Acerrae, mar ciando velocemente con truppe scelte verso Clastidium, ove attaccò i Gaffi, li sbaragliò e uccise il loro re Viridumaro. Nel frattempo i Romani riuscirono a conquistare Acerrae, mar ciando subito dopo contro la capitale degli Insubri Mediolanum (Mi lano). Operato il congiungimento con le truppe provenienti da CIa stidium, l’esercito romano sferrò un deciso attacco contro Mediolanum, che fu costretto alla resa. In tal modo, fu praticamente sottomessa all’egemonia romana tutta la valle del Po. Brevissimo peraltro fu il periodo dell’occupazione romana, perché nel 218 a.C. si affacciò minaccioso dalle Alpi Occidentali l’esercito car taginese condotto da Annibale. Com’è noto, questi aveva come obiettivo la sollevazione delle popolazioni padane contro i dominatori romani, e in gran parte riusci a realizzare questo disegno, che gli assicurava alleati particolarmente agguerriti e preziosi in questa prima fase della sua conquista. Annibale riuscf a debellare i Romani sul Ticino, passò il Po forse in corrispondenza di Bassignana, si impadroni di Clastidium, vinse sulla Trebbia e avanzò verso sud, verso le grandi vittorie e l’amara conclu sione della guerra. Il rapido incalzare delle vittorie di Annibale in Italia, e l’impossi bilità per Roma di distogliere forze destinate ad operazioni militari di importanza secondaria, annullarono praticamente gli effetti della con quista romana lungo la linea del Po. Cadute in mano ai nemici Cia stidium, Acerrae e Medioianum, solo Piacentia e Cremona erano rimaste a presidio della romanità, sia pure circondate e pressate dalle circostanti

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popolazioni indigene, sicure di aver spezzato ogni vincolo di soggezione e anelanti a conservare la libertà ottenuta per l’improvviso intervento cartaginese. Ma fu un’illusione di breve durata. Conclusa la pace con Cartagine (201 a.C.) lo sguardo di Roma tornò a fissarsi sul Po, con la prospettiva di superarlo e costituire del maestoso corso del fiume un’efficace linea di difesa. Il 200 a.C. vide insorgere Insubri, Boi, Cenomani e ad essi unirsi genti liguri dell’Appennino; Placentia fu presa e distrutta; Cremona invece resistette e il pretore L. Furio accorse in suo aiuto, la liberò dall’assedio e riportò sui Galli una vittoria che gli fruttò gli onori del trionfo. Nel 197 a.C. mentre il console C. Cornelio Cetego, costretti a patti i Cenomani, sconfiggeva clamorosamente gli Insubri e liberava Placentia e Cremona nuovamente assalite e assediate, il collega Q. Mi nucio Rufo da Genova varcò l’Appennino e ottenne la resa degli oppida liguri di Clastidium e di Litubium e delle tribù pure liguri dei Celelati e dei Cerdiciati, con probabilità dislocate nelle vicinanze degli oppida stessi. Distrutto Clastidium, i legionari romani marciarono contro gli Ilvati, probabile tribù ligure stanziata sui gioghi montani dell’Appen. nino, e anche questa sottomisero. La situazione generale, in seguito alle campagne condotte negli anni successivi, tornava ad essere simile a quella del 222, quando gli Insubri furono costretti a capitolare e l’ege. monia romana si estese sino alla linea del Po. L’avvenuto completamento della conquista eliminava dall’Italia set tentrionale problemi mffitari di qualche rilievo che non fossero questioni di confine o scontri sporadici con le popolazioni della periferia alpina. La conquista comunque si era limitata alla pianura, con il totale annul. lamento delle forze rappresentate dai Galli e dai Liguri. Le tribù del versante alpino invece non destavano per il momento serie preoccupa zioni perché incapaci, per la loro stessa dislocazione, di dar vita ad un moto unitario e pericoloso. Ciò spiega come molto tardi e sporadicamente si sia ricorsi alla costituzione di colonie nella zona pedemontana alpina. La Cispadana, abbastanza densa di colonie, nonostante che il limite ufficiale dell’Italia fosse al Rubicone, si considerava virtualmente un settore a parte, pro tetto dalla linea del Po; la Transpadana, per quanto gli interessi romani vi fossero grandissimi, era pur sempre la zona di sicurezza interposta fra eventuali attacchi dalle Alpi e l’Italia.

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Le condizioni di pace imposte agli Insubri avevano infatti favorito la costituzione nella valle del Po settentrionale di una serie di stati cuscinetto atti a garantire la sicurezza dell’Italia. Si pensava evidente mente di non prendere posizione diretta oltre il fiume mediante la fondazione di nuove colonie. Dertona, costituita fra il 122 e il 118, faceva parte appunto del sistema romano lungo la linea del Po. D’altra parte, l’aver limitato la colonizzazione al territorio a sud del Po può essere interpretato anche nel senso che il Senato abbia avuto interesse a mantenere la Cisalpina allo stato di provincia e a lasciarsi fronteg. giare, sul fiume, colonie e comunità alleate. Questo disegno sembra corrispondere pienamente alla renitenza ad estendere i diritti civili che, nella concezione conservatrice romana, parevano sminuire il prestigio della città egemonica e della sua classe dirigente nei confronti di quelle comunità che ad essa erano vincolate in condizioni di effettiva suddi tanza. La deduzione della colonia di Dertona d’altra parte va anche messa in relazione con la costruzione della Via Postumia, iniziata nel 148 a.C., che collegava Genua con Placentia, ove la strada proseguiva per Cre. mona e Verona sino ad Aquileia, ai confini orientali d’Italia. La Via Postumia, in definitiva, era una grande strada di arrocca mento che congiungeva i maggiori caposaldi di prima linea del dominio romano nella Cisalpina: da qualunque punto di essa, le forze romane potevano irradiarsi verso la cerchia alpina abitata da genti non sotto messe. « Nel suo tratto più occidentale, da Genova a Piacenza, la Po stumia serviva di base alle forze romane, per risalire le valli della Bor mida, del Tanaro e dei suoi affluenti verso le Alpi Marittime. Questa base si appoggiava a sinistra alla fedele città alleata di Genua, nel cui porto i Romani potevano sbarcare uomini e mezzi e alla quale conduce vano indubbiamente anche primitive strade terrestri lungo la costa, già avanti che nel 109 a.C. il censore M. Emilio Scauro prolungasse la Via Aurelia, che conduceva da Roma ai confini del territorio di Volterra, sino a Genua e più oltre sino ai Vada Sabatia sulla riviera occidentale. A destra, sul Po, la strada base si appoggiava a Placentia, colonia latina di grande importanza, alla quale faceva capo la grande arteria costituita dalle vie Flaminia da Roma ad Ariminum e Aemilia da quest’ultima cit tà a Placentia » 2 2 p~ FRAcCARO, La colonia romana di Dertona (Tortona) e la sua centuriazione, in Opuscula, Pavia 1957, I, 125.

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Per la sua stessa ubicazione, Dertona era destinata a diventare un importante nodo stradale. Sappiamo infatti che da Dertona si dipartiva un’arteria romana che puntava in direzione di Hasta e di Poilentia. Lun go il tracciato di questa arteria era ubicato il Forum Fuivii, corrispon dente all’attuale Villa del Foro, Se teniamo presente che di solito erano proprio i costruttori di strade che fondavano i fora lungo il percorso delle strade stesse, attribuendo loro il proprio nome, si deve congettu rare che la strada in questione prendesse il nome di Via Fuivia. Sembra che la nuova arteria sia stata aperta da Fulvio Flacco, con sole nel 125 a.C. e convinto sostenitore della riforma agraria dei fratelli Gracchi: a questo ideale si dovettero certo ispirare le assegnazioni di terreni e la costruzione di strade per metterli in valore. Il Fraccaro pen sa anzi che egli si sia soffermato nella Gallia Cisalpina l’inverno del 125, tutto il 124 e parte del 123 « con tutta probabilità per assegnare terreni, costruire la Via Fulvia, fondare il Forum che portava il suo nome e forse altri centri. Flacco era in quegli anni triumvir agris dandis adsi gnandis lege Sempronia e si riteneva quindi autorizzato, come tale, oltre che come console e proconsole, ad assegnare terreni. Egli fu probabil mente il fondatore anche di Poilentia, posta proprio sul Tanaro e il cui agro assegnato si stendeva sin presso l’odierna Cuneo. È assai verosimile che, oltre a Forum Fuivii e a Pollentia, anche altre comunità di cittadini romani siano state costituite in Liguria da Flacco come Valentia, Indu stria, Potentia, e forse anche Hasta.4 Il Fraccaro ritiene inoltre, con buon fondamento, che lo stesso Flacco abbia riconosciuto la convenienza di appoggiare questi nuclei di cittadini romani della Liguria, che non formavano comuni con propria costituzione, coloniale o municipale, ad una vera e propria colonia ro mana che costituisse quasi la capitale dei Romani di Liguria. Placentia era un po’ troppo lontana ormai da Pollentia e dalle altre località del l’odierno Monferrato. È quindi probabile che a Fiacco risalga l’idea di dedurre la colonia romana di Dertona. « Al trivio costituito dalle vie Postumia e Fulvia, la borgata ligure doveva essersi sviluppata assai, assu mendo notevole importanza militare e commerciale; era quindi naturale di assicurare quel punto con una colonia. Le amene colline sulla destra lvi, 128. Il Fraccaro ha trattato della probabile origine di queste comunità romane del Mon ferrato nei suo articolo Un episodio delle agitazioni agrarie dei Gracchi apparso nel 1953 negli Studies Robinson e ripubblicato in Opuscola, lI, 77.

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della Scrivia e la vasta pianura fra la Scrivia, l’Orba, la Bormida ed il Tanaro si prestavano egregiamente per dedurvi coloni romani ».~ L’importanza di Dertona come nodo stradale era destinata ad accre scersi ancora pochi anni dopo la sua deduzione per effetto della costru zione di una nuova arteria che il censore M. Emffio Scauro, nel 109 a.C., fece partire dai Vada Sabatia, sulla riviera occidentale, sino a congiun gerla con la Via Postumia a Dertona. La nuova arteria stradale prese il nome di Via Aemilia, cui di solito si aggiunge il genitivo Scauri per distinguerla dalla Via Aemilia di Lepido. Sappiamo che la strada fu restaurata da Augusto assieme al tratto della Postumia compreso fra Dertona e Placentia, e prolungata oltre i Vada col nome di Via lulia Augusta. ***

Dopo la battaglia di Azio, Augusto dovette provvedere ai soldati delle sue legioni reduci dai campi di battaglia, deducendo nuove colonie in molte città italiane che avevano parteggiato per i suoi avversari. Fra queste città fu Dertona che, probabilmente prima del 27 a.C, assunse il predicato di lulia Dertona. Sarebbe senza dubbio interessante stabilire quali furono i confini della colonia repubblicana e augustea di Dertona. Un primo dato può essere offerto dalla diffusione della tribù di appartenenza della colonia nell’agro tortonese. Noi sappiamo che Dertona era iscritta alla tribù Pomptina, mentre le città vicine appartenevano a tribù diverse; Libarna alla Maecia, Aquae Statiellae alla Tromentina, Forum Fulvii e Valentia alla Pollia; nulla sappiamo invece per Forum lulii Iriensium. Ora, le iscrizioni rinvenute nell’agro tortonese menzionano la tribù Pomptina in un titolo rinvenuto a Tortona (Cii., V, 7378), in altri due titoli rin venuti a Bassignana (saranno illustrati tra poco) e in uno di Quargnento (C.I.L., V, 7448). Dato che queste due ultime località sono ubicate sulla sinistra del Tanaro, si deve concludere che l’agro della colonia di Dertona si esten deva per un buon tratto sulla sponda sinistra di questo fiume. Se poi l’agro tortonese avesse raggiunto questa estensione già in età repubbli cana oppure si sia espansa sulla sponda sinistra del Tanaro in occasione P. FRACcARO, La colonia... cit., 133.

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della colonizzazione dell’età augustea, è cosa che forse non potrà mai essere accertata con sicurezza. È infine da rilevare che un’iscrizione con la menzione della tribù Pomptina fu scoperta nel 1925, ma pubblicata nel 1947,6 a S. Agata, a nord di Silvano d’Orba. « Se, come generalmente si ammette, l’Orba segnava il confine dertonese verso occidente, l’iscrizione di 5. Agata sa rebbe stata prossima a detto confine. Ma potrebbe darsi che il selvoso bacino dell’Orba fosse compreso nel territorio dertonese, il quale sarebbe allora giunto sino alla Bormida o quasi. Cosi pure è probabile che l’alta valle dell’Orba spettasse non a Libarna, come molti pensano, ma a Dertona »Y Indipendentemente da queste risultanze, alla ricostruzione dei con £ni dell’agro tortonese giovano le tracce della centuriazione romana che il Fraccaro, vero maestro in questo campo di studi, ha messo in luce con la sagacia consueta, È noto che i Romani, «quando dovevano dividere ed assegnare in privata proprietà dei terreni, procedevano prima ad una accurata misu razione del suolo da assegnare, il quale veniva perciò diviso, o limitato, tracciando sul terreno, di solito, un regolare graticolato formato da linee che si intersecavano ad angolo retto. Teoricamente queste linee avreb bero dovuto andare da settentrione a mezzodi e da mattina a sera; ma in realtà, e per varie ragioni, esse deviavano in misura anche considerevole da questo orientamento teorico. Queste rette limitavano, incrociandosi, degli appezzamenti quadrangolari di terreno, che di solito erano qua drati, di 2400 piedi dilato, detti centuriae. Secondo un’antichissima tra dizione, il terreno assegnato da Romolo in privata proprietà ai Romani, heredium, avrebbe avuto l’estensione di due iugeri, cioè mezzo ettaro cir ca. Un quadrato di 2400 piedi dilato, che corrispondevano a 710,4 metri, comprendeva circa 50 ettari, cioè duecento iugeri e cento beredia, e per ciò era detto centuria, quasi gruppo di cento beredia. E cosi la misura zione e la suddivisione del terreno dicevasi anche centuriatio e centuriatus l’agro misurato e limitato; altra espressione usata era limitatio e ager limitatus. La centuria quadrata di 200 iugeri era la più comune misura agrimensoria; ma c’erano anche altre forme, che venivano pure dette, per estensione, centuriae, sebbene non comprendessero 100 beredia. Que ste centurie improprie potevano essere o quadrati, o rettangoli a lati • Da O. T. DE NEGRI, in Riv. di Studi liguri, XIII (1947), 29 sg. P. Fi~ccno, op. cit., 133.

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disuguali, di una estensione maggiore o minore delle centurie normali. Delle linee di divisione, erano dette cardines quelle che andavano da settentrione a mezzodi o all’incirca seguivano questo orientamento, e decumani quelle che correvano da oriente ad occidente, con una maggiore o minore deviazione a seconda dei casi. Di queste linee, due erano le fondamentali e le prime tracciate, il cardo maximus e il decumanus maxi mus, le quali si incrociavano al centro, o umbilicus, della centuriazione. Gli altri cardi e decumani venivano indicati con numeri ordinali partendo dal cardo massimo e dal decumano massimo nelle due opposte direzioni. Cardi e decumani erano nello stesso tempo limites e calles, strade, e uno degli scopi principali della centuriazione o limitazione era quello di assi curare per mezzo dei limites il libero accesso ai fondi. Le leggi che nei singoli casi regolavano l’assegnazione, fissavano anche la larghezza dei limiti-strade; larghezza che era maggiore per le due grandi linee maestre del decumano (di solito 40 piedi) e cardo massimi (ordinariamente 20 piedi), media (di solito 12 piedi) per i cardini e decumani quintarii, cioè quelli che portavano i numeri 5, 10, 15... e che incrociandosi limitavano gruppi di 25 centurie dette saltus, minima per i limites linearii, che potevano essere larghi anche solo 8 piedi. Gli incroci dei cardi e dei decumani erano indicati da cippi o da altri segni ».~ Gli studi compiuti dal Fraccaro hanno portato alla conclusione che l’agro tortonese doveva avere circa 680 centurie teoriche o qualcosa di meno: le parcelle assegnate dovevano essere piuttosto estese, forse quat tro per centuria. Se partiamo dall’ipotesi che le centurie fossero 600, e teniamo presente che le parcelle dovevano avere un’estensione di 50 iugeri ciascuna, si arriverebbe alla cifra di 2400 coloni. In una tavola annessa al suo studio, il Fraccaro ha potuto dimo strare graficamente che anche l’agro a sud-est di Quargnento (ove, come già accennato, fu scoperto un titolo epigrafico menzionante la tribù Pomp tina) è con una certa probabilità centuriato, con la stessa misura e dire zione dell’agro tortonese. Si deve quindi concludere che, all’atto stesso della deduzione della colonia di Dertona, o in occasione della nuova deduzione augustea, si sia pensato di estendere l’assegnazione delle terre anche a quella zona del Monferrato che degrada verso il Tanaro e il Po. A questo estremo lembo dell’agro tortonese apparteneva anche Bas P. FnccARo, Centurazione romana dell’agro ticinese, in Atti e memorie del IV Congresso StDrico Lombardo (Pavia, 18-20 maggio 1939), Milano 1940, 1 sgg.; ripubhi. in Opuscula, III, 51.

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signana che, come si può desumere dalla tav. i annessa al presente vo lume,9 era direttamente interessata dal sistema della centurazione. Sembra anzi che uno dei decumani del sistema agrimensorio romano coincidesse proprio con una delle strade principali che attualmente intersecano l’abi tato da levante a ponente: caso non infrequente, come sappiamo, per centri che affondano le loro origini nell’età romana. Il territorio di Bassignana fu dunque messo a cultura da famiglie di coloni romani che, mediante sistematici lavori di bonifica, migliora rono notevolmente le originarie condizioni del suolo. Prima di allora il corso del Po doveva presentarsi con caratteristiche diverse da quelle at tuali, soprattutto per la continua azione del Tanaro IO che respingeva verso nord l’asse padano. L’alveo del fiume, allora soggetto a grandiose divagazioni e dotato di una massa d’acqua più imponente, poteva più variamente espandersi in relazione con lo stato idrometrico, ma il piano terrazzato corrispondente alla sponda destra del fiume costituiva, allora come oggi, un argine naturale sufficiente a contenere le periodiche eson dazioni. Sembra certo che Bassignana, verso il I secolo d.C., fosse sede di una villa romana che, più che luogo di villeggiatura temporanea, dovette essere dimora stabile del proprietario direttamente impegnato nella con duzione dell’azienda agricola, senza con questo escludere la presenza di case coloniche minori di coltivatori diretti e di dipendenti dell’azienda agricola stessa. L’ipotesi pare sufficientemente suffragata dal nome stesso della loca lità, di indubbia impronta romana. Scartate a priori le ipotesi fantastiche o addirittura cervellotiche emesse dagli storici del passato, alcuni dei quali identificarono Bassignana con Augusta Bagiennorum,1’ è fuori dub La tavola è stata realizzata utilizzando ed ampliando i dati raccolti dal Fraccaro nel suo studio. IO Grandiose sono le divagazioni del Tanaro che, nel suo corso inferiore, scorreva anticamente in direzione di Guazzora. Attualmente la Scrivia, dopo Alzano, scorre appunto entro l’antico letto del Tanaro. A questo proposito vedasi F. SAcco, La pianura di Ales sandria, in Annali della R. Accad. d’Agricoltura di Torino, LIX (1916); Itt, Variazioni fluviali in Piemonte, in Atti del I Congresso del Pa, Piacenza 1928. Uno dei primi a sostenere questa tesi fu il Merula, il quale scrisse in proposito: « ... hunc a dextra parte Tanarus, a sinistra Padus urgent: nec ultra progredi sinunt et quatenus a fluviis discedir, et quodammodo subducitur, ferax admodum planicies interiacet, hanc terrai» possumus Mesopotamiain appellare: gemino enhn amne clauditur. Mons ipse qua fiuvii confluunt haud longe ah Augusta Battienorum desinit, quam posteriores, parum detortis litteris, Bassignanam nominant ». Cfr. G. MERULA, Antiq. Vicecomitum libri X, Milano, Malatesta, 1630, lib. VI, 138. Al Merula fece eco il Sacco, il quale afferma: « Est

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bio che il toponimo sia da ricondurre a un Bassinius eponimo da cui la località derivò il proprio appellativo: villa Bassiniana, da cui in seguito scaturf la forma contratta Bassiniana che sottintende evidentemente il termine villa.’2 La stessa toponomastica medioevale conserva il ricordo di una loca lità con nome perfettamente consono a quello di cui ci stiamo occupando: Bassignana in VaI di Lemme, sede di una pieve e di una grangia cister cense sulla quale esiste una amplissima documentazione.13 La toponoma stica attuale poi registra una località Basignan presso Lonigo (Vicenza) autem Bassignana (ut vulgato verbo utar) antiqua, nobilisque colonia, quam Georgius Merula libro sexto historiarum inquit, Augustam Baciennorum olim nuncupatam: sed si Plinij lectio vera est libro tertio capite quinto, Vagiennorum, et non Baciennorum legendum est. Quomodo autem ah Augusta ad Bassignanam translata nuncupatio fuerit, neque ipse Merula aperte narrat, neque Blondus in Italiae descriptione, regione septima, satis memorat. Passinavia quidem oli» appellata fuit a passu navis eo in loco perpetuo ordine destinatae ad Padum traijciendum, ubi commodissime traijcitur; ita ut interdum, etiam urgente diuturno aestu, tuto vado transiri equitando possit: quod tamen raro contigit. Ponte deinde illigneo Pado super~dificato, de quo et Blondus, et Merula, et acta Episcopi Papiensis mentionem faciunt; navis opus cessavit; et Passinaviae nominatio in Bassinaviam pertransivit; cui vulgus g interposito Bassignanae nomen tribuit: mihi tamen Bassinaniam scribere Latine placuir ». Cfr. B. SAcco, De italicarum rerum varietate el elegantia, Pavia Bartoli, 1587. Tralasciando le anienità addotte dal Sacco per spiegare l’etimologia del nome di Bassignana, gioverà qui ricordare che la tesi della identificazione della località con l’antica Augusta Bagiennorum fu pure sostenuta da L. ALBERTI, Descri: lione di tutta Italia, Bologna, Gianarelli, 1550, da L. DELLA CHIESA, Dell’histoire di Piemonte libri tre, Torino, Disseroglio, 1608, e numerosi altri autori che non è qui il caso di ricordare. Ma già il Cluverio negava recisamente tale identificazione, prospettando una diversa soluzione: « Immensum igitur errasse deprehenduntur ii, qui Augustam Vagiennorum cui» interpretati sunt locum, qui apud supra dictum Forum Fulvii, sive Valentinum, vulgo nunc vocatur Basignana ». Cfr. PrnL. CLOVER, Italia antiqua, Lugduni Bataviorum, 1624, I, 87. Gli storici contemporanei sono ormai concordi sulla identifica zione di Augusta Bagiennorum con l’odierna località di Bene Vagienna, in provincia di Cuneo, ove sono stati scoperti grandiosi avanzi dell’epoca romana. Vedasi, per tutti, T. SARTORI, Pollentia ed Augusta Bagiennorum, in Miscellanea di Storia Italiana, serie IV, voi. VIII. 12 Anche l’Olivieri considera il toponimo Bassignana « evidentemente derivato, con suffisso -ANA, dal gentilizio romano BASSINIUS ». Cfr. D. OLIVIERI, Dizionario di topo nomastica piemontese, Brescia 1965, 85. Il gentilizio Bassinius, per quanto raro, non è sconosciuto all’onomastica antica. Il « Thesaurus Linguae Latinae » (Lipsia 1900-1906) sotto il cognomen « Bassus » elenca anche la variante .Bassinius, -a, attestata da due titoli riportati in C.I.L., III, 5794 e 34067, nonché i derivati Bassedius, -a, e Bassenius, -a. “ La località sorgeva sulle rive del torrente Lemme, presso Capriata d’Orba e non lungi da Novi. Cfr. A. F. TRucco, Cartario dell’Abazia di Rivalta Scrivia, in BSSS., LIXLX; A. FERRETTO, Documenti genovesi di Novi e Valle Scrivia, in BSSS., LI-LII; P. LUGANO, I primordi della abbazia cistercense di Pdvalta Scrivia, in Julia Dertona, XLVI (1915); 5. CAVAZZA, Curtis Novarum, Tortona 1962.

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che l’Olivieri H cita fra i nomi locali derivanti da nomi di persona latini per mezzo dei suffissi -ano, -ago, -igo, ecc. Nel caso specifico, il toponimo viene fatto derivare dal nome di persona latino Bassinius con l’aggiunta del suffisso -ansi. Un ulteriore significativo esempio del toponimo in que stione ricorre nella stessa Francia ove, nel dipartimento della Haut Marne, nei dintorni di Chaumont esiste la località di Bassigny che in un diploma del 21 giugno 885 viene denominata Basiniacensis pagus.’5 An che in questo caso, evidentemente, ci troviamo di fronte a un nome locale foggiato sul gentilizio romano Bassinius con l’aggiunta del suffisso -acu.’6 Una volta accertata in via generica la romanità di Bassignana, rima ne da vedere quali altre prove specifiche si possono addurre per dimo strare che la località fu sede di un centro abitato dell’età romana. La prova decisiva è costituita da un gruppo di iscrizioni rinvenute in passato nel territorio del paese, e delle quali una soltanto è scampata alla dispersione. Si tratta della nota stele romana recante un’iscrizione dedicata a Sesto Emilio, figlio di altro Sesto, appartenente alla legione ottava. Scoperta in epoca imprecisata, la stele fu utilizzata come materiale di reimpiego nella muratura della facciata eretta nel sec. XVIII a ridosso dei vetusti avanzi della chiesa pievana di 5. Giovanni Battista. L’iscri zione fu pubblicata una prima volta da F. Negri ~ nel 1894, segnalata da C. Ricci 58 nel 1911 e nuovamente pubblicata e illustrata dal Peola” nel 1939, che ne curò pure il trasferimento presso il Museo Civico di Ales sandria, ove si trova tuttora. Sulla scorta delle precedenti segnalazioni, il Peola si recò a Bassi gnana nell’agosto del 1939 e subito si persuase che l’iscrizione non era incisa su una comune lastra di marmo, ma sopra un grosso blocco di li OLIVIERI, Saggio di una illustrazione generale della toponomastica veneta, Città di Castello 1915, 56. M.G.H., DipI. Regum Germ. ex stirpe Karol., t. IX, fasc. I, Karoli III Diplomata, Berlin 1936, n. 124, 197-8. ‘6 Osserviamo, per finire, che la pisi antica menzione del nome di Bassignana risale, sia pure indirettamente, a un placito del 14 mano 940 tenuto in Asti da tlberto, conte del contado di Asti, alla presenza di molti, tra i quali un certo « Gregorius de Baseniana » che è citato tra i vassaffi del predetto conte tiberto. Cfr. C. Msr~ArtrsI, I placiti del WRegnum Italiae”, Roma 1955, I, doc. 137, 513.19. F. NEGRI, Un’antica chiesa di Bassignana, in Riv. di storia, arte archeologia cit., IX (1894). ~ Cfr. « Elenco degli Edifici Monumentali » a cura del Ministero della PI., Pro vincia di Alessandria, sotto la voce Bassignana: « Chiesa del Cimitero con lapide murata sulla facciata ». lP p~ PEOLA, op. cit., 120 e sgg. Il testo dell’iscrizione è riportato a pagina 122.

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roccia che si poteva ritenere un cippo o una stele e che avrebbe potuto rivelare sulla superficie dei lati ingiobati nel muro della facciata altre iscrizioni o particolari tali da accrescere l’interesse del reperto. Dopo aver provveduto all’isolamento, ne risultò un blocco di pietra calcarea bianca lungo m. 1,92, largo m. 0,64 e spesso da m. 0,28 a 0,33. Nella parte superiore del blocco, immediatamente sopra la cornice che delimita il testo epigrafico, si notano evidenti le tracce di una corazza date da sei bandelle o striscie lunghe cm. 15 e larghe da cm. 3,5 a 3, le quali indicano esservi stata scolpita una armatura, una corazza ed un busto di dimensioni naturali. Segue poi la superficie destinata alla lapide, lunga cm. 92,5 e larga cm. 53, limitata da una cornice larga cm. 3,3 e data da tre righe parallele. Segue poi lo zoccolo lungo m. 0,68 a super ficie scabra, come piuttosto grezzo è tutto il blocco. Il Peola prosegue affacciando l’ipotesi che « più di un cippo si tratti di una stele, per l’accenno alla presenza di un busto dato dal fram mento di corazza, di una di quelle stele comuni nella valle padana e che nella parte superiore portano scolpite a mezzo rilievo il ritratto della persona ricordata ». È assai verosimile quindi che « si tratti di un ritratto a mezzo rilievo, perché il frammento di corazza che ancora rimane è scolpito nel blocco stesso, perché il blocco continua ai lati e tra esso ed il rilievo si vede la cavità scavata nel blocco stesso per dare rilievo al ritratto. Se si avesse avuto un vero busto, esso sarebbe stato isolato dal blocco e quindi dovrebbero mancare le parti laterali ». Circa il frammento di corazza il Peola sottolinea che « a difesa del soldato romano fu introdotto un tipo di corazza detta lorica, la quale era costituita da due parti: il pettorale formato da cinque a sette striscie metaffiche applicate su strisce di cuoio, cinte attorno al corpo e fermate le une alle altre mediante uncini e servivano alla difesa della parte del tronco dall’ombelico in su, poi da una serie di bandelle di cuoio appese verticalmente al pettorale, che servivano alla difesa dell’addome. Nella stele di Bassignana noi abbiamo solo la serie di bandelle di cuoio che servivano alla difesa dell’addome; abbiamo quindi un tipo di corazza comune, tipo che era ancora usato dai legionari durante il primo secolo dell’Impero. Da tale frammento di corazza non è possibile dedurre il grado che ricopriva Sesto Emilio, ma molto probabilmente esso era pro prio degli ufficiali e forse del centurione primipilo cioè del comandante del primo manipolo; il quale partecipava cogli ufficiali superiori al con siglio di guerra generale, cioè di uno dei comandanti di una parte cospicua della Legione ».

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L’iscrizione della stele è distribuita su tre righe ed è del seguente tenore: SE)(. AEMJLIO SEX• E. POM LEG- VIII

Dall’epigrafe dunque è possibile arguire che la stele fu eretta alla memoria di Sesto Emilio figlio di altro Sesto, della tribù Pomptina, appartenente alla legione VIII. Il Fraccaro, che diede per primo la esatta trascrizione del testo,~ si chiede giustamente come il Peola possa aver trascritto in modo errato l’epigrafe, che è assolutamente integra e chiaris sima in ogni sua parte.21 L’errore è tanto più grave in quanto il Peola è indotto a chiedersi per qual motivo a Sesto Emilio sia stata eretta una stele con busto, « non potendosi ammettere che essa fosse la semplice espressione della pietà dei suoi famigliari ». Egli pertanto sostiene l’ipotesi che il monumento sia stato eretto attorno al 182 a.C. in onore di un ufficiale dell’esercito romano impegnato nelle operazioni militari contro le popolazioni liguri del territorio cispadano. A prescindere da ogni altra considerazione, è quanto mai evidente che tale ipotesi è del tutto peregrina e destituita di ogni fondamento. Basterebbe a smentirla il fatto che l’iscrizione menziona la tribù Pompti na, alla quale la colonia di Dertona fu ascritta dopo la sua deduzione avvenuta, come sappiamo, tra il 122 e il 118 a.C. D’altra parte, i carat teri epigrafici dell’iscrizione, in nitide lettere capitali ad incisione regolare e profonda, provano che la stele risale al I sec. d.C., vale a dire due secoli dopo la data erroneamente indicata dal Peola. L’appartenenza di Bassignana al territorio della colonia di Dertona è provata da una seconda iscrizione romana nella quale ricorre la men zione della tribù Pomptina. Tale iscrizione fu scoperta nell’anno 1781 dallo storico pavese Siro Severino Casponi il quale, recatosi a Bassignana per copiare le iscrizioni romane colà esistenti, nel giardino del palazzo Beffingeri Provera ebbe la venwra di rintracciare questo titolo epigra fico: ~ P. ~‘

FRACCARO, La colonia... cit., 133, nota 32. La lettura del Peola, errata, è la seguente: SEX ARMILIO

SEX POM I LEGIO

VIII’. Il testo qui riprodotto è quello del Momznsen (C.I.L., V, 2, 7445) che giustamente rettifica la lezione del Capsoni alla terza riga, supplendo la L. di Lucii. L’iscrizione è attualmente introvabile.

LETÀ ROMANA

27 P CORNELIO P. F SOLICIO• POM .

.

VRVINAE. L F EXSOMNAE L• CORNELIVS . E E SOLICIVS PATRI . ET . MATRI .

L’interpretazione di questa iscrizione ci viene data dallo stesso Ca i2’ il quale osserva che il monumento fu innalzato da Lucio Cornelio Solicio figlio di Publio alla memoria del padre suo, figlio di altro Publio e ascritto alla tribù Pomptina, nonché della madre sua Urvina Exsomnia figlia di Lucio. Altra iscrizione romana già esistente a Bassignana e trasportata a Milano in casa di Prospero Visconti verso la fine del sec. XVI, è la seguente: 24 Q METTIVS .

SP E. STABILIO VIXSI FrVGI PRIMMEP .

.

Assai controversa è l’interpretazione del testo, in quanto la lettura della terza e della quarta riga è del tutto insoddisfacente. Evidente mente, la trascrizione del Morigia contiene alcuni errori dovuti forse al cattivo stato di conservazione dell’epigrafe. L’unico dato positivo che se ne può ricavare, quindi, è la menzione di Quinto Mezzio Stabilione figlio di Spurio?5 É infine da segnalare la seguente iscrizione, anch’essa purtroppo dispersa, che il Mommsen assegna a Bassignana: 23 5~ 5~ CAP50NI, Memorie istoriche della Regia Città di Pavia e suo territorio antico e moderno, Pavia 1782, I, 246 e tav. IV, n. 1. 24 P. M0RIGIA, Historia dell’antichità di Milano, Venezia, Guerra, 1592, 597; 5. 5. CAPSONI, op. cit., I, 246 e tav. IV, n. XIV. Il testo qui riprodotto è quello suggerito dat Mommsen, C.I.L., V, 2, 7446. La lezione del Morigia, accettata dal Capsoni, è invece la seguente: Q. METTIUS Il SP. E. STABILIO I VIXSI F1JGI Il PR. IM. ME. P. Anche questa iscrizione, purtroppo, è attualmente introvabile. “ 5. 5. Cspsor’ii, op. cit., I, 246: « Sino a un certo segno può ciascheduno far l’in terprete che Quinto Mezzio figliuolo di Spurio detto Stabilione sia vissuto a breve tempo fra noi, ed abbia, per cosf dire, salutato appena di fuga questo basso mondo. Ma quelle sigle, che vengon dopo non sono cosf facili a interpretare, né ‘I giuoco varrebbe, come i francesi dicono, la candela ». C.I.L., V, 2, 7444; 5. 5. CAPSONI, op. cit., I, 245 e tav. III, n. XI. L’iscrizione non fu veduta direttamente n~ dal Capsoni né dal Mommsen, ma il testo fu ricavato da fonti manoscritte pli antiche, citate dal Mommsen stesso, che recano l’indicazione di pro venienza « in territorio Papiae apud montem Besignanum », « in ripa Tanagri prope montem

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LOCVS L• M CATIORVM SEX F ET TERENTIAR M F~ SEC VND ET~ TITIAE L F POSTVMAE ET M CATI L~ F IN FRONT~ I’ XXXXV IN~ AGR• P XXXV .

.

.

.

.

-

L’epigrafe è particolarmente interessante, perché doveva essere in cisa su un cippo che indicava il luogo di sepoltura di Lucio Marco, figlio di Sesto, appartenente alla gens dei Catii (assai diffusa nella Gallia Cisal pina), di Terenzia Seconda figlia di Marco, di Tizia Postuma figlia di Lucio e di Marco Catio figlio di Lucio. L’epigrafe ci dà anche le misure precise dell’area sepolcrale della famiglia dei Catii: 45 piedi di lar ghezza e 35 piedi di profondità. E poiché il piede romano equivale a circa m. 0,295, l’area di natura sacra riservata all’eterna pace dei Catii doveva avere un’estensione di circa m. 13,27 x 10,32. Le testimonianze epigrafiche sin qui richiamate dimostrano chiara mente che, in età romana, Bassignana fu località di una certa importanza, quale luogo abituale di residenza di famiglie romane d’una certa noto rietà e di veterani delle legioni romane che, abbandonato il servizio at tivo, presero stabile dimora nella villa adagiata sulla sponda destra del Po. Bassignana, d’altra parte, dovette essere un nodo stradale di una certa importanza, collegato a un tronco secondario che poneva in comu nicazione Valentia con Dertona. Osserva difatti il Fraccaro che la linea retta « segnata da strade secondarie e da rogge fra la cascina Passalac qua e le immediate adiacenze di Grava, rappresenta con ogni probabilità una strada antica, che da Tortona andava ad un valico del Tanaro »?~ È molto significativo il fatto che, anticamente, questo relitto stradale Castellum in altari 5. Iobannis Hierosolymitani », « in agro Alexandrino ad montem Castrum in tipa Tanari fluvii ». Queste indicazioni piuttosto imprecise e in parte contrad. ditorie hanno indotto qualcuno a sostenere cbe l’iscrizione in parola era collocata in una chiesa di Montecasteljo dedicata a 5. Giovanni, forse corrispondente alla attuale chiesa parrocchiale. A parte il fatto che l’Ordine Gerosolimitano possedeva beni a Montecastello, va osservato che una chiesa dedicata a 5. Giovanni esisteva invece a Bassignana, località che effettivamente era ubicata « in ripa Tanagri », fiume che scorreva a notevole distanza da Montecastello. Per queste ragioni, deve considerarsi accettabile l’attribuzione della epigrafe in parola a Bassignana sostenuta dal Mommsen. A Montecastello apparteneva invece un’altra iscrizione, malamente trascritta ma indubbiamente romana, già esistente « in aede .Matris Virginis quam de Vale dicuni inter colles baud longe a Monte Castello ». Cfr. E. ASTOIU, Montecastello e la sua rocca, Alessandria 1932, 16. “ P. Frucc.uio, La colonia... cit., 137. Sulla tavoletta 70 I NO Sale essa è indicata col nome « Strada Vecchia di Valenza». Vedasi, per maggior chiarezza, la tavola 2 annessa al presente volume.

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veniva denominato Strada Vecchia di Valenza. Ciò dimostra che la stra da, partendo da Dertona, dopo aver varcata la Scrivia nei pressi del ponte attuale puntava in linea retta verso Grava, ove piegava legger mente verso ponente in corrispondenza di un antico passaggio sul Tanaro, Da questo punto, rasentando Bassignana, la strada doveva certamente proseguire verso Valentia passando nella regione Pellizzari, ai piedi della collina di Pecetto. Quivi, attorno al 1907, fu trovato a notevole profon dità il selciato di una strada romana ~ che evidentemente era un relitto dell’arteria stradale che poneva in comunicazione diretta Valentia con Dertona?’ È assai verosimile l’ipotesi che da questa arteria si staccasse un’ulteriore diramazione che, varcato il Po a Bassignana, si doveva adden trare nella regione lomellina. Non si può escludere che l’importanza strategica del luogo sia stata meglio apprezzata verso la fine dell’impero romano. Sappiamo che ai tempi di Costantino numerose colonie militari di Sarmati, da poco scon fitti sul medio corso del Danubio, furono stabilite nel territorio torto nese e nell’acquese. Cominciava cosi quel processo di lenta penetrazione dei Germani nelle Me dell’esercito e nelle alte cariche militari, che doveva rivelarsi esiziale per l’esistenza stessa dello Stato. La Notitia Dignitatum Occidentis ricorda un centro di Sarmatae .gentiles collocato Aquis sive Tertona nella prima metà del V secolo. La stessa toponomastica dell’agro tortonese menziona un Sarmasa presso Cantalupo Ligure, un Salmoria presso Ronco Scrivia e un Sermoria pres 2$ F. GA5PAR0L0, Memorie Storiche Valenzane, Casale Monferrato, 1923, I, 17, nota 2: « Ai piedi della collina di Pecetto, località detta ai Pelizzari, circa una quindicina d’anni addietro, fu trovato dal geom. Villa, di Pecetto, ad una notevole profondità il sel dato di una strada romana. Venne invitato il Sig. Ing. Comolli (che mi favorf tale notizia) a recarsi a visitare la scoperta, ma non poté, per le sue occupazioni, aderire all’invito ». “ Interessanti considerazioni sulla strada romana che, risalendo la sponda destra del Po, univa Bassignana ad Augusta Taurinorum attraverso Valentia, Vardacate, Quadratula e Industria, sono in A. A. SETTIA, Strade romane e antiche pieni fra Tanaro e Pa, in Bollett. Storico.Bibliografico Subalpina, LXVIII (1970), specialmente a pagina 33 sgg. Sarebbe interessante stabilire a quale epoca risale la costruzione di questa strada, ma il problema non è di facile soluzione. £ evidente comunque che la sua costruzione è in stretta relazione con la fondazione di Valentia. Questo centro è senza dubbio pit~ antico del Forum Fulvii, sorto con la costruzione della Via Pulvia avvenuta nel 125 o 124 a.C. La celebre espressione di Plinio (ITT, 5, 49) che parla del « Forum Fulvii quod Valentinum » deve certamente interpretarsi nel senso che al Forum Fulvii metteva una strada che congiungeva Valentia alla Via Fulvia. Ad ogni modo, anche se nel I sec, dell’Impero il Forum Fulvii eta autonomo e staccato da Valentia, il fatto che tale centro veniva detto Valentinum pro verebbe che Valentia era pit antica del Forum.

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so Gavi, il che induce a credere che tali colonie avessero una diffusione ancora maggiore nel territorio. È noto del resto che la Notitia menziona un « prae/ectus Sarmatarum gentilium Foro!ulviensi », che aveva forse giurisdizione su un vasto territorio. Da questa praefectura dipendeva probabilmente anche lo stanzia mento di Sarmati di cui la toponomastica ci ha conservato il ricordo in territorio di Borgo 5. Martino, che anticamente aveva appunto il nome di Sarmatia)° Anche Valenza fu probabilmente sede di analogo stanzia mento, al quale sembra alludere la denominazione tuttora viva di Via dei Sarmati. Questo discorso consente di prospettare come probabile la presenza di una colonia sarmatica anche in territorio di Bassignana. La località, come vedremo, fu successivamente sede di uno stanziamento militare longobardo, ma noi sappiamo che i Longobardi trovarono nella zona le tracce di un’organizzazione militare di antica e non spenta tradizione, di cui in molti casi ricalcarono gli schemi. La stessa destinazione di molta parte del territorio al fisco longo bardo ebbe chiari precedenti nei praedia regalia del periodo gotico, quan do nuclei di popolazione di stirpe gotica si stabilirono lungo la linea del Po, distribuiti ad arco tra Sale e Valenza.31 Il luogo di Sale, nelle carte medioevali, è sovente associato ad un centro variamente denominato Goido, Goide, Gude, il quale, anche se non si identifica territorialmente con Sale, a questo era però vicinissimo. Fuori dell’abitato di Sale esiste ancor oggi una cascina Goide che costi tuisce certo l’unica traccia dello stanziamento gotico. Una cascina Gota è anche nelle immediate adiacenze di Valenza, presso il Po. Entrambi i toponimi fanno pensare ad altrettanti stanziamenti gotici posti a pre sidio della sponda destra del Po e destinati al tempo stesso a controllare il passaggio del fiume e le vie di comunicazione tra l’agro tortonese e la Lomeffina. F. GASPAROLO, O)). Lt., 18. Il numero presumibilmente elevato dei Goti è giustificato dalla particolare liii portama militare del territorio. In tempo gotico Tortona era importantissima stazione militare e costituiva, con Ticinum, uno dei principali centri di ammasso delle scorte fru mentarie. Cassiodoro (Variae, X, 27; XII, 27) ricorda le « copiae repositae » che uscivano ripartite « ex horreis Ticinensibus aique Dertonensjbggs ». Nel 507-511 Teodorico si rivolge « Universi,, Gothis et Romani,, Dertona consistentibus », preoccupandosi dello stato di efficienza del castrum e della sistemazione delle guarnigioni nel fortilizio: « castrum iuxta vos positum praecipimu,, communiri... decernimus ut domos vobis in praedicio castello alacriter construatis » (ivi, I, 17). ‘°

DALLE ORIGINI CRISTIANE ALLA PIEVE

La leggenda è gentile, poetica. Narra dello stupore di uomini sem plici che, abbandonata ogni altra cura, mossero incontro a Siro, primo vescovo di Pavia, venuto a Bassignana per annunziare alla popolazione il Verbo di Cristo. Lo storico pavese Bernardo Sacco, che scrive nella seconda metà del Cinquecento, riferisce questa tradizione arricchendola di molti parti colari.1 Egli racconta dunque che nell’anno 73 dalla nascita di Cristo il B. SAcco, op. cit., cap. VI, 112: « Anno igitur ab onu Domini lesu Christi ferme septuagesimo tertio, Neronis, ut dixi, prostrata tyrannide, Syrus in Ligures profectus, Tanari amnis accolas primum adivit, ratus gentem ipsam antiqua consuetudine Ticinensibus coniunctam, facile ad Ticinensium imitationem fidem suscepturam: initiumque praedicandi in oppido Bassignana fuit. Est autem Bassignana (ut vulgato verbo utar) antiqua, nobilisque colonia... Isthuc ergo delatus Syrus, non se oppidusn, sed civitatem intueri dixit. Aderant viri aetate, aspectu, moribusgue conspicui, iuventus frequens, ac permodesta: matronae ornatae, artifices seduli, ac curiosi: qui ubi adesse Syrum Ticinensium Episcopum conspexerunt, populatim accurrunt, bominem hospitio recepturi: nam si hospitalitas in ullo viget loco, isthic viget: famainque munificentiae Bassinanitae habent. Ille hospitio laute receptus, adventus sui causam enarrat: auditur semel atque iterum; tandemque pro parente, ac institutore suscipitur. Opportuna autem maxime ea profectio Syro fuit, Vespa siano mitissinio principe Imperium ineunte, minusque ad Christianorum pernitiem studente: ususque temporis commodo, diu circa Padi accolas Tanaro amni finitimos ad fidem vertendos moratus est: nulloque se opponente magistratii, perfecit opus, et triangularem regionem, quam Padus a Septentrione alluvit, ab Oriente Tanarus, a Meridie vero Statielenses campi attingunt: ad Christianam religionem traduxit, et sub istius sanctae fidei vinculo cum Ticino coniunxit, omniaque dia oppida, et pagi usque in praesens tempus Syri religionem, ac nomen celebrant; et Ticinensis dioecesis se esse asseverant: ut Valentia, olim Valentium insigne oppiduin, Pizetum, Ticinetum, Pomarium, Mugaronium, Moncastel lius, Riparonium, Petra Mancia, Pavonium, et ala. Fama autem illius viri latius diffusa, impulit Ligusticos populos cina Tanarum positos ad eum audiendum; et ut commodius audirent, accersendum: primosque Pioperanos ferunt... Syrum accersitum studiose audivisse, coluisseque, et Mci dogmata tenuisse. Quid memorem Saleum nobile oppidum? Cuius viri, mulieresque accedenti Syro obviam prodiere, reveritique illum sunt, solo hominis aspectu, ac gravitate commoti: ubi vero eum audierunt dicro confestim omnes assenserunt Sed ad Syrum redeo, qui ratus illius temporis tranquillitatem Christianis diuturnam non fore, regressus ad pagos, et oppida, in quibus fidei nostrae disciplnam seminaverat, populos in religione firmavit, diuque Bassinaniae sedens, circumvicinos populos in religione continuit. Quorum tamen omnium religionem Bassinania superavit, non soluni in ipso Syro,

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vescovo Siro si inoltrò nel territorio abitato dai Liguri per annunziare la buona novella alle popolazioni abitanti attorno al Tanaro. Bassignana fu la prima meta del viaggio, e Siro si meravigliò molto di trovare non un semplice borgo, ma una vera e propria città. Il luogo era abitato da uomini che incutevano rispetto per età e portamento, da giovani numerosi e modesti, da matrone virtuose, da artigiani laboriosi. Come s’avvidero dell’arrivo del vescovo Siro, gli abitanti accorsero in massa e lo accolsero con maniere ospitali, ascoltando più e più volte la sua parola ispirata come fosse quella d’un padre e d’un maestro. fncoraggiato dai positivi risultati di questo primo incontro con la popolazione locale, S. Siro si soffermò a lungo presso i centri ubicati presso le rive del Po e del Tanaro, continuando la sua opera di predica zione. Non incontrando alcun ostacolo da parte delle autorità, 5. Siro poté portare a termine la sua missione convertendo alla fede cristiana i villaggi della regione che, a mo’ di triangolo, si stende fra il Po, il Tanaro e l’agro acquese. Le località convertite al Verbo di Cristo furono accolte nel seno della diocesi pavese, e mostrarono sempre particolare venerazione per il loro primo evangelizzatore: cosi Valenza, Pecetto, Ticineto, Pomaro, Mu garone, Montecastello, Rivarone, Pietra Marazzi, Pavone e altri luoghi ancora. La fama del vescovo Siro si diffuse immediatamente anche presso le popolazioni abitanti sulla destra del Tanaro, che accorsero a udire la sua parola, soprattutto da Piovera e Sale. Nel timore che la pace goduta dal Cristianesimo nella regione non dovesse durare a lungo, 5. Siro ritornò negli stessi luoghi e prese resi denza a Bassignana, confermando nella fede le genti da poco convertite al Vangelo. Gli abitanti di Bassignana però superarono tutti gli altri per l’ardore della loro fede, non solo accogliendo liberamente 5. Siro e ascoltando le sue esortazioni finché fu in vita, ma anche dopo la morte di lui spinsero la loro generosità sino a donare molti beni e diversi red

dum in liumanjs fuit, liberalitei- recipiendo, ac observando: sed filo etiam mortuo in bonis suis eius Ecclesiae conferendis, eademque bona Ticinensi Ecclesiae supponendo ac censualia constituendo. Cuius religionis causa Deus omnipotens ipsius Ecclesiae princeps, quandiu religio in populo viguit, tandiu ci rerum suarum successum, ac quiete tribuit: Roruitque Bassinania viris, quos neque Roma in suis magistratibus, neque Apostolica sedes dedignata fuit: quos quidem si recensuero viros, scientia, ac religione conspicuos, praesens historia Bassinanita fiet, ipsorum numero volumen occupante ». La tradizione relativa alla assenta « apostoilcità » di S. Sino è talmente radicata che è stata ancora sostenuta agli inizi del secolo da P. Mont~GnI, La tradizione di S. Sito nell’Alessandrina, in Riv. di storia, arte, archeologia cit., X (1901), 137 e sgg.

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diti alla Chiesa di Pavia. Dio premiò tanta generosità, perché in ogni tempo fece fiorire a Bassignana un gran numero di uomini insigni per sapere e attaccamento alla religione, tanto che per raccogliere le loro gesta ci vorrebbe un volume. Questa, almeno, è l’opinione del Sacco. La tradizione ora riferita incontrò sempre larghissimo e incontra stato credito, tanto che ancora oggi essa è generalmente diffusa e accet tata in tutti i luoghi che la tradizione stessa pretende evangelizzati da 5. Siro, massime a Bassignana. La critica storica contemporanea però ha ormai dimostrato che il racconto riferito dal Sacco è privo di qualsiasi fondamento concreto, e va pertanto relegato nel regno delle leggende. A dimostrare l’assoluta carenza di fondamento storico della tradi zione può bastare l’osservazione che il più antico racconto biografico riguardante 5. Siro, ricco a sua volta di notizie in gran parte fabulose, non reca alcun accenno alla pretesa evangelizzazione del territorio fra Po e Tanaro da parte di S. Siro. Tale osservazione ha un peso grandissimo, perché la raccolta delle gesta attribuite al protovescovo 5. Siro, nota come Cronaca di S. Siro, risale con certezza all’epoca longobarda, il che dimo stra in modo incontestabile che la formazione della tradizione riferita dal Sacco risale ad epoca ben più recente, forse ai primi secoli dopo il Mille. Del resto, è ormai noto da tempo che i dati biografici autentici su 5. Siro sono cos{ scarsi che, praticamente, si riducono alla constatazione che egli inaugurò la serie dei vescovi di Pavia e pontificò verso la metà del sec. IV. Tutto il resto appartiene al regno delle leggende: leggenda il fatto che egli fosse il fanciullo che offri a Cristo i pani e i pesci poi miraco losamente moltiplicati; leggenda che egli sia vissuto in età apostolica e sia stato, sia pure indirettamente, discepolo di 5. Marco attraverso la mediazione di 5. Ermagora; leggenda, infine, che egli abbia diffuso per primo il Cristianesimo a Pavia e nelle regioni circostanti. Tutte queste cose si leggono nella Cronaca di 5. Siro, ma noi sap piamo che la redazione di questo testo risale all’età longobarda, ad un’età cioè ben lontana dai tempi in cui visse 5. Siro. All’autore di questa raccolta di leggende interessava una cosa soltanto: dimostrare la miracolosa vita e la grandezza del protovescovo pavese e la dignità della Chiesa di Pavia, e precisamente una dignità e una tradizione quali pos sono vantare solo le chiese metropolitane. Ora, noi sappiamo che agli inizi del sec. VIII, col favore dei re cattolici Pertanto e Cuniperto, della famiglia di Teodolinda, e con l’aiuto

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di un gruppo di missionari di origine orientale, ebbe inizio l’effettiva estinzione dell’eresia ariana, che a Pavia culminò con la conversione alla fede cattolica del vescovo ariano Anastasio, divenuto poi vescovo cat tolico della città. Allora Roma, valutando nella condizione di Pavia piut tosto l’aspetto di capitale del popolo longobardo che di antica suffra ganea del metropolita milanese, decise appunto di trattare la sede episco pale di Pavia come una sede missionaria e a cominciare da Damiano, eletto vescovo pavese attorno al 681, riservò al metropolita di Roma la consacrazione del successore di 5. Siro. [I vescovo Damiano è perciò investito di una missione che supera i confini della vecchia diocesi e in un certo senso, osserva il Bognetti,2 si estende ovunque vi siano eretici e scismatici da ridurre all’ortodossia, soprattutto nelle terre della provincia ecclesiastica aquileiese che fu il centro del movimento scismatico dei Tre Capitoli. Ad assicurare una posizione di prestigio alla sede di Pavia, soprat tutto nelle terre aquileiesi, si formò allora la leggenda che 5. Siro, primo vescovo di Pavia, sia stato un discepolo di 5. Ermagora ad Aquileia, discepolo di 5. Pietro apostolo. È molto significativo, conclude il Bo gnetti, questo saldarsi delle terre orientale colle occidentali e questa specie di gerarchia che mette capo al primo vescovo di Roma, come affermazione di quella unità a raggiungere la quale bisognava che Aqui leia rinunciasse allo scisma e i Longobardi al loro arianesimo. L’età della sede vescovile di Pavia viene cosf elevata ad una que stione di prestigio, e la prova di una pretesa figliazione spirituale da una metropoli considerata molto antica, cioè da Aquileia, viene addotta me diante una falsificazione per dimostrare che Pavia sarebbe arrivata alla fede cristiana senza alcuna cooperazione da parte di Milano, che si arrogava i diritti di Metropolita. Questa, in pratica, è la conclusione che si è indotti a trarre dalla Cronaca di S. Sito, con la quale il suo ignoto estensore si proponeva di dimostrare la completa indipendenza della sede vescovile pavese da Milano e quindi protestare indirettamente contro il rapporto di suffraganea di fronte alla città vicina, rapporto che indubbiamente continuava a sussistere come prima nonostante la consa crazione del vescovo di Pavia fosse stata avocata a sé dal metropolita di Roma.3 G. P. Boi~r~EnI, Le origini della consacrazione del vescovo di Pavia da parte del pontefice romano e la fine dell’arianesimo presso i Longobardi, in Atti del IV Congresso Storico Lombardo, Milano 1940, 131. E. Hopp, Pavia und seme .Biscbàfe in Mittelalger, Pavia 1943, cap. I.

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Rimane ora da vedere che cosa si può concludere, in base alle osser vazioni ora svolte, circa la pretesa « apostolicità » di 5. Siro, indicato dalla tradizione come primo diffusore della fede cristiana nel territorio della diocesi pavese. Gli elementi in nostro possesso consentono di stabilire che il vesco vo Siro visse presumibilmente nella prima metà del sec. IV, come prova appunto l’epigrafe incisa sul suo avello sepolcrale, che presenta i caratteri della prima metà di quel secolo. Sappiamo inoltre che già prima dell’episcopato di 5. Siro esisteva a Pavia una comunità cristiana che risulta già costituita agli inizi del IV secolo. Lo dimostra il fatto che 5. Martino, vescovo di Tours, da fan ciullo fu educato a Pavia alla religione cristiana e, nei primi decenni del sec. IV, fu accolto come catecumeno nella Chiesa pavese. La stessa tradi zione relativa a 5. Dalmazio, sfrondata di tutti gli elementi leggendari, prova che una comunità cristiana esisteva a Pavia nei primi anni del sec. IV. Non può quindi essere stato 5. Siro a portare per primo la religione cristiana nel territorio pavese, sul quale peraltro egli esercitò per primo le prerogative episcopali verso la metà del sec. IV. È assai verosimile quindi, come ritengono il Lanzoni e il Savio, che la fondazione della sede vescovile pavese risalga al 343 circa, dopo il Concilio di Sardica. Per il periodo anteriore si può pensare che le diverse città dell’Italia settentrionale fossero affidate alle cure di un vescovo regionale residente a Milano. Verso la metà del sec. IV questa città diventò effettivamente metropoli ecclesiastica del Vicariatus Italiae, dalla quale naturalmente dipendeva anche la sede episcopale pavese da poco fondata, sino a quando Pavia riusci ad affrancarsi dalla soggezione milanese per assumere la posizione di diocesi esente.4 Il breve quadro ora delineato consente di concludere che l’evange lizzazione del territorio di Bassignana e dei centri limitrofi non risale certo ai tempi apostolici, come pretende invece la tradizione. Si può anzi escludere che l’introduzione del Cristianesimo nella regione tra Ta naro e Po sia opera di 5. Siro, vissuto in epoca nella quale la nuova religione doveva già contare numerosi adepti nella popolazione locale. È vero, d’altra parte, che nella regione considerata il culto a S. Siro ebbe una diffusione grandissima, tanto che se ne conservano tuttora cospicue tracce. Peraltro, è appena il caso di notare che la dedicazione di chiese e l’introduzione del culto a 5. Siro non possono essere riferite Per tutta la problematica relativa cfr. E. Hopr, op. cit., cap. 1.

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ad una età molto antica. Tali fenomeni sono evidentemente da ricondurre ai secoli attorno al Mille, quando la Chiesa pavese ottenne in donazione estesi possedimenti terrieri ubicati in molte località a sud del Po, presso la confluenza del Tanaro. Queste località furono immediatamente sotto poste alla giurisdizione ecclesiastica del vescovo di Pavia, secondo una prassi che è stata costantemente applicata ovunque la Chiesa pavese fosse proprietaria di beni.5 Sulle terre sottoposte al proprio dominio temporale e spirituale, era ovvio che la Chiesa pavese introducesse il culto del santo protovescovo patrono della diocesi.’ Sgombrato il campo dalle leggende, rimane ora da vedere quando e come il Cristianesimo sia arrivato a Bassignana e nella regione limi trofa. Purtroppo, i dati in nostro possesso sono cosf scarsi ed incerti da indurci alla massima prudenza. Si può pensare, e la cosa appare assai verosimile, che la nuova religione abbia trovato il suo epicentro di diffu sione a Dertona, città parecchio importante in età romana e collocata all’intersezione di numerose strade che, in ogni tempo e in ogni luogo, si sono sempre dimostrate le direttrici obbligate attraverso le quali afflui vano le nuove correnti di pensiero, massime quelle di natura religiosa. Anche a Tortona la gerarchia ecclesiastica si deve essere organizzata in modo stabile nella prima metà del sec. TV,7 ma prima d’allora doveva Casi analoghi a quello citato si sono verificati con molta frequenza nell’Oltrepà Pavese, il cui territorio era diviso, ecclesiasticamente, fra le diocesi di Piacenza e di Tortona. Quando i vescovi di Pavia ricevettero in donazione dai sovrani qualche località dell’Oltrepò, vi estesero immediatamente la propria giurisdizione spirituale, incorporandola nella diocesi di Pavia. Per spiegare la dipendenza di alcune località del territorio attorno a Valenza dalla diocesi di Pavia, il Gabotto ricorre ad una ipotesi che è da ritenere inac cettabile. Egli sostiene infatti che una parte del territorio dell’antico municipio valenti. nate, con Valenza stessa, passò sotto la dominazione longobarda sin dai tempi di Alboino o Cieli, e fu aggregata amministrativamente al ducato (sic!) di Lomello ed ecclesia sticamente al vescovato di Pavia. La rimanente parte del territorio valenzano sarebbe invece rimasta in mano ai Bizantini sino alla successiva conquista longobarda. Cfr. F. GASOTTO, I municipi romani dell’italia Occidentale alla morte di Teodosio il Grande, in Studi sulla storia del Piemonte avanti il Mille, in BSSS., voi. XXXII, Pinerolo 1908, 272 e sgg. Sarebbe facile contestare questa tesi, ma non è questa la sede piti adatta. È comunque sufficiente sottolineare che la giurisdizione della Chiesa pavese fu estesa alle località in parola soltanto in seguito alle cospicue donazioni di terre nelle località predette, come già accennato in precedenza. Anche nella diocesi di Milano i possessi dell’arcivescovo e quelli dei suoi vassalli furono facilmente contrassegnati dalla dedicazione della cappella locale al patrono della diocesi, il cui culto fu introdotto e diffuso un p0’ dovunque proprio attorno ai sec. X. Contro questa tesi cfr. F. ALESSIO, Le origini del Cristianesimo in Piemonte, in Studi sulla storia del Piemonte avanti il Mille cit., 3 e sgg. L’autore sostiene, nonostante gli argomenti contrari addotti dal Savio e da altri, che la sede vescovile di Tortona, inaugurata secondo la tradizione da 5. Marziano, esisteva già nel TI secolo. La tesi

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già esistere una forte comunità cristiana che, animata dallo zelo missio nario e dal fervore mistico che è carattere tipico dei neofiti, dovette certo propagare la nuova fede nell’agro tortonese. E poiché Bassignana, in età romana, apparteneva appunto al territorio municipale di Dertona, deve considerarsi pacifica la sua figliazione spirituale dalla primitiva co munità cristiana tortonese e la sua dipendenza dalla relativa sede vesco vile, quando questa fu eretta stabilmente. Ecclesiasticamente, dunque, non sembra da revocarsi in dubbio l’originaria dipendenza di Bassignana dal vescovo di Tortona, dipendenza che dovette continuare ininterrottamente sino al sec. X, quando la loca lità fu incardinata nella diocesi di Pavia per le ragioni già accennate in precedenza. Se poi volessimo determinare con maggiore approssimazione l’epoca dell’effettiva introduzione del Cristianesimo a Bassignana, ogni nostro tentativo sarebbe sterile e vano. E noto del resto che, su questa fase tanto oscura della storia della Chiesa, siamo cosf scarsamente informati da poter procedere solo per induzione. In ogni caso, il quadro della diffusione della fede cristiana nell’Italia superiore, ricostruito attraverso gli scarsi indizi faticosamente rintracciati, permette di concludere che nelle campagne la nuova religione era già stata introdotta nel IV secolo, ma è soltanto nel secolo seguente che essa comincia a darsi una propria organizzazione mediante l’istituzione delle pievi rurali, subordinate all’autorità dei vescovi. Non è il caso, in questa sede, di richiamare il concetto di pieve e di accennare alle successive trasformazioni cui andò soggetto tale isti tuto nel corso dei secoli.8 Basterà ricordare che l’organizzazione plebana, nell’Italia superiore, cominciò a costituirsi soltanto agli inizi del sec. V, ma il processo di formazione continuò per qualche secolo ancora.9 Essenzialmente, la pieve era una istituzione religiosa, con funzioni di culto, a cui faceva capo tutto il popolo di un distretto che spesso coincideva con l’ordinamento territoriale civile. La pieve dunque aveva è

da respingere, soprattutto tenendo conto delle giudiziose osservazioni del Savio, che nega assolutamente l’esistenza della sede vescovile di Tortona prima della metà del sec. IV. Cfr. F. SAVIO, Gli antichi vescovi d’italia, Torino 1898; ID., Le origini della Diocesi di

Tortona, Torino 1903; Io., San Marziano e la Diocesi di Tortona, Alessandria 1903. Sull’origine e l’evoluzione delle pievi rurali cfr. G. FORCHIELLI, I.j piave rurale, Roma 1931, e G. SANTINI, “I Comuni di Pieve» nel medioevo italiano, Milano 1964, ai quali studi si rinianda anche per la copiosa bibliografia concernente l’argomento. A. PALESTRA, L’origine e l’ordinamento della Pieve in Lombardia, in Archivio Storico Lombardo, XC (1963), III, 358 e sgg.

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una struttura organizzativa analoga a quella delle città, ove ogni singola chiesa minore faceva capo alla cattedrale. Nelle campagne, questo ufficio fu assunto dalla chiesa pievana, solitamente ubicata nel pagus, dalla quale dipendevano le chiese minori o cappelle sparse nei via che facevano capo al pagus stesso. A capo della chiesa pievana era di regola l’archj presby:er, che risiedeva stabilmente in una canonica eretta accanto alla chiesa e al battistero. Con lui facevano vita comunitaria i presbyt~’,j o canonici, cioè i sacerdoti che attendevano alla cura d’anime dei loro vici. Sotto la spinta della legislazione carolingia, presso la canonica prese pure a funzionare la scuola nella quale venivano formati i futuri sacerdoti. A tutta l’organizzazione pievana presiedeva l’archipresbyter, il quale dirigeva la cura d’anime, ammetteva alla tonsura i clerici idonei al ser vizio divino, amministrava i beni della pieve, raccoglieva le decime su tutto il territorio relativo. Tutti i fedeli dipendenti dalla circoscrizione pievana, a loro volta, dovevano convenire alla pieve per gli atti di giu risdizione sacramentale, i riti battesimali, i funerali, le celebrazioni della Settimana Santa, le Litanie o Rogazioni, e per tutte le feste indicate dal martirologio locale. Noi sappiamo che Bassignana fu sede di una pieve che possiamo supporre molto antica, come induce a credere il titolo della sua chiesa, dedicata a S. Giovanni Battista. Le chiese dedicate a questo santo risal gono solitamente all’età longobarda,10 ma nel caso di Bassignana si può pensare ad epoca assai più remota. Il titolo della chiesa poi è chiaramente indicativo di una delle prero gative peculiari della chiesa pievana: quella appunto di amministrare il battesimo agli abitanti del territorio soggetto alla sua giurisdizione, Per questo, ogni pieve era di regola accompagnata da un battistero, costituito da un edificio (solitamente a pianta centrale) annesso alla chiesa ma da questa distinto. Sembra che da noi la pieve abbia raggiunto il suo stabile assetto sol tanto in età carolingia, quando la circoscrizione territoriale della chiesa pievana si venne a fissare entro confini ben definiti, che ordinariamente ricalcano le divisioni territoriali civili.1’ Nel caso di Bassignana peraltro, Ivi. Circa le relazioni fra l’antica organizzazione civile romana e quella ecclesiastic,~ esiste una teoria secondo la quale le diocesi coincidono coi municipia romani, le pievi coi pagi e le parrocchie coi vici. I maggiori sostenitori di questa teoria furono gli storici della scuola piemontese (per la bibliografia relativa cfr. G. FORcHIELLI op. cii., 38-41). Anche al Beloch del resto balenò la stessa intuizione, quando pensava alla sovrapposizione della pieve all’ente romano pagus. Va però osservato che tale opinione è pùi una teoria ‘°

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data l’assoluta mancanza di una qualsiasi documentazione, non siamo in grado di ricostruire i limiti giurisdizionali della sua pieve, neppure per induzione. La questione è certamente complessa, perché immediatamente a levante di Bassignana si spingevano i limiti territoriali della pieve di Sale, mentre a ponente abbiamo la chiesa di Mugarone, che dipendeva dalla pieve di Valenza. In epoca più recente, quando dopo il Concilio di Trento furono istituiti i Vicariati Foranei, risulta che dal Vicariato di Bassi gnana dipendevano le seguenti località: Alluvioni di Cambiò, Grava, Piovera, Isola 5. Antonio, Rivarone, Fiondi. Sono queste le località a cui si estendeva la giurisdizione originaria della pieve di Bassignana? Difficile rispondere a questa domanda. Bisogna infatti considerare che i Vicariati Foranei non sempre furono immedesimati col territorio di an tiche pievi, che in alcuni casi andò soggetto a variazioni dovute a cause molteplici, ma soprattutto al mutare di orientamenti commerciali, demo grafici, sociali che sovvertirono talvolta la fisionomia territoriale plebana primitiva. Ad ogni modo, può ritenersi verosimile che in origine il terri torio della pieve di Bassignana si estendesse alle località sopra nominate, e forse anche ad altre ubicate presso le sponde del Tanaro. In ogni caso, l’estensione territoriale della pieve dovette essere assai vasta, se nella bolla di Onorio III del maggio 1217 si parla appunto della pieve di Bassignana «cum capellis, et parochiis, et pertinentiis suis ». Scarsissima risulta pure la documentazione storica riguardante la chiesa pievana di Bassignana. Il più antico accenno figura nel diploma di Ottone Il del 22 novembre 977, con il quale il predetto imperatore conferma a Pietro, vescovo di Pavia, il possesso della pieve di Bassi gnana.11 Analoga menzione ricorre nella bolla di Onorio III del maggio 1217 già accennata sopra. In una lettera del vescovo di Pavia, risalente con ogni probabilità agli anni attorno al Mille,’3 il presule si rivolge ad un abate, al quale che non un fatto assoluto e certo, una indicazione e un orientamento piuttosto che una norma inderogabile. Ciò non toglie tuttavia che in molti casi la circoscrizione pievana si sovrapponga esattamente ad un pi4 antico distretto civile. In questo senso cfr. G. SANTINI, op. cii. Di questo diploma, come della bolla citata in seguito, si parlerà diffusamente più avanti, con l’indicazione delle fonti. I. PFLUGK-HARTTUNG, Iter italicum unternommen mii Untersiùtzung der Kgl. Akdademie der Wissenschaften zu Berlin, Stuttgart 1883, 381-2; M. ZUCCHI, Lomello (476-1796) con un cenno sul periodo delle origini, in Miscellanea di Storia Italiana, IX (1904), 300.

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di disporre perché i monaci soggetti alla sua obbedienza e i sacer doti addetti alle cappelle ed agli oratori si rechino « cum vestimèntjs sacris atque libris quibus divina celebrent ofiicia » al sinodo che si sa rebbe tenuto la dom~nica successii,a a Pavia. Al termine della lettera si invita l’abate a trasmettere sollecitamente la lettera stessa « more solito de loco ad locum invicem per omnès plebes suprascriptas id est: Lau mellum, Carium, Basserum. omnia ». E assai probabile che il testo di questa lettera sia in qualche punto alteraio da alcuni guasti esistenti nell’originale stdso. Non sembra dubbio comunque che la parte finale del testo alluda alla pievedf Bassignana, come hanno interpretato giusta mente tutti coloro che si sono occupati della lettera in questione. Nel sec. XIII si ha precisa memoria di due arcipreti della pieve che,~ in entrambi i casi, sono indicati col titolo di praepositui. Il primo di éssi è Bernardus de Valide, che è ricordato in una iscrizione del giugno 1266, sulla quale torneremo tra poco, collocata attualmente all’interno della chiesa pievana. Il secondo arciprete è « dominus Corradus prepositus Sanai Joannis Plebis Bassignane » che risulta presente al ~estament6 del 31 gennaio 1296 in cui Muzio Cortese istituisòe l’ospedale di 5. Spirito di Bassignana. Non troviamo altri nomi di arcipreti sino.al 1460 quando, àegli atti della visita pastorale compiuta da Amico de Fossulanis per conto del vescovo di Pavia Jacopo Ammannatj Piccolomjni, figura come prepositus della chiesa Giovanni Antonio Bellingeri. Altra interruzione dobbiamo purtroppo registrare sino al 1532 quando il titolo parrocchiale, come vedremo meglio a suò luogo, fu trasferito alla chiesa di 5. Stefano che esisteva da tempo all’int~rno dell’abitato di Bassignana. Nella lamentata scarsità di notizie storiche riguardanti la chiesa pievana, acquista maggiore rilievo la presenza di cospicue parti dell’an tico edificio pievano che si possono osservare a qualche distanza dall’abi tatò, al centro del locale cimitero che ab immemorabili circonda la chiesa. Deve ritenersi per certo che l’edificio attuale sia stato. eretto nello stesso luogo in cui nelle età più antiche esisteva la chiesa délla primitiva comunità cristiana, accanto all ‘edificio baitisteriale e alla canonica desti nata a residenza ordinaria dell’arciprete e dei sacerdoti coadjutori~’4 Non

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impone

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‘~ Uno scavo sistematico della zona potrebbe forse portare a interessanti risultati. Sintomatico, a questo proposito, sembra essere un documento del 30 agosto 1828, redatto dal rettore parroco di Mugarone Gio. Battista Tosi, nel quale si registra la tradizione che « nei tempi remoti, detta chiesa fosse posta al centro del paese, come lo avrebbero dimostrato tanti sotterranei muri di case, e pozzi, or pieni di terra, di quel circondano; da ciò ben si scorge la grande estensione in cui fu questo paese ». Se errate sono le

sappiamo peraltro attraverso quali vicende edilizie sia passato l’edificio più antico. La chiesa attuale, o meglio quanto di essa rimane, risale certamente all’età romanica, e fu segnalata una prima volta da F. Negri ~ in un lavoro che, per quanto modesto negli intenti e inaccettabile in alcune conclusioni, ebbe però il merito di richiamare l’attenzione degli studiosi sui vetusti avanzi della chiesa pievana. Lo spunto per la segnalazione fu offerto dalla casuale scoperta di avanzi della decorazione pittorica che decorava le pareti dell’abside, venuti alla luce nel settembre 1894 in occasione di alcuni lavori di riparazione. Il parroco del luogo, Mons. Fe lice Argentieri, ebbe l’opportunità di essere informato della scoperta e, constatata l’importanza degli affreschi, segnalò la cosa alle competenti autorità, che provvidero a iscrivere l’edificio nell’elenco dei Monumenti Nazionali. Non è cosa agevole dare una adeguata descrizione dell’edificio, a causa delle sue precarie condizioni di conservazione che non rendono certo merito alle reali qualità artistiche del monumento. La sua deca denza, del resto, deve essere cominciata assai per tempo. Attraverso gli atti della visita pastorale del 1460 16 sappiamo che in quel periodo la costruzione doveva già trovarsi in non buone condizioni, tanto che la cura d’anime veniva esercitata di preferenza nella chiesa di S. Stefano al l’interno dell’abitato. Negli atti della visita pastorale del 4 settembre 1576 la situazione risulta notevolmente peggiorata. Il visitatore aposto lico Angelo Peruzzi, vescovo di Cesarea, registra nei verbali della visita conclusioni, si devono però accettare come autentiche le premesse, costituite da tutti quegli avanzi di fondazioni, certamente antiche, che sarebbe auspicabile riportare alla luce per poterle studiare sistematicamente. F. NEGRI, Una antica chiesa in Bassignana, in Riv. di storia, arte e archeol. cit., IX (1894). “ Gli atti della visita furono pubblicati recentemente da X. Tosc.oir, Aspetti di vita religiosa a Pavia nel secolo XV, Milano 1969. Riportiamo qui di seguito la parte che si riferisce alla chiesa di S. Giovanni Battista di Bassignana: « Die XXVI Septembris. Visitatio Iacta per antescriptum D. Vicarium ad ecclesiam Sancti Iohannis Baptiste situatam extra terrai,z Bassignane quam ecclesiam reperuit hedificiis diruptam, el in terra (fìsa Bassignane adest ecclesia Sancti Steafani que fabricata est absque reditibus pro commo ditate incolarum terre suprascripte, que ecclesia Sancti Iobannis est collegiata et cura animarum exercetur in dicta ecclesia Sancti Ste/fani, ibi celebrantur divina oflicia et in dicta ecclesia Sanai Iobannis raro celebratur, et corpora aliqua sepeliuntur ad ecclesiam ipsam Sancti Iohannis et aliqua ad ecclesiam Sanai Steffani, ad quam ecclesiam Sancti Iohannis que prepositura est repertus /uit pro proposito D. Iohannes Antonius de Belingeriis prepositus rescindens, D. Michael de Ferraria, D. Iohannes Antonius de Zaghanis, D. Franciscus de Tortis, D. Georgius de Castiliono canonici et nullam rescidentiam faciente: ».

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che la Chiesa di 5. Giovanni Battista è abbastanza buona nelle sue pareti, eccetto la porzione di muro Prossima alla porta maggiore, che si mostra diroccata al punto che, in mancanza delle necessarie riparazioni potrebbe facilmente cadere in rovina. All’interno della chiesa il visitatore trova tre altari abbastanza buoni, pur essendo la chiesa spoglia e derelitta per mancanza di cura, cosf si tiene chiusa perché non entrino gli animali. E poiché l’edificio in una sua parte è senza tegole, il visitatore ordina al prevosto che entro il mese di ottobre faccia ricoprire quel tetto con buone tegole o in altro modo. Ordina inoltre che sopra l’altar maggiore vi sia una sola croce, due candelabri e un ‘unica tovaglia con palio, e che la chiesa sia tenuta costantemente chiusa e la parete diroccata sia ripa rata.’7 Non sappiamo quali effetti abbiano sortito le ordinanze del visita tore apostolico. Si può immaginare comunque che poco o nulla si sia fatto per restaurare l’edificio, che nei secoli seguenti cadde in quasi totale rovina. Nel 1794 peraltro l’edificio fu riattato alla meglio, come si ricava da una iscrizione, incisa sopra un grosso mattone in terracotta, esistente sulla facciata attuale della chiesa. Non è dato sapere a quali lavori alluda esattamente questa iscri zione, ma si deve presumere che le opere di riattamento si siano limitate al rifacimento del tetto, della volta e della Posticcia facciata che vediamo attualmente, nella quale appunto risulta inserita l’iscrizione sopraci tata. Dalla fine del sec. XVIII ad oggi si può dire che nulla sia stato fatto per assicurare una migliore conservazione dell’edificio. Le sue condizioni attuali peraltro sono cosf disastrose che un intervento conservativo si prospetta ormai come urgente ed immediato. Formulando l’augurio che le competenti autorità facciano quanto è in loro potere per scongiurare una irreparabile rovina, è da sottolineare la notevole importanza che assumono le parti originali della chiesa roma ‘, « Ecclesia ipsa Sancii Jobannjs Baptis,ae in sui5 parietjbus sali, decetuer se babe,, Praeterquam primjis paries Portae malori,, quae apparuil Sati, rima/ta, i/aque nisi reparegur de facili corriere poteri~. In eadem ecclesia visa fuerun, al/aria tria sa/is decentia sed denudata cssmj ecclesia ipsa sit derelicia Propter abdicatjonem curae ab ea facia, clausa fame,, retinetur ne besgiae ipsam ingredian, ... Ei quia ecc/esiti ipsa in una parte visti fuul sine legni,, propierea mandavi, eiden, Preposito quod per fotum mense,,, Oclobri, debeat leciti,,, ipsum bonis seguii, Cooperire, seri cooperi,.j lacere. Et insuper ordinavi, super altare mairi; semper crucen, una,n resineri, duo candelabra, lobaliam sai/en, unicam cum paulio, el quia ecciesia ipsa continuo clausa relineatur et eiiam quoti park, praedicgus rimatus reparegur ». Da copia semplice del sec. XVII, estratta dagli atti esistenti nella Curia Vescovile di Pavia, in Archivio Parrocchi~e di Bassignana.

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nica ancora conservate. Esse si riducono, praticamente, alla zona absidale e a qualche porzione del fianco destro che chiudeva l’unica navata. Rinunciando ad un esame più esauriente, che potrà essere affrontato opportunamente solo dagli specialisti della materia, ci limitiamo qui a rilevare che l’unica parte rimasta miracolosamente incolume è l’abside semicircolare. All’esterno, essa risulta impostata su uno zoccolo da cui si staccano quattro lesene verticali, a sezione rettangolare, che suddivi dono la superficie esterna dell’abside in tre campiture. Ad ogni campitura corrispondono altrettante finestrelle a monofora, con arco a tutto sesto, che risultano leggermente strombate verso la parte mediana della mura tura absidale. La parte alta dell’abside è coronata da un fregio costituito da due ordini sovrapposti di denteffi « a sega» alternati da altrettanti corsi di mattoni lisci. Un motivo che rientra di frequente, come sappia mo, nel lessico dell’architettura romanica lombarda. Il coronamento, infine, è sostenuto da una serie di peducci in cotto variamente sagomati, sei per ogni campitura. L’innesto dell’abside con la muratura di fondo della navata avviene direttamente, senza un elemento mediatore che troviamo a volte in altre chiese coeve, soprattutto se di maggiore impegno. La muratura terminale della navata, direttamente impostata sopra l’arco trionfale dell’interno, presenta una terminazione « a capanna » che era appunto destinata a sostenere le due falde del tetto. Quasi al vertice della muratura si nota tuttora, in perfetto stato di conservazione, un’apertura a forma di croce greca destinata ad illuminare l’interno. Al vertice, la muratura continua oltre il colmo del tetto e termina in due pilastri a sezione quadrata che, in origine, formavano un’edicola destinata a sostenere l’unica campana della chiesa, che evidentemente doveva essere priva di campanile. Il lato destro della chiesa è in pietose condizioni di conservazione, ma l’esame delle sue strutture consente di stabilire che la muratura della fiancata costituiva parte integrante dell’edificio romanico. La muratura esterna, nella sua compagine architettonica, rivela chiaramente la man canza di una navata laterale nel primitivo organismo della chiesa. Essa è caratterizzata da una serie di tre poderosi contrafforti, oggi orribilmente devastati ma ancora chiaramente leggibili, che si spingono sino alla linea di gronda del tetto e che, essendo brevemente distanziati l’uno dall’altro, scandiscono la superficie della fiancata in campiture piuttosto strette. A ciascuna di queste campiture corrisponde una monofora, con arco a tutto sesto e le spalle molto allungate, che si spinge poco al disotto della linea di gronda, priva attualmente di qualsiasi fregio ma che possiamo facil

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mente supporre dotata, in origine, di un coronamento simile a quello che gira attorno all’abside. La presenza di questi contrafforti laterali e la posizione delle mo nofore e dell’apertura cruciforme nella zona absidale provano che la chiesa sviluppava una sola navata, ed escludono nel contempo la presenza di una copertura a volte, che avrebbe altrimenti acciecato la luce delle aperture. L’edificio quindi doveva avere una copertura a capriate lignee a vista, sostituita dalla attuale copertura a volte presumibilmente verso la fine del Settecento. Manca purtroppo la possibilità di una riprova per quanto riguarda la fiancata sinistra, la quale appare rifatta integralmente in epoca imprecisata ma comunque abbastanza antica, come indica l’ap parecchiatura muraria che nella zona inferiore presenta caratteristiche non posteriori al sec. XV. Alquanto più complesso si presenta il problema della facciata origi naria della chiesa, che certamente doveva essere spostata in avanti rispet to a quella attuale, posticcia, che chiude la navata a metà circa del suo presumibile sviluppo originario. Si potrebbe anche supporre che la fac ciata antica sia stata costruita o modificata nel 1266, al quale anno risale la seguente iscrizione attualmente murata a sinistra entrando nel vano attuale della chiesa: IS INTRENT SECURI Q. QUERUNT. VIVE. PURI Q.M~.FECIT.FOR1~RX DEBET SINE FINE. LfiJJTJPJ~J BERARDUS PREPOSITUS. [NAITUS DE. VALIDE. DICTUS. [MJCC LX. VI DE MENSE. XUNII 11 .

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Non sembra dubbio che l’invito espresso nella prima linea dell’iscri zione sia indirizzato genericamente a coloro che stanno per entrare nella chiesa per impetrare la grazia divina. Dunque, l’iscrizione doveva essere collocata sulla facciata antica dell’edificio, e molto verosimilmente sul portale stesso della chiesa, ove poteva essere letta più agevolmente dai fedeli che si accingevano a varcarne la soglia. La facciata originaria del l’edificio, quindi, o più probabilmente il suo portale d’ingresso, furono costruiti dal prevosto Bernardo de Valide nel giugno dell’anno 1266. “ L’iscrizione, incisa su un grosso mattone rettangolare di cm. 60 x 36, è in caratteri tipici dell’epoca di transizione dal romanico al gotico, e si può tradurre nel seguente modo: « Entrino sicuri coloro che chiedono di vivere puri. Colui che mi fece costruire deve essere lodato senza fine: prevosto Bernardo detto de Valide; nel mese di giugno del 1266 ».

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Peccato che oggi, distrutta l’antica facciata e rimossa l’iscrizione dalla sua sede originaria, non sia più possibile sfruttare in qualche modo il prezioso dato cronologico offerto dall’iscrizione stessa. Traendo le conclusioni da quanto si è venuto esponendo, sembra legittimo affermare che le caratteristiche dell’edificio, desumibii da quan to rimane in vista della struttura originale, manifestano concordemente di appartenere ad una delle ultime fasi del romanico lombardo. Anche nel 5. Giovanni di Bassignana infatti ricorre il tipico paramento murario delle costruzioni di maggiore impegno dell’epoca romanica, notevole per la stilatura accurata, la tessitura compatta, il mattone ben scelto e levi gato. In particolare, il fregio dell’abside, pur ricalcando esattamente uno stilema più antico, viene tuttavia elaborato con una nuova sensibilità, riconoscibile soprattutto nell’affinamento dei peducci variamente sago mati. La datazione dell’edificio quindi, in assenza di altri elementi idonei a una più approfondita valutazione, può essere prudenzialmente asse gnata alla seconda metà del sec. XII. Questo significa che la chiesa rap presenta uno degli ultimi frutti della grande stagione romanica lombarda, di cui partecipa pienamente per tutti quegli aspetti che in essa sono ancora profondamente ispirati a quel particolare stile architettonico. Nel contempo, essa costituisce un esempio di quella sensibile metamorfosi del gusto che portò i costruttori del tempo ad interpretare alcuni temi tradizionali creando uno stile che, senza prescindere dalle sue matrici d’origine, ne differisce per la novità con cui seppe svolgere temi già sperimentati e, in qualche caso, per una certa autonomia d’invenzione. Un discorso a parte meriterebbero infine i preziosi affreschi roma nici che rivestono la muratura absidale all’interno della chiesa, arricchen dola di un ulteriore motivo d’interesse. Purtroppo, la decorazione pitto rica è ancora quasi tutta nascosta da uno strato di calce che solo in qualche punto è stato rimosso, rivelando cosi la presenza degli affreschi sottostanti. Nella parte destra della conca absidale, ove lo strato di calce è stato asportato in misura pressoché integrale, è venuta alla luce la figura di un santo col volto incorniciato da una corta barba e circondato da un nimbo di colore giallo. La lunga figura è drappeggiata da un panneggio a pieghe profonde, reso a tinte vivaci. Fra le braccia il santo stringe un volume: una tipologia largamente usata nel medioevo per rappresen tare gli apostoli e gli evangelisti. Un’iscrizione ai piedi della figura chia risce appunto che si tratta di 5. Giacomo apostolo. Al centro della

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conca absidale si scorge una figura analoga, che un’iscrizione sottostante permette di identificare con S. Giovanni, l’apostolo prediletto. Lo stato frammentario della decorazione, che si estendeva a tutta la parete e alla conca absidale, non consente per il momento un esame più approfondito. Da quanto è possibile vedere, comunque, sembra di poter concludere che ci troviamo al più presto nella seconda metà del sec. XII, se non addirittura al principio del secolo seguente, come par rebbe indicare il carattere della stilizzazione Egurale del santo barbuto, tolto dai mosaici bizantineggianti, di cui si vuole in qualche modo rag giungere l’effetto. Tale cronologia è destinata a rimanere incerta per la scarsità di appoggi comparativi sicuramente databili. Sembra di poter concludere tuttavia che gli affreschi di Bassignana rivelino, nell ‘irrigidirsi dei contorni e nel solidificarsi del ductus pittorico, un momento più tardo rispetto ad altri esempi coevi delle regioni piemontese e lombarda. Un breve accenno merita infine un frammento di affresco che tra spare sotto la calce sul lato destro della navata. Nel lacerto possiamo ancora riconoscere un gruppo di angeli che trasportano in volo una casa, sovrastata dalla Vergine col Bambino. Non sembra dubbio che la scena riproduca la 5. Casa di Loreto, la cui devozione evidentemente fu intro dotta anche a Bassignana nel sec. XV. A questo periodo, o meglio agli inizi del Cinquecento, risale appunto l’affresco in parola, opera di qualche artista locale di ispirazione popolaresca.

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L’anno 568, attraverso i valichi alpini orientali, il popolo longo bardo entrava in Italia guidato da Alboino. Non era soltanto un esercito in armi che muoveva alla conquista del nostro suolo: era un popolo in tero che, con le famiglie e tutto ciò che poteva portare seco, nell’aprile di quell’anno abbandonava le terre della Pannonia alla ricerca di una nuova patria. Superato l’Isonzo e occupato Cividale del Friuli, i Longobardi con tinuarono la loro avanzata nella pianura, puntando verso la valle del Po. I Bizantini, che tenevano l’Italia da quindici anni, non avevano forze sufficienti per opporsi all’avanzata, tanto è vero che le città disseminate lungo il cammino percorso da Alboino e dalla sua gente furono costrette a capitolare ad una ad una. Milano stessa cadeva in loro mano il 3 set tembre 569. L’unica città che, lungo l’itinerario di marcia dei Longobardi,’ fosse in grado di contrastarne l’avanzata e dare loro del filo da torcere era Pavia, che già negli ultimi tempi dell’età romana e più ancora sotto il dominio gotico era divenuta una formidabile piazzaforte militare. Alboino dovette ben porsi il problema di conquistare questa città, munitissimo caposaldo della resistenza bizantina, ma si rassegnò a cm gerla d’assedio per tre anni, per potersi dedicare più agevolmente alla realizzazione del suo piano di conquista, che prevedeva l’occupazione della Lomellina e il forzamento della linea del Po. Solo verso la primavera del 570, dopo aver sottomesso la Lomellina e le terre limitrofe, l’esercito invasore varcò il gran fiume? che molto Circa l’itinerario seguito da Alboino nella conquista dell’Italia superiore cfr. C.G. MOR, La marcia di re ..4lboino (568-70), in Problemi della civiltà e dell’economia longo barda, Milano 1964. In questo senso cfr. C.G. MOR, op. cit., 196. Si tenga presente che, in corrispon denza di Bassignana, il Po era facilmente giaadabile a cavallo, cosa che altrove era raramente possibile. Il Sacco (op. cit., cap. VI, 112) attesta appunto che a Bassignana il fiume « commodissime traijcitur; ita ut interdum, etiam urgente diuturno aestu, nato vado transiti equitando possit: quod tamen raro contingit ».

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probabilmente fu guadato nella zona tra la Lomellina e la sponda Opposta, in corrispondenza di Bassignana e Mugarone. In questo punto infatti il fiume poteva offrire più facile guado alle truppe longobarde, aprendo cosj la via verso i territori di Tortona e Piacenza ancora in mano ai Bizantini. Secondo una antica tradizione raccolta dagli storici locali, e che ha tutte le apparenze di essere vera, durante l’assedio triennale di Pavia Alboino avrebbe conquistato e sottomesso quella zona a sud del Po che corrisponde a un dipresso all ‘attuale Oltrepò Pavese. ~ certo verosimile che la conquista di questo territorio risalga alla prima fase dell ‘occupa zione longobarda, nel preciso intento di costituire una testa di ponte a sud di Pavia e isolare questa città dal territorio ancora in mano ai Bizan tini. Questi infatti erano rimasti saldamente arroccati in Liguria e sugli Appennini e, sino ai tempi di Agilulfo (391-615) mantennero il Possesso di Tortona e di Acqui, al pari di Cremona che fu occupata soltanto nel 603. Anche Piacenza probabilmente fu occupata dopo la prima ondata d’attacco, anche se nel 590 essa figura già sede di un ducato longobardo. La zona occupata dai Longobardi nel loro primo balzo a sud del Po corrisponde grosso modo, come s’è accennato, all’attuale Oltrepò Pavese, ma essa includeva certamente una zona dell’alessandrino attuale con i centri di Sale, Bassignana e Mugarone, località tutte che sino al sec. XVIfl furono considerate parte integrante del territorio pavese. L’origine del vasto territorio indicato nel medioevo con l’appellativo di Ultrapadum risale evidentemente alla prima età longobarda quando, per precise ragioni di carattere strategico, la zona conquistata fu staccata dai municipi di Tortona e Piacenza per essere attribuita a Pavia, che di lf a poco era destinata a diventare sede del regno longobardo. Storici antichi e recenti si sono affannati a ricostruire la genesi del l’Ulttapadum senza peraltro riuscire a individuare le vere ragioni per cui la Zona, già appartenente ai territori municipali di Placentia e De, zona, ne fu staccata per essere inclusa nel distretto pavese. In realtà, la formazione dell’Ultrapadum risale evidentemente alla prima fase dell’avanzata longobarda a sud del Po. Essa deve essere stata imposta dall’esigenza di aggirare a sud la città di Pavia e tagliare le sue linee di collegamento con i centri ancora in mano ai Bizantini. Questa esigenza strategica cambiò in parte il suo obiettivo dopo il regno di Clefi (574-75) quando, concluso l’agitato periodo dell’interregno con Autari (584-590) Pavia divenne la capitale del regno. Più evidente di venne allora la necessità di mantenere e potenziare una testa di ponte

a sud della città per proteggerla da eventuali colpi di mano da parte delle milizie bizantine, saldamente arroccate lungo le propaggini dell’Ap pennino piacentino-ligure-piemontese, con i grossi centri fortificati di Acqui e Tortona. Una zona di particolare interesse strategico dovette rivelarsi il ter ritorio a sud del Po corrispondente agli attuali centri di Sale, Bassignana e Mugarone: il primo in pianura e gli altri due a cavaliere di una costiera che domina la piana e il corso del fiume. In particolare, data la loro felice ubicazione su alture dominanti, in facile comunicazione con la sponda opposta del Po attraverso un traghetto volante che li collegava agli stanziamenti longobardi della Lomellina, a presidio infine del basso corso del Tanaro, Bassignana e Mugarone, nella prima fase della con quista, dovettero costituire le sentinelle avanzate del sistema militare longobardo, contrapposto allo schieramento bizantino attestato nella pia na tortonese. Questa ipotesi trova ulteriore conforto nel criterio geografico che guidava le truppe longobarde lanciate alla conquista di un territorio: il corso dei fiumi. Questi, talvolta meglio delle strade di comunicazione, costituivano la più sicura ed efficace linea di penetrazione verso l’interno di una regione.3 Anzitutto la linea seguita (a ritroso della corrente) era spesso la più diretta; in secondo luogo, essa portava solitamente al piede dei rffievi montuosi dai quali i Bizantini controllavano la piana sotto stante con un articolato sistema di muniti casteffi. £ appunto il caso dei tre centri di Sale, Bassignana e Mugarone, distribuiti ad arco attorno alle rive del Tanaro, fiume che poteva rivelarsi un’efficace linea di penetrazione verso sud, cioè verso il territorio torto nese ancora in mano ai Bizantini sino al 603-4. Come è stato giustamente sottolineato, il numero dei Longobardi scesi in Italia era relativamente scarso. La sproporzione tra il numero dei vinti e il numero dei vincitori, per quanto fierissimi questi e risoluti a tutto, costituisce un autentico paradosso come fatto storico. Ma quando «si è in pochi e sovrasta il timore dell’enorme massa degli altri, si è costretti non solo a distruggere tutto ciò che si può, ma ad occupare unicamente quei luoghi che possano costituire un valido punto di difesa e di resistenza. E non solo i Romani sono in molti; essi sono anche orga nizzati entro un intero, sapiente quadro di castra difesi da preparatis A. 264.

CAVANNA,

Fata, Sala, Arimannia nella storia di un vice longobardo, Milano 1968,

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sime guarnigioni bizantine e a volte da schiere di civili, ai quali la seco lare avvedutezza bellica bizantina ha insegnato qualcosa. ~ quindi pid che necessario occupare questi castelli, insinuarsi là dove il tempo e i precedenti hanno rivelato la posizione sicura, fissarsi nei gangli vitali d’una regione, proteggersi le spalle su qualche colle, presso qualche fiume, raggiungere il cuore di un territorio. Una vasta regione può essere tenuta in pugno da chi ne ha occupato anche il solo punto centrale: ecco il ragionamento. Questo significa essere obbligati a fare economia di uomini e di forze, cioè essere obbligati a fare della strategia, una strategia per vivere e vincere a tutti i costi. In una situazione come questa anche il fiume doveva dare il suo intuitivo e naturale suggerimento » La zona che si estende tra il Po e i primi contrafforti delle Prealpi liguri offre eloquenti tracce toponomastiche che confermano pienamente il sistema di insediamento adottato dai Longobardi nella loro graduale ma continua espansione verso sud. Sappiamo che la Liguria attuale fu conquistata soltanto nel 642, ma prima di questo balzo in avanti realiz zato ai tempi del re Rotari (636-652) la zona del tortonese e dei contraf forti montani limitrofi fu sovente teatro di varie e alterne vicende bel liche nella lotta tra Longobardi e Bizantini. I particolari di questa lotta non ci sono stati tramandati, ma sappiamo per certo che i Bizantini furono costretti ad un progressivo ripiegamento del limes verso gli alti gioghi dell’Appennino ligure. La toponomastica della pianura tortonese rivela frequentemente la preoccupazione dei Longobardi di stabilire sicuri presidi militari nello schieramento avversario: fiumi e torrenti sono spesso legati a questi stanziamenti in una precisa visuale strategica, come rivelano i presidi dislocati lungo il Coppa, lo Staffora, il Curone, il Borbera, l’Orba, lo Scrivia e il Tanaro. Per quanto riguarda quest’ultimo fiume, come già abbiamo accen nato, sono noti tre stanziamenti che vanno riferiti indubbiamente ai primissimi tempi dell’occupazione longobarda: Sale, Bassignana e Muga rone, incorporati per tempo nel ducato di Pavia. Queste tre località furono certamente tra le prime basi operative nell’avanzata longobarda su Tortona, che probabilmente risale ai tempi di Agilulfo.~ Ivi, 266. A Tortona sembra certa la presenza dei Longobardi solo sotto Arioaldo (626-636), quando il vescovo di Tortona chiese l’intervento del re ariano per obbligare il monastero di Bobbio alla soggezione vescovile, Cfr. J0NA, Vitae Columbani discipzdorumque eius libri duo, XI, 23, in M.G.FL, SS.RA Merov., XV, I{annover 1902, 144.

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Sembra che in questa fase della loro espansione verso sud i Longo bardi abbiano utilizzato in massa i Gepidi, come provano le abbondanti tracce toponomastiche rilevate nella regione.6 Al pari degli altri popoli alleati dei Longobardi e discesi in Italia con essi, i Gepidi furono legati al re, dal quale dipendeva quindi il loro insediamento in un territorio. Essi, in definitiva, dovettero costituire truppe regie per eccellenza che, meno favorite forse nella prima fase dell’invasione, furono poi insediate su terre di recente conquista che erano state messe immediatamente a disposizione del fisco. Non è un caso che « tutti o quasi i toponimi che ricordano una loro apparizione sono in territori fiscali e pressoché sempre in luoghi non lontani dalla capitale del regno; né è un caso che spesso i diplomi regi dispongano di terre che dai Gepidi prendono nome. L’avan zata su Tortona e sulla Liguria, che si svolge quando duchi e fare hanno già trovato il loro stabile assetto e quando le incontrollate spedizioni dei singoli capi, normali nei primi tempi, sono ormai un fatto eccezionale, dipende da una diretta iniziativa regia e dal re è organizzata e condotta. Rotari apparirà l’esecutore per eccellenza della conquista definitiva del litorale ligure » L’insediamento dei Gepidi peraltro non escluse completamente quel lo dei Longobardi, che in molti casi furono loro affiancati. Anche questi ultimi comunque dovettero organizzarsi in fare alle dirette dipendenze del re. Si può anzi ritenere che indizio sicuro del loro insediamento sia costituito dal termine sala che è abbastanza documentato proprio nella zona di sicura prevalenza etnica gepidica. Sale è il più antico toponimo da sala documentato per il tortonese 8 e dimostrerebbe appunto che sul substrato etnico gepidico stanziato nella regione ai tempi dell’avanzata su Tortona si sovrappose l’elemento et nico longobardo, che fece della località un centro amministrativo tipico dell’ordinamento civile longobardo.9 Cfr. in proposito A. CAVANNA, op. cit., 478-9. A, CAvANNA, op. cit., 480. In una carta dei 993 due coniugi, Franco del fu Pietro, di Godio, e Idelsinda del fu Adalberto, di Sale, vendono i possessi della stessa Idelsinda in Sale. Le terre giacciono in loco et fundo Gridi, vicino a una chiesa di 5. Eufemia. Cfr. E. GABOTTO, Le carte del l’Archivio Capitolare di Tortona, in BSSS., voi. XXIX, Pinerolo 1905, n. VI. Nel 996 nella villa Sale Roderadi, in sala propria (Jgonis marcbionis /ilii botte memorie Uberti itemque marchio sta in giudizio Alberico, iudex et missus domini Ottoni imperatoris; lo affiancano vari iudices sacri palacii e un comes Arnaldo. A Sale, che per la prima volta qui vediamo intitolarsi a un Rhdirad, venivano dunque a tenere i placiti i messi imperiali. Gr. C. MA NARESI, I placiti del “Regnum Italiae”, Roma 1957, Il, 1’, n. 230. • Sul concetto di sala cfr. A. CAv.u*JA, op. cii.

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Altro importante centro militare a presidio del territorio tortonese fu senza dubbio Bassignana, in ottima posizione strategica su un rilievo alla confluenza tra il Tanaro e il Po. In un estimo pavese composto nel 1250 10 risulta che il Borgo di Bassignana” aveva una « porta Qibide » che ha fatto pensare ‘~ a una colonia militare di Gepidi, uno tra i primi anelli della folta schiera di presidi gepidici scaglionati nel tortonese e sull’Appennino ligure durante l’avanzata su Tortona e Genova. In realtà, la denominazione della porta non ha alcuna relazione con uno stanzia mento di Gepidi ubicato nelle vicinanze della cinta fortificata del Borgo. L’origine della denominazione attribuita alla porta deriva invece dal fatto che da essa usciva la strada che portava alla vicina località di Zebedo 13 che sorgeva sulla sponda sinistra del Po, tra Frascarolo e Gambarana. Possiamo comunque supporre che, come Zebedo fu indubbiamente luogo d’insediamento di Gepidi (come il suo nome rivela), cosi anche Bas signana, sull’opposta sponda del fiume, fosse anch’essa sede di una guar nigione gepidica. Non può sfuggire ad alcuno difatti l’osservazione che le due località, strettamente connesse tra loro, erano inserite in un com plesso sistema militare in cui predominava l’elemento etnico gepidico. Sulle contrapposte sponde del fiume dovevano quindi essere due stanziamenti gepidici perfettamen~~ integrati fra loro in un più vasto sistema strategico. Funzione preminente dei due stanziamenti doveva essere quella di presidiare il collegamento, costituito da un traghetto volante, tra i centri militari della bassa Lomellina e quelli stabiliti nella pianura tortonese.’4 Data l’assenza di ponti stabili lungo il corso medio R. SORTGA, Documenti pavesi sull’estimo del sec. XIII, in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, XIII (1913), fasc. 111-1V, 321. Con questa denominazione veniva frequentemen~~ indicata la località di Borgo. franco, costruita verso il sec. XIII sulla sponda sinistra del Po. Come si dirà a suo luogo, la località fu ingoiata dalle acque del Po agli inizi del secolo scorso. Va qui allevato che per il borgo di Bassignana l’estimo cita, oltre la porta Cibide, anche la porta Sparogarie e la porta Gambarane. Evidentemente, nella cinta muraria di Borgofranco si aprivano tre porte da cui uscivano altrettante strade che mettevano in comunicazione l’abitato con i centri lomellini viciniori di Zebedo, Sparvara e Gambarana. Questa circostanza costi. tuisce la controprova che la denominazione della porta Cibide non aveva alcun riferimento a eventuali stanziamenti di Gepidi nelle vicinanze. G. FASOLI, Inizio di un’indagine su gli stanziamenti longobardi intorno a Pavia, in .Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, 1953, I, 9; A. CAvAI4r4A, op. cit., 262, nota 402. “ Su questa antica località, ingoiata dalle acque del Po, cfr. F. PIANZOLA, Un co ~-nunello pavese scomparso: 5. Michele de Zebedo, in rivista Ticinum, luglio 1941. Estre mamente significativa risulta la tipica dedicazione della chiesa locale all’arcangelo Michele, ‘veneratissimo appunto dai Longobardi. Se non si può parlare di una vera e propria familiarità dei Longobardi con i

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del Po, doveva rivelarsi essenziale per i Longobardi il presidio dei guadi e dei traghetti scaglionati lungo il fiume, come appunto il passo fluviale tra Bassignana e Zebedo.’5 Non va d’altra parte trascurata l’osservazione che, non lungi da Bassignana, sorgeva un munito castello che con ogni verosimiglianza affondava le sue origini nell’età longobarda. Questa potrebbe sembrare piuttosto una semplice intuizione che una realtà documentata se non sapessimo per certo che ancora nel sec. XV tale costruzione veniva deno minata « castrum Sanai Michaelis », nel cui ambito sorgeva una chiesa dedicata anch’essa all’arcangelo Michele)6 t noto quale predilezione i Longobardi abbiano nutrito verso l’angelico tassiarca, tipico santo nazio nale in cui onore eressero numerosissime chiese che troviamo diffuse in ogni parte del regno.’7 La stessa capitale, Pavia, vantava una basilica corsi d’acqua, certo non si può nemmeno dire che essi fossero ignari di navigazione fluviale o di tecnica del traghetto. L’Editto di Rotari ad esempio parla d’un corpo specializzato di veri e propri traghettatori, stanziati presso porti e guadi, certo anche in funzione di polizia fluviale: i portonarii. Cfr. ROTH. 265-268: de portonario qui super /lumen portum custodit. È veramente sintomatico che ancora nel sec. XVI (quando ormai le concezioni strategiche erano mutate di molto soprattutto in seguito all’introduzione delle armi da fuoco) Bassignana venisse giudicata centro strategicamente importante quale presidio del passo sul Po, che consentiva il collegamento diretto tra la Lomellina e il territorio ales sandrino. Ciò risulta da una relazione del 20 mano 1537 in cui un consigliere di guerra di Filippo XI riporta il giudizio di alcuni, che ritenevano « essere bene fortificare Bassignana perchè ci conserverà il passo del Po che male potendo con ponte passare in altra parte fuori che a Pontestura, ci conserva Sale, Castelnuovo et tutta quella parte del Tortonese di là da Po et per giudizio loro guarderà la Lomeffina anchora paese del quale ci con viene havere molta cura... ». Cfr. Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, n. 12. Come si vede, sono considerazioni che starebbero bene anche in bocca a un longobardo vissuto nel sec. VI. 16 Nella visita pastorale della diocesi di Pavia, compiuta nel 1460 dal canonico Amico de Fossulanis per conto del vescovo di Pavia, fra le cappelle esistenti nella chiesa di 5. Stefano di Bassignana viene elencata quella sub vocabulo Sancte Marie seu Sancti Micbaelis iuris patronatus nobilium de Belingeriis, antiquitus erat in castro Sanai Micbaelis quod diruptum Iuit et reducta est in suprascripta ecclesia Sanai Stej’Jani. Cfr. X. Tosc~r~r, op. cit., 169. Merita qui di essere ricordato il fatto che anche il castello di Piovera aveva una cappella dedicata a 5. Michele. Ciò risulta da una bolla del 7 dicembre 1153 con la quale il pontefice Anastasio IV prende sotto la sua protezione il monastero di 5. Mar ziano di Tortona confermandone i possessi, tra i quali « castrum etiam quod dicitur PIo vera cum ecclesia sancti Micbaelis et omnibus pertinentiis ipsius castri ». Cfr. F. GABOTTO V. LroÈ, Le carte dell’Archivio Capitolare di Tortona, in BSSS, voi. XXIX, Pinerolo 1905, doc. LII, p. 70. “ 5. Michele è il vero santo protettore dei Longobardi: re Cuniperto (688-700) ne portava la figura sullo scudo e la stessa comparirà sulle monete d’oro longobarde coniate dalla zecca di Pavia. Xl Bognetti, che molto autorevolmente ha sottolineato l’importanza d’una indagine sui loca sanctorum per lo studio degli insediamenti longobardi, ritiene che

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dedicata all’arcangelo Michele, che di li a poco era destinata a diventare una vera e propria cappella di corte nella quale si celebravano le più solenni funzioni interessanti la vita della nazione.18 La dedicazione della chiesa e del castello presso Bassignana a 5. Mi chele arcangelo si inquadra dunque benissimo in una atmosfera di ricordi longobardi di carattere militare, confermando l’ipotesi che il caslrum tragga origine da uno stanziamento militare longobardo. Forse non parrà troppo azzardato pensare che il culto dell’arcangelo sia stato introdotto a Bassignana ai tempi di Grimoaldo (662-671), quando tale culto rice vette nuovo impulso da parte di questo re, trovando il suo centro di irradiazione nella stessa capitale. D’altra parte è ormai considerato un fatto pacifico che le chiese intitolate a santi guerrieri come Michele, Giorgio, Martino e simili (come appunto la chiesa casteliana di Bassignana) abbiano un’origine longobarda e rappresentino il momento di passaggio di quel popolo dall’arianesimo al cattolicesimo ortodosso. In particolare, tali chiese sono sempre in rela zione con organizzazioni militari, e appunto per questo i santi scelti come titolari hanno la caratteristica militare. Risulta infine certa l’esistenza di uno stanziamento di exercitajes longobardi (o di estrazione gepidica) anche nel vicino centro di Muga rone, arroccato su di una eminenza del suolo dalla quale si domina il corso del Po e la piana circostante sino alle prime pendici del Monferrato. Parecchi atti della chiesa locale, dedicata a 5. Maria, consentono di sta bilire che, almeno sino al sec. XVII, essa aveva il titolo di S. Maria ad perticas. Tale predicato è senza dubbio eloquente, perché richiama pun tualmente il titolo di una notissima chiesa di Pavia, S. Maria in Pertica appunto, edificata nel 673 dalla regina longobarda Rodlinda, moglie del re Cuniperto. La denominazione della chiesa pavese deriva dal fatto che accanto sia stato Grimoaldo ad iniziare ufficialmente il culto dell’arcangelo: una mossa intelligente da parte dell’anticattojjco re, dal momento che 5. Michele era venerato sia da ariani sia da cattolici. Il Bognetti insiste anche sulla opportunità di approfondire l’indagine intorno ai territori la cui chiesa sia dedicata a 5. Michele, specialmente quando ivi sorgano torri o castelli, o anche quando ci si trovi in campagne isolate e deserte, le preferiae dai Lon gobardi per costruirvi i loro cimiteri, Cfr. G.P. BOGNETTr, I Tloca sanctorum” e la storia della chiesa nel regno longobardo, in Rivista di storia della Chiesa, maggio-giugno 1952, 165 e sgg.; la, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1948, 199-200. F. FAGNANI, La faramannia longobarda di Pavia e il problema storico della basilica di 5. Michele Maggiore in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, LXI (1961), IX, 3 e sgg.

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ad essa sorgeva il cimitero nazionale longobardo nel quale, come ricorda Paolo Diacono,’9 venivano piantate numerose pertiche o travi di legno collocate secondo un’antichissima usanza di probabile origine pagana?a Scopo di queste pertiche era il seguente: se qualche longobardo moriva in un paese lontano, i suoi parenti piantavano una pertica fra le tombe di famiglia, ed in cima ponevano una colomba di legno rivolta verso quel punto dell’orizzonte in cui era morto il loro congiunto, e ciò per sapere in quale direzione giacesse il defunto, In tal modo, il cimitero veniva ad assumere col tempo l’aspetto di un vero e proprio « parco della rimembranza », ove ogni singola pertica piantata nel terreno ricor dava ai memori parenti un guerriero morto lungi dalla sua patria e del quale nemmeno la salma era ritornata dalla guerra. L’usanza riferita da Paolo Diacono non era certo limitata a Pavia, ma doveva essere diffusa in ogni parte del regno, come provano i titoli di numerose chiese il cui titolo richiamava puntualmente quello della chiesa pavese. Fra esse possiamo citare 5. Giorgio Pertiche in provincia di Padova, 5. Stefano in Pertica a Cividale del Friuli, 5. Maria de Pertica presso Mortara (oggi Madonna del Campo) e via dicendo. Lo stesso ter ritorio alessandrino ci offre un ulteriore cospicuo esempio con la « eccle sia sancte Justine de perticis » che la tradizione raccolta da fra Giacomo d’Acqui afferma fondata « in vico Seciadi» (Sezzé) da re Liutprando.21 Dobbiamo quindi concludere che l’esistenza della chiesa di Muga rone deve essere fatta risalire certamente all’età longobarda, probabil mente ai sec. VII-Vili. Se poi in origine la chiesa fosse già cattolica, oppure dedicata in un primo tempo al culto ariano e successivamente riconsacrata al culto cattolico, è un problema che forse non potrà mai essere risolto per l’impossibilità di trovare valide pezze d’appoggio a sostegno dell’una o dell’altra tesi. PAUL. DIArI, V, 5: « Ad perticas autem locus ipse dicitur, quia ibi olim perticae, id est trabes, erectae steterant, quae ob hanc causam iuxta morem Langobardorum poni solebant: si quis enim in aliquam partem aia in bello aut quomodocumque extinctus fuisset, consanguinei eius intra sepulchra sua perticam figebani, in cuius summitate columbam ex ligno factam ponebant, quae illuc versa esset, ubi illorum dilectus obisset, scilice: ut sciri possit, in quam partem bis qui defunctus fuerat quiesceret ». Sappiamo del resto che il cimitero locale era, per ogni villaggio longobardo, la località pi4 delicata e pericolosa, per la possibilità che i convertiti longobardi tornassero ivi alle pratiche pagane tradizionali del loro popolo. Il Un episodio relativo al successore di re Liutprando induce a ritenere che la costu manna di piantare pertiche a ricordo dei guerrieri defunti non fosse ancora del tutto estinta in quell’avanzatissimo periodo. Cfr. GREGORII MAGNI, Reg., VII, 23.

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Nel 774, dopo Ufl memorabile assedio sostenuto con disperato valore, Pavia fu costretta a capitolare e Desiderio, ultimo re dei Longo bardi, si arrese a Carlo Magno che coi suoi Franchi era sceso in Italia cingendo d’assedio la capitale. Questo avvenimento era destinato a inci dere profondamente sulla storia delle nostre regioni, inaugurando una nuova fase storica che fu feconda di ulteriori sviluppi. Dopo aver assicurato al suo dominio tutta quella parte del territorio italico che fu soggetta ai Longobardi Carlo Magno assunse ben presto il titolo di Rex Francoyum et Longobapd0y~~. una formula nuova ed originale mediante la quale il Regnum Longobardie continuava a conser. vare la propria personalità giuridica e, in gran parte, i propri ordina menti interni. Ed effettivamente, la personalità del regno sconfitto non venne alterata: esso fu inserito, con la sua organizzazio~~ le sue leggi, le sue consuetu~i, nel quadro del grande dominio carolingio che s’an dava Costituendo in Europa. Almeno per qualche tempo ancora, il popolo longobardo poté pensare che nulla era cambiato, se non la persona del sovrano, Questo regno, inquieto, fatalmente aperto ad ogni possibile evento, fu dato da governare al figlio di Carlo, Carlomanno, il quale, dal 781, assunse in Roma il nome di Pipino. Ed a Pavia il giovane Pipino stabiliva la sua residenza ordinaria, quasi a sottolineare la continuità del Regtzum nella scelta stessa della capitale Le successive vicende dei carolingi in Italia, sino alla deposizio~~ di Carlo il Grosso avvenuta nell’877, sono fatti che si svolgono lontano dal nostro territorio o che, anche se hanno per sfondo la vicina capitale del regno, Pavia, non toccano direttamente la storia interna di Bassi gnana. Merita piuttosto di essere sottolineato il fatto che la dominazione carolingia introdusse fondamentali innovazioni nell’assetto territoriale e amministrativo della nostra regione. Uno dei capisaldi della riforma at tuata da Carlo Magno fu appunto la sostituzione dei duchi longobardi

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con i conti (comites), scelti fra i più fidi funzionari franchi, ai quali faceva capo l’amministrazione cittadina e del territorio rurale dipen dente.’ Anche il territorio dell’antico ducato longobardo di Pavia, già alle dirette dipendenze del re, fu eretto in contea. È anzi verosimile che Pavia « ricevesse subito all’atto della conquista il nuovo funzionario e che lo avesse solennemente confermato in occasione della seconda venuta dell’imperatore in Italia. Certo è però che, né per attribuzioni né per ufficio, salvo il fatto di esercitare il suo ministero nella capitale e quindi con maggiore grado di responsabilità, il conte di Pavia dovette per nulla differire dagli altri conti preposti a tutti i capoluoghi del regno, con ampia potestà civile e militare, con la stessa sfera di giurisdizione, con le medesime mansioni d’ordine e amministrative »•2 Agli inizi del X secolo, se non addirittura nel secolo precedente,3 dalla amplissima contea di Pavia fu ricavata per scissione quella di Lomelo comprendente un vasto territorio a occidente di Pavia fra il Sesia, l’Agogna e il Po, in una specie di trapezio irregolare che a nord toccava i confini delle contee di Pombia e di Bulgaria,5 con al centro il capoluogo Lomello. A un dipresso, quindi, la nuova contea comprendeva metà circa del territorio attuale della Lomellina, La contea di Lomello fu assegnata primamente in feudo da Beren gario I! a un Manfredo figlio di altro Manfredo del luogo di Mosezzo, nel novarese, che il Baudi di Vesme 6 ritiene figlio di Manfredo, conte di Milano e seguace di Berengario I, scampato per la giovanissima età alla strage dei suoi decretata da Lamberto nelI’896. La prima casata lomel lese si estinse nel conte Egelrico, morto con ogni probabilità nel 996 senza eredi lasciando vacante il feudo, che nello stesso anno veniva La prima casata dei conti territoriali di Pavia di cui si abbia notizia è quella dei bernardingi, cosE denominati dal loro capostipite Bernardo re d’Italia che nell’818 fu acciecato e spodestato dallo zio Ludovico il Pio. CEr. F. FAGNANI, I Bernardingi Conti di Pavia poi di Sospiro e Rovescala, in Bollen. della Soc. Pavese di Storia Patria, LV (1955), IX, 142 e sgg. 2 B. DRAGONI, Il Comune di Pavia fra il Mille e il Milleduecento, Pavia 1929, 22-3. Il distretto lomellense risulta già dotato di autonomia propria in un atto del 907 in cui si nomina la judiciaria laumellensis. CEr. M.H.P., XIII, n. 423, col. 732. P. VACCARI, La formazione del territorio municipale pavese, in Atti e memorie del 11 Congresso Storico Lombardo, Milano 1938. Sui limiti territoriali della contea di Bulgaria, comprendente il Vigevanasco e una vasta zona sulla sponda sinistra del Ticino, cfr. A. CAVANNA, op. cit., 22 e sgg., e la bi bliografia ivi citata. 6 B. BAum DI VESME, I conti di Verona, in Nuovo Archivio Veneto, 1896.

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assegnato al giudice pavese Cuniberto, da cui deriva la seconda casata dei conti di Lomello.~ Verso il Mille, sotto l’imperatore Ottone 111, i conti di Lomello assunsero pure la dignità di conti palatini e di conti

territoriali di Pavia, concentrando cosi in una sola famiglia tre cariche che assicuravano il completo controllo di tutto il territorio pavese. Quale fu la posizione di Bassignana nell’ambito del nuovo assetto territoriale introdotto da Carlo Magno? Il Guasco & Bisio,8 seguito pedissequame~t~ da altri, ha sostenuto l’appartenenza di Bassignana alla contea di Lomello, ma questa affermazione non risulta suffragata da al cuna prova. Essa anzi contrasta con un dato geografico di lapalissiana evidenza, come la collocazione di Bassignana sulla sponda destra del Po, completamente al di fuori quindi dell’ambito territoriale del comitato lomellense, che aveva come estremo limite meridionale la sponda sinistra del fiume. Parecchi indizi invece inducono a credere che Bassignana apparte nesse alla contea di Pavia, al pari di tutte le altre località a mezzogiorno del Po che in età comunale costituivano il territorio indicato con la denominazione di Ultrapadum Una prova decisiva al riguardo sembra costituita da una carta nonantolana del 990 circa nella quale vengono nominati « ad Mogironi mansos n’cs in Comitatu Papiensi » assieme ad altri appezzamenti di terreno in Piovera e Pecetto.9 Ora, se Mugarone apparteneva alla contea di Pavia, a foniori si deve concludere che alla stessa contea apparteneva anche Bassignana, che è ubicata a levante di Mugarone e maggiormen~~ vicina quindi ad altre località di sicura appar tenenza pavese. L’assetto territoriale scaturito dalla riforma carolingia fu sostanzial mente conservato durante il periodo del Regno Italico, che fu affidato da governare a Berengario marchese del Friuli ed ebbe ancora Pavia come capitale. Questo regno peraltro fu agitato da continui disordini per le lotte dei più potenti signori feudali che si contendevano il potere e il trono stesso. La corona non diede a Berengario I l’autorità neces Sulle origini e le ulteriori vicende di questa famiglia, che qualcwio ancora si ostina a considerare erroneamente una ramificazione della prima casata lomellense, cfr. B. ORACONI, I conti di Pavia e i conti palatini di Lomello nella Prima formazione dell’antico co mune pavese, in Bollett. della Soc. Pavese di Storia Patria, XLVH.XLVXII (1948), 1-11, 9 e Sgg.; ID., Ancora sui conti palatini di Lomello, ivi, LVI (1956), 11, 155 e sgg. E. GuAsco DI &sw, Dizionario Feudale degli Antichi Stati Sardi e della Lombar. dia, in BSSS., LIV.LVHI, Pinerolc, 1911, ad vocem. G. TIRABOSCHI, Storia della .Badia di Nonantola, Modena 1785, 11, 129,

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i contrasti e nel 924, dopo una serie di alterne e con fuse vicende, egli stesso mori assassinato a Verona. A lui successe Ro dolfo di Borgogna, quindi Ugo di Provenza ed infine Berengario 11, marchese d’Ivrea, che prima governò in nome di Lotario, figlio di Ugo di Provenza, e dopo la morte di questi divenne egli stesso re d’Italia, facendosi incoronare a Pavia col figlio Adalberto il 15 dicembre 950. Nei primi decenni del sec. X la regione piemontese fu orribilmente devastata dalle incursioni dei Saraceni che, provenienti da Frassineto (presso Saint-Tropez, sulla Costa Azzurra), riuscirono ad annidarsi sui valichi alpini. Dalle loro munitissime basi, i Saraceni scendevano perio dicamente nella pianura piemontese, devastandola al punto che verso la metà del sec. X la regione era pressoché disabitata e ridotta quasi al l’estrema rovina. Non è certo questa la sede per rievocare una pagina tanto triste ed oscura della nostra storia nazionale, tanto più che tali vicende sono state oggetto di una approfondita indagine 10 i cui risultati conservano tut tora piena attualità. Ci limiteremo qui a ricordare che le incursioni sara cene si spinsero in qualche caso nel territorio tortonese e nella valle del Tanaro, ove lasciarono uno stabile ricordo nelle tradizioni popolari. Una di queste tradizioni è stata raccolta da fra Giacomo d’Acqui nel suo Chronicon ymaginis mundi,1t ove è stata sviluppata la grandiosa leggenda che attribuisce ai Saraceni la fondazione, ai tempi di Carlo Magno, di un vasto stato nella valle della Scrivia e nelle regioni adiacenti da Alba sino a Tortona, con capitale a Precipiano e sotto il governo del principe pagano Marco. t noto che per quanto tardo, confuso e leggendario, il Chronicon di fra Giacomo d’Acqui non è affatto da trascurare dagli storici, perché l’autore « si servf certamente di fonti scritte oggi perdute, senza contare che anche nelle tradizioni ben vive al tempo suo deve pur esistere un certo fondo di verità »? È appunto il caso della leggenda cui abbiamo accennato sopra nella quale, se togliamo le ingenue invenzioni e gli ana cronismi introdotti dalla fantasia popolare, è possibile cogliere l’eco delle sana per superare

“ C. PATRUCCO, I Saraceni nelle Alpi Occidentali e specialmente in Piemonte, in Studi sulla storia del Piemonte avanti il Mille, cir., 321 e sgg. JAcOBI AQuENsIs, Cbronicon ymaginis mundi, in M.H.P., SS., III, col. 1502 e sgg. Su Giacomo d’Acqui e sulle leggende raccolte nella sua cronaca ch E. GABOTTO, Les legendes carolingiennes dans le “Chronicon ymaginis mundi”, in Revue des langues romaines, Montpellier 1894. “ C. PATRucco, op. cit., 339.

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scorrerie effettuate dalle orde saracene nel tortonese e nella valle di Scrivia, ove si verificò molto probabilmente un regolare stanziamento di Arabi, in comunjca~ofle col mare attraverso le valli dell’alta Bormida e dell’alto Tanaro. Narra dunque la leggenda che i Saraceni occuparono una Zona della Lombardia meridionale nella regione delle Alpi Cozie, che si stendeva fra Piacen2a e Tortona e tutto il territorio montano dalla Lunigiana alla Provenza Questo territorio era dominato dal duca Marco, illustre e po tente principe saraceno. Secondo l’opinione di altri, riferisce il Chronjcon il duca Marco non era un saraceno ma piuttosto un pagano, il quale esten deva il suo dominio su quei monti e occupava la città di Atylia ‘~ che era sopra Serravalle, ove dicesi Pieve di Inverno, e Alba Spetia che ora è detta Tortona, nonché tutte le catene montuose che giungono alla riva del mare.’4 L’imperatore Carlo Magno scese in Lombardia avviandosi verso il territorio del duca Marco, presso il quale si erano rifugiate molte per sone messe al bando dall’imperat0~~ stesso. Meta della spedizione era la valle Scrivia, ove ora dicesi la Pieve di Inverno, ora dominata da un grande castello, occupato dal duca Marco, primamente denominata Monte Miliante, ed ora Precipiano Nei pressi era un’altra città di nome Alba Spetia, ora detta Tortona, sulla quale il duca Marco esercitava il proprio dominio, come su tutto il paese montano circostante. Dopo aver lasciato la città di Asti alle sue spalle, Carlo puntò contro i pagani di valle Scrivia, e dapprima toccò la località di Gamondio ove, soffermatosi alquanto, fece ampie donazioni alle chiese locali. Allora il Tanaro, prosegue il Chronjcon veniva chiamato fiume Sylopp, e Frascheta era detta la Silva Danea, Carlo Magno varcò il fiume Sylopp, e marciò in forze contro un monte occupato dai Saraceni, ora chiamato Montecastello, ed attaccando quel monte li mise in fuga. Costruf poi un grande ponte sul fiume Sylopp, per facilitare le sue pun tate offensive contro il duca Marco e i pagani che abitavano le località e i monti ricordati sopra. Nel luogo ove sorge attualmente il castello di Serravalle era un posto di guardia chiamato capra silve Danee, e quasi nell’opposta direzione era un altro distaccamento che prendeva nome da Ospinello, il quale era un gran personaggio pagano; attorno a questi “ La leggendaria città di Aty!ia corrisponde nella realtà a Libarna. Cfr, F. CAnOTTO .1 municipi romani ... cii., 268. JAcOBI AQUEN5IS op. e!. cii.

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luoghi abitava il figlio del duca Marco, di nome Flambador, milite po tente, che con 500 miiti custodiva la contrada. Nella silva Danea detta ora la Frascheta si trovava una gran quantità cli animali e di porci, e un folto numero di alberi. In quella foresta il predetto Flambador ebbe parecchi scontri con le truppe di Carlo Magno, ora vincendo e ora rima nendo soccombente. La guerra fu vinta dall’esercito imperiale soprattutto per merito di Rolando, nipote di Carlo Magno, il quale fece prigioniero il gigante pa gano Ottonello di Atylia, lo convertf, lo battezzò e gli diede in sposa sua sorella Bellisante. La guerra fra pagani e cristiani, secondo la leg genda, si sarebbe poi spostata verso Crema e Brescia, ove nel furore della battaglia Rolando feri a morte Ottonello: la moglie ne mori di dolore e fu sepolta col marito in un magnifico sepolcro eretto per loro in una chiesa. Nella siiva Frascheta Carlo Magno avrebbe avuto un incidente che poteva rivelarsi fatale. Andando a caccia di porci nella foresta con la scorta di pochi uomini, fu catturato da Flambador e condotto in carcere nel castello di Monte Miliante. Sottoposto a interrogatorio rispose, men tendo, di essere Gualino falconiere dell’imperatore. Ma il duca Marco, diffidando della risposta, chiamò un milite di corte, Anselmo de Mulo, ordinandogli di recarsi in carcere per accertare chi fosse realmente il cavaliere di cosf bell’aspetto da poco catturato. Anselmo riconobbe subito l’imperatore, ma non svelò la sua identità. Approfittando del fatto che i Saraceni con i loro capi si erano portati a combattere contro Pavia, il duca Aimone e Rolando si diressero verso il castello di Monte Miliante, detto ora Precipiano, passando per la via del bosco della silva Danea o della Frascheta, via che anche oggi è detta tanarina.’5 Il duca Aimone Il nome della strada deve corrispondere certo a quello ancora in uso ai tempi del cronista, e deriva evidentemente dal fatto che essa costeggiava il corso del Tanaro. Tale strada toccava verosimilmente anche Bassignana, posta appunto ai limiti settentrionali dell’immensa foresta d’Orba, che fra’ Giacomo d’Acqui chiama silva Danea e anche Frascheta. Con quest’ultimo nome si indicò il risultato primo delle trasformazioni agrarie della re gione, che portò al graduale disboscamento e alla successiva riduzione a colto di molti terreni. Fraschetta diventò allora sinonimo di terra o campo o, meglio, di un insieme di boschi, gerbidi e campi lavorati. La Fraschetta occupava una regione assai vasta ed era suddivisa in diverse zone: abbiamo infatti una Fraschetta tortonese, una novese, una ho schese e una valenzana di cui faceva parte anche Bassignana. Sulla questione cfr. E. AN GI0LINI-L. VERGANO, Storia di Alessandria, I, in Rivista di storia arie e archeologia, cit., LXVIIT-LXIX (1959.60), 58-59, ove fra l’altro sono ricordate le consuetudini degh uomml della comunità di Marengo relative alla Fraschetta di Marengo.

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e gli altri militi cristiani si gettarono contro i Saraceni, liberarono l’impe ratore e nel corso della mischia uccisero Flambador Radunato un grosso esercito, Carlo Magno distrusse la città di Atylia e il Castello di Monte Miliante, ricacciando i Saraceni da quei monti sino alle rive del mare. Investi quindi la città di Tortona da due parti: in pianura e sul monte Scholta. Espugnata la città, tutti i Saraceni furono cacciati dalla Lombardia Come si può vedere, questa grandiosa e complessa leggenda contiene tali e tanti elementi fantastici da non meritare la minima credibilità. Rimane tuttavia il fatto che la leggenda adombra una verità che, a nostro avviso, non può essere revocata in dubbio: la continuità di una tradi zione che si riallaccia alle ripetute scorrerie saracene in quell’ampia zona che abbraccia l’acquese e il tortonese, nella quale non è improbabile sia sorto un effimero stanziamento di Arabi collegati con lo stato che aveva la sua sede a Frassineto. La definitiva cacciata dei Saraceni dalle nostre regioni, secondo le ricerche del Patrucco, avvenne nella seconda metà del sec. X, in coin cidenza col risveglio economico, sociale e politico dell’Italia superiore e, soprattutto, col rafforzamento dell’autorità regia e imperiale che si veri ficò sotto la dominazione degli Ottoni in Italia.

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Il quadro offerto dalla scarsa documentazione pervenuta sino a noi consente di stabilire che, verso il Mille, gran parte del territorio di Bas signana era suddiviso fra signori laici ed enti ecclesiastici, accanto ai quali comunque non doveva mancare una folla di minori proprietari. In qualche caso i beni in questione erano di natura allodiale, per venuti nei rispettivi titolari per successione ereditaria, compravendita o altro titolo d’acquisto. Nella maggior parte dei casi peraltro si trattava di beni donati direttamente dal sovrano ad enti ecclesiastici (vescovati o monasteri) per assicurarsene l’appoggio e il favore, secondo una prassi che, già in vigore nell’età longobarda e carolingia, è poi stata largamente applicata nel periodo ottoniano. I beni donati dai sovrani erano, di regola, di natura e provenienza fiscale: gran parte delle terre di Bassignana assegnate in donazione ad enti ecclesiastici partecipavano appunto di quella particolare natura. Abbia mo già accennato, del resto, al fatto che in età longobarda la maggior

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parte del territorio di Bassignana doveva appartenere al fisco regio, con dizione questa che dovette rimanere inalterata durante l’età carolingia e quella successiva dei re italici. Vediamo ora quali erano i principali proprietari di beni in Bassi gnana attorno al sec. X. A)

Monastero di Nonantola

Questo insigne monastero benedettino possedeva a Bassignana e nelle località limitrofe alcune terre menzionate in una carta del 31 mag gio 1006. In questo atto, «Alderum filius bonae memoriae Alderici », vivente secondo la legge longobarda, riceve da Rodolfo abate del mona stero di Nonantola la concessione in precario per sé e discendenti legit timi di tutti i beni che lo stesso monastero possiede « in locus et /undus Cauresi, .Baseniana, Muliarone, Stazano, Pulveria, Cicognesi, et ubi Pio verasco dicitur, vei in earum adiacentiis »)6 È questo l’unico atto che accenni ai possedimenti del monastero nonantolano in Bassignana, il che induce a credere che la proprietà dei beni stessi sia passata ad altri abbastanza per tempo. B)

Liutfredo vescovo di Tortona

Secondo il Guasco di Bisio,’1 avanti il Mille in Bassignana posse deva molte terre anche Adamo Amizzone conte di Stazzona dal quale, per via di donne, nel 997 i beni stessi sarebbero passati a Liutfredo vescovo di Tortona, a Riccardo conte d’Ossola, a Uberto il Rufo conte Vercelli, a Uberto conte di Stazzona e a Ottone di Montiglio, tutti discendenti dal conte Aimone di Vercelli. Non è oggi possibile stabilire in base a quali elementi il Guasco di Bisio abbia potuto ricostruire con tanta sicu rezza una cosi complessa situazione patrimoniale, che non risulta provata da nessuna fonte coeva. Sappiamo però che l’insigne studioso, pur tanto valoroso nelle discipline storiche, scambiava troppo facilmente le sue teorie, comuni del resto ai seguaci della scuola storica subalpina, con la verità assoluta. E poiché nessuna teoria, per quanto geniale e innova trice, può tener luogo di un documento, riteniamo prudente accettare

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G. TIRABOSCHI, op. cit., 11, 136. F. GuAsco DI BISIO, op. cit., ad vocem.

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con beneficio d’inventano le affermazioni dello storico subalpino, augu randocj che in futuro esse possano trovare conferma in qualche valida pezza d’appoggio. Ciò che è certo, ad ogni modo, è il fatto che il vescovo Liutfredo di Tortona possedeva effettivamente a Bassignana, come in altri luoghi del tortonese e del vogherese, alcuni beni che risultano di provenienza materna. Ciò è provato da un atto del 15 gennaio dell’anno 998 col quale il vescovo Liutfredo vende a « Otto dux flhius bone memorie Co noni » numerosissimi beni, alcuni dei quali siti « in locjs ci fundis. casale uigarj. siqueria. piniolj. morenise. fanigasi. sale roderadi. bibiano. spa roarja. baseniana ».18 Nel documento, appunto, viene specificato che tali beni « /uerunt jure ci proprjetaiem quondam Bertani. que /uit genetrjs. mea ». Il Guasco di Bisio identifica il duca Ottone citato nell ‘atto di cui sopra con Ottone duca di Carinzia, che avrebbe cosf acquisito metà di quanto il vescovo Liutfredo possedeva a Bassignana. Questa porzione di beni sarebbe poi stata ceduta dal duca Ottone ad una abbazia milanese non meglio precisata. Anche in questo caso lasciamo la responsabilità del l’affermazione al Guasco di Bisio, il quale prosegue sostenendo che l’altra metà dei beni posseduti in Bassignana dal vescovo Liutfredo sarebbe stata ceduta da questi all’imperatore Ottone III nel dicembre dell’anno 997. L’imperatore, a sua volta, con diploma del 21 novembre 1001 avrebbe donato i beni in parola all’abbazia pavese di 5. Felice della Regina, inti tolata anticamente a 5. Salvatore. Il diploma in questione peraltro, nella lezione edita dal Muratori,’~ non fa alcuna menzione di Bassignana, il che dimostra che lo storico subalpino incorse in qualche abbaglio. C)

I Vescovi di Pavia

Una cospicua porzione del territorio di Bassignana apparteune pure ai vescovi di Pavia, che riuscirono a conservare i loro possedimenti nella località per lunga serie di secoli. Secondo una notizia riferita dallo storico pavese Gerolamo Bossi, «Luitardo, Vescovo XLIX. di Pavia, nel 849 da Lotario e Lodovico Re, et Imperatori hebbe la donatione di Casolate, Cema, Fontana, Menasio, A. CAVAGNA SANGIULIANI Documenti vogheresj dell’Archivio di Stato di Milano, Pinerolo 1910, in BSSS., XLVII, dcc. III, 18. LA. MURATORI, Antiquitates Italicae Medii Aevi, Milano 1741, t. IV, coI. 197.8.

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Monte Valerio, Roscala, Sommo, Sanano, Tenasio, e Pieve di Bassigna na » Per quanto il Rossi sia solitamente bene informato, attingendo le sue notizie da materiale archivistico di prima mano da lui consultato direttamente, in questo caso si deve trattare di un documento apocrifo, in quanto è certo che i beni elencati nella pretesa donazione dell’849 risultano pervenuti alla chiesa pavese soltanto più tardi. Per quanto ri guarda Bassignana, in particolare, le proprietà ivi godute dal vescovato pavese risultano addirittura acquisite in epoca più recente rispetto alle altre elencate dal Bossi. Nessuna menzione anzitutto ricorre nel diploma di Rodolfo Il re d’Italia del 18 luglio 925,21 col quale il sovrano con ferma a Leone, vescovo di Pavia, i beni che la chiesa pavese possedeva prima che la città (nel 924) fosse data alle fiamme dagli Ungari. Bassi gnana non viene menzionata neppure nel successivo diploma dell’anno 944 col quale il re Ugo e il figlio Lotario riconfermano al vescovo Liti fredo di Pavia i beni della sua chiesa.11 Il più antico accenno a possedimenti del vescovato pavese in Bassi gnana ricorre nel diploma di Ottone Il del 22 novembre 976, col quale il sovrano conferma al vescovo Pietro di Pavia i beni della chiesa tici nese, tra i quali « plebes quoque Bassignanam cum curie Frigandium »? E poiché il diploma si limita a confermare beni già in possesso della chiesa pavese, senza procedere a nuove elargizioni, si deve ritenere che le terre ubicate in Bassignana siano state donate al vescovato ticinese tra il 944, anno in cui fu emanato il precedente diploma di Ugo e Lotario, e il 976, anno di emanazione del diploma di Ottone Il. Non saremo forse lontani dal vero supponendo che i beni di Bassignana siano stati donati al vescovo di Pavia ai tempi di Ottone I, vale a dire nel periodo 962-973. I beni oggetto della donazione erano costituiti anzitutto dalla pieve di Bassignana, intendendosi qui non l’edificio materiale della chiesa, ma piuttosto il complesso dei diritti fiscali che gravavano sull’intera circo scrizione battesimale. In secondo luogo, la donazione era costituita dalla .~

G. Bcssl, Notabili, che dimostrano, quali siano, oltre le molte Prerogative eccle siastiche, i dignità secolares b , e feudali del Vescovo di Pavia, cavati da’ libri, e da quella pan di scritture, che si è veduta con occasione di comporre le Memorie Civili, et ancora I Glorie sacre di e sa Città, ma. inedito degli inizi del sec. XVII in Biblioteca Fagnani, Pavia. L. ScHIAPARELLI, I diplomi di Rodolfo Il, in F.S.I., Roma 1910, dcc. Il, 136. IDEM, I diplomi di Ugo e Lotario, in FSI., Roma 1924, dcc. LXXIV, 216. M.G.H., DipI. Reg. et Imp. Germ., IX, i, Ottonis Il Diplomata, Hannover 1888, dcc. 144, 161.2. Cf,r. Appendice al presente volume, dcc. I.

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corte di Frigandio, possedimento terriero di origine evidentemente fiscale (oggi diremmo demaniale) che possiamo supporre ubicato nel territorio stesso di Bassignana. Il termine curtis, com’è noto, nella sua accezione più diffusa sta ad indicare il cortile o spazio cintato attorno alla casa, la casa e il suo recinto, o anche quel complesso di edifici e di suolo cintato che costituiva il centro di un’azienda agricola: nell’età romana il suo equivalente è la villa di un latifondo, nell’età moderna la fattoria con la casa padronale e i rustici annessi. Nella pratica, il termine curtis venne anche a signifi care il complesso patrimoniale di ciascun fondo, al centro del quale risie deva il fattore o aclor, funzionario che più tardi si chiamò anche nei fondi privati gastaldus. Nell’interno della corte cosf intesa venne distinta una pan dominica o domocultile, detta anche curtis per antonomasia, che corrispondeva alla parte del fondo rustico condotta direttamente dal pro prietario, e una pan massaricia che era suddivisa in lotti affidati a singole famiglie di agricoltori, tenuti a corrispondere al proprietario un fitto gene ralmente in natura. Non è certo impresa facile determinare con maggiore esattezza l’ubi cazione della corte di Frigandio, dal momento che nessuna fonte contem poranea o successiva offre qualche spunto utile alla ricerca. Sappiamo peraltro che, nei secoli seguenti, il complesso terriero appartenente ai vescovi di Pavia si trova indicato con la denominazione di Dalmazana sive Sivolta, toponimo a sua volta scomparso. Tali beni erano sulla spon da sinistra del Po, e precisamente a valle del ponte che univa Bassignana a Borgofranco. Sembra dunque che in questo punto preciso fosse ubicata la corte di Frigandio. La dolorosa dispersione degli archivi pavesi, e in particolare del l’archivio vescovile, non consente di seguire da vicino le vicende cui andarono soggetti i beni della chiesa pavese in Bassignana. A compensare almeno in parte tale scarsità di notizie abbiamo un prezioso atto dell’il maggio 1212 in cui Bernardo Balbi, vescovo di Pavia, col consenso del capitolo della cattedrale pavese compie un’investitura ventennale, a fa vore dei consoli della comunità di Bassignana, del bassignanasco che è al di là del Po, a valle del ponte di detta comunità, verso Sparvara.24 Riservandoci di tornare in altra occasione sugli altri elementi intrinseci del documento, riteniamo interessante sottolineare che, almeno in parte, “

doc. 11.

Archivio Vescovile di Pavia, cart. Vescovi di Pavia nel 1200. Ch. Appendice,

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i possedimenti del vescovo pavese si estendevano lungo la sponda sinistra del Po, in direzione di Sparvara, località quest’ultima che è stata da tempo ingoiata dal fiume. Cinque anni più tardi, e precisamente nel maggio 1217, il pontefice Onorio III indirizzò a Folco Scotti, vescovo di Pavia, una bolla di con ferma dei beni appartenenti alla chiesa pavese, nonché della giurisdizione sulle chiese e monasteri dipendenti?5 Nella bolla si nomina esplicita mente, dopo la pieve di S. Siro in Sale, « plebem de Bassignana curn capellis, et parocbiis, et pertinenti 15 Sf415 ». Con atto del 19 mano 1268 il vescovo Guglielmo Cipolla investi Ottone Manavella e Ugo Omodeo, sindaci e procuratori del Comune di Bassignana, della possessione chiamata Dalmazana sive Sivolta sita al di qua del Po in territorio di Bassignana, già posseduta dagli uomini di detta comunità, e delle acque del Po e del Tanaro scorrenti in detto ter ritorio, con relativi diritti di pesca, nonché del diritto di percepire i lombi dei porci venduti annualmente nella beccheria (macelleria) di Bas signana dalle calende di maggio sino alla festa di 5. Martino.26 Il canone di affitto fissato era di 6 denari pavesi da versare annual mente nella festa di 5. Martino. Alla stipulazione dell’atto la comunità versò al vescovo la somma di 2Y lire pavesi, e ottenne il riconoscimento della facoltà di alienare ad altri i beni in questione in qualsiasi momento, con l’obbligo però di avvisare il vescovo nel caso di alienazione a per sone che non fossero del luogo. Ricorrendo tale ipotesi, il vescovo si riser vava di acquistare i beni in parola pagando 12 denari in meno per ogni lira di prezzo offerta dall’acquirente. Il motivo principale che deve avere indotto il vescovo pavese a con cedere l’investitura della sua possessione di Bassignana deve evidente. mente ricercarsi nel fatto che i beni in parola erano piuttosto lontani dalla sede vescovile, il che rendeva certo difficoltosa la conduzione diretta dei beni stessi, specialmente in una situazione politica instabile come quella che si verificò verso la metà del sec. XIII. Va però osservato che i beni oggetto dell’investitura si trovavano già da qualche tempo in pos sesso della comunità di Bassignana, come risulta chiaramente dall’atto del 1268. t probabile quindi che, dopo essere stata concessa in affittanza a termine, la possessione di Bassignana sia stata poi ceduta alla comunità “ C. PRELINI, S. Siro, Pavia 1890, voI. Il, doc. XXXI, 47. Cfr. Appendice, doc. III. 26 Arcbivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, n. 2. Ch. Appendice, doc. IV.

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DALL’En CAROLINGIA ALL’ETÀ OflONjAp~~ DALL’ETÀ CAROLINGIA ALLTTA OTTONIANA

del luogo mediante una forma contrattuale alquanto simile nella sostanza al contratto enfiteutico, caratterizzato appunto da una somma pagata all’atto dell’investitura e dalla corresponsione di un canone annuo fitta lizio, con un diritto di prelazione a favore del concedente. Ma v’è dell’altro che merita di essere posto in evidenza nell’atto del 1268. Anzitutto il vescovo pavese percepiva i lombi di ogni animale suino ucciso o venduto in Bassignana, diritto questo che nel medioevo era piuttosto diffuso e costituiva sempre un reddito di natura signorile. Il che dimostra, in altri termini, che il vescovo di Pavia godeva nella loca lità di Bassignana d’una posizione di preminenza nei confronti degli uo mini del luogo, che dovevano trovarsi in una condizione di quasi suddi tanza nei confronti del domjnus La posizione di preminenza del vescovo pavese, molto simile nella sostanza al dominanti- loci, è fondata d’altro canto su altri diritti di natura, oggi diremmo, pubblica: i diritti di pesca nelle acque del Po e del Tanaro, evidentemente concessi alla chiesa pavese unitamente alla corte di Frigandio, di cui costituivano forse una pertinenza diretta. Se poi teniamo presente che al vescovo pavese faceva capo anche la giurisdizione ecclesiastica su Bassignana, abbiamo un ulteriore motivo per credere che il vescovo esercitava in luogo una vera e propria signoria, per quanto temperata dal fatto che la comunità degli uomini di Bassignana non rico nobbe mai alcuna signoria feudale sulla località. Verso la fine del sec. XIII, i beni di Bassignana e di altre località di pertinenza del vescovo di Pavia furono usurpate da qualche prepotente oppure passarono in godimento di privati che li avevano ricevuti in pegno di prestiti effettuati a favore della chiesa pavese. Nell’intento di sanare la difficile situazione che s’era venuta a creare, il vescovo Guido Lan gosco, parte con l’esborso di danaro e parte con la propria autorità, nel 1299 riuscf a recuperare i beni della mensa vescovile con le possessioni di Bassignana, Broni, Briccola, Cilavegna, Pancarana, Ponticello, Sale, S. Spirito e Scavizzata?~ 17 G. Bossi, ms. cit.: « 1299. Guido Langoschi, Vescovo Lxxxiii. di Pavia, nel 1299. ricuperò le Possessioni di Bassignana, Brone, Briccola, Cilavegna, Pancarana, Pon. ticello, Sale, Sanspirito, e Scavizzata ». Il Bossi cita come fonte « Regist. a,cb. Vere. lii,. MS. arch. ca/ed. ». In altra sua opera, lo stesso Bossi afferma che il vescovo Guido « co’ denari e con l’industria et autorità sua » recuperò dette possessioni, « parte delle quali erano usurpate da chi non ne havea alcuna ragione, e parte godute da chi le bavea in pegno per qualche prestanza di denari fatta a suoi antecessori ». Cfr. G. Bossi, Le glorie sacre di Pavia (noto come ms. Vescovi di Pavia), in Biblioteca Universitaria di Pavia, Manoscritti Ticinesi, n. 187, ad annum. Qualche dato ulteriore su Bassignana viene riferito

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E da ritenersi per certo che i beni di Bassignana, dopo gli eventi accennati, siano ritornati per tempo alla comunità del luogo, che ne con tinuò il godimento per parecchio tempo ancora. Lo dimostra un atto del 19 maggio 1377 col quale Francesco Sottoriva, vescovo di Pavia, rilascia alla comunità di Bassignana quietanza per lire 72 pavesi, corrispondenti a otto anni d’affitto, per i beni e i diritti del vescovo pavese in Bassi gnana, per i quali viene rinnovata l’investitura a favore della stessa co munità?8 Una nuova investitura dei beni in questione fu effettuata il 10 set tembre 1388, quando la comunità di Bassignana versò al vescovo Gu glielmo Centuario la somma di 26 formi d’oro, impegnandosi a corri spondere un canone annuo di 10 lire pavesi?9 La documentazione posteriore prosegue sino a tutto il sec. XVIII, ma non è qui il caso di richiamarla, dal momento che sull’argomento si ritornerà ampiamente nel capitolo dedicato alla pesca. Ci limiteremo qui a ricordare che i diritti enfiteutici del vescovo di Pavia in Bassignana durarono sino ai tempi del vescovo Luigi Tosi (1823-1845), che per varie ragioni d’opportunità ritenne interesse della sua mensa alienare definiti vamente.1°

dallo Spelta, il quale afferma che il vescovo Guido « intese.., che una casa del Vescovo, e possessioni in Bassignana erano in pegno già trentaquattro anni per mille e quattrocento lire, e le ricuperò ». Cfr. A. M. SPEtTA, Historia delle vite di tutti i vescovi... di Pavia, Pavia, Bartoli, 1597. “ Archivio di Stato di Torino, l.c., mazzo 5, n. 3. L’atto fu stipulato da Ubertino Manuelli del fu Pietro, sindaco e procuratore della comunità di Bassignana per istrumento rogato dal notaio Uguitello Castaldi in data 13 gennaio 1377. Presenziarono all’atto, cele brato nella cappella di 5. Silvestro nel vescovado di Pavia, Giovanni Crispi di Milano, Guglielmo Bellingeri di Bassignana studente in diritto civile, Giovanni Soleri di Modena canonico pavese e Lanfranco Fioni di Bassignana cappellano del vescovo di Pavia. “ Ivi, mazzo 5, n. 4. L’investitura fu ricevuta da Ludovico Bellingeri del fu Agostino e da Giovanni de Preti del fu Nicola, procuratori della comunità di Bassignana in forza di procura rogata da Domenico de Liori notaio di Bassignana. ‘° Il vescovo Tosi (grande amico del Manzoni) fu a Bassignana il 7 giugno 1831, probabilmente per dare inizio agli atti di rinunzia ai suoi diritti enfiteutici. La sua visita a Bassignana è ricordata da un opuscolo in 4° di 20 pagine, stampato dalla tipografia Sal vatore Rossi di Alessandria, che reca il titolo seguente; « All’ili. e Rev. Mons. d. Luigi Tosi vescovo di Pavia, omaggio de’ coniugi r. not. Filippo ed Isabella Tartara, colla figlia e genero Vigliani, nell’auspicatissima occasione che degnasi di onorare la casa loro in Bassi gnana, il giorno 7 giugno 1831 »,

NELLA LOnA TRA I COMUNI E L’IMPERO

NELLA LOTTA TRA I COMUNI E L’IMPERO

Nel 1152 sali al trono di Germania Federico I di Svevia, detto Bar barossa. Vastissimo, come sappiamo, fu il suo programma politico. In primo luogo egli doveva porre fine alle rivolte dei grandi feudatari in Germania e ad ogni antagonismo, piano che egli riusci a realizzare conce dendo la Germania settentrionale al cugino Enrico il Leone, facendosene un potente e prezioso alleato. Soltanto allora poté rivolgersi all’Italia, dove intendeva ristabilire l’autorità imperiale di fronte ai Comuni e riaf fermare la supremazia dell’Impero sulla Chiesa. Nel 1154 Federico scese in Italia con le sue milizie e a Roncaglia riuni una dieta a cui parteciparono i rappresentanti di molti Comuni. Fu questa l’occasione per esporre chiaramente i principi ispiratori del suo programma politico. Pavia accolse con aperto favore l’Imperatore. Nella prima metà del sec. XII la città aveva assunto talvolta un atteggiamento ostile all’Impero, come ai tempi della discesa di Lotario III, ma la sua politica successiva mutò quell’orientamento. Le guerre di Federico I contro Tortona e con tro Milano, poi contro le città lombarde coalizzate, troveranno Pavia schierata con la parte imperiale. Saranno appunto i pavesi ad invitare in città l’Imperatore, e nella città Federico sarà incoronato il 17 aprile 1155, nella vetusta basilica di 5. Michele Maggiore. In riconoscimento della sua fedeltà alla causa dell’Impero, Pavia ottenne dal Barbarossa un diploma, datato 8 agosto 1164,’ che accor dava alla città una serie di importanti privilegi che soltanto in parte saranno riconosciuti alle altre città dopo la pace di Costanza, col generale riconoscimento delle autonomie cittadine. Il diploma federiciano inoltre attribuiva formalmente a Pavia il dominio su un vasto territorio che abbracciava non soltanto la Lomellina e le terre fra Pavia e Milano, ma anche gran parte dell’attuale Oltrepò Pavese, i cui confini occidentali comprendevano le località di « Mugaronum, Basegnana, Sala ». Queste BÒHMER,

Acia imperii selecta, Innsbriick 1870, a. 121, p. 112 e sgg.

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tre terre, già appartenenti al territorio comitale pavese, costituivano una sorta di enclave incuneata nell’agro tortonese, senza un legame diretto con le rimanenti località dell’Oltrepò. Il diploma federiciano modificò questo stato di cose attribuendo a Pavia, ai danni della sconfitta Tortona, le terre di Ponte Curone, Coparia (Guazzora), Caselle e, pi6 a sud, Fras seneto, Novi, Pozzolo, Grondona, Brienzone e altri luoghi ancora già appartenenti al distretto tortonese. Nel contempo, il diploma vietò la ricostruzione di Tortona e Castelnuovo, distrutte da poco dall’Impera tore, con l’intento fin troppo scoperto di favorire i pavesi, suoi fedeli alleati. In questo periodo Federico Barbarossa raggiunse l’apogeo della sua potenza e credette allora vicino il momento della completa restaurazione dell’autorità imperiale. Ben presto però i Comuni italiani organizzarono le Me della resistenza che di 11 a poco era destinata a dare i suoi frutti. Già nel 1164, favorita da Venezia, si era formata una Lega, detta anche della Marca Veronese, che riuniva parecchi Comuni della regione veneta, mentre nel 1167 alcuni Comuni lombardi si riunirono nella Lega di Pontida, i cui rappresentanti, convenuti nel monastero di Pontida, giura rono di lottare contro l’Imperatore e di ricostruire Milano. Questa città risorse allora dalle rovine, mentre le città della Lega Veronese e della Lega di Pontida, a cui si aggiunsero molte città dell’Emilia, si univano nella grande Lega Lombarda, che trovò ben presto un potente alleato nel papa Alessandro III. In questo contesto storico si inserisce un fatto di particolare impor tanza per la storia della nostra regione: la fondazione della città di Alessandria, avvenuta nel 1168. Molto è stato scritto sulle ragioni che portarono alla fondazione della città, e diverse sono le interpretazioni che del fatto sono state date dagli storici del passato.2 La critica storica contemporanea peraltro ha respinto da tempo la tesi che la città sia stata edificata dalla Lega Lombarda in odio al Barbarossa, prospettando una diversa ricostruzione dei fatti. Va tenuto presente anzitutto che Alessandria fu costruita in una zona già fittamente costellata di centri abitati (ove si era già sviluppata la vita comunale) soggetti alle interferenze delle città di Asti, Pavia, Tortona e dei marchesi del Monferrato, di quelli del Bosco e dei Mala spina. In questa zona il malcontento dei rurali contro le signorie feudali Le diverse tesi sono state riassunte da P. ANGIOLINI-L. VERGANO, Storia di Ales sandria cit., 44 e sgg.

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era stato aggravato dalla politica federiciana, mirante a distruggere le autonomie locali e a riaffermare i diritti imperiali sulle corti regie e gli altri beni di origine fiscale. Avvenne cosf che i miites, sentendosi minac Ciati dalla politica di restaurazione imperiale, si misero a guidare il mal contento de rustici creando nel luogo più adatto una nuova città che orga nizzasse la vita economica della zona e garantisse i diritti dei rustici, dei piccoli possidenti e dei commercianti. La piena legittimità della fonda zione della città fu ottenuta tramite Alessandro III il quale, per ovviare alla mancanza di un vero e proprio distretto territoriale, creò la nuova diocesi di Alessandria, sulla quale si modellò in seguito il contado ales sandrino.3 L’imperatore Federico considerò la fondazione della città come una patente violazione dei diritti imperiali e meditò di distruggerla, anche per i rapporti di amicizia che nel frattempo Alessandria aveva stretto con la Lega Lombarda. Sceso in Italia nel settembre 1174, alla fine dello stesso mese pose l’assedio alla città, aiutato da contingenti di milizie monferrine, pavesi e genovesi. Dopo sei mesi la città resisteva ancora validamente, ed in suo aiuto accorsero milizie di varie città della Lega. Concentratesi a Piacenza, queste truppe entrarono nel territorio pavese e lo misero a sacco, danneggiando gravemente numerose località fra cui gli importanti centri di Broni, Sannazzaro e Casteggio. Il 6 aprile, domenica delle Palme, le milizie della Lega erano presso Tortona, minacciando direttamente lo schieramento avversario. Nel timo re di essere attaccato su due fronti, Federico compi un estremo tentativo per espugnare la città ma, fallito l’intento, si allontanò da Alessandria: era il 13 aprile 1173. L’Imperatore si accampò nei pressi di Montebello, a poca distanza dalle truppe della Lega dislocate a Casteggio. Fra le due parti allora furono avviati sondaggi diplomatici, nel comune desiderio di trovare una formula per un compromesso. Il 16 aprile fu raggiunto un accordo di massima, che nel giorno seguente portò alla stipulazione formale di una tregua tra Alessandria, l’Imperatore, i pavesi e il marchese di Monfer rato. In seguito a questo accordo, l’Imperatore si ritirò a Pavia e sciolse Circa questa interpretazione della fondazione di Alessandria, che rappresenta la tesi oggi prevalente nella storiografia contemporanea, saranno da consultare utilinente le relazioni presentate al XXXIII Congresso Storico Subalpino che ebbe luogo ad Ales sandria dal 6 al 9 ottobre 1968, in occasione dell’Vili centenario di fondazione della città. Il tema del Congresso era: « Popolo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa ».

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il suo esercito, mentre le truppe della Lega rientrarono nelle rispettive • città. Federico tentò allora di concludere una pace definitiva con le città italiane, ma l’accordo non fu raggiunto perché i collegati rifiutarono • di abbandonare il Papa e di accettare le rivendicazioni imperiali. Nella primavera del 1176 un nuovo ≥sercito tedesco mosse dalla Germània per portare aiuto all’Imperatore, che si accinse ad incontrarlo. • Ma l’esercito della Lega, deciso a impedire il congiungimento delle forze nemiche, affrontò il Barbarossa a Legnano il 29 maggio di quell’anno: Lo scontro fu aspro, e sappiamo come si concluse. Dopo alterne vicende, la battaglia terminò conla sconfitta dei tedeschi, e lo stesso Imperatore poté salvarsi a stento, riparando nella fida Pavia. La vittoria di Legnano ebbe un’importanza decisiva per le città ita liane;. perché segnò la fine della lunga lotta fra i liberi Comuni e il tentativo di restaurazione imperiale vagheggiato da Federico. La pace definitiva fu siglata a Costanza nel 1183, col pieno riconoscimento ‘delle autonomie cittadine. Il programma che Federico si era prefisso al momen to della sua prima discesa in Italia era cosi fallito nei suoi intenti di riaf fermazione dell’autorità imperiale sui Comuni e sul papato. Nel frattempo, la città di Alessandria mise in atto un vasto disegno politico che mirava a rafforza~e la propria posizione di fronte all’Impero e ai grandi feudatari, stipulando alcuni trattati che consentirono di esten dere la giurisdizione della città su un territorio più vasto. In questo qua dro assume particolare significato un atto del. 22 novembre 118O~ col quale i marchesi del Bosco assolvono i Bellingeri dalla prestazione della fedeltà alla quale costoro erano tenuti per il castello di Ponzario (Monte castello), ordinando che da quel momento in avanti l’òbbligo della fedeltà fosse prestato agli alessandrini. L’accorta e lungimirante politica perseguita dal Comune di Alessan dria doveva portare .di li a poco ad un risultato di vasti~sima portata: la « Reconciliatio Alexandriae »? Con questo trattato, siglato a Norim berga il 14 marzo 1183, gli alessandrini stipularono la pace cdn l’Impe ratore, il quale riconobbe ufficialmente l’esistenza. della città a condizione .

e F. GAsputoio, Cariario Alessandrino fino al 1300, in BSS&, voi CXIII, I, Pinerolo 1928, doc. XC, 119. Sul castello e la villa di Ponzano vantava alcuni diritti anche il pavese Guido di Sannazzaro il quale, anche a nome del fratello Rainerio, il 5 giugno 1207 cedette tali diritti agli alessandrini per la somma di 350 lire pavesi. Cfr. F. GASPAROLO, op. dil., I, CCLXXXI, 122. F. GA5PAR0L0, op. ciL, I, CI, 132.

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che assumesse il nome di Cesarea. La città, a sua volta, riconobbe i diritti fiscali dell’Impero ma ottenne in cambio il riconoscimento delle autono mie comunali. Alessandria passava nel novero delle città imperiali e accet tava un patto di reciproca protezione con Pavia, Tortona, Asti, Acqui, Alba, Casale e i marchesi di Vasto, Bosco e Occimiano, che dovevano riconoscere Alessandria come dipendente dal solo Imperatore senza al cuna ingerenza di altra autorità. Una clausola del trattato vietava esplicitamente ad Alessandria di accogliere nella città uomini di Pavia o del contado pavese, con partico lare riguardo agli uomini di Guidone della Pietra nonché di Sale e Bassi gnana. A loro volta, i pavesi e Guidone della Pietra si impegnavano a non accogliere nelle loro terre uomini di Alessandria senza reciproco accordo delle parti interessate. Tale clausola costituisce un chiaro indizio della politica di espan sione territoriale messa in atto dal Comune di Alessandria verso i terri tori del basso corso del Tanaro, nella zona di confine col contado pavese. Questa politica di espansione non mancò certo di preoccupare la città di Pavia, che tentò di arginare la crescente pressione alessandrina ai confini dell’Oltrepò. Sembra molto significativo al riguardo un atto del maggio 1179 col quale gli uomini di Valenza giurano fedeltà al Comune di Pavia, impegnandosi a distruggere, se verrà loro ordinato dal podestà di Pavia, i fossati e lo spalto che cingono il luogo, riconoscendo inoltre a quella città il diritto di esigere il fodro.6 Non è dubbio che questo accordo mirasse a sottrarre Valenza, rimasta sino a quel momento libera da ogni soggezione esterna, alle influenze alessandrine. Proseguendo nella sua politica di rafforzamento nel contado, il 4 agosto 1191 Alessandria diede in feudo ai Bellingeri il castello di Pon zano (Montecastello) con facoltà di fortificarlo. A loro volta, i Bellingeri si impegnavano a difendere il luogo contro ogni tentativo di usurpazione, facendo guerra ad arbitrio del Comune di Alessandria, restituendo inoltre il castello qualora questo fosse servito per la difesa della città, nella quale avrebbero dovuto acquistare una casa, divenendo cosf cittadini alessan 6 L. C. BOLLEA, Documenti degli archivi di Pavia relativi alla storia di Voghera, Pinerolo 1919, in BSSS., voi. XLVI, doc. XXXVII, 51. Soltanto p14 tardi Valenza entrò a far parte dei domini dei marchesi di Monferrato, ma per breve tempo, perché con atto del 16 agosto 1207 il marchese Guglielmo cedette il borgo a Pavia, a garanzia di un prestito di 4.000 lire avuto dal Comune di quella città. Valenza doveva essere ancora in possesso dei pavesi agli inizi del Trecento. Cfr. sulla questione R. MAzocdilI, Valenza venduta a Pavia nel 1207, in Archivio Storico Lombardo, XXIX (1902), 361 e sgg.

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drini.’ Analogo patto fu stipulato con gli uomini di Pietra Marazzi 8 e di altre località. Nello stesso anno 1191 Pavia ottenne da Enrico VI, successo al padre Federico I, un diploma in cui, fra l’altro, venivano confermate importanti rettifiche territoriali che sancivano il definitivo ritorno a Tor tona (dopo la « reconciliatio » con Federico I del 1176) di un vasto ter ritorio comprendente Pontecurone, Pozzolo, Novi e altre località dell’agro tortonese. Alla città di Pavia veniva nel contempo riconosciuta la giuri sdizione sulle terre fra Pavia e Milano, la Lomellina e l’Oltrepò, compresi i centri di Sale, Bassignana e Mugarone. ***

I primi anni del sec. XIII si aprono con una lunga serie di lotte spesso sanguinose fra le città padane, contrapposte le une alle altre a seconda della loro adesione o meno al partito favorevole all’Imperatore Ottone IV. Sono avvenimenti che interessano Bassignana soltanto di ri flesso, e che non ebbero comunque particolari conseguenze sulla vita interna della località. L’unico fatto degno di nota è la scelta di Bassignana come sede pei stipulare la pace tra Alessandria e Acqui e porre fine alla guerra che da tempo travagliava le due città. Nel 1206 il podestà di Milano si interpose nella discordia e propose una tregua da osservarsi fino a tutto il gennaio dell’anno seguente. La tregua fu accettata da entrambe le parti, con l’esplicito assenso di Pavia che parteggiava per Acqui. L’accordo relativo fu stipulato il 25 aprile 1206 « in territorio Bassignane supra ripam Tanari ».~ La pace definitiva fra le due città fu confermata con successivo atto del 9 agosto 1207 redatto « in territorio de Bassignana. in pratis que sunt iuxta mansionem de rivo de Puluerio »Y Ma anche questa pace fu di breve durata. Nel secondo decennio del secolo infatti i rapporti tra le città padane cominciarono di nuovo a dete riorarsi, dando luogo a scontri armati fra gli opposti eserciti. In uno di questi scontri numerosi militi pavesi, fedeli a Federico Il, rimasero pri gionieri degli alessandrini, seguaci invece del rivale Ottone IV. Il ponte fice Innocenzo III inviò allora al Comune di Alessandria una lettera, F. GASPAROLO, op. cit., I, CXIII, 150. Ivi, I, CXIV, 151. BÒHMER, op. cit., n. 179. ~ E. GASPAROLO, op. cit., voi. Il (Pinerolo, 1929), CCLXXJI, 112. Ivi, TI, CCLXXXII, 123.

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datata 28 ottobre 1212, con la quale Chiedeva risolutamente la libera zione dei prigionieri pavesi.’2 Abbiamo ragione di credere peraltro che l’appello del Pontefice sia rimasto lettera morta. Di fronte all’atteggia mento di Alessandria e degli altri Comuni padani a lui ostili, lo stesso Federico TI ritenne opportuno intervenire decisamente e il 2 maggio 1213 pose al bando dell’Impero Alessandria e le altre città, compresa Milano» Nell’anno seguente le ostilità raggiunsero una fase acuta. Le crona che del tempo ricordano che nell’agosto dell’anno 1214 le milizie milanesi e piacentine entrarono in Lomellina distruggendo il castello di Vellezzo e i centri di Breme, Cozzo, Candia, Sartirana, Villanova e altri ancora. Nell’ottobre dello stesso anno le scolte milanesi e piacentine espugnarono il castello di Parpanese, compiendo audaci scorrerie fino al castello di Rovescala, Nel 1215, avvalendosi delle rivendicazioni e dei risentimenti delle città vicine, Milano mise in opera contro Pavia e il marchese di Mon ferrato una lega formata dal conte Tommaso di Savoia, dalle città di Vercelli, Alessandria, Tortona, Acqui, Alba e dai marchesi Guglielmo e Corrado Malaspina, spalleggiati da Piacenza e altri alleati minori. Il 27 maggio di quell’anno, le milizie piacentine si concentrarono sulle rive del torrente Bardonezza e si unirono ai milanesi guidati dal loro podestà Brunasio Porca. Gli eserciti congiunti espugnarono e distrussero nume rosi castelli dell’Oltrepò Pavese, operando scorrerie e devastazioni che fruttarono copioso bottino. La situazione si aggravò a tal punto che, nel novembre 1215, i milanesi furono citati a comparire a Roma, al concilio indetto da Inno cenzo III, ove fu loro imposto di rappacificarsi con Pavia e le altre città sostenitrici dell’Imperatore Federico 11. Constatata la scarsa efficacia di questa mossa, nel maggio 1216 il Pontefice inviò a Piacenza, e quindi a Milano, due cardinali in veste di legati apostolici, incaricandoli di com porre il dissidio tra le città rivali. La missione dei cardinali andò fallita e la colpa di ciò ricadde sui milanesi e sui piacentini i quali, disprezzando le proposte di pace e le ammonizioni dei legati, si gettarono nuovamente sul territorio pavese devastandolo a più riprese, attirandosi cosi l’inter detto papale. Nel maggio e nel giugno 1216, milanesi e piacentini misero a ferro e fuoco gran parte dell’Oltrepò Pavese. Nel settembre, gli eser Ivi, TI, Ivi, 11,

CCCXXII, 171. CCCXXVIII, 185.

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citi delle due città alleate si gettarono sulla Lomellina e distrussero il castello di Robbio, ponendo quindi l’assedio a Sartirana. Fallita quest’ul tima impresa per l’imprevista resistenza degli assediati, varcarono il Po a Bassignana e si ritirarono dal territorio pavese)4 Nel frattempo, il 6 luglio 1216, si era spento Innocenzo III senza essere riuscito a ricondurre la pace fra le città padane. Il suo successore, Onorio III, appena fu salito al soglio pontificio scrisse al podestà e al popolo di Milano scongiurando di non muovere le armi contro i pavesi, ma di mandare a lui ambasciatori coi quali trattare una pace o una tregua. Le trattative, subito iniziate, si protrassero sino al 10 maggio 1217, quando a Campomorto fu stipulato il trattato di pace tra Pavia e Milano, nonché tra i rispettivi aderenti e alleati, compresi gli alessandrini)5 Nel periodo in cui Pavia era maggiormente impegnata nelle lotte esterne, che assunsero nel contado aspetti di particolare crudezza, comin ciarono a verificarsi i sintomi di quel rivolgimento della sua vita interna che portò alla affermazione della parte popolare. Questa appare già costi tuita nei suoi organi essenziali alla fine del sec. XII, ma soltanto agli inizi del secolo seguente la Società del Popolo di 5. Siro, formata preva lentemente da cittadini appartenenti alle corporazioni delle arti, riuscirà a partecipare ufficialmente alla vita politica del Comune con proprie magi strature. Questo fu solo il primo passo: nel giro di pochi anni la Società del Popolo di 5. Siro poté rivendicare il diritto di adottare in modo auto nomo provvedimenti che investivano non solo gli interessi di classe, ma anche quelli generali della comunità. Questo progresso della autonomia politica della parte popolare ebbe come conseguenza che anche la classe nobiiare rinsaldasse la propria organizzazione e rivendicasse a sua volta l’esercizio autonomo del potere. Da una parte quindi abbiamo i consoli e il podestà dei Militi, e dall’altra i consoli e il podestà del Popolo: la disintegrazione dell’unità giuridica del Comune è in pieno sviluppo e minaccia la stessa consistenza politica della città. É questa la situazione nella quale tentò di intervenire l’Imperatore Federico TI. Anzitutto, per premiare la città e rafforzare le garanzie di fedeltà che essa avrebbe potuto offrire anche per il futuro, il 29 agosto 1219 emanò un diploma 16 che riconobbe a Pavia tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori, confermandole tutte le località del distretto tra le Sugli avvenimenti di questo periodo cfr. I0HANNI5 CODAGNELLI, Annaies Piacentini, in M.G.H., SS.RR.GG., Hannover 1901, ediz. Holder-Hegger. L. C. BOLLEA, op. eh., LXXXIII, 227. 16 WINKELMANN, Acta Imperii medita, InnsbrUck 1880, I, n. 163.

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quali troviamo ancora menzionate Mugarone, Bassignana e Sale. Per sei anni Federico 11 non poté più occuparsi direttamente della situazione interna pavese ma, tornato in Italia, dovette nuovamente esa minare i problemi cittadini rimasti aperti. Nel frattempo, in città le fazioni non erano cessate: Popolo e Militi si fronteggiavano ormai aperta mente per contendersi a vicenda il predominio nel governo della città. Federico eliminò drasticamente le rivalità intestine sciogliendo la Società del Popolo e quella dei Militi, ricostituendo nella vita interna del Co mune l’unità di governo contro le cause che ne minacciavano la disgre gazione.’7 Ben presto però l’attenzione di Federico Il fu richiamata da altri e più impegnativi problemi. NeI 1226 egli indisse a Cremona una grande dieta il cui scopo apparente era quello di raggiungere un accordo per una nuova crociata contro gli infedeli: in realtà l’Imperatore intendeva riaffermare in quella sede i diritti imperiali sull’Italia. I Comuni lombardi, allarmati, rinnovarono allora la Lega Lombarda e l’Imperatore pose al bando dell’Impero le città colpevoli di lesa maestà. La guerra fu scongiurata per intervento del pontefice Gregorio IX, che impose a Federico di partire per la crociata. Al rientro da questa im presa, Federico poté riprendere la lotta contro i Comuni italiani. Nel 1231 indisse una nuova dieta a Ravenna, ma i Comuni collegati si leva rono in armi e affrontarono l’Imperatore in una grande battaglia campale a Cortenuova presso Bergamo (27 novembre 1237), ove riportarono un grave rovescio. Vinti, ma non piegati da questo insuccesso, i Comuni della Lega con a capo Milano proseguirono la lotta contro Federico, che nell’anno stesso era a Pavia, scelta come base di nuove operazioni militari contro i territori a lui ostili. A capo di queste operazioni era il marchese Man fredo Lancia, che nel 1240 fu creato vicario imperiale per le città di Pavia, Verceffi, Novara, Tortona e Asti. Nello stesso anno, e precisa mente il 18 maggio, il marchese Lancia mosse con le sue truppe contro il territorio di Alessandria, ma aveva da poco oltrepassato Bassignana che gli alessandrini gli inviarono un’ambasceria dichiarandosi disposti a riceverlo come podestà, consegnando in custodia ai pavesi Montecastello.’8 Per un esame più ampio dei rapporti tra l’Imperatore e la città cfr. P. VAccARI, Federico 11 e il Comune di Pavia, in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, LIII (1953), 11, 47 e sgg. G. ROBOLINI, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1830, IV,

1, 130-1.

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La guerra infuriò sino al 1249, quando i bolognesi riuscirono a sba ragliare a Fossalta l’esercito imperiale guidato da Enzo, figlio di Fede rico Il Vinto dalle forze comunali e minacciato nella stessa Germania, l’Imperatore si ritirò allora in Puglia, ove venne a morte il 13 dicem bre 1230. -

Nonostante la caduta della potenza e del prestigio dell’Impero, la città di Pavia si mantenne sostanzialmente fedele alla parte ghlbeliina anche durante l’alto governo di Uberto Pellavicino, che nel 1254 è ac colto come « sacri imperii in Lombardia vicarius generalis civilatum Cn mone Papie Placencie et Vercellarum perpetuus dominus el potestas ». Questo insieme di città sotto il governo di un solo e potente signore si allargherà negli anni immediatamente successivi con l’ingresso di Milano, acclamante la signoria di Uberto, e l’influenza da lui estesa sopra Tortona e Alessandria. Ma fu una dominazione di breve durata, destinata ad estinguersi con la morte del Pellavicino avvenuta nel 1268,’~ Con la scomparsa di lui, la parte ghibellina aveva conservato prati camente soltanto il baluardo di Pavia, tenace ancora una volta nella difesa della sua linea politica tradizionale, ma di fronte ad essa si levava ora la lega guelfa che faceva capo a Milano ed era ben più ricca di città, di armi, di mezzi. Per quanto i tempi fossero mutati di molto, nel 1268 Corradino di Svevia riuscf a trovare ancora grande favore ed appoggio nella cittadinanza pavese, ma dopo la tragica conclusione della sua avven tura anche il destino di Pavia appare segnato. La fine di Corradino coin cide appunto col crollo delle fortune ghibelline e della posizione politica della città, che aveva prestato alla causa dell’infelice imperatore svevo un notevole contributo di mezzi e di sacrifici. É questo il momento in cui la fazione ghibellina è costretta a scen dere a patti con la parte avversa. A questa aderivano ormai da qualche tempo numerose famiglie di estrazione nobiiare, ma esse erano rimaste relegate sino a quel momento a un posto di secondaria importanza. Il loro numero tuttavia andò crescendo ancora col tracollo dell’idea impe riale ed anche Pavia conobbe una organizzazione politica di parte guelfa seguita da una frazione notevolissima della classe nobiiare, mentre una parte numericamente inferiore continuò ad appoggiarsi alla parte ghibel lina e popolare. P. VACCARI, tJberto Pellavicino e il Comune di Pavia, in Scritti storici e giuridici in memoria di Alessandro Visconti, Milano 1955. 9

PARTE SECONDA Tra guelfi e ghibellini Nella lotta tra i Visconti e la Chiesa La signoria viscontea L’intermezzo milanese e savoiardo L’età sforzesca

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Nei decenni che volgono alla fine del sec. XIII le due idealità a cui si erano costantemente ispirate le forze politiche dell’età comunale, Chie sa e Impero, finirono col diventare poco più di un semplice pretesto a contrasti di altra natura, fondati sulle rivalità fra le varie classi sociali e sul conflitto delle ambizioni e degli odi di parte. Addirittura, coloro che si distinguevano in guelfi e ghibellini ad un certo punto persero di vista l’origine e il significato preciso di quei nomi. Pretendevano di essere fedeli, rispettivamente, alla Chiesa e all’Impero, ma per loro si trattava in realtà di due termini quasi mitici e astratti, dietro i quali si celava una realtà che variava a seconda degli interessi e delle passioni che contrap ponevano una fazione all’altra. «Le due fazioni de’ nobili e del popolo, strette e disciplinate sotto propri capi, con emblemi, statuti ed ordinamenti particolari, costituivano ormai due cittadinanze distinte, che l’odio di parte e le reciproche ven dette tendevano a dividere sempre più tra loro. Entrambe miravano ad impadronirsi del governo della città; onde la vittoria dell’una era sempre accompagnata dal bando dell’altra, la quale, a sua volta, raccoglieva nel l’esilio le proprie forze e, coll’aiuto delle città amiche, preparavasi alla riscossa, per ricuperare ad un tempo la patria ed il potere. In conseguenza le antiche leghe tra città e città come le antiche inimicizie si sciolsero, e cedettero il campo alle leghe ed alle inimicizie di partito: due città, che s’erano costantemente combattute tra loro, divennero amiche ed alleate pel solo fatto che il medesimo partito comandava in entrambe; l’amicizia cessava il giorno in cui in una di esse il governo passava nelle mani degli avversari. Le nuove alleanze, poi, erano tanto più intime e durevoli in quanto si fondavano sulla solidarietà di partito e sull’obbligo che i se guaci della stessa fazione avevano di aiutarsi reciprocamente; e le inimi cizie tanto più gravi e pericolose, in quanto il partito vincitore di una città doveva difendersi egualmente dai propri fuorusciti e dagli avversari delle altre città, vittoriosi o vinti che fossero ») G. ROMANO, Delle relazioni tra Pavia e Milano nella formazione della signoria viscontea, in Archivio Storico Lombardo, XIX (1892), IV.

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Di questo stato di cose costituiscono un esempio significativo le rela zioni intercorse tra Pavia e Milano negli ultimi decenni del sec. XIII. A Pavia i militi o nobili si dicevano guelfi, i popolani ghibellini. Gli uni e gli altri poi erano contraddistinti con la curiosa denominazione locale di Marcabotti e Fallabrini.2 A Milano invece accadeva esattamente il con trario: i ghibellini erano prevalentemente nobili e si appoggiavano ai Visconti, mentre i guelfi erano soprattutto di estrazione popolare ed erano guidati dai Torriani. La solidarietà di partito fece in modo che i nobili di Milano e il Popolo di Pavia, la nobiltà di Pavia e il Popolo di Milano, si alleassero fra loro per combattere i loro comuni nemici. Ben presto, il partito guelfo rappresentato dai nobili acquistò a Pavia, « per le forze e le aderenze di cui disponeva, grado e potenza da signoreggiare lo stato; specialmente quando il conflitto delle due fazioni, ad onta delle antiche denominazioni storiche, sotto cui si nascondevano, venne ad assumere forma e carattere di una semplice lotta di supremazia locale. Fu allora che sorsero a grande potenza le due famiglie de’ Bec caria e de’ Langosco, l’una ghibellina, l’altra guelfa, di maniera che la lotta combattuta in Pavia doveva condurre inevitabilmente a questo risul tato, che l’una o l’altra delle due famiglie avrebbe acquistato il dominio della città »? Già verso la metà del sec. XIII, al tempo delle imprese di Carlo d’Angiò e di Corradino di Svevia, le relazioni tra guelfi e ghibellini erano giunte ad un punto cruciale, in armonia del resto a quanto si stava verifi cando nello stesso periodo in molte città italiane. In seguito a qualche scontro diretto, di cui peraltro ci sfuggono i particolari, nel 1268 si verificò la prima secessione della parte guelfa, che abbandonò Pavia per rifugiarsi a Bassignana, ove ripararono pure i Torriani e i guelfi di Mi lano, Piacenza e Tortona.4 Inizia da questo momento il singolare ruolo svolto per vari decenni da Bassignana, scelta dalla parte guelfa come asilo sicuro ove rifugiarsi quando le convulsioni politiche interne della città di Pavia ne provocavano l’esilio. La secessione dei guelfi pavesi era ancora in atto verso la fine del 1268, quando fu stipulata un’alleanza con i Militi intrinseci di Tortona.

Il Montemerlo ricorda che il 23 settembre di quell’anno il consiglio dei MiiU di Pavia in Bassignan~ e il marchese di Monferrato, podestà di Tortona, giurarono pace e concordia perpetua tra pavesi estrinseci e tor tonesi intrinseci. I guelfi pavesi, rappresentati dal loro podestà Guizzardo Zazzi, appartenevano alle famiglie Langosco, Gambarana, Sannazzaro, Frascarolo, Bottigella, Zazzi, Cristiani, C&ni, Canepanova, Giorgi, Strada e numerose altre, Nel febbraio 1269 peraltro i Fallabrini riuscirono ad accordarsi coi rappresentanti del Pàpolo e, stipulata la pace, il 6 marzo seguente rien trarono in città, essendo Guglielmo della Pietra podestà del Popolo e Giacomo Bottigella dei Militi.6 Dopo qualche mese di calma relàtiva, le relazioni tra le due parti politiche subirono una nuova crisi che, sul finire del mese di agosto, provocò l’uscita dalla città dei Fallabrini, che si rifugiaro6o a Bassignana.7 Poco dopo essi rientrarono in città, ove insorsero nuovi .e pi6 gravi mo tivi di contrasto in seguito alla nomina a podestà del bergamasco Alberico Suardi, avvenuta l’8 novembre. I Fallabrini, spalleggiati dai Torriani, si ‘opposero a questa nomina ma, riusciti vani i loro sforzi, si ribellarono al Comune di Pavia ritirandosi a Bassignana. Fra i principali fuorusciti erano il podestà dei Militi Giacomo Bottigella; Guizzardo Zazzi e Rug gero Giorgi coi suoi fratelli.8 Il 7 gennaio 1270 i Fallabrini esuli riùscirono ad impadronirsi del castello di Pomaro e, dopo averne scacciati i rettori posti dal Comune di Pavia, lo consegnarono al marchese di Monferrato il quale, trasferitosi .a. Bassignana, accettò la carica di podestà e rettore dei. Fallabrini pavesi. Disgustato per la consegna del castello di Pomaro al-marchese, Francesco Canevanova coi èuoi fratelli parti da Bassignana abbandonando il partito guelfo. Rientrato a Pavia, il febbraio. seguente il Canevanova fu eletto podestà di Pavia dai Marcabotti. Nel frattempo, i Fallabrini esuli a Bas~ signana, per mezzo di loro ambasciatori, avevano stretto una lega coi Torriani e il Comune di Milano, giurando fedeltà al re Carlo d’Angiò.9 I Marcabotti’ non tardarono a reagire e il 24. marzo cavalcarono numerosi verso Lomello, decisi a scontrarsi -coi Militi pavesi insediati a

Un tentativo di interpretazione delle due denominazioni fu svolto, ma con dubbia fortuna, da C. BRAMBILLA, Due documenti pavesi dell’anno 1289, in Archivio Storico Lom .bardo, XVI (1889), IV, 911. G. ROMANO, op. cit. G. R0B0LINI, op. cit., IV, 1, 170.

N. MONTEMERLO, Raccoglimenti di nuova historia dell’antica città di Tortona tona, Viola, 1618, sub anno. G. ROBOLINI, op. cit., 171. lvi, 173. lvi, 174. lvi, 175.

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Bassignana. Dopo aver occupato Valeggio e presidiati i casteffi di Domo, Gropello e Garlasco, il 2 aprile seguente operarono scorrerie e saccheggi contro varie località della Lomellina. In soccorso dei Fallabrini giunsero allora alcune milizie inviate da Milano e le forze collegate mossero verso Lomello. Qui però furono intavolate trattative per una tregua, e le ostilità furono sospese per un mese. Rotta la tregua, il 9 maggio i Marcabotti tesero un agguato sull’Agogna nei pressi di Lomello, mentre una schiera composta da un centinaio di cavalieri si spingeva a depredare le vicine campagne. I Fallabrini arroccati a Bassignana uscirono in armi e, varcato il Po con duecento cavalieri milanesi, si misero in traccia del nemico arrivando alle rive dell’Agogna, ove i Marcabotti uscirono dall’agguato provocando un sanguinoso combattimento. Colti di sorpresa, i Fallabrini si ritirarono precipitosamente verso il Cairo, ma molti dei loro principali esponenti caddero prigionieri del nemico. Fra i muti catturati nel corso dello scontro erano Galvagno e Gaiferio Cam peggi, Campanasio Zazzi, Dondeo Cani, il figlio del conte di Gambarana, il figlio di Guglielmo del Cairo, un Giorgi, un Gambolò, uno Strada e numerosi soldati milanesi,1° La riconciliazione delle due parti fu stipulata solennemente il 16 maggio 1270, quando i Marcabotti e i Fallabrini esuli a Bassignana affi darono la definizione delle loro controversie ai rappresentanti di Ber gamo, Asti e Casale. Questi sentenziarono che si dovesse esonerare Albe rico Suardi dalla carica di podestà e si eleggesse in sua vece Lanfranco Suardi, che di fatto prestò giuramento il 5 giugno seguente. Gli stessi arbitri sentenziarono inoltre che Bassignana fosse consegnata a Olivo Giorgi podestà dei Militi e a Guglielmo della Pietra podestà del Po po1o.11 Con quest’ultimo accordo, evidentemente, si mirava a impedire che la munitissima località di Bassignana potesse cadere nuovamente in mano ai Fallabrini. Le parti si trovarono allora d’accordo di consegnare Bassignana ai podestà delle due fazioni antagoniste. La pace, faticosamente raggiunta, era destinata a durare ben poco. L’occasione per un nuovo dissidio fu offerta dalla contrastata nomina a vescovo di Pavia di Guido Zazzi, appartenente a una delle più potenti casate guelfe. Il contrasto si verificò alla morte del vescovo Guglielmo Caneto, avvenuta al principio di maggio del 1272. In sua vece, il clero pavese aveva eletto Corrado Beccaria, ma Gregorio X si era opposto a “

lvi, 176-8. lvi, 178.

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questa nomina e, il 24 settembre 1274, elevò a vescovo di Pavia Guido Zazzi. La parte ghibellina e popolare, capeggiata da Zanone Beccaria, non volle accettare la volontà del pontefice e decretò che si dovesse man tenere Corrado Beccaria nel possesso della sede vescovile, comminando rigorose pene per coloro che avessero prestato aiuto a chiunque si fosse qualificato vescovo eletto di Pavia durante la vita di esso Corrado. Sde gnato, Gregorio X sottopose Pavia all’interdetto)2 I Marcabotti non si curarono delle censure ecclesiastiche in cui erano incorsi, ma la situazione volse improvvisamente a loro sfavore. Difatti, alla fine di ottobre del 1275 i pavesi del partito guelfo elessero a podestà di Pavia Guglielmo Sannazzaro della Pietra il quale, il giorno 16 novembre, introdusse nel possesso della diocesi Guido Zazzi, contro la volontà di Zanone Beccaria e del partito popolare. In questo modo, i Fallabrini riuscirono ad assicurarsi il predominio sulla città.’3 Un nuovo rivolgimento interno peraltro riportò i Marcabotti alla loro posizione di preminenza. Riferisce infatti il Bossi ‘~ che il 26 giugno 1276 « nacque seditione e tumulto in Pavia perché Guglielmo Pietra si mostrava troppo partiale nel favoreggiare i Torriani et i Fallabrini di Pavia, e perciò Giovannone Beccaria con i Marcabotti di fattione Impe riale assaltò i Zazzi et il Vescovo che pur era della famiglia de Zazzi e li scacciò fuori della Città con tutti i suoi adherenti, nel qual tumulto furono saccheggiate le Case tutte di essa Famiglia et il Vescovato. Ciò veduto il Pietra usci di Pavia con tutti i suoi et andò alla Pietra ». Il Capsoni ‘~ aggiunge che nello stesso anno « di Novembre nel principio del mese i Pavesi cominciarono a distruggere le Torri de’ Zazzi, le case e le stanze loro, le case e torri di Guglielmo Pietra, di Giacomo Botti gella, di Galvagno Campeggi, e di molti altri grandi che si erano ribel lati alla città ». I fuorusciti nel frattempo si erano asserragliati nel forte castello di Pietra, appartenente a Guglielmo Sannazzaro, detto appunto della Pietra. Sul principio d’aprile del 1277 le truppe pavesi, aiutate da forti contingenti di milizie milanesi, vercellesi, astigiane e del marchese di Monferrato si portarono sotto il predetto castello e il 6 aprile diedero lvi, 187-8. lvi, 192. ‘~ G. Bossr, Issorie Civili, ms. in Biblioteca Universitaria di Pavia, Manoscritti Ticinesi, n. 179, sub anno. ~‘ S. S. C~psor~n, Monumenta ad bistoriam patriam, ms. in Biblioteca Universitaria di Pavia, ivi, n. 446. 2



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inizio all’assedio. Non risulta quale sia stato l’esito cli questa spedizione. Sappiamo però che nel settembre dello stesso anno furono eletti alcuni arbitri per definire i contrasti fra le due fazioni e, in seguito agli accordi stabiliti, Guglielmo della Pietra e le famiglie dei fuorusciti poterono rientrare in città. Gli avvenimenti che segnano l’ultimo ventennio del sec. XIII prelu dono ormai alla trasformazione del governo comunale in governo signo rile. Intorno al 1278 il marchese Guglielmo di Monferrato era riuscito a conseguire la diretta signoria su Alessandria, Vercelli e Milano, ed era stato accolto come tutore della pace interna e difensore da altre città fra le quali Tortona e Pavia. Quest’ultima aveva riservato al marchese una calorosa accoglienza in occasione del suo ingresso in città, avvenuto nel luglio del 1278, e si era apertamente dichiarata a suo favore. Sotto il governo del marchese, le feroci contese fra guelfi e ghibellini non si spensero del tutto, ma il carattere delle fazioni e i motivi delle rivalità si andarono trasformando negli strati più consapevoli della cittadinanza, ormai desiderosa di pace e di restaurazione dell’ordine. Di giorno in giorno diveniva sempre più manifesto il melanconico declino della forza e del prestigio del governo cittadino e la sua incapacità o insufficienza di fronte ai gravi problemi interni della città. Questa consapevolezza flnf col soverchiare lo stesso spirito di fazione e la tradizionale divisione delle parti politiche, provocando come reazione l’adesione di Pavia a Guglielmo di Monferrato. Anche quando alcune città si ribellarono al marchese, Pavia gli rimase fedele e costituf la base principale delle sue operazioni militari. Sintomo del rinnovato clima di concordia civile instaurato sotto l’alta signoria del marchese è un atto del 9 agosto 1280 in cui Nicolino Merlano, podestà di Pavia, raduna il consiglio dei mille credendari del Comune per esaminare vari problemi, fra cui il reperimento della somma di 150 lire pavesi da assegnare ai castellani di Bassignana, Montecastello e Pavone.16 I credendari elessero allora un consiglio ristretto di 25 sa pienti, appartenenti al Popolo e alla Milizia, con piena facoltà di reperire i fondi necessari per pagare gli stipendi ai castellani delle tre località citate. L’atto è importante anche perché prova che nel sec. XIII il castello di Bassignana era custodito da un castellano, cioè da un funzionario posto alle dirette dipendenze del Comune di Pavia. A. TALLONE, Le carte dell’archivio comunale di Voghera fino al 1300, in BSSS., voi. XLIX, Pinerolo 1918, cloc. CXXXIII, 279. 6

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appena il caso di ricordare che il castello di Bassignana costituiva in quel tempo una piazzaforte pressoché imprendibile, soprattutto verso il lato settentrionale che era difeso dal corso del Po. Inoltre, il castello era in stretto collegamento con la rocca che sorgeva sulla opposta sponda del fiume, e che serviva appunto per assicurare il controllo del ponte e quindi delle comunicazioni tra Bassignana e la Lomellina. Contro il formidabile castello di Bassignana nel 1288 vennero a cozzare le truppe di Alessandria, che in quel periodo era in guerra con Milano. Nonostante gli alessandrini avessero ricevuto rinforzi dai torto nesi, il castello non si arrendeva, animato alla difesa da Uberto Salvatico, fautore dei Visconti. In aiuto agli assedianti accorse allora il conte Filippone Langosco, il quale sferrò un deciso attacco che costrinse il castello alla resa. Gli abitanti del luogo, temendo che Bassignana fosse sottoposta al saccheggio, giurarono allora fedeltà al marchese di Mon ferrato e Uberto Salvatico fu fatto prigioniero.’7 Nel 1289 Matteo Visconti fu proclamato capitano del Popolo di Milano per un periodo di .5 anni. Nel giuramento prestato all’atto di assumere l’ufficio, il posto principale fra i nemici da combattere era tenuto dal marchese Guglielmo VII di Monferrato, che nel frattempo era stato espulso da Milano e covava aspro rancore contro il suo compe titore, intrigando per allargare la sua sfera d’influenza su altre città. Fra queste era senza dubbio Pavia ove i Militi, sostenuti dai Langosco e dal marchese, si trovavano in grave discordia con Manfredino Beccaria, capo del partito popolare e fautore di Matteo Visconti. La controversia era originata dal fatto che i Militi negavano al Beccaria il diritto di ingerirsi nel governo della città, sostenendo invece che le magistrature e gli uffici del Comune si estraessero a sorte fra i vari ordini della cittadinanza. In un primo momento il Beccaria ebbe il sopravvento e il conte Filippone Langosco, espulso dalla città, nel mese di giugno del 1289 riparò coi suoi seguaci a Bassignana, ove si rifugiò pure il vescovo Guido Zazzi che aveva seguito le parti dei Miiti.18 Contro Bassignana cavalcarono allora i tortonesi e gli alessandrini, che cinsero d’assedio la località. Nel contempo Uberto Salvatico (che evidentemente doveva essere riuscito a fuggire dalla prigionia) con nu meroso esercito cavalcò verso Pavia, dove il sabato e la domenica seguente “ V. DE CONTI, Notizie storiche della città di Casale Monferrato, Casale Mon ferrato 1838-1842, Il, 316-7. ‘ G. R0B0LINI, op. cit., 216.

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giunsero seimila fanti milanesi. « Il lunedi prossimo procedettero a Garlasco le genti predette col popolo pavese, il quale erasi già portato a Lomello. Onde il Marchese di Monferrato partendosi, venne al Lan gosco, indi alla villa di Breme sopra la riva del Po con quanto sforzo poté insieme coll’esercito che si trovava a Bassignana. I Milanesi proce dettero a Lomello congiungendosi coi Pavesi. Onde vennero ad essere due gli eserciti, cioè i Milanesi e i Pavesi per una parte, e per l’altra il Monferrato e il Langosco co’ suoi collegati, distando di sette mila passi i campi, per sicurezza de’ quali vennero scavati molti fossati. Quivi alcuni frati Minori intercedevano per la pace, nella quale, come comune amico, si era intromesso Guglielmo Preda. Nulladimeno un mercoledi mattina fu deliberato di combattere, e perciò il Monferrato colle genti sue in bell’ordine festinò verso Lomello; dalla qual terra i Milanesi e i Pavesi con grand’animo uscirono al nemico approssimandosi fino ad un trar di saetta nell’aperta campagna. Ma sopravenendo di subito Guglielmo coi frati predetti ed alcuni altri di autorità e Manfredino Beccaria tra i Mila nesi portarono che tutti i loro amici amavano la pace, e che già era con clusa; il perché si omise di combattere ».19 Approfittando del momento favorevole, il marchese Guglielmo di Monferrato, seguito da un forte nerbo di Fallabrini, riusc{ ad entrare a Pavia, ove il 18 giugno 1289 fu proclamato capitano generale della città per dieci anni, acquistando nel contempo la signoria su Bassignana, Mon tecastello, Pavone, Pecetto, Pomaro, Valenza e Casale. Manfredino Bec caria si trovò costretto dalle circostanze ad accettare il fatto compiuto, e finse di accogliere di buon grado il marchese. Il Beccaria peraltro ebbe presto a pentirsi del proprio operato e nel luglio seguente, scortato da alcuni seguaci, col consenso del marchese passò il Ticino e giunse a Cor betta per parlamentare con Uberto Beccaria e Ruggero Catassi, che a loro volta erano accompagnati da alcuni rappresentanti della città di Milano. Colta l’occasione propizia, Manfredino Beccaria coi suoi famigliari e aderenti fuggi a Milano, e poco dopo trovò rifugio nella sua fortissima rocca di Monte Acuto (Montai Beccaria). Nel mese di agosto molti pavesi uscirono dalla città per prestare aiuto al Beccaria, e molti altri furono cacciati in esilio, riparando nel castello di Monte Acuto. In città, frat tanto, le case dei Beccaria furono saccheggiate e gravemente danneggiate, mentre il marchese di Monferrato invase con le sue truppe l’Oltrepò ponendo l’assedio al castello di Monte Acuto. L’impresa non andò a

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buon fine perché, dopo ripetuti attacchi delle truppe confederate di Mi lano, Piacenza e Cremona, il marchese Guglielmo fu costretto a levare l’assedio.~ Sui primi del 1290 il marchese convocò a Pavia i Torriani e i loro aderenti milanesi, e stipulò con essi un’alleanza contro Matteo Visconti. In un primo tempo, il marchese Guglielmo pensò di portare l’offensiva contro Piacenza, alleata di Matteo Visconti, e nel gennaio si portò col suo esercito a devastare alcune località del piacentino. Ben presto però mutò obiettivo e decise di attaccare il territorio della città di Asti. La guerra contro questa città fu deliberata in un convegno tenutosi il 21 e 22 febbraio a Bassignana, al quale parteciparono anche i rappresentanti di Pavia, Novara, Tortona e Alessandria. Nel mano e nell’aprile dello stesso anno l’esercito confederato diede il guasto alle campagne dell’asti giano, ma dovette ritirarsi per fronteggiare le truppe piacentine che nel frattempo si erano spinte nell’Oltrepò per vendicare le recenti scorrerie operate sul loro territorio.2’ Arginata la minaccia piacentina, nel mese di maggio il marchese dovette fronteggiare l’offensiva milanese scattata contro la città di No vara. Nel giugno la minaccia di Matteo Visconti si dirige verso Pavia, ma il marchese non accetta la sfida e i milanesi dopo i soliti saccheggi ritornano a casa. Nel settembre Guglielmo VII muove verso Milano tra scinandosi dietro i Torriani. Giunto a Morimondo, davanti al comparire di Matteo Visconti si ritira; ritornato a Pavia deve correre ad Alessandria dove vi sono minacce di ribellione. Qui improvvisamente è assalito dai popolani insorti, è catturato e rinchiuso in una gabbia di ferro, ove morirà di stenti nel 1292. Il suo Stato mal congegnato allora si sfascia e chi ne raccoglie i frutti maggiori è Matteo Visconti, che a Novara e a Vercelli viene proclamato capitano per un periodo di cinque anni?2 La scomparsa dalla scena politica del marchese di Monferrato ebbe gravi conseguenze anche sulla vita interna della città di Pavia, ove il 30 settembre 1290 la parte guelfa tentò di eleggere alla carica di podestà Olivo Giorgi. Informato di questi maneggi, Manfredino Beccaria « co’ suoi seguaci cavalcò a Pavia, dove venne ricevuto con grandissimo onore, ed essendo Guglielmo Pietra fatto prigione, Manfredino fu eletto capi tano del popolo di Pavia per dieci anni, onde molti uomini d’arme usci10



B.

Cono,

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Storia di Milano, Milano 1855, I, 642. ~‘

G. ROBOLINI, op. cii., 219-20. lvi, 220-1; B. Cono, op. cii., 647. lvi, 222-3.

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rono dalla stessa città ed andarono a Bassignana, dove altri militi pavesi coi Torriani facevano durissima guerra ai pavesi intrinseci »?~ Nel 1291 gli esuli guelfi erano ancora a Bassignana, ed avevano esteso il loro controllo anche sui castelli di Pavone e Pecetto. Contro di essi il partito avversario organizzò una spedizione militare in grande stile, e il r febraio 1292 a Sale vi fu uno scontro in seguito al quale i guelfi rimasero sconfitti. Nella battaglia numerosissimi membri della famiglia Bellingeri caddero o rimasero prigionieri. Segui quindi la pace tra il popolo di Pavia e i guelfi estrinseci, ai quali fu consentito di rientrare in città?4 Lo scontro frontale delle due fazioni aveva riaffermato la supremazia di Manfredino Beccaria nel governo della città di Pavia, che sino al 1300 rimase soggetta alla sua signoria. In quell’anno stesso peraltro un enne simo rivolgimento portò alla signoria della città il conte Filippone Lan gosco, capo del partito guelfo. Riferisce appunto il Cono ~ che nel 1300 « fuvvi non poca dissensione e finalmente guerra tra il conte Filippo di Langosco e fratelli con certi militi pavesi, che abitavano fuori della città a Gambarana e circostanti luoghi per una parte, e i Beccaria e certi popo lari coi loro fautori per l’altra; in guisa che fra essi di continuo gravi ruberie facevansi e molti prigionieri. Ciò nonostante alcuni imitatori della legge di Dio intermettendosi, nel mese di gennaio si convennero di tener per arbitro Matteo Visconti, il quale per ambe le parti avesse da decidere il tutto. Matteo quindi con somma fatica e spesa gli accordò, e in un giorno di giovedf, all’undici di febbrajo, per cadauna delle parti furono eletti venti ostaggi, che dovevano rimanere a Milano. 11 medesimo Mat teo coll’accordo delle parti, diede per podestà ai pavesi Ottorino Borro e per capitano Gaspare da Garbagnate, i quali subito partirono per il reggime. Quindi in un giorno di giovedf, al decimottavo di febbrajo, il conte Langosco, co’ suoi seguaci in numero di circa novecento cavalli, supplicò Matteo che permettesse di poter entrare in Pavia: al che egli rispose essere contento, quando però entrasse anche l’altra parte colle genti sue, e non conducesse seco alcun forestiero. Poscia Matteo mandò il seguente giorno tutti i suoi stipendiari tanto a piede, quando da cavallo, a Pavia per evitare che si facesse ingiuria ad alcuno: ciò nulladi meno al vigesimo di febbrajo entrando il conte colla compagnia sua, nel23 ‘~

B. CORIO, op. cit., 651. G, ROBOLINI, op. cit., 225-6. B. Cono, op. cit., 681-2.

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l’ora di vespero tra ambe le parti si cominciò una crudelissima battaglia, al finire della quale, essendosi fatta orribile strage per morte e prede di queffi de’ Beccaria Manfredo, non potendo sostenere tanto impeto, co’ suoi aderenti venne a Milano insieme con Ruffino suo fratello e molti altri. Poco dopo, similmente venne il conte con molte persone, e presen taronsi al Visconte, che dichiarò loro dovessero ritornare a Pavia. Il conte obbedi, ma il Beccaria non ebbe ardire di andarvi ». In tal modo, Fiippone Langosco divenne signore assoluto della città. Di lj a poco, nel 1302, un uguale mutamento avvenne a Milano dove, cacciati i Visconti e i loro aderenti, tornarono di bel nuovo i Tor nani dopo un esilio che era durato venticinque anni. Fra Pavia e Milano si ristabii allora la pace e l’alleanza che durarono sino al 1311, sino a quando cioè durò la riscossa guelfa in Lombardia. La discesa in Italia di Enrico di Lussemburgo, nel 1311, provocò infatti la nuova e ultima cacciata dei Torriani da Milano e vi ristabili definitivamente la supre mazia viscontea. I guelfi riuscirono per qualche tempo ancora a mantenere la loro posizione di predominio sulla città di Pavia, ma sapevano ormai di combattere per una causa disperata. A indebolire ulteriormente la loro posizione concorse una grave discordia scoppiata in città per l’elezione del nuovo vescovo,z successore di Guido Langosco. Com’era ovvio per quei tempi di ferro, anche la nomina del vescovo rientrava nelle compe tizioni tra la fazione e la famiglia dei Langosco, cui era appartenuto il defunto, e la fazione e la famiglia dei Beccaria. La fazione ghibellina aveva accolto con esultanza l’arrivo di Enrico in Italia, e da questa venuta si proponeva di ricavare concreti vantaggi, soprattutto ora che i guelfi Torriani erano stati definitivamente cacciati da Milano. Dopo aver assediato la città di Brescia, caduta in sue mani il 24 settembre, nei primi giorni di ottobre l’imperatore Enrico entrò a Pavia ed ivi ascoltò le querele dei Beccaria e dei ghibellini per la troppa potenza esercitata da Filippone Langosco, che pure lo aveva accolto con grande onore in città. Non risulta comunque che il sovrano abbia preso qualche provvedimento nei confronti del Langosco, assorto com’era in tutt’altri problemi. Egli infatti aveva da poco nominato un vicario impe riale per le cose d’Italia e la Chiesa, timorosa di perdere la sua influenza, gli aveva contrapposto il re Roberto di Napoli, attorno al quale si erano riannodati i guelfi. D.

COMPAGNI,

Cronaca,

in

RR.II.SS.,

t.

IX, col. 528.

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Non risulta che Enrico di Lussemburgo si sia pronunciato neppure sulla questione della nomina del vescovo, che aveva grandemente diviso gli animi dei cittadini. Della gravità della situazione comunque ci è testi mone il prete pavese Opicino de Canistris, il quale attesta in un suo lavoro autobiografico che nel 1311 «/acta est discessio magna in civitale, existente imperatore berelico circa Brixiam fui remissus ad burgum Bassignane, reverso imperatore Papiam » ?~ La discessio magna di cui parla Opicino è registrata sotto il mese di maggio: in seguito a qualche tumulto sul quale non abbiamo altre notizie, il de Canistris (che era an cora un fanciullo) fu allontanato da Pavia e mandato a Bassignana, tradi zionale luogo di rifugio dei guelfi pavesi, ove sembra che la sua famiglia avesse eletto domidiio. Egli stesso del resto afferma che nel 1307, quan do aveva 11 anni, vi frequentò le scuole di grammatica ~ e nel 1310 doveva risiedervi ancora, perché sotto quell ‘anno ricorda che egli fu posto sopra il ponte del Po a Bassignana a riscuotere i pedaggi di quelli che transitavano di là.3 Il 6 ottobre 1311 avrebbe dovuto tenersi a Pavia un generale par lamento delle città e dei signori di Lombardia, ma ben pochi vi si reca rono. Dopo aver atteso invano per altri sette giorni, Enrico lasciò Pavia per portarsi a Genova, scortato da Antonio Fissiraga signore di Lodi. Nel ritorno, questi fu fatto prigioniero nel passare da Voghera o da Bassi gnana da Manfredo Beccaria, onde il conte Filippone Langosco si lamentò molto della cosa presso il conte Filippo di Acaia vicario di Enrico.30 Intanto, gli avvenimenti si facevano sempre più tristi per la città di Pavia. Nel 1313 l’imperatore Enrico le fulminò contro una terribile con danna di distruzione delle mura e di bando per molti guelfi pavesi, tra i quali lo stesso Langosco, che l’anno precedente si era dato con la città ...

“ F. GIANANI, Opicino de Canistris, l’Anonimo Ticinese, Pavia 1927, 36. Nato a Lomello nell’aprile del 1296, il de Canistris fu allevato alla Bugella presso Vigevano e, fanciullo ancora, studiò grammatica presso le scuole di Lomello e di Bassignana, passando poi a perfezionare gli studi a Pavia e a Milano. Tornato a Pavia vi apprese la teologia e fu ordinato sacerdote, celebrando la sua prima messa nel 1320 in cattedrale. Divenuto cappellano di quest’ultima, passò poi come rettore alla chiesa di S. Maria Capella. Gravato da miserie e sventure familiari, e coinvolto nei torbidi politici tra guelfi e ghibellini, fu cotsretto a rifugiarsi esule alla corte papale di Avignone, ove nel 1330 scrisse un celebre libretto descrittivo della cinA di Pavia: Libellus de descriptione Papie. Autore di altre opere a sfondo morale e politico, mori in Avignone verso il 1352, senza aver potuto rivedere la sua patria. ‘~ lvi, 22. “ lvi, 22. ‘° G. ROBOLINI, op. cit., 260.

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al re Roberto d’Angiò. La condanna rimase lettera morta per l’improv viso decesso del giovane imperatore, l’alto Arrigo in cui i ghibellini ita liani, Dante per primo, avevano riposto tante speranze. I guelfi approfit tarono delle circostanze per rinsaldare le loro Ma attorno a Filippone Langosco ma, nel 1314, questi fu catturato in uno scontro da Matteo Visconti il quale, malgrado le categoriche ingiunzioni di papa Giovanni XXII, non lo restituf mai più alla libertà. La signoria sulla città di Pavia passò allora a Gerardino Langosco, figlio di Filippone, ma per breve tempo. I ghibellini esuli da Pavia si erano infatti rifugiati a Voghera, e da questa località si preparavano alla riscossa. Nell’agosto 1313, guidati da Musso Beccaria figlio di Man fredino, essi si portarono a sorprendere Pecetto dopo aver stretto intelli genze con i principali del luogo. Venuti a conoscenza di questi maneggi, i guelfi di Bassignana assalirono all’improvviso i miiti ghibellini e ne uccisero duecento, facendone prigionieri altrettanti tra i quali lo stesso Musso Beccaria, che fu poi tradotto a Pavia.31 Nonostante l’alleanza con Roberto d’Angiò e gli aiuti da questi pro digati, nel 1315 ebbe luogo la sanguinosa rotta dei guelfi ad opera dei Beccaria e dei ghibellini pavesi che, aiutati da Matteo Visconti, nella notte sul 7 ottobre riuscirono a introdursi col tradimento in città e, dopo furibonda mischia, costrinsero i guelfi alla resa. Salvatosi a stento, Simone Torriani coi suoi fautori superstiti fuggf da Pavia riparando a Basslgnana la quale, per un singolare destino, diventava sia pure per poco l’ultimo baluardo della resistenza guelfa in Lombardia?2 Matteo Visconti, compiuta la disfatta dei guelfi, si fece costruire a Pavia una fortezza e nominò quale podestà il figlio Luchino, comportan dosi di fatto come signore della città. Gli stessi Beccaria, rientrati in patria sotto la protezione delle armi viscontee, furono costretti a scen dere a patti con Matteo, rispetto al quale si erano venuti a trovare in una condizione di subordinazione che non era molto lontana dal vassal laggio. Manfredino Beccaria, capo dei ghibellini pavesi, si trovò proba bilmente nella condizione di stipulare col Visconti un accordo in base al quale veniva riconosciuta a quest’ultimo la supremazia di fatto sulla città. Il tenore dell’accordo non ci è pervenuto, ma le notizie dei con temporanei e lo svoigimento dei fatti posteriori escludono l’idea che il capo dei ghibellini lombardi abbia assunto il dominio di Pavia. G.

G.

MANTREDI, ROBOLINI,

Storia di Voghera, Voghera 1908, 149. op. di., 272-4.

NELLA LOTTA TRA I VISCONTI E LA CHIESA

NELLA LOTTA TRA I VISCONTI E LA CHIESA

La situazione in campo ecclesiastico diventava a Pavia sempre più confusa, aggravandosi ulteriormente quando, verso il 1318, il Pontefice fulminò l’interdetto contro la città per la Sua adesione a Matteo Visconti. La vecchia questione della nomina del nuovo vescovo era tuttora aperta, e si era ovviato nominando un amministratore apostolico nella persona di Isnardo Tacconi, Patriarca di Antiochia. Questi peraltro, invece di conformarsi alle direttive della Chiesa, si rivelò un accesissimo fautore del partito ghibellino, accrescendo ancor più la confusione già esistente. Il Tacconi fu talmente strenuo nel perseguitare i guelfi che, pontificando solennemente, eccitava i presenti a parteggiare per i ghibellini, escla mando: « moriantur guelfi, moriantur guelfi! ». Addirittura, permise che in una chiesa di Pavia, alla Sua presenza, fosse lasciato straziare e ucci dere un certo prete Alcherino. Di fronte a questi eccessi il Pontefice, con bolla del 13 settembre 1320, gli scagliò contro la scomunica destituen dolo dalla carica) Una solenne scomunica era stata fulminata qualche tempo prima anche contro Matteo Visconti, il quale nel 1318 aveva posto il blocco a Genova, dove si trovavano i guelfi di re Roberto d’Angiò, e non aveva accolto i ripetuti inviti del Pontefice per levare l’assedio. Il re Roberto, dopo aver tentato di liberare Genova con una sortita vittoriosa nel feb braio 1319, si recò ad Avignone per concertare con Giovanni XXIII il modo di condurre la lotta contro Matteo. Il Pontefice decise di intervenire energicamente nel conflitto e invitò il conte Filippo di Valois a scendere in Italia: questi avrebbe dovuto essere il braccio secolare della Chiesa contro i ghibellini eretici di Lom bardia. Per meglio organizzare la lotta, papa Giovanni designò un uomo di sua fiducia, il cardinale Bertrando del Poggetto, al quale conferi i Un cospicuo frammento della bolla originale di scomunica, sciaguratamente usato per la copertura di un libro, si trova a Pavia nell’archivio Fagnani, altro degli autori del presente volume.

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poteri di legato pontificio con bolla del 23 luglio 1319. Verso la fine di quest’anno, Simone Torriani occupò Valenza e si diede a saccheggiare la Lomellina ma, nel timore di essere assalito da Luchino Visconti, si ritirò a Montecastello per unirsi a Ugone del Balzo, vicario di re Roberto, il quale però il 2 dicembre fu sorpreso da Luchino e rimase ucciso nello scontro che ne segui. Nel gennaio del 1320 Roberto d’Angiò fu confermato da Giovanni XXII vicario d’Italia e Lombardia vacante l’Impero. Il re di Napoli no minò allora suo luogotenente Filippo di Valois, il quale nel mese di giugno discese ,in Italia con un piccolo esercito e da Asti si portò a Valenza, ove si recarono i guelfi, per la maggior parte pavesi, invitan dolo a dirigersi verso Pavia. Il conte Fffippo, dopo aver appreso che le truppe di Matteo Visconti assediavano Verceffi, avvicinò il suo eseicito a quella città ma, avendo i Visconti ricevuto considerevoli rinforzi, il 23 agosto ripiegò le tende e se ne tornò in Francia. Lo scacco subito da Filippo di Valois fu presto noto in Italia: era un grave colpo per la Francia e soprattutto per la Chiesa. Bisognava quindi affrettare i tempi: nel giugno 1320 il legato era già installato in Asti e l’anno seguente si accinse a rinnovare la scomunica contro Matteo e i ghibellini suoi seguaci. Recatosi quindi a Valenza, « ad un inquisitore dei frati Predicatori, nominato Uberto di Sparvaria, impose che l’apostolica sentenza contro i predetti dovesse rinnovare. Il perché Uberto nel tempio di 5. Stefano di Bassignana per pubblico istrumento, rogato da Origino Ghiino d’Alessandria, per comando di Bertrando me morato, al vigesimo sesto di maggio, scomunicò Matteo Visconti, i fi gliuoli ed altri di sua fazione. E perché già a Milano erano interdetti i divini uffici, molti abbati col clero vennero citati a comparire alla presenza del legato. Per la qual cosa molti obbedirono ed alcuni face vano quanto voleva il Visconte ».2 Da parte sua, Giovanni 2(2(11 si affrettò a cercare un capitano da sostituire al conte Fffippo, e credette di averlo trovato in un comandante angioino, Raimondo Cardona. Nel maggio 1321 questi era ad Asti e poco dopo a Valenza, ove già si trovava Bertrando del Poggetto. Uscito da Valenza con 500 militi, il Cardona si impadroni di Montecastello, sac cheggiando e incendiando la località presidiata dai viscontei. In seguito egli si portò verso Tortona ma, trovandosi di fronte Marco Visconti con forze considerevoli, fu indotto alla prudenza e tornato sui suoi passi si 2

B. Coiuo, op. cit., 11, 33-5.

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impadronf di Bassignana e di Pecetto.3 Iniziò cosi la dominazione delle truppe angioine e pontificie su Bassignana, che rimase in loro possesso sino al 1347, quando cadde definitivamente in mano ai Visconti.

Nel 1321, poco dopo Natale, un’ambasceria composta da alcuni ecclesiastici si incamminò verso Matteo Visconti per trattare con lui a nome del legato apostolico ma, giunti che furono al ponte sul Ticino, i membri della comitiva furono assaliti dagli ufficiali dei Visconti i quali li spogliarono delle vesti e li perquisirono, nel sospetto che essi recassero lettere inquisitoriali contro il loro signore. Matteo infatti temeva che gli si notificasse formalmente la citazione a comparire a Bergoglio d’Ales sandria dinanzi agli inquisitori. Le ingiurie e i maltrattamenti patiti dagli inviati del legato costi tuirono la classica goccia che fece traboccare il vaso. Bertrando del Pog getto, tanto per cominciare, nel 1322 bandi una regolare crociata contro il Visconti, con promessa, a chiunque avesse preso le armi contro di quello, della piena assoluzione dai peccati. Il centro di raccolta dei cro ciati sarebbe stato Valenza, dove era già il vicario regio Raimondo Car dona con le forze angioine. La crociata, bandita col più solenne apparato nel duomo di Asti, non fu né intesa né secondata anzi, a Genova, fu accolta persino con meraviglia e con risa. Il motivo dell’insuccesso, come acutamente osserva il Romano,4 «bisogna ricercarlo, in parte, nello spirito dei tempi, e in parte nelle condizioni politiche, in cui allora si trovavano parecchie delle maggiori città di Lombardia. Alcune di esse erano cadute affatto in po tere de’ Visconti: altre, come Pavia, Como, Lodi, Novara, Vercelli, erano rette da famiglie ghibelline, la cui possanza era indissolubilmente legata alla sorte delle armi viscontee. Era quindi impossibile abbattere la forza del Visconti senza colpire contemporaneamente quanti, più o meno sco pertamente, erano del suo partito. Da ciò fu indotto il Pontefice ad ordinare una generale inquisizione in tutte le città lombarde partigiane di Matteo, e ad ordinare che venissero processati tutti coloro che, essen G. ROn0LINI, op. ci:., 281. A proposito dell’occupazione di Bassignana il Cono afferma che « il borgo di Bassignana, già tenuto da Matteo, cadde per tradimento in poter dei nemici, e quindi vi entrò poi Raimondo Cardona, costituito già dal papa vicario generale in Lombardia. E perché questo luogo era importantissimo per danneggiare la fazione ghibellina, il legato vi destinò molta gente per assediare la rocca al di qua del fiume Po; la quale se otteneva, meglio avrebbe potuto devastare il pavese ». Cfr. B. Coiuo, op. cit., 11, 46. G. RoMAno, I pavesi nella lotta tra Giovanni XXII e Matteo e Galeazzo Visconti (1322-23), Pavia 1889, 10-11.

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do suoi aderenti, erano incorsi nelle pene comminate a’ fautori degli eretici. Questo disegno aveva forme meno teatrali, forse, della crociata, ma in compenso prometteva qualche risultato più certo e durevole. Esso, non foss’altro, gittava il dubbio e il turbamento nelle coscienze, in un tempo che la minaccia dell’inferno non aveva perduto ogni valore; ren deva possibile qualche parziale diserzione alla causa del Visconti; poneva infine nel seno delle cittadinanze il seme di nuovi odi e di nuovi sospetti, il che doveva indebolire non poco le forze del partito ghibellino, e ren dere forse inevitabile la caduta di Matteo ». L’incarico di istituire tali processi fu affidato ad Aicardo, arcivescovo di Milano, ed ai quattro frati inquisitori Barnaba, priore in Lombardia dei Predicatori, Pasio da Vedano, Giordano da Montecucco e Onesto da Pavia. L’operato di questa commissione inquisitoriale fu preceduto dalla pubblicazione di una bolla papale del 23 febbraio 1322 nella quale si ordinava, con minaccia di scomunica, che chiunque fosse stato in grado di farlo, dovesse denunciare i nomi dei fautori di Matteo entro il termine di quindici giorni. Trascorso questo termine, il collegio degli inquistori iniziò subito i lavori, e i primi ad essere colpiti furono i ghibellini del l’alessandrino: di Valenza si ebbero 22 citazioni per il 27 marzo, 25 di Montecastello per il 28 e 18 di Pecetto, 39 di Bergoglio per il 29, 41 di Tortona per il 3 aprile, 56 di Alessandria per il 6 seguente. Il 6 aprile 1322 gli inquisitoni fecero affiggere alla porta della chiesa maggiore di Valenza la citazione nei confronti di un secondo grup po di ghibellini: 37 di Pavia, 14 di Voghera, 5 di Lomello, 3 di Bassi gnana, oltre a numerosi altri di Novara e Verceffi.5 L’atto di citazione, dopo aver ricordato la recente sentenza emanata contro Matteo, condan nato come eretico e nemico della Chiesa, asseriva che le persone chia mate a comparire davanti agli inquisitori erano indicate dalla voce pub blica come sostenitrici del Visconti, al quale avevano prestato il loro appoggio nonostante l’esplicita proibizione del Pontefice. Di conseguenza, esse venivano citate a comparire entro trenta giorni in Valenza per giu stificarsi delle accuse formulate nei loro confronti, in mancanza di che sarebbero state dichiarate contumaci e condannate. La notizia della citazione non sembrò turbare eccessivamente gli animi dei ghibellini laici, poco curanti delle minacce pontificie e più che Il documento fu pubblicato da G. ROMANO, I pavesi... cli., doc. I, 39 e sgg. Pur troppo, il Romano omise i nomi delle tre persone di Bassignana citate dagli inquisitori. Una di esse, comunque, apparteneva alla famiglia Guerci.

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mai consapevoli che la loro sorte dipendeva ormai dalla guerra che si stava combattendo tra Matteo Visconti e Giovanni XXII. Nessuno di loro infatti, trascorso il termine di trenta giorni, il 6 maggio 1322 si fece vedere a Valenza. Gli ecclesiastici invece, sottoposti com’erano al l’obbligo della sottomissione gerarchica, si presentarono quasi tutti e si impegnarono mediante giuramento a non prestare aiuto per l’avvenire, né direttamente né indirettamente, a Matteo Visconti e ai suoi Egli e aderenti.6 Coloro che omisero di presentarsi furono dichiarati contumaci e come tali scomunicati, salva la facoltà di pronunciare contro di loro la sentenza definitiva di condanna, colla determinazione delle altre pene in cui fossero incorsi.7 Queste minacce peraltro non ebbero effetto che pa recchi mesi dopo, soprattutto in seguito agli avvenimenti che si svolsero a Milano fra l’aprile e il dicembre del 1322. Matteo Visconti, osserva il Romano,8 « era certamente una fortis sima tempra d’uomo, ma, uomo di que’ tempi e già più che settuagenario, il cumulo delle reiterate censure ecclesiastiche aveva finito per iscuotere quella mirabile forza d’animo, con cui da dieci anni andava lottando contro tutti i suoi nemici. D’altra parte anche i Milanesi, che pure fin allora l’avevano pienamente secondato, cominciavano a sentir bisogno di tranquillità e di riposo. L’interdetto posto sulla città li aveva fortemente sbigottiti, e apertamente si lamentavano di Matteo, a cui attribuivano la causa de’ propri malanni. Cosi venne formandosi a poco a poco una cor rente favorevole alla pace: Matteo stesso ne fu trascinato, e sul finire d’aprile 1322, ne intavolò le trattative, mandando dodici ambasciatori al legato pontificio, che trovavasi, al solito, in Valenza insieme col Col legio degl’Inquisitori. Gli ambasciatori conchiusero la pace colla condi zione che Matteo rimetterebbe la signoria di Milano nelle mani del Pon tefice; ma questa soluzione, che potea piacere a’ Milanesi e, forse, non spiaceva del tutto a Matteo, per lo stato d’animo in cui era, sollevò le opposizioni di que’ capi di famiglie ghibelline, che nella difesa del Vi sconti avevano cercato fin allora la propria salvezza. Matteo si levò d’im paccio, rinunziando al potere a favore di Galeazzo (23 maggio 1322); né più volle partecipare a’ negozi dello stato, contento di potere, ne’ pochi giorni che gli rimasero di vita, dar pubblica prova della sua pietà e della sua ortodossia ». Egli infatti si spense a Crescenzago il 24 giugno 1322. 6

G. ROMANO, I pavesi... cit., 17-8 e doc. 11, 45. lvi, doc. III, 47. lvi, 19-20.

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Negli stessi giorni, nell’intento di aprirsi la via a Pavia e a Milano, Raimondo Cardona aveva iniziato un’azione in grande stile contro la roc ca esistente presso Borgofranco la quale, essendo tenuta saldamente dai viscontei, non consentiva il passaggio del Po agli angioini arroccati a Bassignana, sulla opposta sponda del fiume. Riferisce il Cono a questo proposito che il luogo di Bassignana « era importantissimo per danneg giare la fazione ghibellina », per cui il legato « vi destinò molta gente per assediare la rocca al di qua del fiume Po; la quale se otteneva, meglio avrebbe potuto devastare il pavese. Ma la medesima era stata munita da Galeazzo, presidiata in modo, che sebbene l’assedio fosse assai grave, nondimeno i nemici non poterono impadronirsene. In questi tempi, Gi rardino Spinola era general capitano degli stipendiari Milanesi, e Galeaz zo, considerando di quanta importanza fosse la predetta rocca, deputollo con Marco suo fratello a muovere alla impresa coll’esercito contro i ne mici. Commettendo poscia costoro la battaglia soccorsero la rocca di vettovaglie. Marco e Girardino adunque con tutte le genti d’arme cavaI carono verso Bassignana, dove, perché Raimondo non voleva azzuffarsi, non scorgevano in qual modo potessero aiutare la fortezza. Laonde dopo molti consigli, da Pavia e Piacenza fecero condurre alcuni navigli fino al ponte di quella terra, sperando di poter navigare sino alla rocca; ma B. Cono, op. cit., TI, 46 e sgg. La descrizione del Cono coincide sostanzialmente con quella di Giovanni Villani, che ci offre un quadro altrettanto vivace della battaglia: « Nel detto anno 1322 a di 6 di luglio, essendo messer Raimondo di Cardona capitano in Lombardia della Chiesa, della gente della Chiesa e del re Ruberto, all’assedio della rocca di Basignana, e quella molto distretta, ch’egli avea fatto fare ponti di navi in sul Po, sicché vittuaglia non vi potea entrare, messer Marco Visconti di Milano con suo isfonzo di ventidue centinaia di cavalieri e con popolo a pié grandissimo venne al soccorso, e puosesi a oste sopra i borghi di Basignana, e messer Gherardino Spinoli uscito di Genova, capitano della detta oste con grande naviio scese ghi per Po, per combattere il ponte e fornire la detta rocca, e messer Marco per terra assaliro a un’ora l’oste di messer Raimondo ch’era fuori de’ borghi, ov’ebbe grandissimi assalti e battaglie, e per pi4 riprese. E volendo rompere il detto ponte sopra al Po mettendo fuoco, e l’altra parte difendendo, grandissimo dammaggio vi ricevettono quegli del capitano di Milano di morti e di annegati: e avendo perduto in Po, si ritrassono in terra, ov’era cominciata la battaglia per la cavalleria e popolo, la quale durò da mezzo di a vespero; e per due volte rotti quegll di Milano, e morti piii di trecento uomini di cavallo, e di que’ da pié grande quantità; alla fine essendo la forza di messer Marco maggiore che quella di messer Raimondo, il quale non avea che dodici centinaia di cavalieri, e di quegli gli convenia guardare di qua e di là da Po e il ponte sopra Po, la gente sua ch’era dal lato de’ borghi, per soperchio di gente fu ripinta per forza ne’ borghi e sconfitti, ove morirono di sua gente da centocinquanta uomini di cavallo, e di que’ da pié assai; e cosi quegli che maggiore dammaggio ricevettono furono vincitori del campo, e rifornirono la rocca di Basignana, e rimasono all’assedio della gente della Chiesa ch’era ritratta ne’ detti borghi ». Cfr. G. VILLANI, Cronaca, IX, 160, 216 dell’ediz. di Firenze, 1845.

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non poterono passate, perché Raimondo vi aveva fatto porre una gros sissima catena, Dall’altro canto i Milanesi quanto potevano si ingegna vano di trattenere le vettovaglie a Raimondo, mediante l’armata che avevano sul fiume. Per la qual cosa i nemici, necessitati, deliberarono di venire ad un fatto d’armi. Galeazzo aveva quivi due mila e cinque cento militi e dieci mila fanti. Come adunque Raimondo vide che i Ghibellini con tutte le forze volevano soccorrere la rocca di commeato e discendere verso il ponte, mise il suo esercito in tutto punto, e con animo deliberato attaccò la battaglia avanti al borgo. Nel primo scon trarsi delle file fuvvi crudele uccisione d’ambo le parti, il perché levandosi rumore, di subito vi concorsero le genti tutte dell’uno e dell’altro esercito. Durò la pugna dalla sesta ora del giorno (che fu al sei di luglio) fino alla vigesima, con non poca uccisione di cavalli e di uomini. Quivi a ciascuno era concesso il combattere; quivi chiunque poteva, vendicavasi delle passate ingiurie contro i nemici. Finalmente Marco facendo per vie oblique da alquanti scelti veterani aggredire i nemici alle spalle, in tale modo li percosse, che diedero di volta, e Raimondo completamente venne sconfitto e vinto colla morte di molti de’ suoi. Seicento cavalli caddero in poter di Marco, oltre a quattrocento soldati insieme con Raimondo. Costui però essendo venuto in potere di mano amica fu rila sciato e la rocca fu provvista d’abbondante vettovaglia. Per questa vit toria Galeazzo e i suoi fautori ebbero grandissima allegrezza. Nella stessa notte il Cardona, uscito dal borgo, andò a Valenza onde consigliarsi col cardinale su quanto dovevano fare. Nel prossimo mattino ambidue i capitani intorno al borgo fecero praticare fossati e costruire bastie, ac ciocché nessuno vi potesse entrare ». La vittoria conseguita a Bassignana con la battaglia del 6 luglio 1322 rialzò le fortune del partito visconteo, che riuscf a conservare saldamente l’importante posizione strategica costituita dalla rocca sul Po. Dal canto suo, Bertrando del Poggetto in quel momento era imbarazzato, perché non sapeva come liberare le genti di Raimondo Cardona sempre dura mente assediate da Marco Visconti in Bassignana. Aderf perciò di buon grado a una tregua d’armi sino al 1° ottobre, sj da permettere nel frat tempo trattative di pace. Nel mese di agosto erano comparsi a Milano i commissari di Fede rico re dei Romani e duca d’Austria, che venivano a chiedere il giura mento di fedeltà. Da Milano essi si erano trasferiti a Valenza ad offrire al legato la mediazione nel conffitto tra Milano e la Chiesa. Nell’intento di liberare le sue truppe, Bertrando del Poggetto accettò le proposte di

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tregua, e i commissari presero allora in consegna i borghi di Bassignana dagli angioini, il castello da Marco Visconti e i due eserciti si ritirarono. Scaduti i termini della tregua senza che nel frattempo si arrivasse ad una conclusione, i commissari se ne andarono consegnando a Marco Visconti le posizioni che avevano ricevuto in deposito. Gli angioini protestarono, ma si ebbero una risposta beffarda: se rivolevano i borghi, andassero di nuovo a rinchiudersi in essi come erano nell’agosto! Nel frattempo, Verzusio Landi, uno dei più potenti capi ghibellini di Piacenza, offeso gravemente da Galeazzo Visconti, fece ribellare Pia cenza alla signoria viscontea e assunse il governo della città con l’aiuto di Bertrando del Poggetto. Questo grave fatto provocò, come contrac colpo, la cacciata di Galeazzo dalla città di Milano (8 novembre 1322), ma verso la fine dell’anno il Visconti poté rientrare in città ristabilendovi la sua signoria. Come reazione, il cardinale legato riprese con rinnovato vigore i processi contro i fautori dei Visconti, occupando stabilmente la città di Piacenza a nome della Chiesa. Nel febbraio del 1323 si concentrarono in Lombardia le forze guel fe, composte dalle mffizie di cui disponevano Bertrando del Poggetto e Raimondo Cardona, ingrossate da contingenti inviati dalle città di Bolo gna, Brescia, Genova, Parma, Reggio, Cremona, Alessandria e Tortona, nonché da schiere di fuorusciti delle città lombarde soggette alla domi nazione viscontea. Erano in tutto 38.000 uomini, ma si sperava di accre sceme il numero, perché Giovanni XXII aveva fatto predicare nuova mente la crociata non solo in Italia, ma persino in Francia e in Inghilterra. Dal canto suo, Galeazzo Visconti mise in campo il suo esercito. In questo frattempo, rincuorati dalla presenza dell’esercito papale, i fuorusciti guelfi di Pavia riuscirono a impadronirsi di Bassignana, ove risultano ancora accampati negli anni seguenti, foraggiati dai formi che affluivano copiosi dalla corte papale di Avignone. Il loro numero doveva essere piuttosto rilevante, come possiamo desumere da un atto del 23 aprile 1324 lO dal quale risulta che i fuorusciti avevano, oltre al capitano generale, un consiglio di savi e un consiglio generale, cioè un tipo di organizzazione che riproduceva, grosso modo, l’ordinamento costituzio nale della città. Nel febbraio 1324, a Vaprio, l’esercito papale e quello visconteo si scontrarono frontalmente e le truppe della Chiesa furono poste in piena rotta con la prigionia del loro comandante Raimondo Cardona. La ‘°

Archivio Civico di Pavia, Pergamene Comunali, n. 150.

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vittoria era stata decisiva, ma non aveva permesso al Viscon~j cli elimi nare del tutto i presidi pontifici sparsi qua e là in Lombardia in piccoli centri che vivevano ancora all’ombra del vessjllo della Chiesa. Pericolosi focolai antiviscontei esistevano ancora a Crema, Vigevano, Valenza, Bas

signana, Caravaggio Martinengo, Romano, Lecco e altrove, Inoltre, il legato Bertrando del Poggetto aveva presso di sé i fuorusciti guelfi di non poche città, dai Torriani di Milano ai Langosco di Pavia ai Fissi. raga di Lodi: attraverso questi gruppi malinconici di esuli, il legato poteva avere l’llusione di conservare ancora qualche seguito. In ogni caso, le sorti del conffitto si potevano considerare decise con il fallimento completo del tentativo guelfo di abbattere la potenza viscontea. Lo stesso Pontefice si avvide della vanità dei suoi sforzi, « e non isdegnò d’intavolare trattative di pace con Galeazzo, la cui amicizia poteva riuscirgli di grande aiuto in quella lotta col Bavaro, che era già cominciata, e dove ormai si concentravano tutti gli sforzi della Curia romana ».~l Nel turbine delle guerre che Matteo e Galeazzo Visconti sostennero contro la Chiesa, Pavia rimase in condizione di semindipendenza rispetto alla maggiore città lombarda. Le milizie pavesi combatterono accanto a quelle di Milano sotto le mura di Vercelli, Cremona, Bassignana, Tortona e Vaprio, e se da un lato contribuirono efficacemente al trionfo della Politica viscontea, dall’altro consolidarono maggiormen~~ i vincoli di sud ditanza che legavano Pavia a Milano. «Fu in mezzo a’ fieri contrasti di quella lotta, in cui le armi tempo rali e spirituali furono promiscuamente adoperate a distruzione del par tito ghibellino, che fu posto in Lombardia il fondamento del principato visconteo. Qui tutto era propizio al gran mutamento. Lo spirito pubblico che, stanco dell’incomposto infuriare delle parti, invoca la pace del signo re come rimedio all’abuso della libertà, trovava nuovo alimento nelle stesse condizioni geografiche le quali, facendo gravitare le minori città verso il loro centro, contribuivano a trasformare la totalità regionale in una totalità Politica. Se a queste condizioni si aggiungono le qualità personali, de’ Visconti, uomini che meglio incarnarono in sé il principio signorile, cosf tenaci nelle ambizioni, cosf sapienti nella scelta dei mezzi, e dotati di un’elasticità intellettuale pari soltanto all’elasticità della loro coscienza, si comprende facilmente come l’organismo visconteo apparisse fin dalle origini fornito di una grande vitalità. Ed è questa vitalità ap G. ROMANO, I pavesi,., cit., 34-5,

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punto, che si estrinseca necessariamente nella conquista, quella che rivela a’ Beccaria l’imminenza del pericolo, ed obbliga Pavia, che nel trionfo della rivale vede nuovamente minacciata se stessa, a riprendere il posto assegnatole dalla tradizione storica »)2 Subentrò allora un nuovo e più fiero antagonismo con la città di Milano che spinse Pavia ad invocare nel 1327 la protezione di Ludovico il Bavaro, l’imperatore che aveva intrapreso una terribile e ostinata lotta contro Giovanni XXII. Alle intemperanze del Bavaro il Pontefice rispose con la scomunica comminata nel 1324 e rinnovata il 23 ottobre 1327. Nella condanna furono travolti i suoi fautori e aderenti, e fu lanciato l’interdetto contro le città che ne avevano riconosciuta l’auto rità usurpata di imperatore mediante l’incoronazione avvenuta a Milano il 30 maggio 1327. Fra le città colpite dall’interdetto era pure Pavia, che riuscf a liberarsi dal grave provvedimento soltanto nel 1496, ai tempi di Alessandro VI)3 L’astio dei pavesi contro il Pontefice divenne allora vivissimo, e culminò nel celebre episodio avvenuto il 5 luglio 1328 quando i pavesi, capitanati dai Beccaria, nei pressi di Casteggio assaltarono e depreda rono la comitiva che scortava il tesoro papale di ben 60.000 formi d’oro che da Avignone era avviato a Piacenza, ove si trovava il legato, e che doveva servire per le paghe dei soldati dell’esercito della Chiesa)4 Ap pena giunse a Pavia la notizia che i pavesi avevano partecipato all’assalto brigantesco, moltissimi spaventati guelfi abbandonarono la città e si rifu. giarono a Bassignana, ove formarono quasi un esercito organizzato di fuorusciti, pronti a battersi contro i ghibeffini fedeli al Bavaro)5 L’imperatore venne a Pavia nel 1329 e vi si fermò a lungo, minac 2

G.

ROMANO,

Delle relazioni,,, cit.

R. MAZOCCHI, L’assoluzione di Pavia dall’interdetto di Papa Giovanni XXII, in Archivio Storico Lombardo, XXIV (1897). ‘~ I pavesi che parteciparono a questa impresa, tra i quali parecchi Beccaria, furono nominativamente scomunicati e assolti in seguito. Sull’argomento cfr. R. MAloccrn, L’assoluzione dei pavesi predatori del tesoro papale. 1328-1345, in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, 1(1901), I, 69 e sgg.; F. GIANANI, op. cit., 45 e sgg. “ E. GIANANI, op. cit., 26. Nella primavera e nell’estate del 1328 il vescovo Carante Sannazzaro e i fuoruscitj guelfi avevano combattuto, sembra con fortuna, contro i ghibellini intrinsechi di Pavia guidati da Musso Beccaria, Il Pontefice stesso scrisse al vescovo compiacendosi dell’aiuto efficace prestato all’esercito della Chiesa contro i ribelli. Analoga missiva fu indirizzata da papa Giovanni a Bergadino e Antonio Sannazzaro e ad altri esuli guelfi, con l’esortazione a srar sempre devoti alla Chiesa e a combattere strenuamente contro gli avversari, Cfr, G. Bzscsjto, Le relazioni dei Visconti di Milano con la Chiesa, in Archivio Storico Lombardo, XLVI (1919), I-Il, 112.

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ciando col suo esercito le terre occupate da re Roberto d’Angiò e dalla Chiesa. Di qui gli allarmi sullo stato di pericolo in cui versavano Tor tona, Alessandria Valenza e Bassignana, maggiormente esposte agli at tacchi delle milizie del Bavaro. Nel carteggio della curia romana è regi strata una lettera del 21 agosto 1329 indirizzata a Raimondo de Vallibus, capitano dell’esercito della Chiesa in Lombardia, contenente le istruzioni per la difesa delle località sopra citate, con particolare riguardo al castello di Bassignana)6 Ma ormai, anche la cittadinanza pavese cominciò a dar segni di stanchezza nei confronti del Bavaro, tanto che furono iniziate trattative con il Pontefice per addivenire ad un accomodamento una volta liquidato l’intermezzo imperiale. Lo stesso .Azzone Visconti si riconciliò con Gio vanni XXII ottenendo in cambio il vicariato della Chiesa, la quale consi derava tuttora vacante l’Impero. Le trattative andarono parecchio a rilento e subirono una battuta d’arresto nel 1331, quando il re Giovanni di Boemia discese in Italia ed entrò a Pavia agli 8 di giugno, occupando la fortezza eretta poco tempo prima da Matteo Visconti. Il Boemo, per prima cosa, tentò di pacificare gli animi esasperati dalle contese politiche, e si adoperò per richiamare in città i guelfi esuli a Bassignana.’~ Il tenta tivo riuscf soltanto in parte perché i guelfi tornarono effettivamente a Pavia, ma provocarono l’uscita dalla città dei Beccaria e dei loro aderenti. I guelfi allora approfittarono della momentanea confusione per devastare le case dei loro nemici.’8 Mentre re Giovanni proseguiva rapidamente i suoi successi nella regione lombarda, il marchese Teodoro Paleologo di Monferrato appro fittò della situazione per soddisfare le proprie rivendicaziopi territoriali a spese del dominio lombardopiemontese di re Roberto. Nell’agosto del 1331, coll’aiuto di contingenti forniti da Azzone Visconti, egli portò il suo esercito sul territorio di Tortona e Alessandria, tanto che il Pon tefice, il 31 agosto, scrisse una lettera ad Azzone lamentandosi per queste novità. Papa Giovanni insisteva perché Azzone richiamasse le sue 16 G. BISCARO, op. cii., 143: « Cunr... Terdonensjs, Alexandrjna et Valentina commu nitates nol,is per mar litteras intimarin:, quod seviciam illft,s dampnaji heretici Ludovici de Bavaria multipliciter formidani, eo precipue quia gentem ecclesie armigeram in eis partibus se asserunt non videre », si ordina a Raimondo de Valljbus di correre in aiuto ai fedeli di quelle città e di provvedere alla difesa « et presertim castrum de Bassignana ». Chronicon Regiense, in RR.II.SS., r. XVIII, col. 46: « die ociava Junii intravit rex Papiam e: fecit redire exules, liscia inter eos pace ». F. FAGNANI, La Piazza Grande di Pavia, in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, LXI (1961), I, 77.

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truppe e non prestasse aiuto ai fuorusciti di Alessandria e agli altri ribelli della Chiesa e di re Roberto; diffidava inoltre il marchese di Mon ferrato di rispettare Valenza e Bassignana soggette al dominio della Chiesa, nonché Tortona e Alessandria legittimi possessi di re Roberto) Il Paleologo peraltro mirava dritto al suo scopo, e nell’ottobre riusci a impadronirsi di Tortona. Caduta questa città, il Pontefice scrisse a Lodovico di Savoia, vicario generale del re di Boemia, perché inducesse il figlio Carlo a desistere dal molestare le terre di Valenza e Bassignana. Questa circostanza induce a credere che fra il re Giovanni e il marchese di Monferrato esistesse un accordo segreto in base al quale il primo avrebbe avuto mano libera per le terre di Valenza e Bassignana, e il secondo avrebbe ottenuto uguale garanzia per la città di Tortona. Non è anzi escluso che, nonostante le apparenze, lo stesso Pontefice fosse al corrente di tale accordo, dal momento che i suoi rapporti col legato si erano parecchio raffreddati, e quelli con re Roberto erano ormai entrati definitivamente in crisi?0 Anche i rapporti con re Giovanni andarono rapidamente deterioran dosi e, mentre la sua breve avventura si stava avviando a malinconica conclusione, i grandi signori dell’Italia superiore cercavano il modo di trarre vantaggio dalla sua rovina. Nel novembre 1332 i Beccaria caccia vano da Pavia il presidio boemo, mentre nel luglio il marchese di Mon ferrato era sceso in campo contro re Roberto, dirigendo le sue truppe su Alessandria e Bassignana. Giovanni XXII, per meno del vescovo di Asti e dell’abate di Fruttuaria, fece allora pervenire a Teodoro i Suoi richiami perché quello si astenesse dall’attaccare Alessandria e Bassignana, ricor dandogli che spettava al Pontefice, vacante l’Impero, decidere sopra le questioni territoriali. Si offriva infine di rendere giustizia al marchese, qualora questi avesse voluto sottoporre al suo giudizio l’esame dei diritti che vantava su quelle terre.2’ Frattanto, il Pontefice aveva inaugurato un nuovo corso nella poli tica dei rapporti tra la Chiesa e i Visconti. Nel clima di distensione che ne segui, le parti furono indotte a tentare la strada per una riconcilia zione generale, tanto che nel 1334 i nunzi di papa Giovanni presenta rono ai Visconti lo schema di un trattato in base al quale, tra l’altro, i Milanesi si sarebbero dovuti impegnare a riconoscere il dominio della G. BISCARO, op. cii., 186. lvi, 188-9. ~~ ‘rj~ 210. “ 20

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Chiesa sulle città di Piacenza, Bologna e Lodi e sui castelli e terre di Crema, Caravaggio, Martinengo, Valenza, Bassignana, Casteinuovo Bocca d’Adda, Asola e in genere su ogni altro possesso della ChiesaY Probabilmente il vecchio Pontefice, dopo aver perso ogni fiducia nella possibilità che re Roberto potesse estendere la sua dominazione nell’Italia superiore, accarezzava il progetto di costituire nella Lombar dia un forte stato della Chiesa, in continuazione dei domini della Roma gna e della Marca Anconitana. Ma le successive vicende gli fecero appa rire chiaro che il progetto da lui vagheggiato era ben lontano dalla realtà e tutto l’edificio da lui faticosamente costruito stava miseramente crol lando sotto i colpi degli avversari. Un quadro veramente drammatico della situazione esistente nel 1334, alla vigilia della morte del Pontefice, ci viene offerto dalle regi strazioni degli ufficiali che il legato Bertrando del Poggetto aveva lasciato a Piacenza dopo il suo richiamo ad Avignone. In ciascuno dei castelli di Crema, Caravaggio, Castelnuovo Bocca d’Adda e Bassignana, il presidio era formato da un connestabile e 25 servientes a piedi. La spesa degli armigeri a cavallo importava 3.000 formi al mese, corrispondente ad appena 400 armigeri?3 Questo era dunque il nucleo delle forze armate su cui poteva contare la Chiesa in quel periodo: ben altre forze erano in grado di opporgli gli avversari, imbaldanziti dai recenti successi. Il 4 dicembre 1334 Giovanni XXII venne a morte, e fu sostituito da Benedetto XII, col quale Azzone Visconti continuò le pratiche per un accomodamento ma, interrotte per varie ragioni, le trattative furono continuate più tardi e si conclusero nel 1341, quando i Visconti si ricon ciliarono col Pontefice ed estesero la loro signoria sulle terre lombarde ancora in mano alla Chiesa.

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tandosi alla signoria di un solo; Milano stesso, dopo le dolorose espe rienze recenti pareva, sotto il governo mite e prudente di Azzone, più aliena dalle avventure di una politica ambiziosa. Ai Beccaria parve quello il momento di agire: « che essi mirassero a costituire a cavaliere del Po, tra la Sesia e il Lambro e su’ fianchi dell’Appennino, una signoria indi pendente, tutto faceva supporlo: ad incoraggiarli contribuivano le loro potenti aderenze tra’ Ghibellini lombardi, gelosi de’ Visconti, i loro nu merosi castelli e l’affetto della cittadinanza pavese, con cui avevano fatto causa comune nella recente cacciata del Boemo, infine la speranza, forse, che il Bavaro, allora in rotta co’ Visconti, non li avrebbe abbandonati al momento opportuno. Ma li aspettava il più completo disinganno. Luchino, successo ad Azzone nel 1339, era altra tempra d’uomo. Il suo carattere fiero e sdegnoso, la vasta e mal dissimulata ambizione, lo ren devano meno accessibile a’ consigli di prudenza, e, mirando ad allargare lo stato, più pericoloso a’ suoi vicini. Egli disponeva delle forze di quasi tutta la Lombardia; con vigorosi provvedimenti aveva consolidato dentro e fuori il suo dominio; e co’ recenti acquisti di Asti e di Bobbio era in grado di assalire da più lati il distretto pavese e soffocare, a’ primi indizi, i bellicosi tentativi de’ signori Beccaria. Cosi questi si trovarono alla mercé del loro avversario, prima ancora che potessero fare espe rienza delle loro forze » ~24 Pavia, ricaduta in potere dei milanesi nel 1342, dovette accettare un patto che riproduceva, aggravate, le condi zioni del 1315, e che, lasciando ai Beccaria larga parte nel governo, metteva la città in una più stretta dipendenza dai Visconti.

Una volta conclusa la breve avventura di re Giovanni di Boemia, i Beccaria ritornarono a Pavia e credettero di essere ormai in grado di assumere la completa signoria della città. Il momento pareva favorevole ai loro disegni: da oltre vent’almi i più potenti fra i guelfi pavesi anda vano errando per le città lombarde senza più ispirare seri timori ai loro avversari; la città, stanca delle lotte intestine, andava sempre più adat lvi, 213. lvi, 227. G.

ROMANO,

Delle relazioni... cit.

rs SIGNORIA VISCONTEA

11’

LA SIGNORIA VISCONTEA

Abbiamo già visto che Bassignana e Valenza caddero nel 1321 nelle mani dell’esercito della Chiesa insieme ad altre località della regione pie montese. Mentre queste ultime passarono immediatamente sotto la domi nazione angioina, Bassignana e Valenza rimasero per parecchi anni alle dirette dipendenze della Chiesa. Ma la difesa di cosi minuscoli domini, senza contatto diretto con altri possessi territoriali, costituiva un pesante onere non compensato da alcuna utilità pratica, per cui la Chiesa, nel 1341, consegnò Bassignana e Valenza a re Roberto d’Angiò, che incor porò le due località nel senescallato angioino di Piemonte. Negli ultimi anni di regno di re Roberto, peraltro, i suoi senescalli trascurarono molto i domini piemontesi. Ne approfittò allora Giovanni 11 Paleologo, marchese di Monferrato, che nel 1339 si affrettò ad occupare la città di Asti. Ma quando un senescallo più energico dei precedenti si accinse a riconquistare quella città, il marchese invocò l’aiuto di Luchino Visconti il quale, mentre Giovanni Paleologo era impegnato nella lotta contro il principe di Acaia, nel 1342 riusci a impadronirsi di Asti. Il rapido installarsi dei Visconti proprio al centro della regione pede montana mise in allarme la Chiesa, per la quale i domini angioini costi tuivano una importante base territoriale e un punto obbligato di passag gio. Dopo la morte di re Roberto e la torbida successione della regina Giovanna, le genti viscontee incominciarono a fare scorrerie sulle terre ancora sottoposte al senescallo d’Agoult, finché questi perse la vita nella battaglia di Gamenario combattuta nel 1345 contro le truppe di Luchino Visconti. Nel 1347, mentre l’attenzione della regina Giovanna d’Angiò era tutta rivolta altrove, Luchino decise di intervenire energicamente in Pie monte e, tanto per cominciare, il 13 gennaio occupò Tortona e poco dopo Alessandria, mentre il marchese di Monferrato, dal canto suo, occu pava Valenza. Anche Bassignana, in questo periodo, vide i vessilli viscon tei piantati sulle sue mura. Luchino proseguf la conquista con l’occupazione di un vasto terri

tono ma, proprio quando stava per piombare su Genova, venne a morte il 21 gennaio 1349. Gli successe l’arcivescovo di Milano Giovanni Vi sconti, che già agli inizi della sua signoria apparve come il vero domina tore dell’Italia settentrionale. Nel breve periodo del suo governo, lo spregiudicato arcivescovo rafforzò la potenza della sua famiglia nelle località soggette alla dominazione viscontea. Fra l’altro, il Cono gli attribuisce esplicitamente la ricostruzione del castello di Bassignana, di cui fu certo intuita la straordinaria importanza strategica come porta d’accesso alla regione piemontese. All’edificio visconteo apparteneva cer tamente uno stemma in pietra con la vipera che, ritrovato casualmente in Bassignana, doveva essere collocato in origine sulla porta d’accesso al castello?

Ma Giovanni guardava lontano, e progettava di estendere la sua signoria su

altre città rimaste fuori dalla sua immediata soggezione. Fra

B. CORTO, 071 Cit., Il, 178. Lo stemma è scolpito su un monoblocco di marmo bianco, di notevole spessore, che assume la forma tipica di uno scudo a mandorla, cioè con i margini curviinei e la punta rivolta verso il basso. Al centro campeggia il hiscione visconteo con capo orecchiuto rivolto a destra, dal quale esce la figura del saraceno. Il corpo della vipera, con squame e cresta sul dorso, descrive un risvolto e un ravvolgimento completo al quale fanno seguito altri tre risvolti degradanti verso il basso. Nel campo dello scudo, verso destra, si nota una corona regia laciniata che, di regola, in tutti gli stemmi viscontei sormonta invece il capo della vipera. Lo stemma fu rinvenuto qualche anno fa durante gli scavi per la costruzione di un nuovo edificio all’interno del paese. Provvisoriamente, è stato collocato nel cortile dell’edificio scolastico. L’attribuzione dello stemma al periodo di Giovanni Visconti sembra trovare conferma anche nelle considerazioni svolte da E. GALLT, Sulle origini araldiche della biscia viscontea, in Archivio Storico Lombardo, XLVI (1919), III, 363 e sgg. Il Galli ha posto in evi denza che le più antiche raffigurazioni della biscia viscontea, dal sec. XIV in poi, mostrano il serpente costantemente rivolto a sinistra dello scudo; la sua forma è tortuosa con almeno quattro risvolti degradanti verso l’estremità della coda; talvolta dopo un primo risvolto si riscontra anche un ravvolgimento a cerchio. Inoltre, dal 1336, per un privilegio che i Visconti avrebbero ottenuto da Alberto duca d’Austria, la biscia reca al di sopra del capo una corona regia laciniata. Infine, verso l’epoca di Bernabò Visconti (1354-1385) il serpente è rappresentato col corpo squamoso e col dorso cristato a guisa più di drago che di semplice vipera. Lo stemma rinvenuto a Bassignana presenta un’iconografia che si distacca dalla più antica raffigurazione, della fine del sec. XIII, che esisteva nel palazzo arcivescovile di Legnano. In questa la serpe è rivolta a destra come nell’esemplare di Bassignana, ma non è tortuosa a risvolti degradanti; presenta inoltre un solo ravvolgimento a cerchio ed ha l’aspetto di un vero e proprio serpente. D’altra parte, anche lo stemma bassignanese mostra la vipera rivolta a destra, ma il corpo descrive un cerchio e tre risvolti degradanti verso la coda, mentre il capo è piuttosto squamoso e cristato. Compare infine la corona regia laciniata che fu introdotta attorno al 1336. Per tutte queste consi derazioni, è assai verosimile che lo stemma risalga proprio al tempo dell’arcivescovo Gio vanni, che fece appunto riedificare il castello di Bassignana.

112 LA SIGNORIA VISCONTEA LA SIGNORIA vIscONTEA

anche Pavia, ove i Beccarja erano riusciti a conservare la pro pria posizione & preminenza. Peraltro, dopo il fallimento del tentativo messo in atto nel 1342, le fortune politiche della casata pavese erano ormai in declino. Pavia poté credere, per qualche tempo ancora, & aver riconquistato la propria autonomia di governo, ma fu un’illusione di breve durata. L’arcivescovo Giovanni Visconti, dopo l’importante acqui sto di Genova del 1353, si propose di assoggettare interamente al suo dominio anche il territorio pavese che, posto a cavaliere del Po, si tro vava quasi al centro della Lombardia, confinando coi territori di Milano, Lodi, Piacenza, Bobbio, Tortona, Alessandria, Vercelli e Novara. Era una corona di città, tutte assoggettate al dominio dell’arcivescovo Gio vanni, che circondava da ogni lato il distretto pavese, tranne che ad occi dente dove, in corrispondenza di Bassignana, si trovava quasi a confinare col Monferrato. Tra Pavia e il Monferrato correvano, come abbiamo visto in varie occasioni, antichi rapporti di amicizia che si erano maggiormente rinsal dati quando l’infortunio del 1342 costrinse Pavia a trovare nel suo pros simo vicino un alleato contro le mire espansionistiche viscontee. La possi bilità che Pavia entrasse stabilmente nell ‘orbita monferrina era quindi tutt’altro che ipotetica, e di questo i Visconti erano ben consapevoli. Ma, prescindendo da tale pericolo, « non era possibile che il distretto pavese, collocato come un cuneo frammezzo agli stati viscontei continuasse a mantenere la sua indipendenza, senza nuocere alla loro compattezza e renderne difficile la difesa. In un tempo specialmente in cui la politica de’ Visconti mirava alla fondazione di un vasto principato estendentesi dalle Alpi al mar ligustico e a quello Adriatico, l’indipendenza del distret to pavese diveniva un’assurda anomalia. S’aggiunga che il nuovo possesso di Genova rendeva necessaria una comunicazione più diretta e più facile tra Milano e quella città; e però l’assoggettam~~~0 intero di Pavia s’im poneva come un problema, dalla cui soluzione dipendeva la sicurezza e la conservazione dello stato ».~ La morte dell’arcivescovo Giovanni, avvenuta il 5 ottobre 1354, non distolse i Visconti da questo importante obiettivo, ma intanto i tre fratelli Matteo Il, Bernabò e Galeazzo [I dovettero occuparsi della spar tizione dei domini lasciati dallo zio arcivescovo. Matteo ebbe Lodi, Pia cenza, Parma, Bologna, Lugo, Massa, Pontremoli, Borgo 5. Donnino, Bobbio; Bernabò ebbe Bergamo, Brescia, Cremona, Crema, Soncino, Ca-

113

queste era

G. ROMANO, Delle relazioni... cit.

ravaggio, la Vai Camonica e la riviera dei Garda; a Galeazzo infine toccò Como, Novara, Vercelli, Alba, Asti, Alessandria, Tortona, Castelnuovo Scrivia, Bassignana, Vigevano. Milano e Genova rimasero possesso co mune dei tre fratelli. Per qualche tempo, i Visconti dovettero concentrare altrove la loro attenzione, impegnati com’erano nella lotta scoppiata con l’imperatore Carlo IV e le forze a lui fedeli, tra le quali in prima linea il marchese di Monferrato, che avevano costituito una lega antiviscontea, Per difendersi, Bernabò e Galeazzo dovettero attaccare, e portarono le loro truppe contro Pavia che, ricevuti rinforzi dal marchese di Monfer rato, il 28 maggio 1356 riusci a ricacciare gli attaccanti infliggendo loro gravi perdite. Lo scacco inferto agli avversari infuse nuovo coraggio nell’animo dei pavesi che, animati dalla parola infuocata di fra Jacopo Bussolaro, un agostiniano che raccoglieva vasti consensi soprattutto nella parte popolare della cittadinanza, si accinsero a continuare con estremo coraggio la resistenza. Mentre Gaieazzo e Bernabò Visconti andavano raccogliendo grandi forze da gettare contro la fiera città, Pavia si preparava a difendere le proprie libere istituzioni anche sui piano morale. Fra Jacopo aveva ban dito in città una vera e propria riforma dei costumi e, dall’alto del car roccio trascinato per le vie cittadine, andava predicando che per combat tere i tiranni bisognava ripristinare l’antica austerità di vita, eliminando la sfrenata tendenza ai lusso e ai divertimento. Questo richiamo a una maggiore severità di costumi raccolse subito l’adesione popolare, ma urtò la suscettibilità di molti potenti tra i quali, in prima linea, i Beccaria. Contro di loro però si levò l’ardente parola del frate, che prese ad attac carli duramente eccitando l’animo popolare contro « la disordinata signo ria dei tiranni ». Irritati da questi duri attacchi e timorosi di perdere del tutto la proprio influenza, Castellino e Milano Beccaria tramarono una congiura per togliere di mezzo il Bussolaro ma, scoperti i loro piani, furono co stretti ad abbandonare in tutta fretta la città. Allora il popolo insorse furente e distrusse dalle fondamenta le loro case che sorgevano, quasi sfidando l’autorità comunale, proprio di fronte al Broletto. Matteo Villani scrive nella sua Cronaca che « fu ciò cosa mirabile, che tutti maschi e femmine, piccoli e grandi, vi furono per maestri e manovali e a modo delle formiche, ciascuno ne portò via la sua parte ».~ Aggiunge l’Azzario M. VILLANI, Cronaca, lib. VIII, cap. 58.

114 LA SIGNORIA VrSCoN~

che il Bussolaro esortava i pavesj a tenere sotto il guanciale una pietra tratta dalle case demolite, a perpetuo ricordo dell’infamia dei Beccaria che avevano tramato contro la libertà della patria.5 Incalzati dalla generale esecrazione del popolo pavese, i Beccaria si rifugiarono dapprima a Valenza, quindi a Bassignana, poi a Voghera e infine a Milano,6 ove nell’ottobre 1357 iniziarono con Galeazzo Visconti trattative per un accordo di reciproca alleanza] Stipulata la convenzione quasi tutto l’Oltrepò Pavese aderf ai Beccaria staccandosi dal governo comunale di Pavia. Intanto, il cerchio si stava sempre più restringendo attorno alla città. Nell’aprile 1359 essa fu investita da un forte numero di truppe viscontee che la cinsero d’assedio, impedendo l’afflusso delle vettovaglie. Dal Po, una flotta risalj il Ticino fin sotto le mura, mentre si attaccava il territorio monferrito per impedire che il marchese Giovanni Paleologo potesse recare aiuto agli assediati. P. AZARII, Liber gestorj,cm in Lombardia, in RR.II.Ss., XVI, 376; « ...domos, aedes, cc palatia dirui fecic, cc esportari lapides cc vendi, predicans quod quisgue Papiensis de ipsis lapidjbt,~ teneret sub pulvinari cc capite lecti ad perpecuam memoriam male gescorum per ipsos de Beccaria. In fundamentis domormn nec unus lapis fuic dimissus ». Su questi avvenimenti cfr. anche F. FAGNANI, La Piazza Grande di Pavia, in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, LXI (1961), I, 84-5, G. R0B0LINI, op. cit., IV, 1, 321. La notizia delle successive peregrinazioiij degli esuli Beccaria è pure confermata da un passo della nota relazione del 1399 contenente l’elenco delle famiglie guelfe e ghibelline pavesi: « ... dominus Castellinus et Frorelus qui erant confinati fugierm.,t a Valencia Bassignanmu deinde iverunt Viqueriam et posc modum Mediolanum ec fecerunt certa pacta cum prefato Magnifico Domino Galeaz ». Per il testo della relazione cfr. F. PAGN~~q~, Guelfi e ghibellini di Pavia in una relazione ufficiale del 1399, in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, LXIV (1964), I, 44 e sgg. G. B. EIETRAGRASSA Annotazioni diverse spettanti alla fondazione della Regia Città di Pavia.., ecc., in Biblioteca Civica Bonetta di Pavia, C. 2 (opera scritta nel 1636 e trascritta nel 1760 da L. Riva), fol. 156; il Piecragrassa riferisce che tali trattative furono iniziate da Castellino Beccaria, ma questi venne a morte nel 1358, « sicché l’accordo, qual seco trattava Galeazzo, si conchiuse con Milano, Manfredo, Musso, Florello, ed altri principali della stessa Casa... Et la sostanza fu che essi Beccaria co’ loro seguaci, fautori et aderenti, et ogni loro milizia equestre cc pedestre.,,, contro la Città di Pavia movessero la guerra a nome di Lui, et Egli con una quantità pattuita d’uomini d’arme li avrebbe aiutati, cc con un’altra avrebbe soccorso i loro Castelli cc Terre, ove di mestieri fusse stato, et si obbligò anco in forma valida di pagare ad essi Beccaria et compagx.J tutti li stipendi, che avessero meritato in proseguire l’impresa, et dargli provvisione onorevole perpetua, et di pi~ pagare anco ad essi Beccaria tutto il danaro, che da loro, cc suoi antecessori era stato speso in fortificare la Città di Pavia, cc aggrandir le muraglie,,. et che ottenuta la Città, l’avrebbero ricevuta come di br mano..,; che Egli avrebbe con fermato, et servati tutti i loro privilegi, libertà, immunità, franchigie esenzioni et premi nenze et prerogative,>,

LA SIGNORIA vIscoN’rEA

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Animata dal Bussolaro, la città resisteva con straordinaria tenacia, che i Visconti, nel tentativo di superare la stasi delle operazioni, decisero di chiedere l’intervento del tedesco conte Costanzo Lando, comandante di una compagnia di ventura, che in quel momento si tro vava a Perugia in attesa di qualche vantaggioso ingaggio. Intuita la mossa, il marchese Giovanni riusci a battere sul tempo i Visconti, suppli cando il tedesco di accorrere in soccorso di Pavia. Il condottiero si com mosse soltanto per l’anticipo di 28.000 formi e con la sua Gran Com pagnia lasciò Perugia per portarsi in Liguria. Valicato l’Appennino, la Compagnia comparve sul Po a Bassignana e riusci a introdurre vettova glie nella città assediata.8 Galeazzo Visconti peraltro ricevette dei rinforzi, e il conte Lando si portò sul vercellese, passando poi con bella disinvol tura al servizio di Bernabò Visconti, La sorte di Pavia, affamata e stretta d’assedio, era ormai segnata: riconosciuto vano ogni tentativo di ulteriore resistenza, il 13 novembre 1359 i reggitori del Comune inviarono a Galeazzo Visconti le chiavi della città, e due giorni dopo l’esercito milanese entrò in Pavia. L’assedio glorioso era durato sei mesi. La dominazione viscontea segnò per Pavia il definitivo tramonto delle autonomie comunali, ma in compenso la città divenne la più impor tante dello stato dopo Milano. Galeazzo Il vi stabili la sua corte residen zia!e nello splendido scenario del castello, eretto negli anni tra il 1360 e il 1365, dotato di un esteso parco in fondo al quale Gian Galeazzo, figlio di Galeazzo 11, nel 1396 promosse la costruzione della celebre Certosa, concepita come cappella e mausoleo di famiglia. L’anno prima, Gian Galeazzo aveva ricevuto dall’imperatore Venceslao un diploma che gli accordava il titolo di duca di Milano e distretto. Era l’apogeo della potenza e della fortuna politica della famiglia Visconti, Il nuovo duca peraltro non era del tutto soddisfatto nelle sue am bizioni: egli desiderava un nuovo diploma in cui fossero enumerati det tagliatamente tutti i domini che facevano parte del ducato, e in cui la città di Pavia col suo territorio fosse eretta in contea da assegnarsi al suo successore diretto prima di essere eletto al ducato di Milano. Le aspirazioni di Gian Galeazzo furono accolte da Venceslao con diplomi speciali del 13 ottobre 1396, uno dei quali eresse in contea Pavia col suo territorio e vi comprese pure Bassignana, Valenza, Casale. La contea tanto

G. ROBOLINI, op. cit., IV, 1, 327.

116 LA SIGNORIA VISCONTEA

al duca come ente separato dal ducato, da assegnarsi al primo dei figli e futuro erede del ducato.~

LA SIGNORIA VISCONTEA

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fu assegnata

Quasi fosse presago della sua imminente scomparsa Gian Galeazzo nel suo testamento del 1397, aveva designato un consiglio di reggenza che assistesse i suoi figli ancor minorenni Al primogenito Giovanni Ma ria, lasciava il ducato di Milano con le città di Brescia, Cremona, Ber gamo, Como, Lodi, Piacenza, Parma, Reggio, Bobbio. Al secondogenito Filippo Maria lasciava la contea di Pavia e inoltre due gruppi di città periferiche non comprese nel ducato: ad occidente Novara, Vercelli, Ales sandria, Tortona; ad oriente Verona, Vicenza, Feltre, Belluno, Bassano, Riva di Trento e tutte le terre oltre il Mincio. Alla morte del duca, avvenuta a Melegnano il 3 settembre 1402, lo stato visconteo si trovava in tristissime condizioni: « Giovanni Maria, primogenito di lui, aveva all’incirca quattordici anni; Filippo Maria era più giovane ancora; sarebbe quindi stato difficile conservare l’integrità dello Stato, anche se questo fosse stato antico e fortemente consolidato nell’opinione del popolo. Esso invece non era che un recente aggregato di conquiste, di usurpazioni e di compere; e un diploma avuto per denaro dal debole Venceslao le male arti, le insidie, la più vergognosa mancanza di fede erano sgraziatam~~~~ i titoli che solo Poteva far valere la vedova duchessa. Si aggiunga la profonda divisione tra i sudditi, agitati nelle diverse fazioni di Guelfi e Ghibellini; e la rabbia di questi ultimi, che, domi e soffocati sotto il domi~o di Gian Galeazzo, aharono il capo, e lanciarono la loro sfida aperta ed audace contro i Guelfi predominanti, alla testa dei quali stavano il Barbavara e Giovanni da Casate »)~ Nelle città del ducato, infatti, le antiche fazionj politiche non erano state distrutte. Soffocate, messe in condizioni di non nuocere, esse erano pur vive, ed era sufficiente che vi fosse la sensazione di un governo centrale debole e instabile perché di nuovo rialzassero il capo guelfi e ghibellini o presunti tali. Dovunque nelle città viscontee, si ebbe imme Precedentemente con diploma del 18 gennaio 1380, l’imperatore Venceslao aveva confermato a Gian Galeazzo Visconij il vicariato imperiale su numerose città e terre, fra le quali è esplicit~ente nominata Bassignana Cfr. C. MANARESI I registfl viscontei Milano 1915, I, 120. R. MAloccur, Francesco .8arbapa,a durante la reggen~~ di Caterina Visconti, in .Iilisceljanea di Storia Italiana IX (1897), IV, 261.

diata la percezione di un cedimento da parte del governo centrale: alle spalle dei funzionari pubblici non vi era più persona che fortemente volesse. Le tendenze autonomistiche, in quasi tutte le città, ripresero vigore: a Pavia, i capi della famiglia Beccaria, Lancellotto e Castellino Il, fiuta rono presto la possibilità di liberare la loro patria dalla oppressione mila nese e di ripristinare la loro antica signoria famigliare. Alla fine del 1402 tutto lo stato visconteo era in piena agitazione. Non si erano ancora verificate ribellioni aperte, ma si era determinata una situazione di fluidità aperta a tutte le avventure. Di questa situazione di incertezza e di malcontento seppero abilmente giovarsi gli avversari della duchessa Caterina e del conte Francesco Barbavara, che coadiuvava la vedova di Gian Galeazzo nel difficile compito della reggenza. Attorno ad Antonio Visconti si andarono coagulando le forze ghibelline ostili al regime, che strinsero alleanze coi principali capi ghibellini delle altre città. Notevoli appoggi trovarono anche in Lancellotto e Castellino Bec caria i quali, per tradizioni avite, sfrenata ambizione e sete di dominio, andavano in cerca di pretesti per pescare nel torbido. Nel novembre del 1402 Lancillotto si valse delle lance tenute apparentemente al servizio dei Visconti, ma in realtà per conseguire i propri fini, per danneggiare i guelfi dell’Oltrepò. Egli fu ben presto imitato da Facino Cane il quale, con le sue truppe mercenarie, s’era gettato sul territorio pavese con tale accanimento che peggio non poteva essere trattato un paese nemico.” Il piano di congiurati, architettato con molta abilità, giunse presto a compimento. Nel giugno del 1403 il Barbavara fu allontanato dal governo e la duchessa dovette rassegnarsi ad accettare il fatto compiuto. Il potere passò allora nelle mani dei congiurati, a capo dei quali era Antonio Visconti. L’annuncio del colpo di stato e della caduta del Barbavara, di colui cioè che rappresentava la continuità del governo, fu la scintilla sufficiente per scatenare l’incendio di tutto lo stato. A Pavia, per prevenire la ribel lione dei Beccaria e dei loro aderenti, l’8 agosto 1403 fu pubblicato un decreto che proibiva la riparazione dei castelli e dei fortilizi del terri torio pavese, rovinati nelle ultime scorrerie, e vietava la fortificazione di qualunque terra.’2 Grave preoccupazione inoltre destavano le segna lazioni di persone facinorose e sospette che si aggiravano nel distretto lvi, 262. lvi, 272, e doc. XVI.

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pavese. Per rimediarvi, il 15 agosto fu emanato l’ordine di radunare a Pavia tutte le navi, di ogni sorta, che si trovavano sul Ticino e sul Po da Bassignana fino a Piacenza, ad eccezione di quelle strettamente neces sarie nei punti più frequentati di passaggio, coll’obbligo però di tenere colà appositi incaricati che impedissero il transito alle persone sospette.’3 Si giudicò infine opportuno installare a Pavia il giovane Filippo Maria ad organizzare saldamente il governo della contea. Fu stabilito in un primo momento che l’insediamento del conte dovesse avvenire il 6 giugno, ma gli avvenimenti di Milano fecero rinviare il viaggio alla metà di agosto, quando Filippo Maria era già nel castello di Pavia ini ziando a 11 anni la sua vita politica. Egli non doveva più rivedere la madre, ed in sua vece prese a governare Castellino Beccaria, di cui prati. camente era divenuto ostaggio. Dopo la prima ventata rivoluzionaria, in varie città del ducato i fautori dell’antico ordine ripresero slancio. L’indomita duchessa raccolse e riannodò le fila di quanti pensavano con nostalgia al precedente governo del Barbavara. Questa azione diede ben presto i suoi frutti: i nemici della duchessa, primo fra tutti Antonio Visconti, furono arrestati e qual cuno di loro vi rimise la testa. Il Barbavara fu richiamato dall’esilio e gli fu affidato l’incarico di formare un nuovo governo. Ma poiché alcuni dei congiurati guelfi si erano rifugiati a Pavia e da questa città tramavano nuove avventure, il Barbavara si dimise e lasciò Milano il 15 marzo 1404. Padroni della situazione tornarono allora Antonio Visconti e i suoi se guaci, ma per poco, perché in seguito a un tumulto essi furono cacciati dai fedeli del duca Giovanni Maria. Caterina Visconti nel frattempo si era rifugiata nel castello di Monza ove, assediata dai guelfi esuli da Milano, fu costretta alla resa e poco dopo veniva a morte (17 ottobre 1404). Scomparsa la tragica figura della duchessa dopo due anni di tremen de lotte, in balia di uomini ambiziosi e disonesti si trovarono ora i due rappresentanti della dinastia: Giovanni Maria di 16 anni e Filippo Maria di 12. La situazione del ducato era certo peggiorata in conse guenza degli avvenimenti di Milano: gli attacchi dei nemici interni ed esterni erano divenuti più violenti e portarono alla mutilazione di varie città del ducato. Nel marzo 1404 Ottone Terzi, un capitano ducale, si impadronf di Piacenza e Parma. Facino Cane, dal canto suo, nello stesso anno occupò Alessandria, di cui assunse il titolo di signore. Ivi, 272, e dcc. XVIII.

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Qualche anno più tardi doveva scoccare l’ora propizia per questo condottiero crudele, astuto e ambizioso che, già modesto capo di una compagnia di ventura, alla morte di Gian Galeazzo fu uno dei più pronti ad approfittare del disordine in cui era caduto il ducato. Coi territori di Alessandria, Novara e Tortona, egli era riuscito a costituire un domi nio non molto vasto ma assai compatto, ed aspettava l’occasione favore vole per estendere la sua potenza. Approfittando delle lotte fra le fazioni guelfa e ghibellina, nel marzo 1409 egli portò le sue genti a Pavia, deva stando il parco attorno al castello dove abitava Filippo Maria. Suoi alleati in questa impresa erano i Beccaria, che da poco erano stati espulsi da Pavia per decreto del conte, datato 14 marzo, col quale si ordinava ai cittadini pavesi di dipingere sulla porta delle proprie abitazioni i Bec caria appiccati per i piedi. Per tutta risposta, Castellino andò ad arroc carsi a Voghera, Ponte Curone e Silvano; Lancellotto a Caselle e Bassi gnana; Manfredo a Lacchiarella e Pieve del Cairo.’4 Confederatosi con il marchese Teodoro 11 di Monferrato, Facino Cane mosse alla conquista di Milano ma il duca Giovanni Maria, abban donata la speranza di vincerlo con le armi, intavolò con lui trattative e firmò una tregua che il 31 ottobre 1409 fu trasformata in pace definitiva. Il condottiero divenne allora governatore generale del ducato e il 6 no vembre fece il suo ingresso a Milano, di cui di fatto divenne il padrone assoluto. Faffito il tentativo di una congiura contro di lui, Facino pensò ora a Pavia ove Filippo Maria, impossibilitato a ricevere rinforzi, il 22 giugno 1410 revocò il bando contro i Beccaria e « fece la pace con Castellino dandogli in custodia la Rocchetta del ponte del Ticino, vicino alla quale nella notte di Natale furono rotte le mura della città, e Facino colle genti d’arme prese tutta a sacco Pavia, per cui quella notte fu piena di dolore, di gemiti, di grida e di violenza. E sebbene Facino non avesse ordinato il saccheggio che della fazione Guelfa, siccome i Ghibellini ne’ giorni passati, per le circostanze dei tempi, aveano nascosto le loro so stanze nelle abitazioni dei Guelfi, rimasero saccheggiati tutti e due i partiti ».~ Anche Filippo Maria dovette rassegnarsi a riconoscere l’auto rità del condottiero, che fu ora il padrone di tutti i domini viscontei. I due fratelli Visconti, della loro dignità conservavano ormai sol tanto il titolo. Se dobbiamo credere al Biffia, ad essi veniva solo accor “ “

B. CORIO, op. cit., lI, 507-8. lvi, 508.

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dato quanto era strettamente indispensabile per il sostentamento non per il decoro e le necessità della corte: il duca non aveva più chi lo servisse, la duchessa non aveva di che vivere ed il conte di Pavia mancava persino della camicia. Forse sono esageraziònj del cronista, ma di fatto le condizioni economiche del ducato erano allora tristissime, tanto che alcune famiglie milanesi, guelfe per tradizione, ordirono contro il giovane duca una congiura: il 16 maggio 1412 Giovanni Maria Visconti cadeva crivellato sotto i colpi dei sicari, mentre Estorre Visconti approfittava della momentanea confusione per impadronirsi di Milano. Nelle stesse ore in cui il duca era ucciso, nel castello di Pavia veniva a morte Facino Cane: il vero dominatore scompariva per sempre dalla scena. Filippo Maria si trovò quindi libero il campo e, non ancora ventenne, sposò Beatrice di Tenda, vedova di Facino Cane e parecchio più anziana di lui. Questo matrimonio contribui in maniera decisiva a spianargli la via al potere. Si dice infatti che nei suoi forzieri Facino Cane avesse riunito 400.000 ducati: essi servirono per propiziare al conte di Pavia, più che non il matrimonio con Beatrice, la devozione dei capi tani e dei soldati delle compagnie di Facino. Filippo Maria disponeva ora di forze sufficienti per occupare Milano, e il iy giugno portò le sue milizie sotto le mura di quella città. Il castel lano di Porta Giovia, Vincenzo Marliani, aprf le porte alle genti condotte da Castellino Beccaria, ed in breve la città fu occupata. Eliminati tutti gli Oppositori con la morte e con l’esffio, Filippo Maria assunse le redini del ducato e ricompensò in vari modi i suoi fautori: a Castellino Bec caria accordò in data 19 luglio 1412 un privilegio che sottraeva alla giurisdizione di Pavia le terre di Voghera, Serravalle, Molino di Pon zano, Nazzano, Retorbido, Casal Noceto, Lomello, Garlasco e Cilavegna. Questi territori vennero eretti al grado di contea e investiti nella persona di Castellino Beccaria del fu Musso, che ottenne pure di inquadrare nel l’arme della sua famiglia la vipera viscontea.16 I buoni rapporti instaurati fra il duca e il Beccaria erano destinati a durare ben poco. Nel 1413, mentre l’imperatore Sigismondo era in Italia e Filippo Maria era in contrasto col sovrano, a Pavia fu tentata una cospirazione ad opera di alcuni elementi della famiglia, nella quale G. ROMANO, Contributi alla storia della ticosiruzione del ducato milanese sotto Filippo Maria Visconti, in Archivio Storico Lombardo, XXIII (1896), 245. Sembra che in questo periodo il Beccaria continuasse ad esercitare la signoria su Bassignana poiché il Bossi dà notizia che nel 1411 « gli uomini di Bassignana giurarono fedeltà a Lancellotto Beccaria ». Ch. G. ROBOLINI, op. cii., V, 1, 83.

covava ancora qualcosa dell’antico spirito comunale pavese. Qualche indi screzione però dovette trapelare, tanto che il duca, mentre Castellino partecipava alla riunione del consiglio segreto ducale che si svolgeva nel castello di Pavia il 13 ottobre 1413, diede ordine di arrestare il Bec caria, affidandolo in custodia al castellano Nicolò Serratico. Represso il movimento in città, esso continuò nell’Oltrepò nei do jniin.i dei Beccaria, i quali riuscirono ad allacciare strette relazioni con l’imperatore Sigismondo. Questi promise loro una cospicua somma di denaro per contribuire alla difesa delle terre occupate a nome di lui e, nell’intento di guadagnare alla sua causa i vogheresi, in data 23 novembre 1413 inviò loro una lettera con la quale li esortava a mantenersi fedeli a Castellino Beccaria conte di Voghera)7 Quest’ultimo peraltro aveva ormai i giorni contati: dopo essere stato detenuto nelle segrete del ca stello di Pavia, sulla fine di novembre o ai primi di dicembre fu decapi tato e il suo cadavere fu gettato in un pozzo)8 La scomparsa di questo importante personaggio, avvenuta in circo stanze che ancor oggi rimangono oscure, suscitò il più acerbo risentimento da parte dei vari membri della casata. I figli di lui Manfredo, Matteo e Antonio, e il fratello Lancellotto, assieme a tutti i numerosissimi membri del consorzio gentilizio dei Beccaria, insorsero con rinnovata ostilità nei confronti del duca, scatenando un vasto movimento di opposizione ar mata che contava, fra i seguaci più accesi, Gualtiero Corte, Guizzardo Beretta con parenti e amici, Beltramino Mangiarini con numerosi altri vogheresi, Bartolomeo e Bava delle Giarole con i loro amici, numerosi uomini di Bassignana tra i quali in particolare Matteo Manuelli e nipote, e infine Cristoforo Grassi e aderenti di Castelnuovo, i ghibellini di Muga rone, altri di Montecastello, di Sale e altre località.19 Allarmato dalla sommossa, nel gennaio 1414 Filippo Maria scrisse al podestà di Milano di far pubblicare un bando perché fossero conside rati come ribelli coloro che si trovassero o intendessero recarsi nei luoghi di Lacchiarella, 5. Giorgio, Lomello, Galliavola, borgo di Bassignana, Bassignana, Caselle, Silvano, Robecco, Voghera, Pietra, Pietralino, Re torbido, Broni, Calvignano, Serravalle, Stazzano e Mulino, località tutte considerate ribelli all’autorità del duca in quanto occupate dai Beccaria. “

Il testo di questo importante documento è riportato in G.

MANFREDI,

oj,. cii.,

239. G. MANFREDI, Op. cii., 24041. Tutti costoro si trovano espressamente citati nei preliminari del trattato fra Lan cellotto Beccaria e il duca, come si vedrà tra poco. 19

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Il bando prevedeva che se qualcuno fosse uscito dalle località citate entro otto giorni non sarebbe stato punito, ma trattato con benevolenza; se al contrario si fosse mantenuto ribelle, si sarebbe proceduto contro di lui e i suoi affini sino al terzo grado; nel caso infine che qualcuno avesse consegnato qualche ribelle, se bandito, sarebbe stato assolto e se non bandito sarebbe stato compensato in modo adeguato?° Frattanto, le terre dell’Oltrepò proseguivano la loro opposizione ar mata, confidando nell’aiuto promesso dall’imperatore Sigismondo. Me more degli impegni assunti, il 25 giugno 1414 il sovrano promise a Felicina Corti, vedova di Castellino, la cospicua somma di 5.000 ducati da utilizzare per la difesa dei suoi castelli, che si reggevano allora a nome dei giovani figli di Felicina per opera specialmente dello zio Lancellotto, che si era posto a capo della rivolta.21 Nel successivo mese di agosto il duca inviò le sue milizie contro Voghera per impadronirsi del luogo, ma l’assalto fu respinto dai voghe resi comandati da Lancellotto, con l’aiuto dei figli di Casteffino e dei Beccaria di Montecalvo e di Arena. La guerra fu condotta con varia fortuna ma alla fine i vogheresi furono costretti a consegnare la loro città a Filippo Maria, che nello stesso mese di agosto ne prese personal mente possesso. I Beccaria peraltro rimasero ancora in possesso del ca stello, nel quale si era rifugiata Felicina Corti per continuare la resistenza. L’assedio si protrasse sino alla fine di dicembre del 1414, quando fu stabilito l’accordo per la resa. La contessa e i Beccaria uscirono allora dal castello, subito occupato dalle truppe ducali?2 Anche Bassignana, negli stessi giorni, cadde in mano alle milizie ducali. Lo scacco subito non piegò i Beccaria che, favoriti dall’appoggio imperiale, riuscirono in breve tempo a recuperare Voghera e Bassignana, cacciandone i presidi fedeli al duca. Riferisce a questo proposito il Pie tragrassa che « Lancillotto et Felicina, moglie lasciata da Casteffino, con li figliuoli, che furon Manfredo, Matteo ed Antonio, furon difesi e pro tetti da Sigismondo Re de’ Romani et con buona soldatesca aiutati, poiché avevano insieme con gli altri stretta dipendenza dall’Imperio, il perché giunti l’un con l’altro Manfredo della Pieve, di che era Signore, et con altri molti della stessa Casa, sebben Manfredo di Santa Giuletta per il —

20 C. SANT0R0, I registri dell’Ufficio di Provvisione e dell’Ufficio dei Sindaci, Milano 1929-32, I, 310. 25 G. RoMANo, Contributi... cit., in Archivio Storico Lombardo, XXIV (1897), 75, in nota. La somma fu effettivamente versata dall’imperatore: cfr. G. MANFREDI, op. cit., 243. “

G. MANFREDI, op. cit., 241.3.

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figliuolo tenuto in ostaggio dal Duca non potea intrar in Lega, né mo strarsi in modo alcuno, et aiutato da Teodoro marchese di Monferrato et da Pandolfo Malatesta et altri Confederati, hanno potuto vendicar le ingiurie et prendere gagliardamente la difesa di sé stessi et delle cose sue tanto pi6 avendogli il Duca soddetto dopo le prigionie et morti sopra recitate per forza di guerra levate Voghera et Bassignana piazze princi pali et preso Casei, Vaffide, Silvano, Gerre, Robecco, et smantellate le Rocche et Castelli, et dopo la liberazione di carcere di Manfredo di Santa Giuletta procurar di spogliarlo di Broni, Ottabiano, Belgioioso, San Giorgio, Filismaria, Petrosa et di gettargli a terra le fortezze. Veggendosi cosi Lancillotto trattarsi dalla somma delle cose et ormai Manfredo di Santa Giuletta per la ricuperazione del figliuolo, che era sin allora stato in ostaggio essere fuori di soggezione, fecesi aiutare principalmente da lui et col gran sforzo che insieme fecero della br Cavalleria et infanteria, diedero al Duca una rotta ben grande, et si ricuperarono Voghera et Bassignana et affrettando l’armata del medesimo Duca nel Po, gli presero quattro Galeoni et andando a Pezzeto con l’Esercito lo soggiogarono, et venendo alla volta di Pavia abbrugiarono il Borgo Tesino, et cosi perse verarono nel guerreggiar contra il Duca et suoi Stati, non ostante ogni resistenza, per grande che fosse degli Eserciti Ducali in sin nell’anno 1415, nel quale per opera degli Ambasciatori Cesarei fu stabilita una tregua fre le parti »? La tregua, raggiunta con la mediazione dell’imperatore Sigismondo, aveva la durata di un anno,~ durante il quale il duca si riappacificò con alcuni membri della famiglia Beccaria?6 Ma il 26 giugno 1415 Lancel lotto, che aveva posto il suo quartier generale a Bassignana, ruppe la tregua, e il duca ne rese avvisato il podestà di Voghera raccomandandogli la difesa del luogo, assicurandolo che presto avrebbe inviato in soccorso alcune truppe. Avendo appreso poi che il Beccaria meditava di sorpren dere il castello di Caselle, Filippo Maria intimò al podestà di Voghera di raccomandare a quel castellano di sostenere virilmente l’assalto, e di fornire a quello miiti fedeli e vettovaglie. Sul finire di luglio, peraltro, Caselle era già in mano al Beccaria, onde ai primi di agosto furono spedite contro quel castello alcune truppe ducali?6 —





22 “ 25

XI, 366. 26

G. B. PIETRAGRAS5A, 07). cit., ad annusil. G. R0B0LINI, 07). cit., V, 1, 91. A. CERIOLI, Pietra de’ Giorgi nell’Oltrepò Pavese e dintorni, Milano 1907, G. MANFREDI, op. cit., 243.

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Sdegnato per le ripetute aggressjo~j del Beccaria, il duca meditava il modo di distruggerlo ma, vedendo il turbine che si addensava sul suo capo, assalito dal Malatesta e da altri nemici, considerò miglior partito rinunciare a una guerra & cui non Poteva prevedere la durata e l’esten sione. Preferg quindi tentare una conciliazione e, aniati cauti sondaggi in tal senso, essi diedero esito ~flcoraggian~~ I negoziati svoltisi fra l’agosto e il settembre 1415, costituiscono un capitolo importantissimo ma poco noto di storia viscontea, per cui si ritiene utile darne qui adeguata notizia. Nulla sappiamo dei prelimi nari intercorsi fra i commissari del duca e Lancellotto Beccaria, ma si deve ritenere che i primi sondaggi siano stati condotti da Pietro Giorgi, vescovo di Novara, e da Sperone Pietrasanta, che continuarono poi le trattative sino alla conclusione. Le richieste avanzate dal Beccaria tramite gli emissari viscontei ci sono note attraverso un prezioso documento già illustrato dal Cerioli 27 contenente copia delle condizioni preliminari poste dal Beccaria per addivenire ad un accordo. Dalle annotazioni che prece dono il documento risulta che il testo del promemoria originale era redat to su due colonne: la prima conteneva 27 paragrafi con le richieste avan zate dal Beccaria, la seconda le risposte del duca ai singoli paragrafi, scritte da un cancelliere di corte. Queste, in sintesi, le richieste del Beccaria e le risposte del duca: I. Il.

Resti~~0~~ delle Ossa di Castellino Beccaria Viene concesso. Rilascio di Antonio Beccaria della Pietra e dei suoi amici impri. gionati dal duca, con restituzione dei beni confiscati Viene concesso III. Restitn~i0~~ dei beni sequestr5~~ a Gualtiero Corti, con facoltà a questi di rimpatriare Viene concesso. IV. Restituzione dei beni sequestratj a Guizzardo Beretta e ai suoi famigliari, parenti e amici, con facoltà di rimpatriare Viene concesso V. Restituzione dei beni sequestr2~j a Beltramino Mangiarini ed agli amici di Voghera espulsi da questo luogo, con facoltà di rimpatriare Viene concessa la restituzione dei beni, ma non il rimpatrio prima di sei mesi, a beneplacito del duca. A. CERI0L!, 111, 124 e sgg. Il documento membranac~, consta di 6 carte in folio non numerate, di cui la Ir. e le carte 5 e 6 in bianco. Proviene dall’archivio Beccaria (poi RotaCandiani) di Mont~I de Gabb~, pres~0 Canneto Pavese, consen,ato at tualmente presso la Civica Biblioteca Bonetta di Pavia. Cfr. Appendice, doc. V.

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VI.

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Restituzione dei beni sequestrati a Bartolomeo e Bava delle Giarole, con facoltà di rimpatriare. Viene concesso. VII. Garanzie personali per gli amici dei Beccaria residenti a Bassi gnana e per tutti gli abitanti del luogo, da trattarsi come buoni e fedeli sudditi del duca, con piena remissione di qualsiasi in giuria recata ai fuorusciti di detta terra per le inimicizie tra scorse, e impegno a rispettare i loro beni sia che intendano rimanere a Bassignana sia che desiderino allontanarsene. Viene concesso, purché gli amici dei Beccaria non vadano a stabilirsi in luogo sospetto. VIII. Garanzie particolari per Matteo Manuelli e nipote di Bassi. gnana, qualsiasi imputazione fosse loro ascritta, con facoltà di fissare la residenza in Bassignana o altrove. Viene concesso. IX. Assicurazione che il Beccaria potrà riottenere la terra di Caselle, coi relativi diritti di giurisdizione, allo stesso modo in cui la ottenne precedentemente dal duca a titolo di pegno, con facoltà al Beccaria di assegnare a chi meglio gli piacerà 3.000 formi dei 15.000 che il duca verserà per la consegna di Bassignana. Viene concesso. X. Restituzione dei beni sequestrati a Cadarba, con facoltà a questi di rimpatriare. XI. Restituzione dei beni sequestrati a tutti gli amici del Beccaria espulsi dalle loro case, con facoltà ad essi di rimpatriare. Si chiede l’elenco nominativo degli interessati, ed in base ad esso il duca deciderà. XII. Assicurazione che la terra di Silvano sarà restituita libera e franca da qualsivoglia giurisdizione, con immunità perpetua e solita esenzione. Viene concesso. XIII. Assicurazione che la terra di Robecco sarà restituita, con facoltà di costruire nuove abitazioni per gli uomini di quella terra e licenza di ricostruire il fortilizio che prima esisteva. Viene concesso. XIV. Assicurazione che la terra di Valle sarà restituita, con le stesse facoltà di cui sopra. Viene concesso. XV. Assicurazione che il Mulino di Ponzano sarà restituito. Viene concesso. XVI. Assicurazione che la possessione di 5. Giuletta e le altre confi scate dal duca saranno restituite. Viene concesso. XVII. Assicurazione che il luogo di Galliavola, dote della moglie di

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Manfredo Beccaria, sarà restituito. Viene concesso, a condizione che sia celebrato il matrimonio con la figlia del fu Galeazzino di Mantova. XVIII. Assicurazione che le case e i beni di Pavia saranno restituiti. Viene concesso. XIX. Assicurazione che il porto del Tovo sarà restituito. Viene con ceso. XX. Assicurazione che le terre di Serravafle e Stazzano saranno di nuovo confermate al Beccaria col mero e misto imperio. Viene concesso. XXI. Assicurazione che tutte le richieste formulate sopra dal Beccaria sia per sé sia per parenti e amici saranno accolte ed approvate dal duca mediante lettere patenti. Viene concesso. XXII. Impegno a rilasciare salvacondotti a favore del prete Nicolino, Urbano de Vico, Domenico Orio, Zanino Porzio, Pietro Florio e Zanino Patarini, tutti di Bassignana, perché possano recarsi liberamente a presentare le loro suppliche al duca. Viene con cesso. XXIII. Impegno da parte del duca a versare a Lancellotto Beccaria la somma di 15.000 fior~~~d’oro per il rilascio di Bassignana ai procuratori ducali, a condizione che il duca stesso consegni a titolo di pegno nelle mani di Guido Torelli, fiduciario delle parti, il castello, la cittadella e la terra di Novi?8 XXIV. Licenza al Beccaria di trasferire munizioni e vettovaglie nel castello di Novi e, una volta ultimato il versamento dei 15.000 formi, facoltà allo stesso Beccaria di condurre altrove o’ ven dere a chicchessia dette munizioni e vettovaglie prima della restituzione di Novi al duca. Viene concesso.3 XXV. Facoltà al Beccaria di trasportare a Serravalle o altrove i beni mobili e le munizioni esistenti in Bassignana, prima della con segna di questa terra al duca. Viene concesso. XXVI. Assicurazione che gli uomini di Lancellotto, Manfredo e fratelli Beccaria suoi nipoti, possano liberamente circolare nei territori “ Il tenore di questo capitolo, quale risulta nel documento di parte Beccaria, non ci è pervenuto nella sua stesura originale. Viene invece riportata, salvo qualche variante di poco conto, la corrispondente clausola inserita nel trattato sottoscritto tra i procuratori ducali e il Beccaria in data 30 settembre 1415. ‘° Anche questo capitolo ci è pervenuto in una redazione del 1° ottobre 1415, rogata a Bassignana dal notaio Catelano Cristiani, che costituisce un estratto della corri spondente clausola del trattato stipulato il 30 settembre precedente.

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XXVII.

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del ducato e siano trattati come buoni sudditi del duca, senza alcuna molestia. Viene concesso. In considerazione del timore che i ghibellini di Bassignana han no dei guelfi Bellingeri e loro seguaci fuorusciti di Bassignana, divieto di rimpatriare ai predetti Bellingeri di Bassignana, Riva rone e Piovera, e ciò nell’intento di evitare la distruzione della terra di Bassignana. La richiesta è anche motivata dal fatto che i Bellingeri non sono ab anhiquo originari del luogo, né in alcun tempo furono ai servizi dei Visconti e molti di essi, ai tempi di Gian Galeazzo, furono messi al bando, né mai ne furono liberati per i tradimenti orditi contro lo stato ai tempi della guerra con la Chiesa.

Come risulta da una annotazione premessa al documento, le richieste furono indirizzate al duca mediante il vescovo Pietro Giorgi e Sperone Pietrasanta, che in data 10 settembre fecero stendere regolare istrumento dal notaio Catelano Cristiani. Le risposte del duca, come abbiamo accen nato, furono scritte da un cancelliere della corte viscontea e furono recate a Lancellotto Beccaria tramite Sperone Pietrasanta. Dato che le parti avevano ormai raggiunto un’intesa sulle questioni fondamentali, parve opportuno addivenire ad un accordo definitivo, ed in tale prospettiva, in data 15 settembre, il duca rilasciò ai suoi due emis sari formale procura a stipulare un trattato con Lancellotto Beccaria e i figli di Castellino Beccaria per il rilascio della terra, del ponte, della rocchetta e della fortezza di Bassignana? Nel frattempo, il volubile e sospettoso Beccaria ritenne utile sotto porre al duca una nuova lista di richieste, parte delle quali furono accolte positivamente. Eccone l’elenco,31 col tenore delle risposte ducali: —





Assicurazione che Cristoforo Grassi e gli altri amici di Castelnuovo saranno sciolti dal bando, rimpatriati e rimessi in possesso dei loro beni. Viene concessa la revoca del bando, ma non la facoltà di tornare a Castelnuovo. Assicurazione che i ghibellini di Mugarone saranno rimpatriati. Viene concesso. Assicurazione che due persone bandite da Montecastello saranno ‘° “

Cfr. Appendice, doc. VI. A. CEiuoLI, op. cit., III, 130-31, dal fol. 4v. Cfr. Appendice, doc. VII.

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rimpatriate. Non viene concesso, perché il bando contro quelle per sone fu emanato per ragioni diverse dalla loro adesione alla causa del Beccaria. Assicurazione che Vercello della Valle sarà rilasciato dalle carceri di Alessandria. Non viene concesso per la ragione di cui sopra. Assicurazione che i figli di Callozio Maggi banditi da Sale saranno rimpatriati. Non viene concesso, perché gli interessati furono banditi per aver ucciso il podestà del luogo di Sale. Assicurazione che Giacomo Corti bandito da Sale sarà rimpatriato. Non viene concesso per il motivo di cui sopra. Assicurazione che il luogo di Bastida Gazio e relative possessioni saranno restituite. Viene concesso. Assicurazione che i beni della signora Maddalena vedova di Anto nio Beccaria della Pieve saranno restituiti. Viene concesso. Assicurazione che le persone incarcerate a Novara saranno rilasciate. Viene concesso. Assicurazione che Stefano Quagliata sarà rilasciato. Viene accolta la richiesta, ma si nega il rimpatrio. Assicurazione formale che saranno accordate tutte le richieste di restituzione dei beni confiscati. Viene concesso.

















Gli accordi raggiunti dalle parti furono solennemente sanciti in data 30 settembre mediante pubblico istrumento rogato nel castello di Bassi. gnana da Catelano Cristiani, alla presenza di Guido Torelli, Beltramino Mangiarini, Bartolomeo Dugnani, Matteo Manuelli e Guizzardo Beretta di Frascarolo.~ Ecco, in sintesi, i termini del trattato stipulato tra i Beccaria e il duca Filippo Maria: 1. Ei duca rimetterà in libertà Antonio Beccaria della Pietra con gli altri parenti ed amici prigionieri, e restituirà loro i beni col beneficio dell’immunità ed esenzione da tutti gli oneri reali e personali. 2. Parimenti sono revocati i bandi e vengono restituiti i beni a Gualterotto Corti; a Guizzardo e Pietro Beretta e ai loro parenti ed amici di Frascarolo e Sartirana; a Bartolomeo e Bava delle Giarole; a Mussetto Beccaria; a Beltramino Mangiarini, Simone Giardo, Martino Ferrari e a tutti gli altri fuorusciti vogheresi ora abitanti nelle terre dei Beccaria, “

Ch. Appendice,

doc. VIII.

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col patto che possano abitare in qualunque luogo del ducato milanese tranne Voghera; a Bernardo della Cadrona; infine a Cristoforo e Ber. nardo Grassi di Castelnuovo, 3. Il duca proteggerà gli amici ghibellini di Lancellotto che sono in Bassignana, trattandoli come suoi fedeli e leali sudditi e dimenticando le ingiurie fattegli per ragioni di partito, ed assicura il possesso dei beni tanto a quelli che continuassero a stare in Bassignana quanto agli altri che se ne andassero. 4. Nessuno di quelli che sono in Bassignana sarà molestato per i frutti percepiti sui beni dei fuorusciti o per beni mobili pervenuti in suo possesso. E debiti anteriori verso la Camera ducale, tanto del Co. mune quanto dei privati, sono condonati. 5. Sono revocati i bandi pronunciati contro Jacopo Lazzaro, Gio vanpietro Grassi, Andrea Sereno e Castellino Frambaglia, banditi da Ca stelnuovo sotto l’imputazione di aver tentato di dar quella terra ai Beccaria, ma non possono ritornarvi. La stessa misura è estesa a quanti furono banditi dal territorio ducale per avere in qualsiasi modo aiutato o favorito Lancellotto e gli altri Beccaria nella guerra contro il duca, ma anche a loro saranno restituiti i beni. 6. Il duca ordinerà al podestà di Voghera e agli ufficiali degli altri luoghi che procedano contro i debitori di Lancellotto e dei figli di Castellino Beccaria, e rendano loro giustizia in quanto è loro dovuto. 7. Lancellotto e i nipoti potranno estrarre i frutti delle loro pos sessioni e portarli da un luogo all’altro in qualunque punto del dominio ducale, senza pagare dazi o pedaggi. 8. I fanti e gli stipendiari al servizio dei Beccaria possono con durre dove vogliono i loro prigionieri che hanno in Bassignana. 9. Il duca e i suoi alleati si asterranno da ogni insulto, assalto o danno contro le terre dei Beccaria; in caso diverso, sarà fatta restitu zione e dato indennizzo di quanto sarà stato preso o danneggiato. 10. Similmente restituirà in patria tutti gli esuli vogheresi che abbandonarono il luogo dopo la ribellione e si ritirarono sul territorio del duca, e li reintegrerà nel possesso delle immunità prima godute. 1. A Fiorello Beccaria e fratelli consanguinei di Lancellotto sarà restituita la terra di Casorate con tutti gli altri beni e col diritto di rimpatriare. Verranno ugualmente richiamati in patria e rimessi nel pos sesso dei loro beni Giacomo Visconti e suo fratello e tutti i ghibellini fuorusciti di Mugarone. 12. Il duca provvederà affinché Stefano Quagliata di Bassignana e

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i suoi frateffi non possano mai tornare in patria né godere dei loro beni; lo stesso è previsto per i Bellingeri di Bassignana, Rivarone, Piovera e 5. Michele nella giurisdizione di Bassignana, nonché per Pietro Cornag gia: i beni di costoro resteranno al fisco. 13. Il duca concede a Lancellotto per lui e per i figli di Castel lino: la terra di Silvano, libera da ogni giurisdizione con perpetua immu nità e piena esenzione, com’era tenuta da Nicolino Beccaria, con tutte le possessioni appartenenti al castello ed alla terra suddetta; la terra di Robecco, come sopra, con facoltà di costruirvi nuove abitazioni e un nuovo fortilizio; la terra di Valle, come sopra; la terra di 5. Giuletta, come sopra; il luogo di Galliavola, riservata a Man.fredo Beccaria del fu Castellino, che costituisce la dote della moglie di detto Manfredo, a condizione che questi contragga matrimonio con la figlia del fu Galeaz zino del fu Galeazzo di Grumello; il luogo di Bastida Gazio, com’era già posseduto da Castellino e Lancellotto; il porto di Tovo sul Po, col diritto di porto e di navigazione e di tenere osteria al di qua e al di là del fiume, libero e franco come prima, secondo la concessione fattane da Giovanni Maria il 10 marzo 1406; un giardino in Pavia sito fuori e nelle adiacenze della porta di 5. Maria in Pertica, le case e i poderi di Pavia spettanti a Lancellotto, le case abitate da Casteffino site nella par rocchia di 5. Maria in Pertica; le terre di Serravalle e Stazzano, libere da ogni giurisdizione, col mero e misto imperio e con l’obbligo di pre stare giuramento di fedeltà; il Mulino di Ponzano. 14. Gli abitanti di Caselle e Silvano e degli altri luoghi soggetti a Lancellotto e ai suoi nipoti che volessero portare i loro vini, biade ed altre derrate a Pavia e, fuori del distretto pavese, in altri luoghi soggetti al duca, saranno trattati quanto al pagamento dei dazi come gli altri sud diti del duca; viceversa, i sudditi del duca potranno esportare dalle terre dei Beccaria i loro prodotti alle stesse condizioni. 15. Il duca sborserà a Lancellotto per la cessione di Bassignana la somma di 15.000 formi; porrà inoltre nelle mani di Guido Torelli, fiduciario delle parti, il castello, la cittadella e la terra di Novi, da ricon segnarsi al duca qualora questi paghi a Lancellotto entro otto mesi 8.000 dei 15.000 formi convenuti, ed il resto dopo quattro mesi. 16. I sudditi dei Beccaria proprietari dei beni nelle terre del duca ne avranno il godimento senza essere molestati. 17. Lancellotto promette di porre nelle mani del vescovo di No vara la rocca, il castello e la terra di Caselle, perché ne abbia libero dominio.

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18. Appena il vescovo avrà fatto a Lancellotto la consegna di Sil vano, Robecco, Valle e Mulino di Ponzano, e depositato il castello e la terra di Novi nelle mani di Guido Toreffi, Lancellotto rilascerà nelle mani del vescovo il castello, la cittadella, la terra e il ponte di Bassignana, ed insieme la rocchetta con la bastita oltre il Po del ponte di Bassignana. 19. I Beccaria promettono che i sudditi del duca potranno godere liberamente e senza molestie i beni posseduti nei loro territori, e che useranno un buon trattamento agli abitanti di Caselle e Silvano, con patto che i fuorusciti di Caselle non possano tornarvi senza il peneplacito di Lancellotto. In esecuzione dei patti di cui sopra, lo stesso giorno 30 settembre, nel cortile del castello di Bassignana, avvenne la cerimonia di consegna del castello, della rocca, della cittadella e della terra di Bassignana, di cui Lancellotto consegnò le chiavi ai procuratori ducali? Il 3 ottobre seguente il procuratore ducale Guido Torelli, incaricato di ricevere in deposito la terra e il castello di Novi, si obbligò ad osservare i patti stipulati tra il Beccaria e il duca circa il rilascio di Bassignana.TM Quando il duca avesse sborsato al Beccaria 8.000 formi sui 15.000 dovuti entro otto mesi dalla consegna di Bassignana, il Torelli avrebbe trattenuto a titolo di deposito il castello, la cittadella e la terra di Novi per altri quattro mesi durante i quali, se il duca avesse pagato i restanti 7.000 formi, il Torelli avrebbe restituito Novi al duca. Nel caso invece che il pagamento degli 8.000 formi non avesse luogo nel termine di Otto mesi, Guido Torelli avrebbe consegnato Novi a Lancellotto Beccaria, contro malleveria per la somma di 20.000 formi d’oro di Genova. Se poi il duca, entro i quattro mesi successivi al termine scaduto di otto mesi, avesse versato i 15.000 formi convenuti per Bassignana, il Beccaria avreb be dovuto restituire Novi. Seguono poi altre clausole particolari che per brevità qui si tralasciano. Con atto del 5 ottobre, rogato in Bassignana, il vescovo Pietro Giorgi consegnò a Gorone Lampugnani le chiavi del castello di Bassi3’ lvi, doc. IX. Il giorno precedente, 29 settembre, il Beccaria rilasciò ad Antonio Ciocca, castellano di Caselle, il castello di questa località, perché fosse consegnato nelle mani dei procuratori ducali quando costoro ne avessero fatto richiesta. L’atto si svolge in Bassignana, «super fossato bastite turris rochete ponns .Bassignane ». Il documento, al pari di tutti gli altri menzionati in appresso, è in Archivio di Stato di Milano, Registri Ducali, Reg. n. 4 (F alias L) del notaio Catelano Cristiani, c. 78t. 3’ Archivio di Stato di Milano, Reg. cir., c. 83-84t.

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gnana, perché lo custodisse a nome del duca senza ricettarvi nemici, banditi o ribelli. A sua volta il Lampugnani prestò il giuramento di fe deltà e promise di non dare il castello ad alcuno, ma solo a chi avesse recato il contrassegno particolare del castello, o per ordine speciale del duca?5 Con atti separati, nello stesso giorno, il vescovo consegnò allo stesso Lampugnani la rocchetta di Bassignana,’~ e ad Andriolo Pietrasanta, podestà di Bassignana, diede le chiavi delle porte della località.37 Quando le parti ebbero vicendevolmente eseguiti gli accordi stabi liti nel trattato stipulato in data 30 settembre, il duca poté compiacersi che le questioni più spinose che ostacolavano il raggiungimento della pace fossero state risolte. In data 26 ottobre, quindi, ritenne opportuno ratificare tutti gli atti precedenti relativi alle stipulazioni seguite tra i suoi procuratori e Lancellotto Beccaria e nipoti?8 Certo, v’era ancora una grossa difficoltà da superare, vale a dire il reperimento della cospicua somma di 15.000 formi da versare al Bec caria in cambio del rilascio di Bassignana. Per raggranellare la somma, il duca ne fece il riparto a carico dei Comuni, e con lettera del 19 otto bre, annunziando l’accordo raggiunto col Beccaria e sottolineando l’esi genza di assicurare i sudditi dagli assalti degli avversari soliti ad annidarsi nella forte Bassignana, chiese ai vogheresi 400 formi per loro tangente, da versare entro il febbraio prossimo Y 3’ Cfr. Appendice, doc. X. Presenziarono all’atto come testimoni Matteo Manuelli del fu Uberto, Franceschino de Cimiiano del fu Rizzardo, Antoniolo Bascapè del fu Simone e Guizzardo Beretta del fu Leonardo. “ Ivi, doc. XI. “ lvi, doc. XII. Nello stesso giorno, Antonio Ciocca del fu Simone, castellano di Caselle per Lancellotto Beccaria, obbedendo all’intimazione di questi consegnò il castello e la rocca di Caselle, con le relative chiavi, al vescovo di Novara. Questi, a sua volta, nominò podestà di Caselle Giovanni Siccamelica al posto di Fiorello Beccaria, che fu cassato dall’ufficio. Cfr. Reg. ch., fol. 85r-85v. Il 7 ottobre seguente, il vescovo di Novara diede a Lancellotto Beccaria, per lui e suoi successori, il dominio e l’universale giurisdi zione sul castello e sulla terra di Caselle, promettendo che il duca avrebbe approvato e ratificato la donazione, e ciò a saldo di ogni credito vantato dal Beccaria nei confronti del duca, giusta le lettere ducali datate Pavia 29 agosto 1406, con cui si dava in pegno la terra di Caselle. Cfr. Reg. cit., fol. 86r-86v. Nello stesso giorno, avendo Manfredo Beccaria del fu Castellino, a nome proprio e dei fratelli Antonio e Matteo, e di Francesco figlio di Lancellotto, presente e consenziente lo stesso Lancellotto, prestato giuramento di fedeltà per le terre di Serravalle, Stazzano, Mulino, Caselle, Silvano, Robecco e Valle, il citato Lsncellotto promise dal canto suo che anch’egli nel termine di un anno o anche prima avrebbe prestato giuramento di fedeltà al duca. Cfr. Reg. cit., fol. 87. “ Reg. cit., fol. 89v. 3’ G. MAJ4ntrrn, op. cii., 244. Aggiunge il Manfredi che « il Comune di Voghera nel di ultimo di mano (1416) pagò la sua parte, cioè formi 400, per la compra di

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Si ha ragione di ritenere peraltro che la raccolta della somma incon trasse serie difficoltà, e il duca si trovasse grandemente imbarazzato nel fronteggiare i suoi impegni verso il Beccaria. Questa situazione dovette probabilmente allarmare il sospettosissimo Beccaria il quale, pentito forse di aver ceduto troppo alle richieste del duca, nell’ottobre 1415 si ribellò nuovamente a Filippo Maria e, spalleggiato dai figli di Castel lino, tenne nuovamente in scacco le forze ducali appoggiandosi ai castelli dell’Oltrepò. Scrive a questo proposito il Manfredi 4° che « Lancellotto Beccaria ed i figli dell’estinto Castellino mal comportavano di essere stati sposses sati delle loro principali signorie, epperciò si ribellarono nel castello del vicino Casei, che venne assediato dal conte Carmagnola e da militi voghe resi, i quali erano in numero di 25 balestrieri e di circa 70 pavesarii: questi ai 15 di ottobre fecero feste e fuochi per la conquista di Casei ». Aggiunge ancora il Manfredi 41 che anche i «luoghi di Sale, Serravalle, Stazzano tenuti dai Beccaria furono assediati dal conte Carmagnola e da Mathiaso da Rieti capitani ducali, i quali nel mese di ottobre chie sero anche aiuto di militi da Voghera ». In tale frangente, alcuni voghe resi aderenti a Lancellotto Beccaria vennero parte a ragione parte a torto condannati alla confisca e al bando per ordine del duca, il quale andava dicendo di non far caso alle convinzioni stabilite nel trattato di pace, in quanto Lancellotto si era nuovamente ribellato e i vogheresi Paolo e Lombardo Boccardi, Martino de Ferrari e Beltramino Mangiarini, « presentialiter perseverant in ribellione cum dicto Lanzaroto ». Nonostante tutto, al duca doveva premere molto ristabilire la pace con i Beccaria, tanto è vero che il 18 gennaio 1416 scrisse in termini assai forti al podestà, al referendario e ai savi della città di Pavia, insi stendo perché fossero pagati a Lancellotto Beccaria 600 formi in esecu zione di quanto era stato convenuto.42 A furia di minacciare e di insistere, nei mesi successivi il duca riuscf a mettere insieme la somma pattuita. Difatti, l’il maggio 1416 egli rila sciò speciale procura a Sperone Pietrasanta per il versamento al Beccaria Bassignana fatta dal Duca». Ivi, p. 245. In data 26 settembre 1415, con lettera da Pavia, il duca diede facoltà a Lodovico Pontremoli, suo famigliare, di raccogliere i danari da coloro che ancora non avevano pagato la tangente imposta per il recupero di Bassignana. Cfr. A. CERI0LI, op. cit., XI, 378. ° G. MANFREDI, op. cii., 246. 41 lvi, 247. G. ROBOLINI, op. cii., V, 1, 94.

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dei 13.000 formi previsti dagli accordi.43 Nel caso che Lancellotto avesse rifiutato di ricevere il pagamento, autorizzò il suo procuratore ad effet tuare il deposito della somma nel modo che avesse ritenuto più oppor nano. Qualora invece il Beccaria avesse accettato il danaro, il procuratore si sarebbe fatto rilasciare regolare ricevuta, facendosi poi riconsegnare la terra di Novi affidata in deposito a Guido Torelli. Non sappiamo esattamente quale sia stato il successivo svolgimento dei fatti, ma è certo che alla fine del 1416 l’Oltrepò era ancora in piena rivolta, nonostante gli sforzi del duca per soffocare la ribellione.44 Filippo Maria tentò allora di giocare d’astuzia e, ricorrendo a lusinghe e pro messe, agli inizi del 1417 riuscf a staccare da Lancellotto i suoi nipoti e persino uno dei figli di lui, Francesco, nella speranza di ricondurre all’impotenza il ribelle per quella via.45 Separatisi dallo zio, i figli di Castellino Beccaria gli si erano ricon giunti dopo poco tempo e la ribellione era nuovamente divampata sulla frontiera occidentale tra Voghera e Serravalle, strettamente controllata dai Beccaria. Questa volta Filippo Maria decise di farla finita una volta per tutte e, nell’agosto 1417, inviò nell’Oltrepò il Carmagnola, il quale riuscf a conquistare Voghera e altri castelli occupati dai Beccaria.47 Ben presto, il teatro della lotta si ridusse a pochi castelli tra Tor tona e Serravalle. In quest’ultima località Lancellotto andò a rinserrarsi per l’estrema difesa, incalzato dalle truppe del Carmagnola. Le sorti del conflitto erano ormai segnate: nel corso di un furioso attacco delle truppe ducali, il castello di Serravalle fu espugnato e Lancellotto coi nipoti fu costretto alla resa. Dopo essere stati tradotti a Voghera, il 16 luglio 1417 i prigionieri furono trasferiti a Pavia ove poco dopo l’infe Cfr. Appendice, dcc. XIV. — Da un appunto ricavato dal Comi dal Registrum Litterarum del 1416, fo!. 93, risulta che verso la fine del 1416 fu applicata una tassa a parecchie terre del ducato, com prese Tortona e Novara, per il recupero di Bassignana. Cfr. G. R0B0LINI, op. cit., V, 1, 95. O La circostanza è provata da un atto del 10 mano 1417 col quale il duca rimette a Manfredo, Antonio e Matteo figli del fu Castellino, e a Francesco detto Fratino figlio di Lancellotto Beccaria, tutti i crimini, delitti e processi in cui sono incorsi verso il duca Giovanni Maria e verso di sé. Conferma loro inoltre il possesso del castello di Serravalle nel modo come fu tenuto dal fu Castellino, e come fu poi ridato a Lancellotto, stipulante a nome di detti fratelli Beccaria, in cambio di Bassignana. Cfr. Reg. cit., fol. 181. ~‘ La cosa risulta da un atto del 28 ottobre 1418 col quale il duca concede il feudo a Tebaldo Serratico, castellano di Pavia, il castello di Robecco e tutte le proprietà site nei territorio di Robecco e 5. Giuletta che furono già di Castellino e Lanceflotto Beccaria, ribelli. Cfr. Reg. cit., fol. 71. “ B. Cono, op. cii., Il, 534. 4’ Si ha notizia della spesa sostenuta dal Comune di Voghera per il trasporto a 4’

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lice Lancellotto subi sulla pubblica piazza l’estremo supplizio.4’ In tal modo, scompariva per sempre dalla scena un personaggio che per tanto tempo aveva dato del filo da torcere a Filippo Maria, suscitandogli contro continue ribellioni che avevano sconvolto e desolato le nostre contrade.

Negli anni immediatamente successivi al 1415 Bassignana poté go dere di una certa tranquillità. Sottratto alle interferenze dei Beccaria, il luogo veniva amministrato direttamente dal duca, come già avveniva in passatoY° Soltanto più tardi, non sappiamo bene per quale calcolo poli tico o di semplice convenienza, Filippo Maria ritenne opportuno proce dere allo smembramento del territorio di Bassignana mediante alcuni provvedimenti che ebbero conseguenze decisive per le future vicende della località. Il primo atto del processo di smembramento del territorio di BassiPavia dei prigionieri: « Item pro pane babito et donato per Commune die 16 julii lamilia. ribus ducis, qui duxerunt Lanzarotum de Beccaria ti nepotes Papiam ». Cfr. G. MANFREDI, op. cii., 251. In data 17 luglio il duca diede notizia del fausto avvenimento, ordinando falò e processioni. Cfr. C. MAGENTA, I Visconti e gli Sforza nel castello di Pavia, Milano 1883, XI, 219. 4’ G. RoBoLxNr, op. cii., V, 1, 97; G. MANFREDI, op. ci:., 251. I beni dei Beccaria, per sentenza del 14 ottobre 1418 di Gaspare Grassi, furono confiscati dalla camera ducale, che ne farà restituzione soltanto dopo la morte di Filippo Maria. Cfr. C. SAccHI, Il Comune e il Contado di Pavia nell’acquisto del Ducato di Milano, in Memorie e Documenti per la Storia di Pavia e suo Principato, 11(1898), IV-V, 141. ‘° L’unico provvedimento diretto di cui ci sia rimasta notizia è costituito da una lettera ducale del 14 giugno 1425 con la quale Filippo Maria avvisa il podestà di Bassi gnana di aver esentato la località dal bando come immune da contagio. Cfr. G. VITTANI, Gli atti cancellereschi viscontei, Milano 1920, I, 106. Abbiamo poi alcuni provvedimenti concernenti il transito sul porto di Bassignana. In data 11 agosto 1425, evidentemente per il timore del contagio, il duca ordinò di vietare il transito ai romei di passaggio per il territorio ducale senza bollettino, sotto pena di quattro colpi di punta e di palancola. La lettera è indirizzata agli ufficiali preposti alla custodia dei porti del ducato, tra cui Bassignana. Cfr. G. VITTANI, op. cii., I, 130. In data 2 dicembre 1425 il duca inviò una missiva all’ufficiale delle bollette di Milano. Appreso come sia per transitare nel territorio ducale a spargere cattive voci un certo fiorentino già stato nelle Fiandre, che sa parlare bene francese e fiammingo e di cui dà i connotati, vuole che sia arrestato, non rilasciandolo senza sua speciale licenza. La stessa lettera fu indirizzata agli ufficiali delle bollette di parecchie città del ducato e agli ufficiali dei porti di Dossi, Parasacco, Pancarana, Lapola, Arena, Ripalta, Cassano, Trezzo, Vaprio, Brivio e al podestà di Bassignana (ivi, 187;. Di particolare importanza, infine, è un atto del 17 febbraio 1440 con il quale il duca incarica gli ingegneri ducali Gregorio da Pavia e Pietro Paolo Arsago di provvedere perché i comuni diano tutti i carri già fissati per la pronta riparazione del ponte di Bassignana sul Po (ivi, 236).

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è costituito da un provvedimento del 15 luglio 1428 col quale il duca diede la località in feudo a Bartolomeo della Sala.51 Qualche tempo dopo, e precisamente il 14 agosto 1441, il duca staccò Rivarone da Bassignana e lo diede in feudo ai fratelli Guglielmo, Bonifacio e Fran cesco Bellingeri, in segno di riconoscenza per un lauto pranzo da loro offerto quando egli si trovava a caccia da quelle parti?2 Sempre nel 1441, anche Mugarone col suo castello fu staccato da Bassignana e dato in feudo a Franceschino Beffingeri.n Sembra che la signoria feudale di Bartolomeo della Sala su Bassi gnana non sia durata a lungo. Risulta infatti che nel 1447, alla vigilia della morte del duca, ne aveva la signoria Carlo Gonzaga, figlio di Gian francesco marchese di Mantova, che aveva ottenuto Bassignana in con siderazione dei servigi prestati quale capitano delle milizie di Filippo Maria?~ gnana

E. GuAsco Dz Bzsro, op. cit., sub voce. lvi, sub voce. ~ lvi, sub voce. ‘~ Carlo Gonzaga, figlio di Gianfrancesco Gonzaga di Mantova, inimicatosi col fratello marchese Ludovico passò al servizio di Filippo Maria Visconti. Nel 1446 fu sconfitto dai Veneziani a Castel 5 Giovanni e, l’anno successivo, fu nuovamente sconfitto da essi in Brianza. Morto il duca di Milano, occupò il castello di porta Giovia con altri capitani filoaragonesi, ma poi mutò indirizzo e si pose al servizio della Repubblica Ambrosiana, con la quale stipulò un accordo, confermato il 24 giugno 1448, che prevedeva la cessione & Asola, Lonato e Peschiera nel caso fossero state conquistate da lui. Sempre pronto a sfruttare le occasioni del momento, si accostò a Francesco Sforza e gli era accanto nella battaglia di Caravaggio del 14 agosto 1448, nella quale rimase ferito. In segno di protesta contro l’accordo dello Sforza con Venezia, Carlo Gonzaga abbandonò -il campo con le sue milizie e si recò a Milano, ove il 14 novembre fu eletto capitano del Popolo, ponendosi al servizio della Repubblica milanese. Egli peraltro assunse un atteggiamento equivoco nei confronti del governo milanese, e non è da escludere che mirasse addirittura alla signoria su Milano. Nel 1449, quando stava per essere concluso il trattato tra Milano e il duca di Savoia, offri i suoi servigi al duca con i suoi 2.000 cavalli e 1.000 fanti, ma chiese in cambio un esoso compenso. Dopo aver intrigato persino con l’Impero per impadronirsi del governo di Milano, il Gonzaga si accorse che la sua unica speranza era riposta nello Sforza, qualora lo avesse aiutato a impadronirsi di Milano. Con il pretesto di accorrere in aiuto di Crema, minacciata dai Veneziani, nel luglio 1449 uscI dalla città e occupò con le sue compagnie Crema e Lodi. Intanto trattava con lo Sforza; gli offri le due città chiedendo in compenso la concessione di Tortona e Casalmaggiore con una indennità di 18.000 ducati. L’il settembre 1449 lo Sforza entrò in Lodi ma rifiutò di occupare Crema, su cui aveva riconosciuto le pretese veneziane. Nel frattempo, il fratello Ludovico Gonzaga, dopo aver militato coi veneziani, nel 1450 passò anch’egli nel campo sforzesco. Nel marzo 1453 Carlo Gonzaga passò al soldo di Venezia, ma il 15 giugno fu gravemente sconfitto dal fratello Ludovico presso Goito. Fuggiasco, riparò a Ferrara e vi rimase sino alla pace di Lodi (9 aprile 1454), quando ottenne dal fratello la restituzione dei beni confiscati. Mori nel 1456. SI

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La signoria del Gonzaga su Bassignana è provata anche da una sup plica che gli abitanti del luogo indirizzarono a Francesco Sforza. In tale supplica è detto che nell’anno 1447 la comunità e gli uomini di Bassi gnana furono costretti col timore e con la forza da Carlo Gonzaga, allora signore del luogo, ad obbligarsi per istrumento verso Luigi Boltega e Antonio da Sesto, cittadini di Milano, per la somma di 1.720 lire impe riali contro fornitura di una certa quantità di armi e panni effettuata da quel1i?~ Inutile dire che i poveri bassignanesi non videro mai né armi né panni, su cui evidentemente aveva messo le mani il rapace Gonzaga. La comunità di Bassignana, nell’intento di soddisfare gli obblighi verso i creditori, chiese e ottenne dalla camera ducale di poter pagare i debiti mediante assegnazioni sulla tassa dell’imbottato di Bassignana. Questo piano di ammortamento peraltro incontrò serie difficoltà, in quan to molti abitanti del luogo erano in arretrato coi pagamenti della tassa, mentre altri si rifiutavano di pagare in base a lettere di esenzione dai carichi fiscali rilasciate dallo stesso duca. La comunità di Bassignana pertanto si rivolse al duca chiedendogli di intervenire presso il referen dario di Alessandria perché questi, convocati i singoli debitori, vagliasse attentamente i loro titoli di esonero, stabilendo quali di essi fossero sog getti o meno alla tassa sull’imbottato?~ A complicare maggiormente la situazione intervenne un nuovo arbi trio da parte del Gonzaga il quale, avvenuta nel frattempo la morte del duca Filippo Maria, approfittò del generale marasma per appropriarsi della tassa sull’imbottato? Questo però fu l’ultimo arbitrio perpetrato dal prepotente feudatario. Nel settembre 1447, come vedremo fra poco, Bassignana fu occupata dalla Repubblica Ambrosiana e l’anno seguente il Gonzaga si accostò a Francesco Sforza, per ritornare poco dopo al servizio della Repubblica. Nella difficile situazione che si era venuta a creare, il Gonzaga non riuscf più a recuperare il controllo dei diritti

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Archivio di Stato di Milano, Comuni, cart. 5, Bassignana. lvi.

Di lf a poco il Gonzaga fu costretto a rinunciare alla signoria su Bassignana e gli abitanti del luogo ottennero dalla Repubblica .Ambrosiana, e più tardi dal duca Francesco Sforza, di essere liberati dai debiti. I creditori peraltro non rinunciarono alle loro pretese e, in sede di giudizio, le loro ragioni furono variamente accolte. In sede di appello, infine, la comunità di Bassignana fu condannata al pagamento dei debiti, onde i suoi rappresentanti ricorsero nuovamente a Francesco Sforza chiedendo che fosse istruito un nuovo processo da celebrare, per legittima suspicione, in sede diversa da Milano. Per tutte queste notizie cfr. la supplica indirizzata a Francesco Sforza, di cui alla nota 55.

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feudali su Bassignana, Borgofranco e Sartirana, terre che aveva ottenuto in concessione da Filippo Maria Visconti. Egli peraltro non rinunciò mai alle sue prerogative sulle terre citate, e attese il momento favorevole per far valere i suoi diritti. L’occasione parve presentarsi agli inizi di gennaio del 1449, quando entrò in tratta tive col conte Francesco Sforza per offrirgli i suoi servigi in cambio di una somma enorme. In un promemoria ~ indirizzato allo Sforza ai primi di gennaio del 1449 il Gonzaga avanzò tutta una serie di richieste, tra le quali è inserita la seguente: IIIJ. Item che la Excelentia sua gli restituisca et liberamente faza consignare in le mane a possanza desso. Signor. messer Carlo le terre de Bassignana Borgo!rancho et Sertirana cum le possessione jntrate mero et mixto jm peno et cum quelle condicione obligatione modi et /orme come si contene in lo suo privilegio a luy concesso per la bona memoria del Illustrissimo Signor quondam duca de Milano.

Nella sua risposta,~ redatta a Landriano il 20 gennaio seguente, lo Sforza rispose a Carlo Gonzaga nei seguenti termini: Al quarto capitulo la Excelentia del Conte responde. chel. è. contento quando ditte terre seranno in soa possanza de darglile. et chele tenga in quello modo chele teneva nel tempo che viveva lo Illustrissimo. quondam duca de Milano per privilegij. infino a tanto che per essa Excelentia del Conte gli serà dato contracambio equivalente. Et questo per observare ali pavesi quello li ha promesso per capituli. perché intende et alloro. et a ciascuno observare integramente quello ha promesso.

La cosa comunque non ebbe alcun seguito perché, come diremo in appresso, nel maggio 1449 Bassignana fu ceduta dalla Repubblica Ambro siana al duca Ludovico di Savoia e questi la restituirà a Francesco Sforza soltanto nel 1454, quando ormai il Gonzaga era passato al soldo della Repubblica di Venezia.

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Archivio di Stato di Milano, Documenti diplom. sforzeschi, Francesco Sforza. Ivi.

L’INTERMEZZO MILANESE E SAVOIARDO

Il 13 agosto 1447 si spegneva il duca Filippo Maria Visconti, lasciando aperto il problema della successione. Il maggiore candidato appariva senza dubbio Francesco Sforza, che aveva sposato una figlia naturale del duca, ma le sue pretese erano contestate sia da Carlo d’Or léans per il matrimonio del padre Luigi con Valentina Visconti, sia da Alfonso d’Aragona, che fondava le sue aspirazioni su un preteso testa mento di Filippo Maria. Anche Ludovico di Savoia, fratello della vedova duchessa di Milano, accampava pretese alla successione, e persino l’Im pero aveva ragioni proprie da far valere: Federico III non intendeva riconoscere il diritto di successione per linea femminile e quindi ne escludeva sia Francesco Sforza sia il duca d’Orléans, considerando il ducato di Milano come un feudo vacante. Mentre si accendevano le polemiche originate da questa complicata situazione, i partigiani dello Sforza gli indirizzavano pressanti inviti ad assumere il governo del ducato, ma apparve subito chiaro che tale obiet tivo non era di facile realizzazione. A Milano, appena spirato Filippo Maria, i cittadini avevano proclamato la Repubblica Ambrosiana e l’esem pio fu presto seguito da altre città e terre del ducato. Anche Pavia si rese indipendente e proclamò la Repubblica di 5. Siro, ma dopo soli 33 giorni fece atto di sottomissione allo Sforza, che poté cosf contare su una importantissima base d’appoggio per le sue future operazioni militari. Nell’accettare la signoria dello Sforza, i pavesi gli avevano chiesto esplicitamente di reintegrare nella giurisdizione della città tutti i luoghi già appartenenti al suo distretto territoriale, ma il conte Francesco, pur accettando la richiesta, aveva fatto eccezione per le terre già occupate da altri. A questo egli era indotto dal desiderio di non compromettere i rapporti con Milano e col duca di Savoia i quali, a loro volta, per motivi analoghi dovevano rispettare le terre che spontaneamente erano passate a lui. Un accordo del genere, esplicito o tacito che fosse, concedeva in pratica alle genti del contado pavese di unirsi allo stato che preferivano, senza esservi costrette dalla forza delle armi.

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L’INTERMEZZO MILANESE E SAVOIARDO L’INTERMEZZO MILANESE E SAVOIARDO

Dopo la dedizione di Pavia, avvenuta il 18 settembre 1447, lo Sfor za pose l’assedio a 5. Colombano, occupato dai veneziani, e questa fu la sua prima impresa quale generale dell’esercito milanese. Lo Sforza tut tavia non trascurava i suoi interessi politici, coadiuvato dai numerosi agenti e fautori disseminati per ogni dove, ma specialmente a Pavia. Particolare attenzione il conte prestava alle nuove provenienti dall’Ol trepò e dalla Lomellina, dove i milanesi da una parte e i savoiardi dall’al tra andavano acquistando sempre più terreno. Da alcune lettere di fautori del partito sforzesco appare chiaro che il conte veniva informato quasi giornalmente di tutto ciò che accadeva nella regione: l’esposizione degli avvenimenti era sempre accompagnata da suppliche ed esortazioni ad intervenire decisamente. Particolarmente significativa è la seguente lettera del 26 settem bre 1447 in cui Francesco Bottigella annuncia al conte che Valenza, Castelnovetto e 5. Angelo Lomellina s’erano date al duca di Savoia, mentre Milano s’era impossessata di Sale e Bassignana col suo Borgo:’ Illustris princeps et excelse domine domine mi observandissime A di passati sono stato vigillante ad intendere le cose e quelle noti/icarle al spettabile miser maestro Benedeto chi le nontiasse per sove litere alla 5. V. Li ben sia certo che per litere per Johanne Cayme et altri sia la celsitudine vostra advisata, nondimeno perche me fuge il core vedendo quel chio vedo e dubitando di pegio, non posso tacere ch’io non exata e prega la 5. V. chi proveda ali casi occorenti. Hogi da sera ho inteso per uno chi vene da Frascarolo che Valenza è data al duca de Savoia e che de veduta he poste le bandere suso e jurato fidelitate. Se assicura eciam il simile di Castel No veto e Sancto Angello di Lomellina. Del Castelazio, Bosco e Fregarollo dicesse esser dato al Dal/in e, non si sa perd di certo. Salle, Basignana, el Borgo dicesse esser date di certo a Milanesi. Li quali pur se dice non cesseno mandare subornando il vostro contato. Se ragiona como e verisi,nile chel Delfino e duca de Savoia non starano a questa. Ma chi non li provede facilmente torano tuto di la da Po e la Lomellina, per forma che questa vostra cità remanerà uno corpo senza membre. Pertanto illustre Signor mio, dubitando che li Milanesi chi ve hanno impedito tore Dertona et altre cose assay non solo non attendano alla 5. V. in dargli dinari ma siano cagione di molti mali et inconvenienti per il stato vostro e salute nostra C. SACCHI, op. cii., doc. XXI, 147-8. Per quanto riguarda la dedizione di Valenza giova ricordare che Ludovico di Savoia, il 12 ottobre 1447, stipulò a Vercelli un trattato in base al quale i valenzani ottennero importanti privilegi e franchigie, mentre il duca conseguiva il riconoscimento della sua signoria su Valenza e territorio. Cfr. E. GASPAROLO, Memorie storiche valenzane cir., I, 36.

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Il 2 ottobre dello stesso anno, Sceva Corti scriveva allo Sforza rim proverandogli apertamente il suo atteggiamento passivo: « Cum sup portatione parme la 5. V. non voglia essere signore, non baveti may a questo vostro stato facta una minima previdentia. Et le terre vostre ogni dl se vanno perdendo chi da Francesi, chi da Milanesi, chi da duca di Savoya e chi del diavolo, tute se vanno perdendo senza bota de spada... »? Lo Sforza peraltro aveva le sue buone ragioni per non intervenire, dal momento che Milano non gli aveva ancora perdonato la dedizione di Pavia, e muovere in soccorso delle terre fedeli avrebbe certamente nuo ciuto ai suoi piani futuri. Preziose risultano pure le informazioni contenute nella lettera di Benedetto Riguardati, uno dei governatori di Pavia, indirizzata allo Sforza in data 2 ottobre 1447. Con tale lettera, il Riguardati informava il conte di aver mandato Moretto Sannazzaro e Giacomo Lonati con alcune truppe a Breme e Sartirana, che si erano levate a rumore. Ma quando i due capitani pavesi si trovavano a 30 miglia da quelle terre, i savoiaxdi se ne impadronirono. Il Riguardati prendeva lo spunto dal l’episodio per sottolineare che, in mancanza di urgenti provvedimenti, tutta la Lomellina sarebbe finita a quel modo, tanto più che i savoiardi, largheggiando nelle promesse e nella concessione di esenzioni tributarie, parevano volessero « tirarsi dietro tutto il paese ».‘ In tali frangenti, « si può dire che nella Lomellina e nell’Oltrepò i partiti fecero a gara per estorcere, agli ambiziosi signori appoggiati e favoriti, quanto volevano, costringendoli per tal modo a procedere negli acquisti con arte mirabile. Esclusa quasi assolutamente la violenza, si dovette cercare di riuscire colle buone, acquistando simpatia, porgendo aiuto e sopratutto mostrandosi facili all’indulgenza. Per riuscire a ciò era d’uopo più di astuta politica che di merito di governo; e di essa non difettavano né Milano, né il duca di Savoia ».~ Quest’ultimo, in partico lare, seppe trarre dalla sua parte numerose terre della Lomellina e del l’Oltrepò, le quali, scombussolate dagli avvenimenti che avevano lasciato la regione senza meta e senza padrone, prestavano volentieri orecchio all’abile propaganda orchestrata dagli emissari savoiardi. Anche gli uomini che presiedevano l’amministrazione comunale di Pavia si mostravano grandemente preoccupati per la situazione. In una Ivi, doc. V, 149-50. Ivi, doc. VII, 151-2. lvi, 122.

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L’INTERMEZZIJ MILANESE E SAVOJARfl0

lettera allo Sforza del 4 ottobre 1447 i Dodici Deputati di Provvisione confermavano i recenti acquisti fatti dal duca di Savoia e da Milano. Questa città, dopo Bassignana Borgo di Bassignana e Sale, aveva otte nuto anche Zeme, mentre le truppe savoiarde avevano occupato Breme tentando di soccorrere Sartirana. Ecco il testo di questa importante mis siva:5 Noy crediamo la V. £ sapere como Valenza e Castelnoveto che eno del Contarlo de questa vostra cita sono piglate per lo duca de Savoya per vo luntade de li homeni propry de le [ I etiam’ dio’ che Bassignana et Borgo~ de Bassignana, Zemi e Salle si so~to date a li Milanesi non obstante siano del dicto Contado le qualle tendano a grande destructione de questa vostra cita e tuti li Citadini e maxime di quelli hano le loro possessione in le dicte terre, Ma novamente e seguito pezo; impero che, la terra di Bremede anchora e fornita per Savoyn4 e poy sono corsi a Sartirana vogliando quella fornire e dubitamo forse che loro avessano qualche intelligentia dentro la terra, pura no/i li vene /acto el loro pensiero, e in la’ loro partita li dicti Savoyni ‘metesseno a focho molte caxe de la villa, i de Sartirana e pigliarono circa bestie ‘cento e dexe perxoni di taglia, de la qual cassa tide le terre de Lo’melina stano in grande spavento maxime non vedando havere alcuno socorso di gente darme contra li inimici, li qualli mandano secretamente molti messi subornando le terre de lomellinà e fazando large promesse, e molto dubitamo de Sartirana che se~ dagha a Savoyni, salvo si li fusse mandato contrasto li sarebe *emedio dum: modo sia presto, Avisando la V. 5. che se elsi perde Sartirana starci in pericullo tuta la Lomelina de perdersi in pochi di, perche Sartiranq sie molto torte de muri e de homeni, e ne presso a Bremide e al Po e presso a Valenza e le altre terre de lomelina sono in pocha forteza e certo noj siamo jnformati che si verso Bremede ante si pekdesse fusse andato Moreto da San Nazaro cum la sua zente o vero etiam sollo, per lc/bono credito luy ha in lomelina, non sana perduta la dicia terra, ma el dicto Moreto non volle -zndare in neguno logho senza licentia de la V. 5. Et perche noy che siamo su el loco comprendiamo lo pericollo grande e mazore anch ora che non digamo, supplicamo ala vovtra excel, ve piaza pro vedere a le predecte’ cosse, Altramente vediamo el facto vostro e nostro passare in mali termini e cum grande pericullo perche pura compren diamo. essere alcune altre terre de lomelina, le qitalle non sono in botta dispo sitione; ma ‘ad ogni cossa speramo sarebe remedio gli fusse mandato qualche gente, o uno che bavesse credito e facesse volto contra gli inimici, Anchora perche sono alcune terre in lomelina che non hano podesta, ne parebe dé pro vedere, perche li podesta poterebeno provedere a molte cosse e dare de molti avixi. Unde iterum ve pregamo e supplicàmo li sia proveduto per la vostra Signoria, a la 4ualle noy e questa vostra Cita si recomandamo -

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Nello stesso giorno, il Riguardati scriveva allo Sforza che « le genti da bene » di Mortara avevano fatto avvertire che «il popolaccio» era « di cattiva voglia » e prestava volentieri ascolto alla propaganda savoiar da, onde dubitava che Mortara e la Lomellina tutta cadessero in mano al duca Ludovico, con grave pericolo della stessa Pavia.6 Ma lo Sforza era impossibilitato a intervenire, e altre terre minacciavano di cadere in mano ai suoi nemici. Proprio quel giorno, 4 ottobre 1447, Vigevano aveva proclamato la propria indipendenza e si era legata a Milano mediante un trattato.7 Fu questa una grave perdita per il conte, ma in compenso, negli ultimi mesi del 1447, egli riusci a impadronirsi di quasi tutta la Lomellina, compresa Mortara. I Milanesi, intanto, non perdevano di vista i maneggi segreti dello Sforza, comandante supremo delle loro milizie, e tenevano stretti contatti con le località del contado pavese cadute in loro mano, come Bassignana, e quelle unite a loro da un trattato, come Vigevano. Il possesso di quelle terre, che formavano l’anello di congiunzione con Novara e Alessandria, fedeli a Milano, premeva molto alla Repubblica Ambrosiana, sia per tenere in rispetto le ambizioni dello Sforza al di là del Ticino, sia per arginare le probabili incursioni del Savoia e del duca d’Orléans, attestato quest’ultimo nella città di Asti. Nell’intento di rafforzare la propria posizione, i milanesi iniziarono alcune trattative con il duca di Savoia, certo per ispirazione della vedova duchessa, la quale godeva tuttora largo credito a Milano, e si adoperava per indurre il titubante fratello Ludovico a prendere decisamente le armi in favore della Repubblica Ambrosiana. L’alleanza, come vedremo, fu conclusa più tardi, ma sembra certo che sin dal dicembre 1448 il duca abbia cercato il modo di aprire trattative con Milano, come suggeriva la sorella. Anche Vigevano, nel frattempo, andava cercando aiuti per raf forzare le sue difese e, sul finire del 1448, il Comune spediva due suoi incaricati a Bassignana, sembra per un abboccamento col duca di Savoia.8 L’esito di questa missione dovette risultare positivo, perché alcune milizie savoiarde furono effettivamente spedite in soccorso a Vigevano. Esse peraltro dovettero ripartire quasi subito, perché il 20 dicembre Novara cadeva in mano allo Sforza e Vigevano, persa ogni speranza di potergli lvi, doc. X, 1545. COLoMBO, Vigevano e la Repubblica Ambrosiana nella lotta contro Francesco Sforza (agosto 1447- giugno 1449), in Bollettino della Soc. Pavese di Storia Patria, lI (1902), &

A.

lvi, doc. IX, 1534.

143

111-1V, 315

e sgg.

lvi, 375.

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L’INTERMflZo MILANESE E SAVOIARDO

vittoriosamente resistere, si gettava anch’essa in braccio allo Sforza.9 Ludovico di Savoia cercò di correre ai ripari, e nel gennaio 1449

mandò le sue truppe ad occupare il novarese e la Lomellina. Abbiamo notizia di queste operazioni militari nella seguente lettera che il castel lano di Novara indirizzò allo Sforza in data 13 gennaio 1449: ‘° Illustris et exc. domine noster singularissime post debiiam recomendationem. Avisamo la 11. 5. como questa nocte sonno venuti circha CCC fanti mandati per lo duca de Savoia, et se appressarono fino alle mura de questa Rocha. Ei per quello di havemo per alcuni amici del contado de questa cità, donde sonno passati, anchora per li modi hanno observati in lo venire loro et lo partirsi, dicti fanti erano venuti per scalare questa vostra Rocha. Et dicto duca ed li suoj cer chano mille insidie contra la V. 3. et lo vostro stato et se vede per esperienza perche ha mandato ad Sale, a Bassignana deli suoj per fornirle in nome suo, et mo novamente sentimo uno suo officiale va ordinando mandare a Tordona. La 5. V. ha scripto qui chel dicto duca è nostro amico et che vole vivere jmpace cum voi et a noi pare lucio lo contrario perche omne dì dicio Duca el li suoi fanno contra lo stato vostro perche ha facio pigliare li cictadini nostri de questa Cita. Ei cusi pigliano quanto trovano et fanno ogne danno et molestia possono per modo adnoj non pare amicitia ne bona vicinanza, ma guerra palese. Ei tucra via fa zo che po per scalare questa vostra Rocha, non glevenera facio. Siche la S. V. ne havise quello havono affare et li modi che havemo attenere. Noi adtenderimo a bona guardia, se ricomandiamo alla ex. v. Ex castro No varie die XIII Jan. 1449 hore Xliii.

Nello stesso mese di gennaio 1447, per consiglio del padre, il duca Ludovico aveva iniziato simulate trattative con Io Sforza. Questi credette giunto il momento di concludere la pace ma, come risulta dalla lettera riportata sopra, il duca continuò le ostilità e, superate le ultime incer tezze, il 6 marzo 1449 stipulò un trattato d’alleanza con la Repubblica Ambrosiana. Una delle clausole fondamentali del trattato prevedeva che, in com penso dell’aiuto prestato ai milanesi, questi gli avrebbero ceduto la città e il territorio di Novara, nonché tutte le terre a mezzogiorno del Ticino: « conventup, est... quod civitas Novariae cum toto comitatu et terri torio Novariensi et omnibus terris, locis el castris, fortilicjis, territorijs, vallibus, montibus, planis cum omnibus hominibus... el aliis pertinentiis ad loca vel ad castra citra Ticinum sita spectantibus seu pertinentibus et que quomodolibei citra Ticinum sini, in quibus comprebendantu,- loca ...

~ lvi, 376 e sgg. C. SACCHI, O)). cii., doc. XXIII, 174-5.

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Viglevani et Mortariae et reliqua a Mortaria citra, pertineant ci spectent prelato illustrissimo domino duci Sabaudiae ci’ heredibus ci successo ribus suis ». La Lomeffina dunque, e le altre terre ancora in mano ai milanesi,

Costituivano il premio promesso a Ludovico di Savoia in cambio del l’appoggio militare che egli avrebbe fornito a Milano. Fra le terre da assegnare al duca era anche Bassignana, che Milano cedette con atto del 6 maggio 1449. I particolari della cessione ci sono noti attraverso l’atto formale che, in forma autentica, si conserva tuttora presso l’Archivio di Stato di To rino.11 L’atto riporta per esteso anche il testo dei documenti precedenti riguardanti i preliminari della cessione. Sappiamo cosf che il 14 mano precedente i capitani e difensori della Repubblica Ambrosiana rilascia rono un mandato generale ad alcuni cittadini milanesi, tra i quali Gio vanni da Casate e Antonio Rabbia, abilitandoli a stipulare qualsiasi ne gozio utile e necessario alla comunità di Milano. Con lettera del 15 marzo si dava notizia a Marchese Visconti, castellano della rocca di Bassignana, dell’incarico affidato ai cittadini sopra menzionati, informandolo della prossima venuta di Giovanni da Casate. Si ordinava poi al castellano di consentire l’ingresso nella rocca all’inviato milanese, facendone regolare consegna a lui, perché potesse disporne liberamente secondo avrebbe ordinato.

Ammalatosi, il Casate non poté eseguire l’incarico e il 7 aprile, da Torino, indirizzò a Marchese Visconti una lettera con la quale lo infor mava che in sua vece si sarebbe presentato Antonio Rabbia col mandato di effettuare la consegna del castello, della rocchetta e delle fortezze di Bassignana, con tutte le rispettive pertinenze, al duca Ludovico di Savoia, secondo gli accordi intercorsi fra esso duca e il Comune di Milano. Dal canto suo il duca Ludovico, con atto del 27 aprile 1449, nominò Guglielmo, signore di Mentone, e il fratello di questi Filiberto, castellani e custodi della fortezza di Bassignana per il periodo di un anno. Ad essi veniva imposto di esercitare tutti i doveri inerenti all’incarico, con l’obbligo esplicito che uno di essi dovesse trovarsi sempre presente nel castello e nella villa di Bassignana, con diritto a ricevere l’omaggio di fedeltà da parte degli uomini di quel Comune. “ Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, n. 5. L’atto fu rogato nella sala grande del castello di Bassignana dai notai Pietro di Annecy (un savoiardo) e Gian Domenico Previdi del fu Antonio, di Bassignana.

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Dopo aver esaminato le credenziali e le procure che gli furono pre sentate, il castellano Marchese Visconti affidò la piazzaforte di Bassignana ad Antonio Rabbia il quale, nello stesso giorno 6 maggio, ne trasferi il possesso ai frateffi Guglielmo e Filiberto di Mentone mediante la simbo lica consegna delle chiavi: la cerimonia si svolse nella sala grande del castello del luogo. A titolo di compenso per le somme che ancora gli restavano da pagare per l’acquisto di frumento, armi, suppellettili e altre cose necessarie alla difesa e custodia della piazza, il castellano ricevette dal duca di Savoia la somma di 2.000 ducati in lettere di cambio esigibili in Genova al banco di Facino Pancarolo. In armonia agli accordi intervenuti tra le parti, la comunità e gli uomini di Bassignana si accinsero a prestare il giuramento di fedeltà al duca di Savoia. Anche & questo atto possediamo tuttora l’originale,lZ dal quale risulta che il 7 maggio 1449, nel palazzo nuovo del Comune, il podestà Paolo de Verano, col suono delle campane e la voce dell’araldo, convocò il consiglio generale della comunità, di cui facevano parte An tonio Bellingeri, Domenico Girardi, Zanino Provera, Tomino di Loreto, Francesco di Canneto, Battista Persona, Giovanni Lavizzari, Bertolino Cristiani, Domenico Previdi, Antonio Giacomo Visconti, Guglielmo Pata rino, Francesco Manaveffi, Facino Sacco, Giacomino Olmo, Uberto Vel lexana e Perino Burzio. Esaminato l’invito che Antonio Rabbia, manda tario e procuratore della comunità di Milano, rivolse ai consiglieri del Comune di Bassignana per prestare il giuramento di fedeltà a Guglielmo di Mentone, a nome del duca di Savoia, i consiglieri stessi nominarono Domenico Girardi e Domenico Previdi loro sindaci e procuratori, col mandato di prestare il richiesto giuramento in nome del Comune e degli uomini di Bassignana. Nello stesso giorno, e in quello seguente 8 maggio, gli uomini del luogo si presentarono nella sala grande del castello e a capo riverentemente scoperto, in ginocchio e con le mani giunte fra le palme di Guglielmo di Mentone, baciando i pollici del medesimo e toc cando i santi evangeli, giurarono per sé e le proprie famiglie di essere fedeli sudditi del duca e di promuovere i suoi interessi, facendo guerra contro i nemici suoi. Con quale animo i bassignanesi giurassero fedeltà al duca non è pos sibile sapere, ma è probabile che molti di essi cominciassero a volgere il ~~ Archivio di Stato di Torino, l.c., n. 6. Cfr. Appendice, doc. XXII. Dal contesto risulta che, qualche giorno prima, avevano prestato giuramento di fedeltà al duca, in Torino, i nobili Francesco Bellingeri, Marco Fioni, Bonifacio Bellingeri, Guiscardo Fioni e Tommaso Bellingeri a ciò delegati dal Comune di Bassignana.

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pensiero allo Sforza il quale, nel frattempo, aveva mandato in Lomeffina Bartolomeo Colleoni con un buon numero di truppe a fronteggiare l’im provvisa avanzata delle forze savoiarde guidate da Giovanni de Compey, signore di Thorens. Questi, varcato il fiume Sesia, si scontrò con il Colleoni, ma l’esito della battaglia volse decisamente a suo sfavore, tanto che rimase prigioniero sul campo. Una sconfitta ancora peggiore fu in ffitta alle truppe savoiarde in un successivo scontro che ebbe luogo il 20 aprile presso Borgomanero. Mortificato da questi insuccessi, il duca Ludovico non osò più misurarsi con Francesco Sforza sul piano militare, ma anche sul piano politico le conseguenze furono gravi. Approfittando delle circostanze fa vorevoli, lo Sforza ritenne opportuno aprire trattative di pace col duca, al quale inviò alcuni ambasciatori. Costoro, trovando ben disposta l’altra parte, « conchiusero che pace e benevolenza fosse tra loro; e che ciascuno ritenesse quanto aveva preso, per cui al duca di Savoia rimasero molte castella del Novarese e dell’Alessandrino ».‘~ Fra queste località era anche Bassignana, che lo Sforza per il momento si rassegnò a lasciare in mano al duca, contentandosi della pace ufficialmente siglata il 27 dicembre 1449. Il 22 marzo 1450 Francesco Sforza entrava finalmente in Milano, assumendo il titolo ducale da lungo tempo ambito. Dopo aver riorganiz zato lo stato, egli strinse una serie di alleanze che contribuirono molto a consolidare la sua posizione. Ben presto però si profilò la minaccia di una guerra con Venezia, che non intendeva rinunciare alle conquiste territoriali effettuate dopo la morte di Fffippo Maria. Fallite le pratiche per una soluzione pacifica della vertenza, nel giugno 1452 scoppiò il conflitto tra Venezia e lo Sforza. Allarmato, il pontefice Nicolò V si interpose fra le parti tentando una mediazione. Nell’ottobre 1453 il duca di Milano inviò al Pontefice quali ambasciatori Giacomello Trivulzio e Sceva Corti, i quali esposero a Nicolò V le condizioni alle quali il loro signore sarebbe stato disposto a stabilire una pace durevole coi vene ziani. Fra le altre condizioni, lo Sforza chiedeva esplicitamente che il duca di Savoia gli restituisse le terre lombarde occupate dopo la morte di Filippo Maria, e ciò nel caso in cui Ludovico avesse deciso di parte cipare direttamente alle trattative di pace.’4 Quali fossero le terre ancora B. Cono, op. cit., III, 155. L. PAGM4I, L’ambasciata di Francesco Sforza a Nicolò V per la pace con Venezia, in Archivio Storico Lombardo, XLII (1920), I-Il, 82 e sgg. Dietro le quinte, intanto, “ 14

Francesco Sforza cercava di mantenere buoni rapporti con il duca di Savoia, non esitando

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al duca di Savoia risulta da un elenco che lo stesso Francesco Sforza inviò ai suoi ambasciatori il 10 febbraio 1434: ‘~ « Valencia, Pizetum, Preda, Bassignana cum Rivarono, Burgum Bassignane, Frasca rolum, Turris Berretarum, Bremide, Sanctus Angelus, Castrum novetum, Palestrum, Cassina de Bossis, Conflencia, Villata apud Candiam, Bui garum, Casalegnalonum, Viliata Bulgari, Vicelongum de Comitatu, BIan citate Novariensis, Mons castellum Alexandrie ». Al Pontefice pareva onesto che lo Sforza ritornasse in possesso di quanto apparteneva un tempo al ducato di Milano, ma si rendeva conto delle difficoltà che avrebbero sollevato al riguardo i veneziani e il duca di Savoia. Per rendersi maggiormente conto della situazione, Nicolò V si informò delle condizioni speciali riguardanti le terre di Valenza e Bassignana, per le quali correva voce che sarebbero state date al mar chese di Monferrato, e per le altre terre possedute dal duca Lodovico chiese se lo Sforza sarebbe stato disposto a lasciargliele. Gli ambasciatori risposero che ritenevano tali terre in buone condizioni, ma non potevano dare notizie più precise perché lo Sforza non si era mai trovato in guerra col duca di Savoia, il che non è certo esatto.16 Le trattative proseguirono ancora per qualche tempo, e si conclu sero con la pace di Lodi, siglata il 9 aprile 1454 tra i veneziani e il duca Francesco Sforza. Un articolo segreto ~ del trattato riconosceva a quest’ultimo piena libertà di recuperare, per amore o per forza, le terre ancora occupate da Ludovico di Savoia. Non pass* molto tempo che il duca di Milano spedf Tiberio Brandolino contro le terre che il duca di in mano

a ricorrere alla mediazione di ufficiali savoiardi. Ne abbiamo la prova in una lettera dello Sforza a Corrado Fogliani, datata 19 gennaio 1432, nella quale egli scrive di aver inteso da Stefanino Visconti che Antonio di Lignana, castellano e luogotenente del duca di Savoia in Bassignana, si adoprerebbe volentieri per l’amicizia fra esso duca e lo stato milanese. Incarica quindi lo stesso Fogliani di ringraziare detto Antonio assicurandogli che gli è cara l’amicizia col duca di Savoia (Archivio di Stato di Milano, Missive ducali). In una successiva lettera del 29 gennaio lo Sforza conferma al Fogliani di aver ricevuto i suoi avvisi circa il luogotenente savoiardo di Bassignana col quale, all’occasione, potrà avere dei contatti, dopo di che ne farà relazione a lui (ivi). In altra lettera del 3 marzo, il duca di Milano si riferisce alle notizie che il Fogliani gli ha comunicato per mezzo di Stefanino Visconti circa i contatti intercorsi con Antonio di I,ignana, e lo avverte che la risposta la sentirà dalla sua booca stessa (ivi). li Archivio di Stato di Milano, Carteggio diplomatico sforzesco, ad annum. 16 L. PAGANI, Op. cit., 88. Copia di tale « instrumentum secretum » è contenuta nel cod. 1586, fol. 268-70, della Biblioteca Nazionale di Parigi. Cfr. G. MAzzATw’rr, Inventano delle carte dell’archivio sforzesco contenute nei codd. ital. 1583-1593 della Biblioteca Nazionale di Parigi, in Archivio Storico Lombardo, X (1883), lI, 222 e sgg.

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Savoia aveva occupato oltre Po, e Roberto Sanseverino contro quelle oltre Sesia, « per cui Bassignana, Valenza ed altre castella si diedero in potere del duca, ed in tre giorni si ricuperò quanto i Savoiardi tenevano su quel di Novara, e quel di Pavia. Perciò Lodovico duca di Savoia, seb bene fosse collegato coi Veneziani, conoscendoli che pel proprio interesse lasciano sempre gli alleati in balia al nemico mandò oratori (allo Sforza), e fece pace ed amicizia perpetua costituendo il fiume Sesia qual confine de’ due stati »)8 Jl passaggio definitivo di Bassignana alla signoria degli Sforza è documentato da una carta senza data, ma certo della metà del 1434, contenente la consegna effettuata da Ludovico di Savoia a Fran cesco Sforza delle terre da lui occupate dopo la morte di Filippo Maria Visconti, tra cui appunto Bassignana, Valenza, Pecetto, Pietro Marazzi, Frascarolo, Torre Beretti, Montecastello.19

E. CoRlo, op. cit., 211. Archivio di Stato di Torino, l.c., mazzo 18, n. 6, in copia del 1736. Sembra comunque che la delimitazione dei confini fra le comunità del territorio restituito dal duca di Savoia fosse rimasta piuttosto confusa. Ce ne informa una lettera del 22 settembre 1454, indirizzata da Martino Canefri a Cicco Simonetta, in cui tra l’altro è detto: « Item attento che le confine de Alexandria, deverso Capriata, Sale e Bassignana sono state usurpate se doveria provedere, che ad ogni citade e terra, se intendesse br confine i termini como erano nel anno MCCCC, innanti la morte del Ill,mo Signor Johanne Galeaz primo duca de Milano » (Archivio di Stato di Milano, Carteggio diplomatico sforzesco, ad annum). ~‘



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L’ ETÀ SFORZESCA

Uno dei primi pensieri di Francesco Sforza, dopo il recupero delle terre cedute al duca di Savoia, fu certamente la riorganizzazione delle singole comunità e l’allontanamento dei funzionari compromessi col pre cedente regime. I provvedimenti del duca toccarono le cariche di livello più elevato, ma dovettero interessare in uguale misura anche i ranghi inferiori. Naturalmente, come sempre succede, nel trambusto provocato dai successivi passaggi da un governo all’altro chi ne fece le spese furono soprattutto i più umili. Come quel tale maestro Antonio de Valdeneria il quale, ai tempi della occupazione della rocca di Bassignana da parte della Repubblica Ambrosiana, faceva parte della locale guarnigione in qualità di bombardiere) Mentre il Valdeneria prestava servizio a Bassignana, il castellano Marchese Visconti gli promise una paga mensile di dieci ducati d’oro. Per tutto il periodo in cui rimase nella guarnigione, il bombardiere maturò un credito di 50 ducati ma, nonostante il Visconti avesse riscosso tale somma dal duca di Savoia prima della consegna della rocca allo stesso duca, si guardò bene dal pagare al Valdeneria le mensilità arre trate. L’interessato allora indirizzò allo Sforza una supplica chiedendo di rivalersi su certi beni che Marchese Visconti possedeva in territorio di Monza? Consapevole che alla base del buon funzionamento dello Stato sta una salda organizzazione interna e una scelta oculata delle persone che devono collaborare al suo consolidamento, lo Sforza introdusse impor tanti innovazioni nelle strutture amministrative delle terre sottoposte alla sua dominazione. Anche a Bassignana, accanto agli antichi organi comunali, ritroviamo le tipiche forme attraverso le quali si articolava La circostanza è molto interessante perché prova che in questo periodo la rocca di Bassignana era dotata di bombarde, entrate da poco nell’uso militare. Archivio di Stato di Milano, Autografi, cart. 227, fasc. 12, Bassignana, La supplica è senza data, ma risale al 1455 circa.

il governo locale: il commissario, con funzioni esclusivamente politiche,3 e il podestà, in cui si accentrava soprattutto il potere giudiziario. Per quanto riguarda quest’ultima carica, possediamo l’elenco di numerose persone che a Bassignana ricoprirono l’ufficio di podestà nel periodo sfor zesco.4 Ne diamo qui la lista con l’indicazione, ove risulti, della data di nomina da parte del duca:

1452 1454, 18 luglio 1456, 15 marzo 1458, 15 1460, 20 1462, 20 1464, 1 1465, 1 1466, 15

marzo mano gennaio settembre settembre

Lodovico dei marchesi di Romagna no

Giovanni de Oriano Antonio Diversi Battistino Inviziati Nicolino Remussi

Giovanni de Calvisano Manfredo Sardi

Gio. Antonio de Robiate febbraio Manfredo Sardi 1468, 15 febbraio Andrea de Meda 1469,

1 marzo

Riccardo Giorgi

Al Commissario di Bassignana, del quale peraltro non viene fatto il nome, il duca indirizzò una lettera per far rendere giustizia a Giovanni de Salerno, creditore del Comune di Montecastello. Cfr. E. ASTORI, op. cli., 46, ove peraltro le lettera è erroneamente attri buita al 31 dicembre 1451. C. SAN’roRo, Gli uffici del dominio sforzesco, Milano 1948, 372. I podestà di Bassi gnana, come risulta dai registri ducali, avevano un salario mensile di 13 formi. I soggetti che nella lista sono contraddistinti da un asterisco non figurano nell’elenco della Santoro, ma dalla documentazione che si citerà più avanti. La nomina del podestà era riservata al duca. Ciò risulta, ad esempio, da una lettera del 30 agosto 1471 con la quale il podestà di Bassignana Gian Domenico Torti scrive al duca, da Castelnuovo, che trovandosi a Milano « mercordi matina proxime passato intese cosa ad me grata et longamente desi derata. che ad nome di Vostra Excellentia il Magnifico D. Pietro da Triultio andava a Castelnuovo tertonese loco de mia origine et natività, per tuore la possessione desso loco ad nome de la prelibata Vostra llLma &ria unde io per mio debito, essendo sempre stato affectionato verso la felicissima bona memoria de lo Ill.mo Signore patre de Vostra Excellenria per la guaI hebbe gratia de molti officij. et doppo in qua affectionatissimo ala Vostra Celsitudine per grafia de la quale sonno stato potestà di Mortara. et di presenti sonno di Bassignana », offerse i suoi servigi all’inviato ducale, interessando pure i suoi parenti e amici gentiluomini di Casteinuovo che furono sempre fedeli al duca, ed anzi « già vinriquattro anni passati aspetavano quel df. aciò se potessero valere, de le opressione contro di loro indebitamente facta per li populari ». Cfr. Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana, In altra lettera del 30 ottobre 1494, da Bassignana, il podestà del luogo Paride de Annone scrive al duca che il giorno stesso giunse a Bassignana per assumere la carica e vi trovò ottima accoglienza, per la guai cosa ringrazia Dio e il duca che si degnò « cavarmi da morte a vita con li mei poveri floli. quali erano apti morire de fame e frodo questa invernata se la &V. non se fusse mossa ad compassione » (lv:).

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*

1470

1471, 1472, * 1479 *1494 1497,

Gabriele de Mantello 1 febbraio 1 gennaio

1 giugno

Domenico Torti Paolo Morone Paolo Morone Paride de Annone Dionigi Annibaldi

Accanto al podestà e al commissario troviamo un altro funzionario civile incaricato della esazione dei tributi: il tesoriere. Durante la signoria di Francesco Sforza, la « thesauraria Bassignane » fu retta dalle seguenti persone: 1454, 1457, 1458,

7 settembre Iacobinus de Loreto, incola Bassignane 1 gennaio Ubertus de Manuelis 2 agosto Aluisius de Bellingeriis.

Vi erano infine i castellani, funzionari militari che erano scelti con particolare cura perché addetti alla custodia delle fortezze, le quali rap presentavano allora la principale difesa dello Stato. I registri sforzeschi ci hanno tramandato il nome di uno di questi funzionari, Bartolomeo de Mantello, nominato « castellanus arcis Bassignane » il 5 dicembre 1469 ~6 Nonostante gli sforzi prodigati dal duca di Milano per assicurare un assetto stabile allo Stato, lo spirito pubblico non gli era sempre favo revole, Tranne qualche città particolarmente legata allo Sforza, in molte terre del ducato covava ancora uno spirito di ribellione che aspettava soltanto l’occasione favorevole per manifestarsi apertamente. Sotto l’im pulso delle passioni politiche o di interessi particolaristici, ad oriente si teneva l’occhio rivolto a Venezia, ad occidente al marchese di Monfer rato o alla Francia, saldamente installata ad Asti. Quando nell’agosto 1461 Francesco Sforza cadde gravemente amma lato e si sparse la voce che era morto, le inquietudini lungamente represse esplosero e culminarono nella ribellione del territorio piacentino, soffo cata nel sangue. Il duca fu talmente impressionato dalla situazione che ritenne opportuno mandare nelle principali località del ducato Antonio C. SANTORO, op. cii., 373. Le date corrispondono a quelle delle relative lettere di nomina. I tesorieri percepivano un salario mensile di 4 formi. 6 lvi, 616. Va però osservato che esiste una lettera al duca del 17 settembre 1470, che citeremo pi4 avanti, firmata da « Gabriel de Mantello castellanus Roche Bassignane ». La forma esatta del nome del funzionario doveva quindi essere quest’ultima.

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Vailati, uomo di sua fiducia, con l’incarico di assumere minute e precise informazioni sullo stato d’animo dei sudditi e sugli intrighi dei partiti. Fra le principali località che figurano nella relazione del Vailati è anche Bassignana, per la quale l’emissario ducale fornisce le seguenti informazioni: « Lo Castellano de Bassignana dice come in Bassignana sono doe parte, videlicet i gheffi più forti et francexi, i ghibellini Gu• glielmeschi. EI m’è ben stato ditto per uno de quisti ghibellini, non so perhò se’l sia vero, che i ghelfi erano andati ad dare questa terra ali francexi quando passono de qua, videlicet manzi che fossero rotti ».~ ***

Francesco Sforza venne a morte l’8 marzo 1466 e gli successe il figlio Galeazzo Maria. Durante la sua dominazione la terra di Bassignana, che sotto il duca Francesco era riuscita a conservare la propria autonomia, fu infeudata a Filippo Maria Sforza, fratello minore del nuovo duca. L’atto di investitura reca la data del 27 dicembre 1473 e in esso è detto che il duca, desiderando fare una cospicua donazione a Filippo Maria, suo fratello carissimo, gli elargi la terra di Bassignana in diocesi di Pavia con tutte le sue pertinenze, sottraendola alla giurisdizione della città di Pavia e di qualsiasi altra città. La cerimonia d’investitura si svolse a Milano nel castello di porta Giovia, e fu particolarmente solenne. Mediante la consegna della spada sguainata, a nome proprio e della du chessa Bona di Savoia, come già aveva fatto per il primogenito e gli altri eredi quanto ai loro beni matrimoniali, il duca investi della terra di Bassignana il fratello inginocchiato ai suoi piedi, trasferendogli la giurisdizione e ogni altro diritto, ad eccezione delle gabelle del sale, dei dazi sulle mercanzie, delle tasse dei cavaffi e degli alloggiamenti delle truppe e loro stipendi. La terra di Bassignana veniva eretta in feudo onorifico, nobile e gentilizio, trasferibile agli eredi maschi nati e nascituri da matrimonio legittimo. A sua volta, Filippo Maria prestò nelle mani del fratello il prescritto P. GrunzoNi, Informazioni politiche sul ducato di Milano (1461), in Archi Storico Lombardo, XIX (1892), 879. • Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, n. 36. L’atto fu celebrato nella camera rossa del colombaio presso la saletta di consueta residenza del duca, alla presenza del marchese Ludovico Gonzaga, dell’ambasciatore di re Fer dinando d’Aragona, di Roberto Sanseverino conte di Calano e capitano ducale, e di altri illustri personaggi.

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giuramento di fedeltà, impegnandosi anche a nome dei suoi eredi ad essere suddito fedele del duca e della duchessa. Alla morte del duca, sopravvivendogli la duchesa, sarebbe rimasto ad essa fedele e cosi pure all’erede primogenito quando fosse diventato duca di Milano o, morendo questi, al nuovo duca che sarebbe stato eletto secondo la volontà mani festata da Galeazzo Maria mediante pubblico istrumento. Non sembra dubbio che la generosa donazione e il solenne apparato della cerimonia d’investitura fossero ispirati a motivazioni politiche. Il duca mirava evidentemente a uno scopo preciso: assicurarsi la fedeltà e l’appoggio di Filippo Maria sia mediante la donazione di una terra assai cospicua, sia attraverso un solenne giuramento che vincolava il fratello anche nei confronti di Bona Savoia e del futuro duca di Milano. Sulle decisioni di Galeazzo Maria dovette certamente influire anche un’altra considerazione: la terra di Bassignana costituiva un’importante piazzaforte militare situata in una zona di particolare importanza strate gica e delicatezza, quasi ai confini con le terre del marchese di Monferrato ed esposta alle pericolose influenze dei francesi e del duca di Savoia. Il possesso di Bassignana era dunque di importanza vitale per la sicurezza dello Stato, e nulla di più ovvio quindi, per assicurarsi la fedeltà di quella terra, di una investitura feudale a favore di una persona legata al duca da stretti vincoli di sangue. Filippo Maria era nato a Pavia il 22 dicembre 1448 e, da giovanetto, ebbe come precettore Giorgio Valagussa, il poeta ed erudito che col Filelfo educò i giovani Sforza nell’amore alle ‘lettere, campo nel quale Filippo Maria si applicò con qualche risultato, come dimostrano i versi latini che ci ha lasciato. Egli si tenne sempre lontano dagli intrighi poli tici, preferendo dedicarsi alle sue occupazioni letterarie e alla quiete della vita privata, cedendo il passo ai fratelli suoi, a lui minori d’età.9 Non è a dirsi però che la sua indole fosse mite e riservata come La duchessa conservò sempre una particolare predilezione per il giovane cognato, e più di una volta entrò in trattative con illustri famiglie italiane e straniere per dargli una degna moglie. Più fortunate furono le trattative avviate per Costanza Sforza, figlia di Bosio conte di 5. Fiora, cugina di Filippo Maria. Le nozze furono celebrate il 29 agosto 1482 e dal matrimonio nacquero due figli: Costanzo, morto a soli Otto anni, e Bona Maria, che andò sposa a Gian Galeazzo Visconti conte di Sesto Calende. Filippo Maria morf il 1° ottobre 1492, a soli quarantacinque anni, nel suo palazzo milanese di porta Ver celliaa, e fu sepolto nella chiesa di 5. Maria degli Angeli dei Frati Minori. Lasciò erede il fratello Ludovico il Moro, duca di Bari. Cfr. A. GzuLma, Filippo Maria Sforza, in Archivio Storico Lombardo, XL (1913), 376-85; ID., Ancora di Filippo Maria Sforza, ivi, XLII (1915), 528.

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solitamente si crede. Sappiamo che un contemporaneo ebbe ad affibbiar gli il soprannome di « testa mata », definizione che sembra pienamente confermata dal contenuto della seguente supplica,1° senza data, che gli abitanti di Bassignana indirizzarono al duca per protestare contro le angherie cui erano sottoposti da parte di Filippo Maria, signore del luogo: Clem’entissime ac piissime p’rinceps. Ad Vostra Signoria se recore et ricothanda la opressa et deserta (se la infinita benignità de Vostra Signoria non gli provede) terra vostra de Bassignana. con le lacrime habondantissime. et la menti acerbissimi. dicendo. Morimur pie lupiter audi. lupiter exaudi. lupiter affer opem. da lo Signore Philipo Maria Sforcia fratello de la prelibata Vostra Signoria in la predicta terraj de Bassignana fino agitade et fate le casse infra scritte. Et primo filano .morti et occixi da li soi cani li porci de li homeni de questa terra senza alcuno pagamento’de dicti porci. et similiter pecorè. item fi fata crida publicata per lo servitore de dita terra. che miser lo podestà una con tutti li homeni da VIJ anni in sù per sino in LX debiano andare a cazare, le lepore ogni domenicha e oltre le domeniche ogni festa. soto la pena de formi X. e pisJ. e mancho como jìiacha a soa Signoria. et molti che per caxone legiptima hano contrafacto a dita crida. hano pagata dita pena. Fi fato crida pu bliéata ut supra. che le done maritate. et non maritate debiano andare a balare publicamente in le strate publiche soto la pena predicta. et alcune lano pagata. La predicta soa Signoria ha fato uno ricato de sachi CCC de parede. dicendo che voliva conducere da Sancto Martino. sachi mille de vitualie. non se mai veduto ne li sachi ne le predicte vitualie iii la terra vostra predicta. Si fato crida che homo non debia andare passando lo fiume’de Fo ne de Tanegro a le soe possessione senza bolitino.’ e se gli andarà non sarà passato da 16 portinaia indreto se gli dormisse una nocte. se non ha uno altro bQlitino ‘soto pena. Si fato crida publica che in lo’ tempo de estade ogni sàbato et ogni vigilia de sanèto feriato. caduno debia spasare le strade per mira lui infra un~a o dòe hore. soto pena predicta. laqual molti hano pagato. oltra le cosse predicte li poveri homeni de la predicta terra. de opere manuale secondo dicano avere de le libre cinque cento da soa Signoria. In gen.eralitade tuti li homeni. de for mento de vino, de feno. de carne, de legne maxime de arbore retorte per forza zoè per comandamento. a per preghiere. come de iure le preghiere de li Signori siano comandamenti, e de altri casse. debano havere ‘de li formi mille. Et se pid ampIamente Vostra Signoria sè digna de esser informata de le casse fate in la dita terra, remava lo predicto Signore Philipo Marià de essa. o gli piacha de mandare uno homo sufficiente et digno che habia informacione de le cosse predicte. Et si dicta Signoria infra puochi giorni non pro vede a le cosse che ogni di se fano contra ogni equitate. e raxone. de la predicta terra se dirà como de Troya. jam seges est ubi Troya fuit resecdnda ci,’m falce. a inculta ac inhabitata remanebit. come da pochi giorni in~qua de la dita terra “

Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana.

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siano andati in Ast de li homeni XXV. et ogni di se ne parte per li carigi grandi che filano dati, a diti homeni. senza premio et alimenti alcuni. Oltra le cosse predicte a Johanne Maria .Bellingero ha tolto una peza de sedime che he tabule LVJ ad rationem de formi XII per caduna tabula per fare uno giardino, a Johanne Cornagia ducati XXX vel circha. a Antonio Lioro formi X. a Henrico Allamano trece VIIJ di lino, a uno piscatore nome Palanza fo rini X. et ad molti altri de liquali Vostra Signoria ne sarà informato ad plenum facendo como se dito sopra.

scolla. lo miso in presone in la rocha da Basignana. e commandato al castel lano non lo lasasse senza spiziale licentia del nostro Illustrissimo Signore. on vero per littere dele Vostre M.e. Io trovato le cose molte in disgoverno. che dire non se potereno piti. le ho dato bona forma e ordine, che le Vostre M.e se contentarano. ho trovato, ala Motta alcuni naveti. che anno pasato de nocte zente con robe che fuziveno. Credo che in breve ve ne farò sentire novelle. Cavalcho dreto a Pado. andarò sopra vedendo per fine a Bocha de Adda. epoy deo dante verrò da le Vostre M.e ale quale continuamente me recomando.

É molto probabile che il duca sia rimasto colpito dal tenore di questa supplica e abbia dato incarico a persona di fiducia di indagare quanto ci fosse di vero nelle lamentele esposte dagli uomini di Bassi gnana. A un incarico del genere sembra alludere la seguente lettera ducale” del 31 maggio 1476, da Pavia, indirizzata al podestà di Bassi gnana:

Molto interessante è pure la seguente lettera 13 del 9 maggio 1471 che il podestà Gian Domenico Torti, da Bassignana, indirizzò al duca circa i balzelli del sale imposti alla comunità del luogo:

Quanto hai exequito iuxta limpositione factate per Bartholomeo da Sala nostro famigliare in nome nostro et la diligentia sopra ciò per te usata ne stata grata et cossi te ne commendiamo et dicemo che hai facto bene. Ceierum per questa casone mandiamo 11 el Conte Borella deputato al governo de la nostra famiglia darme et nostro maistro da stalla. Volemo te intendi cum lui et in omnibus et per omnia exequischi quanto per lui te sera imposto et ordinato de nostra commissione. EI che te sforzarai cum ogni tuo senti mento fare pid cautamente et secretamente et cum quella pid modestia et hone sta sera possibile.

Come poi siano andate a finire le cose non ci è dato sapere, ma si deve ritenere che i bassignanesi abbiano ottenuto in qualche modo giu stizia. Sappiamo del resto che, nonostante Bassignana fosse stata data in feudo a un fratello del duca, quest’ultimo continuava ad occuparsi da vicino di tutte le questioni di maggior rilievo riguardanti il luogo, e tutto ciò che di importante si verificava veniva immediatamente segnalato dal podestà o da altri uomini di fiducia. Interessante, sotto questo profilo, è la seguente lettera 12 del 13 maggio 1470 con la quale Giacomino Recalcati informava i Maestri delle entrate ordinarie ducali di alcuni movimenti sospetti notati sul Po: Magnifici mei domini honorandissimi. Io aviso le Vostre M.e como ho trovato il vero de quilli portizaveno de sopra da Basignana uno milio. hereno duy molinarj. de li quali non ho poduto haverne se non uno, lo altro è fugito dala 2

Ivi. lvi.

Illustrissime princeps et domine domine mi singularissime. Perché Vostra Excellentia me comisse per soe littere date a Viglevano a di XVIII de aprile proxime passato doverse exequire la declaratione fata per li Maistri de Vostra Signoria circa el fato del salle de questa terra per la diflerentia continua intra loro comittendome che quando gli fosse alcuno temerario et disobediente ala .dicta executione ne dovise dare aviso a la Vostra Excellentia la quale gli fariva provisione opportuna per exempio de altri. Unda per la presente ho voluto fare mio debito et dare adviso como questi di passati uno Nicollo da Vicenza dicto de li Patarini habitatore de chi. essendo suxo la piaza de questa terra in raxonamento de dicto salle hebe a dire che li richi et quelli fano per la Comunità haveriano disaxio de uno populo Bononiese che gli taglasse tuti a peze f ..J uno altro nominato Juiliano Cavigiolia navarollo il quale in pre sentia de p14 persone essendo in strata da Pavia ad Bassignana. jn effectu dixe queste parolle. Che per la differentia del salle non se vorebe fare altro se non che li poveri se mittiseno suxo la piaza da uno lato et taglare a peze li richi da laltro lato in modo che lo maiore bochone fosse la auriculla et de molte altre parolle deshoneste hano havuto a dire et loro et altri li quali non gli essendo provisto poteriva sequire uno disordine. Il che del tuto ne ho voluto dare aviso a la Vostra Excelientia azò possa fare quella pro visione gli pare con venire ala quale de continuo me arecomando. .

Anche questo documento costituisce una riprova dell’interesse col quale Galeazzo Maria seguiva ogni avvenimento di qualche rilievo con nesso alla vita interna del paese. Sappiamo del resto, e lo vedremo fra poco, che il duca dedicò sempre particolari attenzioni alla rocca di Bassi gnana, preoccupandosi a fondo delle sue condizioni statiche pericolosa mente compromesse dalle corrosioni del Po. Sembra anzi che proprio sotto la dominazione di Galeazzo Maria la rocca sia stata ricostruita dalle fondamenta. A giudicare dagli avanzi tuttora cospicui, ma di non facile lvi.

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lettura per lo stato rovinoso delle strutture, si direbbe che la ricostru zione della rocca risalga alla seconda metà del sec. XV. A questo periodo sembra appartenere il formidabile torrione a se zione semicircolare, rivolto verso l’interno del paese, che presenta una base fortemente scarpata. Nello spessore delle muraglie si aprono alcune feritoie che, per le forme e le proporzioni, sembrano adatte ad ospitare bocche da fuoco. Alle spalle del torrione si aderge un poderoso cassero in condizioni rovinose, ma tuttora di impressionante aspetto. A setten trione, infine, le corrosioni del P0 hanno causato la rovina di un tratto della fortezza, facendo precipitare lungo la riva un blocco di muratura di dimensioni ciclopiche, appartenente alla base di un torrione a sezione quadrata. Questi avanzi possono dare, da soli, un’idea della straordinaria robustezza della rocca, che allo stato originale costituiva certo uno dei più interesasnti esempi di architettura militare del periodo sforzesco. Un prezioso elemento per la datazione del complesso, ancora esi stente alla fine del secolo scorso ma attualmente scomparso, era dato da « una finestra ogivale ornata di larga fascia in terracotta istoriata a mezzo rilievo con disegno elegantissimo », in tutto simile alla finestra di una casa, datata 1474, ubicata nel recinto del castello di Ghemme, in pro vincia di Novara)4 Come abbiamo già accennato, le continue erosioni del Po comincia rono a minacciare la sponda destra del fiume e le stesse fondazioni della rocca. Preoccupazioni ancora maggiori destava la sponda sinistra del fiu me, sotto Borgofranco, direttamente investita dalla corrente del fiume che, coi suoi vortici tuinultuosi, sembrava dovesse inghiottire da un momento all’altro l’abitato. Cosa che, come sappiamo, si verificherà poi nel secolo scorso. Nell’intento di porre un freno all’azione erosiva delle acque, la comunità di Borgofranco ritenne opportuno affidare a un ingegnere lo studio di un progetto per divertire il corso del fiume e allontanare dal l’abitato il pericolo di una colossale frana. Contro questo progetto peral tro insorsero gli uomini di Valenza i quali, timorosi che la deviazione della corrente potesse recare loro danno, mandarono due ambasciatori a Filippo Maria Sforza per esporre le loro lagnanze. Lo Sforza, convinto dagli argomenti addotti dai valenzani, indirizzò allora al duca la seguente lettera,~ priva di data, ma risalente con certezza al periodo 1468-70: “ “

F. NEGRI, O)). cit. Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana.

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Aviso la Vostra Ill.ma Signoria como questa matina sono stati da mi doy am basiatori dela mia terra de Valenza significandome como li homini del Borgo de Bassignana che son sottoposto al Magnifico D. Andrioto hanno mandato uno inzignero ad fare certo designo per divertere il Po il quale designo essendo exequito sarà la disfatione dessa terra de Valenza segondo altre volte hanno faeto vedere et ne sono già stati in diflerentia: pregho la S.V. ne parli al prelato D. Andriotto et li facia intendere chel non è honesto ne con venente che li mei homini siano pezo tractati adesso che fossimo al tempo del Conte Gasparro: la resposta che ho facto ali dicti ambasiatori è stata che non se lassino fare novità alcuna dannosa et che se deffendino cum quelle medesime rasone che se de/fendevano ai tempo del prefato Conte: et che in questo mezo se intenderà la cosa et se provederà in modo che non se haverano justamente ad dolerse etc.

È assai probabile che l’intervento del duca abbia costretto gli abi tanti di Borgofranco ad accantonare il loro progetto, per cui su entrambe le sponde del fiume la situazione rimase quella che era, con tutti i peri coli che potevano derivarne. Purtroppo, le pessimistiche previsioni degli interessati dovevano rivelarsi fondate, perché nel settembre 1470, in seguito a una piena eccezionale del Po, le acque trascinarono via parte della sponda destra del fiume, arrivando fin sotto le fondamenta della rocca. Allarmatissimo, il castellano Gabriele de Mantello, in data 17 set tembre, indirizzò al duca la seguente urgente missiva: 16 Illustrissimo principe et excellentissimo Signore mio singularissimo. Ad ciò Vostra Excelentia habia notizia de le cosse ocorse per la inundatione dii Po. Adviso Vostra Signoria che per lo cresimento presente ha facto il fiume de Po il qualle stato oltra il solito grandissimo ha cavato il tereno per fino al muro di questa Vostra rocha in modo che se non glie proveduto sta molto periculo’ samente de ruynare. linde prego Vostra Excellentia gli facia fare quella provi sione parirà meglio a V.S. ala qualle continue mi ricomando. Ex Bassignana raptim die XVII septembris 1470.

Aggravatasi la situazione, il duca decise un radicale intervento, ed affidò all’ingegnere ducale Danesio Mainerio 17 l’incarico di dirigere i lavori di riparazione. Per prima cosa, fu eseguita la palificazione della sponda destra del fiume, nell’intento di proteggerla dalle erosioni e soste nere nel contempo la costiera che minacciava di franare. I legnami occor renti per questa colossale palificazione furono prelevati dai boschi di Ivi. Questo ingegnere è noto, fra l’altro, per aver ricevuto da Francesco Sforza, uni tamente al collega Giovanni Imperiale, l’incarico di vigilate i lavori al castello di Pavia. “

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Rocchetta Tanaro, Rocca d’Arazzo, Quattordio, Borgo d’Annone e altri luoghi ubicati lungo le selvose rive del Tanaro. Tutte queste notizie si ricavano da un decreto ‘~ ducale senza data, ma certo del periodo 1470-73, nel quale è detto che Galeazzo Maria fece trasportare su navi, attraverso il Tanaro, il legname prelevato dalle loca lità citate, necessario alla riparazione della rocca di Bassiganna. Alla cospicua spesa occorrente a dette riparazioni furono chiamate a contri buire le comunità di Valenza, Bassignana, Mugarone, Rivarone, Monte castello, Pecetto, Piovera, Rivelino, Sale, Guazzora e Gerola. Ai respon sabili delle comunità citate il duca ordinò di prestare la massima colla borazione ad Abbondio Pallavicino, capitano della Lomellina, e a Danesio Mainerio, ingegnere ducale, incaricati di provvedere alla provvista e al trasporto del legname occorrente, come pure alla esecuzione dei lavori di riparazione. Circa lo stato dei lavori alla fine del 1473 siamo esaurientemente informati da una nota 19 del 5 dicembre 1473 in cui l’ingegnere Pietro Lonati e il maestro Giacomo Ultrabella di Bassignana elencano le opere necessarie per portare a compimento i lavori. Dato il rilevante interesse del documento, riteniamo opportuno ri portarlo qui nella sua integrità:

1473 die quinto menssis decembris

Nota Magistra Petra da Lana inginiera adoman dato Magistra Jacabo da Ultrabella che abita in Basignana. Lo dito Magistro Petro inseme con la dicia Magistro Jacomo ano visto le are parazione che vana ala castella de Basignana overo la paleficada verssa Po Primo li mancha ala dita paleficada brage 201 ale colognie plantade le dicte brage longe brazze CCL a soldi IIJ per brazza Item li mancha ziode CCC in tuto longe braze IJ acaduna a saldi IIJ per acaduno Item per brazze CCXXX de asse da zogora a soldi VIIJ per braza per mania ale calognie Item per lo magisteria e ziade per le dite asse

L.

XXX.VII

L.

XLV

L. L

.X

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La suprascripta soma de la palificada si è L. CLXXX.VI.X bern per la spexa de le areparazione che vano in lo dicta castello Primo per la spexa che va a reiare una anta de uscio che serve verso li do porte computato computato ognuna spexa de la dita anta bern per la reparazione che va ala canepa in de lo dicia castello prima per arefare la muro de la dita canepa lango brazza XVIIJ alto brazza X grosso prede 13 li mancha migliaie 1 de prede Item per centanera XXXVJ de calzina a soldi V per centane bern per sabiono e magisterio de lo dito mura bern per lo tezio sopra la dita canepa zove cantire etempie e ziode e trarnozie IIJ e lo magisterio Item per migliaie 13 de cope per lo dito tezio bern per brazza XXIIIJ de asse che manceno ala zello de la dita canepa Item per lo magisterio e ziode per lo dito zello Item per la spexa de fare lo astrega sapra lo dito zello Itern per la spexa che va arefare el tezo sapra el pozo in lo dicto castello zove cantire etempie e ziade e magistero e copi computato ognia spexa delo dicto tezio Item per arefare pianchete 17 alo dicto castello zove legnamo e asse e feramento e magistero Item per la spexa che va arefare el tezio sopra la tore granda zove legnamo e cantire etempiale ziodaria e cope e magistera computato ognia spexa de lo dita tezia Itern per la spexa de fare uno molino in de lo dito castello computato ognia spexa de lo dita molino

L.

1111.

L.

1111.

L. L.

VIIIJ. X.V1J

L L.

XXI VII1J.

L. L.

VIIIJ.VIIJ IJ.X

L.

VII

L.

VIIJ

L.

XX. IJ

L.

C.

L.

XX.V

Summa summarum L. CCCCXX.

IIJ.VIIJ

LXXXX. I~7 X.IJ

~ Archivio di Stato di Milano, Autogra/i, cart. 227, fasc. 12, Bassignana. “ lvi. È da rilevare che il totale delle spese è manifestamente errato per qualche er rore di calcolo.

Il 26 dicembre 1476 il duca Galeazzo Maria veniva assassinato nella chiesa milanese di 5. Stefano. La sua tragica scomparsa segnava praticamente la fine dell’equilibrio politico tra gli stati italiani. Lo stesso ponte-

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L’ETÀ SFORZEScA L’ETÀ SPORZESCA

fice Sisto IV, quando ebbe notizia della morte violenta del duca, ebbe ad esclamare: « Ogi è morta la pace de Italia ». Parole profetiche che non tardarono ad avverarsi, come vedremo tra breve. Erede al ducato era Gian Galeazzo, figlio di Galeazzo Maria, ma essendo egli in giovanissima età, la reggenza del governo fu assunta dalla madre Bona di Savoia. La vedova duchessa si trovò subito in con trasto coi cognati, soprattutto con Ludovico Maria e Ascanio, i quali ordirono una congiura per usurparle il potere. Fallito il tentativo, nel 1477 i fratelli Sforza furono costretti a lasciare Milano e recarsi in esilio in luoghi lontani. Quanto al cognato Filippo Maria, « per non essere lui stato partecipe, anzi innocente de tali e tanti tradimenti », e avere dimo strato devozione e affetto per il nipote, poteva liberamente restare a Mi lano e sarebbe stato trattato con i dovuti onori3° Neppure in esilio i congiurati se ne stettero tranquilli, e studiavano il modo di rientrare a Milano. Nella notte del 22 gennaio 1479 Ludovico Maria abbandonava Pisa e, riunitosi al fratello Sforza Maria, con l’aiuto del condottiero Roberto Sanseverino andò a porre l’assedio alla rocca Filippo Maria conser~’ò pure la signoria su Bassignana. Ne abbiamo conferma nella seguente lettera del 28 luglio 1479, indirizzata dal podestà del luogo Paolo Moroni a un personaggio di corte, che sembra alludere a un trovamento archeologico effettuato nelle campagne attorno a Bassignana: « Magnifice ac potens miles maior honorandissjme. Recomendatjone premissa. In ezequtione de la comissione ami facta per lo Illustre Signor Filippo Maria Sforza Vesconte de questa terra Signore ho examinato certi testisnonij nominati ne la cedula introcluj~a ale litere de Vostra Magnificenza directive a sua S.ria per certo cavamento facto in uno prato de Johanne Luchino de Malnido er como in quelle se contene. Et ad zio Vostra Magnificenza possa havere certeza de quelo dicano essi testimonjj ne mando la copia ad essa Vostra Magnificenza introcluxa in queste scripte per Antonio Belingerio notano fidato et canzelario de questa comunitade. Se altro bixogna che per mi er lo offitio mio se fan semper paratus obedire. Bassignane die XXVIIJ Jullij 1479 ». Cfr. Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana. Filippo Maria conservò la signoria su Bassignana sino alla morte, avvenuta come s’è detto il 1° ottobre 1492. Ciò risulta, fra l’altro, da una lettera del 6 agosto 1492 che egli indirizzò a Ludovico il Moro, da Piovera, per informare che in esecuzione degli ordini ducali gli uomini di Bassignana nei giorni precedenti sborsarono agli abitanti di Borgofranco la somma di lire 400 a titolo di parziale risarcimento dei danni a quelli arrecati. Volendo ora soddisfare pienamente i loro obblighi, in ragione di 25 soldi per ogni vite, ai bassignanesi fu chiesto il pagamento di una somma superiore, comprensiva anche dei danni recati per il taglio di alcuni alberi. Onde, tramite Filippo Maria esposero le loro lagnanze al duca per evitare di pagare agli abitanti di Borgofranco una cifra superiore alle loro possibilità, in mancanza di che « la magior parte de li homini de Bassignana sanano necessitati abandonare la terra per la inhabffitate loro » (ivi). La lettera, in elegante grafia umanistica, si direbbe autografa di Filippo Maria. Va qui osservato infine che questi, il 1° gennaio 1468, ottenne dal fratello anche il feudo di Valenza e, per investitura del 1° gennaio 1475, pure quello di Piovera.

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di Montanano, nel retroterra ligure. Espugnata quella rocca, i frateffi Sforza varcarono I ‘Appennino al passo delle Cento Croci e occuparono il borgo di Campiano, costringendo le truppe ducali a ritirarsi a Varese Ligure. In questo borgo, il 29 luglio 1479 veniva improvvisamente a morte Sforza Maria. Il titolo di duca di Bari passava allora al fratello Ludovico Maria, il quale stimò giunto il momento di addivenire a un accomodamento con la duchessa Bona. Mentre le trattative andavano per le lunghe, Roberto Sanseverino, che nel frattempo era rimasto accampato in val di Taro, si decise a muoversi e scese rapidamente verso Tortona. Il 22 agosto 1479 era già riuscito a impa&onirsi della città dopo averne corrotto il governatore: ne prese allora possesso Ludovico Maria. Da Milano fu subito inviato un buon numero di truppe per sventare la minaccia che si profilava, ma i nemici furono più lesti e riuscirono ad occupare Valenza, Bassignana, Sale, Castelnuovo, Pontecurone e altre terre, dopo averle sedotte « con zanze et novelle ». Alla duchessa Bona non rimaneva altro che tentare la strada della riconciliazione col cognato Ludovico Maria, il quale approfittò delle circostanze per diventare di fatto il signore del ducato, per quanto il titolo ducale rimanesse al nipote Gian Galeazzo. L’ambigua situazione di governo ebbe fine il 20 ottobre 1494, quando Gian Galeazzo venne a morte nel castello di Pavia, e Ludovico il Moro riuscf a ottenere dall’imperatore Massimiliano l’investitura del ducato di Milano e della contea di Pavia. Una nuova posizione pareva riconosciuta a quest’ultima città, che da contea fu eretta in principato con diploma dell’imperatore Massimiliano del 12 giugno 1499. L’inve stitura del principato era attribuita a Massimiliano Sforza primogenito di Ludovico e riservata per l’avvenire al primogenito di ogni duca. In teoria, la costituzione del principato avrebbe dovuto conservare a Pavia il carattere di seconda capitale dopo Milano, ma in pratica nulla o quasi giovò alla città la nuova posizione giuridica, perché avvenimenti gravis simi stavano per sconvolgere la stessa autonomia del ducato, aprendo le porte al plurisecolare predominio straniero nelle cose d’Italia. Frattanto, nei centri periferici dello Stato la vita scorreva apparen temente tranquilla, ma già andava serpeggiando negli animi una certa inquietudine, che pareva quasi presaga di eventi non lieti. A ben guar dare, un simile sentimento traspare dalla lettera indirizzata al duca da Scaramuzza Visconti in data 29 dicembre 1496, nella quale è viva la preoccupazione per le precarie situazioni in cui versavano le fortificazioni di Valenza e Bassignana. Nella missiva, lo Scaramuzza Visconti avverte

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il Moro «che è ruvinato uno squarcio del muro de Valenza da parte verso Casale: et perché ali di passati scrissi anchora ala Sig.ria V. che ne era caduto similmente a Bassignana: et non havendone mai havuto risposta. pregho la S.V. si degni rispondere perché non stanno al pro posito de li occurrenti tempi »21 Altro documento sintomatico della situazione di incertezza che re gnava negli animi, e delle disposizioni di molti a scuotere le fondamenta stesse dello stato sforzesco, è una lettera deI 24 dicembre 1497 con la quale Dionigi Annibaldi, podestà di Bassignana, scrive al duca che in altre lettere precedenti gli aveva dato notizia che « in questa vostra terra de Bassignana se andava de note travestiti et armati dece et dodeci alavol. ta in tale modo che non era possibile con quella pocha famiglia constare ne cognoscerli ». Il podestà informa ora il duca che « è stato taliato certe colone de note de quelle che sono a la parificata del castello supra la ripa del Po », invitando Ludovico il Moro ad adottare i provvedimenti del caso?~ ...

***

Nel 1498 venne a morte Carlo VIII re di Francia e gli successe il cugino Luigi XII d’Orléans, signore di Asti. Alle pretese dei re di Francia sul trono di Napoli, il nuovo sovrano altre ne avanzava sul ducato di Milano, quale discendente di Valentina Visconti sorella dell’ultimo duca di Milano di casa Visconti. Luigi XII si dispose all’acquisto del ducato milanese, ma prima di scendere in campo ebbe l’accortezza di assicurarsi l’appoggio di Venezia e del Pontefice. Per effetto della sua politica ambigua, invece, Ludovico il Moro venne a trovarsi praticamente isolato, proprio nel momento in cui avrebbe avuto maggiormente bisogno di potenti e fedeli alleati. Nel luglio del 1499 l’esercito del re di Francia, condotto da Gian Giacomo Trivulzio, valicò le Alpi e il 3 agosto ottenne la resa del luogo di Valenza: fu quindi posto l’assedio alla fortezza, che cadde il 21 agosto seguente. Il giorno 22, senza incontrare resistenza, Gian Giacomo Trivulzio ricevette la resa di Tortona, Bassignana e Sale. La notte del 27 agosto Galeazzo Sanseverino, comandante sforzesco, abbandonava Vo ghera ritirandosi verso Milano. Cadeva in tal modo la resistenza dell’eser cito ducale ai confini occidentali del ducato. Archivio di Stato di Milano, Comuni, Valenza. ~ Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana.

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Proseguendo nella loro vittoriosa avanzata, il l~ settembre le avan guardie dell’esercito francese erano già a Pavia, ma soltanto il 4 succes sivo il grosso dell’esercito varcò il Po a Bassignana su un ponte di barche e raggiunse la capitale del principato pavese. All’avvicinarsi dei nemici, il Moro pensò sulle prime di organizzare un tentativo di resistenza nella capitale del ducato ma, crollati i progetti di una suprema difesa, il 2 settembre abbandonò Milano e si rifugiò dapprima a Innsbrflck, poi a Bressanone. Il 18 ottobre 1499 re Luigi fece il suo ingresso a Milano, ove fu accolto con manifestazioni di giubilo dalla popolazione. Ben presto però gli umori dei milanesi, sottoposti a gravose contribuzioni, tornarono a volgersi a favore del Moro, il quale ritenne venuto il momento propizio per recuperare il ducato. Assoldati 8.000 svizzeri e 300 uomini d’arme, ai primi del 1500 egli mosse dal Tirolo verso Milano, ove entrò trion falmente il 2 febbraio. Proseguita poi la marcia sino a Pavia, varcò il Ticino e s’impadronf di gran parte della Lomellina. A questo punto però la fortuna gli volse improvvisamente le spalle. Il Trivulzio difatti, rice vuti cospicui rinforzi, a Novara si scontrò con un estremo coraggio con le truppe ducali. Il Moro combatté contro i francesi per due giorni, ma il terzo gli svizzeri si rifiutarono di proseguire la battaglia, col pretesto che nell’esercito nemico vi erano alcuni loro connazionali. Il duca li pregò almeno di potersi accompagnare a loro, travestito da semplice sol dato, durante il viaggio di ritorno oltre le Alpi. Egli però fu tradito da uno degli svizzeri e, catturato dai francesi, fu trasferito in Francia dove mori il 27 maggio 1508. Dopo la riconquista, il ducato di Milano divenne una semplice pro vincia del vasto regno di Francia. Luigi XII prese a governare a suo talento il territorio, operando numerose confische a danno delle famiglie legate agli Sforza, e premiando quelle a lui fedeli. Sappiamo ad esempio che il 7 settembre 1500 il sovrano donò il feudo di Bassignana, sottratto al Sanseverino, a Beatrice d’Avalos marchesa di Vigevano e moglie di Gian Giacomo Trivulzio?3 I francesi rimasero padroni del ducato di Milano per poco più di un decennio, ma contro di essi il pontefice Giulio Il riusci a radunare, F. GuAsco rn Bisio, op. ci?., ad vocem. Beatrice d’Avalos era figlia di don Innico conte di Montecristo e gran camerlengo del regno di Sicilia. Precedentemente, il feudo di Bassignana era appartenuto ad Antonio Maria Sanseverino che l’aveva ot tenuto, col titolo di conte, per investitura ducale del 13 luglio 1497. Cfr. Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, Reg. RR, fol. 68.

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nell’ottobre 1511, una Lega Santa alla quale aderirono i veneziani, re Ferdinando il Cattolico, Enrico VIII re d’Inghilterra e gli svizzeri. I con federati, sotto il comando di Raimondo Cardona viceré di Napoli, inizia rono le operazioni ponendo l’assedio a Bologna, il 26 gennaio 1512. All’improvviso piombò loro addosso l’esercito francese comandato da Gastone di Foix, duca di Nemours e cugino del re, che costrinse i con federati a ritirarsi. Dopo una puntata su Brescia, che si era data ai veneziani, l’esercito francese tornò nuovamente in territorio pontificio, scontrandosi con le milizie della Lega sotto le mura di Ravenna. Il giorno di Pasqua del 1512, che fu l’il di aprile, si scatenò una furibonda battaglia al termine della quale i francesi rimasero vincitori, costringendo gli avversari a riti rarsi con gravissime perdite. Fra i prigionieri catturati sul campo vi furono parecchi illustri personaggi, fra i quali Fabrizio Colonna, il mar chese di Pescara, il principe di Bisignano e, più importante di tutti, il cardinale Giovanni de Medici (il futuro pontefice Leone X) che partecipò alla battaglia in qualità di luogotenente di Giulio 11. La vittoria dei gigli di Francia fu peraltro funestata dalla morte di Gastone di Foix il quale, volendo stravincere, si diede a inseguire i nemici fuggenti e in uno scontro rimase ucciso. Il comando passò allora al La Palice, ma l’esercito francese fu costretto a ritirarsi su Pavia, contro la quale si gettarono le truppe collegate. Constatata l’impossibilità di imba stire una difesa, il La Palice varcò il Ticinò col suo esercito e, attraver sata la Lomellina, puntò verso i passi sul Po nell’intento di raggiungere Asti e ripiegare poi verso la Francia. Al seguito dei francesi erano numerosi cardinali ribelli a Giulio 11 e sostenitori di Luigi XII, i quali meditavano di indire un conicio scisma tico a Lione. Nelle loro mani, quale prezioso ostaggio, era il cardinale de Medici, tradotto prigioniero in Francia per volontà del re. Il convoglio, alla sera del 3 giugno 1512, giungeva alla Pieve del Cairo, disponendosi a varcare il Po il giorno seguente attraverso il passo di Bassignana. A Pieve del Cairo, o meglio durante il passaggio del Po, avvenne la liberazione del cardinale. Il celebre episodio fu narrato da un gran numero di storici, fra i quali ci limitiamo a citare il Guicciardini, il Mu ratori, il Bembo, il Panvinio, il Sismondi, il Giovio, il Ghilini. Non tutti gli autori peraltro concordano circa l’esatto svolgimento dei fatti e l’iden tificazione dei luoghi che furono teatro dell’episodio?4 “

Decisiva peraltro si deve considerare la testimonianza del Guicciardini il quale,

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Persuasiva risulta comunque la ricostruzione effettuata dal Ravasio ~ il quale scrive che, mentre veniva tradotto in Francia, il cardinale « es sendogli sopraggiunta, o forse simulandola egli, una leggiera infermità, ottenne da’ guardiani suoi di potere quella notte riposare in Pieve del Cairo; mentre gli altri cardinali col loro numeroso seguito, impazienti di proseguire, passavano il fiume sui navigli colla maggior parte dell’eser cito. E volgendo egli in anima di trarre profitto di questa fermata per tentare di fuggire, commise al suo famigliare abbate Buongallo, che lo seguiva, d’investigare se mai in quella terra fosse alcuno, cui potesse raccomandare la sua salvezza. Il Buongallo s’intese con un gentiluomo feudatario del luogo, Gentile Beccaria, nella cui casa era alloggiato il cardinale colla sua scorta, e quindi con Rinaldo Zazzi,~ vecchio uomo d’armi, cittadino pavese e possidente in quel territorio con parecchi vil lici a sua dipendenza. Pregollo il fedele abbate, che volesse adoperarsi alla liberazione di un prigioniero, cardinale nobilissimo e di grandi spe ranze, caduto in tanta sventura nelle mani de’ barbari. Facendogli pre sente come senza dubbio esso era trascinato in Francia a perpetua catti vità, e come non fosse difficile il liberarlo in quella occasione, poiché i Francesi, o ebbri giravano attorno per il paese, o oppressi dal sonno, facevano la guardia negligentemente. Né aversi a temere il grosso del l’esercito, che fuggiva in furia, perseguitato dai collegati e in uggia alle popolazioni. Rinaldo, che aveva militato sotto Francia e sotto Spagna, e covava odio contro ai Francesi, e per la memoria del grande Lorenzo, padre del cardinale, sentivasi favorevolmente inclinato, aderi di buon grado al disegno di liberare il prigioniero. Trovava però necessario, per essendo profondo conoscitore delle vicende della famiglia de Medici e contemporaneo dei fatti, lasciò scritto: « Il Cardinale dei Medici.., essendo menato in Francia, quando entrava la mattina nella barca al passo del Po, che è di contro a Bassignana, levato il rumore da certi paesani della villa, che si dice la Pieve del Cairo, dei quali fu capo Rinaldo Zallo, con cui alcuni famigliari del Cardinale, che vi era alloggiato la notte, si erano convenuti, fu tolto di mano ai soldati francesi, che lo guardavano; che spaventati e timorosi d’ogni accidente, sentito il romore, attesero pi~ a fuggire che a resistere ». Cfr. F. GUIccIARDINI, Storia d’italia, X, 5. Anche il Vasari, che affrescò l’episodio sulla volta di una sala di Palazzo Vecchio a Firenze, pur asserendo erroneamente che Pieve del Cairo è in territorio di Padova, accenna tuttavia a Bassignana. Cfr. G. VASARI, Ragionamenti, giornata seconda, ragionamento terzo. 25 p, RAVASIO, Memoria e cimelii inediti di Pieve del Cairo Lomellina circa la liberazione del cardinale de’ Medici dalla prigionia dei francesi, in Archivio Storico Lombardo, X (1883), 381 e sgg. 16 Si può dire che quasi tutti gli storici che riferiscono l’episodio abbiano riportato in modo inesatto il cognome di questo personaggio. È certo tuttavia che esso si chiamava Zazzi e non Zatti, Zalli e via dicendo, come ancor oggi si Continua a ripetere.

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poter sicuramente riuscire, associarsi all’impresa il suo conterraneo, pure gentiluomo pavese, Ottaviano Isimbardo, come colui, che, facoltoso e autorevole, teneva a’ suoi ordini gran quantità di contadini in Pieve e in Cairo. Sapeva essere l’Isimbardo della fazione contraria, non però nemico dei Medici, Sarebbesi recato subito a conferire con esso, e, otte nutone assenso, avrebbe mandato in quella stessa sera al Buongallo un famiglio, che gli facesse intendere, se la cosa era combinata. Pieno di speranza si recò l’abbate ad informarne il cardinale e stette in attendimento. Ottaviano, sebbene non senza esitazione, consentf alle preghiere dello Zazzi, e bentosto fu mandato un giovane contadino coll’aspettata risposta. Ma qui la capricciosa fortuna pare abbia voluto fare l’arcigno viso al futuro pontefice, e mandare a rovina un disegno accortamente ordito. Al messaggero, entrato nell’alloggiamento a cercare fra tanta gente del Buongallo, venne additato, in vece di questo, un abbate francese, destinato appunto a guardia del prigioniero, cui l’incauto giovane fece intendere che ogni cosa era disposta. Se non che incautamente rispon. dendo il francese in sua lingua e con volto impaziente e dispettoso, non avere egli comandato s’apparecchiasse cosa alcuna, il servo s’accorse del l’error suo, e, trovata certa scusa, gli si tolse dinanzi. Ma tanto bastò che il prete rimanesse tuttavia in forte sospetto, rimembrando le parole e il volto del giovine. Onde, dopo breve indugio, comandò si disponesse la partenza più presto che non era stato~ stabilito. Faceva giorno appena, che già l’intera ordinanza era avviata al Po. Il Medici, confidando tuttavia nella promessa dello Zazzi, volle trovare pretesti a nuove dimore; ma dovette partire. Era giunto il convoglio in riva al Lume, e il Legato con forte ansia il soccorso ancora sospirando, finse, per guadagnare tempo, di essere assalito da colica e necessitato a calare dalla mula. Ma non isbrigandosi egli mai, venne in fine costretto suo malgrado a risalire l’odievole cavalcatura. Non erano rimasti addietro più di seicento uo mini, dei quali parte senz’altro sospetto transitavano, e i restanti col prigioniero erano pronti a passare pel porto natante e sopra altri legni li fermi apparecchiati o tornanti dall’altra riva. E già la mula del cardi nale aveva messe le zampe anteriori sopra il navile, quando, udendo egli immani grida, che da un vicino bosco uscivano, e scorgendo sbucarne una turba di villici, che s’eran tenuti in agguato, e più non dubitando che quello fosse il sospirato soccorso, trae indietro la mula. E que’ contadini, parte armati di moschetto e parte di agresti arnesi, guidati meravigliosa mente da Rinaldo, piombano a tutta foga e con feroce ardire sopra i Francesi, e con una terribile scarica, uccisine parecchi, costringono gli

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altri, dopo breve resistenza, a rifugiarsi sui navigli, abbandonando il prigione. Essi non erano forse più di quattrocento, ma l’improvviso im peto loro, il panico che già invadeva i Francesi pei tumulti del Ducato, il timore d’una generale sollevazione e l’impazienza di passare il confine, diedero all’impresa prospero evento. Lo Zazzi un cosf ardito fatto con tale destrezza e rapidità condusse, che niuno de’ suoi fu morto, e a pena qualcuno rimase, e non gravemente, ferito. Perché poi non venisse talento ai fuggitivi di tornare alla sinistra sponda, venne tagliata la fune del porto, che fu trascinata giù dalla corrente. Avevano presa parte al l’azione anche Gentile Beccaria, Bernardino Zazzi, fratello di Rinaldo e Ottaviano Isimbardo. Questi fece smontare il liberato prigione, e per meglio sottrarlo alla troppo apparente vista, svestitagli la porpora e mes sagli indosso una militare casacca, lo trasse in luogo sicuro, e nella seguente notte, trasferendolo su di un piccolo battello al di là dal Po, il condusse egli stesso a un castello del Genovesato sull’Appennino come in luogo sicuro »Y L’episodio della liberazione del futuro pontefice Leone X, come accennammo, ebbe vasta risonanza nelle cronache e fu immortalato dal Vasari in un afiresco tuttora esistente a Palazzo Vecchio in Firenze. Al secolo XVII risale invece l’affresco di ignoto autore che si ammira nel castello di Cairo, già di proprietà dei marchesi Isimbardi e ora del conte Carlo Borromeo D’Adda. Dei quattro affreschi che rivestono le pareti di un salone, uno rappresenta la liberazione del cardinale, ritratto su A una versione leggermente diversa si attengono invece alcuni storici pavesi fra i quali lo Spelta e il Pietragrassa. Quet’ulthno afferma che il cardinale fu « allogiato una notte nel Castello della Pieve del Conte Gentile Beccaria, che ne era Feudatario, et mentre il giorno vegnente i Francesi per il passo ivi propinquo del Po, messero sul Porto esso Cardinale, vi restarono pochi alla di lui custodia sopra esso Porto, per non gravarlo di peso, essendo per la vecchiezza a soffrir molto carico, poco sicuro, et la maggior quantità delle Guardie se n’andò parte da una Ripa, paste dall’altra del Fiume a cavallo, nel qual tempo con abiti rustici coprendo l’armi di cui erano vestiti Rinaldo Zazzi, et Ottaviano Isimbardi Pavesi, per Nobiltà, et per valore assai chiari, che sembravan senz’armi, et Passaggieri, avevano sotto il Tavolato del Porto diversi Uomini con br arme nascoste d’accordo col Maggiordomo del Cardinale. Giunto il Porto a mezzo il Fiume, tagliaron le funi con suoi Seguaci, et messi i stiletti alla gola alle Guardie in un punto per ucciderle in caso di resistenza, gli levaron di mano il Cardinale, et dal Porto, in una Nave ivi allor giunta d’uomini armati piena, dal conte Gentile per ciò di concerto mandatagli, qual in un’altra, che quella seguiva, gli venne presso in difesa, incognito, con Uomini, er Armi, et minuti tormenti bellici ben munita, non potendo per la lontananza i Cavalli Francesi far contrasto, venne in questo con facilità di Prigionia liberato esso Cardinale, et sin che fusse in sicuro, dalli medesimi accompagnato, et difeso ». Cfr. G.B. PIETRAGRASSA, op. cit., fol. 253.

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una bianca cavalcatura. Davanti al prelato è l’Isimbardj che lo invita a Smontare, attorniato da tre altri cavalieri con elmo e lorica, i due fratelli Zazzi e il Beccaria. In lontananza si scorge il Po col porto natante e al cune barche cariche di soldati francesi. Oltre il fiume, all’orizzonte, si proflia il castello di Bassignana. In un angolo dell’affresco è rappresentata la scena dello scontro che precedette la liberazione, con piccole figure di cavalli e soldati morti o feriti, e il cardinale a cavallo che fugge. Sotto l’affresco è la seguente iscrizione latina: « Tibi vero, Octavjane Isimbarde, Florentia Mediceum, Roma pur puratum, Italia heroem, Orbis Leonem X debent. Quem, scilice: profUgati apud Raveprnam /oederatorum exercitus Legatum, ci captivum, ad Bassinianam Iugaiis Gallicis turmis, dexteram ecclesiae /uturam aliquan do capra reddidisti ». Ancora una volta, dunque, Bassignana fu alla ribalta della storia nazionale.

Dopo la cacciata dei francesi, il ducato di Milano veniva assegnato a Massimiliano Sforza, figlio del Moro, ma contro di lui, l’anno seguente, Luigi XII inviava un esercito comandato da Gian Giacomo Triv-ulzio, I francesi, occupata una vasta zona ai confini occidentali del ducato, passarono nel territorio pavese nell’intento di raggiungere Pavia. Incon trata una forte resistema, essi ripiegarono su Novara, ove il 6 giugno 1513 furono sbaragliati da Massimiliano Sforza e dalle truppe svizzere e imperiali. Nello stesso anno, ristabilita la pace nei territori del ducato, Massi miliano Sforza poté dedicarsi alla riorganizzazio~~ dello Stato e, fra le molte cose di cui ebbe modo di occuparsi, vi fu anche il feudo di Bassi gnana, da lui assegnato in data 20 ottobre 1513 a Giasone del Maino, che era già signore di Borgofranco.2s F. GuAsco nr Bzsro, op. cii., ad vocem. Giasone del Maino, illegittimo di Andreotto fratello della celebre Agnese, e quindi cugino di Bianca Maria Visconti, nacque nel 1435 a Pesaro dove suo padre risiedeva per essere stato esiliato da Filippo Maria, s’ignora per qual motivo. A Pesaro, Andreotto entrò ai servizi di Francesco Sforza che lo portò con sé a Milano: il 14 gennaio 1456 fu investito del feudo di Borgofranco e il 28 ottobre fu nominato consigliere ducale. Giasone studiò a Pavia e a Bologna, tornò a Pavia a laurearsi nel ‘67 e lo stesso anno ebbe l’incarico di leggervi il gius civile. Nel 1485 fu chiamato a Pisa ove tenne lezioni sino all’89, quando tornò a Pavia a riprendere l’insegnamento, poi abbandonato per una malattia agli occhi.

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Nel frattempo, venuto a morte Luigi XII, gli successe il cugino Francesco I, che ne aveva ereditate le mire e i pretesi diritti sul ducato milanese. Raccolto un nuovo esercito, il nuovo re scese in Italia e, a Melegnano, il 14 settembre 1515 faceva macello degli svizzeri e cattu rava sul campo il duca Massimiliano che, tradotto in Francia, visse prigio niero sino al 1530. Il trattato di Noyon, siglato nell’agosto 1516, riconosceva alla Fran cia il possesso del ducato milanese, ma alla fine del 1521 i francesi erano costretti dalle armi dell’imperatore Carlo V ad abbandonare il ducato, che veniva assegnato a Francesco 11 Sforza, altro figlio del Moro. Dopo un inutile tentativo del Lautrec (1522) di riconquistare il territorio milanese, nel 1523 scendeva in Italia l’ammiraglio Bonnivet, il quale riusciva a impadronirsi di Novara e di quasi tutta la Lomeffina, dove avvennero vivaci scontri. Il Merula attesta che nel 1524 gli impe riali di Carlo V traghettarono il Po a Bassignana e con riuscite manovre costrinsero i francesi a chiudersi in Alessandria, In breve, tutta la Lomel una fu riconquistata dagli imperiali che, subentrandc, ai francesi costretti a cedere terreno, si diedero a saccheggiare e bruciare le località occupate come fossero nemici e non liberatori, Delle tristissjme condizioni in cui vennero a trovarsi le nostre terre ci è testimone il Grumello,29 il quale scrive: « Beato chi poteva fare de pegio et maxime Gaspare del Maino et lullio da Capua, capittanei de cavaffi de Cexare, gubernanti ambidoi la città Alexandrina con infanti tre millia et cavalli quatrocento facendo facti da non credere ogni giorno ...

Acquistata una grandissima fama, divulgata dalle sue numerose opere giuridiche, fu chiamato dai contemporanei maestro dei giureconsulti e principe degli oratori, e gli furono affidate le pi4 importanti ambascerie. Con diploma del 29 agosto 1492 (con servato in originale nell’Archivio Fagnani di Pavia) il duca Galeazzo Maria Sforza lo nominò consigliere segreto e senatore, qualificandolo principe negli studi di giuri sprudenza. Accogliendo le esortazioni di re Luigi XII, che assistette a una sua lezione, nel 1511 riprese l’insegnamento che continuò sino alla morte, avvenuta il 20 aprile 1519. Con suo testamento del 3 dicembre 1518, Giasone del Maino istitul nella propria casa di abitazione un collegio universitario destinato ad accogliere 12 studenti, esprimendo il desiderio che fra gli ospiti della nuova istituzione fosse anche « dominus Lodouicus de Patarinis /ilius domini Ioannis de Bassignana », che era forse un suo scolaro. Parec chi del resto furono i suoi discepoli, fra i quali alcuni veramente insigni, come il Diplovataccio e l’Alciato. Altri dati biografici sono in F. GABOTTO, Giasone del Maino e gli scandali universitari nel Quantocento, Torino 1888. Dopo la morte di Giasone, il feudo di Bassignana passò a Gaspare del Maino, al quale gli abitanti del luogo giu rarono fedeltà secondo l’ordine ricevuto il 24 gennaio 1528 dal duca Francesco il Sforza. Cfr. Archivio di Stato di Milano, Registri ducali, Reg. n. 9, fol. 155. ~ A. GRUMELLO, Cronaca (a cura di G. Mililer), Milano 1856, 362-3.

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fora, bora a Bassignana, hora a Vallenza, essendoli ancora Joanne Ber nardino da Cereto con aiquanti cavalli legieri vallenti non temendo di passare il Pado fiume in Lumellina depredando tutto il mondo di sorte che lo exercito Gallicho hera ridutto alchuna fiata a patire fame ». Agli inizi del 1524 i francesi furono costretti a ripassare le Alpi, ma nell’autunno dello stesso anno Francesco I scese in Italia con un nuovo esercito e pose l’assedio a Pavia, nella quale si erano rinserrati gli imperiali. 11 24 febbraio 1525, con impeto travolgente, gli accampamenti francesi furono attaccati e, dopo strenua battaglia, gli assedianti rimasero soccombenti. Lo stesso re Francesco I, il re di Navarra e molti grandi di Francia, scampati alla carneficina, caddero prigionieri degli imperiali. La strepitosa vittoria di Pavia capovolse la situazione in Lombardia: tutto lo Stato sforzesco tornò in possesso del duca Francesco Il, che rientrò in Milano accolto da manifestazioni popolari di giubilo. Il mo narca francese fu tradotto prigioniero in Spagna, ma fu più tardi liberato in seguito al trattato di Madrid del 14 gennaio 1526, in base al quale egli rinunciava solennemente ad ogni sua pretesa sul ducato di Milano. Proprio quando la situazione dello Stato milanese sembrava stabi lizzata, tra il duca Francesco Il e Carlo V si accese un forte contrasto: l’Imperatore accusava lo Sforza di tradimento nei suoi confronti. Il re di Francia approfittò del contrasto e, dichiarato nullo il trattato di Ma drid, riconobbe lo Sforza come legittimo duca di Milano e strinse una lega coi veneziani, il duca di Savoia e altre potenze europee. Di fronte all’ampiezza di tale alleanza, Carlo V corse ai ripari e affidò il comando supremo delle truppe imperiali al conestabile di Bor bone. Questi lasciò in tutta fretta Barcellona e, sbarcato a Genova, si diresse a marce forzate verso Alessandria, giunse a Bassignana e, varcato il Po,3° entrò a Milano, da cui lo Sforza era già uscito il 24 luglio 1526. Mentre gli imperiali presidiavano saldamente la capitale del ducato, il Lautrec, comandante supremo delle truppe francesi, varcò le Alpi e puntò verso Alessandria. Espugnata questa città, il Lautrec « fece but tare uno ponte sopra il Pado fiume nel locho di Bassignana »~ e si avviò quindi verso Pavia, cingendola d’assedio. Dopo aver distrutto con le artiglierie parte della cortina muraria, il 5 ottobre 1527 il comandante francese poteva entrare con le sue truppe nella città, sottoponendola a un orribile sacco. ~..

‘~ 31

lvi, 407. lvi, 454.

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L’anno seguente, Carlo V radunò un grosso esercito da inviare in Italia in soccordo di Antonio de Leyva, capitano generale delle truppe imperiali in Italia. Questi, venuto a conoscenza del prossimo arrivo dei soccorsi, sul principio di maggio del 1328 ordinò a Pietro Biraghi di incamminarsi verso la Lomellina, di passare il Po e di attestarsi a sud del fiume, in modo da intercettare le comunicazioni tra la Francia e le truppe francesi stanziate in Italia. Ricevuto l’incarico, il Biraghi « hebe pigliato il camino di Lumellina et sottopoxe al suo imperio Bremo et il borgo di Bassignana castelli et Basignana, castello oltra il Pado fiume; et facta l’expedicione de dicti castelli fece il passo dil Pado fiume e fu posto nel castello di Casei Cer vione, capittanio Cexareo, ogni giorno occupando di varie corrarie li campi Tertonexi, Pavexi et Piacentini per havere el predicto Biragho sottoposto al suo imperio la Stradella castello in sul camino di Pia cencia »?2 Le truppe comandate dal Biraghi appartenevano a quella famigerata accozzaglia di soldati italiani che, nota sotto il nome di « straccioni », commise ogni sorta di efferatezze nelle nostre terre. La costituzione di tale compagnia fu favorita dal de Leyva il quale, trovandosi con poche truppe e senza denaro, « sforzato da la necessitate per mantenire il stato Mediolanense a Cexare hebe deliberato di fare alquanti capittanei Ittal liani, quali bavesseno ad unire gente Ittalliane più fosse possibile et quelle pagharle con la libertate cioè di fare male et cossi fu ellecto Petro Biragho, Philippo Torniello, Pietro Butigella et altri capittanei anchora Ittalliani, essendo poi Pietro Biragho capittaneo generale de tutti li It talliani, per li quali fu unito circha quatro miffia infanti la più parte longhobardi cioè Mediolanensi, Novariensi, Papiensi, Alexandrini et Ter thonexi et a questa infantaria da aichuni spiriti nobili li fu imposto il cognome de li strazoni et ali capittanei capittanei de li strazoni. Alchuni dichono latroni che non hera fora di proposito che a volere descrivere li mali, quali herano facti per questi strazoni non basteriano quante carte sono fabricate in Fabriano castello in memoria di questi strazoni » Il Grumello ci descrive in modo assai efficace il modo di procedere di codesti straccioni: « como arrivaveno ad una terra o villa scorrevano la campagna et tutti li bovi, vacche, cavalli et cavalle, contadini et gen tilhomini conducevano pregioni a soi alloggiamenti et tali bovi, vacche ‘~ ‘3

lvi, 476. lvi, 483.

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et bestie et homini tutti haveano cridato Franza. Le bestie herano per dute; le invencione de li tormenti herano facte per detti strazoni per fare taffia ali poveri Christiani. Io sono certissimo che mai santo alchuno fusse tormentato di la sorte herano epsi, quali chaschavano ne le mane de dicti strazoni. Alchuni herano apichati con le corde ali testichuli a qual che trabe et con verghe et con aghugie insiema herano battuti li testichuli ussendoli el sangue con gran crudelitate. Alchuni herano perghottati con el lardo come fu Sancto Laurencio, et altri et tanti vani tormenti, i quali io mi vergogno a descriverli. Turchi, ne Mori, ne Saraceni haveriano unto le crudelitate che uxaveno questi maledetti milliti; et ad chi uxa veno queste crudelitate? ad homini incogniti, dicho ad soi medemi com patrioti. O infortunato paexe, dove habitaveno queste prave generacione et mazcime, o infortunato paexe de Lumellina, Novarexe! Terthonexe, Alexandrino et Millanexe! Non se ritroveno più bovi, ne vacche; le terre inculte, le castelle et ville destructe, la carestia grandissima de ogni cossa. O povera Ittallia! non he già di bisogno che venghano sopra di te Turchi ne Mori per castighare li toi peccati, perché Idio ti ha mandato generacione più prave et più crudele che non sono essi Turchi et Mori sopra poveri Christiani. Sono venuti a questi tempi li Luterani, quali hano distructa la magnanima città di Roma; li strazoni hano distructo el nobffissimo stato Mediolanense. In epso stato al prexente non se ritrova se non stridi, lamenti, ardire de rabie, fame et peste, guerre crudelissime et crudelitate inhaudite; che sé ritrovato in alchuni lochi del Mediolanense per la fame de povere matre esserli morte le proprie figliole et quelle poi per la fame esse matre haverle devorate et queste cosse non te le scrivo per folle, te le ho scripte più certe che certi tudine »?~ Le tristissime condizioni dei popoli, ma più ancora la penuria di denaro e di mezzi, indussero Carlo V e Francesco I a sospendere le osti lità e a stipulare la pace di Cambrai (1329). In base al trattato, il re di Francia rinunciava ancora una volta alle sue pretese sul ducato di Milano, che nel dicembre 1529 veniva restituito a Francesco Il Sforza. Questi peraltro venne a morte il 2 novembre 1535 e, non avendo lasciato discen denti, Carlo V si trovò ad essere il signore del ducato, inaugurando il predominio spagnolo sulle nostre terre. ...

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lvi, 483-4.

PARTE TERZA Sotto il predominio spagnolo La dominazione sabauda L’astro napoleonico Dal primo al secondo risorgimento

SOTTO IL PREDOMINIO SPAGNOLO

Lo Stato sforzesco, già capace di una vigorosa politica propria, sotto il predominio spagnolo divenne una semplice pedina in un gioco politico che trascendeva ormai i limiti nazionali, subendo il peso di una situazione che era immediata conseguenza di un contrasto di interessi di livello europeo, nel quale il ducato milanese entrava solo come oggetto di disputa. Appariva ormai chiaro che tra le due potenze dominanti nell’Eu ropa continentale, Francia e Spagna, era in gioco il rapporto generale di autorità e di potenza. Non si trattava dunque di un problema partico lare, ma del problema politico di fondo: non era in discussione una mera questione territoriale, bensi la supremazia politica in Europa. Il possesso del milanese costituiva la chiave per realizzare tali aspirazioni, e ben si comprende quindi come la Francia continuasse ad avanzare le sue pretese sul territorio, nonostante le replicate rinunce e gli impegni solennemente assunti. Il continuo stato di tensione fra le due maggiori potenze europee ebbe gravissime conseguenze per il ducato milanese, sottoposto a distru zioni, angherie e gravosi balzelli, questi ultimi imposti alle misere popo lazioni per contribuire al mantenimento delle soldatesche stanziate nelle località di interesse strategico.1 Anche Bassignana, al pari dei centri vicini, dovette subire le gravi conseguenze dell’occupazione spagnola, avviandosi verso un lento ma progressivo declino accentuatosi in coincidenza con le guerre combattute verso la metà del secolo tra Francia e Spagna. A rendere ancor piti pre caria la situazione intervenne un gravissimo provvedimento adottato dalle autorità spagnole nei primi mesi del 1532: la demolizione della cerchia Un documento del 1552, conservato nell’Archivio di Stato di Milano, accenna alla tassa imposta alle località dell’alessandrino, fra le quali Valenza, Pecetto, Pietra Marazzi, Rivarone, Bassignana, Mugarone, Grava, Rivellino, Piovera e Sale. Cfr. F. GAspAitoLo, Carte alessandrine nell’Archivio di Stato di Milano, Alessandria 1904, n. MCCCXXXI, 148.

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murata medioevale che cingeva il borgo.2 Non sappiamo esattamente quali ragioni di natura strategica abbiano suggerito tale provvedimento, che ebbe comunque effetti incalcolabij per la popolazione locale, che da quel momento rimase esposta agli assalti del nemico senza la minima pos

sibilità di difesa. Sintomo eloquente della critica situazione in cui versava Bassignana verso la metà del Cinquecento è costituito da un atto del 2 settembre 1555 contenente una deliberazione del consiglio comunale del luogo per inviare un messo « in exercitu Cesarea ad suppiicandum nomine dicie Comunitatis Iii.mo et Ex.mo domino duci de Aiuti, locumienenti Cesaree maiestatis », nonché altri messi in Alessandria per ottenere di essere eso nerata dall’ordine di pagare « miiitibus hospitatis in loco Valentie ad rationem reaiis (pro) singuio milite », come pure per altri affari comu nali. Il Comune si rende garante « de reievando ipsos ellectos ut supra ab omni captura si contigerit ipsos capi per miites /rancigenas. et de soi vendo omnem taxam inde fiendam si contigerit ipsos quomodolibet capi in dictis itineribus »? Affranto dalle continue guerre, il 6 febbraio 1556 l’imperatore Car lo V abdicò al regno di Spagna a favore del figlio Filippo Il, e poco dopo rinunciò anche al titolo imperiale a favore del fratello Ferdinando I. Da quel momento, la casa d’Asburgo si divise in due rami: quello spagnolo di cui fu capostipite Filippo 11, e quello austriaco discendente da Fer dinando I. Il nuovo re di Spagna ebbe presto a combattere contro Enrico 11 di Francia, che rinnovava le antiche pretese francesi sul ducato di Milano. Alle prime voci di guerra imminente, il governatore di Milano si preoc cupò di organizzare le difese, e stabili presidi di truppe nelle località del ducato di immediato interesse strategico. Fra il Natale 1556 e il 20 febbraio seguente a Bassignana transita rono a varie riprese truppe cesaree e personaggi illustri, fra i quali il governatore di Milano Ferdinando Gonzaga, il duca Emanuele Filiberto 2 F. GASPAROOLO, Carte... cit., n. MCCCXXXI, 148. In una lettera dell’il aprile 1552, indirizzata a Ferdinando Gonzaga, il governatore di Alessandria scrive fra l’altro: « Alla impresa di rovinare le muraglie di Bassignana avanzareno certi picchi, e badili, quali feci reponere in questa cittadella hor pare chel magistrato voglia che si mandano in Milano, et perché alla giornata se ne potria haver di bisogno più in queste parte che altrove per servitio di sua Maestà, supplico V.E. sia servita ordinar al commissario Rotta che debba lassare esse robbe in detta citadella... ». Inutile dire che la cittadella di cui si fa parola è quella di Alessandria. F. GASPAROLO, Memorie... cit., I, 1, 75, nota 2.

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di Savoia e Raimondo Cardona, che si trattennero in paese per qualche giorno. La notizia risulta dal seguente atto, senza data, redatto verosi milmente dalla comunità del luogo: Sono alloggiati in .Bassignana da Natale 1556 sino alli 20 de Febraro susse guente a discretione li Cap.ni con loro soldati infradescritti. La vigilia di Natale predetto, el Cap.no Lorenzo Fux allemano con boche 309 per tn giorni. Al primo de genaro li Cap.ni d’infantaria de Cesare da Napoli, Giovanni Thomaso da Napoli, Rossino da Cremona et Scipione Mayo con boche 440 per doi giorni. Lii 6 del predetto due Compagnie de Todeschi dil Barone Sisnech con boche 615 per tn giorni. Alli 10 del predetto li Cap.ni del Collonnello Hieronimo Sacho Bartholomeo da Ollevano Alessandro Speciano et Allessandro isimbardo per doy giorni con boche 219. Alli 12 del predetto li Cap.ni de Cesare da Napoli Cesare Spina Sordo da Brinthisi et Gregorio Callabrese con boche 654 per giorni cinque quali oltre il vivere superfluamente hano robatto quanto gli è andato alle mani et fatto tributtari a loro solito. Lii 18 del predetto due Compagnie d’infantaria spagnola una del Sig. Gover natore d’Alessandria l’altra dei Cap.no Don Garcia con certi cavalli lig gieri con boche 280 per doi giorni. Alli 3 febraro li Cap.ni de Cesare da Napoli Scipione Mayo et Rossino da Cremona con boche 204 per doi giorni. Alli 5 dii predetto li Cap.ni Gio. Battista Galiciano Lione Bellaguarda Sigi smondo Gonzaga el Lionello da Napoli con boche 513 per tn giorni. Ultimamente alli 7 dei predetto per giorni nove de homini d’arme

Il Sig. Dan Fernando Gonzaga Sig. Duca de Savoya Sig. Conte ManIredo Torniello Sig. Dan Raymondo de Cardona Sig. Dan Francesca de Beamonte Sig. Ascanio Collona Sig. Camillo Collana et Sig. Conte de Potenza de Cavalli liggieri Giri Battista Romano la guardia della Cotte de Ca.li leggieri Mons. de Nerin Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana.

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Hieronimo da Bussetto Cesare da Napoli Il Cavaller Lingiero Gio. Zapante Don Antonio de Tessedo Bernabò dalla Marra Dom. Pietro de Tolledo Et tre altre compagnie li cui Cap.ni non si sano nominare Archibuggieri a Cavallo Pietro Montagnese e Dominico Spagnoli.

L’8 gennaio 1557, Enrico Il re di Francia dichiarò la guerra a Filippo 11 e mandò in Italia un esercito comandato da Francesco duca di Guisa, coadiuvato dal generale Brissac. Questi, proveniente da Casale, si gettò su Valenza e il 20 gennaio riusci a impadronirsi dopo breve asse dio dell’importante piazzaforte. Il duca di Guisa, con una parte dell’eser cito, prosegui poi la sua spedizione verso Roma, e lasciò a Valenza il Brissac con 8.000 fanti e 800 cavalli, sufficienti a tenere in rispetto le truppe avversarie. In campo spagnolo, la caduta di Valenza fu accolta con sgomento, e si cercò in ogni modo di evitare che la situazione potesse precipitare. Particolari apprensioni destava negli spagnoli la posizione di Bassignana la quale, per la sua vicinanza a Valenza, rischiava di cadere in mano ai francesi, aprendo a questi il passaggio verso la Lomellina e il cuore stesso del ducato. Da qualche parte fu avanzata la proposta di fortificare il luogo di Bassignana per renderlo atto a respingere eventuali attacchi delle truppe francesi. Contro questa proposta peraltro si dichiarò un consi gliere di guerra cli Filippo Il, di cui purtroppo non sappiamo il nome, il quale scrisse sulla questione il seguente memoriale del 20 marzo 1557: Essendo io stato posto Monsignor ill.mo et rev.mo per ricordo di V.S. ill.ma el per la buona voluntà che tiene per il signor marchese di Pescara nel numero de consiglieri della guerra con tutto ch’io sia debilissimo a tale peso et perciò molto p14 volentieri ascolti il parere degli altri che dire io il mio. Nondimeno Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, n. 12. 11 documento reca il seguente titolo: «Memoria di un Consigliere di guerra del Re cattolico Filippo TI con cui dimostra l’inutilità che ne ridonderebbe dall’effer tuazione del progetto di fortificare Bassignana nella Lomellina doppo la perdita di Valenza occupata dai Francesi sotto il comando del duca di Guisa ».

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per essermi trovato in San Salvatore nel consiglio che fu proposto che rimedio possa farsi contra la perdita di Valenza ben ch’io dicesse qualche cosa del parer mio ùon havendone a pieno raggionato quanto l’animo mi dittava et il suggetto richiedea non mi è.parso disconveniente farne con la penna qualche p14 maturo discorso et inviarlo a V.S. ill.ma non ad altro fine che per scoprirli il buon animo mio nel servitio di questo serenissimo et grande Re al quale servo supplicandola che da quest’animo lo àccetti et non in altra parte. Il danno che possano fare nemici a le cose nostre ritenendo Valenza è tanto manifesto che sarebbe soverchio fatticarsi in dimostrarlo; per rimedio è parso ad alcuni esser bene fortificare Bassignana perché ci conserverà il passo del Po che male potendo con ponte passare i» altra parte fuori c& a Pontestura ci conserva Sale, Castelnuovo et tutta quella parte del Tortonese di la da Po et per giuditio loro guarderà la Lomellina anchora paese del quale ci coWviene havere molta cura per esser uno de’ granari di Milano ed anche di Pavia. Hora mettendosi in bilancia il danno che può questa fortificazione portare et dall’altra parte il frutto che se ne cava vi trovo viamaggiore la spesa et l’inte resse ch’el beneficio. Et prima considero che vi vorrà un essercito almeno di cinque o seimila fanti che faccia spalla all’opera con qualche numero di cavalli che assicurino le vittovaglie et Dio voglia che bastino et che mentre ch’el loco resta aperto da ogni canto non li venga addosso qualche grande rompre il quale dubio per la vicinità di Casale et di Valenza et per la facilità che hanno li nimici di mettersi insieme non mi pare vano ne da sprezzare. Et quantunque mettiamo noi in Sale o in~ Castélnuovo o in Tortona altra gehte che dia calore a quella che fortifica è però grande avantaggio di, chi assalta. poi che s’elege il tempo el la occasione a suo modo et spesso s’intende il successo prima che la mossa oltra che tanto maggiore spesa vi bisogna; ci vorranno poi quei VI mila soldati ed cavallieri, da 3 o 4 mila guastatori et da 2 mila altre persone inutile che sempre sono nel esercito una grande quan tità di vittovaglie, vorranno i cavalli fieno paglia e biada che sapemo in Bassi’ gnana et nel contorno suo non n’essere et non può la fortificazione mettersi in qualche forma in mancho di cinquanta giorni in circa et lasciando di parlare dei danno che in tutto questo tempo vorranno li soldati, la cavalleria et li guastatori; vi vorranno compito il forte qualche migliaia di sacchi di grano di monitione con tutto che il ricolto si anderà avvicinando poiché l’incerti. tudine dell’avvenire et i casi dele fortune della guerra non tollerano che ‘si lasci quel forte, fatto che sia iprovisto et a benefficio di fortuna et non sarà questa picciola consumazione di vettovaglie nell’Alessandrino non essendovi modo di trovarne altrove et essendo bisògno provvedere di presente Asti et Valfenera che n’hanno tanta necessità che è maraviglia come tanto si diferisca il provedergli. Et se. oltre la gente che sarà di Bassignana altra se ne metterà. in’ Sale et nel contorno suo come s’è detto di sopra tanto p14 si scemeranno le vettovaglie et non pur i grani ma ‘i vini anchora dei quali si ha ordinaria mente charestia quel paese come, non viene aiutato dal Monferrato il quale si trova del tutto in poter de’ nemici. Ma quando sarà compita ~quest’opera restiamo però forzati tenere in Alessandria et per l’ampiezza soa et per la vicinità di Valenza uno forte et grande corpo di gente et altre tante in Bassi.

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gnana la quale sola ci viene ad aggiungere poco mancho di 50 mila scsi/i di spesa per guardarla et piacesse a Dio ch’ella ci recasse poi al incontro quel beneficio che noi ne promettiamo ma incominciando dal passo del Po io non vedo che ponte possiamo farvi sopra che non sia in mano dei nemici disiparlo et brugiarlo sempre che gliene venga voglia poiché passa il fiume discosto dalla terra ben mezzo miglio se non si tornarà nell’antico alveo che è sotto (a terra con molte migliaia di scuti et pur resterà in libertà del fiume scambiarlo sempre che vorrà perché gliele muta il sito et quasi ne lo forza. Ma che questo forte ci conservi la Lomellina tengo per impossibile perché sarà sempre in facultà de’ nemici et da Casale et da Valenza comandare et dominare come sono usati di fare negli altri nostri confini quante terre si tro vano fra Po e Tesino anzi per Dio quante cassine che gli portino guastatori carra vettovaglie et danari et a sono d’altro che di sferza o di basto si faranno obedire et se per qualche tempo saremo noi in quella parte patroni della cam pagna che non può però esser senza esercito ne senza gravezza intollerabile del paese bastava che lo siano loro anche in un altro poco di tempo poiché si facciano portare a casa i tassi et presenti et passati anchora poiché così usano di fare negli altri confini. Anzi veggio nascere nuova et inevitabile rovina in detta Lomellina poiché non da uno solo presidio ma da entrambi sarà intestata et devorata onde necessariamente verrà a dishabitarsi et così da questo nuovo forte uno solo beneficio cavaremo che è la conservatione di quella parte che è oltre Fo et Tanaro et piaccia a Dio che ancho in questa non na~ca difficoltà poiché non per questo restaranno nemici impediti di pas sare in quella parte ogni volta che si trovino patroni della campagna et forti ficarne quel loco che gli varrà pid a proposito. Altri poi che hanno queste difficoltà s’hanno creduto non bastare il forte di Bassignana chi non fortifica un altro loco di qua dal Fo al rimpetto di Valenza giudicando in questo modo potersi chiudere a nemici il passo della Lomellina ma questo parere corre le istesse difficoltà che di sopra havemo detto de l’altro poi che vole anche egli una grande spalla d’esercito un gran numero di guastadori un grande consumamento di vettovaglie grande perdita di tempo poiché tanto pis1 lungamente restaremo impegnati senza potersi spendere in altro paghe che non cessino monitioni in gran copia uno altro nuovo presidio grave al Re et via pi% grave al paese et altri 40 mila scudi l’anno di spesa a sostentarlo. Ne per questo si verrà a chiudere il passo a nimici che non possano secondo i tempi et le occasioni et da Valenza et da Casale infestare la detta Lomellina mettendosi quel nostro forte a mano manca o a mano dritta come pid loro verrà a concio et quando questo non avenga ne averrà almeno che questi duo nuovi presidii nostri si mangeranno et distru geranno gran parte del ricolto di quel paese siche in ogni modo poco o nulla ne avanzarà per Pavia né per Milano laonde vengo a concludere che molto pid convenga al servitio del Rev.mo signore et al beneficio de populi anzi che sia del tutto necessario che si pensi et s’intenda a levarsi da fianchi questa peste di Valenza et non a queste fortificazioni et chi considera bene la spesa che vorranno questi forti o siano due o pur uno solo poco pid si viene a spendere uno o duo mesi che voglia il tempo la espugnatione di Valenza di

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questo che porteranno queste fortificazioni et il guadagno et beneficio che ne risulta e tanto et tale che quasi non c’è proportione ne paragone. Supplico Monsignor ill.mo che la bontà et cortesia vostra accetti questo of ficio mio dal buon zelo che ho nell’anima di servire a Soa Maestà verso la quale mi parria peccare grandamente s’io tacesse cosa che in mente mia cre desse che avendola potessi farli servicio tutto che ella potesse da altri meglio di me intendenti esser stimata di molto poca importanza et si degni tenermi nel numero de suoi humili et devotissimi servitori et a V.S. ill.ma bacio reverentemente la mano pregando N.S. che la conservi et li doni de la soa gratia quanto la desidera. Di Pavia li 20 di Marzo 1557.

Sembra che i concetti esposti nel memoriale sopra riferito siano stati condivisi in alto loco, giacché il progetto di fortificare Bassignana non fu mai attuato, e si ritenne sufficiente, a parare eventuali attacchi nemici, il presidio di truppe stanziato nella località. Intanto, i continui alloggiamenti militari, le angherie e le depre dazioni delle soldatesche spagnole e italiane, finirono per gravare in maniera intollerabile sulla misera popolazione di Bassignana, tanto che Gio. Francesco Provera, agente della comunità, si trovò costretto a stilare la seguente supplica,6 dalla quale traspare con molta evidenza il terribile stato in cui versavano gli abitanti del luogo: Ill.mo et Rever.mo Principe, la gran ruina di quel povero smantellato loco de Bassignana, deve essere pisi che manifesta, non tanto a V.S. Ill.ma et a tutto il Stato de Milano, ma anche ad ogni altro assai pisi lontano, conciò sia che oltra gli altri infiniti patimenti, da Natale prossimo passatto in qua sii sta continuamente pieno de soldati, et molestato de diversi altri carichi, et ultimamente ha alloggiato per giorni nove otto stendardi d’homini d’arme, et quindece de cavalli liggieri che gl’hano consumato tutto il viver suo, et de loro bestie, senza pagamento d’un soldo, a tale che detto povero loco è dil tutto abbandonato, et molti che vi soleano habitare sono morti de dissaggio, et tuttavia moiano in campagna a modo de animali campestri, cosa horrenda da oldir, ma pia da veddere e provare, et degna de gran compassione, e non di meno non manchino continue molestie, hor per debbiti, che detto loco ha in Camera, hor per carri buoi e guastatori, et per altri novi carichi. Hora ad viene che il S.or Governatore d’Alessandria, dalli 29 de genaro prossimo passatto in qua, ha tassatto a detto loco una con tributione de reali undece il dì, che dice volere per feno paglia, et piaze (...1 dil Presidio d’Alessandria, et li monicionieri de detta Città molestino detto povero loco, per debbito de tasse de cavalli, non ostante che l’ecc.mo S.r Duca d’Alva avanti Natale ordinasse che detto loco non fusse molestato per alcun Archivio di Stato di Milano, Comuni, Bassignana. La supplica è senza data, ma risale con certezza ai primi mesi del 1557.

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carica ordinario, nè extraordinario, spettante alla Camera, per il passano nè per l’avenire, sino ad altra ordine in contrario, sotto pretexto che dette tasse siano d’essi monicionieri per loro accompre, et cosi che non sii pid caricho spettante alla Camera. Et veddendo il Comissario de quelle imprese che in detto loco non si trova per fare esecutione, ha fatto detenere in priggione quattro homini de detto loco che s’erano retratti ad habitare in Alessandria non potendo stare a casa sua, dai per detta contributione novamente imposta, et gl’altri doi per dette tasse, onde se la clementia divina et innata bontade et misericordia de V.S. Ill.ma non gli pro vedde, questi poveri detenuti consu merano in priggione, et questo povero populo se anichilerà del tutto. Perciò li poveri sgraciati homini di detto loco con lachrime a gl’occhii ricorreno alla misericordia de V.S. Ill.ma. Supplica si degni ordinare al S.r Camillo dalla Predda Commissario, che facci rellassare detti detenutti, et che non molesti pi4 detto loco né per detta con tributione nè per dette tasse, et ordinare ancor che esso loco sii preservatto da tutti i carichi ordinarii et extraordinarii almeno per ani quindece, et che gli sii provisto dil vivere di qua al pocco raccolto prossimo acciò che non /lnscano de morire di fame li poveri homini sopravanzati in queste ruine, e come sperano.

Le successive vicende della guerra mutarono le sorti delle armi a favore degli spagnoli: nell’ottobre 1558 fra le parti contendenti fu stipu lato un armistizio, e il 3 aprile 1559 fu stipulato il trattato di Chateau Cambresis, che poneva fine al cinquantennale duello fra le due massime potenze europee e sanciva il ritorno alla Spagna delle terre occupate dai francesi durante il conflitto, fra cui Valenza. Il governo spagnolo peraltro non cessò di molestare le popolazioni con continue esazioni di tributi che finirono per stremare del tutto l’eco nomia locale, riducendo i poveri abitanti alla più assoluta miseria. Anche Bassignana, già duramente provata dai continui alloggiamenti militari, in breve venne a trovarsi sull’orlo della rovina, come risulta dalla se guente supplica senza data, ma del 1559-60 circa, che delinea chiara mente la situazione del paese: Ill.mo et ecc.mo Prencipe, il volere narrare a V. Ecc.a quanto sii destrutta et ruinata la po vera et misera terra di Bassignana mi pare assai superfluo. Perciò che lo puote facilmente demostrare lo essere aperta, sul passo del Piemonte er appresso Valenza milia tre, donde ha patitto tanti alloggiamenti de soldati passaggi de exerciti et altri eccessivi danni quanto quale si voglia altra terra del Statto de Milano oltra che nel tempo del raccolto passatto li saccomani dil Campo et Ferraioli gl’hano destrutta et ruinatta la Campagna talmente che se la mercé del nostro S.or 7

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Iddio non li aggiutta sarano costretti li poveri habitanti di quella misera terra con loro poveri figliolli andare mendici et morire de fame. Perciò ricorrano da V. Ecc. supplicandola si degni attesa la loro ruina et atteso anchor che di ordine di quella il mese di settembre prossimo passatto sono stati astretti pag gare ogni giorno reali ottantadoy alli soldati de Valenza ordinare a chi spetta che non voglia molestare essa terra per il mensuale de l’ano che viene, che bora V. Ecc, richiede, et per altri carichi, altrimente sarano constretti abando nare le proprie case andare dispersi et perire de necessità, il che non si crede esser mente di quella, la quale nostro Signore conservi et prosperi.

L’ultimo scorcio del travagliatissimo sec. XVI si chiude senza avve nimenti degni di rilievo per la storia interna di Bassignana, ridotta ormai a semplice località di frontiera, sguarnita di fortificazioni e con la popo lazione decimata dalla famosa peste del 1575 che infleri in tutto lo Stato di Milano. Anche se non possediamo dati sicuri circa l’incidenza del morbo epidemico a Bassignana, si ha ragione di ritenere che la peste abbia mie tuto una parte notevole della popolazione facendo precipitare l’indice di natalità, in un contesto sociale ed economico già largamente compromesso dalla vessatoria politica fiscale dei dominatori spagnoli. A rendere ancor più inquietante il quadro contribuiva certamente una accentuata corrente migratoria degli strati inferiori della popolazione, le cui disperate condizioni costituivano un incentivo a ricercare altrove più umane forme di vita. Per avere un’idea del clima di intimidazione morale in cui era co stretta a vivere la nostra popolazione, continuamente esposta alle vessa zioni, agli arbitrii e alle prepotenze dei padroni spagnoli, sembra parti colarmente istruttiva la lettura di un memoriale indirizzato in data 10 ottobre 1590 al governatore di Milano dal podestà di Bassignana Ettore Bellingeri.8 Il memoriale intende richiamare l’attenzione del governatore sulle estorsioni perpetrate dal capitano Ghitiano, che in passato fu ufficiale addetto alle biade per il territorio alessandrino, e dal collega di questi Oliviero Panizzone, ai danni delle popolazioni « de Basignana et Riva rone oltra Po pavese », tanto che ogni suddito dei luoghi citati « esclama sino al Cielo del mal proceder» dei due prepotenti. Il Beffingeri chiede che il governatore dia incarico al magistrato straordinario « che facci Ivi. A tergo del memoriale sta scritto: « 1590. a’ X di ottobre. Letto etc. il Fiscale Vayano prenda l’opportune informationj di quanto s’espone, et ne faccia rela tione a S. Ecc.za. Bigarolus ».

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pigliar informatione delli agravii et Ghatiano et Panizone alli sudditi

estorsioni fatti et comessi per detto et poi proveder che siano resarciti quelli alli quali sono stati gravati indebitamente ». A tale effetto, il Bel lingeri allega al suo memoriale la seguente Nota delli agravii fatti alla Comunità de Basignana dalli Comissarii del Ill.mo S.r Cid Comissario nel Alessandrino et Arivarone Prima fu mandato uno detto Ghitiano spagnolo con sette cavalli et il detto volse che dai consoli li fosse pagata la spesa al hosteria et essendoli dimandato da consoli che mostrasse l’ordine che teneva per bayer da comuni le spese disse che lo teneva in petto et fu bisogno che li consoli facessero pagar i’hoste. Il detto Ghitiano il di 12 settembre fece publicare in detta terra la crida che bandisse nave e burgielli et subbito esso fece incatenar tutti li burchielli et fece portar le chiavi in mano de uno de consoli, cosE li burchielli de molinario come quelli de pescatori et non obstante che ciascuno havesse obedito subbito come esso medesimo vide il detto Ghitiano fece coman damento alli molinari pena cento scudi che se dovessero trovarse in Ales sandria cosE presto come esso il che da essi moljnari fu obedito. Essendo comparsi li sudetti molinari avanti al S.r Oliver Panizone subdellegato del Ill.mo S.r Cid li fece subbito metter pregione dove che per usire ne volendo dire che haveveno obedito alla grida et che non havevano errato, bisognò che componessero in trenta scudi per caduno che tra li cinque molinari che con il relasso e altro scudi trentatre per caduno de modo che ne ha cavato una somma de scudi cento sesantacinque da detti moli nari el li molini sono stati Otto giorni senza macinare con danno et miseria de poveri. Alli pescatori è stato il medemo et se hano voluto andar a guadagnare del pane per vivere hanno composto in ducatoni cinque et con la licentia et altre spese tutta somma in ducatoni sei pér caduno pescatore che sono di numero trenta de modo che ha cavato anco da detti poveri scudi cento cinquanta non obstante che ve ne sono de quelli che sono in Piemonte et ancho che non hanno burchielli A Simone portinaro del Tanaro il detto Ghitiano menò in Alessandria un garzone, è stato forzato per uscire pagar scuti vinticinque el il fonda mento suo dice che la grida fatta in Milano li XI agosto debbe havere loco anco in Basignana il che non poi essere et che perciò sono cascati in pena. Venne poi un comissario a descrivere le biade et tor le populationi et fatta detta descritione se ne andò et portossi un libro delle populationi detratta dal originale. Doppo a quattro giorni venne l’Ill.mo S.r Cid con il Sig.r Olivero Panizone dove chiamorono li consoli et menandoli de pregionia, volsero l’atro libro delle populationi et menando seco uno de consoli in Alessandria et incar

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cerato et dopo data segurtà de representarse con spesa de quatro ducatoni fu relassato. Doppo è venuto un altro Comissario mandato dal detto S.r Panizone il qual ha revistà li solari stando a spese delle comunità et in questo mentre fu mandato doi suoi homini a misurar le biade per solari li quali dove se trovavano volevano mangiar a spese del patrone delle biade et essendoli richiesto che mostrassero l’ordine de ciò poter fare dissero haverlo in petto et rescodevano un soldo per caduno sacho che se misurava et ciò dal istesso padrone. Il detto Ghitiano è già stato privato de non poter haver of/itio in questo Stato di Milano. A Rivarone il detto Ghitiano con soi compagni senza ordine in scritto volse se gli facesse le spese una notte. Ha hauto il Panizone da M.r lacopo Angelo Belingero per un terzo de un mulino scudi diecisette et da M.r Simone Baratto per un altro terzo altri scudi diecisette. Il suddetto Ghitiano ha descritto li beni senza alcuno ordine ne scrittura a casa del Stephanino Vermo a ha volsuto lib. sedici per tal descrittione et al hosteria ha mangiato con la compagnia per lib. quatordeci a conto del detto Stephanino. Le qual cose se esibisse provarle.

Il 22 dicembre 1612 veniva a morte il duca Francesco Gonzaga, signore del Monferrato, lasciando la moglie Margherita, figlia di Carlo Emanuele I di Savoia, e la figlia Maria. Carlo Emanuele, che da tempo aspirava ad annettere il Monferrato ai suoi dominii, invase con l’esercito il territorio e cercò di trovare appoggi al suo operato, soprattutto nella Francia. Ma fu una illusione di breve durata, perché tutti gli furono con trari e più di ogni altro la Spagna, la quale sosteneva apertamente i diritti di Ferdinando, fratello del duca defunto. Alla fine, il duca Carlo Emanuele di Savoia dovette accettare l’ac cordo di Milano, siglato nel giugno 1613, e si ritirò dal Monferrato, che fu assegnato al duca Ferdinando Gonzaga. Questi venne a morte nel 1624 e gli successe il fratello Vincenzo 11, che a sua volta passò a miglior vita nel dicembre 1627, lasciando erede Carlo I Gonzaga duca di Nevers, suo più prossimo parente. L’erede designato era fortemente appoggiato dalla Francia, la quale naturalmente vedeva di buon occhio che una per sona molto legata agli interessi francesi dominasse due ducati, Mantova e Monferrato, che per essere incuneati fra territori sottoposti alla Spa gna, in caso di guerra avrebbero potuto costituire ottime basi di appoggio

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per gli eserciti francesi. D’altra parte, Mantova e Casale erano allora considerate le migliori fortezze d’Italia. Ai progetti francesi, com’era ovvio, erano fortemente avverse l’Au stria e la Spagna, la quale ultima sosteneva le ragioni vantate da Fer rante Gonzaga su Mantova, e di Carlo Emanuele di Savoia sul Monfer rato. Scoppiò allora la seconda guerra di successione per il Monferrato, memorabile per l’assedio subito dalla piazzaforte di Casale da parte delle truppe spagnole guidate da Gonzales de Cordova, che aveva preso quar tiere ad Alessandria. I nostri territori, in questi frangenti, furono ripetutamente percorsi dalle soldatesche spagnole che, come al solito, si diedero a saccheggiare i paesi commettendo ogni sorta di nefandezze, come si fosse trattato di paesi nemici.9 Intanto, Luigi XIII cli Francia e poi il cardinale Richelieu nel 1629 scesero in campo contro Carlo Emanuele di Savoia e gli occuparono quasi tutti i domini. L’anno seguente, gli spagnoli assediarono Mantova e riu scirono a espugnare la città; qualche giorno dopo, il 26 luglio 1630, si spegneva il duca Carlo Emanuele. A Ratisbona, nell’ottobre 1630, fu conchiusa la pace tra le potenze belligeranti e il duca di Nevers fu riconosciuto come duca di Mantova e del Monferrato, da cui furono staccate alcune terre cedute al nuovo duca di Savoia Vittorio Amedeo I. Questi, che era cognato del re di Francia per averne sposata la sorella Cristina, nel 1631 stipulò coi fran cesi il trattato di Cherasco, in base al quale egli otteneva numerose terre del Monferrato, ma si trovava costretto ad accettare l’alleanza con la Francia, ribadita col trattato di Mirafiori del 17 ottobre 1631. Dopo gli infelici trattati del 1631, il duca di Savoia non poté più liberarsi dalle spire della Francia e svolgere una politica indipendente. Conseguenza di ciò fu il trattato di Rivoli dell’il luglio 1635, in base

Il cronista valenzano Bernardino Stanchi lasciò scritto nel suo diario che il i giugno 1628, di giovedi, giorno dell’Ascensione, a Valenza « si diede all’arma con campana a martello per certa Cavalleria che seguitava sette soldati della Cavalleria del Duca di Nochiera, che havevano assassinato et amazzato uno di Lii, detto Franceschino Ferando, e pigliatoli 4 buoi, e li pigliarono in Bassegnana, e dicevano che era Cavalleria inimica... ». Ch. B. STANCHI, Diario delle azioni guerresche tra Genova, aiutata da Spagna, e il Duca di Savoia aiutato da Francia, per la questione di Zuccarello, in F. GASPAROLO, op. cit., lI, 240. Sotto il 18 aprile 1629 lo Stanchi segnala che, proveniente da Milano, « 5. Ecc.za il Sig. Gonzalo di Cordova, con l’Ill.mo Sig. Conte Giovanni Serbelloni passò il Fo a Bassegnana con sua Corte, et entrò alla sera in Allessandria ». Ivi, 242.

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al quale tra la Francia, il duca di Savoia e i duchi di Mantova e Parma fu costituita una lega offensiva e difensiva della durata di tre anni. È chiaro che tale trattato era soprattutto in funzione antiasburgica. Esso prevedeva fra l’altro che, in caso di vittoria, la Francia avrebbe ceduto a Vittorio Amedeo, col titolo regio, tutto il Monferrato, il territorio di Alessandria e tutta quella parte del ducato di Milano posta a destra del Ticino e del Lago Maggiore. Il trattato di Rivoli prevedeva inoltre che il comando supremo del l’esercito alleato sarebbe stato affidato, in assenza del re di Francia, a Vittorio Amedeo. Peraltro, il duca di Créqui, comandante delle truppe francesi scese in Italia, non intendeva dipendere dal duca di Savoia, il che originò i primi dissapori tra il duca sabaudo e il maresciallo francese circa il piano delle operazioni militari. Vittorio Amedeo era d’avviso che gli alleati dovessero penetrare in Lombardia per dar man forte al Rohan che con un altro esercito scen deva dalla Valtellina. Il maresciallo Créqui riteneva invece che fosse più opportuno assediare Valenza, occupare il territorio di Alessandria e ta gliare le comunicazioni tra la Liguria e la Lombardia, prendendo in mezzo gli spagnoli col concorso del Rohan e del Farnese. Prevalse il parere del maresciallo francese, e sul finire dell’estate 1635 gli eserciti francese e sabaudo andarono ad assediare Valenza. L’armata francese al comando del maresciallo Créqui, proveniente da 5. Salvatore, 1’8 settembre 1635 passò « senza bagaglio e artiglieria il Tanaro a guazzo, a Pavone, e s’alloggiò a Piovera, Rivellino et altri casali » e il maresciallo in persona « si trasferi a Sale per abboccarsi col signor Duca di Parma, il quale s’era colà avanzato dopo haver saccheg giato Pontecurone et fatto contribuente Castelnuovo di Scrivia.’° Il gior no seguente, « ripassato il Tanaro con il suo esercito il Duca di Criqui all’hore 18 si fece vedere nel distretto di Valenza verso Rivarone e Bassi gnana e marchiando tra la collina et il piano s’acquarterò, occupando tutto lo spatio tra la Cassina del Capitano Gio. Giacomo Stanco fin all Capuccini et indi sin alla Gatta et alle ripe del Po ».~ L’assedio di Valenza iniziò il 9 settembre, quando le truppe alleate piantarono le batterie attorno alla località, stabilendosi anche sulla oppo sta sponda del fiume, ove allestirono una valida fortificazione. Dopo molti [B. STANCHI), Valenza assediata. Diario del Dott. Randiberto Caston, Milano, Malatesta, 1639; riportato in F. GASPAROLO, 11, 263. Ivi.

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episodi guerreschi, ove rifulse l’eroismo degli assediati, le truppe alleate furono costrette a levare il campo. L’assedio ebbe la durata di 49 giorni e fini il 27 ottobre 1635, con enorme soddisfazione degli spagnoli.

Dopo accaniti combattimenti, con gravi perdite per gli opposti eser citi, alla fine risultarono vincitori gli alleati franco-piemontesi, ma la vittoria fu ottenuta a cosf caro prezzo che essi furono costretti a ripie gare in Piemonte, abbandonando la speranza di riunirsi al Rohan (22 giugno 1636). L’anno seguente, il 7 ottobre, venne a morte il duca Vittorio Ame deo I di Savoia, lasciando il trono al figlio Francesco Giacinto, di appena cinque anni. Prese allora le redini del governo, in qualità di reggente, la vedova duchessa Cristina di Francia, sorella di Luigi XIII, comunemente detta Madama Reale. Il 4 ottobre 1638 mori anche il piccolo duca Francesco Giacinto e gli successe il fratello quattrenne Carlo Emanuele 11. Questi peraltro era gracile e malaticcio e si temeva che non potesse vivere a lungo. D’altra parte, dopo la morte dell’erede designato dal duca defunto, en trava in vigore la legge generale in base alla quale avrebbero dovuto partecipare alla reggenza anche i parenti più prossimi, i quali erano allora i due cognati di Cristina, il cardinale Maurizio e Tommaso principe di Carignano. Non tollerando di essere esclusi dagli affari di Stato, i due fratelli ricorsero alla Spagna e anche all’imperatore Ferdinando III, accu sando la vedova duchessa di usurpare la reggenza. L’Imperatore intimò allora a Maria Cristina di sciogliersi dall’al leanza con la Francia e di comparire dinanzi a lui per rispondere della reggenza arbitrariamente assunta. Emanò nel contempo un decreto col quale nominava tutori e reggenti del piccolo Carlo Emanuele TI gli zii Tommaso e Maurizio. Forte di questo decreto, Tommaso di Savoia, alla testa di alcune milizie spagnole, entrò in Piemonte occupando Chivasso, Ivrea, Biella, Aosta e Torino (27 luglio 1639). Divampò allora la guerra civile fra i sostenitori della duchessa Maria Cristina e del principe Tom maso, gli uni e gli altri spalleggiati, rispettivamente, dalle truppe francesi e spagnole. La guera ebbe fasi alterne per le due fazioni, e funestò il Piemonte e le regioni finitime, percorse dagli opposti eserciti in lotta fra loro per ottenere una vittoria decisiva. Il principe Tommaso e il cardinale Mau rizio, vista la piega degli avvenimenti, cominciarono a trattare con la cognata e coi francesi, e finirono per accostarsi a questi ultimi. Gli accordi furono stabiliti il 14 giugno 1642 e in base ad essi i due frateffi furono

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abilitati ad assistere Madama Reale nella reggenza, firmando assieme ad essa gli atti più importanti dello stato sabaudo. Nel contempo, dopo un accorto lavorio diplomatico, i due Savoia furono convinti a passare al servizio della Francia. Finita la guerra civile, il Piemonte continuò ad essere teatro della guerra tra Francia e Spagna, costellata di innumerevoli episodi militari. Fra essi, merita menzione la presa della città di Tortona, caduta nel 1642 nelle mani delle truppe francesi e del principe Tommaso. Nel corso di questa impresa l’esercito francese, comandato dal duca di Lon gaville, si trovò a corto di polvere da sparo, e cercò di procurarsene un grosso quantitativo prelevandolo dalla fortezza di Casale Monferrato. «Monsù di Govonges Governatore di Casale concertò col Longavilla che la notte seguente sarebbe uscito da Casale et bavrebbe condotto alla riva del Tanaro vicino a Bassignana duecento barili di polvere, e perciò dovesse mandare scorta sufficiente da Tortona a quella volta acciò con qualche barca potessero traghettarla e condursela con sicurezza. Parti la notte il detto Govonges con detta polvere e nel passar vicino a Monte Castello, la Pietra, et altre terre in que’ contorni, fu scoperto da que’ paesani e fu suonato in tutto quello vicinato all’arma, la qual arrivata a Valenza, usci nel far dell’alba il Conte della Riviera Comandante Gene rale dell’esercito con le compagnie de’ cavalli levate in questa occasione a loro spese dal Cavaglier Lampugnano et Alfonso Castiglione con qual che moschettieri di soldatesca pagata; et havendo attaccato con nemici qualche scaramuccia concorrendo tutta la gente del paese necessitorno il Governatore a ritirarsi alla volta di Casale, con qualche perdita di gente e de muli che bavevano portata detta monitione, non havendo il marchese Vifia, invitato dal Longavilla, per ricuperarla havuto tempo di farne tra ghettar circa cinquanta barili quasi tutta bagnata, e l’altra che era alla rippa di detto fiume dalla parte di Bassignana fu da Paesani sommersa in detta acqua o abbrugiata, e certo se le 4 compagnie di Corazze mandate dal marchese di Caracena sotto il comando del capitan Fieschi in Ales sandria per opporsi ad ogni tentativo che il Governatore di Casale potesse fare per soccorrere di monitione l’esercito francese in quella necessità si fossero incamminate ala volta di Bassignana due hore prima come poteva fare indubitatamente, il Conte dela Riviera baverebbe havuto un felicis simo giorno attesoche haverebbe dato una gran rotta al detto Monsù Govonge »u F.

ARE5E B0L0GNIN0, Il Conquisto di Tortona fatto dai Francesi l’anno 1642

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Nel giugno del 1648 Carlo Emanuele TI compiva il quindicesimo anno di età, acquistando il diritto di governare da solo il ducato cli Sa voia. Di fatto però la madre Cristina continuò a tenere le redini del governo e, finché visse, il figlio non tentò neppure di sottrarsi alla auto rità materna, lieto di potersi dedicare a suo agio a una vita spensierata. Dopo alcuni anni di pace seguiti al trattato di Westfalia, lo Stato sabaudo tornò ad essere teatro di guerra tra Francia e Spagna, sempre in disaccordo fra loro per la mai sopita questione della successione al ducato di Mantova. Nel giugno del 1655 calarono in Piemonte le prime truppe francesi le quali, non avendo ottenuto da Madama Reale il per messo di fermarsi nei suoi domini, si concentrarono a Felizzano, ove attesero l’arrivo del grosso dell’esercito. Sotto la guida del principe Tommaso di Savoia e insieme con le rimanenti truppe francesi che intanto avevano operato la congiunzione, l’esercito mosse verso Bassignana ove si trattenne sin verso la fine di giugno, quando il marchese Villa giunse con le truppe piemontesi a Borgofranco, di fronte a Bassignana. Allora il principe Tommaso, costrui to un ponte, si congiunse coi piemontesi e, seguendo le indicazioni del padrone di una barca fermata a Bassignana, mosse verso Pavia ponendo l’assedio alla città.’3 Respinti da una tenace resistenza, alle prime ore del 14 settembre le truppe franco-piemontesi furono costrette a levare l’assedio e, l’anno seguente, ritentarono la prova contro Valenza, stretta d’assedio fra il 25 giugno e il 15 settembre 1656. Questa volta l’esercito alleato era guidato da Francesco I d’Este duca di Modena, generalissimo del re di Francia in Italia. Nonostante i prodigi di valore compiuti dagli assediati, Valen za alla fine fu costretta alla resa e il duca di Modena entrò nella piazza forte, facendo celebrare un solenne Te Deum di ringraziamento nella cattedrale. Durante le operazioni mffitari, Bassignana non fu risparmiata dai maltrattamenti delle truppe francesi che avevano posto il blocco a Va lenza. Il 2 luglio 1656 la soldataglia fece la sua comparsa in paese e, sotto la direzione del Principe Tomaso di Savoia... etc., in Archivio Storico Lombardo, XXII (1895), IV, 74. Pi4 avanti, il cronista riferisce che il principe sabaudo, che aveva preso quartiere in Lomellina, meditava di gettare un ponte sul Po a Bassignana, ma fu costretto a rinunciare a tale progetto dalla vigilanza dell’esercito spagnolo, che ne spiava continuamente le mosse (lvi, 89). “ B. l’noN,, L’assedio di Pavia del 1665, in Bollettino della Società Pavese di Si. Patria, I (1901), III, 267.

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nonostante la comunità avesse ottenuto una salvaguardia per la sua sicu rezza, i militari francesi travolsero la guarnigione, entrarono nelle case, le saccheggiarono, uccisero e minacciarono i cittadini. Aggiunge il Ghi lini 14 che i soldati « posero nelle chiese le sacrileghe mani, depredando tutto ciò che faceva per l’ingordigia loro; e tra le altre scellerataggini da loro commesse, fu enormissima l’bayer con ogni strapazzo levate dalle mani di un sacerdote la santissima ostia, mentr’egli era in atto di alzarla, celebrando la messa; e poi havendo essi dato di piglio alla statua di Maria Vergine, et spogliatala delle vesti e di tutti gli ornamenti di valore, la portarono con vilipendio grande su la piazza del paese ». La guerra prosegui sino al novembre 1659, quando la pace dei Pi renei pose ufficialmente fine al contrasto tra Francia e Spagna. Il duca di Savoia fu reintegrato nel possesso delle terre che il trattato di Cherasco gli aveva assegnato, ma ribadi la presenza francese a Pinerolo. Carlo Emanuele 11 dovette rassegnarsi a subire ancora una volta l’influenza francese, e nelle stesse condizioni venne a trovarsi Vittorio Amedeo che, successo al padre nel 1675, si trovò più che mai legato alla politica del potente vicino d’Oltralpe.

La politica egemonica perseguita da Luigi XIV suscitò vivaci rea zioni negli stati europei che, per impulso dell’imperatore Leopoldo I, formarono la lega di Augusta (16 luglio 1686) che si proponeva di porre un freno agli arbitri del sovrano francese. Alla lega aderirono, oltre agli stati protestanti, anche la Spagna e il duca di Savoia Vittorio Amedeo Il, il quale sperava di poter cacciare i francesi da Pinerolo e scuotere la pesante ipoteca che il potente vicino aveva posto sulla sua politica. Dal canto suo, Luigi XIV si mantenne sulla difensiva verso la Germania, e si propose di abbattere il re di Spagna e il duca di Savoia, che erano i membri più deboli della lega. Un esercito francese, condotto dal generale Catinat, invase il Pie monte operando feroci devastazioni. Vittorio Amedeo accorse con le sue truppe per contrastare l’avanzata del nemico, ma il 18 agosto 1690 fu sconfitto a Staffarda, presso Saluzzo. Poco dopo sopraggiunse un esercito alleato guidato dal principe Eugenio di Savoia, e questa volta i francesi furono costretti a cedere terreno. La fortezza di Casale Monferrato peral “

A.

GHILINE,

Annali di Alessandria, Alessandria 1903, III, sub anno.

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tro rimase in mano alla guarnigione francese, che seppe resistere ai ripe

tuti assalti dell’esercito savojardo. Anche in campo spagnolo si seguiva con molta attenzione lo svol gersi delle operazioni militari, e le autorità emanarono i provvedimenti ritenuti necessari nel caso che l’esercito nemico avesse tentato di invadere lo stato di Milano. Il presidio cli Alessandria, che per la sua particolare ubicazione si trovava particolarmente esposto alle incursioni dell’avver sario, si teneva sulla difensiva e, a prevenire qualsiasi sorpresa, il gover natore della città inviava al sindaco di Montecastello le seguenti istru zioni:’3 Aiutarsi a vicenda e intendersi con i cabos dei posti di Rivarone con la maggior corrispondenza, riconoscere a ogni ora la gente che passa dalla parte del terri torio di Valenza e Monferrato, e non essendo queste persone conosciute di un paese dello Stato, riconoscerli anche se portino cavalcature, e se le condu cono, anche se siano dello Stato come abbia a passare per il Monferrato o il suo confine; spiare i basti, barili e tutto il di pis1 che vestono con tutta cura e particolarità. Nei basti si osserverà se abbiano entrambe le cinture o se persino qualcosa di pid del regolare e trovando lettere o denaro si trarranno a questo luogo con le persone o le carte; e per quel che riguarda le lettere si avrà diligenza particolare nei vestiti dei passeggeri, e specialmente dei Monfer rini e le persone sconosciute e si condurranno come si è detto, essendo le riferite lettere per il Monferrato; e si incarica non si faccia molestia ne’ estor sione alcuna ai passeggeri pid di quella che è necessaria per l’andamento di quest’ordine; non si permetterà che i soldati prendano cosa alcuna dai pas seggeri anche se alcuno di essi per preghiera o timore la vorrà dare volonta riamente. Non pi4 si permetterà che nelle terre vicine si prenda cosa alcuna senza pagare; la terra di Bassignana assisterà con persone al porto per maggior conoscenza di quelli che passeranno; quando non bastino i portonaros e darà cosE pure l’assistenza necessaria in caso che fosse necessario domandandola, e non lascerà di osservare tutto il contenuto per convenire cosE al servizio di Sua Maestà.

I timori non erano del tutto infondati, perché nel 1693 un nuovo esercito francese, guidato ancora dal Catinat, discese in Italia e il 4 otto bre di quell’anno sconfisse a Marsaglia le truppe del duca di Savoia. A questi non rimase altro che accordarsi segretamente con Luigi XIV, il quale non solo promise di cedergli Pinerolo, ma anche di far evacuare la guarnigione francese da Casale. Uscito dalla lega, Vittorio Amedeo fu creato generalissimo dal re di Francia e, posto al comando dell’esercito, assieme al Catinat cinse d’assedio Valenza, caduta ben presto in suo potere. Si sarebbe poi gettato con impeto contro Alessandria se il trattato di Vigevano del 7 ottobre 1696 non lo avesse trattenuto. Gravissimi comunque furono i danni riportati dalle nostre terre in seguito alle scorrerie delle truppe francesi. Il Liber mortuorum dell’ar chivio parrocchiale di Piovera contiene la seguente annotazione che, sia pure sinteticamente, accenna alle devastazioni operate dal nemico: « Ali 18 settembre 1696, Valenza è stata abloccata da francesi e savoiardi e battuta fortemente sino al 7 ottobre. Dalle dette truppe fu rono saccheggiate tutte le terre della Lomellina sino al fiume Agogna e le terre di Pecetto, Mugarone, Bassignana e Rivarone: Montecastello e Pietramarazzi, oltre il saccheggio furono abbruciate; di poi Pavone, 5. Giuliano, Cascina Grossa, Castelceriolo, Lobbi e Piovera con il castello di Riveffino ».16

Nel timore che il nemico dovesse tentare qualche scorreria da Ca sale, e che la caduta di Bassignana aprisse la via al cuore della Lombardia, nello stesso anno 1691 le fortificazioni di Bassignana (rocca e rocchetta) furono smantellate dagli spagnoli, in modo che i francesi, una volta espu gnate le fortificazioni, non potessero eventualmente servirsene per presi diare l’importante passo sul Po. ‘3 E. Asrou, op. cii., 88-9. Il documento, redatto in lingua spagnola, è firmato da don Antonio De Monzzos y De Castro, sergente maggiore del governatore di Alessandria.

lvi, 90-1.

LA DOMINAZIONE SABAUDA

LA DOMINAZIONE SABAUDA

All’alba del secolo XVIII, l’orizzonte europeo avvampa in un im mane incendio di guerra. Il ramo spagnolo della dinastia asburgica si era estinto nella persona di Carlo Il, privo di eredi diretti, e la Francia, l’Austria, la Baviera e il Piemonte aspiravano alla successione accam pando i titoli più disparati. La contesa assumeva una importanza ecce zionale, perché da essa dipendeva il consolidamento del primato borbo nico o di quello asburgico sul continente. Luigi XIV di Francia riuscf a strappare al moribondo monarca spa gnolo un testamento a favore del secondogenito del Delfino, il duca d’Angiò, il quale infatti fu proclamato re di Spagna, col nome di Fi lippo V, il 24 novembre 1700, pochi giorni dopo la morte di Carlo Il. Le altre potenze europee, sbigottite per l’audacia della politica fran cese, si sentirono minacciate dalla posizione di predominio assunta dai Borboni e non tardarono a costituire la lega dell’Aia (7 settembre 1701), alla quale aderirono l’Austria, l’Inghilterra, l’Olanda, l’elettore di Han nover, il nuovo re di Prussia e più tardi anche il Portogallo. Si scatenò ben presto un conflitto che imperversò furiosamente quattordici anni, sconvolgendo gran parte del continente. Vittorio Amedeo Il di Savoia, alleato in un primo tempo dei franco ispani che gli avevano promesso cospicui compensi territoriali, se ne staccò definitivamente nel 1703, sia perché la Francia non si decideva a convertire in trattato le promesse formulate, sia perché era rimasto im pressionato e attratto dai continui successi militari del cugino Eugenio di Savoia, il quale era sceso in Italia al comando delle truppe imperiali gettando lo scompiglio nell’esercito francese. L’8 novembre 1703, a Torino, fu firmato fra il Piemonte e l’Austria un trattato di alleanza che, alla fine della guerra, era destinato a segnare un notevole incremento dei domini sabaudi a danno dello Stato di Milano. Il trattato constava di 19 articoli, ai quali ne furono aggiunti C.

SOLAR DE LA MARGUERITE,

Traités Publics de la Royale Maison de Savoie

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5 segreti. L’articolo 3 del trattato prevedeva la cessione al duca di Savoia del Monferrato, mentre l’articolo seguente sanciva la cessione al duca dei territori di Alessandria e Valenza « cum omnibus terris mira Padum ci Tanarum sitis, itcm Provmnciam quae dicitur Lumellina, ci Vallcm Sesiae, cum omnibus urbibus, castellis, pagis, terris, locis, rcgalibus, red ditibus, ac generaliter omnibus quibuscumque iuribus, et rationibus eo pertinensibus, vel mdc dependentibus, nulla re excepia ». I fatti che seguirono al trattato di Torino sono noti. Il Piemonte fu invaso dall’esercito francese e Torino dovette la sua salvezza all’inter vento del principe Eugenio, accorso dalla Germania. Sotto le mura della capitale piemontese, nel settembre 1706, fu combattuta una grande bat taglia che segnò la definitiva sconfitta dei francesi e rese necessaria l’eva cuazione degli spagnoli dalla Lombardia, occupata dall’esercito austriaco. Giuseppe I, succeduto nel 1703 al padre Leopoldo, nominò il principe Eugenio governatore di Milano, da cui era fuggito l’ultimo rappresen tante del governo spagnolo. La guerra continuò ancora in Olanda, nelle Fiandre e nella Francia stessa, ove Luigi XIV subì gravi rovesci militari. Alla fine, le circostanze consigliarono alle potenze europee l’inizio di trattative e ad Utrecht l’il aprile 1713 e a Rastadt il 7 mano 1714 furono firmati i trattati di pace. In virtù del primo, Filippo V fu riconosciuto re di Spagna e il duca di Savoia ricevette la Sicilia col titolo regio. In forza dell’altro, l’impera tore Carlo VI ottenne il Belgio, il ducato di Milano, il ducato di Mantova, lo Stato dei Presidi, il Napoletano, la Sardegna e il marchesato di Finale, mentre a Vittorio Amedeo Il furono confermate le cessioni fatte col trattato di Torino del 1703. Il duca di Savoia, peraltro, di fatto aveva già ottenuto i compensi territoriali previsti dal trattato sin dal 1707, quando riusci a incorporare nei suoi dominii Alessandria, Valenza, la Lomellina e la Val Sesia, sol levando le proteste della città di Pavia che si vedeva privata di una parte tanto cospicua del suo principato ,2 Mentre i rappresentanti pavesi si affannavano a dimostrare le ragioni della loro città sulla Lomellina, chiedendone invano la restituzione, Vit torio Amedeo Il provvedeva con celerità a prendere possesso delle terre avec les Puissances Etrangères depu:s la Paix de Cbateau-Cambrèsis iusqu’à noi jours, Torino 1836, Il, 203. A. MALAGUGINI, Gli smembramenti del Principato di Pavia nella prima metà del secolo XVIII, in Bollettino della Soc. Pavese di St. Patria, XI (1911), Il-TV, 329 e sgg.

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cedute dal trattato. Appoggiandosi poi al tenore dell’an. 6, che aveva per oggetto « Pro vintias Alexandriae el Valentiae cum omnibus terris in/ra Padum el Tanarum sitis », gli ufficiali sabaudi occuparono anche le quat tro terre di Bassignana, Pecetto, Rivarone e Pietra Marazzi (situate ap punto fra i due fiumi citati), che Pavia invece sosteneva appartenenti all’Oltrepò del suo principato e quindi non incluse nella cessione. Vivaci controversie inoltre si accesero per il possesso di Torre dei Torti, Travedo, 5. Fedele e Campo Maggiore, tutte località del Siccomario, che i sabaudi pretendevano appartenenti alla Lomellina e i pavesi invece ai Corpi Santi della città. Nell’intento di risolvere queste ed altre questioni analoghe rimaste aperte tra il Piemonte e l’Austria, fu eletta una commissione arbitrale di cui facevano parte rappresentanti dell’Inghilterra e dell’Olanda, paesi garanti dell’applicazione del trattato di Torino. La sentenza arbitrale, firmata dall’inglese Abramo Stanyan e dall’olandese Alberto Wander Meer, fu emanata a Milano il 27 giugno 1712. In base ad essa, si rico nobbe fra l’altro che nella cessione di cui all’art. 6 del trattato dovevano considerarsi comprese le quattro terre di Bassignana, Pecetto, Rivarone e Pietra Marazzi, già parte integrante del principato di Pavia. La sentenza rappresentò indubbiamente un grosso successo per la diplomazia sabauda, ma alla corte di Vienna, naturalmente, essa fu ac colta con molto disappunto, tanto che si accusarono apertamente gli arbitri di aver deliberatamente favorito la controparte. Con severità an cora maggiore troviamo molti anni più tardi ricordato l’arbitrato anglo olandese in una relazione che la giunta senatoria presentò al governatore di Milano il 31 mano 1740 « sulla natura e stato delle 4 terre chiamate Pietra de’ Marazzi, Rivarone, Pezzetto e Bassignana poste al di là del fiume Tanaro ».~ Scrivevano i senatori che gli arbitri « si sono di molto discostati non tanto dalla legge nel loro mandato contenuta e dalle regole del giusto e dell’equo, quanto dalla massima legale suggerita da Ulpiano e abbrac ciata dagli altri Professori del gius pubblico, cioè che semper in obscuris id quod minimum est sequitur; affinché chi del suo si priva ed altrui lo conceda resti men pregiudicato che far si possa ». Dopo aver sostenuto che lo Stanyan e il Wander Meer « non potevano rigorosamente dirsi arbitri ma più tosto delegati dai loro rispettivi sovrani » e che quindi il loro giudizio era appellabile, la relazione concludeva affermando che i Archivio di Stato & Milano, Confini, Torino, Provvid. Generali.

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commissari avevano trasgredito « i più venerabili precetti della legge di natura e della ragion delle genti ». Le recriminazioni e le proteste contro la sentenza arbitrale del 1712 non ebbero l’effetto di far revocare il verdetto, ma fecero in modo che alcune delle questioni oggetto della vertenza si trascinassero ancora per molto tempo, specialmente per quanto riguarda le 4 terre fra il Tanaro e il Po. Del resto, la questione non era puramente formale, ma rivestiva un notevole contenuto concreto, data la ragguardevole superficie delle terre contese: Bassignana pertiche 23.306, Pecetto 12.869, Rivarone 4.785, Pietra Marazzi 3.877. La città di Pavia, direttamente interessata alla vertenza, approfittava di ogni occasione per soffiare sul fuoco, affannandosi a dimostrare che Bassignana e le altre terre contestate appartenevano al suo principato. Il governo piemontese non negava la circostanza, ma affermava che le loca lità si dovevano ritenere cedute per effetto del famoso inciso contenuto nel trattato di Torino. Di conseguenza, Vittorio Amedeo continuò a mantenerne il possesso, nel quale del resto fu confermato dal trattato della quadruplice alleanza del 2 agosto 1718. I pavesi però non si persero d’animo, e in una memoria4 del 1724 troviamo nuovamente elencati i titoli e le ragioni sulle quali Pavia fon dava i propri diritti: 1. Una fede del ragioniere del principato, attestante essere Bassi gnana « censita per il censo del sale con l’Oltrepò et con esso aver pagato, insieme a Pezzeto, Rivarone e Pietra de Marazzi, non tanto per detto censo del sale, e suo augumento, quanto anche per la tassa ordinaria e dupplicata ». 2. Attestato del ragioniere della città « d’essere le dette Terre si tuate nell’Oltrepò a libri della misura del Perlasca (1588) e per diversi beni essere censiti al civile sotto la medema Provincia et essere stati dati alla scossa de’ carichi tanto nell’anno 1707 retro quanto dal detto anno avanti sino al presente sopra libri che si consegnano al commissario della città ». 3. « Li carichi civili massime per Bassignana, da un editto del Sig. Intendente Ferrari per S.M. Sarda,5 si vedono non essere stati Archivio Civico di Pavia, pacco n. 348. . Tale editto, datato Alessandria 24 luglio 1719, intimava ai possessori civili del territorio di Bassignana il pagamento dei tributi arretrati dal 1707 in avanti. Copia manoscritta del documento è nell’Archivio Civico di Pavia, pacco 348, ove pure si trovano gli altri documenti citati nella memoria pavese del 1724.

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ad esigersi che dall’anno 1719 avanti ». 4. « Altra fede del Rag. della Prov. del Principato di Pavia, che da libri camerali fra le Terre che formano la quota rurale dell’Oltrepò si leggono tutte le d.e quattro terre le quali hanno sempre pagato li carichi camerali, presidii, provinciali ed altri col d.o Principato dal 1707 inclusivamente, retro ». « Altro attestato della Cancelleria d’esso principato, qualmente dai libri e scritture esistenti nell’archivio d’essa provincia risultino, fra le terre e borghi che formano la d.a Prov. Oltrepò, descritte le suddette 4, e precisamente le Terre vocali costituenti la Congregazione Generale della med.a Provincia ». 6. «Altro attestato del Nob. Criminale della Banca e Provincia dell’O. Po, Gio. Paolo Poma, il quale afferma che da libri e scritture di essa Banca risulta essere sempre state ritenute sotto la medema le d.e terre ed essere state da essa fatte le denuncie e fabbricati processi per delitti in esse commessi ». 7. « Attestato del Sig. Rag. della Città sopra gli abbonamenti fatti dalla Cassa Imperiale della Città di Pavia per conto dell’estimo d.e Terre dovute alla città, attesa la sospensione e la controversia sopra le mede sime ». Ma l’argomento principale su cui insiste la memoria è costituito dall’interpretazione logica dell’inciso del trattato di Torino: « Queste quattro terre Sono state apprese da S.M. Sarda sotto pretesto della ces sione fattagli dall’Augustissimo Leopoldo all’art. 6 della Confederazione sotto quelle parole: Provintias Alexandriae et Valentiae cum omnibus Terrjs in/ra Padj,em ci’ Tanarum sitjs. Ma si deve riflettere che si tratta di cessione pregiudiziale alle ragioni dell’Imperio e della Città di Pavia e perciò doversi quelli intendere strido modo e che pregiudichi meno che sia possibile. E perciò quel cum omnibus Terris in/ra Padum ci Ta narum sutis non importare una cessione principale ma accessoria e dipen dente dalle altre parole: Provintias Alexandriae ci’ Valentiae; e cosi do versi intendere delle terre fra Po e Tanaro, ma però dipendenti dalle dette Provincie d’Alessandria e Valenza antecedentemente nominate né mai potersi estendere a queste quattro del Pavese in nulla dipendenti né da Alessandria né da Valenza né dalla Lomellina, ma bensf unite alla Prov. dell’O. Po Pavese e dipendenti dalla Città di Pavia, della quale in tutta la d.a cessione non si vede fatta alcuna menzione né parola ». Nonostante la copia dei documenti e delle ragioni addotte dai pavesi esatti

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principiati

...

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e dal governo dello Stato di Milano, l’abile diplomazia sabauda seppe resistere ad ogni pressione, replicata ancora nel 1738 e nel 1740 con la produzione di nuovi argomenti. A troncare ogni ulteriore dibattito, e a seppellire per sempre l’annosa questione, giunse improvvisa la guerra per la successione austriaca, in occasione della quale il Piemonte non solo vide riconosciute le proprie ragioni, ma ottenne altri e più cospicui compensi territoriali a danno del principato pavese. ***

Il 20 ottobre 1740 veniva a morte l’imperatore Carlo VI, recando nel sepolcro la speranza che le potenze europee, rispettando la Pramma tica sanzione, avrebbero riconosciuto unica erede al trono la figlia Maria Teresa, sposa a Francesco di Lorena granduca di Toscana. Era una pura illusione: i pretendenti si levarono da ogni parte, ed ebbe inizio una lunga guerra che coinvolse gran parte dell’Europa. A sostenere la succes sione al trono di Maria Teresa sorsero la Russia, l’Inghilterra, l’Olanda e il Piemonte. Contro questa coalizione si schierarono la Spagna, la Ba viera, la Sassonia, la Prussia, la Francia, Modena e Napoli. Carlo Emanuele III di Savoia, entrato nel conffitto, intendeva ven dere a caro prezzo la sua preziosa alleanza e, tramite la sua abilissima diplomazia, il 13 settembre 1743 stipulò con Maria Teresa il trattato di Worms, che sanciva l’alleanza fra il Re di Sardegna, l’Imperatrice e Giorgio Il d’Inghilterra. In base al trattato, Carlo Emanuele ottenne non solo il riconoscimento dei suoi diritti sulle quattro terre fra il Tanaro e il Po, ma anche il Vigevanasco e l’Oltrepò Pavese, scorporati dal prin cipato di Pavia.6 Il re sabaudo si trovò ben presto a combattere aspramente contro Spagna e Francia i cui eserciti collegati, tra il 1743 e il 1745, tentarono più volte i passi della Savoia per penetrare in Lombardia e costituire, col Parmense e il Piacentino, uno Stato per l’infante Filippo di Spagna. Nel l’intento di aggirare l’ostacolo, i gallo-ispani trovarono un’alleata preziosa nella Repubblica di Genova la quale, dietro promessa del rilascio del Finale, si impegnò a fornire agli alleati un contingente di 6.000 uomini. Stabifite alcune basi militari e logistiche sulla riviera ligure, sul finire di aprile del 1745 i gallo-ispani mossero verso Genova per poter poi dila 6 Circa le disastrose conseguenze subite dalla città di Pavia in seguito allo scor poro delle terre cedute in base al trattato cfr. A. MALAGUGINI, op. di., 436 e sgg.

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alcun ostacolo in Lombardia, meta ultima del loro piano

strategico. Preoccupato, ma non intimorito da questi preparativi militari, Carlo Emanuele III riusci a mettere insieme un esercito formato da piemontesi e da truppe assoldate in Italia, in Svizzera e in Germania. Il suo esercito, oltre a un contingente di 15.000 austriaci comandati dal generale conte di Schulembourg, era formato da 33 reggimenti di fanteria e da 34 squa droni di cavalleria, per un totale di circa 53.000 uomini. L’esercito francese e quello spagnolo erano guidati, rispettivamente, dal maresciallo Maillebois e dall’infante di Spagna Filippo. Un terzo esercito nemico, formato da spagnoli e napoletani sotto il comando del conte di Gages, dopo aver passato il modenese si portò a Genova, ove si tenne un consiglio di guerra tra il Gages e i comandanti degli eserciti alleati. Operato il congiungimento delle forze, cui nel frattempo si erano aggiunti dieci battaglioni forniti dalla Repubblica di Genova, l’armata, composta da 62.000 fanti e 8.000 cavalleggeri, fu divisa in due eserciti. Il primo, comandato dall’Infante di Spagna e dal generale Mailllebois, partf da Savona e dopo aver varcato l’Appennino giunse ai primi di luglio nell’alta Valle Bormida. Il secondo esercito, guidato dal generale Gages, dal duca di Modena e dal generale Brignole, si addentrò nella Vai PoI cevera incalzando le truppe austriache costrette a ritirarsi presso Tortona. All’avvicinarsi del nemico, il 6 luglio il re Carlo Emanuele lasciò la capitale e fissò il suo quartier generale ad Alessandria, ove si lavorava febbrilmente alle fortificazioni della cittadella per metterla in condizione di resistere a un lungo assedio. Il giorno seguente il re si recò in visita alla piazzaforte di Tortona, ove erano convenuti tutti i generali austro piemontesi per esaminare la situazione militare e stabilire gli accordi per l’imminente campagna. « In quel consiglio di guerra, vagliate alcune proposte inconvenienti, si adottò un progetto dovuto al lume ed alla sagacità di Carlo Emanuele III. Esso consisteva nel riunire tutte le forze austro-piemontesi e occu pare un campo di per sé fortissimo vicino a Montecastello, indi gettare dei ponti sul Tanaro e sul Po, per mantenere le comunicazioni con Ales sandria e con il Milanese; coprire, da questo campo, il Piemonte e la Lombardia e conservare alla guarnigione di Tortona la speranza di essere soccorsa in caso di assedio; ed infine impedire, con le milizie ed i volon tari piemontesi, il transito dei convogli nemici da e per Novi e il geno vesato, col vantaggio poi di poter piombare di sorpresa su qualche vicino accampamento nemico, separato dal grosso dell’esercito.

Il Re Carlo Emanuele III si recò perciò l’8 luglio a Montecastello ove pure si portò il conte di Schulembourg e dopo aver fatto ricogni zione dei dintorni, diede disposizioni per l’occupazione del campo, e la costruzione dei ponti di barche a Rivarone ed a Montecastello, e di un terzo a Bassignana per gli austriaci, facendo impiegare 2000 contadini per la costruzione delle ridotte alle teste dei predetti ponti. Quantunque il campo fosse in posizione fortissima per natura, aven do di fronte il Tanaro e la Bormida, a destra la città e la Cittadella di Alessandria, ed a sinistra il Po, tuttavia non mancavano i difetti, e per la eccessiva lunghezza della linea di fronte, e per il troppo grande disli vello del terreno coffinoso: inconveniente questo che avrebbe fatto ritar dare le operazioni delle ali dell’esercito, in caso di un attacco nemico. Comunque il campo fu occupato, ed ivi nella notte dal 15 al 16 luglio, mentre avrebbe potuto ancora fermarsi senza alcun pericolo alla Torre di Garofoli, venne pure il conte di Schulembourg, dopo aver lasciato, come già il Re aveva stabilito, qualche rinforzo a Tortona. Il generale austriaco fece accampare a Bassignana, sua ala sinistra, quattro reggimenti di cavalleria, di dragoni e di corazzieri; la fanteria occupò in parte Rivarone ed in parte Montecastello, mentre sulla sponda opposta del Tanaro, vicino alla testa del ponte, fece accampare i varadini, i micheletti e gli schiavoni; infine due suoi reggimenti di ussari presero accampamento a Lobbi ed altri due battaglioni a Piovera, dove pure vi erano truppe piemontesi. Il Re Carlo Emanuele III, dopo aver collocato 10 battaglioni in Alessandria, dispose gli altri 16 battaglioni alla destra dei suoi alleati: il suo campo incominciava da Montecastello ed arrivava fino a Pavone; di qui, verso il piano di Grindolato, ove pure eravi un ponte di barche che dava agli Orti, incominciava lo schieramento della sua cavalleria che si estendeva lungo il Tanaro fin vicino alla Cittadella ».~ Minutamente informato di tutti gli spostamenti delle truppe avver sarie, che avevano già occupato Acqui e marciavano ora verso Novi, Carlo Emanuele fece una nuova ricognizione al campo di Piovera e il 18 luglio fece ritirare la truppa colà schierata e la fece retrocedere di un miglio sulla sponda sinistra del Tanaro, mandandola a ricongiungersi con quella che già si trovava al campo di Montecastello. —



B. Gaio, L’Agro Alessandrino durante le guerre della Prammatica Sanzione, Alessandria 1931, 13-15. Ci si perdoni qui la lunghissima citazione e tutte le altre, numerose, che seguiranno. Abbiamo infatti preferito riportare sia dove possibile quanto magistralmente scritto dal Gho, piuttosto che parafrasare maldestramente a punti salienti della sua indagine.

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Frattanto il conte di Gages, ottenuta la capitolazione di Serravalle, si spostò sulla sinistra verso Capriata d’Orba, ove il 23 luglio si con giunse con l’esercito dell’Infante. Tenutosi poi un consiglio di guerra, il Gages propose di assediare Alessandria, ma al progetto si oppose viva cemente il maresciallo Mai]lebois, per cui non se ne fece nulla. I franco ispani si spostarono quindi verso 5. Giuliano, con l’ala destra a Torre Garofoli e il tenente generale Pignatelli a Marengo. Di qui si spinsero in ricognizione alcune pattuglie sia verso Pavone e Montecastello, ma furono costrette a ritirarsi dagli ussari, dai varadini e dagli schiavoni accampati davanti alla testa di ponte di Montecastello. « Il Re Carlo Emanuele III, il 27 luglio, dopo aver passato in rivista le truppe austriache accampate a Bassignana ed a Rivarone, si recò a pranzo a Montecastello, ove pure convennero tutti i generali au stro-piemontesi. Di qui si poté, intanto, riconoscere la posizione dei nemici: la truppa del conte di Gages, appoggiava con la destra alla col una tra Rivalta e Tortona, e con la sinistra verso 5. Giuliano; quella dell’Infante copriva il Bosco con la destra, e con la sinistra arrivava vicino alla Bormida verso Frugarolo, ed inoltre aveva un campo volante verso Castellazzo; il campo volante del conte Pignatelli trovavasi a Marengo, e da tale località spingeva qualche squadrone di cavalleria ed aiquanta fanteria a Castelceriolo, per spiare, da vicino, il campo piemontese ».~ I movimenti del nemico lasciavano supporre che esso avrebbe attac cato Tortona: effettivamente la città fu stretta d’assedio e, dopo valorosa resistenza, il 2 settembre il presidio piemontese fu costretto alla resa. «Presa Tortona, il conte di Gages si portò a Castelnuovo Scrivia, e spinse verso Piacenza un corpo dai 7 agli 8 mila uomini, al comando del marchese Vieuville, generale spagnuolo; tanto bastò per impensierire il conte Schulembourg, il quale dubitò che il nemico volesse tentare il pas saggio del Po e gettarsi sul milanese indifeso. L’austriaco perciò fece partire da Bassignana 4 battaglioni agli ordini del conte Colloredo, maggiore generale, con l’incarico di spingersi verso Piacenza ed assicurare la riva sinistra del Po; il giorno appresso, fece pure passare il Po dal conte Pertusati, tenente generale, con un reggi mento di Dragoni ed altri 4 battaglioni, per osservare le mosse del corpo di truppa del conte di Gages, che, fermo a Castelnuovo Scrivia, era intento a preparare barconi. Il Re, ritornato il 10 settembre ad Alessan dria, dopo 4 giorni di permanenza a Montecastello, apprese che fra i ‘

lvi, 21.

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nemici, dopo la presa di Tortona, esistevano disaccordi circa le opera zioni da intraprendere: gli spagnuoli volevano portarsi verso Piacenza e la Lombardia ed i francesi opinavano invece di attaccare gli austro piemontesi, onde far loro abbandonare il campo di Montecastello, ed avere cosi la facilità di rendersi ben tosto padroni di Alessandria. Il Re venne anzi informato che questo secondo progetto aveva pre valso. Egli allora ne fece subito partecipe il conte di Schulembourg; tale notizia diede luogo ad un consiglio di guerra tenutosi in Alessandria la mattina del 12 settembre, nel qual giorno si venne pure a sapere della capitolazione di Piacenza in mani del marchese Vieuville. A questo consiglio, oltre ai generali dei due stati, partecipò anche il conte di Richecour, inviato straordinario di S.M. la regina d’Un gheria. Dopo aver esposta la situazione e riferito sugli ultimi avveni menti dei nemici, il Re chiese pareri ai generali presenti. Il conte Schu lembourg, sempre preoccupato per la minaccia di invasione del milanese, fece capire che avrebbe preferito passare il Po e mettersi alla difesa degli stati della sua Regina; ma alle sagaci parole del Re, il quale fecegli osser vare che le abili manovre nemiche, non avevano altro scopo che di far dividere i due eserciti austro-piemontesi, non ritenne opportuno insistere su questo argomento, tanto più che aveva avuto ordine preciso dalla sua Regina, di fare tutto ciò che il Re Carlo Emanuele III avesse creduto più conveniente nell’interesse delle due Corone » Di conseguenza, il generale austriaco si limitò a rafforzare la sua sinistra e Carlo Emanuele, dal canto suo, adottò le misure necessarie per agevolare la difesa del campo di Montecastello, nel caso che il nemico avesse tentato di aggirarlo alle spalle, passando il Tanaro agli Orti o più a monte verso Casalbagliano. Queste effettivamente sembravano le inten zioni del nemico, che inviò un grosso corpo di truppe a Casalbagliano per una ricognizione lungo il Tanaro; altre truppe fecero la loro comparsa a Castelceriolo e a Piovera, nel cui castello lasciarono un distaccamento di cavalleria. Intanto, il grosso dell’esercito nemico, passata la Scrivia, si accampò a Castelnuovo mentre il conte di Gages, lasciati forti distaccamenti a Sale e a Piovera, andò ad occupare Voghera. « Simili movimenti costrinsero il conte Schulembourg a chiedere al Re il permesso di ritirare da Montecastello il resto della fanteria austriaca, per portarla a rinforzare il posto di Rivarone e, soprattutto, quello di Bassignana ed i suoi punti vicini. lvi, 26-7.

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Il Re, parendogli giustificata la richiesta, avendo il nemico effet tivamente rivolto tutte le sue intenzioni verso il Po, accondiscese a tali spostamenti, e di conseguenza provvide a far occupare, dalla Sua truppa, i posti lasciati liberi dagli austriaci: la fanteria si accampò tra Pavone e Montecastello, 2 Reggimenti di cavalleria rimasero sulla destra di Pa vone e gli altri 4 furono fatti passare tra Bassignana e Mugarone. Dal conte Pallavicini, incaricato della difesa di Milano, lo Schulem bourg fu informato che il nemico aveva gettato un ponte verso Belgioioso, per cui il generale austriaco rinnovò preghiere al Re di autorizzarlo ad inviare altri battaglioni al di là del Po. Carlo Emanuele, pur conside rando la persistente vicinanza del nemico, acconsentf a malincuore di lasciar partire i varadini e gli schiavoni; e per sincerarsi della verità sulle informazioni avute dal Pallavicini, inviò, il 20 settembre, alla volta del conte Pertusati, il suo aiutante di campo Di Robilant. Questo ufficiale, ritornato poi al campo di Montecastello, rapportò che il nemico, a tre ore dopo mezzanotte dal 21 al 22 settembre, era entrato in Pavia, con un corpo di 4.000 uomini sotto gli ordini del generale Vieuville, il quale già da tre giorni aveva effettivamente fatto gettare un ponte sul Po, vicino a Belgioioso; riferf inoltre che il conte Pertusati, con 8 battaglioni e il reggimento Dragoni, andava continua mente spostandosi, intendendo coprire il Milanese. A tali notizie, il Re fece radunare il 22 settembre, in Montecastello, tutti i generali austro-piemontesi; tenutosi consiglio di guerra, si deliberò, quantunque Carlo Emanuele III vi accondiscendesse malvolentieri, di dividere i due eserciti alleati »? A furia di insistere, lo Schulembourg era finalmente riuscito a rea lizzare i Suoi intendimenti, e nella notte fra il 22 e il 23 settembre passò il Po col suo esercito e andò ad accamparsi presso la Pieve del Cairo da cui, in caso di bisogno, avrebbe facilmente potuto accorrere in aiuto del l’esercito piemontese. Il re sabaudo invece, deciso a continuare ad occu pare il campo tra Pavone e Bassignana, impartf al generale Audibert le istruzioni necessarie per colmare il vuoto lasciato dall’esercito austriaco: « 22 Septembre -La Cavallerie qui est à Mugaron, jra camper des ce soir à Bassignana dans la situation qu’occupoit la cavallerie autrichenne. Les deux Brigades d’jnfanterie de la seconde ligne jront camper des ce soir à Rivaron, une Brigade au delà du dit Village vers Bassignane, et l’autre au de~a vers Montcastel; jls envojeront une garde au Pont du Po. L’on IO

lvi,

3 1-2.

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envoira ordre au capitaine des Ponts Augieri qui est a Valence de se rendre a Bassignane, et de replier le Pont qui y est; d’abord aprés que l’armée autrichenne l’aura passè, pour quel effect, jl conduira les chevaux necessaires pour le faire remonter tout de suite à Valence »Y Quale fosse esattamente lo schieramento delle truppe sabaude in questa fase della guerra è esattamente delineato in una pianta a colori che reca l’indicazione dei vari corpi schierati tra Piovera e Bassignana, sulla sponda sinistra del Tanaro)2 « Il generale austriaco però, dalla Pieve del Cairo, comprese ben presto che la sua manovra era stata quasi inutile; infatti col suo solo esercito non avrebbe certamente potuto difendere il Milanese; d’altra parte essendo il maggior numero di quelle città prive di artiglieria e di difensori, esse non avrebbero opposto grande resistenza agli attacchi nemici; egli, dunque, non sapendo quale partito prendere, si limitò a mandare qualche battaglione verso il Ticino. In questo stato di cose, Carlo Emanuele III non tardò ad essere informato, e da lettere nemiche intercettate, e dai movimenti che i gallo ispani andavano facendo in direzione del basso Tanaro, che questi si apprestava ad attaccare di sopresa il Suo campo »)~ Intanto, il 25 settembre, il conte di Gages e il maresciallo MalI lebois si portarono con forte scorta a riconoscere le sponde del Tanaro, dalla parte di Piovera. Allarmato da questi movimenti, Carlo Emanuele mise il suo esercito in stato di difesa e nel contempo invitò lo Schulem bourg a varcare il Po e portarsi verso Bassignana, ove pareva che il nemico volgesse tutte le sue mire. Il generale austriaco fece quindi par tire immediatamente 5 battaglioni per occupare la ridotta del ponte di Bassignana, e promise di mettersi in movimento con il resto del suo esercito all’alba del giorno seguente. « Ma quello che la saggia mente e la militare perizia di Carlo Ema nuele III aveva preveduto, doveva disgraziatamente avverarsi. Nella notte dal 26 al 27 settembre gli eserciti gallo-ispani da Casteinuovo di Scrivia si mettevano in marcia, disposti in 6 colonne, con tutta l’artiglieria ed i pontoni, dirigendosi verso il Tanaro, ove giunsero, in gran silenzio, un’ora prima di farsi giorno. La prima colonna, formata da truppe del conte di Gages e condotta dal sig. Sene, tenente generale spagnuolo, formava l’ala destra, che doveva “

lvi, 36. Archivio di Stato di Torino, Minutoli, cat. III. Cfr. wv. 16. B. Gb, op. cit., 37.

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guadare il Tanaro alla sua confluenza col Po; la seconda colonna, agli ordini del Marchese Pignatelli, tenente generale spagnuolo, composta di tre battaglioni di granatieri provinciali, di un battaglione di granatieri svizzeri, di tre battaglioni di guardie, di 12 pezzi di cannone e di tre brigate di Dragoni, Belga, Pavia e Frisia, doveva passare il Tanaro vicino a Bassignana, occupare questo paese ed il ponte sul Po, per tagliare la comunicazione tra i due eserciti austro-piemontesi; la terza colonna, co mandata dal tenente generale spagnuolo d’Arembourg, aveva alla testa le guardie spagnuole, seguite dalle brigate di fanteria, Galizia, Savoia ed Africa, da 8 pezzi di cannone e dalle brigate di cavalleria, Principe e Siviglia, e doveva guadare il Tanaro al basso di Rivarone; la quarta, agli ordini del conte Domontal, tenente generale francese, era composta dalle brigate di fanteria, Poètou, e della Regina e di 6 pezzi di cannone; era seguita dalla brigata di Segur, comandata dal sig. Chevert, maresciallo di campo, ed infine la rin.forzavano, con altri pezzi di cannone, la brigata di cavalleria francese, Reale Piemonte, quella di fanteria spagnuola, So ria, quella dei Dragoni a piedi ed il reggimento di Besler, spagnuolo, agli ordini del sig. Demagni. Questa doppia colonna aveva ordine di passare contemporaneamente il Tanaro tra Rivarone e Montecastello, verso il centro del campo piemontese, con lo scopo di dividere questo esercito in due parti. La quinta colonna, condotta dal conte Senecterre, tenente generale francese, era formata dalla brigata di fanteria d’Angiò e da quella di cavalleria del Delfino, e non doveva fare che un falso attacco ai ponti piemontesi sul Tanaro sotto Montecastello, e ricongiungersi con quella del sig. Dumontal nel caso che questa ne avesse avuto bisogno; la sesta colonna, infine, diretta dal francese conte di Grammont, maresciallo di campo, composta dal battaglione dei Granatieri Reali e di Modena, e dalla brigata dei Dragoni del Delfino, era pure essa destinata a fare un falso attacco alla sua sinistra, ed a rimpiazzare quella del conte Senec terre, ove questa avesse dovuto riunirsi con la colonna Dumontal. In complesso questi eserciti nemici venivano a trovarsi con una forza operante doppia di quella piemontese.’4 ‘ L’esatta posizione delle truppe gallo.ispane il giorno 27 settembre 1745, prima dell’inizio della battaglia di Bassignana, è chiaramente indicata nel disegno a colori riprodotto nella tav. 17. Per la fonte di questo disegno di,. la nota 12. Il passaggio del Tanaro da parte delle truppe gallo-ispane, nel corso della battaglia di Bassignana, è pure descritto in una grande incisione inserita nell’opera « Canes geograpbiques, topograpbiques, plans de marches, campennes, villes, sièges, bataille: et toutes les ape rations militai,’es executée.r en Italie, pendant les campagnes de 1745 e! de 1746 par

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Ed al mattino del 27 settembre, prima ancora di farsi giorno, parti rono da Piovera tre fucilate. Fu questo il segnale di attacco; nel momento stesso i micheletti ed i granatieri nemici, delle colonne d’Arembourg e Dumontal, gettatisi nel Tanaro, ove l’acqua, per la scarsa pioggia dei giorni precedenti, non arrivava neppure alla cintura, si portarono sulla destra di Rivarone, di fronte all’accampamento del reggimento di Gui bert, respingendo le gran guardie piemontesi. Il generale Guibert, già avvisato nella notte che rumori sospetti erano stati avvertiti alla riva destra del Tanaro, non appena senti sparare il primo colpo nemico, fece marciare i suoi granatieri ed alcuni picchetti contro la testa della colonna assaltante, alla quale per un po’ di tempo fecero mirabilmente fronte. Ma per quanti sforzi essi facessero, non potendo arginare l’avanzata dell’im petuoso e numeroso nemico, furono costretti a retrocedere. Con soli 3 battaglioni di fronte a tanto prorompere di forza nemica, che andava crescendo ogni momento, questo corpo non vide altra risorsa, e fu neces saria, che di guadagnare le alture vicine, non mancando però di fare, nel tempo stesso, altre tre cariche contro la testa della colonna Dumontal. In questo frattempo la colonna del conte d’Arembourg, dopo aver guadato il fiume, senza trovarvi alcun ostacolo, per avere il reggimento Piemonte ricevuto ordine dal conte di Nangis di spostarsi a sinistra, prese la strada di Pecetto, lasciando dietro a sé, sulle colline, i tre battaglioni di Guibert ed uno del Piemonte Cavalleria, separati dal resto dell’esercito. Il gene rale che comandava questi quattro battaglioni, fece allora marciare 2 pattuglioni alla volta delle vicine colline, in modo che potessero arrivare prima del nemico; questa manovra riusci discretamente, ed i quattro bat taglioni, protetti momentaneamente dal fuoco dei 2 pattuglioni, poterono mettersi in salvo. Infine, rimasti senza polvere, né piombo, ed isolati come erano dal resto dell’esercito piemontese, convennero di ritirarsi verso Valenza, nel cui tragitto si unirono alle truppe del comm. Cinzano. In questa opera zione vi furono molti feriti, fra i quali diversi ufficiali piemontesi; e lo stesso generale Guibert, che ebbe una coscia rotta, fu fatto prigioniero, les Armées combinées de France e! d’EspaRne commandées par Monsieur le Marécbal De Maillebois sous les ardres de S.A.R. l’Enfant Dan Pbiippe, dediées au Rai par Mt. le Marquis de Pézay Mente de Camp de Dragons Aide Maréchal Général dat Lagès des Armées dii Rai e! Chevalier de l’Ordre Royal Militaire de Si. Louis», Paris, Empr. Royale, 1775. La stessa opera contiene due tavole che riproducono, rispettiva mente, il campo di Bassignana o di Rivarone dal 27 al 31 settembre e il campo di Pecetto o Mugarone il 31 settembre 1745. Le tre incisioni sono riprodotte nel pre sente testo alle tavv 18-19-20.

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e mori qualche tempo dopo a Torino in seguito a tale ferita. Contemporaneamente a questo attacco, la colonna del sig. di Che vert, dopo aver guadato il Tanaro tra Rivarone e Montecastello (ove si opposero accanitamente i pochi battaglioni piemontesi accampati a sca glioni sulla lunga fronte), ebbe ordine dal Maresciallo Maillebois di guadagnare la collina, con lo scopo di prendere alle spalle le truppe pie montesi esistenti a Pavone ed a Pietramarazzi mentre queste erano te nute in iscacco dalle colonne di Senecterre e di Grammont —; ma appena quella colonna si rese padrona della strada che conduce verso Montecastello, fu fermata da 6 pattuglioni piemontesi. Intanto il Re Carlo Emanuele III, che aveva pernottato a Montecastello, al primo avviso dell’attacco corse a cavallo alla testa delle brigate delle Guardie, di Savoia e di Schulembourg, le quali erano in battaglia nella pianura del Tanaro; ed appena vide minacciato il centro del suo campo, fece partire i granatieri ed alcuni picchetti di queste tre brigate per rinforzare quella di Piemonte che trovavasi troppo distaccata; ma vista poi la preponderanza del nemico, e non volendo esporre inutilmente la sua truppa, che fino allora aveva opposto una viva resistenza, dopo aver fatto partire per Alessandria l’artiglieria della sua destra, bruciata la polvere e tagliati i suoi ponti sul Tanaro, diede ordine alla sua gaurdia, ai 200 cavalli del Re e di Savoia, agli Ussari di Dersoffi, al battaglione Mondovf ed alle 3 brigate, di ripiegare; e per la strada « Serra » delle colline, passando dalle Cascine Pattona e Falamera, si portò a Valenza, seguito a poca distanza dalla brigata delle Guardie, che da Pietramarazzi era passata a Valle 5. Bartolomeo, e dai grantieri del generale Audibert e del Principe di Carignano, i quali coprivano la marcia trattenendo, col fuoco, la colonna nemica del conte Dumontal. Ma dove il nemico irruppe maggiormente, fu verso Bassignana. La prima colonna nemica della destra, guadato facilmente il Tanaro verso la sua confluenza, si portò subito ad occupare i ponti sul Po, proprio nel momento in cui stava per arrivare l’avanguardia del corpo di Schulem bourg, proveniente dalla Pieve del Cairo. Disgraziatamente il generale austriaco giungeva troppo tardi; il nemico, che aveva sempre mirato di dividere gli austriaci dai piemontesi, appena si accorse dell’avanzata di Schulembourg, tagliò e bruciò i ponti; cosi questo generale, impotente spettatore della battaglia che accanivasi attorno a Bassignana, non ebbe altro partito a prendere che quello di risalire la riva sinistra del Po e portarsi a Valenza. La seconda colonna nemica, attraversato il Tanaro di fronte a Bas —

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signana, trovò resistenza da parte delle gran guardie piemontesi, colle quali si accese una forte mischia. Il conte della Manta che comandava la cavalleria piemontese, avvertito nella notte delle intenzioni del nemjco, già aveva disposto tutta la sua truppa in linea di battaglia, nel tratto che va da Bassignana fin vicino a Rivarone; e ad aumentare il distaccamento di Bassignana, erano intanto giunti nella notte 4 battaglioni austriaci, con due cannoni, comandati dal generale maggiore Neuhans. Si apprestò cosi a contrattaccare decisamente il nemico, che riusci infatti a rattenere, allorquando fu avvertito dai suoi ufficiali che i gallo ispani, dopo aver riportato grandi vantaggi a Rivarone e similmente verso i ponti sul Po, si dirigevano ora verso Pecetto e Mugarone; per cui il conte della Manta, privo di notizie dal quartiere reale, e per non venire accerchiato dal nemico, decise di ritirarsi verso Valenza. Ma per non far sembrare questa operazione una fuga, si dispose a sostenere il ripiega mento contro il nemico che già faceva fuoco da tre parti, mentre il cav. della Villa, tenente colonnello dei carabinieri, fu incaricato di soste nere coi suoi militi — che in questa battaglia si distinsero per fermezza ed eroismo l’impeto della colonna assaltante, la quale trovavasi ormai tutta schierata sulla riva sinistra del Tanaro. E la ritirata sarebbe avvenuta senza perdita di uomini, se tre profondi rivi, esistenti in quei pressi, non l’avessero alquanto ostacolata; per cui la colonna piemontese, avendo dovuto ritardare la sua marcia, fu caricata dal nemico, ed i carabinieri, che formavano la retroguardia, dovettero con loro grande sacrificio — contrattaccarli più volte. Riusciti cosi a distogliersi da quell’accerchia mento, poterono infine riparare sotto Valenza, ove si ricongiunsero con il resto dell’esercito piemontese ».‘~ Conclusa la battaglia con la sconfitta delle truppe piemontesi, si tenne a Valenza un consiglio di guerra nel corso del quale lo Schulem bourg propose di andare ad attaccare il nemico a Bassignana e Rivarone. Il progetto però fu abbandonato perché troppo temerario e Carlo Ema nuele III fece ritirare le sue truppe sotto Giarole e poi vicino a Casale. Ai primi di ottobre fece ritorno al campo piemontese la maggior parte degli ufficiali piemontesi catturati durante la battaglia, e si venne cosi a sapere che l’infante Fffippo, dopo aver lasciato un corpo di truppa a Bassignana, si era diretto ad assediare Valenza, mentre un altro corpo di spedizione marciava contro Alessandria. Valenza fu presto piegata dalle armi dei gallo-ispani, ma non altrettanto la cittadella di Alessandria, —



B. GHO,

op. ci:., 43-8.

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LA DOMINAZIONE SABAUDA

L’ASTRO NAPOLEONICO che riusci per lungo tempo a tener testa al nemico, sino a quando fu liberata dalle truppe piemontesi nel marzo del 1746. Le sorti del conflitto volsero poi a favore del Piemonte, e Carlo Emanuele III poté riconquistare i territori di Asti e Alessandria, l’alto e basso Monferrato, la Lomellina e, qualche tempo dopo, anche Valenza. La morte di Filippo V, avvenuta il 9 luglio 1746, volse gli animi dei contendenti a pensieri di pace, la quale difatti fu stabilita ad Acquisgrana il 18 ottobre 1748. ***

Dalle guerre di successione il Piemonte usci ingrandito territorial mente e più forte politicamente. Le precedenti circoscrizioni amministra tive furono ripristinate e Bassignana fu nuovamente inserita nella pro vincia di Alessandria, e precisamente nel terzo cantone di tale provincia, assieme a Montecastello, Pietra Marazzi, Pavone, Pecetto, Rivarone e Valenza. Nei decenni seguenti, Bassignana non balza alla ribalta della storia per avvenimenti di qualche rilievo che non siano le vicende normali della sua vita interna, scandita sul ritmo lento e un po’ pigro che caratterizza in questo periodo tanti altri paesi della regione. A rompere la monotonia del secolo, troviamo registrata la notizia di una visita a Bassignana compiuta il 10 settembre 1787 dal re Vittorio Amedeo III, accompagnato dai suoi quattro figli, che fu ospitato in casa dei marchesi Provera. Scopo della visita era quello di esaminare sul posto se dalla ricostruzione della rocca e della rocchetta di Bassignana, smantel late nel corso delle operazioni militari del 1691 e del 1745, si sarebbe potuto meglio garantire la protezione della linea del Po e del Tanaro. Poiché la ricostruzione dei fortilizi non fu mai più attuata, si deve ritenere che le decisioni del sovrano siano state negative. Ad ogni modo, le manifestazioni di giubilo con cui i bassignanesi accolsero Vittorio Ame deo furono veramente entusiastiche, tanto che per l’occasione fu rico struito (o restaurato) l’arco d’ingresso al paese, anticamente chiamato Porta Mezzana, tuttora conservato nell’abitato. Per quanto Bassignana fosse ormai tagliata fuori dai grandi eventi che segnano la vita di uno Stato, si può dire che verso la fine del Sette cento il paese riveli sicuri sintomi di una ripresa in ogni settore, da quello demografico a quello economico. Ma oltralpe si stava già adden sando la bufera che di lf a poco si sarebbe riversata come un turbine sulle nostre terre per sconvolgere e abbattere ordinamenti e situazioni secolari, ma anche per schiudere le porte all’età moderna.

Sotto l’incalzare della bufera rivoluzionaria, che minacciava di dila gare in tutta Europa, i nemici del governo francese costituirono una coalizione che si concluse col trattato di Londra del 15 aprile 1793. Alla coalizione, di cui l’Austria era principale esponente, aderi anche il re Vittorio Amedeo III di Savoia, che sperava in tal modo di frenare l’avan zata dell’esercito rivoluzionario francese che aveva già occupato Nizza e la Savoia, senza peraltro osare il passaggio delle Alpi. La situazione era a questo punto quando il generale Napoleone Bonaparte, nominato dal Direttorio francese comandante supremo del l’esercito in Italia, nell’aprile 1796 varcò le Alpi penetrando in Piemonte, Piemontesi e austriaci insieme costituivano un esercito ben più forte di quello francese, ma Napoleone poté attuare un piano strategico geniale: quello di scagliarsi sugli eserciti nemici separatamente, prima che si potessero congiungere per darsi aiuto reciproco, e prima che si potessero riavere dalla sorpresa. Nella battaglia di Montenotte e nelle successive, Napoleone riusci a battere separatamente austriaci e piemontesi, i quali ultimi furono costretti a sottoscrivere il trattato di Cherasco del 26 aprile 1796, che riconosceva alla Francia il possesso di Nizza e della Savoia, nonché il libero passo del Po sotto Valenza in caso di necessità. Frattanto gli austriaci si erano ritirati sul Ticino per difendere la Lombardia, ma Napoleone varcò il Po a Piacenza, vinse i nemici a Lodi e il 15 maggio 1796 entrò trionfalmente a Milano. Prosegui poi la sua avanzata sbaragliando gli austriaci ad Arcole e sul Tagliamento, sino a quando il trattato di Campoformio dell’ottobre 1797 pose fine alle osti lità tra Francia ed Austria. Le terre ad est dell’Adige, già della Repubblica di Venezia, furono cedute all’Austria, mentre quelle ad ovest, sino al Ticino, furono cedute alla Francia e formarono il territorio della Repub blica Cisalpina. Conclusa la fulminea campagna d’Italia, che lo aveva coperto di gloria, Napoleone tornò in Francia lasciando nei territori occupati un

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esercito pronto a intervenire ovunque fosse necessario conservare il nuovo assetto territoriale e politico. In Piemonte, intanto, sotto l’influsso francese gli avvenimenti andavano precipitando, sino a tanto che nel dicembre 1798 il re Carlo Emanuele IV fu costretto ad abdicare e a ritirarsi in esilio in Sardegna. Caduto il regime monarchico, in Piemonte fu costituito un governo provvisorio che, superata una forte opposizione, nel febbraio 1799 pro clamò l’annessione della regione alla Repubblica Francese, decretando la soppressione di conventi e chiese, l’incameramento dei beni ecclesiastici e l’abolizione di tutte le istituzioni che sembravano ormai espressione del precedente regime assolutistico. Anche a Bassignana furono introdotte le novità portate dai principii rivoluzionari e, scomparsa ogni traccia degli antichi ordinamenti feudali, nel 1799 fu insediata la nuova Giunta Municipale che risultava cosi com posta: Sindaco-Presidente (Maire): Segretario: Consiglieri:

Esattore:

Avv. Gius. Pasquale Cordara Antona Notaio Filippo Tartara Antonio Tosino Antonio Cassini Giuseppe Arzano Gio. Maria Freschi Diego Pagella Federico Fontana Giuseppe Valdata Giuseppe Campo Fregoso

La nuova Giunta peraltro non poté esercitare per molto tempo il suo mandato, perché si stava profilando all’orizzonte la minaccia della reazione austro-russa che mirava a spazzar via dal territorio italico ogni traccia di idee e ordinamenti rivoluzionari. Difatti, mentre Napoleone era impegnato nella campagna d’Egitto, un esercito composto da 250.000 austriaci e 60.000 russi entrò in Italia e batté i francesi sull’Adige e sul Mincio, abbattendo ovunque gli ordi namenti democratici istituiti sotto l’egida delle baionette francesi. Il generale Moreau, sconfitto sull’Adda a Cassano dagli austro-russi, fu costretto a ritirare le sue truppe in Piemonte, nei dintorni di Alessandria e Valenza. Nel corso di questa campagna, Bassignana diede ancora una volta il

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suo nome ad una battaglia: quella avvenuta il 12 maggio 1799 fra le truppe francesi e quelle austro-russe comandate dal generale Suvarow. L’esercito francese era accampato fra i fiumi Bormida e Tanaro, ed aveva guarnito con una catena di avamposti le coffine di Pavone, Montecastello e Pecetto. L’da destra rimaneva cosi assicurata da Alessandria e dal Tanaro, mentre la sinistra era coperta da Valenza e dal Po. L’esercito austro-russo, non avendo potuto varcare la Sesia in piena, si accampò a Candia Lomellina e quindi si spostò a Mede, da cui inten deva prendere le mosse per forzare il passo sul Po a Bassignana e snidare i francesi dalle loro posizioni fortificate. Nell’intento di realizzare questo piano, il 9 maggio il generale Rosemberg passò come una folgore per Pieve del Cairo e si affrettò al ponte di Gerola per trovarsi all’indomani a Castelnuovo Scrivia, dove era stato fissato il quartier generale, mentre altri contingenti di truppe austro-russe premevano i francesi dalla parte del Tanaro e della Borniida. Il generale Suvarow, tenendo in poco conto la favorevole posizione del nemico, riservò al Rosemberg il compito di impadronirsi di Valenza, in modo che l’armata austro-russa potesse circolare liberamente sulle due rive del Po. Ma il compito si presentò più difficile del previsto, perché i porti natanti di Cambiò e di Borgofranco (Bassignana) erano stati affon dati il 6 maggio dalla divisione francese « Victor » che batteva in riti rata, e d’altra parte 11 passaggio del Po si presentava arduo per le copiose piogge che l’avevano ingrossato. La mattina del 10 maggio il corpo dei pontonieri effettuò l’adunata delle barche a Borgofranco e qui si con centrò il grosso delle divisioni austro-russe per la traversata del Po. Nel pomeriggio, verso le 17, riparato alla meglio il porto natante con le barche requisite, cominciò il transito di una colonna di russi al comando del generale Dalbein, cui tennero dietro la fanteria ed i cosacchi di Semiorinhoff. Il granduca Costantino ed il generale Miraldowitz affronta rono personalmente i pericoli di quella spedizione notturna. Il corso del Po era allora diviso in due canali da un’isola molto allungata che fu occupata senza incidenti dalle truppe, ma invano il prin cipe Bagration tentò di far trasportare le barche attraverso l’isola sul canale di destra. Rimaste senza mezzi, le truppe aspettavano ordini, men tre le spie mandate ad esplorare portavano notizie sicure sulle posizioni tenute dai francesi sul ciglione della rocca di Bassignana e alla foce del Tanaro. La mattina dell’il maggio, festa di Pentecoste, Rosemberg mandò l’ordine di attaccare e poiché durante la notte le acque del fiume si

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erano notevolmente abbassate, la manovra fu eseguita agevolmente dal l’avanguardia dei cosacchi che aprivano la marcia e dalle fanterie, cui l’acqua arrivava solo alle spalle. L’approdo sotto Bassignana non fu con trastato dal nemico ed i cosacchi, con la fanteria, si spensero alla rinfusa verso il paese, mentre i posti avanzati dei francesi indietreggiavano verso Pecetto, abbandonando Bassignana. I cavalieri cosacchi, lasciando alle loro spalle Bassignana, si spinsero verso Pelizzari con la foga tradizionale e puntarono verso Pecetto senza scoprire il nemico che, da informazioni, risultava poco lontano. Una fitta scarica di moschetteria, partita da un poggio coperto di vigne, irte di pali che lo rendevano impenetrabile ai movimenti della cavalleria, sospese l’avanzata dei cosacchi. Questi allora indietreggiarono verso la strada di Valenza, presso Pelizzari, in attesa della fanteria che, già padrona di Bassignana, al comando del generale Suvarow attaccò i fanti della divi sione « Gremier ». Alle 18 avvenne lo scontro decisivo: Rosemberg e Miraldowitz spingevano sempre avanti nuove truppe che entravano subito in battaglia. L’impeto più accanito si ebbe attorno alla cascina Grossa e verso Peliz zari, dove si snoda la strada per Valenza. Da entrambe le parti si combat teva con grande valore, ma verso le 20 la divisione « Gremier », accor gendosi che un corpo cosacco tentava una manovra d’aggiramento, si ritirò con abile mossa, raggiungendo la brigata « Quesnel » incaricata della difesa di Pecetto. Il Moreau peraltro, intuendo il progetto dei russi, alla sera dello stesso giorno fece immediatamente trasferire tutte le sue truppe dalla cittadella di Alessandria al campo di battaglia. I cosacchi caricarono ripetutamente e disperatamente i dragoni francesi della divi sione « Victor », ma i loro sforzi s’infransero contro la favorevole posi zione dei nemici. Suvarow tentò un ulteriore assalto durante il quale le sue truppe rimasero a lungo sotto un fuoco violentissjmo dimostrando, sotto il gran dinare delle palle, un ammirevole sangue freddo. Il Moreau fece allora avanzare a passo di carica la riserva della divisione « Gremier » che, comandata dal Gardanne, riuscf a sfondare il quadrato della fanteria russa e a respingere, in grande disordine, un nemico che appena un’ora prima si era reputato vittorioso. A tarda sera i russi furono ricacciati oltre Bassignana la quale, prima di essere abbandonata, fu data alle fiamme. I cosacchi intanto caricavano i dragoni della divisione « Victor » e proteggevano i fuggitivi che indie treggiavano disordinatamente fino al Po. Il grosso del corpo Rosemberg,

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spinto dai suoi generali, alla fine poté ripassare il braccio destro del fiume. Il peggio avvenne al porto natante, dove la confusione era al colmo e la ressa dei fuggitivi impediva la manovra delle barche. Verso le 22 ripassò colà anche il granduca Costantino, il quale corse serio peri colo di essere fatto prigioniero. Per colmo di sventura, mentre il trambusto era maggiore, si ruppe la fune del porto e molti soldati, gettandosi a nuoto, perirono nel tenta tivo di guadare il fiume in piena. Gli altri dovettero consegnare le armi agli ussari francesi che, sciabolando nell’oscurità tutto ciò che incontra vano, andavano rastrellando l’isola nell’intento di sloggiare gli ultimi avamposti russi. Nella stessa notte il Miraldowitz si ritirò a Cairo e le sue truppe si acquartierarono nei dintorni, mentre il corpo Rosemberg s’inoltrava verso Cambiò. Il resto dell’armata, infine, venne disteso fra Gambarana e Frascarolo. Per quanto vigorosamente respinti nei successivi scontri, gli austro russi finirono per logorare le forze avversarie le quali, dopo aver lasciato forti presidi a Tortona e Alessandria, indietreggiarono sino a Cuneo per avere libere le strade che, per i valichi alpini, conducevano in Francia. La reazione austro-russa fu durissima nelle nostre contrade, ove i cittadini sospetti di parteggiare per i giacobini francesi furono persegui tati con ogni mezzo. Particolarmente onerose poi furono le contribuzioni imposte dai vincitori fra il maggio 1799 e il giugno 1800, Nel giugno del ‘99 Valenza, Bassignana, Borgofranco, Frascarolo, Torreberetti e altre terre dovettero fornire 2.270 uomini per lavorare alle fortificazioni di Valenza; nei giorni precedenti erano stati mandati 1.406 uomini dalle comunità di Mugarone, Pietra Marazzi, Montecastello, Rivarone, Pecetto, 5. Salvatore, Lazzarone e altre ancora. L’occupazione austro-russa del Piemonte fu peraltro brevissima per ché Napoleone, tornato dall’Egitto e fattosi proclamare Primo Console, con un forte esercito preparato in tutta segretezza attraversò audacemente le Alpi e piombò alle spalle del nemico. A Marengo, il 14 giugno 1800, si svolse una durissima battaglia che, sulle prime, pareva si dovesse concludere con la sconfitta dell’armata francese, ma l’eroico generale Desaix, caduto sul campo, seppe mutare il rovescio iniziale in una folgo rante vittoria. Dopo questa battaglia, Napoleone riconquistò il Piemonte e riusci ad annettere alla Francia anche il ducato di Parma. La regione piemontese tornò cosi ad essere una provincia dell’impero francese, soggetta alle leggi francesi; la stessa lingua francese divenne ufficiale e i municipii furono

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regolati sul modello francese: i sindaci si chiamarono maire e i municipii mairerie. Anche a Bassignana, tornata sotto il dominio francese, furono ripristinati gli ordinamenti democratici abbattuti dalla reazione austro russa: nel quadro del nuovo assetto amministrativo, il paese fu inserito nella prefettura di Alessandria, compresa a sua volta nel dipartimento di Marengo. Non possediamo i dati riguardanti la composizione dell’amministra zione comunale negli anni compresi fra il 1800 e il 1802. Risulta comun que che dal 1803 sino al giugno del 1813 fu maire di Bassignana l’avvo cato Francesco Cordara Antona e consiglieri furono Lazzaro Pagella, dott. Alessandro Lenti, Gio. Antonio Fracchia, Gio. Battista Robutti, Pietro Antonio Pagella, Mario Mensi. In data 19 luglio 1813 il prefetto del dipartimento di Marengo comunicò con suo dispaccio che « Pierre Duranti, Joseph Antoin Fracchia, Pierre Antoine Gallini et Joseph Marie Pagella sont nominés Membres du Conseil Municipal de la Commune de Bassignana, en emplacement de: Joseph Pagella, décedé, le 1 .re; le 2.me et le 3 .me de Jean Fracchia et Antoine Valdata demissionaires; et le 4.me de Alezander Lenti qui n’etant jamais intervenu au Conseffie, est dimissionaire ». Nel 1805, anno successivo alla proclamazione a imperatore di Napo lone, la circoscrizione della diocesi di Pavia fu rimaneggiata e le parroc chie di Montecastello, Pietra Marazzi, Pavone, Pecetto, Valenza e Bassi gnana ed altre ancora furono incorporate nella diocesi di Casale, da cui nel 1815 furono staccate e attribuite alla ripristinata diocesi di Alessan dria. Cessò in tal modo la millenaria giurisdizione ecclesiastica pavese su Bassignana. Sarebbe troppo lungo in questa sede diffondersi sulle conseguenze della geniale opera di riforma attuata da Napoleone in ogni settore della vita pubblica, ma soprattutto nel campo della amministrazione. Basterà qui ricordare che, in esecuzione del noto decreto napoleonico di soppres sione delle corporazioni religiose, nel 1802 fu decisa la chiusura dei con venti di 5. Bernardo dei Carmelitani Scalzi e di 5. Paolo Apostolo dei Minori Riformati, che da secoli esistevano a Bassignana. I beni dei due monasteri soppressi furono incamerati dal governo e gli edifici conven tuali furono abbattuti o volti ad altri usi. Proprio quando le nostre terre sembravano avviate verso nuove mete di civile progresso, nel 1813 gli eserciti alleati sbaragliavano l’Im peratore nella piana di Waterloo. Con la sua caduta, furono travolte e disperse le speranze riposte in un destino migliore. ...

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Chiusa nel 1814 la parentesi delle invasioni rivoluzionarie e napo leoniche, fu presto evidente che non si poteva sperare in una tranquilla ripresa della situazione morale e politica del periodo delle riforme libe rali iniziate nella seconda metà del Settecento. A differenza che altrove, in Italia la restaurazione significò sol tanto il ritorno di sovrani spaventati e diventati nemici dei loro popoli, la soppressione di qualunque garanzia liberale, attraverso la dominazione diretta o attraverso la protezione armata concessa dall’Austria. Poiché le classi più illuminate e animose della società italiana non potevano accet tare una condizione di cose cosi mortificante, fu subito chiaro che il nuovo ordine politico non poteva radicarsi, e nella penisola comincia rono a fermentare ribellioni dalle quali, attraverso tormentate e alterne vicende, doveva scaturire la vittoriosa rivoluzione liberale e nazionale del risorgimento. In Piemonte, il seme gettato dall’amministrazione francese, e in particolare il soffio innovatore che modificò i rapporti tra le varie classi sociali, non andò perduto. Covò sotto la restaurazione, nonostante il ten tativo di ritornare ad ordinamenti politici, economici e sociali ormai superati dai tempi. Germogliò con i moti del 1821, che videro Santorre di Santarosa inalberare nella cittadella di Alessandria il tricolore italiano. Rigermogliò nel 1833 con il sacrificio di Andrea Vochieri, ed infine esplose nel 1848 con la concessione dello Statuto, che diede l’avvio al moto di unificazione nazionale. Sono fatti troppo noti perché ci dilunghiamo a sottolinearne l’im portanza dal punto di vista politico e morale. Importa invece sottoli neare che Bassignana non fu certo estranea ai fermenti patriottici che si agitarono in Piemonte avanti il fatidico ‘48. Indice del favorevole orientamento dell’opinione pubblica bassignanese verso la causa dell’in dipendenza nazionale è l’entusiastica accoglienza riservata dalla popola zione locale al re Carlo Alberto, in occasione della visita da lui compiuta il 29 maggio 1843.

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Dopo essersi trattenuto ad Alessandria per assistere all’incorona zione della Madonna della Salve, il sovrano si portò prima a Rivarone. La « Gazzetta Piemontese » del 19 giugno 1843 (n. 158) riferisce che « il 29 Maggio fu giorno di giubio per i rivaronesi, onorati quali furono da S.M. l’ottimo Carlo Alberto. Partita la M.S. con le LL.AA.RR. e Serenissime il Duca di Savoia, il Duca di Genova, il Principe ereditario di Lucca ed il Principe di Savoia Carignano e col real seguito alle 10 antimeridiane da Alessandria e correndo sopra una nave a gaia addob bata sopra i tortuosi giri del Tanaro, fermava alle 12,15 felicemente ai porto di Rivarone vagamente ornato. Le salve dell’artiglieria, i fuochi di gioia di un battaglione della Brigata Cuneo, il rombo dei mortaretti, il suono delle campane, le sinfonie della banda militare, gli evviva del l’affollato popolo, che al comparire del regio legno a gara echeggiarono festosi salutavano l’eccelso Monarca cui ivi recavasi ad ossequiare il Cor po Amministrativo, umiliando alla M.S. per mezzo del signor Sindaco Francesco Garrone, l’omaggio della felicissima sua sudditanza. Sbarcata la M.S., saliva per un angusto colle di fiori cosparso, al promontorio dell’antico castello, ove soffermatosi sotto padiglione erettovi, si com piacque della pittoresca vista, che le si offriva nella vasta pianura della Fraschetta. Avviatosi quindi fra le sempre iterate acclamazioni dei fortu nati abitanti, S.M. entrava nella via maestra del paese dove attendevalo il numeroso corteggio delle carrozze. Mille grida si elevano a salutarla e degnavasi di gradire l’umile offerta di un bellissimo acrostico dei gio vane abate Giovanni Fracchia. Il Re degnavasi attestare la sua reale soddisfazione per l’universale esuitanza ed alle 12,45 ripartiva per Bassi gnana e Valenza, per far ritorno ad Alessandria accompagnato dai piùi sinceri auguri di questa divota popolazione ». Analoghe dimostrazioni di affettuosa devozione verso Carlo Alberto, che sembrava incarnare gli ideali di quanti speravano in un’Italia unita e migliore, si verificarono a Bassignana. La « Gazzetta Piemontese » del 7 giugno 1843 (n. 129) scrive che «il Re insieme con le loro Altezze i Duchi di Savoia e di Genova, S.A.R. il Duca di Lucca e S.A. S.ma il Principe di Savoia Carignano e numeroso seguito, scese il Tanaro da Alessandria a Bassignana, e di là giungeva a Valenza all’una e tre quarti pomeridiane ». In occasione della visita reale, Bassignana ripristinò e abbelli l’arco di entrata al paese (già Porta Mezzana) sotto il quale era già passato trionfalmente, nell’anno 1787, il re Vittorio Amedeo. Ulteriore sintomo del sincero attaccamento della popolazione locale a Carlo Alberto è la

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seguente Ode stampata dalla Tipografia Capriolo di Alessandria in coin cidenza con la venuta del sovrano: Nella Faustissima Occorrenza che S. 5. R. MAESTA Degnossi visitare L’antica terra di Bassignana L’Anno 1843 La Popolazione Esultante Esulta o cara Patria Oblia ogni sventura Torna su Te risplendere Fiamma vivace, e pura; Qua! sul finir del secolo Sopra il tuo lido angusto Venne, e degnossi spargere L’Astro Regale di Amedeo Augusto’ Ho! fiamma venerabile, Alma propizia luce Q ual fato, amico e prospero A noi ti riconduce? Grazia Sovrana altissima Al nostro umil deserto Di compartire degnasi L’in vitto, il Grande, il REGE CARLO ALBERTO. Benché dal Trono Vigile Volga benigni i lumi, E savie leggi frenino Il mar, la terra, e i fiumi; Non basta al cuor magnanimo Del Principe veggente, Ma vuole ai fidi popoli Di Provincia in Provincia esser presente. Presenza inapprezzabile Per noi dono maggiore, Dono, che stringe i vincoli L’anno 1787, aIli io di Settembre, la Maestà del Re Vittorio Amedeo, accom pagnato dai quattro Principi Reali suoi figli di sempre Augusta Memoria, visitavano questa terra di Bassignana ed accettavano stanza nella Casa dei Marchesi di Provera.

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Di fedeltà, di amore, Per noi, pei nostri posteri Sacro ineffabil pegno, Che il dolce ci rammemora Di Sesostri, e di Tito amico regno. Presenza, che c’inebria Del pid soave affetto; Cosj di gioia i palpiti Prova al paterno aspetto Prole pupilla, e tenera Quando lontano crede Il Padre amante, e subito Gli amplessi a vicenda,- fra sé lo vede. I colli già fiammeggiano Della pisi bella aurora, Già sul corsier li supera, E i nostri campi onora, Sul ciglio al folto popolo Spira la divozione, Spira la gioja, ed umile Di fedeltà l’omaggio ai piè depone. Dietro al Monarca seguono La pace, e la clemenza Le genti si ravvivano Alla regal presenza Come ravviva il limpido Ruscello i fior morenti Quando del sol li piegano Nell’estiva stagione i rai cocenti. Per ogni dove accorrano Le genti a squadre a squadre Giulive in Lui salutano Il Re, l’Amante e il Padre; Tutti bramosi volgono I rai sul Regio ciglio Come li volge il naufrago Al lido ancor lontan nel suo periglio Dal Regio volto spirano I pi4 propizi fati, Le virtd tutte splendano Degli Avi Coronati; Non l’ostro, o l’oro fulgono

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In Lui per Regia insegna, Ma come padre tenero Fra noi suoi figli comparir si degna. Sotto a’ suoi piedi i fulmini Tiene dell’empia guerra, Né pii1 sorge il suo turbine A desolar la terra, Sotto il Suo Regno splendere Veggiam qual chiara face L’età dell’oro, e stabile Fiorir perfetta, imperturbabil pace. A’ cenni suoi risorgono Le opere Romane, Costruggonsi, s’innalzano Moli superbe, e strane, Né solo sorger veggonsi Civili monumenti, Ma Sacri Templi elevansi Al vero Dio delle Cristiane Genti. Per Lui canali fertili Innondan le campagne, Strade sicure, e comode Aprono le montagne, Altre ferrate nascono Già se ne vede il segno Su cui scorrerem rapidi Tutto il confin del fortunato Regno? Oh Sommo, oh Grande, oh Provvido Sovrano del Piemonte, Non sdegna i voti fervidi Che noi con umil fronte Al Cielo alziamo suplici Pieni di meraviglia Perché lung’anni vivano L’ottimo Rege, e la Regal Famiglia. E Tu Divina Vergine, Fra i puri gigli nata, Là sul Statellio margine 2 Bassignana gode della speranza, che la strada ferrata in predicazione in questi Regi Stati toccherà il suo territorio.

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225 Poc’anzi incoronata, Serba al divo/o Principe L’intemerato alloro, E sopra Lui l’Altissimo Versi d’immense grazie ampio tesoro. Madre di Dio Santissima Dalla celeste Sede Copri colla sant’Egida Del Trono il Regio Erede, Le Auguste Donne, i Principi, A cui rendiamo omaggio, E sul lo, capo sfolgori D’età in etade, l’immortal tuo raggio.

Ma la partecipazione dei bassignanesi alla causa dell’indipendenza nazionale non fu un fatto puramente ideale e sentimentale. Nel fervido clima di preparazione morale e concreta delle campagne risorgimentali, a Bassignana fu istituito un corpo di « Milizia Comunale » costituito da due compagnie formate da miiti del capoluogo e di una frazione di com pagnia composta da elementi di Mugarone.1 Nel corso della sfortunata ma non ingloriosa campagna del 1848, le truppe austriache occuparono Valenza, mentre Bassignana rimase in mano all’esercito piemontese. Il 13 agosto 1848 prendevano stanza nel paese due battaglioni del Reggimento Cacciatori Guardie che si tratten nero sino al 24 febbraio 1849. Nei giorni 3-4-5-12-13-14-19 marzo 1849 passarono per il paese, trattenendosi per qualche tempo, il 7° e il 9° Reg gimento Fanteria, il parco d’artiglieria della l~ Divisione con 126 cavalli e 72 artiglieri, il 5° Reggimento della Brigata Aosta col generale Lovera, lo Stato Maggiore coi relativi ufficiali superiori, una compagnia del 6° Reggimento, un ufficiale con 39 soldati del 4° battaglione, e altri corpi di truppa. Con delibera del 24 mano 1848 il Comune provvide all’acquisto di fucili destinati all’armamento della Milizia. Con successiva delibera del 13 luglio si procedette all’acquisto di tre tamburini (Archivio Comunale di Bassignana, d’ora in poi cit. A.C.B.). Nel bilancio presuntivo presentato in Comune il 29 mano 1849 furono iscritte al passivo le voci di spesa per la costituzione dell’ufficio d’amministrazione della Milizia Nazionale, giusta l’art. 134 della legge 7 agosto 1848; una spesa di lire 200 per due istruttori dei Militi Nazionali; una spesa per il vestiario di tre tamburini della Mi lizia; una spesa di lire 2.000 per far fronte alle spese di guerra, onde non incagliare gli affari del Comune nel caso fosse necessario effettuare qualche pagamento per tale oggetto (ivi). Nell’archivio tomunale si conservano altre delibere, posteriori al 1859, concernenti la Milizia Nazionale.

Il Comune dovette provvedere agli alloggi, ai mezzi di trasporto e ad altre urgenti necessità nella misura richiesta dai singoli corpi di truppa, alcuni dei quali furono alloggiati in case private sino al terzo trimestre del 1850. Onde, le domande successivamente presentate al Comune per il risarcimento dei danni subiti furono alquanto numerose.2 Ben peggiori peraltro furono le condizioni degli abitanti del terri torio comunale situato sulla sponda sinistra del Po, occupata dalle sol datesche nemiche. Un contingente di truppe austriache, distaccato dal corpo che aveva preso stanza a Frascarolo, era stato posto a guardia del porto sul Po fra Bassignana e Suardi (Borgofranco). In questo lembo del territorio comunale i danni furono certamente più gravi? L’esito sfortunato della prima guerra d’indipendenza non giunse a spegnere l’entusiasmo delle nostre popolazioni per la causa nazionale. Il vinto Piemonte seppe tenere alta la bandiera della rivoluzione nazio nale liberale e creò le premesse di quell’avventurosa vicenda attraverso la quale diplomazia ed esercito piemontesi contribuirono a fare del l’Italia un paese unito e libero. L’intermezzo della guerra di Crimea del 1855 fu profondamente vissuto dai bassignanesi, molti dei quali appartennero al corpo di spedi zione piemontese inviato in quella terra lontana. Ne diamo qui l’elenco parziale, avvertendo che di qualcuno non è stato possibile rintracciare neppure il nome, mentre di altri conosciamo solo il cognome e il sopran nome: Amelotti Giuseppe (detto Giupé) Goggio (detto Panada) Oltrabella Pietro (detto Pidrò ‘d Cenni) Sampietro (detto Bali) (detto Cichf ‘d Ragiò) Gli echi della campagna del ‘59, i cui prodromi ebbero come teatro la Lomellina e il Vogherese, si ripercossero anche a Bassignana, ove 2 Da una delibera del 12 marzo 1851 risulta che i pagamenti effettuati mune di Bassignana dal 15 agosto 1849 all’il febbraio 1851 per alloggiamenti ammontarono a lire 2.493,11 (A.C.B.). Il 22 agosto 1849 il Comune deliberò sul memoriale presentato da Pagella e dal fratello per ottenere il risarcimento del danno causato da legna dagli austriaci (A.C.B.).

dal Co militari Michele bruciata

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i chiamati alle armi4 Frattanto, risalendo la sponda sini stra del Po, gli austriaci erano giunti dirimpetto a Bassignana e il l~ maggio affondarono i mulini natanti ancorati alla sinistra del fiume.5 Il paese era presicliato da truppe piemontesi e da un contingente del Genio, che esegui alcuni lavori di difesa nel caso che il nemico avesse tentato di varcare il fiume. Per precauzione, il porto natante sul Tanaro fu affondato e sostituito, su richiesta del Genio Militare francese, da un ponte in legno in regione Radice.’ Fallito il tentativo di passare il fiume a Frassineto, il 4 maggio gli austriaci si diedero a cannoneggiare Valenza provocando sensibili danni, ma furono ben presto ridotti al silenzio dalle batterie francesi e piemon tesi. Il 1~ giugno una pattuglia di esploratori austriaci riusci a passare il Po e si spinse in territorio di Bassignana per spiare le mosse degli eserciti alleati. Nello stesso giorno, i Bersaglieri, i Carabinieri e i Militi Nazionali di Bassignana, Pecetto e Valenza accorsero in forze e riuscirono e ricacciare l’infiltrazione nemica.7 Poco dopo, nel paese sopraggiunse un forte contingente di truppe francesi che alloggiarono ovunque, persino nella chiesa parrocchiale, ove si trattennero dal 23 giugno al 25 agosto. I militari infermi, piuttosto numerosi, trovarono alloggio nell’ospedale di 5. Spirito e nella vicina chiesa di 5. Giovanni. Allontanati gli austriaci dalla Lomellina, il Consiglio Comunale si preoccupò di valutare i danni causati dal nemico nel territorio comunale posto alla sinistra del Po. A tale effetto, in data 3 luglio 1859 il Consiglio affidò al geometra Domenico Abbone l’incarico di accertare la consistenza dei danni bellici per le devastazioni di edifici, strade, ponti, terreni col tivati e piante, come pure per le requisizioni di operai, denaro, derrate, parecchi furono

Il 10 aprile 1859 il Consiglio Comunale si riuni in seduta straordinaria per eleggere una commissione incaricata di raccogliere e distribuire soccorsi alle famiglie povere dei contingenti chiamati alle armi (A.C.B.). Nelle sedute dell’il e 14 settembre 1859 il Comune deiberò sulle istanze di risarcimento presentate rispettivamente da Carlo Antonio Milo fu Giulio e da Vittore Corona e socio Oltrabella, mugnai proprietari dei mulini affondati dagli austriaci (A.C.B.). 6 In data 21 maggio 1860 il Comune deiberò di pagare lire 24,10 ai porcolani del Tanaro, frateffi Boveri, per le spese di riparazione eseguite al porto a doppia nave in seguito ai gravi danni recati al medesimo per essere stato affondato dalle truppe sarde per necessità di ordine strategico. Negli atti comunali esiste una delibera del 6 ottobre 1859 per il pagamento di lire 139,75 all’albergatore Antonio Soro, per somministrazione di cibarie ai Bersaglieri e Carabinieri accorsi per ricacciare i ricognitori austriaci. Con la stessa delibera fu ap provato il pagamento di lire 63,40 all’albergatore e ritagliatore Cristoforo Garrone, per cibarie fornite ai Bersaglieri e alla Milizia Nazionale di Bassignana, Pecetto e Valenza. Seguono altre deibere analoghe (A.C.B.).

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buoi, cavalli, carri, e infine per tutti i latrocinii commessi dai comandanti austriaci e dai loro soldati.8 Dopo il fortunato esito delle battaglie del ‘59, i bassignanesi segui rono con trepidazione l’impresa garibaldina del 1860, che portò alla completa riunificazione del territorio nazionale. Sappiamo con certezza che alcuni bassignanesi accorsero a ingrossare le file dei volontari al se guito di Garibaldi, ma non ci è stato possibile rintracciarne i nomi. Conclusa l’unificazione politica del territorio nazionale, dalla quale speravano di conseguire concreti e immediati vantaggi, gli italiani dovet tero ben presto scontrarsi con la dura realtà delle cose. Non era infatti sufficiente porre le basi per un libero e civile sviluppo degli ordinamenti politici ed economici: per dotare il nuovo Stato di un apparato suffi cientemente moderno era necessario spremere fino all’osso le modeste possibilità di reddito dei cittadini. Al periodo della poesia, come disse acutamente il Croce, seguf dunque quello della prosa. Una gravissima crisi economica, di cui non è qui possibile accennare le cause, sconvolse la vita della nazione negli anni fra il 1866 e il 1874, provocando forti tensioni in campo economico e sociale. Anche Bassi gnana si trovò coinvolta nella crisi, acuita da una grave epidemia di colera che nel 1867 colpi i centri attorno a Valenza, inflerendo soprat tutto a Bassignana e Pomaro.9 Nell’intento di fronteggiare la crisi, il Comune di Bassignana si trovò costretto ad emettere carta moneta fiduciaria, di cui si conserva ancora qualche esemplare in collezioni private. L’emissione dei biglietti è confermata dagli atti della commissione parlamentare d’inchiesta nomi nata allora dal Parlamento, e da una relazione della Camera di Commercio di Alessandria compilata in risposta al questionario della citata commis sione. In data 7 gennaio 1868, da Firenze capitale provvisoria del Regno d’Italia, il ministro dell’Agricoltura e Industria indirizzò al prefetto di Alessandria la seguente richiesta di informazioni: Signor Pretetto di Alessandria; Questo Ministero, intendendo ricercare quali effetti possa trar seco la ‘A.C.B. Seguono numerose delibere per risarcimento di danni causati dagli eserciti alleati e per forniture ad essi effettuate da privati. Una esauriente relazione sull’andamento del morbo epidemico a Bassignana fu redatta dal medico Dott. Sebastiano Picchio. Cfr. 5. PiccHio, Relazione sul cholera in Bassignana, alla Giunta municipale, Congregazione di carità e Commissione sanitaria, Ales sandria, Tip. V. Vecchi, 1867 (pp. 19, in 8°).

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emissione di biglietti fiduciari per parte delle Camere di Commercio e delle Casse di Risparmio, prega la S.V. di trasmettergli in via riservata, le mlorma zioni seguenti: J0) Se in cotesta Provincia, e per parte di quali Camere o Casse, abbiano avuto luogo le emissioni; 2°) Quale sia l’ammontare dei biglietti emessi, la loro forma ed il taglio; 30) Quale garanzia offre l’emissione; 40) Quale fiducia inspirano nel Pubblico; 5°) Se si siano verificati casi di contrafiazione e se questa riesca pid o meno difficile.

Negli archivi della Prefettura di Alessandria non esiste traccia di una risposta ufficiale alla lettera del ministro, ma si conserva una nota contenente l’elenco dei biglietti al portatore o buoni flduciari emessi dalle Camere di Commercio, Casse di Risparmio e altri corpi morali. Per quanto riguarda Bassignana esiste la seguente annotazione: IO BASSIGNANA

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Municipio

Valore dei Buoni: Lire Una, senza interesse 1’ emissione Lire 0,50 2° emissione Valore complessivo dei Buoni circolanti: Lire 800. Garanzia prestata: firma dei Sindaco, di un Assessore e del Tesoriere. I Buoni non subirono contraffazioni. Annotazioni: L’emissione tu per Lire 800, ma fin dai principio del bg. si co minciò a ritirare li Buoni, richiamati dalla Cassa dell’Esattore, ed ora non mancano, a compimento della somma emessa, che Lire 20,50 che si presume di tanti biglietti smarriti o stracciati. -

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Superato il periodo più grave della crisi, anche a Bassignana comin ciarono a manifestarsi i primi sintomi della ripresa. 11 progresso econo mico, anche se ancora basato esclusivamente sull’agricoltura, fu peraltro lentissimo, con arresti che potevano sembrare regressi. Una cattiva an nata costituiva un grosso guaio per tutti: l’aumento dei tributi, e special mente la tassa sul macinato, fu una novità sgradita e onerosa per i ceti meno abbienti. Nonostante tutto, grazie alle doti di parsimonia della popolazione locale, i modesti risparmi accumulati dopo aver soddisfatto le pur mo deste esigenze famigliari furono impiegati nel progressivo frazionamento della residua proprietà nobiliare. Venne in tal modo alla ribalta la pic cola proprietà contadix~a dei particolari, gente tenace, laboriosa ed eco‘°

Prefettura di Alessandria, Div. Gab., anno 1868, prot. gen. n. 6, fasc. 1.

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noma, decisa sostenitrice del principio dell’autosufficienza nel lavoro e dell’autoconsumo,ht Sintomo sicuro della ripresa economica in atto verso la fine del l’Ottocento è la crescita costante della popolazione, che nel capoluogo giunse a superare i 3.000 abitanti. Nella prima fase del decollo econo mico, in atto a cavallo del Novecento, una parte della popolazione con tadina abbandonò i campi, ma questo fenomeno non compromise la produzione agricola, perché il progresso tecnico consentf di fronteggiare egregiamente la diminuzione delle braccia, attratte dalla nascente indu stria del triangolo Milano-Torino-Genova. Qualcuno fece il grande passo e andò a popolare gli Stati Uniti d’America, ove esistono attualmente fiorenti comunità bassignanesi, spe cialmente a Memphis (Tennessee) e a St. Louis (Missouri). La forte corrente emigratoria provocò una progressiva diminuzione della popola zione locale, scesa sotto le 1.000 unità verso il 1940.12 Per converso, si accrebbero notevolmente le colonie bassignanesi in U.S.A., composte da gente tenace e intraprendente che supera attualmente le 3.000 unità, calcolando naturalmnte anche i discendenti di coloro che emigrarono da Bassignana agli inizi del secolo e nel periodo compreso fra le due guerre mondialiY Nei due immani conffitti Bassignana versò un largo contributo di sangue, soprattutto se teniamo presente il numero relativamente modesto della sua popolazione. Riteniamo qui doveroso, chiudendo il primo vo lume del nostro profilo storico, tramandare alla memoria dei posteri i nomi dei gloriosi caduti bassignanesi. Forse, non tutti furono eroi nel senso più alto del termine, perché Il primo embrione di vita associativa dei lavoratori locali, ma con intenti pre valentemente mutualistici, è costituito dalla Società di Mutuo Soccorso di Bassignana, fondata nel 1876. “ Il flusso migratorio riprese in misura massiccia dopo il secondo conflitto mondiale, tanto che un quotidiano piemontese dedicò al fenomeno un articolo che recava Pelo quente titolo « Bassignana paese fantasma ». L’articolo provocò una successiva inchiesta televisiva con riprese che mostravano le vie deserte del paese. Il preotcupante fenomeno fu poi in parte compensato da un sensibile afflusso di mano d’opera prevalentemente di origine veneta, che ha ormai trovato opportuno inserimento nel contesto sociale preesistente e si è amalgamato armonicamente nella popolazione locale, recando un pre zioso contributo alle future possibilità di espansione dell’economia locale. “ A conferma della compattezza morale e numerica della colonia bassignanese di Memphis si può citare il curioso aneddoto del facchino negro che, oltre a conoscere il dialetto di Bassignana, con sicura intuizione riusciva a riconoscere il basslgnanese che scendeva per la prima volta alla stazione ferroviaria di Memphis.

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pochi uomini possono vantare una simile vocazione. Ma, posti dalla ne cessità degli eventi in circostanze terribili, seppero affrontare la tremenda realtà della guerra con vivo senso del dovere e amor di patria, sino al sacrificio supremo della vita. Per ciascuno di essi sentiamo che possono essere vere le celebri parole di Montaigne:

Ci sono morti coraggiose e fortunate. Ho veduto tagliare il filo di una vita in meraviglioso progresso, e nel fiore dell’ascesa, a qualcuno, con una fine cosi grandiosa, che secondo me i suoi ambiziosi e coraggiosi propositi non avevano nulla di cosi alto come la loro interruzione. Egli arrivò, senza andarvi, dove aspirava: con maggior grandezza e gloria che non avrebbero potuto il suo desiderio e la sua speranza. E sorpassò con la sua caduta la potenza e la fama cui aspirava con la sua corsa.

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Omodeo Giovanni soldato disperso sul Carso Omodeo Luigi soldato morto il 24 novembre 1918 Pellizzari Giacomo soldato morto il 30 ottobre 1918 Pellizzari Vincenzo soldato morto il 25 agosto 1915 Radisone Andrea soldato morto il 16 giugno 1918 Ravarino Angelo caporale morto il 26 agosto 1917 Tosini Giuseppe soldato morto il 29 settembre 1917 Valenti Vittorio soldato morto il 23 novembre 1918 Vescovo Lorenzo soldato morto il 24 novembre 1918 Sali Sebastiano soldato morto il 24 maggio 1917 Torri Alessandro soldato morto il 17 novembre 1919 Cacciola Menotti mancano i dati militari e di morte Delfino Stefano mancano i dati militari morto il 13 ottobre 1918 -

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ELENCO DEI BASSIGNANESI CADUTI O DISPERSI NEL CONFLITTO

ELENCO DEI BASSIGNANESI CADUTI O DISPERSI NEL CONFLITTO 1915-’18 Abbiati Ernesto soldato morto il 26 ottobre 1918 Aviotti Felice caporale morto il 20 dicembre 1915 Balossini Giovanni sergente morto il 1° ottobre 1915 Barberis Giuseppe soldato morto il 16 novembre 1917 Bolgeo Luigi soldato morto il 29 giugno 1916 Bonacossa Francesco soldato morto il 10 febbraio 1919 Bottazzi Francesco caporale morto il 13 settembre 1915 Cappelletti Alessandro soldato morto nel maggio 1917 Caviglio Francesco soldato morto il 26 maggio 1917 Cortella Giuseppe soldato morto il 19 agosto 1916 Fabbio Pietro sottocapo cantì. morto il 10 ottobre 1917 Faccaro Edoardo soldato morto l’il marzo 1918 Faccaro Giuseppe sergente morto l’il aprile 1916 Formini Stefano soldato scomparso il 7 dicembre 1917 Fracchia Giuseppe caporale morto il 14 dicembre 1915 Freschi Giovanni caporale scomparso in Macedonia Gatti Giuseppe soldato morto il 18 luglio 1916 Ghezzi Primo soldato si ignora la data di morte Lenti Luigi bersagliere morto il 15 giugno 1918 Lunati Luigi soldato morto il 17 settembre 1916 Omodeo Francesco soldato si ignora la data di morte -

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Balossini Gino Bolgeo Gino Borra Paolo

Barzizza Luigi Burzi Giovanni Castelli Gian Luigi partigiano Corona Alessandro Gaia Silvio -

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Lenti Augusto Malvezzi Angelo Omodeo Marcello Pascoli Giovanni

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col.

Pavese Mario

Ponti Francesco Sacchi Francesco Vescovo

Luigi.

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partigiano

1940-’45

APPENDICE dei principali documenti storici citati nel corso del presente volume

Ottone 11 imperatore conferma a Pietro, vescovo di Pavia, i beni della chiesa pavese (Nimwegen, 976 novembre 22). FONTI. — A. L’originale manca. — P. Copia autentica del 7 settembre 1318 rogata dal notaio pavese Giovanni Mangiaria, già esistente nell’Archivio Vescovile di Pavia, pure manca. — C. Copia di B del 4 febbraio 1350 rogata dal notaio pavese Marchetto de Sedatlis, già esistente nell’Archivio Vescovile di Pavia « in quodam anhiquo libro vi carta membrana», pure manca. — D. Copia anteriore al 1638 in G. Bossi, Lq glorie sacre dx Pavia (noto come ms. Vescovi di Pavia), in Biblioteca Universitaria di Pavia, Manoscritti Ticinesi, n. 187. — E. Copia di C del 2 aprile 1646 rogata dal cancelliere vescovile Lorenzo Bigoni in Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, a. 1. — F. Ediz. G. R0B0LWI, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1826, Il, 247. — G. Ediz. CDL., in H.P.M., XIII, n. DCCLXXIX, col. 1369. — H. Ediz. H.P.M., Chartarum, Il, n. XXXI, col. 49. — I. Ediz. M.G.H., DipI. Reg. et Imp. Ge,m., Il, 1, Ottonis 11 DipI., n. 144, p. 161-2. — L. Ediz. C. PaniNi, 5. Siro, Pavia 1890, IX, n. XI, p. 19. OssERvAz. — F dipende da O; I da una copia esemplata dal Bòhmer su C, quando questa era ancora disponibile; L da F e G. È da rilevare inoltre che in un codicetto esistente nell’Archivio Vescovile di Pavia, recante sul dorso il titolo « Privilegi della Chiesa Pavese », esistono tre distinte edizioni a stampa del diploma, di cui le prime due del sec. XVII e la terza del sec. XVIII. Una delle due edizioni del sec. XVII riproduce in fac-simile il monogramma ottoniano e il tabellione del notaio Marchetto de Sedatiis, redattore della copia del 1350. MET. DI PUEL. — Si riproduce I, a cui si rinvia per le varianti.

(C.) in nomine domini dei aeterni. Otto divina sufiragante clementia imperator augustus. Si ecclesiis dei devote que famulantes eis [petierint contu]lerimus, eterne retributionis premium suscipere procul dubio non ambigimus divinum. Quapropter sancte dei ecclesie fidelium presencium sci licet futurorumque industria noverit, Petrum sancte Ticinensis ecclesie vene rabilem episcopum nostrumque fidelem dilectum nostram adiisse imperialem maiestatem, suppliciter orando quatinus pro dei amore nostrique imperiA stabi litate confirmationis ei preceptum de omnibus rebus sue ecclesie faceremus. Nos igitur digrzam eius petitionem considerantes eiusque precibus assensum prebentes confirmamus et corroboramus tam ipsi quam successoribus suxs per nostri pra[ecepti] paginam et largimur omnes res prefate ecclesie mobiles e immobiles, nominative curtes de Cecima, Fontanam Theoderili, Rovescala, Summi, Sariani, Casolade, montem Valleris cum portu qui dicitur Navicula

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APPENDICE

episcopi et supra lacum Cernobium, Tenaxi, Menaxi, abbacias etiam constructas infra moenia prefate urbis et extra et monasteria Scoila, Cariade, monasterium vetus, Sigimarii, Anzonis, Leani, sancti Thome, sancte virginis Mustiole, Christine, sancti Romuli cum curte et ecclesia sancti Viti cum mercato quod fit in eiusdem martiris festivitate, plebes quoque Bassignanam cum curte Frigandium; nec non etiam nostre precepto confirmationis largimur omnia quei dici vel nominari possunt ad id episcopium pertinentia ve1 aspicientia in integrum, cum castellis villis montibus vaffibus planiciebus rupibus silvis olivetis pratis castanetis terris cultis et incultis aquis aquarumque ductibus molendinis piscationibus vadis portibus salictis servis andilhis aldus aldiabus; et si quid ex supradictis aliquatenus visum est pertinere imperiali maiestati, a nostro iure et dominio in prefati episcopi et successorum eius ius et dominium omnino transfundimus, eo videlicet ordine quatinus prefata ecclesia cunctique inibi ordinati episcopi proprietario iure cuncta detineant, omnium hominum inquietudine molestatione minoracione semota. Concedimus etiam ut castella ville eidem episcopio subiecta ita sub dictione episcopi maneant, ut residentes in eis ad nullius hominis placitum eant neque distringantur, sed si quis ab eis legem poposcerit, f in] presencia eiusdem episcopi qui eidem episcopatui prefuerit, voI eius missi iustitiam quam exegerit accipiet. Precipientes insuper iubemus ut nulla regni nostri persona de predicto episcopio minoracionem aliquam facere presumat, sed neque in castello aut villa de eodem pertinente placitum tenere aut aliquid quod certe ad rem publicam pertinere videtur aut teloneum exigere audeat. Si quis autem, quod fieri non credimus, nostre conO firmacionis preceptum aliquatenus infringere attemptaverit, sciat se composi turum mille libras optimi turi, medietatem camere nostre et medietatem prefato pontifici eiusque successoribus. Quod ut verius credatur et diligencius ab omnibus observetur, annuli nostri impressione in calce insigniri iussimus. Signum domni Ottonis (M.) serenissimi imperatoris augusti. Egbertus cancellarius vice domini Huberti archicancellarii recognovi et subscripsi. Data x. kal. decembris anno dominice incarnationis DCCCCLrCvII, indic rione v. imperii vero Ottonis serenissimi imperatoris villi; actum in Niumaga; feliciter.

I’ Bernardo, vescovo di Pavia, investe i consoli e i credendari del Comune di Bassignana del Bassignanasco che è al di qua del Po, verso Spar vara (Pavia, 1212 maggio 22). Foini. — A. Originale in Archivio Vescovile di Pavia, cart. Vescovi di Pavia nel 1200. Inedito.

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(S.T.) Anno dominice incarnacionis millesimo. duecentesimo duodecimo. indictione quintadecima. cile lune undecimo kalendas iunii. in Papia. In nomine domini amen. Dominus Bernardus dei gratia papiensis episcopus. nomine er a parte ipsius episcopatus per consensum fratrum suorum. videlicet domini Rubaldi archidiaconi. domini Rufini archipresbiteri. domini Ottonis de Curte preposti. domini Olderici de Fara presbiteri. domini Lantelmi presbiteri. domini Rubaldi Cevolle subdiaconi. domini Henrici Torti. et domini Gualdesii presentialiter existentium. investivit Iacomum Collum. et Lave~arum consules loci de Basegnana. atque Martinum de la Gabba. Guidonem Magistrum. Rufi. num Alamanum. Ottonem Faffum. Albericum Papiensem. Martinum de Altri. da. Rufinum de Pado. Ugonem Presbiterum. et Opi~onem de Bonovillano. atque Petrum Nasum. credenderios et vicinos eiusdem loci Basegnane. nomine Communis ipsius loci. usque ad festum sancti Michaelis proximi venientis. et ab ipso festo. usque ad viginti annos expletos. ad fictum annualiter reddendum semper in festo sancti Michaelis in palacio Papie domini episcopi. octo libras Papie. ita ut insimul semper detur. et non divisim. sed in prozimo festo sanai Michaeis venientis. debent tantum dare de ipso ficto quatuor libras. nominative de Basegnassco quod est citra Padum de subtus pontem Padi de Basegnana. versus Sparvariam. iuris ipsius episcopatus. Tali tamen tenore conditione et modo quod si aliquid ibi aderesceret. per alluvionem concretam. vel decresceret. nichi1 addatur propter hoc nec diminuatur de ficto. sed si insula ibi nasceretur. ita quod aliquid de Pado remaneret inter ipsum Ba segnasscum. et ipsam insulam. sit domini episcopi. et ei aderescat. et non eis. Item si ibi vineas et arbores fructiferas plantaverint ipsi fictales [debenCi illas salvare et guardare et non minuere. et gaudimentum totum babere et in se retinere usque ad iamscriptum terminum; sed in capite iamscripti termini viginti annorum debent ipsas vineas cum fossatis et cesis. et arbores fructiferas. libere et absolute ipsi episcopo dimittere; sed si aliquas arbores non fructife. ras iN plantaverint. liceat ipsis fictalibus eas scalvare. et habere ramallus scalvature. et inde facere suam voluntatem. sed totum aliquid non debent ibi talliare absque parabola et voluntate ipsius domini episcopi. vel sui certi missi; nisi forte foret siccum sine fraude. et loco illius aliam plantam plantare. et illam et alias semper bona fide sine fraude conservare. Et in capite iamscripti termini viginti annorum. debent remanere ipse plante non fructifere communes inter ipsum dominum episcopum. et ipsum Commune. seu fictales; videlicet ita quod dominus episcopus debet inde habere medietatem. et de reliqua medie tate. ipsorum fictalium. ex pacto sit in arbitrio et voluntate ipsius domini episcopi. vel eius successoris. aut eius certi missi. illam in se remanere. et dare eis inde precium arbitrio duorum communium amicorum. quantuni fuerint extimate valere. ac si essent incise; aut dimittere ipsis fictalibus illas talliare. et portare ubi voluerint. Similiter et totum iflud Basegnasscum. libere tunc et absolute debet remanere in episcopatuni. Et ita quod non liceat ipsis ficta.

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libus. nec suis heredibus legitimis descendentibus. ipsum Basegnasscum in toto neque parte vendere nec alteri dare. nec aliquo modo alienare. nec locale. neque pignori obligare. alicui ecclesie. hospitali. comiti. capitaneo. et valvasori. nec servo. neque civi. nec Communi alicuius loci; verumtamen si darent alicui vel aliquibus aliis in toto sive parte ille vel fili quibus dederint. teneantur predicta omnia adtendere et observare. et salvare et guardare ut dictum est; preter de iamscripto ficto solvendo. quod ipsi fictales per se. semper solvere debent insimul et non dlivisim ut dictum est. Et ita habeant et detineant ipsi fictales. et eorum iamscripti heredes et cui dederint. preter exceptatis ut dictum est; sine omni contradictione ipsius domini episcopi. suique successoris et partis ipsius episcopatus. et cum eorum defensione ah omni homine mm ratione; si vero Commune Papie aliquid de ipso Basegnassco eis diminueret. dominus episcopus debet eis diminuere. de iamscripto ficto. pro parte illius quod illud Commune Papie. eis tolleret, et si aliquid mdc eis fuerit evictum mm ratione. tantum dominus episcopus debet eis dimittere de iamscripto ficto. pro rata quantum fuerit illud quod esset evictum. Et haec omnia ipsi consules et credenderii per se. et nomine Communis iamscripti loci promiserunt ipsi domino episcopo. nomine episcopatus adtendere. Item promiserunt ci eodem nomine. quod si pro hoc facto. aliquo modo fecerit expensas .eas ci restituere habentur et credendo ci in suo dicto tantum de quantitate expensarum. bona ipsius Communis. et sua in solidum unusquisque quem eligere voluerit. pignori obligando et renuntiantes nove constitutioni. qua dicitur. nequis ex reis con veniatur in solidum. donec alter sit presens in solvendo. et omni alii legum auxilio. quo possent se tueri; Insuper quoque iuravit unusquisque eorum ad sancta dei evangelia per se. iamscripta omnia adtendere et observare ut dictum est. et quod ipsi de cetero bona fide sine fraude. omni anno usque ad iamscrip tum terminum. facient omnes consules et credenderios ipsius loci Basegnane. iurare ad sancta dei evangelia qui pro tempore fuerint omni anno. solvere iam scriptum fictum. et iamscriptos omnes conventus et tenores ut supra deter minatum est adtendere et adimplere. hec omnia ha adtendere et observare habent ipsi omnes bona fide sine fraude. nisi quantum remanserit parabola iamscripti domini episcopi. vel sui certi missi. data eis. vel eorum certo misso; Item addiderunt in eodem sacramento. quod ipsi nullum dolum. nullam fraudem comittere habent. ut illud Basegnasscum in toto neque parte tollatur nec diminuatur episcopio. per Commune Papie. ve1 aliquo alio modo. Iamscriptus dominus episcopus. et iamscripti consules et credenderii et vicini hanc cartam fieri preceperunt ut supra; Interfuerunt. magister Rufinus. Sirus Salimbene vicedominus. Lafrancus de Gavorro. Guilielmus nuncius domini episcopi. et Talliaferrum serviens domini episcopi. testes. § Die sabbati proximo sequenti. predictus dominus episcopus. nomine et a parte ipsius episcopatus. consimili modo investivit de iamscripto Basegnassco.

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aomine Communis iamscripti loci Basegnane. Anfoxium de la Porta. et An foxium Brunellum. Guilielmum Brunellum. et Ottonum Manavellam et Man fredum de Pado. er Lac de Basegnana. et Rufinuxn Peronum. et Rufinum de Beloardo. et Iacomum de Antiia. credenderios et vicinos ipsius loci. ad iam scriptum fictum annualiter reddendum ipsi episcopio usque ad iamscriptum terminum viginti annorum ut superius dictum est. Et ipsi promiserunt. ipsi domino episcopo nomine episcopatus. annualiter solvere iamscriptum fictum. et expensas si fecerit. et adtendere et adimplere omnes iamscriptos tenores et conventus. unusquisque eorum in solidum bona sua. et bona ipsius Communis pignori obligando, renuntiantes nove constitutioni qua dicitur. nequis ex reis conveniatur in solidum. donec alter sit presens in solvendo. et omni ali legum auxilio qua possit eis subveniri. prout iamscripti Iacomus Collus et Lave~arius consules ipsius loci et Martinus de la Gabba. et ali iamscripti credenderii et vicini a se promiserunt et obligaverunt. Insuper quoque iuravit unusquisque eorum manu sua propria ad sancta dei evangelia. iamscripta omnia adtendere et observare. et futuros consules et credenderios omni anno usque ad iam scriptum terminum facere iurare. prout iamscripti Iacomus ColIus et Lave ~arius consules. et alii credenderii iuraverunt. et quod nullam fraudem nec dolum committent. ut illud Basegnasscum in toto neque parte tollatur nec diminuatur episcopio. per Commune Papie. vel aliquo alio modo. haec omnia ita adtendere et observare habent. nisi quantum remanserit parabola iamscripti domini episcopi. vel sui certi missi. Iamscriptus dominus episcopus. et iam scripti credenderii et vicini hanc cartam fieri preceperunt ut supra. Interfue runt. Guiielmus Magonus. Lafrancus de Gavorro. Roglerius serviens domini episcopi. et Otto de Roberto. testes. § Die dominico prozimo sequenti. Tebaldus de Bonisvillanis. consimii modo. nomine Communis iamscripti loci de Basegnana. recepit a iamscripto domino episcopo investituram de iamscripto Basegnassco. et promisit domino episcopo nomine episcopatus. ita adtendere et observare. sua bona pignori obligando. prout iamscripti consules et vicini promiserunt et obligaverunt; Item consimili modo iuravit iamscripta omnia adtendere et observare ut dic tum est. prout iamscripti consules et vicini a se iuraverunt; Iamscriptus Te baldus hanc cartulam fieri precepit ut supra. Interfuerunt. presbiter Bernardus sancte Marie Secrete. presbiter Iohannes sancti Viti; Roglerius serviens domini episcopi. et Iohannes de Nubolana hostiarius. testes. unde due carte uno tenore sunt scripte. (S.T.) Ego Saracenus de Burgo imperialis notarius. hiis omnibus interfui et hanc cartam tradidi et scripsi.

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III Il Pontefice Onorio III conferma a Fulco, vescovo di Pavia, i privilegi e i beni della chiesa pavese (Roma, 1217 maggiò 11). FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia del 22 marzo 1272 rogata dal notaio pavese Guglielmo Bigano, già esistente nell’Archivio Vescovile di Pavia, pure manca. — C. Copia di B del 4 febbraio 1350, seguita dalla autentica: « (S.T.) Ego Marchetus de Sedaciis notarius hanc cartam mihi autenticari iussam subscripsi », già nell’Archivio Vescovile di Pavia, pure manca. — D. Copia semplice di C del sec. XVII in Archivio Vescovile di Pavia, in un codicetto miscellaneo che raccoglie parecchi documenti mano scritti e a stampa riguardanti la chiesa pavese, e che reca sul dorso il titolo: « Privilegi della Chiesa Pavese ». — E. Ediz. B. SACCO, Antiquitates italicae medii aevi », Pavia, Bartoli, 1587, 282-5. — F. Ediz. A.M. SPELTA, Historia delle vite di tutti i vescovi... di Pavia, Pavia, Bartoli, 1597, 3214. — G. Ediz. F. UGHELLI, Italia Sacra, Venezia 1717, I, col. 1098-99. — H. Ediz. SS. CAPSONI, Origini e privilegi della Chiesa Pavese, Pavia 1769, fol. LVIII-LXI. — I. Ediz. C. PRELINI, 5. Siro, op. cit., XI, n. XXXI, p. 47. O5SERvAZ. — I afferma di aver trascritto la bolla « da una copia autentica in pergamena della Curia Vescovile », ma non è ora possibile reperire tale copia; D e F attribuiscono la bolla al 17 maggio 1217 (V idus Maii) mentre nelle altre copie, in luogo della data, vi è una lacuna. MET. DI PUBL. — Si riproduce D.

Honorius Episcopus servus servorum Dei, venerabili fratri Fulconi Epi scopo Papiensi eiusque successoribus canonice substituendis in perpetuum. Et ipsa iustiti~ rado, et Apostolic~ sedis deposcit benignitas ut locis, et personis beato Petro et Sanct~ Romanze Ecclesi~ spiritualibus et in eius devotione et obedientia persistentibus patrocinii et evictionis nostr~ manum abundan tius, et propensius extendere debeamus. Huius itaque rationis debito promoti, honorem, et dignitatem Papiensis Ecc1esi~ tamquam proprie, et specialis Apostolic~ sedis fihie volurnus conservare: Quo circa venerabilis in Christo frater Fulco Episcope, quem sincera in Christo cantate diligimus, mis iustis postulationibus gratum impartientes assensum ad exemplar pr~decessorum nostrorum felicis memorie Calisti, Innocentii, Eugenii, Anastasii et Innocentii Romanorum Pontificum, pr~dictam Papiensem Ecclesiam, cui Deo auctore te pr~esse dignoscimus, prrsentis scripti privilegio communimus et omnem ipsius Ecclesi~ dignitatem per eorundem Romanorum Pontificum privilegia vel au thentica scripta concessam, Nos quoque auctoritatis nostre favore nihilominus confirmamus: fraternitati siquidem tue inter sacra missarum solemnia palio uti, el tam tibi quam successoribus tuis in processione palmarum, et ferie secund~ post Pascha equum album udone coopertum equitare, necnon et crucem inter ambulandum prderre concedimus: ob maiorem quoque ipsius Papiensis Ecclesi~ dignitatem confirmantes statuimus, ut in synodalium cele bratione conventuum tam tu, quam successores mi ad sinistrum Romani Pon tificis latus primum sessionis locum perpetualiter habeatis, in monasteriis autem

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aut capellis aliquibus pr~ter matricem Ecclesiam Baptismum generalem fieri penitus prohibemus: in quibus si qua forte pr~cepta contra sacros canones elicita inveniri contigerit nostris canonicis non pr&udicent institutis; clericos, sanctimoniales, viduas urbis vestr~ sine vestra conscientia nemo prrsumat in iudicium trahere, aut vim eorum rebus inferre. Nec c~meteriorum quz intra vel extra circa civitatem sunt, curam vobis aut potestatem subtrahere quelibet persona pr~sumat, nec ullus unquam cuiuscunque s~cularis dignitatis aut po tenti~ homo quasi sub obtentu hospitalitatis vel patronams occasione in tuo episcopio aut in domibus sacerdotum seu clericorum tuorum, sine tua tuorum que successorum voluntate audeat applicare, nec in rebus mobilibus, a im mobiibus sive personis violentiam vobis invitis fieri sine legali ratione per mittimus: pr~terea quascunque possessiones, qu~cumque bona eadem Ecclesia inpr~sentiarum iuste, et canonice possidet aut in futurum concessione Pon tificum largitione Regum vel Principum, oblatione fidelium seu aliis iustis modis Deo prupitio poterit adipisci, firma tibi tuisque successoribus, illibata permaneant, in quibus h~c propriis duximus exprimenda vocabulis: Mona sterium 5. Bartholom~i in strata, Monasterium S. Mari~ foris portam, Mo. nasterium 5. Apollinaris cum capellis et parochiis suis, Monasterium 5. Petrì quod dicitur leprosorum cum capellis et parochiis suis, Monasterium Sancti Marini cum cappellis et parochiis suis, Monasterium 5. Gervasii cum capellis et parochiis suis, Monasterium Sancti Pauli et Sancti lacobi de Vernabula, Monasterium vetus, Monasterium Senatoris cum capellis et parochiis suis, Monasterium Leani, et Monasterium Sancti Thome cum capellis et parochiis suis, Monasterium Sanai Felicis cum capellis et parochiis suis. Tpsorum vero Monasteriorum, qu~ infra vestr~ dicecesis fines sunt canonica dlispositio, et Abbatum, qui in eis sunt, vel Abbatissarum discussio, ellectio et consecratio vestro semper arbitrio conserventur. Porro presbyteros pr~dictorum Mona steriorum prout ecclesiastica necessitas exegerit absque alicuius temeraria con ditione ad tuum volumus venire concilium. Confirmamus etiam vobis Ec clesiam 5. Mari~ de Bethleem et hospitale, bospitale de Grupellis, hospitale de 5. Justina, hospitale de Thossicaria, Hospitale de Galbera, Hospitale Gui donis fabri, Hospitale Tidonis, Hospitale de Pontiano; in Archiepiscopatu Mediolanensi Monasterium 5. Donati ab antecessore tuo fundatum in loco qui Scorolia dicitur, cum capeffis et parochiis suis, Monasterium 5. Mari~ de Cay rate cum parochia sua, et capellanis, et parochiis suis, in Laudensi Episcopatu plebem de Pustino cum capellis et parochiis suis, in Episcopatu Cremonensi plebem de Pagaciano cum parochia sua, in Episcopatu Placentino plebem de Fontana cum capellis et parochiis suis, Plebem de Rivegazo cum capellis et parochiis suis: inter Episcopatum Astensem, et Aquensem et Albensem, ple bem de Ponte cum capellis, et parochiis suis, in Episcopatu Vercellensi plebem de Pernungo cum parochia sua: versus Alexandriam, plebem 5. Syri de Sala cum capehlls, et parochiis, et pertinentiis suis, plebem de Plovara cum parochùs,

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et pertinentiis suis, plebem de Bassignana cum capellis, et parochiis, et per tinentiis suis, plebem de Valentia cum capellis, et parochiis, et pertinentis suis, plebem de Astiliano cum capeffis, et parochiis, et pertinentiis suis, plebem S. Salvatoris cum capellis, et parochiis, et pertinentiis suis, et plebem de Petra cum capellis, et parochiis suis. Decernimus ergo, ut nulil omnino hominum liceat prefatam Ecclesiam temere perturbare, hactenus possessionem auferre vel ablatas retinere, minuere seu quibuslibet vexationibus fatigare, sed omnia integra conserventur eorum pro quorum gubernatione, ac sustentatione con cessa sunt usibus omnimodis profutura, salva in omnibus Apostolicz sedis auctoritate. Si qua igitur in futurum ecclesiastica s~cu1arisve persona hanc nostre constitutionis paginam sciens contra eam temere venire tentaverit, se cundo tertiove admonita, nisi reatum suum congrua satisfactione correxerit: potestatis honorisque sui dignitate careat, reamque se divino iudicio existere de perpetrata iniquitate cognoscat, et a Sacratissimo Corpore, ac Sanguine Dei, et Domini Redemptoris nostri Jesu Christi ailena fiat atque in extremo eza mine dlistrict~ ulcioni subiaceat, cunctis autem eidem low sua iura servan tibus sit pax Domini nostri Jesu Christi quatenus, et hic fructum bon~ actionis percipiant, et apud discretum Judicem pr~mia ztern~ pacis inveniant, Amen ac Amen. (R) Ego Honorius catholice ecclesiae episcopus subscripsi (M). t Ego Petrus Sanctr Pudentian~ tituli Pastoris presbyter Cardinalis subscripsi. t Ego Robertus tituli S. Stephani in C~io monte presbyter Cardinalis subscripsi. t Ego Stephanus Basilice XII. Apostolorum presbyter Cardinalis subscripsL t Ego Gregorius tituli 5. Anastasi~ presbyter Cardinalis subscripsi. t Ego Thomas tituli S. Sabin~ presbyter Cardinalis subscripsi. t Ego Guido 5. Nicolai in carcere Tuliano Diaconus Cardinalis subscripsi. t Ego Otavianus Sanctorum Sergii et Bachi Diaconus Cardinalis sup scripsi. t Ego Gregorius 5. Theodori Diaconus Cardinalis subscripsi. t Ego Raynerius 5. Mari~ Ingosmidini Diaconus Cardinalis subscripsi. t Ego Romanus 5. Angeli Diaconus Cardinalis subscripsi. t Ego Stephanus 5. Adriani Diaconus Gardinalis subscripsi. t Ego Alebrandinus 5. Eustachii Diaconus Cardinalls subscripsi. t Ego Egidius sanctorum Cosme et Damiani Cardinalis subscripsi. t Ego Nicolaus Tusculanus Episcopus subscripsi. t Ego Guido Prenestinus Episcopus subscripsi. t Ego Pelagius Albanensis Episcopus subscripsi. Datum Laterani per manum Raynerii Sanct~ Romana~ Ecclesi~ Vicecan cellarii V. Id. Maii, md. v. Incarnationis Dominic~ anno millesimo duecen

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tesimo decimo septimo, Ponti.ficatus vero Domini Nonorii Papz III. anno primo.

Iv Guglielmo, vescovo di Pavia, investe Ottone Manavella e Ugo Omodeo, sindaci e procuratori del Comune di Bassignana, del podere chiamato Dalmazzana o Sivolta sito al di qua del Po in territorio di Bassignana, nonché dei diritti d’acque e di pesca sui fiumi Po e Tanaro, e del diritto di ricevere i lombi dei porci uccisi in detto territorio (Pavia,

1268 marzo 19). FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia del sec. XII, pure mancante, corredata dalla seguente autentica: « (S.T.) Ego Roglerius Scarsus notarius hanc cartam in ventam et extractam de breviariis quondam Jacobi de Dorata per eum mihi commissis subscripsi ». — C. Copia di B del 23 maggio 1634 rogata dal cancelliere vescovile Lorenzo Bigoni in Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto, Alessandrino, mazzo 5, n. 2. MET. DI PUBL. — Si riproduce C apportando le rettifiche indispensabili e sup plendo le lacune.

EST. I Anno a nativitate domini millesimo duecentesimo sexagesimo oc tavo indictione undecima cile lune quarto decimo kalendas aprilis. in Papia in pallatio episcopali papiensi. Dominus Gulielmus dei gratia episcopus pa piensis nomine et a parte episcopatus papiensis et pro bono et utilitate ipsius episcopatus investivit ad fictum Ottonem Manave E llam et] Ugonem de Ho modeo de loco Bassignane sindicos et procuratores communis loci Bassignane prout ipsi Otto et Ugo dicebant contineri in carta inde facta per Joannem Personam notarium isto anno cile nomine et a parte communis et hominum dicti loci de infrascriptis rebus et iuribus omnibus et singulis videilcet de toto ho podere quod appellatur Dalmazana sive Sivolta posita si[ve sita in] territorio suprascripti loci Bassignane citra Padum et quam Dalmazanam sive Sivoltam tenet dictum commune Bassignane seu homines dicti loci sive teneri soliti sunt; item de aqua Padi et Tanari que currit per disctrictum Bassignane et de omni iure ad ipsam aquam pertinente et de piscationibus et conzellis et naviculis piscatorum dicti loci et de omni allo iure quod spectabat et spectat seu spectare poterat et posset ad predictum dominum episcopum seu episco patum in predictis et circa predicta et in aliquo predictorum. Item de omni iure et honore quod et quem dominus episcopus nomine episcopatus papiensis habet seu habere videtur et visus est habere in habendis seu percipiendis lumbis porcorum qui venduntur seu venderentur in predicto loco Bassignane ad becariam singulis annis a kalendas madii usque ad festum sancti Martmi

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et cx causa huius investiture dictus dominus episcopus nomine suprascripti episcopatus cessit et datum fecit suprascriptis sindicis et procuratoribus no mine communis et hominum dicti loci de omni iure et actione reali et per sonali quod et quam habet et habere poterat et posset nomine et occasione lumborum piscationum et conzeliorum ac navicularum versus quascumque personas tenentes de predictis vel aliquo eorum. Et inde dictus dominus episcopus nomine suprascripti episcopatus predictos sindicos et procuratores suprascripto nomine in loco et in locum suprascripti episcopatus posuit et constituit tamquam in rem suam propriam eo modo quod de cetero dictus commune et homines dicti lcd et cui dederint habeant teneant possideant et quasi predicta omnia et singula investita et iura cessa et quodlibet pre dictorum cum omni iure honore et utilitate et bona consuetudine ad predicta spectantibus vel ad aliquod predictorum in integrum et inde faciant quicquid facere voluerint sine contraditione suprascripti domini episcopi et episcopatus et cum ipsius domini episcopi nomine episcopatus et ipsius epscopatus defen sione ah omni persona cum ratione et ita dictus dominus episcopus nomine episcopatus et pro ipso episcopatu promisit suprascriptis sindicis et procura toribus nomine communis et hominum dicti loci attendere. Que omnia inve stita et iura Cessa et quodlibet predictorum predictus dominus episcopus no mine ipsius episcopatus promissit suprascriptis sindicis et procuratoribus nomi ne communis et hominum dicti loci defendere et disbrigare et cum defensione stare de iure et damnum si quod de predictis vel aliquo eorum inde eis acci derit causa evictionis seu imbrigamenti de jure ah aliqua persona ecclesia et universitate eis restituere in peccunia numerata tantum cum expensis omnibus que fierent pro ipso damno petendo aliquo modo credendo eidem communi et hominibus dicti loci in eorum simplici dicto de expensis factis sine sacra mento faciendo et pro his attendendis et observandis dictus dominus epi scopus nomine suprascripti episcopatus bon [a omnia I ipsius episcopatus predictis sindicis et procuratoribus nomine communis et hominum dicti loci pignore obligavit renuntiando omni iure ecclesiastico et civili et lit [ teris imjpetratis et impetrandis et omni alio iuri et auxilio legum et consuetudini et exceptioni et defensioni et allegationi quo vel quibus se posset teneri de predictis et singulis vel aliquo eorum modo aliquo vel occasione ad dandum et solvendum dictum commune et homines dicti loci eidem domino episcopo nomine et a parte suprascripti episcopatus et ipsi episcopatui pro ficto et nomine ficti ad festum sancti Martini proximi et ah mdc in antea omni anno semper in festo sancti Martini libras sex Papie in denariis numeratis simul •et non divisim quod fictum predicti sindici et procuratores nomine communis •et hominum dicti loci promisserunt dicto domino episcopo nomine suprascripti epscopatus et eidem episcopatui dare et solvere omni anno ut superius dictum est in pecunia numerata tantum cum expensis omnibus que fierent a termino in antea pro suprascripto ficto petendo et exigendo aliquo modo credendo

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eidem domino episcopo nomine suprascripti episcopatus in suo simplici dicto sine sacramento faciendo de expensis mdc factis. Et pro his attendendjs et observandis dicti sindici et procuratores nomine communis et hominum dicd loci bona omnia suprascripti communis predicti loci eidem domino episcopo suprascripto nomine pignore obligaverunt renuntiando omni iure ecclesiastico et civili et litteris impetratis et impetrandis et omni alio iuri et consuetudini et auxilio legum et eceptioni et defensioni et allegationi et probationibus te stium quo vel quibus dictum commune et homines dicti loci se tueri possent exinde modo aliquo vel occasione. Hoc acto inter eos et expressum dicto quod si dictus commune loci Bassignane voluerit vendere ve1 alienare seu investire predicta omnia et singula vel aliquod de predictis alicui homini seu in aliquem hominem dicti loci tantum non teneantur ipsum commune requirere seu denun tiare suprascripto domino episcopo nec eius successoribus nec inde aliquam investituram dare neque ob hoc predicta omnia investita vel aliquod eorum predicto domino episcopo neque eidem episcopatui aperiantur neque aperiri possint et si dictum commune voluerit vendere vel alienare seu investire pre dicta seu aliquod de predictis alicuiqui non sit de predicto loco teneatur requi rere ipsi domino episcopo vel eius successoribus et eis dare si emere voluerit nomine suprascripti episcopatus per minus denariorum duodecim Papie qualibet libra pretii quam ah alia persona babere potuerit bona fide et si emere voluerit infra quindecim dies proxime post requisitionem eis factam tunc dictum com mune vendat preter ecclesie hospitali capitaneo valvassori servo et loco reli gioso ad predictum fictum solvendum omni anno et predicta omnia attendenda et observanda dante emptore suprascripto domino episcopo vel eius succes soribus pro investitura de qualibet libra pretii denarios duodecim Papie. Que omnia suprascripta et singula investita et quodlibet predictorum et iura cessa dictus dominus episcopus nomine suprascripti episcopi constituit et tenere et possidere et quasi nomine communis et hominum dicti loci dando eisdem sindicis et procuratoribus nomine communis et hominum dicti loci licentiam et potestatem intrandi in tenutam et possessionem et quasi omnium predic torum et singulorum eorum auctoritate quandocumque eis placuerit. Insuper dictus dominus episcopus nomine suprascripti episcopatus et pro ipso episco pani fecit finem et refutationem et pactum de non petendo suprascriptis sin dicis et procuratoribus nomine communis et hominum dicti loci de omni alia investitura olim facta vel quod olim facta diceretur per suprascriptum do minum episcopum vel per eius antecessores in suprascriptum commune vel in homines dicti loci de suprascriptis omnibus et singulis seu de aliquo eorum et de toto eo et omni cc unde suprascriptum commune et homines dicti loci appellare vel potere seu convenire poterat et posset nomine et occasione ali cuius alterius investiture olim facte et nomine et occasione ficti temporis pre tenti et de toto eo et omni eo unde dictum commune et homines dicti loci appellare seu petere seu convertire poterat et posset nomine et occasione pisca

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tionum conzeliorum navicularum et lumborum porcorum detentorum et deten tarum olim vel que detenta dicerentur per commune et homines dicti loci ve’ qualibet alia occasione pro predictis omnibus et singulis et eorum occasione et pro hac investitura cessione et pro hiis finibus et refutationibus renuntia tionibus et pactis de non petendo dlictus dominus episcopus nomine supra scripti episcopatus et pro ipso episcopatu fuit confessus adversus predictos sindicos et procuratores nomine communis et hominum dicti loci se supra scripto nomine accepisse et habuisse ab eis predictorum nomine libras viginti quinque Papie renuntiando exceptioni non acceptarum et numeratarum pecu niarum et spei future numerationis. Insuper dominus [...] prepositus ecclesie Bassignane et presbiter Henricus de Sancta Eufemia arbitri et arbitratores et amicabiles compositores una cum preclicto TJgone de Homodeo inter supra scriptas partes ellecti et per suprascriptas partes sub pena librarum centum Papie ut dicebant contineri in carta inde ordinata et traddita per Lanfrancum de Baptizzato notarium in quorum presentia predicta omnia acta fuerunt de voluntate suprascripti Ugonis eorum sociis dixerunt laudaverunt ordinaverunt et preceperunt suprascriptis partibus ibi presentibus et volentibus et predicta omnia et singula ita attendent et observent ut superius dictum est sub pena compromissi et mdc dictus dominus episcopus et predicti arbitri et sindici hanc cartam et plures uno tenore fieri preceperunt. [nterfuerunt Ubertus de Valide clericus domini episcopi papiensis. dominus Guido Scarsus et magister Jacobus de Clastigio iudex et Bernardus Forcarius atque Lancelmnus de Ganeto mdc testes. [(S.T.) Ego Jacobus de Dorata sacri palacii notarius hanc cartam tradidi et scripsi.]

v Preliminari del trattato di pace fra Lancellotto Beccaria e il duca Filippo Maria Visconti, con le richieste avanzate dal primo e le relative rispo ste del duca (Bassignana, 1415 settembre 10 Milano, 1415 set tembre). -

FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia sincroiìa di parte Beccaria in Civica Biblioteca Bonetta di Pavia, Carie Roga-Candiani (già Beccaria); membranaceo in folio in scrittura cancelleresca degli inizi del sec. XV, di c. 6 n.n. di cui le c. ir e 5 e 6 bianche; fol. 2r-4r. — C. Ediz. A. CERIOLI, Pieira de’ Giorgi e dintorni, Milano 1907, III, 124-9. MET. Dx PIJ3L. — Si riproduce B, avvertendo the il testo delle richieste e quello delle risposte sono su due colonne distinte. Per ragioni di carattere tipografico, nella presente edizione i testi delle due colonne sono stati fusi, evidenziando in carattere corsivo il tenore delle risposte. Sono stati espunti, inoltre, la Obligatio Guidonis Toreli

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del 1415, ottobre 1, e il testo dei paragrafi XXIII e XXIV che, in luogo della stesura originale, riproducono le corrispondenti clausole del trattato siglato il 30 settembre 1415 tra Lancellotto Beccaria e il duca di Milano.

Capitula requisitorum illustri et excelso domino duci Mediolani etc. per re verendissimum in Christo patrem do minum Petrum dei gratia episcopum novariensem etc. et spectabilem virum Speronum de Petrasancta procuratores prefati domini ducis in concordo fiendo tunc tempore et postmodum facto cum magnifico domino Lanzilo to. de Becaria etc. una cum respon sionibus infrascriptis factis per pre fatum dominum. super uno quoque capitulorum predictorum. facta sub anno MCCCCXV cile decimo mensis septembris. Et deinde rogata domino

Catalano Christiano. ut seriosus con tinetur in instrumento tradito et sub scripto per predictum dominum Ca tallanum anno predicto die. Respon siones facte per antescriptum domi num ducem Mediolani scripte per unum ex canzelarijs curie sue. ut patet per listam et foleum his cartis fer tum. ac portatum per Speronum de Petrasancta antescriptum magnifico domino Lanziloto Bassignanam. de mente prefati domini ducis. super uno quoque capitulo ut infra. et cum con clusionibus infrascriptis.

I. Primo quod ossa magnifici quondam domini Castelini de Becharia libere consignentur. Super primo capitulo de ossibus etc. /iat quod requiritur. 11. Item quod Antonius de Becharia de Petra una cum omnibus alijs parentibus et ainicis captivis libere relaxentur. mm restitutione omnium pos sessionum et bonorum suorum. eisdem ablatorum etc. cum debita immunitate. et libera exemptione. onerum realium et personalium. Super secundo de Antonio de Becharia etc. relaxetur libere. et restituantur. sibi omnia bona sua. cum illis immunitate et exempione quam habebat tem pore illustrissimi primi ducis Mediolani etc. III. Item quod Gualtielus de Curte inducatur ad possessionem quorum cumque bonorum suorum. eidem ablatorum. et ad eius solitam repatriationem mm predicta immunitate. Super tertio capitulo de repatriatione Gualtieli. fiat quod requiritur et non imponatur. aut exigatur ab eo prestitum aliquod usque ad annos quinque. IV. Item quod Guizardus Bereta patmus fratres parentes et amici indu cantur ad possessionem quorumcumque bonorum. et ad solitam repatriationem. Super quarto concedatur. quod requiritur. V. Item quod dominus Bertraminus de Mangiarinis. et omnes amici de Viqueria. expulsi de ipsa. inducantur ad possesisonem omnium bonoruni suomm et ad eorum solitam repatriationem. Super quinto de domino Bertramino de Mangiarinis. et ceteris amicis de Viqueria etc. restituantur ad bona sua. ita quod ipsis pacific.e gaudere possint.

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sed pro nunc certis bonis respectibus. remaneant absentes de Viqueria ad be neplacitum domini. quod beneplacitum intelligatur ad sex menses. VI. Item quod Bartholomeus et Bava de Glarolis fratres et amici indu cantur ut supra. Super sexto de Bartholomeo et Bava de Glarolis restituantur ad bona. et repatriare possint libere a impune. VII. Item quod amici de Bassignana. et omnes ipsius homines presentia liter in ea habitantes bene et laudabiiter tractari debeant tamquam boni et fidi et legales subditi et servitores prefati domini, nulla memorata iniuria si qua facta fuerit foriusitis dicte terre per respectum partialitatum aut alterius respectus et quilibet ipsorum tam in ea habitare volens quam non gaudeat et gaudere valeat quibuscumque bonis suis mobilibus et immobilibus. Super septimo de amicis de Bassignana contentus est dominus ipsos bene tractare. et quod possint gaudere omnibus bonis suis seu steni in Bassignana seu non. dummodo non stent in loco suspecto. VIII. Item quod Matheus de Manuellis et nepos, gaudeant et gaudere valeant quibuscumque eorum bonis de Bassignana mobiibus et immobilibus non obstante aliqua imputatione. que eisdem fieri posset quavis ratione nec occaxione. ipsis habitantibus in dicta terra. et non habitantibus. Super octavo de Matheo. et jratre. flat. IX. Item quod aquisita terra Caxelarum. de novo detur. et libere relaxe tur cum eius solitis iuribus et pertinentijs. spectantibus et pertinentibus iuri sdlictioni sue. ita et quemadmodum factum fuit tempore dationis loco pignoris. prefato Lanziloto. per prelibatum dominum ducem de dicta terra facte. et sub illis. modo et forma. quibus dicta datio loco pignoris prelibati domini ducis. per eius patentes literas. suo pendente sigillo sigilatas sedet. et scribitur ad literam. Et hoc etiam ipso Lanziotto. cx mis quindecim milibus florenis auri. quos presentialiter a prefato domino recipere debet. ante relaxationem terre Bassignane dimittente. florenos tria milia dandos. cui videbitur prefato domino. Super nono de terra Caxelarum contentus est dominus dimittere libere. Lanziloto ipsam terram. ipso per se. seu per eius legiptimum procuratorem prestante fidelitatem. et homagium in manibus pre/ati domini sive eius legip timi procuratoris. X. Item quod Cadarba inducatur ad possessionem quorumcumque bono mm suorum et ad eius solitam repatriationem. Super decimo de Cadarba. /iat quod requiritur. XI. 11cm quod omnes amici prefati Lanziloti. expulsi de domibus suis er a quacumque terra prefati domini ducis. inducantur ad possessionem quorum cuinque bonorum suorum et ad eorum repatriationes. Super undecimo nominentur et dominus providebit per modum quo Lan zilotus poterit merito contentari.

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XII. Item quod terra Sylvani restituatur libere. francha et libera cum iurisdictione alicuius alie terre vel civitatis. cum perpetua immunitate et libera exemptione. sicuti solita est et fuit habere. Super duodecimo restituatur castrum Sylvani cum possessionibus dino castro spectantibus. et cum exemptione. et immunitate libera. XIII. Item quod terra seu situs Robechi ut supra restituatur. et quod liceat et licitum sit nova habitacula hominibus ipsius terre facere. cum eius solito fortilitio. et immunitate predicta. Super tertiodecimo. restituatur locus Robechi prout in capitulo requiritur. XIV. Item quod terra Vallide. seu situs eius ut supra restituatur et quod liceat et licitum sit ut supra. cum immunitate predicta. Super quartodecimo. restituantur omnia bona sibi spectantia. in loco terra et territorio Vallide. cum libera immunitate et exemptione ab oneribus quibus cumque. XV. 11cm quod molandinum de Ponzano ut supra restituatur cum supra scripta immunitate. Super quintodecimo restituatur molandinum de Ponzano prout requiritur in capitulo. XVI. Item quod pars Sancte lulete ut supra restituatur. cum omnibus allijs possessionibus ablatis. et cum immunitate predicta. Super sextodecimo. restituantur omnes possessiones proprietates et bona sibi spectantes et spectantia. in loco terra et territorio Sancle lulete. et cum immunitate et exemptione ab oneribus quibuscumque. XVII. 11cm quod locus Galicaule dotis Manfredi seu uxoris sue ut supra restituatur. cum suprascripta immunitate. Super XVII restituatur locus Galicaule dummodo locum habeat matri monium cum fillia quondam Galleatinj de Mantua. XVIII. 11cm quod domus et possessiones de Papia ut supra restituantur cum immunitate predicta. Super decimoctavo restituatur. XIX. 11cm quod portus Tovj ut supra restituatur. Super decimonono de portu Tovj fiat. XX. Item quod terre Seravalis et Stazani de novo confirmentur cum mero et mixto imperio. Super vigesimo /iat quod requiritur pro Seravale et Stazano. XXI. Item quod omnia superius requisita. tam pro parentibus et amicis quam pro predictis restitutionibus et confirmationibus per patentes et sigilatas litteras. superinde opportune fiendas. concedantur et debite fiant. sine fraudis obscuritate. Super vigesimo primo de litteris patentibus supra premissis flat quod requiritur. XXII. 11cm quod mitatur salvusconductus pro Nicolino presbitero Urbano

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de Vico. Dominico Horio. Zanino de Portio. Petro Florio et Zanino Patarino de Bassignana. quod ire possint ad presentiam prefati domini ducis supplica turis quicquid dominationi sue petere voluerint. Super XXII de salvoconduclu illis sex de Bassignana fiat.

XXIII. [ Super

XXIII [

XXIV. i: Super XXIV de fulciendo castrum Novarum fiat. XV. Item quod antequam prefatus Lanzilotus perveniat ad relaxationem dicte terre Bassignane. quod liceat ac possit queque bona sua mobiia. et muni tiones. Seravale. aut qua voluerit conduci facere per terram vel per aquam. omni cessante molestia. Super XXV deponat castrum el rochetam in manibus procuratoris et frat quod requiritur. XXVI. Item quod homines predicti Lanziloti. ac Manfredi. et fratrum de Becharia nepotum suorum. possint et valeant. in terris et super territorio prefati domini ducis. ire morari. conversari ac negotiari cum eorum omnibus bonis merchantijs. et rebus. et quod bene et laudabiliter tractari debeantur. tamquam subditi prefati domini duCis. nulla ipsis aut alteri ipsorum inferenda molestia, per aliquos ex offitialibus. gentibus armigeris vel pedditibus seu sub. ditis prefati domini ducis. Et si a casu vel fortassis. eisdem seu alicui ipsorum. aliqua molestia vel iniuria infereretur. debita Eat iustica vel punitio. quemad modum fieret si filata fuisset. subditis prefati domini ducis. Et in quantum non fieret. quod prefati Lanziotus Manfredus ac fratres. obligationis federe fidelitatis. aut allio vinculo promissionis. vel obligationis. quibus obligati essent prelibato domino non teneantur. ymo ab eo liberi et franchi esse tenerentur ac si nihil promisissent. Super XXVI quod bene traclentur subditi Lanziloti et Manfredi el fiat quod requiritur. XXVII. Item habito respectu ad metum. quem habent gibelini de Bassi. gnana de gelfis Bellengierijs et eorum sequacibus foriusitis Bassignane predicte. propter salutem evitande destructionis dicte terre. quod predicti Beilengerii. tam de Bassignana. Rivarono. et Preveria iurisdictionis ipsius terre, non pos sint. nec valeant ullo modo nec tempore repatriare. Considerato quod ab ami quo non sunt oriundi dicte terre. nec nilo tempore fuerunt servitores iflu strissimorum dominorum de Vicecomitibus et quod verum sit quod complures ex ipsis tempore recolende memorie. illustrissimi quondam domini domini ducis genitoris presentis prefati domini ducis Mediolani baniti fuerunt et sunt. nec unquam de banno exiverunt. propter proditiones. quas fecerunt contra statum prefati domini ducis tempore Ecclesie.

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Filippo Maria Visconti, duca di Milano, rilascia procura a Pietro [Gior gi 1, vescovo di Novara, e a Sperone Pietrasanta per condurre trat tative con Lancellotto Beccaria circa il rilascio di Bassignana e relativi fortilizi (Milano, 1415 settembre 15). FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia sincrona, rogata dal notaio Catelano Cristiani, in Archivio di Stato di Milano, Registri Viscontei, Reg. n. 4 (E alias L), c. 97t. — C. Altra copia sincrona, di parte Beccaria, in Civica Biblioteca Bonetta di Pavia, Carte Rota-Candiani (già Beccaria), ms. cit., c. lv. — D. Ediz. A. CERIOLI, op. cit., 122-3. MET. DI PUBL. — Si riproduce E.

In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadri gentesimo quinto declino jndictione nona secundum cursum civitatis Medio lani. die dominicho quinto decimo mensis septembris hora mane in civitate Mediolani in castro porte Jovis. videlicet in camera magna. cubicolari. infra scripti illustrissimi principis et domini domini ducis Mediolani etc. Illustris simus princeps et. excellentissimus dominus dominus Filippus Maria Anglus dux Mediolani etc. Papie Anglerieque comes filius quondam bone et nunquam delende memorie illustrissimi principis et excellentissimi domini domini Jo hannis Galeaz primi ducis Mediolani etc. de solerti industria experta suffitien tia et comprobata dudum legalitate reverendi in Christo patris et domini do mini Petri dei et apostolice sedis gratia episcopi novariensis et comitis ac spectabilis generosisque viri Speroni de Petrasancta civis mediolanensis. et utriusque eorum plenarie confidens. eosdem dominum Petrum episcopum et Speronum. absentes tanquam presentes et utriusque eorum suos nuntios et procuratores et quidquid melius de iure dici et esse possunt sponte et a certa scientia fecit constituit et solempniter ordinavit ac facit constituit et solemp niter ordinat specialiter nomine et vice prefati domini domini ducis et descen dentium suorum quorumcumque ad fatiendum iniendum firmandum conclu dendum et contrahendum fila pacta conventiones transactiones compositiones et permissiones. que videbuntur et placuerint discretioni predictorum suorum procuratorum. cum spectabilibus et generosis viris Lanzaloto de Becharia filio quondam spectabilis generosique militis domini Mussij de Becharia. ac filijs quondam spectabilis generosique militis domini Castelini de Becharia filij sinai liter quondam dicti domini Mussij. et cum quolibet ipsorum Lanzaloti et fi liorum et tam coniunctim quam divisim prout ipsis procuratoribus simul videbitur. et nomine prefati domini ducis et pro ipso ad recipiendum a dicto Lanzaloto dominium possessionem et quasi ac tenutam terre Bassignane pontis et rochete ac fortilitiorum dicte terre et nomine prefati domini quocumque titulo causa traditionis dominij quam relassationis et restitutionis quam loco pignoris et sic et aliter prout ipsis procuratoribus videbitur ad danduna tra-

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dendum pignorandum ac transfferendum et quasi ipsi Lanziloto et fihijs dicti quondam domini Castelini et cuilibet eorum et tam divisim quam coniunctim. illa fortiitia terras territoria. et ila. que videbuntur discretioni dictorum pro curatorum. et ad recipiendum nomine prefati domini ducis a dictis Lanziloto. et filijs domini Castelini predictis et a quolibet ipsorum. et tam coniunctim quam divixim juramentum fidelitatis in forma et prout ipsis procuratoribus videbitur et placebit. et de premissis et quolibet premissorum. ad rogandum quemcumque notarium ut unum et plura prout fuerit opportunum publicum et publica confitiat instrumentum et instrumenta cum a sub iflis pactis con ventionibus permissionibus translatione dominij possessionis et quasi consti tutione procuratoris in rem propriam Cessione iurium obligationibus Clauxuhs solempnitatibus et renuntiationibus que ex forma dictorum contractuum et cuiuslibet ipsorum tam de iure quam de consuetudine requiruntur. et sic aliter et prout ipsis suis procuratoribus videbitur et plaCebir. generaliterque ad ea omnia et singula fatienda gerenda et exercenda. que in premissis Ct circha pre missa et quolibet premissorum fuerint utilia necessaria et oportuna. et que prefatus dominus dux constituens facere posset. si premissis personaliter ades set. etiam si talia forent que mandatum exigerent speciale et plusquam speciale. dans et concedens prefatus dominus dux suprascriptis procuratoribus suis in predictis et circha predicta et in dependentibus. et conexis ab eis plenum liberum generale ac speciale mandatum cum piena libera generali ac speciali administratione ac Comittens eisdem in premissis omnimodas vices suas pro mittens prefatus dominus dominus Fiippus Maria constituens michi notano ìnfrascripto tamquam publice persone recipienti et stipulanti nomine et vice dicti Lanziloti et filiorum dicti quondam domini Castelini et omnium et sin gularum personarum quarum aliqualiter interest intererit seu interesse poterit quomodolibet in futurum. quod quicquid fuerit conventum promissum recep tum translatum ac contractum et factum per dictos eius procuratores in pre missis et circha premissa totum cunctis in antea temporibus ratum gratum et firmum habebit et tenebit attendet et observabit et nullatenus contrafatiet dicet seu veniet sub ypotheca et obligatione omnium bonorum suorum. Et inde prefatus dominus mandavit michi notano infrascnipto ut de premissis unum et plura prout fuerit opportunum publicum et publica confitiam instru mentum et instrumenta presentibus spectabile milite domino Galeoto de Bivi laquis Elio quondam spectabilis militis domini Guillelmi egregijs viris magistro Yoseph de Castronovate artium et medicine doctore Elio quondam egregij artium et medicine doctoris domini magistni Florij magistro Stefano Spala artium et medicine doctore. de Burgo Sanai Martini Elio quondam Henrici Spale Luchino de Crivellis collaterali et Francischino de Surigarijs camerario prefati domini ducis jnde testibus ydoneis ad premissa vocatis specialiter et rogatis. (S.T.) Ego Catelanus de Christianis genitus quondam domini Francischini

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junisperiti publicus papiensis apostolica jmpenialique auctoritatibus notanius. ac prelibati domini domini ducis secretanius. hanC cartam michi fieri iussam rogatus tradidi et subscripsi. (S.T.) Ego Bartolameus de Dugnano fihius quondam domini Ambrosij civis Mediolani porte Cumane parochie sancti Protasij ad monachos notarius jmperiali auctonitate hanc cartam jussu suprascripti notarij scripsi.

VII Nuove richieste presentate da Lancellotto Beccaria a Filippo Maria Vi sConti, duca di Milano, e relative risposte ducali (Bassignana, 1415 settembre Milano, 1415 settembre). .

FONTI. — A. L’originale manca. — E. Copia sincrona, di parte Beccaria, in Civica Biblioteca Bonetta di Pavia, Carte Rota.Candiani (già Beccaria), ma. cit., c. 4v. — Edir. A. CERIOLI, op. cii., 130. MET. DI PUBL. — Si riproduce E.

Item quod Christoforus Grassus et alij amici predlicti Lanziloti de Ca stronovo exhimantur ab eorum bannis. a quod ad eorum repatrintionem re ducantur. et ad possessionem bonorum suorum. Concessum est quod ad omnes terras prelati domini ducis ire valeant et non Castronovum. et de banno exhimantur. Item quod Gibelini de Mugarono ut supra reducantur. Concessum fuit. Item quod duo baniti de Montecastello de eorum bannis exhimantur et ut supra reducantur. Concessum non fuit quia allio respectu quam predicti Lanziloti baniti fuerunt. Item quod Vercelus de Lavale libere relaxetur a carceribus in quibus est Alexandrie. Concessum non est quia respectu predicii Lanziloti captus non est. Item quod fili Callotij Madii de Sallis baniti de Sallis de eorum bannis extrahantur et ut supra reducantur. Concessum non est quod respectu ut supra baniti non suni sed quia in. terjecerunt potestatem Sallarum. Item quod Facelus de Curte de Sallis banitus de Saffis de eius hanno extrahatur et ut supra reducatur. Concessum non est. respectu predicio. Itena quod situs Bastitegazij. et possessiones restituantur sub illis modo et forma quibus eas primitus possidebat. Concessum fuji ut clarius continetur in capitulis dicti Catalani.

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Item de factis domine Magdalene uxor quondam domini Antoni de Be charia de la Plebe. Concessum fuli. Item de carceratis Novarie. Concessum fuit. Item de Steffano de Qualiata. Concessum /uit quod non possii repatriari. Item de restitutione omnium requisitorum et introductione possesisonum. Concessum fuji.

VIII Trattato di pace fra Lancellotto Beccaria e Filippo Maria Visconti duca di Milano (Bassignana, 1415 settembre 30). FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia sincrona, rogata dal notaio Catelano Cristiani, in Archivio di Stato di Milano, Reg. cit., c. 78-83.

In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadrin gentesimo quinto decimo jndictione octava cile lune ultimo mensis septembris hora parum post nonas in terra Bassignane in castro dicte terre videlicet in camera cubiculari magnifici viri Lanzioti de Becharia reverendus in Christo pater et dominus dominus Petrus dei et appostolice sedis gratia episcopus novariensis et comes et spectabilis generosusque vir Speronus de Petrasancta filius quondam domini Antonij procuratores illustrissimi domini domini Filip pi Marie Angli ducis Mediolani etc. ad infrascripta fatienda et permittenda solempniter constituti ut constat publico procurationis instrumento fieri rogato per me Catelanum de Christianis notarium ac prefati domini ducis secretarium anno et indictione presentibus ex una et pro una parte et magnificus gene rosusque vir Lanzilotus de Becharia fllius quondam magnifici generosique miitis domini Mussij de Becharia suo proprio et principali nomine ac etiam nomine et vice Manfredi Antonij et Mathei filiorum quondam magnifici mi litis domini Castelini de Becharia. pro quibus dictus Lanzilotus promixit a convenit ac promittit predictis procuratoribus et michi notano infrascripto tamquam publice persone solempniter stipulantibus et recipientibus nomine et vice prelibati domini ducis et omnium a singularum personarum quarum ali qualiter interest intererit seu interesse poterit quomodolibet in futurum. quod dicti filij quondam domini Castelini solempniter et legiptinie ratificabunt. ap probabunt et omologabunt per publicum instrumentum presens instrumentum pactorum et conventionum et omnia et singula in presenti instrumento aposita et descripta cx alia et pro alla parte omnibus meliori iure via modo causa et forma quibus meius validius et efficatius potuerunt et possunt. et cum

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interventi ibidem omnium solempnitatum tam iuris quam facti que in talibus et similibus tam de iure quam de consuetudine requiruntur sunt necessarie pariterque oportune spente et cx certa scientia non improvide sed animo deli berato. fecerunt mutuo et vicissim. ac inierunt firmaverunt et contraxerunt infrascripta pacta er conventiones inter ipsos contrahentes hincinde vicissim solempni stipulatione valatas et valata et ad infrascriptas relassationes deve nerunt videlicet. primo dicti procuratores dicto procuratorio nomine promi serunt et convenerunt prefato magnifico Lanziloto presenti a stipulanti et michi notano infrascripto tamquam publice persone solempniter recipiens et stipulans nomine et vice supra et infrascriptorum omnium et singulorum quo mm aliqualiter intererit seu interesse poterit quomodolibet in futurum. quod prefatus dominus dux relassabit Antonium de Becharia de Petra una cum alijs parentibus et amicis captivis restituet eisdemque omnes possessiones et bona ipsorum cum jmunitate et libera exemptione onerum realium et personalium. Et ex nunc dicti procuratores dicto nomine eisdem predicta restituunt. Item promiserunt et convenerunt dicti procuratores dicto procuratorio nomine pre dicto Lanzioto et michi notano quo supra nomine recipienti et stipulanti quod prefatus dominus dominus dux induci et poni fatiet Gualterelum de Curte ad possessionem bonorum eidem ablatorum et ad eius solitam repatriationem eundemque Gualterelum per eius litteras prefatus dominus dux fatiet exemp tum et jmmunem in perpetuum a quibuscumque prestitis per dominum pre libatum impositis et de cetero imponendis. Et cx nunc eum inducunt et jmunem fatiunt ut supra. Jtem promiserunt et convenerunt dicto Lanziloto a michi notano nomine quo supra recipienti et stipulati quod prelibatus dominus dux jnduci fatiet Guizardum Beretam et fratres Petrum Beretam eius patruum a £lios ac eorum parentes et amicos de Frascharolo ad possessionem omnium bonorum suorum tam de Frascharolo quam de Sartirana. Quoque pre libatus dominus dux ipsos a quemlibet ipsorum reducet ad solitam repatria tionem et ipsos a quemlibet ipsorum ab eorum bannis exhimi fatiet et penitus extrahi. et cx nunc eos inducunt reducunt a exhimunt ut supra. Item dicti procuratores promiserunt et convenerunt nomine quo supra dicto Lan zioto a michi notano nomine quo supra recipienti et stipulanti quod prefatus dominus dux jnduci fatiet Bartolameum et Bavam de Glarolis ad possessionem omnium bonorum suorum ipsosque et quemlibet ipsorum prefatus dominus dux reducet ad eorum solitam repatriationem a ex nunc eos inducunt et reducunt ut supra. Jtem dicti procuratores promiserunt et convenerunt nomine quo supra dicto Lanziloto et michi notano nomine quo supra recipienti et stipulanti quod prefatus dominus dux bene et laudabiliter pertractabit amicos gibelinos de Bassignana dicti Lanziloti. ac etiam omnes homines presentialiter in ea habitantes tamquam bonos fidos et legales subditos prefati domini ducis. nulla memorata jniuria. si qua facta fuerit foriusitis dicte terre per respectum partialitatis. aut alio respectu. et quod quilibet ipsorum tam in ea habrtare

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volens quam habitare nolens gaudeat et gaudere valeat omnibus bonis suis tam mobilibus quam ymobilibus. Quoque omnes venditiones facte per aliquos cx foriusitis de Bassignana. seu per alios eorum nominibus de honis ipsorum tempore tenute ipsius terre Bassignane dicti Lanzioti. sint vailde et obser ventur in quantum de iure valere et tenere debeant et cx nunc eas ratificant et approbant ut supra. Quoque dominus dux prelibatus per eius litteras li berabit predictos homines de Bassignana. ah omni et eo toto. quod eisdem seu alicui ipsorum peti posset. per aliquos foriusitos dicte terre occaxione fructuum per ipsos de Bassignana perceptorum. ex possessionibus foriusitorum predictorum de Bassignana. seu aliquarum rerum mobilium ad manus ipsorum perventarum. taliter quod ipsis causis. nequeant de cetero aliqualiter molestari. Quoque Comune et dicti homines de Bassignana aliqualiter in futurum non valeant inquietari vel molestari per cameram illustrissimi domini ducis preli bati vel ipsius offitiales. pretextu et occasione alicuius retentionis salarij vel provisionis et cuiuscumque alterius debiti de quibus comune et homines pre dicti ab hodie retro debitores essent seu apparerent camere prefacte et que ah ipsis Comune et hominibus peti posset seu veilet quavis occasione ah hodie retro per cameram prelibati domini. Item prefati procuratores promiserunt et convenerunt dicto nomine dicto Lanzioto et michi notano, nomine quo supra recipienti et stipulanti quod prefatus dominus dux attendet et observabit et per ipsius offitiales attendi et observari fatiet. Matheo Manuello et Galeaz eius nepoti de Bassignana pro sese eorumque filijs litteras patentes prefati domini ducis eisdem Matheo et Galeaz concessas et omnia et singula in ipsis litteris contenta datas Mediolani millesimo quadningentesimo quintodecimo nona jndictione signatas. Johannes. et sigilli impressione prelibati domini ducis munitas. Ulterius procuratores ipsi promiserunt et convenerunt ut supra. quod predicti Matheus et Galeaz possint eisque liceat tute libere et impune. absque molestia reali nec personali. eisdem inferenda. ire stare morari pernoctare negotiari mercari in civitatibus et ad civitates terras loca et per univensum territorium prefati domini ducis tamquam boni et legales subditi prefati do mini. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt et convenerunt dicto Lanziloto et michi notano nomine quo supra stipulanti et recipienti quod prefatus dominus dux. exhimi et extrahi fatiet Jacobum Lazarum filium domini Henrici Johannempetrum de Grassis Andream Serenum Castelinum Fram baliam Matheum Grassum filium Johannis omnes banitos de Castronovo. a quibuscumque bannis condempnacionibus et sententijs eisdem et cuiibet ip sorum et de ipsis datis et factis. occasione imputationis eisdem facte. quod dare volebant terram Castrinovi illis de Becharia. ha tamen quod non possunt Castrumnovum redine. Idemque prefatus dominus dux fatiet de omnibus amicis dicti Lanziloti territorij prefati domini ducis banitis et foriusitis causa dicti Lanziloti occaxione alicuius conducte biadi vel homicidij seu alterius delicti comissi per ipsos seu aliquem ipsorum. in guerra aut in servitijs dicti

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Lanziloti et ex nunc dicti procuratores exhimunt ut supra. Item dicti procu ratores dicto procuratorio nomine promiserunt et convenerunt predicto Lan zioto et michi notano tamquam publice persone solempniter stipulanti et re cipienti nomine et vice filiorum dicti magnifici militis quondam domini Caste 1ml et omnium quorum aliqualiter interesse poterit quomodolibet in futurum quod preibatus dominus dux per ipsius patentes litteras scribet et mandabit potestati Viquenie quatenus realiter et personaliter sumarie et de plano cogat quocumque debitores dictorum heredum qui constiterunt fore et esse veri debitores ipsorum. quavis causa et occasione. Item per suas patentes litteras concedet et mandabit in quibuscumque terris suis et eius offitialibus in dictis terris. quod prefato Lanziloto et filijs dicti quondam domini Casteini seu eorum procuratoribus et nuntijs fiet et fieri debeat jus summarium et expe ditum contra et adversus quoscumque eorum et cuiuscumque eorum debitores. cx quavis causa. tam in predicta terra Viquerie quam in predictis alijs ternis suis cogendo dictos debitores et quemlibet eorum realiter et personaliter ad dicta eorum debita persolvenda sine aliqua exceptione. Item dicti procuratores promiserunt ut supra quod prefatus dominus dux per suas patentes litteras concedet. et cx nunc dicti procuratores concedunt et promittunt. quod prefatus Lanzilotus et filij dicti quondam domini Castelini possint et valeant in futurum et in perpetuum conducere et conduci facere victualia nascentia in terris suis et munitiones de una terra ad alteram omnium terrarum et locorum prefa torum Lanziloti et filiorum dicti quondam domini Castelini tute libere et secure ac impune et sine alicuius datij pedagij vel gabelle solutione ad eorum libitum non obstantibus aliquibus ordinibus vel devetis factis vel fiendis seu tenendis per prelibatum dominum ducem. vel terras aut communitates suas. tt quod prefatus Lanziotus et fihij predicti possint libere conduci facere omnes res et bona suas. quas et que habent tam in Bassignana quam alibi in qui buscumque tenris prefati domini quo voluerint. absque solutione. ac tute et libere ut supra. Item predicti procuratores dicto procuratorio nomine promi serunt et convenerunt dicto Lanzioto nomine quo supra stipulanti. quod omnes pedites vel stipendiarii sui et omnes alij qui sunt vel fuerunt ad eius servitia possint et eis liceat conducere et conduci facere omnes eorum captivos quos habent in Bassignana et in quibuscumque alijs locis ubi et quo voluerint et eis placebit libere et sine ullo impedimento. Item dicti procuratores promi serunt nomine quo supra. prefato Lanzioto et michi notano stipulanti ut supra. quod prefatus dominus dux restituet. et ex nunc ipsi procuratores restitunt Mussetum de Becaria ad omnia sua bona immobilia. Item dicti pnocu ratores dicto nomine prefato Lanziloto suo nomine et nomine filiorum dicti quondam domini Casteini. quod prefatus dominus dux in casu quo aliquis insultus vel excessus. sive dampnum contra aliquem cx ternis vel locis ipsorum Lanziloti et filiorum predictorum et cuiuslibet ipsorum fieret tam per prefatum dominum ducem quam per aliquos cx coligatis feudatarijs a subditis et adhe

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rentibus suis tam per ascalamentum quam aliter quocumque modo. eisdem Lanziloto et fflijs predictis et cuilibet eorum restitui fatiet dampna filata ut supra ac ipsos et quemlibet ipsorum indempnes conservabit et restituet. a predictis excessibus insultibus et dampnis ac ah extirpatione seu ablatione dictarum terrarum et locorum et cuiuslibet earum. Item dicti procuratores dicto procuratorio nomine promiserunt et convenerunt prefato Lanziloto suo proprio et principali nomine. ac nomine et vice filiorum dicd quondam domini Castelini et michi notano infrascripto tamquam publice persone recipenti et stipulanti nomine et vice omnium et singularum personarum quarum aliqualiter intererit seu interesse poterit quomodolibet in futurum. quod prefatus domi nus dux exhimi fatiet de hanno quosCumque bannitos amicos prefatorum Lan ziloti et filiorum dicti quondam domini Castellini. qui steterunt ad stipendia. seu servitia sua tempore guerre. quam habuerunt cum prefato domino duCe. in qua guerra comixissent. seu perpetrassent. aliqua homicidia incendia adul teria robarias seu cuiusvis alterius generis crimina aut quos conduxissent seu inculpati fuissent conduxisse. seu conduci debuisse aliquas quantitates bia dorum seu aliarum rerum undecumque. ad ipsorum et cuiuslibet ipsorum Lanziloti a fihiorum predictorum terras obsessas et territoria seu alla quavis occasione. quos baniti essent per respectum dictorum de Becaria quoque resti tuantur ad eorum bona et ad eorum solitam repatriationem. Quoque amici suprascriptorum expulsi ah eorum domibus terrarum et territorij prefati do mini ducis non habentes bannum predictis ex causis ut supra reduCantur et ex nunc predicti procuratores dicto nomine ipsos et quemlibet ipsorum exhi munt et reducunt. [tem dicti procuratores promiserunt et convenerunt dicto Lanzioto et michi notano tamquam publice persone nomine quo supra reci pienti et stipulanti quod prefatus dominus dux induci et restitui fatiet omnes amichos exititios de Viqueria qui habitaverunt super territorio prefati domini ducis a tempore novitatis Viquerie citra. ad possessionem et quasi quorum cumque bonorum ymobilium et jurium suorum et ipsos reduci fatient ad eorum solitam repatriationem quoque eisdem servari fatient omnes gratias et jmunitates eisdem solitas servari tam per dominum quam per Comune Vi querie a tempore novitatis dicte terre retro. et cx nunc inducunt et restitunt ut supra. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt et convenerunt dicto Lanziloto et michi notano tamquam persone publice stipulanti et reci pienti nomine quo supra. quod prefatus dominus dux jnduci et restitui fatiet dominum Beltraminum de Mangiarinis Simonem Yardum Martinum de Fer rarijs. et omnes alios foriusitos de Viqueria. nunc comorantes et qui comorati fuerunt in terris illorum de Becaria ad possessionem et tenutam seu quasi quorumcumque bonorum et jurium suorum que predicti et quffibet eorum habent in terra Viquerie eiusque territorio. ac in quibuscumque alijs terris et earum territorio subditis domino duci prelibato in eo statu jure et gradu. quibus erant tempore quo quondam magnificus dominus Castelinus de Becaria

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de Robecho sive eius heredes dictam terram Viquerie tenebant et possidebant non obstantibus aliquibus bannis processibus condempnationibus seu sententijs contra eos vel eorum quemlibet seu contra eorum vel cuiuslibet eorum bona vel jura vel in eis et super eis factis datis seu latis si qui vel que et qua facti facte facta seu lata forent et reperirentur a tempore relassationis castri. Vi querie facte per heredes quondam prefati domini Castelini domino duci preli bato citra usque in diem hodiernam libere et expedite. Necnon promiserunt nomine quo supra prefato Lanzioto et michi notano quo supra nomine stipu lanti et recipienti. quod predicti dominus Beltraminus Simon Martinus et alij supra nominati possint et valeant tute libere secure et jmpune future et in perpetuum cum eorum fihijs et descendentibus. ac ipsorum familijs stare morari et habitationem tenere, in terris et territorio prefati domini ducis prout et secundum quod fatiunt alij boni et legales subditi domini prelibati et dictis eomm bonis a juribus gaudere. eo salvo quod non possint personaliter repa triare ad eorum solitam repatriationem Viquerie usque ad beneplacitum prefati domini ducis non obstantibus aliquibus dictis factis comissis et perpetratis per eos vel aliquem ipsorum. nec aliquo dio quod eis seu alicui eorum posset aliqualiter imputari vel oponi et quod nichilominus ipsis stantibus absentibus vel aliquo ipsomm a dicta terra Viquerie ut supra non possit nec valeat fieri processus condempnatio vel sententia contra eos vel aliquem eorum. seu eorum vel alicuius eorum bona. a quod siquid in contrarium factum fuerit. ipso jure sit nullum. ac etiam quod ipsis seu aliquo eorum stantibus extra territorium prelibati domini ducis quod nichilominus possint gaudere eorum bonis dummodo non stent super territorio rebeffi prefato domino duci. Quoque fructus anni presentis astantes eis et cuilibet ipsorum restituantur. Item dicti procuratores promiserunt et convenerunt nomine quo supra dicto Lanziloto et michi notano nomine quo supra stipulanti a recipienti quod prefatus dominus dux jnduci fatiet Bernardum dictum Cadarbam de la Ca drona ad possessionem quoruxncumque bonorum suorum et ad eius solitam repatriationem. et ex nunc eum inducunt. Item dicti procuratores promiserunt a convenerunt nomine quo supra dicto Lanziloto et michi notano nomine quo supra recipienti et stipulanti quod prelibatus dominus dux jnduci fatiet Florelum de Becania consanguineum dicti Lanzioti et fratres ad possessionem terre Caxorate et quarumcumque possessionum suarum et omnium suorum bonorum. cum perpetua jmunitate et libera exemptione. Quoque prelibatus dominus dux predictum Florelum et fratres reduci fatiet ad eorum soitam repatriationem et cx nunc eos inducunt. Item dicti procuratores promiserunt et convenerunt nomine quo supra dicto Lanzioto et michi notano nomine quo supra stipulanti et recipienti quod prefatus dominus dux exhimi et extrahi fatiet Christoforum Grassum de Castronovo et Bernardum Grassum filium quondam Faraveffi. et alios amicos dicti Lanziloti de Castronovo bannitos. de eorum bannis et condempnacionibus tam corporalibus quam realibus. et quod

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possint et habitare in territorio prelibati domini et eos ex nunc exhimunt. Item dicti procuratores promiserunt et convenerunt nomine quo supra dicto Lanziloto et michi notano nomine quo supra recipienti et stipulanti. quod prefatus dominus dux reducet per ipsius litteras Jacopum Vicecomitem et fratrem et omnes gibellinos foniusitos de Mugarono. ad possessionem quorum cumque bonorum et ad eorum solitam repatniationem. et ex nunc dlicti pro curatores dicto nomine eos reducunt. Quoque homines de Bassignana habentes possessiones in terra et territorio Mugaroni possint ipsis possessionibus et bonis suis gaudere. Item dicti procuratores promiserunt et convenerunt no mine quo supra dicto Lanziloto et michi notano nomine quo supra recipienti et stipulanti quod prefatus dominus duz providebit. quod Stefanus Qualiata de Bassignana et fratres olim habitatores ipsius terre. non possint ullo tem pore ad ipsam terram repatriare nec bonis suis gaudere. Item dicti procura tores promiserunt et convenerunt nomine quo supra stipulanti et recipienti. quod prefatus dominus dux certis bonis respectibus providebit et fatiet. quod illi de Bellingerijs tam de Bassignana et Rivarono quam de Proveria et de Sancto Michaele jurisdictionis dicte terre Bassignane necnon Petrus Cornagia fratres et heredes quondam Ambrosij Cornagie olim habitatores ipsius terre Bassignane non possint nec valeant uflo modo unquam repatriare. Quoque bona ipsorum Camere prefati domini ducis perpetuo confiscentur. Item dicti procuratores dicto procuratorio nomine libere restituerunt et relassaverunt ac relassant dicto Lanzioto suo et nomine filiorum dicti quondam domini Caste 1ml recipienti et stipulanti terram Silvani liberam et francham a jurisdictione alicuius alterius terre vel Civitatis cum perpetua jmunitate et libera exemptio ne sicuti solita est et fuit habere tempore quo dicta terra et castrum Silvani tenebatur per quondam dominum Nicolinum de Becaria. et cum possessionibus castro ipsius terre et dicto Lanziloto spectantibus et pertinentibus Item dicti procuratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt. ac relassant dicto Lanziloto. presenti et recipienti suo nomine. et nomine fihiorum dicti quondam domini Castelini. sytum terre Robechi. liberum et franchum a ju risdictione. alicuius alterius. terre. vel civitatis. cum perpetua jmunitate et libera exemptione. et cum facultate. quod liceat et licitum sit. predicto Lan ziloto et filijs quondam domini Castelini hominibusque ipsorum. ac eorum heredibus. et successonibus. nova habitacula facere. cum eius solito fortilitio. et aliud novum fortilitium construere cum jmunitate predicta. Item dlicti pro curatores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt ac relassant dicto Lanziloto presenti et recipienti terram Valide seu sytum eius liberam et fran cham a jurisdictione alicuius alterius terre vel civitatis cum perpetua jmunitate et libera exemptione et quod liceat et licitum sit predicto Lanziloto et filijs quondam domini Castelini hominibusque ipsorum et eorum heredibus et suc cessoribus nova habitacula facere in dicta terra. et cum eius solito fortilitio et aliud novum fortilitium construere cum jmunitate predicta. Item dicti proni-

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ratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt et relassant dicto Lanziloto presenti suo et nomine fihiorum prefati quondam domini Castelini recipienti Molandinum de Ponzano liberum et franchum a jurisdictione ali cuius alterius terre ve1 civitatis cum perpetua jmunitate et libera exemptione. Item dicti procuratores dicto procuratorio nomine libere restituerunt et relas saverunt ac relassant dicto Lanziloto suo nomine et nomine filiorum prefati domini Castelini recipienti partem terre sancte Jullete sibi spectantem una cum omnibus alijs ablatis •possessionibus predictis Lanziloto et filijs prefati domini Castelini ipsis spectantibus liberam et francham a jurisdictione alicuius alterius terre vel civitatis cum perpetua jmunitate et libera exemptione sicuti solita est et fuit habere. Item dicti procuratores dicto nomine libere restitue runt et relassaverunt et relassant dicto Lanziloto presenti et recipienti nomine et vice Manfredi de Becaria eius nepotis fihij dicti quondam domini Castelini. locum Galiavole. que est dos uxonis dicti Manfredi liberum et franchum a jurisdictione alicuius alterius terre vel civitatis. cum perpetua jmunitate et libera exemptione. quam relassationem procuratores ipsi fecerunt cum hac expressa condictione. dummodo matrimonium inter suprascriptum Manfredum ex una parte. et filiam quondam Galiazini filij quondam spectabilis militis do mini Galeaz de Grumellis locum habeat. Item dicti procuratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt. ac relassant dicto Lanziloto presenti suo et nomine filiorum prefati quondam domini Castelini recipienti sytum Batiste Gazij et eius possessiones predictis Lanzioto et filijs quondam prefati domini Castelini spectantem et hoc sub ilhis modo et forma. quibus netroactis tem ponibus per ipsos quondam dominum Castelinum et Lanzilotum possidebantur. Item dicti procuratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt ac relassant dicto Lanziloto pontum Tovi super flumine Padi comitatus Papie. diutius teneri et operani consuetum cum jure portizandi et navigandi. et cum tabernis existentibus citra et ultra ipsum flumen Padi ad Tovum. dumtaxat ac jus et comodum tabernizandi cum alijs omnibus conexis et dependentibus ab eisdem pontu et tabernis liberum et franchum sicut solitus fuit habere secun dum formam concessionis et dationis in solutum sibi aliax facte per preli batum dominum dominum ducem Mediolani etc. per eius patentes litteras Papie dat. primo martij millesimo quadragesimo sexto signatas. Johannes. Item dicti procuratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt ac relassant dicto Lanziloto zardinum de Papia situm prope et extra portam sancte Manie in Perticha civitatis Papie solitum aliax teneri per predicrum Lanzilotum. quam relassationem et restitutionem dicti procuratores eidem Lanziloto fe cerunt et ipse Lanzilotus restitutionem et relassationem ipsam recipit. cum hac expressa condictione videlicet quod idem Lanzilotus de zardino ipso dispo nere teneatur et sic ipse Lanziotus dictis procuratonibus secundum voluntatem ipsorum procuratorum et Guidi de Torelis et etiam maionis partis lpsotulfl disponete promisit prout eisdem procuratoribus et Guidoni vei malori parti

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ipsorum videbitur et placebit omni exceptione et contradictione cessante Item dictj procuratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt ac relassant dicto Lanziloto domos et possessiones de Papia eidem Lanzioto spec tantes cum perpetua jmunitate e libera exemptione. [tem dicti procuratores dicto nomine libere restituerunt et relassaverunt ac relassant dicto Lanzioto presenti nomine et vice fihiorum quondam domini Castelini recipienti domos in quibus quondam dominus Castelinus de Becaria habitabat sytas in civitate Papie in parochia sancte Marie in perticha cum perpetua jmunitate et libera exemptione e etiam domum seu salam per ipsum quondam dominum Caste linum constructam ad sanctum Jacobum sytam extra portam sancte Marie in pertica predicte civitatis Papie. Item dicti procuratores dicto nomine confir maverunt et confirmant dicto Lanziloto et michi notano tamquam publice persone recipienti nomine e vice ac ad partem et utilitatem fihiorum prefati quondam domini Castelini terras Serravalis et Stazani Iiberas et franchas a jurisdictjone e subiectione alicuius alterius civitatis vel terre cum mero et mina imperio e perpetua jmunitate et libera exemptione. sicuti solite sunt et fuerunt babere ex forma feudalis concessionis facte per prelibatum do minum ducem. in prefatum quondam dominum Castelinum quam confirma tionem fecerunt dumodo dicti filij quondam domini Castelini sive eorum legip timus procurator vel nuntius fatiant fidelitatem prefato domino duCi. vel procuratoribus prefati domini ducis de terris predictis. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt et convenerunt suprascripto Lanzioto et michi notano quo supra nomine recipienti et stipulanti. quod prelibatus dominus dux predicta omnia et singula et etiam infrascripta ratificabit et approbabit per publicum instrumentum. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt et convenerunt dicto Lanziloto suo et quo supra nomine et michi notano tam guam publice persone recipienti et stipuland nomine e vice hominum sub ditorum prefati Lanzioti et fihiorum prefati quondam domini Castelini. et etiam nomine aliorum quorum interest seu interesse poterit in futurum quod homines terrarum prefatorum Lanziloti e Manfredi et fratrum de Becaria de cetero poterunt eisque licitum enit in terris et super territorio prelibati domini jre morari et conversari ac negotiari. cum eorum omnibus bonis mercatijs et rebus. et quod bene et laudabiiter tractabuntur tamquam subditi prefati do mini ducis. nulla eisdem aut alicui ipsorum inferenda molestia nec jniuria per aliquos ex offitialibus gentibus armigeris vel peditibus aut subditis prefati domini ducis de qua ilata molestia seu jniuria. si a casu vel fortassis fieret debita iustitia vel punitio. quemadniodum fiere si facta esset alicui ex sub ditis prefati domini domini ducis. quod capitulum per patentes litteras prefati domini ducis prefato Lanziloto fatient confirmari viceque versa dictus Lan zilotus suo et nomine filiorum predicti quondam domini Castelini promisit et convenit predictis procuratonibus et michi notano stipulanti nomine omnium subditorum prefati domini ducis et aliorum quorum intererit seu interesse

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poterit in futurum quod homines et subditi civitatum et terrarum prelibati domini ducis possint et valeant in terris et super territorio prefatorum Lan ziloti et filiorum dicti quondam domini Castelini ire stare pernotare mercari conversari et negotiari cum eorum omnibus bonis mercantijs et rebus. et quod bene et laudabiiter tractari debeant et tractabuntur tamquam subditi predic torum Lanziloti et filiorum dicti quondam domini Castelini. nulla eisdem aut alicui ipsoruna inferenda molestia nec jniuria per ipsos nec per aliquos ex offitialibus gentibus armigeris peditibus vel subditis prefatorum Lanziloti e nepotum. de qua ilata molestia vel jniuria. si fortassis aut a casu eisdem seu alicui ipsorum ullo modo fiere, debita flet iustitia vel punitio quemadmodum fleret si illata esset subditis prefati Lanziloti et nepotum suorum predictorum. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt et convenerunt dicto Lan. ziloto et michi notano quibus supra nominibus recipientibus et stipulantibus quod homines Caxellarum et Silvani et aliarum terrarum suprascriptoruln Lanziloti et filiorum dicti quondam domini Casteini conducere habentes tam vina et blada quam alias res et merchantias Papiam et per eius comitatun~ seu aliunde voluerint tam ab episcopatu seu comitatu dicte civitatis quam aliarum civitatum terrarum et locorum illustrissjmj domini domini ducis Me diolani etc. ad dictas terras tractabuntur circha solutionem datiorum et dia rum solutionum quemadmodum alij subditi terrarum comitatus predicte civi tatis Papie prefati domini ducis conducere habentes predicta tam blada et vina quam alias res et merchantias de loco ad locum predicti comitatus Papie et extra ut supra tractantur in dictis solutionibus viceque versa subditi prefati domini ducis conducere habentes predicta de terris predictorum de Becaria ad terras prefati domini ducis tractabuntur per suprascriptos de Becaria quemad modum eorum subditi in predictis solutionibus tractantur. Item dicti procu ratores dicto procuratorio nomine promiserunt predicto Lanziloto et michi notano quo supra nomine stipulanti et recipienti quod prelibatus dominus dux de omnibus superius et inferius requisitis tam pro parentibus et amicis quam pro predictis restitutionibus et conflrmationibus per patentes ipsius litteras suo sigillo sigillatas debitam fatiet confirmationem e restitutionem sine fraudis obscuritate. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt e convenerunt dicto Lanziloto et michi notano publice persone stipulanti et recipienti nomine quo supra. quod per prelibatum dominum dominum ducem dicto Lanzioto dabuntur et numerabuntur fioreni quindecimillia in auro boni auri et iusti pondenis. occasione rellassationis Bassignane et expensarum in ea factamm ea tamen adiecta conditione. quod prelibatus dominus dominus dux det et con signet in deposito nomine Lanziloti suprascripti in manibus Guidonis de To rellis partium confidens castrum citadellam et terram Novarum. Quod in quan tum dominus dux prelibatus det aut dan et numerati fatiat predicto Lanziloto florenos octomillia in auro a illis florenis quindecimillibus suprascriptis jnfra octo menses seu in fine dictorum octo mensium a die relassationis castri terre

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rochete et pontis Bassignane. quod tunc teneatur suprascriptus Guido dictum castrum citadellam et terram in deposito ut supra retinere usque ad menses quatuor jnde proxime sequituros intra quos seu in fine ipsorum. si prelibatus dominus dux eidem Lanziloto dederit et numeraverit seu dati et numerari fecerit florenos septemmillia in auto restantes ad integram solutionem fiore norum quindecimmillium suprascriptam. tunc idem Guido teneatur et debeat ipsum castrum citadellam et terram libere restituere domino prelibato et in casu quo idem dominus dux suprascripto Lanzioto non daret aut numeraret seu dan aut numerari faceret suprascriptos florenos septemmillia infra supra scriptos quatuor menses. aut in fine ipsorum. quod tunc dictus Guido dictum castrum citadellam et terram teneatur ponere libere et expedite omni excep tioneque cessante in manibus et baylia ipsius Lanziloti. Si vero prelibatus dominus dux prefato Lanziloto non dederir aut numeraverit seu dati aut nu merari fecerit suprascriptos fiorenos octomillia cx illis fiorenis quindecimmil libus infra menses octo suprascriptos seu in fine ipsorum. tunc et eo casu prefatus Guido teneatur dictum castrum citadellam et terram dare et assignare ipsi Lanziloto pro prius prestante ydoneam fideiussionem de fiorenis viginti millibus in auro in civitate Janue quod si dominus prelibatus usque et intra menses quatuor proxime sequturos a die finiti termini octo mensium supra scriptorum postquam dictus Lanziotus habuerit possessionem dicte terre No varum tradi aut dan fecerit ipsi Lanziloto dictos fiorenos quindecimmillia in auro. tunc ipse Lanzilotus libere restituet et tradet et dimittet prefato domino duci ipsum castrum citadellam et terram Novarum sine ulla exceptione. Et si ipsam fideiussionem in predicta civitate Janue in totum dare non potuerit licitum sit eidem Lanziloto ipsam dare in civitatibus et terris illustrissimi do mini ducis prelibati usque ad completam summam suprascriptorum florenorum vigintimillium. Et si dictus Lanzilotus dictam fideiussionem dare nollet aut non posset quod tunc idem Guido teneatur et debeat elapsis suprascriptis octo mensibus dictum castrum citadellam et terram in deposito retinere ut supra usque ad quatuor menses a die finiti termini octo mensium suprascriptorum mdc proxime sequentes intra quos seu in fine ipsorum si idem dominus dux non dederit aut numeraverit dan seu numerari fecerit suprascripto Lanziloto suprascriptos florenos quindecimmilhia in auro. quod tunc idem Guido elapso dicto termino. teneatur et debeat dictum castrum terram et citadellam ponere in manibus dicti Lanziloti omni excusatione et exceptione cessante. Et si dictus Lanzilotus dictam fideiussionem dederit ipso domino dante seu nume rante aut numerati fatiente dictos florenos quindecimmiuia suprascriptos Lan ziloto. et ipse Lanzilotus recusaret restituere prelibato domino duci dictum castrum citadellam et terram intra quatuor menses inde a die finiti termini octo mensium suprascriptorum proxime sequentium. quod tunc dominus preli batus possit et valeat contra dictos fldeiussores agere et ab eis consequi integram solutionem suprascriptorum fiorenorum vigintimillium eo tamen

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jntelecto quod idem Guido in omnem casum teneatur suprascripto Lanziloto aut ad liberam traditionem et relassationem predictorum castri citadelle et terre aut ad solutionem suprascriptoruna quindecimmillium fiorenorum. Item dicti procuratores ut supra dicto nomine promiserunt et converierunt dicto Lanziloto ut supra quod in casu quo dictum castrum citadella et terra detur et assignetur per dominum Guidonem ipsi Lanziloto elapsis octo mensibus suprascriptis. quod tunc si contigerit ipsum Lanzilotum infra quatuor menses inde proximos sequturos debere restituere et relassare dictum castrum citadel lam et terram. quod tunc illustrissimus dominus prelibatus teneatur ad solu tionem suniptum custodie que presentialiter in ipsa terra est. Et si ultra dictum sumptum jdem Lanzilotus aliquid expenderet quod in casu suprascripte restitutionis stetur determinationi Guidonis suprascripti quantum voluerit debere restitui prefato Lanziloto pro predicto sumptu. Item dicti procuratores ut supra dicro nomine promiserunt et convenerunt dicto Lanziloto ut supra quod dictus Guido per castelanos et offitiales quos in dicto castro citadella et terra tenete et deputare habebit et voluerit de dicta conventione legaliter obser vanda sine fraude et dolo in manibus prefati Lanzioti jurari fatiet. quod non obstantibus aliquibus incursuris. tam in persona prefati Guidonis quam alijs quibuscunique fraudolentijs simulationibus et dolis que ullo modo fieri aut excogitari possent dictam conventionem solempniter et per eorum sacra mentum et alias solempnes promissiones. observabunt et executioni mandabunt singula singulis referendo. Item dicti procuratores promiserunt et convenerunt dicto Lanzioto quod durante tempore dictoruni octo mensium et illorum quatuor aditorum. prefatus Lanzilotus possit et valeat rocham seu castrum Novarum ilhis munitionibus et victualibus quibus voluerit fulzire de quibus •facta sibi solutione dictorum fiorenorum quindecimmilhium pro qua expediens esset dictum castrum seu rocham ac terram in manibus prefati domini ducis per predictum Guidonem tradi debita teneatur fieri solutio per prefatum dominum ducem aut libera ipsi Lanziloto concedatur licentia ipsa victualia et munitiones quo voluerit conducere vel conduci facere aut vendere vel vendi facere. Item dicti procuratores dicto nomine promiserunt et convenerunt dicto Lanziloto suo et nomine filiorum quondam domini Castelini et michi notano nomine omnium quorum interest intererit aut interesse poterit quomodolibet in futurum recipienti et stipulanti quod prefatus dominus dux promittet quibuscumque personis et subditis predictoruni Lanziloti et fihiorum dicti quondam domini Castelini habentibus et qui in futurum habebunt bona in civitatibus terris et territorijs prefati domini ducis bonis ipsis gaudere. ipsaque pacifice tenere et possidere absque aliqua perturbatione eisdem aut alicui ip sorum per prefatum dominum ducem seu eius offitiales inferenda. Et cx adverso predictus magnificus Lanziotus sponte et cx certa scientia non impro vide sed animo deliberato. omnibusque meiori jure via modo causa et forma quibus melius potuit et potest promixit et convenit prefatis procuratoribus

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267 prelibati illustrissimj principis et excellentjssimi domini domini ducis Medio lani etc. et michi notano tamquam publice persone recipienti et stipulanti nomine et vice prelibati domini ducis et omnium et singulortim quorum ali qualiter interest intererit seu interesse poterit quomodo1i~t in futuriim. quod dictus Lanzilotus libere ponet traddet et consignabit in manibus et fortia prefati reverendissimi patris et domini domini Petri episcopi novariensjs er comitis etc. procuratoris prelibati domini domini ducis rocham seu castrum et terram Caxellarum diocesis papiensis quas idem Lanziotus presentialiter tenet et possidee semota quacumque contradictione et obstantia de quibus quidem rocha seu Castro et terra facta traditione et consignatione predictis. Jnde dictus domjnus episcopus procurator disponere possit et valeat eique liceat pro libito sue voluntatis. Item dictus Lanzilotus promisit et convenit predictis procuratoribus et michi notano quo supra stipulanti et recipienti quod per ipsum babita possessione terrarum et locorum Silvani Robechi et Valide et Molandini de Ponzano suo nomine et nomine fihiorum quondam domini Casteini et facta depositione castri citadelle et terre Novarum in ma nibus magnifici Guidonis Torelli procuratoris prefati domini ducis loco p1gnoris dictorum florenorum quindecimmiffiu~ auri. qui dan debent dicto Lanziloto secundum tenorem suprascriptotum capitulorum tunc dictus Lan ziotus restituet dabit et consignabit ac rellassabit castrum citadellam et terram ac pontem Bassignane in manibus prefati et reverendi patnis domini episcopi novariensjs procuratonis prelibati domini ducis nomine ipsius domini ducis receptuni ultra rochetam cum bastita de ultra Padum dicni pontis Bassi gnane. jam ipsi domino episcopo procuratoni per prefaturn Lanzilotum relas satam ut idem dominus episcopus nomine prefati domini ducis de predictis castro citadella terra ponte et rocheta cum bastita disponere possit pro libito voluntatis sue. bern dictus Lanzilotus suo proprio et principali nomine ac nomine et vice suprascniptotum filiorum quondam domini Castelini de Becharia promixit ac convenin predictis procuratoribus et michi notano nomine om nium quorum interest seu interesse poterit quomodolibet in futurum recipienti et stipulanti quod ipsi Lanziotus et fihij dicti quondam domini Castelini ac ipsorum et cuiuslibet eomm heredes promittent quibuscumque personis ac sub. ditis prefati domini ducis habentibus et qui in futumm habebunt bona in terris et ternitorijs predictorum Lanziloti et flhiorum dicti quondam domini Castelini bonis ipsis gaudere. ipsaque pacifice tenere et possidere absque aliqua perturbatione eisdern per ipsos de Bechania vel suos aliqualiter inferenda. salvo tamen ipsi Lanziloto quia ut asseritur habere debet a Jacomello de Fer rarijs florenos quingentos per publicum instrumenmm cuius vigore aprendidit possessionem certarum propnietatum dicti Jacomeli Ferrarij sytarum in ter ritonijs Robechi Clastigij et sancte Jullete. quod Jacomellus ipse nec ipsius heredes nec etiam habituri causam ab eisdem. non possint propnietatibus ipsis gaudere nec ipsas tenere aut possidere. sed eidem Lanzioto heredibusque sui~

liceat ac licitum sit. iflas tenere et possidere fructusque suos earumdem facere absque eo quod sibi possint in sortern computari usque ad integralern veri sui crediti satisfactione. [tem dictus Lanziotus suo et nomine filiorum predic torurn domini Castelini promisit et convenjt dictis procuratoribus et michi notano stipulanti et recipienti nomine et vice quibus supra. quod ipse Lan zilotus et dicti fihij quondam domini Castelini bene et laudabffiter tractabunt homines et personas presentialiter habitantes. in terris Caxellarum et Silvani eo tamen intelecto quod foriusitis dicte terre Caxelarum jnimici dicti Lanzioti non possint ad terram ipsam Caxelarum sine voluntate et beneplacito ipsius Lanziloti redire. nec habitare. Quasquidem conventiones restitutiones relas sationes et que pacta et omnia et singula supra et infra dicti procuratores dicto procuratorio nomine predicto Lanziloto et dictus Laniilotus suo nomine et nomine et vice filiorum dicti quondam domini Castelini procuratoribus prefati domini ducis et michi notano tamquam publice persone recipienti et stipulanti nomine et vice omnium et singularum personarurn quarum aliqualiter interest intererit seu interesse poterit quomodolibet in futurum promiserunt et conve nerunt ac promittunt et convenmit sibi ipsis vicissim. reciproce contentis in antea temporibus perpetuo ratas gratas et firmas et rata grata et firma habere a tenere et supra et infrascripta omnia et singula attendere solvere et obser vare et in nullo contrafacere dicere seu venire aliqua ratione occasione vel causa que quoquovis modo dici vel aliqualiter excogitari posset sub pena reffectionis et restitutionis omnium et singulorum dampnorum interesse et expensas litis et exceptionis. hincinde vicissim per predictos contrahentes solempni stipulatione solvene promissa que pena comissa vel non soluta ve! non nichilominus supra et infnascnipta omnia et singula firma maneant a pendunent. et pro pnedictis omnibus et singulis sic finrniter et efficaciten atten dendis solvendis et obsenvandjs dicti procuratones prefati domini ducis prefato Lanziloto suo et quo supna nomine recipienti omnia bona prelibati domini ducis. et dictus Lanzilotus omnia ipsius et fihionuni pnedicti quondam domini Castelini bona. procunatonibus prelibati domini ducis vicissim pignori et ypote ce penitus obligaverunt et obligant. et nenuntiaverunt et renuntiant dicti pnocunatores et Lanzilotus suo a quo supna nomine vicissim et reciproce. exceptioni non factarum pnedjctariin2 conventionum pnomissionum relassa tionum et omnium et singulorum non sic actorum et factonum et gestorum ut supna continetur omnique alij juni exceptioni et deffensioni contra hec. et omnibus pnobationibus et pnoductionjbus testium contna pnedicta omnia et singula. Lt mdc dicti pnocuratores et Lanzilotus suo et quo supra nomine. et quilibet ipsorum. considerantes quod singula capitula suprascripta singulos tangunt et concernunt rogaverunt me notanium infrascniptum ut de premissis omnjbus. et etiam de quohibet capitulo per se unum et pluna prout fuenit oportunum publicum et publica confitjam instrumentum et instrumenta. pre sentibus magnifico viro Guidone de Toreffis filio domini Mansilij domino Bel-

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tramino de Mangiarinis fihio quondam domini Luce Bartolameo de Dugniano fihio quondam domini Ambrosij Matheo de Manuelis fihio quondam domini Uberti et Guizardo Bereta de Frascharolo fihio quondam Michaelis mdc testibus ad premissa vocatis specialiter et rogatis. (S.T.) Ego Catelanus de Christianis genitus quondam domini Francischini jurisperiti publicus papiensis apostolica imperialique auctoritate notarius. ac prelibati illustrissinil principis et excellentissimi domini domini ducis Medio lani etc. secretarius. hanc cartam michi fieri iussam. rogatus tradidi et sub scripsi. (S.T.) Ego Bartolameus de Dugniano fihius quondam domini Ambrosij civis Mediolani parochie sancti Protasij ad monachos notarius jmperiali aucto ritate hanc cartam jussu suprascripti notarij scripsi.

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tibus magnifico viro Guidone de Torellis filio domini Marsffij spectabile viro domino Sperono de Petrasancta filio quondam domini Antonij domino Beltra mino de Mangiarinis jurisperito de Viqueria et Antonino de Georgijs filio quondam domini Zanoti jnde testibus. (S.T.) Ego Catelanus de Christianis genitus quondam domini Francischjni jurisperiti publicus papiensis apostolica jmperiahique auctoritate notarius. ac prelibati domini domini ducis Mediolani etc. secretarius. hanc cartam michi fieri iussam rogatus tradidi et subscripsi. (S.T.) Ego Bartolameus de Dugniano fihius quondam domini Ambrosij civis Mediolani porte Cumane parrochie sancti Protasij ad monachos notarius jmperiali auctoritate hanc cartam jussu suprascripti notarij scripsi.

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Ix ancellotto Beccaria consegna a Pietro [Giorgi], vescovo & Novara, il castello, la rocca, la cittadella e la terra di Bassignana (Bassignana,

1415 settembre 30). A. L’orignale manca.

B. Copia sincrona, rogata dal notaio Catelano Cristiani, in Archivio di Stato di Milano, Reg. cit., c. 78t.-79. FONTI.





In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadrin gentesimo quintodecimo jndictione octava die lune trigesimo mensis septembris hora tertiarum in castro Bassignane videlicet in curia dicti castri magnificus vir Lanzilotus de Becharia filius quondam magnifici miitis domini Mussij in exequtione pactorum et conventionum celebrandorum jnter procuratores jllu strissimi principis et excellentissimi domini domini ducis Medliolani etc. parte una. et suprascriptum magniflcum Lanzilotum parte altera sponte et cx certa scientia et animo deliberato non improvide non vi dolo nec metu inductus dedit et tradidit. ac dat et tradit reverendo in Christo patri et domino domino Petro dei et apostohice sedis grafia episcopo novariensi et comiti procuratori prelibati domini ducis. ibi presenti et recipienti castrum rocham et citadellam ac terram Bassignane et possessionern ipsarum eidem domino episcopo in pre sentia mei notarij et testium infrascriptorum dando chaves dictorum castri rochete et citadelle abdicando a se omnem et possessionem quas idem Lan ziotus de premissis habebat. et in dictum dominum episcopum transferendo tamquam procuratorem domini prelibati ut idem dominus episcopus tamquam procurator prefati domini ducis de ipsis castro rocha citadella et tetra dispo nere possit pro libito voluntatis. Et mdc dictus Lanziotus rogavit me no tarium infrascriptum ut de premissis pubhicum confitiam jnstrumentum presen

Pietro [Giorgi], vescovo di Novara, consegna a Gorone Lampugnani il castello, la rocca e la cittadella di Bassignana, perché li custodisca a nome del duca Filippo Maria Visconti (Bassignana, 1415 ottobre 5). FONTI.



A. L’originale manca.



B. Copia sincrona, rogata dal notaio Catelano

Cristiani, in Archivio di Stato di Milano, Reg. cit., c. 84t. In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadrin gentesimo quintodecimo jndictione octava die sabati quinto mensis octobris hora teriarum in terra Bassignane videhicet in castro dicte terre in camera solita cubiculari magnifici Lanzioti de Becharia reverendus in Christo pater. et dominus dominus Petrus dei et apostolice sedis gratia episcopus novariensis et comes procurator jllustrissimi principis et excellentissimi domini domini ducis Mediolani etc. et nomine et vice prefati domini in presentia mei notarij testiumque infrascriptorum dedit et tradidit ac dat et tradit circumspecto viro Gorono de Lampugnano fihio quondam [... I ibi presenti possessionem castri roche et citadelle Bassignane et in signum dicte possessionis predictorum castri roche et citadelle dictus dominus episcopus nomine prefati domini ducis eidem Gorono presenti et recipienti tradidit et dedit claves predictorum castri roche et citadelhe in presentia mci notarij et testium infrascriptorum. Qui Goronus eidem prius juramento delato in presentia mei notarij et testium infrascrip torum per suprascriptum dominum episcopum nomine et vice prelibati domini ducis juravit et jurat ad sancta dei evangelia corporaliter manibus tactis scrip turis. quod dictum castrum rocham et citadellam Bassignane tenebit reget custodiet et gubernabit ad honorem et statum prefati domini ducis. et quod in ipso non recetabit aliquos jnimicos nec rebelles prefati domini ducis. nec ah ipso castro discedet sine licentia speciali prefati domini ducis ipsumque

270

APPENDICE

271

APPENDICE

castrum rocham et citadellam non dabit alicui nisi defferenti contrasignum dicti castri et sine speciali licentia prefati domini ducis et in omnbus et per omnia juravit et promixit prout continetur in forma tam manifesta quam secreta juramenti que datur castelanis prefati domini ducis. Et inde prefatus dominus episcopus dicto nomine et Goronus singula singulis congrue refferendo rogaverunt me notarium infrascriptum ut de premissis publicum con fitiam instrumentum presentibus Matheo de Manueffis filio quondam domini Uberti Francischino de Cimiiano filio quondam Rizardi Antoniolo filio quon dam Simonis de Baxilicapetri et Guizardi Bereta filio quondam Leonardi jnde testibus. (S.T.) Ego Catelanus de Christianis genitus quondam domini Francischini jurisperiti publicus papiensis apostolica jmperialique auctoritate notarius ac prelibati jllustrissimi principis et excellentissimi domini domini ducis Medio lani etc. secretarius. hanc cartam michi fieri iussam rogatus tradidi et subscripsi. (S.T.) Ego Bartolameus de Dugniano filius quondam domini Ambrosij civis Mediolani porte Cumane parochie sancti Protasij ad monachos notarius jmperiali auctoritate hanc cartam jussu suprascripti notarij scripsi.

in ipsa non receptabit aliquos rebelles. nec inimicos prefati domini ducis. nec ipsam dabit alicui persone. nisi deferenti contrasignum ipsius rochete. et sine speciali licentia domini prelibati. et in omnibus et per omnia promixit prout continetur in forma juramenti que datur castelanis per prefatum dominum ducem. Et inde prefatus dominus episcopus et Goronus singula singulis con grue refferendo rogaverunt me notarium infrascriptum ut de premissis publi mm confitiam instrumentum presentibus Matheo de Manuellis filio quondam domini Uberti Francischino de Cimiliano filio quondam Rizardi Antoniollo filio Simonis de Baxilicapetri et Guizardo Bereta fihio quondam Leonardi jnde testes. (S.T.) Ego Catelanus de Christianis genitus quondam domini Francischini jurisperiti publicus papiensis apostolica jmperialique auctoritate notarius ac prelibati jllustrissimi principis et excellentissimi domini domini ducis Medio lani etc. secretarius. hanc cartam michi fieri iussam rogatus tradidi et subscripsi. (S.T.) Ego Bartolameus de Dugniano fihius quondam domini Ambrosij civis Mediolani porte Cumane parochie sancti Protasij ad monachos notarius jmperiali auctoritate hanc cartam jussu suprascripti notarij scripsi.

XI

XII

Pietro [Giorgi], vescovo di Novara, consegna a Gorone Lampugnani la rocchetta di Bassignana, perché la custodisca a nome del duca Filip po Maria Visconti (Bassignana, 1415 ottobre 5).

Pietro [Giorgi], vescovo di Novara, consegna ad Antonio Pietrasanta, Podestà di Bassignana, il possesso e le chiavi del borgo (Bassignana,

FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia sincrona, rogata dal notaio Catelano Cristiani, in Archivio di Stato di Milano, Reg. cit., c. 85.

FONTI. — A. L’originale manca. — B. Copia sincrona, rogata dal notaio Catelano Cristiani, in Archivio di Stato di Milano, Reg. cit., c. 85-85t.

In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadrin gentesimo quintodecimo jndictione octava che sabati quinto mensis octubris hora parum ante nonas in rocheta sita de ultra Padum Bassignane. Reverendus in Christo pater et dominus dominus Petrus dei et apostolice sedis grafia episcopus novariensis et comes procurator et nomine et vice jllustrissimi prin cipis et excelentissimi domini domini ducis Mediolani etc. in presentia mei notarij et testium infrascriptorum tradidit et tradit ac dedit et dat circum specto viro Gorono de Lampugnano ibi presenti possessionem rochete Bassi gnane de ultra Padum eidemque Gorono in presentia mei notarij et testium infrascriptorum dedit et tradidit claves dicte rochete. Qui Goronus accepta dicta possessione. ac etiam clavibus predictis promixit et promittit dicto do mino episcopo procuratori et michi notano stipulantibus nomine prefati do mini ducis et omnium quorum intererit. quod fideliter tenebit reget custodiet et salvabit dictam rochetam ad honorem et statum prefati domini ducis. et

In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadrin gentesimo quintodecimo jndictione octava. die sabati quinto mensis octubris. hora none in terra Bassignane. Reverendus in Christo pater et dominus do minus Petrus dei et apostolice sedis grafia episcopus novariensis et comes procurator jllustris principis et excelsi domini domini ducis Mediolani etc. et nomine et vice ipsius domini ducis. in presentia mei notarj testiumque infra scriptorum. dedit et tradidit circumspecto viro Antoniolo de Petrasancta filio quondam domini Simonis. potestati dicte terre Bassignane presenti. posses sionem terre Bassignane. et in signum vere traditionis dicte possessionis terre suprascripte. dictus dciminus episcopus in presentia md notarij. testiumque in frascriptorum. actualiter dedit. et tradidit dicto Antoniolo. presenti et reci pienti claves portarum dicte terre Bassignane. Et inde dictus dominus epi scopus rogavit me notarium infrascriptum. ut de premissis publicum confitiam jnstrumentum. presentibus Matheo de Manueis filo quondam domini Uberti.

1415 ottobre 5).

272

APPENDICE

Franceschino de Cimiliano Elio quondam Rizardi. Antoniolo Elio quondam Simonis de Baxiicapetri. et Guizardo Berreta Elio quondam Leonardi jnde testibus. (S.T.) Ego Catelanus de Christianis genitus quondam domini Francischini jurisperiti publicus papiensis apostolica jmperialique auctoritate notarius ac prelibati jllustrissimi principis et excellentissimi domini domini ducis Medio lani etc. secretarius. hanc cartam michi fieri iussam rogatus tradidi et subscripsi. (S.T.) Ego Bartolameus de Dugniano fihius quondam domini Ambrosij civis Mediolani porte Cumane parochie sancti Protasij ad monachos notarius jmperiali auctoritate hanc cartam jussu suprascripti notarij scripsi.

XIII a comunità e gli uomini di Bassignana prestano il giuramento di fedeltà al duca Ludovico di Savoia, in esecuzione del trattato stipulato fra lo stesso duca e il Comune di Milano (Bassignana, 1449 maggio 7). FoNTI.



A. Originale in Archivio di Stato di Torino, Paesi di nuovo acquisto,

Alessandrino, mazzo 5, n. 6.

In nomine domini amen. Anno a nativitate eiusdem quatercentesimo qua dragesimo nono. jndictione duodecima. et die septima maii. super palatio domus Communis bone ville Bassignane. presentibus nobilibus Paride de Vice comitibus. Georgio de Cusano et Paulo de ‘i/erano civibus mediolanensibus ac Johanul de Fabis etiam mediolanensi pro testibus ad infrascripta vocatis spe cialiter et rogatis. Huius instrumenti serie cunctis appareat manifestum. cum nuper et de anno presenti inhita sunt certa capitula inter illustrissimum prin cipem dominum nostrum. dominum Ludovicum Sabaudie etc. ducem cx una parte. et illustre dominium insignis communitatis Mediolani parte cx altera. per que capitula et in illorum observationem mandante et ministerio egregi Antonii Rabie procuratoris ut debite edocuit ad hoc dicte communitatis Me diolani. vice et nomine prelibati domini nostri ducis magnificus miles dominus Guilliermus dominus Menthonis ad hec infrascriptas possessionem homagia et fidelitates recipiendarum constitutus et deputatus prelibati domini nostri parte et nomine. ac per ipsum constantibus inde litteris autenticis per de clauso ducalem secretarium confectis. et sigillo cancellarie ipsius domini nostri ducis cera rubra impendenti sigillatis. possessionem castri et ville predicte Bassi gnane adeptus fuerit. Hoc quoque dictarum proxinae designatarum vigore lite rarum. citra quod dictorum capitulorum derrogationem. a discretis et hono rabilibus viris. Dominico de Girardis et Dominico de Previde notariis burgen sibus procuratoribus et sindicis specialiter ad hec constitutis ut apparet per

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tenorem instrumenti subinferti nomine dicte communitatis Bassignane. Et in super a singularibus personis burgensibus et incolis ipsius loci Bassignane subnominatis nominibus privatis et suis propriis prestantibus fidelitate ut infra recepit. Quiquid domini sindici nominibus suis propriis et totius com munitatis Bassignane. et singulares persone subnominate suis nominibus pro priis fecerunt. prestiterunt et polliciti sunt citra predictorum capitulorum der rogationem homagium ligium et fidelitatem prelibato domino nostro duci et suis successoribus et heredibus quibuscumque. in manibus videlicet prelibati domini Menthonis ad hec commissarii debite stipulanti. Et propterea coram dicto domino Menthonis commissario constituti predicti de Bassignana supra et infra nominati nominibus quibus supra reverenter capitibus enudatis. geni busque flexis et manibus iunctis in manibus prefati domini Menthonis com missarii positis. et ipsius domini Menthonis policibus osculatis iuraverunt evangeliis dei tactis per se et suos esse perpetuo velle velleque esse et esse debere. homines ligios et fideles prelibati domini nostri ducis et suorum eorum cumque statum. honorem. utilitatem et dominium suo posse deffendere am pliare et procurare. sinistra autem propellere et vitare. sibique aut suis offi ciariis ut primum ad eorum devenerit notitiam denuntiare. pro ipsis quoque domino nostro duci et suis guerram facere et ipsi servire fideliter et ligie pro et contra quoscumque dominos et personas mundi. dictis tamen capitulis servatis. in eaque forma et quemadmodum fideitatem ipsam in civitate Thau rinensi nuper dictorum capitulorum vigore fecerunt ipsi domino nostro. nobiles Franciscus de Belengeriis. Guichardus de Fionibus et Thomas de Belengeriis legati dicte communitatis Bassignane. et cetera omnia facere et adimplere. que boni homines et fideles suo domino naturali et ligio facere tenentur et debent intra et secundum formam fidelitatis nove et veteris et que in capitulis ipsius fidelitatis continentur. sub et cum omni iuris et facti exceptione et renuntia tione ad hec necessaria pariter et cautela. Ad quamquidem Edelitatem et ho magii prestititionem prefatus dominus Menthonis commissarius predictus de Bassignana ut supra admisit. et nomine prelibati domini nostri recepit. De quibus per me Petrum de Annessiaco notarium ducalis Sabaudie dominationis secretarium precepit idem dominus commissarius et predicti de Bassignana requisiverunt publicum et publica fieri instrumenta peritorum dictamine sub stantia tamen non mutata dictanda ac emendanda. Nomina particularium per sonarum. Johannes Paulus de Belengeriis. Thomenus de L.aureto. Michael Vicecomes. Anthonius Grandis de Belengeriis. Stephanus Cornagia. Urbanus Vicecomes. Franciscus de Manuellis. Bertholinus Christianus. Anthonius la cobus Vicecomes. Stephanus Terratia. Franciscus Gorus. Facinus Sachus. Uber tus Beffisana. Iohannes Turta. Iohannes de Lavizariis. Perrinus de Burgo. Guiliermus de Paterinis. Franciscus de Caneto. Iacobus Olmus. Georgius de Previdis. Anthonius de Florio. Iohannes de la Mola dictus Mochus. Christo forus de Previdis. Henricus de la Mola. Petrus de la Mola Anthonii. Tho

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meinus Canis. Vuffiermus de Belengeriis de Proveria. Ruffinus de Belengeriis de Proveria. Petrus Longus de Belengeriis. Iohannes de la Mola lacobi. Ste phanus de Proveria. Iacobus de Proveria. Anthonius Longa. Tohannes Fer rarius. Bertraminus Corradus. Ubertus Pavesius. Nicolaus Paterinus. Fran ciscus de Vitali. Bartholomeus de Caneto. Perrinus de Ferraria. Iohannes Cupa. Iohannes Cavizola. Baldesaldus Galla. Iohannes de Casate. Ruffinus Canis. Anthonius Ricius. Iacobinus de Loreto. Rayninus de Proveria. Perrinus Lon gus. Dominicus Liorus. Anthonius de Ultrabella. Iohannes Iacomus de Chri stianis. Martinus de Vigonia. Franciscus de Proveria. Berthola Canis. Ludo vicus de Belengeriis. Philipponus Carolus. Stephanus de Porta Albrici. Domi nicus Reymondus. Georgius Regaffis. Michael de Ultrabella. Lazarinus Liorus. Iacobus Barrarjus. Martinus de Fracineto. Anthonius Paterinus. Franciscus de Pomo Bertrami. Franciscus Golinus. Oliverius de la Mola. Iohannes Petrus Stancus. Iohannes Cornagia. Raphael de Iviciatis. Iacobus de Manuellis. Tohannes Lustra. Humbertus de Manueffis. Anthonius de Laureto. Iacobus de Papia dictus Machus. Franciscus Vicecomes. Bosius de Papia. Ruffinus Lio rus. Iacomus Grandus Barnebovis. Perrinus Ravasius. Iohannes Regalis. An thonius de Laude. Iohannes Betramus de Ultrabella. Iohanninus Garganus. Iohannes de Ferraria. Perrinus de Caneto. Iacobus Liorus. Ruffinus de la Ro ta. Binascus de Binasco. Petrus de Previdis. Iohannes Grosus. Anthonius de Paravisino. Petrinellus de la Rocha. Iohannes Iacomus de la Mola Petri. Anthonius Dardenius. Paulus Pecteliarius. Georgius Vicecomes. Masinus de Pergomo. Iacobus de Proveria. Petrus Rutinus. Lazarus Garganus. Bartholo nieus de Canepa. Jacobus Girardis. Iohannes de Gerardis. Stephanus de Sancto Columbano. Stephanus Gussacerius. Ubertus Pettenarius. Michael Mitteronus. Anthonius Raynocius. Petrus de Casalis. Albertus Longus Petti. Bartholomeus Paterinus. Iacobus de Biate. magister Augustinus Ravasius. Bertramus de Pomo. Manfredus de Coliariis. Anthonius Regalis. Ferrarius Lingua. Symon de Ferraria. Iullianus Sumeria. Michael de Ferraria. Ruffinus Longus de Mede. Anthonius Gatus. Bartholomeus Cornarius. Baptistinus de Vicecomitibus. Stephanus de Canepa. Iohannes Pettenarius. Guillermus Canis. Paulus Liorus. Eosius de Puteo, Stephanus Fornarius. Thomenus Rosesia. Tacobus de Laude. Anthonius Tarditus. Dominicus Cavagnarius. magister Iacobus Pailliarius. Phi lippus Capeta. Iacobus de Girardis. magister Anthonius Fornaserius. Zaninus Garronus. Dominicus de la Mola. Guillierrnus Carbonus. Iohannes de Preve sino. Maffiolus de la Valle. Bartholomeus Bulla. Bertholinus de Laude. Bar tholomeus de Rassia. Dominicus Bonsisius. Millanus de Berguardo. Christo forus de Canepa. Gallinus de Modetia. Pollellus Galina. Guilliermus Olmus. Anthonius Campola. Ruffinus Remotius. Bertramus Strivannis. Stephanus de Ferraria. Anthonius de Vitali sartor. Iohannes Paterinus. Tricius de Cremona. Bastianus Vicecomes. Iohannes de Papia. Franciscus de la Porta. Anthonius Paravisinus. Iacobus Regalis. Guilliermus Remotius. Baptista Persona. Fran.

APPENDICE

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ciscus Persona. Dominicus Remotius. Iohannes Remotius. Baptistinus Longus. Symon de Caneto. Iacobus de Baldengo. magister Jacobus de Papia. Michael Ballesana. Iacobus Vicecomes. Anthonius Persona. Vincentius de Bellengerlis. Augustinus Sacus. Barnaba de Bellengeriis. Laurentius de Iudicis. Anthoninus de Proveria. Iohannes de la Rota. Symon Cavagnarius. Dominicus de la Rota. Anthonius Alamanus. Ruffinus Saulus. Andreas de Ultrabella. Anthonius Bel leysana. Iohannes de Vegiis. Anthonius de Fracineto. Anthonius Gallinus. Marcquinus de Caneto. Iohannes Franciscus de Proveria. Bertramus Ricius. Franciscus Ricius. Iohannes de Vitali. Iohannes Petrus de Vitali. Petrus Ca lidus. Vulliermus Liorus. Zaninus Chimera. Anthonius de Laviola. Iohannes de Vigonia. Georgius de la Mola. Iacobus Ferrarius. Iacobus de Auradolo. Iacobus de Pomo. Marcquinus Paterinus. Ubertus Levisavius Mutini. Iacobus Saccris. Iohannes de Laude Miradoli. Anthonius Cremoninus. Iacobus Marmis. Laurentius Carbonus. Iohannes Caberius. Andriolus de Salis. Iobannes Car bonus. Theobaldus Mascus. Georgius de Galliis. Bertramus Meniapirrus de Bellengeriis. Franciscus de Pomis lacobi. Bartholomeus Ricius. Stephanus de la Porta Michaelis. Silvester Bellora. Bonifacius de Proveria. Iohannes Pate rinus. Guidus Alamanus. Anthonius Garbania. Iacobus de Alamannis. An. thonius Christianus Marcquini. Anthonius Staleonis. Dominicus Carbonus. Vul liermus Stalleonis. Bastianus Vermus. Mattheus Liorus Pauli. Stephanus Ca vagnarius. Pasinus Fiorus. Stephanus Caneto. Ruffinus de Lodrono. Perrinus Longus de Mede. Petrus Boverius. Anthonius de Burcio. Tenor dicti mandati predictis Dominico de Girardis et Dominico de Previdis ad suprascripta facti sequitur ut esse. In nomine Domini amen. Anno a nativitate eiusdem mille simo quatricentesimo quadragesimo nono. indictione duodecima. die septimo mensis madii. In Bassignana videlicet super palatio novo Communis Bassi gnane. ibique convocato et congregato pleno et generali consiio de mandato nobilis et egregii domini. Pauli de Verano honorabilis potestatis terre predicte sono campane et voce preconis prout moris est. in quo quidem generali con silo erant omnes infrascripti consffiarii et credendarii unanimi congregati ut supra prout infra denominabitur. videlicet dominus Anthonius de Belingeriis. Dominicus de Girardis. Rayninus de Proveria. Thomenus de Loreto. Fran ciscus de Caneto. Batista Persona. Iohannes Lavizarius. Bertholinus Christia nus. Dominicus de Previdis. Anthonius Iacobus Vicecomes. Guilliermus Pata rinus. Franciscus de Mananelis. Facinus Sachus. Iacobinus Olmus. Ubertus Vallexana. Perinus de Burcio. omnes consiliarii et credendarii dicti Communis. per quos omnia negotia dicti Communis possunt fieri et adimpleri. Et primo cum sit necesse eligere duos sindicos et procuratores nomine dicti Communis. quibus per prius consilium attribuatur potestas et baylia faciendi homagium fidelitatis nomine et vice dicte communitatis Bassignane in manibus. spectabilis et generosi militis. domini Guilliermi de Menthone sindici et procuratoris illu strissimi principis. et excelsi domini domini nostri domini ducis Sabaudie. qui

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predictum homagium fidelitatis recipere debet a Commune et hominibus dicte terre Bassignane nomine et vice prelibati domini ducis secundum continentiam capitulorum initorum factorum et celebratorum inter et per preibatum do minum ducem parte una. et spectabiles dominos. Iohannem de Casate. Petrum de Oxio ac Anthonium Rabiam cives mediolanenses procuratores et manda tarios illustris et excelse communitatis Mediolani. et hoC de mandato et imposicione dicti domini Anthonii Rabie mandatari. et procuratoris prefate communltatis Mediolani. qui actualiter imposuit et remisit auctoritate sibi attributa per agentes nomine prefate communitatis Mediolani suprascriptis con siiariis de dicta terra Bassignane ut dictum homagium fidelitatis prestare de beant prefato domino Guilhiermo de Menthone. et in manibus ipsius nomine et vice prelibati domini domini ducis secundum continentiam predictorum capitulorum. et prout fecerunt domini Franciscus de Belengeriis. Marchus de Fionibus oratores Communis et hominum dicte terre Bassignane. Quiquidem consiliarii audita imposicione facta ipsis per prefatum dominum Anthonium Rabiam omnibus iure via modo et forma quibus melius potuerunt et possunt predicti consiliaril deliberate volentes parare mandatis ipsius domini Anthonii mandatarii et procuratoris ut supra sponte. et ex certa eorum scientia. ac ani mo deliberato in presenti et generali consilio eligerunt et eligunt dominos Dominicum de Girardis. Dominicum de Previdis. eorum sindicos et procu ratores. qui auctoritate presentis consilii. ac eorum consiiariorum habeant potestatem auctoritatem et bayliam. prestandi er faciendi dictum homagium fidelitatis nomine et vice eorum consffiariorun,. ac Commune et homines dicte terre Bassignane in manibus prefati domini Guilhiermi stipulanti nomine et vice prelibati domini domini ducis. et secundum continentiam predictoi-um capitulorum. et hoc presentibus Tacobino de la Porta filio Francisci. Uberto de Bongho filio Petri et Iohanne Tacobo de Christianis filio Martini omnibus habitatoribus dicte terre Bassignane testibus ad predicta vocatis specialiter et rogati. Ego Bertramus Mangiapirra de Belengeriis pubhicus imperiali aucto ritate notarius. ac scriba prefati Communis Bassignane predictis interfui ro gatus in fidem et testimonium omnium premissorum scripsi et me subscripsi. Item anno et indicione et sito supra declaratis die vero ottava dicti mensis maii. presentibus nobili Anthonio de Belingeriis et Dominico de Previdis no tariis burgensibus Bassignane. testibus ad sequentia vocatis specialiter et ro gatis. quibus supra formis modis condicionibus nominibus et subtus simffibus iuramentis sollempnitatibus. promissionibus. clausolis stipulacionibus renun ciationibus nichil ad dicta additum minutum vel detractum in manibus prefati domini Menthonis commissarii fidelitates et homagia iam supra presentis con similes prestiterunt sponte per se et suos prelibato domino nostro duci et suis videlicet Iohannes de Solmasto. Franciscus Lingua. Anthonius de Arduinis. Paulus Olmus. Christoforus de la Mola Anthonii. Iacobus Cavagnarius. Iohan nes Barrarius. Laurentius de la Mola. Perrinus de la Mola. Anthonius de

APPENDICE

277

Ludrono. Iullianus Galinus. Matheus Cavizola. magister Girardus de Alipran dis. Bertramus de Canepa Ardiginni. Iacobus Galia. Petrus de Ultrabella. Ber tramus Cremoninus. Violinus de Aste. Dominicus Liorus Ruffini. Liorus de Vigonia. magister Guillermus Olivus. Guilliermus de Loco Maiori. Iohannes Gallinus. Manfrinus Ricius. Iohannes de Vigonia. Petrus Pecheninus. An thonius de Vigetia. Michael de Papia. Anthonius Canis. Iacobus de Vigetia. Iohannes de Vigonia. Silvester de Bellesana. Ubertus Berlesana. Iohannes Beffi sana Michaelis. Stephanus de Ultrabella. Anthonius Sachus. Anthonius Garro nus. comes Iohannes de Sancta Maria. Dominicus de Cario. Perrinus Gallinus. Paulus de Ultrabella. Petrus de Vitali. Petrus Olivus. Iohannes de Vigonia. Stephanus Turta. Rufinus Paveysius. Franciscus Carazola. Stephanus Curtus. Perrinus de la Porta. Viscontus de Pomo. Humbertus da Caneto. Anthonius de Vegiis. Iacobus Bellisana. Stephanus Garronus. Marcquinus Sacus. Vulliermus Raymocius. Dominicus Levisarius. Anthonius Levisarius. Stephanus de la Mola lacobi. Iohannes Petrus Tarditus. Iacobus de Casate. Dominicus Lingua* om nes burgenses et incole Bassignane. De quibus ut supra ego predictus notarius et secretarius hoc publicum recepi instrumentum ut supra dictum.* Anthonius Parvus. Anthonius Liorus Lansermi. Dominicus Fornarius de Spergaria. Mi chael Mediabarba. Petrus Garronus. Dominicus Gardia. Iacobus de Caneto. Henricus Raymoncius. Humbertus Grandis Barnabous. Nicola Molinarius. Manfredus Turta. Anthonius de Ferraria. Iohannes Neccus. Donatus de Cane pa. Constat de correctionibus supra non dolo factis. (S.T.) Et ego siquidem Petrus de Annessiaco mandamenti Sancti Sa turnini Cucheti Lugdunensis Diocesis. iniperialis notarius. ac ducalis Sabaudie celsitudinis secretarius premissis omnibus et singulis sic ut annotatur ageren tur prestarentur expedirentur et £erent una cum prenominatis testibus interfui. indeque requisitus et rogatus premissa recepi instrumenta. que aliis occupatus ducalibus negotiis per Petrum Bernardum de Chamberiaco notarium coadiu torem meum scribi et grossari feci. Actum inibi me subscripsi propria manu ut in consimilibus mihi solitum apposui signum pro testimonio veritatis omnium singulorurn premissorum.

INDICE

Prefazione Parte prima L’età romana Dalle origini cristiane alla pieve L’età longobarda Dall’età carolingia all’età ottoniana Nella lotta tra i Comuni e l’Impero

13 31 47 56 70

Parte seconda Tra guelfi e ghibellini Nella lotta tra i Visconti e la Chiesa La signoria viscontea L’intermezzo milanese e savoiardo L’età sforzesca

83 96

110 139 150

Parte terza Sotto il predominio spagnolo La dominazione sabauda L’astro napoleonico Dal primo al secondo risorgimento Appendice

177 196 213 219 233

Finito di stampare neI 1970 da « La Varesina Grafica. Azzate (Varese)

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1. L’agro centuriato attorno a Bassignana.

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PR.Ifr7.lIblEp 2. Schema generale della limitatio dell’agro di Dertona e delle vie di comunicazione, secondo le tracce conservate sul terreno. 3. Iscrizioni romane scoperte a Bassi• gnana dal Capsoni).

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4. Stele di Sesto Emilio (Alessandria, Museo Civico, da Bassignana).

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a) ~4ngel di Enrico VII d’inghilterra (1485-1509)

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b) Scudo d’oro del sole di Francesco I di Francia (1515-1547).

14. Monete auree rinvenute in territorio di Bassignana, traccia del frequente passaggio di truppe mercenarie straniere e italiane.

15. La liberazione del cardinale Giovanni de Medici in un a/Fresco del sec. XVII conser vato nel castello di Pieve del Cairo.

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