Etty Hillesum - Diario Continuativo

March 9, 2017 | Author: Maria Mercedes Guaita | Category: N/A
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Diario...

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QUADERNO I 8 marzo 1941 - 4 luglio 1941 [Sabato] 8 marzo 1941 Caro signor S.! Le ho appena scritto un lungo sproloquio, ma credo che glielo risparmierò. Già solo a rileggerlo, adesso, non posso fare a meno di sorriderne. È tutto così patetico e così ingessato. E mentre sono qui, tranquillamente seduta alla mia scrivania, e il sangue mi scorre vivace nelle vene, grazie ai piacevoli esercizi che mi ha insegnato lei, mi viene quasi voglia di accarezzarmi il capo con gesto materno e dirmi: Ma sì, piccina, vedrai che tutto si aggiusta, basta che tu non prenda troppo sul serio te stessa, i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri. Alla fin fine dovresti vergognarti, in un modo o nell'altro. Sa, quando ieri - come una scema - non riuscivo a far altro che guardarla, si è prodotto in me un tale sconquasso di pensieri e sentimenti contrastanti, che mi sentivo annichilita e mi sarei messa a urlare, se non avessi mantenuto un minimo di controllo. Erano forti sentimenti erotici verso di lei, che io credevo di aver superato dentro di me, e al tempo stesso una forte avversione nei suoi confronti, e d'un tratto ci fu anche uno sconfinato senso di solitudine, la percezione che la vita è così terribilmente difficile, che bisogna fare tutto da soli, che l'aiuto dall'esterno non è possibile, e insicurezza, paura, tutto era lì dentro di me. Un minuscolo frammento del caos che, all'improvviso, mi guardava dal profondo dell'anima. E mentre tornavo a casa, dopo, avrei voluto essere investita da una macchina, e pensavo: Ma certo, diventerò pazza anch'io, come tutta la mia famiglia, un pensiero che mi viene sempre, quando, chissà perché, mi sento disperata. Ma oggi so benissimo di non essere pazza, è solo che devo lavorare ancora molto con me stessa per diventare una persona adulta, una persona al cento per cento. E lei mi aiuterà, vero? Ecco, le ho scritto questa paginetta. Mi è costata molta fatica, detesto scrivere, nel farlo mi sento sempre così impacciata e insicura! E in futuro mi piacerebbe diventare una scrittrice, pensi un po'! Caro signor S., arrivederci e grazie per tutto il bene che mi ha già fatto. Etty Hillesum Domenica 9 marzo [1941] Avanti, allora! È un momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe. A volte i pensieri sono così chiari e limpidi nella mia testa, i sentimenti così profondi, eppure non riesco ancora a metterli per iscritto. Dev'essere più che altro la vergogna. Mi sento molto impacciata, non ho il coraggio di mostrare le cose lasciandole fluire liberamente fuori di me. Ma sarà pur necessario, se voglio indirizzare la mia vita verso un fine ragionevole e soddisfacente. È come nel rapporto sessuale: alla fine, il grido liberatore rimane sempre chiuso nel petto per timidezza. Da un punto di vista erotico, sono raffinata e abbastanza esperta, direi quasi, perché mi si consideri una buona amante: l'amore sembra perfetto allora, e invece rimane una Spielerei [un “passatempo”] che gira intorno all'essenziale, mentre qualcosa resta imprigionato nel profondo di me stessa. E così è in generale. Da un punto di vista intellettuale sono così allenata da essere in grado di valutare ed esprimere ogni cosa con formule chiare. Quando si tratta di problemi della vita, posso spesso apparire come una persona superiore: eppure, nell'intimo, mi sento prigioniera di un gomitolo aggrovigliato, e malgrado tutta la mia lucidità di pensiero a volte non sono altro che una poveretta piena di paura. Vorrei fissare quel momento di stamattina, per quanto mi sia già quasi sfuggito. Per un istante, a forza di pensare lucidamente, ero riuscita a impadronirmi di S.: i suoi occhi limpidi e puri, la grande bocca sensuale, la corporatura massiccia quasi taurina, i movimenti liberi e leggeri come piuma. Il conflitto tra corpo e anima, che in quest'uomo di cinquantaquattro anni è ancora vivissimo. Sembra quasi che io stessa sia schiacciata sotto il peso di quel conflitto. Sono come sotterrata dalla sua

personalità e non riesco a liberarmene: nel frattempo i miei problemi, che mi paiono abbastanza simili ai suoi, restano lì a dibattersi. S'intende che è tutto molto diverso e difficile da esprimere, forse non sono ancora abbastanza spietata con me stessa, e d'altra parte non è facile penetrare con le parole sino al fondo delle cose. Prima impressione, dopo pochi minuti: una faccia non sensuale, non olandese, un tipo in qualche modo familiare, mi faceva pensare ad Abrascha, ma non del tutto simpatico. Seconda impressione: occhi grigi intelligenti, incredibilmente intelligenti, vecchissimi, che riuscivano per un po', ma non a lungo, a distogliere l'attenzione dalla bocca carnosa. Molto impressionata dal suo lavoro: l'analisi dei miei conflitti profondi attraverso la lettura del mio secondo volto: le mani. A un certo punto colpita in modo assai spiacevole: non stavo prestando attenzione, pensavo parlasse dei miei genitori: No, si tratta di lei: dotata filosoficamente e intuitivamente - poi seguivano altre delizie simili - tutto questo è lei. E lo diceva con il tono di chi mette un biscottino in mano a un bimbetto: non sei contento adesso? Bene, lei possiede tutte queste belle qualità, non è contenta adesso? Allora un breve istante di repulsione - in qualche modo umiliata, forse anche semplicemente punta sul vivo nel mio senso estetico, in ogni caso lo trovavo piuttosto indisponente. Ma poi c'erano di nuovo quei meravigliosi occhi così umani, che dalle loro cupe profondità si posavano su di me, indagatori. Li avrei baciati volentieri. E già che ci sono, ricordo ancora un altro momento in cui, quello stesso lunedì mattina - e sono passate ormai settimane - lui aveva suscitato la mia avversione. Fu a causa della sua allieva, la signorina Holm: un anno fa, coperta di eczema dalla testa ai piedi, era arrivata da lui, per poi diventare sua paziente, ora è guarita. In un modo o nell'altro lo adora, anche se non so ancora bene come. A un certo punto la mia “ambizione” si fece sentire, nel senso che io insistevo nel voler risolvere da sola i miei problemi. E la signorina Holm rispose significativamente: non si è soli al mondo - e questo mi sembrò gentile e convincente. Dopo di che raccontò di quell'eczema che l'aveva ricoperta tutta, anche in faccia. E S. si girò verso di lei, con un gesto che non riesco più a ricordare con precisione, ma che mi parve molto antipatico: E che carnagione ha adesso, ehh? Sembrava che stesse parlando di una mucca alla fiera. Non so, lo trovai disgustoso, sensuale, un po' cinico, ma allo stesso tempo era anche qualcos'altro. E alla fine della nostra seduta: “Ora domandiamoci: come possiamo aiutare questa persona?”. Ma forse aveva detto: “Questa persona va aiutata”. A quel punto, io ero già stata conquistata dalle capacità di cui aveva dato prova e mi sentivo bisognosa d'aiuto. Poi ci fu la sua conferenza. Ci ero andata unicamente per poterlo osservare da una certa distanza, prima di affidarmi a lui con l'anima e tutto quanto. Buona impressione, conferenza di prim'ordine. Un uomo affascinante. E un sorriso affascinante, malgrado tutti quei denti finti. Colpita da una sorta di libertà interiore che emanava da lui, dalla sua scioltezza e disinvoltura, dalla grazia tutta speciale di quel corpo pesante. Il suo viso era molto diverso: del resto, cambia sempre. Una volta tornata a casa, non riesco a ricordarmelo. Faccio combaciare, come in un puzzle, i pezzi che conosco, ma non ottengo un insieme compiuto: rimane vago, a causa di tutti i suoi contrasti. In rari istanti rivedo nitidamente quel viso - poi torna a scomporsi in tanti frammenti contraddittori. È un vero tormento. A quella conferenza c'erano molte donne e ragazzine graziose. Era commovente l'affetto quasi tangibile che alcune ragazze “ariane” dimostravano per lui - per quest'ebreo emigrato da Berlino, che era giunto dalla Germania per aiutarle a liberarsi dai loro problemi portando un po' di ordine interiore. Nel corridoio c'era una ragazza magrolina dall'aria fragile, ma raffinata, e dal faccino non proprio florido. S. scambiò qualche parola con lei nell'intervallo, e quella ragazza gli sorrise con una tale dedizione e intensità, e così dal profondo della sua anima, che mi fece quasi male. E mi colse come una vaga scontentezza, il dubbio che una cosa del genere non fosse del tutto lecita, il pensiero che quell'uomo rubasse il sorriso della ragazza, che tutti i sentimenti che lei gli rivolgeva fossero sottratti a un altro - a un uomo che lei avrebbe avuto più tardi. In fondo è una cosa bassa e disonesta. E lui è un uomo pericoloso. Visita seguente: “Posso spendere 20 fiorini”. “Bene, lei può venire per due mesi e anche dopo non la pianterò in asso”. Ed eccomi là, con la mia “costipazione spirituale”. E lui avrebbe messo ordine nel mio caos

interiore, sarebbe venuto a capo delle forze contraddittorie che operano in me. Mi ha presa come per mano e mi ha detto: Ecco, devi vivere così. Per tutta la mia vita ho desiderato che qualcuno mi prendesse per mano e si occupasse di me - magari sembro una persona coraggiosa che fa tutto da sé, e invece mi abbandonerei così volentieri alle cure di un altro. E ora questo sconosciuto, questo signor S. dal viso complicato, ha compiuto miracoli in una settimana: ginnastica, esercizi di respirazione, parole illuminanti e liberatrici sulle mie depressioni, sui miei rapporti con gli altri, ecc. ecc. All'improvviso ho cominciato a vivere in modo più libero e “scorrevole”, quel senso di “costipazione” è sparito, nella mia anima c'è un po' più d'ordine e un po' più di pace: per il momento è ancora l'influenza della sua personalità magica a produrre quest'effetto, ma in futuro si formerà una base nella mia psiche, sarà un processo cosciente. Ma ora attenzione: “corpo e anima sono una cosa sola”: dev'essere stata questa la ragione per cui S. aveva voluto valutare le mie forze fisiche facendo la lotta con me. Evidentemente avevo ancora molte energie, è successo un fatto strano: ho buttato a terra quell'uomo grande e grosso. Tutta la tensione e la forza che avevo accumulato si sono scatenate - ed eccolo a terra, fisicamente e anche psichicamente, come mi ha raccontato più tardi. Nessuno ci era mai riuscito, non capiva come avessi fatto. Sanguinava dal labbro e ho avuto il permesso di lavarglielo con acqua di colonia, era un'operazione stranamente confidenziale. Ma lui era così “libero”, innocente, aperto, naturale nei suoi movimenti - anche quando eravamo rotolati insieme per terra, anche quando, vinta alla fine, mi ero trovata sotto di lui, tutta rigida fra le sue braccia -, anche allora S. era rimasto “oggettivo” e puro, sebbene io avessi ceduto per un momento alla seduzione fisica che emanava da lui. Però tutto andava ancora bene, era ancora puro: quella lotta era per me nuova e inattesa, e anche una liberazione. Dopo, invece, aveva eccitato troppo la mia fantasia. E così anche la volta seguente. Domenica sera, nel bagno Adesso sono pulitissima dentro. Di nuovo la sua voce al telefono, per un attimo stasera, ha fatto ribellare tutto il mio corpo. Ma io ho imprecato come un ragazzaccio, dicendo a me stessa che non sono più una scolaretta isterica. E improvvisamente ho capito i monaci che si fustigano per domare la carne peccaminosa. È stata un po' una lotta con me stessa, ero furiosa, dopo di che grande lucidità e pace. Adesso mi sento molto bene, pulitissima dentro. S. è stato sconfitto per l'ennesima volta. Per quanto ancora? Non sono innamorata di lui né gli voglio bene, però sento che la sua personalità, ancora non “compiuta” e in lotta con se stessa, fa pressione su di me, in qualche punto. Ma ora non più. Ora lo vedo da una certa distanza: è un uomo vitale, combattivo, che ha in sé forze primigenie, eppure molto spirituale, con occhi trasparenti e una bocca sensuale. Il giorno è iniziato così bene, lucido e chiaro nella mia testa, questo dovrò annotarmelo più tardi. Ma poi ho avuto un forte crollo, una pressione sul cranio della quale non riuscivo a liberarmi, e pensieri pesanti, troppo pesanti per la mia sensibilità, e lì dietro il vuoto e i perché; ma si lotterà anche contro tutto questo. “Il mondo rotola melodiosamente dalla mano di Dio”: ho avuto in mente queste parole di Verwey per tutto il giorno. Anch'io vorrei rotolare melodiosamente dalla mano di Dio. E ora buona notte. Lunedì mattina [10 marzo 1941], le nove Cara mia, o tu ti metti a lavorare, oppure la vedrai. E non tirarmi fuori che qui hai un po' di mal di testa, lì un po' di nausea e che adesso non stai bene. Sarebbe del tutto fuori luogo: devi lavorare e basta. E niente fantasie e “altissimi” pensieri e profonde intuizioni. Portare a termine una traduzione e trovare le semplici parole giuste è molto più importante. Dovrò impararlo e mi batterò fino in fondo, voglio cacciar via quei sogni e quelle fantasticherie, voglio pulirmi dentro per far posto ai miei studi, piccoli e grandi. In fondo non ho mai lavorato bene. È come col sesso: se un uomo mi fa una certa impressione, sono capace di abbandonarmi per giorni e notti alle mie fantasie erotiche non mi sono mai resa conto di quante energie io abbia consumato per questo -, ma se poi si arriva a

un contatto reale, è una gran delusione. La realtà non può coincidere con la mia fantasia sfrenata. Così era stato con S., quella volta: avevo già le mie idee di come sarebbe stato il nostro incontro e mi ero recata da lui in uno stato d'ebbrezza, una tutina da ginnastica sotto il mio vestito di lana. Invece S. era stato molto formale e distante, io mi ero subito irrigidita a mia volta e anche la ginnastica non aveva funzionato per niente. Ero lì nella mia tutina, tutt'e due ci sentivamo imbarazzati come Adamo ed Eva dopo aver mangiato la mela; S. aveva tirato le tende e chiuso a chiave la porta, la sua scioltezza era sparita, e per parte mia avrei voluto scappar via e mettermi a piangere, tant'era odiosa quella situazione. Era disgustoso quando ci siamo rotolati per terra, io che mi stringevo a lui con sensualità e insieme con repulsione per tutto quanto, e a un certo punto neanche i suoi movimenti erano più del tutto innocenti. Certo che sarebbe stato diverso se io non avessi avuto quelle fantasie. È stata una collisione improvvisa e fortissima tra il mio sfrenato fantasticare e la realtà deludente, ridotta a un uomo timido e sudato che alla fine si cacciava la camicia stropicciata nei calzoni. Succede lo stesso anche con il mio lavoro. A volte riesco a osservare in maniera nitida, distintamente, un determinato oggetto e ad analizzarlo; grandi vaghi pensieri, a malapena afferrabili, grazie ai quali d'un tratto mi sento molto importante. Eppure, qualora provassi a mettere quei pensieri per iscritto, tutto avvizzirebbe nel nulla, così non ho il coraggio di annotarli: sarei probabilmente troppo delusa dal temino insulso che ne verrebbe fuori. Piccola mia, adesso però voglio confidarti una cosa. Parlare di grandi e vaghe idee, del loro concretizzarsi, non è importante. Il più breve, il più banale temino conta di più del fiume di idee grandiose nel quale sguazzi. Certo, devi conservare le tue intuizioni e i tuoi presentimenti: sono una fonte dalla quale riesci a trarre qualcosa, ma bada a non affogarvi. Organizza un po' le cose, pratica una sorta di igiene mentale. La tua fantasia, le tue emozioni, ecc. sono il grande oceano a cui devi sottrarre piccoli lembi di terra, che di tanto in tanto saranno nuovamente inondati. È qualcosa di molto grande ed elementare, quell'oceano, ma ciò che conta sono i piccoli lembi di terra che saprai conquistarti a sue spese. L'esercizio di traduzione che svolgerai è più importante dei meravigliosi pensieri su Tolstoj e Napoleone che di recente ti si sono presentati nel cuore della notte, e le lezioni che dai il venerdì sera a quella diligente ragazza sono più importanti di tutto il tuo vago filosofare. Tienilo bene a mente, dannazione. Non sopravvalutare le forze interiori: a volte, grazie a esse, ti senti prescelta per qualcosa di grande, e in misura maggiore rispetto alle cosiddette persone “normali”, della cui vita interiore in realtà non sai niente; ma sei debole, sei una nullità, quando rimani lì a sguazzare godendo di tutte quelle onde interiori. Tieni d'occhio la terraferma e non dibatterti impotente nell'oceano. E adesso la traduzione! Lunedì, mezzanotte La giornata è stata grandiosa! Strappo terra ai burrascosi flutti come se niente fosse. Ho svolto gli esercizi di russo: tanto concentrata come mai prima d'ora. Pisolino di appena una mezz'oretta. Poi Friedl e Anna. Non è stata necessaria l'energia che invece mi costano le conversazioni con altri. Poi quella umoristica seduta di mani. La distanza da S. era proprio splendida. Sono tornata a casa molto serena. Dialogo con Wiep. Mi sono interamente concentrata su di lei, e ho cercato di darle qualcosa con quel colloquio: credo di esserci abbastanza riuscita, anche se mi sono emozionata troppo; poi ho chiacchierato con Pa Han. E adesso a letto, ma prima svuotarsi, via pensieri e arrovellamenti. La vita è bella, la lotta è cominciata e il primo giorno è stato bello, troppo bello! Martedì mattina [11 marzo 1941], le nove Stanotte non è stato così bello. Il rotolare armoniosamente dalla mano di Dio non mi è riuscito tanto bene. È strano che una piccola compagnia come quella di ieri sera eserciti ancora un effetto su di me. Mi ha tormentata stanotte, c'era un volto, poi un'osservazione, poi un gesto, infine ho rivisto me stessa; e niente di tutto questo ha senso: sono piccole punzecchiature che mi eccitano, senza che ciò abbia alcuno scopo. Non so ancora come liberarmene. Ho fatto esercizi di respirazione nel cuore della notte, dopo di che sono saltata fuori dal letto per rimproverare severamente me stessa, ma

nella mia testa il film andava comunque avanti. Per un attimo fantasie erotiche su S., ma erano facili da eliminare. Del resto, io non voglio assolutamente possedere quell'uomo, sono fantasie disgustose; si tratta di sperimentare, di giocare un po' e, se davvero quelle fantasie dovessero in parte avverarsi, arretrerei come una ragazzina spaventata. E proprio per il fatto che lo so così bene, riesco anche a scacciarle. Osservarlo è un piacere; sapere che esiste un godimento umano, puro; l'atmosfera che emana da lui è tanto stimolante e ristoratrice, ma basta, in nome di Dio, basta con questo sporco fantasticare che troppo offusca la vita interiore. Ieri, tra gli allievi, c'era anche la donnina fragile dal faccino malato che aveva fatto quel sorriso pieno di abbandono. Ho saputo che è tedesca ed è sposata; quando ha parlato, mi sono accorta che balbettava. Dovrei chiedere a S. chi è questa donna, mi interessa, cioè nutro una sensazione di affetto e protezione nei suoi confronti, e in un certo senso mi affascina anche. E adesso passiamo a Lermontov! Le dieci e mezzo Non ti danno niente per niente. Forte tensione interna. Difficile. Dietro a Lermontov spunta continuamente il volto plumbeo e rugoso di S., com'era ieri, dietro al tavolo, sprofondato in se stesso: una forza compatta; da quella forza calda, da quel mondo chiuso e interessante che lui è, gli occhi intelligenti guardavano fuori. Già, già, ben detto, ma sto solo annotando quel che mi esce casualmente dalla penna, e mi sembra la cosa migliore. E qui viene il difficile, in questa faccenda. Voglio andare di continuo da quel caro volto, voglio parlare con lui, accarezzarlo, occuparmi di lui nella fantasia, ma lo spingo via, impreco come un ragazzaccio, non si può, non si può proprio: devi metterti al lavoro e riesci persino a concentrarti e a studiare una poesia di Lermontov. Lavorare con concentrazione è la cosa più bella che ci sia, ma, santo cielo, quanto bisogna ancora lottare, e ora a lezione. Saprò starci con un altro animo, adesso. Prima, cioè solo la settimana scorsa, in parte ascoltavo e in parte sognavo, e pensavo continuamente: ah, più tardi ristudierò quello che dice, ma adesso mi piace troppo restarmene qui a fantasticare. Semplicemente vergognoso, debole e patetico: finché sarai ancora così, concentrata solo a metà, non ne verrà mai fuori nulla. E ora devi fare attenzione. Devi volerlo! Questo è il principio di tutto. Mercoledì 12 marzo [1941], le nove di mattina Ieri la vita era piena fino all'orlo e l'unica cosa che ancora non va, in questo, è che io continuo di proposito a dominarmi troppo. Tutto deve diventare più naturale e semplice: io stessa devo ancora scomparire interamente. Ieri mattina Lermontov ha vinto infine su S., cosa che mi ha dato una grande soddisfazione. Nel pomeriggio stanca, depressa, confusa e con i nervi tesi. Ma poi ho dato inizio a un tour de force e ho cacciato via me stessa, rimpiazzandomi con Gogol'. La “ricompensa” è stata la frase finale dei due Ivan: “FRASE RUSSA [“Il mondo è in una brutta situazione, signori"]”. Ma questo non deve diventare una fatica, dovrebbe piuttosto essere una cosa naturale. Non devi sempre chiederti come ti senti adesso; limitati a lavorare finché, a un certo punto, il lavoro prenderà il posto delle tue spiacevoli sensazioni, ed è così che deve andare. Alfred Adler lo esprime così nel suo Levensproblemen [“Il senso della vita”] : “Come introduzione al nostro lavoro comune, voglio raccontarvi ora una storia tratta dall'opera di uno scrittore cinese che visse più o meno tremila anni fa. Soltanto pochi sembrano mettere in pratica la lezione che tale storia contiene. Io stesso faccio del mio meglio per riuscirci, e potrebbe essere utile anche a voi riflettere su quanto viene narrato in questo libro. Uno scultore creò una volta una splendida statua di legno, che venne apprezzata moltissimo da tutti quale autentica opera d'arte. Anche il suo sovrano, il principe Li, era colmo di ammirazione e gli chiese il segreto della sua arte. Lo scultore rispose: "Come potrei io, uomo semplice e vostro servitore, avere un segreto per voi? Non ho alcun segreto, né la mia arte è speciale. Intendo tuttavia raccontare com'è nata la mia opera. Dopo essermi prefisso di creare una statua, mi sono accorto che in me c'erano troppa vanità e orgoglio. Mi sono quindi adoperato due interi giorni per liberarmi da questi peccati, finché non ho creduto di essere puro. Ma a quel punto ho scoperto di essere spinto dall'invidia nei confronti di un

collega; per altri due giorni mi sono prodigato e alla fine ho sconfitto la mia invidia. In seguito ho scoperto di desiderare troppo la vostra lode. Far sparire questo desiderio mi è costato un altro paio di giorni. Infine mi sono accorto di pensare a quanto denaro avrei potuto ricevere per la statua. Questa volta ho avuto bisogno di quattro giorni, ma da ultimo mi sono sentito libero e forte. Sono quindi andato nel bosco e quando ho visto un abete che mi è parso adatto, l'ho abbattuto, l'ho portato a casa e mi sono messo al lavoro". Si potrebbe quindi riassumere questa storia, dicendo che chiunque intraprenda un lavoro importante, deve dimenticare se stesso. Ebbene, ovviamente non possiamo, ogni giorno e ogni ora della nostra vita, riflettere sullo stato d'animo con il quale svolgiamo un lavoro o una data azione e su quale sia il significato più profondo della nostra attività. Di tale significato, tuttavia, noi pedagoghi e psicologi dobbiamo aver consapevolezza, almeno ogni tanto...”. Tutti coloro che intraprendono un lavoro importante devono dimenticare se stessi. Con questo motto anch'io mi sono affidata a S. La parola “importante” potrei anche lasciarla perdere per il momento, anche se ho la forte impressione che, se riuscissi a dimenticare me stessa, potrei comunque arrivare a qualcosa di importante. A dire il vero, non bisogna occuparsi di questo; si vedrà, e il mio lavoro futuro dipende da come mi comporto oggi nei confronti della mia opera. Soprattutto non devo assolutamente fantasticare circa il futuro, né pensare stamattina a come sarà oggi pomeriggio da S. È l'unico modo per vivere la realtà intensamente e con purezza, non offuscata da pensieri pregressi, che in seguito si rivelano non coincidere con la realtà, pensieri che deludono, affaticano e confondono soltanto. E ora lo slavo ecclesiastico. In qualche modo devo allontanare da me la barriera. Non riesco a spiegare la terribile inibizione che ho nei confronti del mio lavoro. Resto a guardarlo per mesi e nel momento in cui, finalmente, mi immagino di riprendere in mano quell'antico bulgaro, sento una sorta di groppo alla gola, palpitazioni, e mi assalgono una tale svogliatezza e una tale paura che mi dedico subito a qualcos'altro, e mi tengo calma con la promessa di cominciare “domani”. Va così per mesi. Ma ora, ragazza mia, queste seccature devono finire una buona volta. L'inizio della predica recita così: non devi assolutamente chiederti se ami quella materia o meno, se per te ha un senso o no: fa parte dei tuoi studi, del lavoro che hai scelto, quindi non c'è proprio motivo di pensare se domani o “un giorno” lo svolgerai; devi iniziarlo oggi. Mi aggrappo esitante agli appunti e mi sembra di dover allontanare da me pesanti blocchi di granito, eppure mi metterò subito all'opera. E quando mi ritroverò davvero immersa in questa materia e sarò tornata da V. Wijk a Leida, S. avrà ottenuto con me uno dei suoi risultati più brillanti. Mercoledì, le nove di sera La vita è in realtà così semplice, se la si affronta con animo almeno un po' sgombro. Oggi pomeriggio da S.: ci sono andata vuota e “pulita”, senza averci pensato prima. Ero intenzionata ad accettare tutto. Se lui era formale, bene; se aveva poco tempo, bene lo stesso; tutto andava bene. Lui è stato professionale, il che è quasi scontato: alquanto arrogante supporre che lui sarebbe stato non professionale proprio nei miei confronti. Sono state dette tante cose abbastanza illuminanti. E grazie alla mia attitudine professionale, anche tutta la fascinazione erotica era scomparsa. Faccia grigia, pallida, brutta, occhi verde chiaro. Il mio interesse adesso si sposta dall'uomo al suo lavoro, e da questo nasce di nuovo amore per l'uomo, ma a un livello più alto. Scribacchio un po' e non faccio del mio meglio per dare forma ai pensieri. A un certo punto gli ho detto, tracciando con il dito una linea in mezzo al suo volto: “Sa, quando l'ho vista per la prima volta, solo per cinque minuti, sono stata immediatamente attratta da queste due metà”, e gli ho accarezzato la fronte e gli occhi, quindi ho toccato la sua bocca (la testa mi è in realtà già tanto familiare). “La lotta tra quelle due metà del suo volto l'ho sentita così forte che mi è parso di essere schiacciata dal peso di quella lotta”. E lui ha risposto: Succede perché è anche la sua lotta. Così il contatto è stato ristabilito. E gli ho apertamente raccontato come il nostro ultimo incontro-scontro avesse influito su di me: il pudore, l'avversione, la sensualità, la delusione, tutto quanto. Lui ha detto: Lotteremo ancora un po' più tardi e poi, o almeno questo è il senso delle sue parole, proviamo senza tensione erotica. E verso la fine dell'ora, mentre mi stava mostrando, senza avere intenzione di lottare, una presa con la quale dà sempre

inizio a un incontro di lotta, ci siamo di colpo trovati a rotolare sul pavimento, in modo del tutto inaspettato. Ma è stato piacevole, questa volta: una vera liberazione. Io ero fortissima, nonostante la violenta fitta al petto che mi preoccupava già da alcune settimane, e sono anche riuscita a gettarlo di nuovo a terra. Non c'era alcuna vergogna, è stato piacevolissimo. Una volta finito, mentre stavamo riposando, sono salita per un attimo sulle sue ginocchia, la mia guancia contro la sua, e questo non ha risvegliato alcun erotismo in me, ma una calda sensazione di contatto umano e il piacere di stare per un istante vicina a lui. Dopo di che, abbiamo passeggiato al sole, lungo la Stadionkade, ai margini della città. D'un tratto lui si è trasformato in un uomo del tutto diverso, per me davvero incomprensibile. Aveva un che di bambinesco nel suo bighellonare e guardarsi intorno; sembrava piuttosto assente. Non so nemmeno se trovasse piacevole che io stessi lì a saltellargli accanto, era di nuovo tanto distante; ma non me ne sono preoccupata, non bisogna essere troppo infantili. I miei mal di testa prolungati: masochismo; la mia grande commiserazione: tanto autocompiacimento; la commiserazione può essere creativa, ma può anche divorare gli uomini. L'obiettività è meglio che andare in estasi per le forti emozioni. Ansprüche an die Eltern [“pretendere troppo dai genitori”]: bisogna vedere i genitori come persone con un proprio destino. Desiderio di prolungare i momenti estatici: sbagliato. Certo, è molto comprensibile; quando si è vissuta un'ora di esperienza spirituale molto forte, o “piena d'anima”, segue naturalmente un calo. Sono solita arrabbiarmi per questo calo, sentirmi fiacca, e generalmente desidero di nuovo quel momento “esaltato” invece di occuparmi delle cose quotidiane. Prendo nota: Hemmungen [“inibizioni”]; Ehrgeiz [“ambizione”]. Quello che arriva sulla pagina deve essere subito perfetto; non voglio proprio star lì a lavorarci ogni giorno. Non sono neanche convinta del mio talento, è un'intuizione che non si è ancora realizzata dentro di me in maniera completa. In alcuni momenti quasi euforici mi ritengo in grado di fare cose straordinarie per poi perdermi nuovamente nel più profondo pozzo dell'incertezza. Succede perché non lavoro ogni giorno e con regolarità a ciò che nutre, così credo, il mio talento, ovvero la scrittura. In teoria lo sapevo già da molto tempo; alcuni anni fa ho scritto una volta su un pezzetto di carta: “La Grazia, nelle sue rare apparizioni, deve unirsi a una tecnica rigorosa/educata/competente”. Ma è solo una frase scaturita dalla mia mente e che ancora non si è realizzata. Comincerà davvero una nuova fase della mia vita? Ma il punto interrogativo è già un errore: comincia una nuova fase! La lotta è già in pieno svolgimento. “Lotta” in questo momento non è neanche la parola giusta, perché ora mi sento così bene, in armonia dentro e profondamente sana, meglio quindi dire: la presa di coscienza è in pieno svolgimento, e tutto quello che finora era nella mia testa in forma di teorie debitamente elaborate arriverà anche al cuore e si farà carne e sangue. E poi l'eccessiva consapevolezza deve sparire, mi crogiolo ancora troppo nel momento di transizione; ogni cosa deve diventare più spontanea e semplice, finché ci si ritrova infine adulti, forse, capaci di stare vicino agli altri mortali che popolano questa terra fra mille difficoltà, e di donar loro un po' di chiarezza grazie al proprio lavoro, perché si tratta comunque anche di questo. Ora alcuni appunti di S. messi per iscritto da un suo paziente: “Nell'angoscia alberga l'intuizione del divino, dell'onnipotenza creatrice. Bisogna provare quest'angoscia, "il timor di Dio". Da tale esperienza bisogna trarre forza creatrice: il timor di Dio deve vivificare l'uomo che lo prova. Bisogna trasformare l'angoscia: i primitivi e i bambini provano angoscia; l'angoscia viene superata dalla fede”. E adesso di nuovo io: in L'avvenire di un'illusione di Freud, che ho letto ultimamente, mi sono imbattuta in una frase che coincideva proprio con il mio pensiero. Noi i riesco ancora a vedere in quale misura ciò contraddica quel che ho affermato sopra, o se vi si accordi, ma me la annoto (è strano, eppure mi piace tanto trascrivere frasi, brani, ecc. che mi colpiscono; mi sento infatti, per così dire, fisicamente vicina a quelle parole, è come se le accarezzassi con la mia penna, anche se detto così suona un po' colloquiale). Ecco Freud: “I critici persistono nel definire "profondamente religioso" un uomo che ceda al sentimento della piccolezza e dell'impotenza umane di fronte all'universo, benché il sentimento che costituisce l'essenza della religiosità non sia questo, ma solo il passo immediatamente successivo, ovvero la

reazione che cerca aiuto contro tale sentimento. Chi non procede oltre, chi umilmente si rassegna alla parte insignificante dell'uomo nel vasto mondo, costui è davvero irreligioso nel più vero significato della parola”. Giovedì 13 marzo 1941, le nove di sera Santo cielo, che povera infelice sono stata un tempo, rispetto a come mi sento adesso. Devo proprio rendermene conto, perché tra un po' questa diventerà la mia condizione normale. Ho appena fatto un giretto agile e felice, senza esaltazione, una felicità quasi oggettiva. È come se dentro di me, su un'immensa pianura, selvagge orde si fossero disperse dappertutto incalzandosi l'un l'altra e ora venissero messe in ordine, allineate da una mano potente; da esse emana una forza, un'energia serena, un che di sicuro e forte, armonico e coerente, una fiducia in se stessi; di colpo tutto questo è interiorizzato. Mal di testa e stanchezza d'un tratto scomparsi, anche se non sono ancora quel che si dice un maciste. In passato temevo a ogni istante che le mie forze mi abbandonassero ed esse mi lasciavano davvero, ma ora non ci penso più e le forze si rigenerano a ogni piccolo compito di cui mi faccio carico, e ogni volta spontaneamente. In me è accaduto una sorta di miracolo, e penso all'uomo S. con un amore profondo e sereno, che non è innamoramento e non ha nulla di erotico. Eppure ieri quella passeggiata con S. lungo la soleggiata Stadionkade è stata davvero singolare e mi torna in mente come un qualcosa di importante. La conversazione è andata più o meno così: “Lo sa che a molte donne non piace per nulla far la lotta?”. “Davvero?” ho detto allora. A tratti ci fermavamo in mezzo alla strada, l'uno di fronte all'altra; poi io sollevavo la testa accostandola alla sua, in modo che lui mi sentisse bene perché non portava l'apparecchio acustico. Dev'essere stata proprio una scena ridicola: camminavamo sulla banchina e di tanto in tanto ci fermavamo a parlare, vicini e gesticolanti. “Sì, a molte donne non piace stare sotto”, non so più come ha proseguito a questo punto, quelli che riporto sono solo un paio di frammenti: “Deve sapere che molte donne non riescono ad arrivare all'orgasmo, quando stanno sotto, ma solo quando stanno sopra”. “Non c'è più alcun confine tra normale e anormale nei rapporti sessuali. Normale alla fin fine la donna non lo è proprio, il più delle volte non sa nemmeno come è fatto il suo corpo”. “Mi dica un po', lei lo sa che cos'è il clitoride?”. Lo ha chiesto in maniera quasi severa eppure distaccata, come uno del tutto immerso nell'argomento; non sembrava quasi più rivolgersi a me personalmente. “Sì” ho detto allora con molta disinvoltura, in mezzo alla banchina soleggiata. “Ci sono parecchie donne che non lo sanno”. “Sì, è una cosa piuttosto triste” ho risposto io piena di comprensione. “Quando la donna non arriva alla soddisfazione, di solito pensa che sia colpa sua, mentre è colpa degli uomini”. Qui ha aggiunto ancora molte cose, ma si trovano in tutti i manuali. “All'inizio è sempre lotta fra uomo e donna, bisogna cominciare facendo la lotta, nudi naturalmente, la donna vuole essere espugnata e non a tutti gli uomini piace che lei ceda subito, dev'essere accarezzata ovunque, sul petto, sul dorso, su ogni parte del corpo. Anzi, molte donne sono così eccitabili da arrivare alla soddisfazione anche solo grazie alle carezze, sul petto, per esempio”. Questo dialogo mi ha fatto una profonda impressione per via della distaccata serietà con cui è stato condotto. Non vi era nulla di indecente e nulla di eccitante. In passato, per esempio, nei momenti di abbattimento, leggevo Stekel, soltanto per risollevarmi un po' il morale. E anche quando ero più serena, ho sempre letto quel materiale con una certa emozione. E ora questo dialogo: ho l'impressione che sia stato qualcosa d'importante. Anche adesso, nel rievocarlo e nel trascriverlo, non mi stuzzica per niente. Sì, è proprio così, ho l'impressione di esser stata lì mentre un grande uomo era impegnato con il suo lavoro, un lavoro che di solito viene affrontato in maniera davvero disgustosa, con eccitazione e con una curiosità malsana, e non nel giusto ambito. Mentre un lavoro di tal genere, psicologia della sessualità o comunque lo si chiami, è incredibilmente importante e aiuta ad avvicinare sempre più l'uomo alla sua felicità e libertà

interiore. E adesso l'ho visto con i miei occhi, in modo davvero limpido e quasi grandioso: un uomo pesante, agile, a capo scoperto, mentre passeggiava su quella banchina, un po' assente e molto serio, mi ha chiesto di nuovo, quasi con severità e senza nulla di personale: “Ma lei lo sa che cos'è il clitoride, sa davvero com'è fatto il suo corpo?”. Domani devo restituirgli quelle annotazioni, quindi ne tirerò fuori ancora qualcosa che mi piace. “Bisogna accettare la sofferenza, bisogna accettarla di buon grado e attingerne vita. Dall'esperienza, dalla vita, dal dolore, dalla dedizione, dal matrimonio si crea nuova vita”. “Chi riposa in se stesso non tiene conto del tempo (né tanto meno ne tiene conto un bambino); una vera maturazione non può tener conto del tempo”. Queste parole sono per me di capitale importanza. Negli ultimi giorni sono diventate carne e sangue. Prima avevo sempre l'incalzante sensazione di non aver mai tempo per nulla, almeno non per le piccole cose della vita, per il dentista o per il parrucchiere, e neanche per fare due passi, e non sempre per gli amici. I discorsi, gli interludi con amici e conoscenti mi davano sempre la sensazione, burrascosa e spasmodica, che andasse perduto il mio prezioso tempo. E per che cosa avevo bisogno di tutto quel tempo? Per il mio “lavoro”, un concetto davvero mistico, perché non ne è venuto fuori molto, proprio per via dell'agitazione e inquietudine interiori. Oggi pomeriggio ho lavorato tranquillamente al sole: le palatalizzazioni in antico slavo, un argomento alquanto impegnativo. In quel mentre è comparsa all'improvviso Claartje: di solito lei mi rende terribilmente nervosa; mi infurio sempre tanto se non posso andare avanti con il mio lavoro, e ciò mi costa parecchia energia; invece, questa volta, tutto è andato da sé, si è “svolto con molta dolcezza”. L'ho ascoltata per un po', addirittura con grande concentrazione e mostrandomi attenta a ciò che mi stava raccontando, e poi, quando lei se n'è andata, ho proseguito di nuovo indisturbata. È solo un piccolo episodio, ma mi ha fatto percepire con chiarezza la nuova vitalità che scorre dentro di me. Adesso ho tempo per tutto, lavoro di più e più intensamente che mai. S. è una persona preziosa: va trattato con riguardo. J.: “Non saper ascoltare, spazientirsi è anche una mancanza di rispetto. Ciò che una persona racconta, non va recepito solo come fatto, ma anche come manifestazione del suo essere”. “Gli uomini sono in gran parte livellati, mancano di originalità, di creatività, appaiono noiosi, poco interessanti, quasi non fossero più degni di chiamarsi "uomini". Ma basterebbe l'esistenza di un solo "essere umano" degno di questo nome, per poter credere negli uomini, nell'umanità”. J.: “Quando pensi che l'altro non ti consideri abbastanza, significa che gli sei legato e, per via di questo legame, non sei indipendente. Quanto meno ti aspetti, tanto più ricevi”. J.: “Ciò che attendiamo da un altro, dunque dall'esterno, lo abbiamo inconsciamente dentro di noi. Anziché attenderlo dall'esterno, dobbiamo svilupparlo dentro di noi, acquistandone consapevolezza. L'anima non ha legami temporali, è eterna. Bisogna sprofondare in essa, innalzarla alla coscienza, ovvero svilupparsi”. “L'uomo riceve l'anima da amministrare (vedi 2 Cor, 5, 5) e deve amministrarla bene; vivere con le forze della propria anima, esserne vivificato”. “Ci siamo quindi aggrappati al mondo reale, alla scienza, all'economia, ecc., e abbiamo ritenuto la guerra un punto di osservazione da tempo superato, non ci siamo più occupati degli istinti umani primordiali, li abbiamo repressi: è per questo che adesso si agitano senza controllo e sopraffanno la coscienza, sconosciuti e impauriti. La stessa cosa accade al singolo individuo che, attento alla vita reale, alla "persona", non conosce la propria anima. Essa si agita nell'individuo che ne è inconsapevole, che l'ha rimossa, e si manifesta in modo tale che l'individuo cade vittima di una psicosi, ma non sa di essere malato e da che cosa dipenda la sua malattia”. [Venerdì] 14 marzo [1941], le undici di sera Da un articolo su S. sulla “Frankfurter Zeitung” di domenica 25 agosto 1929, a cura del dottor Bernhard Diebold: “Quando si tratta della conoscenza dell'uomo, la cosiddetta scienza non vale più. Il genio del

medico in quanto diagnostico - il fiuto, il tatto, la comprensione intuitiva delle condizioni fisiche questa è già arte medica. Fiutando l'insieme scoprire il particolare e, soltanto dopo, sottoporlo alla cura razionale e specifica, questa è una scienza che non si può apprendere. Questo è un talento grazie al quale quell'essere demonico che sapeva fiutare gli uomini, il medico Aub, morto a Monaco tre anni fa, approdò alle sue asserzioni quasi profetiche. Ed è questo il talento che conferisce rilievo al chirologo S. Il suo volto ha un'impronta faunesca; l'uomo conosce il grande Pan. La sua scienza richiede la magia della personalità. Non c'è magia senza il maga”. Ho riportato questo brano tanto per scrivere qualcosa che non sia soltanto il fiume del vissuto personale che non si può ancora esprimere, e forse non è neanche necessario esprimerlo a parole: der in sich ruhende Mensch [“chi riposa in se stesso”] . La giornata è stata lunga e piena di vita, interiormente ed esteriormente. E adesso sono stanca e frastornata dentro, il che non è poi così innaturale. E contenta: la vita è ricca e con ciò tralascio ulteriori banalità, buona notte. [Sabato] 15 marzo [1941], le nove e mezzo di mattina Il suo volto non mi assilla più. Le parti opposte si sono fuse in un unico insieme buono e caro. Mi sorprende ancora per via della mutevolezza delle sue espressioni: quando lo si guarda da una diversa angolatura, il suo viso cambia di colpo, totalmente, ma io non vi avverto più quella lotta, quella contrapposizione; negli ultimi tempi la bocca mi sembra persino meno pesante e pronunciata, più “subordinata” al paesaggio affascinante e coinvolgente che il suo volto è ancora per me. Ieri pomeriggio abbiamo scorso insieme gli appunti che mi aveva dato. Quando siamo arrivati alla frase: “basterebbe l'esistenza di un solo "essere umano" degno di questo nome, per poter credere negli uomini, nell'umanità”, m'è venuto spontaneo buttargli le braccia al collo. È un problema attuale: il grande odio per i tedeschi che ci avvelena l'animo. Espressioni come: “che anneghino tutti, quella feccia, che muoiano col gas” fanno ormai parte della nostra conversazione quotidiana; a volte fanno sì che uno non se la senta più di vivere, di questi tempi. Ed ecco che improvvisamente, qualche settimana fa, è spuntato il pensiero liberatore simile a un esitante e giovanissimo stelo in un deserto d'erbacce: se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest'unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero. Questo non significa essere indulgenti nei confronti di determinate tendenze, si deve ben prendere posizione, sdegnarsi per certe cose in certi momenti, provare a capire, ma quell'odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia. È una malattia dell'anima. Odiare non è nel mio carattere. Se, in questo periodo, io arrivassi veramente a odiare, sarei ferita nella mia anima e dovrei cercare di guarire il più presto possibile. Una volta me lo spiegavo in modo un po' superficiale: quando mi sentivo lacerata tra odio e altri sentimenti, credevo che fossero i miei istinti primitivi di ebrea minacciata dalla distruzione a essere in conflitto con le concezioni razionali socialiste che avevo acquisito - e che mi avevano insegnato a guardare a un popolo non come a un insieme, ma come a una maggioranza buona ingannata da una minoranza cattiva. Dunque, un istinto primitivo contrapposto a un'abitudine razionale. Ma si tratta di un problema più profondo. Il socialismo permette all'odio per tutto ciò che non è socialista di entrare dalla porta di servizio. L'ho detto male, ma so che cosa intendo dire. Ultimamente ho sentito che era mio compito mantenere l'armonia in questa famiglia contraddittoria: una donna tedesca, cristiana, di origini contadine, che è per me come una buona seconda madre; una studentessa ebrea di Amsterdam; un vecchio socialdemocratico equilibrato; poi Bernard un piccoloborghese, ma di animo puro e di notevole intelligenza, pur se limitata appunto dalle sue origini piccolo-borghesi; e il giovane studente di economia, onesto, buon cristiano, che ha la gentilezza e la comprensione ma anche la combattività e le maniere tipiche dei cristiani come li si conosce oggigiorno. Era - ed è - un piccolo mondo affaccendato che, minacciato dai fatti politici esterni, rischiava di implodere. Tuttavia mi sembra che valga la pena di tenere in piedi questa piccola comunità come testimonianza contro le convulse e forzate teorie sulla razza, sul popolo, ecc., come prova che la vita non può essere rinchiusa in uno schema determinato. Però tutto questo costa

dolore, forti conflitti interiori, reciproche offese di tanto in tanto, nervosismo e rimorso, ecc. ecc. A volte, se sono improvvisamente presa dall'odio, dopo aver letto il giornale o dopo aver avuto notizie di fatti che capitano, mi metto a inveire contro i tedeschi, fuori di me. So che lo faccio apposta per ferire, per sfogare in qualche modo il mio odio anche se poi lo scarico su una persona sola - una persona di cui so che ama la sua patria d'origine, com'è più naturale e comprensibile, del resto: ma in quel momento io non riesco ad accettare il fatto che lei non provi altrettanto odio, in quell'odio io cerco, per così dire, l'armonia con tutti i miei simili. Eppure so che lei trova la nuova mentalità altrettanto pericolosa, che si sente altrettanto oppressa per gli eccessi compiuti dal suo popolo. È naturale che Käthe si senta legata a quel popolo nel profondo dell'anima, capisco bene che sia così, ma in quel momento non lo sopporto, per me tutti quanti i tedeschi dovrebbero essere, e saranno, sterminati - e allora sono capace di dire con tanta cattiveria: “non sono altro che feccia”. Allo stesso tempo mi vergogno a morte, e poi mi sento di colpo infelice e non riesco a trovar pace, e ho la sensazione che sia tutto sbagliato. E allora è proprio commovente il modo, così gentile e incoraggiante, con cui diciamo ogni tanto a Käthe: “Sì, certo che ci sono ancora dei bravi tedeschi, in fondo anche quei soldati non possono farci niente, anche fra loro ci sono dei tipi decenti”. Ma è solo teoria, che se non altro serve a preservare ancora un po' di umanità grazie a qualche parola gentile. Se sentissimo davvero così, non avremmo neppure bisogno di dirlo espressamente, ci sentiremmo animati da un medesimo sentimento, la contadina tedesca come gli studenti ebrei, e allora potremmo parlare del bel tempo come della minestra di verdura, invece di tormentarci con discorsi politici, che servono solo a sfogare il nostro odio. In quei discorsi, infatti, non si riflette quasi più sulle questioni politiche, non si tenta quasi più d'individuare le grandi linee e di capire cosa c'è dietro: si rimane a un livello molto basso, né fa gran piacere conversare con il prossimo, di questi tempi. Perciò S. è come un'oasi in un deserto e ieri, così all'improvviso, ho dovuto buttargli le braccia al collo. Ci sarebbero ancora tante cose da dire, ma adesso devo pensare al mio lavoro prima, però, esco a prendere una boccata d'aria fresca e poi lo slavo ecclesiastico. So long! Undici e mezzo Deliziosa, una passeggiatina veloce, così all'aria fresca, tra una cosa e l'altra. Non lo facevo mai in passato. Lo slavo ecclesiastico dovrà aspettare ancora un po'; prima ho in mente qualcosa che vuole essere messo per iscritto. Non si può scendere a compromessi con la realtà e con la politica, altrimenti si diventa demagoghi in miniatura. La verità politica deve essere inclusa nella grande “Verità”, ed è qui che si deve prendere una chiara posizione. Con questa mia profonda formulazione intendo dire: a volte mi trovo in compagnia di gente che si lascia andare a espressioni di odio, tra l'altro sicuramente comprensibili, contro i nuovi dominatori. Spesso si raccontano anche cose che sono evidenti menzogne, ma con le quali le persone si provocano e si istigano a vicenda: bisogna proprio chiedersi le origini di quell'odio, di quel voler persistere in un determinato stato d'animo, ecc. Io mi ci trovo in mezzo e mi formo la mia idea. Mi rendo conto da sola di quali siano le falsità manifeste, ma non mi pronuncio e penso: bene, aizzatevi pure gli uni con gli altri, così resterete più combattivi. Qualche volta mi succede pure di metterci del mio e di raccontare orrori al solo scopo di lasciare le persone in un determinato stato d'animo, mentre serbo per me la mia personale sensazione, quella di sapere la verità ma di non trovarla ancora adatta agli altri, per paura che la loro combattività si affievolisca. Qualcosa del genere mi è successo ultimamente con la mia esagitata amica dai capelli rossi, Leonie. A L'Aia girava la voce di un attentato compiuto da un ebreo ai danni di un tedesco, un racconto che è stato divulgato dai tedeschi con grande enfasi e con le consuete intenzioni. In questo episodio c'era per caso qualcosa di vero; al che Leonie ha sghignazzato: curioso che sia davvero accaduto, perché nessuno ci crede a L'Aia. Comunque è meglio lasciarglielo credere. Oppure ci ripetiamo, di tanto in tanto, i racconti che circolano e nei quali neanche noi crediamo, aggiungendo: restino pure nelle loro convinzioni: quanto più ci credono, tanto meglio. E questa è demagogia. È forse lo stesso metodo che anche i capi della propaganda del Terzo Reich adottano nel

momento in cui sobillano le folle con teorie alle quali essi stessi probabilmente non credono. In sostanza si tratta di uno sconfinato disprezzo nei confronti della massa: tenersi per sé la verità, credendo che la massa non sia in grado di sopportarla. E senza dubbio nella loro prospettiva la massa non può sopportare la verità perché la verità rende fiacchi nella lotta. Ma si tratta di una lotta forzata e imposta. Credo che nel contesto del comunismo in Russia, appena dopo il 1917, il problema fosse leggermente diverso: si doveva forgiare un nuovo mondo dalle fondamenta e non ci si poteva lasciar distrarre da cose più profonde né dal relativismo. Eppure, in fondo si tratta proprio dello stesso disprezzo per la massa che non si ha il coraggio di lasciare a se stessa e che non può scegliere da sola tra il bene e il male. A tal proposito mi viene in mente Il grande inquisitore di Dostoevskij, ma su questo tornerò più tardi. Di questi tempi i socialisti e i comunisti si trovano un passo più avanti rispetto al cittadino neutrale: rigettano entrambe le parti coinvolte nella lotta - il che è già una sorta di distensione -, ma si aggrappano immediatamente a una terza, la Russia o a chissà quale altro nuovo mondo, dove domineranno gli stessi metodi di qua. Hai formulato questo concetto in modo scandalosamente pigro e abborracciato, mia cara: la questione merita una migliore elaborazione, ma prima o poi ci riuscirai. Riassumendo, vorrei in realtà dire questo: la barbarie nazista fa sorgere in noi un'identica barbarie che procederebbe con gli stessi metodi, se noi avessimo la possibilità di agire oggi come vorremmo. Dobbiamo respingere interiormente questa inciviltà: non possiamo coltivare in noi quell'odio perché altrimenti il mondo non uscirà di un solo passo dalla melma. È questa la ragione per cui il nostro atteggiamento contro il nuovo regime può anche essere maturo e basato su princìpi, però qui si tratta d'altro. La lotta contro i propri istinti malvagi, che vengono risvegliati da loro, è qualcosa di molto diverso dal cosiddetto “essere obiettivi” in simili faccende, è diverso dal “vedere il lato buono” nel nemico: un'ambiguità, questa, che non ha niente a che spartire con ciò che intendo. Ma si può essere tanto combattivi e attenti ai propri princìpi anche senza gonfiarsi di odio; si può d'altronde essere traboccanti d'odio senza sapere esattamente di cosa davvero si tratta. Se non faccio attenzione, rischio di fondare una nuova setta religiosa: eppure, se sorgessero simili sètte, almeno questa volta ne capirei qualcosa. Si tratta di questioni serie; quindi non raccontare sciocche storielle mentre pensi tra te e te: io so come stanno davvero le cose, ma questo va bene per voi; quindi nessuna demagogia. E adesso, torna al lavoro. Per formularlo ora in modo molto crudo - il che farà probabilmente male alla mia penna stilografica: se un uomo delle SS dovesse prendermi a calci fino alla morte, io alzerei ancora gli occhi per guardarlo in viso, e mi chiederei, con un'espressione di sbalordimento misto a paura, e per puro interesse nei confronti dell'umanità: Mio Dio, ragazzo, che cosa mai ti è capitato nella vita di tanto terribile da spingerti a simili azioni? Quando qualcuno mi rivolge parole di odio - e questo, in ogni caso, non succede spesso - non provo mai la tentazione di rispondere con l'odio, ma sprofondo improvvisamente nell'altro, in una sorta di disorientamento doloroso e al contempo interrogativo, e mi chiedo perché l'altro sia così, dimenticando me stessa. Per questo spesso sembro inerme e timida, ma non penso proprio di esserlo: so maledettamente bene come misurare le parole dell'altro e di volta in volta me ne faccio un'idea, ma in genere non ritengo molto importante farmi valere immediatamente. Che strano fenomeno: appena comincio a scrivere, “non riesco più a smettere”. Lo “spirito costipato” comincia già a diventare meno “costipato”. Mi sto ancora godendo i giacinti di ieri: sapevo che erano i suoi fiori preferiti e mi è costato un po' di fatica procurarmeli. “Non deve portarmi così spesso dei fiori”. “Ma io ne sento il bisogno! Pensi, ho girato dieci negozi prima di trovarli, ma poi ero così contenta, perché sentivo il bisogno di fare qualcosa per lei”. [15 marzo 1941] Will Durant in In de Hof der Wijsbegeerte [“Nei castelli della filosofia”]: “Nessuno (ad eccezione di Spengler) osa oggigiorno osservare la vita nella sua totalità; l'analisi procede a grandi passi e la sintesi indugia; temiamo gli specialisti in ogni campo, e per la nostra

sicurezza restiamo aggrappati ai ristretti confini del nostro ambito di specializzazione. Ciascuno conosce la propria parte ma ne ignora il senso nel complesso del gioco. La vita stessa cresce senza significato e si svuota, proprio adesso che sembrava essere il più piena possibile”. “Definiremo la filosofia come lo sguardo sul tutto, come l'anima che si spande sulla vita e forgia il caos in unità”. “La conoscenza è potere ma soltanto la saggezza è libertà. “Ai nostri giorni la cultura è superficiale e la nostra conoscenza pericolosa perché noi siamo ricchi di meccanismi e poveri di scopi. L'equilibrio dello spirito che prima nasceva da un caldo credo religioso è scomparso; la scienza ha eliminato le basi sovrannaturali della nostra morale e l'intero mondo sembra essere stato inghiottito in un individualismo senza ordine che riflette la frantumazione caotica del nostro carattere”. Domenica mattina [16 marzo 1941], le undici Amsterdam, 16 marzo 1941 Gentile signora, con questo messaggio rispondo all'annuncio da lei pubblicato sull'“Handelsblad” il 15 marzo. Sono una studentessa di lettere di ventisette anni che si è dedicata agli studi solo dopo aver svolto diverse attività lavorative. Da qualche tempo sono alla ricerca di un'altra fonte di reddito, preferibilmente non in ambito intellettuale. Sono stata colpita dalla sua inserzione perché tener compagnia a qualcuno portando un po' di serenità mi sembra un'occupazione interessante, da alternare alle fatiche intellettuali. A ciò vorrei aggiungere che, da qualche anno, mi guadagno il vitto e l'alloggio, allietando per quanto posso l'atmosfera in una famiglia che dà lavoro anche a una domestica. Spero di avere presto sue notizie in merito, distinti saluti. L'ordine gerarchico all'interno della mia vita è un po' cambiato. “Una volta” preferivo cominciare a stomaco vuoto con Dostoevskij o con Hegel e, a tempo perso, quand'ero nervosa, mi capitava anche di rammendare una calza, se proprio non si poteva fare altrimenti. Ora comincio con la calza, nel senso più letterale della parola, e poi pian piano, passando attraverso le altre incombenze quotidiane, salgo verso la cima, dove ritrovo i poeti e i pensatori. Bisognerà che mi sforzi di eliminare queste espressioni patetiche, se vorrò mai fare una figura decente, però credo che si tratti soprattutto di pigrizia nel cercare le parole giuste. Le dodici e mezzo, dopo la passeggiata che ormai è una bella tradizione Martedì mattina, studiando Lermontov, scrivevo che dietro la sua testa spuntava sempre quella di S., che avrei voluto rivolgermi a quel caro viso, parlargli e accarezzarlo, che così non riuscivo a lavorare. È passato molto tempo da allora, è già tutto un po' diverso. Il suo volto c'è ancora, mentre lavoro, ma non mi distrae più; è diventato come un paesaggio amato e familiare che sta sullo sfondo, i suoi tratti sono sfumati, non vedo più un volto preciso: s'è dissolto in atmosfera, spirito, o chissà che altro. E con ciò ho toccato un punto importante. Una volta, se mi piaceva un fiore, avrei voluto premermelo sul cuore, o addirittura mangiarmelo. La cosa era più difficile quando si trattava di un paesaggio intero, ma il sentimento era identico. Ero troppo sensuale: vorrei quasi dire troppo “possessiva”; provavo un desiderio troppo fisico per le cose che mi piacevano, le volevo avere. Ecco perché sentivo sempre quel doloroso, insaziabile desiderio, quella nostalgia per un qualcosa che mi appariva irraggiungibile, nostalgia che chiamavo allora “impulso creativo”. Credo che fossero queste forti emozioni a farmi pensare di esser nata per fare l'artista. Ora, d'un tratto, non è più così, anche se non so dire grazie a quale processo interiore. Me ne sono resa conto solo stamattina, ripensando a una piccola passeggiata intorno all'IJsclub qualche sera fa. Era il crepuscolo: tenere sfumature nel cielo, misteriose sagome delle case, gli

alberi vivi con il trasparente intreccio dei loro rami, in una parola: incantevole. Mi ricordo benissimo di come “sentivo” una volta. Trovavo tutto talmente bello che mi faceva male al cuore. Allora la bellezza mi faceva soffrire e non sapevo che farmene di quel dolore. Sentivo il bisogno di scrivere o di far poesie, ma le parole non mi volevano mai venire. E mi sentivo terribilmente infelice. In fondo io mi ubriacavo di un paesaggio simile, e poi mi ritrovavo del tutto esaurita. Mi costava un'enorme quantità di energie. Ora chiamerei questo comportamento “onanismo”. Ma quella sera, solo pochi giorni fa, ho reagito diversamente. Ho accettato con gioia la bellezza di questo mondo di Dio, malgrado tutto. Ho goduto altrettanto intensamente di quel paesaggio tacito e misterioso nel crepuscolo, ma in modo, per così dire, “oggettivo”. Non volevo più “possederlo”. Sono tornata a casa rinvigorita, al mio lavoro. E quel paesaggio è rimasto presente sullo sfondo come un abito che rivesta la mia anima - tanto per dirla con paroloni -, ma non mi impicciava più, non era più “onanismo”. E così è con S., come del resto con tutti adesso. Anche la crisi di quel pomeriggio, quand'ero rimasta seduta a fissarlo tutta rigida e incapace di aprir bocca, era probabilmente dovuta a un atteggiamento “possessivo”. Mi aveva raccontato varie cose della sua vita personale: della moglie da cui è separato ma con cui è rimasto in corrispondenza, della fidanzata con cui vuol sposarsi ma che si trova a Londra - “è sola e soffre” -, e poi ancora di un'altra donna che aveva avuto una volta, una bellissima cantante con cui pure è rimasto in corrispondenza. Più tardi, mentre facevamo di nuovo la lotta, io avevo sentito la fascinazione del suo grande corpo attraente. E poi, quando mi ero seduta di nuovo di fronte a lui ed ero ammutolita, forse avevo avuto la stessa reazione di quando attraverso un paesaggio che mi tocca l'anima. Lo volevo “possedere”. Volevo che S. fosse anche mio. Per quanto io non lo desideri come uomo - non mi ha mai veramente colpita, sessualmente parlando, anche se sento sempre quella tensione in sottofondo -, S. mi ha toccata nell'intimo, e questo è ancora più importante. E così volevo averlo, in un modo o nell'altro: provavo odio o gelosia per tutte le donne di cui mi aveva raccontato e forse mi chiedevo, sia pur inconsciamente, se sarebbe rimasto qualcosa per me e me lo sentivo sfuggire. Erano sentimenti piuttosto meschini, non certo elevati, ma me ne rendo conto soltanto ora. In quel momento mi sentivo infelicissima e sola, cosa che adesso capisco benissimo: avrei voluto andar via e mettermi a scrivere. Credo di capire anche questo. È un altro modo di “possedere”, di attirare le cose a sé con parole e immagini. L'impulso che mi spingeva a scrivere dev'essere stato soprattutto il desiderio di nascondermi agli altri con tutti i tesori che avevo accumulato - di annotare ogni cosa e di goderla tenendomela per me. E adesso, improvvisamente, questo atteggiamento, che per ora chiamo “possessivo”, è cessato. Mille catene sono state spezzate, respiro di nuovo liberamente, mi sento in forze e mi guardo intorno con occhi raggianti. E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto e la mia ricchezza interiore è immensa. S. è completamente mio adesso, anche se domani dovesse partire per la Cina: me lo sento intorno e vivo nella sua sfera; se lo rivedrò mercoledì, mi farà piacere, ma non sto più a contare nervosamente i giorni, come facevo la settimana passata. E non chiedo più a Han cento volte al giorno: “Mi vuoi ancora bene?”, “Mi vuoi ancora tanto bene?”, e “Sono proprio il tuo tesoro?”. Anche questo era un modo di aggrapparsi, un aggrapparsi fisico a ciò che fisico non è. Ora vivo e respiro con la mia anima, sempre che mi sia concesso usare questo termine screditato. E ora capisco anche le parole di S. dopo la mia prima visita da lui. “Quel che c'è qui” (e indicava la testa) “deve finire qui” (e indicava il cuore). Allora io non capivo bene come questo passaggio potesse realizzarsi grazie al suo lavoro, ma in ogni caso è successo, anche se non saprei dire come. Ha pure assegnato il posto giusto alle cose che già facevano parte di me, in una sorta di puzzle: tutti i pezzetti erano sparsi alla rinfusa e lui li ha ricomposti in un insieme ricco di significato; non so come ci sia riuscito ma questa è una cosa che riguarda lui, è, per così dire, il suo mestiere, e non per nulla si parla di lui come di una “personalità magica”. Le quattro e mezzo

Per un attimo, mentre me ne stavo una mezz'ora al sole sulla nostra terrazzina di pietra, seduta sul bidone dei rifiuti, la testa appoggiata al mastello, con i raggi che cadevano sui rami forti, scuri e ancora senza foglie del castagno, ho sentito nettamente la differenza tra prima e adesso. Ora riesco a esprimere in breve ciò che ho provato, laddove stamattina avevo ancora bisogno di molte parole: quel sole sui rami scuri, gli uccelli cinguettanti e io sul bidone, al sole. Anche in passato restavo spesso a sedere così, ma non mi sono mai sentita come oggi, tranne qualche rara volta. Prima osservavo un albero sotto al sole soltanto con la mente: volevo dire a me stessa il motivo per cui lo trovavo tanto bello, volevo trovare le parole e comprendere come l'insieme funzionasse; desideravo scandagliare con la mente quella profonda sensazione, quell'impulso primordiale, almeno credo. Volevo quindi assoggettare la natura, vale a dire il tutto; volevo contenerlo. E il bello invece è - ed è davvero semplice - che adesso sono io a sentirmi assoggettata al tutto. Mi aggiro di qua e di là, invasa da questa profonda sensazione, ma essa non mi prosciuga più l'anima: al contrario, mi dà forza. Nelle mie vene scorre un sano flusso vitale, tanto che, mentre me ne stavo al sole, ho inconsapevolmente piegato la testa, come se potessi assimilare meglio quel nuovo senso di vitalità. D'un tratto ho compreso come una persona, il volto nascosto dietro le mani giunte, possa crollare violentemente sulle ginocchia e poi aver pace. 17 marzo [1941], lunedì, le dieci e mezzo di sera L'uomo è proprio un essere fragile e caduco. Già, del resto non si può neanche pretendere di provare sempre sentimenti di gloria, e una piccola caduta ogni tanto non è neppure nociva. Una volta S. ha detto: “Alla fine di ogni giornata, devi concentrarti per dieci minuti pensando a che cosa ti ha portato nel bene e nel male, a com'è andata, e a quanta tensione superflua c'è stata, ecc.”. Per un paio di giorni non ho avuto bisogno di quei dieci minuti. Le mie giornate erano infatti costruite come parti di una piramide: ogni momento si collegava perfettamente all'altro, e a sera sentivo ancora l'intero giorno scorrermi dentro come una cosa forte e completa: non c'era nulla su cui fermarsi a riflettere. Non è stato sempre così. Ci sono stati giorni in cui alla sera non sapevo più che cosa avevo fatto durante la mattinata, figuriamoci il giorno precedente. Era tutto un grande caos. Nei nuovi appunti che ho ricevuto da S. ritrovo un che di familiare: “Quando certe persone ti dicono di non voler sapere più nulla di un determinato periodo della loro vita, di non voler più ricordare il passato, questo significa che in loro c'è qualcosa che non va. Infatti, come le fondamenta in un edificio, il passato è, insieme con tutto ciò che esso racchiude, il presupposto dello sviluppo armonico, della costruzione solida, inespugnabile della personalità. Se qualcosa del passato subisce una negazione o l'oblio, si crea una lacuna nella vita psichica della personalità, che rende instabile e insicuro l'intero edificio della nostra anima”. E qualcosa di simile talvolta mi succedeva nel corso di una sola giornata, che si ritrovava così priva delle sue fondamenta, o perlomeno alla sera io le avevo dimenticate, e c'erano spazi vuoti dappertutto. Da questo derivava poi il senso, perfettamente comprensibile, di “instabilità” e “insicurezza”. La giornata odierna si è costruita come un edificio, ma ora si sta sgretolando lentamente dall'alto. D'altronde non è proprio una sorpresa: negli ultimi due giorni ho vissuto e lavorato così intensamente da poter ora provare una certa stanchezza. E poi ci sono le persone, che costano molta energia: ieri pomeriggio Kees de Groot; per un paio d'ore abbiamo discusso con grande concentrazione di molte questioni legate alla vita, alla politica, alla filosofia, a noi stessi: mentre parlavamo, ho per la prima volta avvertito con vivezza la nuova forza che si è accumulata in me e che irradiavo tutt'intorno. Una parte d'irradiazione ha raggiunto anche quel buon ragazzo, ed è stato un pomeriggio positivo, pieno di amicizia ed entusiasmo, sulla veranda soleggiata. E poi, il suo improvviso gesto di tenerezza, che esprimeva un affetto schivo, e quella frase a malapena completata: “Sto sempre tanto bene con te”. È stato un dono inatteso. Dopo di che mi sono rimessa a lavorare. Poco dopo Marjo, fresca come una rosa, è entrata nella nostra veranda quasi rotolando giù dai gradini, e ha chiesto un bicchiere d'acqua, una pausa ristoratrice e un viso amico. La tratto sempre con grande circospezione, perché temo di irritare il suo carattere ipersensibile: è una donna

difficile, che non si fa analizzare, ma di certo un vero tesoro. Un'ora con lei mi costa probabilmente più energia di quanto io stessa non voglia ammettere. Di sera ho poi davvero goduto della sublime opera di Durant, e di nuovo con grande intensità. Anche oggi ho cominciato la mia giornata rammendando calze: se domani non ci saranno più buchi nelle mie calze, dovrò farne uno, perché è davvero il migliore inizio della mia giornata. Indi ho lavorato a dovere su un brano tratto da una novella russa. E poi ho fatto la spesa; di pomeriggio, dopo aver riposato un po', ho ripreso la novella, ma a quel punto le cose avevano preso una brutta piega: ero stanca e confusa. Ed ecco comparire Toebosch, che mi ha riportato Un eroe del nostro tempo e che, con disinvoltura, ha fatto una stupefacente dichiarazione: che lui considera il personaggio di Pečërin l'emblema dell'individuo sano; poi, con un fanatismo che lo rende pronto per il ricovero in manicomio, è rimasto almeno un quarto d'ora ad arrovellarsi sul fatto che è la ragione a rendere infelici gli uomini e che l'uomo deve avere l'onestà di accettare il mondo per quello che... [qui mancano due pagine del quaderno] “Arrabbiarsi ed essere scontenti non è produttivo; soffrire davvero per qualcosa è produttivo, e precisamente perché nella scontentezza, nell'arrabbiarsi c'è una passività attiva, mentre nella vera sofferenza c'è un'attività passiva. La passività attiva della scontentezza consiste nella resistenza, nella rivolta con cui ci opponiamo a qualcosa di irrevocabile, per cui le restanti energie della persona si paralizzano. L'attività passiva nel caso della vera sofferenza consiste nel nostro accettare e sopportare qualcosa di irrevocabile, e proprio così si liberano nuove forze”. “Un tempo” avrei forse considerato queste parole molto piacevoli da leggere, ma l'importante, adesso, è che esse sono passate dalla testa al cuore, alla coscienza o chissà dove, in ogni caso là dove respirano con me, dove sono diventate parte di me; è quasi opprimente, ma costituisce anche una continua fonte di rapimento estatico e di sorpresa, vedere quante forze si sono sprigionate nel mio essere: ciò comunque non impedisce che io sia terribilmente stanca, ma non ci penso e così non provo quasi alcun disagio; inoltre, è senz'altro una cosa naturale dopo una giornata così intensa. “Quando si è pessimisti, ovvero quando si ha una visione negativa delle cose, si emana negatività, e tutto ciò che si intraprende o si incontra diventa negativo”. “Un pensiero sgradevole o un sentimento sgradevole non devono mai dar luogo a una condizione permanente”. “Le depressioni pessimistiche devono essere considerate come pause creative, nelle quali si ritemprano le forze. Se ne siamo consapevoli, le depressioni passano rapidamente. Non bisogna sentirsi depressi per via di una depressione”. Ritengo queste ultime parole incredibilmente importanti. “L'attrazione fra gli esseri umani dipende da ciò che emana dalla persona. Quando si ha un atteggiamento negativo dovuto a sensi di colpa, angoscia, complessi di inferiorità, allora non si attrae nessuno, perché non si emana nulla. Tutto dipende dunque da questi due poli, che devono procedere insieme”. “Bisogna discernere bene il lato negativo delle persone, nella cui cerchia si vive e difendersene, ma non per questo bisogna respingere, disprezzare l'intera persona, bensì offrirle la nostra compassione”. Sembra tanto semplice e quasi banale, ma se davvero si vivesse così, se quelle poche parole si facessero carne e sangue, allora si diventerebbe un'altra persona. Oh, S., che piacere correre di nuovo da te domani e quanto mi eccita l'idea di quel che mi porterà il pomeriggio! Qui ho usato un'espressione un po' esaltata, ma la verità è che io non rifletto affatto su quello che mi porterà il domani. Prima mi abbandonavo alle più selvagge fantasie e ai sogni ad occhi aperti, che in seguito si frantumavano scontrandosi con la realtà, nella quale tutto semplicemente si dissolveva, e poi eran dolori. So soltanto che domani verrò da te e accetto tutto sin da ora: se sarai molto distaccato, andrà bene, se sarai molto affettuoso, sarà un dono inatteso che darà una rinnovata energia alla mia anima - però, che bella espressione -, ma, in ogni caso, non mi prefiguro più nulla, e questa è una differenza essenziale con il passato.

“Non si può insegnare ciò che non si padroneggia”. Questo, cara mia, dovresti veramente prenderlo a cuore! “Quando, grazie a uno sviluppo interiore più pronunciato, una persona riesce a valutare meglio gli altri, questa maturità non deve manifestarsi come senso di superiorità verso coloro che sono meno sviluppati, bensì come tolleranza, pazienza e comprensione nei loro confronti”. Tutte queste espressioni, che potrebbero venire direttamente dal mio cuore, mi riguardano così tanto, perché è come se S. le avesse rivolte proprio a me. La sua faccia grigia espressiva, con quegli occhi a volte così luminosi, si nasconde dietro le parole, quasi suggerendomi, per così dire, queste verità. In passato, di fronte a simili frasi avrei annuito con un “Oh, già, è proprio vero”, ma adesso esse riempiono tutto il mio essere, finiscono in un punto nel profondo, divenendo parte di me. J.: “Chi fa di ogni erba un fascio (chi disprezza un'intera categoria di persone), dimostra in tal modo la propria incapacità di operare distinzioni, la propria pigrizia intellettuale. Coloro che si comportano così, però, non vorrebbero mai e poi mai essere equiparati agli altri, perché si ritengono migliori della categoria di persone che disprezzano”. Questo potrebbe diventare lo spunto per una lunga riflessione, ma adesso non ce n'è il tempo (reazione di intere società a un'istituzione tanto edificante come i campi di concentramento) . “Il ritmo richiede ripartizione e soste. Bisogna avere il coraggio di concedersi delle pause e di essere stanchi. Chi pretende troppo da se stesso, non vuole accettare le ricadute. Lo svolgimento regolare, quotidiano di un lavoro è un ottimo esercizio preparatorio per imparare a mantenere la misura. Quando si svolge quotidianamente una certa attività, si percepisce anche quotidianamente con quanta lentezza debba procedere lo sviluppo”. L'ultimo corsivo è mio. J.: “Se un individuo ha un centro, tutte le impressioni provenienti dall'esterno trovano in quel centro un punto fermo (devono fermarsi lì). Chi non ha centro ed è insicuro, a ogni nuova impressione perde l'equilibrio e diventa sempre più insicuro, mentre ogni nuova impressione rende sempre più stabile il centro del primo”. Il mio “centro” sta diventando di giorno in giorno sempre più saldo. In passato, nonostante tutte le mie teorie energiche e ben fondate, ero soltanto un uccellino svolazzante e insicuro. E ora c'è in me un centro di forza che irradia energia anche all'esterno, e riesco a percepirlo anche dalle reazioni degli altri nei confronti della mia persona. E tutto questo non ha nulla a che vedere con un carattere introverso. Quella forza viene da dentro: è un piccolo centro chiuso in sé nel quale io, a volte, mi rifugio totalmente, quando il mondo esterno mi pare per un attimo troppo rumoroso, ma, per il resto, tutti i miei sensi sono intensamente protesi verso la realtà che mi circonda, e ciò che esperiscono fuori lo portano nel mio centro che viene, per così dire, rinforzato da ogni nuova impressione. Un tempo, invece, tutte le impressioni provenienti dall'esterno mi rendevano tesa e insicura. A quel punto dovevo scegliere tra due condizioni che si alternavano violentemente: uno stato di totale esclusione dal mondo esterno, un'armonia interiore quasi troppo bella per essere vera, tanto fragile e tenera che veniva facilmente distrutta dal benché minimo contatto con l'esterno; e un altro stato, nel quale mi trovavo disorientata, consumata e disturbata, nel mio profondo equilibrio e nelle mie certezze, praticamente da ogni cosa, persino dalla lettura di un feuilleton o dalla vista delle gambe belle di una giovane che mi passava accanto; proprio perché io non avevo simili gambe - anche se le mie non sono poi male -, cominciavo improvvisamente a pensare che tutto il mio studio non avesse alcun valore. Non avere gambe perfette mi faceva sentire tanto depressa che tutto il piacere del mio lavoro era d'un tratto svanito, al punto che mi costava moltissima energia ritornare a occuparmene. Ma adesso devo fare in modo di dormire abbastanza: anche questo fa parte di una vita sana. Domani proseguo, buona notte! Mercoledì [19 marzo 1941], le dieci e mezzo Cara signorina, sono proprio soddisfatta di te: ti sei di nuovo messa a rammendare calze e hai finito la traduzione con una rapidità e un'accuratezza mai sperimentate prima. Devo aggiungere qualcosa a ciò che ho scritto ieri sera su quel “centro”. Un tempo, quando parlavo con gli altri o mi trovavo in

compagnia di qualcuno, mi concedevo interamente, al punto che, dopo, ero costretta a rimettere insieme tutti i pezzetti. Le persone se ne andavano rinforzate dalla mia vitalità, mentre io restavo con i miei brandelli, spossata. Oggi, invece, mi arricchisco e mi rafforzo grazie a ogni contatto umano, e anche gli altri traggono maggiori benefici dalla mia compagnia: lo vedo ogni giorno, da una serie di piccole cose. E ora qualche appunto di S. Li trascrivo perché penso che qui lui abbia detto tutto il necessario in maniera concisa e insuperabile: “Il figlio è legato a entrambi i genitori; il figlio deve fare ciò che i genitori non sono riusciti a portare a compimento. Bisogna liberarsi dall'influenza dei genitori e imparare a camminare con le proprie gambe. Le influenze dell'ambiente non equivalgono a una predisposizione: possiamo metterle da parte comprendendole e riconoscendole. Qui la nostra generazione incontra notevoli difficoltà perché quella precedente, cresciuta nel materialismo e in una convenzionale sicurezza di sé, non ha lavorato su questo punto. “Amando e onorando i nostri genitori corroboriamo la fiducia in noi stessi, perché all'inizio la fiducia in se stessi è fondata sui genitori. Il difficile è riuscire a emanciparsi dai genitori per diventare intellettualmente autonomi. Questa emancipazione può essere considerata alla stregua di una seconda nascita, che porta in sé molti conflitti e difficoltà. Bisogna superare i sensi di colpa che ne derivano. Non viene chiesto di amare i propri genitori, bensì di onorarli. “All'inizio i figli vedono i genitori solo come sono; ma in seguito dovranno capire come e perché i genitori sono diventati così. “I genitori non devono inibire psicologicamente i figli, perché altrimenti i figli si irritano. Con il loro giusto istinto si ribellano. “Il vero amore per i figli dev'essere a favore dei figli, svincolato da qualsiasi aspettativa nei loro confronti (ad esempio, non deve essere un tentativo di ritrovare se stessi, né l'attesa di venir ripagati di eguale amore). Questa è una debolezza dei genitori: la si potrebbe definire il loro destino”. Le dodici Sono appena andata a dichiarare la mia appartenenza al sangue ebraico. Il popolo olandese mi è davvero tanto caro. All'inizio eravamo tutti allineati nel corridoio della scuola: una fila alquanto silenziosa e oppressa, un'attesa che veniva percepita come destino ineluttabile: ci veniva fatto questo. Un giovane uomo, con un basco e la faccia arguta da operaio, stava in piedi all'ingresso dell'aula scolastica. Faceva entrare due persone per volta, mentre quasi impercettibilmente circondava con il braccio le spalle di alcuni di noi, in un gesto protettivo e niente affatto compiacente. Quell'aula era piena di sole; appese alle pareti raffigurazioni infantili della visita in Olanda dello zar Pietro il Grande nel 1717. Un canto di bambini giungeva dalla classe vicina: suoni molto distinti e quasi commoventi. Non dimenticherò facilmente quegli impiegati e la giovane donna dietro al tavolo, per via della rara discrezione, della comprensione e dell'umorismo tanto civile con cui hanno trattato l'intera bizzarra questione. Nessuna compassione o indignazione, ma un'eccezionale gentilezza e una grande umanità si sprigionavano da quell'esiguo gruppo di persone con la loro aria impiegatizia. Ho avuto la sensazione che fossimo entrati nella sala d'attesa di un medico: non si è alzata alcuna voce e tutto si è svolto in maniera tranquilla e piacevole, e quel che soprattutto colpiva era la mancanza di affettazione degli olandesi nei confronti di quella parte della comunità ebraica. Una donna ha chiesto: “Anche i bambini che non hanno ancora quindici anni devono essere registrati?”, e uno di quegli uomini, con un allegro sorriso, ha risposto: “Anche se hanno solo un'ora, signora”. In Olanda sì, che si può davvero vivere! E adesso proseguo con S.: ci sono ancora un paio di annotazioni che trovo molto interessanti: “L'espressione "parola di Dio" non riguarda soltanto la Bibbia; con ciò si intende in senso lato il sapere originario, l'ispirazione e il lavoro dello Spirito Santo che si manifesta nell'uomo”. “La vitalità è una qualità puramente psichica”. “Nei tempi passati gli uomini vivevano più quieti, a contatto con la natura, in modo più naturale. Inconscio e coscienza erano molto più in armonia fra loro. È stato solo negli ultimi sessant'anni che

si è prodotta la divergenza fra la coscienza (il vissuto) e l'inconscio (il rimosso). Questa problematica (della generazione precedente la nostra) ha aperto la via - la scienza - al lavoro sull'inconscio, all'analisi dell'inconscio”. “Le sublimazioni sono trasposizioni e rielaborazioni all'interno della personalità. Le rimozioni sono forze (energie) non sfogate oppure trasferite verso oggetti inadeguati”. “Il giusto mezzo tra l'inibizione e la sfrenatezza è la coscienza responsabile!”. “"Aiutati che Dio ti aiuta". Chi aiuta se stesso, chi confida nel proprio Io, nella propria interiorità, costui ha per l'appunto fiducia in Dio”. “Essere spiritualmente, interiormente colmi di una persona (di più persone) può presentarsi come "un'intenzione intercessoria", dunque come una preghiera. Ma pregare esige concentrazione totale”. Il mio commento seguirà più tardi; ora bisogna apparecchiare la tavola. Il sole è tornato nella stanza: quant'è bella la vita! In questo momento ho raggiunto quel che ho sempre faticosamente rincorso, ma che mai sono riuscita ad avere, vale a dire la piena concentrazione su qualcosa, l'essere colma di ciò a cui mi sto dedicando, nella quieta certezza - per ora relegata al mio inconscio - che mi aspettano nuove occupazioni, dalle quali scaturirà un ulteriore senso di completezza. Così la vita diventa d'un tratto piena. Mi sorprendo ad aver voglia di musica. Pare che io non sia sprovvista di senso musicale e la musica mi tocca sempre molto se mi capita di ascoltarla: ma non ho mai avuto la pazienza di mettermici, la mia attenzione andava sempre alla letteratura e al teatro, cioè ai campi in cui io posso continuare a pensare: ed ecco che ora, in questa fase della mia vita, la musica comincia a far valere i suoi diritti, e io sono di nuovo in grado di abbandonarmi a qualcosa e di dimenticare me stessa. Sento soprattutto il desiderio dei classici puri e sereni, non di questi tormentati moderni. Di sera, le nove Mio Dio, stammi vicino e dammi forza, perché la battaglia si farà dura. Oggi pomeriggio la sua bocca e il suo corpo erano così vicini, non riesco più a dimenticarli. Non voglio avere una relazione con lui. Però stiamo andando in quella direzione. Ma non voglio. La sua futura moglie è a Londra, sola, e l'aspetta. E, per parte mia, ho ben cari i miei legami. Ora che sto pian piano diventando più “raccolta”, mi rendo conto di essere una persona terribilmente seria che non scherza con l'amore. Voglio avere un uomo per tutta la vita e voglio costruire qualcosa con lui. In fondo, tutte le avventure e le relazioni che ho avuto mi hanno resa terribilmente infelice, mi hanno straziata. D'altra parte, la mia resistenza non era mai stata abbastanza forte e cosciente, la curiosità aveva sempre avuto il sopravvento. Ma ora che le mie forze interiori hanno potuto organizzarsi, esse hanno anche cominciato a lottare contro il mio desiderio di avventure e contro la mia curiosità erotica, che s'interessa a molti uomini. In fondo è solo una Spielerei: un uomo lo si può capire benissimo con l'intuizione, non c'è bisogno di avere una relazione con lui. Ma, santo cielo, sta diventando proprio difficile. Oggi pomeriggio la sua bocca era così familiare, così dolce e vicina, che ho dovuto sfiorarla con le mie labbra. Abbiamo cominciato a fare la lotta con distacco e alla fine riposavamo l'uno nelle braccia dell'altro. Non mi ha baciata, anche se a un certo punto mi ha dato un bel morso sulla guancia, ma la cosa indimenticabile per me è stata quando, tornato completamente in sé, mi ha chiesto con apprensione, e con timidezza quasi dolorosa: E la bocca, non le è dispiaciuta la mia bocca? È quello il suo punto debole. La lotta contro la propria sensualità, localizzata in quella bocca pesante e meravigliosamente espressiva. E il timore di spaventare gli altri con quella bocca. Un tipo commovente. Ma la mia pace è perduta. E ha aggiunto: la mia bocca dovrà diventare più piccola, e ha accennato al suo labbro inferiore, che sporge singolarmente dall'angolo destro disegnando una piega pronunciata - un trattino di labbro che è andato per conto suo: ha mai visto una stranezza simile? È molto rara, non ricordo più le parole precise. Di nuovo ho sfiorato con le mie labbra quel capriccioso pezzetto di bocca. Ma non l'ho ancora veramente baciato. Non provo ancora una vera passione per lui, però mi è infinitamente caro, e non vorrei che questo sentimento così buono e umano venisse offuscato da una relazione; non potrebbe mai andare

bene, con una futura moglie là a Londra. Voglio un uomo per tutta la vita, sento di volerlo, ma la lotta si farà dura e non solo contro S. Al momento non riesco neanche a lavorare: la mia tranquillità è svanita, vorrei piuttosto correre da lui e parlargli e dirgli che non voglio avere nulla a che fare con lui e che mi deve lasciare in pace, ma nel profondo del mio cuore io desidero comunque qualcosa. Del resto, la vita è una battaglia. Non devo neanche prender tutto troppo seriamente, passerà: cerco di calmarmi con simili pensieri. Ma non è certo facile liberarsi di uno come S. Già stanotte sono ricominciati i guai. Me ne stavo là a immaginare di essere tra le sue braccia, come fosse la cosa più normale del mondo, ma poi sono saltata furiosa giù dal letto e ho mangiato della cioccolata, e lui è scomparso: è stata davvero una vittoria. Per la prima volta in vita mia ho lottato, grazie a lui, contro le mie fantasie erotiche, invece di usarle per trastullarmi, pur sapendo nel profondo del cuore di non volerlo. No, non voglio. Ne sei proprio sicura, ragazza mia? Quell'uomo è così incredibilmente attraente. Comunque, la cosa più importante è che io l'ho posseduto per intero nella mia mente, ero così pregna di lui - e in seguito ho riacquistato, proprio grazie a lui e tramite lui, una tale calma - che non desideravo niente di più, e la vita era di nuovo buona. Ma adesso sta ricominciando tutto daccapo. La sua bocca era così dolce e buona e familiare, eppure estremamente impenetrabile, piena di misteri che io non scoprirò mai, se continuo a dire “non voglio avere una relazione con te”. E quando eravamo per terra, l'una nelle braccia dell'altro, lui ha detto all'incirca: “In realtà è davvero scandaloso fare una cosa simile con i vestiti addosso”. Ma voglio affrancarmi da lui, non voglio più relazioni a breve termine nella mia vita; desidero qualcosa di vero e duraturo, e sto già combattendo per l'uomo con il quale, forse, passerò il resto dei miei giorni in onestà e senza Spielerei. O forse non è proprio così. Non sto combattendo per nessun uomo futuro in particolare, ma per un'idea, anzi, per dirla con maggior eleganza, per un ideale di lealtà e serietà in queste situazioni e per fermezza di carattere. Ma, mio Dio, quanto sarà difficile! Adesso devo cercare di lavorare un po'. Eppure, Etty, vorrei ancora farti riflettere un momento su una faccenda molto seria. Tu pensi di essere ossessionata dalla sua bocca, dai suoi occhi, da tutto il suo corpo, e di non riuscire a liberartene. Ma non ingannarti in questo. Sei tu che, di continuo, ti raffiguri tutto nella fantasia per poterne godere. In qualche modo tu vuoi che lui ti ossessioni e ti perseguiti fisicamente, perché lo trovi piacevole. In questi anni ti sei assuefatta a possedere nell'immaginazione gli uomini nel modo più spudorato possibile, al punto che è diventata un'abitudine con cui è difficile rompere definitivamente da un giorno all'altro. Ma devi renderti conto, ragazzina, che, se davvero non vuoi niente da lui, allora non è necessario che accada niente. Ma sei proprio come una bambina con il suo giocattolo preferito: lo tiri fuori senza requie, per goderne e per giocarci ancora un po'. Lo stesso fai con S. Ogni volta lo richiami a bella posta nelle tue fantasie, il che non è poi tanto sorprendente, visto che solo di rado incontri nella tua vita persone stimolanti come lui. Il fatto che anche lui sia sul punto di iniziare una relazione con te lo rende ancora più attraente ai tuoi occhi; adesso lui è alla tua portata, e questo stuzzica un po' la tua vanità, e a ciò si aggiunge anche qualcosa di estremamente basilare, una “possessività” del tutto elementare: adesso posso avere tutto questo, la sua bocca, le sue mani, gli occhi e, se volessi dirla onestamente - questo foglio di carta custodirà il segreto -, c'entra pure l'idea per cui sarebbe un vero peccato lasciarselo scappare, perché dopo mi pentirei di averlo perso quando probabilmente non ne incontrerò mai più uno simile. E non dimenticare che anche tu sei una “sfida” per lui, come lui stesso ha ammesso. Un uomo del suo temperamento ha vissuto per due lunghi anni senza una donna per restare fedele alla sua “fidanzata sola che sta aspettando a Londra”. E io annienterei questa fedeltà: farei meglio a lottare con lui per aiutarlo a conservarla. Io ho comunque una relazione: amo Han con un affetto puro e buono e profondo, non vorrei mai trascorrere la vita senza di lui. Una persona non dovrebbe desiderare tutto, nemmeno se può averlo. Se riuscirò davvero a vincere questa battaglia, diventerò molto più forte e potrò ottenere, per la prima volta nella mia vita, un valido risultato. Fino a ieri il suo volto era ancora un caro paesaggio, sbiadito ma onnipresente sullo sfondo. Ora non c'è più nulla di sbiadito; al contrario, quegli occhi vivi, con il loro sguardo a volte meravigliosamente birichino, mi stanno davanti molto nitidi, e quella bocca espressiva, piena di movimento e di profonde emozioni, del resto tutta la sua vivida faccia, oggi pomeriggio di nuovo

spiritosissima, aveva perduto d'un tratto molto della sua solita gravità, scintillava di fascino - povera Etty, si sta facendo davvero un po' dura. Ma du sollst wollen [“devi volerlo”], e invece non sono del tutto convinta che tu sappia ancora quello che vuoi veramente. I conflitti restano ovviamente presenti sullo sfondo, tuttavia può sempre crearsi un intimo rapporto umano, anche senza avere per forza una relazione. E nonostante il fatto che io mi sia sfogata così tanto, mi ritrovo con una terribile tensione nella testa e le mie guance stanno bruciando. Adesso vado a stendermi un po' sul tappetino per fare qualche esercizio di respirazione, e per cercare di ritrovare un po' di coraggio. La tensione non deriva dal mio desiderio di lui, ma molto semplicemente dal non sapere ancora, al cento per cento, se voglio una relazione con lui: resta sempre una percentuale, seppur minima, che lo vuole. Anche se ho innalzato nella mia fantasia una solida costruzione, ho comunque lasciato una porticina aperta sul retro, sicché essa non è infine tanto sicura come dovrebbe, e per questo mi sento così tesa e nervosa. È meglio fare su tutto questo il massimo della chiarezza con se stessi. È proprio sciocco da parte mia, ma torno di continuo a questo diario, perché c'è sempre qualcosa da aggiungere. Tutta la mia debolezza, in effetti, deriva dal fatto che ogni volta, o almeno molto spesso, sono perseguitata da una grande domanda che in realtà esprime un vuoto: Ne vale davvero la pena? Vale la pena di lottare? Non bisognerebbe semplicemente prendere quello che la vita ha da offrire e lasciar perdere il resto? Dietro a questa domanda ce n'è forse una ancora più banale: chi ti sarà grato per questa lotta o, per dirla ancora meglio: a chi importerà? A Dio, di certo: queste parole, che scaturiscono inattese dalla mia stilografica, mi danno d'un tratto un'umile forza. Forse queste parole - Dio te ne sarà grato - si trasformeranno nella salvezza. Giovedì mattina [20 marzo 1941], le nove Ieri sera ho lasciato vittoriosa il campo di battaglia. Mi sono lavata tutta con acqua fredda, ho fatto qualche esercizio di ginnastica, mi sono dedicata a un po' di autodisciplina mentale, e ho recuperato molta della mia chiarezza. Mi sono sentita sul punto di gridare: hip hip urrà! Ho vinto! Ma è meglio “lodare il giorno alla sera, e il giovane quando avrà la barba”, ecc. all'infinito. La vita è dura. E quanto! Molto è stato comunque riguadagnato ieri sera: infatti non temevo più che il suo volto potesse minacciarmi e turbarmi, ero in grado di rievocarlo a mio piacimento e nitidamente, senza ricadere in fantasie erotiche. Di colpo c'era una tale distanza tra noi due che sono riuscita ad avere una sorta di visione “artistica” del suo volto. D'un tratto ho cominciato a considerare la battaglia contro la sua bocca - quel simbolo di sensualità contro il quale lui stesso ha combattuto per tutta la vita - come qualcosa di assolutamente eroico. “La mia bocca dovrà diventare più piccola”. E, di nuovo, quel suo gesto commovente, ma adesso potevo osservarlo con calma e in maniera obiettiva, senza segreti brividi di desiderio; la sua domanda timida: “E la bocca, non le è dispiaciuta la mia bocca?”. Mi è venuto in mente Abrascha, che mi aveva assalita con tutta la sua sensualità, sin dalla prima volta, e divorata tanto avidamente da disgustarmi; lui di certo non si era mai chiesto: Cosa pensano le donne di me, non trovano forse che la mia grande bocca sensuale (e lui ne aveva di certo una grande e sensuale!) sia spiacevole?; anzi, con la sua arroganza maschile, dava semplicemente per scontato che ogni donna dovesse ritenere la sua bocca oltremodo eccitante. E adesso quest'uomo, fortemente consapevole della possibilità che la sua bocca risvegli una repulsione nelle donne, che non mi bacia subito ma aspetta che lo cerchi io, chiedendo poi, timido ed esitante: “E la mia bocca?”. E c'è dell'altro. Stamattina, nelle primissime ore del giorno, all'improvviso un ampio orizzonte: la tua intera esistenza si stende di fronte a te, solo ora stai cominciando a vivere; adesso che le forze interiori sono finalmente organizzate, devi mantenere lo sguardo fisso su tutta la tua vita, quel pensiero deve sempre restare sullo sfondo, e i tuoi occhi non devono concentrarsi solo sul venerdì pomeriggio quando lo rivedrai, né devi pensare che ci sia solo quest'uomo e nient'altro. Non riesco a dirlo con precisione, era un senso di vastità: tutto era visto da una prospettiva migliore, e grazie a ciò anche quest'uomo assumeva una dimensione meno colossale nella mia mente, eppure il mio amore non era indebolito. Intendo dire che non bisogna attribuire tutta quest'importanza all'erotismo. Anch'esso ha soltanto una natura transitoria, a meno che non diventi un elemento

stabile all'interno di una relazione per la vita: le relazioni brevi, invece, non valgono mai tutta quella eccitazione, ansia, disillusione, ecc. Eppure la lotta è di nuovo in pieno svolgimento. Mi sono alzata presto, mi sono lavata tutta con acqua gelata e ho fatto alcuni esercizi di respirazione, ma il lavoro non è progredito, e lui è riapparso come uno spettro a infestare le pagine del mio libro. Certo, quel Gogol' nervoso ed estremamente inquieto richiede troppo impegno e concentrazione di primo mattino. La mia mente adesso è più stanca e offuscata di quanto non fosse nei giorni scorsi: dopo tutto la mia vittoria non è ancora completa. Spero di riuscire a concentrarmi durante le tre ore di lezione, poi vedremo cosa porterà ancora questa giornata. A più tardi, arrivederci! Di pomeriggio, le quattro Etty, ragazza mia, cominci davvero a piacermi, e sono perfino un po' fiera di te. La vita è una lotta, ma io ci sto prendendo gusto e lottando mi rafforzo. Per prima cosa, lascia che richiami la tua attenzione su un abbaglio. Hai creduto di poter chiudere con S. in un paio d'ore, dopo di che la cosa sarebbe stata risolta per sempre. Non ti sei però resa conto che la lotta continua, che si rinnova di giorno in giorno, di notte in notte, e che assume forme sempre nuove sicché, non essendo preparata a questa eventualità, ti sei improvvisamente sentita affaticata e infelice, stamattina, quando ti sei accorta che non era certo finita con S., nonostante il fatto che ieri tu sia andata a dormire con una sensazione di vittoria. E adesso, d'un tratto - e non sapresti neanche spiegarti il perché - cominci pure a godertela, questa lotta, senti crescere le tue forze e sai quanto tutto ciò sia attraente. Devi sempre stare all'erta, cercando di tenere sotto controllo i tuoi sentimenti, con serietà e franchezza; tuttavia, la possibilità di un contatto, sorprendente e inatteso, non va esclusa a priori soprattutto se non te ne preoccupi in anticipo. Da ieri anche l'immagine mentale è diventata più onesta e nitida. La scorsa notte ti sei immaginata durante la lotta che farai con lui domani pomeriggio e hai pensato che, non appena la situazione volgeva all'erotico, ti divincolavi e dicevi: “Senta, io non voglio questo”, quando invece prima desideravi proprio quel contatto. Non era del tutto chiaro. E adesso mi figuro che domani lo raggiungerò, molto determinata e seria, e gli dirò, proprio all'inizio della nostra conversazione: “Voglio che lei rimanga fedele alla sua fidanzata”, ed è davvero ciò che voglio. Oh, Dio, dammi la forza necessaria a rimanere ferma su questo punto. E, alla fine, bacerò la sua bocca, ogni più piccolo angolo della sua bocca, con calma e senza passione, come prova di grande amicizia e anche del fatto che la mia paura del suo volto e l'ossessione che esso esercitava su di me all'inizio sono definitivamente sparite. Ma nemmeno ora riesco a esprimere con esattezza quello che è accaduto ieri, quando mi ha chiesto con tanta ansia: “E la bocca, non le è dispiaciuta la mia bocca?”. All'improvviso lui era lì, in piedi, in tutta la sua fragilità, messo interamente a nudo dal punto di vista psicologico, e mostrava senza infingimenti il suo punto debole, rivelandosi tanto indifeso e aperto che, anche adesso che ci ripenso, vorrei stringerlo forte tra le mie braccia. La stanchezza è passata e alla lezione ero più in forma che mai. Avverto una sensazione di forza e di sicurezza a me finora ignote. Tuttavia devo stare molto in guardia nei confronti di una cosa - ricorda la saga cinese narrata da Adler: c'è ancora troppo orgoglio in me. Lui può avere tutte le donne che vuole, e sono fiera del fatto di non essere lì a disposizione, e nel profondo del mio cuore sento che, alla fine, lui mi trova più attraente forse anche per questo. Dovrò eliminare pure questi pensieri impuri, se voglio avere il diritto di definirmi un vero essere umano. Non appena tali pensieri vaghi diverranno pienamente consapevoli, saranno anche del tutto sradicati. Devo proprio ammettere di essere contenta di te, Etty, e tra un po' probabilmente ti stringerò la mano in segno d'amicizia, ma, prima di tutto, la giornata di domani deve concludersi in maniera soddisfacente, poi vedremo. Che meraviglia oggi pomeriggio, quella Henny Tideman dai capelli rossi, in corsa sulla sua bicicletta, e io a inseguirla di gran carriera, poi il mio volto all'improvviso accanto al suo: “Dica, va sempre così di corsa sulla bici?”. E quell'appuntamento preso alla velocità della luce per domenica

sera. Non vedo davvero l'ora. Venerdì 21 marzo [1941], le otto e mezzo di mattina Per la verità non voglio scrivere niente: mi sento così leggera e raggiante e contenta che ogni parola peserebbe come piombo, in confronto. Però stamattina mi sono proprio guadagnata questa gioia interiore, ho dovuto lottare contro l'irrequietezza del mio cuore che batteva all'impazzata. Mi sono lavata con acqua gelida dalla testa ai piedi, e sono rimasta sdraiata sul pavimento del bagno fintanto che non mi sono sentita completamente calma. Sono diventata una persona “pronta a combattere”, come si dice, e provavo un certo piacere sportivo, una certa eccitazione all'idea di questa “lotta”. Sul primo foglio della mia lettera a S., tra le altre cose, si legge: “la percezione che la vita è così terribilmente difficile, che bisogna fare tutto da soli, che l'aiuto dall'esterno non è possibile, e insicurezza, paura, tutto era lì dentro di me”. Debbo anche vincere la paura indefinita che mi porto dentro. La vita è difficile davvero, è una lotta di minuto in minuto (non esagerare, tesoro!), ma è una lotta invitante. Una volta io mi immaginavo un futuro caotico perché mi rifiutavo di vivere l'istante più prossimo. Ero come un bambino molto viziato, volevo che tutto mi fosse regalato. A volte avevo la certezza - peraltro molto vaga - che in futuro sarei potuta diventare “qualcuno” e avrei realizzato qualcosa di “straordinario”, altre volte mi ripigliava quella paura confusa che “sarei andata in malora lo stesso”. Comincio a capire perché: mi rifiutavo di adempiere ai compiti che avevo sotto gli occhi, mi rifiutavo di salire verso quel futuro di gradino in gradino. E ora, ora che ogni minuto è pieno, pieno sino all'orlo di vita e di esperienza, di lotta e vittorie e cadute, ma subito dopo di nuova lotta e talvolta pace - ora non penso più a quel futuro, in altre parole mi è indifferente se riuscirò a produrre qualcosa di straordinario oppure no, perché sono certa che qualcosa ne verrà fuori comunque. Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella “vera”, ma una preparazione a una realtà diversa, grande, vera, appunto. Ora questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena viverla ora, oggi, in questo momento; e se sapessi di dover morire domani direi: mi dispiace molto, ma così com'è stato, è stato un bene. In teoria ho già pontificato su queste cose, ricordo che era una sera d'estate e che eravamo seduti fuori da Reynders, con Frans. Ma nelle mie parole di allora c'era soprattutto stanchezza, qualcosa come: vedi, se domani finisse tutto, non me ne farei un gran problema, tanto sappiamo come stanno le cose. La vita la conosciamo, abbiamo già vissuto tutto, sia pure in spirito, non siamo più così spasmodicamente attaccati alla vita. Mi sembra che il tono dei miei discorsi fosse all'incirca questo. Eravamo proprio molto vecchi, saggi, e stanchi. Ma ora è diverso. E adesso al lavoro. Sabato 22 marzo [1941], le dieci e mezzo di mattina La realtà è sempre un po' diversa da ciò che la fantasia ha presentato in maniera tanto attraente, e comincio a farmene una ragione. Del resto, dato che in questo caso la fantasia è stata abbastanza moderata, l'impatto non è stato dei più forti. Me l'ero immaginato così: entro da lui molto decisa, lo fisso per un po' con uno sguardo eloquente e poi gli dico: Mio caro signore, non voglio affatto avere una relazione con lei, ed è stata una lotta davvero dura per me, dopo di che, assumendo un'espressione tragica e energica al tempo stesso, aggiungo: Ma la mia parte migliore ha trionfato, non voglio distruggere il rapporto di fedeltà con la sua compagna; e ora potrei, per favore, baciare la sua cara bocca, con calma e senza passione, comunque con grande trasporto, come prova della mia amicizia pura per lei? Sì, questo è il modo in cui mi ero “preparata” il mio discorso (le mie frasi cominciano già a essere gradualmente disseminate di parole della “nostra futura lingua”). Ma ciò che, con tanta precisione, avevo immaginato non era poi così importante. La cosa più importante era la disposizione interiore, l'atmosfera nella quale tali elaborate fantasie prendevano corpo. E quella disposizione era impeccabile, quando andai a trovarlo: temprata nell'animo, forte e pura, estremamente consapevole di quello che volevo e di quello che non volevo; immacolata, per così dire. E portavo con grande cura nella borsa quei teneri gigli di valle.

Quando entrai, quel dannato era di nuovo così distante, ma stavolta, tanto per cambiare, mi feci un po' più distante di lui, e pur stringendogli la mano con grande calore, assunsi un'aria di fredda riservatezza. Per una frazione di secondo mi lanciò uno sguardo indagatore ma fallì nel cercare un appiglio, e questo aggiunse all'incontro un elemento ludico: mi accorsi che la lotta era sul punto di iniziare, ero “pronta” ad affrontare sia lui sia la lotta. Fu un'ora molto piacevole, rigorosa, professionale e ricca di forti emozioni represse. Lui esordì in modo molto sobrio: Quel sogno, ne dobbiamo ancora discutere. Io dimenticai tutte le cose che volevo dirgli e fui subito coinvolta, assorbita, e mi interessai in modo quasi scientifico a un sogno dal quale emergeva così tanto: la mia disposizione nei confronti dell'ebraismo, la mia inclinazione infantile a guadagnarmi da vivere con le attività più improbabili, la mia affettazione; in breve, potrei scrivere un pamphlet interessante se rielaborassi nel dettaglio la nostra conversazione. Ne ho ricavato una maggiore lucidità e consapevolezza, ma non prima di stamattina presto, a letto. In ogni caso, per mettere ogni cosa nero su bianco, dovrei disporre di miglior talento e minor pigrizia, ma per il momento sono già contenta di sapere che tutto questo è dentro di me. Un bel momento scaturì da quei fragili gigli che, ormai sgualciti, profumavano dalla mia borsa disordinata. Il pezzo di carta nel quale erano avvolti sporgeva dalla borsa e lui d'un tratto chiese: “Che cos'ha lì?”. Dovevo avere un'espressione piuttosto confusa, visto che lui esplose in una risata e mi disse: “Perché fa quella faccia buffa?”. Poi, molto timidamente, tirai fuori i gigli di valle, davvero commoventi e teneri, dicendo più o meno che non avevo osato darglieli perché lui mi aveva proibito di portargli in continuazione dei fiori, ma che questa volta non ero proprio riuscita a trattenermi. La risata di quell'uomo è già di per sé un elisir rinvigorente: così piena di gioia di vivere, di calore e intensità, che chiunque ne trae allegria. Quel riso rese l'atmosfera un po' meno fredda, veicolando un amichevole calore, anche se noi restammo comunque molto tesi e controllati. I suoi occhi mi apparivano più limpidi e raggianti del solito, e io percepivo che stava succedendo la stessa cosa con i miei. In quell'ora e mezzo non ci fu quasi alcun contatto fisico. Nel corso di quell'accesa conversazione, la mia mano si sarà pure fermata nella sua per un momento, ma questo non significa niente per lui ed è un gesto quasi impersonale. Bene, alla fine me ne andai via con una stretta di mano energica e uno sguardo limpido, e ora devo solo aspettare di vedere cosa accadrà la prossima volta. Non continuerò a prefigurarmi i nostri incontri: andrà sicuramente bene come andrà. La cosa principale è che sto cominciando a sentirmi alla sua altezza. Qualcosa di carino sta capitando alla mia faccia. È come se cominciasse a emergere dallo sfondo; i contorni si fanno più definiti, l'espressione più intensa, e la bocca è davvero molto bella: piena di espressione e sentimento, ma non troppo, forte ma non per questo meno femminile. Ieri ho osservato a lungo la mia bocca allo specchio e quello che vedevo mi è piaciuto parecchio. Era come se d'un tratto si stagliasse più sicura e schietta sul mio viso. In passato appariva molto più nascosta sul volto, quasi impaurita, mentre adesso comincia a sbocciare. Marjo ha appena chiamato per chiedermi di andare da lei; vado immediatamente. Sabato, le otto di sera Devo badare a tenermi in contatto con questo quaderno, vale a dire con me stessa: altrimenti potrebbe andar male, potrei smarrirmi in ogni momento, anche adesso mi sento un po' così, ma forse è solo stanchezza. Domenica 23 marzo [1941], le quattro È tutto sbagliato un'altra volta. “Io voglio qualcosa e non so che cosa”. Di nuovo mi sento presa da una grandissima irrequietezza e ansia di ricerca, tutto è in tensione nella mia testa. Penso con una certa invidia alle ultime due domeniche: le giornate si stendevano dinnanzi a me come grandi, aperte pianure che potevo attraversare liberamente, erano prospettive ampie e sgombre. E ora mi ritrovo in mezzo agli arbusti.

Etty, che patetica rompiscatole sei ad averlo appena chiamato! Mal di testa, appunto! E non sei riuscita a cavartela da sola: quella sciocca agitazione. Adesso, però, devi proprio riprendere il controllo di te stessa senza desistere, altrimenti finisci di nuovo in un vicolo cieco. Si è fatto un gran parlare del mio “cuore nervoso”, e ora mi rendo conto che è maledettamente nervoso. È soltanto per via della sciocca soirée musicale di stasera? Dipende da questo il ripugnante miscuglio di ogni sorta di infimi pensieri e piccole preoccupazioni che mi turbina in testa, tanto che non riesco più a respirare? Mi preoccupo dell'abito da indossare e se mi troveranno simpatica, e di come si comporterà lui nei miei confronti, ecc. In questo momento non riesco a capire me stessa. Fino a ieri la vita fluiva senza intralci, e io fluivo insieme a lei, per dirla adesso in maniera enfatica. Ma ora ogni cosa è di nuovo tesa. E avevo così tanto da scrivere, ma non riesco a liberarmi di nulla: è come se tutto fosse incastrato in mezzo a blocchi di granito. In ogni caso, ora vado a trovarlo alle sei meno cinque, siamo d'accordo. Oggi va così, smetto di scrivere, non c'è più nulla che io possa fare per il momento. Gli ho passato la responsabilità della situazione, vediamo se lui riesce a tirarne fuori qualcosa di buono. In questo momento non penso a lui con sentimenti caldi o amichevoli, piuttosto con una sorta di indifferenza, quasi di avversione. Potrebbe anche darsi che io abbia chiesto troppo a me stessa lo scorso venerdì pomeriggio e che adesso lui sia per me troppo “difficile”. Sì, avversione, è naturale, perché dipendo così tanto da lui che, non appena le mie tensioni interiori si fanno troppo grandi, corro al telefono per chiedergli aiuto. E ora mi sono allontanata davvero molto dalla benedetta sensazione di “essere assoggettata alle cose”. Non capisco più come mi sia potuta sentire così la scorsa settimana: tanto serena, seduta sul secchio dell'immondizia al sole, e poi con Kees sulla veranda. Tutto è cominciato ieri sera, quando l'irrequietezza ha preso a salirmi dentro da ogni parte come i vapori da una palude. Volevo fare un po' di filosofia - ma no, meglio quel saggio su Guerra e pace, oppure no, Alfred Adler è più adatto al mio umore. E poi ho finito per leggere quella storia d'amore indù. Ma stavo semplicemente lottando contro una naturale spossatezza a cui mi sono saggiamente arresa, alla fine. E stamattina sembrava che andasse bene per un po'. Mentre pedalavo per l'Apollolaan, tuttavia, è ricominciata quella scontentezza, quel cercare irrequieto e sentire il vuoto dietro le cose, sentire che la vita non trova un suo compimento ma è un rimescolio senza costrutto. E in questo momento sono nella palude. E neppure il pensiero che anche questo passa, dopo tutto, riesce a darmi un po' di pace. La mattina da Leonie Wolff è stata davvero molto piacevole. Che tipo indiavolato e divertente. Ha un che di “metallico” negli occhi e nella voce, e una gioia di vivere davvero contagiosa. Quando ho provato a coinvolgerla in una seduta come “oggetto d'analisi” di S. e mi sono messa a raccontare di questo signore che lavora con le mani della gente, lei ha detto d'improvviso: Intendi il signor S.? Sì, proprio lui, lo conosci forse? No, ha detto lei, ma ne ho sentito parlare moltissimo; una mia amica è stata da lui una volta e lui, sulla base del dorso della sua mano, è riuscito a dirle che la frutta per lei è più salutare se mangiata prima e non dopo i pasti. Ed era proprio vero! Ci siamo fatte un sacco di risate su tutta la faccenda. Odio me stessa e non ho più niente da dire! Lunedì mattina [24 marzo 1941], le nove e mezzo Niente più sciocche scuse, adesso, ragazzina, vai avanti, hai di nuovo in mano le redini, quindi non allentare la presa. Niente ti viene dato per niente, nemmeno per un minuto. Ora però sei tornata sulla retta via. Quella cucina messa in ordine è lo specchio della tua mente ben ordinata. Domenica scorsa ho detto a Pa Han: “Vai di sotto e dai uno sguardo alla cucina pulita, è una copia, una fotografia del mio stato mentale”. E soltanto ieri, prima di uscire per la serata musicale, quella cucina era un caos infernale. Ma stamattina per prima cosa ho lavato le pentole e il piano di lavoro e, appena il disordine è sparito, mi sono sentita di nuovo un po' calma. Poi ho fatto ginnastica e adesso sono tornata alla mia scrivania, non ancora del tutto in pace e lontana da un senso di ampiezza interiore, ma vedrò di recuperare la calma nel corso della giornata. Ieri il cuore ha cominciato a battere tanto forte che sembrava dovesse uscirmi dal petto: scrutava il

futuro, mentre io non volevo proprio occuparmi di ciò che stava sotto al mio naso. Nei giorni buoni, invece, ciò che mi stava davanti riusciva sempre a colmarmi, in ogni momento, e non pensavo mai a quel che sarebbe potuto accadere nel momento successivo, il pomeriggio o la sera dopo, e in tal modo affrontavo a mente libera ogni istante della giornata, scevra da qualunque arrovellamento pregresso. In quei frangenti la vita mi sembrava estremamente ricca e io ero molto forte; ma ieri l'antico scompiglio mentale si è ripresentato. Ciò che intendo dire è che non riesco a riempire ogni momento; mi tocca invece affrontare uno spazio in cui mi lambicco il cervello e dal quale mi sporgo a osservare gli spazi successivi, sicché tutto mi sembra assolutamente caotico; dietro a tutte le cose si apre un vuoto, e la domanda che mi perseguita è: Che significa tutto questo, e la vita vale davvero la pena di essere vissuta? Sarebbe invece necessario vivere con pienezza, in modo che una simile domanda non abbia la benché minima possibilità di sorgere nel proprio io, e si dovrebbe traboccare di vita e di pace al tempo stesso. Mi pare di aver cominciato a farfugliare sciocchezze e di certo non rileggerò questa pagina molto presto. Ieri, mentre pedalavo per recarmi da lui, in realtà ero già abbastanza tranquilla. Almeno in parte, le ragioni del mio nervosismo mi si erano chiarite: la soirée musicale; lui e quel paio di donne bionde tanto cordiali; per me, solo un mondo chiuso, ermetico, nel quale ero sul punto di entrare e che dovevo conquistare in un modo o nell'altro. E poi: lo avevo conosciuto solo tra le quattro mura della sua stanza, negli stretti limiti dei nostri incontri di un'ora e mezzo. Come sarebbe stato lui ora, accerchiato da una folla di altre persone? La forza magica della sua personalità non l'ho granché avvertita, ieri sera: ero infatti in grado di osservarlo con distacco e una certa freddezza. È una brava persona, ma non me lo augurerei certo come compagno. Neppure il suo canto mi ha impressionata più di tanto: non mi riusciva proprio di avvertirvi la sua personalità. Mi sembrava piuttosto una specie di tenore eroico distante: già, lo trovavo proprio spiacevole, o forse neanche questo, mi era solo indifferente. In realtà, quando ascoltava gli altri, ricompariva quella sua faccia straordinariamente espressiva, più affascinante di qualunque altra cosa. Ieri, alle sei meno cinque, è stato rigenerante avere la sua grande mano calda sulla mia testa, la sua bocca amichevole e malinconica vicina, ma non minacciosa: piuttosto qualcosa di familiare e caro da guardare. “Perché non è venuta da me questa mattina?”. “Perché stavo ancora facendo la guer-rr-a con me stessa” ho detto enfatizzando la mia “r”. “In realtà sono molto arrabbiata con me stessa, perché sono venuta da lei, così, senza il minimo autocontrollo”. “Ma lei non deve essere arrabbiata per questo. Ciò significa che è tesa, e anche questa tensione fa parte della sua natura olandese”. Quel caro uomo ha ragione in pieno: in realtà io potrei essere una persona tremendamente carina - e lo dico con tutta la modestia possibile - ma prima devo sradicare da me stessa ogni elemento di tensione e paura, e tutto l'innaturale che mi porto dentro e, maledizione, tutto questo sarà di certo sradicato. Una volta, sulle scale dell'università, Hans du Puis mi ha detto: “Sei una persona davvero radiosa”. Credo sinceramente che potrei esserlo, potrei anche dare un po' di forza alla vita degli altri ed essere davvero felice, perché anche l'autentica felicità è un traguardo: essere davvero felice dentro, accettare il mondo di Dio e goderne senza voltare le spalle a tutta la sofferenza che vi regna. È una così triste orda, l'umanità oggi: tanto poco felice di vivere, nel vero senso della parola, e tanto poco radiosa. Un cumulo di piccoli complessi e preoccupazioni triviali, basse invidie, matrimoni infelici e figli malriusciti, ecc. Eppure, anche se abiti in un sottotetto e mangi solo pane secco, vale comunque la pena di vivere. E sebbene questi tempi rendano difficile l'esistenza, impedendoci di vivere appieno, non dovremmo comunque farne una tragedia o lasciare che tutto vada tristemente in malora. Anche questo fa parte della vita e non si può stabilire se la rovina debba colpire me o un'altra persona, ma non bisogna prendersi troppo sul serio nemmeno in tal caso. Adesso i rami di castagno sono sul piccolo tavolo bianco. Dai rametti più scuri e spogli fiorirà la vita più radiosa e gradevole. E poi c'è il sorriso infinitamente dolce di Tideman, che sboccia sul suo viso scialbo ogni volta che comincia a cantare; e, ancora, gli occhi brillanti e limpidi di Han, e il viso segnato dal tempo e affascinante, eppure anche tanto indifeso, di S.: ci sono molte altre cose attorno a me e la vita è ricca, sebbene debba essere conquistata minuto per minuto. E adesso al

lavoro! E conserva la pace e non dimenticare Dio nel frattempo. Un po' più tardi, una semplice notazione tra due frasi di un tema È strano, ma in qualche modo S. rimane un estraneo per me. A volte, quando sfiora il mio viso con la sua grande e calda mano, o le mie ciglia con la punta delle dita in quel suo gesto irripetibile, mi viene poi da ribellarmi: chi ti dice che puoi, chi ti dà il diritto di toccarmi? Ora credo di capire. La prima volta che avevamo fatto la lotta era stata una cosa simpatica, sportiva, un po' inaspettata per me, ma “ci ero entrata” molto in fretta e avevo pensato: si vede che fa parte della terapia. E difatti era così, come S. aveva constatato con distacco a lotta finita: Corpo e anima sono una cosa sola. Certo che ero stata toccata nei miei istinti erotici, ma vedendo S. così oggettivo mi ero prontamente ripresa. Più tardi, quando eravamo di nuovo seduti uno di fronte all'altra, lui aveva detto: senta un po', spero che questo non la turbi troppo, in fin dei conti io l'afferro dappertutto, e ad esempio di ciò mi sfiorava un momento il petto, le braccia e le spalle con le mani. Io avevo pensato all'incirca: sei un bel tipo, devi sapere maledettamente bene quanto io sia anregbar, “eccitabile” eroticamente, visto che me l'hai raccontato tu stesso; in ogni caso, sei onesto a parlarne apertamente, e per me, io vado a posto di nuovo. S. aveva aggiunto che non dovevo innamorarmi di lui, che lo diceva sempre all'inizio di una terapia. In fondo era un comportamento responsabile, anche se non mi aveva fatto del tutto piacere. Ma la seconda volta era stato molto diverso. Anche S. era diventato “erotico” allora, e quando a un certo punto si era trovato steso sopra di me e aveva mandato dei piccoli gemiti e gli erano venute le più antiche convulsioni del mondo, allora io avevo avuto dei pensieri proprio bassi, come i miasmi che esalano da una palude, avevo pensato all'incirca: bel modo di curare i pazienti, così tu hai pure il tuo piacere e per giunta ti pagano, anche se poco. Ma il modo con cui le sue mani mi avevano afferrata durante quella lotta, i gesti con cui mi aveva morsicato l'orecchio o preso il viso con la sua grossa mano, tutto questo mi aveva fatto impazzire, avevo in tutti quei gesti sentito il tocco di un amante esperto e affascinante. Allo stesso tempo, non mi era affatto piaciuto che approfittasse della situazione. Però alla fine quel senso di avversione era sparito, e più tardi si era creata fra noi una familiarità, un contatto personale come non è mai più capitato. Mentre eravamo ancora coricati per terra lui aveva detto: “Non voglio avere una relazione con lei”. E anche: “Devo confessarle sinceramente che lei mi piace molto”. Poi aveva aggiunto qualcosa sui temperamenti simili. E un po' più tardi: “Adesso mi dia un bacetto amichevole”, ma in quel momento non ero certo pronta e avevo timidamente girato la testa. Lui, invece, era di nuovo se stesso e aveva osservato con naturalezza, quasi riflettendo fra sé: “In fondo è così logico; sa, io sono stato un ragazzo abbastanza trasognato”, e poi seguiva un pezzo della sua vita. Lui parlava e io ascoltavo con abbandono, ogni tanto mi prendeva molto teneramente il viso con la mano. E così me ne sono tornata a casa con l'animo pieno dei sentimenti più contraddittori: ribellione per il suo basso comportamento, tenerezza, amicizia buona e umana, e un gran fantasticare erotico sollecitato dai suoi gesti raffinati. Per un paio di giorni non avevo potuto fare nient'altro che pensare a lui: pensare non è la parola giusta, era piuttosto una soggezione fisica. Il suo corpo grosso e agile mi minacciava da tutte le parti, era sopra di me, sotto di me, era dappertutto e minacciava di schiacciarmi, non potevo più lavorare e pensavo con orrore: Dio mio che cosa ho combinato, sono andata da lui per farmi curare psicologicamente, per trovare un po' di chiarezza in me stessa, e ora mi capita questo ed è peggio che mai. Avevo vissuto pensando al nostro prossimo incontro a casa sua e mi ero messa in testa delle grandi idee erotiche, e questa era stata la famosa volta in cui portavo i pantaloni da ginnastica sotto la gonna di lana, quando le mie sfrenate fantasie erano andate a sbattere violentemente contro il suo realismo oggettivo. Adesso capisco. S. nel frattempo si era ripreso e aveva recuperato la sua obiettività, anche lui aveva combattuto la sua battaglia. Mi aveva chiesto: Ha pensato a me in questa settimana? Io ero rimasta nel vago e avevo chinato la testa, mentre lui aveva soggiunto, molto schiettamente: A dire il vero, io ho pensato moltissimo a lei nei primi giorni di questa settimana. Bene, poi seguì un'altra lotta, ma di questo ho già scritto abbastanza, era una cosa disgustosa e io ebbi quella crisi. S. non sa ancora perché mi sia comportata in modo così rigido

e strano, crede che fosse la mia eccitazione erotica. Ma anche i suoi conflitti erano venuti allo scoperto quella volta, infatti disse: Anche lei è un compito per me, e mi raccontava che era fedele alla sua amica già da due anni, malgrado il suo forte temperamento. Ma io trovavo un “compito” una cosa così neutrale e oggettiva, io volevo essere “io” per lui; ero la bambina viziata che voleva “avere” quell'uomo, anche se il mio cuore non era d'accordo: nella mia fantasia avevo già deciso che S. sarebbe stato il mio uomo e che lo volevo conoscere come amante, punto e basta. Non vivevo molto in alto in quel momento, ma di questo ho già scritto. E ora mi sento pari a lui, sento che la mia lotta bilancia la sua, che anche in me gli istinti impuri e quelli più nobili si danno battaglia. Ma per il fatto di essersi scoperto tutt'a un tratto come uomo, di aver gettato deliberatamente la maschera di “psicologo” e di essere diventato persona, S. ha perso un po' della sua autorità - mi ha resa più ricca ma in qualche modo mi ha inferto un piccolo colpo, una piccola ferita che non è ancora del tutto guarita e che me lo fa sentire ancora sempre estraneo: chi sei tu, e chi ti dice che puoi immischiarti nei fatti miei? Rilke ha scritto una splendida poesia su questo stato d'animo, spero di ritrovarla una volta o l'altra. Dopo aver cercato un po', ho trovato la poesia di Rilke a cui stavo pensando. Me l'aveva letta Abrascha diversi anni fa, era una sera d'estate sullo Zuidelijke Wandelweg, per qualche oscura ragione pensava che quella poesia si adattasse a me: chissà, forse perché continuavo a sentirlo estraneo malgrado l'intimità che c'era allora fra noi. Ora comincio a vedere questa mia ambivalenza, grazie anche al mio “attrito” con S. e alla chiarificazione che ne è seguita. Qui interessano le ultime due righe: E udì estranea un estraneo che diceva: Iosonoaccantoate Il rapimento Spesso da piccola alle sue serve era sfuggita per guardar fuori (perché dentro sono così diversi) la notte e il vento là dove hanno origine; ma mai certo una notte di bufera aveva dilaniato il parco immenso come lo lacerava la sua coscienza ora mentre lui dalla scala di seta la toglieva e la portava sempre più lontano: finché non ci fu più che la vettura. E lei odorò la vettura nera che l'agguato insidiava e il pericolo. E le sembrò tappezzata di gelo; e il freddo e il nero erano anche in lei. S'avviluppò nel collo del mantello e si tastò, quasi stesse per lasciarli, i capelli, e udì estranea un estraneo che diceva: Iosonoaccantoate. Le nove di sera Eppure lui è un tesoro! Sto cominciando gradualmente a vederlo nella giusta prospettiva: non sono innamorata di lui ma certo subisco il suo fascino, e lui è senza dubbio il primo valido compagno con cui io mi sia mai imbattuta. Se in passato ritenevo qualcuno attraente, in genere mi lasciavo subito coinvolgere e il contatto si rivelava di solito deludente. Lui è il primo a lottare contro i propri istinti impuri, e ha insegnato anche a me come combatterli, già solo grazie alla forza della sua personalità.

Adesso c'è tensione, pienezza, molte possibilità all'orizzonte e una lotta dignitosa che nobilita. Nel profondo del mio cuore sono orgogliosa di riuscire a portare avanti una simile relazione. Quando sto bene, non ho proprio nulla in comune con quella che sono quando invece non sto bene. Ieri mi sentivo tanto oppressa e misera che non riuscivo a trarre la benché minima forza dalla me stessa dei giorni precedenti. Come se fossi stata una persona totalmente diversa, una giovane donna felice, con la quale non avevo più nulla a che spartire. In certi momenti ti convinci davvero che felice e sicura di te, come sei stata in precedenza, non lo sarai mai più, e anche se la tua testa ti dice che lo sarai, in fondo non riesci proprio a crederci. E adesso che sono di nuovo traboccante di speranza, forza e genuina voglia di vivere, mi sento un po' disorientata se penso alla povera creatura di ieri pomeriggio. E, tuttavia, dovevo essere misera come ieri, per diventare ciò che sono oggi, perché ho fatto un altro piccolo passo in avanti; da stamattina c'è di nuovo una grande chiarezza nella mia testa e quindi mi sento molto più sicura di me stessa, e le cose andranno avanti così. Adesso vado a coccolarmi un pochino con Durant, anche se farei meglio a studiare un po' di antico bulgaro, ma al momento sto troppo bene per affrontare quella parte del mio studio. Oggi non ho fatto altro che lavorare su me stessa, ma domani dovrò ricominciare con il lavoro vero, altrimenti tutto quello che faccio non avrà più alcun senso. Tieni duro, ragazza! Martedì 25 marzo [1941], le nove di mattina Il suo potente labbro inferiore tremava di collera. È certo un'espressione un po' forte, di buon mattino, subito dopo colazione, ma è venuta fuori proprio così dalla mia stilografica. È successo durante la serata musicale: si stava discutendo di politica e sparlando dei tedeschi, e lui all'improvviso ha detto: Ma non è possibile che siano un intero popolo di criminali; e la sua bocca pesante era scossa da un tremito di rabbia elementare. Io sedevo vicino a lui e ho visto, in tutta la sua concretezza, la nobile indignazione sul suo pesante labbro inferiore, scosso da violente forze interiori. In quel momento ho avvertito tutta l'intensità di quell'uomo vitale. Gli altri continuavano a lamentarsi della politica perché ciò rientra inevitabilmente nelle conversazioni di questi giorni, ma lui coglieva ogni singola parola - in particolare alcune notizie che uno dei presenti aveva sentito direttamente da soldati tedeschi -, reagendo con tutto il suo essere. Nella mia vita è successa una cosa estremamente importante, una cosa davvero fondamentale: adesso dormo con la finestra aperta! Una volta o l'altra dovrò rileggere quella poesia di Jac. Bloem: un poeta lo dice sempre meglio di quanto non possa fare io. E adesso devo riprendere Lermontov. Le cinque e mezzo In realtà sarebbe meglio che tu fossi una qualsiasi prostituta da strada o una vera santa: allora saresti in pace con te stessa, perché sapresti perfettamente cosa ti sta succedendo. L'ambivalenza che c'è in me è sconvolgente. Anni fa ho scritto nel mio diario di ragazzina: Da una parte, vorrei fare della mia vita un tutto resistente e limpido e pieno, ma, dall'altra, potrei andare a letto con il primo uomo che incontro per strada. Ed è ancora così, a dire il vero. So che domani mi preparerò e mi vestirò nella maniera più seducente possibile, e poi gli dirò che voglio solo un'amicizia pura e dignitosa. Tuttavia, mentre lo dico e pur credendoci davvero, desidero al tempo stesso che lui mi stringa forte tra le sue braccia: mi sento così anche adesso. Ieri mi sentivo tanto forte e umana nei suoi confronti, ma ora sono di nuovo un diavoletto indispettito. Proprio un attimo fa, mentre stavo riposando sul divano, il suo viso mi è d'un tratto comparso davanti, com'era quella domenica sera: gli occhi molto profondi e caldi, pieni di misteri che volevo conoscere un uomo tutto d'un pezzo, con tanta esperienza e con una lunga vita alle spalle, e allo stesso tempo un uomo dalla straordinaria sensibilità e intrinsecamente buono, con una devozione faticosamente conquistata. E adesso questa visione mi perseguita, come una terribile tentazione. Che sciocca, perché durante quella serata ci sono stati anche momenti in cui ho pensato che lui fosse solo un brutto vecchio signore, per niente attraente; e, mentre cantava, era per me soltanto un totale estraneo, con una bocca che mi sembrava tanto sgradevole che avrei preferito non

guardarla. Ebbene, la vita è proprio estenuante. Ma vediamo cosa porterà il domani... Di sera, le nove Mio Dio, com'è potuto succedere? Van Wijk ci ha lasciati. Lo smarrimento è tanto grande che mi sento totalmente stordita. Non si riesce neanche a guardare nel vuoto che all'improvviso si è aperto davanti. Non capisco, continuo a ripetere a me stessa che non ci capisco assolutamente nulla. Un intero mondo di sapere scientifico è crollato in un istante, così, senza far rumore. Mi sembra più tremendo dell'intera guerra, anche se so che in futuro dovrò rimangiarmi queste parole. In questo momento ci sono professori imprigionati nei campi di concentramento in Germania, professori e studiosi vengono annientati, ma tutto questo accade per motivi politici, accade secondo la logica degli eventi, fa parte della nostra storia: si può partecipare, indignarsi, agire e talvolta aiutare; questo invece è semplicemente incredibile: malato per un paio di giorni e poi morto. Un intero universo è crollato. A ciò non si può più porre rimedio. Il giorno del suo compleanno egli aveva detto, così felice e ottimista: Posso andare avanti ancora per dieci anni. E questi dieci anni sono andati persi per sempre. Un mondo di sapere e scienza è crollato, e il vuoto non può essere più colmato: quest'uomo non aveva rivali in Europa e rimarrà insostituibile probabilmente per decenni. I nostri studi di slavistica hanno perso il principale, in realtà l'unico, punto di riferimento. È, così strano: ho seguito i suoi corsi solo per tre mesi, e solo per un'ora alla settimana, e tuttavia anche per me è andata distrutta una parte di mondo, e adesso me ne sto qui a osservarlo, sconvolta e sgomenta. Mi ero affezionata a lui solo di recente, durante la mia ultima visita nei giorni degli scioperi, quando aveva chiesto d'un tratto ad Aimé: Hai una stufa nella tua camera? E più tardi: Sì, il viaggio a L'Aia è costoso, vero? Altrimenti, ti direi, perché non fare visita a Zatskoy? In quel momento, sebbene sposato con la sua scienza, quell'uomo si era mostrato così pieno di commovente attenzione paterna da entrarmi nel cuore per sempre. E comunque non potrei mai dimenticare quell'ultima visita. Giorni turbolenti e fragorosi nella politica, scioperi, agitazione, tensione, entusiasmo, ecc. E poi, in mezzo a tutte quelle tensioni, la camera sobria e antiquata, quasi toccante, di Van Wijk, e lui dietro una scrivania ridicolmente piccola, con una ruga perpendicolare sulla fronte, ma più cordiale che mai; pur essendo completamente coinvolto negli eventi dell'università, conservava sempre il suo atteggiamento dignitoso. In realtà, tutta quell'agitazione era una spiacevole intrusione nel suo distaccato mondo accademico e, tuttavia, questa figura elevata, con tutto il suo decoro, si dichiarava solidale con gli autori della protesta. E quando, nel corso della nostra conversazione, io mi feci scappare le parole be', a patto che, ovviamente, i miei studi vadano comunque a buon fine, lui mi guardò un po' stupito, con le sopracciglia alzate come se io avessi fatto un'osservazione inopportuna, e aggiunse: Be', se la plebaglia va al potere, di sicuro nulla avrà più importanza. In quel momento ebbi la mortificante impressione di aver detto qualcosa di terribilmente volgare: che la scienza sarebbe comunque andata avanti, qualunque cosa fosse accaduta, ecc. Dopo di che mi strinse la mano nella sua camera e, nonostante la gamba claudicante, accompagnò Aimé e me per tutta la lunghezza del corridoio, in mezzo alle file di libri, e, sulla porta, mi strinse di nuovo la mano: l'ultima stretta di mano, che non dimenticherò mai. Non perché avessi un legame tanto forte e personale con lui, ma per il grande rispetto da me nutrito nei confronti di quell'uomo: ho sempre considerato un privilegio straordinario il fatto di poter sedere su quella scricchiolante poltrona crapaud nel suo studio, mentre venivo iniziata ai misteri della linguistica. Quelle lezioni a casa sua erano davvero qualcosa di unico: la donnina Verheij, l'amabile e grassottella Emilie e io su quel sofà démodé, con il drappo di pizzo sullo schienale. Il grazioso Hommerson, il piccolo russo balbettante Rodenko e il gogoliano Aimé, un po' criptico e freddo, immersi nelle pieghe di poltrone centenarie. E lo stesso Van Wijk sprofondato in un'altra poltrona. Per non parlare di quella ridicola piccola lavagna accanto al pianoforte a coda: Van Wijk vi stava puntualmente davanti, coprendola per intero con il corpo, in modo che nessun essere umano sarebbe mai riuscito a leggere i segni enigmatici che lui vi aveva tracciato. E, ancora, quel pannello sopra il camino, coperto in lungo e in largo di ritratti vecchio stile; e le facce familiari di Tolstoj e Dostoevskij, e gli alberi secolari nel giardino attorno

alla casa; e noi, una manciata di studenti che si sentivano dei prescelti per il semplice fatto di poter essere lì con lui. E Van Wijk, tanto riservato e imperscrutabile, ma anche capace di passare da un'estrema amabilità a una freddezza glaciale. Allora compariva quella ruga tra i suoi occhi, e gli occhi stessi diventavano glaciali: non era spiacevole, anzi quasi grandioso. Una luce appariva poi in quegli occhi grigi, ogni volta che qualcuno faceva una domanda con un trasporto particolare. E la sua voce leggermente ironica, forse solo un tentativo di camuffare un'insuperabile timidezza. Papà ha colto nel segno, scrivendomi di lui, solo la settimana scorsa: “Torna presto da Van Wijk: non devi essere così timida; lui lo è almeno quanto te”. Sì, è probabile che lo fosse. La grande casa con il vecchio giardino (dove mi aveva ricevuta quella sera d'estate, per la prima volta, offrendomi del tè), la sua imponente governante e l'“egiziano” che conosceva il sanscrito e con il quale abitava; lo stesso Van Wijk - celibe, claudicante, austero, completamente immerso nella sua scienza - che lavorava sempre fino a notte fonda, seduto a quella scrivania ridicolmente piccola ricoperta di pile di libri e carte, sulla quale ogni volta doveva liberare uno spazio per mettersi al lavoro; il logoro pianoforte a coda nell'angolo (pare che lui sia stato molto dotato), quel lungo corridoio di marmo con la libreria e le file di libri che ne coprivano le pareti. Era un mondo a sé con una sua propria atmosfera: una piccola oasi di pace e rigenerazione, piena di rispetto per lo studio e di affetto per quella figura strana e solitaria, estremamente amabile eppure in un certo senso insondabile, proprio perché unica. E tale mondo adesso è crollato: non riesco ancora a rendermene conto del tutto. Mi mancherà Leida, quella cittadina trasandata, con i suoi canali e i suoi vicoli. E dopo l'ora di lezione, che di solito si prolungava nella sua camera silenziosa, finivamo sempre da Heck, dove Aimé, Jo e io ci immergevamo di colpo in un'atmosfera alquanto diversa. E là, mangiando ogni sorta di porcherie, riflettevamo ancora a lungo su Van Wijk, e cercavamo di approfondire tra noi, davanti a una tazza di caffè, la sua personalità, e poi andavamo a fare un giretto; e, ancora, le mie conversazioni colte con Aimé su Gogol', e senza dimenticare Wils - splendidi occhi blu e capelli color cenere -, ovvero la ragazza senza le braccia, segnata dal destino: quanto mi mancherà tutto questo! E tuttavia, l'unica cosa a cui non si può più porre rimedio è quel patrimonio di sapere che è di colpo scomparso e dal quale tutti noi avevamo ancora tanto da imparare. In qualche modo mi sento amputata io stessa. Certo, ci sono ancora i suoi libri e le nostre menti avide di sapere, ma ciò non potrà mai sostituire quell'uomo. Oggi pomeriggio ho scritto un racconto breve su prostitute e santi, ma è ben poca cosa se paragonata al disorientamento che sto provando in questo momento. Siccome sono ancora tanto giovane, e ho la volontà indistruttibile di non lasciarmi metter sotto; e siccome ho la sensazione di poter contribuire anch'io a colmare le lacune recenti - e me ne sento la forza -, per tutti questi motivi io mi rendo appena conto di quanto poveri siamo diventati noi giovani, quanto siamo rimasti soli. O è ancora una forma di stordimento? Bonger è morto; Ter Braak, Du Perron, Marsman, Pos, Van den Bergh, e molti altri sono in campo di concentramento; ecc. ecc. Anche Bonger è indimenticabile per me (strano come tutto questo mi torni alla mente di colpo, dopo la morte di Van Wijk). Mancavano poche ore alla capitolazione. Ed ecco la figura pesante, goffa, chiaramente riconoscibile di Bonger che se ne andava lungo l'IJsclub, occhiali azzurri su quella testa pesante e originale; guardava le nuvole che da lontano sovrastavano la città, provenienti dal porto delle petroliere dato alle fiamme. Non dimenticherò mai quella scena - quella figura goffa, con la testa di traverso, che guardava le nuvole di fumo in lontananza. In uno slancio spontaneo ero corsa fuori senza mantello, l'avevo raggiunto e gli avevo detto: buongiorno, professor Bonger, ho pensato molto a lei in questi ultimi giorni, l'accompagno un pezzetto. E lui mi aveva guardata di traverso coi suoi occhiali azzurri e non aveva la minima idea di chi potessi essere, malgrado due esami e un anno di lezioni; ma in quei giorni c'era una familiarità così grande tra le persone, che avevo continuato a camminargli accanto. Non ricordo con precisione il nostro dialogo. Era il pomeriggio in cui tutti cercavano di fuggire in Inghilterra; gli avevo chiesto: crede che abbia senso fuggire? E lui: la gioventù deve rimanere qui. E io: crede che la democrazia finirà per vincere? E lui: vincerà di certo, ma alcune generazioni ne faranno le spese. E quel feroce Bonger era indifeso come un bambino, era quasi dolce; io avevo sentito il bisogno irresistibile di mettergli un braccio intorno alla vita e di guidarlo come un bambino - e così, col mio braccio intorno a lui, avevamo camminato lungo l'IJsclub. Sembrava affranto, era pieno di benevolenza.

Tutta la sua passione e la sua virulenza si erano spente. Il cuore mi si gonfia quando penso a com'era quel giorno, il burbero delle nostre lezioni. E arrivati allo Jan Willem Brouwersplein lo avevo salutato, mi ero piantata davanti a lui e gli avevo preso una mano fra le mie, lui aveva chinato un po' il capo con tanta gentilezza, mi aveva guardata attraverso gli occhiali azzurri che gli nascondevano gli occhi e mi aveva detto, quasi con comica solennità: mi ha fatto piacere! E la prima cosa che avevo sentito la sera dopo, arrivando al corso di Becker, era stata: Bonger è morto! Io avevo replicato: non è possibile, gli ho parlato ieri sera alle sette. E Becker: allora lei è stata una delle ultime persone che gli hanno parlato. Alle otto si era sparato alla testa. E dunque una delle sue ultime parole era stata per una studentessa sconosciuta, che lui aveva guardato con benevolenza attraverso un paio di occhiali azzurri: mi ha fatto piacere! Bonger non è l'unico. È tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora andrò avanti anch'io. Restiamo senz'altro un po' impoveriti, ma io mi sento ancora così ricca, che questo vuoto non m'è entrato veramente dentro. Però dobbiamo tenerci in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà; non si può vivere solo con le verità eterne: così rischieremmo di fare la politica degli struzzi. Vivere pienamente, verso l'esterno come verso l'interno, non sacrificare nulla della realtà esterna a beneficio di quella interna, e viceversa: considera tutto ciò come un bel compito per te stessa. E ora leggo ancora una stupida novelletta dalla rivista “Libelle”, e poi a dormire. Domani si lavora di nuovo, alla scienza, alla casa, e a me stessa; non si può trascurare nulla e non si può neppure prendersi troppo sul serio, buona notte. Mercoledì mattina, 26 marzo 1941 FRASE RUSSA, (“Cari genitori”) non riesco a descrivere lo sconforto che ho provato nel leggere l'inaspettata notizia della morte di Van Wijk. Non riesco a superarlo. In una sorta di stato confusionario, mi sono subito recata da Becker che, come me, quasi non voleva o non riusciva a credere alla notizia. Una studentessa di Leida mi ha appena scritto che era malato solo da sabato. Certamente di questi tempi c'è tanta sofferenza e dal 10 maggio abbiamo perso così tanti cari, ma questo è totalmente diverso: non ha niente a che vedere con i giorni tumultuosi che stiamo vivendo; qui un intero mondo di sapere e conoscenza è crollato all'improvviso e senza far rumore. Si riesce a malapena a capire come sia potuto succedere: su di me questo ha avuto un effetto più devastante di tutta la guerra. Anzi, è una sorta di lugubre simbolo della guerra stessa, della distruzione della cultura. Ricordo ancora le sue parole coraggiose e allegre, il giorno del suo sessantesimo compleanno: “Sì, signore e signori, posso fare lezione fino al mio settantesimo anno e spero di riuscire ad andare avanti per altri dieci, o credete che diventerò un vecchio noioso?”. Non si può rimediare a quei dieci anni andati persi. E non si riuscirà a riempire per molto tempo il vuoto che la sua scomparsa ha formato nel mondo scientifico. Gli studi di slavistica in Olanda hanno perso, in un colpo solo, le loro intere fondamenta, e non mi è proprio chiaro cosa ci riservi il futuro. Sebbene io abbia seguito i suoi corsi solo per un paio di mesi, e anche se il mio personale legame con lui non era particolarmente stretto, ho comunque sempre vissuto come un privilegio raro la possibilità di sedere su una scricchiolante poltrona crapaud, in quel suo studio démodé quasi commovente, e il fatto che considerasse me degna di ricevere un po' della sua sapienza. Anche gli altri allievi si sentivano così: eravamo sempre là, pieni di rispetto per la sua sterminata cultura e orgogliosi di poter essere suoi studenti. Nei prossimi giorni, nella sua abitazione si terrà una messa russa, a cui ovviamente parteciperò anch'io, e poi sabato ci saranno i funerali. Oltre a ciò, spero di riuscire a mantenere i contatti con alcuni studenti di Leida, con i quali, negli ultimi mesi, ho già costruito una specie di legame. E per questa settimana può bastare così: sono ancora troppo coinvolta in questa che per me, in effetti, è la prima vera perdita, per poter scrivere di altro. Alla prossima settimana con note un po' più allegre! Ciao! Etty

Venerdì 8 maggio [1941], le tre di pomeriggio, a letto Debbo occuparmi di me stessa, niente da fare. Non ho avuto bisogno di questo quaderno per un paio di mesi, la vita dentro di me era così limpida e serena e intensa, ero in contatto col mondo esterno come con quello interno, la mia vita si arricchiva, la mia personalità si ampliava; a Leida c'era il contatto con gli studenti: Wils, Aimé, Jan; c'era lo studio; c'era la Bibbia, Jung, e poi di nuovo S. e sempre ancora S. Ma ora c'è un ristagno, un'irrequietezza un po' torbida; in fondo non è affatto irrequietezza, mi sento troppo giù per questo. Forse è solo la stanchezza fisica - quella che tutti sentono in questa fredda primavera - a impedire che le cose circostanti trovino risonanza in me. Ma so bene che è il mio rapporto singolare e non esplicito con S. a darmi questi problemi. Devo tener d'occhio ogni passo che faccio. Potrei senza dubbio elaborare una serie di luoghi comuni interessanti sui miei sentimenti per lui per esempio, che il giorno in cui mi lascerà sarà per me il giorno più difficile di tutta la mia vita, ma che, se mi chiedesse di stare per sempre con lui, io mi rifiuterei decisamente. E adesso vado a farmi un lungo sonnellino, che è fonte di ogni saggezza. Almeno adesso mi sento di nuovo in forma e in grado di riportare un po' di chiarezza in questo torbido caos. Non ho bisogno di S., per questo, ed è appunto l'aspetto più strambo della faccenda: la nostra relazione è un mio affare privato, ed è al tempo stesso un suo affare privato; ma allora è anche un nostro affare comune? È proprio questo a rendermi tanto insicura. Dopo il più appassionato e insieme più tenero abbraccio, avverto ancora una sensazione di straniamento, e alla fine di una serata, quando lui talvolta dice: È stato bello, ciò non ha alcuna risonanza in me; dopo mi sento indicibilmente triste e sola. Le otto di sera Si cerca sempre una formula liberatoria, un pensiero chiarificatore. Poco fa, durante un giretto in bicicletta, nel freddo, ho pensato improvvisamente: forse rendo tutto troppo complicato e “interessante” e mi rifiuto di guardare ai fatti nudi e semplici. Cioè: non sono affatto innamorata di lui e non gli voglio neppure bene. Come persona mi interessa parecchio, a volte mi affascina, mi insegna infinite cose. Da quando lo conosco, sto maturando come non avrei mai creduto fosse possibile alla mia età. Non c'è veramente altro. Ma ora salta fuori questo maledetto erotismo di cui è pieno zeppo anche lui, come lo sono anch'io; e con ciò i nostri corpi sono inevitabilmente attratti l'uno verso l'altro sebbene nessuno dei due lo voglia - e ce lo siamo già detti chiaramente una volta. C'è stata per esempio quella domenica sera, credo che fosse il 21 aprile; era la prima sera che trascorrevo da lui. Parlavamo, cioè lui parlava della Bibbia, poi lesse qualcosa di Tommaso da Kempis, mentre io stavo seduta sulle sue ginocchia, tutto questo andava ancora bene, non c'era quasi erotismo ma tanto calore umano e amichevole. Però più tardi, all'improvviso, il suo corpo si era trovato sul mio, io ero restata a lungo fra le sue braccia e proprio allora mi ero sentita triste e sola, e ancor più sola quando lui aveva baciato le mie cosce bianche. Era bello, diceva lui - io invece ero tornata a casa col cuore di piombo, rattristata e sola. In seguito avevo elaborato delle teorie interessantissime sulla mia solitudine, ma non potrebbe essere più semplicemente che, nel profondo di me stessa, io non sia in grado di abbandonarmi al contatto fisico con lui? Tanto non gli voglio bene, e so che il suo ideale è di rimanere fedele a un'unica donna; si dà il caso che questa donna si trovi a Londra, ma è il principio che conta. Se io fossi una donna veramente adulta e grande, troncherei ogni rapporto fisico con lui, visto che questo mi rende solo molto infelice. Ma non mi risolvo a rinunciare alle esperienze che potrei ancora avere con lui. Probabilmente ho anche paura di ferire il suo orgoglio virile - deve pur averlo da qualche parte. Ma la nostra amicizia si porrebbe su un piano molto più alto, io credo, e alla fin fine lui mi sarebbe riconoscente se lo aiutassi a rimaner fedele a quell'unica donna. Io però sono una persona molto arida e meschina. Di tanto in tanto voglio tornare fra le sue braccia e poi ne vengo fuori tutta triste di nuovo. Probabilmente è anche una forma di vanità infantile, che ragiona all'incirca così: tutte quelle ragazze e quelle donne sono pazze di S.; ma io, che lo conosco da meno tempo, sono l'unica a

essere così intima con lui. Se questo sentimento fosse vero, sarebbe una gran meschinità. Sto proprio rischiando di rovinare questa amicizia con l'erotismo: non essendo in grado di darmi totalmente a lui dal punto di vista fisico - perché, nel profondo di me stessa, in realtà non lo voglio indugio talvolta in atteggiamenti forzati, piccoli giochetti erotici e pose artificiali che non rispondono alla mia vera natura e che quindi non hanno alcuna risonanza in me: è questo alla fin fine che mi rende sempre tanto triste. E, dato che non sono del tutto naturale, divento insicura, temo di deluderlo o di non essere alla sua altezza, finisco con il perdere la mia schiettezza e non vado più a trovarlo con il consueto piacere, appunto perché ogni volta mi tormento chiedendomi: “cosa accadrà questa volta?”. È probabile che questa sia la ragione di tutto il mio affaticamento. Devo promettere a me stessa che cercherò almeno di essere il più naturale possibile, perché con lui posso esserlo. Mi accorgo che in questo momento sto annotando tutto senza concentrazione e senza alcun piacere, a onor del vero anche senza alcuna necessità interiore. Continuo a essere attratta da Jung e lo studio assume per me sempre maggior importanza. Negli ultimi tempi sono abbastanza riuscita a dimenticare me stessa, e per un po' spero davvero di cavarmela senza il supporto di questo quaderno: non posso dedicarmici troppo, perché il resto sta diventando sempre più importante per me. Ci sarebbe ancora molto da scrivere, così tanti dettagli che vorrei fissare sulla carta per dopo; però, se non lo faccio con cura e attenzione, è meglio che non lo faccia per niente. E adesso al lavoro. 8 giugno [1941], domenica mattina, le nove e mezzo Penso che lo farò comunque: “mi guarderò dentro” per una mezz'oretta ogni mattina, prima di cominciare a lavorare: ascolterò la mia voce interiore. Sich versenken, “sprofondare in se stessi”. Si può anche chiamare meditazione; ma questa parola mi dà ancora i brividi. E del resto, perché no? Una quieta mezz'ora dentro me stessa. Non è sufficiente muovere braccia, gambe e tutti gli altri muscoli nel bagno, ogni mattina. Un essere umano è corpo e spirito. E una mezz'ora di esercizi combinata con una mezz'ora di “meditazione” può creare una base di serenità e concentrazione per tutto il giorno. Non è però una cosa semplice, quella stille Stunde, “ora quieta”; bisogna impararla. Prima è necessario spazzare via dall'interno tutte le insignificanti preoccupazioni, i detriti. In fin dei conti, persino in una testolina così piccola c'è sempre una montagna di distrazioni irrilevanti. È vero che ci sono anche sentimenti e pensieri edificanti, ma il ciarpame è sempre presente. Sia questo, dunque, lo scopo della meditazione: trasformare il tuo spazio interiore in un'ampia pianura vuota, senza tutta quell'erbaccia che impedisce la vista. Così che qualcosa di “Dio” possa entrare in te, come c'è qualcosa di “Dio” nella Nona di Beethoven. E anche qualcosa dell'“Amore”, ma non quella sorta di amore di lusso in cui ti crogioli di buon grado per una mezz'ora, orgogliosa dei tuoi sentimenti elevati, bensì amore che puoi applicare alle piccole cose quotidiane. Potrei ovviamente leggere la Bibbia ogni mattina, ma non credo di essere pronta per questo, e ritengo che la mia pace interiore sia insufficiente: continuo a preoccuparmi dell'intento di questo Libro, sicché non riesco mai ad afferrarne il significato profondo e a lasciarmi andare. Penso che, invece, leggerò ogni mattina un po' di In de Hof der Wzjsbegeerte. Naturalmente potrei anche limitarmi ad annotare poche parole su questi fogli a righe blu, e a esaminare con pazienza un unico pensiero, anche se nessuno dei miei pensieri è davvero importante. In passato l'ambizione mi ha sempre impedito di mettere nero su bianco simili trivialità: tutto doveva essere meraviglioso, perfetto; semplicemente non potevo permettere a me stessa di scrivere una cosa qualsiasi, anche se a volte scoppiavo dalla voglia di farlo. Etty, vorrei chiederti di non guardarti più allo specchio, piccola sciocca! Dev'essere terribile essere molto belli, perché non ci si prende la briga di guardare oltre, nel proprio mondo interiore, accecati da un'abbagliante apparenza. D'altronde anche gli altri reagiscono solo alla bellezza esteriore, mentre dentro si rischia di avvizzire del tutto. Il tempo che passo davanti allo specchio, colpita all'improvviso da un'espressione divertente o affascinante o interessante su questa mia faccia in realtà non particolarmente graziosa, potrei di certo impiegarlo meglio. Mi irrita terribilmente tutto questo narcisismo.

Talvolta mi trovo davvero bella, ma ciò è dovuto in gran parte alla debole illuminazione del bagno; in quei momenti non riesco a staccarmi dalla mia immagine e comincio a fare smorfie davanti allo specchio, piego la testa in diverse angolature dinnanzi ai miei sguardi rapiti: la mia fantasia preferita è poi quella di immaginarmi in una grande sala, seduta a un tavolo di fronte a una moltitudine, mentre tutti gli astanti mi guardano e mi giudicano bella. Dici sempre di volerti dimenticare totalmente, ragazza mia, ma finché sarai tanto piena di vanità e fantasie, non avrai fatto molti progressi nel dimenticare te stessa. Persino mentre lavoro, sento l'improvviso bisogno di vedere la mia faccia; e allora mi tolgo gli occhiali e mi specchio nelle lenti. A volte è proprio un atteggiamento compulsivo. Ne sono davvero molto scontenta, perché mi accorgo di quanto io stessa stia ancora ostacolando il mio sviluppo. E non è d'aiuto neanche se mi costringo a non compiacermi nell'osservare il mio volto. Una sorta di indifferenza per l'aspetto esteriore deve nascere da dentro, dovrei smettere di interessarmi a come appaio, e vivere in maniera “più interiore”. Anche con gli altri, faccio ancora troppa attenzione all'apparenza, chiedendomi se qualcuno sia “bello” oppure no. Alla fine ciò che conta è l'anima dell'uomo o la sua essenza o comunque la si voglia chiamare, cioè quello che traspare dal di dentro. Se davvero vuoi trasformare la tua vita in un tutto grande, significativo e serio, ragazza mia, dovrai disimparare tante cose e al tempo stesso cominciare a considerarne più seriamente molte altre. Dovrai anche organizzare meglio il tuo tempo e non perderne così tanto in futilità. E prendere atto onestamente del cumulo di insicurezze che hanno ancora libero corso nel tuo animo. Dovrai rendere conto di te stessa, sempre. Non potrai vivere senza una supervisione. Se fra qualche tempo vorrai insegnare ad altri come vivere, occorre che prima ti dia da fare con te stessa e soprattutto pratichi un po' di “igiene” spirituale. Credo che Jung lo definisca essere psicologicamente stubenrein, “impeccabile”. Tu sei ancora all'inizio, ma almeno hai cominciato, ed è già tanto. Lunedì mattina [9 giugno 1941], le nove e mezzo Nessuno dovrebbe mai fare di un altro il centro della propria vita. Va sempre tenuto presente. Se ti leghi a qualcuno, questi assorbirà le tue energie con il risultato che tu avrai sempre meno da dargli. Bisognerebbe essere un mondo a sé, con un proprio centro; è da questo centro che si possono poi trasmettere agli altri energie o forze, e così via. Ieri ero completamente legata a S. E ho sentito le mie forze diminuire. Per tale ragione ero incapace di stare insieme a lui con l'abituale intensità. Inoltre lo desideravo troppo dal punto di vista fisico. Eppure, in fondo, il mio desiderio non era neanche propriamente erotico; S. mi è sempre più caro, al punto che sentivo il bisogno di stargli molto vicina. Desideravo più l'essere umano che l'uomo. Era in realtà la prima volta che non lo vedevo come un uomo fortemente sensuale, e che non mi sono allontanata dalle sue braccia sentendomi sola. Ma anche incombe sempre il pericolo di attaccarsi troppo a lui: devo lottare per staccarmi, devo vivere la mia vita; io sono ancora all'inizio mentre lui ha già cominciato la sua fase finale. Di volta in volta devo recidere tutti i legami che continuano a crescere tra lui e me. Fa tanto male e costa molta energia, ma se riuscirò a portare avanti questa lotta, sarò più forte che mai. Ieri pomeriggio, durante una conversazione, S. ha detto: “Sì, meditare è bello”. Una cosa del genere, detta da lui, non suona sentimentale o mistica o stravagante, ma seria e quasi oggettiva. La prossima volta gli chiederò, forse in maniera molto infantile: Come si medita? Posso impararlo anch'io? Quando una persona ha imparato a immergersi in se stessa, riuscirà anche a immergersi completamente in un'altra o nel suo lavoro; si diventa più calmi e meno frammentati, o almeno così credo. Martedì mattina [10 giugno 1941], le nove

Non devi pensare, ma ascoltare quello che c'è dentro di te: se lo fai ogni mattina per un po', prima di metterti al lavoro, acquisirai una sorta di calma che illumina l'intera giornata. Dovresti davvero cominciare ogni giorno in questo modo, fino a che tutti i frammenti di preoccupazione e tutti i piccoli pensieri saranno stati spazzati via dalla tua testa. Proprio come al mattino spazzi via dalla tua camera la polvere e le ragnatele, così ogni mattina dovresti ripulire te stessa all'interno. Solo a quel punto puoi cominciare il tuo lavoro. Da una conferenza di Jung su: Analytische Psychologie und Weltanschauung [Psicologia analitica e concezione del mondo]: “La psicologia analitica è in questo senso una reazione contro l'esagerato razionalismo della coscienza, la quale, cercando di generare processi indirizzati, si isola dalla natura e così strappa l'uomo dalla sua naturale storia e lo trapianta in un presente razionalmente limitato, che si estende al breve periodo fra la nascita e la morte. Questa limitazione genera un sentimento di accidentalità e insensatezza che ci impedisce di vivere la vita con il carico di significato che essa richiede per essere completamente vissuta. La vita si appiattisce e non rappresenta più compiutamente l'uomo. “... vivere la vita con il carico di significato che essa richiede per essere completamente vissuta”. Questo è esattamente il modo in cui vive S.: la sua esistenza è un esempio per noi e perciò quest'uomo può insegnarci a vivere, dato che lui per primo si attiene ai suoi stessi insegnamenti. “Carico di significato”: a volte ho avuto un'impressione di pesantezza riguardo a lui, come se vivesse con enfasi eccessiva, e gli mancasse un tocco di leggerezza. Ma questo dipendeva da me. È la nostra codardia e incompletezza a impedirci di vivere “con il carico di significato che la vita richiede”. Il pensiero non può essere riformulato in maniera migliore, e S. è dipinto al meglio in queste parole. Non sono tanto le sue parole ad avermi cambiata quanto il suo modo di vivere; con molta generosità e magnanimità, lui regala agli altri la possibilità di lanciare uno sguardo nel suo modo di vivere. Si deve sempre “allargare” il proprio cuore così che ci sia spazio per molti. Le persone hanno in genere poco spazio nel cuore: se vi ammettono una persona nuova, le altre ne devono uscire. Bisogna fare in modo che nessuno si arricchisca a danno di un altro. Per riuscirci è necessario avere proprio tanto amore dentro di sé. Quando l'attenzione è attratta da un viso nuovo, non si possono di punto in bianco dimenticare tutti quelli vecchi. Se nasce un forte sentimento verso una persona sconosciuta, i sentimenti nei confronti dei vecchi amici non possono affievolirsi. Lo si può imparare. Quando si tiene tanto a qualcuno, bisogna stare attenti a non investire su di lui tutte le proprie energie, altrimenti non resta nulla per gli altri. Nelle relazioni umane davvero buone, si trae forza in egual misura sia dall'amore sia dall'amicizia che si prova per gli altri. Si deve essere giusti con tutti, non si può deprivare uno a causa di un sentimento troppo intenso nei confronti di un altro. Questo richiede molta forza e una grande quantità di amore. 11 giugno [1941], mercoledì mattina, le nove e mezzo Ancora Jung, di “primo” mattino: “... Più alto che la scienza o l'arte fini a se stesse sta infatti l'uomo, creatore dei suoi strumenti. Non siamo mai più vicini all'eccelso mistero di tutte le origini che quando conosciamo il nostro io, che ci illudiamo di avere sempre conosciuto. Ma le profondità dell'universo ci sono più note che le profondità dell'io, dove possiamo udire quasi direttamente l'Essere e il Divenire creatori, ma senza comprenderli”. L'essere umano cerca anche fuori il paesaggio che si porta dentro. Forse è per questo che ho sempre nutrito una bruciante voglia di ampie steppe russe. Il mio paesaggio interiore consiste di grandi, vaste pianure, infinitamente vaste, quasi prive di orizzonte, perché ognuna scompare nell'altra. Quando me ne sto tutta rannicchiata su questa sedia, il capo piegato, in realtà vago per quelle distese immacolate, e dopo un po' mi coglie una sensazione di benessere, di infinito e di pace. Il mondo interiore è tanto reale quanto quello esterno. Bisogna esserne consapevoli. Anch'esso ha i suoi paesaggi, i suoi contorni, le sue possibilità, i suoi terreni sconfinati. E l'uomo stesso è il piccolo

centro nel quale mondo interiore e mondo esterno si incontrano. I due mondi si nutrono l'uno dell'altro: non si deve trascurarne l'uno a spese dell'altro o considerare l'uno più importante dell'altro, altrimenti si rischia di impoverire la propria personalità. Moltissime persone mi appaiono come spezzate a metà, e quindi più o meno amputate, il che dipende forse dal fatto che non hanno consapevolmente riconosciuto come tale il loro mondo interiore. Talvolta le forze del mondo interiore si fanno avvertire, dando alle persone in alcuni istanti una certa sensazione di ampliamento e un assaggio di un qualcosa di più rilevante, ma tutto è troppo disorganizzato, troppo caotico, a malapena consapevole. Quel mondo interiore è un terreno a maggese, incolto, che gli individui non fanno la fatica di lavorare. Non è riconosciuto come un luogo reale. In tali casi avverto la tentazione di dare inizio al lavoro di dissodamento, di metter ordine e di rendere gli altri consapevoli. Chissà, forse questo diventerà il lavoro della mia vita a lungo andare? Venerdì mattina [13 giugno 1941], le dieci Frans riguardo al canto di S.: “Canta come un vecchio leone che ha messo la zampa su una lametta da barba”. E su Henny?: “Proprio un cavallo a dondolo che fa l'occhiolino”; “Fa tanto la "birichina"“; “Se finissi su un'isola deserta con lei, mi costruirei una zattera”, e, ancora, “In quel modo non è tanto difficile essere bravi: le manca solo il coraggio di essere mediocre”, ecc. S. su Frans: “Quell'uomo non è fedele a se stesso. È lacerato e vive questa lacerazione. Un caso molto difficile. Non ha un centro. È incostante”. E sulla sua opera: “Di forte espressività”. Gera: “Se una vecchia quercia nodosa potesse cantare, allora canterebbe proprio come S. Ma lasciateglielo fare, gli fa bene, e così ci risparmiamo altre interpretazioni del Ring [L'anello del Nibelungo]l”. Talvolta mi sembra davvero grande, quasi elevato nella sua gravità, nella sua secolare lotta con e per se stesso. Altre volte mi sembra invece solo un bambino esuberante e allora provo un piacevole sentimento materno nei suoi confronti. L'ultima volta, mentre mi stava aspettando sul ponte, l'ho visto come un dio non più tanto giovane ma ancora pieno di energie e ho avvertito con grande forza il suo fascino maschile. Negli ultimi giorni ero colpita in particolare dalla sua natura buona, una sorta di bontà bambinesca: non aveva alcun effetto su di me come uomo, ma più come padre e come essere umano. Eppure, ieri mattina, di fronte a quell'insalata russa, l'ho trovato improvvisamente un po' infantile e vanitoso: Se volessi, questa signorina mi darebbe tutto anche senza i buoni, ma io non voglio. La prossima volta che lo vedo, dovrò comunque chiedergli come sia possibile avere simili idee fatue alla sua età. Da Rittelmeyer: “La primissima cosa che viene donata all'uomo, la "vita", è ciò che al suo culmine egli dovrà faticosamente guadagnarsi: la "vita". Tra la "vita" che abbiamo ricevuto e la "vita" che dobbiamo ricevere, oscilla la nostra "vita", quella che, al momento, viviamo oppure non "viviamo". Se si destasse una buona volta in noi un po' di senso morale, e non permettessimo che tornasse a spegnersi quel tanto di vita superiore di cui, dentro di noi, si è visto qua e là lo sfavillio, non continueremmo ad "annientare la vita che sta germinando", e gradatamente arriveremmo sempre più in alto”. Sabato 14 giugno [1941], le sette di sera Di nuovo arresti, terrore, campi di concentramento, sequestri di padri, sorelle e fratelli. Ci s'interroga sul senso della vita, ci si domanda se essa abbia ancora un senso: ma per questo bisogna vedersela esclusivamente con se stessi, e con Dio. Forse ogni vita ha il proprio senso, forse ci vuole una vita intera per riuscire a trovarlo. Comunque io ho smarrito qualsiasi rapporto con la vita e con

le cose, mi sembra che tutto avvenga per caso e che ci si debba staccare interiormente da ognuno e da ogni cosa. Tutto sembra così minaccioso e sinistro, e ci si sente anche così impotenti. Domenica mattina [15 giugno 1941], le dodici Non siamo nient'altro che botti vuote in cui si sciacqua la storia del mondo. O tutto è casuale, o niente lo è. Se io credessi nella prima affermazione non potrei vivere, ma non sono ancora convinta della seconda. Sono di nuovo diventata un po' più forte; riesco a combattere i problemi dentro di me. Il primo impulso è sempre quello di cercare l'aiuto degli altri: penso di non farcela, ma poi d'un tratto mi rendo conto che ho lottato per trovare una soluzione, che me la sono cavata da sola, e questo mi rende più forte. La scorsa domenica (è passata solo una settimana?) ho avuto la disperata sensazione di essere legata a lui e che quindi mi aspettava un periodo di grande infelicità. Ma ne sono uscita, anche se non so come; certo non discutendone con me stessa, ma tirando con tutte le forze della mente una corda immaginaria. Ho impiegato ogni mia energia e mi sono difesa, e di colpo ho sentito che ero di nuovo libera. In seguito ci sono stati alcuni brevi incontri (di sera sulla panchina, lungo la Stadionkade, facendo compere in città) di un'intensità senza precedenti, almeno per me. Il merito è di quella sensazione di libertà; tutto il mio amore e la mia comprensione, tutto il mio interesse e la mia gioia erano indirizzati a lui, ma da lui non pretendevo più nulla, non volevo niente, lo prendevo com'era e ne godevo. Vorrei soltanto sapere come sono riuscita a venirne fuori. Questa dinamica non mi è ancora chiara. Ma se riuscissi a venirne a capo con me stessa, potrei forse aiutare in futuro altre persone con le medesime difficoltà. Paragonerei la mia condizione a quella di una persona che, legata strettamente a un'altra, tira e strattona tanto che alla fine se ne libera; dopo di che forse non saprebbe dire come ci è riuscita ma solo che ha avuto forza di volontà e che ha lottato con tutte le sue energie. Dentro di me dev'essere accaduto proprio questo. E la lezione che ne ho tratto è la seguente: il ragionamento, il volersi chiarire il problema, capendo come stanno le cose e cercandone le ragioni, non aiuta; bisogna semplicemente fare qualcosa nella propria mente, usare l'energia per ottenere un risultato. Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno d'aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione di “sfasciarmi” sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all'improvviso mi ha permesso di andare avanti, con maggior forza. Ho provato a guardare in faccia il “dolore” dell'umanità, coraggiosamente e onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa, molti interrogativi disperati hanno trovato risposta, l'assurdità completa ha ceduto il posto a un po' più d'ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. È stata un'altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più. Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell'Umanità” (questi paroloni mi fanno ancora paura) ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L'unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire. Forse, su questo punto, io sono davvero molto ospitale, a volte sono come un campo di battaglia insanguinato e poi lo pago con un gran sfinimento e con un forte mal di capo. Ma ora sono semplicemente me stessa: Etty Hillesum, una laboriosa studentessa in una camera ospitale con dei libri e con un vaso di margherite. Scorro di nuovo nel mio stretto alveo e il contatto con “Umanità”, “Storia Universale” e “Dolore” s'è interrotto un'altra volta. Così dev'essere, del resto, altrimenti una persona impazzirebbe. Non ci si può sempre perdere nei grandi problemi, non si può essere sempre come un campo di battaglia; dobbiamo poter recuperare i nostri stretti confini e continuare dentro di essi - scrupolosamente e coscienziosamente - la nostra vita limitata, mentre quei momenti di contatto quasi “impersonale” con tutta l'umanità ci rendono ogni volta più maturi e profondi. Forse, in futuro, saprò esprimermi

meglio, o farò dire queste cose a un personaggio di una novella o di un romanzo, ma sarà solo fra molto tempo. La mia stanchezza si è di nuovo del tutto dileguata: quella sensazione di offuscamento nella mia testa ha lasciato spazio a una grande chiarezza, adesso posso tornare alla mia vita e al mio lavoro. Ieri sono stata costretta a vivere un pezzo di vita “collettiva” e ho smesso di esistere io stessa. La prossima volta che mi sentirò così “inondata”, sarò ancora più passiva e ascolterò meglio quello che sta succedendo dentro di me; mi renderò ancora più disponibile, prendendo distanza temporaneamente da me stessa. Lunedì mattina [16 giugno 1941], le nove e mezzo Alle volte mi irrita vedere tutte quelle donne attorno a lui, in attesa di ricevere l'una o l'altra parola saggia del Maestro o una carezza del suo grande artiglio. Forse anche questa è solo gelosia: voglio avere una persona, almeno un uomo, soltanto per me. Del resto succede solo nei miei momenti peggiori, in quelli più negativi. In realtà devo ammettere che lui si occupa di tutte queste donne in maniera impeccabile, e che l'atmosfera è incontaminata e amichevole. Quando sei stanca come oggi, devi cercare di tenere a distanza tutti i pensieri sulle cose e sulle persone, perché sei tentata di rendere ogni cosa negativa e brutta. Vorresti allora viaggiare verso un luogo lontano e tutto ti appare irritante, ma ciò deriva dal fatto che non hai abbastanza forza per lavorare e per concentrarti. Cerchi fuori quello che non riesci a trovare all'interno, ma devi sapere che tutto viene soltanto da dentro, perlomeno nel tuo caso. Lasciati andare, renditi completamente passiva e soprattutto non coinvolgere nei tuoi pensieri distruttivi le persone che ti sono care. “... Se si destasse una buona volta in noi un po' di senso morale, e non permettessimo che tornasse a spegnersi quel tanto di vita superiore, di cui si è visto qua e là lo sfavillio”. Martedì mattina, 17 giugno [1941], le nove e mezzo Era 1'8 marzo quando ho scritto quella lettera cervellotica e adesso sono già trascorsi tre mesi. È un bene che adesso io sia disgustata da tutta la faccenda. Con la mia famosa intensità ho elaborato moltissimo in questi tre mesi. Adri ci ha impiegato un anno per arrivare a un rapporto più amichevole con lui. Non riesco a rendermi conto che sia successo solo tre mesi fa, ma so bene che in questo momento tutta la faccenda - S., il suo harem e il suo lavoro - mi disgusta profondamente. Quando lo rivedrò al corso nel pomeriggio, probabilmente di questa nausea non sarà rimasta nemmeno l'ombra. Chiamiamola una “pausa creativa”; torno semplicemente ai miei russi e a me stessa. Stamattina presto mi sentivo ancora molto “male”: allora ho cercato la soluzione in altre persone, invece che in me stessa. In ogni caso, quella indigestione dipende soltanto da me: ho mangiato più di quanto non dovessi, e non è certo colpa di qualcun altro. Mi ricordo ancora bene che quando in passato mi rovinavo lo stomaco, me la prendevo con mia madre perché mi permetteva di mangiare troppi dolci invece di chiuderli sottochiave. In altre parole, pretendevo dagli altri che mi proteggessero dalla mia stessa ingordigia. E questo mi sta succedendo di nuovo. S. e il suo piccolo circolo mi hanno accettata tanto completamente e si sono aperti a me a tal punto che lo trovo davvero commovente. Ritengono scontato che io appartenga al loro gruppo. E io mi sono semplicemente abbuffata delle nuove amicizie e adesso sono irritata da loro invece che da me stessa. Ma credo davvero che diventerò una “ragazza matura” perché questa volta ho scoperto abbastanza velocemente la vera natura del mio malessere e non ho continuato in quella direzione negativa. Quello S. è comunque una bella gatta da pelare, buon Dio, e io sono orgogliosa di esserci riuscita, ma riesco anche a capire bene perché adesso provo un tale disgusto nei suoi confronti. Sono felice di andare un paio di giorni a Deventer per calmarmi un po'; è il momento di far maturare le cose in me e di portare avanti il mio lavoro con tranquillità. Anche la psicologia è stata un'intrusione nel mio lavoro, ma alla lunga i “Russi” ne possono solo

trarre profitto. La comprensione della propria “sindrome” dona un grande sollievo. Dal momento in cui compare una tale comprensione, quella nostra malattia non può più svilupparsi, le viene posto un chiaro “stop”. In ogni caso, prima della guarigione c'è bisogno di qualcosa in più della semplice comprensione: è necessario che si “faccia” anche qualcosa, che ci si “lavori”. Ma sto cominciando a sgomberare il campo e a prendermi una pausa da S. e dai “suoi”. Se uno si è rovinato lo stomaco, dovrebbe cominciare una dieta ragionevole invece di prendersela con le leccornie che, secondo lui, hanno causato la sua indisposizione; invece di comportarsi come un bambino, dovrebbe preoccuparsi della propria sregolatezza. L'ho imparato oggi su me stessa, e ne sono molto contenta. Anche la continua tristezza che mi rodeva in questi ultimi giorni comincia a passare. Mercoledì mattina, 18 giugno [1941], le nove e mezzo Devo recuperare un'antica saggezza: “Chi riposa in se stesso non tiene conto del tempo; una vera maturazione non può tener conto del tempo”. Ieri sera: Questa mattina mi sono messa a dieta per quanto la riguarda, e invece adesso sono di nuovo qui per la seconda volta. È davvero un tipo parecchio divertente. A volte lo idealizzo troppo e in altri momenti riesco a sottovalutarlo terribilmente. Un giorno riuscirò a trovare la giusta via di mezzo. “Lei non deve innamorarsi di me”. “Io ho una fidanzata”. “Innamorarsi non è un'arte, occorre molta più arte per non farlo”. “Posso immaginare che talvolta lei mi trovi banale e che stare con me la annoi”. E poi la risata generosa e piena di un uomo amabile. La sorgente di ogni cosa ha da essere la vita stessa, mai un'altra persona. Molti, invece - soprattutto donne - attingono le proprie forze da altri: è l'uomo la loro sorgente, non la vita. Mi sembra un atteggiamento quanto mai distorto e innaturale. Di pomeriggio Da una lettera per S. da parte di una sua cognata: “Il tuo caso è per me particolarmente interessante, perché in fondo tu sei sempre stato - non saprei esprimerlo altrimenti - un essere istintivamente fiducioso. Con ciò voglio dire che hai attraversato la vita con incredibile sicurezza, senza renderti conto che questo atteggiamento era qualcosa di speciale, anzi ti stupivi che gli altri non fossero così. Questa è una grazia del cielo, ma è anche un rischio: se finiamo per accogliere questo dono come qualcosa di ovvio, prima o poi esso andrà perduto. Basta un malinteso d'una certa gravità, e subito diventiamo insicuri e ci manca il terreno sotto i piedi, perché non ci siamo preoccupati di costruire fondamenta abbastanza solide. Tu invece hai saputo rintracciare le profonde sorgenti della tua sicurezza: in questo modo le tieni sotto controllo, ed esse non ti si prosciugheranno. Essere pronti a soffrire, come è importante per noi!”. Giovedì mattina, 19 giugno [1941], le nove e mezzo Guarda, ragazzina, tutto questo è senza dubbio di grandissima importanza - quella tua vita spirituale incredibilmente interessante e quel tuo interessante gentiluomo - ma non è la questione principale. Ciò che conta è abbandonare il tuo piccolo ego per il tuo lavoro e per gli altri. Sono ancora una volta molto scontenta di te. Stai di nuovo viziando la tua anima. Di nuovo hai perso il controllo di te stessa. La depressione ora è passata, e ti sei presa un bel po' di tempo per superarla; un po' di ordine è subentrato al caos, ma ti sei dimenticata tutto il resto. Credo che tu ti sia considerata troppo

importante. Devi passare dal personale al “sovra-individuale” e in questo campo puoi imparare ancora molto da lui. Non indugiare sui piccoli dettagli futili; le inezie non devono farti perdere di vista l'insieme. Vorrei attirare la tua attenzione su un paio di cose ancora. Per un po' hai vissuto in una sorta di età aurea, nella quale ignoravi cosa avresti fatto il momento successivo, tanto eri immersa in quel primo istante. Hai sistemato tutto con calma e hai dato un turno a ogni cosa. Adesso ogni sorta di cosa ti sta di nuovo ossessionando e non riesci a concludere nulla. Dici a te stessa con ansia che vuoi leggere un altro brano di Tolstoj in russo e studiare ancora un po' Jung e, oh certo, anche un po' di chirologia, e che devi accorciare quell'abito. Tutte quelle cose lottano tra loro per il proprio turno, con il risultato che tu non combini niente. In particolare, certe piccolezze come lavarti i capelli o rammendare calze, all'inizio del giorno, possono intralciare e portare confusione nella struttura della tua giornata. Devi semplicemente formulare una tabella di marcia migliore. Non ottieni mai niente per niente e tutto deve essere conquistato. Devi recuperare il controllo di te stessa. E poi c'è dell'altro. Sei un po' raffreddata e hai lasciato che questo ti buttasse troppo giù. In fin dei conti, cosa c'entra con te un raffreddore? Tu devi lavorare e basta. Oppure, quando vai a letto tardi la sera, ti addormenti pensando che il giorno dopo non avrai riposato a sufficienza e il giorno dopo, ovviamente, non sei riposata. Sei una creatura così privilegiata da avere tanto tempo per te stessa: devi usarlo al meglio, ma prima devono essere superati tutti i piccoli fastidi dovuti ai problemi di salute. In questo momento non mi sento stubenrein, ma sono tornata seria e “composta” ed energica. E adesso al lavoro. Nessuna singola parte dovrebbe avere il predominio nella tua vita. La questione principale è il tutto. Non enfatizzare nessuna cosa, altrimenti la tua armonia interiore ne verrà scossa. Cerca di restare completamente distaccata da tutto ciò che ti interessa; non concentrare le tue forze interiori in un solo punto, non investirle in una cosa sola, conserva le energie. E adesso basta con queste perle di saggezza. Ma, ancora una volta: non devi desiderare di possedere un'altra persona, non fare richieste all'altro. Devo impararlo ogni volta daccapo, nel mio rapporto con S. [Venerdì] 4 luglio [1941] Sono agitata, di una bizzarra, diabolica irrequietezza che potrebbe anche essere produttiva se sapessi che farmene: è un'irrequietezza “creativa”, non fisica - neppure una dozzina di appassionate notti d'amore potrebbe placarla. È quasi una irrequietezza “sacra”. Mio Dio, prendimi nella tua grande mano e fammi tuo strumento, fa' che io possa scrivere! È stato tutto per colpa di quella Leonie, coi suoi capelli rossi, e di quel filosofico Joop. S., con la sua analisi, ha aperto il loro cuore, e tuttavia mi sono resa conto che non si può spiegare l'essere umano con nessuna formula psicologica: solo l'artista è in grado di rendere ciò che resta d'irrazionale nell'uomo. Non so come andrà a finire con questo mio “scrivere”. Tutto è ancora caotico, non ho abbastanza fiducia in me stessa o, piuttosto, non sento veramente la necessità di dire qualcosa. Aspetterò ancora, fin quando tutto verrà fuori spontaneamente e troverà una forma: prima, però, devo trovare io stessa una forma, la mia forma. A Deventer le mie giornate erano come grandi pianure illuminate dal sole, ogni giornata era un tutto ininterrotto, mi sentivo in contatto con Dio e con tutti gli uomini - probabilmente perché non vedevo quasi nessuno. C'erano campi di grano che non dimenticherò mai e dove mi sarei quasi inginocchiata, c'era l'IJssel, con i parasole colorati, il tetto coperto di canne, i pazienti cavalli. E poi il sole, che assorbivo da tutti i pori. Qui, invece, le giornate sono fatte di mille pezzetti, la grande pianura è sparita e così pure Dio, e se andrà avanti di questo passo io rimetterò tutto in questione: e questa non è profonda filosofia, ma un segno che non sto bene. E poi c'è quella strana irrequietezza che non so ancora come sistemare. Ma chissà che essa non possa dare buon frutto nel mio lavoro, quando saprò incanalarla. Non ci siamo proprio, mia cara, devi strappare ancora molto terreno alle onde arrabbiate, devi

mettere ordine nel caos. Mi viene in mente un'osservazione recente di S.: Lei non è affatto così caotica, lei ha solo il ricordo di quando trovava che essere caotici fosse più geniale che essere più disciplinati. Trovo che lei si concentra sempre molto bene. QUADERNO II 4 agosto 1941 - 21 ottobre 1941 Lunedì 4 agosto 1941, le due e mezzo di pomeriggio S. dice che l'amore per tutti gli uomini è superiore all'amore per un uomo solo: perché l'amore per il singolo è una forma di amore di sé. S. è un uomo maturo di 55 anni, che ha raggiunto questo stadio di amore per tutti gli uomini dopo aver amato molte persone singole, nel corso della sua lunga vita. Io sono una donnetta di 27 anni: anch'io mi porto dentro questo grande amore per tutta l'umanità, eppure mi domando se non continuerò a cercare il mio unico uomo. E mi domando fino a che punto questo sia un limite della donna: fino a che punto cioè si tratti di una tradizione di secoli, da cui la donna si debba affrancare, oppure di una qualità talmente essenziale che una donna farebbe violenza a se stessa se desse il proprio amore a tutta l'umanità invece che a un unico uomo (non sono ancora in grado di concepire una sintesi). Forse, la mancanza di donne importanti nel campo della scienza e dell'arte si spiega così: col fatto che la donna si cerca sempre un uomo solo, a cui trasmette poi tutta la propria conoscenza, calore, amore, capacità creativa. La donna cerca l'uomo e non l'umanità. Non è proprio così semplice, questa questione femminile. A volte, quando vedo per strada una donna bella e ben curata, assolutamente femminile e magari un po' stupida, sono capace di perdere la testa: allora il mio cervello, le mie lotte e sofferenze mi diventano un peso, li sento come qualcosa di brutto e di non femminile e vorrei essere solo bella e stupida, una specie di giocattolo desiderato da un uomo. È tipico che io voglia essere sempre desiderata dall'uomo, che la nostra femminilità sia sempre la suprema conferma del nostro essere, mentre si tratta di una dinamica oltremodo primitiva. I sentimenti di amicizia, stima, amore per noi donne in quanto persone sono tutte belle cose - ma in fin dei conti, non vogliamo forse che l'uomo ci desideri come donne? Non riesco quasi a esprimermi, è una questione infinitamente complicata ma è essenziale che ne venga a capo. Forse la vera, la sostanziale emancipazione femminile deve ancora cominciare. Non siamo ancora diventate vere persone, siamo donnicciole. Siamo legate e costrette da tradizioni secolari. Dobbiamo ancora nascere come persone, la donna ha questo grande compito davanti a sé. Come stanno in realtà le cose tra S. e me? Se, alla lunga, riuscirò a fare chiarezza in questa relazione, avrò anche fatto chiarezza nel mio rapporto con tutti gli uomini e con l'intera umanità, per usare parole grosse. In nome del cielo, lasciatemi essere patetica, annotare ogni cosa proprio com'è nel mio animo, e quando avrò riversato nella scrittura tutto il patetico e l'esagerato, forse tornerò anche a lavorare su me stessa. Voglio bene a S.? Sì, follemente. Come uomo? No, non come uomo, ma come essere umano. O forse amo di più il calore e l'amore e un tendere alla bontà che irradiano da lui. No, non riesco a venirne a capo, non riesco davvero a venirne a capo. Questo è una sorta di taccuino: di volta in volta farò dei tentativi, vi scriverò qualcosa, nella speranza che alla fine tutti i pezzi formino un tutto, ma non devo fuggire di fronte a me stessa, o alla gravità dei problemi, cosa che del resto non faccio. Ciò da cui fuggo, a onor del vero, è la difficoltà di mettere ogni cosa nero su bianco. Tutto viene fuori in maniera così infelice. Ma tu scrivi su questi fogli non per produrre capolavori, ma solo per fare un po' di chiarezza in te stessa. Provi ancora vergogna, non osi lasciarti andare o lasciare che le cose sgorghino dal tuo animo; continui a essere terribilmente inibita, e questo accade perché non hai ancora imparato ad accettarti così come sei. È difficile avere al contempo un buon rapporto con Dio e con il ventre. Tale pensiero mi ha

tormentata durante una serata musicale di qualche tempo fa, quando S. e Bach erano entrambi con me. Nell'intervallo tra due esecuzioni musicali lui mi aveva raccontato che Wiep gli aveva fatto un test di Rorschach sulla base del quale lui aveva visto poche “cavità”; secondo Wiep, il risultato indicava che il problema sessuale per lui era totalmente risolto, che era stato “subordinato” al complesso della sua personalità e che ora aveva un ruolo secondario nella sua vita. Credo di essere stata davvero gelosa di quella situazione, e devo aver pensato qualcosa del genere: Sì, è facile per te. C'è qualcosa di complicato nel rapporto con S. Lui se ne sta lì pieno di calore e cordialità umana, sicché tu ti lasci andare senza riserve. Ma al tempo stesso, c'è un uomo possente con una faccia espressiva, con grandi, sensibili mani, che ogni tanto ti cercano, e con occhi la cui carezza può davvero essere commovente. Ma la carezza è impersonale, ovviamente: lui accarezza l'essere umano, non la donna; l'artiglio si protende verso la persona, ma non verso la donna. La donna, però, vuole essere accarezzata come una donna, e non come un essere umano. Almeno così mi sento io, a volte. Ma lui ti mette di fronte a un compito difficile, per il quale bisogna lottare duramente. Io sono un compito per lui, me lo ha detto una delle prime volte, ma anche lui lo è per me. Devo smetterla adesso: mi sento sempre più povera mentre scrivo tutto questo, segno che non sto esprimendo ciò che realmente accade dentro di me. Non c'è niente da fare, dovrò risolvere i miei problemi. Ho sempre la sensazione che, se riuscirò a risolverli per me stessa, li avrò risolti anche per migliaia di altre donne. Ragion per cui mi tocca auseinandersetzen, “occuparmi a fondo di ogni cosa”. Ma la vita è di certo molto complicata, in special modo quando non si riescono a trovare le parole. Tutto quel divorare libri, sin dalla giovinezza, non è stato altro che una forma di pigrizia da parte mia. Lascio che siano gli altri a esprimersi al posto mio. Cerco ovunque la conferma di tutto ciò che si nasconde nel profondo del mio essere, eppure so che posso giungere alla chiarezza usando le mie parole. Devo abbandonare ogni pigrizia, e soprattutto le inibizioni e le insicurezze per poter arrivare, alla lunga, a me stessa e, attraverso me stessa, agli altri. Devo fare chiarezza e accettarmi. Ma adesso devo andare al mercato e comprare un melone. Tutto mi pesa, eppure desidererei tanto sentirmi leggera. Da anni assorbo ogni cosa, e tutto va a finire all'interno, in una grande cisterna, ma dovrà uscirne o avrò la sensazione di aver vissuto invano, di aver soltanto derubato l'umanità, senza dare nulla in cambio. A volte ho la sensazione di essere un parassita, e questo mi deprime e mi induce a mettere in discussione l'utilità della mia esistenza. Forse lo scopo della mia vita è di scendere a patti con me stessa, sì, di scendere opportunamente a patti con tutto ciò che mi infastidisce e mi tormenta, con tutto quello che esige da me una soluzione e una formulazione. Perché questi non sono solo problemi miei, ma anche di tanti altri. E, se alla fine di una lunga vita, riuscirò a dare forma al caos che adesso alberga in me, forse sarò riuscita a realizzare il mio piccolo scopo. Anche mentre annoto tutto ciò, credo di essere alle prese, in qualche angolo del mio inconscio, con il disgusto per parole come “scopo della vita”, “umanità” e “soluzione di problemi”. Trovo quelle parole pretenziose e me stessa una tale sciocca “ragazzina insignificante”, ma questo deriva dal fatto che non ho ancora il coraggio di guardare a me stessa. No, mia cara, ne devi fare ancora tanta di strada; in realtà dovrei proibirti di mettere le mani su un altro grande filosofo prima che tu abbia imparato a prendere te stessa più seriamente. Credo però che sia meglio comprare quel melone prima, per poterlo portare dai Nethe stasera; anche questo fa parte della vita, no? A volte mi sento proprio come una pattumiera; sono così torbida, piena di vanità, irrisolutezza, senso d'inferiorità. Ma in me c'è anche onestà, e un desiderio appassionato, quasi elementare di chiarezza e di armonia tra esterno e interno. A volte vorrei essere nella cella di un convento, con la saggezza di secoli sublimata sugli scaffali lungo i muri, e con la vista che spazia su campi di grano - devono proprio essere campi di grano, e devono anche ondeggiare al vento. Lì vorrei sprofondarmi nei secoli, e in me stessa. E alla lunga troverei pace e chiarezza. Ma questo non è poi tanto difficile. È qui, ora, in questo luogo e in questo mondo, che devo trovare chiarezza e pace e equilibrio. Devo buttarmi e ributtarmi nella realtà, devo confrontarmi con tutto ciò che incontro sul mio cammino, devo accogliere e nutrire il mondo

esterno col mio mondo interno e viceversa, ma è tutto terribilmente difficile e proprio per questo mi sento così oppressa. Quel pomeriggio nella brughiera. Lui con la sua bella testa che guardava lontano, io che gli chiesi: A cosa sta pensando adesso? E lui: Ai demòni che tormentano l'umanità (gli avevo appena raccontato di come Klaas avesse quasi ammazzato sua figlia perché non gli aveva portato il veleno). Era seduto sotto quell'albero, coi rami che gli si allargavano sopra, io gli avevo posato la testa in grembo e poi, improvvisamente, gli avevo detto - o meglio, mi era scappato di dirgli: Adesso vorrei tanto ricevere un bacio non demoniaco. E lui: Allora deve venire a prenderselo. Mi ero alzata bruscamente e avrei voluto fare come se non avessi detto niente, ma eccoci invece sdraiati nella brughiera, bocca a bocca. Poi lui aveva chiesto: E lei chiama questo non demoniaco? Ma cosa significa adesso quel bacio per la nostra relazione? Aleggia, così, nell'aria. Mi fa desiderare l'intero uomo, eppure io non voglio l'intero uomo. Non lo amo affatto come uomo, questa è la cosa bizzarra, e allora si tratterebbe ancora di quel maledetto impulso a sentirmi importante, a volere che un altro sia mio? A possedere il suo corpo, mentre posseggo già il suo spirito, che è molto più importante? Siamo di nuovo alle prese con quella maledetta e nefasta tradizione secondo la quale, se due persone di sesso diverso entrano in stretto contatto, in un dato momento devono anche necessariamente avere un rapporto fisico? Quel sentimento è fortemente radicato in me. Quando incontro un uomo, indago immediatamente le sue potenzialità sessuali. Credo che sia una cattiva abitudine che deve essere sradicata. Lui probabilmente in questo è già andato oltre, comunque anche lui deve combattere i suoi istinti erotici con me. A volte sembra tutto così sciocco, proprio come se di proposito ci stessimo rendendo la vita difficile, mentre invece potrebbe essere così semplice. I meloni saranno ormai finiti. Mi sento male, è come se avessi un blocco, e anche fisicamente ora mi sento malissimo. Ma non deludere te stessa, Etty, non è davvero il tuo corpo, è la tua piccola anima devastata che ti affligge così. Tra un po' scriverò senza dubbio di nuovo quanto è bella la vita e quanto sono felice, ma al momento non riesco proprio a immaginarmi come mi sentirò allora. Mi manca ancora il basso continuo, una corrente sotterranea che fluisca regolarmente; la fonte interiore che mi dà nutrimento si ostina a intasarsi e in più penso ancora troppo. Le mie idee pendono dal mio corpo come vestiti troppo larghi, nei quali devo crescere. Quei vestiti però, al momento, sono ancora troppo larghi. Il mio spirito rincorre la mia intuizione. Questo è ovviamente un bene. Ma proprio per questo motivo, il mio spirito o la mia mente o comunque la si voglia chiamare, a volte deve protendersi all'inverosimile per afferrare ogni sorta di intuizione per il lembo della giacca. Idee vaghe di ogni tipo reclamano ogni tanto un'espressione concreta, ma forse per questa esse non sono ancora mature. Devo continuare ad ascoltare me stessa, ad ascoltarmi dentro; devo mangiare in modo sano e dormire bene per conservare il mio equilibrio, altrimenti tutto somiglierà a un'opera di Dostoevskij. Ma di questi tempi sono altre le cose che contano. Mezzanotte Da Morte a Venezia di Thomas Mann: “Aschenbach aveva scritto una volta in modo esplicito, in un passo poco appariscente, che quanto esiste quasi sempre come un "ciononostante", si è attuato nonostante la pena e l'angoscia, nonostante la miseria, la solitudine, la debolezza del corpo, il vizio, la passione e mille altri ostacoli. Ma questa era più che una riflessione, era esperienza, era la formula stessa della sua vita e della sua gloria, la chiave per accedere alla sua opera”. Martedì mattina [5 agosto 1941], le dodici Mi sento come un pugno chiuso e non so come rilassarmi. Costringerò me stessa a scrivere qualcosa ogni giorno, anche solo un paio di parole, altrimenti esploderò. Nella veranda Pa Han, con la sua tazza di cioccolata in mano, mi ha appena detto: Se fossi in te,

andrei a fare una passeggiatina, sei davvero “messa male” oggi. Già, ho detto io, mi sento malissimo, anche fisicamente, non mi succedeva da un po'. E lui: Succede perché S. non c'è. E io, subito: Credo piuttosto che sia perché S. sta per tornare e non perché se n'è andato. Non mi manca. È proprio come se avessi appena divorato un'abbondante cena e avessi bisogno di tempo per digerirla. Lui non è proprio un boccone umano facile da mandar giù. Non riesco ancora a scrivere. Voglio scrivere della realtà che si cela dietro le cose, ma questo è ancora fuori dalla mia portata. L'unica cosa che mi interessa davvero è l'atmosfera, si potrebbe dire l'“anima”, ma la sostanza continua a sfuggirmi, con il risultato che mi manca un punto d'appoggio. Devi descrivere la realtà concreta, terrena, e illuminarla con le tue parole, con il tuo spirito affinché l'anima che sta dietro alle cose venga evocata. Se alludi direttamente alla cosiddetta anima, allora ogni cosa diventa troppo vaga, troppo informe. Se riesco a fissare nella mia mente in maniera sempre più salda che voglio scrivere, nient'altro che scrivere, allora devo anche rendermi conto che si sta preparando una vera via crucis per me: a volte la avverto con un certo timore sin da adesso. La domanda è se ho talento per la scrittura. Devo senza dubbio cominciare lentamente a modellare piccole figure nel grande blocco di granito intonso che mi porto dentro, altrimenti alla lunga ne verrò schiacciata. Se non cerco e scopro la mia forma congeniale, finirò a vagare nel buio e nel caos, è qualcosa di cui anche adesso avverto forte il rischio. E trovare quella “forma” non deve essere un'impresa: una storia breve, o un articolo su un giornale anche se poco prestigioso. In ogni caso, c'è qualcosa in me, qualcosa che desidera essere trascinata fuori da me con tutte le forze, ma non so dire che aspetto avrà, una volta emersa. S. dice: Lei assapora ancora troppo il suo talento, ci sta giocando. Ma si tratta davvero di talento? Mi ha anche detto una volta: Ebbene, lei è una scrittrice nata. Ma non importa comunque se è talento o meno, si vedrà a tempo debito se non fuggo di fronte a me stessa. E adesso a prendere le tessere del burro sulla Govert Flinckstraat. Più tardi, tra lo yoghurt e il pisolino pomeridiano Penso davvero di non essere proprio una persona socievole, non sono fatta per garbate occasioni sociali e per i convenevoli. È una sciocchezza, ovviamente, vista la mia vitalità, la mia vivacità e la capacità di divertirmi in compagnia. Ma è come se mi costasse sempre più fatica. In base a come mi sento in questo istante, credo di essere buona solo per le conversazioni a due, in cui qualcuno mi racconta tutta la sua vita in una volta sola. Sono interessata all'essenziale, al fulcro dell'essere umano, il resto mi annoia. Mi chiedo quanto sentimentalismo ci sia in tutto questo, in che misura io cerchi sempre le emozioni e le passioni molto forti. In realtà, quello che ho appena scritto non è vero. Infatti amo la compagnia degli altri, in quei momenti riesco a godere di una singola parola, un gesto, un sorriso, l'espressione particolare del volto di qualcuno. E soprattutto dell'umorismo che si incontra da tutte le parti. Forse volevo solo dire che sento sempre meno il bisogno di parlare di me stessa o di rivelare qualcosa di essenziale su di me, e questo è probabilmente il motivo per cui ho la sensazione di essere una persona poco socievole. Bene, adesso mi metto a organizzare la mia vita. Forse ciò di cui ho sofferto negli ultimi giorni è una mancanza di organizzazione. I giorni scorrono come sabbia tra le mie dita, ci sono talmente tante tensioni in me che non trovo la forza di affrontare altre cose. Continuo solo a rimuginare. Non so mai in realtà se devo impormi una maggiore disciplina o se sia meglio lasciarmi andare un po' per avere maggiore spazio di manovra, perché altrimenti rischio di esplodere a causa dell'intensità con la quale sto vivendo. Ma adesso ho bisogno di dormire un po', e poi mi metterò alla piccola scrivania verde di Bernard e osserverò gli alberi fuori, di fronte alla casa, e poi raccoglierò qualche pensiero per S. Persino la più banale letterina mi fa sudare sette camicie. Cercherò di “ricomporre” un po' me stessa su un foglio di bloc-notes, nella speranza di percepire una sua eco, ma devo costringere me stessa a far fronte anche a questo. Mentre siedo alla mia scrivania, ho la sensazione che tutto quello che scrivo sia sbagliato. Ma non ha importanza. E sento che il mal di testa sta

tornando, per la prima volta dopo molto tempo. Forse dovrei tenere un registro di quei mal di testa e provare a capire cosa li causa esattamente. C'è ancora quella sensazione di “pugno chiuso” nella mia testa, ma anche così so che il dolore sta arrivando. Da una parte, ho paura di prendermi troppo sul serio per quanto riguarda tutti i miei umori, ma dall'altra temo di sottovalutare il tutto: la giusta misura del proprio valore; il centro manca ancora. Quando mi sento misera, è come se sentissi in me tutte le miserie dell'umanità. In che misura questo è Weltschmerz, “dolore universale” abusivo? Deventer, giovedì 7 agosto [1941] Bisogna poter credere in una persona anche se non se ne vedono gli effetti esterni. E si deve credere in se stessi, anche senza... No, non mi riesce. Non sono ancora sufficientemente in sintonia con la vita, non vi sono fermamente radicata, forse perché il mio lato materiale e quello spirituale non si sono ancora fusi in un tutto organico. A volte il senso delle cose mi sfugge di colpo. Dipende forse da una mancanza di fiducia in se stessi e di fede nelle proprie capacità, dal non essere convinti che quello che si fa va bene e ha un senso. E se non si vede il senso della propria vita, allora la vita stessa perde immediatamente di senso. Oh, Etty, tu sei un caso strano. Non diventerò mai pazza, questo non lo penso più, ma riesco a capire perché succeda ad altri. Desidero ancora perdermi in ogni cosa e in tutti; è la sensazione di voler vivere in armonia con tutto quello che esiste. Non ho ancora imparato ad accettare le numerose contraddizioni della vita con il centro del mio essere piuttosto che con la mia mente. Quello che desidero è la piena sintonia e unità e pace. Vorrei sparire, dissolvermi, dimenticare e smarrire me stessa; non fuggire da me stessa, ma fondermi molto naturalmente e armoniosamente con terra e cielo. In realtà non so ancora cosa sia importante e cosa no, e in quale punto debba essere posto il centro di gravità della mia vita. O se quello che sto facendo sia utile. Non sono impegnata in alcunché, non vivo secondo le norme del consorzio umano, non ho un lavoro fisso, non sono sposata e non ho ancora il coraggio di dire: “Mi piace il modo in cui vivo, non ho bisogno di norme esterne per questo, i miei criteri si trovano nel profondo del mio essere”. Quando comincio ad arrovellarmi come ora, avverto il mal di testa e la nausea avanzare da tutti gli angoli. Ancora una stranezza. Volevo registrare in questo quaderno con tranquillità come ho trascorso le mie giornate a Deventer finora, tutte le conversazioni che ho avuto con mio padre e con mia madre. E non ci riesco. Mi manca la pazienza di scrivere: e poi ho fatto questo, e poi lui ha detto quest'altro, e poi io ho provato questo, ecc. Mi manca la pazienza per registrare i dettagli della vita quotidiana. Volevo provarci, ma tutto quello che sono riuscita a trarne è stato qualcosa di mistico che ho annotato nella pagina precedente: bisogna poter credere in una persona senza vederne gli effetti esterni. Sento la necessità di riassumere subito le cose in una formula generale che trascenda il dettaglio da cui le cose stesse nascono. Ricordo quel viaggio a Parigi da innocente quindicenne. Il treno che attraversava paesaggi cangianti, i molti visi nuovi, il frastuono, le nuove impressioni: tutto era travolgente per me. Volevo scrivere qualcosa su quel viaggio e, con mia sorpresa, ciò che scrissi su un bloc-notes fu: “Nella vita di ogni individuo, il mondo dev'essere di certo crollato almeno una volta, eppure esiste ancora: che cosa singolare”. Questo fu il mio resoconto del viaggio a Parigi. Interiormente non ho più pazienza, cerco subito la formula grande e onnicomprensiva, che, a quanto pare, unisce in sé tutte le contraddizioni. Non ho un contatto continuo con le persone e le cose. Persino chi mi è tanto caro può apparirmi d'un tratto così distante, come se non avessi con lui il benché minimo legame. Questo mi rende insicura. E mi chiedo quale di questi sentimenti sia quello vero. L'amore o l'indifferenza? Probabilmente entrambi. Devo solo accettare di essere ora in un modo ora in un altro: tutti i sentimenti coesistono in me, tutti gli umori sono possibili dentro di me. Le undici di sera, a letto

Oggi pomeriggio credo di aver scritto un sacco di maledette sciocchezze; o almeno mi sono sentita un po' in imbarazzo, per questo. Ma, forse, mi rendo le cose più difficili del necessario. La vita è probabilmente molto buona. Ho ancora tanto lavoro da fare, non devo sprecare il mio tempo con cose senza senso. Stasera il sole pendeva come una palla infuocata tra i due alberi neri di una nave. Un treno giocattolo scorreva in lontananza lungo il ponte ferroviario. C'era un glorioso cielo ricoperto di nubi. Stavo lì sul ponte ferroviario nel mio impermeabile, a guardare. Era così bello e anche tanto normale e buono. Sono una ragazza e studio cose differenti. Altre giovani lavorano in un ufficio per guadagnarsi da vivere o hanno un marito e dei figli. Ma anch'io ho molte ragioni per vivere. Perché mai non dovresti studiare russo e leggere le mani dei tuoi simili? Continua tranquilla a lavorare, continua a coltivare il campo dello spirito, vivi anche un po', e lascia che tutto sia in armonia. Prima, quando sedevo alla mia scrivania, ero spesso agitata e avevo paura di perdermi qualcosa della vita. E quando partecipavo alla cosiddetta “vita”, tra le persone e i loro divertimenti, mi sentivo sola e volevo ritornare al mio posticino dietro quella scrivania. Ed è ancora un po' così. Il vero scopo della mia vita sarà quello di trovare una reale armonia interiore tra quella “vita” e la scrivania. Una volta papà ha detto: Un uomo che sigilla buste in un ufficio postale è più utile di uno che studia filosofia. E molte altre saggezze di tal fatta, dette con convinzione e originalità. Forse simili espressioni si sono incise a fondo dentro di me, non so. Posso immergermi a lungo nei miei studi e poi d'un tratto chiedermi se quello che sto facendo non sia nient'altro che un'attività insensata. Eppure non è proprio questo a preoccuparmi. Ma, nutrendo me stessa costantemente con i beni dello spirito più alti e preziosi, ho probabilmente paura di allontanarmi troppo dalla grande massa che deve accontentarsi di un alimento ben più grossolano. E ovviamente non è neanche così; non riesco ancora a esprimerlo a parole. A volte vorrei vivere come un fiore o come una mucca o un altro elemento naturale simile. Allora avverto la vita intellettuale come qualcosa di artificioso e insalubre. Vorrei soltanto che la mia vita scorresse come qualcosa di scontato, su cui non dover riflettere. C'è in realtà nel mio profondo un desiderio di cose molto semplici, tranquille e uniformi. O forse lo immagino soltanto, e le cose stanno in maniera molto diversa? Ma di fatto c'è uno spirito irrequieto in me che vuole sottrarre alla vita quanti più giù di limisteri possibile; non c'è niente da fare, il mio percorso sarà probabilmente difficile com'è adesso. Ma è davvero ingrato da parte mia dimenticare i molti momenti buoni in un solo momento di depressione e disperazione. Ecco qui, ora una breve incursione in San Giovanni e poi a dormire. Dovrei proprio dedicarmi un po' a queste disordinate faccende domestiche. Sì, da oggi in poi prenderò nota esattamente di quel che faccio durante il giorno, e delle persone con cui parlo. Le normali occupazioni quotidiane: potrebbe tornare utile in futuro, non devo per forza dar voce di continuo a profonde intuizioni sulla “vita”. Mi auguro che quella canaglia di S. prima o poi si faccia sentire. Penso a lui con tanto piacere e tranquillità. È quasi come se fosse diventato una leggenda per me. Ho avuto una lunga, buona conversazione su di lui con quella gentile Juliana; nel profondo mi annoia terribilmente, ma traggo dalla sua compagnia anche una certa soddisfazione. La maggior parte delle persone mi interessa più come “oggetto d'analisi” che in rapporto a me. Perciò, a lungo andare - diciamo tra una decina d'anni o giù di lì - non sarebbe impensabile per me lavorare in uno studio di psicologi. Ma cosa vado immaginando, in realtà? Diventerò anche un'esperta di affari russi, senza dimenticare il mio destino da scrittrice famosa. Davvero un programma inusuale. Ma, parlando sul serio: in futuro dovrò programmare la mia vita in maniera molto rigida e sotto questo aspetto posso ancora imparare molto da S. Bene, vedremo. Forse non è poi un'idea tanto stramba, quella di annotare ogni giorno un gran numero di banalità in questo quaderno, in modo da delineare, per esempio, il quadro di un intero mese, con la statistica dei piccoli mal di testa, attacchi di stomaco, buoni e cattivi umori. E persino quante volte S. mi abbraccia, e altre cose del genere. In realtà la mia relazione con lui sembra molto buona se vista da lontano: i miei sentimenti per lui sono ora moderati, e io mi sento serenamente grata e arricchita al pensiero che lui esista. Non lo desidero affatto; mi basta sapere che lui c'è. Anche fisicamente non

significa nulla per me. Il bacio “demoniaco” nella brughiera è qualcosa con cui non ho mai avuto a che fare. Bene, questo diario sembra configurarsi come un documento di straordinario interesse, a patto che io abbia il tempo di scriverlo. Ah, per oggi merita ancora una menzione il fatto che nel negozio non c'erano più patate: anche ciò è di grandissima importanza. Dovrei annotare i miei sogni, perché sono parti importanti di me stessa. Epilogo di questa giornata: la vita è buona, in ogni caso. I membri di una qualche antica tribù avevano la consuetudine di mettere una pietruzza bianca o nera in un vaso alla fine di ogni giornata, in base all'andamento positivo o negativo del giorno. Un'abitudine sensata. Poi, in occasione della morte di qualcuno, si rovesciava il vaso e si poteva quindi constatare se la sua era stata una vita felice o no. Invece di tale rito con le pietruzze, alla fine della giornata io potrei scrivere in questo quaderno: la vita è bella o miserabile o difficile o deliziosa, ecc. Lo farò una volta per un mese intero. Sarà divertente vedere come va a finire. Adesso, alle undici e mezzo di giovedì sera, 7 agosto 1941, posso scrivere con assoluta convinzione: la vita è buona. Venerdì mattina [8 agosto 1941], le dieci e un quarto Allora, avanti! Forse annotare un po' le cose quotidiane è un buon esercizio di pazienza per me. Bene, allora: mi sono svegliata alle nove e dieci con l'ultimo frammento di un sogno ancora dentro di me. Mal di testa. Prima mi sarei buttata subito sulla scorta di aspirine, ma adesso se ne va via da solo. Un individuo può progredire e questo è piacevole. Voglio trattenere quell'unico pezzetto di sogno. Ero da Prins e c'era anche il suo figlioletto, Petertje, che stava nella culla. Poi rimasi sola con il bambino e sentii l'irresistibile desiderio di baciare quella piccola, umida, attraente bocca infantile. E lo feci con una tale passione, una tale sensualità e trasporto che ebbi un orgasmo. A quel punto mi sono svegliata e mi sono accorta di avere il mal di pancia: di nuovo la seccatura delle mestruazioni, con una settimana di anticipo. Ancora nessuna lettera di S., il farabutto. Mi piacerebbe proprio vederlo lì, a Wageningen, nella confusione domestica, tra le molte figlie pie e devote. La prima cosa che ha detto la mamma quando sono scesa era: mi sento proprio male. È strano: se papà manda il più piccolo sospiro quasi mi si spezza il cuore, e se la mamma dice con grande pathos: mi sento proprio male, di nuovo non ho chiuso occhio, ecc. ecc., non mi commuove affatto. Una volta, quando mi alzavo tardi, ero completamente scoraggiata e pensavo: bene, ormai questo giorno è perso e non faccio più niente. Anche adesso provo un senso di disagio, come se ci fosse qualcosa che non potrò recuperare mai più. Potrei scrivere un trattato di psicologia su questo tema, ma mi sono proposta di non scrivere più su argomenti “difficili”, lo farò più tardi se saranno diventati più facili. Non ho nessuna idea di cosa farò oggi. In questa casa non riesco a lavorare, non ho un angolino mio e non riesco a funzionare. Credo che cercherò di riposare il più possibile. Noiosa, pettegola, non piagnucolare in questo modo, su, continua pure: così reagisco dentro di me quando la mamma mi parla. È una persona che ti può far uscire dai gangheri. Cerco di essere obiettiva con lei e di volerle anche un po' di bene, ma poi, nel mio cuore, le dico di nuovo: come sei pazza e ridicola. Questo mio atteggiamento è del tutto sbagliato, qui io non vivo ma mi lascio vivere, e rimando la mia vera vita a dopo che sarò partita. Mi manca ogni energia per lavorare con intelligenza, è come se in questa casa ogni forza ti venisse risucchiata. Ora sono le undici e non ho fatto nient'altro che ciondolare su questa fresca panca alla finestra, davanti a me la colazione ancora da sparecchiare, e la mamma con le sue esclamazioni patetiche a proposito di tessere per il burro, della sua salute, ecc. ecc. Eppure non è una donna qualunque. Il tragico è questo: qui giace un capitale di talento e valore umano, sia nella mamma che in papà, ma inutilizzato, o perlomeno non investito al meglio; qui si va sempre a sbattere contro problemi irrisolti e repentini cambiamenti di umore; è una situazione caotica e triste che si rispecchia nell'andamento disordinato della casa. E la mamma crede di essere una massaia eccellente. Invece distrugge chiunque col suo eterno sfaccendare domestico. La mia testa diventa sempre più pesante. Eppure andiamo avanti. In questa casa la vita si rovina per delle sciocchezze, si è distrutti dalle inezie e non si arriva alle cose che

contano. Ho appena scritto a Gera, dicendole che se rimanessi qui a lungo cadrei in una sorta di malinconia cronica. E non si può far nulla, aiutare o intervenire. È un insieme così squilibrato. La sera in cui avevo raccontato con gran passione di S. e del suo lavoro, avevano reagito in modo delizioso, con entusiasmo, fantasia, senso dell'umorismo. Ero andata a dormire tutta contenta, pensando fra me che erano proprio persone simpatiche. Ma il giorno dopo c'erano solo battute stupide e scetticismo: allora è come se non avessero più fiducia nell'entusiasmo della sera precedente, e così si va avanti. Bene, Etty, e tu tirati su. Naturalmente, il mal di pancia non mi aiuta a sentirmi meglio. Credo che oggi pomeriggio andrò un po' a dormire e poi in biblioteca, a studiarmi ancora quel dottor Pfister. Devo pur essere riconoscente per tutto il tempo che ho a disposizione: adoperalo bene in nome di Dio, stupida che sei. E ora basta con questo chiacchiericcio. Di sera, le undici Comincio a credere che stia diventando un'amicizia importante, un'amicizia nel senso più profondo del termine. Mi sento profondamente seria - e non è una serietà che si libra sopra la realtà, e che più tardi potrà sembrarmi esagerata e innaturale. Perlomeno, non credo. Quando ho ricevuto la sua lettera oggi pomeriggio alle sei - ero appena arrivata da Gorssel fradicia di pioggia -, non ho sentito nessun contatto con le sue parole. Ero stanca morta, fisicamente e spiritualmente, non sapevo bene che farmene. Poi mi sono raggomitolata sul mio letto e ho studiato con attenzione la ben nota calligrafia, e allora mi sono resa conto di quanto grande sarà il peso di S. sullo sviluppo ulteriore del mio spirito - purché io continui a “confrontarmi” seriamente e onestamente con lui e con me stessa, e coi numerosi problemi che per me nasceranno sempre dal nostro rapporto. “Carico di significato”: devo avere il coraggio di vivere la vita con la “carica di significato” che essa pretende, senza per questo considerarmi pesante, o sentimentale, o innaturale. E non devo considerare S. come un fine, ma come un mezzo per continuare a crescere e a maturare. Non devo cercare di possederlo. È vero che la donna cerca la concretezza del corpo e non l'astrattezza dello spirito. Per la donna il centro di gravità è l'uomo singolo, per l'uomo è il mondo: chissà se la donna è in grado di spostare questo centro senza violare se stessa, senza far violenza alla propria natura? Questo, e molti altri interrogativi sono stati sollevati dalla sua lettera, che era molto stimolante per me. “Stare dalla parte di un altro essere umano. L'amicizia va coltivata”. Qui a casa regna uno strepitoso miscuglio di barbarie e alta cultura. Il capitale spirituale è a portata di mano, ma giace incustodito e inerme, lasciato a marcire per incuria. È deprimente; è tragicomico. Non so che razza di folle gestione domestica sia questa, ma so bene che nessun essere umano vi può crescere. Annotare le faccende quotidiane non mi riesce, ed è evidente che la cosa non mi interessa. Sarà una pietruzza nera o bianca oggi? Una pietruzza bianca luccicante. La vita è piena di promesse e possibilità, finché siamo in salute e non temiamo le difficoltà. È come se oggi, stasera per la precisione, riconoscessi intimamente per la prima volta il mio rapporto con lui, come se solo adesso ingaggiassi battaglia con lui o, meglio, con me stessa. Etty, comportati da persona “adulta” e fai un po' di chiarezza, per te e forse per molte altre donne. In realtà, ora mi sento molto felice e piena di energie al pari di chi sa affrontare la vita nella sua pienezza. Mi accorgo che sto diventando sempre più indipendente dal mio ambiente esterno. Il mattino è stato piuttosto insipido, ma poi la giornata si è rivelata molto più fruttuosa di quanto non sarebbe mai potuto accadere in passato. Ho avuto una dignitosa conversazione in russo con mamma, che improvvisamente sembrava essere di nuovo una persona di carattere e decente. D'un tratto mi assale un profondo dispiacere per aver provato sentimenti così negativi nei suoi confronti e penso di averla giudicata male, ma alcune ore dopo un diavoletto irritato dentro di me torna di colpo a scagliarsi contro di lei: Noiosa frignona, smettila di lamentarti! Sei davvero completamente matta, quanto sei matta!; penso tutto ciò con molta serietà e con una sorta di amaro umorismo, e in quei momenti l'amore è cosa lontana da me. Etty, Etty, non ti abbattere in questo modo! Ma sei sulla

strada giusta, adesso. Ti decidi ad andare finalmente a dormire? In realtà c'è così tanto amore in me. Domattina per prima cosa trascriverò la citazione di Rittelmeyer che lui ha incluso nella sua lettera. Sabato mattina [9 agosto 1941], le dieci R., p. 92: “... Gli oggetti del mondo esterno sono conoscibili nella misura in cui il soggetto della conoscenza si pone di fronte all'oggetto della conoscenza e su di esso compie l'atto del conoscere. Quanto più si scende in profondità, tanto più il conoscere diventa contemporaneamente un essere conosciuto. Di fatto io posso conoscere un uomo nella sua più profonda essenza, solo se nel contempo guardo me stesso con i suoi occhi e, mentre conosco lui, vengo dunque a scoprire anche cose nuove su di me”. Le tre di pomeriggio Sono di nuovo gravida di una lettera per S., il mio buon amico. È davvero bellissimo sentire dentro di sé un che di perfetto e completo: si può allora goderne sul serio. Ma poi arriva il momento in cui bisogna portare tutto fuori, con poche e comprensibili parole, e a quel punto iniziano i guai. Eppure è importante che io riesca a esprimere con esattezza le mie reazioni alla sua lettera di ieri. In realtà è tutto molto semplice, ma io desidero esprimere le cose in maniera originale e attraente, il che alla fine è vanità pura e semplice, bisogno di fare una certa impressione sugli altri. O forse non si tratta solo di questo. Dentro di me percepisco tutto in modo così ricco, variegato ed eccitante, ecc., ma quando ne vengono fuori solo un paio di misere parole, temo che lui non ne riceva un'immagine completa. Si tratta della necessità di mostrarsi completamente a qualcuno. Forse si tratta anche di non volere che qualcuno abbia di noi un'immagine ridotta rispetto a quello che valiamo. Ma anche questo cela una forma di ansia di apprezzamento. Le cose che vorrei formulare stanno ancora al di là delle mie forze, nasce forse da ciò il mio mal di testa. Per giunta, questa famiglia conosce a meraviglia l'arte di risucchiare tutte le energie, ma oggi sono di nuovo me stessa, molto più che nei giorni scorsi. Conosco due forme di solitudine. L'una mi fa sentire terribilmente infelice, perduta e quasi sospesa; l'altra mi rende forte e felice. La prima è sempre presente quando non mi sento in contatto con i miei simili, quando in genere non ho il benché minimo contatto con alcunché: allora sono completamente tagliata fuori da tutti e da me stessa, non afferro il senso di questa vita né vedo ciò che unisce le cose, non avverto il mio posto in questa esistenza. Nell'altro tipo di solitudine mi sento invece forte e sicura, in contatto con tutti, con tutto e con Dio, e so di poter affrontare la vita da sola senza dipendere dagli altri. In quei momenti mi sento parte di un tutto ricco di significato, immenso, e mi sembra di poter ancora dare molta forza anche agli altri. La prima forma di solitudine è quella pericolosa. È quella a cui mi devo opporre. Tutto deriva dal non avere ancora il coraggio di confrontarsi con se stessi e con gli altri. Ieri la lettera di S. è stata così importante: all'inizio non sentivo alcun tipo di contatto con quella missiva, ed ero ancora distaccata da S.; dopo di che mi sono buttata sul letto. Sono rimasta lì, sdraiata a pancia in su, e all'improvviso è giunto un nugolo di pensieri essenziali e produttivi. Mi sono sentita di nuovo piena di vita e calore, e ho avvertito un vero contatto con quell'uomo caro e buono. La mia malattia è che, in ultima istanza, ogni essere umano mi rimane estraneo. Nessuno mette davvero radici nel mio animo, per sempre. Ma ieri lui mi è sembrato d'un tratto molto meno estraneo. Si tratta di un problema serio, l'ho capito ieri, e va trattato con serietà. Nessuna persona dev'essere il fine di un'altra, bensì il mezzo, lo strumento per raggiungere uno stadio superiore della vita, per svincolarsi da questa terra troppo pesante e dalle sue creature. Con gli altri e attraverso gli altri bisogna imparare a liberarsi reciprocamente, in modo da vivere insieme in una più completa libertà. Le tue intenzioni sono buone, ma non l'hai ancora detto bene: ci vuole una vita intera per vivere queste cose in maniera chiara e limpida e per formularle lucidamente, affinché un altro possa trarne beneficio per la sua esistenza. Mi sento di nuovo bloccata. E tuttavia

oggi ho fatto dei progressi rispetto a ieri, anche se persiste il medesimo mal di testa e un principio di mal di stomaco. Eppure sono maturata ancora un po'; ho coltivato un ulteriore segmento di campo, ma la distesa è incommensurabilmente vasta. Ciò di cui più soffro è il fatto che non riesco ancora a dire le cose, a formularle in modo tale che le parole diventino trasparenti e vi si scorga dietro l'anima. Ti sei espressa in modo troppo forbito, ragazza! Domenica mattina [10 agosto 1941], a letto, l'unico posto qui in casa dove si può stare finalmente soli con se stessi “C'è qui, in questa strana famiglia, un tale indescrivibile miscuglio di barbarie e alta cultura, da farti perdere per intero le forze. Mio fratello maggiore dice sempre: qui regna il disordine organizzato. Il capitale qui è in giro, sparso qua e là, un capitale di valori spirituali e umani, ma tutto alla rinfusa, male amministrato e privo di obiettivi. Stando così le cose, di tanto in tanto ti coglie un senso di oppressione e di tristezza. Un tempo la mia pittoresca famiglia mi costava, ogni notte, almeno un litro di lacrime disperate. Ancor oggi non so spiegarmi quelle lacrime; arrivavano da chissà dove, da un oscuro soggetto collettivo. Adesso non sono più così prodiga con questo prezioso liquido, ma comunque sia non è facile vivere qui. “Non era però mia intenzione scrivere di questo complicato ménage familiare; volevo occuparmi piuttosto della sua lettera che, irrompendo in questo caos, vi ha portato un ordine ed è stata così importante per me. Quando la grafia benevola e fidata, della quale provavo tanto desiderio mi ha fatto cenno dalla cassetta delle lettere, ne ho gioito immensamente, poi ho letto la sua lettera, con la quale in un primo momento non ho però stabilito un intimo contatto. E nemmeno un intimo accesso a te. Mi sentivo di nuovo completamente distaccata ed estranea, come mi era accaduto già migliaia di volte. Mancava la continuità, e questo è il più grave pericolo che incombe sulla mia vita interiore. “Ma poi mi sono gettata sul letto, ho decifrato ancora una volta i tuoi geroglifici, e all'improvviso tutto era di nuovo presente. Ho ritrovato il contatto con me stessa, con la parte migliore e più profonda del mio essere, quella che io chiamo Dio, e quindi anche con te. È stata un'ora in cui sono maturata di un ulteriore tratto, in cui ho appreso molte cose nuove su di me e sui miei rapporti con te e con gli altri. Sono già passati alcuni giorni, e quell'ora per me così importante è sempre racchiusa dentro di me come un tutto compiuto e perfetto, ma non riesco ancora a trovare le parole per descriverla. “Tu lo sai, quando si tratta di "essere fedeli a se stessi", gli uomini sono generalmente dei veri dilettanti. Anch'io lo sono. E quando non si ha il coraggio di essere fedeli a se stessi, non si ha nemmeno quello di essere fedeli agli altri, non si hanno quindi contatti con i propri simili e ci si sente soli, e intorno a questa solitudine si costruisce ogni sorta di teorie interessanti, come quella dell'anima incompresa", ecc., ma tutto questo è solo falso romanticismo e una fuga a proprio esclusivo vantaggio. E poiché tu sei un uomo che ha il coraggio di vivere la vita in tutta la pienezza del suo significato, il che vuol dire semplicemente attingere dalle proprie scaturigini, in questo modo costringi coloro che si confrontano seriamente con te a tornare alle loro scaturigini, a loro stessi, e, muovendo di qui, a volgersi di nuovo agli altri. E ti sono immensamente grata perché talvolta mi permetti di starti accanto, ciò è di importanza fondamentale per il mio futuro sviluppo, ne sono sempre più persuasa. Di fatto tu sei la prima persona grazie alla cui vicinanza io possa educarmi. Quella con te potrebbe diventare la prima amicizia non dilettantesca della mia vita. Se affronterò seriamente i problemi che, grazie a te, si affacciano alla mia coscienza e se riuscirò a venirne a capo, be', allora molto della mia vita si sarà già chiarito. “Una donna vede l'uomo sempre come fine, mai come mezzo, e invece gli esseri umani dovrebbero essere l'uno per l'altro semplici mezzi, così da potersi innalzare nel reciproco confronto a un più alto grado di libertà. Questo sarebbe magari un compito per la donna. Ma, al riguardo, non riesco ancora a esprimermi con sufficiente chiarezza. “Il baricentro della donna si colloca nell'uomo, nella casa, nei figli, dunque in ciò che ha sostanza, che è tangibile, come dicevi tu. E il baricentro dell'uomo si trova nel lavoro, nel mondo, nel cosmo. Ma può la donna spostare il proprio baricentro, senza far violenza a se stessa nel più profondo del

suo essere? Potrebbe essere questo un compito per la donna? Un compito per me? E per me queste adesso non sono più semplici domande teoriche, ma in qualche misura già carne e sangue”. Trascrivere dal diario in questa lettera le pagine 36 e seguenti non mi sembra un'operazione poi tanto sciocca. Ci butto dentro senza controllo tutto quello che scrivo, senza alcuna affettazione e, in un secondo momento, quello che ho scritto mi comunica comunque qualcosa. “Qual è il succo di questo lungo discorso, mio paziente e caro interlocutore? La sua lettera ha avviato in me un processo psicologico molto importante, che io ho cercato di mettere per iscritto, ma non credo di esserci riuscita; provo quanto meno un senso di insoddisfazione per tutte queste parole, troppe parole scritte su ciò che dentro di me sento così semplice e chiaro. Ma che io mi proponga di rendere conto a un'altra persona di ciò che mi sta accadendo costituisce già un progresso per me e la prova che comincio a fare sul serio nei riguardi di me stessa”. Domenica, a mezzanotte Vado avanti, davvero, ce la sto facendo. Se procede così, il vaso della mia vita sarà pieno di pietruzze bianche. Ma adesso sono stanca morta. Una colonna salda e diritta si sta innalzando nel mio cuore; la sento quasi crescere e intorno a essa si raccoglie il resto: io stessa, il mondo, ogni cosa. Quella colonna mi dà anche tanta fermezza dentro. Quanto è terribilmente importante per me essere finalmente in contatto con me stessa! Non avanzo perdendo di continuo l'equilibrio e oscillando da un mondo all'altro, e non osservo più tanto stupefatta il mondo materiale dalla prospettiva del mondo spirituale o viceversa. Si sta consolidando qualcosa in me, mi sento in qualche modo trasformata e non sono più così fluttuante, ma è soltanto l'inizio grezzo di un nuovo, più maturo stadio della mia vita. Tieniti ancora sotto controllo, piccola, ma sono comunque soddisfatta di te; stai andando avanti, davvero, ce la stai facendo. E adesso molla tutto: domani inizia un altro giorno da vivere appieno. Mercoledì pomeriggio [13 agosto 1941] “Proprio un bel tipaccio, lei: "E adesso continui a scrivere e scriva molto". Oggi non ho nessuna voglia di scrivere e probabilmente non ce l'avrò nemmeno domani. Sai come mi sento in questi ultimi giorni? Come un mare, un mare immenso, profondo, senza nome, e tu hai mai sentito di un mare che scrive lettere? Un mare così non conosce parole scritte, è soltanto profondo e immenso, e questo basta. Sto trascorrendo qui una settimana molto strana, forse una delle più proficue che abbia mai trascorso in casa dei miei genitori durante le vacanze. Nonostante le innumerevoli distrazioni provenienti dall'esterno, sono riuscita a concentrarmi su me stessa e mi sono per così dire consolidata interiormente, e questo è uno dei rari momenti in cui riposo a tal punto nel profondo dell'animo, che non sento affatto il bisogno di scriverti. Adesso provo per lei un sentimento forte e buono, ma non ho parole. E se adesso fossi accanto a te, ti fisserei con sguardo un po' ingenuo e non parlerei quasi, ma chiederei alla tua cara mano, a quella tua mano così grande, di accarezzarmi un poco. Oh sì, naturalmente non la smetterei di cianciare, ma tu capiresti, vero? “So quanto è sgradevole non ricevere regolare risposta alle proprie lettere, ma per ora le dirò soltanto che trovo le sue lettere assai stimolanti, oggi dovrà accontentarsi di questa scarna reazione, mi scusi tanto... “Lunedì mattina dovrà alzarsi presto, poverino, perché già alle 9 la sua segretaria sarà da lei. Prendo il treno delle 7.49 e la sera dovrò ripartire alle 8.15. Potrebbe risultarne una giornata lunga e proficua! Me ne rrrallegro! Non è il caso che venga a prendermi alla stazione, conosco la strada. “Arrrivederciiii...”. Un'oggettività flemmatica e gelida è naturalmente impossibile, col mio carattere. Ho troppo sentimento. Ma non vado più in pezzi per questo. Daan è caduto dall'aeroplano. Uno dei tanti giovani pieni di vita, e ricchi di promesse, che muoiono giorno e notte. Non so che cosa pensare. Con tutto il dolore che ho intorno, comincio a vergognarmi di prendere sul serio i miei umori.

Eppure devi continuare a prenderti sul serio, devi rimanere il centro, e in qualche modo devi venire a capo dei fatti di questo mondo; in nessuna situazione puoi chiudere gli occhi, devi “confrontarti” con questi tempi orribili, e cercare una risposta alle numerose questioni di vita e di morte che essi ti pongono. E allora forse troverai una risposta ad alcune di esse, non solo per te ma anche per gli altri. Sta di fatto che devo vivere, e che devo affrontare ogni cosa. A volte mi sento come un palo ritto in un mare infuriato, fra le onde che lo battono da ogni parte. Ma io rimango ben ferma e gli anni mi passano sopra. Voglio continuare a vivere pienamente. Voglio diventare il cronista di tanti fatti di questo tempo (al piano di sotto lamenti e urla, papà grida: vattene allora, e sbatte le porte; anche questo va digerito e d'un tratto piango, dunque non sono ancora così oggettiva; la vita è proprio impossibile in questa casa, ma coraggio, andiamo avanti); sì, un cronista, dicevo. Io noto che alla mia sofferenza personale si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato per tutto ciò che riguarda questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima. A volte credo che sia questo il mio compito: chiarire nella mia testa, e col tempo descrivere, tutto ciò che accade intorno a me. Povera testa e povero cuore, quante cose vi toccherà digerire! Ricca testa e ricco cuore, avete però una bella vita! Già non piango più. Ma ho la testa che gira in modo terribile. Qui è un inferno. Per rappresentarlo, dovrei saper scrivere già molto bene. In ogni caso, io vengo da questo caos, ed è mio compito portarmi più in alto. S. lo chiama “costruire con nobile materiale”, quel tesoro. A volte siamo così distratti e sconvolti da ciò che capita, che poi fatichiamo a ritrovare noi stessi. Eppure si deve. Non si può affondare, per una sorta di senso di colpa, in ciò che ci circonda. È in te che le cose devono venire in chiaro, non sei tu che devi perderti nelle cose. Una poesia di Rilke è altrettanto reale e importante di un ragazzo che cade dall'aeroplano, ricordatelo bene. Sono tutte cose che fanno parte di questo mondo e non si può ignorarne una per favorirne un'altra. Va' a dormire. Le numerose contraddizioni della vita devono essere accettate, tu invece vorresti fonderle in un unico insieme e in qualche modo semplificarle dentro di te, così ti semplificheresti pure la vita. Ma il fatto è che la vita è composta di contraddizioni, che queste vanno accettate tutte come sue parti integranti, e che non si può accentuarne una a spese di un'altra. Lascia che il tutto giri e forse diventerà ancora un unico insieme. Come ti ho già detto, dovresti andare a dormire, invece di scrivere cose che non sei ancora in grado di formulare. Venerdì sera [15 agosto 1941], a letto La mia testa è l'officina dove tutte le cose di questo mondo devono giungere a essere formulate in piena chiarezza. E il mio cuore è la fornace ardente nella quale tutto deve essere sentito e sofferto con intensità. Questo è senz'altro un pensiero molto profondo. Da qui le cose sono tutte in salita. Per una settimana me la sono cavata egregiamente, ma adesso comincio pian piano a sentirmi così scoraggiata e oppressa dentro, che mi pare di non poter più affrontare nulla. In questa famiglia è come se qualcosa rosicchiasse senza sosta la mia vitalità, e a lungo andare qui io diventerei una zia acida, dimenticando completamente di essere in realtà una creatura tanto gioiosa e comunicativa. Credo che quello che sto cominciando a desiderare più di ogni altra cosa siano i “dolci occhi” grigio-blu di Pa Han, le sue sensibili, carezzevoli mani. Venerdì a mezzogiorno (a letto) “Oggi la mia testa martoriata anela al contatto delle tue mani. La calotta cranica si è fatta di nuovo troppo stretta per contenere tutti questi miei pensieri che si combattono, e di ora in ora il cuore diventa più pesante. Dalla volta scorsa la musica è di nuovo cambiata. Dimmi, tu pensi, lei pensa, che io sia una persona molto egocentrica, che prende troppo sul serio se stessa e i suoi stati d'animo? Deve dirmelo lei. Io non lo so. Talvolta si crede di aver trovato definitivamente la pace, ma non bisogna mai essere troppo sicuri di sé. Non so come stiano davvero le cose qui, so solo che qui non si può vivere. Per una settimana me la sono cavata magnificamente, ma ora d'un tratto mi

rendo conto di essere esausta e con il morale a terra. È come se in questo ambiente la mia gioia di vivere venisse di continuo corrosa, ormai non so più in che modo difendermi, è come se ogni parte del mio corpo - braccia, gambe, cervello, cuore - fosse gravato da pesanti pietre, che mi vogliono tirar giù, in una palude. Nei miei sogni mi pare di essere al Muro del pianto a Gerusalemme. Al risveglio non ricordo mai nulla di concreto, ma solo profondi sospiri e singhiozzi disperati. Adesso non sono più una ragazza simpatica e vivace, "una brunetta russa", come dice sempre la signora Nethe, bensì una creatura afflitta, stanca e annoiata. È come se di ora in ora crescesse in me la spossatezza e la difficoltà a muoversi; se continua così, vedrà che bella giornata le preparo per lunedì! Ecco qua, una piacevole lettura per le sue vacanze, ma al momento le cose stanno diversamente. Quante emozioni questa settimana! Cielo e inferno, tutto assieme. Ma sta già passando, il guaio è che tutte le volte mi ritrovo subito stremata anche fisicamente, con forti dolori di testa che non passano più e paralizzata dalla stanchezza. Che idiota, vero? “Qualche giorno fa, all'alba, quando in famiglia dormivamo ancora tutti, mio fratello, il più piccolo, è scappato di casa. Ha scritto una lettera abbastanza patetica, ma in fondo molto sensata, nella quale diceva che non riusciva più a sopportare l'atmosfera di casa: non si sarebbe lasciato inaridire e, d'ora in poi, voleva essere lui l'artefice della propria vita. Dopo una giornata di ricerche (era mercoledì), abbiamo scoperto che era andato da certi nostri conoscenti fuori città, i quali lo hanno accolto affettuosamente. Come bagaglio aveva solo lo spazzolino da denti della mamma, nient'altro. Non vuole tornare in famiglia. Fa bene, il ragazzino. Speriamo si comporti come si deve, che non sia necessario rinchiuderlo di nuovo. Su questo piccolo episodio ci sarebbe da scrivere un intero volume, gliene parlerò in dettaglio a voce. Qui da noi succede davvero di tutto e di più, ogni ora un'infinità di stati d'animo diversi, devo rielaborare di continuo tutto quanto, e che alla fine non riesca a liberarmi dei miei mal di testa non è poi così strano. Ciò possiede naturalmente anche il suo lato umoristico, ma sempre con un retrogusto amaro oppure cinico. E adesso basta con la cronaca di famiglia”. “Sai una cosa? In fondo prendo sul serio le mie crisi depressive solo perché, tentando di capirle, in un secondo tempo riuscirò a capire anche quelle degli altri e potrò magari aiutarli nelle loro ore difficili. Tutte le volte che mi sento psicologicamente a terra, provo il desiderio di prestare aiuto, di mostrare agli altri la via per uscire dall'oscuro labirinto della loro anima, affinché possano risparmiarsi molte ore di infelicità. Ma per poter offrire chiarezza agli altri, devo prima far chiarezza in me stessa”. Brano trascritto da Rilke. “Sai una cosa? Ieri ho pensato che tu sei una persona con entrambi i piedi saldamente piantati per terra, mentre con la testa tocchi il cielo. Così dovrebbe essere una persona. Ma io sono diversa: a volte mi aggiro carponi per terra, altre mi libro nel cielo, senza essere ancora riuscita a stabilire un legame naturale tra cielo e terra. Non credi sia questa la ragione per cui sono ancora, tanto spesso, così insicura e confusa?”. “Oggi non volevo scrivere affatto, e invece ecco qua un'altra lettera. Per quanto resta ancora da raccontarti a voce, basterà una giornata. Ma non posso trascorrere la notte da te, altrimenti i miei storcono il naso. “Mi stia a sentire: c'è un punto della sua bocca che ha una piega cocciuta e caparbia, ed è proprio quel punto che io adesso le sto baciando, ma mi creda non c'è nulla di demoniaco in ciò, e mi dica se le piace! Quando sono stata da lei per la quarta o quinta seduta, mi è venuta una strana voglia di chiederle schiettamente: Caro signor Spier, potrei baciare questo punto così ostinato e rivoluzionario della sua bocca? Mi piacerebbe tanto, ma non so spiegarle il perché. Allora forse lo avrebbe trovato molto strano, se glielo avessi chiesto, vero? Ma per qualche tempo è stata davvero una piccola ossessione per me”. Da un dialogo con Jaap: È pazzo, ma almeno lui è pazzo in modo sano, mentre io sono pazzamente sana. Di sera, le undici

Ecco un momento di pace, di bonaccia. Non ho più bisogno di pensare a nulla. Può anche dipendere dalle quattro aspirine, naturalmente. Da un dialogo fra me e papà lungo il Singel: Io: compiango ogni donna che ha a che fare con Mischa. Papà: ormai quel ragazzo è in circolazione, che cosa ci puoi fare? 23 agosto 1941, sabato sera Bisogna che registri di nuovo esattamente i miei umori, sta diventando troppo brutto. Un semplice, stupido raffreddore non può colorare di nero tutto il mio modo di vedere la vita, è esagerato. Com'è successo? Andava così bene giovedì sera, sul treno da Arnhem a qui. Dietro i finestrini dello scompartimento la notte cresceva quieta, ampia e maestosa. Il trenino era affollato di operai animati e pieni di vita. Ero seduta nel mio angolino in penombra, con l'occhio destro guardavo la natura quieta e col sinistro le teste espressive e i gesti pittoreschi delle persone. Tutto mi andava bene. La vita come gli uomini. Poi c'era stato quel lungo tratto a piedi dalla Amstelstation per la città quasi buia e come incantata. D'un tratto avevo avuto la sensazione di non essere sola ma “in due”: come se fossi composta di due persone che si stringessero affettuosamente e stessero bene così, al caldo. Un forte contatto con me stessa e perciò un buon caldo dentro, un senso di autosufficienza. Chiacchieravo animatamente fra me e me e trotterellavo con gran piacere per tutti quei viali lungo 1'Amstel, completamente immersa in me stessa. Constatavo con un certo piacere che mi facevo proprio buona compagnia, e che andavo proprio d'accordo con me stessa. E il giorno dopo sentivo allo stesso modo. E ieri pomeriggio, mentre ero alla ricerca di quel formaggio per conto di S. e attraversavo quella bella parte della zona sud di Amsterdam, mi sentivo come un vecchio ebreo che avanza avvolto in una nuvola. C'è di sicuro nella mitologia: un ebreo che avanza avvolto in una nuvola. Era la nuvola dei miei pensieri e sentimenti ad avvolgermi e accompagnarmi, ci stavo ben calda e protetta e sicura. E ora ho un gran raffreddore di testa e non sento altro che svogliatezza e malessere e antipatia. L'antipatia che provo in questi casi per persone a cui normalmente voglio bene è incomprensibile. È un atteggiamento negativo, distruttivo e critico, ecc. ecc. Strano però che tutto questo possa essere causato da un semplice naso chiuso. L'antipatia per il prossimo non è da me. Quando mi sento così poco bene dovrei subito fermare la macchina dei miei pensieri, che invece si mette a correre e a buttar per aria tutto quello che può. In ogni caso è saggio andarmene a letto, mi sento proprio un po' malata: forse è un bene che le tue azioni siano ora diverse dai tuoi pensieri. Stasera doveva ritornare Hans e questa prospettiva mi seccava moltissimo Non appena mi prende quell'antipatia lui ne fa subito le spese, senza dubbio perché vive nelle mie immediate vicinanze: così vedevo male il suo ritorno, ruminavo sul fatto che era un gran seccatore, che era noioso e lento. Invece è tornato bello, fresco e vigoroso dal suo campeggio e barca a vela, e mi sono accorta che parlo molto volentieri con lui, che la sua faccia abbronzata con quei fedeli, e ancora un po' vaghi occhi azzurri mi piace e m'interessa, che sono pronta ad alzarmi e a preparargli un po' di minestra, che poi chiacchiero animatamente con lui e che in fondo mi piace, come in fondo mi piacciono tutte quante le creature di Dio. Non credo che ci fosse qualcosa di forzato nel mio comportamento, credo piuttosto che fosse la mia irritazione interiore a essere innaturale: non è il mio genere, infatti. E allora devo controllarmi un pochino. Il che significa che stasera, quando non sono più in grado di lavorare o di leggere, è meglio che vada a dormire. Mentre stavo riscaldando la minestra per Hans, mi è sopraggiunto questo pensiero: per il momento ho solo la grande pazienza necessaria ad assimilare le cose, ma mi manca ancora la pazienza di dare forma a ciò che è in me. Giovedì ho detto a S.: “Non ho ancora gli strumenti per esprimere queste cose”. Al che lui ha risposto, molto giustamente: “Non hai neanche qualcosa da esprimere”. Quello che faccio è hineinhorchen (mi sembra una parola intraducibile). Hineinhorchen, “prestare ascolto” a me stessa, agli altri, al mondo. Ascolto molto intensamente, con tutto il mio essere, e cerco di tendere l'orecchio fin nel cuore delle cose. Sono sempre tesa e piena di attenzione, cerco qualcosa ma non so ancora cosa. Cerco una verità profonda, ma non ho ancora idea di che cosa si mostrerà. Rincorro alla cieca un fine determinato, sento che c'è un fine, ma ignoro dove e come.

Anche il mio studio è altrettanto strano. Trascrivo brani dai libri, quasi in maniera istintiva: spesso mi soffermo su una sola frase, una parola, che mi pare di dover conservare per il futuro, così almeno penso in quel momento. Sto lavorando per qualcosa, lavoro in un contesto più ampio che però non è ancora delineato, eppure sento che mi conduce da qualche parte, alla ricerca di una sintesi. A volte, seduta a questa scrivania, mi sento un'avventuriera e talvolta, alla fine della mia giornata, mi sento un paziente contadino che ha di nuovo coltivato un appezzamento infinitamente piccolo del grande campo dello spirito. E poi ecco, di nuovo, la pazienza contadina che lascia spazio allo scatenato desiderio di avventura. E poi, di nuovo, arriva lo sconforto, il senso di insicurezza, l'incapacità di dare forma a ciò che si ha dentro. Sono le nove. Vado a letto. Cercherò di non pensare a nulla. Devo ancora diventare disciplinata su tutti i fronti e, se possibile, domani scriverò molto in questo quaderno. Lunedì mattina [25 agosto 1941], le nove e mezzo “Mi dica dunque qualcosa di intelligente in proposito: trovo sempre così mortificante per lo spirito, che uno stupido raffreddore, un mal di testa o altri malanni fisici possano nuocergli; se il mio corpo sta male, io quasi mi vergogno, cerco di tenerlo nascosto agli altri, mi ribello, perciò mi sento doppiamente male e mi considero una persona senza energia perché il corpo influisce moltissimo sul lavoro e sullo stato d'animo in generale. Continuo a disprezzare troppo il mio corpo? Bisogna stare a fianco delle proprie infermità, anche delle più piccole, oppure ribellarsi? Ecco un altro "propplema" per questa ragazza che talvolta rimugina troppo”. Stamattina, al risveglio, ho pensato alle parole di Marx: vengono prima le strutture economiche, e poi le sovrastrutture culturali. E non è forse lo stesso con il singolo individuo? Quando il suo corpo spende troppe energie, ne restano meno per lo spirito. 26 agosto [1941], martedì pomeriggio Dentro di me c'è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c'è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta da pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo. M'immagino che certe persone preghino con gli occhi rivolti al cielo: esse cercano Dio fuori di sé. Ce ne sono altre che chinano il capo nascondendolo fra le mani, credo che cerchino Dio dentro di sé. Da una lettera a S.: “Se ci teniamo a distanza da una persona, possiamo valutarla e conoscerla meglio di quando le stiamo troppo vicino. Non è un po' triste tutto ciò? (Ma no, magari solo problematico). Comunque sia, desidero pur sempre tenermi a una certa distanza da lei”. 4 sett[embre 1941]. Giovedì sera, le dieci e mezzo La vita è fatta di storie che aspettano di essere raccontate da me. Oh, che idiozia - in realtà non lo so. Sono di nuovo infelice. E riesco perfettamente a immaginarmi perché le persone si ubriachino o vadano a letto con un perfetto estraneo. Ma la mia strada non è certo questa. Io devo restare sobria e con la testa lucida. E da sola. È un bene che quel farabutto stasera non fosse a casa, altrimenti sarei di nuovo corsa da lui dicendo: Aiutami, sono così infelice, sto scoppiando! E mi aspetto che gli altri si risolvano i problemi da soli! Voglio prestare ascolto, sì, proprio così. Quindi mi sono seduta per terra, nel più nascosto angolino della mia camera, schiacciata tra due pareti, il capo chino. Sì, e sono rimasta lì. Completamente in silenzio, fissando il mio ombelico, per così dire, in devota speranza che nuove forze sorgessero in me. Il mio cuore era di nuovo congelato e non voleva sciogliersi: tutti i canali erano bloccati e il mio cervello serrato in una morsa. E quando mi trovo ben raccolta in me stessa, attendo che qualcosa si sciolga e fluisca dentro di me. Mi sono proprio caricata troppo di tensione leggendo le lettere della sua fidanzata: l'avevo sempre

tenuta a distanza, a mo' di struzzo, e ora lei è riuscita comunque a entrarmi nella testa. A causa di quelle lettere, ecco tutta una serie di problemi, ma non bisogna arrendersi. Vorrei essere molto semplice come la luna di stasera, per esempio, o una distesa verde. Di sicuro mi prendo ancora troppo sul serio. In un giorno come questo mi figuro che nessuno al mondo stia soffrendo quanto me. Simile a chi, dolente in tutto il corpo, non sopporta che altri lo tocchino nemmeno con la punta di un dito: accade proprio questo alla mia anima, o comunque la si voglia chiamare. La più lieve pressione causa dolore. Un'anima senza pelle, come scrisse, credo, una volta la signora Romein parlando di Carry van Bruggen. Vorrei viaggiare verso posti tanto lontani, e vedere ogni giorno nuove persone, che non avrebbero alcun nome. A volte è come se le poche persone con le quali ho stretti rapporti mi impedissero di vedere oltre. Ma di vedere che cosa in realtà? Etty, sei davvero una piccola canaglia e non molto coscienziosa. Con ogni probabilità saresti in grado di rintracciare le cause del tuo pesante e tormentato stato d'animo, accompagnato da forte mal di testa, ma no; in realtà, non ne hai voglia, sei troppo pigra per questo. Signore, dammi un po' di umiltà. Me la sto prendendo troppo a cuore? Voglio conoscere questo secolo, dentro e fuori. Tasto il polso di questo secolo, ogni giorno di nuovo, tocco con la punta delle dita i contorni di quest'epoca. O è solo una finzione? E tuttavia risospingo sempre me stessa all'interno della realtà. Mi confronto con tutto ciò che si presenta sul mio sentiero, cosa che a volte mi dà una sensazione di sanguinamento. È proprio come se lasciassi che il corpo si scontrasse violentemente con quanto mi circonda, procurandomi ammaccature e graffi. Ma immagino che debba andare così. A volte ho l'impressione di essere dentro un crogiolo; o nel forno del purgatorio, mentre vengo forgiata in qualcosa. Ma in che cosa? C'è in questo un che di passivo: devo lasciare che mi accada. Ma poi ho anche la sensazione che tutte le domande del nostro secolo in particolare, e dell'umanità in genere, debbano trovare una risposta nella mia piccola testa. E questo è un atteggiamento attivo. E comunque, adesso il peggio è passato. Ho di nuovo gironzolato attorno all'IJsclub neanche fossi sbronza e rivolto sciocche osservazioni all'eterna luna. Mica è nata ieri, quella luna. Tipi come me li avrà già visti in passato; avrà in genere già avuto a che fare con mille diverse faccende. Già, mi aspetta una vita dura. A volte non ho più voglia di niente. In tali casi so già tutto in anticipo, so come vanno le cose, e mi sento tanto stanca: sento che non c'è bisogno che io viva tutto realmente. Ma la vita è sempre comunque la forza più grande in me; e così percepisco tutto di nuovo come “interessante” e coinvolgente, e torno a essere combattiva e piena di idee. Bisogna “accettare le pause”, ma io “nelle pause” ci resto parecchio tempo, almeno così mi sembra. E ora buona notte. Mi è appena venuto in mente che forse mi prendo “troppo sul serio”. E forse voglio che pure gli altri mi prendano “sul serio”. S., ad esempio; desidero che lui si renda conto di quanto soffro, ma al tempo stesso cerco di tenerglielo nascosto. Avrà a che fare con l'avversione che tanto spesso sento nei suoi confronti? Venerdì mattina [5 settembre 1941], le nove Mi sento come uno che si stia rimettendo da una grave malattia. Con la testa abbastanza leggera e con le gambe ancora un po' incerte. Era proprio brutto ieri. Non vivo abbastanza semplicemente. Mi abbandono troppo a “sfrenatezze”, a baccanali dello spirito. E forse m'identifico troppo con quel che leggo e studio: Dostoevskij mi distrugge ancora, in un modo o nell'altro. Devo proprio diventare più semplice. Lasciarmi vivere un po' di più. Non pretendere di vedere già dei risultati. Ora conosco la mia cura: accoccolarmi in un angolino e ascoltare quel che ho dentro, ben raccolta in me stessa. Tanto, col pensiero non ci arriverò mai. Pensare è una bella, una superba occupazione quando studi, ma non puoi “pensarti fuori” da uno stato d'animo penoso. Allora devi fare altro, farti passiva e ascoltare, riprender contatto con un frammento d'eternità. Devo cercare di essere più semplice e meno involuta, anche nel mio lavoro. Quando faccio una semplice traduzione dal russo, l'intera Russia si para lì, sullo sfondo della mia anima, e in quel momento sento che dovrei scrivere un libro almeno paragonabile a I fratelli Karamazov. Da una

parte pongo a me stessa degli obiettivi molto importanti, credo, e in alcuni momenti davvero ispirati riesco pure a realizzare parecchie cose, ma l'ispirazione non dura in eterno e, dall'altra parte, nei momenti più normali, mi assale di colpo la paura di non riuscire a realizzare un bel nulla di tutto ciò che, negli attimi di “esaltazione”, ritengo alla mia portata. Ma perché mai dovrei realizzare qualcosa? Mi basta “essere”, vivere cercando di diventare almeno in parte un essere umano. Non si può dominare tutto con la mente, occorre anche lasciare spazio al sentimento e all'intuizione. Il sapere è potere, lo so, forse per questo accumulo conoscenza, per una sorta di bisogno di farmi valere. In realtà non lo so. Ma, Signore, concedimi la saggezza più che il sapere; o meglio: solo il sapere che conduce alla saggezza rende gli uomini, almeno me, felici e non il sapere che è potere. Un po' di tranquillità, molta moderazione e un po' di saggezza: quando le sento in me, allora tutto procede bene. Per questa ragione sono rimasta piuttosto colpita quando quella scultrice, Fri Heil, ha detto a S. che le sembravo una vera tartara e che mi mancava solo un cavallo selvaggio a dorso del quale correre per la steppa. Gli esseri umani ignorano molte cose di se stessi. In una delle sue lettere a S., Hertha ha scritto: “Ieri hai posato la tua mano su di me”. La realtà non è del tutto reale per me, ed è per questo che non riesco a concretizzare le cose, perché me ne sfuggono sempre l'importanza e il senso. Un singolo verso di Rilke mi sembra più reale, per esempio, di un trasloco o di cose simili. La vita, dovrei passarla seduta a una scrivania. Eppure non credo proprio di essere una folle sognatrice, anzi, la realtà mi interessa terribilmente, anche se solo da dietro la scrivania, e non per viverla, per agire. Se vuoi comprendere persone e idee, devi pur conoscere il mondo reale e lo sfondo sul quale ogni cosa vive e cresce. Ora mi sento esattamente come un uomo che si risveglia da una forte narcosi. Ma ieri sera, di punto in bianco, è arrivata l'illuminazione: io pretendo che gli altri mi prendano sul serio e, quando non lo fanno, mi sento “incompresa”, non avverto il contatto. Ma in realtà non è necessario che io venga compresa; quel che voglio è solo comprendere gli altri. Ognuno desidera sempre sentire se stesso negli altri e perciò vuole che gli altri lo comprendano. Ma bisogna riuscire a prendere le distanze da una simile pretesa. In via teorica l'ho fatto, ma non “vivo” ancora del tutto in accordo con ciò. Desidero ancora troppo che mi si dedichi piena attenzione, che mi si comprenda. Eppure a volte mi sembra di essere composta di mille persone e di non poter pretendere che gli altri stian dietro ai miei umori e ai miei turbamenti interiori. Proprio perché così tante cose si agitano dentro di me, e mi accorgo via via che nessuno stato d'animo mi è ormai estraneo, riesco a sentire e a capire gli altri, sempre più a fondo, e questo deve bastarmi. Credo di non essere destinata all'unione con un unico uomo. La maggior parte delle persone, d'altronde, si convince di qualcosa di simile e poi si accontenta. Io invece non credo di dover dipendere da un'altra persona nella mia vita, ma da me stessa e da Dio. E ora rimettiti al lavoro. Procedi con calma, ragazza mia, fai in modo di non bloccarti di nuovo così presto. Le undici di mattina Appena fatto uno schema per un saggio su Dostoevskij. Che sciocchezza. S. ha appena chiamato e io mi sento di nuovo un po' fuori equilibrio e in antagonismo. Mi ha detto di aver ricevuto una “bella lettera” dalla sua fidanzata. Se fossi una cristiana decente, dovrei rallegrarmene. Ma io sono più donna che cristiana, e per giunta donna nel senso più ristretto e sciocco del termine. Se lui parla della sua Freundin, avverto una fitta al cuore e mi sento inibita nei suoi confronti, eppure non voglio proprio niente da lui. Quell'uomo riesce ancora a risvegliare in me le emozioni più ambivalenti. Be', una persona può naturalmente avere delle emozioni, ma non appena quelle ostacolano, bloccano e inibiscono, c'è qualcosa che non va e bisogna capire da dove nascono. Credo di voler soltanto avere il dominio assoluto su qualcuno. Ma lui ha così tanto amore che nessuno ne rimane privo, se gli è vicino. Devo accettare S., con la sua fidanzata e con tutto il suo seguito. Devo vivere la mia vita. Finché farò richieste a un altro, non sarò libera interiormente. Quanto è sciocco e riduttivo da parte mia! Lui mi ha detto che la sua fidanzata aveva scritto alcune “cose intelligenti”, sulla chirologia. Questo non riesco proprio a sopportarlo: io sono l'unica che può dire cose

intelligenti, nessun altro. Si tratta quindi ancora di egocentrismo e non della cosa in questione. Noi usiamo sempre belle parole, quasi d'istinto, “umanità” e “società” ed “essere buoni”, e Dio sa cos'altro ancora. Ma dobbiamo anche “vivere” quei concetti. Perciò, quando dico al telefono: È meraviglioso per lei che la sua amica le abbia scritto cose così belle, lo dico con un peso sul cuore, spingo fuori quelle parole ma non intendo davvero dirle, addirittura ne soffro. E se invece le intendessi davvero, non ne soffrirei, ma ne sarei arricchita, felice perché anche lui ne trarrebbe momenti di piacere. In realtà le persone sono piene di piccole gelosie ed egocentrismo, hanno una forte tendenza a dominare gli altri e a imporsi, vogliono essere al centro di ogni situazione e fare piazza pulita degli altri. In tal modo non si fa che impoverire la propria vita; però anche lui mi rende la vita difficile. A volte ho la sensazione di non essere abbastanza matura per avere a che fare con lui. Rimarrò comunque legata a lui, anche interiormente. Insieme a lui e grazie a lui, imparerò a liberarmi di lui. La cosa stupida è che in teoria sono libera, ma non lo “vivo” nella quotidianità. “Non ho segreti per lei”: si mostra a me senza riserve, e mi dona una visione panoramica della sua vita e della sua interiorità, ma capita che io non sappia cosa farmene, di tutto ciò. S. è convinto che io una volta o l'altra scriverò un libro su di lui e mi mette generosamente a disposizione il materiale necessario: certe volte me ne sento schiacciata. In altri momenti gli sono grata per come mi tratta apertamente e per come arricchisce la mia conoscenza degli esseri umani. Sto ancora catalogando questo mondo, e lui mi aiuta in questo, ma l'importante è che il mio comportamento nei suoi confronti si chiarisca. L'amicizia con questo cinquantenne non è affatto facile. Non voglio neanche fargli notare che mi sta sovraccaricando, per esempio leggendomi le lettere della sua fidanzata, quasi con rimpianto. Non prova imbarazzo nel mostrare così apertamente i suoi sentimenti, è anche per questo che gli voglio bene. Ma se dovessi fargli presente che mi sta rendendo le cose difficili, mi offrirebbe meno, mentre io a quanto pare, voglio avere tutto dalla vita, in un modo o nell'altro. Bene, dovrò quindi farmene una ragione e lasciarlo in pace. Devo accettare che le cose bisogna rielaborarsele da soli, anche se a volte desidero comunque far vedere agli altri quanto sia dura per me, vuoi per rendermi interessante, vuoi per una sorta di solitudine e di Anerkennungsbedikfnis [“bisogno di riconoscimento”]. Non dimenticare che sei sola e che nessuno ti può aiutare, ma ringrazia di avere dentro di te ricche sorgenti, grazie alle quali puoi sempre aiutare te stessa e persino fare a meno degli altri. Hai ancora troppo bisogno di farti conoscere dagli altri, eppure sei così timida. Una persona deve vivere la propria vita, viverla incessantemente. Questa semplice espressione, quotidiana e abusata, è in realtà piena di significato se la si riconduce alla sua fonte. Una persona deve vivere la propria vita. Le cinque e mezzo Mi sento proprio simile a una pioggerellina. E perché no, per una volta? Cambierà pure il tempo prima o poi. Il mio errore adesso è pensare che continuerà a piovere per tutta la mia vita. Fai attenzione, bimba cara, a non giocherellare con le tue depressioni. Ti ho appena sorpresa a fare qualcosa di molto brutto. Tra poco arriverà S. e ti sei ripromessa di non truccarti, così lui potrà vedere che brutta cera hai in realtà. Vuoi attrarre l'attenzione sul tuo momento di depressione e vuoi che lui lo prenda molto sul serio. Sì, credo proprio di averti colta in fragrante. L'onestà è la migliore strategia. D'altro canto non c'è bisogno che tu metta chili di trucco e che improvvisi un'aria forzatamente allegra; sii semplicemente te stessa. Tutti sono a volte depressi, soprattutto di questi tempi. Ma tu immagini, credo, di soffrire più di tutto il resto del genere umano. Sii semplicemente te stessa. Lasciare che si smorzi. Non ho applicato questa formula di scongiuro per lungo tempo; è di nuovo necessaria. Che si smorzi naturalmente. Che cosa voglio? In futuro, praticare la chirologia in Russia. Sarebbe una bella sintesi di tutto quello che faccio ora. Con il pensiero sto già scrivendo una lettera a Frans da una pittoresca strada di Mosca. Una lettera piena di nostalgia. La mia fantasia corre di continuo in maniera bizzarra. Povera

Mosca, come starà andando adesso? Un domani dovrò farmelo raccontare direttamente dalla gente di lì. Quindi ho ancora molto da studiare. Di sera, alle undici È tutto passato. Mi sento in pace e serena, come non lo ero da anni, almeno così mi sembra. È come se vedessi di nuovo me stessa e ciò che mi circonda in una prospettiva normale. E mi sento pure più forte che mai, perché sono riuscita a superare ogni cosa da sola. Sono di nuovo così vasta e libera dentro; e quindi senza pretese. Così sognante, lontana dal rivolgere richieste esorbitanti a me stessa. In sintonia con il cosmo intero. Sì, è vero, mi sento felice adesso, e questo nonostante tutto e tutti. Viene da dentro, da me. È come se fossi tornata a me stessa, e mi fossi accorta che è davvero il posto migliore dove stare. Durerà a lungo? Ho di nuovo la sensazione che nulla possa intaccare quest'ampia pace interiore... Buona notte, Han mi sta chiamando per andare a letto. Adesso posso anche essere dolce nei suoi confronti, eppure mezz'ora fa ero ancora tra le braccia di quel caro folle sulla Courbetstraat. Del resto, quando sono sola, continuo a essere caotica. Martedì mattina, 9 settembre [1941] S. è il motore di moltissime donne. Henny lo chiama in una sua lettera: la mia Mercedes, la mia grande, cara, buona Mercedes. Sopra di lui abita “la piccola”. S. dice che quando fa la lotta con lui è proprio come un gattone che si muove con prudenza per paura di far male. Venerdì sera aveva telefonato a Riet e la sua voce semplicemente cantava, mentre rispondeva a quella ragazzina di diciotto anni: sì, Rieieiet. Intanto con la destra mi accarezzava il viso, e sul tavolino c'era la lettera della ragazza che vuol sposare con le parole: Jul, mio caro, io continuavo a guardarle. Sono così triste, così terribilmente triste in questi ultimi giorni. Perché, poi? Non sono triste proprio sempre, a momenti riesco a tirarmene fuori, ma poi ci ricasco. Non ho mai incontrato una persona così ricca di amore, forza e incrollabile fiducia in se stessa, come S. Quel venerdì sera mi aveva detto all'incirca: se io riversassi tutto il mio amore e la mia forza su una persona sola, la intossicherei (verderben). A volte provo una sensazione simile, come se venissi sepolta sotto il suo peso. Non so. Certe volte mi sembra che dovrei correre fino all'altro estremo della terra per liberarmi di lui, allo stesso tempo so che devo risolvere le cose qui, presso di lui e con lui. Altre volte non mi dà alcun problema, e tutto sembra andare così bene; ora invece mi fa sentir malata: com'è possibile? Dopo tutto, non è una persona enigmatica o complicata. È forse l'enorme quantità di amore che possiede e dispensa a un infinito numero di persone, e che io vorrei fosse tutto per me? Ci sono dei momenti in cui è così. In cui vorrei che tutto il suo amore si concentrasse su di me. Ma non è un desiderio troppo fisico? O troppo personale? Non so proprio come fare con quest'uomo. Proverò a ricordare quel venerdì sera: avevo avuto la sensazione di essere penetrata dentro all'enigma (o piuttosto al non-enigma) di quell'uomo, come se lui stesso mi avesse offerto la chiave della sua personalità segreta. Per qualche giorno mi ero portata S. ben dentro nel cuore, credevo che non l'avrei perso mai più. Perché sono indicibilmente triste, allora? Perché non ho più nessun contatto con lui, perché vorrei far a meno di lui? In questo momento è proprio come se S. fosse troppo per me. Com'era, quel venerdì? A volte, quando mi è seduto di fronte su quella seggiolina, quadrato e dolce, con un che di opulento e sensuale e insieme così umano e pieno di benevolenza, devo pensare a un imperatore romano nella sua vita privata. Il perché lo ignoro. Allora c'è qualcosa di voluttuoso in tutta quella figura ma insieme un calore e una bontà infiniti, troppo per una persona sola. Perché, allora, devo pensare a un romano della decadenza? Proprio non saprei. Quel mal di stomaco, quell'oppressione, quel senso di aver un nodo dentro e di venir schiacciata sotto un grosso peso, sono certamente il prezzo che debbo pagare ogni tanto per la mia avidità di conoscere tutto della vita, e di penetrare dappertutto. A volte, però, è troppo. Dal test di Taco Kuiper era venuta fuori una persona che pretendeva di vivere ogni cosa della vita, ma che sapeva poi anche assimilarla. Sarà così, sarà che gli ingorghi interiori fanno parte di questi processi: ma devono pur

essere ridotti a un minimo, altrimenti la mia vita diventa impossibile. Ieri, mentre tornavo a casa in bicicletta così indicibilmente triste e col cuore di piombo e mi sentivo passare gli aeroplani sulla testa, ho provato quasi un senso di liberazione al pensiero che una bomba avrebbe potuto metter fine alla mia vita. Ultimamente mi capita spesso di pensare che sia più facile non vivere che vivere. Già, quel venerdì sera, devo proprio descriverlo. È una sorta di enigma per me. La differenza tra uomo e donna si è manifestata davanti ai miei occhi, per così dire, e ho fatto la mia parte. Ho la sensazione che quella sera sia stata molto importante, mi sembra di aver avuto in mano la chiave dei molteplici segreti della vita. Se riuscissi a elevarmi al suo livello di amore umano, onnicomprensivo, e a liberarmi dalla gelosia, dal sospetto, dalle piccole incertezze e paure, e da quanto ci impedisce di vivere con tutta la nostra forza e il nostro amore, come sarebbe bello! È a questo che bisogna puntare. Perciò non devo fuggire da lui, ma sforzarmi di chiarire le cose con lui, quel vecchio diavolo. La stretta al cuore si è un po' allentata, mentre scrivo, ma mi fido molto poco di me stessa negli ultimi tempi, per quanto riguarda il mio equilibrio interiore. Del resto, dopo aver scribacchiato un po' in questo quaderno e aver vagato per casa in modo sconsolato, sono pronta a rimettermi al lavoro, cioè a fare quel che stamattina proprio non mi riusciva. E poi lo stato d'animo attuale differisce dal precedente per un aspetto importante: adesso capisco quale senso abbia fare chiarezza in svariati ambiti. Ci sono problemi particolari che vanno risolti, e forse mi sento così giù, perché mi tiro indietro di fronte al peso di tutto ciò. Del resto, alla fine li affronto comunque. Mentre a volte, e questo è molto peggio, il senso delle cose mi sfugge, perdo la presa sulla mia vita, lo spirito patisce una sorta di costipazione e, per giunta, ho a tratti l'impressione che potrei diventare irrimediabilmente matta, e cadere in confusione. E poi ci sono anche quei brutti momenti in cui il mio cervello lavora troppo, e i pensieri cercano formule concise e onnicomprensive, in risposta ai numerosi conflitti tra corpo e anima, terreno e spirituale, finito e infinito - in breve, la risposta a ogni cosa. Be', ora cercherò di lavorare, anche solo per una mezz'oretta. A rendere le cose ancora più difficili ieri sera è intervenuto il fatto che mi sono di nuovo innamorata di lui. È tutta colpa di quel vestito grigio chiaro, con la camicia blu senza colletto che spuntava dalla giacca, su cui spiccava il voluttuoso, soffice paesaggio del suo viso, leggermente al> bronzato dal sole del fine settimana. E pensare che ci sono volte in cui lo trovo un uomo davvero brutto, per niente attraente. Sono anch'io così cangiante nell'aspetto? Non credo. Ormai le cose stanno così: prima sei un po' innamorata e dopo di nuovo disamorata. Devi accettarlo. Giovedì sera dovrò iniziare Wiep alla chirologia. E qualcosa in me non vuole. Sento una terribile forma di resistenza. Domenica, quando lei è arrivata e inaspettatamente mi ha chiesto di farle delle lezioni, pur non volendone proprio sapere, ho comunque tenuto una coinvolgente presentazione sul sesto capitolo e ne ho tratto io stessa molto piacere. È la vanità che sulle prime mi spaventa, perché penso di non essere all'altezza del compito? E che invece a posteriori mi dà soddisfazione, per il fatto che la mia prestazione era comunque adeguata? Funziona così anche con quella sciocca lezione di russo: se l'allievo telefona per disdire, sono felice come una bambina. Oggi è martedì e non ci sarà un'altra lezione fino a venerdì, eppure mi si erge già davanti come una minacciosa barriera che devo superare, ma che vorrei piuttosto eliminare dalla mia strada. Nei primi tempi della terapia con S., però, mica ogni compito mi sembrava una barriera; il percorso della vita era disseminato di piccoli ostacoli amichevoli, da affrontare con spirito giocoso e con molto piacere. Ed è così che dovrebbe andare. La strada deve essere occupata da innalzamenti e fortificazioni, dal contrasto e da un po' di lotta, che accompagna ogni progresso e con cui è possibile crescere. Ma la forte resistenza, la difesa e la paura che adesso albergano in me: nel vedere il dentista, nel riparare i calzini, nel dare lezione, la intossicherei. Nel profondo di me stessa avverto un grande rifiuto nei confronti di tutto, un rifiuto che dovrebbe essere analizzato con un serio intervento psicologico. Ogni tanto mi impunto, come fossi un asino testardo, e non voglio più andare avanti. Non so proprio perché non voglio proseguire. Forse, dopo un bel po' di analisi interiore, riusciresti a venirne a capo, ma, dato che qualcun altro lo può fare al posto tuo, andiamo da S. Ma adesso basta. A volte ho paura che, a causa dell'amicizia che ci lega, la figura del terapeuta sia andata perduta per me, ma io

continuerò a essere la sua paziente. Di lavorare adesso non se ne parla proprio; cercherò soltanto di trascrivere con cura il sogno di stanotte, senza tralasciare nulla di ciò che può fare chiarezza. Il verbo ausklingen [“smorzare”] non è la soluzione di ogni cosa. A volte la pena può, in quel modo, sciogliersi in tonalità più lievi, ma per armonizzare mille note dissonanti non basta lasciar smorzare tutto: bisogna attuare un altro procedimento. E neanche l'accoccolarsi in un angolo della camera funziona adesso, non c'è nulla dentro a cui prestare orecchio, bisogna prima risolvere qualcosa. Strano, appena mi dedico a questo quaderno non riesco più a staccarmene, devo continuare a scrivere ancora un po'; ma adesso passiamo davvero a quel sogno. [Da un sogno Un uomo gioviale e affascinante che somigliava a S., ma era anche un po' diverso, mi faceva accomodare nel suo studio e cercava di indurmi a fare osservazioni irriguardose su S. Dicky era sullo sfondo e mi fissava pensierosa, mentre io parlavo. L'uomo ha chiesto: Può essere che tu ce l'abbia con lui, perché si sta occupando di te meno di prima? Io: Oh, no, perché quell'unica ora in cui parlo con lui è tanto intensa ed estremamente piena - poi non so di preciso come ho proseguito. Allora ha cercato di estorcermi delle critiche alla chirologia. Ma neanche questo gli è riuscito. E mi ha dato un senso di orgoglio il fatto di resistere alle provocazioni, era proprio come se prendessi una posizione ferma nei riguardi di S., difendendolo e mostrando carattere, cosa che forse in passato non avrei fatto. Quell'uomo somigliava a S., ma in realtà era solo una brutta copia, e si atteggiava a persona estremamente affascinante e allegra, solo per spingermi a dire cose odiose. Ma Etty ha resistito e non si è lasciata provocare e ne era molto fiera. E il viso di Dicky sembrava una pallida lampada in fondo alla stanza, e mi guardava, sognante e tuttavia concentrata, come un monito. Questo sogno era molto chiaro. Un sogno positivo: un po' di lotta nel mio profondo, tra l'immagine di S. che non amo e quella di cui sono veramente innamorata. L'espressione di un po' di antagonismo represso, ma anche una ferma presa di posizione da parte mia. Peccato che non riesca a dirlo con le parole plastiche di S., comunque è stato un sogno davvero soddisfacente]. Quando avrò imparato ad accettarlo esattamente com'è, con i suoi modi di vivere, e quando mi sentirò anch'io felice e in armonia, allora la mia psicologia sarà in gran parte chiarita. [Giovedì] 11 settembre [1941], le nove e mezzo di mattina Le cose devono restare così. Il ricordo di ieri sera somiglia proprio a una fiaba: Dicky, lui ed io. Non c'è bisogno di continuare a pensarci, è stato solo bello. E ho la sensazione che, attraverso questa vicinanza con lui, tutto quello che è venuto prima sia adesso molto lontano nel tempo. Come se io gli fossi molto vicina, adesso; ogni cosa sembra naturale, sembra infondere nuove forze anziché toglierle. E non ho tempo per annotare tutto quello che vorrei serbare per il futuro, ma tutto resta certamente in un deposito nel profondo di me stessa. E adesso al lavoro. [Sabato] 20 settembre [1941] J.: Oh, Maestro, che io non sia tanto desiderosa Di essere consolata... ma desideri consolare, Di essere compresa... ma desideri comprendere, Di essere amata... ma desideri amare. Francesco d'Assisi Mercoledì mattina, 24 settembre [1941], le dodici e venti

Mi sento come se per mesi non avessi scritto nulla su questo quaderno e, in un certo senso, avessi tradito me stessa, mi fossi lasciata andare. Per mancanza di tempo e con la sensazione che non fosse necessario. Per un paio di settimane ho avuto una vita sicura e regolare, ma ora, a posteriori, mi sembra che le cose siano andate diversamente. D'un tratto sento che quella vita equilibrata in realtà non era altro che un avanzare con cautela su una fune tesa nel vuoto. Dovrei “lavorare su me stessa” con maggiore regolarità, osservarmi con grande attenzione, ma è proprio a questo punto che iniziano le più grandi difficoltà. Ora ho l'impressione di essere una sorta di laboratorio psicologico, dove vengono compiute una lunga serie di sperimentazioni, sufficienti per una ventina di persone. Mi costerebbe ogni attimo del mio tempo, se volessi mettere per iscritto tutti quegli esperimenti. Certo, potrei costringermi a scrivere ogni sera, diciamo per una mezz'oretta, ma le cose in genere non vogliono scaturire cristalline dal mio caos, sicché riesco a descriverne solo futili dettagli. Eppure credo che per me sia importante tenermi in stretto contatto con la mia interiorità, e rendere sempre conto a me stessa di ciò che provo. E del resto è importante che io sappia come, di volta in volta, riesco a sconfiggere le mie diverse forme di depressione, in modo che in futuro io possa indicare la via ad altri. Sì, devo assolutamente approfondire la conoscenza di me stessa, con metodo, ma mi sento all'improvviso come un bambino terrorizzato che venga spinto con violenza inaudita verso una casa in fiamme. Come vive in realtà la maggior parte delle persone, qual è la loro attitudine nei confronti della vita? E tu, cosa vuoi davvero e dove gravita il senso della tua vita? In una delle sue lettere a S., Hertha ha scritto all'incirca così: “La vita in sé non ha senso, ma ognuno deve dare un senso alla propria vita”. Io non credo di averlo ancora fatto. Andrò a preparare la colazione. Almeno una dozzina di complessi sul nascere sono in attesa dentro me; la domanda è se riuscirò a uscirne da sola. Le quattro di pomeriggio Da bambina ricominciavo in ogni momento una “nuova vita”. Nella maggior parte dei casi questo accadeva dopo una scorpacciata di caramelle con le dita nel naso. Ogni 1° gennaio ricominciavo tutto dall'inizio. Ma il 2 gennaio ero di nuovo impegnata a trafficare con quel naso. Tuttavia il 15 gennaio, grazie a Dio, compivo gli anni e quindi potevo a buon diritto ricominciare daccapo: per quei 14 giorni permettevo generosamente a me stessa di peccare a sazietà, tanto poi il 15 avrei, ancora una volta, ricominciato una nuova vita. Quella solenne sensazione, ora l'avverto di nuovo: per l'ennesima volta devo ricominciare tutto daccapo. Non credo di aver lavorato su me stessa con la necessaria serietà negli ultimi tempi. Pensavo che andasse bene anche così. Oggi pomeriggio mi sono ritrovata d'un tratto in ginocchio sulla stuoia di cocco marrone, nel bagno, la testa nascosta nell'accappatoio, che pendeva dalla sedia di vimini rotta. Non riesco proprio a inginocchiarmi bene, c'è una sorta di imbarazzo in me. Perché? Forse a causa della parte critica, razionale e atea che pure mi appartiene. Tuttavia sento, di tanto in tanto, un forte desiderio di inginocchiarmi, con le mani sul viso, per trovare pace e per ascoltare la fonte nascosta in me. E adesso a lezione. Sono curiosa di sapere quale sarà il soggetto e se sarò in grado di stenografare abbastanza velocemente. Mezzanotte Stasera sono tornata a casa dopo averlo visto, portando con me questo frammento di saggezza: “Una persona non può comprendere, in senso assoluto, le richieste che fa a se stessa, né in senso relativo le aspettative che ha nei confronti del mondo esterno”. Domani se ne capirà di più. Giovedì mattina [25 settembre 1941], le nove

Ecco, ci siamo di nuovo. La notte è stata breve. Molte nuove conoscenze. Si va avanti. Stanca e assonnata, ma comunque in gioco. Stamattina, alle sei in punto, mi sono resa conto che il mio mal di stomaco è psicosomatico e non fisico. A un certo punto tutte le nuove “conoscenze” appena conquistate hanno cominciato a scontrarsi le une con le altre, si sono agglomerate formando un nodo dentro di me, e ho d'un tratto sentito che mi stava venendo una terribile nausea. Ma dopo qualche tempo ho avuto la sensazione che tutto stesse tornando al suo posto, avevo di nuovo una visione chiara delle cose e quel mal di stomaco era passato. E in questo momento il mio stomaco sta benissimo. Ma cosa dovrei fare? Per me è indispensabile così tanta “igiene spirituale”. Se cerco semplicemente di “vivere alla giornata”, a un certo punto le cose si complicano. E mi sfugge il senso della vita. Devo mantenere il contatto con la “corrente profonda” del mio essere. Questo è il traguardo più alto e importante che posso raggiungere: “riposare in se stessi”. Non c'è altro. Se vado a cercarlo fuori da me, lasciando vagare, per così dire, la mia anima, mi ritrovo persa e infelice, e non capisco più il senso delle cose. Sì, “riposare in se stessi”: ma a questo bisogna lavorare di continuo. Bisogna guadagnarselo. Se non mi do da fare, tra qualche anno sarò forse una donna irrequieta, ansiosa e con un grande desiderio di queste parole: “riposare in se stessi”, ma senza la minima idea di come si raggiunge tale condizione. Se una persona osserva se stessa in maniera obiettiva, può scoprire strane cose. Dico a me stessa che la sera con Dicky e con lui, quattordici giorni fa, mi ha resa “più felice” che la sera da sola con lui ieri. Ma non è così semplice. È andata davvero così? Non mi soffermerò sull'imprevisto momento di dissolutezza di tutt'e tre. È stato così inatteso e così bello e anche tanto umano. E dal punto di vista sensuale, è stato così liberatorio per me, più di ieri sera. Ieri sera è stato molto “più difficile”. Ieri sera si è di nuovo presentato il problema uomo-donna, che l'altra sera non c'era. Cosa mi è rimasto più impresso di quella volta? La piccola Dicky che, sentendo frusciare nel buio mentre io mi toglievo i vestiti, ha detto spavalda: Oh, ma allora lo faccio anch'io. È stato così naturale e fresco. Via il vestito, ed eccoci lì, schiacciate sul suo corpo con braccia e spalle nude. E poi Dicky, il suo viso sognante, pieno di dedizione, nascosto dai capelli sciolti, e S. e io curvi su di lei, e lui che mi dice: Non trovi che sia bellissima adesso? E la sua mano sui seni di lei, e la mia bocca sulla sua e il mio braccio attorno a lui teso verso Dicky: era tutto così straordinario, per niente perverso, eppure così pieno di godimento fisico. Noi tre godevamo semplicemente l'uno dell'altro, e stavamo bene, perché l'elemento umano era predominante. E quando lui è andato per un attimo nell'altra camera, io e Dicky ci siamo d'un tratto ritrovate l'una nelle braccia dell'altra. Quando lui ci ha viste così, ha detto con voce estatica: Mie care ragazze, ah quanto siete care, buttandosi di nuovo su noi due. E ha cominciato a baciare tutto quello che poteva raggiungere, Dicky e me a turno, così come capitava. E io non ero gelosa, c'era qualcosa di armonioso in tutto questo e lui aveva un che di tanto caro, di commovente e dolce sul viso. Dopo che Dicky se n'è andata via, ho parlato con lui. In quel momento ero totalmente gelost, “sciolta” e spontanea, e riuscivo a dire così tante cose, ero bella in quel momento, lui mi trovava così bella, luminosa. E poi sono tornata a casa in bicicletta, in una notte tiepida e incantata, e quella serata ha illuminato i giorni seguenti come una visione onirica di bellezza quasi irreale. Ieri sera, invece, le cose sono state molto più difficili. Ne sono venuta via, per così dire, con una gran quantità di materiale da rielaborare. Eh, sì, noi donne, noi stupide, idiote, illogiche donne, noi cerchiamo il Paradiso e l'Assoluto. E col mio cervello, col mio eccellente cervello, io so bene che l'assoluto non esiste, che ogni cosa è relativa e infinitamente sfumata e in perpetuo movimento, e proprio per questo è così interessante e seducente ma anche così dolorosa. Noi donne vogliamo eternarci nell'uomo. Io voglio che lui mi dica: tesoro, tu sei l'unica per me e ti amerò in eterno. Ma questa è una favola. E fintanto che non me lo dice, tutto il resto non ha senso e non esiste. E il buffo è che non lo voglio affatto - non vorrei aver S. come eterno e unico uomo -, però pretendo il contrario da lui. Forse pretendo un amore assoluto proprio perché io non ne sono capace? E poi, desidero sempre lo stesso livello d'intensità mentre so bene, per mia propria esperienza, che una cosa simile non esiste: ma non appena noto in

un altro una temporanea caduta, mi do alla fuga. Chiaro che in ciò entra un senso d'inferiorità, qualcosa come: se io non riesco ad attirarlo al punto da farlo continuamente spasimare per me, preferisco che non ci sia niente. È maledettamente illogico, devo smetterla. Io stessa non saprei che fare se qualcuno spasimasse tutto il tempo per me: mi darebbe un senso di oppressione, di noia e di costrizione. Etty, Etty! Ieri sera lui aveva detto, tra l'altro: credo di essere per te un “primo passo” verso un amore veramente grande; è strano, io sono stato un “primo passo” per molte persone. Sarà di certo così, tuttavia questo mi procura in qualche modo un terribile dolore e non riesco a trovare pace dopo quelle parole. Credo di capire perché. A dire il vero, penso che lui dovrebbe essere pazzamente geloso all'idea che un giorno possa entrare un grande amore nella mia vita. Ecco di nuovo quella pretesa di assoluto: lui deve amarmi in eterno e come unica donna. Il concetto di “primo passo” rende tutto così relativo. Eppure quell'“unico” e quel “in eterno” sono una specie di compulsione. Negli ultimi giorni mi sono sentita estremamente sensuale. L'altro ieri sera ero di nuovo ossessionata dalla sua bocca e dalle sue mani, ogni altra cosa perdeva di significato al confronto. E ieri sera l'ossessione era di nuovo forte. E quando lui mi ha chiamata alle nove, chiedendo: Ha ancora voglia di passare?, sono andata con gioia, desiderio fisico e dedizione. Ma, ragazzina, ti stai prendendo in giro, se pensi che in quel momento tutto ruotasse intorno alla sensualità, perché non ci siamo subito buttati l'uno nelle braccia dell'altra. Prima abbiamo parlato con grande intensità di quell'individuo incredibilmente interessante e dissociato analizzato il pomeriggio. In tali frangenti pendo dalle sue labbra, e mi beo nel sentire le sue espressioni pertinenti e chiare, e ho la sensazione di imparare moltissimo. Questo contatto spirituale mi dà molta più soddisfazione di quanta non me ne dia quello fisico. Forse tendo a sopravvalutare l'aspetto fisico del rapporto, anche per via delle favole che ci raccontiamo noi donne, quando pensiamo l'erotismo in modo così tipicamente femminile. Sì, è proprio strano. Anche adesso sento di volermi tuffare nelle sue braccia ed essere solo una donna, o forse anche meno, soltanto un pezzetto di carne che viene accarezzata. Sopravvaluto moltissimo l'aspetto sensuale; dopo tutto, ogni volta, dura un paio di giorni soltanto, quell'impeto crescente. Ma quel poco di sensualità cerco di proiettarlo su una vita intera, adombrando tutto il resto. E voglio pure che sia accompagnata da parole di dedica come: “Solo tu in eterno”. Credo di essermi espressa in modo confuso, ma quel che conta è riuscire a mettere tutto nero su bianco. È per questo che sopravvaluto la sensualità: perché desidero che quel po' di calore fisico che due persone, di tanto in tanto, cercano l'una nell'altra venga elevato molto al di sopra del suo reale significato con frasette forti come: “ti amerò per sempre”. Bisogna prendere le cose per quel che sono, e non tentare di innalzarle a vette impossibili. E solo quando le accetterai per quel che sono, esse riveleranno il loro reale valore. Se parti da qualcosa di assoluto, che di fatto non esiste e che tu neanche vuoi, non arrivi a vivere la vita nelle sue reali dimensioni. Ieri mi ha detto, tra l'altro, qualcosa del genere: Non vizio più, come un tempo, le donne con parole d'amore, perché ho imparato che, se lo faccio, loro si “attaccano” troppo a quelle parole e le prendono in maniera assoluta. In passato non avevo uno spiccato senso di responsabilità, così legavo a me le donne eccessivamente. Poi mi ha chiesto se lo trovassi giusto e d'un tratto gli ho urlato: No! Eppure, forse ha ragione lui: su tale argomento potrei forse scrivere una vita intera, ma ne ho già abbastanza. Sono le dieci e mezzo e non ho ancora lavorato per niente. Dei molti amori infelici su questa terra affollata ne so qualcosa, ma prima mettiamoci al lavoro. Prima di tutto devo trascrivere le annotazioni su quel caso di schizofrenia, straordinariamente interessante e istruttivo. Poi, stasera, gli esercizi con le dita da Tide. È passata solo una settimana da quando abbiamo parlato, e lei mi ha detto: Anche da questo punto di vista sono una bambina. Quando non so cosa fare, mi inginocchio in mezzo alla mia camera e lo chiedo a Dio. E alla fine, fuori sul marciapiede, le ho dato d'impulso un bacio e lei ha detto: Non osavo farlo io, aggiungendo: Piccola Etty, e io ho detto, a mia volta: Tide, andando via in bicicletta. Ma solo ora comincio lentamente a rielaborare quella serata. Elaboro le cose in due fasi, o meglio, su due diversi livelli: in una maniera più veloce, per il mondo esterno e un po' anche per me stessa; e poi le elaboro di nuovo, in modo nascosto, profondo, lento.

E adesso, sul serio, al lavoro. Mi accorgo che sto ricominciando ad assuefarmi a questo quaderno. E tornando a Tide, mi sono di nuovo liberata dall'esser-donna in senso assoluto. Questo argomento non mi sembra più così travolgente né d'importanza vitale. Ho scritto quest'ultima cosa solo per mostrare a me stessa che quel tema non sta al centro dei miei interessi. Di sera, le sette Questo va chiarito una buona volta, una volta per tutte. Usa con parsimonia espressioni come “una volta per tutte”, ragazzina, non esiste una cosa simile nella vita. Adesso sembra così semplice, ma ci saranno sempre delle piccole crisi. Ma come stanno davvero le cose? Oggi pomeriggio sono andata in bici da lui, totalmente immersa in faccende riguardanti il suo lavoro, senza alcun sentimento “da donna”. Mi ha colto quindi un pensiero, e sono stata più seria di quanto non faccia normalmente: in realtà vorrei poter lavorare con lui per anni. Mi sento in grande sintonia con lui, riesco a imparare una quantità enorme di cose e posso fare anch'io molto per lui. Sono entrata a casa sua e tutto è stato così straordinariamente piacevole, intenso e pieno di umorismo. Ero così felice insieme a lui, felice anche della nostra relazione. Ieri sera mi ha detto: Sono proprio l'amico giusto per lei, adesso. Intendeva dire che anch'io ho i miei alti e bassi, momenti in cui mi annullo nel lavoro e in cui non sono affatto “femminile”, mentre poi viene fuori di nuovo la donna in me, d'un tratto, nei momenti più inattesi; lui trova che sia un mio fascino speciale. Ieri opponevo una forte resistenza interiore a tutto questo, per via di un “assoluto”, l'ideale di un rapporto “perfetto-interiore-eterno-sempre intenso” che probabilmente non esiste e che, se dovesse mai arrivare nella mia vita, non sarebbe certo con quest'uomo. Se lo osservo, lo so. Non gli voglio affatto bene come dovrebbe voler bene una donna a un uomo, e se in alcuni momenti desidero che lui mi voglia bene in questo modo, si tratta di un pensiero tirannico e malato, costruito su qualcosa in me che deve essere spezzato. È una persona cara, buona e interessante, e anche volubile, piena di temperamento e di inattesa follia. E a volte mi capita d'un tratto di “avere voglia di lui” tanto quanto lui di me, ma questa è davvero una questione di secondaria importanza. E appena mi sentirò di nuovo incline a permettere che questa questione secondaria adombri la preziosa relazione che ci unisce, dovrò riprendere energicamente il controllo di me stessa. Altrimenti, si rovinano davvero troppe cose di valore. Che strane cose accadono tra uomo e donna. All'improvviso lui si è rimproverato del fatto che noi avessimo soltanto “chiacchierato” e lui non avesse lavorato psicologicamente con me, e allora gli ho detto: Ieri sera hai lavorato psicologicamente con me di più che in tutto il mese scorso; e lui a quel punto ha fatto una faccia buffa e ha detto: Ma davvero? Ricordo soltanto che ci siamo amati, nient'altro. Ho detto anche qualcosa di buono? Quella sera con Dicky è stata in realtà la ciliegina sulla torta, un dono inaspettatamente bello; invece la sera di ieri è stata una lotta, un momento di passaggio verso una fase un po' più matura, e per questo motivo, forse, il ricordo di quei teneri istanti di baccanali risulta ora molto più poetico e somiglia a un sogno più di ieri sera, quando è stato tutto “più difficile” e faticoso, ma forse anche una sera più ricca e fruttuosa. Nella vita ci deve essere tutto. E adesso mi devo rimettere un po' al lavoro prima di andare da Tide. Le undici di sera Una sera così in realtà è molto lunga: succedono molte cose. In questo momento sono così terribilmente felice, dietro questa scrivania. La mia testa poggia pesante sul palmo sinistro, c'è tanta serenità e raccoglimento in me. La dimostrazione di chirologia nella camera di Tide è stata divertente. Prima l'avrei trovata una situazione strana, un gruppo di donne così: e, invece, è stato un godimento elementare, vivace, fresco, con le pere portate da Wiep, le tartine di Gera e la mia psicologia del profondo. E alla fine, Tide instancabile, in piedi già dalle cinque di mattina, che torna al suo lavoro. Non riesco a scrivere qualcosa di essenziale in questo momento; c'è troppo vociferare nella camera dove Hans, Bernard e Pa Han stanno risolvendo un puzzle. Nel passato non sarei mai potuta

rimanere così in un angolo a scrivere o a leggere o a fare chissà cosa, se c'erano più persone nella stessa stanza: mi sarei irritata troppo e adesso, invece, siedo raccolta in me stessa a tal punto che avverto appena il fastidio della presenza di altri. Credo che sarebbe lo stesso se fossi in mezzo a una riunione affollata. Se fossi abbastanza “adulta”, adesso me ne andrei direttamente a letto, in quel letto intonso nella piccola camera, ma il mio istinto sociale e l'abitudine alle amicizie mi spingono a restare in questo letto, l'“ampio rifugio dell'amore”, come con una certa enfasi l'ho battezzato una volta. Già, già. Ho anche preso tre aspirine, e forse per questo mi sento così piacevolmente rilassata. Per domani ho di nuovo un programma adeguato: l'infelice schizofrenico con la phantastische Vater-Imago mi terrà di nuovo impegnata a dovere, poi dovrò rielaborare quella lettera di S., infine preparare la lezione di russo e in realtà dovrei anche chiamare Aleida Schot. E prima di tutto dovrei essere ben riposata. Buona notte. Vale davvero tanto la pena di vivere la vita. Dio, mio Dio, malgrado tutto tu mi sei vicino, almeno un po'. Lunedì mattina, le dieci, 29 settembre [1941] Devo proprio riprendere a occuparmi di me stessa, altrimenti arriverà di nuovo un grande blocco. Da venerdì ho cercato di ritagliarmi un'ora per me, ma comincio ad avvertire che va male, se non mi fermo un attimo a fare un resoconto. Prima le cose concrete. Fa davvero impressione; ci sono ora cinque cartelline sulla mia scrivania: una grigio chiaro con la scritta, (PAROLA RUSSA), un po' sciocco scriverlo in cirillico, ma si tratta di giocare a nascondino con il mondo esterno, infatti non tutti devono sapere cosa sto facendo. Ma a questo punto sei già arrivata al cuore della ferita. Poi c'è una cartellina color rosa scuro con la scritta: (FRASE RUSSA). “Brevi annotazioni di chirologia”. Questo è il punto più dolente di tutti. Non voglio far sapere al mondo esterno, che è scettico, che mi occupo di qualcosa di strambo come la “chirologia”, mentre invece non si tratta affatto di nulla di strambo o cose del genere. È soltanto nuovo, e tutto quello che è nuovo e si deve ancora affermare lo si trova strambo. E non si tratta in realtà neanche della parte scettica del mondo esterno, ma della parte scettica dentro di me. E lo scetticismo in realtà è solo pigrizia. Non è soltanto una bizzarra infatuazione da parte mia, ma diventa via via qualcosa di molto serio e concreto. Ora in quanto disciplina ha acquisito una certa autonomia dall'uomo che me l'ha fatta conoscere, ma devi vedere tutto nelle sue giuste proporzioni. E non metterti subito a fare meravigliose diagnosi: in un certo senso ti alimenti sempre troppo degli aspetti più sensazionali. Eppure - e questo è fondamentale hai ancora voglia di imparare, con pazienza e serietà, dovresti tuttavia esercitarti a combinare le due cose, e non vivere sempre in estrema eccitazione. Be', in realtà non volevo scrivere di questo. Volevo indagare tutt'altro. E poi c'è anche la cartellina blu cielo con la dicitura: (PAROLA RUSSA) “pazienti”. L'ho addirittura incoraggiato io a raccogliere i casi di cui si occupa per un futuro libro. Ho imparato a stenografare per catturare le sue formulazioni, per conservarle e catalogarle. Credo nell'importanza del suo lavoro e della sua persona, ne vedo continuamente i risultati attorno a me. E adesso devo fare in modo di non essere stanca, ma sempre pronta e sveglia per lui e per il suo lavoro; appena comincio a sentirmi affaticata e incapace di ascoltare dentro, sono tentata di “trasferire” quella sordità a tutto il mondo esterno, alle persone, al lavoro che svolgo. Devo riuscire a guardare con sobrietà anche a questo aspetto. Se si è stanchi, si è stanchi, dovrai pur imparare ad andare a letto presto. Il resto probabilmente verrà da sé. In questo momento, ad esempio, non sono particolarmente in forma e devo evitare di assorbire troppo dal mondo esterno altrimenti esplodo o mi dispero, o voglio solo liberarmi di tutto quanto. In questo stato sarei anche capace di ripudiare ogni cosa che mi è sempre sembrata valida. In quei momenti ne ho davvero abbastanza. Dentro di me si sviluppa un blocco e, quando capita, non dovrei mettermi a lavorare su nulla, prima che sia di nuovo passato. Comunque sia, comincio a esagerare nell'uno o nell'altro senso. E probabilmente non sto neanche organizzando il mio lavoro bene, oltre a non mantenermi in continuo contatto con la fonte di serenità interiore. Prima di poter andare avanti devo riconciliarmi con la settimana che ha inizio e con quella che mi sta alle spalle. Altrimenti, a un certo punto, sarò di nuovo un asino testardo, che non vuole procedere di un solo

passo. Mi accade ogni tanto e non riesco proprio a spiegarlo. Forse dipende dal fatto che nell'intimo non riesco sempre ad accettare quello che sto facendo, non “sono presente” in quello che faccio come dovrei. Ma può anche darsi che le cose per me diventino a volte troppo folli. Da una parte la lingua russa, e anche la letteratura, quella russa in particolare, e la letteratura mondiale in genere. A volte mi dirigo con tutte le mie forze in quella direzione. Sì, per un verso vorrei “studiare la letteratura scientificamente”, scrivere dei saggi, e per l'altro sento fremere in me tutta una serie di sorgenti grazie alle quali io stessa vorrei scrivere e creare. E allo stesso tempo mi chiedo addirittura se io sia capace di fare qualcosa, se non mi stia forse sopravvalutando. Ma che importanza ha, in realtà, piccola? Perché devi saper fare qualcosa? Perché devi dimostrare qualcosa al mondo esterno? È comunque sufficiente che tu viva tutto interiormente; sii paziente e onesta, non ambiziosa, e non voler essere qualcosa per forza. E i momenti di mancanza di fiducia in te stessa derivano probabilmente da quelli in cui invece ti sopravvaluti. E andare avanti: o tutto è un caso o niente lo è. Non può essere tuttavia un caso se, in un dato momento, sono finita nella Courbetstraat con un tipo strambo che si occupa di mani e che finora si è rivelato la persona più importante della mia vita. E dopo l'uomo, si è aggiunta nella mia vita la sua professione, e tutto il campo della psicologia. E ho la sensazione che la psicologia, per un verso o per l'altro, si adatti perfettamente alla mia personalità, che sia un campo in cui io potrei lavorare proficuamente. Ed ecco di nuovo i due ambiti: quello accademico, lo studio silenzioso di molti libri, il lavoro scientifico; e d'altra parte, il desiderio di lavorare con le persone, trattare, aprire gli animi, aiutare, rendere la vita degli altri più sopportabile grazie alle mie capacità. Ma, per converso, c'è anche un forte bisogno di solitudine, di lavorare raccolta e silenziosa per me stessa soltanto, di scandagliare, esprimere, dare forma, capire la mia interiorità. Pretendo troppo, forse? Temo anche di essere comunque soltanto una ridicola dilettante. Già, ma tutto si metterà a posto, il mio rigore è sufficiente. E comunque, per il mio programma di vita, il primo requisito è una fase di salute sia fisica che mentale. Per la salute fisica la cosa più importante è dormire a sufficienza, il regolare bagno freddo e la ginnastica della mattina. Per la salute mentale, scarabocchiare di tanto in tanto in questo quaderno, tenere conto, per quanto possibile, di tutti i tipi di processo che si compiono in me. E poi anche questo: quando ti stai occupando di un lavoro, non devi pensare agli altri. Essere tanto immersa in te stessa che non deve esistere nient'altro. A volte sono troppo presa da tutto quello che devo e voglio ancora fare, e questo significa che sono molto più impegnata del necessario. In fin dei conti, va tutto bene. Eppure in questo momento, sulla veranda al sole, nella mia vestaglia giapponese della mattina, tutto mi sembra troppo e non riesco a cominciare il mio lavoro. E corro sempre un grosso rischio: di pensare subito che non ci riuscirò mai più, che mi sembrerà sempre troppo. E se poi arriva di nuovo un periodo di vita intensa da ogni punto di vista, nel quale assimilo tutto e mi sento capace di tutto, allora penso che sarà sempre così. Sto vivendo ancora senza relativizzare abbastanza, direi quasi in maniera poco consona al mio modo di essere. Ogni volta torno a me stessa, assolutizzando i singoli momenti. E anche la stanchezza di un istante la assolutizzo troppo. Oh Etty, Etty, quanto avrò ancora da faticare con te per tutta una vita! Tra un po' arrivano i “1100 libri”: me ne ubriacherò di certo. Non dovresti mai dire: “domani farò questo e quest'altro”. Se poi non ci riesci, ti rattristi e ne ricavi solo una sensazione di scontentezza e oppressione. Nei momenti in cui ti senti capace di fare molto, ti carichi troppo di entusiasmo, mentre nei momenti in cui ti senti meno capace, te ne stai ferma con tutto il daffare e ti senti disperatamente inadeguata. È molto difficile vedere di quanta forza disponi davvero, ed è altrettanto difficile capire che le forze sono sempre limitate, senza alcun dubbio, specie se messe a confronto con tutto quello che vorresti fare. Con le persone come me, che non vivono la routine di tutti i giorni, e la cui vita non è organizzata dal di fuori, ma solo da dentro, è difficile arrivare a una giusta distribuzione delle energie e a un'organizzazione appropriata. Per quanto mi riguarda, non ritengo affatto che sia così importante ciò che faccio - se guardo nella mia agenda il tutto non è neanche così travolgente -, conta piuttosto il processo interiore che vi si svolge dietro. E questo è difficile da organizzare e distribuire, perché i processi interiori evolvono continuamente. A volte soffro di terribili crisi, non so proprio come uscirne e mi scopro incapace di districarmi dal

caos della mia mente; ma anche nei momenti “più sani” e meno complicati, i germi della crisi sono sempre presenti. Ed è proprio nei momenti più lucidi che mi sembra necessario riconoscere quei germi, così da poterli poi individuare anche nel caos e ritornare alla calma più velocemente. Per me è dannatamente difficile esprimermi; mi viene quasi la nausea quando mi metto a scrivere, e non riesco comunque a rendere ciò che voglio. Scrivo tanto per scrivere, perché qualcosa deve venire fuori dame, ma mi chiedo d'un tratto se questo non sia forse sbagliato. Sono qui già da un'ora e mezzo a scribacchiare e mi sento sempre peggio, ancora più insoddisfatta di quando ho cominciato. Dipende dal fatto che sto solo scribacchiando un po' senza costrutto. Di sera, le nove e mezzo Quello sciocco arrovellamento di stamattina è stato di colpo interrotto: sono arrivati trentuno pacchetti avvolti in carta scura, un grottesco Santa Claus e due grandi sacchi di iuta, oltre a un armadio che poi si è rivelato doppio. Sulle prime mi sono sentita disperata, poi eccitata. All'inizio non l'ho trovato neanche carino. Una biblioteca che qualcuno ha accumulato per una vita, riversata in un solo colpo nella propria casa. Meglio collezionare con fatica un libro dopo l'altro, da soli. Ma al momento ne sono totalmente ubriaca. Forse è questa la mia unica grande passione: i libri. Stamattina ho imparato qualcosa: non devo mettermi a scrivere senza un programma, e solo per il gusto di scrivere qualcosa. In fin dei conti sono capace di pensare in modo lucido, come anche plastico, colorato e, se necessario, pure satirico. Ma mi sento oppressa all'idea di scrivere qualcosa di nitido, perché so che sarà soltanto un insipido riflesso di quello che ho dentro. Se invece butto giù qualcosa con trascuratezza, posso sempre consolarmi, dicendo a me stessa: niente paura, le cose non stanno proprio così, non è quello che sei in grado di fare. Il blocco è cominciato venerdì, proprio quando i miei poteri organizzativi hanno preso il volo. La mattina ho fatto varie esperienze e ho pensato che ne avrei scritto la sera. E mi è venuta una felice idea: Bene, stasera mi metterò a lavorare su me stessa. Ma poi si è messa di mezzo quella maledetta Aleida. La sua voce mi stride ancora nelle orecchie, se ci ripenso. Buon Dio, che persona. Traduce Dostoevskij e nella sua stanza c'è una Madonna che lei illumina con luci soffuse quando qualcuno va a farle visita; eppure ritiene che ottanta milioni di tedeschi debbano essere sterminati, dal primo all'ultimo. Non dovrebbe restarne in vita neanche uno. Solo perché io in tutta innocenza ho detto che non potrei vivere con l'odio che tante persone oggi sono costrette a esprimere andando contro la propria natura. A quel punto si è scatenato il peggio. Tremendo, degradante e orribile! Ah, va bene, forse non ho un grande spirito “patriottico”. Se ripenso a quella conversazione, mi sembra di aver avuto a che fare con una persona anomala. Ma è stato anche interessante. Oh, come gongolo, ha detto, quando mi affaccio alla finestra la sera e sento passare gli aeroplani, e sembrava quasi che i suoi seni si gonfiassero e che le sue narici si allargassero, anche se non ha quasi seno e il naso è molto piccolo e insignificante. Sono arrivata a casa pensando: Devo assolutamente scrivere qualcosa; e invece sono finita da Bernard e Parijs. Mi sono catapultata nella camera e ho chiesto tutta eccitata: Ascoltatemi un momento, trovate anche voi che tutti i tedeschi dovrebbero essere sterminati? La risposta è stata: Sì, naturalmente. Ne è nato un acceso e stimolante dibattito. Su quella serata si potrebbe scrivere un intero opuscolo. Alle dodici e mezzo a letto, senza aver “lavorato su me stessa”. E credo che le cose siano cominciate ad andare male proprio in quel momento. Ma un dibattito serale di quel genere mi aveva resa estremamente sveglia e agitata. La mattina seguente, dalle dieci e mezzo alle undici da S. Oh, certo, prima ho comprato quella lana color vinaccia e beige, con cui farò qualcosa di pesante per l'inverno, e poi tutte quelle cartelline, matite, temperamatite e carta dai Winter. Stavo scoppiando di energia. Dopo di che da S. È stato più intenso che mai; ma anche piacevole, rilassato e bellissimo. E poi, di pomeriggio, quella oggettiva dimostrazione scientifica nella Valeriuskliniek, a cui già da una settimana non vedevo l'ora di assistere: tutto sulla “linea della testa”. Ma a quel punto avevo già esagerato e ho dovuto riposare per un'ora, dopo aver preso mezz'aspirina per il mal di testa. In seguito a ciò, mi sono svegliata stanca e svogliata. Un tempo la cosa sarebbe durata a lungo, ma

oggi passa. Poi la musica da Tide: un'atmosfera di rado così gioiosa. La sera sono di nuovo andata a dormire troppo tardi, ma con la promessa di fare molto la domenica: rielaborare le annotazioni di S., leggere Puškin, ecc., scrivere nel mio diario, ecc. Ma tutto è andato al diavolo. E ancora Adri, Frans e Jaap, passato un po' di tempo con S. dalle 2 alle 6, prima sul suo divano, poi al sole sulla Stadionkade. E oggi ho rovinato le ore mattutine con la cosiddetta stesura del mio diario, che in realtà è solo un vago cincischiare, del tutto inutile. E adesso sono davvero un po' ubriaca, e in questi momenti la vita è molto più bella e senz'altro sopportabile. Questo dipende anche dalle mie gambe nude, dal sole, da quello sporco maglioncino blu, e dalla mia pallida faccetta informe da zingara e da quel folle di un S. che, a un tratto, oggi pomeriggio, stava sul mio divano circondato dai suoi stessi libri sparsi. Ma una cosa è certa: non posso permettermi di essere stanca, devo restare pronta e sveglia. Non si tratta di cosa vivi, ma di chi e come viene vissuto. Quando si è apatici e stanchi, tutto il mondo diventa apatico e stanco. Io non credo in valori oggettivi. Sono le dieci e vado a letto; circondata da tutti questi libri, Bernard non mi sentirà “fare i miei respiri rumorosi”, ma anche questo strano complesso dovrà essere superato. Una persona deve accettare anche le sue “imperfezioni”. Speriamo solo di non morire adesso per via di quell'acido blu con il quale vengono gassate le farfalle notturne. Questa libreria è una casa a sé, un tempio minaccioso nella mia piccola camera. Ho sempre augurato a me stessa una cosa simile: una cella monastica con un letto e libri alle pareti. Ecco che la mia stanza comincia a somigliare un po' a quella cella. So per certo che domani sarò in forma, ben riposata, e già non vedo l'ora di sentire il russo di Becker: sono anche curiosa di vedere se riuscirò a capire più che in passato. Mio Dio, domani arriverà un altro armadio e forse anche un pianoforte, e quel caso Kropveld deve proprio essere trascritto e anche le annotazioni di S. Ma ora facciamoci un sonnellino. Ho trovato questa immagine nella sua collezione di famiglia. Mi piace parecchio così. Martedì sera [30 settembre 1941], le undici “Non è carino?” mi ha detto. “Guarda un po', l'ha fatto la Holm”. Aveva messo una serie di volumi tra due reggilibri sul suo tavolo antico: la Bibbia, Tommaso da Kempis, Agostino, il Decamerone (non aveva idea di che sorta di libro fosse, ma la copertina ci stava così bene) e un libro molto antico sulla chiromanzia. E poi ha detto all'improvviso, con un gesto ampio della mano: “Questo sono proprio io”. [Mercoledì] 1° ottobre [1941], le otto di sera La mia salute somiglia proprio a una bambina viziata e capricciosa. Le ho dedicato sempre troppa attenzione e così quella viziata ne ha pretesa sempre di più. Se adesso la ignoro un po' e non la prendo tragicamente, forse mi lascerà un po' di più in pace. Bisogna educare la propria salute con saggezza: l'importante, per me, è non prestare troppa attenzione ai capricci quotidiani, indirizzando altrove l'energia che prima finiva tutta lì. Gauguin. Ieri è stato Gauguin a dare alla giornata la sua unica, particolare coloritura, che ha continuato a riverberare sullo sfondo. La cosa strana è che non so nulla di Gauguin. Per quanto mi riguarda, il suo nome è associato a un'aura di perversione e stranezza. Ma ho ricevuto due libri su di lui. E i libri sono più di mille. Quindi ogni giorno ci sarà un nuovo personaggio a darmi un'irreale sensazione di sogno. Io vivo con i libri; essi colorano l'atmosfera attorno a me. Un solo nome o alcune pagine possono dominare l'intera giornata. La sua testa di gesso giaceva nel cestino, me l'ha mostrata ieri sera. Ho infilato la testa nel cestino e ho baciato le labbra di gesso. Ma la parte più bella era sparita: la piccola piega selvaggia e indomabile sul suo labbro inferiore. Ce n'era solo una traccia. Dopo di che mi sono rivolta di nuovo all'originale e ho ritrovato lì la piega mancante, calda e viva.

E adesso: Die Frau in Europa [La donna in Europa] di Jung - assai indisciplinato da parte mia. La vita è molto bella. Ho la sensazione di essere diventata un po' più saggia e matura nell'ultima settimana. Come se nelle mie dinamiche interiori vedessi di nuovo che ogni cosa si collega al resto, e grazie a ciò sapessi anche di più sugli altri. Ma ora, seduta alla mia scrivania, mi accorgo di essere troppo stanca per scrivere, o meglio, che non mi interessa affatto, e non è neanche necessario, adesso. Giovedì sera [2 ottobre 1941], le otto Ragazza mia, stasera pretendo alcune cose da te: non puoi più mangiare cioccolatini, devi lasciare in pace i mille libri e devi andare a letto a un'ora decente. Sono tutti atti di autocontrollo. Il fiume minaccia di nuovo di straripare. E so che sarebbe un piacere voluttuoso e quasi satanico lasciare che gli argini cedano di nuovo, ma non te lo puoi permettere. Stamattina me ne stavo nel bagno, muovendo qua e là le braccia, come di regola completamente nuda, quando di colpo mi sono fermata e ho detto, molto decisa, al mio riflesso nello specchio: Sì, ho idee mie. Ma non posso averne troppe. Da bambina scrissi su un logoro pezzetto di carta: “Le idee pendono dal mio corpo come vestiti troppo larghi, nei quali devo ancora crescere Quei vestiti sono ancora troppo larghi, non riesco a crescere abbastanza in fretta per riempirli. Mi crogiolo ancora troppo in quelle idee e non ho il coraggio né la sufficiente fiducia in me stessa per concretizzarle. Il mio talento per la sintesi non sarà una forma inconscia di paura di fronte a una supposta schizofrenia? In questo momento spero di avere una vita molto lunga e di riuscire a mettere per iscritto tutto quello che ho dentro. Mi riempio del liquido della vita, sempre di più, uh, che noia, che stanchezza, al lavoro, subito. Venerdì mattina [3 ottobre 1941], le nove Devi avere meno pretese nei confronti di te stessa: non gonfiare ogni singolo pensiero ritenendolo capace di trasformare il mondo e non credere che ogni vivida immagine sorta dentro di te sia importante per la letteratura mondiale. Devi vivere in maniera più sobria dentro; mi pare proprio che tu stia peccando di eccessi. Non hai strumenti e ti manca ancora un “argomento”. E la mancanza di quell'argomento dipende dal fatto che ti aggrappi a tutto e non riesci ancora a essere fedele a una cosa sola. Ma non puoi perderti così in ogni cosa; puoi perderti, sì, ma alla fine devi sempre ritornare a te stessa. In questo momento ti senti tanto misera. Non è poi così grave. Adesso pensi che resterai triste per sempre, e non capisci come gli altri possano essere allegri. E tra un'ora sarai di nuovo allegra e non capirai perché gli altri sono tristi. Il modo in cui esprimo tutto ciò non ha alcun senso, ovviamente. In realtà sono ancora impegnata a catalogare: cerco un'armonia, una sintesi, ma so che non c'è. Voglio osservare tutto da un unico punto di vista, pensare tutto a partire da un'unica idea, ma il solo modo per trovare armonia è accettare le contraddizioni. Ogni polo ha il suo opposto: è così, che ti piaccia o no. Non basta che tu sappia tutto ciò solo con la tua mente, devi anche vivere la molteplicità delle cose e non cercare spasmodicamente di forgiare quella molteplicità in un'unità. Sono fatta così, finisco per essere esposta a ogni cosa. Sono aperta a tutto e non mi sottraggo, mi abbandono a tutte le tempeste, a tutti i venti, a tutti gli stimoli esterni, e a tutto ciò che spira dal profondo del mio essere. Non mi risparmio, credo. A volte penso che sia troppo dura e che sono io a rendermi la vita troppo difficile, perché lascio che ogni minima impressione venga rielaborata e compresa, ma poi avverto un senso di gratitudine per essere fatta così, uno strumento tanto sensibile che nessun aspetto della vita interiore o di quella esterna mi è estraneo né mai lo sarà. Non puoi neanche perdere troppo tempo tra tristezze e rimuginii, quando invece c'è ancora tanto da

studiare e da elaborare. È vero, corro sempre il rischio di perdermi di nuovo nel caos, in una sconfinata tristezza, ma c'è anche qualcosa di forte e di inesorabile in me, di niente affatto sentimentale e molto concreto, lo sento con grande chiarezza. È qualcosa che mi aiuterà a dare forma e ordine alle mie idee, per cui un giorno riuscirò a maturare un giudizio obiettivo sulle cose. Avrò però la “scrivania” e non la famiglia; era così già nel passato. Altre ragazze sognavano un marito e dei figli. Invece io avevo sempre una determinata idea: una mano che scriveva. Vedevo sempre una piccola mano e molta carta, e quella mano scriveva, continuava a scrivere. In questa mia idea c'era una camera, in realtà una cella, su una montagna, e a valle un fiume di persone; e io stavo lì nella mia alta cella e la mano intenta a scrivere era la mia. Io parlavo con le persone che scorrevano ai miei piedi. E ieri, improvvisamente, ebbi voglia di sfogarmi su questo quaderno: “Voglio un uomo, un uomo solo per me”. Sono momenti. In realtà, non lo voglio proprio per niente. Ho la sensazione che dovrò fare tutto da sola. A volte desidero quell'uomo come una sorta di linea di confine, di demarcazione del mio stesso essere, perché ho paura di perdermi in uno spazio del quale non conosco il centro. Ma il centro deve albergare in me stessa, nel mio profondo, questa è l'unica cosa che conta davvero per me. Non so come stiano le cose per altre donne. Bene, e ora il tuo programma quotidiano; non è pesante: un'ora di lezione di russo e stasera chirologia e da non dimenticare il dentista. Tale programma mi opprime terribilmente oggi, ma non bisogna filosofeggiare troppo: devo solo fare. Di sera, le undici Sulla strada verso casa di Tide, tra il campo dell'IJsclub e l'Euterpestraat, ho avuto la sensazione che Hertha stesse tornando. Il mio cuore si è spezzato più volte, lungo quelle poche strade: ho condotto un'eroica battaglia, prima di andarmene lontano, in Russia, non senza avergli scritto una lettera estremamente commovente per dirgli che io come persona non ero sufficiente, ma che non potevo convivere con l'idea di lui e Hertha insieme. Non volevo neanche più avere a che fare con quel lavoro e d'un tratto mi sono chiesta disperata se avessi forse scelto il lavoro per l'uomo e non l'uomo per il suo lavoro. E sapevo che non mi sarei mai voluta sposare con lui, eppure non potevo continuare sapendoli insieme. È stato tutto terribile e si è svolto fra tre strade. Sono arrivata da Tide con un animo pesante come il piombo, ero sconsolata, e d'un tratto ero seduta lì a raccontare quel coinvolgente paesaggio sul palmo della sua mano e mi sono resa conto di come fossi di nuovo coinvolta da quella materia e quanto piacere ne traessi. Ho visto che Wiep era colpita e depressa, e di colpo tutta la mia attenzione si è concentrata su di lei e la mia tristezza è sparita in un attimo. Questo mi accade spesso: se vedo che altri sono tristi, allora io mi riprendo e vorrei gridare agli altri: Di sicuro non è così grave, passerà presto, la stai prendendo in modo molto più negativo di quanto sia necessario. E poi ho passeggiato fino a casa con Wiep al chiaro di luna. E le ho chiesto perché fosse così triste. Ho anche aggiunto: Andare al lavoro ogni giorno certo potrà deprimerti, a volte. Forse la vita è troppo dura per una donna che deve resistere in questo mondo crudele. Sì, ha sospirato Wiep, probabilmente è così. E poi ho cercato di dirle: Già, noi non possiamo vivere in uno spazio ampio come gli uomini, noi cerchiamo il nostro confine e il nostro centro nell'uomo. Forse S. ha ragione quando dice che dipende dal fatto che noi non poniamo il nostro centro in noi stesse e che riposiamo troppo poco nel profondo. Già, ha detto Wiep con una mancanza di logica tipicamente femminile, ma a volte io penso che se ne può andare al diavolo con queste sue baggianate. Esiste una questione femminile, c'è davvero una complessa questione femminile: abbiamo dato inizio a un'epoca pesante, noi donne in apparenza emancipate, e sono curiosa di vedere dove ci porterà questa strada. Oltre a essere curiosa, quasi scientificamente fredda e oggettiva, il problema lo avverto anche, allo stesso tempo, in maniera soggettiva, assolutamente non fredda e non scientifica, anzi piena di sofferenza e lotta. Non riesco a separare le due cose in me. A volte credo che la situazione ideale sarà raggiunta quando vivrò in modo soltanto oggettivo e nel momento in cui non dovrò più soffrire per tutto, ma in me i due stati sono inscindibili. Non posso neppure permettere che il mio sviluppo intellettuale scavalchi quello spirituale: i due devono andare di pari

passo, e in realtà sono molto grata che debba essere così. In ultima istanza traggo tutto il mio sapere oggettivo dalle mie esperienze soggettive e forse è proprio quella la base più solida e affidabile per la conoscenza umana, benché sia anche la più “dolorosa”. Riassumendo: Riuscirò certamente a riprendermi, e anche a “scendere a patti” con la situazione, persino se Hertha dovesse mai tornare e anche se questo dovesse significare una bella battaglia, che sto già iniziando. Se mi accorgo che qualcun altro è triste, dimentico la mia stessa tristezza e voglio capire e aiutare l'altro. La vita è comunque bella, anche se mi sto di nuovo tenendo pericolosamente in equilibrio tra depressione e caos. Sabato pomeriggio [4 ottobre 1941] Mi sento proprio come il piatto di un grammofono, qualcosa continua a graffiarmi con un ago appuntito. Vorrei che quel graffiare smettesse. Quei libri sono davvero una strana avventura per me. Vi reagisco con tanti diversi stati d'animo. Al momento, in realtà, mi sento totalmente confusa e molto lontana dal mio centro. Sono un tipo molto strano, lo so. Han siede là a fumarsi la pipa e arrotola con pazienza un pezzo di corda, una delle 31 corde dei 31 pacchetti, e io gli ho appena detto: Papi, tu sei sempre ugualmente equilibrato, vero? Non perderesti mai la strada di casa così spesso quanto me. E mi sono resa conto di essere quasi invidiosa di lui. Quando perdi il tuo centro, anche tutte le persone e le cose appaiono decentrate e irreali. Credo che quella sua sordità sia, a conti fatti, un vantaggio per S. Così riesce a concentrarsi molto di più sul suo profondo. Io prendo ancora ogni minimo fenomeno troppo seriamente, e qualsiasi stimolo esterno cerco di sistemarlo in un grande insieme. Il che non è affatto necessario. Di tanto in tanto dovrei cercare di essere molto più sorda nei confronti dell'esterno e ascoltarmi dentro. Se in questo momento arrivasse un altro stimolo da fuori, io esploderei o qualcosa del genere. Di sera Suarès a proposito di Stendhal: “Ha forti accessi di tristezza, che rivela agli amici ma che cela nei libri. La sua mente è maschera delle sue passioni. Dice dei bons mots per essere lasciato in pace coi suoi grandi sentimenti”. Ecco la tua malattia: pretendi di rinchiudere la vita nelle tue formule, di abbracciare tutti i fenomeni della vita con la tua mente, invece di lasciarti abbracciare dalla vita. Com'era un tempo: va bene che tu affacci la tua testa in cielo, ma non che tu cacci il cielo nella tua testa. Ogni volta vorresti rifare il mondo, invece di goderlo com'è. È un atteggiamento alquanto dispotico. Domenica mattina [5 ottobre 1941], le nove E adesso basta, maledizione! Mi annoi con tutti i tuoi pensieri e sentimenti profondi. Devi disciplinarti; ti starò di nuovo dietro con la frusta. Oggi si traduce, parola per parola, dal nederlandese al russo, con una grammatica e un dizionario, da professionisti. Si può aspettare ancora un po' a risolvere i molti problemi della vita. E se vuoi affrontare Dostoevskij da un punto di vista psicoanalitico o storico-materialistico, o piuttosto “mistico”, non ci siamo ancora. Non hai neanche letto come si deve tutto Dostoevskij. Quanto alla questione femminile, non si risolve in una domenica ed è ancora da vedere se vada risolta da te. Tra l'altro: la questione femminile! Testimonia soltanto quanto siano vane le tue pretese, se imposti così la faccenda. Vedi, il tuo stomaco ha ricominciato a fare i capricci e c'è di nuovo un blocco nella tua stupida testa. Non voglio che pensi a niente oggi, non a Freud, non a Jung, non a Kierkegaard, non a Dostoevskij e neanche a Stendhal. Non hai ancora basi abbastanza solide per potervi costruire sopra un edificio. Non hai in realtà alcuna base, né uno strumento né un fine. Ma hai senz'altro un'anima, già del tutto esausta, così come hai obblighi quotidiani: preparare la colazione, fare traduzioni in russo e trascrivere

annotazioni stenografate, e stamattina devi insegnare l'alfabeto russo a un'allieva entusiasta. Oggi ti terrò d'occhio, molto attentamente. Adesso sono le nove. Mi sento a terra: un carico di pensieri troppo gravoso per me, la paura e l'inerzia nel dare inizio alle attività giornaliere. Vi saranno di certo delle spiegazioni in base alla “psicologia del profondo” ma non posso certo continuare a cercarle. Vorrei che mi fosse data, almeno in parte, la fede di S., non quella di Tide, che per me è irraggiungibile; per quest'ultima infatti non sono abbastanza infantile e semplice. Grande, caro e buono S., che si trova adesso in compagnia del conte caduto da cavallo. Per me lui ora è una specie di apparizione irreale, o meglio, è di nuovo diventato un paesaggio, un'atmosfera lontana. Mi sento così a pezzi, sono depressa oltre ogni dire e incredibilmente irritata. E le fonti interiori, quelle pure, eterne fonti, sono state di nuovo bloccate dalle pesanti macine dei pensieri. Mio Dio, detesto a volte persino avere un cervello! Vorrei essere un ragazzetto sporco che pascola il gregge su una montagna in Svizzera e che suona il flauto e guarda il cielo. Vorrei tanto essere sola, e respirare e fluire in eterno e in tutta semplicità. So che questi istanti torneranno e poi spariranno di nuovo. Ma quello che conta è la conquista di un brandello di eternità in me stessa. Tutto il resto è secondario. Mi ritirerò di nuovo nella mia cameretta, per accoccolarmi a terra, in un angolo, rimanendo così finché quella crosta opprimente dentro di me non comincerà a sciogliersi. Etty, promettimi che oggi non toccherai un libro e non lascerai che neanche un solo titolo ti attragga. Direziona di nuovo le tue orecchie e i tuoi sensi totalmente verso l'interno, e prova a riposare ancora in te stessa. Nove e mezzo Risultati del quarto d'ora buddhistico: mi è venuto un gran freddo, sul pavimento. Devi imparare a fidarti di più delle tue stesse esperienze, impressioni e intuizioni, e non pensare che devi trarre tutto dai libri. A volte vuoi fuggire e viaggiare per andare molto lontano, in un altro paese, perché probabilmente pensi di poterti lasciare alle spalle un grosso carico di eccessi. Ma guarda che stai ingannando te stessa. Il viaggiare lontano, nel tuo caso, è un simbolo dell'immergersi in se stessi, anche questo ti libera del fardello di molti pensieri. Quando stavo in quell'angolo, appoggiata all'armadio di legno di pero di S., quel minaccioso tempio di libri, ho avvertito che la vita mi scorreva dentro a scatti, proprio come un fiume che a fatica si ritaglia il proprio letto attraverso blocchi di roccia ammassati che impediscono il passaggio. E desideravo così tanto che la vita fosse una limpida, fluida corrente calda. Il blocco di roccia più grande si trova, in tali casi, precisamente al centro del mio stomaco. Io ho uno stomaco autenticamente psicologico. E comunque va già un pochino meglio. Penso che oggi pomeriggio farò un lungo sonno. Anche questo è una fuga e una manifestazione del desiderio di perdersi. Per un po' non posso assorbire gli stimoli che vengono dall'esterno, ma devo spalancare le chiuse interiori per recuperare l'equilibrio. E adesso andiamo a prendere la pappa d'avena per quel caro Han. Adesso sono le cinque e mezzo e io mi sono appena alzata, sbucando da sotto il mio nuovo copriletto turco, e ho la spiacevole sensazione che ci sia davvero qualcosa che non va, quando si trascorre a letto un bellissimo pomeriggio domenicale di sole come questo. In passato era una cosa molto normale, anche allora me la dormivo tutto il tempo, ma adesso trovo che sia sbagliato e insalubre. E con questa dormita non mi sento neanche meglio e più in forma. Strano, no? non riesco a cominciare a lavorare. Qualcosa dentro di me mi trattiene. In passato pensavo che gli stati fisici spiacevoli, come mal di testa, mal di stomaco, episodi di reumatismo, fossero soltanto fisici, ma adesso constato osservandomi che essi sono causati

principalmente dalla psiche. In me il corpo e l'anima sono davvero una cosa sola. Appena qualcosa non va nella mia psiche, non va neanche nel corpo. Ecco perché l'igiene mentale è così terribilmente importante per me. Il grande risultato degli ultimi sei mesi è che ora ne sono pienamente consapevole e non potrò mai più incolpare il mio corpo. Strano che ora guardi a una traduzione dal russo come a una montagna incredibilmente alta che devo scalare con il cuore in gola. E non so neanche se sia una buona idea, forzarmi in tal modo. Perché, se mi dico che devo finire la traduzione oggi, e poi non ci riesco, mi sentirò ancora più a disagio e irritata. Le mie circostanze esteriori sono ideali, lo so, ma l'esserne consapevole non impedisce comunque che io ogni tanto soffra, e soffra davvero molto. In ultima istanza anche questo è produttivo, naturalmente, ma qualche volta mi piacerebbe essere meno complicata. Ora vorrei a ogni costo spezzare o demolire qualcosa in me, qualcosa che mi impedisce di respirare liberamente e felicemente. Ma non lo si ottiene con la forza. Sono in gioco una miriade di piccole cose sottili; a volte sento che solo quando conoscerò me stessa interamente, potrò conoscere l'intera umanità. Devo vivere ogni cosa da sola, attraverso me stessa, e capisco fin troppo bene perché a volte ho un tale bisogno di dormire, dormire per ore e ore, assentarmi. Tanto poi torni sempre, ragazza mia. Ho appena finito di leggere le annotazioni su quell'uomo schizofrenico. È straordinariamente interessante, al punto che mi chiedo perché in realtà io stia sprecando così tanto tempo con i miei umori. Potrei usare quel tempo terribilmente bene. Del resto, non so che ne sarà della mia vita, se saprò portare avanti i miei studi con libertà e senza preoccupazioni, e anche insieme a qualcuno come S. Gli devo ancora fare 1000 domande, devo ancora imparare un'infinità di cose da lui. Perché non uso meglio il mio tempo? Sono fisicamente sana, sto addirittura meglio di moltissime persone in questi tempi di malnutrizione, posso persino concentrarmi, nonostante le bombe e i campi di concentramento, nonostante le storie dell'orrore e un milione di cadaveri, perché credo nella missione del singolo, e anche nella mia piccola missione. Ma allora perché perdere tempo con te stessa, perché? Me lo chiedo così spesso. Oggi pomeriggio, mentre stavo davanti alla libreria stracolma, con alcuni libri in mano, padre Wegerif, in procinto di andarsene via, mi ha detto, con una certa ironia ma con una sfumatura di serietà: Possa tu avere la forza di sopportare e rielaborare tutta quella roba. È questa forse la risposta ai tuoi perché. Di sera, le undici Stamattina volevo essere un pastorello su una distesa alpina, con un flauto, sedevo accoccolata con le spalle al tempio di libri di legno di pero, maledicendo il mio cervello, e adesso sono di nuovo così grata che Dio me l'abbia dato. Un giorno riuscirò sicuramente a trovare l'equilibrio tra il pensare e il sentire. Ma questo è il mio rimedio: non parlare, non ascoltare l'esterno, ma stare totalmente in silenzio cercando di far risuonare dentro di sé l'essere più profondo e peculiare, e prestare ascolto a quello. È l'unico modo. Di questa domenica ricca di tanti umori mi resta, rispetto al passato, una sola cosa davvero importante: la giornata è arrivata alla sua conclusione senz'aspirina e senza mal di stomaco. Adesso mi sento frastornata e incerta, proprio come se avessi di nuovo vissuto una montagna di cose. Vale la pena di vivere. 6 ottobre [1941], lunedì mattina, le nove Ieri, a metà giornata, è caduta una frase che m'è rimasta impressa. Ho chiesto a Henny: Tide, allora non hai mai voluto sposarti? E la sua risposta è stata: Dio non mi ha mai mandato un uomo. Se io dovessi adattare questa risposta a me stessa, dovrei dire: per vivere in armonia con le mie sorgenti più profonde, probabilmente non dovrei sposarmi. In ogni caso non posso rompermi la testa su questo problema. Se ascolto onestamente la voce che mi porto dentro, a un certo punto saprò se un uomo mi è stato mandato da Dio, oppure no. Ma non debbo pensarci troppo. Oppure transigere; o

sposarmi ugualmente, per tante teorie sbagliate. Devo aver fiducia, sapere che seguo una determinata strada, non chiedermi: sarò poi molto sola, se ora non prendo marito? Sarò in grado di guadagnarmi il pane? Non diventerò una vecchia zitella? Che dirà il mondo intorno, mi compatirà per il fatto che non ho ancora un marito? Ieri sera ho chiesto a Han, a letto: credi che una persona come me dovrebbe sposarsi? Sono una vera donna, io? Il sesso non è poi così importante per me, anche se può sembrare il contrario. Lasciare che gli uomini si avvicinino attratti da quell'impressione e poi non essere in grado di soddisfarli, non è forse un inganno? Io non sono il prototipo della donna, perlomeno non sessualmente. Non sono più una vera “femmina” e a volte ne provo un senso d'inferiorità. Quel che ho di veramente fisico è per molti versi incrinato e indebolito da un processo di spiritualizzazione. E quasi me ne vergogno, a volte. Le cose veramente primordiali in me sono i sentimenti umani, una sorta di amore e di compassione elementari che provo per le persone, per tutte le persone. Non credo di essere adatta a un uomo solo. A volte mi sembra un amore quasi un po' infantile. Non potrei neppur essergli fedele, non per via di altri uomini, ma perché io stessa sono composta di tante persone diverse. Ho ventisette anni e mi sembra di aver già amato, o di esser già stata amata abbastanza. Mi sento già molto vecchia. Probabilmente non è un caso che l'uomo con cui convivo già da cinque anni abbia una età tale da rendere impossibile un futuro in comune, e che il mio miglior amico conti di sposarsi con una ragazza che è ora a Londra. Non credo che questa sarà la mia strada, un unico uomo e un unico amore. Però ho una forte inclinazione erotica e sento un gran bisogno di carezze e di tenerezza. E queste ci sono sempre state intorno a me. Mi rendo conto che non riesco a esprimere i sentimenti che ho avuto stanotte e stamattina. “Dio non mi ha mai mandato un uomo”. La mia intuizione non ha mai consentito che io dicessi sì a un uomo per la vita, e questa voce interiore dev'essere il mio unico filo conduttore in ogni cosa, ma soprattutto in questioni simili. Intendo solo dire che in me deve crearsi una sorta di pace e di certezza, la sicura consapevolezza di come percorrere la propria strada, dando ascolto alla voce interiore. E non devo evitare il matrimonio solo perché ci sono troppi matrimoni infelici attorno a me. Sarebbe un semplice opporsi, dettato da paura e mancanza di fiducia; no, se tu non ti sposi è perché sai che questa non è la tua strada. E non consolarti con i commenti ironici che senti spesso da parte di donne nubili: “fanno proprio una bella impressione i matrimoni che si vedono in giro”. Io credo nei matrimoni felici, e forse potrei averne uno anch'io; ma lascia che sia come deve essere, non avere teorie su questo argomento, non chiederti cosa sarebbe meglio per te in realtà, non essere calcolatrice in questioni simili; se “Dio ti manda un marito”, bene, altrimenti la tua strada si rivelerà un'altra. Poi, però, non angustiarti; non dire mai: Ho sprecato la mia vita, in quel momento avrei dovuto fare così e così. Una cosa simile non bisogna proprio dirla, a posteriori, ragion per cui adesso devi ascoltare al massimo la tua fonte interiore e aver fiducia in te stessa, e non lasciarti sempre confondere da ciò che gli altri dicono, sostengono e vorrebbero da te. E ora al lavoro. I miei sentimenti in quanto essere umano sono più forti e molto più primigeni rispetto ai miei sentimenti in quanto donna. Ma sarà una dura lotta prendere distanza da me stessa come donna, se questa sarà la mia strada. Martedì mattina [7 ottobre 1941], le nove La tristezza che provo non ha niente a che vedere con le cose esteriori. Penso che tutto quello che faccio sia sbagliato, che mi sono sforzata oltre le mie capacità, che ho scelto il lavoro sbagliato. Questo però non dipende dal lavoro, è un punto dolente nella mia attitudine nei confronti della vita, per cui cresce in me la paura di non riuscire a fare le cose e insieme a essa anche l'avversione. Non so cosa siano tutti questi cambiamenti nei miei stati d'animo. Li porto con me, sono una mia parte, eppure è così difficile analizzare i miei stessi stati d'animo, vederne le cause e le connessioni. Non so perché. Ieri ero tentata di dire ai miei amici: Sentite, se oggi o domani dovesse cadere una bomba su di me, non fate sciocchezze, ma consolatevi con il pensiero che io sono felice di essere libera. E

stamattina, nel bagno (in quello stretto bagno con la stuoia di cocco marrone, la mattina presto accade sempre qualcosa di singolare) , d'un tratto sono stata colta dall'immagine di pazienti in un istituto. E di colpo ho pensato che deve essere una sorta di liberazione lasciarsi andare alla tristezza e affondarvi completamente, scuotersi di dosso ogni responsabilità, con le mura dell'istituto e l'assistenza regolamentata del personale infermieristico che provvede a creare una nicchia sicura in cui uno può lasciarsi andare. Dico solo che posso immaginarmelo, non che voglio essere rinchiusa in un istituto. Perché mai ogni piccolezza diventa così pesante per me? Di certo non dipende dal lavoro, perché è sempre lo stesso e non di rado penso che nessuno abbia una vita tanto coinvolgente e varia come la mia. Non si tratta nemmeno di una tristezza che si possa lasciar smorzare: presenta troppi angoli vivi. A volte riesco a venirne fuori. Ma è come se qualcuno che ha un forte mal di denti ci mettesse sopra una mano tentando ogni sorta di piccoli trucchi per liberarsi un po' del dolore. Ogni tanto funziona. Anch'io le provo tutte e parlo con me stessa e ci metto sopra, per così dire, la mano dell'intelletto portandola poi anche sul punto ferito della mia psiche, ma il dolore di fondo rimane; a volte va via per un po' ma poi torna a farsi sentire. Può anche darsi che io soffra di qualche malessere fisico che mi fa sentire un po' stanca e mi dà i reumatismi, ma il rapporto di causa-effetto, a mio avviso, va nell'altra direzione. Non farei neanche tante storie per un po' di attacchi reumatici, se nella mia anima fosse tutto a posto. Non dipende neanche dal fatto che io non abbia avuto il permesso di continuare a studiare. Al massimo potrei usarla come scusa per non fare proprio più niente, ma il mio senso del dovere me lo impedisce. Quel maledetto senso del dovere. A volte è come se volessi abbandonarmi a sogni di ogni tipo, come se i doveri quotidiani fossero solo degli ostacoli. Ma nei momenti migliori, si sogna e si lavora contemporaneamente, c'è spazio e posto per tutto dentro di sé. Forse devo ancora elaborare tutto quello che domenica pomeriggio è emerso dai profondi abissi interiori; che la mia strada forse non sarà quella di trovare un uomo per la vita. Che cosa significa allora abbandonare l'idea di cercare il proprio centro in un altro, se dentro di me sento con forza l'impulso di unirmi all'altro, fino a sciogliermi in lui? Ma questo impulso è, credo, solo finzione, non esiste, o esiste forse solo in alcuni momenti, quando provo il pungente desiderio di fondermi con un altro. Si tratta di una sensazione ormai nota, quella di volersi liberare di tutte le responsabilità, di non saper affrontare la vita con le proprie forze, pertanto non posso cedere a tale sensazione. Non è nient'altro che romanticismo da scolarette, eppure è radicato nel profondo, questo desiderio di perdersi nell'altro, per liberarsi di se stessi. Forse è questa la ragione per cui poi, nella vita reale, l'unione di due persone appare fittizia, si viene sempre rigettati in se stessi e ci si ritrova soli e più inermi che mai. Devi educarti a vivere con le tue forze, avendo fiducia in te stessa. Anche il tendere verso una posizione riconosciuta all'interno di una società ben strutturata è in realtà la stessa cosa: la ricerca di una certezza che non viene da noi stessi, ma si realizza in qualcosa al di fuori di noi: in un buon lavoro per l'uomo, nell'istituzione del matrimonio per la donna. E tutto questo serve solo a suggestionarci l'un l'altro e a convincerci che siamo al sicuro e protetti, mentre soltanto tu sai, e solo Dio sa, quanti vuoti e paure e ferite si muovono nella tua mente. Dipende forse da ciò la mia tristezza. Domenica, mentre stavo “ascoltando” la mia voce interiore, e lasciavo parlare soltanto il mio essere più profondo, sono venute a galla cose che forse erano ancora troppo pesanti da accettare: il dover percorrere la propria strada, imparando a vivere secondo la più pura voce interiore. E il giorno seguente mi sembrava un'idea così assurda. La ragione si è di nuovo imposta con tutte le sue facoltà; una sensazione del tipo: Ragazzina, non prenderti in giro, i momenti “artistici” che ogni tanto vivi sono forse belli e possono essere elaborati in un romanzetto commovente, ma non funzionano nella vita reale. E poi: Una persona esprime i suoi momenti migliori solo nell'arte? Non riesce anche a viverli? ossia l'intuizione che esistono due mondi inconciliabili, il mondo del sogno, e quello grigio, quotidiano, reale. E io invece li voglio combinare, li voglio vivere tutt'e due contemporaneamente e so che è possibile. E poi ho avuto un'improvvisa intuizione: dovrai vivere da sola (l'ho avuta già così tante volte, ma è come se diventasse sempre più reale, e domenica si è rivelata un vero pugno nello stomaco) , senza un uomo che rappresenti la tua sicurezza nel mondo esterno; e poi è sorta un'altra sensazione, ancora più forte: ma allora, in quel caso, dovrai anche tu fare qualcosa di speciale, essere un

individuo speciale, scrivere un libro straordinariamente interessante o qualcosa del genere. Quindi, ci risiamo: da una parte l'esigenza di realizzarsi, in modo da poter credere in me stessa e fondare il senso della vita al di fuori di me, in altre parole: qualcosa di materiale, di tangibile. E dall'altra una nostalgia primigenia, un desiderio di essere semplice, di vivere semplicemente, di “rotolare melodiosamente dalla mano di Dio”. Ma sii cauta, nel dar voce a queste sensazioni. Forse negli ultimi tempi emozione e ragione, spirito e mente si sono di nuovo ostacolati a vicenda, oscurandosi e indebolendosi l'un l'altro. Puoi benissimo vivere la tua emotività in modo fluido, armonico, felice, e sognante quanto vuoi, mentre la tua mente porta avanti il suo lavoro nel suo ambito. Spirito e mente si possono certo nutrire a vicenda, senza però indebolirsi l'un l'altra. Ciò da cui devi prendere le distanze sono le certezze esteriori, in modo da raccoglierti e riposare in te stessa; d'altronde, è proprio per tale ragione che la tua mente può comunque continuare, irrequieta e passionale, a cercare le connessioni tra le cose in questa vita, e non perché tu voglia raggiungere qualcosa o ottenere chissà che, ma soltanto perché tu sei fatta così, animata da un interesse fervido e onesto nei confronti dei fenomeni di questo mondo, soprattutto di quelli del mondo interiore. Non devi vivere solo in base ai dettami del tuo cervello, ma attingere a fonti più profonde ed eterne, certo, puoi essere grata di questo cervello, puoi accettarlo come un prezioso strumento per l'analisi dei problemi che scaturiscono dal tuo animo. Per dirla con maggior sobrietà, tutto ciò significa forse che devo avere più fiducia nella mia intuizione. Significa in realtà anche credere in Dio, senza che questo ti indebolisca: al contrario, dovrebbe darti maggiore forza. LO SVILUPPO NON TIENE CONTO DEL TEMPO. Nei momenti di frustrazione, non puoi permetterti di buttare via la tua vita. Sappi che essa ha un senso. Al momento, non mi sento bene dal punto di vista fisico, c'è una specie di cappa che grava su di me pur senza frastornarmi totalmente, anzi ogni tanto è persino piacevole, ma sotto alla quale mi dibatto. Calmati;piccola, calmati. Vorrei darmi da sola un colpetto sulla testa, con l'unica mano che aiuta davvero. Deve venire da me. In questi casi prima cercavo un uomo. È una reazione molto umana, e perché mai noi non dovremmo essere umani? Ma adesso, dato che ci sono quelle voci che mi dicono che non posso scappare per rifugiarmi in altri - perché questa sarebbe comunque solo un'illusione e una fuga -, devo percorrere questa via anche se è più dura di una via intermedia. A ciò si aggiunge, nel mio caso, una potente oggettività: tutto mi interessa tanto, quasi con un intenso trasporto passionale. Persino nella tristezza. Anche in quei momenti sono incuriosita, per così dire, da come andrà avanti con i miei umori, ed è una curiosità quasi scientifica, pure nei confronti di me stessa. Ma che tu finisca a lavorare nella psicologia o con la letteratura, in un ufficio o come giornalista presso un rotocalco di bassa lega, la cosa ti deve lasciare indifferente. E adesso a lezione. Mercoledì sera [8 ottobre 1941], le dieci A volte è proprio come se non riuscissi a credere che le cose miglioreranno. Mi sento ancora troppo insicura dentro. È proprio come se mi fosse impossibile scrollarmi di dosso questa situazione tormentosa. Non riesco ancora a reggermi in piedi da sola, ho troppi pensieri, e un po' di esaurimento. Provo vergogna quando penso che mi occupo ancora troppo, nella maniera sbagliata, del mio mondo interiore. Sembra proprio che l'“influenza” arriverà in ogni caso. Ho comunque letto un po' di Rittelmeyer. Stasera ho lavorato abbastanza bene. A letto presto. Andrà tutto a posto. Oh, Signore, fa' che io sia un po' meno complicata. Sabato mattina [11 ottobre 1941] Dov'è il confine tra denken [“pensare”] e zerdenken [“dissezionare con la mente”]? Potresti cercare

di impiegare la tua energia per disimparare quest'ultimo, è infatti un'abitudine deleteria. Non devi neanche essere continuamente ispirata, lasciati andare tranquilla alla stanchezza. Domenica mattina [12 ottobre 1941] Eccomi seduta nel sole, con Eleonora Duse, con il mal di stomaco e questo quaderno. Un intero giorno tutto per me, fino alle sei. Non apro a nessuno. Il rumore della vita non è assolutamente proporzionato a ciò che lo causa. In realtà quel rumore deriva soltanto da te stessa, dal frastuono di mille piccoli complessi che si scontrano, sicché poi proietti sul mondo esterno tutta l'irrequietezza e l'insicurezza che albergano in te, e alla fine sembra proprio che nel mondo ci sia rumore. E non è neanche così drammatico: dieci persone durante una serata musicale, un tavolo e un paio di sedie da sistemare, la strana miscela di tè da tempi di guerra e biscotti troppo costosi. E poi mio padre che non ama le cipolle, che in genere non ama alcun cibo. Tutti l'hanno trovato tanto caro e io ho una sorta di complesso di inferiorità: di fronte agli altri proietto su di lui il mio senso di inferiorità. Ma lo proietto anche su S. di fronte a mio padre. E anche su Tideman di fronte a mio padre. Questa è la cosa sciocca con le persone: spesso hanno un complesso di inferiorità per gli altri. Ieri sera, all'inizio, c'è stato un momento, durante l'esibizione musicale, in cui sarei voluta andare via e scomparire. È davvero così. Tutto era d'un tratto morto in me; ho pensato che ogni ispirazione generata dalla chirologia di S. fosse scomparsa, che non sarebbe mai più tornata, e mi sono chiesta in che situazione mi fossi messa. E ho pensato anche che la cosa più giusta da fare in quel momento sarebbe stato buttarsi in un canale. Sono davvero momenti strani. Avrà forse anche qualcosa a che fare con quel mal di pancia di oggi, che è arrivato di nuovo troppo presto. Ma perché ho avuto quel momento? Credo che sia dipeso dall'espressione di mio padre dalla quale potevo intuire che trovava S. uno, strano tipo. E avevo anche visto che Valkhoff sembrava infastidito. E quell'illuminazione non faceva certo onore ai tratti di Tide, era bruttissima, mentre il suo viso ha davvero qualcosa di luminoso e nobile mentre canta. E all'improvviso non mi è piaciuta affatto, perché pensavo che anche mio padre la trovasse brutta. Alla fine, insomma, provavo un senso di responsabilità per ogni suono e ogni gesto di tutti nei confronti di tutti. E quando tutto era finito, S. ha detto: “Tuo padre è tanto caro, una persona davvero tanta cara”. E mio padre ha detto: “Che uomo incredibilmente gentile S.!”. E gli era piaciuta anche Tide, l'aveva immediatamente valutata per quello che è. E quando ha cantato Adri, l'ho trovata terribile e per poco non morivo dalla vergogna, pensando che anche mio padre l'avrebbe trovata odiosa. E invece lui le ha detto con convinzione: “Lei ha delle bellissime note alte, una voce davvero naturale, estremamente bella”. E così via. Jo, quel tesoro di Jo, pensavo che si sarebbe annoiato a morte, ma, quando tutto era finito, ho scoperto che vorrebbe essere dei nostri. Già, ragazzina, sei proprio in uno stato pietoso. Una completa mancanza di fiducia in te stessa. Ti sei quasi vergognata per la metà delle persone che hai a cuore di fronte all'altra metà, perché avevi paura che non sarebbero piaciute le une alle altre. E ancora e così via, un complesso di inferiorità proiettato su qualcun altro! Sarà certamente trattato in maniera estesa nei manuali di psicologia. Coraggio, non lambiccarti il cervello troppo su queste cose, cercando di rielaborarle; devi risollevarti con le tue sole forze. Intendo dire questo: ormai sono finita nei meandri della psicologia, e così sia. In questo campo sono riuscita a sentirmi a mio agio, in un modo o nell'altro, nel giro di sei mesi, come non mi è riuscito con i miei studi di giurisprudenza in sei anni. Ma c'è un pericolo. In questo ambito posso tranquillamente andare per la mia strada, arenarmi, prendere posizione, formulare ipotesi, trovare rimedi, ma il modo in cui affronto questa materia a volte supera le mie forze. Devo procedere con più calma. Proprio perché anche un profano può trovare, in se stesso e negli altri, così tanto materiale psicologico da sentirsi in diritto di avventurarsi in questa sfera, ci si dimentica il lavoro scientifico di decenni. È come se dovessi costruire ex novo l'intera disciplina con le mie sole forze. Mia cara, puoi certamente portarla a un buon punto attraverso la tua intuizione e le tue osservazioni, ma prima dovresti prendere nota di quello che altri hanno pensato e scritto prima di te, e solo dopo, molto dopo, quando avrai una visione completa e esperienze specifiche, potrai forse lavorarci in modo sistematico. Invece ti ci butti in modo selvaggio e con estrema intensità, neanche fossi la prima a

scoprire l'intero ambito della psicologia. Per giunta, ora rischi di voler rintracciare le cause “psicologiche profonde” persino delle cose più insignificanti: anche in questo si può andare troppo oltre; sotto ogni fondo scoprire un altro fondo, cercando di arrivare allo stadio primigenio originario; ma non bisogna diventare maniacali. Solo perché mio padre non ama le cipolle, posso forse consegnarlo a un campo di concentramento? Brevemente S. al telefono: Com'era ieri, l'ho trovata incantevole, così tranquilla e al tempo stesso così inquieta. Non sai mai quale effetto puoi avere sugli altri. E poi ancora, in relazione a quella conversazione telefonica: Come puoi aspettarti che un altro ti capisca, se non riesci neanche tu a capire te stessa? Questo e molto altro. E lui trova “sorprendente” che io sia comunque tanto in salute, se si considera da quale strano nido vengo. Stasera Mischa sarà la ciliegina sulla torta. Questo rende la vita a volte così pesante, e non solo per me, ovviamente: in realtà io non scrivo perché trovo me stessa oltremodo interessante - o forse sì? - ma perché posso capire gli altri solo attraverso me stessa. Solo se ti immergi nei sogni, e in te stessa, e grazie al bisogno di immedesimarti negli altri e nel mondo, li ascolti in profondità, e senti al contempo in te stessa amore infinito e forza, solo così puoi capire tutto. Ma in realtà questa è un'attitudine passiva, o meglio, improduttiva per la vita sociale. No, non è neanche così. Dare forma ai sogni; comunicare agli altri quello che hai capito, dare forma. Godere da sola di ciò che hai compreso, da una parte, e l'istinto a concretizzare, dall'altra. E poi, devi anche guadagnarti da vivere, dare lezione e rammendare calze. A volte è tutto così tremendamente difficile. Oh, insomma, il sole splende così glorioso, lasciamoci un po' andare e viviamo semplicemente sotto il sole, dormiamo e dimentichiamo per un momento tutti i doveri e i rapporti e i temi di russo e i dentisti, tu goditi la Duse e il tuo sognare. Forse il mio compito nella vita, il mio unico compito è portare ordine e armonia nel caos che regna in me stessa. Probabilmente non dovrei mai cercarlo fuori di me. E il mondo esterno mi interessa in realtà soltanto nella misura in cui è una proiezione del mondo interiore. Devi sapere quando fermarti. E sapere di quali forze disponi. E ogni tanto puoi anche perderti; ma non pensare allora che tutto rimarrà sempre in uno stato di smarrimento sognante, infatti tu per prima sai bene che ogni volta riafferri le redini. E ne trai anche piacere, tieni le redini e dirigi forte stringendo a un tratto nella tua salda presa tutte quelle forze contrastanti. Ma se ci sono giorni in cui non hai la forza di tirare le redini, bene, lasciale andare, ma sappi che quella forza tornerà. In te c'è un'eterna lotta per arrivare alla chiarezza, con te stessa e con il mondo, e anche con una dozzina di pensieri e idee, ma ami quella lotta, lo sai bene. Una persona non ha bisogno di norme esterne, solo di se stessa. E può fare di se stessa la propria norma solo quando è veramente se stessa, quando vive delle proprie forze e ha fiducia in sé. E dormi tranquilla adesso, piccola cara. Lunedì mattina, 20 ottobre [1941], le nove Essi mangiarono a sazietà, s'impigrirono, e s'attaccarono sempre più fortemente a questa solida terra. Il tutto in seguito a una fetta di pane imburrato con pomodoro, un'altra con melassa, e tre tazze di tè con vero zucchero. Ho una tendenza all'ascesi, alla lotta contro fame e sete, freddo e caldo. Non so che romanticismo sia questo. Non appena incomincia a far veramente un po' freddo, vorrei solo infilarmi nel letto e non uscirne più. Ieri sera ho detto a S. che tutti quei libri erano pericolosi per me, perlomeno certe volte. Che a forza di leggere diventavo così pigra e passiva e che allora non volevo far nient'altro che leggere ancora. Della sua risposta ricordo una parola precisa: “degeneranti N. A volte faccio così fatica a costruire l'intelaiatura della mia giornata - alzarmi, lavarmi, far ginnastica, mettermi delle calze senza buchi, apparecchiare la tavola, in breve “orientarmi” nella vita quotidiana -, che non mi rimane quasi più energia per altre cose. E se allora mi alzo per tempo come un qualunque cittadino, sono fiera di aver operato chissà quale miracolo. Eppure, fintanto che

la disciplina interiore non è a posto, quella esteriore rimane importantissima per me. Se io dormo un'ora di più alla mattina questo non significa che io abbia dormito bene, ma che non so affrontare la vita e che faccio sciopero. Dentro di me c'è una melodia che a tratti vorrebbe tanto essere tradotta in parole. Ma per la mia repressione, mancanza di fiducia, pigrizia e non so che altro, rimane soffocata e nascosta. A volte mi svuota completamente. E poi mi colma di nuovo di una musica dolce e malinconica. A volte vorrei rifugiarmi, con tutto quel che ho dentro, in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole. A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace. Fa' ciò che la tua mano per caso si trova a fare e non pensare al poi. Quindi adesso si fa un letto, si portano le tazze in cucina e poi si vedrà. Tide riceve i girasoli odierni, bisogna esercitarsi su (FRASE RUSSA) La disgrazia di essere inelligente, la mia ragazzina deve imparare un po' di pronuncia russa, e quello schizoide che supera le mie capacità di comprensione dev'essere studiato a fondo. Fa' ciò che la tua mano e il tuo spirito si trovano a fare, tuffati in ogni ora e non metterti subito a ruminare coi tuoi pensieri, le tue parole e le tue preoccupazioni sulle ore successive. Devi riprendere in mano la tua educazione. Di pomeriggio, le due e mezzo Da Briefe an eine Liebende [“Lettere a una donna innamorata”] di Walther Rathenau: “Le ho detto ciò che penso della morte volontaria, e le dirò ciò su cui non mi sono mai pronunciato; ma poi non voglio più né parlarne né sentirne parlare. “Al tempo in cui lei era appena nata, ho rimuginato anch'io per anni questo pensiero, che oggi però rifiuto categoricamente. Ritengo questa fine un'ingiustizia metafisica, un'ingiustizia nei confronti dello spirito. Una mancanza di fiducia nella Bontà eterna, una rivolta contro l'intimo dovere di obbedire alla legge universale. Chi si uccide, uccide; e non solo se stesso, ma anche un altro essere. Perché l'uomo non è un'isola. Questa morte, ne sono profondamente convinto, non è una liberazione come quella naturale e incolpevole. Ogni violenza nel mondo ha delle conseguenze, come ogni azione. Esistiamo per prendere su di noi un po' del dolore del mondo offrendo il nostro petto, non per moltiplicarlo, facendo a nostra volta violenza. “So che lei soffre, e io soffro con lei. Sia indulgente con questo dolore, ed esso sarà indulgente con lei. I desideri e la collera lo accrescono; con la dolcezza esso si addormenta come un bambino. “Lei è così ricca di amore; lo rivolga tutto agli uomini, ai bambini, alle cose e alle sue sofferenze. Non si chiuda nella solitudine, non voglia essere sola; superi l'ostacolo, lo guardi negli occhi, non è nulla”. Non avrei dovuto leggere le lettere di Rathenau durante il giorno. È un lusso troppo grande e il lusso indebolisce le persone. Adesso devo tornare a me stessa. È un testo così nobile e puro, e di tale alto livello - quasi troppo bello per leggerlo in un momento qualunque. Martedì mattina [21 ottobre 1941], le nove e mezzo Stamattina mi sono di nuovo persa tra i libri. E adesso cerco di rimettere insieme i pezzi. Non devi mai pensare al suicidio; volevo ricordartelo con forza già da una settimana. Nel tuo caso, credo che sarebbe solo l'atto di una codarda e di una bambina viziata. Non so, a volte vorrei semplicemente scivolare via da questa vita. In quei momenti è proprio come se nulla mi trattenesse più, come se sapessi già tutto, e considerassi infantile dover adesso persino vivere in concreto quello che so. Non potrei mai prendermi la responsabilità per la vita di un'altra persona, né per un uomo né per un figlio. A volte vorrei che qualcun altro si facesse carico della responsabilità di me

come persona. Ma è solo una finzione, sarebbe una fuga in qualcosa che non esiste. Che toni stanchi già la mattina presto! È comunque solo uno stato d'animo, o, per dirla meglio, una delle melodie di fondo che continuano a risuonare di volta in volta. Ma ci sono anche altre melodie. Mettiti al lavoro, vecchia noiosa. Lavorando ti tieni in piedi di fronte al mondo esterno e giustifichi la tua esistenza. Eppure quel po' di lavoro infelice me lo devo sempre conquistare in me stessa con sacrificio. Dai, non lamentarti. Hai ancora un'idea sbagliata su questa vita. Essere un lavoratore a ore. Estasi, intossicazione, vivere in uno stato sognante. Non riesci a realizzarti in questa realtà. Riuscire a catturare l'essenza dello spirito solo per un'ora! Quell'unica ora rende la vita degna di essere vissuta ogni volta. Non devi aspettarti delle ricompense dalla vita sotto forma di felicità ritrovata. Non devi essere così “avida”. Quella con S. sta diventando una vecchia, saggia amicizia. Lui si sta trasformando in uno scuro, antico paesaggio sullo sfondo dei miei pensieri. Fa freddo fuori e pioviggina, e ho voglia di caffè; ci sto mettendo troppo tempo con quelle annotazioni sullo schizofrenico e ho i piedi freddi. E poi, esiste l'amore? Ogni tanto puoi certo avere un umore pessimo, ma questo non ha nulla a che vedere con l'amore. Un giorno mi sentirò a mio agio in questa vita. Accade già in alcuni momenti, e questo è sufficiente. Non devi volerti sentire sempre piena di una sorta di armonia superiore. È proprio presuntuoso da parte tua. E adesso smettila di farfugliare sciocchezze. Mischa, Mischa: ho paura per lui. O forse si tratta solo di comodità, di paura di essere disturbata nella mia tranquillità? La mia cosiddetta tranquillità? Il fatto che io non mi stia occupando di lui per niente mi rende molto più irrequieta. Impotenza. Paura. C'è ancora qualcosa che non va in te. Devi ancora conoscere i tuoi confini. Essi sono a volte molto ampi, a volte stretti. E adesso, al lavoro, seriamente. Caramelle. Käthe nella cucina, sta lavando. Pa Han. Il telefono. Infastidita. La scorsa sera non mi è piaciuto; la sera prima, invece, l'ho trovato così terribilmente caro. È sempre diverso. Vorrei tanto qualcosa di saldo. “Niente è eterno, solo il cambiamento”. Ogni tanto lo dimentico e cerco un punto fermo. Ma non esiste. Solo nella morte. E questo forse spiega quel desiderio della morte, del niente, della forza pacificatrice del grande silenzio. E adesso, maledizione, ti metterai a lavorare. QUADERNO III 21 ottobre 1941- 6 dicembre 1941 [Martedì] 21 ottobre [1941], le sei Da una lettera di Rathenau alla “Cara signorina Lore”: “Che lei abbia ricominciato a dedicare la sua vita alle persone che le vivono accanto, in particolare a un bambino, è un bel passo avanti. So benissimo che le cose materiali consumano, però restituiscono amore, la loro limitazione ci impedisce di smarrirci. Il mondo del pensiero e della fantasia è più pericoloso, perché è smisurato; esige da noi la creazione di un oggetto che funga da incudine, altrimenti i colpi vanno a vuoto, e uomo e martello vorticano nell'abisso”. Dopopranzo La nascita di un'autentica autonomia interiore è un lungo e doloroso processo: è la presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto o appoggio o rifugio presso gli altri, mai. Che gli altri sono altrettanto insicuri, deboli e indifesi. Che tu dovrai esser sempre la persona più forte. Non credo che tu sia il tipo da trovare queste cose in un altro. Sei sempre e daccapo rimandata a te stessa. Non c'è nient'altro, il resto è finzione. Ma doverlo riconoscere, ogni volta! Soprattutto come donna. Hai pur sempre un gran desiderio di perderti in un altro. Ma anche questa è una favola, seppur bella. Due vite non possono combaciare. Perlomeno non per me. Può succedere in alcuni momenti: ma quei momenti giustificano una vita in comune, possono tenerla insieme? Però è un sentimento forte anche quello, talora felice. Sola, Dio mio. È dura. Perché il mondo è inospitale. Ho un cuore molto appassionato, ma mai per una persona sola: per tutte le persone. È un cuore

molto ricco, io credo. Una volta pensavo sempre che lo avrei dato tutto a una persona sola: ma è impossibile. E quando, a ventisette anni, si arriva a “verità” così dure, ci si sente a volte disperati, soli e impauriti, ma anche indipendenti e orgogliosi. Sono affidata a me stessa e dovrò cavarmela da sola. L'unica norma che hai sei tu stessa, lo ripeto sempre. E l'unica responsabilità che puoi assumerti nella vita è la tua. Ma devi assumertela pienamente. E ora si telefona a S. Di sera Anche il voler sapere tutto è una forma di vanità: il volerti dare un contenuto che però non è autenticamente tuo. Eppure l'impulso conoscitivo è qualcosa di molto reale. E può rappresentare la forza trainante di un'intera vita. A volte non vorrei sapere più nulla, non avere alcuna conoscenza, ma soltanto essere, semplicemente, essere piena di vita e di un po' di bontà. E non avere alcuna conoscenza. In realtà i miei studi non consistono nell'accumulare conoscenze ma nel ricercare ciò che sta dietro alle cose o, per dirla con umili e semplici parole: la ricerca dell'enigma della vita. E questo è probabilmente ciò che qualunque persona a suo modo cerca. E poi l'enigma della vita non esiste. Buona notte. Io vivo troppo nell'“arte”, nella letteratura. E lì tutto si è cristallizzato, spesso dopo molto lottare e molto soffrire. Vedi, questo è tipico. Sono in cucina e sto riempiendo una caraffa, e d'un tratto un pensiero afferra la mia mente. Si tratta di un pensiero abbastanza illuminante, a mio avviso, e subito voglio scriverlo. Ma non ne viene fuori nulla, perché non trovo le parole e “il pensiero” si dissolve; eppure sembrava essenziale. Mi succede sempre. I miei pensieri e sentimenti mi sembrano abbastanza maturi ma hanno l'aria di non voler venire alla luce. O forse non sono poi così maturi. O magari mi manca la pazienza? Non lo so. E adesso, per davvero, buona notte. A S., durante una telefonata a ora tarda: “Preferisco dormire con i libri che non con gli uomini”. “Questo è già un enorme progresso”. Poi a Han: “No, non tentarmi, vado davvero a dormire nel mio letto”. E Han, subito offeso: “Ah, ma quale tentazione! Vai a dormire con i libri!”. Mercoledì mattina [22 ottobre 1941], le otto Signore, dammi meno pensieri e più acqua fredda e ginnastica alla mattina presto. La vita non può esser colta in poche formule. In fondo, è quel che stai cercando di fare tutto il tempo, quel che ti induce a pensare troppo: cerchi di rinchiudere la vita in poche formule ma non è possibile, la vita è infinitamente ricca di sfumature, non può essere imprigionata né semplificata. Ma semplice potresti essere tu... Dopo colazione Alcuni hanno un flusso vitale che si impone sul loro debole corpo con maggior forza e tenacia rispetto a quello di altri. In me le rapide del fiume si trasformano in mal di testa, i mulinelli improvvisi in mal di pancia, ecc. Pazienza – sensazioni. Le undici e mezzo La questione con Aimé è stata davvero un caso di “inflazione”. S. mi ha dato una tale spinta psichica che io, a mia volta, ho spinto qualcun altro. Ma la mia forza si è rivelata insufficiente a portare avanti quell'amicizia. E questo a volte mi preoccupa. Certo, per giustificarmi, posso sempre dire: va bene, ma anche lui non ha fatto del suo meglio. Però la colpa resta comunque mia. Ho dato inizio a qualcosa, ma poi mi è mancata la forza. È molto difficile misurare le proprie forze. Una simile mancanza ti rende timorosa e più riservata nei confronti dei tuoi simili. I prossimi anni

dovranno servire per imparare a soppesare e delineare le tue forze, in modo da sapere in anticipo quello che puoi e non puoi fare. È bello cominciare di slancio e con passione qualcosa, ma è assolutamente vergognoso rimanere bloccati. Innalzo il mio cuore pesante con la solennità un tempo mostrata da Elettra nel reggere l'urna. Ogni attimo del giorno ti sorprendo mentre cerchi di ridurre le molteplici e contrastanti manifestazioni del pensiero a unità, a sistema. È un vero istinto primordiale in te. Ma di che si tratta in realtà? Vuoi solo crearti una sfera di certezza ben delimitata. Quest'esigenza non nasce forse da una sensazione di insicurezza, dall'impressione di essere smarrita nella molteplicità delle cose? Devi solo accettare la molteplicità. Tempo fa, una sera d'estate, S. ha fatto un gesto grande, ampio e caro con il braccio, dicendo: Quando ci arrivi, ogni cosa è molto semplice. E mentre stavo lì con lui, lo credevo anch'io. A tratti la vita è anche in me semplice, grande e chiara. Sono i momenti migliori. Non conosco momenti più felici di quelli in cui mi rendo conto che la vita è davvero semplice. In che misura sono ancora così legata alla mia complessità interiore da non riuscire a staccarmene? In che misura credo che essa sia fonte d'ispirazione e, nel profondo di me stessa, penso che, se smettessi di essere così complicata nel modo di pensare e di sentire, ne uscirei impoverita? Non lo so. Rathenau alla “Cara signorina Lore”: “Potessi far invecchiare di qualche anno il suo povero cuore! Conosco questo anelito, capisco ciò che lei prova, eppure so quanto sia vano. Solo grazie ai sensi ci si congiunge, e anche così è una fuggevole illusione. Le anime invece si rincorrono come i pianeti, non possono quindi lasciare la loro orbita e non si incontrano mai”. Le cinque e mezzo Questo deve essere il fine ultimo: diventare molto semplice dentro, pur riuscendo a comprendere gli aspetti problematici degli altri fin nelle minime sfaccettature. Ma bisogna prima arrivare a quel punto. Non devi vedere tutto come definitivo, statico e assoluto, piuttosto come una fase di transizione. La visita a S. oggi pomeriggio è stata un vero toccasana. Studio ancora troppo me stessa; questo, però, dipende, credo, anche dal fatto che ritengo di dover analizzare ogni vibrazione del mio spirito così incredibilmente unico, e di doverla registrare in vista dei capolavori che ancora penso di dover scrivere. E che non voglio affatto scrivere. Lascia che la vita, allegra o triste, o qual sia, con tutte le sue contraddizioni, ti lambisca, piccola cara. Non essere così assoluta. Oggi pomeriggio sono anche state dette molte cose illuminanti. Siamo probabilmente due grandissimi folli, lui e io, eppure io mi sento normale e naturale al massimo quando sono con lui. Gli occhi mi bruciano dalla stanchezza. Stasera ancora un po' di russo e poi a letto presto. Per fortuna, il mio Giove non è il mio monte più grande; Apollo-Mercurio è altrettanto grande. Si equilibrano a vicenda. Vorrei che quel Giove scomparisse del tutto, gli ho detto imbronciata. Ma lo sa che lei è proprio un'originale?, mi ha risposto. C'è in lui un che di così sicuro. E la sua sicurezza riesce a placare il coro urlante di voci contraddittorie dentro di me. Ma non posso nemmeno prenderlo troppo a modello: ha 55 anni e ha dovuto lottare a lungo, una vita intera, contro quella che oserei chiamare una potente semplicità religiosa. Non devo cercare di misurarmi con tutto questo. A ogni mio insensato respiro, le persone muoiono a migliaia, si annientano a vicenda. E comunque non puoi mai chiederti quanto valga una vita umana - non vale niente, a essere sinceri. Nel momento in cui l'idea secondo la quale una vita non vale niente assurgerà a verità filosofica, mentre, in ogni istante, uomini muoiono a migliaia, allora l'annientamento sarà completo.

Giovedì mattina [23 ottobre 1941] Stupida che sei! Smettila con quel cervello! Vuoi espanderti tutta in una parola, in parole colorate ed estese. Ma quelle parole non potranno contenerti. Il mondo e il cielo di Dio sono così vasti. Non sono vasti abbastanza? Questo voler ritornare al buio, al grembo materno, al collettivo; e d'altra parte diventar autonoma, trovare la mia forma, strapparla al caos. Sono tirata ora da un estremo, ora dall'altro. [Venerdì] 24 ottobre [1941] Stamattina lezione a Levie. Non dobbiamo contagiarci reciprocamente coi nostri cattivi umori. Questa sera una nuova ordinanza che colpisce gli ebrei. Mi sono concessa mezz'ora di depressione e di ansia per queste notizie. Una volta mi sarei consolata mettendomi a leggere un romanzo e lasciando perdere il mio lavoro. Ora devo elaborare l'analisi di Mischa. È troppo importante che abbia reagito così bene al telefono. Non bisogna esser troppo ottimisti, ma merita di esser aiutato. Finché lo si può raggiungere, sia pur passando per un minuscolo forellino, bisogna approfittarne: forse questo l'aiuterà nella sua vita. Non bisogna sempre pretendere dei grandi risultati, ma bisogna credere in quelli piccoli. Sono già due giorni che lavoro senza lasciarmi andare ai miei umori. Brava ragazza! “Sono così attaccata a questa vita”. Cosa vuoi dire con questa “vita”? La vita comoda che fai adesso, quella di cui soffri? Si vedrà con gli anni se sei veramente attaccata alla vita nuda e semplice, in qualunque forma essa si presenti. Ci sono forze sufficienti in te. C'è anche questo: “Che uno trascorra la vita ridendo o piangendo, è sempre una vita”. Ma c'è anche la dinamicità occidentale, che ogni tanto si fa sentire con forza: sei sanissima, stai crescendo in direzione di te stessa, stai diventando autonoma. E ora al lavoro. Dopo una conversazione con Jaap. Di tanto in tanto ci gettiamo vicendevolmente dei frammenti su noi stessi, ma non credo che ci capiamo. Lunedì [27 ottobre 1941] Devi vivere e respirare con la tua anima, e lavorare e studiare con la mente. Se vivi solo attraverso il tuo intelletto, la tua sarà una ben misera esistenza. E comunque non devi escludere la mente per l'anima. È bene che si abbiano entrambe, a patto che esse continuino a funzionare ciascuna al proprio posto. Martedì mattina [28 ottobre 1941] Non devi mai pretendere da un altro quello che tu stessa non puoi dare. Nei momenti in cui io mi sento giù e stanca, mi irrito molto più velocemente del normale per la stupidità e la mancanza di spirito degli altri. Per esempio, con Tide. Ieri sera l'ho trovata fastidiosa e infantile, noiosa come una maestrina di scuola. Io stessa ero terribilmente stanca e depressa. Eppure un paio di giorni fa pensavo: ho spirito a sufficienza, almeno quello non devo cercarlo negli altri; negli altri cerco un po' di anima e calore umano e vero amore. E poi mi sono ricordata del gesto con cui Tideman, durante la soirée musicale di Mischa, aveva posato la sua mano sulla mia e come avesse poi scritto sul programma: io prego per te. E in momenti di disperazione, dopo quella volta, avevo avuto a tratti la tentazione di correre da lei e dirle: Sì, per favore, prega per me, ne ho tanto bisogno. Quella di ieri è stata di nuovo una serata estremamente dissonante. S. è tornato fresco e riposato dalla Frisia, traboccante di discorsi su “la vita dopo la morte”, Kierkegaard e nuove idee. Mentre io ero troppo stanca perfino per respirare. Lui si aggirava brandendo preziose formulazioni e io mi

sentivo miseramente inadeguata, troppo sfinita per assimilare alcunché. Mi chiedo quindi perché ho dato inizio a una tale follia. Un paio di giorni fa ho sentito che stavo cominciando a fare dei progressi, con la chirologia, che si trattava di una materia a cui mi sarei dedicata a lungo. Ma si vogliono vedere i risultati troppo presto. Quando mi sento così impotente, lo odio quasi in ogni sua fibra. Faccio sempre lo stesso errore: rifiuto di scendere a patti con la stanchezza del momento, e quella finisce col divorare la mia intera visione della vita. Allora vedo sotto una luce negativa tutto quello che prima per me era positivo, mentre un senso di onestà è in agguato e mi ammonisce di non farlo. Nei giorni in cui non riesco a voler bene a nessuno a causa della mia mancanza di energia, pretendo che gli altri mi amino il doppio. O, per esprimermi meglio, non lo pretendo più. In passato lo facevo. Quanto meno potevo dare agli altri, tanto più irragionevole diventavo nelle mie richieste nei loro confronti. In giorni come questi devo semplicemente staccarmi da tutti con i pensieri e con le emozioni. Fermati così, come un uccellino malato, rannicchiato su se stesso, e sappi che tutto si mette a posto e non sprecare tutta l'energia ribellandoti contro la tua stessa mancanza di forze. E non pensare: devo ancora fare questo, quello e quell'altro ancora, perché nella tua immaginazione tutto sembra molto di più di quanto non sia in realtà. Svolgi il tuo lavoro prendendo la piccola strada che hai davanti. Hai ancora troppe richieste esaltate nei confronti di te stessa. Con il naso chiuso e la testa stordita, non devi cercare di interpretare il ruolo dell'ispiratrice per gli altri. E in genere, non devi andartene sempre in giro con la pretesa di essere un'ispiratrice. Rimettiamoci in fretta al lavoro. Mercoledì mattina [29 ottobre 1941] Sono stati di nuovo giorni in cui la mattina, al risveglio, il mio primo pensiero è stato: stasera di nuovo a letto presto. Ma non riesco ancora a comprendere se la stanchezza fisica derivi da un malessere psicologico o viceversa. Non devi voler essere più di ciò che sei. A causa del tuo frenetico desiderio di essere sempre di più, sprechi anche quel po' di energia che ti resta e di cui hai bisogno appunto per essere quella che potresti essere. Stamattina ho fatto d'un tratto un volo verso Du Perron. Sembra proprio che mi sia di colpo stancata dell'“anima”, del Dio con cui Henny intrattiene così intimi rapporti, e anche dell'amore e della bontà di S. È questa mia militante intelligenza che non vuole mai darsi per vinta: il voler scoprire tutto da sola, Du Perron, Ter Braak, Marsman, Slauerhoff, nomi che sono per me associati al periodo con Lout e Frans. Improvvisamente il ricordo di quel periodo riaffiora e mi fa uscire dalla mia depressione. Ogni tanto vorrei lasciarmi sprofondare senza rumore in un canale fangoso e lì addormentarmi dolcemente. In quei momenti vorrei arrendermi e mi sento tanto stanca di tutto, non solo fisicamente. E poi, d'un tratto, nel pieno della più profonda stanchezza, qualcosa sussulta in me, qualcosa che vuole andare avanti e opporre una salda resistenza e lottare fino alla fine. In questi casi tutti e tutto mi sono di ostacolo, perché devo chiarire qualcosa a me stessa. Ma non so che cosa. Oggi pomeriggio però, Etty, non andare a dormire, per favore; è da tutta la mattina che prepari la tua ennesima fuga, ma resta in piedi, per favore. Giovedì mattina [30 ottobre 1941] Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura... Giovedì pomeriggio

Ormai da un paio di giorni sono ricaduta nel mio “più nero medioevo”. Voler dormire tutto il tempo, programmare mille cose al giorno e non riuscire a farne neanche una. È di nuovo come se mi fosse crollata addosso una grande casa, e io non sapessi come sbarazzarmi delle macerie. Quando è cominciato tutto, in realtà? Venerdì scorso avevo ancora il pieno controllo di me stessa. Ero ancora felice delle opinioni positive espresse da Mischa su S., quella sera al telefono, mi rallegravo già per quello che sarebbe stato il risultato finale, avevo in animo, temerariamente, di parlare anche con Jaap di S. e della sua analisi di Mischa. Ma sabato mattina, di punto in bianco, si presentò mamma che sembrava in forma anche se non voleva sentir parlare della sera prima, e che, in apparenza vivace ed eccitata, come sempre del resto, continuava a ciarlare di animali e pellicce; era anche intelligente e speciale, ma il tutto andava a comporre un quadro profondamente tormentato. In un certo senso ero felice che fosse venuta e volevo parlarle di Mischa. Disse che si sarebbero tolti il pane di bocca, per così dire, pur di aiutarlo, ma la situazione di papà, ecc. Ricordo che, in quel momento, presi coscienza, molto intensamente, del fatto che mia madre è per me un esempio di tutto ciò che non devo diventare. Eccola lì, ben vestita, quasi elegante, giovane per i suoi 60 anni, vivace, vitale, ma so che lei è così solo per alcuni momenti. Deve scontare quell'unico giorno di forzata vitalità con un terribile umore che dura per giorni. Una vita disorganizzata trascorsa a sospirare e a lamentarsi di quanto si senta stanca, a rovinare l'atmosfera in casa, il che le è riuscito per tutta la sua vita. Il suo atteggiamento attuale non è altro che un inganno. Sembra molto di più di quel che è. Lei c'è per un giorno ma per il resto viene meno, è inutilizzabile, diventa semplicemente un'altra, un vaso pieno delle più improbabili complicazioni psicologiche. Credo di avere perennemente paura di diventare come mia madre: in alcuni momenti traboccante di entusiasmo e vita e interesse per le cose, ma per il resto impegnata a divorarsi dentro, distrutta dalla fatica e incapace di venirne fuori. E nei momenti in cui sei di nuovo un vero essere umano, non ci credi nemmeno tu e presenti al mondo esterno un'immagine di facciata nella quale tu stessa non credi. È codardo e disgustoso da parte tua e ricorda il tuo periodo peggiore: ti rifugi di nuovo nei libri e nelle raccolte di poesia, raccontando a te stessa la commovente storiella secondo cui nessuno ti capisce; dici che vorresti fare poesia, ma soffri per il fatto di non riuscirci, poltrisci sul divano lasciando che Käthe, la quale negli ultimi tempi è stata molto male, vada a fare la spesa sotto la pioggia; filosofeggi di nuovo sul suicidio, che sarebbe solo una pura scelta di comodo e codardia, sei una vera disgraziata. E giustifichi te stessa dicendo: Sono così disperata, non ci riesco proprio. Hai anche saltato le lezioni stamattina. Mi vergogno di te. Impotenza e paura e non sapere da dove cominciare per risolvere la situazione. Di prima mattina le cose sono andate abbastanza bene con mamma. Ovviamente ho parlato subito in maniera troppo eccitata di tutto, ma sono stata anche ferma. Ho continuato a lavorare alle annotazioni di Mischa, con un moto di fierezza del tipo: bene, non lascerò che la mia famiglia mi distolga dal mio proposito. Di pomeriggio, all'improvviso, Jaap e mamma si sono presentati insieme nella mia fredda camera. Per un verso o per l'altro, Jaap mi irrita profondamente, con quella sua rigidità gelida e insicura, un'arroganza che nasconde comunque un'insicurezza di fondo. Provo una grande compassione per lui, ma anche repulsione. Credo dipenda dal fatto che lui, almeno così mi sembra, un po' mi disprezza. Una volta, in una fase di disturbi psichici, ha iniziato una lettera per me con le parole: Cogito, ergo sum. Credis, ergo non es. Penso che in ciò consista il nostro conflitto, che probabilmente è insanabile. E mi tocca accoglierlo ogni volta, soltanto perché il caso vuole che sia mio fratello, anche se la trovo una ragione stupida. Mi è ostile, inconsciamente, non se ne rende neanche conto, e forse ciò dipende anche dal fatto che io non sono abbastanza aperta nei suoi confronti. Insomma, dipende anche dame. Del resto, siccome ogni volta mi sento ferita dalle sue critiche e dal suo scetticismo, ne deduco che ci sono aree di incertezza dentro di me, altrimenti il suo atteggiamento critico e arrogante non mi toccherebbe affatto. Da alcune mattine hai trascurato la ginnastica e rifiutato anche il solo pensiero di quell'acqua

fredda. Ragazzina, io ti disprezzo. In passato, a volte, andavo avanti a ruminare così per settimane, ma ora mi coglie l'improvvisa sensazione che dovrei tiranni le orecchie da sola, in una sorta di prova di forza alla von Münchhausen, suppongo. Non sapendo cosa pensare e sognare e fantasticare, immagino di raggiungere chissà quali risultati. Il mondo irreale per me è molto più reale di quello vero e quante più forze io destino al primo, tanto più impotente divento nel mondo reale. E questo non mi è consentito. Tutto può procedere di pari passo. E mi vergogno pure così tanto. Ma questa vergogna, invece di darmi una bella spinta nella giusta direzione, mi rende a volte addirittura più impotente. Dovrai riprendere il controllo di te stessa, ragazzina, con una presa ferrea, e non essere codarda. E adesso un paio di cose dall'Evangelium des vollkommenen Lebens [“Vangelo della vita perfetta”]. “Perché attraverso il complicarsi e il dispiegarsi si compirà la redenzione del mondo, attraverso il calarsi dello spirito nella materia e l'ascesa della materia nello spirito, nei secoli dei secoli”. Dovrebbe essere castigata, mi ha detto S., mentre io me ne stavo di fronte a lui come una sciocca scolaretta, con un impermeabile bagnato addosso e una lacrima sul viso, perfettamente consapevole della mia colpa. E ha ragione. E ancora qualcosa da quell'Evangelium: “Coloro che hanno l'amore hanno tutte le cose, e senza amore nulla esiste che valga alcunché. Ciò che viene riconosciuto come verità si conservi nell'amore, perché là dove non c'è amore, la verità è lettera morta, e non vale nulla. “Permangono la bontà, la verità e la bellezza; ma la più grande è la bontà. Se taluni hanno odiato i loro fratelli e indurito il cuore verso le creature nate dalla mano di Dio, come possono costoro, gli occhi dei quali sono ciechi e il cuore indurito, vedere la verità della creazione divina, così da salvarsi?”. Da Du Perron sono comunque di nuovo tornata qui. E qui mi sento più a mio agio. Poco fa Han ha detto qualcosa di curioso: In sé quel leggere non è un'arte, lo fanno anche i vecchietti nelle sale da lettura. Intendeva dire che leggo troppo e troppo superficialmente, e che non ho un vero interesse per il libro. Non credo che abbia ragione. Ma è pur vero che leggo di più nei momenti di maggior depressione e che quel tipo di lettura ha un effetto sempre più debilitante. A volte ho l'impressione che un po' di grammatica sia più salutare. Mi sono già tirata su un bel po', almeno così mi sembra. Ho appena declamato, facendo su e giù nella stanza, un vibrante discorso su ciò che domani dirò a S. Sono curiosa di vedere se lo farò. Parlo troppo di me stessa, dice Han. Ma solo con lui, con gli altri è esattamente il contrario. Dal suo punto di vista, quel tesoro ha ragione, ma dovrò comunque continuare, adesso dovrò occuparmi molto di me, in modo da poter forse, un bel giorno, liberarmi di me stessa. Il principio “Tutto o niente”, che hai difeso nella tua gioventù (ma sentila!) con tanta passione e orgoglio, in fondo è sbagliato. È solo una fase che devi superare. Quando il “tutto” appare impossibile, ti ritiri spesso, piena di amarezza e vergogna, nel niente, sia nell'ambito dell'amore sia in quello delle aspettative che hai nei confronti del tuo lavoro. Di sera, le otto Ho ritrovato, seduta alla scrivania, serenità e pace. Quanto durerà? [Venerdì] 31 ottobre 1941 Beninteso, puoi raccontarti che vuoi continuare a vivere solo per curiosità. Ma quel tipo di vita non sarebbe sostenibile. Non c'è niente di nuovo alla lunga, non se hai già vissuto tutto, in una forma o nell'altra, dentro di te, nella tua fantasia. La curiosità per quel che diventerai non è uno sprone sufficiente. Deve trattarsi di autentico amore per la vita. In una notte come questa, mi sono avvicinata un po' di più a me stessa, mi sono ritrovata. D'un tratto la vita è diventata di nuovo limpida. Questa sensazione di piena armonia è quanto di più alto si

possa raggiungere. Almeno per me. Una notte simile vorrei riviverla ancora a lungo. Non puoi mica desiderare di andartene in giro eternamente avvolta in una così beata armonia. [Martedì] 11 novembre [1941], di mattina Sembra che siano trascorse molte settimane e che io abbia di nuovo vissuto tantissimo, eppure a un certo momento mi ritrovo sempre alle prese con lo stesso dilemma: il bisogno - fittizio o fantasioso, o come altro si voglia definirlo - di possedere un uomo per tutta una vita devi frantumarlo in mille pezzi. Quella brama di assoluto dev'essere disintegrata dentro di te. Non pensare che le persone per questo si impoveriscano, al contrario, si arricchiscono; di certo diventano più complicate, e si differenziano le une dalle altre. Devi accettare gli alti e bassi nelle relazioni, vederli come qualcosa di positivo, non di miserevole. Il non voler possedere l'altro non significa però allontanarsi dall'altro; bisogna lasciare all'altro la libertà completa, anche interiormente, il che non vuol dire rassegnarsi. Comincio solo ora a comprendere tutta quella passionalità nella mia relazione con Max. Era una forma di disperazione, perché consideravo l'altro in ultima istanza irraggiungibile, e tale consapevolezza mi incitava sempre più. Dipendeva di certo dal fatto che volevo raggiungere l'altro in un modo sbagliato: troppo assoluto. E l'assoluto non esiste. So che la vita e le relazioni umane sono infinitamente sfaccettate, e che da nessuna parte c'è qualcosa di assolutamente e obiettivamente valido, ma questa consapevolezza deve entrarti nel sangue, mia cara, deve albergare in te, e non soltanto nella tua mente: la devi vivere. Eccomi tornare sempre sulla stessa questione, perché occorre esercitarsi una vita intera per capire che, se si accetta una visione della vita, bisogna anche viverla; questa è probabilmente l'unica possibilità di ottenere un senso di armonia. Mercoledì pomeriggio [12 novembre 1941] Improvvisamente, proprio durante un lavoro di trascrizione, mi sento al tempo stesso ribelle e rassegnata. Non possiamo realizzare le nostre finalità interiori nel mondo esteriore. Forse qualcuno ci riesce, a furia di tentare, e trasforma la propria vita in una variopinta gabbia di matti o in un luna park, in ogni caso in qualcosa di disperato. Coraggio adesso, continua a lavorare. Creare! Creare! “Dare forma”. [Venerdì] 14 novembre 1941 Ieri sera da S. Queste sere con lui rappresentano sempre i vertici della settimana o delle settimane. Riesco a sentirne il meraviglioso effetto in questo momento, seduta alla mia scrivania, mentre mi getto con energia nella nuova giornata di lavoro. [Venerdì] 21 novembre 1941 È curioso che, mentre mi sono sentita piena di slanci creativi - scriverei pagine e pagine d'un racconto: “La ragazza che non sapeva inginocchiarsi”, o qualcosa di simile, e vorrei anche scrivere su quella minuta signora Levi che m'interessa non poco e su tante, tantissime altre cose - io debba invece d'un tratto annotare questo: come morsa da una vipera, io balzo dal divano foderato di azzurro: sì, si tratta dello stomaco. Mentre sono piena di problemi di etica, di verità, e persino di Dio, ecco che spunta fuori un “problema di cibo”. Ecco forse qualcosa da analizzare. Una volta ogni tanto - però già meno spesso che un tempo - io mi rovino lo stomaco, semplicemente perché mangio troppo, e cioè per mancanza di controllo. So che debbo fare attenzione, e invece mi prende una sorta di avidità contro cui non c'è ragionamento che tenga. So che dovrò pagar caro quel po' di piacere, per un semplice boccone di troppo che ho mangiato, eppure non riesco a trattenermi. E d'un tratto mi viene da pensare che io abbia un “problema col cibo”, e che questo problema potrebbe magari

essere messo in chiaro. Dopo tutto, è un fatto simbolico. Probabilmente ho la stessa avidità nella mia vita spirituale. Questo voler incamerare un'enorme quantità di cose, che ogni tanto culmina in una pesante indigestione. Ecco una possibile spiegazione, e forse esiste una relazione tra la mia avidità e la mia cara mamma. La mamma parla sempre di cibo, per lei non esiste altro. “Su, mangia qualcosa. Non hai mangiato abbastanza. Come sei diventata magra”. Mi ricordo ancora come l'avevo vista mangiare a una festa di casalinghe, anni fa. Io ero seduta sulla balconata di quella piccola sala del teatro di Deventer. La mamma era seduta in basso, a una tavolata con molte altre casalinghe. Aveva un vestito azzurro guarnito di pizzi. E mangiava, completamente assorbita dal cibo: mangiava con avidità e con abbandono. A vederla così, d'un tratto, da quella balconata, aveva qualcosa di toccante. Mi disgustava e insieme mi faceva una pena enorme. Non riuscivo a spiegarmelo. Era come se temesse che le sarebbe venuto a mancare qualcosa nella vita, era uno spettacolo terribilmente triste e bestialmente disgustoso. Così lo vedevo io. In realtà, lei era una casalinga dal vestito azzurro guarnito di pizzi che mangiava la minestra. Ma se potessi capire tutto quel che mi sentivo dentro, e come la osservavo allora, io capirei molte cose di mia madre. A forza di aver paura che nella vita ti sfugga qualcosa, finisci per perdere tutto, per non incontrare la realtà. Da un punto di vista psicologico, potresti forse metterla così - sentila, la sciocca dilettante: ho un antagonismo irrisolto nei confronti di mia madre, perciò faccio esattamente le cose che in lei aborro. In fondo io non sono una persona legata al cibo in modo particolare, sebbene abbia i suoi lati piacevoli, anche da un punto di vista sociale. Ma non è questo il problema. Nel voler ogni volta rovinarsi lo stomaco sapendo di farlo o, meglio, pur sapendo di poter fare diversamente, c'è di certo una ragione più profonda. E d'altra parte, ciò si connette anche, è naturale, con il mio forte desiderio di ascesi, di una vita da clausura con pane nero, acqua pura e frutta. Una persona può avere fame di vita. Ma con l'ingordigia di vita si perde di vista il proprio vero obiettivo. Bene, qualche profonda verità puoi ancora dirla! Ma trovo anche interessante il fatto che, proprio mentre aleggia in me la più aulica poesia, che ancora non so come esprimere, io mi senta all'improvviso spinta a dedicare alcune parole al mio stomaco e a ciò che lo riguarda. Dipende ovviamente anche dalle conversazioni con S., negli ultimi tempi, sui vantaggi e gli svantaggi dell'analisi, in seguito al discorso fatto con Münsterberger. S. rimprovera agli analisti la mancanza di amore nei confronti dei simili, il loro materialismo. “Senza amore non si può guarire una persona che ha problemi psichici”. Eppure riesco a immaginare che simili problemi possano essere risolti in modo puramente oggettivo. S. ritiene che sia grave che un'analisi possa durare un'ora o a volte anni: pensa che in questo modo le persone ne escano inadatte alla vita in società. Adesso sto ponendo la questione in modo molto forte e unilaterale, ovviamente. In questo momento non ho tempo, e in realtà nemmeno voglia, di continuare a ragionarci su; la faccenda è molto complessa, e io sono solo una principiante. Eppure questi problemi tornano sempre a farsi sentire, ma un giorno riuscirò ad aprirmi una strada in mezzo a essi. Ahi, ahi, ahi, quanti sentieri spinati dovrò percorrere! Io stessa sono la mia unica norma e devo scoprire tutto da sola, cercando di arrivare alle mie proprie formulazioni, alle mie piccole verità. A volte maledico le forze creative che ho dentro, che mi perseguitano portandomi chissà dove, ma in altri momenti esse mi riempiono di immensa gratitudine e quasi di estasi. E questi apici di gratitudine per il fatto di riuscire a essere così piena di vita e di poter arrivare a capire le cose, anche se alla mia maniera, rendono ogni volta la vita degna di essere vissuta, e costituiscono i pilastri su cui la mia esistenza si sostiene. Ma adesso le cose hanno ripreso ad andare male. Forse questo ha a che vedere con il ritorno di Mischa in città. Non lo so proprio. Dio mio, ci sono così tante cose. Lo stesso giorno Ho provato una terribile avversione nei confronti del lavoro fatto da S. L'idea che sto sprecando il mio tempo, che tutto sia senza senso. Argomento consapevole contro tale sensazione: consideralo come un lavoretto, ci guadagni da vivere, anche se non molto; non si può mai sapere per quali altre

cose potrebbe tornarti utile, ed è comunque interessante. Davvero una grande avversione, e un senso di: “non ho bisogno di questo”. E anche mal di stomaco. Malessere. Apprensione per tutto, anche per la lezione di russo che devo dare domani. Ieri sera proprio il contrario: un momento alto. Ho letto Psychoanalyse und Weltanschauung [“Psicoanalisi e Weltanschauung”] di Pfister. Sono riuscita a immergermi nel testo, che mi ha dato moltissimo, e ho pensato con gratitudine a S., all'ampliamento dei miei orizzonti che devo a lui, e al contatto con la sua persona, ma anche al lavoro psicologico svolto insieme a lui. Vera, onesta gratitudine e amore per lui. Adesso grande avversione. Dovremmo una volta tanto renderne conto in maniera professionale. Vediamo come va, quando tornerà l'entusiasmo. Di sera D'altro canto, non ha nessuna importanza quello che fai. Oh, no, adesso basta. Sabato mattina [22 novembre 1941] Desidero, e insieme temo, quel momento della mia vita in cui mi troverò sola con me stessa e con un pezzetto di carta, e non farò altro che scrivere. Non oso ancora, non so perché. Mercoledì, per esempio, ero al concerto con S.: quando vedo molte persone insieme vorrei scrivere un romanzo. Nell'intervallo avrei voluto avere un pezzetto di carta per annotare qualcosa, anche se non sapevo che cosa: dipanare i miei pensieri. Invece S. mi ha dettato delle note su un suo paziente. Soggetto interessantissimo, bizzarro anche - ma io dovevo di nuovo tiranni da parte. Questo fare i conti con se stessi; questo sentir continuamente il bisogno di scrivere, pur non avendo ancora il coraggio di uscire allo scoperto. In generale, io tendo a rimuovere troppe cose di me stessa. A volte ho la sensazione di essere una personalità piuttosto forte, ma agli altri mostro sempre una gentilezza, un interessamento e una benevolenza che vanno spesso a mio discapito. D'altronde ho questa teoria: una persona deve aver abbastanza senso sociale da non infastidire gli altri coi propri umori. Ma non si tratta affatto di umori. Reprimendo me stessa io ridivento asociale, nel senso che poi non ci sono per nessuno, per giorni interi. Da qualche parte in me ci sono una malinconia, una tenerezza e anche un po' di saggezza che cercano una forma. A volte mi passano dentro dialoghi, immagini e figure, atmosfere. Questo improvviso affiorare di qualcosa che dovrà diventare la mia verità. Questo amore per gli altri che dovrà esser conquistato - non nella politica o in un partito, ma in me stessa. C'è ancora una falsa timidezza che m'impedisce di confessarlo. E poi Dio. “La ragazza che non sapeva inginocchiarsi e che pure lo imparò, sul ruvido tappeto di cocco, in una disordinata camera da bagno”. Ma sono faccende intime, quasi più intime di quelle del sesso. Vorrei poter rappresentare in tutte le sue sfumature queste processo interiore, la storia della ragazza che imparò a inginocchiarsi. Non ha senso lamentarsi. Hai senz'altro tutto il tempo necessario per scrivere, più tempo di chiunque altro, probabilmente. Ma c'è quell'insicurezza interiore. Per quale ragione, poi? Perché pensi di dover avere idee geniali? Perché non puoi comunque dire come stanno veramente le cose? Ma questo può solo venire con la pratica. “Essere fedeli a se stessi”. S. ha sempre ragione. Mi è tanto caro eppure sono piena di astio nei suoi confronti. E quell'astio è connesso a cose più profonde, cose che mi sfuggono. Sabato sera Quante cose possono in realtà accadere in un solo giorno. A volte vivi in un giorno tutto quello che può capitare in una vita intera. Professor Becker e Eleonora Duse; corrispondenza commerciale in russo e il perdersi nei sogni; fiducia e paura; Dio, scherno e quant'altro. Affaticamento e forma perfetta. Un esercizio con il dizionario e sentirsi invecchiare; credere di poter fare qualcosa e di nuovo dubitarne, e poi quel senso di sfinimento alla fine della giornata, quindi l'ampio letto con il

vecchio amico e tutti quei pensieri e quelle immagini. I due fiorini di S. e la conversazione con Gera che ha detto: Tide tratta Dio come la sua sottoveste. E così Dio ha messo l'albume nelle sue urine, in modo che lei non potesse andare nelle Indie orientali, e ovviamente Lui aveva le sue ragioni per fare una cosa simile. Poi Kierkegaard e il confine tra psicologia e letteratura. E Du Perron e Jung. E le pure e schiette figure femminili della letteratura russa in contrapposizione alle complesse e caotiche figure maschili. Da spiegare con la formula dell'anima? E i russi che si rivolgono l'un l'altro chiamandosi “anima” (PAROLA RUSSA) e che hanno più parole per esprimere il verbo “colpire” di qualsiasi altra lingua al mondo. E la vita di Becker che ha qualcosa di sbagliato. E tutte quelle vite che hanno qualcosa di sbagliato. E la psicoanalisi e quel che Dio ha a che spartire con essa. E adesso così meravigliosamente stanca, esausta; ancora un po' persa nei miei sogni. Non pensare più. Un ultimo barlume prima di addormentarmi. È proprio vero, ne sono sicura: io lavoro molto duramente. I miei cari e le persone a me più vicine ne riderebbero, se mi sentissero parlare così. Ma c'è un'officina straordinaria in me, nel mio cervello, e lì si lavora e si forgia, ansimando, soffrendo e sudando. Ma non so quale sarà il prodotto finale. Non è solo un vago sognare. Qualcosa aspetta di essere plasmato. Qualcosa è in costruzione e, nel frattempo, lo accetto senza esitare. “Mettere da parte la vita come un che di fastidioso” ho scribacchiato stamattina su un pezzetto di carta. Adesso la ritengo un'espressione gratuita e irresponsabile. So bene che dovrò comunque viverla fino in fondo, e l'officina dentro di me non può chiudere, devo tenerla sempre attiva. Stanotte mi butterò tra le braccia di Morfeo con più voluttà che in quelle di Han. Domenica mattina [23 novembre 1941], le dieci È curiosa la relazione tra determinati stati d'animo e le mestruazioni. Ieri sera eri decisamente in uno stato d'animo “intensificato” e stanotte, improvvisamente, è stato come se l'intera circolazione sanguigna subisse un cambiamento. All'improvviso senti la vita in tutt'altro modo. Non sai cosa stia accadendo e poi d'un tratto lo riconosci: le mestruazioni in arrivo. Una volta ho pensato: non voglio in nessun caso avere dei figli, perché quindi devo sopportare questa insensata performance mensile, che porta con sé tale fastidio? E in un momento di dissennatezza, spinta da avidità di benessere, ho pensato di farmi asportare l'utero. Ma devi imparare ad accettare te stessa e il modo in cui sei fatta, e non puoi dire che è solo una seccatura. L'influenza reciproca tra corpo e anima è davvero misteriosa. Lo stato d'animo di ieri sera e di stamattina, così singolare e sognante e tuttavia anche illuminante, è originato dal cambiamento del mio corpo. Stanotte ho risposto con un sogno al mio recente “complesso del cibo”. C'era un frammento molto chiaro - perlomeno, uno crede che sia così: nel momento in cui provi a descriverlo, quello ti sfugge. Parecchie persone intorno a un tavolo tra cui io, e S. a capotavola. S. chiedeva: perché non vai mai a trovare gli altri? Io: perché tutto quel mangiare è una tal noia. Allora lui ha fatto la sua famosa faccia - avrò bisogno di una vita intera per saperla rendere, ce l'ha quand'è irritato, e trovo che sia l'espressione più forte che possa avere. Insomma, sul suo volto ho letto qualcosa come: dunque è così che sei, il cibo è così importante per te. Ho avuto questa sensazione: adesso mi ha vista dentro, adesso sa esattamente quanto io sia materialista. Non ho reso bene questo sogno, non è un sogno che si possa capire. Però quella coscienza improvvisa - adesso mi ha vista dentro, adesso sa come sono fatta - è stata molto forte, e così pure lo spavento che ne ho provato. Ancora m'è rimasto qualcosa della “trasfigurata” vastità di stanotte. Pace, e nuovo spazio per tutto quanto. Un po' innamorata, e ancor più affezionata a Han. Non più in conflitto con S., neppure col suo lavoro. Andrò per la mia strada, questa piccola deviazione non è grave: perché affrettarsi? “La sua vita maturava lentamente verso la propria realizzazione”. A volte sento così. Se solo fosse vero! Questa vasta giornata è tutta mia: scivolerò in essa molto dolcemente, senza nervosismo e senza fretta. Riconoscenza, un'improvvisa, profonda e consapevole riconoscenza per questa stanza chiara e spaziosa col largo divano, la scrivania coi libri, l'uomo tranquillo che è vecchio e giovanissimo al tempo stesso. E sullo sfondo l'amico dalla bocca carnosa e buona, che non ha segreti per me e a

volte può ridiventare segretissimo. Ma soprattutto c'è ancora quella chiarezza e pace e fiducia in me stessa. Come se, trovandomi in un fitto bosco, d'un tratto io giunga a un luogo aperto, in cui possa coricarmi sulla schiena a riposare e a guardare il cielo. So bene che fra un'ora potrà essere diverso. Soprattutto in questa situazione precaria, con la parte inferiore del mio corpo in fermento. Uno studio psicologico sul Demone di Lermontov. Una crescente fiducia/sicurezza che a lungo andare io sarò in grado di affrontare simili studi in autonomia e di analizzarli, in un modo originale e nuovo. La vita pone ogni persona di fronte a un enigma diverso, sulla base della natura e delle inclinazioni di ciascuno. Io voglio risolvere l'enigma della vita; ma a onor del vero dovrei dire: l'enigma che viene posto a me personalmente. D'un tratto mi vengono in mente le due opere di ヨdn von Horvth, credo che la prima s'intitoli Menschen ohne Gott e la seconda, quella più semplice eppure più importante, Es war einmal o qualcosa del genere. E adesso al lavoro con quella traduzione di russo. Di sera Stai facendo richieste eccessive alla tua vita. In realtà, non so proprio cosa fare con te. In questi giorni devi stare attenta. Arriveranno altri momenti di grande irritabilità e insoddisfazione. Quel che desideri è dire cose vecchie in un modo nuovo, inedito; dare a tutto una patina speciale. Per creare un nuovo mondo tutto tuo, per comporre e plasmare figure. D'altra parte c'è la stanchezza d'aver già vissuto le cose, e così intensamente che la loro realizzazione diventa un'attività quotidiana e incolore. E poi ci sono l'inerzia e l'indolenza. Ma anche il desiderio di dire le cose con la propria voce. Ieri sera mi sentivo immersa in questa vita, come nel mio elemento naturale; la vita sciabordava, per così dire, in tiepide onde attorno a me, io mi accoccolavo accanto a lei e mi sentivo al sicuro. Desideri una sorta di ininterrotta sensazione di benessere o qualcosa del genere. Oh, quella pancia! Davvero curioso: mi pare di aver cambiato costituzione. Han lo ha trovato divertente. Una cosa simile non gliel'aveva mai raccontata nessuna donna. Ha ritenuto anche lui preoccupante un cambiamento di costituzione ogni tre settimane. E adesso mi avvolgo nel plaid e non so ancora se porterò con me Van Gogh, Kinkel, Stekel o Rilke. Viziato animaletto di cultura! A piedi nudi nel freddo, pane raffermo e un campo di concentramento: qualcosa in me desidera tutto questo. “Desidera” è una parola grossa ma qualcosa mi rode dentro, qualcosa che mi provoca un senso di colpa per non aver ancora conosciuto le reali difficoltà di questa vita. E ogni tanto mi chiedo se ho il diritto di dire: quanto è terribilmente difficile questa vita! Eppure lo penso davvero. Nonostante il divano con il plaid blu e il costoso camino e, appeso sopra, il dipinto a olio della ragazza proletaria. C'è anche un altro dolore oltre a quello puramente fisico, ma forse puoi dire: “Ho sofferto molto” (multa tuli) , solo dopo aver esperito la vita nella sua nuda crudeltà. E forse anche questa parola, “nuda crudeltà”, è solo un termine romantico. Dall'incontro della realtà con la sensibilità dell'individuo... ma questo è di nuovo troppo difficile. Strano, eh? A volte è tutto così limpido e cristallino in me, ma quando poi lo scrivo, ne viene fuori un disastro. È una forma di sofferenza anche dover lottare per conquistarsi una forma in mezzo al caos che regna dentro; non riesco ancora ad affrontarlo; anche se poi è l'unica cosa che mi darebbe soddisfazione nella vita, non un marito o un figlio, lo avverto con sempre maggiore forza. Ma forse è facile dire che l'uomo non è lo scopo ultimo, quando si vive fianco a fianco con un uomo, anche se poi non rappresenta l'essenziale della mia vita. Che strano bisogno è quello degli uomini di soffrire? Per poter giustificare la propria esistenza. Non c'è nulla di straordinario nell'apprezzare la vita, quando si ha una vita buona. Eppure qualcosa non va in me: non voglio un uomo, non voglio figli, perché non oserei mai prendermi la responsabilità di un'altra vita - la responsabilità di me stessa mi costa già tutte le energie - e perché temo la sofferenza, la tristezza e la solitudine che scaturiscono da un così piccolo consorzio umano. Credo poi di essere estremamente egocentrica, e che nessuno possa vivermi accanto. E ho anche un

profondo bisogno di tenerezza, comprensione e calore, e di una persona tutta per me; ma al tempo stesso non credo che esista. E lo trovo anche troppo restrittivo, nel mio caso. Ma perché continuare a speculare? È tutto già qui, nella vita, così com'è. Eppure c'è qualcosa di strano in tutto questo. Il sogno e la realtà: problema eterno. La bolla di vetro del sogno che si rompe al contatto con la realtà. Con tutte le energie che a volte sento in me, c'è anche un'enorme fragilità che teme ogni minimo contatto. Ciò a cui dovrò tendere adesso, e che voglio anche scrivere qui, sono le piccole cose quotidiane, concrete, i singoli gesti. Continuo a parlare della “vita”, della “sofferenza”, della “persona”. Un forte sentimento universalizzante. Le piccole cose, i gesti colti all'improvviso, osservati e studiati con pazienza e amore, ancora non riescono a esprimersi, ecc. - ecco cosa intendo con “richieste eccessive”. Lunedì mattina 124 novembre 1941] Sarebbe stata una bella dimostrazione di eroismo a stomaco vuoto, rifiutare quel sandwich col formaggio. Ma nel momento psicologico il sandwich era già sparito, purtroppo. Il gesto, di superiore serenità, con il quale avrei detto: No, grazie, ho già mangiato un sandwich e adesso non ho più fame. Questa sì che sarebbe stata un'azione straordinaria! Forse puoi cominciare anche da qui una parte della tua autoeducazione: non voler avere tutto dalla vita. Non essere avida, non temere di perderti qualcosa. Un tentativo di raggiungere una sorta di armonia. Da una parte, il desiderio di provare la fame, il freddo e la solitudine, probabilmente per un senso di colpa. Dall'altra, arrabbiarsi quando il camino non funziona a dovere. Non devi neanche usare Dio come un mezzo per dominarti, per placare te stessa. Riposare in se stessi, certo! Ma è difficile “riposare” su un letto di spine. Lunedì mattina, le undici e mezzo E adesso mollo tutto. Questo è un autostupro cronico. Non pratico più la chirologia, adesso basta. Non posso fare una cosa simile Che io conosca alcune delle tecniche avrà comunque dei vantaggi perché sarò in grado di seguire i suoi ragionamenti un po' meglio. Ha appena telefonato da Berlino quell'infantile baboe delle Indie per dirmi che non ho altro tempo a disposizione. Che colpo di fortuna per me! Una persona non può farsi distogliere troppo dal proprio cammino. E neanche per guadagnare 15 fiorini in più. Cercherò di limitarmi a un solo campo. Voglio essere la sua segretaria e l'aspetto psicologico mi interessa. Ma per quanto riguarda tutto il resto, è finita. E ora: Das heutige Russland [“L'odierna Russia”] di Karl Nòtzel. E ho anche capito subito che neppure la corrispondenza commerciale è la mia strada. Tanto meno la chirologia: certo la psicologia, ma allora puramente teoretica e come strumento per analizzare al meglio la letteratura. Peccato, quella donna aveva d'un tratto una vocina così triste al telefono. Pazienza. Voglio sicuramente guadagnarmi da vivere lavando i piatti se non si può fare altrimenti, diciamo occupandomi di cose nelle quali non sono mentalmente coinvolta, cercando però di tenere per me un campo di studi. È quasi un sollievo e non si tratta di pigrizia. Ma tutta la faccenda stava diventando troppo ridicola. Sono curiosa di vedere come ne parlerò con S. Di pomeriggio, le cinque e mezzo Vedi, Dio, farò del mio meglio. Non mi sottrarrò a questa vita. Continuerò a parteciparvi e cercherò di sviluppare tutte le doti che ho, se ne ho. Non saboterò nulla. Ma dammi ogni tanto un segno. E lascia che un po' di musica fluisca da me, che quanto è in me prenda forma: ne ha bisogno così disperatamente. In uno stato d'animo che è improvvisamente davvero singolare.

Martedì mattina [25 novembre 1941], le nove e mezzo Qualcosa mi sta succedendo e non so se si tratti di un semplice stato d'animo o di un fatto importante. Mi sembra di reggermi di nuovo su me stessa. Sono un po' più autonoma e indipendente. Ieri sera pedalavo per la fredda e buia Larissestraat - se solo potessi ripetere tutto quel che ho borbottato allora: Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza. Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò anche accettare l'irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga per mano. Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura. E dovunque mi troverò, io cercherò d'irraggiare un po' di quell'amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro. Ma non devo neppure vantarmi di questo “amore”. Non so se lo possiedo. Non voglio essere niente di così speciale, voglio solo cercare di essere quella che in me chiede di svilupparsi pienamente. A volte credo di desiderare l'isolamento di un chiostro. Ma dovrò realizzarmi tra gli uomini, e in questo mondo. E lo farò, malgrado la stanchezza e il senso di ribellione che ogni tanto mi prendono. Prometto di vivere questa vita sino in fondo, di andare avanti. Certe volte mi viene da pensare che la mia vita sia appena all'inizio e che le difficoltà debbano ancora cominciare, altre volte mi sembra di aver già lottato abbastanza. Studierò e cercherò di capire, ma credo che dovrò pur lasciarmi confondere da quel che mi capita e che apparentemente mi svia: mi lascerò sempre confondere, per arrivare forse a una sempre maggior sicurezza. Fin quando non potrò più smarrirmi, e si sarà stabilito un profondo equilibrio - un equilibrio in cui tutte le direzioni saranno sempre possibili. Non so se potrò essere un'amica per gli altri. E se non potrò esserlo perché non è nel mio carattere, bisogna che affronti anche questo. In ogni caso non devi mai illuderti. Devi aver misura. E tu sola puoi essere misura di te stessa. È come se ogni giorno io venissi scaraventata in un gran crogiolo e ogni giorno io riuscissi a uscirne. Certe volte mi capita di pensare: la mia vita è completamente sbagliata, c'è un errore: ma questo capita solo quando ci si fa una determinata idea della vita, rispetto a cui può apparire sbagliato come realmente viviamo. È proprio come se la mia posizione nei confronti di S. fosse improvvisamente mutata - come se d'un tratto io mi fossi staccata da lui, pur credendomi già libera. Come se io avessi capito nel profondo di me stessa che la mia vita sarà del tutto indipendente dalla sua. Ricordo quando, diverse settimane fa, si parlava del fatto che tutti gli ebrei sarebbero stati spediti in un campo di concentramento in Polonia, e che S. mi aveva detto: “Allora ci sposeremo, così potremo rimanere insieme e faremo ancora un po' di bene”. E per quanto io avessi capito esattamente il senso di quelle parole, per qualche giorno mi ero sentita piena di calore e di attaccamento per lui. Ora questo sentimento è scomparso. Non so cosa sia, è come se io mi fossi completamente staccata da lui e ora andassi avanti per la mia strada. Si vede che le mie forze erano ancora investite in quell'uomo. Ieri sera, mentre pedalavo nel freddo, mi sono resa improvvisamente conto di quanta intensità, quanto impegno di tutta la mia persona io abbia messo nell'assorbire S., il suo lavoro e la sua vita in quest'ultimo mezzo anno. Ora è successo. S. è diventato parte integrante di me. E così proseguo, ma da sola. Di fuori non cambia nulla, naturalmente. Continuo a essere la sua segretaria e a interessarmi al suo lavoro, ma dentro sono più libera. O tutto questo è solo uno stato d'animo? Credo che sia dovuto a quel gesto, per me del tutto automatico, di andare al telefono e, d'impulso, senza consultarlo, chiamare quella signora e dirle: “Mollo tutto, non fa per me”. Quando d'un tratto c'è qualcosa in te che è più forte della tua volontà, e che ti fa agire (nebbisj [“ahimè”]) e prendere le risoluzioni che devi prendere, alle quali ti senti chiamato, e allora ti scopri improvvisamente più forte. E questo accade anche quando d'un tratto sei capace di dire: “Non fa per me”.

La relazione tra letteratura e vita. In questo campo devo trovare la mia strada. Reazione di S. al telefono: “Lei è una bella furbacchiona, ecc.”. Dovremo parlare della “questione”. Spero di essere tanto coraggiosa nelle parole quanto lo sono nella “mente”. Comunque non sarà così semplice. Devo di nuovo strappare via da lui, e riprendermi, un pezzetto di me stessa, un bel pezzo in realtà. Mercoledì sera [26 novembre 1941] E in questo modo continui ad andare avanti. Una notte d'amore, buon umore, umore cattivo, tanta tristezza e anche un po' di coraggio e un senso di malessere, tanto forte che corri il rischio di proiettarlo sugli altri che altrimenti ti sono cari. E con questo di nuovo quella sensazione di non poter nutrire alcuna fiducia in te stessa, di non poter fare affidamento sui tuoi sentimenti. Eppure, in futuro, scriverò di quanto adesso sta vagamente maturando in me. Forse si trasformerà in un fiume che si farà largo e al quale per troppo tempo è stato impedito di scorrere liberamente. Venerdì mattina [28 novembre 1941], nove meno un quarto Ieri sera sentivo quasi di dover chiedergli scusa per tutti i pensieri brutti e ribelli che avevo avuto nei suoi confronti in questi ultimi giorni. Ho capito pian piano che nei giorni in cui proviamo avversione per il prossimo, in fondo proviamo avversione per noi stessi. “Ama il prossimo tuo come te stesso”. So che dipende sempre da me, mai da lui. Abbiamo un ritmo di vita molto diverso, si deve permettere a ognuno di essere com'è. Quando vogliamo plasmare un altro secondo le nostre idee andiamo sempre a sbattere contro un muro e siamo sempre delusi, non dall'altra persona, ma dalle nostre pretese insoddisfatte. È un atteggiamento sciocco e molto poco democratico, ma umano. Forse con la psicologia si può arrivare alla vera libertà, non ci si può mai ricordare abbastanza che dobbiamo renderci veramente liberi dagli altri, ma che insieme dobbiamo lasciarli liberi, evitando di farcene un'idea predeterminata nella nostra fantasia. Alla fantasia rimangono comunque dei campi abbastanza vasti, anche se non la si applica alle persone care. Ieri pomeriggio pedalavo verso casa sua in questo stato d'animo: non ho voglia, non dirò una parola di troppo, mi sento così giù. E improvvisamente, all'angolo tra Apollolaan e Michelangelostraat ho sentito il bisogno di annotare qualcosa sul mio taccuino - e così me ne stavo a scrivere al freddo, sul fatto che ci sono tanti cadaveri sparsi nella letteratura e su quanto ciò sia singolare. Tanti morti senza ragione, tra l'altro. Insomma diventava una cosa assurda - come succede spesso, se si pensa ai grandissimi pensieri che nascono nel nostro cervello e al balbettio confuso, scritto su poche righine blu all'angolo di due strade e al freddo, che ne è poi il risultato. E così arrivai da S., nelle sue camerette familiari che lo fanno apparire quasi gigantesco. C'era Gera, lei e io abbiamo parlottato un po' senza che S. ci potesse sentire con le sue orecchie deboli, di nuovo stavo proprio bene. E poi, malgrado mi sentissi così fiacca, ho cominciato a buttar tutto qua e là per la stanza, disordinatamente - soprabito, cappello, guanti, borsa, taccuino - provocando lo sconcerto e insieme il divertimento di S. e di Gera, che chiedevano cos'avessi questa volta. Ho risposto: non ho voglia, voglio sabotare questa seduta, ed era un miracolo che i vasi di fiori non volassero giù in pezzi dal ripiano della finestra. Il mio sfogo ha fatto visibilmente bene a C'era. Forse aveva desiderato spesso fare altrettanto, ma davanti a S. le era mancato il coraggio. Bene bene, diceva, e forse la mia smania di ribellione le ha reso evidente quella che lei stessa avrà talvolta provato - la ribellione che di tanto in tanto si prova nei confronti di personalità molto più forti di noi. Una persona non può mai pensare in anticipo, neppure cinque minuti prima: tra poco sarò così e così, e dirò questo e quello. Mi ero proposta di dirgli tante cose. “Questioni di principio”. E di chiudere i conti con la chirologia, ecc. ecc., tutto così intenso e importante. E subito prima di andar da lui il mio umore era tale che non volevo più dir nulla. Partita Gera, mi sono trovata coinvolta, di punto in bianco, in una specie di lotta fulminea con lui, l'ho gettato sul divano, dove quasi l'ammazzavo, e poi avremmo dovuto metterci a lavorare

duramente. Invece, ecco S. seduto nella grande poltrona d'angolo, dalla bella fodera fatta da Adri, io come al solito ai suoi piedi, tutt'e due immersi in un'appassionata discussione sulla questione ebraica. Ascoltandolo, mi sembrava di bere da una fontana rinvigorente. E la sua vita, non più deformata dalla mia irritazione, mi appariva di nuovo con chiarezza nel suo fruttuoso svilupparsi giorno dopo giorno. Ultimamente traggo alcune citazioni dalla Bibbia e le rileggo alla luce di un significato che per me è chiaro, nuovo, ricco e pieno di esperienza. “Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza” “Ama il prossimo tuo come te stesso”, ecc. Mi toccherà finalmente affrontare i rapporti tra me e mio padre, con coraggio e amore. Mischa mi ha annunciato il suo arrivo per sabato sera. Prima reazione: orribile. Minacciata nella mia libertà. Inopportuno. Che fare di lui? Invece di: che piacere che quel brav'uomo possa starsene lontano per qualche giorno da quella sua moglie sempre agitata, e da quella morta città di provincia. Cosa posso fare, con le mie poche forze e mezzi, per rendergli questo soggiorno il più piacevole possibile? Io, delinquente sciocca egoista. Oh sì, proprio così. Sempre prima pensare a te stessa. Al tuo prezioso tempo. Che è poi usato per pompare ancora un po' di sapienza libresca nella tua testa già abbastanza confusa. “E a che mi serve tutto ciò, se non ho l'amore”. Una splendida teoria per sentirsi nobile e in pace, ma nella pratica ti spaventi davanti al più piccolo gesto di amore. No, non è un piccolo gesto di amore. È una questione fondamentale, importante e difficile: nel proprio cuore voler bene ai propri genitori. Cioè perdonarli per tutte le difficoltà che ti hanno creato semplicemente con la loro esistenza: difficoltà nell'attaccamento come nella repulsione, e nel peso della loro vita complicata che s'aggiunge alla tua. Mi sembra di scrivere delle grandi sciocchezze. Poco male. E ora devo fare il letto di Pa Han e preparare la piccola lezione per l'allieva Levi, ecc. Ma questo, in ogni caso, è il programma per il fine settimana: nel mio cuore voler bene a mio padre, e perdonargli se mi sottrae alla mia comoda tranquillità. Gli voglio in fondo molto bene, ma è - o piuttosto era - un amore complicato: ricercato, spasmodico, e così mescolato alla compassione che quasi mi aveva spezzato il cuore. Ma era una compassione masochista, un amore che aveva portato a grandi esplosioni di compassione e dolore ma non a un semplice gesto; a grande cordialità e darsi da fare ma in modo così intenso, che ogni giorno della sua permanenza qui mi era costato un intero tubetto di aspirine. Tutto questo, però, succedeva tempo fa. Ultimamente era già assai più normale. Tuttavia sempre ancora il senso di essere incalzata e per questo, probabilmente, ero risentita con lui quando veniva a trovarmi. Ora devo perdonarglielo nel mio cuore. E pensare, e veramente sentire: che bello che possa tirarsi via da là per un pochino. Ecco, questa era una buona preghiera mattutina. Sabato mattina [29 novembre 1941] Ieri sera dibattito tra S. e il dottor L. Risultato: S. è tornato a casa con Kastein sotto braccio, mentre L. approfondirà il Nuovo Testamento, e sul piatto c'erano alla fine più biscotti che all'inizio. Non era così? A che cosa mi serve la conoscenza se non ho l'amore? Ma non si possono avere entrambi? L'uno non dovrebbe escludere l'altro, vero? Le macine del cervello dovranno arrovellarsi a lungo su questa serata. In realtà sono ancora incredibilmente analfabeta. Eccomi seduta davanti alla cucina a gas a stento baluginante, alle nove e mezzo di mattina. La grigia luce del giorno attraverso le ampie finestre senza tende si mescola alla luce proveniente dal calice della piccola piantana, come se fosse filtrata da un fiore di serra. Però, che formulazione bella e raffinata! I crisantemi ricevuti dall'affascinante coppia L. iniziano finalmente a dare segni di stanchezza di vivere. I Salmi, Vincent van Gogh e Botticelli - e i miei piedi freddi. E, ancora, Psychoanalyse und Weltanschauung e Pa Han, che si sta prendendo cura delle piante con la sua infinita pazienza, nella fredda veranda. Io siedo qui sul tappetino di giunco cinese e fisso con occhi spalancati e ben attenti il fuoco, non esattamente vivace, del camino. E adesso, maledizione, al lavoro.

Domenica mattina [30 novembre 1941], le dieci e mezzo Avere il coraggio di essere se stessi. Una gran frase, ogni volta la si adatta a piccolezze. Ora significa, per esempio, che devo costringere me stessa a scrivere qualcosa sulla giornata di ieri. Lo stavo già progettando stamattina a letto. Mi sono immersa mezz'ora prima del solito nella mia fredda mattina domenicale, invece di indugiare sotto le coperte calde. Ma non è andata in maniera poi così disciplinata, perché mentre facevo la mia colazione zingaresca mi è capitato tra le mani un articolo di un giovane scrittore moderno: cinico, freddo, non poco intellettuale, eppure pieno di accenti lirici e, secondo me, ben scritto. E d'un tratto ho smesso di voler metter mano alla penna. Se leggo qualcosa di buono scritto da altri, che suona convincente, ma che è anche completamente opposto allo stato d'animo in cui mi trovo e che vorrei descrivere, allora la mia scrittura si blocca. In quel momento mi sento come una mosca scacciata con un soffio, che non ha diritto di esistere. Eppure in altri momenti, certi stati d'animo e pensieri, e una peculiare propensione alla vita possono essere così forti e dominanti in me da farmi pensare che tutto il resto non abbia diritto di esistere. Ci vuole un po' di egocentrismo per creare davvero qualcosa, ma rovescio della medaglia è sentire che non si arriva a niente e che ci si sta rendendo ridicoli, ecco ciò che si intende con l'espressione “non avere il coraggio di essere se stessi”. Non c'è ancora abbastanza spazio in me stessa per far posto alle molte contraddizioni, mie e di questa vita. Nel momento in cui riconosco le une, sono infedele alle altre. Venerdì sera dialogo tra S. e L.: Cristo e gli ebrei. Due filosofie di vita, ambedue nettamente delineate, brillantemente documentate, compiute e armoniose, difese con passione e aggressività. Tuttavia, trovo sempre che in ogni filosofia che si vuol difendere si insinua l'inganno; e che si finisce sempre per usar la violenza a spese della “verità”. Eppure io devo e voglio cercare il mio pezzo di terreno cintato - prima dolorosamente conquistato, poi appassionatamente difeso. D'altra parte, la sensazione di fare così un torto alla vita. Paura, però, di sprofondare altrimenti nell'indeterminatezza e nel caos. Comunque sia, tornavo a casa dopo quella discussione sentendomi tutta animata e frizzante. Però sempre la reazione: non è veramente un'assurdità? Perché le persone si danno così ridicolmente da fare? Non si stanno forse ingannando? Nello sfondo s'intravede sempre quest'incertezza. Poi è arrivato mio padre: pieno di amore, un amore studiato. Il giorno prima, dopo quella vigorosa preghiera mattutina, m'ero sentita liberata e felice e leggera. Quando è arrivato, il mio piccolo papà, col suo ombrello scambiato e una nuova cravatta a scacchi e molti pacchetti di panini farciti, quasi indifeso, mi ha preso di nuovo l'imbarazzo, la paralisi delle forze, una grandissima infelicità. Avevo un atteggiamento negativo nei suoi confronti, anche per effetto di quella discussione della sera prima. E l'amore non aiutava. Non c'era, del resto. Del tutto paralizzato, molto strano. Di nuovo caos e smarrimento. Alcune ore di crisi e “ricaduta” come nei periodi peggiori. Così potei rendermi conto un'altra volta di quanto certi periodi passati fossero stati difficili. A letto nel pomeriggio. La vita di tutti gli uomini sentita di nuovo come una gran storia di dolori, ecc. ecc. Argomento troppo esteso per scriverne. Allora mi sono resa conto del rapporto che c'è tra noi due. Mio padre, a un'età avanzata, ha sfumato tutte le sue insicurezze, dubbi, probabilmente anche complessi d'inferiorità puramente fisici, difficoltà irrisolte nel suo matrimonio, ecc. ecc. - ha sfumato tutto ciò grazie a un atteggiamento filosofico del tutto schietto, amabile, pieno di umorismo e molto acuto, ma con tutta la sua acutezza molto vago. Sotto questa filosofia, che giustifica tutto, che guarda solo all'aneddotico senza approfondire le cose - mentre sa che esistono le profondità, e forse proprio perché sa quanto incommensurabilmente profonde siano le cose, rinuncia in partenza a trovare chiarezza - sotto la superficie di questa filosofia rassegnata che dice: vabbè, tanto chi mai può saperlo, si apre il caos. È lo stesso caos che minaccia anche me, quello da cui devo uscire - e in ciò devo vedere il compito della mia vita; è il caos in cui ricado ogni volta. E in fondo le più piccole espressioni di mio padre - di rassegnazione, umorismo, dubbio - mi toccano in qualcosa che ho in comune con lui, ma da cui debbo staccarmi per evolvermi ancora.

Quanto alla puntuale discussione dell'altra sera, dietro alle mie reazioni c'è sempre il dubbio: non è del tutto assurdo? E questo leggero sfondo si è accentuato con l'improvvisa intrusione di mio padre nel mio mondo. E allora, naturalmente, la resistenza nei suoi confronti, i miei blocchi e il sentirmi senza forze. In effetti, questo non ha niente a che fare con mio padre - cioè non con la sua persona, così cara, commovente, amabile -, ma si tratta di un mio processo interiore. Il legame fra le generazioni. Dal caos, dal non aver preso posizione nei confronti delle cose, da ciò devo ora formare me stessa, dunque ora sì prender posizione: “confrontarmi” con le cose, anche se ogni volta sarò presa dal dubbio: non è assurdo tutto quanto? Sì sì, bambini miei, così è la vita. Ecc. ecc. Una volta chiarito questo rapporto, ritornavano forza e amore, e lo spavento di quelle poche ore era superato. E c'è anche questo: “Oh, Signore, ho detto che prenderò su di me la sofferenza che verrà”. Sembra quasi che io voglia scegliermela, la mia sofferenza, come se dichiarassi: “Sì, questa sofferenza l'accetto, invece quest'altra no”. Ma i problemi e la concreta sofferenza che provengono dalla mia relazione con gli “antenati” o, per dirla in maniera più ponderata, con il caos del mio “patrimonio ereditario”, sono parti integranti dello stesso fenomeno? E questo è qualcosa che non voglio, mi ribello. Di nuovo ci sono stati alcuni momenti in cui ho detestato la vita e non vedevo alcuna via d'uscita, l'esistenza mi si parava davanti come un'infinita via crucis. Ma affronterò qualsiasi cosa mi tocchi in sorte - ecc. ecc. Nel momento in cui un pensiero simile mi coglie, mi appare suggestivo e potente, e riesco a trovare le parole poetiche che mi sembrano adatte a esprimerlo, ma poi, quando provo a mettere quel pensiero nero su bianco, le parole non ci sono più. Non è ancora finita. Ho accolto di nuovo mio padre con amore e grazia. E così mi sono anche tornate le forze; sono pronta a tutto e mi sento nuovamente piena di vita. Di sera, Mischa. Inizialmente non avevo voglia di quella visita. So, per così dire, troppo di quanto c'è dietro, dietro la maschera che indossa quando siede al pianoforte, quindi non riesco più a godere della sua musica. Questa volta è andata diversamente. Sono rimasta profondamente colpita dalla sua esecuzione e mi sono anche chiesta se la mia idea della sua personalità sia dopo tutto corretta, o se invece non mi sia fatta un'immagine riduttiva di lui, a causa di un complesso di famiglia duro a morire, e se per questo l'abbia valutato in modo ingiusto. Ora dovrei scrivere di nuovo dell'amore, di un genere d'amore più elevato che è in me, e anche del mio desiderio di essere il più possibile onesta nel giudicare i miei simili, ma quella parola, “amore”, sta diventando molesta. D'un tratto la penso così. Ma anche questo ci sta: non avere il coraggio di essere se stessi, di rimanere in contatto con le sensazioni primigenie che albergano in noi. Trovarlo sentimentale e aver paura che anche gli altri lo ritengano sentimentale. Ma non è sentimentale per niente. Dentro di me ci sono due grandi sentimenti basilari: l'amore, un amore inspiegabile, forse non meglio identificabile, perché è un sentimento primigenio nei confronti delle creature e di Dio, o perlomeno di ciò che io chiamo Dio; e la compassione, una compassione infinita che a volte mi provoca pianti a dirotto. Già, amore e compassione: cerca di usare questi termini con parsimonia, almeno dal punto di vista teorico e linguistico. Del resto, puoi vivere come meglio credi. Ma, per un altro verso, ci sarà sempre lo scherno, l'acutezza intellettuale, l'ingegno analitico, il cinismo, il dubbio, l'incertezza. Dopo la conclusione del concerto, quando Mischa aveva smesso di suonare il piano laccato di rosso, siamo rimasti a sedere nel nostro angolo ancora per un po', Jan Polak con la sua fidanzata germanica dai capelli biondo cenere papà e io. E papà sembrava proprio in gran forma: umorismo e ironia uniti a una buona indole. Ogni osservazione era ad rem, senza essere pesante. Aneddotico, perspicace e disciplinato. E soprattutto, ancora, mai pesante. E in quel momento, improvvisamente, mi è venuta un'avversione per S. e per il suo circolo. Mi appaiono troppo irritanti ed enfatici con i loro discorsi sull'“amore” e Dio, ecc. ecc. Tuttavia, potrei definire i miei sentimenti ambivalenti. Ma, santo cielo, perché in me non c'è posto per tutto? Ogni cosa infatti è in me: una serietà pesante e l'arguzia giocosa. Una sensazione davvero profonda mica dev'essere per forza anche falsa. Il peso e la leggerezza: entrambi devono essere accettati, come aspetti diversi del mio essere. E perché dovresti rinnegare una parte di te appena l'altra si fa dominante? È solo mancanza di coraggio nell'essere se stessi. Potrei certo essere un caso limite di schizofrenia, ma non la si potrebbe

piuttosto chiamare ambivalenza? Anche questo sarà il mio compito: chi lo sa, be', adesso è di nuovo troppo. Ogge nebbisj [“misero me”], questo motto di mio padre è stato in realtà il marchio di tutta la mia gioventù, ma naturalmente solo perché un certo atteggiamento da ogge nebbisj nei confronti della vita, che in ogni caso deve essere superato, c'è anche in me. Lunedì pomeriggio [1° dicembre 1941 Sprofondo lentamente in un piacevole stato di confusione grazie a quelle 12 aspirine. Se faccio qualcosa, la faccio come si deve, io. Quindi, che aspirina sia! Ma non soltanto per via della mia storia familiare, anche se è stata davvero dura negli ultimi giorni. Ieri pomeriggio S. Ho avuto la sensazione che fossimo più vicini che mai l'uno all'altra. “Per una volta dica qualcosa di gentile”, ecc. Abbiamo discusso e ci siamo amati. “Nel mio diario le ho chiesto perdono”. “Lei però continua a ignorare che, quando sente questa opposizione, essa non riguarda me”. “Sì, lo so”. Una persona che abbia una sua personalità non ammetterà mai volentieri la grande influenza che un altro ha esercitato sulla sua formazione. Lui mi forma e mi forgia. L'ho detto proprio male! Ma ogni volta qualcosa si muove in me, quando mi ritrovo a stretto contatto con lui; approfondisco, divento più profonda e mi arricchisco. Lui c'è sempre, lui è la roccia che non cede e i miei umori si frangono ritmicamente su di lui. Ridicola idiota che sono, non volevo assolutamente scrivere di te. Ieri sera sei stato fantastico. Sei stato spumeggiante, quasi come un ragazzino, ma in una maniera che non mi ha infastidita, e che forse non mi infastidiva perché dietro a quell'esuberante gioiosità riconoscevo il mio contributo, e vi intravedevo il gioco amoroso di quel pomeriggio. Puah! Ma perché non riesco a scrivere? Ma certo, un bel giorno, “quando sarò grande”, riuscirò certamente a scrivere. Oh, già, volevo ancora annotare il sogno di stanotte. Jaap era da S. per via della lettura delle mani. S. ha guardato prima di tutto il dorso della mano, mentre Jaap, con i denti bianchissimi e un viso sarcastico, rideva in faccia a S., qualsiasi cosa dicesse. Rideva proprio in maniera diabolica. Poi S. ha guardato i suoi palmi, trafficando un po', e improvvisamente ha gridato con tutte le tonalità dell'euforia: Lei ha una linea dell'amore per l'umanità!, e nel punto in cui lui indicava la linea, nella mano di Jaap si vedeva una ruga profonda. Improvvisamente, ho avuto l'impressione che quel segno si trovasse sulla mia mano; io sedevo lì con loro e ho detto: Sì, anche lui ama l'umanità, al che S. ha risposto: Sì, sapevo che ci sarebbe stato qualcosa di singolare in queste mani. O una cosa simile. E poi: Se solo non dedicassi tutta la tua attenzione al mondo esterno, a quelle persone, ma la indirizzassi di più verso il tuo interno. Menschheitsliebelinie. In ogni “-ismo” si nasconde un elemento d'inganno, perché: Niente è vero e neanche questo. L'ultima volta mi sono espressa proprio male, scrivendo: “Sono analfabeta”. Ciò dipende dal fatto che sono ancora troppo rispettosa nei confronti della cultura libresca. Oggi allento un po' le redini. Oh, non è la pancia a buttarmi giù, e neanche quelle 12 aspirine o mio padre, ma comincio pian piano a riconoscere la sotterranea influenza reciproca tra lui e me, di cui lui probabilmente non è consapevole. E il lavoro di rendere se stessi consapevoli di qualcosa è molto impegnativo. Una gran quantità di quelle aspirine deve essere sicuramente imputata all'atroce attacco depressivo di sabato pomeriggio, del quale mi sono liberata con uno sforzo immane. Da quel momento, e finora, mi sono sentita straordinariamente fresca e libera e in forma dal punto di vista mentale, ma anche fisicamente miserevole, benché questo stato non sia mai così grave in realtà. La mente è comunque la cosa più importante. Quando ieri pomeriggio l'ho salutato, lui ha detto, per errore: Buona notte. E subito ha ghignato con una certa malizia, dicendo qualcosa di Freud e del fatto che faceva proprio al caso, ecc., ma perché scrivo una cosa tanto sciocca e in sé alquanto fuori luogo? Solo per lasciare una traccia, per avere, quando vorrò rivivere quell'intero pomeriggio, un piccolo appiglio per ricostruire ciò che è

successo. Martedì mattina [2 dicembre 1941], le nove e mezzo, nel bagno Freddo, mal di pancia, ancora non c'è un solo posto abitabile in casa. Nei momenti in cui le sensazioni di malessere mi minacciano seriamente, mi pongo di regola la domanda: sei davvero convinta quando dici di voler prendere sul serio la vita? Sei davvero ispirata quando, nei momenti positivi, dici: Ho fiducia in Dio, voglio fare della mia vita qualcosa di buono, accetto tutta la sofferenza che arriverà, ma lo pensi sul serio, se poi ti lasci andare ogni volta che sei depressa? Però ultimamente non mi lascio più andare. Mi sto esercitando a vivere in maniera più salda, a fare in modo che la distanza tra gli alti e i bassi diminuisca. Devo attivare tutte le mie forze, e tenerle attive, ma al tempo stesso continuare a sognare. Dev'essere possibile unire le due cose. In passato ho buttato via tanti giorni solo per puro malessere. Mi sono anche viziata; mi abbandonavo alla lettura di libri sul divano, al sonno e al sogno, finché non arrivava un momento di rinnovata energia, in cui mi ripromettevo di fare di tutto. Ma se i momenti in cui sento che qualcosa sta cercando di svilupparsi con forza in me, e nei quali mi riprometto di mettere a frutto il tempo, vanno presi sul serio e non solo considerati un impulso, allora devo continuare a vivere e a lavorare anche quando mi sento meno ispirata e più abbattuta, anche se in quell'istante mi sembra senza senso. Altrimenti quei momenti d'ispirazione alla lunga saranno troppo peregrini. Un solo momento ispirato deve continuare a splendere per un lungo tempo e dare forza. Desideri ancora troppo vivere momenti sublimi, e ti senti in realtà vittima di un torto quando la vita ogni tanto appare un po' grigia o ordinaria o soltanto un po' fastidiosa. Quando in passato mi sentivo così a pezzi e depressa a causa di quel mal di pancia mensile, ritenevo di avere un'occasione per non fare più nulla, per lasciarmi andare un po', aspettando che mi tornasse spontaneamente la voglia di fare. Non mi fraintendere, non devi sempre vivere con grande intensità, sarebbe addirittura deleterio per te, ma potresti benissimo darti ogni tanto un piccolo colpetto, decidere consapevolmente di percorrere una determinata strada e non lasciarti andare ogni volta. Ma, a dire il vero, sta funzionando abbastanza ultimamente. Mercoledì mattina [3 dicembre 1941], le otto, in bagno Sveglia nel cuor della notte. Mi sono improvvisamente ricordata di quel sogno pieno di significato. Per qualche minuto ho cercato di rievocarlo con tutte le mie forze, quasi con avidità. Avevo la sensazione che anche quel sogno fosse una parte della mia personalità a cui avevo diritto, e che non potevo lasciarmi sfuggire: che dovessi conoscerlo, se volevo sentirmi finalmente una persona completa e armoniosa. Alle cinque mi sentivo di nuovo gonfia, avevo nausea e un po' di vertigine. O erano solo fantasie? Per cinque minuti ho vissuto l'angoscia di tutte quelle ragazze che s'accorgono con terrore di aspettare un figlio non desiderato. Credo di essere affatto sprovvista d'istinto materno e me lo spiego così: trovo che la vita è sostanzialmente un gran calvario e che tutti gli esseri umani sono infelici, quindi non voglio prendermi la responsabilità di aumentare il numero di quegli sventurati. Più tardi: ho acquisito qualche merito eterno nei confronti dell'umanità: non ho mai scritto un cattivo libro, e non ho il rimorso di aver aggiunto un altro infelice a quelli che già vivono su questa terra. Di nuovo m'inginocchio sul ruvido tappeto di cocco, con le mani che coprono il viso, e prego: Signore fammi vivere di un unico, grande sentimento - fa' che io compia amorevolmente le mille piccole azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore. Allora quel che farò, o il luogo in cui mi troverò, non avrà più molta importanza. Ma non sono ancora affatto a questo punto. Oggi inghiottirò venti pillole di chinino, non mi sento proprio tanto bene a sud del mio diaframma.

4 dicembre [1941], giovedì mattina, le nove Una notte d'amore spenta in pillole di chinino e, se possibile, anche in cognac bollente. Si potrebbero usare parole ciniche per parlarne. Ci sono persone che passano la loro vita intera a inventare e diffondere espressioni ciniche. Io non ne sento ancora il bisogno; forse perché stamattina un caro viso mi osservava da sopra i cuscini, dicendomi: “Il mio piccolo agnello”. E tutto andava di nuovo bene. E adesso basta con le sciocchezze, tu, cosuccia inutile. La gran parte dell'energia e del tempo la sprechi in questo modo, scervellandoti e pensando a cose che non hanno alcuna utilità. C'è stato un tempo, il primo periodo della terapia con S., in cui neanche un minuto prima sapevi cosa avresti fatto il minuto seguente. E così vivevi intensamente ogni momento della giornata, perché non riuscivi a investire prima le tue forze in attività che sarebbero venute dopo. E ultimamente c'è di nuovo una mancanza di organizzazione in piena regola. Per esempio, giovedì sera, quindi esattamente tra una settimana a partire da oggi, il cieco Imre Ungár siederà al pianoforte nella nostra sala, e ci saranno venti persone. Dunque dovremo raccogliere venti sedie dai vari punti della casa e Leonie Wolff si occuperà della cioccolata calda e io delle tazze e Ungár della musica e l'atmosfera verrà da sé. Pronti. Tutto qua. Bellissima prospettiva. Una buon'azione. Alla stregua di una conventicola. Ma i miei pensieri continuano ad andare con ansia a quella sera: come dovremmo sistemare le sedie, e le persone si divertiranno, e devo ancora pensare ai fiori, e poi in realtà non ne ho proprio voglia; in breve: è comunque molto impegnativo... Oh, mi fai venire la nausea! Che perdita di tempo! Hai vissuto un periodo, e nei miei ricordi sembra un periodo glorioso e ricco di significato, quando lottavi con forza e con grande consapevolezza contro i sogni a occhi aperti di natura erotica su S., che ti distraevano dal tuo lavoro e divoravano le tue energie. Ti sei dimenata come una folle quando quei sogni ti hanno sorpresa durante il tuo lavoro, di notte sei saltata giù dal letto nel freddo e hai bestemmiato con te stessa come uno scaricatore di porto, e questo è servito. Allora hai pareggiato i conti, e, pare, una volta per tutte. E adesso devi ricominciare daccapo, riprendere la lotta contro gli arrovellamenti. Per esempio, sabato pomeriggio viene quel mercante di grani di Enkhuizen a imparare il russo. E mi sono già lambiccata il cervello chiedendomi se sono veramente in forma per insegnare a quell'uomo, e come, mentre so benissimo di poterlo fare. Etty, adesso che ne parliamo, devo ammettere di essere, onestamente, scandalizzata. E adesso di nuovo la pancia. In quante sale d'attesa di medici sono già stata nella mia immaginazione, in questi due giorni, e quante pillole ho già ingurgitato e quante agonie ho già vissuto: non mi meraviglia proprio, a questo punto, di non riuscire a lavorare bene. Una grande saggezza in quel semplice versetto popolare: Gli uomini soffrono spesso di più per il dolore che temono. Fino a lunedì o martedì non penserò più a quel mio folle ciclo, e poi si vedrà. Ma non devo neanche lasciar vagare quel pensiero nella mente. E per quel signore di Enkhuizen, mi preparerò con lo stesso impegno di sempre, ma non rifletterò neanche più su di lui, finché non mi starà davanti sabato pomeriggio. E che vestito mi metterò poi, e se andrò anch'io domenica a Bilthoven - ora mi sembra un'ottima idea, ora non voglio -, tutto dipende dal mio umore. Ecc. ecc. È una disorganizzazione scandalosa. Forse per questo ultimamente ho la sensazione di fare così poco e che il mio programma sia fittissimo e che non vi si possa aggiungere più nulla. In realtà, si può procedere diversamente, questo lo hai già sperimentato. Ragazza mia, che fiasco sei! Al momento, infatti, mi sento uno schifo e, da un punto di vista fisico, in una condizione penosa, ma questa è proprio la ragione per cui non devi mandare tutto in malora. Non c'è davvero niente di eccezionale nell'andare avanti con il lavoro, quando ti senti bene e in forma, ecc. In giorni come questi, di depressione, il tuo principale compito consiste nel dimostrare a te stessa di che pasta

sei fatta. Devi proprio compiangerti di meno e, se realmente immagini di dover ottenere risultati più che mediocri nella tua vita, devi cominciare a vivere diversamente. Igiene interiore e organizzazione; e non l'ozio e lo spreco di così tanto tempo. Venerdì mattina [5 dicembre 1941], le nove Sono molto soddisfatta di te, ragazzina. Appena io “metto mano con forza a me stessa”, le cose cominciano ad andare per il verso giusto. Non mi arrovello neanche più, ma lavoro e riesco ad affrontare molto bene la vita. Continua la burrasca nei sotterranei. Ci dev'essere ancora qualcosa che non va. Buona, cara e discreta Käthe che stamattina si è presentata con una bottiglia di cognac. Noi siamo esseri strani. Insieme alla depressione e alla preoccupazione per questa inattesa situazione, matura anche la stimolante sensazione di qualcosa di inusuale, appena percepibile. Adesso che ho proibito a me stessa di essere agitata, incredibile ma vero, non lo sono più. Ieri pomeriggio S. e la sera (FRASE RUSSA) "Una notte d'amore qui". Tremendamente in debito di nuovo con questi due amici. Buffo che le persone a me più vicine, i miei (FRASE RUSSA) “gli amici più cari” siano uomini ai quali mi rivolgo con il “lei”. Camminando nella nebbia ieri mattina, di nuovo questo stato d'animo: in fondo ho già toccato i limiti, è già successo tutto, ho già vissuto tutto, perché continuo a vivere? Ormai conosco tutto e non potrò più fare altri passi avanti, i confini diventano troppo stretti, e una volta che siano stati oltrepassati non mi rimarrà che il manicomio. Oppure la morte? Però non avevo ancora pensato a questa soluzione estrema. La miglior medicina è allora un po' di aridissima grammatica, o il sonno. E l'unica cosa che mi fa sentir realizzata in questa vita è perdermi in un pezzo di prosa, o in una poesia che io mi sia conquistata con fatica, parola per parola. Un uomo non è la cosa più importante per me. Forse perché ho sempre avuto tanti uomini intorno? A volte mi sento proprio come se fossi sazia di amore, in senso positivo voglio dire. La vita è stata davvero molto buona con me, sempre e anche ora. A volte è come se io fossi già passata attraverso lo stadio dell'“Io” e del “Tu”. È facile dire queste cose dopo una notte simile. E ora mettiamo nell'acqua i miei cari piedini. Persino questo traffico con un bambino non nato è una cosa impossibile per me. Ma finirà bene, vedrai. Di pomeriggio, le cinque meno un quarto È importante che non mi lasci dominare da quel che mi sta succedendo. In un modo o nell'altro deve rimanere un fatto subordinato al resto - voglio dire: non ci si dovrebbe mai lasciar paralizzare da una cosa sola, per grave che essa sia, la gran corrente della vita deve continuare a scorrere. Mi prendo ogni volta per mano e mi dico: adesso hai da preparare quella lezione per domani e stasera devi cominciare L'idiota di Dostoevskij - ma non come un capriccio, devi studiartelo pazientemente da cima a fondo. Come se fossi un salariato. Nel frattempo, farò i miei salti giù dalla scala e compirò quelle altre cerimonie con acqua bollente. Ho anche la sensazione che dentro di me si compia un mistero di cui nessuno sa nulla. Dopo tutto, sto partecipando a un avvenimento elementare. In questa situazione indubbiamente un po' penosa, constato in me una forte volontà di non lasciarmi metter sotto. Farò in modo che tutto vada a posto. E andrà a posto. Continua a lavorare tranquilla, non sprecare le tue forze. Con S. una passeggiatina frizzante, oggi alle due. Aveva di nuovo qualcosa di raggiante, qualcosa di un ragazzo. Irradia vero amore in tutte le direzioni, anche verso di me, e io lo rifletto a mia volta. Crisantemi bianchi. “Così nuziali”. Nel mio cuore gli sono fedele. Sono anche fedele a Han. Sono fedele a tutti. Per strada cammino accanto a un uomo con in mano dei fiori bianchi che paiono un mazzolino da sposa, e lo guardo in viso con occhi raggianti; e solo dodici ore fa ero fra le braccia di un altro uomo e gli volevo, e gli voglio, bene. È sordido? È decadente? Per me è tutto perfettamente in ordine: forse perché ciò ch'è fisico non m'importa, non m'importa

più molto. Si tratta di un altro amore, che si estende più lontano. O mi sto illudendo? Sono troppo vaga, anche nei miei rapporti con gli altri? Non credo. Come mai quest'ossessione improvvisa che sia tutto sbagliato? In realtà non esiste alcun fine. Non ci si deve prefiggere nessuno scopo al di fuori di se stessi. Ogni istante di questa vita deve essere un fine in sé. La realizzazione di se stessi: questo è il fine, mentre si raggiungono le altezze solo a tratti. E poi continuare. Credere che si sta andando da qualche parte e non voler scorgere a tutti i costi un fine ultimo. Cerca di rimanere onesta nei confronti degli uomini della tua vita, ragazzina, anche se pure qui regna il caos. Il commovente Pa Han, Han che ha appena portato la mia brocca di acqua calda nel bagno. Dobbiamo andare avanti insieme, e quando mi coglie l'irritabilità non devo farla pagare a lui. Sabato mattina [6 dicembre 1941], le nove e mezzo Innanzitutto mi accarezzerò il mento, in modo da farmi coraggio per questa giornata. Al mio risveglio, stamattina presto, per un momento quell'oppressione di piombo, quell'irrequietezza nerissima senz'ombra di sensazionalismo. In fin dei conti, non è una piccolezza. Mi sembra di salvar la vita a un essere umano. No, è ridicolo dire che io salvi la vita di una persona mentre cerco di eliminarla con tutte le mie forze. Voglio risparmiarle il dolore di percorrere questa valle di lacrime. Rimarrai nella condizione protetta di chi non è ancora nato e sii riconoscente, essere in divenire. Provo quasi tenerezza per te. Ti attaccherò con acqua bollente e con orribili strumenti, ti combatterò con pazienza e costanza fintanto che non ti sarai di nuovo dissolto nel nulla, e allora sentirò di aver compiuto un'azione buona e responsabile. Non ti posso certo trasmettere forze sufficienti, troppi germi di malattie ereditarie si aggirano per la mia famiglia. Ho assistito poco tempo fa alla scena di Mischa, che in uno stato di totale confusione era stato portato a forza in una casa di cura, ho giurato allora che dal mio grembo non nascerà mai un essere altrettanto infelice. Purché non duri troppo a lungo. Altrimenti mi verrà un'angoscia terribile. È passata solo una settimana e già sono stanca e stufa di tutti quei provvedimenti. Ma ti sbarrerò l'ingresso a questa vita, e non dovrai lamentartene. Programma (a parte tutto il nobile lavoro da fare per salvare l'umanità): pensare ancora a come mostrerò chiaramente la pronuncia delle lettere russe a quell'abitante di Enkhuizen; trascrivere quelle brevi annotazioni di S. stenografate; fare lezione per un'ora; fare la spesa; stasera musica e domani Bilthoven. Cercherò di trovare l'entusiasmo per andarci. Fisicamente mi sento molto male, spero che non peggiori. Da Suarès: “L'intuizione è il cuore che vede nelle tenebre”. Sabato sera, mezzanotte Posso ovviamente esprimerlo in termini da scolaretta: è stato un giorno delizioso. Delizioso! Vorrei poter far cadere in mille pezzi queste parole; così poi tutti i frammenti insieme rifletterebbero la giornata. Capisco un po' Paul van Ostaijen che gettava a casaccio le parole su una pagina. A dire il vero, quello è il mio unico problema: come esprimermi. Trovare la mia forma. La voce di Tide, squillante e ferma, è esplosa nell'aria, e allo stesso tempo risuonava nel mio orecchio la voce bassa e triste di Clara al telefono, che proveniva da un mondo completamente diverso. La tenda rossa e il corpo spigoloso e impacciato di Glassner al nobile, aperto strumento. Buona notte, adesso. Domani Spier con l'harem e Glassner a Utrecht. Mi chiedo come andrà. QUADERNO IV 8 dicembre 1941-25 gennaio 1942

8 dicembre 1941, lunedì mattina, le dieci Ieri sera dai Vasseur, la madre baltica concitata e il padre che già nella prima ora ha sparato tutte le sue cartucce sciorinandoci le esperienze interessanti della sua esistenza. In piedi al centro della stanza, S. canta; un uomo se ne sta in piedi al centro di una stanza e io mi arrovello al punto da sentirmi male e sbatto contro un blocco di inflessibile granito: come posso descriverlo? D'altronde, conosco quest'uomo come le mie tasche; come posso descriverlo, come posso esprimere tutto questo? È l'eterna domanda. Vorrei poter dipingere una scena simile: uno spazio ristretto e lui che vi sta al centro. E all'improvviso spingo/sbatto una porta, che si apre e mostra uno spazio più grande. Quindi apro una seconda porta e un'altra ancora. Si rivelano spazi con molte porte e pure quelle vengono aperte. L'uomo sta ancora là al centro, ma lo spazio che lo circonda si fa sempre più ampio, con varchi sempre nuovi; a volte un vento soffia tra le porte aperte, altre volte infuria una tempesta, alcune porte si chiudono sbattendo, altre si spalancano. Me le vedo davanti con chiarezza, ma come descrivere una cosa del genere? Insomma, S. sta in piedi al centro della stanza. Ieri era d'un tratto pallido come la cera e così bello. Bello, dico. Povera lingua mia! Bello; naturalmente non era bello. Mentre lo guardavo di lato, il suo collo sembrava così giovane. E questo ha reso di colpo l'intero uomo tanto attraente che mi sono di nuovo innamorata. Ma questo adesso non c'entra. Il punto è quel maledetto blocco d'inflessibile granito. Vi giravo attorno di nuovo, dubbiosa e inerme, e non sapevo come affrontarlo; come scolpirvi figure e con quale strumento. Devo ricominciare tutto daccapo. Mi sembra di non aver mai letto neanche un libro, mi sento smaniosa, febbrile e inquisitoria: tutti quei maestri, come hanno creato, ognuno a proprio modo, una nuova realtà? Ebbene, S. se ne sta in piedi nella stanza, grandeggia al centro della piccola stanza. Io gli giro attorno e cerco di trovare le diverse vie d'accesso. Diciamo: Tide è una porta, e se riesco ad aprirla, si mostra uno spazio piacevolmente ampio; Dicky è una piccola porta; a Londra c'è una ragazza con occhi neri melanconici, che scrive su un bloc-notes “solo per te e per me”, ed ecco che lui si getta d'un tratto su una donna e su Tommaso da Kempis. Ci sono cento porte. Non credo di poter fare qualcosa. Certo, sentire le cose, vederle con chiarezza nella mente, è un grande talento, ma ben diverso da quello di dare forma. E tuttavia quest'istinto è molto forte. Devo ricominciare daccapo. Studiare, con tutti i miei sensi, quel grande miracolo che è la lingua. E tentare, ogni tanto, di incidere un piccolo segno in quell'inflessibile blocco di granito. Questo è stato il vero argomento di ieri. E non dimentichiamo lo sjmalénsk e il ragù di pesce e la passeggiata e il piccolo organista esule con il basco. Ecc. ecc. E poi la meravigliosa sensazione di benessere in quel paesaggio vergine formato da Tide, Adri e Gera con il loro vecchio, buon santo protettore, pure lui con il basco. Una sensazione da scolaretta, piacevole e tuttavia ricca di profondità, forse un po' meno edificante, ma questo non è grave. Sì, Etty, la vita è molto buona, è come se i contorni della tua stessa personalità divenissero sempre più saldi e netti. E adesso dovresti davvero cominciare una buona volta quella traduzione. E poi non dimenticare: stamattina alle sei è nato il bambino mai nato. Aveva solo dieci giorni. Per Käthe è stata un'avventura più rilevante che per me e Han, il caro, silenzioso Han, che in seguito ha confessato di essersi preoccupato molto più di quanto non mi avesse dato a vedere... Ecc. Durante la passeggiata sulle foglie bagnate: “Correre e cantare, questo innanzitutto e poi, più tardi, molto più tardi arriva la psicologia. Ci si libera di tante cose, correndo”. Di pomeriggio, le quattro Poco fa stavo un po' sonnecchiando sul divano quando d'un tratto, per un breve momento, ho avuto la sensazione indescrivibilmente gratificante che non ci fossero più abissi, ed ecco affiorare in me un nuovo senso: e il pomeriggio è stato limpido e liscio quanto uno specchio d'acqua ferma. Sembra adesso del tutto irreale, quel breve momento di perfetta pace. Al tempo stesso, però, ancora nel

dormiveglia, sapevo anche che la vita non è mai priva di cavità, caverne, profondità, e che non avrei mai voluto fosse simile a una piatta distesa. Non riesco a descriverlo, maledizione, non riesco a descriverlo. Mi sono svegliata e non ero ancora del tutto sveglia. C'è stato un istante in cui ogni pesantezza era scomparsa; la vita era così indescrivibilmente buona e leggera da sopportare, come se non fosse nient'altro che superficie, una lucente, bianca e ampia superficie, sotto la quale nulla si muoveva, nessuna profondità si celava. È stata quasi una breve visione. E all'improvviso l'ho saputo di nuovo: qualcosa che sia solo superficie semplicemente non esiste; ho capito all'istante che ciò era un bene. Le cavità e le spelonche in cui bisogna ogni volta discendere fanno parte della vita. Il mare. Una dozzina di poesie sul mare. Il mare che, in un pomeriggio d'estate di tanto tempo fa, sembrava un luccicante frammento di madreperla. Anche allora mi fece dimenticare per un attimo le sue ingannevoli profondità. Amata stufa, giorno grigio, pancia mugolante, vestito di lana, mano piccola e forte: la realtà dietro questa realtà visibile, e poi un'altra realtà mai raggiungibile, sempre sfuggente. Devi comunque concentrarti e studiare, in modo da afferrare la realtà più visibile, costringendola a mostrare la realtà che nasconde. Con le persone, a volte, ho la sensazione che siano troppo solide, che mi ostacolino la vista di qualcosa, e sento di volerle allontanare da me. Ma quale visione ti aspetti, se respingi tutto ciò che è materiale attorno a te? Speri di trovare così la vera realtà? Non dovresti allontanare la materia, ma cercare di guardarvi attraverso, di illuminarla con la tua comprensione in modo che diventi trasparente e ne emerga la realtà che vi si nasconde dietro. Non scacciare le cose visibili, altrimenti finisci in un vuoto, piuttosto illuminale. E devi fare lo stesso anche quando vuoi scrivere. Non trovi da nessuna parte un appiglio alle cose concrete della realtà quotidiana, le oltrepassi perché stai cercando un'altra realtà; l'unico modo, però, per andare avanti è attraverso il materiale, il tangibile. Se ignori questa realtà, a un certo punto cadrai nel vuoto, perdendo il tuo punto d'appoggio. E rimarrai là come un folle ubriacone. Giovedì 11 dicembre [1941], le nove e mezzo di mattina Devo solo alleggerirmi l'animo di un paio di cose ancora, anche se non ho molta voglia di scrivere. Ma conviene considerarla una misura igienica. Altrimenti mi riempio fino all'orlo. L'atmosfera di domenica ha continuato ad agire su di me per parecchi giorni. A ripensarci, mi sembra che sia dipeso principalmente dal fortissimo contatto tra S. e me, anche se in quell'occasione ci siamo scambiati pochissime parole. Solo in seguito mi sono resa conto di come quel giorno mi abbia avvolta il calore di tutto il suo essere. Il compimento è arrivato ieri pomeriggio quando fu necessario un altro contatto fisico, non si poteva fare altrimenti: era l'inevitabile conseguenza della vicinanza dei due giorni precedenti. Strano, eppure quella domenica io mi sono sentita più intimamente legata a lui, e più felice, rispetto a ieri pomeriggio, quando mi sono ritrovata quasi fatalmente schiacciata contro il suo pullover rosso fatto a mano. Sono accadute moltissime cose negli ultimi due giorni, quasi non posso descriverle tutte. Ma sto crescendo, mi sto plasmando. E il conflitto tra fantasia e realtà non è più così doloroso. Per un paio di giorni l'ho desiderato terribilmente, ero molto innamorata. Per un paio di giorni ho vissuto con intensità nella sua aura, senza toccarlo. E il momento del contatto fisico è sempre molto pericoloso per me: qualcosa del sogno esplode. Questa volta no. Che sciocchezza, a dire il vero. È una specie di tradizione considerare tali questioni le più importanti, ma per me non sono l'essenziale. E nel frattempo, ogni sorta di agitazione: Käthe che è nervosa e vuole andarsene, una conversazione con Hans e Pa Han, mal di testa, irrequietezza. Mi riprometto di scrivere ancora, se ce ne sarà motivo. Adesso, dopo tutto questo tempo, tornerò a sedermi sul pavimento della mia cameretta, nella speranza di trovare un po' di pace. Ieri è stata una giornata ricchissima. E già da alcuni giorni il mio cuore è straripante di pensieri e sentimenti. Una cosa dietro l'altra; bisogna assolutamente fermarsi a riflettere su se stessi almeno una volta al giorno, altrimenti tutto diventa insostenibile. Ieri mattina Rilke in Frankreich [“Rilke in Francia”] di Maurice Betz; ieri sera quella mezz'ora. In

realtà mi accade moltissimo. A volte sento di poter essere abbastanza ampia e aperta da accogliere tutto, assimilarlo e rielaborarlo. Ma ho anche l'impressione che mi sentirò in colpa se poi non restituirò nulla di quanto ora vado raccogliendo. Ieri sera da Claartje van Keulen. Al momento non so come venirne fuori, almeno non con le parole. Adesso vado a mettermi nell'angolo della mia camera finché non torna un po' di pace. Ieri mi ha salutata dicendo: In questi ultimi giorni lei mi è piaciuta moltissimo, credo che diventerà ragionevole. Adesso mi è rimasto ancora troppo dentro dei giorni passati. Di pomeriggio, le quattro e mezzo È un'altra brutta giornata: pessima organizzazione, mal di testa lancinante, che potrebbe essere causato anche dal clima umido e afoso. Insomma, non vivo ancora come si deve. Continuo a consumare più energie per il mio mondo interiore che per quello esterno. Per esempio, dell'Idiota ho letto finora solo dieci pagine, che hanno risvegliato in me una frotta di idee e pensieri, in realtà fin troppi vista la quantità di pagine. Devo leggere con maggiore costanza e concentrarmi. O, forse, al contrario, non devo fare niente. Il più piccolo stimolo dall'esterno a volte risveglia in me interi mondi. Dev'esserci maggiore equilibrio tra quello che produco internamente e quanto affiora all'esterno. Devo alzarmi adesso, sono le quattro e mezzo e sono a letto dalle due. Un pomeriggio come quello di oggi, passato a letto, mi fa sentire miserabile. Mi provoca sensi di colpa. Tutti lavorano e io me ne sto a letto. L'andirivieni affannoso di Käthe, sulle scale di casa, ha disturbato il mio sonnellino pomeridiano. Il che mi fa sentire un rifiuto della società. Per fortuna capita solo alcune volte, e c'è comunque una ragione: un paio di notti troppo tardi a letto, ieri una serata faticosa, mal di testa, ecc. È davvero sbagliato sentirsi in colpa per un pomeriggio come questo, non sono ancora abbastanza libera interiormente. Caro Signore, non posso invocarti per ogni piccola sciocchezza. Quell'unica volta in cui ti ho implorato con vera passione per un bisogno profondo mi dà ancora forza e continua ad agire su di me. I rami scuri frusciano contro la mia pallida finestra, ora indosserò il vestito nero e colorerò di rosso le labbra, poi arriverà l'ungherese cieco e il mio amico sordo e tante altre persone, e vediamo che cosa offrirà la vita. L'importante è che tu sia pronta a partecipare a ogni minuto di questa vita senza opporre resistenza, che tu non ti escluda, consapevole che non importa dove sei e che cosa stai facendo, se hai Dio in te - e adesso in piedi! Un po' più tardi Non appena mi dichiaro del tutto pronta a fare la mia parte, mi sento di nuovo bene. E ora mettiamo il lillà bianco nel vaso marrone che va sistemato dietro il pianoforte a coda. Venerdì mattina [12 dicembre 1941], le nove Ci si lamenta di come fa buio al mattino. Per me, invece, è spesso l'ora migliore del giorno - quando l'alba s'affaccia grigia e silenziosa alle mie pallide finestre. In quel grigiore e silenzio c'è allora una macchia luminosa e violenta, il piccolo abat-jour splendente che rischiara il grande piano scuro della mia scrivania. La settimana scorsa è stata proprio la mia ora migliore. Ero immersa nell'Idiota, traducevo solennemente qualche riga in un quaderno, aggiungevo una breve annotazione mia, e di colpo erano le dieci. Allora ho pensato: sì, così devi studiare, così assorta, così va bene. Stamattina una profonda tranquillità. Proprio come una tempesta che s'è calmata. Mi accorgo che questo stato d'animo si ripete ogni volta: dopo giorni di vita interiore terribilmente intensa, ricerca di chiarezza, doglie patite per sentimenti e pensieri che non sono affatto pronti per nascere, enormi pretese da parte mia, e la ricerca di una piccola forma propria che diventa di un'importanza capitale,

ecc. ecc. ecc. - ecco che poi tutto quest'affanno, improvvisamente, mi cade di dosso; il mio cervello è piacevolmente stanco, c'è bonaccia di nuovo, sento quasi una sorta di dolcezza anche verso me stessa, e su di me cala un velo attraverso cui la vita filtra più mite, e spesso più ridente. Sento allora di essere tutt'uno con la vita. Inoltre: che non sono io individualmente a volere o a dovere fare questo o quello, ma che la vita è grande e buona e attraente e eterna - e se tu dai tanta importanza a te stessa, ti agiti e fai chiasso, allora ti sfugge quella grande, potente, ed eterna corrente, che è appunto la vita. È proprio in questi momenti - e quanto ne sono riconoscente - che ogni aspirazione personale mi abbandona, la mia ansia, per esempio, di conoscere e sapere si acquieta, e un piccolo pezzo d'eternità scende su di me con un largo colpo d'ala. E lo so, lo so bene che questo stato d'animo non dura a lungo: magari è già passato dopo mezz'ora, ma nel frattempo ho potuto di nuovo attingervi forza. E che poi questo senso di gran respiro e dolcezza sia dovuto alle sei aspirine prese ieri a causa di un forte mal di testa, o alla musica suonata da Mischa, oppure al caldo corpo di Han nel quale mi sono completamente seppellita stanotte - chi lo può dire, e che importa? Questi cinque minuti sono ancora tutti per me. L'orologio ticchetta dietro le mie spalle. I rumori in casa e in strada sono come una risacca lontana. Una lampada rotonda bianca nella casa dirimpetto s'intravede nel livore di questa mattina piovosa. Mi sento, alla mia scrivania, con la sua grande superficie scura, come su un'isola deserta. La bruna ragazza marocchina guarda fuori nella mattina grigia, coi suoi seri occhi scuri che sono animaleschi e limpidi al tempo stesso. E che importa se studio una pagina di libro in più o in meno? Purché tu viva dando ascolto al ritmo che ti porti dentro - a ciò che sale dal fondo di te stessa. Gran parte del tuo comportamento è una forma d'imitazione, oppure risponde a doveri inventati, o a preconcetti errati su come una persona debba essere. L'unica sicurezza su come tu ti debba comportare ti può venire dalle sorgenti che zampillano nel profondo di te stessa. E io lo dico ora con tutta umiltà e riconoscenza e sincerità, anche se so bene che tornerò a essere suscettibile e ribelle: Dio mio, ti ringrazio perché mi hai creata così come sono. Ti ringrazio perché talvolta posso essere così colma di vastità, quella vastità che non è poi nient' altro che il mio esser ricolma di te. Ti prometto che tutta la mia vita sarà un tendere verso quella bella armonia, e anche verso quell'umiltà e vero amore di cui sento la capacità in me stessa, nei momenti migliori. E ora presto a sparecchiare la tavola della colazione e a preparare ancora un momento la lezione per Levi - e devo anche mettermi un po' di colore sulla bocca. Un po' più tardi Una citazione tratta da Suarès su Dostoevskij: “Amor vitae: questa non è ancora l'espressione giusta. La vita non è né così grande né così potente come l'amore. Egli si attende dall'amore la bellezza perfetta, quella che il nostro anelito si è ripromessa. Non amor vitae, ma piuttosto vita amoris: ecco il fondamento ultimo in Dostoevskij. Tocca all'amore creare la vita e salvarla. I migliori vivono esclusivamente a questo scopo. E l'amore più puro è amore che tutto trascende”. Questo libriccino di Suarès sembra proprio fatto per S. Avrebbe potuto scriverlo lui di suo pugno. Userò questa settimana per ricopiarne alcuni brani in modo da poterglielo regalare a Natale. La sensazione che tutto ciò che riguarda te stessa non sia poi così importante non è rassegnazione né fuga, e neppure una consolazione per il fatto che non riesci a raggiungere il tuo obiettivo. Ti dà invece maggior forza per portare avanti il tuo lavoro, non ti indebolisce, piuttosto ti stimola. Del resto, è così che l'ambizione personale scompare, le tue piccole invidie ti abbandonano e la tua assertività inizia a sembrare tanto infantile, debilitante e pretenziosa. Cerca allora di mantenere una visione il più possibile aperta e libera della vita, senza sbarrare l'accesso alle tue banalità e piccolezze personali. Devi piuttosto continuare a cercare la tua strada attraverso le banalità che ti riempiono fino all'orlo, sicché non riesci quasi a credere di potertene un giorno liberare, se davvero vuoi imparare qualcosa della vita e delle persone. Parli sempre in modo vago di “vita”. So che cosa intendi, ma non puoi provare a descriverla, una buona volta?

Mi rendo conto d'un tratto di quanto mi siano comunque care queste mattine grigie. Scivolo dolcemente attraverso la giornata e il mio lavoro, perlomeno adesso. E non a strattoni, ma come se non ci fossero resistenze da sconfiggere. Scivolare e fluire attraverso la giornata, attraverso il mondo intero, attraverso la vita. Di sera, le otto C'è un solo posto dove il mio cuore si gonfia, là sull'Apollolaan, quando ho già alle spalle la Stadionkade. Allora il mio cuore si allarga, immergo la testa nell'aria ed è ogni volta una sensazione molto particolare. Mi sento d'un tratto colma di uno straordinario entusiasmo, forse anche perché il vento talvolta mi soffia proprio dritto in viso e io mi reggo forte alla mia bicicletta, che sento sotto di me come un cavallo da domare. Mi sorprende sempre, quest'amicizia con lui. Così come scoprire che significo qualcosa per lui. “Poverina, si è annoiata tanto con Ungár o qualcosa del genere. “Quando c'è lei, non mi annoio mai, mi basta guardare il suo volto per sentirmi bene”. Per come è fatto lui, queste sono parole estremamente carezzevoli. Per un momento, ecco di nuovo la gelosia... ma solo per un momento. Lui aveva passeggiato un po' con Dicky, ancora sotto l'effetto della musica di Mischa. E Dicky gli aveva detto, rientrando a casa: “Resti ancora una mezz'oretta con me. Non ho ancora voglia di andare a letto”. E allora quel pensiero lancinante: com'è andata la notte scorsa? È successo qualcosa? E con “succedere” intendo probabilmente carezze o qualcosa del genere. Ma mi sono ripresa immediatamente. Non essere così meschina e curiosa, lascia che ciascuno viva la propria vita, e non abbandonarti subito a terribili sospetti, perché con questo atteggiamento daresti di nuovo peso a cose che non sono importanti. Sai com'è lui, e la sua vita è un libro aperto per te, ecc. In un paio di minuti quella gelosia era sconfitta. È come se la nostra amicizia stesse diventando sempre più intima, forte e stabile. Oh, già, volevo anche scrivere questo. Tutte le carezze di mercoledì pomeriggio erano il necessario corollario del calore e dell'amicizia accumulati nei giorni precedenti, ma non erano la cosa più importante. L'aspetto più rilevante è stato il seguente: lui stava leggendo le lettere di Abelardo ed Eloisa, e con mio stupore lo impegnavano molto, anche se a un certo punto ha cominciato a trovarle alquanto noiose. Allora ho detto che pensavo fosse comunque nobile da parte sua continuare a leggerle lo stesso, pur avendo così poco tempo. Lui, un po' sorpreso: Ma è naturale, e poi ha aggiunto: Non riesco a non finire un libro, lo trovo troppo irrispettoso, o qualcosa del genere. E di colpo ho riconosciuto con evidenza in lui la fedeltà, la fermezza e la costanza che mette in tutto ciò che fa, grazie alle quali la sua vita procede inarrestabile come una forte corrente. Fedeltà non solo nei confronti delle persone, ma anche dei libri, delle cose e delle idee. E il modo in cui ha detto, con un unico slancio di bontà e calore: Sì, naturalmente leggo fino in fondo il libro che ho iniziato, ha di nuovo contribuito al mio sviluppo. Così lui concorre alla mia formazione, ogni volta, con una parola buttata lì, ma anche con il suo stile di vita. A mio avviso questo è più essenziale, importante e ricco di valore degli interludi erotici. Devo ammetterlo di fronte a me stessa con grande chiarezza, perché oggi, per consuetudine e a causa di un'educazione romanzesca, si tende a sopravvalutare quei momenti. Di sera, presso la stufa In realtà sto crescendo in ritardo. Leggo dall'età di dodici anni ma probabilmente in maniera eccessivamente passiva. Forse ho letto troppo finendo per assuefarmi. Ogni cosa informe e indistinta, a dismisura. Sommersa e sprofondata, persa e sognante. Era l'idea di “oh-sì-leggere”. La sensazione di potersi esprimere allo stesso modo, l'idea di averlo già possibilmente vissuto. Soltanto ora, ora che ho ventisette anni, inizio a leggere in modo più consapevole, con maggiore indipendenza, per così dire, tutto quello che mi capita. Anche le figure degli scrittori emergono con contorni più netti.

Per esempio Rilke. Un solo verso d'un tratto è per me più essenziale di... già, di che cosa? Per mesi ho vissuto di alcuni versi del suo libro su Rodin. E Dostoevskij: mi ricordo ancora come l'ho letto è stato durante le vacanze di Natale? - a casa. Finché non mi sono sentita frastornata, esausta e intontita da quelle centinaia e migliaia di pagine, l'una dopo l'altra. E adesso ogni tanto un paio di pagine, ma che riesco attivamente a ricreare, portandomele dentro per giorni. Probabilmente le ragazze si sviluppano in modo diverso dai ragazzi. Un ragazzo che viva al mio stesso livello di intensità intellettuale riesce a rielaborare quello che legge magari già a diciotto anni, con consapevolezza, principalmente con la testa. Nelle ragazze la maturazione emotiva e quella intellettuale procedono forse più in parallelo. Ora che sto raggiungendo la maturità spirituale, mi accorgo che sono più consapevole nei miei studi, quasi più creativa, anche se mi sembra di fare troppo poco e di lavorare troppo lentamente. La mia intuizione precede ancora di chilometri la mia conoscenza. Ma non posso forzare le fasi temporali, posso solo preoccuparmi di dividere il mio tempo nella maniera più disciplinata possibile. Ultimamente Dostoevskij mi perseguita, assestandomi colpi sempre nuovi. Nel bel mezzo del libro di Betz su Rilke m'imbatto d'un tratto in una citazione di Dostoevskij con la quale concludo questa giornata: “È un errore giudicare l'uomo come fa lei. Non c'è amore in lei, solo una severa giustizia; lei dunque è ingiusto”. Sabato mattina [13 dicembre 1941], le nove Ieri sera alle undici c'erano tre stelle nella cornice nera della mia finestra. Adesso c'è un sottile quarto di luna. Questa è l'ennesima mattina grigia in cui mi sono ritrovata alla mia pacifica scrivania, accanto al faretto di alluminio acceso. Dovrebbe essere vietato cominciare la giornata con il giornale e la radio. Questa mezz'ora è mia, tutta mia. Ci sono momenti in cui avverto molto intensamente questa sensazione: il momento è mio, tutto mio e il giorno può portare qualsiasi cosa, ma quest'attimo è ormai mia inalienabile proprietà. E poi penso solo a piccolezze; per esempio, alla burrascosa serata musicale da Leonie Wolff. A un tratto ho visto in un angolo, contro lo sfondo rosso scuro della tenda, quei fiori bianchi sul pavimento che se ne stavano lì a vivere quieti la propria vita. O all'unico inerme gesto infantile di Mien Kuyper quando si è fermata ad aspettare nel corridoio, quella sera a casa di Ungár, perché non sapeva se andarsene o rimanere. Quella donna è una martire del talento di Mischa. Certo, si potrebbe pure dire che è solo una vedova isterica dai capelli biondo paglierino con un'idea fissa. Ma quel gesto commovente fa anch'esso parte dell'immagine della persona. Ieri sera a letto mi sentivo di nuovo come un piccolo vaso stracolmo di pensieri e sentimenti. Uno di questi giorni le cose cominceranno a fermentare in quel vaso. Che cosa non ho detto a quelle tre stelle! E da quale posto del mondo e attraverso quale finestra parlerò di nuovo a quelle stelle, pensando alla sera di ieri? È stato un bene che io abbia immediatamente sconfitto quel momento di sospetto. A volte mi sento responsabile per ogni soldato morto in Europa, e ieri sera d'un tratto mi sono ritrovata a piangere, ma forse non erano nient'altro che lacrime poetiche. Mettiti a lavorare adesso; ti ci vorrà ancora molto tempo prima di riuscire a scrivere tutto quello che vorresti su questo tema. Voglio annotare ancora una frase tratta dal libro di Maurice Betz: “Ma so che una sera, quando cominciai a leggere quel libriccino, la lontana cavalcata dell'alfiere Christoph Rilke per le pianure ungheresi mi apparve a un tratto più reale della guerra che stava sconvolgendo l'Europa”. È un bene avere simili momenti poetici e sognare, ma non bisogna lasciarsi andare, perlomeno non io, non ancora. A fronte di ciò ci deve essere concentrazione e lavoro disciplinato, altrimenti ci si indebolisce e si diventa fiacchi. Programma per oggi: L'idiota - la ricerca delle parole, una per una, sta richiedendo più impegno linguistico di quanto non immaginassi; fare lezione di pomeriggio, poi stasera copiare altri brani da Suarès e dal Rilke di Betz. E questo è proprio il minimo. Prima però rigovernare la tavola della

colazione e, ah già, andare a prendere la grammatica da Hillie. E adesso in marcia. Questa mezz'oretta è stata tutta mia. Sono quasi le dieci meno un quarto, la luce del giorno si fa sempre più chiara ma non posso ancora fare a meno della lampada. Le undici e mezzo Per quanto riguarda L'idiota, con il quale non ho proceduto speditamente per via di difficoltà linguistiche, sono tentata di lasciar prosperare rigogliosa la mia fantasia su quel poco che ho letto: bisognerebbe accostarsi a un libro come ai propri simili, cioè senza idee preconcette o pretese. A volte, già dalle prime pagine, ci si forma un'idea dell'opera e si rimane attaccati a tale immagine; non si vuole prendere distanza da essa e ciò va spesso a discapito delle intenzioni dell'autore. Alle persone bisogna garantire la massima libertà, e così a un libro. Ogni espressione usata da una persona o presente in un libro può improvvisamente gettare una luce nuova su tutto l'insieme e distruggere quella data immagine che ci eravamo fatti e le certezze che essa ci aveva dato. (Nel diritto: la giustizia sacrificata alla certezza giudiziaria, perché anche questa certezza è un bene prezioso per l'umanità). Noi ci formiamo determinate immagini di ciò che ci circonda per avere delle certezze, in questa vita caotica e in perpetuo movimento, ma così facendo sacrifichiamo la vita vera in tutte le sue sfumature e i suoi lati inaspettati, e in realtà non le rendiamo giustizia. La vita non può essere costretta in un sistema. E neanche una persona. O la letteratura. A questo sistema, spesso costruito faticosamente, vengono sacrificate troppa realtà e troppa verità. Forse però è meglio lasciar fuori dal discorso la parola “verità”, in questo caso. La tendenza dell'uomo a sistematizzare, per poter comporre le molte contraddizioni in una struttura unitaria, è anch'essa reale, è un impulso autentico. E ogni volta occorre arrivare a un sistema, per sfuggire al caos. Ma è anche necessario lasciare che le cose vadano avanti da sé. Adesso sono le undici di sera e quando scruto la mattina attraverso le ciglia, essa appare molto distante. È come se, dopo aver attraversato un fitto bosco, mi fermassi a guardarmi intorno cercando il posto da cui sono partita, e in lontananza riuscissi a scorgere una luce familiare e cara. Quella della mia piccola lampada nel mattino grigio. È stato un giorno tanto lungo. Ho camminato attraverso questo giorno in maniera molto equilibrata; in realtà bisognerebbe trascorrere ogni giornata così: andando incontro alla sera, crescendo e maturando sin dal mattino. E come un frutto stanco adesso cado dallo stelo del giorno. Il forte stelo del giorno. E cado nel recesso scuro della notte. Dal dritto/forte/scivoloso gambo del giorno nel cesto misterioso della notte. E ci sono le volenterose braccia e gli occhi blu di Han, ma questo è qualcosa di troppo concreto. Sono già avvolta nei veli del sogno. Una capsula oscillante. Un viso emaciato da uccellino e vivaci occhi blu chiaro, provenienti da Enkhuizen. Le Telemann-Variationen di Reger e Mischa che chiede a Dicky: Lei scrive poesia, immagino? Buona notte. Domattina: traduzione. Eppure, mentre sono così isolata dal mondo esterno, dagli oggetti di questa camera, dall'uomo là dietro alla sua scrivania, queste stesse cose sembrano vivere dentro di me una vita limpida come il cristallo. È una sorta di esclusione dal mondo esterno, un essere avvolti in veli, ma a dispetto del sogno e dello stato onirico, dentro di me tutto è di una chiarezza quasi matematica. E adesso, davvero, buona notte. Domenica mattina [14 dicembre 1941], le nove Di nuovo la piccola lampada e fuori è ancora quasi buio. Resterà sempre così? Io scorro come una piccola barca sull'oceano dell'eternità. Martedì sera alla sua lezione, non appena si è accennato ai pastori e ai poteri magnetici che spesso hanno - il che è abbastanza comprensibile, perché la loro forza primigenia non è stata ancora

corrotta -, lui ha detto, con uno scintillio di estasi nello sguardo: “Oh certo, i pastori, ma essi vivono in tutto e per tutto nella natura, hanno un legame strettissimo con la natura” e le lacrime gli hanno attraversato l'antico paesaggio striato del viso come ruscelli cristallini di montagna. Ieri sera, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel mezzo di questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto spontaneo: spinta a terra da qualcosa che era più forte di me. Tempo fa mi ero detta: mi esercito nell'inginocchiarmi. Esitavo ancora troppo davanti a questo gesto che è così intimo come i gesti dell'amore, di cui pure non si può parlare se non si è poeti. Qualche volta ho la sensazione di avere Dio dentro di me, aveva detto un paziente a S., per esempio quando ascolto la Matthäus-Passion. E S. aveva risposto all'incirca che “in quei momenti lui era in contatto diretto con le forze creative e cosmiche che operano in ogni persona”; e che “questo principio creativo era in definitiva una parte di Dio, si doveva avere solo il coraggio di dirlo”. Queste parole mi accompagnano già da settimane: si deve avere anche il coraggio di dirlo. Avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio. Una volta S. mi ha detto che ci aveva messo molto tempo, come se ci avesse trovato sempre qualcosa di ridicolo. “E prego anche alla sera, prego per delle persone”. E io gli avevo chiesto con la mia solita faccia tosta, e con la pretesa di voler sapere tutto quanto: che cosa dice quando prega? Lui era rimasto tutto imbarazzato - e poi quest'uomo, che sa sempre rispondere in modo chiaro e trasparente alle mie domande più sottili e più intime, mi aveva risposto timidamente: questo non glielo dico. Per adesso no. Più tardi. Ogni tanto mi chiedo come mai questa guerra, con tutte le sue implicazioni, mi tocchi così poco. Forse perché è la mia seconda guerra mondiale? La prima l'ho vissuta, violentemente e intensamente, attraverso la letteratura del dopoguerra. Ribellione, avversione, passione, discussioni, giustizia sociale, lotta di classe, ecc. ecc., tutto questo l'abbiamo già vissuto una volta. Ricominciare una seconda volta non va. Diventa un cliché. Naturalmente ogni paese prega di nuovo per la sua giusta vittoria, e sono ricomparsi tutti gli slogan; ma ora che viviamo questa situazione per la seconda volta, sarebbe troppo ridicolo e insulso se ci lasciassimo prendere dall'agitazione o dalla passione. Ieri sera, nel bel mezzo di una conversazione, ho detto a Hans, che ha ventun anni: questo dipende dal fatto che la politica non è la cosa più importante per te. E lui: non c'è bisogno di parlarne tutto il giorno, è comunque la cosa più importante. Tra i suoi ventun anni e i miei ventisette ci passa già una generazione intera. Ora sono le nove e mezzo di mattina, Han russa là dietro con un suono piano e familiare, nella stanza in penombra. La mattina domenicale grigia e silenziosa sta crescendo e facendosi giorno chiaro, il giorno continuerà a crescere diventando sera, e io cresco con loro. In questi ultimi tre giorni è come se io fossi passata attraverso un processo di maturazione di anni. E ora, brava e disciplinata, di nuovo alla traduzione e alla grammatica russa. Ancora una cosa: da giorni mi sto preparando interiormente alla visita di Jaap. Le due di pomeriggio Catalogando i libri della biblioteca di S., ci trovo Das Stundenbuch di Rilke. Può sembrare paradossale, ma S. guarisce le persone insegnando loro ad accettare il dolore. Di sera, le undici e mezzo Cosa pensi della tempesta che infuria sulla casa, ragazzina? Dalla sicurezza della mia stanza non oserei mai esprimere a cuor leggero un giudizio sulla tempesta, non sarebbe giusto. Solo se sei in mezzo alla tempesta là fuori e la affronti, solo in tal caso puoi dire quanto la trovi grandiosa. So bene che non rimarrò sempre all'interno di queste mura sicure e familiari e non lo desidero neanche, ma lasciatemi restare ancora un po'. Non dimenticare Rilke che fu in Russia e ne ebbe sempre nostalgia! Com'è stato di nuovo ricco questo giorno, traboccante di esperienze interiori! Mio Dio, diventa quasi “disorientante”. Buona notte piccola lampada, adesso ti spengo, a domattina!

Lunedì mattina [15 dicembre 1941], le nove e mezzo D'un tratto il collo curvo su questa superficie nera, sotto il peso dei pensieri. Sarò mai capace di scrivere tutto? Ieri ho pensato questo: c'è una grossa differenza tra il piacere sensuale che si prova nel cercare la sofferenza e l'accettazione della sofferenza in quanto tale. Il primo è un masochismo malato, la seconda, in realtà, è una salutare accettazione della vita. Non c'è neanche bisogno di cercarla, la sofferenza, ma là dove essa ci si impone, non dobbiamo tentare di evitarla. E ci si impone a ogni passo, eppure la vita è bella. Si soffre di più giocando a nascondino con il dolore e maledicendolo. Naturalmente ho pensato tutto questo in un modo molto diverso, ma lasciatemi avere almeno il coraggio di scrivere alcune incerte parole, che forse un giorno si tramuteranno in altrettanti appendiabiti imperfetti ai quali potrò infine attaccare dei pensieri più maturi. E un po' più tardi, durante il giorno, leggendo Suarès m'imbatto in quanto segue: “Il dolore non è il luogo del nostro desiderio, bensì il luogo della nostra certezza ... Non ritengo si debba fare della sofferenza un segno d'elezione. Bisogna piuttosto fare tutto il possibile per liberarsene. Ma bisogna conoscerla. Il vero uomo non è il signore della sua sofferenza, né tanto meno colui che la rifugge o che ne è schiavo: dev'essere il redentore della sofferenza”. E qui bisogna menzionare anche quanto scritto da Walther Rathenau nelle sue Briefe an eine Liebende: “Le ho detto ciò che penso della morte volontaria, e Le dirò ciò su cui non mi sono mai pronunciato; ma poi non voglio più né parlarne né sentirne parlare. Al tempo in cui Lei era appena nata, ho rimuginato anch'io per anni questo pensiero, che oggi però rifiuto categoricamente. Ritengo questa fine un'ingiustizia metafisica, un'ingiustizia nei confronti dello spirito. Una mancanza di fiducia nella Bontà eterna, una rivolta contro l'intimo dovere di obbedire alla legge universale. Chi si uccide, uccide; e non solo se stesso, ma anche un altro essere. Perché l'uomo non è un'isola. Questa morte, ne sono profondamente convinto, non è una liberazione come quella naturale e incolpevole. Ogni violenza nel mondo ha delle conseguenze, come ogni azione. Esistiamo per prendere su di noi un po' del dolore del mondo offrendo il nostro petto, non per moltiplicarlo facendo a nostra volta violenza. “So che lei soffre, e io soffro con lei. Sia indulgente con questo dolore, ed esso sarà indulgente con lei. I desideri e la collera lo accrescono; con la dolcezza esso si addormenta come un bambino. “Lei è così ricca di amore; lo rivolga tutto agli uomini, ai bambini, alle cose e alle sue sofferenze. Non si chiuda nella solitudine, non voglia essere sola; superi l'ostacolo, lo guardi negli occhi, non è nulla. “Non è nulla”. Le dieci e un quarto, tavola per la colazione, esercizi di russo. E tutto questo, anche se quel dolore dovesse dipendere a volte solo da un lieve raffreddore in una fredda mattina grigia e da una telefonata al dentista, o dallo stupore, a volte doloroso, di sentire quanti suoni striduli possano uscire la mattina dalle persone, anche da te. Martedì mattina, le nove, 16 dicembre [1941] Ieri, in un momento sgradevole, mi sono sentita improvvisamente del tutto alienata dai due giorni appena trascorsi, soprattutto da domenica: mi sono sembrati così irreali. Ma d'un tratto ho rivisto la domenica nella mia mente. Era un giorno che, come una nave tranquilla e maestosa, attraversava l'anno. Quell'unico giorno si staccava dal novero dei giorni e si condensava in un'immagine, una nave, che attraversava sognante, eppure molto sicura, il grigio ocea 282 no del tempo. E anche, per un attimo, l'immagine di un cigno tranquillo su un lago scuro. Grazie a queste immagini, il giorno è diventato di nuovo qualcosa di reale e non era più inafferrabile, e finalmente io ero in grado di assorbirlo dentro di me, dove adesso occupa il suo posto inalienabile.

Di una cosa sono sempre più certa: il verso di una poesia è altrettanto reale di una tessera per il formaggio o dei geloni. Altrettanto concreto. Dato che spesso, nella luce gelida del giorno, percepiamo i nostri momenti lirici, sognanti e creativi come irreali, finiamo a volte con l'esiliare troppe cose oltre il confine della nostra personalità, e soffriamo di una dissociazione, il che non deve necessariamente accadere, se cerchiamo di ampliare quei confini per accogliere ogni cosa. Bah, che vaghe ciance! Jaap una volta mi ha detto, con un tono molto ironico e un po' denigratorio, durante una conversazione sull'epoca attuale: Va bene, ma tu vivi come dentro un libro. Avrei ovviamente dovuto rispondere: E non è un libro tanto reale quanto un aeroplano? E come rielabori tu i libri che leggi? Dove custodisci tutte le esperienze interiori più profonde che, ne sono certa, fai anche tu? Non vuoi riconoscerle perché sono in netto contrasto con la cosiddetta dura realtà. Ma siccome non osi ammettere onestamente i tuoi momenti più irrazionali, e non vuoi riconoscere che essi hanno una parte altrettanto reale nella tua vita quanto la collezione di miseri fatti che consideri la “vera” realtà, non fai che impoverire e render sterile la tua personalità. Stai costruendo inferriate attorno a un arido e povero fulcro, mentre là fuori, intorno a esse e contro di esse si agitano i tuoi momenti irrazionali - be', in mancanza di una parola migliore, continuiamo per ora a chiamarli così - ai quali non concedi, però, lealmente e onestamente, diritto d'accesso. Tutto questo ha come risultato che, a volte, sui tratti del tuo viso ultracontrollati appaiono una ritrosia, una diffidenza e un'incertezza per le quali io provo una travolgente compassione. È qualcosa di molto triste. E questa resta per il momento la più recente prova della mia saggezza: un verso di Rilke è altrettanto reale di una tessera per il formaggio. Ancora qualcosa da Maurice Betz: Nell'agosto del 1902 Rilke si sistema per la prima volta in una camera d'hotel nel Quartiere Latino “e le sue prime lettere rivelavano la forza e l'intensità dei sentimenti da cui era travolto”. E poi questo frammento di una frase che d'un tratto ha spalancato in me spazi inediti e che ieri mi ha accompagnata per tutto il giorno: “Dopo l'incommensurabilità della vita russa, si trovava di fronte a un'altra incommensurabilità, quella fatta di volti”. Dopo la guerra, Rilke tornò a Parigi: “Arrivò da solo e, in un albergo anonimo, volle "ricominciare daccapo con Parigi", al pari del giovane che diciotto anni prima aveva preso alloggio in una camera ammobiliata in rue Toullier e là aveva fatto esperienza di Parigi, così come avviene in un apprendistato o in una malattia”. E prima che arrivi la mia giovane studentessa di russo, devo ancora annotare una cosa: l'ho trovata nella lettera dell'infermiera di Velp, lasciata in giro nel suo ufficio. Una tempesta di indignazione sincera. Nessuna gelosia. Pazienti che si affidano alle sue cure. Devo parlargliene. Forse non è come sembra. “Preferisco non venire più. Non è rimasto alcun effetto spiacevole. Trovo solo che sia un peccato e mi ha delusa”. A suo tempo “ha deluso” anche me, ma di certo non ha il tempo di annodare simili amicizie con tutti i pazienti sui quali riesce a mettere le mani, in modo che alla lunga essi capiscano quanto sia stato in realtà irrilevante quel momento sensuale con lui. D'altronde lui, un uomo di 55 anni che dice “vanità delle vanità, tutto è vanità: ma queste cose bisogna prima averle vissute”, non può certo pretendere da giovani donne, che sono piene di problemi fino ai capelli e che affidano a lui la loro anima, i sogni e tutto il resto, che abbiano raggiunto lo stesso stadio di maturazione o anche solo che possano comprenderlo. Il suo compito è esattamente quello di controllarsi nei confronti dei pazienti. Devo davvero parlarne con lui; sono infastidita, non per la mia persona ora, ma per il suo lavoro. Di sera Ammetti adesso che sei stanca.

Le cose si possono anche dire in maniera concisa. Ho riscoperto il pensiero del Grande inquisitore di Dostoevskij in una breve lirica di Rilke: Dicerie che ti presumono e dubbi che t'annullano. I poltroni e sognatori diffidano del loro stesso zelo e solo se vedessero sanguinare i monti crederebbero in te. Ma tu chini il capo. Potresti tagliare le vene alle montagne a prova del tuo potere; ma non ti interessano i pagani. E adesso torniamo velocemente a Suarès: “Non c'è ombra di allegria nel grande russo. L'immane e dolorosa comicità di Dostoevskij ti prende al cuore. Lebedev, Marmeladov, il vecchio Karamazov e molti altri ancora dall'ineguagliabile opulenza, che ricorda quella di Falstaff. Questa opulenza nasce dall'amore, come tutto il resto”. Stefan Zweig, l'uomo dalle troppe parole che si rivelano per l'appunto gratuite. Solo un paio di frasi dal suo discorso Abschied von Rilke [“Congedo da Rilke”]: “È stato in Russia affinché nella sua poesia risuonassero le campane del Cremlino, ha guardato Tolstoj negli occhi per conoscere quell'azzurro, capace di osservare a fondo e attraverso il quale erano passate, a migliaia, immagini di uomini e di destini umani”. Torniamo per un attimo a Het land van herkomst [Il paese natale] di Du Perron: A dire il vero, lo trovo un libro infantile. [Il paese natale: a essere onesti, lo trovo un libro di cattivo gusto. Come forma di autoanalisi, funziona fino a un certo punto; si scava e si scava ancora, ma senza arrivare mai al fondo delle cose. In questo senso, questa autogiustificazione è incompleta e fallimentare. E non raggiunge il livello della letteratura. Qui siamo di fronte a una forma di onestà che tuttavia non ha il coraggio di farsi letteratura, per via di un falso senso del pudore. Da una parte, nessuna vergogna, anzi quasi una spudorata analisi di sé; dall'altra parte, vergogna per la benché minima dimostrazione (Dio ce ne liberi) di emozione. E questa è probabilmente solo un'altra reazione alle patetiche parole d'ordine in auge all'epoca. Ma, reagendo violentemente contro di esse, è caduto vittima di un'opposta forma di estremismo e non ha centrato il segno della vera umanità] . E il resto è ancora troppo difficile. È passata una settimana da quando quel bambino non nato, dopo molta acqua calda, è venuto al mondo. Sembrano trascorsi anni. È proprio come se, dopo quella domenica a Utrecht, fosse iniziato in me con una sotterranea potenza un nuovo processo di crescita. Ed è come se questo stesse accadendo già da anni. Conservare la tua disciplina interiore anche nella stanchezza eccessiva. Mercoledì mattina [17 dicembre 1941], le otto e un quarto Mi sono di nuovo salvata grazie a un'immagine. Intendo dire questo: stamattina appena sveglia avevo un terribile malessere, ero stanca, ancora tormentata da frammenti di sogno che non si lasciavano catturare, avevo la testa chiusa e guardavo con svogliatezza alla mia giornata. E questo non sarebbe poi tanto grave, in sé, ben più straziante è il continuo bisogno di analizzare l'origine di quel malessere e, se cominci a farlo, ti ritrovi in un labirinto. In passato mi lasciavo immediatamente sconfiggere dal malessere: preferivo non alzarmi per niente e disertare senza indugio la vita. Ora invece mi sono eroicamente buttata sotto un getto d'acqua gelata, cercando di capire: che cosa

c'è che non va? Da che dipende? E all'improvviso, mentre mi lavavo, mi ha colta un'immagine, o comunque la si voglia chiamare, e mi sono detta: bene, sei di nuovo “nata dentro” al giorno. Questa volta è stato senza dubbio un parto difficile, passare dal buio grembo sicuro della notte al grigio giorno ostile. Prima l'ho chiamato “il caldo ventre della notte”, ma quest'espressione mi irritava per la troppa fisicità. E ciò mi ha d'un tratto liberata dal mio vago malessere, come alcuni giorni fa l'immagine della domenica che attraversava come una nave il mio anno mi aveva liberata dalla sensazione di essere fatta a pezzi e gettata ai quattro venti. E trovo interessante constatare che l'analisi, l'arrovellarsi sull'origine di quel malessere, non fa che immiserirmi, mentre un'immagine lirica - come l'ampio grembo sicuro della notte, dal quale io, dopo un'energica resistenza, nasco nel giorno - mi libera. Ciò che ora è rimasto del malessere è puramente fisico: un raffreddore in arrivo, stanchezza e un po' di mal di stomaco. Non è nulla. L'elemento più grave, il malessere psicologico, è rinchiuso in quell'immagine ed è sparito. Una sorta di processo chimico di purificazione; è molto interessante riuscire a rendersene conto lucidamente, per una volta. E adesso la colazione, come un lampo. Mi devo ricordare che ho annotato questo “parto” anche durante la lezione di Diritto penale, vicino alle finestre dai vetri colorati. Di sera: Ruth riceve regali dagli appassionati di teatro in una piccola città di provincia tedesca, e Hertha li riceve dalle prostitute, a un chiosco di libri di un parco londinese. La bionda stella dell'operetta ha ventidue anni e la bruna ragazza melanconica ne ha venticinque, la seconda è la futura matrigna della prima. La vera madre è “fidanzata” con un uomo di venticinque anni, e lei ne ha già cinquanta. Il suo ex marito, il padre, e futuro sposo, abita in due piccole camere a Amsterdam, legge la Bibbia e si deve radere tutti i giorni; e i seni delle molte donne che lo circondano sono come altrettanti frutti di un ricco frutteto, verso cui lui non ha che da allungare avidamente la mano. E la “segretaria russa” cerca di farsi un'idea di tutto questo insieme. Nasce un'amicizia che mette sempre più radici nel suo cuore incostante, la “segretaria” continua ancora a dargli del “lei”, ma questo serve forse a ristabilire la giusta distanza, che consente a sua volta di mantenere una visione d'insieme. Il desiderio insensato e appassionato di “perdermi” per lui s'è già calmato da tempo, è diventato “ragionevole”. “Perdermi” per una persona è sparire dalla mia vita; forse mi è rimasto il desiderio di “perdermi” per Dio, o per una poesia. Il gran cranio dell'umanità. Il suo potente cervello e il suo gran cuore. Tutti i pensieri, per quanto contraddittori, nascono da quell'unico grande cervello: il cervello dell'umanità, di tutta l'umanità. Lo sento come un unico, grande insieme e forse è di lì che mi viene di tanto in tanto quel profondo sentimento di armonia e di pace, malgrado le numerose contraddizioni. Bisogna conoscere tutti i pensieri e sentirci passar dentro tutte le emozioni, per sapere che cosa sia stato ideato in quell'immenso cranio, e che cosa sia passato per quel gran cuore. E così la tua vita è un passare da un parto all'altro. Forse dovrò spesso cercare il mio parto, la mia liberazione in un cattivo pezzo di prosa, così come un uomo spinto dal bisogno trova la sua liberazione in quella che, per esprimersi con nettezza, si chiama “puttana” - perché a volte si grida per partorire, in ogni modo. E adesso, per concludere, lasciatemi constatare, alle undici, che quel malessere e quella stanchezza, dopo il processo chimico di stamattina, sono completamente spariti e che io, soprattutto stasera, ho lavorato con maggior concentrazione che mai. Adesso mi ritiro nel posto da me chiamato un tempo l'“ampio rifugio dell'amore”, il divano doppio con il plaid blu, e Betz rimane per un po' con me e, ah già, devo aggiungere che la vita è comunque proprio singolare. Giovedì mattina [18 dicembre 1941], le nove e un quarto S. ha ricevuto una lettera minatoria dal fidanzato di sua moglie e io sto per salire di nuovo sulla mia bicicletta per andare a trascriverla. Odi, re, come la mia arpa suscita lontananze che noi attraversiamo?

Ho appena finito di trascrivere la lettera. Un saggio della mentalità contemporanea che, amo' di piccola fognatura puzzolente, sta improvvisamente attraversando la sua vita. E tuttavia ha una fonte da qualche parte. In questo contesto, tra le altre cose, ha detto: “Di quante cose dobbiamo ancora occuparci, vero? Assurdo! Eccessivo!”. Ma ogni cosa ha il suo perché e niente è eccessivo, tutte le reazioni che un tempo hai suscitato prima o poi ti ritornano indietro, e nessuna parola o gesto va perduto per sempre... E adesso dal dentista. La mattina sembrava tanto chiara e trasparente. O era solo perché c'era di nuovo una grande chiarezza in me? Venerdì mattina [19 dicembre 1941], le nove e mezzo A volte mi vagano nella testa frammenti in prosa, onesti e quasi maturi, ma solo il cielo sa dove stanno andando. Fermati un attimo. Perché ho incluso in questo diario la lettera di cattivo gusto di ieri, me lo puoi spiegare? A volte mi assale d'un tratto una smania febbrile: ovvero, devo raccogliere dati su di lui, accumulare materiale. Ricorderò in futuro le centinaia di gesti, parole, tutti i piccoli episodi che adesso ho a portata di mano? Posso già procurarmi piccoli appendiabiti, ma tutto questo non servirà a nulla. E ieri mi è presa di nuovo un'urgenza simile. E puntualmente rispunta quella lettera; ieri pomeriggio lui ha detto qualcosa del tipo: Credo che abbia preoccupato di più te che me. Ah, suvvia, penso a volte, la mia vita è tanto bella e buona, tante brave e care persone attorno a me, tanto lavoro, e in tante occasioni io posso fare del bene, e allora bisogna anche essere in grado di mandare giù una cosa spiacevole come questa. Oggi prenditela con calma, disse lei a se stessa con prudenza. Ieri il cuore ha cominciato a sbattere con sempre maggiore forza contro le inferriate. Adesso devi tenere te stessa sott'occhio, altrimenti finisci con l'uscire di nuovo fuori di testa. A questo punto la Freundin è stata più o meno assimilata. Trascrivi ancora quella nota stenografata sulla questione che riguarda la perdita di spontaneità attraverso l'acquisizione della coscienza di sé. “Acquistare coscienza di sé non significa naturalmente sapersi controllare in ogni singola azione e in ogni singola parola, ma con produttiva coscienza di sé si intende piuttosto che tutte le forze personali e produttive si affrancano dagli ostacoli del passato e del presente: da inibizioni, complessi di inferiorità, idee sbagliate, ecc. A tal fine sono necessari l'onestà verso se stessi e il controllo delle proprie reazioni e dichiarazioni. Ma questo controllo non si attuerà sorvegliando in modo concreto e immediato ogni singola azione e dichiarazione, quanto piuttosto procedendo a una quotidiana introspezione retrospettiva, grazie alla quale dovrà prodursi una metamorfosi graduale di tutte le energie inconsce, inibitrici e negative per l'essere umano. Di capitale importanza, inoltre, è impedire che il controllo si arresti alla vacua contemplazione autoriflessiva delle proprie reazioni, ma si cerchi invece, innanzitutto, di stabilire anche fino a che punto le nostre azioni si accordano con le conoscenze teoriche”. “Creare” non significa certo stenografare. Guadagnarsi l'ingresso nelle persone come in una casa, dove si entra e si attraversano tutti i corridoi e tutte le camere: ma quanto ci vuole per fare una cosa simile! Tutto quello che Malte necessitava per comporre una breve poesia. Ieri sera, Betz su Rilke: “Su FA., un poeta, Rilke scrisse: "Era un poeta e odiava il pressapochismo"“. Io stessa sto ancora nel bel mezzo della “vaghezza”, a volte in maniera grottesca: ma fermati adesso. In me c'è una montagna di sensazioni vaghe e pesanti, ma allo stesso tempo tendo eternamente ai contorni di una chiarezza classica. Betz continua dicendo: “Quando riusciva a recepire le feconde intuizioni del suo inconscio, nell'attendere alla propria opera

sapeva anche far uso dell'infinita pazienza dell'artigiano, avendo imparato da Rodin quanto poco servano l'amore della bellezza e il desiderio di essa, se prima non si sono approntate con un duro lavoro artigianale le condizioni specifiche che consentono loro di incarnarsi nelle parole o nelle cose”. Mi sono ricordata di quando, da innocente ginnasiale, ho scritto su un foglietto: “La Grazia, nelle sue rare apparizioni, deve unirsi a una tecnica ben educata”. E ora puoi finalmente andare a occuparti del tavolo per la colazione. Le undici meno un quarto La “filiale” del nostro ufficio è occupatissima al telefono; la filiale sono io. In merito a quella nota trascritta è appena arrivata per telefono la seguente aggiunta: “Uno psicologismo che, di fatto, inibisce la vita attiva e creativa: voler scorgere dietro ogni manifestazione o reazione uno sfondo o un sottofondo psicologico, nella totale assenza del momento etico o morale. “In ogni cosa scorgere una motivazione inconscia e perdere così il più profondo legame con la vita vera. “È quel che fanno non solo i freudiani, ma anche gli junghiani con i loro eterni anima e animus, ecc.”. Le undici e un quarto Sto di nuovo navigando a vele spiegate. Ieri mattina, nella sala d'attesa del dentista. Libro d'ore: Potrei spingere il mio versatile pensiero sino ai tuoi confini e possederti (l'attimo di un sorriso). Lo deduco dalle tue parole, dalla storia dei tuoi gesti con cui le tue mani sapienti e calde plasmarono il divenire demarcandolo …..................................................... …..................................................... Ma prima della prima morte accadde un assassinio …..................................................... …..................................................... E da allora balbettarono solo frammenti del tuo antico nome. Parla il piccolo pallido Abele. Credo a tutto quel che non è mai stato detto. Voglio sfogare la mia devozione. Sono troppo solo al mondo, ma non così solo da rendere sacro ogni istante. Sono troppo piccolo al mondo, ma non così piccolo da starti innanzi come cosa. ….......................................................... ….......................................................... Voglio specchiarti sempre in tutta la figura, mai cieco o troppo vecchio, per sostenere la tua immagine vacillante e greve. Voglio dispiegarmi e non starmene chino da qualche parte,

perché chino non sono più me stesso. Voglio che i miei sensi non mentano innanzi a te. Voglio descrivermi come un quadro indagato a lungo e da vicino, come una parola compresa bene. Lo vedi: voglio molto. Forse tutto: il buio d'ogni infinita caduta il baluginio giocoso d'ogni ascesa. ….............................................................. Gioisci di chi ti impiega come uno strumento. Non sei ancora freddo e non è troppo tardi per tuffarsi dove la vita serenamente si svela: negli abissi del tuo divenire. Ti edifichiamo con mano tremante atomo su atomo. Ma chi può compierti, cattedrale? So che a noi è lecito volerti, perché Uno una volta ti volle............................... …......................................................................... …......................................................................... Anche se non vogliamo: Dio matura. Dopo di che, ho dovuto farmi trapanare un dente cariato. Ma forse è questa la ragione per cui sono stata tanto irrequieta e ribelle per l'intero giorno, a causa della realtà di queste, già, poesie (la parola “poesia” è di per sé uno strumento troppo grezzo e al contempo abusato per racchiudere simili espressioni) lette su una sedia rivestita di velluto viola, nella sala d'attesa di un dentista. Non c'è niente oltre a quello che c'è. Ed è già tanto. Oltre a quello, comunque, non c'è davvero niente di più. Quel pomeriggio ventoso di primavera lungo la Stadionkade, alcuni giorni fa, dopo che avevamo comprato latte condensato in una profumeria, e mele renette gialle in una drogheria - oh, tempi mitici! -, abbiamo avuto una conversazione sulla letteratura o qualcosa del genere. Puoi dire che non c'è bisogno di leggere tanto, solo quando hai già letto molto. E poi S. ha detto più o meno: Non succede forse di ritrovare sempre e ovunque gli stessi pensieri e gli stessi sentimenti anche nella letteratura? E io, con un gesto di rassegnazione rivolto alla piana sabbiosa della Stadionkade: Eppure non c'è niente di più, di quello che c'è. E anche questa è una delle saggezze degli ultimi tempi. E per esprimere quello che intendevo dire, per metterlo in parole, ci vuole una bella fetta di vita. E adesso puoi davvero rimetterti al lavoro. Le quattro di pomeriggio Il giorno sta di nuovo galoppando via, vedrò di riafferrarne le redini. Il mio stato d'animo esaltato sta per cambiare di nuovo. Stasera Trude e Jaap. Nel giro di due minuti, Trude aveva già scoperto che qualcosa non andava con uno dei miei denti e che un bottone del mio maglioncino era diverso dall'anno scorso. Poi è arrivato Jaap, pallido e raffreddato, annunciando timidamente-cinicamente che i sei del suo gruppo stamattina erano tutti intervenuti su un paziente, il che formava la sua esperienza medica del giorno. Quando Trude e Jaap si guardano, c'è sempre sullo sfondo un letto: e adesso afferra le redini. Un

breve riposino. Un paio di calze più sottili e una gonna corta di velluto nero, almeno questo darà un po' di soddisfazione a Trude, alla sua capacità di osservazione. Poi solo un po' di grammatica russa e dopo ritorniamo a Suarès. Mi sorprendo ogni volta a fare la stessa cosa: annoto a casaccio un paio di cosette su questo quaderno, poi decido di chiuderlo e di metterlo nel cassetto della mia scrivania, ma d'un tratto resto come affascinata. Di colpo mi coglie il bisogno di annotare cose straordinariamente profonde, e la mia mano sinistra volteggia nello spazio come se volesse forgiare energicamente qualcosa dal nulla. Vai a dormire adesso, tu, rovina della mia vita! Sabato mattina [20 dicembre 1941], le dieci Mentre facevo i piatti: e all'improvviso sei lì, rispecchiata dalla testa ai piedi in una breve poesia. Cosa significa una poesia per la signorina X: un peccato segreto e un piacere ingovernabile, con cui non sa come comportarsi nella luce fredda del giorno. Ma perché ne è così imbarazzata? S. direbbe: perché lei non “è ancora onesta con se stessa”. Il fatto che non si osi uscire allo scoperto per qualcosa fuori di noi significa non esporsi per qualcosa che è dentro di noi. Già, puoi ben parlare di “chiarezza classica”. Be', per il momento scribacchiamo qualcosa in questo quaderno. Stamattina un paio di stelle erano appese al cielo come lucidi frutti ai rami, scuri e spogli, dell'albero fuori dalla mia finestra. Vincent van Gogh, il grande cercatore del sole. Romain Rolland, il grande mediatore. I politici: coloro che dividono e dominano; i poeti: mediatori e servitori. Ieri pomeriggio, dalla mia sedia del dentista, ho chiesto improvvisamente a quel pazzo di Alfred: Capisci perché ci sono così poche domestiche ebree? E lui, senza esitazioni, come se ripetesse una lezione imparata a memoria: Sì, gli ebrei non vogliono servire per via del loro senso di inferiorità. Quel “non vogliono servire” mi è rimasto nella mente, ma in un altro contesto. Spero di trascorrere i due giorni di Natale mangiando il brodo di pollo di mamma e leggendo l'Apologia di Platone con papà. Ieri pomeriggio mi sono di nuovo inginocchiata sulla stuoia color oro (che è una copertura simile a un campo di grano), con la testa nascosta nel blu luminoso del plaid sul divano, e ho cercato di rinchiudere nuovamente i miei pensieri e sentimenti, che si agitavano davanti e attorno a me come orde/greggi selvagge, nella gabbia della mia interiorità. A volte le porte si spalancano per il vento e lei procede ricolma di poesia nella sua meditazione mattutina - e ogni cosa infuria all'esterno, e di volta in volta ci si deve raccogliere di nuovo attorno al proprio centro. Pascolare, come un buon pastore, il gregge indisciplinato dei pensieri, delle sensazioni, delle emozioni, delle impressioni, delle esperienze, delle reazioni: datemi una sola parola che esprima tutto questo. Mi sento proprio come un buon pastore. Sto diventando sempre più tranquilla, e mi ritrovo seduta, sì ancora seduta accanto a questa fidata lampada, sentendomi indicibilmente pacificata e serena. Percorrerò il sentiero di questa giornata con calma, prendendomi una piccola vacanza: gli occhi e la testa sono leggermente tesi e affaticati. Devi anche avere la pazienza di agire un po' di meno. Ferma e costante. Mi rallegro all'idea del mercante di grano proveniente da Enkhuizen. Il travolgente panico da palcoscenico prima della lezione sembra ormai appartenere anch'esso all'insieme di malattie e malesseri che ho sconfitto. Insegno qualche parola e qualche suono a un uomo che in seguito potrà usarli per scrivere una sgraziata lettera d'affari, eppure ho la sensazione di essere impegnata a costruire in un altro individuo la lingua slava, la lingua materna di mia madre. È un'impressione esagerata per una lezioncina tanto modesta? Costruire la lingua in qualcun altro. A volte mi sento anche come un dentista che assiste nella maniera più delicata possibile un paziente nei momenti dolorosi. La conversazione con Trude e Jaap è stata di nuovo corredata da troppi letti. Quel letto clandestino nel loro albergo; il letto di Ella Cahen e di suo marito, ora legittimo, più giovane di quindici anni, un letto che dopo il matrimonio si era rivelato di colpo più stretto di prima per loro due, e che

adesso sembra addirittura troppo stretto per starci comodamente. Trude l'ha trovata una confidenza gustosissima in quel sobrio e freddo ufficio di sionisti, come ha successivamente raccontato gongolandone ancora. E poi quel letto di Otto e Bé, cioè, per essere più precisi, i tentativi fallimentari di Otto, fatti per un anno intero, di portarci Bé in quel letto. E poi Heleen ha avuto un bambino, di nome Jaapie. “Oh, divertente!” ha detto Pa Han in quel suo stile di semplicità primordiale. E di nuovo, divertimento incontrollabile di Trude. E poi il letto di Mischa e della sua pietosa vittima sacrificale. Ho l'impressione che Mischa sia il padrone di quel letto e che Mien ci giri attorno e che non riesca più a dormire, sperimentando posticini alternativi dove riposare nella casa in subbuglio. Se faccio ancora un piccolo sforzo di riflessione, mi verranno di certo in mente altri letti, ripensando a quella conversazione di un'ora. Anche quando mi ha chiesto, quasi come se la domanda venisse dal nulla, benché lei fosse colma di avido interessamento: “E come va con il signor S.?”, c'era un letto in fondo ai suoi occhi. E poi un'osservazione su un ex insegnante di esperanto - “La lingua più orribile” -, non ricordo esattamente cos'ha detto dopo, ma ha aggiunto: “Sì, certo, fratellanza internazionale, puah, per dirla con Zamenhof”. E il tono sprezzante con cui ha pronunciato la parola “fratellanza”: con questi toni la pace mondiale viene immediatamente rimandata almeno di un paio d'anni. Bisogna costruire la pace del mondo in se stessi e amare i propri simili, il che non significa giacere insieme in un letto. Immagina se dicessi loro una cosa simile! Risponderebbero con qualche racconto sadico su un campo di concentramento, aggiungendo trionfanti: “Be', cosa te ne fai adesso del tuo amore per l'umanità?”. Ricordo ancora, infatti, la debole osservazione di Jaap: “Ma sì, sono solo chiacchiere etiche”. In quel momento mi aveva irritata, ma ora sono solo un po' sorpresa e mi chiedo: “Ma poveri ragazzi, nullatenenti, creature defraudate, come vivete?”. Ero solita vivere imprigionata nell'opinione convenzionale secondo la quale stavo passando “gli anni migliori della mia vita” con un vecchio, il che mi toglieva la possibilità di trovare l'uomo della mia vita. Ma adesso lo so: ogni anno della tua vita può essere il migliore. Un paio di parole che S. si è lasciato sfuggire dalla sua carnosa bocca, qualche tempo fa, con tono sorpreso e gentile: “Ogni anno può essere il migliore”. E in quel momento si è rotto un altro incantesimo che aveva avvolto la mia piccola esistenza. Finora tutte le mie letture non sono state altro che un continuo riconoscere momenti già noti. È il modo in cui cerchi di comporre la tua immagine attraverso i libri. Catturandola nei mille frammenti di uno specchio. Ma pian piano imparo a re-rispecchiarmi - già, re-rispecchiarmi: che sgradevole combinazione di suoni. Questo è probabilmente l'aspetto più essenziale di un'amicizia: il riflettersi dell'uno nell'altro. E nell'amicizia con S., ne divento consapevole per la prima volta. Domenica mattina [21 dicembre 1941], le nove e mezzo Sono troppo solo al mondo, ma non così solo e possederti (l'attimo di un sorriso) . Voglio specchiarti sempre in tutta la figura Chi conciliai mille contrasti della sua vita racchiudendoli grato in un simbolo. Se sogni, sono il tuo sogno, ma se sei desto sono il tuo volere. La mia vita non è quest'ora ripida che mi vedi scalare in fretta. Ieri sera, per un attimo, ho portato il discorso sullo studio freudiano di Múnsterberger su Rilke. E improvvisamente, quasi furiosa, ho detto: Non vedo davvero il senso di dedicare un esteso studio a Rilke per arrivare alla conclusione che era omosessuale: con questo non si è certo analizzato

l'autore, no? Ecc. ecc. E S.: Si tratta naturalmente di una conseguenza dell'insoddisfazione che produce in noi l'atteggiamento materialistico e razionalistico, in base al quale - per poter giustificare la nostra esistenza - cerchiamo di ridurre a materia ogni cosa, non tenendo conto che è anche frutto della creazione; si materiaizza tutto e, di fatto, si riconduce tutto ciò che ha a che fare con la creazione al minimo comun denominatore materializzato. Hanno “disincantato” e squalificato il poeta. Vogliono squalificare gente come Rilke, semplicemente perché non rientra nella loro immagine del mondo. Negli ultimi tempi, molto lentamente, sta crescendo in me una grande fiducia, una fiducia davvero grande. Un sentirsi sicuri nella tua mano, mio Dio. Non mi capita più così spesso di sentirmi separata dalla profonda corrente nascosta in me. E quando sono appassionata ed euforica non è una sensazione forzata o dissennata, ma si basa sulla certezza circa l'esistenza di quella corrente. E non vado neanche più a sbattere di continuo contro gli angoli vivi della giornata. Così come non si deve esaminare una persona partendo da idee fisse e rigide, allo stesso modo non lo si dovrebbe fare con un libro, un giorno, un pasto o chissà che altro. Se do inizio alla mia domenica ricordando la scorsa, e con l'idea che debba essere una domenica altrettanto bella, allora la giornata odierna sarà certamente un insuccesso. Sin dall'inizio non rendo giustizia al giorno che sto vivendo, incastrandolo nelle mie idee preconcette. Agendo così, non concedo a questo giorno la benché minima possibilità di svilupparsi secondo le sue naturali inclinazioni. Comincio molto lentamente a impararlo, e in tal modo divento sempre più libera: non inibire nulla nella sua crescita, sia una persona o una giornata o un libro, persino Dio, o te stessa. Ma l'inibizione è da distinguere dall'intervento creativo. Esprimere se stessi creativamente. Ieri mattina: alla fine della giornata, quelle due piccole camere mi strizzavano l'occhio. Ammiccavano nella mia direzione come le luci lontane di un porto sicuro. Niente di più. E la scorsa notte ero di nuovo là. Vi saluto, belle stanze. Alla fine della serata: Eppure è stato un bene che io sia venuta da te. Quando? Questa sera no, ma allora sì. E lui: È bello. Se sia un bene, non lo so, ma in ogni caso è bello. ED È CERTO UN BENE. Quando penso a tutte le cose che voglio ancora studiare nella mia vita, sì, studiare ed esplorare in modo da rendere manifeste tutte le relazioni di cui ho solo una vaga intuizione, cristallizzandole nella loro specifica forma per poi poterle afferrare, talvolta ripeto a me stessa queste parole: salda, costante, paziente. “Lei, zingarella russa”. Divertente, sono proprio così, infatti. “Lei, bizzarra bestiolina”. Così però non mi sento affatto. E mentre attaccavo un bottone: Devo chiederle una cosa. E dopo una lunga insistenza da parte sua, alla fine arriva la mia domanda: Si inginocchia anche lei? Non riesco ancora a metterlo per iscritto. Forse in seguito. E a Dio: Come va la Sua digestione negli ultimi tempi? Riguardo a uno scrittore (potrebbe essere Tolstoj?) : il descrittore realista della vita spirituale, il matematico dei fermenti dell'anima (in relazione a Infanzia, ecc.). E un altro scrittore (Dostoevskij): il mitico descrittore, per esempio, del piede di una sedia. Il primo descrive con un movimento dall'esterno verso l'interno, il secondo si muove nella direzione contraria. Nell'uno, l'anima diventa qualcosa di tangibile, nell'altro, una sedia diventa qualcosa di inafferrabile. Il realista dell'inafferrabile; il mistico del tangibile. Va bene, va bene, adesso torna al lavoro. Han mi ha appena chiesto, leggermente ironico: Hai già registrato lo stato del tuo io nel diario? E io: Non si tratta del mio io, lo sai. E lui: Uh uh! Lunedì pomeriggio [22 dicembre 1941], le cinque Conosco i suoi gesti intimi con le donne e ora vorrei ancora conoscere i gesti che ha per Dio. Prega

tutte le sere. S'inginocchia in mezzo alla cameretta? Nasconde la testa pesante dietro le sue grandi, buone mani? E s'inginocchia prima di essersi tolto la dentiera, o dopo? Quella volta a Arnhem: Le farò vedere come sto senza denti. Ho un'aria così vecchia e così “dotta”. “La ragazza che non sapeva inginocchiarsi”. Nell'alba grigia di oggi, in un moto d'irrequietezza, mi sono trovata improvvisamente per terra, in ginocchio tra il letto disfatto di Han e la sua macchina da scrivere, tutta rannicchiata e con la testa che toccava il pavimento. Forse un gesto per estorcere pace. E a Han che entrava in quel momento e sembrava un po' stupito di quella scena, ho detto che cercavo un bottone - ma non era vero. Tideman, quella robusta donna di trentacinque anni dai capelli rossi, aveva detto una sera con voce chiara e sonora: vedi, in questo sono come un bambino, se ho delle difficoltà m'inginocchio nel mezzo della mia camera e chiedo a Dio cosa debbo fare. Bacia come una scolaretta - S. me l'ha mostrato una volta -, ma i suoi gesti verso Dio sono maturi e sicuri. Molte persone sono troppo ristrette, troppo chiuse nelle loro idee e così, educando i figli, li legano a loro volta. Da noi era proprio il contrario. Mi sembra che i miei genitori siano stati sempre più sopraffatti dall'infinita complicazione di questa vita, e che non siano mai stati in grado di fare una scelta. Hanno lasciato troppa libertà di movimento ai loro figli, non potevano offrirci nessun punto d'appoggio, dato che non ne avevano mai trovato uno per sé; e non potevano contribuire alla nostra formazione perché non si erano mai trovati una forma. Capisco sempre meglio il nostro compito: è quello di permettere ai loro poveri talenti, dispersi senza forma e riposo, di crescere, di maturare, e di trovare la loro forma in noi. Per reazione alla loro mancanza di forma, assenza di vera generosità, disordine e insicurezza cattiva amministrazione, per così dire, e forse talvolta, anche se non ultimamente, aspirazione spasmodica verso unità, inquadramento, sistema. Ma l'unica vera unità è quella che contiene tutte le contraddizioni e i momenti irrazionali: altrimenti finisce per essere di nuovo un legame spasmodico che fa violenza alla vita. Chi concilia i mille contrasti della sua vita racchiudendoli grato in un simbolo. Da dove viene la sciocca idea, incombente nel mio cervello, di dover dormire per giorni? Eppure sono troppo tesa per dormire. Credo che si tratti ora di una faccenda puramente fisica, con quei piccoli ricorrenti attacchi di influenza che riesco ogni volta a smorzare. Ma i miei occhi sono stremati e la testa è stretta in una morsa. Ogni volta rimango impressionata dal modo in cui lui riesce, a volte soltanto con un paio di strattoni, a mettere a nudo le fondamenta di un essere umano. Ed ecco che le persone stanno lì esposte, oggettive e senza più troppo mistero. Non voglio sempre seguirlo nel fare questo, perché ricavo un piacere lirico più grande nell'aggirarmi un poco per i varchi e i portali a volte indistinti dell'interiorità altrui. Stamattina, compere sulla Kalverstraat; sotto la pioggerellina e con quel buffo basco si appare diversi dalla persona con il pallido profilo alla Conrad-Veidt e una camicia blu scuro, accanto a una piccola lampada da tavolo. Durante il giorno, del resto, non bisognerebbe avvicinare nessuno con la fantasia piena di immagini di lui durante la notte. Lascia che la notte sia notte e il giorno sia giorno, fa sì che i ricordi dell'una non oscurino l'altro e che ogni momento di un'amicizia si sviluppi secondo le proprie linee naturali, non paragonarlo, non sminuirlo né inibirlo nella sua crescita attraverso il ricordo di un altro momento. Insomma, sulla Kalverstraat, sotto la pioggerellina. Ho parlato un po' di Hesje: Hesje con i suoi capelli biondo paglierino, l'aspetto florido e il profilo ebraico; una mescolanza attraente fra una donna raffinata e una vigorosa figlia di contadini. Che racconta a se stessa e agli altri in un bar di città che vuol vivere in una fattoria in Canada e avere dodici figli, e che quando sarà nella natura incontaminata, in una locanda o nella brughiera, si farà ritrarre, e sul dipinto sembrerà una donna raffinata. E adesso devo andare a mangiare i crauti. Martedì mattina [23 dicembre 1941], intorno alle dodici Credo che sia di nuovo bassa marea. Un tempo, quand'era così, passeggiavo come un'idiota lungo la spiaggia e desideravo che l'alta marea tornasse all'istante. Il picco della marea è stato probabilmente

sabato sera. Si è alzata lentamente e ora le... - già che cosa? - si ritirano per poi riposare e raccogliere le forze per un nuovo flusso. Ed è un bene. Bassa e alta marea. Anche nell'amicizia le cose stanno così; bisogna acquisire senso del ritmo. Ieri sera trascritto Suarès fino alla fine. E in diverse pagine l'ho riscopeno, grande come la vita, e mi sono sentita di nuovo tanto legata a lui. Ma al tempo stesso ero stanca morta e ipersensibile nei confronti degli stimoli esterni. E poi quella telefonata molto distaccata, sobria e davvero neutra. Forse pure lui era stanco, assorbito da una cosa o dall'altra. In passato sarebbe stato uno shock per me: non sarei riuscita ad assimilare bene quella conversazione neutra. E anche questa volta ho avvertito quant'ero stanca e irritabile perché, a causa di quel suo tono tanto sobrio, ho desiderato per un infinitesimo di secondo di lasciarmi andare, piangere o qualcosa del genere. Ma in un altro istante mi sono ripresa e ho inveito contro me stessa dandomi dell'isterica. In passato non sarei riuscita a conciliare quel tono sobrio con il sentimento che nutrivo interiormente per lui, ne sarebbe nato uno scontro in piena regola. Tutto davvero era “esagerato”, un tempo. E stamattina d'un tratto l'illuminazione: sì, c'è di nuovo alta marea ed è un bene. Infatti so che il flusso tornerà. Un tempo lo ignoravo. Una volta, mentre ero depressa, lui mi disse: Lei si era di certo fatta l'idea che ormai non sarebbe più tornato, vero? Ma io so che ritorna sempre. E c'era anche dell'altro, ovviamente: non potevo semplicemente sopportare l'idea che dedicasse maggiore attenzione agli altri che a me, anche solo per un momento. E allora, ecco di nuovo quella mancanza di fiducia in me stessa. Se si ha di continuo bisogno dell'attenzione e dell'amore di un altro per sentirsi bene, per poter credere in un'amicizia, allora c'è qualcosa che non va. Le alte e le basse maree ci sono comunque, no? E non è forse un bene? E perché mai non dovrebbero esistere anche nelle relazioni personali? Bisogna soltanto ascoltare il ritmo. È così stupido e folle voler forzare le cose. Anche nei rapporti personali ci sono ritmi importanti, eterni, e bisogna dar loro tempo, essere pazienti e non forzare le cose. Ah, quella piccola, misera tendenza all'assertività! E anche il senso della parola “umiltà” diventa sempre più chiaro per me, sempre più avvertibile.Questo è il brano che ieri mi ha colpito di più in Suarès: “Nietzsche è un buon metodo di ribellione. Ebbro dei suoi princìpi e cieco verso la vita, egli si atteggia a despota. In questo modo insegna la disciplina a coloro che non possiedono alcuna regola interiore. E soddisfa parimenti l'istinto artistico dei dilettanti. “Dostoevskij è l'uomo della vita, e non solo nei suoi libri. Ed essendo l'uomo della vita, il suo mondo è il mondo della forza. Ma coloro che non hanno letto né gli antichi greci o gli italiani del Rinascimento, né Pascal o Stendhal, né tanto meno hanno compreso la Rivoluzione, a costoro piace leggere Nietzsche perché Nietzsche riduce a loro uso tutta quella grandezza a dimensione di un manuale, dotato della semplicità e praticità inerenti a un simile formato. “Raskolnikov e i giovani eroi di Dostoevskij sanno da sé tutto ciò che Nietzsche può insegnar loro. Dostoevskij però non li esorta ad accontentarsi di questa semiconoscenza”. E ancora una piccola cosa: quando, di nuovo nel bagno, d'un tratto ho compreso lucidamente che non può sempre esserci alta marea in un'amicizia e che pure la bassa marea dev'essere accettata, e persino come qualcosa di positivo e fruttuoso, anche la vita, in quel momento, ha cominciato a fluire in me con un'onda più calma. Di pomeriggio SALDA, COSTANTE, PAZIENTE. Dove finisce la tolleranza e comincia la codardia? Lunedì mattina, le nove e mezzo. 29 dicembre [1941] Questo è ciò che ogni giorno mi insegna daccapo: che bisogna rimanere aperti, che non ci si deve chiudere in se stessi nei momenti più bui, né affondare in essi pensando che sia un giorno perso, triste. Nella mia vita quasi troppo ricca, mi rendo conto che ci sono centinaia di svolte in una giornata, centinaia di sorprese, una veduta improvvisa, un senso di inclusione, ecc. Penso di essermi

spesso fissata, nel passato, su un simile momento di malessere, per cui rimanevo chiusa in me per lungo tempo. Martedì sera. Di nuovo quella tristezza pesante, profonda. E non volevo andare da Imre Ungár, bensì raggomitolarmi in un angolo della mia camera, non volevo nient'altro che essere triste. Credo di cominciare via via a capire da dove viene la tristezza: dall'incapacità di trovare la mia forma; dai momenti in cui i miei sentimenti e la mente non riescono a cristallizzare in figure e parole ciò che accade in me. E la sera di sabato la tristezza è venuta da tutto questo, credo. Volevo dare a S. quel libriccino di Suarès, aggiungendovi una dedica, abbastanza lunga, in cui avrei voluto esprimere almeno un poco di tutto ciò che mi ha attraversato l'animo in occasione di quella lettura e un riferimento alla mia relazione con lui. Ma ne è venuta fuori una sciocchezza, una citazione tratta dal libro stesso: “Che cosa ti dono, se non tolgo a me stesso?”, con il che ho quasi dato a intendere che l'omaggio di quel libro era in effetti un sacrificio. E ho notato - o forse me lo sono solo immaginato - che stava cercando un paio di parole da parte mia e che si aspettava di ricevere probabilmente qualcosa di speciale; e di colpo mi sono sentita di nuovo inadeguata. Intendo dire questo: “Voglio rispecchiarti sempre in tutta la figura, / mai cieco o troppo vecchio, / per sostenere la tua immagine vacillante e greve”. Rilke si rivolgeva a Dio, ma questi versi mi hanno accompagnata sul treno, ed erano con me nei pochi giorni a Deventer ogni volta che pensavo alla nostra amicizia: “... per sostenere la tua immagine vacillante e greve”. E mentre gli consegnavo quel libriccino, senza dire una sola parola delle molte che avrei voluto, mi sono sentita inadeguata, incapace di sostenere per un attimo la pesante, oscillante immagine. E poi c'era Leo Polak, un altro gentile filosofo, morto in un campo di concentramento: volevo sapere in che modo fosse morto per capire come piangere la sua morte. E c'era molto altro ancora, per cui quella tristezza è cresciuta fino ad assumere proporzioni che da tempo non aveva più avuto. E poi, alle otto, sono andata in bicicletta da S. fino a casa di Ungár, lungo le aree buie, ampie della Stadion. E quella tristezza mi pesava dentro come piombo, ma l'ho accolta in me amorevolmente, aprendomi, e poi mi sono resa conto che anche la tristezza fa parte del mio essere, anzi ne è una parte preziosa, e che non ci si può sottrarre a quel sentimento quando esso vuole impossessarsi di noi per un momento. E poi Ungár. E Mischa. Conversazione su Rachmaninov e Beethoven. [Ungár: Una pianista polacca mi disse una volta a quattr'occhi di essere pronta a confessarmi in tutta onestà che, nel suonare Beethoven, lei non riesce a sentirlo; là dove lui si innalza, c'è qualcosa che lei non vede, B. si innalza in regioni che lei non vede, dove l'aria è troppo rarefatta; per lei è qualcosa di costruito. Ungár: Io sento in B. qualcosa che continua a mancare nel carattere russo. E i russi stessi dovranno ammettere che, pur con tutta la sua malinconia, un Rachmaninov non tocca in nessun caso la vetta dei classici (?) Per i russi dotati di senso musicale la musica classica era, di fatto, qualcosa di chiuso e definito. Mischa: Ascoltando Rachm., per esempio, penso che egli accoglie nel suo modo di suonare tutti i sentimenti e tutte le sfere dello spirito (?), magari li ha accolti inconsciamente, ma resta un russo. Ungár: E deve essere così. M: Io però credo che egli sappia anche distillare assai bene quanto c'è di tedesco in Beethoven. Ungár: Gli slavi hanno una musicalità innata, mille volte superiore a quella dei tedeschi, davvero incomparabile... Mischa: Ma se è così, come mai lei dice che da loro non si suona molta musica classica? Ung.: Probabilmente una questione di maturità, in generale, ma anche in senso umano. Ritengo che, in qualsiasi contesto e ovunque la si incontri, la musica dei popoli ar. sia profondamente triste e che, evolvendo la comprensione dell'arte, sia... Arte è ciò che si presenta come particolarmente intuitivo e proveniente da una sfera più elevata, ma è fatta anche di pensieri che si manifestano in libri religiosi, cosicché la gente laggiù, un po' ad esempio come in Egitto o in Palestina... Il (canto?) ha suscitato in me l'impressione che, con esso, con il dischiudersi dell'essere umano

verso le sfere superiori, abbia luogo l'evoluzione, si giunga cioè al riconoscimento della bellezza, alla gioia di vivere, mentre il selvaggio, l'uomo non civilizzato, il quale gode a modo suo dell'esistenza, ne goda molto meno, viva in una sorta di nebulosità, che non è suscettibile di essere definita vera gioia, e ciò si rivela principalmente nella musica e nell'arte. Una ballata degli arabi in Palestina. Ho trascorso alcuni giorni in un kibbutz in Palestina, e si sentivano gli arabi che, per lunghi tratti, attraversavano il deserto a dorso di cammello, e quindi di sera, nel deserto, si sente risuonare una melodia intonata dagli arabi, si sente una breve strofa, e poi subentra una lunga pausa, e poi di nuovo una strofa, e questo è così commovente e di una tristezza così profonda, provi a immaginarsi una simile ripetizione del motivo, ma inframmezzata da lunghe pause. È profondamente triste e ha qualcosa della nebulosità di cui dicevo, e ha in sé anche molto della vita selvaggia, del modo di vivere dei selvaggi in generale. Trovo molto triste anche ciò che si sente dire delle Antille olandesi. In simili racconti c'è qualcosa che risuona buffo alle nostre orecchie, ma non per questo riusciremmo a riderne. Il fulgore della Settima sinfonia... abbiamo anche un'opinione sulla nostra musica, e cerchiamo anche di crearcela... Anch'essi a modo loro gioiscono, ma su un piano totalmente diverso, e questo piano si trova molto più in profondità rispetto al nostro. Su Rachmaninov: ha vissuto sino in fondo la cupezza, e ciò ha in sé qualcosa di grande; ma il radioso è ciò che Rachmaninov non vede. Ostinazione. Non voler essere consolati. Ciò che è autentico qui è la condivisione del grande dolore. Ma inchinarsi davanti al destino (Beethoven) è un gesto meraviglioso ed è una vittoria. Il non voler essere consolati. L'inchinarsi davanti al destino, questo lui non lo ha conosciuto...]. Questo “non voler essere consolati”. - E l'“inchinarsi davanti al destino che è anche una vittoria”. Non c'è nient'altro più di quello che c'è. Possiamo orientarci in base a ciò che ha preso forma in noi, a ciò che ha raggiunto la nostra coscienza dagli abissi più profondi, e poi ha assunto una forma. Un paio di battute su Beethoven grazie alle quali egli s'invola verso il cielo come su una slitta, e un altro paio di battute che lo portano diritto in mezzo al cielo. E poi i suoni monotoni di una melodia araba nel deserto. E Nietzsche e Dostoevskij, un edificio e una breve poesia. E ancora, quella stessa sera: Het Evangelie van de Heilige Twaaven [“Il Vangelo dei Dodici Santi”] che S. aveva trascritto per noi. “Beati coloro che leggono, sentono e fanno, per il Natale del 1941, J.S.”. No, no davvero: è semplicemente impossibile annotare tutto quel che è accaduto da martedì fino a oggi, neanche lo si stenografasse: una tale intensità di vita, la sensazione di diventare sempre più coscienti e al tempo stesso di vivere più profondamente, nell'intimo, sottraendosi sempre più al caos e acquisendo la propria forma. La ragazza dalla Cina, il “complesso dei muscoli”. Mischa: “Se non ci si adatta alle persone, si finirà con l'appartenere ai grandi dimenticati, per quanto uno possa essere dotato”. Mischa sul tema della sua “seduttrice” dai capelli biondo paglierino: “Ha sempre l'aria di una che sente di continuo un coro di otto voci dal cielo”. Domenica sera: le 23 Variationen und Fuge sul tema di Telemann. La lettera di Tide: Bacio la tua bocca e accarezzo i tuoi capelli, poi i tulipani rossi e la mia meditazione e l'irritazione riguardo a tutto questo. La lettera di Hertha. Passeggiare. E poi, d'improvviso, Monna Vanna nel suo cappotto d'astrakan da 7 fiorini e 50. Stamattina S. al telefono: “Questa notte ho riflettuto, scriverò una lettera a Mischa”. È sorprendente che una persona possa avere in sé un simile spazio. E adesso mettiti al lavoro. Sono stata infedele all'Idiota per troppo tempo. Ho notato che non dico più: è terribile, quant'è triste, com'è noioso, che bello, e invece dico: quant'è interessante! Di sera, le sette e mezzo

La semplicità che è solo superficialità è una forma di semplicità gravida di complicazioni. Non è proprio così semplice con la semplicità. Ho un numero di telefono in Cina, non è fantastico? La ragazza si chiama Hedda Hammer ed è una fotografa. In testa alla lettera c'era la data: 24 agosto 1941. Nel 1932 S. l'ha incontrata, quattro volte per un'ora. Dopo la seconda volta, hanno fatto la lotta. Dopo la terza volta era come se si conoscessero da una vita. Già, so cosa significa. Dopo l'ultimo incontro, arriva una lettera con delle foto di lei nuda, volte non a suscitare erotismo, piuttosto a mostrare la sua gioia per com'era diventata disinvolta e rilassata. Sua moglie ha letto la lettera, dopo averne rincollato insieme i pezzetti raccolti dal cestino della carta. Questo ha dato una bella spinta nella direzione del divorzio. Poco dopo, Brunilde, la “figura-anima”, das Nacktkulturmädchen, la nudista, come scrisse la russa Sonja nelle sue lettere avvilite dalla Palestina. Dopo il divorzio, lui ha trascorso tre anni in camere ammobiliate a Berlino. Poi sono arrivati alcuni mobili di sua proprietà; nel vecchio secrétaire che adesso, dopo essere stato in un deposito per due anni, si trova nella sua piccola camera sulla Courbetstraat, ha trovato una lettera, sbadatamente riposta là dentro dalla gelosa moglie. Quella lettera era di Hedda Hammer, che nel frattempo era andata a vivere in Cina. Sembra che, all'epoca, la moglie di S. fosse andata a lamentarsi con il padre di Hedda, per il fatto che la figliola avesse una relazione con suo marito. A quel punto lei partì per la Cina, voleva comunque andarsene di casa. Dopo tre anni, lui le ha subito riscritto, e l'indirizzo era ancora lo stesso. Così, da quel grande paese che è la Cina, ogni tanto nella sua cassetta postale giungono i saluti di una ragazza che lui ha incontrato quattro volte per un'ora. Ormai sono passati dieci anni da allora. Ci sono migliaia di storie simili nella sua vita. Ultimamente è anche arrivato del tè profumato, tè cinese, che abbiamo bevuto durante una delle nostre soirée musicali. La sua lettera colpisce straordinariamente la mia immaginazione. Un giorno cercherò quella ragazza, la osserverò e scriverò la sua biografia. A volte mi sembra di voler andare da tutte queste persone, per sapere com'è stata la loro vita, dato che prima o poi ne descriverò le esistenze. È assurdo, naturalmente. Ci sono centinaia di vite su cui scrivere, e non ci riuscirò ancora per molto, e forse mai. Ma la sensazione, l'istinto, la voglia di farlo è molto reale, terribilmente reale. Lungo il margine - non in testa alla lettera, come facciamo noi - c'è scritto, in caratteri neri e sottili: Hedda Hammer, Nan Chang Chien, 15 Tung Ho Yen tel 3-2000. La lettera è scritta a macchina in maniera un po' trasandata e con degli errori, e forse proprio per questo fa un'impressione tanto incredibile, come se non venisse dalla lontana Cina e la ragazza non fosse invecchiata di dieci anni da quando, per l'ultima volta, parlò con quel certo “Julius”. E in quelle poche righe c'è l'intera persona. Caro Julius, vorrei tanto sapere come stai. Scrivimi due righe, per favore. Quanto a me, ho come la sensazione di risvegliarmi. A poco a poco la fotografia mi interessa di nuovo. Per il resto qui si vive molto ritirati, nessuna vita di società. Facendo fotografie guadagno giusto quanto mi serve per sbarcare il lunario. Due amici. Nel tempo libero nuoto, bicicletta, passeggiate. Per te ho scritto a diversi amici, ma non so se potranno fare qualcosa. Ci hai messo un bel po' per decidere dove avresti voluto vivere. Ormai siamo al punto che l'individuo non può più decidere del suo futuro. Un libro di Jung e Wilhelm sulle idee taoiste mi ha molto presa nelle ultime settimane. A poco a poco mi sbarazzo anche di sciocchi, inutili complessi, se solo potessi vincere questa paralizzante passività, che non tocca tanto la mia vita interiore, bensì quella esteriore. I lavori di cui nessuno sa nulla procedono bene, mentre quelli che hanno a che fare con gli altri vanno storti, e così molto spesso non ho alcuna consapevolezza delle mie qualità. Non ha molto senso riflettere su queste cose, solo la vita e il tempo possono essere d'aiuto in simili circostanze, o magari è perfettamente inutile voler cambiare qualcosa. Quanto agli esseri umani, tu però sei una delle mie nostalgie, mandami un saluto per favore. (E sotto, in una calligrafia molto sottile, si legge): Tanti affettuosi saluti dalla tua

Hedda Forse è un bene che le ultime “barriere” non siano ancora cadute; tutte quelle secondarie sono cadute, a dire il vero, e nella sfera intellettuale abbiamo entrambi raggiunto le regioni più lontane. Ma andrà come deve andare. Io sono pronta a molte cose, ma non desidero niente di più di quello che c'è. Va tutto bene così. E nemmeno credo che sia un sofisma affermare che noi due siamo fedeli a Hertha, e che io sono fedele a Han. Perché io sento che la situazione è questa. Stasera, Tide da lui. Va bene. Tutto va bene com'è adesso. Che miglioramento però, negli ultimi mesi! Una tale pace e una tale tolleranza. Un mutuo arricchimento, dopo aver sconfitto la gelosia. Tutto secondo la sua idea e senza disaccordi. E non è neanche di cattivo gusto. Sull'agendina tascabile che gli ha regalato per Natale, Tide ha scritto: Gott mit Dir. E per un attimo mi sono venuti i brividi: dappertutto Dio, quella familiarità con Dio, ma poi, d'un tratto, mi sono ricordata le parole di Rilke, dal Libro d'ore: Gioisci di chi ti impiega come uno strumento. Un pomeriggio di fine d'anno, sono andata con lui dallo pneumologo: polso 48. È davvero incredibile. “Voi mi succhiate il sangue fino all'ultima goccia. Ma no, stupidaggini”. Questo è successo innumerevoli sere fa. Juultje ha dato al tutto un alone romantico, dicendomi, oggi pomeriggio: “Qualcosa mi sta rodendo il cuore, davvero”. Grandi risate, quando poi gliel'ho ricordato. Deve rimanere in salute. Certo che rimarrà in salute. Di sette figli, solo tre sono ancora in vita. Padre e madre, cugini. La morte è un pensiero familiare, senz'altro. Ah, assurdo. Domenica ha ricevuto, con lettera raccomandata, il numero con cui può essere convocato in qualunque momento. E le cose stanno proprio così: minacciato dalla malattia, dalla deportazione, per non parlare di tessere, freddo e carenza di grassi, eppure avere fiducia, amare Dio e gli uomini senza vergogna, pensando che la vita sia buona. Ma bisogna essere preparati a tutto, e non allontanare il dolore. La sua bocca all'improvviso era di nuovo così selvaggia e demoniaca, e sbocciava con sensualità, ieri pomeriggio e anche oggi pomeriggio, e la presa delle sue buone mani navigate. E quel caratteristico, tenero gesto delle punte delle dita che ti accarezzano le ciglia. “Per sostenere la tua immagine vacillante e greve”. D'altronde, la bassa marea è durata solo alcune ore, e probabilmente si è trattato di mero affaticamento fisico. Ma è stato un bene che diventassi consapevole del fatto che la bassa marea è possibile, va accettata ed è un bene. E si fa sempre più evidente in me che ogni cosa fa parte della vita e nulla deve essere negato: la tristezza, la stanchezza, ma anche l'eccessivo coraggio, gli errori e i momenti superficiali, la gelosia contro la quale combatto, e la disonestà interiore che devo riconoscere. Lo sconforto e la sfrontatezza. Si porta tutto con sé, nessuna parte della propria vita va abbandonata: è possibile darle ricetto e anche comprensione. Nessuna “ricaduta”, dopo Deventer. Riconosco sempre più chiaramente i miei doveri. Mi ricordo anche di essermi svegliata un paio di volte nell'ampio, gelido bagno, caotico, privo di stile e caro al pari di tutte le altre stanze della casa. Crescere fresca e coraggiosa nel giorno, sentendo i contorni taglienti del tuo essere. Comincio pian piano a capire anche qualcosa della mia giovinezza, di quei mal di testa ricorrenti e dello stato di vaghezza che duravano per settimane, quel lasciarsi sommergere dal caos. A volte è ancora così - ma si tratta di un'immagine più che non di un autentico vissuto -, come se fossi nel mezzo di un grande, scuro oceano, ma sul fondo si ergono colline e alture: la forma che appare. E di Mischa capisco parecchio, ma non potrò ancora aiutarlo per lungo tempo, sebbene si possa dar molto sostegno ad alcuni anche solo comprendendoli, ma tutto questo non basta per Mischa. Non gli ho ancora parlato di quella lettera. Prima vediamo come va con la salute di S. Non si deve affaticare. La questione del personale di servizio nell'ebraismo. Fantastica situazione. “Domestica offre i suoi servizi, porta con sé il suo pianoforte. E nelle sere libere legge Spinoza”. E mio padre che incontra dal droghiere i colleghi della comunità ebraica, che si chiedono l'un l'altro:

“Hai una buona donna? Hai domestici obbedienti?”. Perché non riesco a scrivere? Gli devo ancora chiedere mille cose. Sto procedendo così bene che presto sarò capace di trovare da sola le risposte a tutte le mie domande, ma per intanto non posso ancora fare a meno di lui. Un fatto mi colpisce ogni volta: le cose sono spesso molto più semplici, ma anche molto più profonde, di come me le immagino. A volte riesco a uscirmene fuori con un discorso oltremodo complicato su qualcosa, e credo che sia molto lirico e speciale: poi di colpo salta su lui, con una sola frase e uno sguardo un po' interrogativo, dicendo: “Ma non è semplicemente così e così?”. E infatti lo è. Oggi pomeriggio, mentre lui si è allontanato per un attimo, mi sono trovata improvvisamente a scrivere qualcosa che mi aveva accompagnata già da ore. Pensavo che fosse molto chiaro, ma non lo era. Ho scritto più o meno così: Lui può permettersi di essere sempre schietto, senza diventare meno interessante. Solo quando una persona è molto profonda, una schiettezza come la sua non diventa noiosa, ecc. ecc. Non riuscivo a esprimerlo a dovere. E lui rientra, ficca incuriosito il suo naso espressivo nel mio bloc-notes; io gli racconto la faccenda e lui d'improvviso dice, con una formulazione impassibile, esatta e secca - che io non sarò mai in grado di riprodurre perché è così totalmente sua, perché nasce da lui, dalla sua grande sicurezza che gli permette di affermare le cose in quel modo secco: ma quali parole ha usato, alla fine? Non posso certo tenermi sempre un blocnotes da stenografa sulle gambe, ogni volta che parlo con lui. Ma come farò a ricordarlo in seguito? Lascia che le cose maturino. Fermati. Era qualcosa del genere: Una persona vera mica s'impoverisce, neanche se si concede ininterrottamente. Si rinnova a ogni istante, non credi? Non ha affatto bisogno di quell'alone di mistero dietro a cui la gente spesso nasconde soltanto il proprio vuoto. Sono le nove. Lavoriamo ancora un'oretta e poi a letto presto. Martedì mattina [30 dicembre 1941], le dieci A Deventer mi svegliavo con questo stato d'animo: mi sentivo così bene, con gli angoli e i lati tutti al loro posto, nella mattina gelata. Ancora due parole, più che altro per il piacere di essere ospite di me stessa presso questa lampada fedele. Alcune cose terra terra. M'accorgo che alzarmi presto mi fa un gran bene. E trovo sempre che l'acqua fredda è una cosa quasi eroica. Sono fondamentalmente una persona molto sana, la cosa principale è l'equilibrio spirituale, il resto funziona allora da sé. La colazione rallegrata da una coscia di pollo. Cara (PAROLA RUSSA) “mammima” che traduce tutto il suo amore in cosce di pollo e uova sode. Il treno per Deventer. Quando vedo tanti visi intorno a me, voglio scrivere un romanzo. Abelardo e Eloisa. Il paesaggio ampio, quieto e anche un po' triste, guardavo fuori dalla finestra ed era come se viaggiassi attraverso il paesaggio della mia anima. Paesaggio dell'anima. Spesso il paesaggio esterno è per me lo specchio di quello interno. Giovedì pomeriggio un pochino lungo l'IJssel. Paesaggio ampio, sereno e pieno di luce. Anche lì la sensazione di camminare per la mia anima. Che modo stomachevole di dire le cose, sta' zitta. La mamma. Di colpo quell'ondata di amore e di compassione che cancellava tutte le piccole irritazioni. Cinque minuti dopo ero naturalmente irritata di nuovo. Ma più tardi, quel giorno o quella sera, m'è venuto di pensare: forse, quando sarai molto vecchia, io passerò un po' di tempo con te, ti spiegherò cos'hai dentro e ti libererò dalla tua irrequietezza, perché pian piano comincio a capire come sei combinata. La mamma, che a un certo punto diceva: sì, in fondo sono religiosa. Zia Piet aveva usato quasi le stesse parole qualche giorno fa, era davanti al camino: in fondo sono religiosa. È quell'“in fondo” che conta nel suo atteggiamento. Le persone si abituano a ometterlo - a non avere il coraggio di dir di sì ai loro sentimenti più profondi. Che voleva dire con “in fondo”? Sono riconoscente, non so dire ancora quanto, perché lo posso conoscere nella fase migliore della sua vita. Riconoscente non è la parola. [Mercoledì] 31 dicembre [1941], le dieci di mattina

Quando la sveglia ha squillato quest'ultima mattina dell'anno, l'ho salutata con un “maledizione!”. Che inizio sgraziato! E mal di pancia. E un pensiero: accidenti, dover stare in piedi stasera fino a mezzanotte, e sono già così assonnata. Ma un momento simile non è più cruciale: “in passato” guardavo sempre la mia intera vita attraverso la lente di quell'unico miserevole momento. Le mestruazioni hanno un effetto intenso sulla psiche, perlomeno per me. Ma le mie ultime acquisizioni riposano ormai in me come altrettante certezze, sicché, un'oretta dopo quel “maledizione”, il giorno è stato di nuovo accolto con gratitudine. In passato ritenevo che un po' di mal di pancia, quale ho ora, mi sollevasse da tutti i miei doveri, e diventavo terribilmente pesante e lenta, e cercavo di viziarmi il più possibile e così diventavo sempre più miserevole. Ma adesso, nell'ultimo giorno dell'anno e nel primo del prossimo, mi vizierò con grande cognizione di causa: niente traduzioni, nessuna lezione da preparare, niente lettere da trascrivere, solo ancora un passetto avanti con la lettura dell'Idiota e poi ancora Jung. Passerò la mia serata di Capodanno con un po' di Jung e un tulband ho detto ieri a Tide. Ho dovuto spiegarle che in olandese tulband è un qualcosa di commestibile, un ciambellone con lo zucchero sopra, e non un filosofo russo come aveva pensato lei. L'ho poi dovuta convincere che non sono totalmente impazzita. Ieri sera, siccome non avevo scritto gli indirizzi sulle buste, mi ha detto: “Che bestia!”, assestandomi un pugnetto energico. Ma che cosa c'era sulla sua bocca? Una specie di espressione da bambina irritata che sta per scoppiare in lacrime. Era la stessa bocca che si era schiusa piena di desiderio nei miei confronti l'ultima volta che avevamo parlato. Ma ora la nota dissonante è sparita. E anche il grande disincanto che prima provavo sempre in questi casi. La bocca stanca e irritata non smentiva la bocca passionale e cara, mentre in passato sentivo spesso che i momenti più bui smentivano quelli più alti. (Quando riuscirò a trovare le parole giuste per esprimere tutto questo?). Anche per quanto riguarda Tide, ieri sera, con la sua infantile ambizione: questa sua ambizione, in ogni caso, non fa immediatamente sparire i suoi lati migliori. A quanto pare, nel passato - mi sento sempre più in diritto di parlare di “passato” -, sembra si sia attuato in me un cambiamento che dura ancora: nei miei stati d'animo peggiori, nei momenti di depressione, avrei perso ogni contatto con l'altra me stessa. E questo adesso non accade più. Ora porto con me la mia tristezza e la mia gioia, e ogni altra cosa: l'una non esclude più l'altra e così è anche nelle mie relazioni con gli altri. Chi concilia i mille contrasti della sua vita, racchiudendoli grato in un simbolo. Non devi mai più negare i tuoi momenti migliori durante quelli peggiori. La maggior parte delle persone è comunque infedele ai suoi momenti migliori. Se sai come assegnare il posto giusto nella tua vita anche al gelo del giorno, non resterai a lungo nel disincanto. Perché sai che anch'esso fa parte della vita. Sul suo viso ieri sera c'era tutto questo: un che di affaticato, di impaziente e di molto sensuale quando guardava me o la sottile donnina Levie o Dicky, e poi d'un tratto anche un che di molto dolce. Ma dietro questo volto, vedevo in trasparenza anche tutte le altre sue facce, l'una non escludeva l'altra, l'una non smentiva l'altra. Oggi pomeriggio dallo pneumologo. Non sono davvero preoccupata, mi sembra quasi esagerato. Stiamo a vedere. Ungft su Beethoven in relazione agli standard morali oggigiorno: era una menzogna. E io, con forza, sapendo esattamente quello che voleva dire: No, non era una menzogna. Ancora un po' di Betz: “"Ho sempre scritto molto in fretta," mi diceva Rilke "come se improvvisassi percepivo un ritmo che, attraverso di me, cercava di mantenere una forma viva. Quando in noi c'è questo movimento, descrivere vuol dire semplicemente obbedire. Così ho scritto l'A fiere in una sola notte, mentre obbedendo a una necessità insopprimibile - riproducevo le immagini che il riflesso del sole al tramonto disegnava sulle nuvole di passaggio davanti alla mia finestra aperta. Molte delle mie Nuove poesie si sono per così dire scritte da sole, finanche nella loro forma definitiva, e spesso parecchie in un giorno soltanto; anzi, quando scrivevo Il libro d'ore, la facilità avuta nell'attacco mi dava l'impressione che non sarei più riuscito a smettere di scrivere. D'altronde Il libro d'ore non è

una raccolta, dalla quale poter estrapolare una pagina oppure una poesia, così come si raccoglie un fiore. Più di qualsiasi altro mio libro è un canto, un poema, nel quale non una strofa può essere cambiata di posto, al pari delle venature di una foglia o delle voci di un coro"“. Questa è anche una delle mie più recenti conquiste: che da ogni istante nasce un nuovo istante, che contiene nuove possibilità e che spesso, inaspettatamente, si rivela essere un nuovo dono. E che non si deve trattenere alcun momento di malessere né prolungarlo inutilmente, perché, così facendo, si può ostacolare la nascita di un momento più ricco. E così la vita ti scorre dentro in una corrente ininterrotta, in un'unica grande successione di momenti, ognuno dei quali ha il suo posto nel giorno: insomma, non riesci a fare di meglio? Non posso proprio farci niente, non riesco ancora a esprimermi. Fermati. Abbi pazienza. E se non riesci a dirlo, qualcun altro lo farà per te, come Rilke, per esempio, o Beethoven. Ciao. Le otto di sera Lo specialista dei polmoni lo ha quasi deriso per il suo gran torace. A ogni domanda, se avesse tosse o catarro o Dio sa cosa, S. rispondeva invariabilmente: Purtroppo non posso servirla. E la prima cosa che ha detto tornando nella sala d'aspetto era: Devo partire subito per Davos. Ho protestato dicendo che in quel caso tutto l'harem sarebbe partito con lui. “Sicuro, la Svizzera avrà di che ringraziarmi”. Per strada ho dovuto prenderlo in giro, senza sosta. E lui minacciandomi: Aspetta fino a venerdì, quando ci saranno le radiografie. Con gran fatica siamo riusciti a comprare tre limoni da un carretto, pagandoli dieci centesimi ciascuno invece che sette - e avevamo tanta voglia di pasticcini con la panna montata! Così ce ne siamo andati di nuovo a zonzo per le strade come una bizzarra coppia d'innamorati, io appesa al suo braccio in un atteggiamento un po' voluto e col cappello da cosacco di traverso sulla testa, lui col suo strano basco sopra quell'antico paesaggio grigio. Ora sono quasi le otto e mezzo di sera: l'ultima sera di un anno che è stato per me il più ricco e fruttuoso, e insieme il più felice di tutti. E se dovessi spiegare in una parola perché quest'anno è stato così buono - a partire dal 3 febbraio, quando avevo suonato timidamente al 27 della Courbetstraat e un tipo da far paura mi aveva esaminato le mani tenendo un'antenna sulla testa -, allora dovrei dire: per la mia grande presa di coscienza. Il che significa anche poter disporre delle mie forze più profonde. E pensare che una volta appartenevo anch'io a quella categoria di persone che di tanto in tanto pensano di se stesse: sì, in fondo io sono una persona religiosa. O qualcos'altro di positivo. E ora mi capita di dovermi inginocchiare di colpo davanti al mio letto, persino in una fredda notte d'inverno. Ascoltarsi dentro. Non lasciarsi più guidare da quello che si avvicina da fuori, ma da quello che s'innalza dentro. È solo un inizio, me ne rendo conto. Ma non è più un inizio vacillante, ha già delle basi. Ora sono le otto e mezzo, c'è un camino a gas acceso, tulipani gialli e rossi, ed ecco che spunta fuori una pasticca di cioccolato della zia Hes; ci sono anche tre pigne che vengono dalla brughiera di Laren, accanto alla ragazza marocchina, e a Puškin. Mi sento così “normale” e così bene - senza quei pensieri terribilmente profondi e tormentosi e quei sentimenti pesanti -, proprio normalissima, però piena di vita e molto profonda, una profondità che sento pure come “normale”. Devo ancora ricordare l'insalata di salmone, che è pronta per stasera. E ora metto su l'acqua per il tè, la zia Hes sta facendo un golfino all'uncinetto e Pa Han si trastulla con una macchina fotografica - e perché no, poi? Che sia tra questi quattro muri o tra altri quattro, che importa? Tanto, quel che conta è altrove. E stasera spero anche di andare un po' avanti con Jung. Le undici Da Jung: “Il valore attribuito alla psiche inconscia come fonte di sapere non è per nulla così illusorio, come può apparire al nostro razionalismo occidentale. Vi è in noi la tendenza a supporre che ogni conoscenza derivi sempre, in ultima analisi, dall'esterno. Ma sappiamo oggi con certezza che l'inconscio dispone di contenuti tali che, se potessero essere resi coscienti, rappresenterebbero un

incalcolabile aumento di conoscenza”. “In genere la vita psichica, veduta esteriormente, sembra una riproduzione di processi esterni, che ne costituirebbero non soltanto l'occasione, ma la stessa causa efficiente. Di primo acchito si può anche pensare che l'inconscio si debba spiegare soltanto sulla base della realtà esterna e della coscienza: come si sa, la psicologia di Freud ha fatto un tentativo di spiegazione di questo genere. L'impresa sarebbe potuta riuscire soltanto se l'inconscio derivasse effettivamente dall'essere e dalla coscienza individuale; ma l'inconscio precede l'individuo, giacché è disposizione funzionale ereditata dai primordi, e la coscienza rappresenta soltanto un tardo figlio della psiche inconscia. È chiaro che non avrebbe senso spiegare la vita di un capostipite solo guardando ai suoi tardi epigoni; perciò, secondo me, è anche errato trattare l'inconscio come se esso dipendesse causalmente dalla coscienza: è vero proprio l'opposto. La psicologia antica seguiva infatti questo punto di vista. Consapevole dello straordinario tesoro di oscure esperienze che giace nascosto sotto la soglia della coscienza individuale effimera, considerava l'anima individuale soltanto come dipendente da un sistema universale spirituale. E non solo formulò ciò come ipotesi, ma proclamò come verità evidente al di là di ogni ragionevole dubbio che un tale sistema era un Essere volontario e cosciente, anzi una persona: e diede a questo essere il nome di Dio, assumendolo come somma di ogni realtà. Esso fu per quella psicologia l'essenza più reale, la causa prima, l'unica con la quale l'anima poteva essere spiegata. “Del resto una tale ipotesi è psicologicamente giustificata: giacché non si può considerare illegittimo il chiamare divino, in confronto all'uomo, un essere pressoché immortale avente un'esperienza pressoché eterna”. Hans, bussi alla porta, eh? Va bene, io mi occupo del pane tostato e poi zia Hes può sedersi tranquilla accanto al fuoco. Le undici e mezzo. Che sonno che ho! Venerdì mattina, 2 gennaio [1942] Ieri sera: la carne, volevo improvvisamente solo la carne e volevo che ogni desiderio si risvegliasse dai più profondi recessi dell'animo. Una cosa simile non mi succede spesso, ma, quando accade, allora non importa chi sia l'uomo. E davanti al camino, dove tanto devotamente avevo trascorso la prima mattina dell'anno a sognare e dove, nel pomeriggio, eravamo seduti Tide, S. e io, formando una conventicola davvero raffinata - Tide come un'amazzone, vestito di lana nera e camicia bianca, e S. come uno zietto buono e pieno di raffreddore, con l'oroscopo che quella signora malata di polmoni gli aveva disegnato anni prima, con tanta cura e amore, su seta color viola e con qualche fetta di buon tulband e pan di spagna -, davanti a quel camino, improvvisamente mi ero sdraiata nuda, sul piccolo tappeto persiano, mentre le uniche luci nella camera erano le fiamme del fuoco e l'uomo era casualmente H. Era solo il richiamo della carne, la voglia di una piccola liberazione e l'uomo ne è solo lo strumento. In realtà non si dovrebbe usare l'amicizia a questo scopo. E, paradossalmente, la soddisfazione è stata solo dell'uomo sorpreso d'un tratto che, senza sospettare di nulla, stava studiando un freddo rapporto davanti al camino e che, all'improvviso, si è trovato ai piedi una donna nuda. Pare che io stia diventando tanto equilibrata e allegra e piena di fiducia. Questa dissolutezza estemporanea, che forse avrebbe suscitato in me, in un secondo momento, una disillusa, cinica e triste reazione, questa volta non ha preso enormi proporzioni. È stata rielaborata. Ma tutto questo è troppo complicato da descrivere. Allora solo una tazza di caffè prima che arrivi la studentessa. C'è un altro amico nella mia vita: il Principe Myškin. Non so ancora molto di lui, ma ha già il suo posto fisso nei miei pensieri. Di sera, le nove e mezzo È davvero singolare quanto le mestruazioni influiscano ogni volta sul mio essere. Oggi in effetti è stata una brutta giornata. Non ho lavorato. Oggi pomeriggio ho dormito un po' sotto aspirina e con il mal di pancia. Stamattina ero ancora terribilmente attiva, vista la situazione: poi d'improvviso,

accorciare un vestito, andare a comprare cinque fiorini di mele renette gialle e oggi pomeriggio girare venti negozi per i guanti di Käthe, con tutte le emozioni che la Kalverstraat riesce sempre a suscitare. Ah, già, devo ancora chiedere a S. la sua definizione di “materialismo”. In quel negozio semibuio, dove nessuno veniva a servire, è stato davvero bizzarro, mentre le mie mani volevano allungarsi verso quelle muffole di lana. Com'è potuto accadere? Memorie dalla casa dei morti non mi sembrava tanto duro. Immagina: la mattina sei inginocchiata di fronte all'alba grigia, dietro la tua finestra, e in seguito, durante il giorno, fai esasperare una sospettosa commessa bionda per via della cattiveria della gente che si mette a tastare le muffole di lana. Questo è connesso alle mestruazioni? Certo, e comunque riguarda me. Andiamo a letto adesso, e cerchiamo di tenere lontano dalla morsa del malessere ogni pensiero e ogni volto che altrimenti mi è caro, sennò rischiamo che tutto ne venga di nuovo contaminato. Una sera come questa mi isola di nuovo: in questi momenti, la continuità con tutto quello che è venuto prima, è rotta. In passato una cosa simile prendeva proporzioni inaudite. Finiva sempre con l'idea che una delle cose più piacevoli fosse addormentarmi sul fondo di un canale fangoso. Andare a frantumarmi contro non-so-che-cosa. In realtà, si tratta di non voler sopportare quei momenti di malessere. Adesso vado a dormire con un tale senso di desolazione. Va bene, allora buona notte, domani tutto andrà meglio. Sabato mattina [3 gennaio 1941], le nove e mezzo Bambina cara, non mi piaci affatto in questo momento. Credo che tu sia di nuovo troppo preoccupata dal tuo stato di salute. Bene, sentiti pure derelitta. Non hai alcuna voglia di fare lezione oggi pomeriggio e nemmeno di andare a quella soirée musicale. Ma dietro si cela molto di più. Non sei davvero malata e puoi quindi di certo fare lezione e uscire. Ma devi prima riuscire ad accettare il fatto che per una volta potresti essere meno affascinante e meno vitale del solito, e che stasera te ne starai un po' più assonnata sulla Muzenplein. È solo vanità e voglia di mostrarsi, il desiderio di essere sempre il più scattante e piacevole possibile assieme agli altri. Devi anche accettare che qualche volta sembrerai “incolore”, senza per questo sentirti meno valida. Dipende anche dal tempo umido, dall'aria soffocante e da quella strana pancia. In passato ero anche più sensibile a tutto ciò, e mi sarei lasciata andare completamente. Una sensazione di fiacchezza e insignificanza: come se dentro di me si fosse spenta la luce. Fuori non c'è ancora molta luce, adesso, alle nove e mezzo di mattina. Ora mettiti a lavorare in modo disciplinato, piccola cara, una traduzione in russo nitida al massimo mi pare la cosa migliore. E soprattutto non compiangerti e cerca di non pensare per niente a te stessa. 5 gennaio 1942, lunedì mattina, le nove e mezzo Tutti i canali bloccati sono di nuovo aperti e si riversano nel grande oceano. Alcune volte, al risveglio, il mattino grigio non è altro che un pezzo di carta appiccicato alla cornice della finestra, e i rami scuri del mio albero sono solo piccole linee mal tracciate su quel sudicio foglietto. E la libreria, chiaramente visibile grazie alla notte luminosa, un pezzo di legno colmo di pile di noiosi fogli. È proprio la cosa peggiore di tutte: quando la luce dentro di te è spenta o, per dirla in modo ardito: quando Dio per un momento ti ha abbandonata. Ma ieri sera d'un tratto mi sono dovuta inginocchiare di nuovo, per via di un inatteso impeto interiore, al centro della camera, e la mattina grigia al risveglio non era più un pezzo di carta, ma aveva riconquistato la sua consueta ampiezza. Il sabato è stato tollerabile soltanto grazie alla lettera indirizzata a Mischa che S. mi ha dettato nel tardo pomeriggio. Il cerchio deve sempre chiudersi per lui. Non restano mai vaghi progetti in sospeso, essi trovano sempre, a un certo punto, il loro compimento, che sia in una lettera o nella conclusione di una conversazione.

In seguito mi ha detto: Dal momento in cui ha deciso di non venire di più da me, ho pensato che avrei dovuto scrivergli; e se poi non lo si fa, nell'anima resta qualcosa che somiglia alle cicatrici sul corpo. L'avrà di sicuro espresso meglio, ma tant'è: nella mia anima ci sono parecchie cicatrici per via delle parole che avrei dovuto dire a qualcuno e che, per insicurezza, ignavia o avidità, o per pura indolenza, ho trattenuto e ancora trattengo dentro di me, sicché nei confronti di alcuni ho la sensazione di far loro continuamente torto. Non è importante che io sia capita, ma che riesca ad aiutare gli altri nel modo che io ritengo giusto. Signore, non rendermi così desiderosa di essere compresa. E non m'importa davvero se mi rendo ridicola; è un rischio che corro di buon grado. Più tardi ha anche detto: In passato, a Berlino, non sarei mai arrivato a una lettera simile, avrei piuttosto fatto la lotta con lei. E se adesso fossimo stati teneramente insieme, niente di tutto ciò sarebbe venuto fuori. Un tempo, il Triebhafte, il “pulsionale”, era l'aspetto predominante, sebbene il desiderio non sia venuto meno. E di sera, quella pagliacciata sulla Muzenplein, il piacere incontrollato nel fare giochi da bambini. Dopo di che S., molto categorico: chi non sa scherzare non può crescere. E più tardi, rivolto a me: Lei è davvero unica. Nessuno è così divertente come lei. Con tali parole nella mente mi sono infilata nel letto, come un tempo, quando da bambina rimanevo a succhiare di nascosto un paio di caramelle frizzanti sotto le lenzuola. E questa piccola vanità ha ostacolato, per così dire, una sincera preghiera serale. Vabbè, passerà in fretta. E ieri, di mattina l'allieva diligente dai capelli nero corvino che vuole diventare una giornalista, e di pomeriggio il piccolo Eucalipto ci ha colti di sorpresa con il suo brano di Beethoven. E sto cominciando ad accettare la voce di S., il che vuol dire: la vera, onesta passione e dedizione con la quale lui canta compensa le incrinature della voce. La nostra sala, prima un po' tetra e alquanto unbelebte, “spopolata”, comincia lentamente ad avere una sua storia per i numerosi pomeriggi e serate musicali ricchi di atmosfera. E di sera, Jung accanto al camino, e lo scorrere rinnovato dei canali nel più grande mare. Vediamo se riesco a trascrivere un po' di Jung, prima di andare dalla signora Van Esso per parlare del concerto privato di Mischa. Martedì mattina [6 gennaio 1942], le nove e mezzo Il repentino proposito della notte scorsa ti costerà ancora tanto sangue e lacrime, piccola cara. Grazie alla grande pace, alla lucidità e all'ampiezza d'animo, che da ieri, dopo quella piccola interruzione, sono di nuovo dentro di te, una frase ha seguito l'altra, confluendo in un insieme fluido e maestoso, che non vuole aver fine. Hai ancora tre intere settimane per cercare di formulare una visione completa di quest'anno, che è stato decisivo per un'amicizia che ancora cresce. I13 febbraio 1941 sono entrata per la prima volta, timidamente, in quelle due piccole stanze e tra un po', il 2 febbraio 1942, voglio infilare nella sua cassetta postale un documento in cui fisso i momenti più rilevanti dell'anno. E se non lo faccio adesso, mi sentirò certamente malissimo. Allora scrivi! E per dimostrare a te stessa che si tratta di una cosa seria, oggi devi finalmente scrivere la lettera alla piccola Wils, e non di sfuggita e con negligenza, ma con amore e attenzione. Pensi a lei così spesso e con affetto, perché mai non dovresti riuscire a dedicare un'oretta del tuo tempo a quella lettera? È davvero bizzarro che rimandi da settimane un simile gesto. Tra una cosa e l'altra, si sono già fatte le dieci e mezzo. Credo che questo sarà un giorno molto produttivo e intenso. Prima di tutto, una parte della traduzione in russo e la lettera per Wils, stasera lezione, e oggi pomeriggio forse un passetto in avanti con Myškin. Buon viaggio! Di pomeriggio, le quattro La storia della crescita della nostra amicizia, che compirà un anno il 3 febbraio, ha circolato nel mio profondo alla stregua di un ritmo persistente e grandioso, per tutto il giorno. Sembra che le parole e le immagini siano a portata di mano, ma in un secondo momento si è destinati a scoprire che esse non sono affatto tanto vicine e non si lasciano certo afferrare. Mi fanno paura. “Lei gioca ancora

troppo con i suoi talenti,” mi ha detto una volta S. "li sta ancora assaporando”. Finalmente, la lettera per Wils è scritta, questo almeno è un buon segno. Ecco come cominciava: “Ciao, piccola Wils, stamattina mi sono detta che non è sufficiente dedicare ogni tanto amichevoli e affettuosi pensieri a qualcuno, bisogna anche arrivare a "un'azione" a un certo punto, anche se l'azione è solo una semplice lettera”. E non posso neanche insistere nell'assaporare in solitudine le parole e i ritmi che mi attraversano, e a cui in realtà ha diritto anche l'altro: devo pian piano raggiungere una forma, per quanto manchevole essa possa essere. E non bisogna sempre desiderare di fare qualcosa di straordinario, ma solo ciò che dev'essere fatto e, se è speciale o meno, lo si vedrà dopo; in ogni caso ci vuole il coraggio di produrre qualcosa di “manchevole” o non speciale. E adesso devo anche occuparmi dell'Idiota. Il Dostoevskij per Tide è stampato su vera carta economica da tempi di guerra, ma la copertina è decente e io sono contenta di questa copia. E vorrei aggiungere un paio di parole: “Tide, mi sono arrovellata per una settimana intera su tazze da tè, vasi da fiori e leggii musicali, finché d'un tratto non mi è venuto in mente: perché non dovrei regalarti qualcosa di personale, qualcosa che provenga dalla mia sfera privata? Tu hai arricchito la mia vita perché sei una "casa aperta"“. Terribileee, terribileee... che modo di formularlo! Lo so, lo so che non si tratta della “formulazione” e che il sentimento sincero è stile in sé - come Suarès dice di Fdor Michajlovič - ma lo iato tra il mio sentimento e il mio “stile” è ancora troppo grande. Non si tratta solo di vanità nel voler esprimere le cose con le parole giuste, ci sono comunque dei limiti. Di punto in bianco ha cominciato a nevicare fuori dalla mia finestra. Di sera, le dieci e mezzo Quando durante il giorno pensi a qualcuno in questi termini: Talvolta mi sei così vicino che vorrei condividere le tue notti e non separarmi mai più da te, e la sera lo incontri, sotto la luce di una lampada Philips, nel ruolo di insegnante circondato da giovani donne eccitate, e all'improvviso scopri che quella piega selvaggia e indomabile è ricomparsa sul suo labbro inferiore - per cui avverti che, pur con tutta la tua stanchezza, riemerge in te un'infatuazione impotente, ecc. ecc. -, torni d'un tratto a rattristarti un po'. Ma forse si tratta solo di un'estrema spossatezza. E probabilmente, in un giorno come questo, anche la “creazione” interiore sfinisce e il fatto che mi sia ripromessa di annotare qualcosa per il 3 febbraio mi pesa come un macigno e sento di non potermene liberare; in questo momento sono sconfortata, se penso all'ampia frattura che separa la mia immaginazione da ciò che dovrebbe venire a patti con essa. E oggi è stato anche di nuovo un po' come vivere su due distinti piani: di giorno a questa scrivania, in questa camera isolata, immersa in un mondo immaginario di pensieri, in una realtà ricreata; e, di sera, l'incontro con l'oggetto della tua immaginazione creatrice, nella realtà normale, su un piano molto diverso. E poi c'è sempre, anche se solo per un infinitesimo secondo, un cortocircuito: ma adesso non va più tanto in profondità. Quella tristezza è in realtà soprattutto stanchezza. E adesso buona notte. 7 gennaio 1942, mercoledì sera, le otto Oggi pomeriggio lungo il canale bianco di neve, dopo quella scena inaspettata al Consiglio Ebraico: “Sono molto meno sicuro della mia assoluta bravura, che dell'insieme delle mie qualità umane”. E più tardi, ognuno attaccato a un cordone del tram numero 24: “Era un bene che lei ci fosse, lei mi stimola sempre perché partecipa a tutto, e io sono un tipo che ha proprio bisogno di un podio”. In un modo o nell'altro, io pretendo di dire sempre qualcosa che sia molto spiritoso, acuto e speciale - o altrimenti, di non dire assolutamente nulla. E così finisco per non annotare tanti piccoli avvenimenti, spassosi e imprevisti, perché ho paura di essere “insulsa” di fronte a me stessa. Adesso, però, voglio provare ad annotare l'episodio di oggi pomeriggio, solo i fatti puri e semplici:

anche se proprio i “semplici fatti” non esistono mai con S., perché l'atmosfera che emana da lui finisce sempre per influenzare le situazioni. Dunque: dovevamo trovarci alle quattro e mezzo al Consiglio Ebraico, eravamo ben poco entusiasti al pensiero di interrogazioni e domande riguardanti la proprietà, “numero di emigrazione”, Gestapo, e altre amenità simili. Un giovane dietro un tavolino. Viso sensibile, dolce, intelligente. La “segretaria russa” saltella senza troppa eleganza dietro a S. come se la sua presenza fosse necessaria - apparentemente per il problema all'udito di lui, in realtà solo per poterci essere anche lei. E anche questa volta ne valeva la pena. Dopo quattro chiacchiere tra S. e quest'individuo dolce e veramente molto simpatico, spunta fuori un omino che tutto entusiasta si avvicina a S. Buongiorno, signor S. S. guarda questo tipo, che aveva una meravigliosa testa sarcastica da Mefistofele su un corpo piccolino, non lo riconosce, e gli dice sperando in bene: Oh, lei dev'essere stato mio allievo. Questo succede in tutta Europa, immagino. Se io cammino per la strada con S., ogni tanti metri c'è qualcuno che gli viene incontro con la mano tesa, e S. dice prontamente: Oh, lei dev'essere stato mio paziente. Quest'uomo - la cui faccia diabolica, dai tratti marcati e sarcastici, contrastava singolarmente con quella sensibile e dolce del giovane - non aveva frequentato un corso di S. ma lo conosceva attraverso i Nethe, e aveva una gran voglia di essere suo paziente. Il tipo mordace dice a quello mite: Sta' attento al signor S., quello sa tutto di te. Dalle tue mani. E il giovane mite posa immediatamente sul tavolo la sua mano destra, aperta. S., che ha un po' di tempo, acconsente. È difficile descrivere il seguito. Anche perché quando S. dice: questo è un tavolo, e un altro dice: questo è un tavolo, i due tavoli risultano molto diversi. Le cose che dice lui, anche le più semplici, sembrano più impressionanti, significative, vorrei quasi dire più “cariche”, che se le dicesse un altro - e non perché S. si dia un'aria d'importanza, ma perché le cose in lui sgorgano da sorgenti più profonde, più vive, e anche più profondamente umane. E nel suo lavoro S. cerca l'elemento umano e non quello sensazionale - anche se finisce sempre per svegliare delle sensazioni, proprio perché scandaglia l'uomo in profondità. Dunque, il piccolo ufficio spoglio del Consiglio Ebraico. Il giovane sensibile che teneva le mani sollevate, il Mefisto tutto attento, e S. che, dopo un paio di osservazioni, riusciva a creare un contatto umano molto forte col primo. E nota bene che eravamo venuti per esser interrogati sulle nostre proprietà. Non ricordo esattamente tutte le osservazioni di S., ma una era questa: lei fa bene il suo lavoro, però va contro la sua vera natura. E di sfuggita: tanto introverso. No, è troppo difficile da rendere. Da brava allieva collaboravo valorosamente, osservando tra l'altro: ha anche qualcosa di femminile e di sensibile. E venivano fuori capacità che non potevano manifestarsi per sfiducia in se stesso. E anche: quando lei sia messo davanti a una cosa da fare, la farà bene, ma se avesse da scegliere tra cose diverse, sarà insicuro. Ecc. ecc. In pochi minuti il giovane era per così dire messo a terra, tutto sconcertato: “Ma signor S., quel che lei mi dice in due minuti corrisponde esattamente al risultato di un test che avevo fatto”. Dopo di che ha preso un appuntamento con S., e gli ha dato mille consigli per compilare quei moduli. Mi accorgo che non sono affatto tagliata per rendere il lato umoristico di quella situazione inaspettata. Più tardi, sul canale bianco di neve, ce la ridevamo come due scolaretti chiassosi, ripensando allo strano esito di quel caso burocratico: un appuntamento per un consulto e un impiegato che, per un improvviso moto di simpatia, vorrebbe violare la legge in tuo favore, se gli fosse possibile. A parte l'aspetto umoristico della faccenda, mi ha colpita soprattutto questo: come in quel piccolo ufficio, spoglio e sobrio, nello spazio di cinque minuti, un essere realmente umano e caloroso... Ecco, ha appena richiamato, quel furfante, per chiedermi se andiamo insieme a trovare Tide per il suo compleanno. Di sera, le undici e mezzo Eh già, da oggi pomeriggio ho dovuto far girare e rigirare diverse volte quel disco sul grammofono. È piuttosto divertente partire da un'investigazione finanziaria e ritrovarsi a bruciapelo nel bel mezzo di una relazione sociale con l'ufficiale investigatore, e osservare uno spoglio ufficietto che d'un tratto si trasforma nello studio di consulenza di una figura tanto “folle” quanto quella di uno

psicochirologo. Stasera ho di nuovo baciato la piega selvaggia e indomabile del suo labbro inferiore. E poi la buon'azione di portare con sé quell'imbronciata di Nethe. E oggi pomeriggio lungo il canale, Hertha. È stato per un attimo di nuovo un bruttissimo colpo al cuore, ma il cuore si è comunque allargato, e a quel punto c'era di nuovo spazio, anche per Hertha. Lui mi sta certamente educando a un amore più ampio di quello destinato a un'unica persona, a un amore che non consista soltanto nel voler possedere un altro essere. Eppure a volte sono tentata dall'idea di possederlo. Del resto, so di non possederlo se non nei momenti in cui lui mi è tanto vicino interiormente che potrei condividere le sue notti. Quando sento un così forte legame, si tratta in effetti di un culmine nella nostra relazione, e non c'è neanche bisogno che quella notte abbia davvero luogo. E adesso è più o meno mezzanotte, e un brutto bacillo si aggira di nuovo dentro di me: per tutto il giorno mal di testa, ero solita chiamarlo “raffreddore di testa”. Fortunatamente non ne dipendo così tanto come in passato; ha ancora un effetto sul mio lavoro, certo, anche se non agisce più sui miei stati d'animo. Giovedì mattina [8 gennaio 1942], le undici e mezzo Ieri pomeriggio, mentre stavamo passeggiando lungo il canale bianco di neve, lui di colpo ha detto non so proprio come gli sia venuto in mente: La prima cosa che farò, quando la mia fidanzata tornerà, sarà andare al Mauritshuis. E, continuando a chiacchierare, ha ricordato un giorno passato con lei, ormai diversi anni fa. E per un momento mi sono trovata in difficoltà. In passato, proprio all'inizio, avviluppata in un'infantile e arretrata piccineria, avrei indurito il mio cuore contro quella fidanzata lontana e mi sarei detta: già, già, continua pure a chiacchierare, tanto ci sono io qui, stesa felicemente tra le tue braccia, e farò in modo che tu mi trovi molto più carina di lei, ecc. ecc. Ma dopo un processo lungo e difficile, qualcosa è cambiato. È questa infatti la ragione per cui lo amo così tanto: perché il suo cuore è ampio e offre spazio a molti, e perché lui è fedele a tutti, nella maniera più consona alla natura di ciascuno. Quant'ero infantile appena un anno fa, meschina e davvero “materialista”; e quanto poco vero amore c'era in me. E se leggo le lettere di lei, così piene di nostalgia e tristezza, e animate dal “non-voler-disperare” e dalla fedeltà, a volte mi vergogno di averlo tutto per me. Venerdì mattina [9 gennaio 1942], le nove e mezzo Di recente gli ho chiesto la sua definizione di “materialismo”, aspettandomi di ricevere una lunga lezione, perché lui afferma così spesso: “è un punto di vista troppo materialistico, ecc.”. Invece è stato veloce e conciso: “Oh, posso dirtelo in due parole, ciò che intendo per materialismo”. “In linea di principio definisco materialismo tutto ciò che, nelle sue premesse o nei suoi fini, persegue qualcosa di reale, di dimostrabile o di funzionale”. Boom bang! Rieccoci! È di nuovo la consueta, breve, energica e sicura formulazione che tutto include. E, dopo alcune altre cosette, ha aggiunto: “Il confine è naturalmente soggettivo e bisogna di conseguenza valutare se la componente funzionale, destinata prima o poi a emergere in ogni rapporto umano, rappresenti uno stadio transitorio o uno stadio finale”. Ciò si riferiva alla domanda su quanto l'elemento materialistico influenzi una relazione tra uomo e donna. Voler essere amati perché quell'apprezzamento giova a una buona considerazione di se stessi: amare per la propria, ristretta soddisfazione. Ecc. ecc. È solo una constatazione, non un rigetto del materialismo in sé. Il cielo e la terra esistono, ma la materia non deve essere il fine. Ed è stato toccato in breve anche quest'aspetto: “Il materialismo potrebbe anche consistere nel fatto che molto spesso certe persone, dopo aver scoperto un'idea o un sistema, se li tengono stretti per paura, hanno paura di trasmetterli agli altri”. Il monito “Tutti gli uomini dovrebbero essere fratelli” avrà una possibilità di essere realizzato solo

quando i diritti d'autore saranno stati aboliti; quando tutti potranno liberamente pescare dalla grande riserva comune, che è stata creata dall'umanità nel corso dei secoli. Solo quando si saprà e si riconoscerà che quella riserva è comune e che, se ti tocca qualcosa di quel patrimonio, è una grazia; giacché quel che conta non è se tocca a te, signore o signorina tal dei tali, bensì se sei grato per il fatto di poter dare asilo a uno dei pensieri o dei sentimenti patrimonio dell'umanità. È importante che tu sia grato di essere stato casualmente scelto come mezzo, strumento, anello di congiunzione, che esprime, rende possibile l'espressione dello spirito, del divino, o comunque lo si voglia chiamare. E allora non importa chi è chi. Diventando “impersonali”, per dir così, non è necessario che i contorni della propria personalità si rendano indistinti, anzi dovrebbero emergere in maniera ancora più nitida una volta che non sono più offuscati e corrotti dalle piccole, infime riflessioni personali basate su ambizione, vanità, complessi di inferiorità, ecc. E, nel prosieguo della conversazione: “Il sentire cosmico è totalmente contrapposto al sentire materiale. Quando un uomo sente in modo cosmico non può essere legato all'elemento materiale, perché in tale frangente tutto si converte in grandezza. L'elemento materiale è legato all'aldiqua, e l'aldiqua, nel suo carattere esclusivo, è funzionale e finito. Si può davvero parlare di materialismo solo là dove l'elemento materiale è un fine e non un mezzo per il fine”. Dio, Ti ringrazio per la grande forza che mi dai: il centro interiore da cui viene regolata la mia vita sta diventando sempre più forte e cardinale. Le molte impressioni contrastanti che provengono da fuori si accordano ora, in maniera meravigliosa, le une con le altre. Lo spazio interiore riesce ad accogliere sempre di più, e le molte contraddizioni non si sottraggono vita l'un l'altra, e non si ostacolano a vicenda. E dopo un giorno come quello di ieri, oso dire con una certa convinzione: nel mio regno interiore domina la pace perché è retto da una potente autorità centrale. Dio, credo di collaborare bene con Te, noi lavoriamo bene insieme. Ti sto offrendo uno spazio sempre più ampio in cui vivere, e comincio anche a esserTi fedele. Non ho quasi più bisogno di ripudiarTi. Non devo più rinnegare, piena di vergogna, la mia vita profonda nei momenti più frivoli e superficiali. Il centro forte irraggia il suo influsso fino alle più lontane periferie. Non mi vergogno più dei miei momenti più intimi, non fingo più, di tanto in tanto, di non riconoscerli. Ieri mattina: alla scrivania, immersa nella corrente profonda, e di sera l'atmosfera teatrale dai Levie. E dai Levie ho difeso Tideman contro le loro critiche. Niente si oppone più nella mia vita interiore. Rilke e Marlene Dietrich si tollerano splendidamente, per così dire, dentro di me, non c'è bisogno che io a tratti rinneghi l'uno al fine di apprezzare appieno l'altra. Che sciocca combinazione, in realtà, ma come mi è venuta in mente? E poi anche quell'intensa conversazione con Jan Polak. È solo grazie a essa che mi sono resa conto di come io possa esprimere le cose che mi toccano e come abbia anche il coraggio di mettere in parole le mie sensazioni interiori. Diventa quasi una testimonianza. È successo molto ieri, è stato un altro giorno ricco e pieno, troppo per poterne scrivere. E adesso al lavoro. Ti ringrazio, Dio, nel mio grande Regno interiore adesso dominano tranquillità e pace, grazie al forte potere centrale che Tu eserciti. Le più lontane zone di confine avvertono il Tuo potere e il Tuo amore, e si lasciano guidare da Te. Le sei La fragile, balbettante piccola signora Levie, ieri sera: Quando sono brilla, sono proprio affascinante. Da una conversazione con Jan: Quando, in passato, sedevo alla mia scrivania, ero presa da irrequietezza al pensiero di perdermi qualcosa fuori, qualcosa della “vera” vita. E così non riuscivo mai a concentrarmi sui miei studi. E quando ero immersa nella “vita vera”, in mezzo alle persone, provavo sempre il desiderio disperato di tornare a quella scrivania e non ero affatto allegra insieme agli altri. Quella distinzione artificiale tra studio e “vita vera” adesso è scomparsa. Adesso “vivo” davvero dietro alla mia scrivania. Lo

studio è diventato una “vera” esperienza di vita e non è più solo qualcosa che riguardi la mente. Alla mia scrivania io sono completamente immersa nella vita, e trasporto nella “vita vera” la tranquillità interiore e l'equilibrio che mi sono conquistata nell'intimo. Prima dovevo ogni volta ritirarmi dal mondo esterno, perché le molte impressioni mi confondevano e mi rendevano infelice. Dovevo rifugiarmi in una stanza silenziosa. Adesso quella “stanza silenziosa”, per dir così, la porto sempre con me, e mi ci posso ritirare a ogni istante, sia che mi trovi in un tram pieno di gente sia nel mezzo della confusione in città. Il campanello per la cena. Stasera S. Domenica sera, 11 gennaio [1942], le otto e mezzo Buffo: ecco S., seduto in un angolo, mentre chiacchiera con Pa Han. Oggi pomeriggio ha cantato la Dichterliebe, poi ha mangiato dello yoghurt e quindi si è seduto vicino a me alla scrivania, e improvvisamente stavamo leggendo insieme quelle sue lettere scritte durante le vacanze estive e lui ha detto: sono proprio un povero folle. Ma non è ciò che conta adesso. Come faccio a esprimere quest'anno in parole? Eccolo là seduto, lo zio buono dal demonico labbro inferiore. Là siedono i miei due uomini, chiacchierando insieme, il cinquantacinquenne e il sessantaduenne. Dovrai cavartela per una volta senza ispirazione. Dovrai lavorare ancora più duramente se vuoi essere pronta per il 3 febbraio. No, è troppo strano, non posso scrivere di S. mentre lui è nella stanza. Lei ha l'aria un po' stanca, oggi, ha detto un momento fa. Andiamo, continua. Le undici e mezzo di sera Sono contenta che domattina mi aspettino tutti quei piatti da lavare nella cucina in disordine: è una specie di penitenza. Credo di poter capire i monaci, che nelle loro ruvide vesti s'inginocchiano su freddi pavimenti di pietra. Bisogna che rifletta seriamente su queste cose. Stasera sono proprio un po' triste: ma sono stata io a volere quegli abbracci. Lui, quel tesoro, si era appena proposto di vivere in castità per parecchie settimane, pensando alla Gestapo dove dovrà presentarsi tra non molto: quasi per poter irradiare nient' altro che bontà e purezza, per attirare su di sé i buoni spiriti del cosmo. Perché poi uno non dovrebbe crederci? Ed ecco che una sfrenata “ragazza chirghisa” viene a confondergli quei sogni. Gli ho chiesto se stasera, ripensandoci dal suo letto, ne avrebbe provato dispiacere. No, ha risposto, io non rimpiango mai nulla, era bello, e mi sono reso conto che esiste ancora un “luogo terrestre” dentro di me. Invece per me un improvviso ravvicinamento fisico nasce sempre da una “vicinanza spirituale”, ed è buono proprio per questo. E che cosa ne cavo, poi? Soltanto tristezza e la coscienza che con gli abbracci non riesco a esprimere quel che provo per un altro; e la sensazione che un uomo mi sfugge proprio quando è fra le mie braccia. Io provo più piacere e desiderio nel guardare la sua bocca che nel sentirla sulla mia. In rarissimi momenti questo mi procura persino una sorta di felicità, per dirla con un parolone. E stanotte mi addormenterò accanto a Han, per pura tristezza. Com'è tutto caotico. Ora lo so: S. prega dopo essersi “tolto” i denti. Del resto è logico: si deve prima aver chiuso i conti con tutte le faccende terrene. Pare che io sia in un periodo di grande fioritura, irradio luce in tutte le direzioni, dice S., e lui ne gode insieme con me. Un anno fa ero proprio una moribonda, con le mie sieste di due ore e il mio mezzo chilo di aspirine al mese, era una situazione da far paura. Ormai è “letteratura antica”, mi sembrano così lontani i problemi che avevo allora. Ho dovuto percorrere un cammino faticoso per ritrovare quel gesto intimo verso Dio, la sera alla finestra, per poter dire: ti ringrazio, Signore. Nel mio mondo interiore regnano tranquillità e pace. È stato proprio un cammino faticoso. Ora sembra tutto così semplice e così ovvio. Questa frase mi ha perseguitata per settimane: Bisogna osar dire che si crede. Osar pronunciare il nome di Dio. In questo momento, un po' fiacca e stanca e triste e non del tutto contenta di me stessa, non sento così, ma so che questo sentimento esiste. Stasera non dirò certo niente a Dio, anche se sento il desiderio di quelle pietre fredde, di riflettere, di prendere le cose sul serio. Le cose del corpo. Il mio temperamento va ancora troppo per la sua strada, non è in armonia con l'anima. Credo però di possedere questo desiderio di armonia, anche se dubito sempre

più che lo stesso uomo possa andarmi bene, corpo e anima. Eppure la mia tristezza è diversa da quella di un tempo. Non cado più così in basso, e nella mia tristezza è già insita una possibilità di ripresa. Una volta, quando ero triste, pensavo che avrei continuato a esserlo per tutta la vita: ora so che anche quei momenti fanno parte del mio ritmo vitale, e che è un bene che sia così. Ho di nuovo fiducia, una grandissima fiducia, anche in me stessa. Credo nella serietà del mio impegno, e so che col tempo riuscirò ad amministrare bene la mia vita. A volte, quando sono sola, penso a lui con un amore tanto profondo e riconoscente: Mi sei così vicino, che vorrei condividere le notti con te. Questi sono per me i momenti forti della mia relazione con lui. Può darsi benissimo che una notte simile si rivelerebbe un disastro. C'è qualcosa che non va? E ora buona notte, perché mi accorgo che sto dicendo delle grandi sciocchezze dal sonno che ho. Ah, quei piatti da lavare domattina! Però il suo corpo non lo voglio proprio, anche se certe volte sono pazzamente innamorata di lui: dipende dal fatto che gli voglio bene in modo così profondo, quasi “cosmico” - un modo che con il corpo non ha nulla a che vedere? Tide e io siamo le due persone più vicine a S., e siamo due opposti. Dobbiamo volerci molto bene anche noi. Oggi pomeriggio, quando lei ci ha accompagnati alla porta e ha dato un bacio a tutti e due, c'era per un momento una meravigliosa intimità fra noi tre. E ora andrai finalmente a letto? Lunedì mattina [12 gennaio 1942], le nove, accanto al piccolo fuoco Buongiorno, nuova settimana. Va di nuovo tutto bene. La sera di ieri è molto lontana. È anch'essa andata a formare armoniosamente la serie delle molte serate di quest'anno. È già diventata una piccola onda nella grande corrente della vita che attraversa il profondo del mio essere. Lui, ieri sera tardi, avrebbe detto: È stato bello e non mi pento. E adesso io dico: È mancato qualcosa ieri sera, ma “non mi pento”. Quanta sicurezza e quanto calore la scorsa notte con Han. Eppure, ripensandoci, non è che io cercassi consolazione con Han per la tristezza provata con S. In fondo io sono fedele. Ci risiamo: quel lavare i piatti era di nuovo un atto simbolico di creazione di ordine. Han cammina in fretta per la stanza e, vedendomi seduta a scarabocchiare presso il fuoco, chiede ironico: Hai di nuovo dei pensieri? Stai esprimendo i tuoi sentimenti sul lavare i piatti in forma più elevata? E adesso penserai di certo: lui non ne capisce nulla! Il tesoro... L'ultimo vasetto di melassa di mele è finito a colazione. Ancora due tazze di tè, anche se non del tutto inalterate, e questo dopo più di un anno e mezzo di guerra. Cominciamo con un po' di grammatica, riguardiamo quella parte di traduzione di Bordewijk e prepariamo la lezione di Hetty. Tu vivi nel mio profondo, Dio; trovo questa vita tanto buona. Han nel frattempo mi ha spiegato 5 volte x 365 come si disfa un letto per poi aggiungere: Ma non lasciare che io disturbi i tuoi pensieri più elevati. Sono le nove e mezzo di mattina e le pesanti tende per l'oscuramento sono già state aperte, ma molte luci sono ancora accese; la mattina sembra incerta dietro le finestre. Davanti a casa si stenderà di nuovo l'ampia steppa ghiacciata. E adesso, veloce come un fulmine! D'un tratto, ieri sera, un'espressione ha solcato il suo volto, mentre stava sdraiato per terra. In quell'istante amavo così tanto quel viso, e ho chiesto: A che cosa sta pensando, in questo preciso momento? (A volte uso ancora quel “lei” anche nei momenti più intimi, non è singolare?). Comunque è proprio vero che il più pieno godimento e la più profonda tristezza spesso si trovano l'uno a fianco dell'altra. E su quella profonda tristezza: dev'essere senz'altro “l'anima del mondo” che si rende visibile... Se qualcuno lavora continuamente alla propria formazione e non si vergogna di parlarne con altri, sebbene a volte si tratti di cose del tutto infantili, sta aiutando anche gli altri nella loro formazione: questo in merito ai suoi progetti di castità e a tutto quello che lui ha detto sulla questione, e all'espressione del suo viso in quel momento. E la mia reazione a tutto ciò: sono abbastanza seria in queste cose?

D'un tratto Käthe entra correndo nella camera. L'assistente più giovane, grida, mi ha dato le tessere per quarantanove chili di patate. Così supereremo di certo il periodo di freddo. Di sera Solo una breve citazione da Jung: “... conosco perciò persone per le quali l'incontro interiore con una forza estranea rappresenta un'esperienza alla quale danno il nome di "Dio". Anche "Dio", considerato in questo senso, è una teoria, una forma di rappresentazione, un'immagine che lo spirito umano si costruisce nella sua limitatezza per esprimere un'esperienza impensabile e ineffabile. L'esperienza è l'unica realtà che non si possa annullare con le discussioni, laddove le immagini possono venire insudiciate e distrutte”. Stasera quella lettera da parte della piccola signora Levie. La includo qui quasi per gioco, perché quella donna in un modo o nell'altro è un'esperienza poetica per me. Prima di tutto, eccola alla lezione di S., fragile, piccola, un po' timida e misteriosa, pur restando sempre una signora elegante e piena di fascino. Al corso serale: ho notato d'un tratto che balbettava e questo in realtà la rendeva ancora più affascinante. Il modo in cui era vestita su quel palco pieno di spifferi, una piccola donna in nero accanto a me, con i lunghi capelli di seta, biondo scuro. L'ho vista nei miei pensieri con quell'abbigliamento, ed era un'immagine accattivante. Saccheggiati di ogni loro bene - gli è stato rubato o bruciato tutto - eppure dotati di una forza silenziosa, anche il marito, che pur avendo un'aria vagamente da gangster, ha un che di dolce sul viso. Suggerirò a S. di “lavorare” su quella donna insieme: così tante inibizioni! [Mercoledì] 14 gennaio [1942], le undici e mezzo di mattina A dire il vero, non mi basta più annotare qualcosa per me stessa, ci sarebbe da scrivere tutto: un canovaccio grezzo sul corpo nudo nel freddo mattino. E un'amicizia che adesso è una continua sorgente, viva e tangibile nel tuo profondo. E un coraggio che sembra non poter più essere offuscato da niente. Le depressioni non sono nient'altro che i momenti in cui la vita si trasforma per te in un piccolo fossato torbido; tuttavia quel fossato è solo una sottile linea in un ampio, stimolante paesaggio. E adesso che posso vedere l'intero paesaggio, quel fossato sembra esserne soltanto una parte. Ora ho sempre la visione dell'insieme; e mi capita anche con le persone. In passato, se Tideman fosse stata, durante i corsi serali, così infantilmente ambiziosa, sciocca e naif alla stregua di una scolaretta, mi sarebbe bastato per perdere immediatamente la visione del resto della sua personalità. Invece adesso continuo a tenere a mente il resto, vedo il valore della persona intera anche nei suoi momenti più superficiali e ordinari. L'effetto pratico è che ora la mia vita è un'unità incessante, e continua a sprigionarsi nel profondo in tutte le direzioni. Accetto anche me stessa, adesso, come un tutto. Un tempo sarei rimasta profondamente ferita se qualcuno mi avesse detto, come ieri sera, dopo la lezione, che sono stata troppo tagliente e troppo ironica nei confronti di quell'oggetto d'analisi, e che questo non si fa perché non è gentile. In passato una cosa simile mi avrebbe fatta sentire a terra, e solo perché avrei pensato: adesso non gli piacerò più. Ma non penso più cose del genere. La critica è ben accolta e la si utilizza a buon fine, ma non mi ci arrovello più. Io accetto anche i miei momenti meno felici e con gli altri li mostro tranquillamente. Anche durante quella lezione di conversazione in russo, se in passato avessi fatto quel genere di sciocchi errori, la cosa avrebbe minato fin nelle fondamenta la fiducia nelle mie capacità, e mi sarei vergognata terribilmente; adesso, invece, accetto con grande coraggio il fatto di commettere errori, ed è solo uno stimolo per lavorare più duramente di prima, a maggior ragione, e non rappresenta affatto un elemento di scoraggiamento. Ho, per così dire, il coraggio di fare errori e comunque conservo la fiducia nelle mie capacità. Sono curiosa di vedere quale impatto S. e mia madre avranno l'uno sull'altra, domani sera. L'intera famiglia al completo, e ci sarà anche S. Il cerchio si chiude sempre più e questo è piacevole. Nel libro di Paul Stefan su Gustav Mahler - la mia lettura durante o prima di colazione o pranzo -

mi sono imbattuta in questo passo ieri: “... E così parecchi sono riusciti a gettare il sospetto di inautenticità sull'ingenuità "apparente", "studiata" del compositore, sul carattere "inquieto", "almanaccante", "capriccioso" dell'artista che crea e guida. In questo modo ha trovato giustificazione la loro apatia. Invece di chiedersi se sono ancora abbastanza naturali per poter cogliere con ingenuità la grandezza ingenua, gettano su colui che dona se stesso il sospetto del gioco, dell'artificio, della maschera. No, loro non si lasciano ingannare. Questa infatti è la suprema paura di quelli che, interiormente, non hanno consistenza, mentre in pubblico devono sempre dire la loro, la paura di essere prima o poi colti in fallo; e non riflettono che sovrastimare per dieci volte non è così grave come misconoscere una volta soltanto”. Senza alcun dubbio, in passato, anch'io ho avuto in me una bella fetta di inconsistenza interiore, e di smania di dire la mia in pubblico. Cosa farò stasera con quell'inerme donna-bambina (mi fa a volte quest'impressione)? Sembra che si aspetti qualcosa da me. Penso che le leggerò semplicemente la conferenza di Jung dal titolo Die Bedeutung der Psychologie für die Gegenwart [Il significato della psicologia per il presente]. E mi riprometto di far sì che le serate da lei non degenerino fino a trasformarsi in visite casuali, ma che per entrambe ne venga fuori qualcosa di essenziale. In passato, il mio modo di relazionarmi con i miei simili era a volte del tutto spontaneo e casuale: si stava insieme a qualcuno e talvolta andava bene; d'un tratto poteva scattare una scintilla e allora si restava ancora un po' con quella persona. Adesso non potrei più farlo. Siccome ora c'è nel profondo una fonte sempre in movimento, così tangibile e viva, e poiché vedo me stessa in maniera sempre più nitida e chiara, non mi soddisfano più le relazioni umane non chiare, vaghe e casuali. Sì, le leggerò quel saggio stasera e non cercherò di farle impressione con potenziali ed enigmatiche visioni psicologizzanti, ma consegnerò interamente me stessa così come sono, con tutto quello che so e che non so: mi rallegro all'idea di quest'incontro. Di pomeriggio, le quattro Se sembro tanto strana in quella foto, è perché quei due uomini si stanno sovrapponendo sulla mia faccia rendendola una maschera contorta. Sono stata piena di S. tutto il giorno. E Han improvvisamente, oggi pomeriggio, ha detto: Che ne dici se faccio un'altra foto? E io, davvero entusiasta: Sì. Credevo che tutti i miei sentimenti e tutto il mio amore si sarebbero irradiati da quell'immagine, che l'immagine sarebbe stata allora una foto dedicata in modo speciale a lui. Invece, essendo Han quello che la faceva, la cosa non ha funzionato. Mi sono sentita molto irritata. Quando sei totalmente presa da qualcuno, non riesci ad avere un contatto con un altro. Ma devi restare onesta e avere amore a sufficienza per entrambi. E io ce l'ho di certo. Si tratta di due relazioni molto diverse. Eppure in quella veranda fredda ha per un momento avuto luogo un terribile scontro. Penso che la mia profonda sensazione di disagio dipenda da ciò. Già, certe cose non sono semplici. Non ci puoi neanche scherzare. Sono questioni serie, questi due uomini. Un po' più tardi Ora non riesco a concentrarmi. Una sensazione molto spiacevole. Non appena smetto di sentirmi pura dentro, non riesco neanche più ad aprirmi con gli altri. Quell'irritazione nei confronti di Han non riesco neanche a stabilire quanto vada in profondità - per un attimo scaccia tutto l'amore che c'era in me. E di colpo mi sento stanca e indolente. Per esempio, adesso non ho alcuna voglia di andare da quella donnina di L., perché mi sento troppo debole per poterle dare qualcosa. Ma adesso so che cos'è. Quanto sottilmente reagisce tutto in te! Non è una questione su cui scherzare. Le vie di accesso al tuo profondo sono di nuovo sbarrate, cosa che non accadeva quasi più negli ultimi tempi. D'altronde, è stato un momento quasi drammatico, quando Han ha detto: Non fare quello sguardo, con gli occhi tanto aperti e così innaturale, proprio mentre mi stavo immaginando di irradiare ogni sorta di amore. E io, stizzita: Non preoccuparti per favore di me, lasciami fare lo sguardo che voglio. Già, ma a quel punto tutto era ormai compromesso, e io sono riuscita solo a fare

una smorfia di dolore. Mi ha fotografata migliaia di volte, ma un tempo il mio sguardo era solo per lui. Invece questa era una situazione strana, e anche tanto impura. Non puoi lasciare che un uomo che ami e che ha anche un certo diritto su di te, ti fotografi con uno sguardo pieno d'amore per un altro. E poi faceva così tanto freddo là. Le sette e mezzo Non è ovviamente solo la foto, lo so perfettamente. Quell'“ode” a S. non fa progressi. Non riesco ancora a trovare la forma nella quale poter esprimere tutto quel che l'ultimo anno mi ha portato. O meglio, ci riesco, ma solo in alcuni momenti. Poi mi sfugge di nuovo. “Creare” è davvero una faccenda dolorosa. Eppure non si tratta solo di questo. Oggi pomeriggio ho pensato d'un tratto di aver trovato la forma. Le frasi sembravano semplicemente scorrere fuori: o almeno così sembra in quei momenti. E poi ci si sono messi di mezzo quella dannata veranda fredda e Han con la sua mania delle foto, e adesso temo di non riuscire a concludere l'opera. A volte le frasi si affastellano dentro di me. Vorrei tanto descrivere le sue parole e i suoi gesti, i momenti trascorsi insieme, con le espressioni più adatte, quelle che saprò trovare di volta in volta. Molto è già stato ottenuto: non sono più tanto alienata e negativa nei confronti della discrepanza che si forma, per esempio, se di sera scrivo: “Talvolta mi sei così vicino che vorrei condividere le tue notti e non separarmi mai più da te”, e di giorno la sua voce al telefono mi parla di un argomento pratico. Oggi riesco a passare facilmente da un piano all'altro, e non mi accade più di aggrapparmi come una folle a un piano, mentre sto sull'altro. Oh, mio caro, mia luce, mio tesoro. E adesso andiamo verso la Watteaustraat con Jung e il “manoscritto” brrr... [Giovedì] 15 gennaio [1942], le otto di mattina Dio, ti ringrazio. Ti ringrazio perché vuoi vivere in me. Ti ringrazio di tutto. 19 gennaio 1942. Lunedì mattina, le dieci Per quanto riguarda il mio rapporto con la lingua: a volte è come se il ghiaccio dentro di me cominciasse a rompersi, come se il rigido amalgama linguistico si mettesse in movimento. Facciamo un po' d'ordine in ciò che è accaduto al mio compleanno. Ha avuto inizio con quei tulipani viola che, in un'accurata confezione, erano stati portati di buon mattino attraverso il ghiaccio e il freddo. Teneri fiori in una mattina invernale gelata. E c'era anche un libro, Wirklichkeit der Seele [Realtà dell'anima] di Jung, e due bigliettini da visita da parte sua, uno con la scritta offiziell e un altro con la scritta unoffiziell nella sua cara calligrafia da orso. E il bigliettino con la scritta unoffiziell recitava: “A sostegno della sua segretaria, eccellente dal punto di vista intellettuale e in continuo miglioramento in quello pratico-reale, sulla via che, oltre la realtà dei fatti, conduce alla "realtà dell'anima"“. E grazie ai fiori, al libro e a quei biglietti, mi sono sentita d'un tratto davvero “festeggiata”. Lui conosce l'arte di diffondere attorno a sé un'atmosfera di festa, anche quando non è fisicamente presente. E poi è arrivata Käthe con una bottiglia con un liquido giallo e io l'ho annusata, ma non era acqua di colonia, era olio per insalata. E io ho detto: Käthe, lo scriverò nel mio diario; immagina quanto ne rideremo ancora in futuro, un giorno, quando la guerra sarà finita. E aveva con sé anche un sacchetto di semolino, il tutto proveniente dalla sua scorta, quel tesoro. E alle dieci papà e mamma nella fredda camera di quella pensione. Vivace conversazione e poi, alle dieci e mezzo, da. S. che vive proprio dietro l'angolo. Giacca, gilè, cravatta, berretto, guanti, tutto disordinatamente sparso per la stanza, tanto che poi ha chiamato i Nethe perché venissero ad

ammirare la natura morta. Mi ha stretta fra le sue braccia: un esuberante e intenso quarto d'ora, il momento più bello di tutta la giornata. E sul suo biglietto: “Se dico qualcosa, è perché lo penso, ciò che ho scritto non è adulazione”. Sono accadute così tante cose emozionanti, tutte insieme, in un solo giorno. Inaspettatamente aveva un'ora libera alle cinque, e voleva analizzare mia madre in mia presenza, accanto al fuoco. Ha chiamato mia madre, così le presentazioni si sono fatte al telefono. In seguito S. mi ha detto: Devo essere severo nei confronti di sua madre, altrimenti non riesco a dire neanche una parola. Sono tornata a casa con la torta di mele avvolta in un tovagliolo che lui aveva fatto preparare per me dalla signora Lethe, in bicicletta. Quella torta è caduta solo una volta per terra, in mezzo all'Apollolaan, ma era ancora tutt'intera. Eccetera, eccetera. E poi i rami di prunus che mi ha donato quello scricciolo di donna con la quale leggo Jung. Adesso stanno lì a fiorire, primaverili e di color rosa tenue sullo sfondo della tenda grigio chiaro, mentre, di fronte a casa, il largo prato è già diventato una steppa ghiacciata. Mercoledì sera: la piccola donna nel suo pantalone lungo e maglioncino blu acceso, e più tardi un cretonne a fiori su quella figurina tremante. E ancora un'avventura per me: tutte le sue diverse facce non si sono ancora fuse in un unico viso per il mio occhio mentale, proprio com'era successo all'inizio con S. Giovedì sera con quel cappuccio di pelliccia nero, come una bionda Sonja russa. In quel punch non c'era invero nulla di pericoloso, ma verso la fine della serata lei, da un momento all'altro, si è lasciata andare e ha addirittura parlato per cinque minuti ininterrottamente con S. senza balbettare. Di lei e di suo marito, quella sera, mi ha colpito la mancanza di affettazione; sono stati viziati da raffinati artisti in tutti i centri culturali d'Europa, eppure rimangono ricettivi nei confronti del canto “immediato” di Tide, che cantava fino a dare l'anima - povero Jaap, con la sua maschera da morto! Tide più tardi ha detto, dimostrando ancora una volta la sua intelligenza intuitiva: Ho avuto la sensazione che tuo fratello si stesse interiormente ribellando. C'è stato un altro bel momento: la testa buona, pesante di S. alla luce della nostra lampada, assorta nel giornale. Da lui irraggiava così tanta atmosfera e calore e fiducia. E all'improvviso la rivelazione: vorrei averti con me per tutta la vita. La cena superba di Käthe, eppure c'è la guerra già da due anni: zuppa di fagioli borlotti e porri, piccole pere e budino con composta di prugne, e, ancora, fiori e torta di mele per decorare il tutto. E S., che aveva fatto trascrivere per intero il Dostoevskij di Suarès, era quasi troppo. Tu, sperperatore... Eccetera, eccetera. Venerdì mattina mi sono persa in fantasticherie, e ho sistemato la scrivania e, grata, ho rielaborato le molte impressioni della sera prima: soprattutto circa la signora L. nelle sue svariate forme ed espressioni. C'è ancora un velo attorno a lei che mi impedisce di avvicinarmi troppo: una grande fragilità, ma anche senso dell'umorismo e originalità. E sono particolarmente rapita dalla sua combinazione di fascino, eleganza e grande serietà, una sintesi che non s'impone, eppure mi attrae ed è relativamente nuova per me. Un'orgia di musica questa settimana. Sabato sera Mischa; ma si tinge i capelli? Vi si intravede un riflesso biondo-rossiccio, altrimenti per il resto va bene. Quei due bis di Chopin: “D-delizzzioso” sussurrava il timido Eucalipto. Non riesco ancora a goderne “immediatamente” a causa di tutta la famiglia che mi circonda. E soprattutto mamma in qualche modo mi opprime. Frau L. adesso è di nuovo diversa: più sobria, più brutta, meno interessante, ma proprio per questo ancora più intrigante. Quando la serata era ormai finita, ho camminato un po' con S. e Dicky, abbiamo mangiato patate in padella e marzapane e poi, ubriachi di sonno, con una mela nella mano, siamo tornati sulla fredda strada. Sfinita. Il pomeriggio dopo, di nuovo musica. La sera di sabato, sul tardi, c'è stato solo un momento di disagio, che minacciava di rovinare tutta la buona giornata. In quel momento mi sono di colpo resa conto che un simile attimo di tensione può diventare un pozzo profondo che ingoia cento momenti buoni, come le fauci di un drago dove va a sprofondare un'intera buona giornata. Ma sono riuscita a trattenere il giorno buono dall'abisso che si è spalancato all'improvviso, ho osservato di nuovo uno per uno i bei momenti e mi sono detta: Quanto sei ingrata! Come hai vissuto in

passato? Sei ingiusta nei confronti di tutto il buono della vita; dai via tutto il buono per un momento di depressione. Barbara! E così ho salvato il mio giorno. Era l'ultimo resto della mia “nevrosi familiare”. Una cosa è davvero degna di nota: neanche una traccia di mal di testa da giovedì. E nonostante tutte queste emozioni e la famiglia attorno. Verso il pomeriggio di ieri mi sono ritirata in me stessa, malgrado ciò è stato uno dei più bei pomeriggi e uno dei più armoniosi dello “Spier-club”. Mio padre e mia madre. Papà, che ascoltava piacevolmente S. mentre cantava, per poi dirmi: “In realtà, non ha proprio alcuna importanza se la voce è più o meno bella, la cosa principale è che lui canti con sentimento e comprensione”. E la signorina Wolterbeek da Beetsterzwaag con il suo violino; e Glassner con il Carnaval di Schumann; e Adri, che era arrivata direttamente dai boschi innevati, con la tuta da sci e gli scarponi da montagna. La bianca, vasta steppa davanti a casa, e narcisi gialli e tulipani viola sul pianoforte e quell'abbondanza di fiori rosa di Frau L. sul camino e tè caldo con biscottini e atmosfera, piacevole compagnia e musica. E poi dover lavare le tazze e spostare i mobili. E io a papà: Le ragazze sono piacevoli, non pensi? Sanno fare un po' di tutto. Era una compagnia molto pittoresca che poi si è recata al Nieuwe Huis per mangiare: S. “arianizzato” in mezzo alle sue bionde paladine. Tide gli aveva ordinato di non parlare, perché gli ebrei non vi sono ammessi. Ed eccoli là: la signorina Wolterbeek nella sua pelliccia nera, con la custodia del violino, un viso fresco da ragazzina nonostante i suoi cinquant'anni, occhi seri, scuri; S. con il suo berretto da giovanotto sulla testa da fauno, ancora a brontolare sulle scale: “I miei ringraziamenti all'oste”. Sabato sera, quando vedemmo la sua testa espressiva sbucare in mezzo alle persone, Frau L. disse: “Il suo aspetto ricorda talvolta il 135”. Adri con i pantaloni da sci, gli scarponi da montagna e il suo fazzoletto blu scuro, avvolto, a mo' di turbante, attorno alla testa crespa; Tide che implorava che Adri e S. non entrassero insieme perché avrebbero attirato l'attenzione dell'intero hotel: lo riteneva pericoloso per S. per via della questione del divieto razziale; e la stessa Tide, con un berrettino di pelliccia marrone e un cappotto marrone e poi ancora Dicky, con il suo piccolo nasino all'insù e il viso raggiante sotto l'acconciatura pinzata da tutte le parti: eccoli lì. Io e Han aspettavamo vicino al passamano della scala. E poi via con le patate, e la sera mi sono coccolata con Rilke accanto al fuoco, a dire il vero sonnecchiando, e alle dieci a letto. Così tante impressioni in questi due ultimi giorni, così tanta amicizia e calore; e, tra una cosa e l'altra, ho lavorato, fatto le faccende domestiche, ecc. E niente mal di testa, neanche per un momento. Tu sia benedetto! Sembra che in me si sia creato un completo equilibrio. Non sento più il bisogno di raggomitolarmi in un angolino accanto all'armadio per ascoltarmi dentro; adesso presto ascolto tutto il giorno a ciò che accade dentro di me, anche quando sono in mezzo agli altri; non c'è più bisogno che mi isoli e traggo di continuo forza dalle sorgenti più nascoste e più profonde. Una cosa comica: il giorno del mio compleanno arriva una lettera da parte di Toebosch, scritta con inchiostro verde in un francese altisonante, con i francobolli da espresso e un timbro sul retro, ma deposta a mano nella cassetta postale. 23 gennaio 1942. Venerdì mattina, le otto Mi sto viziando un po', nella mattina giovane. Negli ultimi giorni è stato un gran daffare e tanto freddo. Il fuoco del camino a gas ha cominciato ad abbassarsi in modo preoccupante; anche fuori la temperatura sarebbe scesa ulteriormente? Ma mi sono di nuovo lavata da capo a piedi e ho fatto la mia ginnastica. Per un paio di giorni l'avevo trascurata, a causa del freddo, ma questo mi fa sempre sentire peggio. Lunedì pomeriggio è arrivato all'improvviso Aimé, uno zaino in spalla e una suola rotta, i capelli nero corvino lasciati crescere attorno a un viso piccolo e pallido da tartaro. E una cartellina piena di poesie. La tensione sul suo volto si era sciolta. Molto maturato dall'ultima volta che l'avevo visto;

tutto quello che potevo offrirgli era misero cavolo rosso e neanche un posto per dormire. Ma gli avevano detto che avrebbe potuto alloggiare da qualcuno di cui sapeva solo che si chiamava Bart: non conosceva né il cognome né l'indirizzo, ma l'abbiamo comunque trovato. Come se tutto dovesse procedere così, di sera S. e Adri. E anche Jaap, con il suo volto enigmatico, sedeva casualmente accanto al fuoco. Era davvero commovente vedere come Jaap cercasse di addolcire la sua espressione facciale, nel momento in cui S. gli diceva un paio di cose su se stesso. Questo è stato in realtà il primo vero contatto tra i due. Copio quest'annotazione dai foglietti di Adri: “La mano del fratello di Etty è molto più robusta, ma molto meno armoniosa (di quella di Aimé). Quando vuol essere più amichevole del solito, ha un tocco morbido. È tutta concentrata su se stessa. Quando è protesa, ha qualcosa di duro, di razionale. Lui è davvero tenero e molto più simpatico di quanto appaia esteriormente”. E, durante una conversazione, Jaap, in atteggiamento difensivo, ha detto: “Io non sono così simpatico”. E S. ha risposto: “E invece sì, lei è molto più simpatico di quanto appaia esteriormente. Il suo razionalismo è una forma di protezione dalla sua insicurezza”. E, un po' dopo: “Lei non si lascia guardar dentro, ma è per paura”. Poi è venuta fuori una storia alquanto divertente: “Lei si trova in uno stato di persistente opposizione nei confronti di sua madre Ma io non posso farci nulla. Perché mai altri devono pagarne lo scotto? Faccia una buona volta chiarezza con se stesso”. Jaap ha riso debolmente. Un po' dopo, siamo giunti al suo pollice: “è influenzabile, portato a immedesimarsi, dunque il contrario di un atteggiamento razionale. La mano è molto meno armoniosa e più complicata di quella del poeta” (cara Adri!) “che è molto più disponibile e conchiusa...”. E martedì mattina, alle undici, da S. con Aimé. Quel martedì è stato un altro giorno che, per intensità, colore e significato, si è distinto dagli altri. Analisi con ostacoli di contorno. Più tardi sopra, nella camera di Dicky; Aimé, appoggiato al muro con la sua pallida, immobile eppure passionale faccia da tartaro, mentre ci leggeva poesie che erano davvero belle. E poi quel pranzo da S. Io estraevo da lui, tra un morso e l'altro ai suoi sandwich, frammenti di saggezza. Io: “Ma gli dica qualcosa una buona volta: che cosa deve fare, come deve agire?”. E S., breve e conciso, e tanto pertinente quanto poteva essere in quella particolare situazione: “Sentire in sé il centro, senza però sentirsi troppo il centro. Potrebbe essere una via”. Quasi un applauso da parte mia, di Adri e di Aimé. E io che, diligente, stenografavo le sagge parole del maestro. E poi abbiamo tutti mangiato un tocco di formaggio, una fetta di salsiccia e un pezzo di dolce. E Aimé scrutava, con i suoi occhi radiosi, intensi e interrogativi, la testa grigia, buona e vivace di S. E più tardi, ho fatto la strada con Aimé, zaino in spalla e suola rotta, con un foulard di lana bianca sulla testa contro il freddo. Siamo finiti nel Café de Paris, dove lui, grazie al suo profilo da zingaro, poteva facilmente infiltrarsi. Abbiamo parlato intensamente di poesia, dei nostri giovani poeti, degli “Ottantisti”, di Baudelaire, dei russi e di Dostoevskij; di forma e metro, delle basi psicologiche e “filosofiche”. In simili conversazioni, mi rendo conto di quanto tutte le mie concezioni siano diventate più chiare, più delineate e marcate e come io non tragga più le mie opinioni da fonti esterne, ma dalle mie più profonde e proprie. Ho portato Aimé da Becker e poi sono tornata indietro in bicicletta e di sera alla lezione. Io e Adri ci siamo fermate un po' a conversare dalla signora L. (tabacco per Pa Han). A letto a mezzanotte e mezzo. Mercoledì mattina alle nove e mezzo, lezione di conversazione da quella tremante signora De Vries. E dopo, sono riuscita ad accaparrarmi alcune mele renette gialle per la mia grata mamma. E freddo, nient'altro che freddo, continuamente. E di sera, da L.: su due cuscini in un angolo, accanto al riscaldamento centrale. Probabilmente lei, con il suo piccolo corpo, pantaloni lunghi grigi, un maglioncino blu chiaro e uno scialle rosso fuoco, avrebbe preferito insinuarsi tra gli elementi del calorifero. Il basso tavolino della figlia piccola con sopra una teiera e dei biscotti. Le ho letto dei brani tratti da Jung. Allora da lei è venuto fuori molto. Bisogna lavorare tanto su quella donna. Ieri ho detto a S. per telefono: Dobbiamo

considerarla la nostra prima paziente comune. La trovo proprio come uno stelo piegato che ha bisogno di essere rimesso in piedi. Adesso ho troppo freddo e mi sento troppo a disagio per poter scrivere oltre su questo. Han è venuto a recuperarmi. Sono rimasta là fino alle undici e mezzo. Di nuovo a letto all'una. In realtà, c'è poco da meravigliarsi che ieri fossi più o meno fuori servizio. Ho dormito quasi tutto il giorno sul divano, perlomeno di pomeriggio. Ieri sono andata a letto alle dieci e mezzo. E adesso, andiamo da S. Strano come si diventi lenti e inerti per il freddo. Ed è quasi già il 3 febbraio. Rimane ancora così poco tempo per raccogliere tutte le buone, affettuose parole di gratitudine che sono cresciute in me nei suoi confronti, nell'arco di un anno. E questo mi opprime moltissimo. Aimé vuole avere la sua “analisi” il prima possibile e le lezioni ricominciano la prossima settimana e io non faccio progressi. Forza, ragazzina, ricomponiti e staccati da questa stufa. Il prunus rosa, fiorente accanto alla grigia tenda, sta già cominciando lentamente a morire. I tulipani viola dondolano ancora nell'aria, capricciosi e altezzosi, ma alcuni sono già tristemente sfatti. La grondaia di Käthe è gelata; le donne camminano tutte in pantaloni e gli uomini con scialli sulla testa; noi mangiamo piselli verdi e fecola di patate sul pane, e il mio piccolo ciclista è tanto affamato, e in Russia fa ancora più freddo di qui. Stanotte ho di nuovo avvertito una sensazione di calore e familiarità nel mio solitario, piccolo letto. Ho di nuovo ringraziato Dio, non per il letto caldo e la zuppa di piselli, ma perché lui acconsente di nuovo a vivere in me. Non ringrazio mai per le buone cose terrene che ricevo da lui, e non mi ribellerò neanche se non dovessi più riceverle. Non mi attira l'idea di ringraziare per qualcosa che manca a tante persone. Le cose non vanno ancora come dovrebbero per quanto riguarda la distribuzione dei beni terreni su questa nostra terra imperfetta. E mi pare un caso che uno finisca tra i sazi o tra gli affamati. Sicché non riuscirò mai a ringraziare per il mio pane quotidiano, se so che così tanti altri non lo hanno. Ma, quando non avrò neanch'io quel pane quotidiano, spero di riuscire comunque a ringraziare per qualcos'altro: per avere Dio in me stessa. Ciò non ha niente a che vedere con il fatto che uno sia o meno ben nutrito. Perlomeno lo dico adesso, accanto alla mia calda stufa, dopo una congrua colazione. Le cose non sono davvero così semplici come appaiono. Venerdì pomeriggio, le cinque È di nuovo come “in passato”: i giorni scivolano uno dopo l'altro tra le mie dita impotenti. Non riesco a fare nulla; la più breve conversazione telefonica mi costa ancora uno sforzo troppo grande. E un affaticamento profondo ha investito tutte le mie membra, una specie di stanchezza della quale pensavo di essermi liberata per sempre. Tuttavia, non è più grave come un tempo. Interiormente, sono diventata molto più paziente nei confronti di giornate simili; ma questa volta dura un po' troppo, mi pare. Sono già due giorni interi che vado avanti vegetando, incapace di riscaldarmi e con una gran sonnolenza. E di certo non dipende dal freddo che fa fuori, anche se la temperatura non è quel che si direbbe piacevole. Sentirsi affamati e satolli al tempo stesso: c'è qualcosa che non va in tutto questo. Ma che cosa, esattamente? Un'altra ricaduta in un periodo di tristezza. Già, ma anche un senso di confusione, e quindi il timore di non riuscire a scendere a patti con tutte le piccole attività quotidiane. Sono stati davvero giorni movimentati quelli con Aimé. Riuscirò a elaborare ancora i molti dettagli? Lui ha senz'altro smaltito molto del suo infantilismo. Ed era inaspettatamente in piena fioritura. In lui tutto era sbocciato all'improvviso; si sentiva completamente a suo agio con Dio e sembrava essere in stretti rapporti con la sua Musa. E se adesso anche il suo cosmo si spostasse dalla testa al cuore, o in qualunque altro posto, lui diventerebbe, oltre che un buon poeta, anche una persona eccezionale. I giorni in cui mi immergevo nella mia corrente profonda, cercando e trovando le parole adatte a esprimere i miei sentimenti nei confronti di S., su un piano più elevato di quello quotidiano, mi sentivo bene, anche se a volte era faticoso. Ora che mi sono affrancata da tutto questo, non riesco più a trovare la via per quel piano. Sono diventata molto timida. Non voglio più trasformarmi nella più famosa scrittrice di questo secolo: voglio solo trovare, di tanto in tanto, un paio di parole che possano ospitare i sentimenti che

crescono in me. Solo per me stessa. Voglio sempre restare in contatto con la parte profonda da cui germogliano le parole, altrimenti mi sento come una nave che ha perso gli ormeggi. So di avere un ancoraggio. Non mi smarrisco così facilmente, in questo periodo. E torno comunque sempre indietro, adesso lo so per certo... E se oggi mi capita di provare nostalgia, so almeno da dove viene. Gli spazi da cui scaturisce la mia nostalgia non devo più cercarli fuori di me, ma dentro: l'ho imparato quest'anno. E adesso indosserò il più pesante vestito di lana che possiedo e andrò a preparare la tavola, e alle sette e mezzo a prendere S. dai suoi amici svizzeri vegetariani; poi andrò a letto presto, sarò paziente e ascolterò il mio profondo per capire cosa devo fare. 24 gennaio 1942, sabato mattina, le nove Il mio amico era di nuovo di vedetta, e si è preso un'altra volta cura di me in tutti i modi. Ieri sera, nella neve, ecco tornare, senza preavviso, quella disperata tristezza, sicché ho dovuto placare il mio cuore dicendo: “Di tanto in tanto bisogna pur offrire un modesto ricovero alla tristezza del mondo”, ma non si trattava di tristezza cosmica, era la mia personale, la più intima tristezza. Ora comunque essa si ridimensiona già in una mezz'ora, mentre in passato ci volevano dei giorni. Già adesso sono state smaltite molte piccole cose, ogni volta seguendo lo stesso procedimento. Gli ho detto che avrebbe prostituito la sua professione a vantaggio dei nazisti, se avesse provato a usarla per salvarsi la vita. Al che lui, pieno di franchezza, ha risposto: Sì, è proprio così. Ma il tutto è molto meno pesante e grave di quanto io non abbia almanaccato nella mia fervida immaginazione. Eppure quei berretti da soldato tedeschi, appesi all'attaccapanni a casa della Stahl, mi rendevano inquieta e triste. Lo volevo portare a casa e andar via immediatamente, ma avevo un groppo in gola e ho detto: Ti rendi conto che centinaia di olandesi sono in prigione perché si rifiutano di scambiare una sola parola con quei tedeschi? Allora mi ha raccontato dell'analisi di Jo van Ammers-Küller: era stata un'ora interessante e lei tornerà per discutere ancora un po' di psicologia con lui. E con uno scatto improvviso si è fermato in mezzo alla strada imbiancata: c'era tanta luce, alle nove di sera, che sono riuscita a vedere il suo viso contratto ed eccitato; ha detto gesticolando: Se una persona mi interessa e attrae, non bado se è filotedesca oppure no. Non ci bado proprio. Dove andremmo a finire se noi tutti voltassimo le spalle agli altri? Del resto, se io sono in grado di aiutare una simile donna, forse sarò anche in qualche modo utile politicamente. E l'onestà e la passione delle sue emozioni era tale che mi sono vergognata di tutti i miei infimi pensieri. Naturalmente, lui ha le sue ragioni. Prima di andare a prenderlo, avevo letto quelle lettere che giacevano sulla sua scrivania. Quelle di Hertha: così tanto amore, tanto desiderio, il sentirsi una cosa sola con lui, e anche lui con lei. In quel momento non riuscivo a rielaborarle. E ho pensato: forse, lui è stato ultimamente tanto legato a lei e occupato con lei che ha avuto meno energia a disposizione per me, e forse per questo mi sento così abbandonata. E mi dispero anche per le relazioni che le persone stringono l'una con l'altra, per quelli che si legano l'uno all'altro, senza tuttavia poter essere l'uno dell'altro. E all'improvviso il fatto di avere i miei genitori qui in città, l'ho avvertito come una forte pressione. Tutto era di nuovo troppo per me, caotico e insormontabile. E poi anche quei berretti tedeschi nel corridoio; finché tutto è cambiato di nuovo. Sono salita con lui. C'era tanto da dire e da raccontare. Per strada, lui mi aveva già detto: Lei è di nuovo interamente sprofondata in se stessa, di nuovo non volge lo sguardo al mondo. E, in camera sua, ha dichiarato di punto in bianco, facendo una diagnosi davvero precisa: Ha l'aspetto di chi da qualche giorno non digerisce. Bello avere un amico che riesce a leggerti in viso simili poetiche cose! Aveva pure ragione, quel tesoro: sia fisicamente sia mentalmente, ero di nuovo del tutto bloccata. E naturalmente vivo così, in modo più intenso e attivo di quanto i miei nervi, nemmeno tanto forti, possano sopportare. Una ricaduta è quindi indispensabile, in modo che le forze possano rigenerarsi. E non dimenticare, ha aggiunto, che nei tuoi giorni buoni tu vali quanto cento persone normali. “L'anima non ha età”: e per questo motivo quest'amicizia tra quel cinquantenne e la ragazza chirghisa non è neanche tanto incomprensibile. “Forse la sua anima è ancora più vecchia della mia”.

Più tardi, ha aggiunto, con un'espressione anelante e tenera sul caro viso: Mi piacerebbe molto che vi conosceste, lei e la mia fidanzata. Chissà se ci sarò ancora, se mai ciò dovesse accadere. E un po' dopo: D'altronde, le anime sono distribuite allo stesso modo in ogni parte del mondo, e questo è il motivo per cui le persone destinate a incontrarsi si trovano comunque sempre, non è forse bello? Lo ha detto in tutt'altro modo, ma così andrà bene lo stesso. E, in un dialogo confuso, dopo un po' io gli ho detto: È una mia caratteristica così buffa: da un lato sono terribilmente timida e quasi casta, dall'altro addirittura spudorata. Dopo di che sono entrata nella camera da letto semibuia, dove il letto era già stato disfatto, e, con la giacca addosso, i gesti incerti, stavo di fronte a quel letto e l'ho guardato girandomi lievemente con la spalla: d'un tratto ci siamo buttati insieme su quel letto. Poi gli ho detto: È un bene che tu viva con una famiglia così gentile, e che io sia diventata una ragazza borghese tanto a modo, altrimenti stanotte non andrei via. Credo che non ti lascerò mai. E lui: Sarebbe bello. Mi sono affrancata da almeno un migliaio di piccole cose la scorsa notte. E stamattina mi sono di nuovo lavata con acqua gelata, ho fatto a lungo i miei esercizi ginnici e ho di nuovo pregato sulla stuoia di cocco marrone. Non fa neanche più tanto freddo, nonostante lo spesso strato di neve, e il fuoco non è nemmeno acceso. Sono di nuovo in grado di affrontare la vita. L'uomo d'affari di Enkhuizen sarà qui a momenti, sono curiosa di vedere se ce la fa ad arrivare con questo tempo. E di questo si tratta, in realtà: io divento un'“allieva” ai suoi occhi, una vera “discepola”. Imparo sempre più come tenere le mie forze a disposizione degli altri. Riesco a trarre energia da una certezza interiore sempre più ampia. Lui ha aperto in me fonti che non si seccheranno mai più, gli sarò sempre legata, in modo da alimentarmi incessantemente delle sue stesse fonti. Gli voglio un bene infinito ed è un amore che lascia spazio a quella giovane donna di Londra e a molti altri. Ogni volta mi tocca riscoprire quanto il cuore possa essere spazioso e ogni volta devo riconquistarmi quello spazio. Per un intero quarto d'ora, ieri sera, mi sono sentita disperatamente triste nella neve, al punto da pensare che il cuore si sarebbe spezzato. Ed è stato proprio come se la mia vita, che negli ultimi tempi era un solido edificio, si sgretolasse, come se pesanti pietre ruzzolassero in un fossato e mi trascinassero nella loro caduta. Il ritmo si era interrotto e pensavo che sarebbero passati lunghi momenti prima di riuscire a rimettere la vita sul binario giusto. Il mio amico era di nuovo di vedetta, e, nella presa della sua grande e cara mano, tutta la miseria umana si è dissolta. E adesso al lavoro. L'una di pomeriggio La scorsa notte, su quel letto, lui mi guarda d'un tratto con grande attenzione e dice: Sembri, sembri... ed ero già curiosa di sapere come avrebbe proseguito, voleva certo dire qualcosa di molto dolce: l'ho visto sul suo volto. E poi, con mia grande sorpresa, ha continuato dicendo: ... uno zebù. Che occhi intelligenti hai. Tutte le forze sono state completamente recuperate. Una distesa di neve di fronte a casa e zuppa di borlotti, pere e budino al cioccolato perché Wim compie gli anni. Il signore di Enkhuizen arriva solo oggi pomeriggio, è rimasto bloccato nella neve. Lo hai imparato per l'ennesima volta, ragazzina: non puoi permetterti che il tuo malessere proietti lunghe ombre davanti a sé. Ieri non ce la facevi ad affrontare né la lezione, né il corso di martedì, nemmeno Frau L. e i tuoi genitori: tutto ti ostacolava, volevi scivolare via e telefonare a tutti per disdire. Hai di nuovo lasciato che il tuo malessere coinvolgesse senza ragione una gran quantità di altre cose. Ma ogni cosa adesso è di nuovo a posto. Mi rallegro all'idea di andare a lezione, di vedere Frau L. e persino i miei genitori - a essere sincera non tanto, ma starò anche con loro. Santo cielo, che freddo che fa! Ma non è grave e ieri non era affatto così freddo fuori, lo avevo già detto. E adesso, a preparare la tavola. Domenica pomeriggio [25 gennaio 1942], le tre Prima di andare subito sulle pianure gelate, devo annotare brevemente la telefonata di ieri sera. Non so più com'è iniziata, a dire il vero, è stata di nuovo una lunga e vivace conversazione vecchio stile.

Quando lui ha chiamato, stavo casualmente pensando a lui. “Casualmente”, così si dice in questi frangenti. A metà della conversazione, lui ha detto: Adesso lei dice sempre: si deve. Lo ha sempre detto o lo ha preso da me? Perché, poi, sto sempre lì a ripetere: si deve? Io: Perché lei è sicuro di sé. Gli altri dicono: si potrebbe, si dovrebbe, lei dice: si deve. Lei costringe gli altri. In fondo lei è un moralista. Lui: Ma moralista non significa essere assolutamente rigidi? Io: Certo, ma lei è un moralista che ha ampliato i suoi orizzonti grazie alla psicologia e alla religione. Poi ha continuato dicendo che io ero un “perfetto esempio” del suo metodo. E io ho raccontato come riesco ad avere un sempre maggiore influsso formativo sugli altri e come divento sempre più sicura di me. Gli ho spiegato anche come mi comporto con alcune persone. Che avevo parlato quel giorno con la moglie del pittore almeno per un'ora al telefono, e che trasmetto “le sue sagge intuizioni e le sue eccellenti osservazioni psicologiche”. Lui: Lei è un mostro. E poi: Finirà per diventare una vera assistente. E io: No, un'assistente no, ma un discepolo che annuncia la tua dottrina. Lui: Ma la farà vivere con le sue parole, vero? E non come la Holm, che mi ripete tutto a pappagallo. Io: Sì, la Holm, un magnifico disco che gira sul grammofono in adorazione perpetua. Un sonoro ruggito all'altro capo del filo: Lo ridica. E abbiamo continuato a parlare - il tutto attraverso quel paziente strumento, io stesa sul divano e lui semidisteso sulla sua scrivania, ricoperta di moduli per le tasse, in questo bel sabato sera senza musica - della mia breve ma profonda depressione della sera prima. Lui: Nella mia corrispondenza avrà certamente trovato una parola che non le piaceva. Non l'ha trovata? Ma ha letto tutto? Non sapevo che fosse curiosa. Io: Non è curiosità, è qualcosa di demonico, voglio sempre sapere tutto di tutti e, a tale scopo, ogni mezzo è buono. Gli ho chiarito che quella depressione forse dipendeva dal fatto che, per un attimo, mi ero sentita legata a lui e dipendente da lui, e che per questo le mie forze si erano affievolite e io avevo ricominciato a “vacillare”. Bisogna ogni volta ristaccarsi totalmente da qualcuno. Grazie a quelle lettere di Hertha, d'un tratto avevo compreso con grande chiarezza che lui prima o poi mi avrebbe lasciata. Ma è una sciocchezza, ovviamente. Vista la natura della nostra relazione, lui ci sarà sempre, con o senza Hertha. Ho di nuovo inquadrato tutto in una prospettiva troppo materialistica. E la secolare questione dei legami senza schiavitù. E lui: Già, e quella schiavitù significa anche fare troppe richieste all'altro. E io: Oppure dispensare totalmente l'altro. E io, alla fine della conversazione: Ci conosciamo solo da un anno, ma quante esperienze ci legano ormai! Lui: Non mi ci faccia pensare. E quante altre cose sono passate attraverso quel telefono. Ma per il momento: esci fuori, nella neve. Ah già, l'inatteso regalo di ieri sera: Liv di Sigbjørn Obstfelder.

QUADERNO V 16 febbraio 1942 - 27 marzo 1942 Venerdì sera, le nove, 16 febbraio 1942 Sono di nuovo impegnata a trovare la strada verso me stessa con queste parole di Rainer Maria: “Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d'un sentimento dentro di sé, nel buio, nell'indicibile, nell'inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l'ora del parto di una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprendere come nel creare. “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate possa non venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono

tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”. Le acquisizioni interiori di quest'anno percorrono vie sempre diverse e inattese per giungere a me. È così anche adesso: stasera, accanto al fuoco che si sta affievolendo, in mezzo a un crescente senso di malessere e di tensione, queste parole arrivano fino a me, e di colpo mi fanno riflettere sulle cose che contano davvero. Vedi, sono già state tracciate le prime lettere sul nuovo quaderno: mi sento sempre un po' inibita di fronte a un nuovo taccuino; infantile, direi. C'è così tanto da scrivere su questi ultimi quattordici giorni che potrebbero costituire un'intera vita. Forse domattina. Non hai il permesso di dire: Se solo la fatica dei giorni appena trascorsi fosse già andata via; si tratta di uno scambio equo: se non curi la tua igiene mentale, sarai sempre stanca. Domattina alla lezione di Becker con papà. Già, incredibile ma ci sono ancora i complessi familiari e i brutti sogni pieni di odio e aggressività nei confronti della mamma. Tutto va avanti, anche se si sa perfettamente quali cose contano davvero. Penso che dovrei scrivere ancora moltissimo su Alice Levie, sul modo in cui lei è venuta da me e S. nella pausa del concerto, quella volta: era proprio come un fragile elfo spaventato, con quei capelli sciolti e mossi e il piccolo corpo tremante. Ma, nascosta da qualche parte, c'è anche una certa forza in quella donna. E noi dovremo attivare quella forza in modo che non sia più rivolta contro se stessa, e lei possa impiegarla a suo vantaggio. Che sia stata dal dentista è già un atto di estrema assertività personale. Stamattina Loekie, e più tardi Leonie e papà, e poi ancora Leonie e Hetty. Poi c'è stato Aimé un paio di volte. E poi quella conversazione con Alice Levie fino alle tre di notte: la mattina seguente occhi molto deboli e viso affaticato, ma anche la certezza che quella conversazione l'ha parecchio aiutata a sciogliersi. Deve essere così: quanta più energia si dà a un altro, tanta più se ne deve ricevere indietro, altrimenti qualcosa non va. Negli ultimi giorni mi accorgo, però, che mi costa uno sforzo eccessivo: quindi sto di nuovo sbagliando a vivere, in un modo o nell'altro. Leggiamo ancora quella lettera “a un giovane poeta” e poi a letto. Ah già, fragole con panna montata, cioè fragole in barattolo con crema sintetica, un lussuoso trampolino di lancio verso la fame, per usare una parola grossa. Ho detto a Käthe che avrei immortalato questo momento nel mio diario con delle metafore, ricordando che noi, nel secondo anno di guerra, nel febbraio del 1942, avevamo mangiato fragole con panna, con otto gradi di gelo fuori, solo per pura povertà, ma per le “metafore” adesso ho troppo sonno. E ieri: Mischa e Hermann Schey e Imre Ungár e sua moglie, e Berthe Seroen e suo marito, e S. e Tide, Adri, Dicky, Jo Valkhoff, Leonie e i miei due allievi, Hetty e Stella. È stato delizioso: Dichterliebe e Lieder eines fahrenen Gesellen [Canti di un viandante]. Buona notte. 19 febbraio 1942, giovedì pomeriggio, le due Se dovessi dire che cosa mi ha fatto più impressione oggi, direi che sono state le grosse mani piene di geloni di Jan Bool. Di nuovo qualcuno è stato torturato a morte: quel dolce ragazzo della libreria Cultura. Ricordo che suonava il mandolino; aveva una ragazza simpatica che veniva a lezione di russo nella mia classe e che poi era diventata sua moglie, e c'era anche un bambino. Quelle bestie, diceva Jan Bool nel corridoio stretto e affollato dell'università, lo hanno fatto a pezzi. E Jan Romein e Tielrooy e diversi altri tra i professori più vecchi e più fragili. Ora sono prigionieri in una baracca piena di correnti, in quello stesso parco di Veluwe dove, in una pensione accogliente, avevano trascorso le loro vacanze estive. Non hanno neppure il permesso di indossare il pigiama, non possono avere nulla con sé, raccontava Aleida Schot nella caffetteria. Vogliono abbrutirli completamente, vogliono fargli venire un sentimento d'inferiorità. Moralmente sono forti abbastanza, i nostri uomini, ma la salute dei più è davvero molto fragile. Pos si trova in un convento a Haren, e scrive un libro: così vien detto. Regnava un grande sconforto stamattina a lezione. Ma una luce c'era: una breve, inaspettata conversazione con Jan Bool mentre attraversavamo il freddo e stretto Langebrugsteeg, e poi aspettando il tram. Jan chiedeva con amarezza: cosa spinge l'uomo a

distruggere gli altri? E io: gli uomini, dici - ma ricordati che sei un uomo anche tu. E inaspettatamente, quel testardo, brusco Jan era pronto a darmi ragione. Il marciume che c'è negli altri c'è anche in noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessun'altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l'unica lezione di questa guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove. E Jan era pronto a essere d'accordo con me, aperto e perplesso e non più attaccato alle durissime teorie sociali di un tempo. Diceva: sono anche così a buon prezzo, i sentimenti vendicativi rivolti verso l'esterno - vivere solo in funzione di quell'unico momento di vendetta: questo non ci interessa proprio. Stavamo lì al freddo ad aspettare il tram, Jan con le sue grandi mani viola per i geloni, e col mal di denti. E non erano teorie: i nostri professori sono stati imprigionati, un altro amico di Jan ammazzato, ma c'è ancora dell'altro - troppo per farne un elenco -, e noi ci dicevamo: sono così a buon prezzo, quei sentimenti di vendetta. Era proprio una luce, oggi. E ora un po' a dormire, e poi a far conoscenza con quell'amica di Rilke. Tutto va sempre avanti, e perché no! Dovrei scrivere un po' più spesso su queste righine blu: ma c'è troppo poco tempo. 20 febbraio 1942, venerdì mattina, le dieci Questa mattina è tutta per me. E adesso che mi costringo a sedere tranquilla e sola davanti a questo quaderno, mi accorgo una volta di più di quanta fatica mi costi in realtà, di come noi tutti siamo ancora dominati da irrequietezza e impazienza. La scusa è sempre la stessa: non ho tempo, ho troppo da fare. Ma l'unica cosa a cui si approda è l'irrequietezza. Non si può permettere al silenzio di svilupparsi appieno, ma bisognerebbe gioire almeno dei brevi momenti di calma e introspezione che sempre più spesso si insinuano nella mia quotidianità. Per pura impazienza, invece, inciampo di continuo in quei brevi intervalli di silenzio, e mi accontento troppo in fretta illudendomi di riuscire ad ascoltarmi dentro; adesso, però, dopo settimane, non appena mi fermo a riflettere che questa mattina è tutta per me, mi rendo conto di quanta impazienza e di quanto “vivere giorno per giorno” ci sia ancora in me. Il 3 febbraio ho compiuto un anno. Penso che manterrò questa data come data di nascita, è più importante del 15 gennaio, quando mi è stato tagliato il cordone ombelicale. Ma non voglio assolutamente parlare di questo. Sembra essere già passato così tanto tempo da quel 3 febbraio. Per giorni non ho sentito la necessità di scrivere, non avevo bisogno di hineinzuhören [“ascoltarmi dentro”], perché sono continuamente in una situazione di hineinhören in sich (perché non riesco a trovare un equivalente adeguato per quest'espressione?). Allora non ho più pregato, perché in realtà nel mio profondo pregavo continuamente. Quando la sera andavo a letto, era come se la ricca messe del giorno si accatastasse tra le mie braccia, quasi troppo abbondante per poterne essere completamente avvolta. È però un bene che una simile circostanza non duri in eterno. È necessario che si venga ogni volta ricacciati dal proprio centro nell'irrequietezza, per potersi riguadagnare una più grande serenità. Non bisogna neanche essere sicuri di qualcosa, altrimenti ogni sviluppo si ferma. Ma non era questo che volevo annotare stamattina. È impossibile portare direttamente con sé, fin dentro il giorno, parole nate da solitarie notti di contemplazione. Me ne accorgo di nuovo in questo momento. Vi amo così tanto, mie notti solitarie. Sono stesa sulla schiena nel piccolo letto, completamente in balìa della notte - con i geloni ai piedi, la borsa dell'acqua calda e un panno di lana attorno alla testa chiusa per il raffreddore, ma tutto questo non conta - e di fronte al letto, il grande armadio di S. come un minaccioso, segreto tempio; la tenda è aperta, la notte si stende grigia e infinita fuori dalla finestra, il campo davanti all'Usclub è un'ampia, bianca steppa innevata. Sto lì distesa e sento di essere parte di un grande processo di crescita. Stanotte ho avuto d'un tratto la sensazione che il mio paesaggio interiore fosse come un vasto campo di grano che stava maturando. Di notte tutto questo suona molto semplice e familiare: in me ci sono campi di grano che crescono e maturano. Ma quando si cerca di traghettare tali parole oltre il confine della prima mattina fin nel cuore del giorno, esse appaiono inadeguate. Stanotte c'erano così tante cose che avrei voluto portare con me per fissarle in parole, su queste righine blu, ma so che non è così semplice. “Tutto è portare a termine e poi generare ... e attendere con profonda

umiltà e pazienza l'ora del parto di una nuova chiarezza”. È già tanto riuscire a comprendere di esser parte di un grande processo di crescita, divenirne consapevoli. Credo che ancora per troppe persone la vita sia fatta di momenti casuali senza un vero collegamento interno. Ho appena telefonato a cinque grandi librerie per chiedere se hanno Lettere a un giovane poeta e Lettere a una giovane signora: le prime non sono più reperibili. Un tempo lessi quel libro forse solo per curiosità lirica, per concedermi un momento di piacere in un'oretta di tempo libero. E adesso? Credo che vi si possa trovare un intero programma di vita e che vi siano contenute parole che non ti abbandonano mai per tutta l'esistenza. Riesco a infuriarmi talmente tanto con quelli che dicono che Rilke è “debole”. Non è affatto così. In lui c'è una forza dura come il diamante. Vedi, per il momento mi manca la pazienza di trovare le parole giuste, grazie alle quali attestare la forza che sento in lui. Ma prima o poi ci riuscirò. In realtà, è così triste che persino una donna come Ilse Blumenthal, che ha avuto con lui una lunga corrispondenza, dica di lui a posteriori: “Già, in realtà è debole”. Da Rilke “non si torna indietro”, una volta che lo si è letto bene. Se non lo si porta con sé per tutta la vita, non ha neanche senso leggerlo. Non riuscendo a offrire i miei personali commenti, sono ancora in una fase in cui trascrivo con grande piacere i suoi brani. Ebbene, ora devo trascrivere passi come il seguente: “Voi siete così giovine, così al di qua d'ogni inizio, e io vi vorrei pregare quanto posso, caro signore, di avere pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore, e tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. E di questo si tratta, di vivere tutto. Vivete ora le domande. Forse vi insinuate così a poco a poco, senza avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta”. Ora mi sento vicina a colui che sta parlando al giovane poeta. E solo ora, ora che comincio a “vivere le domande”, capisco quelle parole. Nel periodo in cui dovevo ancora “viverle”, non ero assolutamente in grado di capire. Devo regalare questo libriccino a persone molto giovani per aiutarle a capire. Si può aiutare solo quando si vive in sintonia con ciò che si desidera chiarire agli altri; sento crescere in me, sempre più, la forza per dare una mano agli altri, anche semplicemente spiegando loro che nessun altro può davvero aiutarli, e che questo va accettato, e non come un qualcosa che renda di necessità infelici, bensì come un mezzo per diventare più consapevoli delle proprie forze e della propria interiorità, e chiarendo che bisogna ascoltare con pazienza la propria voce interiore fino ad acquisire delle certezze. Ma occorre pazienza. “... viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”. Il dottore sta entrando adesso. Alla fine si è stabilito che Hans ha la pleurite. Si è così impotenti di fronte a tutto questo, di fronte alla diminuzione delle capacità di resistenza degli individui. Kees de Groot ha appena chiamato per dire che arriverà alle due. Il buon Kees, sono felice di rivederlo. E alle quattro un appuntamento con mio padre e mia madre da Leonie Wolff. Stasera dovrò proprio lavorare un po'. E adesso ancora un'ora per me stessa. “Ma tutto quello che un giorno sarà forse possibile a molti, può ora già preparare e costruire il solitario con le sue mani meno maldestre. Perciò, caro signore, amate la vostra solitudine e sopportate il dolore che essa vi procaccia con lamento armonioso. Ché quelli che vi sono vicini, voi dite, vi sono lontani, e ciò mostra che intorno a voi comincia a stendersi lo spazio. E se la vostra vicinanza è lontana, allora la vostra vastità è già sotto le stelle e molto grande; rallegratevi della vostra crescita, in cui non potete menare alcuno, e siate buono verso quelli che rimangono indietro, e sicuro e tranquillo, di fronte a loro, e non li tormentate ... con la vostra fiducia o allegrezza, che essi non potrebbero comprendere. Cercatevi una qualche piana e fida comunione con loro, che non debba necessariamente mutarsi, se voi stesso via via divenite altro; amate in essi la vita in una forma estranea...”. “... Evitate di aggiunger materia a quel dramma sempre teso fra genitori e figli; consuma molta

forza dei figli e logora l'amore dei vecchi, il quale opera e scalda anche se non comprende. Non richiedete ad essi alcun consiglio e non contate su alcuna comprensione; ma credete a un amore che vi viene serbato come un'eredità, e confidate che in questo amore c'è una forza e una benedizione, da cui voi non avete bisogno di uscire, per andarvene molto lontano!”. Devo improvvisamente pensare al mio caro papà che è venuto a trovarmi un paio di giorni fa, piccolo e curvo, con un cappello di feltro, stropicciato e poco pratico, e uno scialle da ragazzino a strisce bianche e nere, per portarmi un uovo, sì, un uovo, e un po' di burro avvolti in un pezzetto di carta, per poi proseguire verso Mischa con un altro uovo, un panetto di burro e un panino con carne affumicata. Sembra proprio una fiaba, ha detto Alice Levie, quando le ho raccontato come ero stata a sedere sui banchi tra mio padre e mia madre durante la lezione su Pukin tenuta per noi a casa. A mamma sono tornati in mente i suoi anni giovanili e mio padre emanava un piacere quasi infantile quando, di tanto in tanto, afferrava qualche parola. Sembra una fiaba, ha detto la piccola Alice; suo padre è morto da poco in un campo di concentramento. Quando mi sono alzata martedì mattina, ho pensato: devo fare in modo di trattare mio padre con vero amore oggi. Ero di nuovo perseguitata dai complessi di inferiorità causati dai miei genitori, complessi che probabilmente ogni figlio ha: la gente non li troverà strani? Una persona deve educarsi molto: già, ma a che cosa mi serve tutto questo se non ho l'amore? Bisognerebbe scriverci un racconto, ha detto Wiep ieri sera, quando le ho raccontato come Mischa trascini i due anziani genitori in lungo e in largo per l'intero paese ghiacciato in modo che assistano ai suoi concerti privati. Lui semplicemente si rifiuta di suonare se non ci sono anche mamma e papà. Molto commovente. In passato andavano a fargli visita in istituti per malati di nervi e presso dottori, adesso assistono ai suoi concerti. Non sono ancora abbastanza consapevole della grande fortuna che tutto questo cela in sé e di quante buone ragioni ci siano per provare gratitudine verso la propria famiglia. Non ho ancora raggiunto la piena consapevolezza di ciò perché ci sono ancora tracce di malessere associate alla mia complicata famiglia. C'è ancora la paura di dover d'un tratto fronteggiare sconvolgenti sorprese che farebbero barcollare la mia serenità mentale. Riguardo a ciò, dovrò ancora chiarire alcune cose con me stessa. “E sono forse più affini che non si creda i sessi, e il grande rinnovamento del mondo forse in questo consisterà, che uomo e fanciulla, liberati da tutti gli errori e disgusti, non si cercheranno come opposti, ma come fratelli e vicini, e si uniranno come creature umane, per portare in comune, semplici, gravi e pazienti, il difficile sesso che è loro imposto”. Amo così tanto le mie notti solitarie, ma non si può sempre pensare a se stessi. È un bene protendersi talvolta verso i propri simili che hanno bisogno, anche di notte. Mi sono parecchio spaventata quando, di recente, Han durante la notte ha detto: Già, ultimamente mi sono sentito molto solo. E nel mio concedermi come donna si è insinuato un notevole elemento di umanità. Ieri ho baciato i capelli di S. che stanno diventando completamente grigi sulla tempia destra. Ma il suo collo è ancora tanto giovane. Lo amo di un amore che vuole sempre meno possedere e proprio per questo possiede sempre più. Ogni tanto si presentano piccole gelosie, litigi, un senso di insoddisfazione e un grande desiderio. E questo è un bene. Altrimenti cominceresti a sentirti quasi una santa. I miei due amici dai capelli grigi. Che cosa mi succede? La mattina è di nuovo finita e io ho una marea di cose da scrivere. A dire il vero, non ho proprio fatto nulla stamattina: ho girato su e giù un po' per la stanza, fissato un po' il fuoco, chiacchierato con Käthe, scribacchiato qualcosa su questo quaderno. Eppure ho fatto molto. Ho di nuovo passeggiato lungo i confini del mio regno interiore, di nuovo girovagato totalmente immersa nel mio silenzio - un silenzio ancora non sufficiente - e ho capito che ne ho un tremendo bisogno. Di sera, le sette e mezzo Oh Signore, lasciami vivere un po' di più nello spirito. E fa' in modo che la sera, subito dopo cena,

non vada a prendermi da mangiare nella credenza. Ho appena detto a Han, con una certa cognizione di causa, in seguito alla richiesta che Bernard ha rivolto a Käthe di avere, dopo i due piatti strapieni di crema con latticello, anche un panino per la sera: Quell'insaziabile fame deriva anche dal fatto che oggigiorno si pensa troppo al cibo. Bisognerebbe riuscire ad affrancare la propria mente dallo stomaco e a non pensare continuamente al cibo. Bisogna dirigere la mente altrove. E un momento dopo, eccomi lì a trafficare con il portapane. La cosa peggiore è che non ho neanche una gran fame, è solo un po' di voglia di spiluzzicare qualcosa. In futuro sarà una cosa molto difficile in questa nostra Europa completamente saccheggiata, ma pure in tal caso si tratta di avere un po' di disciplina interiore. Bisogna cercare di ricordarsi che, finché si avrà il minimo, non si morirà certo di fame; per il resto, cercare di affrancare la mente dallo stomaco. E avere un po' di autocontrollo e autodisciplina, anche in queste faccende. È così strano: non mi ero inginocchiata per mesi, perché in realtà continuavo a pregare interiormente. E di punto in bianco mi sono buttata a terra, con ancora sullo stomaco peccaminoso il peso di quel pane imburrato con granella di zucchero clandestina, e ho chiuso le mani sul viso, dicendo quasi disperata: Oh Signore, lasciami vivere un po' di più nello spirito. Anche qui c'è bisogno di autoeducazione e disciplina. Altrimenti non si arriva a vivere in armonia. Di sera sono davvero sfinita. Ma devo “dominarmi” almeno per un'oretta, e lavorare un po' sul russo, e poi potrò forse avere di nuovo una certa libertà di movimento con Rilke. Sabato mattina [21 febbraio 1942], le nove e mezzo Ieri sera, d'un tratto, mi sono sentita così stanca, irritata e infelice, e avevo anche mal di schiena. Non sono stata gentile con Han. Non ero stata capace di costruire bene la mia giornata sulle fondamenta ampie e tranquille del mattino. Le mie giornate: riposano sull'ampio fondamento di una stille Stunde mattutina, anche se talvolta si tratta solo di cinque minuti. Stamattina mi sono ritrovata d'un tratto inginocchiata presso la stufa spenta nella sala, dicendo: Mio Dio, dammi un po' di pazienza e un po' d'amore per le piccole cose della vita quotidiana. Non lasciare che mi irriti a causa dell'eterno tossire di Hans. A volte sospetto che tossisca più forte del necessario solo per ottenere un effetto drammatico. Ma ricordati questo, Etty: il bisogno di drammatizzare fa parte anch'esso della sua malattia, e lui forse soffre di più a causa del lato patetico della sua condizione che per la malattia stessa. Nell'antichità si era soliti picchiare i malati di mente. Il disagio che mi causa l'eccessiva apprensione di Hans è un antico residuo di reazioni medioevali di questo tipo. L'ansia per qualcosa di immaginario - e qui non si può parlare di qualcosa di immaginario, quella pleurite è molto concreta - è altrettanto reale per il paziente e bisogna considerarla come una malattia e curare anche quella con amore e comprensione. Se non si riesce a superare la propria irritazione nei confronti di simili situazioni, si rimane sempre in uno stadio primitivo; possiamo contribuire alla costruzione dei progressi dell'umanità solo quando iniziamo a sconfiggere i resti primitivi in noi stessi. Così andavo ragionando, più o meno, accanto alla stufa spenta. E più tardi: Fammi anche avere più compassione e comprensione per lo stomaco eternamente affamato di Bernard; Etty, non pensare sempre che sia solo la sua avidità e smetti semplicemente di contargli ogni boccone. Quel ragazzo soffre seriamente la fame; e io non riesco ad avere comprensione per lui perché lo trovo troppo materialista e ritengo che non pensi ad altro che a mangiare. Ma cerca di capire bene: lavora duramente, quel ragazzo, percorre in bicicletta nel freddo grandi distanze per andare al lavoro, è dimagrito molto e ha una fame cronica. L'atteggiamento interiore che assumi nei suoi confronti non è di certo molto umano, ecc. Il risultato è stato che Bernard, a colazione, ha ricevuto una porzione extra di pappa, e servita con amore. E ho ronzato tanto amichevolmente attorno al letto di Hans che quasi mi sembrava che gli giovasse. Adesso va tutto molto bene. Tutta quell'irritazione è svanita. Rimane la stanchezza, ma per questo devo acquisire un ritmo più rallentato.

Fuori ci sono 9 gradi e ha gelato di nuovo. Forse il tipo di Enkhuizen non viene affatto, anche se adesso vorrei parlare seriamente di quei piselli e fagioli. Mi riempie di gioia l'idea di andare all'incontro-intervista di Spier da Tide. Dopo ancora papà e mamma e alle otto a casa. E adesso al lavoro. 22 febbraio 1942, domenica sera, le nove E di cosa scriverai stasera, Tide? le ho chiesto mentre pelavamo le patate. Oh, gratitudine, gratitudine, nient'altro che gratitudine, ha risposto lei, capelli biondo rossiccio brillanti e grembiule da cucina, senza alcuna emozione. Oggi pomeriggio, giacinti e narcisi sotto il sole, Beethoven, gli Spieringen di fronte al bimbo olandese di tre anni che ha già i capelli bianchi sulle tempie, torta fatta in casa venuta da Beetsterzwaag e atmosfera, così tanta buona atmosfera attorno a noi, così tante buone irradiazioni di ognuno di noi verso tutti gli altri: mio Dio, si può davvero essere grati per così tante cose buone; e, ancora, a qualche edificio di distanza, il palazzo dove andremo mercoledì mattina alle otto, S. e io, sull'attenti e pronti a rispondere solo con Ja e Nein e a farci sbraitare addosso da una gioventù esaltata, mentre si hanno capelli grigi sulla tempia destra. Eppure tutto questo non mi tocca: mi chiedo se dipenda dal fatto che io non vivo nella realtà e se questo non sia irresponsabile da parte mia. Non credo. So che siamo nella morsa di un grande e minaccioso destino e che quel mercoledì mattina è solo un'istantanea ma non mi sento ansiosa per questo neanche un po', addirittura non mi aspetto che accada qualcosa di imprevedibilmente sensazionale. Lui invece ha paura, quel tesoro. Venerdì me lo ha candidamente confessato, ha detto Tide in cucina, non trovi che sia stato grandioso e dolce da parte sua? Lui le aveva detto di avere paura; è tutto così sorprendente. Per me la realtà più vera è ancora quel sole sui giacinti, il coniglio, il budino di cioccolato e Beethoven, e anche i suoi capelli bianchi sulla tempia e il suo collo giovane. Quando, stando in piedi, ha letto ad alta voce quel salmo prima di cena, alla luce della lampada, senza emozione e quasi oggettivo, una vasta bontà si è stesa sul caro paesaggio del suo viso. E per un attimo l'ho amato con un amore che faceva terribilmente male, perché andava molto oltre tutto l'erotismo e la sensualità, e perciò appariva d'un tratto tanto inafferrabile. So che non sarei capace di esprimere il mio amore per lui in un abbraccio, e nemmeno in una completa resa, e questo mi fa male, perché bisogna rimanere fermi al proprio posto e al tempo stesso tenersi dentro quell'amore che all'improvviso sembra un peso, un peso quasi troppo grande per una giovane donna tanto sensibile. E un piccolo sorriso silenzioso, tra una patata e l'altra, può avere maggior significato di una notte intera tra lenzuola condivise, e quando l'ho guardato, ho sentito che mi salivano le lacrime agli occhi e, quasi accecata dalla luce dei suoi occhi tanto buoni, mi sono voltata. E tutto questo, mentre ero impegnata in un'innocente conversazione. Ma non c'era disarmonia tra quello scherzare superficiale e i sentimenti profondi, l'uno integrava l'altro, eccetera. Dunque signor Glassner, ha chiesto S., come si sente ora nella nostra cerchia? Avverte qui da noi la presenza di un particolare spirito? E di mentalità così disparate? Guardi un po' la Hillesum e la Tideman, cane e gatto, verrebbe da dire, a vederle così... Glassner sorrideva sotto i baffi e mangiava il coniglio. Pensavo che avrei dovuto scrivere molto stasera, ma in realtà ho già detto tutto. Con una nave a vela appuntata sul mio cappello di astrakan, costeggio pedalando colline di neve ghiacciata, ai lati delle strade. Alle otto dobbiamo essere a casa, e alle nove la stufa si spegne. Negli ultimi giorni il latticello si è ghiacciato in sala da pranzo e le patate sono diventate dolci per via del gelo: sono problemi minori che spariranno, e tutta la pressione che li accompagna è esagerata. Oggi pomeriggio, con la musica di Beethoven, ho dovuto improvvisamente piegare il capo e pregare per tutti coloro che sono nei campi di concentramento: ho pregato Dio perché li renda forti e augurato loro che ricordino i momenti buoni della loro esistenza, così come in futuro, nei momenti più duri, anch'io mi ricorderò di questo giorno e dei molti giorni di quest'anno, e da essi trarrò la forza di non provare astio nei confronti della vita. Ora dobbiamo fare in modo che le nostre forze crescano di giorno in giorno per sopportare i tempi che arriveranno. D'un tratto devo pensare a un passo di una lettera di Rilke con quelle parole che vorrei applicare alla mia vita: cerchiamolo un attimo nel libro

di Betz; sì, l'ho trovato: “Di tutti gli imprevisti che la vita potrebbe offrirmi, la delusione è la più remota delle possibilità; molti dei suoi doni, cui ho potuto conferire realtà grazie al mio lavoro, hanno a tal punto colmato e deliziato per sempre la mia anima che non potrei mai dubitare della sua imperitura generosità”. Io sono ancora molto giovane, ma ci sono stati e ci sono ancora giorni e momenti per i quali non potrei mai provare astio per la vita. È come se quest'ultima non potesse mai farmi del male perché tutte le cose pesanti e difficili che verranno sono già state accettate in precedenza. Il mio corpo si lascia influenzare moltissimo dalla mente: quanto più fiduciosa ed equilibrata mi sento, tanto più salde sembrano unirsi le cellule del mio corpo per formare una struttura solida. Sì, è vero: in questo momento ho mal di testa e mal di stomaco, ma non me ne lascio dominare più come in passato, adesso mi scivolano addosso, e ciò che avverto è un centro indistruttibile. Ma questo centro rimarrà forte solo con una costante disciplina dell'anima. Quando cedo un po' e comincio a “vivere giorno per giorno” in maniera disordinata, lo sfinimento e il malessere attaccano subito il corpo. È stato bello, ha detto Alice Levie, con quella sua vocina fievole, in piedi sui gradini del dentista, con i capelli biondi fluttuanti e gli occhi che mi sbirciavano da sotto il cappuccio di pelliccia nera. Stava lì stretta in sé, piccola e tremante, e io sono andata via in bicicletta, con quella nave a vela rossa sul mio cappellino di astrakan. È stato bello. Avevamo bevuto una tazza di caffè al De Paris e parlato un po'. Le sue parole e domande e le difficoltà ondeggiavano verso di me, un po' incerte e alla ricerca di un appiglio, e io le ho colte, cercando di capirle e di dare loro una forma. È stato bello. Perché non può essere anche così nella vita, perché non può sempre accadere che, dopo ogni ora trascorsa insieme agli altri, salutandosi, le persone si dicano: È stato bello. Sto cercando di crescere verso questa possibilità: ogni momento trascorso con un altro riceve un contenuto e un significato, che va oltre il livello quotidiano. Stare insieme senza uno scopo e per caso, solo per fare chiacchiere prive di senso, appartiene al passato. Quanto più ci si concentra e si chiariscono le cose dentro di sé, tanto più si vedono con chiarezza gli altri e si va subito al dunque; il che non vuol dire per forza che si debba in ogni momento essere pesanti. Sempre più risposte crescono in me. A volte la sera, a letto, penso: non ho risposto a quella domanda in maniera adeguata, in quel caso avrei dovuto dire così; oppure, ho lasciato una domanda senza risposta, adesso so cosa avrei dovuto dire. Bisognerebbe essere sempre pronti ad andare incontro ai propri simili in maniera costruttiva: e quanto più costruttivi si è, tanto meglio. Sono tanto grata per questa vita, sento la mia crescita, conosco i miei errori e le mie piccolezze, ogni giorno di nuovo, ma conosco anche le mie possibilità. E amo così tanto, amo alcuni buoni amici ma quell'amore non forma un ostacolo per gli altri; amo in modo ampio, onnicomprensivo e senza confini tante persone, in realtà anche quelle che non mi piacciono affatto. Adesso sono le dieci. Han dorme ancora di sopra, accanto al suo figliolo alquanto melodrammatico con la pleurite, e io mi accuccio grata nel mio lettino solitario. È proprio un classico, quando sto lì sdraiata sulla schiena: è come se fossi incollata alla vecchia buona Madre Terra, mentre mi trovo solo su un materasso soffice; eppure, quando sto così, tutta concentrata e distesa e piena di gratitudine per ogni cosa, è proprio come se fossi in contatto con... già, con che cosa? Con la terra, con il cielo, con Dio, con tutto. Ed è proprio come se fossi saldata alla superficie terrestre, mentre è solo un materasso borghese, decadente e morbido. Adesso buona notte. Domattina inizio con quella traduzione russa per giovedì, poi verrà Loekie, quell'indomabile vagabonda dalle gambe lunghe da ballerina, seguita da Leonie, avvolta nella sua solita aria psicologizzante e desiderosa solo di “fare la lotta”; poi Hetty E., così giovane, dieci anni più giovane di me, piena di curiosità e passione e alla ricerca di risposte: sono felice di poterle fare un po' da guida. E di sera andrò a prendere S. da Geiger e faremo una sorta di prova generale “morale” in vista di mercoledì; prego per lui, a volte sono una grande preghiera per lui. E adesso, davvero buona notte. Mercoledì 25 febbraio 1942

Sono le sette e mezzo di mattina. Mi sono tagliata le unghie dei piedi, ho bevuto un bicchiere di vero cacao Van Houten e mangiato una fetta di pane imburrato con miele, il tutto con quel che si dice “abbandono”. Ho aperto a casaccio la Bibbia ma stamattina non dava risposte. Non importa molto, del resto, non c'erano vere domande da fare, c'è solo una gran fiducia e riconoscenza che la vita sia tanto bella, e perciò questo è un momento storico: non perché tra poco io devo andare con S. alla Gestapo, ma perché trovo la vita ugualmente bella e piena di prospettive per il futuro, qualunque cosa accada. Purché io possa entrare con lui. E inoltre credo questo: che S. abbia un suo destino, un “destino”, che segue il proprio corso. In realtà una persona crea il proprio destino dall'interno - io ho tanta fiducia nella sua vita. 27 febbraio [1942] venerdì mattina, le dieci Ho di nuovo la mattina tutta per me. Riuscire a mettermi dietro a queste righine blu, cercando con cautela di far uscire dal profondo alcuni pensieri, mi costa ogni volta un'enorme fatica ed è una lotta con me stessa: e i pensieri non ne vengono fuori bene comunque. Saltano, invece, di tanto in tanto nella mia testolina e sgomitano, come dietro a delle sbarre, per poterne uscire. Accadono mille cose nella mia vita - almeno per la mia percezione, una persona da fuori non se ne accorgerebbe -, a tal punto che a volte è impossibile renderne conto; mi sfugge molto di quello che vorrei conservare, ma l'essenziale si ripresenterà comunque ogni volta. La settimana era appena iniziata, quando gli ho scritto: “Ieri, per un momento, ti ho voluto così bene, con un amore così grande, che mi sentivo quasi male. Questo amore andava talmente al di là di tutti confini della sensualità e del desiderio di possesso che non sapevo come esprimerlo”. Sì, certo: oltre tutti i confini della sensualità. Si tratta di una nuova fase nella nostra relazione, o sono solo dei momenti casuali nei quali cresce un desiderio fisico nei suoi confronti, un desiderio che è quasi diventato un'ossessione negli ultimi giorni e notti? Mi sto muovendo molto lentamente verso una resa totale. La sua bocca è sempre vicina a me, durante le nostre conversazioni, buona e tenera e fidata, un mondo in sé, ma i demoni sono stati messi a riposo e io invece voglio risvegliarli. Ieri pomeriggio sono quasi impazzita. È stato di nuovo molto interessante stargli vicino e dopo, a casa, ho continuato a pensare alle cose di cui avevamo parlato (il Libro di Giobbe e il Faust), ma avevo voglia di lanciare tutto per aria nella stanza e di arrendermi totalmente alle sue braccia e alla sua bocca. Ma cosa vogliamo farci? Alle otto di sera a casa; ore perse tra i pazienti, passeggiate nella neve e conversazioni telefoniche. Quando sono rincasata alle quattro ero in uno stato pietoso. Una tristezza più profonda che mai. Mi sentivo quasi addolorata, come una donna che sospetti di non suscitare più desideri. Eppure, la sua voce è una grande carezza. Tuttavia i demoni tacciono, per il momento. L'ironia ha voluto che quel pomeriggio lui dicesse, mentre gli sedevo molto poeticamente sulle ginocchia: Eppure è bello e strano come lei vive adesso, questo suo vivere alla giornata, trasformando tutto in spirito. Già: In spirito. Dopo di che abbiamo letto un'altra lettera di Hertha. Anche ieri sera mi ha letto al telefono un brano tratto da una lettera; arrivano a frotte lettere struggenti. E io ho spalancato il mio cuore e ho pensato onestamente: sono così grata che lui mi permetta di condividere tutta la sua vita e anche quell'altra vita che da molto lontano è legata alla sua; in questo modo i miei orizzonti interiori si allargano sempre più. Ogni volta è difficile, ma ogni volta riesco a uscirne e a rimanere decente nel profondo. Ma poi, ieri pomeriggio, è arrivata un'altra lettera simile e io ero tanto piena di desiderio; ma cosa pensavo di fare? Un paziente sarebbe arrivato dopo mezz'ora. E in realtà ero esausta. Sì, una volta dovrò parlargliene, è proprio caratteristico della mia personalità: ho constatato che in me una grande stanchezza, l'inizio di un'influenza, o chissà cosa, va sempre di pari passo con un'intensa sensualità e con l'innamoramento che poi, in ogni caso, non può essere realizzato a causa proprio della stanchezza fisica e deve ritrarsi nel profondo dove crea l'inferno. E quando ieri pomeriggio, tornata, sedevo accanto al fuoco, con una grande sensazione di tristezza e questo era dapprima incomprensibile per me - e guardavo ancora un po' la lettera di Leonie, ho

preso in mano la mia Bibbia e l'ho aperta alla Prima lettera ai Corinzi, 13, per l'ennesima volta. Sì. “Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla... “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto”. E quando ho letto quelle parole, mi sono sentita come... già, come mi sono sentita? Non riesco ancora a esprimerlo bene. Le parole hanno operato su di me come una verga da rabdomante che sferzava il fondo duro del mio cuore, facendone improvvisamente scaturire sorgenti nascoste. D'un tratto mi sono ritrovata inginocchiata accanto al tavolino bianco e l'amore sprigionato scorreva di nuovo dentro di me, libero da desiderio, invidia, odiosità, ecc. Ma penso che ieri pomeriggio fossi solo leggermente isterica. Un po' dopo sedevo vicino al fuoco con gli occhi pieni di lacrime e tanto triste come non ero stata da tempo: con un grande desiderio e con una sorta di furia da donna disprezzata. Mi sono anche ribellata con me stessa, dicendomi che dovrei sapere che è proprio infantile sentirsi affranti in quel modo. E quando un po' dopo Han è entrato nella camera, io gli ho detto: Pa, è ora che torni a dormire di sotto, mi sento come una ninfomane in preda alla malinconia e ho di nuovo la tentazione di gettare in un angolo tutto ciò che è intellettuale, neanche fosse spazzatura senza valore. E Han ha detto molto saggiamente: No, non farlo, il tuo equilibrio si spezzerebbe di nuovo. Lascia che la tua mente sia com'è e dalle il suo pieno valore, ma prima recupera l'equilibrio. Già, Han. Sono onesta verso di lui, interiormente. La passione di tanti anni si è via via trasformata in un affetto incontenibile, e i nostri corpi sono ancora familiari l'uno all'altro grazie a una straordinaria, lunga tradizione. E ieri mi sono rimproverata, dicendo a me stessa che è meschino e infantile e anche ingiusto se cerchi di scaricare il desiderio per un uomo su un altro. Ma cerco di non farlo e di non usare Han come strumento per i miei appagamenti erotici. E di sera, mentre ero nel suo letto e lui ancora sedeva alla scrivania, sono stata di colpo riassalita da un tale desiderio per S. che ero felice che Han venisse a letto più tardi, perché quel ritardo mi avrebbe dato una valida scusa per essere già addormentata. Ma non appena le sue membra arcifamiliari si sono incollate alle mie, i corpi hanno cominciato il loro gioco spontaneamente, e io ho provato un grande piacere a lasciarmi andare. Eppure, quando poi Han, felice e soddisfatto, si è sdraiato accanto a me nel buio, ho pianto in silenzio sulla sua ascella a causa del desiderio per quell'altro uomo. E stamattina, con mio grande stupore, mi sono resa conto che quel desiderio non era ancora passato: continua a crescere, ma per diventare cosa? Ieri sera, quando sono andata a prenderlo alle sette da Geiger, ho detto d'un tratto: Sono di nuovo cooosì triste. E lui, molto sorpreso: Ma da quando? Io: Da questa mattina alle 11. E lui: Cosa ti aspetti dopo esserti alzata così presto e dopo tutte le agitazioni di ieri? E io: Ma non mi hanno preoccupata neanche per un istante. Lui: Ma forse lei vi ha investito più libido, di quanto non sappia. E io ho detto: Forse ho proprio della libidine in eccesso. Così lo ha saputo anche lui. Ero andata proprio controvoglia a prenderlo alle sette. Non volevo più parlare, volevo solo che i demoni riapparissero sulla sua bocca. Ma quella breve passeggiata verso casa sua è stata di nuovo inaspettatamente ricca di attimi di conversazione. E quando sono arrivata a casa, un po' dopo, la sua voce al telefono è stata un'altra grande carezza. Abbiamo parlato di arte moderna, del sogno di Tatiana in Puàkin, di Dio sa che cosa; in quel momento gli ho raccontato dell'incontro con quell'uomo nel treno, e poi sul tram, di quel viso che era come un paesaggio esotico e che speravo mi rivolgesse la parola. Stavo forse cercando inconsciamente di provocarlo? Non lo so. E lui, molto conciliante: Anche questo prima o poi capita. Il 3 febbraio, il primo compleanno della nostra amicizia, ho pensato che non sarebbe stato possibile nessun “accrescimento”, tanto mi pareva intensa la nostra relazione. Da allora, neanche un mese fa, mi sembra che essa si sia intensificata ancora di più. E so che ci sono molte altre possibilità aperte. Ho paura del completo contatto fisico, temo che questo contatto non riesca a raggiungere le vette

del nostro rapporto spirituale e che possa rovinare qualcosa. Non si deve mai forzare la situazione ma lasciare che faccia il suo corso naturale, aspettando che i frutti maturi cadano da soli. Il mio desiderio cresce molto lentamente e sta diventando una resa completa, in un modo a me finora ignoto. È successo un paio di giorni fa, su un freddo tram, diretto verso l'università: mi ha pervasa l'improvvisa e assoluta certezza che viaggerò in molti paesi, e attraverserò anche i volti delle persone come altrettanti paesaggi. In qualunque angolo del mondo mi troverò, avrò qualcosa da dire alle persone, a modo mio, con modestia, ma avrò qualcosa da dire. Mi sono sentita legata a lui come mai prima, ma anche più libera nei suoi confronti. Lo porto dentro di me come una parte del mio corpo e della mia anima. Ma rimarrò libera e indipendente e non legherò mai la mia vita a quella di un altro. Lo so con certezza; e so pure che dovrò patire la fame, il freddo e lo sconforto, ma sentirò anche una grande fiducia e un senso di continuo sviluppo. E proverò per brevissimi momenti il desiderio di essere legata a lui per la vita; devo però sempre ricordarmi che voglio comunque attraversare la vita da sola. Determiniamo il nostro destino dall'interno. L'ho scritto mercoledì, di buon mattino, e sono rimasta io stessa turbata da questa affermazione avventata, così ho cercato di verificarla dentro di me. E inaspettatamente tutto si è chiarito. Certo, ogni uomo determina il proprio destino. Le situazioni in cui possiamo trovarci su questa terra non sono molte: siamo mariti o padri, mogli o madri, siamo prigionieri o guardie carcerarie, non fa poi una grande differenza: le stesse mura ci circondano. E così via, da ripensarci in seguito. In realtà è l'orientamento interiore verso gli eventi a determinare il destino. In ciò consiste la vita. Non conosciamo la vita di una persona, se ne conosciamo solo i fatti esteriori. I fatti esteriori, ahimè, non sono poi così diversi in ogni esistenza. Per capire la vita di un uomo bisogna conoscerne i sogni, il rapporto con la famiglia, gli stati d'animo, le delusioni, la malattia e la morte. Mercoledì mattina presto, quando con un gruppo numeroso ci siamo trovati in quel locale della Gestapo, i fatti delle nostre vite erano tutti uguali: eravamo tutti nello stesso ambiente, gli uomini dietro la scrivania come quelli che venivano interrogati. Ciò che qualificava la vita di ciascuno era l'atteggiamento interiore verso quei fatti. Si notava subito un giovane che camminava su e giù con un'espressione palesemente scontenta, assillato e tormentato. Cercava in continuazione pretesti per urlare a quei disgraziati ebrei: “Mani fuori dalle tasche per favore...”, ecc. Per me era da compiangere più di coloro a cui stava urlando; e questi, a loro volta, facevano pena nella misura in cui erano impauriti. Quando mi sono presentata davanti alla scrivania, mi ha urlato improvvisamente: “Che ci trova di ridicolo?”. Avrei risposto volentieri: “Niente, tranne lei”, ma per diplomazia m' è parso meglio lasciar perdere. “Lei ride tutto il tempo” continuava a urlare lui. E io in tutta innocenza: “Non me ne accorgo proprio, è la mia faccia normale”. E lui: “Per favore non dica scemenze, vada fffuori” con una faccia che voleva dire: tra poco mi sentirai. Credo che questo fosse il momento psicologico in cui avrei dovuto spaventarmi a morte, ma quel trucco l'ho capito troppo in fretta. In fondo, io non ho paura. Non per una forma di temerarietà, ma perché sono cosciente del fatto che ho sempre a che fare con degli esseri umani, e che cercherò di capire ogni espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile. E il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse a urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza? Aveva un'aria così tormentata e assillata, del resto anche molto sgradevole e molle. Avrei voluto cominciare subito a curarlo, ben sapendo che questi ragazzi sono da compiangere fintanto che non sono in grado di fare del male, ma che diventano pericolosissimi se sono lasciati liberi di avventarsi sull'umanità. È solo il sistema usato da questo tipo di persone a essere criminale. E quando si parla di sterminare, allora che sia il male nell'uomo, non l'uomo stesso. Un'altra cosa ancora di quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e

nascono dentro di noi. E perciò sono molto più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possano crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime: così, grandi edifici e torri, costruiti dagli uomini con le loro mani, s'innalzano sopra di noi, ci dominano, e possono crollarci addosso e seppellirci. Siamo poi arrivati in uno spazio decente e riscaldato, e siamo stati ricevuti in maniera molto corretta da uomini molto ammodo, con tutta una serie di distintivi, e noi stessi siamo stati molto corretti. Abbiamo firmato le carte con gesti cordiali, quelle carte che con gentilezza ci sono state sottoposte e che potrebbero benissimo rivelarsi le nostre condanne a morte. Abbiamo detto: quei tipi si stanno prestando a questo gioco, anche se non tutti saranno d'accordo con la firma di condanne a morte. Ma noi, anche noi ci prestiamo a firmare le nostre condanne con un viso gentile; e quella sensazione era molto forte in me quella mattina: non si può sfogare l'odio su alcuni individui, nessuno porta la colpa; un sistema funziona al di sopra delle nostre teste, un'inquietante costruzione che può crollare addosso sia a coloro che interrogano sia agli interrogati. Una cosa è stata anche buffa e degna di nota: la conversazione su Rilke alle otto di mattina con quel giovane impiegato del Consiglio Ebraico. E più tardi, durante il giorno, ho detto a qualcuno: Me la cavo bene, sempre e in qualunque circostanza, purché io sia personalmente presente. E adesso devo occuparmi della tavola da pranzo. Ho ancora un paio di cose da annotare. Su Tide, tanto affascinante domenica che vorrei poter fissare sulla carta quella sua immagine: così fresca e giovane e raggiante. E poi qualcosa di molto prosaico: l'alto livello di quella cenetta. Due donne davvero di classe, Adri e Tide. E, comunque, non riesco ancora a registrare simili cose in maniera adeguata. Su Alice Levie ci sarebbero ancora volumi da scrivere. E su Leonie, di cui trascrivo qui di seguito la lettera, come un ricordo del percorso che lei sta per cominciare e nel quale anch'io potrò essere di sostegno. Alice Levie mi considera come una stazione intermedia tra lei e S., e Leonie una volta ha detto: Con te io entro nell'anticamera del tempio e con S. accedo al sancta sanctorum. Così si forma una piccola liturgia, per usare una parola grossa. Annoto qui anche quel breve brano della confessione di Alice a mo' di ricordo. E Aimé: il fatto che anche questo cerchio si sia chiuso mi dà una rinnovata soddisfazione. Adesso, a lezione, c'è solo un contatto muto e silenzioso tra di noi, ma io so che lui verrà di nuovo a cercarmi e mi tengo sempre pronta. Il mio gregge cresce continuamente e io sono pronta per sempre più persone e trovo altre risposte per me stessa e per coloro che pongono domande. E adesso andiamo a preparare la tavola. 1° marzo 1942, domenica sera, le otto e mezzo Non posso entrare nella nuova settimana con tutto questo materiale non elaborato nella mia anima, portando con me tanti stati d'animo confusi. Sarebbe un peccato, perché ci sono molte cose buone sul programma: domani, le lettere su Rilke da Ilse Blumenthal e Hetty; martedì pomeriggio, strano ma vero, ci sarà Jan Bool per lavorare un po' insieme; mercoledì Leonie; la sera e la notte di venerdì, i Levie; giovedì a cena da Geiger con S. Che attacco di isteria primaverile e depressione sto avendo, anche se c'è ancora una distesa di neve di fronte a casa. Oggi pomeriggio, mentre S. mi stava davanti, con il suo viso pallido sul vestito blu scuro (quel vestito scuro con la cravatta rosso scuro gli stava davvero egregiamente) e ha chiesto: Be', che cosa sta a fare lì segregata in un angolo, tutta immalinconita?, ho provato la singolare tentazione di scoppiare in un pianto dirotto. Anche in seguito - eravamo nella camera di Tide da soli, e lui mi stava davanti - mi sono dovuta trattenere per non piangere e l'ho trattato con riserva e riluttanza; lui è rimasto lì con un'espressione leggermente derisoria e ha detto: Andiamo, tutto si sistema. La cosa peggiore era che lui mi sembrava un perfetto sconosciuto, un uomo con cui io non avevo nulla a che spartire, non l'avevo mai avuto. E per strada, sulla bicicletta, mi sono sentita libera di gridare come un bambino che sia estremamente infelice e non sappia neppure il perché. E adesso ho di nuovo un groppo in gola. È davvero un'isteria primaverile. Ne sono io stessa perplessa. Ma la capisco anche un po'. Negli ultimi due mesi mi sono esaurita amandolo e il suo cuore era

sempre aperto e pronto per me; lui ha allargato il suo spirito a me, dimenticando però di protendere anche le sue mani e la sua bocca. E ci deve essere comunque un equilibrio tra corpo e spirito. E nel momento in cui desideri tanto fortemente che qualcuno ti stringa tra le sue braccia, e quello evita di farlo, ti assale, come reazione estrema a tutto ciò, un'improvvisa sensazione di grande straniamento e abbandono, seguita da odio e rabbia nei confronti dell'altro. Oggi pomeriggio ero così infuriata e infelice e d'un tratto è sopraggiunta anche una profonda depressione; oltre a tutto ciò, anche uno sfinimento fisico, esaurimento e dolore alla schiena. Un paio di giorni fa mi sono chiesta se quel desiderio nei suoi confronti non sorga solo in alcuni momenti strani o se non sia un processo organico per il quale il desiderio cresce e matura fino a spingere verso una resa inevitabile. Comincio lentamente a credere che si tratti della seconda ipotesi. Ma allora devo anche avere pazienza nel realizzare questo desiderio fino alla fine. Ogni volta ho ripetuto a me stessa: abbi pazienza. Devo prima aspettare e vedere se questo desiderio è perseguibile, se non fiorisce solo nelle fantasie notturne, e se è invece anche in grado di affrontare le sobrietà del giorno. È davvero molto difficile per me, negli ultimi giorni, fronteggiare questa frenesia primaverile. E per giunta, ciò che mi fa ribellare e infuriare è il fatto che lui rimanga sempre uguale e che possa constatare con ingenuità: “Eppure è bella una ragazza così, che vive alla giornata e trasforma tutto in spirito”. Di tanto in tanto mi dico: non riuscirò a sopportarlo ancora per molto, mi dispero, non ne posso più. E poi di nuovo: abbi pazienza. Sopporta il desiderio in sé e lascialo crescere. Devi proprio disimparare certi infantilismi: essere furiosa e irritata contro chiunque, e sentirti afflitta contro chi non viene incontro ai tuoi desideri. In fin dei conti anche lui è coinvolto nello stesso processo. Oggigiorno le circostanze rendono molto arduo rimanere con gli altri senza sentirsi disturbati, e uomo e donna hanno comunque i loro diversi momenti, e tutto questo è un inferno. Ma una cosa adesso è certa per me: al momento, almeno per me, l'equilibrio tra corpo e anima nella nostra relazione si è rotto. Il corpo si fa sentire e mi affatica. Finiamo di leggere almeno quella novella tenera e malinconica di Cechov e poi presto a letto. Ho paura che quella stanchezza persista. Sono tanto arrabbiata con lui e allo stesso tempo vorrei stare tra le sue braccia. Trovo parecchio meschino, da parte sua, che mi lasci avvizzire in questo modo: mi rende estremamente ribelle e allo stesso tempo svogliata. E adesso non posso neanche dire che lo amo. A questo punto è tutto molto confuso. Il desiderio “si allarga” dentro di me e s'impadronisce totalmente del mio essere, rendendomi pesante come piombo. Sono le otto e mezzo. Han è a letto: un vecchio dagli occhi blu amichevoli che tossisce e ansima. È tutto un po' penoso. Il mio corpo si sente tanto giovane, solo e ingannato. Non trovo alcun pensiero conciliante dentro di me, sono triste e odio tutti quanti. Stamattina non ero ancora arrivata a questo punto e ieri assolutamente non ero così. Era ancora un pomeriggio primaverile delizioso con Alice Levie. Ma oggi pomeriggio, quando ho rivisto S., tutto mi ha travolta senza preavviso. È un bene poter di nuovo passare questi momenti di tristezza e doverli sopportare fino a una positiva conclusione. Nel frattempo mi pesano moltissimo dentro e fanno male. Non si devono mai far scontare agli altri, sarebbe irresponsabile: gli altri non devono ricevere sofferenza da parte nostra quando noi dobbiamo soffrire la nostra tristezza. Eppure c'è sempre quella tentazione infantile di sentirsi affranti e di pensare che nessun altro abbia una vita dura come la nostra. E ora cito me stessa: “Quanto alle mie tristezze, esse rientrano fra le componenti preziose del mio essere e celano ancora una volta in sé il nuovo momento creativo”. Queste parole, adesso, non sono neanche credibili. C'è un equilibrio rotto che fa tanto male e che deve essere prima ricostituito. Lunedì mattina [2 marzo 1942], le otto Non sono più arrabbiata con lui, lo amo molto. Tutti gli infantilismi sono di nuovo stati sconfitti. Proprio come se ogni volta comparissero nuove piccole eruzioni cutanee, che però scoppiano velocemente e scompaiono. Bisogna sapersi confrontare sempre di nuovo con la propria piccola

dimensione e con la propria mancanza di profondità. Ieri sera, a letto, ho detto d'un tratto: A dire il vero, dovrei esserTi grata, Dio, per avermi messa in condizione di provare simili sentimenti grandi e passionali e per aver messo sul mio cammino un uomo che riesce a rispondere a tutti quanti, anche se per alcune settimane ha evitato di spalancarmi le braccia. Dovrò educare il mio desiderio e guidarlo verso la sua destinazione finale con tutta la cautela e la dignità di cui sarò capace. Ma cosa dirò a quelle donne che provano un grande desiderio e che non riescono a trovare accoglienza per quel desiderio? Che non possono trovare quell'unico giusto amante e che perciò sono costrette a frammentare il loro desiderio in molti pezzi e a denigrarlo? Donne che - e improvvisamente mi vengono in mente le parole di alcuni anni fa di quel severo semiuomo di Phia Veling - devono fare del loro capitale moneta corrente? Povere donne, dopo questa guerra, con i loro uomini sterminati. Dio, nel Tuo mondo si soffre molto e in maniera atroce; a volte lo avverto, almeno in parte, sulla mia stessa pelle. E anche per questo sono prima di tutto grata che una lontana eco risuoni anche in me e che io possa in questo modo capire e sentire l'umanità sempre meglio. Sì, educherò il mio desiderio e a volte lo domerò e lo guiderò sicuro alla sua destinazione. Ieri sera ho pensato che ormai né il suo lavoro né altro mi interessa più se prima non si è ricostituito l'equilibrio. Non bisogna fissarsi in anticipo su determinate concezioni. Se lui oggi o domani mi raccontasse qualcosa, su un paziente o su chissà che, il mio interesse tornerebbe a essere grande e fervido come sempre. Ieri ho anche imparato questo: non si deve permettere a una sensazione di malessere di estendere la propria ombra sui giorni che seguono, perché i propri giorni futuri si rovinano giustappunto a partire dal centro interiore. Ho detto a me stessa che lo avrei odiato finché l'equilibrio fra corpo e anima non fosse tornato a essere perfetto. Ieri, però, i miei sentimenti per lui erano tanto confusi e pensavo che tutto sarebbe rimasto così. Ma ora lui mi è di nuovo tanto vicino e io lo amo senza sentimenti offuscati. E il fatto che lui mi sembrasse tanto estraneo ieri, con il suo viso pallido, emozionato, su quel vestito blu scuro, adesso mi appare, ripensandoci, qualcosa di molto singolare e intrigante. In passato ogni attimo era così; ieri c'è stata una piccola reminiscenza delle difficoltà del passato. E anche questo è un bene. Così non si rischia di arrugginire nelle certezze: bisogna riguadagnarsi di volta in volta la certezza e l'intima fiducia. E questo, in fin dei conti, è anche uno degli aspetti allettanti della relazione con lui: nella grande familiarità e intimità, c'è sempre comunque una grande distanza, generata dall'inevitabilità del fatto che comunque ognuno di noi è un mondo a sé con propri limiti. Ma ci sono momenti - per esempio, ieri e gli ultimi giorni - in cui si vorrebbe dismettere il proprio mondo e i propri limiti per potersi fondere nell'altro. Ah sì, e stanotte mi è venuto in ménte anche questo: nei momenti di umori primaverili, si è tentati di considerare il desiderio erotico e sensuale come il centro onnipotente dell'esistenza; però, d'un tratto, ho capito di nuovo che quello è solo una parte, che può certo dominare tutto per un attimo, ma resta una parte del tutto. Mi ha raggiunta con grande chiarezza il pensiero che la stesura di un breve brano in prosa, una conversazione su cose essenziali della vita con un proprio simile, mi darà sempre una soddisfazione maggiore che un letto nuziale: e siccome tale pensiero è stato tanto limpido, nonostante il desiderio tormentoso, esso ha quasi ricostituito la mia armonia interiore. Bisogna sempre avere una visione d'insieme, capace di comprendere le molteplici parti; certo, si può ogni tanto lasciarsi trascinare da una sola parte, anche questo ha la sua attrattiva, ma le persone per lo più si lasciano dominare e trasportare da un singolo aspetto, al punto che l'intera vita ne risulta mutila e perde il suo equilibrio. Stanotte ho sognato molto ma ricordo a malapena che cosa. So comunque ancora bene questo: quando mi sono svegliata, e vacillavo sul confine tra sonno e veglia, ero ancora in grado di osservare lo spazio del sogno e ho visto che era un sogno buono; poi la porta si è richiusa con forza e io mi sono ritrovata completamente sveglia. Il mio ricordo però dice che era un buon sogno. Forse oggi la porta verrà, di tanto in tanto, violentemente riaperta, il che capita spesso, e quando accade, riaffiorano improvvisi brandelli di sogno. C'era anche questo, tra l'altro: ero in mezzo a una moltitudine di persone, e c'era anche mio padre,

piccolo e curvo, e stava mangiando in modo disgustoso. Io non mi vergognavo di lui davanti agli altri, gli volevo molto bene, non provavo alcun sentimento di inferiorità a causa sua, come succede in altre circostanze. E quando mi sono svegliata, quell'immagine mi ha dato una sensazione profonda di gratitudine. E poco prima di svegliarmi, ho anche pensato: già, adesso sono diventata consapevole, per l'ennesima volta, del fatto che l'universo interiore e quello esteriore devono sempre confluire l'uno nell'altro; è come se stanotte si fosse aperta un'altra piccola breccia nel muro che tiene sempre separati quei due mondi. E anche questo mi ha dato la sensazione di essere affrancata. Nella prima parte della notte invece ho sognato qualcosa di brutto, ma che non mi ha lasciato alcun cattivo retrogusto. Mi trovavo per un attimo da sola con S. nella sua camera, e d'un tratto lui mi si lanciava addosso, cominciando a baciarmi. Io rispondevo avidamente, ma avevo la sensazione che lui lo facesse perché mi considerava una paziente e riteneva che ne avessi bisogno. L'episodio è stato molto breve, troppo breve e poi è entrata Dicky, o forse era Adri? Mi ricordo ancora che, su tutte le furie, ho sbattuto la porta dietro Dicky e ricordo di aver anche cacciato Adri dalla stanza. Non mi ricordo altro. So però, e terribilmente bene, quanto ero arrabbiata e quanto il tutto fosse stato breve. E ora voglio trascrivere un brano tratto da Rilke, così, solo perché ho un grande buon umore e desidero farmi una gentilezza. Sono curiosa di vedere se questo buon umore reggerà oggi: devo comunque essere preparata al fatto che io posso perdere il mio equilibrio in molti modi. Ah, dài, fai la persona adulta! Però, Käthe è tornata presto... È una donna incredibilmente competente e intelligente, questa Käthe. Stamattina è andata subito all'hotel Carlton per cercare di trattenere Carl qui, altrimenti sarà mandato in Germania e anche lei dovrà andarsene, il che sarebbe una vera catastrofe per la gestione di questa casa, senza parlare della grande perdita umana. Käthe appartiene alle poche persone - me ne sono resa conto un po' di tempo fa - alle quali vorrei potermi accompagnare tutta la vita e con cui vorrei sempre mantenere un contatto. Il lavoro all'hotel Carlton sarà svolto dalle giovani tedesche che sono state “importate” apposta nei territori occupati: i loro mariti risucchiati dalla guerra. Mi sono' improvvisamente scoperta a pregare nel corridoio per Käthe e per noi, affinché ci sia permesso di tenerla qui. Non posso farci nulla: quella lettera di Tide del 27 febbraio, inclusa a p. 29 di questo quaderno, che lei mi ha dato ieri, mi ha irritata al massimo grado: “... e mi dispiace moltissimo per il mio stile terribile, ma so che il nostro buon Dio non ci farà troppo caso”. Di fronte a questa situazione, ho pensato che l'ingenuità può essere commovente, ma questo mi sembra troppo per una donna di 35 anni. E poi: “la cosa meravigliosa è che Dio mi ha ascoltata, più di quanto io non possa riferire: non è andato tutto straordinariamente bene? Comunque S. è una creatura benedetta”. Questo mi ha davvero colpita. Sì, è andata straordinariamente bene, abbiamo potuto sostare per un'ora dietro a tutta una serie di banchi, e poi ci è stato gridato contro da un attaccabrighe. Cosa si aspettava quella naif di Tide? Che lo avrebbero immediatamente sbattuto in gattabuia? Andare meravigliosamente bene, lo chiama lei. Lo trovo tutto troppo infantile: non riuscire a vedere oltre il proprio naso. Forse un giorno gliene parlerò. Questa lettera ha avuto però anche un altro effetto su di me: mi sono scoperta a pregare molto intensamente per Käthe stamattina, e nelle prime ore del giorno ho pensato che, prima di andare dai Levie venerdì, cercherò di pregare in modo grandioso e prodigioso, perché moltissimo può dipendere da questo. E adesso devo andare a occuparmi di quel mio “ospedale”, a Rilke penseremo dopo. Di sera, le nove e mezzo Mi fa un male terribile, non riesco neanche a scriverne. Mi sono lamentata forte mentre attraversavo in bicicletta l'Apollolaan e tutte le strade del circondario, sotto quella luna. Sono volate parole

come: Compassione, tormento, responsabilità, conflitti e mancanza di libertà. Devo educare il mio desiderio, insegnargli ad avere una condotta dignitosa. Perché non riesco a comportarmi come uno che, pur avendo una ferita seria, cerca comunque di dominare il dolore di fronte agli altri, e se ne va a letto con un sorriso gentile? Invece mi sono solo lamentata, mentre ero in sella alla mia bicicletta: Mio Dio, come potrò uscire da questa situazione con grazia? Come devo sopportarla? Il desiderio in sé non è così grave, ma le reazioni sono ancora tanto infantili. Se vado avanti così, rischio di perdere quell'uomo. Ma al momento sono solo distrutta: non infelice, ciò sarebbe semplicemente empio. Ma soffro, soffro tanto, non so come uscirne. Già, giovane donna, tu con le tue grandi parole sulla sofferenza. Adesso si abbatte su di te sotto un'altra forma, e anche questo va accettato. Fa un male terribile. Ma devi imparare bene a distinguere tra il sentirsi rifiutata come donna e il provare un desiderio vero e grande; tra un attacco di semplice isteria primaverile, che potrebbe essere sfogata su chiunque, e un sentimento che si rivolge a quest'uomo e a nessun altro. Improvvisamente penso di essere ancora tanto piccola, giovane e infantile. E di nuovo sono stata catapultata in una caotica indistinzione. La sofferenza, con la “S” maiuscola, deve sorgere proprio da quel caos e purificarsi di tutte le sue ignobili sottoparti: anche questa fase dovrà ausklingen, “smorzarsi”. Mentre lui è impegnato a trasformarsi in una specie di santo, il mio desiderio cresce, generando in me un senso di catastrofe e disperazione. Si sistemerà tutto. Non sono ancora una donna “adulta”. Oggi pomeriggio, piena di fervore, ho fatto la paternale a questa bimbetta, sul fatto che la vita è un lento processo di crescita e che bisogna essere pazienti. E, in effetti, vivo anche in accordo a quanto oggi pomeriggio ho predicato. Ma adesso arriva una nuova fase, che devo attraversare e superare sana e salva, e il più “adulta” possibile, vivendola nella sua più profonda miseria, per poter poi aiutare altri a superarla. E, per favore, cerca di diventare almeno un po', una donna “adulta” e dignitosa. Avverto vagamente che questo è l'inizio di una nuova fase, ma non so ancora come devo procedere. È ancora tanto piccola e confusa. In realtà dovrei maledirlo, perché penso che mi stia rifiutando, oh no, questo poi no; in più, mi sembra di non essere mai stata così ossessionata dal desiderio fisico, o forse era tanto acuto anche le altre volte? E poi fantastico di avere finalmente il diritto di cedere a quel desiderio. Ci sono stati momenti in cui ho dominato gli impulsi erotici nei suoi confronti, e ne ho tratto forza. Adesso penso di poter far crescere il desiderio, di avere una sorta di diritto su quell'uomo, dato che lui mi ha “permesso” di essergli tanto vicina. Cerco l'equilibrio tra corpo e anima, sopravvalutando nuovamente il corpo. Ho la tentazione di dimenticare tutto quello che ancora c'era e c'è tra di noi. No, quest'ultima cosa non è vera, sono sempre consapevole della nostra amicizia, ma adesso, per un attimo, quando lui mi parla, penso: Non ne posso più, voglio solo stare tra le tue braccia. Oh, Dio, aiutami a uscirne. Insegnami a distinguere tra la sensazione di essere respinta e il reale grande desiderio. In più, la Sofferenza non è grave per una persona, ma le cose che vi si affastellano attorno la rendono così meschina e infantile. E non fare soffrire gli altri solo perché ti trovi a soffrire tu: non essere così piccola e infantile! Sentiamo, cosa ti aspettavi da questa sera? Passione su ordinazione, la soluzione di tutto in una mezz'ora? E io che dico: ho una grande nostalgia e sono così infelice, e lui che, a metà tra il divertito e il paterno, mi guarda e dice: Ascolta quello che un vecchio ha da dirti, non è poi così grave, davvero. Già, cosa mi aspettavo? Che si sarebbe immediatamente fatto travolgere dalla mia passione? Forse mi sono anche sentita un po' ferita nell'orgoglio, perché lui non mi è immediatamente saltato addosso, e ha provato a distrarmi con racconti sui pazienti? Io ho nascosto la mia testa tra le sue ginocchia e poi l'ho trascinato per terra, il suo corpo sopra il mio: a essere onesti, proprio “privo di gusto”. Passione su ordinazione. No, ragazzina mia, trascrivi bellissimi passi sulla “pazienza” in Rilke, ma tu devi ancora metterla in pratica, mi senti? La devi vivere, altrimenti non servirà a nulla. Questa era la cosa sconcertante con quella Ilse Blumenthal, con le sue lettere di Rilke: appunto non le aveva mai vissute in prima persona. E adesso è una donna aspra, disillusa, mentre una volta riceveva lettere di questo tipo. No, ragazza cara, la vita non è così

semplice e rallegrati del fatto che non ti venga resa così semplice. Ti stai ancora svendendo. “Sono così piena di desiderio”. E lui, che si sarebbe dovuto infiammare immediatamente. Tutto programmato con cura e concluso nell'arco di un'ora. E poi ti lamenti se non ottieni quello che vuoi. Che donna amabile. Bah, ragazzina, mi vergogno di te. Ma prendila con calma, ne uscirai sicuramente; lo sento, sei sulla buona strada. Abbi pazienza: ogni ora porta con sé le sue possibilità. Già adesso temi che lui diventi davvero un santo prima o poi, e se questo accade non ci sarà più alcun gesto passionale, nessun'altra carezza per il tuo ego, non è così? E forse lo troveresti terribile fra sei mesi, se dovesse reclamare dei diritti su di te. Le dieci e mezzo Già, sulla “sofferenza”: mi sta andando fin troppo bene in questo momento per poter scrivere questa parola con tanta disinvoltura. Di colpo sono saltata su per correre al telefono e ho chiesto: Mi stia a sentire, non è che per caso mi ritiene una persona priva di gusto? Pare che mi avesse chiamato un minuto prima e che il nostro telefono fosse occupato. Poi abbiamo avuto una conversazione di mezz'ora durante la quale mi sentivo sempre più libera e riuscivo a offrire me stessa sempre meglio. Però peccato che io abbia troppo poca pazienza per rendere quella conversazione parola per parola. Ma ho ritrovato lui e il resto verrà da sé. Gli ho detto che le cose erano davvero “tese e stressanti” e che, all'improvviso, si era aperto un baratro allorché mi ero resa conto che lui si stava trasformando sempre più in un santo, mentre io, al contrario, somigliavo sempre meno a una santa. E lui ascoltava con quel suo scroscio di risate salutari, estremamente salutari. Gli ho raccontato che, pedalando verso casa, avevo mugolato di dolore per tutte le strade, gridando e piangendo. “E cos'hai fatto quando sei arrivata a casa?”. Mi ero ripromessa di non far soffrire gli altri solo perché io stavo soffrendo, di andare su da Pa Han e di essere dolce con lui. Ma avevo un terribile nodo in gola. Dopo di che sono rimasta divisa tra due pensieri, se andare a lavarmi o leggere Rilke; ma ero stremata, tanto triste e allora mi sono inginocchiata nel bagno, la testa nascosta nella vestaglia da camera appesa alla sedia, e ho pianto interiormente; quando poi mi sono guardata allo specchio, la mia faccia mi sembrava tanto strana, così tesa e mossa e - non riesco neanche a descriverla - molto singolare, in ogni caso. Infine sono collassata davanti a questo quaderno, e gradualmente le cose sono andate a posto. “Sei una ragazza molto razionale”. “Sì, ma diffido della mia stessa ragione”. E di nuovo, un altro piacevole scroscio di risa all'altro capo del filo. Ho detto: Mi sono sentita bene tutta la settimana, sono la comprensione e l'equilibrio in persona, ma se vado in mezzo alla gente e ti rivedo, ricado nella confusione e sono capace di scoppiare nel più disperato dei pianti. E abbiamo parlato di come si debba sempre di nuovo combattere “la terra”. E io: Già, eppure io voglio vivere anche un pezzetto di terra, ne avremmo persino il diritto. E lui: È naturale. Ma ultimamente ci siamo visti così poco, non possiamo certo continuare a vederci casualmente da Geiger o all'angolo di una strada. E io: Oh, per quanto riguarda me, va bene anche così. E io gli ho detto anche che era così difficile conservare dentro di sé un desiderio grande, puro e nitido, e che si trattano gli altri tanto ingiustamente quando si soffre. E lui ha detto: Ho scritto a Hertha che, quando un profondo anelito ci coglie, bisogna cercare di trasformarlo in amore per gli altri. E io: Sì, ma ci sono momenti in cui tutto diventa davvero troppo e non ne puoi più. E lui: Be', questo è ovvio. Gli ho anche raccontato che era terribilmente difficile essere una donna “adulta” e lui: Non bisogna avere una simile pretesa, bisogna vivere sino in fondo le proprie imperfezioni. Gli ho anche detto quanto fossi colpita da parole come Mitleid [“compassione”], Unfreiheit [“mancanza di libertà”], ecc. E lui: Sì, ma certi concetti devi vederli alla luce di determinati contesti. Poi gli ho raccontato di quando, di recente, in una fredda mattina, sul bus della linea 16, ho capito all'improvviso che avrei viaggiato in molti paesi e avrei visto tanti volti e scritto libri, e che mi sarei allontanata da lui; e che mi ero sentita più libera che mai ma anche sempre più legata a lui. E gli ho detto anche: Qualunque cosa accada tra di noi, quella sensazione di libertà, di essere un mondo a sé, e l'idea di non aver

diritti su di te saranno sempre con me, è questa la ragione per cui ho sempre il coraggio di raccontarti tutto e di esprimere il mio desiderio, perché non è necessario un legame. È solo desiderio, nient'altro, un desiderio che chiede una parte di te, ma io rimango comunque libera. Due ore fa pensavo che questa situazione mi avrebbe lacerata, non sapevo come uscirne, e adesso invece respiro di nuovo liberamente. Nei miei occhi sono in attesa ancora molte lacrime, e la testa è affaticata come se fossi uscita da una grave malattia; ho ancora una strana sensazione addosso, mi sento “trafitta dalla sofferenza”, per usare un'espressione forte, e sul cuore resta un peso enorme, ma si vive di nuovo. Ho ricominciato a vivere nel momento in cui sono corsa al telefono e ho chiesto: Stammi un po' a sentire, non è che per caso mi ritieni una persona priva di gusto? Martedì mattina 13 marzo 1942], le dieci e mezzo Sono incredibilmente felice. Solo ieri sera pensavo ancora che non avrei potuto continuare a vivere. Stamattina alle otto lui mi ha telefonato: E allora, come sta la paziente? Mi ha raccontato tre suoi sogni della scorsa notte. Molto singolare. Io ho detto: Cercherò di studiarli con lei. Cosa ci siamo detti poi? Non lo so più. Va bene, ho pazienza; il desiderio si cristallizzerà, libero da ogni complicazione: vanità ferita, ecc. La cosa principale è che ne abbiamo parlato insieme. C'è sempre quella fiducia in sé un po' barcollante: hai paura che lui ti consideri alla stessa stregua degli altri casi, come gli altri che vanno da lui con i loro bisogni e desideri inesauditi. Pare che tu ancora non ci creda davvero che ci sia una relazione tra di voi, concreta e reale. E se lui per un attimo non ti segue come vorresti tu, se si forma una differenza nel ritmo, diventi insicura e ti senti ferita, ti ritrai totalmente e cerchi di renderti interessante relegando in un angolo te stessa e i tuoi alti sentimenti. Perché non cercare di condividere i tuoi problemi? Ieri ha detto: Basta che mi stia lontana cinque minuti che già sente nostalgia di me, me lo dica subito quando ha inizio in lei un simile processo. È qualcosa di assolutamente naturale, perché mai si dovrebbe avere un approccio mistico nell'affrontare cose naturali come questa? In realtà ci sono altre cose riguardo alle quali si può essere mistici. Ieri quelle parole mi avevano ferita in una maniera o nell'altra. Era come se quel grande mio desiderio venisse banalizzato e proprio perché oggettivato. E ora, se ci ripenso, mi rendo conto che tutto quello che ha detto era giusto. Ma dove ho lasciato, nel nome di Dio, quelle Lettere a un giovane poeta? Ieri sera tardi, nella stanza da bagno - i miei momenti più cruciali li vivo ancora, in ogni caso, nel bagno - ho provato una forte sintonia, davvero intensa, con uno dei passaggi di quel libro. Là Rilke racconta come verrà un tempo in cui uomo e donna non saranno più contrapposti l'uno all'altra ma l'uno accanto all'altra per sopportare insieme il pesante fardello della sessualità. Ora voglio percorrere con lui questo cammino, ieri mi è stato molto chiaro. Ho fatto del mio Desiderio qualcosa di comune a entrambi, e insieme lo attraverseremo. Bene, a lezione, adesso. Di sera, le nove Tutte le emozioni, la passione, il desiderio, la ribellione, ecc., si sono dissolti in una riconciliante stanchezza, smorzati in un po' di nervosismo e influenza. Resta comunque la sensazione di essere un tutto organico in crescita. Non potrò più cadere così in basso come in passato, perché la possibilità di trovare un'armonia rimane presente sullo sfondo. Oggi sono cresciuta così tanto, ho amato così tanto, ho avuto tanti buoni e cari pensieri, ma adesso tutto si è dissolto e io sono stanca; qualche lettera di Rilke accanto alla stufa, Han che tossisce a letto, invecchiando. Mi sono scusata con Adri per il comportamento rude di ieri sera, o, piuttosto, non mi sono scusata, perché va tutto da sé: lasciar crescere tutto, è un processo di maturazione. Oh tu, mio tu, occhi miei, che instancabili ripercorrono il paesaggio spoglio e bruciato del tuo volto. E talvolta mi voglio un po' di bene terreno, vicinissima come sono, e il cielo si curva pur sempre, questo lo sappiamo entrambi. Oggi pomeriggio avrei voluto scrivere molto: mi sarei voluta svuotare gentilmente e

silenziosamente su queste pagine. Ma ero troppo stanca. E adesso, a letto presto. Ma prima devo chiamare S. Ciò che è sempre buffo è il modo in cui ogni conversazione telefonica con lui si riveli un'avventura ricca di possibilità; è sempre sorprendente scoprire quali frasi confuse o profonde osservazioni verranno fuori durante la nostra telefonata. E quel sobrio strumento nero dotato di cavi elettrici, o comunque la cosa funzioni, non è più un ostacolo alle voci che si accarezzano. (FRASE RUSSA) “Ti amo così tanto”. Le dieci Eppure, maledizione, non è affatto semplice. Di volta in volta è come essere oggetto di torture. Una breve e professionale conversazione. Vedi, stai di nuovo ricominciando ad avvicinarti alle cose attraverso idee fisse: eppure, eppure, la vita è così bella. Un'onnipresente “intuizione” di completezza e ricchezza e delle possibilità di questa vita mi avvolge di continuo come una nuvola. Negli ultimi giorni sono molto “volubile” e irritabile, se osservo la situazione così. Dopo quei momenti di “raccoglimento” davvero grande, perdo di nuovo l'equilibrio per quell'unica parola che mi sembra troppo oggettiva. Sono tanto stanca. Non ammalarti, sorellina, non farlo. In Betz, ho letto dell'influenza esercitata da Rilke sui giovani, in una Francia che era sul punto di entrare in guerra. Il libro d'ore, ecc. In Klatt mi imbatto ora in quello stesso amore, e nel fecondo influsso del poeta sulla medesima generazione in Germania, e proprio quando quel paese stava per entrare in guerra. E per il suo Libro d'ore lui trasse spunto anche dalla saggezza della Russia. Belle, e capaci di infondere speranza, queste correnti e alleanze oltre tutte le frontiere! L'anima infatti non ha una patria o, per dirla meglio, l'anima ha una sola grande madrepatria e lì non vi sono frontiere. Esistono le possibilità di capirsi a vicenda e di venirsi incontro, e a ciò devo dare il mio contributo, perché, nella mia anima e nella mia mente, io provo le stesse sensazioni che sono di ogni tempo e di ogni paese. Sì, voglio farlo. E per questo motivo, Etty, non puoi essere isterica e sentirti infelice nel momento in cui la voce dell'uomo, che ti immaginavi carezzevole, d'un tratto suona un po' distante. Non sai neanche com'è stata la sua giornata. Lui ha di certo lavorato più duramente di te oggi e forse era solo stanco. Niente “pretese” nei confronti dell'altro, non aspettarti niente, altrimenti rendi te stessa e l'altro meno liberi, mentre si forma un clima ostile e aspro, nel quale una relazione umana non può fiorire e prendere le sue forme più belle. Sei ancora molto piccola. O, forse, ho solo l'influenza. Pazienza è tutto. Dio, dammi molta pazienza, sempre più pazienza. E toglimi quest'irritabilità. Sabato 6 [=7] marzo [1942], di sera, le sette Giovedì sera gli ho detto: Ho promesso al mio diario di trascrivere i tuoi sogni. Mi sembra che essi siano in una qualche misteriosa relazione con quella sera quando hai detto di me: “al canto di tutti gli uccelli, a lui ho confessato il mio struggimento e il mio desiderio...”. Ecco il resoconto di quei tre sogni della notte tra il 2 e il 3 marzo: Primo sogno. Ero in una grande azienda, e c'era una riunione di tutti i dirigenti per decidere come migliorarne il funzionamento. Furono avanzate molte proposte, e io ero per così dire la suprema autorità, e alla fine ho detto: sì, ma la cosa più importante, ciò che consente di arrivare più in fretta alla meta è che ciascuno riconosca i propri errori. Proprio quando eravamo lì, è arrivata una telefonata dall'estremo Nord, da Beetsterzwaag, e il viaggio veniva di nuovo interrotto: erano rimasti bloccati dalla neve o qualcosa del genere. Inizialmente S. era irritato e un po' giù, ma dopo gli è tornato il buon umore: si resta sempre bambini. La mattina seguente, un'esplosione di gioia al telefono: partiamo! Povera Tide, povero Glassner. E mentre tutti nel tram per poco non piangevano per via del freddo, lui era raggiante e diceva: Che aria meravigliosa. E a un certo punto, nel vagone freddo dove Tide e Glassner rabbrividivano, lui comincia a esercitarsi su Mozart: indistruttibile, giovane, raggiante, delizioso.

Mentre Tide prendeva i biglietti, io ho detto a S.: Mi piacerebbe tanto fare un viaggio con te, da una piccola città all'altra, noi due insieme. E lui: Certo, e io... Nella fredda hall della stazione abbiamo fantasticato su un viaggio in montagna, una permanenza in solitarie grotte dal buon profumo di erbe o in un buon hotel giù in città. E così sia. Succederà davvero un giorno? Mi piacerebbe scivolar via dolcemente e senza suono su questi fogli, sino a te. Secondo sogno. Sono seduto da qualche parte e trovo un libro che mi avvince, è la biografia di una donna russa molto importante, ma io non so chi sia, e allora chiedo: di chi è questo libro? Mi dicono: Siamo in biblioteca, e allora io dico: mi piacerebbe avere questo libro e anche prenderlo in prestito, benché in linea di massima non ami leggere i libri presi in prestito da una biblioteca. Durante il nostro colloquio, con me seduta di fronte a lui, nel mio ruolo di competente analista, è venuto fuori questo argomento, tra le altre cose: La donna russa può essere una figura-anima. E io gli ho chiesto: La donna russa rappresenta per lei un particolare tipo di donna? Lui: Sì, in generale trovo i russi molto più dotati di fantasia, più aperti e anche più demoniaci. Io: Ha pensato anche a me? Lui: Sì, per me lei ha molto più della russa che non dell'olandese. E riguardo alla biblioteca: Che non mi piaccia prendere i libri in prestito è probabilmente legato alla mia determinazione a far tutto in modo originale, ad attingere tutto da fonti personali. Alla mia immensa presunzione, per cui devo essere originale in tutto quanto penso e dico. Terzo sogno. Sono invitato a un matrimonio importante e devo cantare. Nel vestibolo della casa incontro alcuni ospiti, i quali mi dicono che, fra gli altri, arriverà anche il cantante Schwarz (uno dei migliori baritoni berlinesi) e che quindi dovrò mettercela tutta per cantare molto bene perché Schwarz è una vera autorità. Ci risiamo: è un bisogno di critica? E, ancora, in relazione al primo sogno, forse un avvertimento? È andata davvero bene nelle ultime cinque settimane. Nel momento in cui io mi stavo quasi completamente disperando per via di un puro desiderio fisico per lui e gliel'ho raccontato apertamente quella famosa sera - sembra quasi che sia successo già mesi addietro -, lui mi ha raccontato che viveva già da cinque settimane anche senza “surrogati”, senza “onanismo” o altro. Finora gli era sembrato impossibile. E notava come si sentisse bene e come questo giovasse al suo lavoro. In quel momento mi sono sentita doppiamente disperata. Quando io ero appunto scossa, per attimi, da una violenta tempesta capace di far barcollare le mie fondamenta, lui si rivelava da un momento all'altro come un santo in erba, e proprio allora. Proprio da impazzirne! Adesso è tutto tornato a posto. Continuiamo a crescere, viviamo di nuovo di tutte le sorgenti e non solo di quelle della passione e la vita è buona e bella, anche se fredda. E adesso devo chiamare Liesl. Già, non ci diciamo più “Frau Levie” e “Fräulein Hillesum”, ma Liesl ed Etty. In questo periodo per me tanto cruciale, è quasi logico che le amicizie che costruisco siano decisive anche per la vita futura. Mi è tanto vicina, cara e fidata, quella Liesl, e allo stesso tempo piena di un tale fascino che non si esaurirà presto. Anche suo marito è parte di tutto questo. Sul freddo ci sarebbe da scrivere volumi interi. E comunque, prima quella telefonata. Domenica mattina [8 marzo 1942], le nove e mezzo Vedi, ragazzina mia, una cosa simile è infedeltà e non deve più accadere. Forse in passato hai sempre vissuto così, continuando a minare le tue stesse fondamenta. La strada adesso deve portare anche alla fedeltà basata sulla sicurezza interiore. È andata così: leggevo un saggio di Vestdijk su Rilke, e ciò mi ha messa di cattivo umore perché l'autore affrontava Rilke in un'ottica formalistica, che era poco soddisfacente e non coglieva l'essenza del lavoro e della persona. Il fatto che mi sia sentita spiacevolmente colpita da quel saggio e anche irritata, in una maniera o nell'altra, ha

dimostrato la mia stessa insicurezza interiore nei confronti di una figura come Rilke oppure, in ultima istanza, la mia insicurezza interiore nei confronti dei più profondi valori che lui rappresenta. Ma quell'insicurezza è stata sconfitta in pochi giorni. La parola “manierato” mi è rimasta in mente per un po'. Alcuni giorni dopo, da Ilse Blumenthal, abbiamo parlato del poeta e lei ha detto che forse lui era troppo - troppo come? - un po' troppo... forse, alla lunga... e, con mio grande sgomento, mi è sfuggita l'espressione: troppo manierato forse? Al che lei ha immediatamente replicato: “Oh no, manierato non lo è mai, lui è troppo vero per questo”. Le ero ancora grata per quelle parole e mi faceva piacere che rimanesse equilibrata, ma ormai aveva toccato un punto dolente in me. Questa è infedeltà e mancanza di carattere del tipo peggiore, da cui mi dovrò costantemente purificare. Avevo tirato fuori quella parola, “manierato”, solo per adattarmi a lei, che è sempre la via più semplice, e in più era anche una forma di plagio, di uso indiscriminato di ciò che alcuni giorni prima avevo letto altrove, che fossi d'accordo con quella posizione o meno. Improvvisamente, ieri, quella parola è riemersa nei miei ricordi e io mi sono vergognata a morte. Fedeli, bisogna rimanere realmente fedeli a se stessi e ai valori che più si apprezzano, e avere il coraggio di rendersi impopolari con gli altri in nome di quella lealtà. No, sorellina, non ci siamo ancora, ma di certo stai maturando. E adesso voglio anche trascrivere una sua poesia in cui mi sono imbattuta ieri sera. È tratta dal Libro delle immagini: Le foglie cadono, cadono da lontano quasi giardini remoti sfiorissero nei cieli; con un gesto che nega cadono le foglie. E ogni notte pesante cade la terra dagli astri nella solitudine. Tutti cadiamo. Cade questa mano e così ogni altra mano che tu vedi. Ma tutte queste cose che cadono, Qualcuno con dolcezza infinita le tiene nella mano. E più tardi, da una Lettera: “... tutto questo, non è vero? era "un'influenza"... e la più significativa resta ancora da nominare: che mi fu concesso di restare solo in tanti paesi, città, contrade, indisturbato, esposto con tutta la molteplicità, con tutte le capacità uditive e di obbedienza del mio essere, a qualcosa di nuovo, desideroso di appartenergli e tuttavia subito obbligato a prenderne le distanze...”. Che tipo di giorno sarà oggi? Sono stanca morta. Ieri sera sono andata a letto tanto felice e piena di fiducia, con l'idea: domani sarò tutto il giorno da S., scriverò di quella tempesta che mi ha scossa, vorrei poter rievocare per lui quest'ultima settimana turbolenta. Questo giorno è tutto per te. E adesso invece c'è una tale pressione, una sonnolenza dentro di me, e anche impotenza e malessere. Ma non lascerò andare questo giorno; forse riuscirò a farlo riemergere dal baratro di fiacchezza. Sono esattamente le dieci e un quarto, e alle undici e mezzo arriverà la piccola Stella nera. Non posso proprio dire di sentirmi animata da una grande voglia di farle lezione. E comunque, mai dare per perso un giorno prima del tempo, come facevo in passato. In me le parole sono tutte pronte: vorrei tanto farle arrivare a lui nell'estremo Nord. Sarei di nuovo pulita dentro e la tempesta sarebbe bell'e registrata ed entrambi sapremmo di cosa si è trattato. Non so cosa mi succeda adesso, mi sento così incredibilmente stanca e svogliata. A dopo. Di sera, le dieci Sono felice che ci venga concesso di capire sempre di più, e di approfondire, di giorno in giorno, la conoscenza della vita. Ne sono tanto grata. E devo diventare ancora più paziente. I sentimenti sono più profondi e grandi delle possibilità espressive. Non so ancora in quale ambito cercare i miei strumenti. Aspettare e ascoltare ed essere paziente; fare le cose di ogni giorno; diventare sempre più

me stessa e al tempo stesso un anello nel tutto: e nessuna consumata imitazione, né un vivere, nemmeno per un minuto, in modo inconsulto. Devi diventare uno strumento, non solo nella mente ma anche nel corpo. Questo l'ho scritto ovviamente sotto l'influsso di Rilke, di Rainer Maria, che, nelle ultime settimane, si è imposto come figura a grandezza naturale nel cuore della mia vita e che è ormai un sostegno sempre più stabile per i teneri ramoscelli che, tanto timidamente, sono sul punto di fiorire nel mio profondo; sotto l'influsso di Rilke, ma comunque anche per mia ispirazione. Penso ai paesi stranieri per i quali partirò - lo so con sempre maggiore certezza, con un'irrequietezza giovanile che si fa certezza - e i tanti volti che saranno altrettanti paesaggi, che un giorno raggiungerò: dovrò migliorare la mia conoscenza delle lingue. E ascoltare, dappertutto ascoltare, e ascoltare fino al fondo delle cose. E amare e dire addio e con questo morire, ma poi rinascere: è tutto così doloroso ma anche tanto ricco di vita. Ho ventotto anni e a volte penso che sia un'età adulta, e tuttavia sto iniziando a vivere solo adesso. Esperienza di questa sera: le Elegie duinesi e alcune lettere tratte da Muzot. Non ho dato per perso il giorno mentre cominciava ed esso si è sollevato e mi ha regalato, ancora una volta, questo epilogo pieno e fiorente. E ogni sera vado di nuovo a dormire con un cuore colmo di gratitudine. L'intensa connessione con Rilke degli ultimi giorni mi pesa anche, a tal punto che le mie stesse parole non se ne riescono a liberare. Avrei dovuto scrivere molto a S. Anche questo è stato un nuovo traguardo della scorsa settimana: “Per il nostro profondo anelito non dobbiamo cercare cento piccole soddisfazioni, dobbiamo mantenerci puri e integri, elevarci per così dire a un livello superiore e di lì attingere forze e slancio per amare molti”. Ma è così difficile, talvolta. Ma: l'anelito sarà sempre più grande della soddisfazione. Ed è giusto che sia così. Di tanto in tanto tiro fuori questo quaderno dal mio cassetto e sento l'urgenza di scriverci un altro verso. Sarò capace in futuro di vivere appieno questi versi come li vivo adesso? Un paio di versi tratti da Es winkt zu Fühlung fast aus allen Dingen [Quasi ogni cosa a un contatto si tende]: Un solo spazio compenetra ogni essere: spazio interiore del mondo. Uccelli taciti ci attraversano. Oh, io non voglio crescere guardo fuori e in me ecco cresce l'albero. Le dieci di sera, nel bagno, con la Cold cream già sulla faccia Di nuovo si profila in me come una certezza sempre più grande: non mi sposerò mai. Non devi dividere il grande Desiderio in molte piccole soddisfazioni. Forse una sola volta esso, grande e illeso, troverà un porto sicuro, un'unica notte d'amore; poi, però, si deve sopportare in sé il Desiderio grande e indiviso e trarne forza per un amore da dedicare a tutti, senza inseguire di continuo la propria piccola soddisfazione. Non dobbiamo ripartire il nostro profondo anelito in cento piccole soddisfazioni... E adesso, buona notte. 8 [=9] marzo [1942], lunedì mattina, le nove e mezzo Voglio brevemente riscaldarmi con le ultime parole di una sua lettera: “Sa una cosa? Il suo romanzo mi ha proprio toccato il cuore: è così quieto, e caro, e la rispecchia integralmente: la vedo davanti a me in tutte le sue espressioni! E trovo bello che la ragazzina timida sia venuta da me giusto un anno e un mese fa!”. Certo che è bello! E adesso alle piccole cose quotidiane: fare i piatti di Han e riordinare la stanza e fare lezione a Loekie e andare a ritirare un permesso di viaggio per S. dal Consiglio Ebraico, e, per favore, trova un po' di concentrazione e tempo per una lunga lettera a S. La strada verso di lui è di nuovo aperta da stanotte; ieri l'entrata, per un istante, è stata sbarrata. Tu! 9 [=10] marzo [1942], martedì mattina, le nove

In una vita ci devono essere anche giorni simili, non è più così grave. In tali momenti tutta la vita si spegne in te e finisce per sprofondare in una pozza di fiacchezza. Che mi sia sentita tanto strana e bloccata domenica è dipeso probabilmente dalle mestruazioni: piacevole potersene rendere conto ora. Eppure - non ci sono giorni persi. Anche quando affondi in un profondo stato di stanchezza e debilitazione, in te sta comunque riposando qualcosa e a volte ti giungono vaghe Ahnungen, “presentimenti”, e sensazioni di armonia, almeno se hai abbastanza pazienza da concederti a esse. In passato andava così: nei giorni in cui mi sentivo male, avvertivo una simile insicurezza e infelicità, e pensavo: ma come devo fare, voglio viaggiare verso paesi lontani, voglio diventare una giornalista, ecc., ma se a volte mi sento così male, non riuscirò proprio ad affrontare le situazioni. Perché reagire con tanta apprensione? Perché mai, in paesi lontani, uno non potrebbe sentirsi male, di tanto in tanto? In altri paesi vivono comunque individui che pure non si sentono sempre bene. Pesava più l'insicurezza derivata da quello stato di malessere che non il malessere in sé. Adesso tutto si è di nuovo sistemato ed è stato accettato. Sogno di stanotte: ho telefonato a Geiger per dirgli che sarei passata mercoledì per pranzare da lui assieme a S. Allora, la signora Geiger ha detto: Mi dispiace moltissimo, ma mercoledì non si può. Ho invitato tutta una serie di persone famose in onore del ritorno di S. e non c'è proprio posto. Sarà possibile fra un paio di giorni. Ero proprio disperata che non si potesse per mercoledì. Le associazioni di stamattina con quel sogno: forse sento ancora che S. è completamente fuori dalla mia portata? In ogni caso, il fatto di non poter andare mercoledì mi faceva disperare. Oh, già, adesso, d'un tratto, mi viene in mente un altro sogno, quello di venerdì notte dai Levie. Ho sognato che dicevo: La signora Levie si occupa delle cose, il signor Levie se ne preoccupa. Mi pareva tremendamente profondo, e quando mi sono svegliata invece mi è parso del tutto scontato. Poi mi sono riaddormentata e ho sognato che raccontavo ai Levie del mio sogno ma loro non riuscivano assolutamente a capire cosa intendessi dire: e questo mi aveva delusa molto. E la mattina seguente, durante la colazione, ho raccontato loro quei due brevi sogni, ma in quel momento sfuggiva anche a me il senso profondo delle scene sognate. Eppure c'era qualcosa di interessante in quelle visioni. Una mattina, non tanto tempo fa, mi sono svegliata e ricordo vagamente che durante la notte avevo detto a me stessa a bassa voce: La mia voce matura. E ora, oggi, per tutto il giorno, mettiti a studiare russo, diligente e paziente, e cerca di combattere quell'incipiente influenza con i molti farmaci presi in farmacia e con la resistenza interiore, domani tutto andrà di nuovo bene; domani pomeriggio Liesl e domani sera S. Adesso che rileggo la lettera che gli ho scritto ieri, non mi sembra poi male. Ieri ho scritto tanto controvoglia che pensavo che il risultato sarebbe stato terribile, e invece va bene. 12 marzo 1942, giovedì sera, le undici e mezzo Era indescrivibilmente bello, Max - la nostra tazza di caffè e la cattiva sigaretta e la nostra passeggiata a braccetto per la città oscurata, e il fatto che noi due camminassimo insieme. Ci siamo detti: bisogna proprio essere dei russi per godersi così pienamente la vita. Chi conosce la nostra storia, come si meraviglierebbe di questo strano incontro, così, senza alcun motivo - tranne che Max vuole sposarsi e desiderava avere un consiglio da me: buffo, proprio da me. E questo era appunto così bello - che uno riveda l'amico di gioventù e lo possa rispecchiare nella propria accresciuta maturità. Max diceva all'inizio della serata: non so cosa sia, ma qualcosa in te è cambiato. Sei diventata una vera donna. E alla fine: no, non sei cambiata in peggio, non voglio dire questo, i tuoi tratti, la tua mimica, tutto è ancora vivace ed espressivo come una volta, ma dietro queste cose c'è ora una così grande chiarificazione, è bello stare con te, là nel caffè sulla Ceintuurbaan, e mi puntava ancora un momento la lampadina in faccia, rideva, come riconoscendomi con un cenno del capo, e annuiva: sì, sei proprio tu. E allora le nostre guance si sono sfiorate in un modo insieme goffo e familiare, e siamo partiti in direzioni opposte. È stato

davvero indescrivibilmente bello. E per quanto possa sembrare paradossale: forse era la prima volta in cui siamo stati veramente bene insieme. Mentre camminavamo, Max ha detto d'un tratto: forse, col passar degli anni, tu e io potremo ancora diventare veri amici. E così nulla va perso. Le persone ritornano, e interiormente puoi continuare a vivere con loro finché, qualche anno più tardi, sono di nuovo unite a te. L'8 marzo scrivevo a S.: “Una volta la mia passionalità non era nient'altro che un aggrapparsi disperato a che cosa precisamente? A qualcosa a cui non ci si può affatto aggrappare col corpo”. Ed era proprio al corpo di Max, dell'uomo che questa sera camminava fraternamente accanto a me, che allora mi ero aggrappata in una disperazione insopportabile. E questo appunto, in qualche modo, dava gioia: il fatto che fosse rimasto tutto ciò, il buon scambio fiducioso dei nostri pensieri, il breve reciproco indugiare nell'atmosfera dell'altro, l'evocare ricordi che non facevano più male, mentre una volta ci eravamo letteralmente distrutti a forza di vivere intensamente; e anche il constatare per un momento, con la massima tranquillità: è vero, eravamo proprio degli esaltati. Ma era proprio di nuovo Max che chiedeva: hai avuto allora un'altra relazione? E io con due dita per aria. Più tardi, quando ho accennato al fatto che avrei forse sposato un emigrato per potergli restare accanto se fosse stato mandato in un campo, ha avuto un attimo di sconcerto. Salutandomi, ha detto: mi prometti che non farai stupidaggini? Ho tanta paura che una volta o l'altra tu vada in pezzi. E io: io non mi rompo mai e in nessun posto. E volevo ancora aggiungere un'altra cosa, ma a quel punto eravamo già troppo distanti: se tu vivi interiormente, forse non c'è neanche tanta differenza tra essere dentro o fuori di un campo. Sarò capace di assumere la responsabilità di queste parole di fronte a me stessa, sarò capace di viverle? Non possiamo farci molte illusioni. La vita diventerà molto dura e saremo di nuovo separati, tutti noi che ci vogliamo bene. Credo che quel tempo non sia più molto lontano. È sempre più necessario prepararci interiormente. Mi piacerebbe leggere le lettere che gli scrivevo a diciannove anni. Max diceva: Ho sempre avuto molte ambizioni su di te, mi aspettavo che avresti scritto dei gran libri. E io: Max, quelli verranno; hai fretta? Io so scrivere, e so che avrò pure qualcosa da dire. Ma perché non dovremmo aver pazienza? Sì, lo so che sai scrivere. È stato davvero indescrivibilmente bello. Ogni tanto rileggo le tue lettere, è vero che sai scrivere. È però consolante che queste cose possano ancora succedere in un mondo lacerato. Forse, queste possibilità sono assai più grandi di quanto non ammettiamo di fronte a noi stessi: che un amore giovanile improvvisamente ritrovi se stesso, e guardi indietro sorridendo al proprio passato - e che si sia riconciliato con questo passato. Così è successo a me; io ho dato il tono a questa sera e Max mi ha seguita, e questo era già tanto. Non so come lui abbia rielaborato questa serata. Ma è stata una bella avventura anche per lui, di questo sono certa. Del resto, niente è più un caso, una piccola Spielerei di quando in quando, un'avventura avvincente. Si ha la sensazione di avere un “destino” in cui i fatti si innescano in una successione ricca di significato. E se penso a come noi due camminavamo insieme per la città buia, maturati e inteneriti sul nostro passato e con la sensazione che avremmo avuto ancora molto da raccontarci, lasciando però insieme nel vago quando ci saremmo rivisti - forse ci vorrà ancora qualche anno -, allora mi sento seriamente e profondamente grata che una cosa simile sia possibile in una vita. Ora è quasi mezzanotte e vado a dormire. Sì, è stato molto bello. E alla fine di ogni giornata sento il bisogno di dire: la vita è davvero bella. Davvero, mi sto facendo una mia opinione su questa vita - un'opinione che so persino difendere davanti agli altri, e questo dice non poco sulla ragazzina timida che sono sempre stata. E ci sono dei discorsi come quello di ieri sera con Jan Polak, in cui le parole diventano testimonianza. E adesso, davvero buona notte. Daan! Piccolo Daan! Venerdì mattina [13 marzo 1942], le dieci e mezzo Questi sono davvero grandi doni. Quel dialogo confidenziale con Käthe accanto al fuoco, la sua naturale intelligenza e la sua spontanea comprensione per le cose di questa vita. A lei posso raccontare tanto tranquillamente del mio incontro con Max e senza avere una sensazione di fare

pettegolezzi di cattivo gusto. E proprio un momento fa il dottor Levie al telefono. Problemi psicologici del presente. Cominciare da se stessi. “Dieci anni fa l'avrei trovata una cosa insensata. È una grande esperienza per me come a suo tempo Dostoevskij”. E io: Bello, vero, che tutto questo sia possibile in un'epoca come quella attuale?... Mi ha raggiunta una tale apertura e familiarità. E non più la vanità personale dovuta all'essere in confidenza con un uomo che considero senz'altro molto valido, ma il genuino piacere umano di poter assistere da vicino alla crescita e allo sviluppo di un valido essere umano, e forse di aver anche avuto un briciolo di parte in tutto questo. Sono queste le cose essenziali per me, sono doni preziosi. Forse anche questa mano che tiene la penna avrà un giorno la pazienza. C'è ancora molto da fare. È una di quelle cose alle quali devo elevarmi: che la mia mano abbia la pazienza di dirigere la penna. Ma ci sarà ancora molta strada da fare per questo, lei sospirò. Un solo spazio compenetra ogni essere: spazio interiore del mondo. Mi sembrano le parole più belle che conosco, probabilmente perché, con la loro completezza e perfezione, riescono a rendere esattamente quello che con sempre maggiore intensità sto vivendo. Ho appena riletto alcune poesie di Rilke: non vi si dovrebbero aggiungere altre parole, adesso che le parole stanno avvicinandosi un po' ai miei sentimenti. Mi sono di nuovo avventurata ai limiti delle mie regioni corporee e in realtà quell'area non è poi così ampia. Ma questo non ha lasciato più un cattivo retrogusto come in passato: gradualmente scopro che i confini del corpo sono vicini e riesco a venire a patti con questa idea. E poi: l'anelito sarà sempre più grande della soddisfazione. Ma ci sono momenti in cui non rimane né soddisfazione né desiderio. Già, così il “Grande Desiderio” ha di nuovo fatto esperienza della piccola realtà del corpo. Quando è successo? Mercoledì sera. Ma quando lui, ieri sera, mi ha raccontato qualcosa di molto stimolante e interessante sul caso di un paziente epilettico, con la sua faccia sempre più mossa ed espressiva, allora l'ho sentito ancora più vicino e caro rispetto a mercoledì sera, quando mi si è buttato addosso. “E sei triste, adesso?” gli ho chiesto. “Triste? Perché?”. “Oppure sei scontento?”. “Perché mai?”. “Perché adesso non sei più un santo, poco fa eri un giovane e amabile santo di sei settimane, e adesso devi ricominciare daccapo”. “No, non triste, ma molto più consapevole”. In riferimento alla mia lettera, abbiamo parlato del perché si debba sempre soffrire quando si ama. Allora si tratta di un amore sbagliato, di un amore narcisistico, di un amore che vuole possedere. E io intanto lo guardavo e pensavo, quasi inorridita: con ogni gesto, con ogni respiro, la persona che vogliamo possedere si sottrae a quel possesso. Non si tratta neanche della via del corpo - e ci sono ovviamente i momenti sacri in cui corpo e anima sono fusi in un grande tutto, ma bisogna essere molto maturi per questo. E si sa che nell'altra parte del corpo - in caso di necessità, attraverso tutto il corpo - si stendono ampie e ricche aree di comunanza, ma bisogna essere in grado di fare i passi interiori e lasciare la libertà all'altro. E torno sempre da te, Rainer Maria; una sera, di recente, mi ha colta improvvisamente il pensiero, dietro questa scrivania, che non sei più tra i vivi. Credo che ti avrei scritto lunghe lettere. Ma anche così va bene. Tu vivi comunque. Fritz Klatt comincia col dire questo: “Rilke sa molto più profondamente di quasi tutti i grandi maestri del passato e dei suoi contemporanei che cos'è davvero l'amore. “Egli sancisce con parole nuove il tema eternamente tragico dell'amore: "Non essere mai una sola cosa con la persona amata". Perciò l'amore più alto che dobbiamo imparare consiste in questo per lui: lasciare libera la persona amata. Nel Requiem Rilke si è espresso così: “"Perché, se c'è una colpa, è questa: non accrescere la libertà della persona amata offrendole tutta la libertà che in noi matura. Noi che amiamo abbiamo solo questo da offrire: lasciarci liberi l'un l'altro, perché trattenerci è facile, e non è arte da imparare"“. Portare con sé l'altro, sempre e ovunque, chiuso in se stessi, e lì vivere con lui. E non solo con uno,

ma con molti. Accogliere l'altro nel proprio spazio interiore e lì lasciare che fiorisca, dargli un posto dove possa crescere e svilupparsi. Vivere davvero insieme all'altro, anche se non lo si vede per anni, lasciare che l'altro ci continui a vivere dentro e vivere con lui, questa è la cosa essenziale. E così si può continuare a vivere insieme a qualcuno, al riparo dagli eventi esteriori di questa vita. Ciò è una grande responsabilità. Adesso non riesco a continuare a scrivere. Non è proprio tipico che tutto il mio passato cali improvvisamente su di me? Una telefonata e una voce, una voce calma, familiare: Pronto, sono Smelik. Dopo quella scena durante i giorni della guerra, non ho più sentito nulla da parte sua. Da un momento all'altro: Sono Smelik. proprio come se me lo fossi aspettata, che a un certo punto sarebbe ricomparso. Interiormente io continuo comunque a vivere con i miei vecchi amici. Non ero quasi sorpresa o colpita dal fatto che fosse tornato, era come se lo avessi visto il giorno prima, e ho detto: Ciao Klaas, che bello che tu sia tornato. E di nuovo il vecchio dramma: Se solo Jopie fosse con me. Allora, ci risiamo, ho detto, vi state ancora ammazzando a vicenda? Jopie, sto pensando a te molto intensamente in questo momento; ti sorprenderesti se ti dicessi: Io prego per te. Non suicidarti, ho ancora tanto da raccontarti e posso esserti d'aiuto, e ho così tante forze che posso darne anche a te. Eppure, già anni fa, pensavo: finirà suicida o in un manicomio. Ma aspetta ancora un po', Jopie. Non deve per forza finire così, non credi? C'erano così tanti talenti in te, mai valutati nella giusta maniera, e c'era l'inizio di un'“anima grande”; ma una simile “anima”, finché non è disciplinata, la si può definire, spesso con una parola sgradevole, “isterica”. Forse si può ancora fare qualcosa per te. O forse sto diventando troppo sicura di me, perché la mia forza continua a crescere? 16 marzo 1942. Lunedì mattina È stato solo lo scorso venerdì, con quella chiesa che si stagliava solitaria e commovente al centro di un bizzarro paesaggio di guerra? E quel ponte, intatto nella città maltrattata, come un diamante sul petto di una mendicante? Giovedì sera, quando sedevo con Max al Café de Paris, davanti a una tazza di caffè, rievocando la nostra giovinezza, non potevo davvero sospettare che il giorno seguente avrei passeggiato tra le rovine di Rotterdam con l'uomo che, nella mia giovinezza, è venuto dopo di lui. Ma tutto questo è successo solo un paio di giorni fa? E l'aspetto più gratificante è la veloce “classificazione” delle cose in me. Potrei scrivere per ore, volumi interi, sugli ultimi tre o quattro giorni. Non c'è tempo. Scribacchiato qualcosa al volo. In seguito a quell'infernale scena omicida, dopo la capitolazione, ormai quasi due anni fa, un incontro alla stazione centrale: Klaas, con il suo solito passo sciolto, il cappello di pelliccia nera e occhi piccoli, blu acceso da marinaio, che restano più giovani del viso. Nel pomeriggio, prima la bionda Mien al telefono, la quale ha riferito che Jo era arrivata sana e salva, anche se esausta, a Vlaardingen da zia Totebel, dopodiché lei aveva sentito l'urgenza di raccontarmi, a distanza, che il suo cane era morto e che adesso si sentiva tanto sola, ecc. Quando poi Klaas ha telefonato dalla stazione, ho potuto subito dirgli che la sua fuggitiva figliola era sana e salva, per l'ennesima volta. Quindi, quell'improvvisa decisione di andare a trovarla a Vlaardingen. È un bene ritrovarsi sempre, è una dimostrazione del fatto che nel profondo io ho continuato a vivere con loro e loro con me. Anche se nel frattempo sono passati due anni. E poi l'incontro alla stazione, come se ci fossimo visti il giorno prima: io ancora con lo stesso, indistruttibile cappello nero da cosacco sulla testa, che avevo comprato anni prima insieme a lui e Jopie, in circostanze comiche. E le mie prime parole sono state più o meno queste, quando lui mi ha ringraziata di accompagnarlo: Ma in cambio ho da chiederti un grande piacere. Devi prestarmi il tuo fazzoletto, non so come fare, ho dimenticato il mio. E tutto è stato di nuovo piacevole e familiare come sempre. Dovunque si vada con lui, regna sempre un'atmosfera di avventura. E poi, per errore, ci siamo anche ritrovati a Rotterdam. Adesso non riesco a descrivere quel paesaggio. Che cosa si impara da questo? Che un tempo si è giocato in modo eccessivamente irresponsabile con gli uomini. Ero sconcertata che lui si sentisse ancora tanto vicino a me. E io? Per me questa

relazione era fortemente sensuale. Solo i giovani occhi blu da marinaio, e ogni tanto il tratto fine e ironico attorno alla sua ampia bocca, mi sono ancora umanamente molto familiari, ma l'uomo? No, l'uomo non lo voglio. Lo scompartimento vuoto era un po' deprimente eppure mi sono d'un tratto ritrovata sulle sue ginocchia, mentre lui mi baciava come un tempo e io non capivo neanche più se si trattava di un sogno. E: Ti ricordi ancora che mi piaceva chiamarti “bambina del sole” e “dono di Dio”? E tu lo eri davvero per me. Ma sono riuscita a sottrarmi alla notte in albergo con lui. E se si presentasse un'altra volta la possibilità di danni a lui? No, Klaas, no, Klaas, proprio no. Ho detto: Voi, uomini, siete in realtà tanto primitivi; non può essere certo la cosa più importante... Ecc. ecc. Infinite discussioni uomo-donna, e naturalmente ero anche lusingata, in un certo senso, per la crescente amorevolezza di questo grande signore girovago. Tuttavia, se ora andassi di nuovo a mettermi in un angolo sul pavimento, accanto all'armadio di legno di pero, per ascoltare la voce che s'innalza da dentro, direbbe questo: No, Klaas, non mi attrai come uomo; le cose stanno così. Ma come persona mi sei vicino, come ogni essere umano che abbia in sé un'autentica umanità. Ma come comunicarglielo nella maniera più delicata possibile? E poi Han, con la sua gelosia repressa nei confronti del mio passato. La mia intuizione mi ha fatto tornare a casa quella notte, all'ultimo momento. Han era pallido, chiuso nel silenzio, distante, e tossiva. Una breve conversazione all'una e mezzo di notte: È un bene che tu sia tornata a casa, altrimenti avrei messo fine alla nostra relazione. Ah, gli uomini, gli uomini! Voi e i vostri piccoli istinti di possesso. Max che, dopo quasi dieci anni, mi ha fatto giurare di essergli stata fedele. E Klaas che supplicava per una sola notte, e Han che di tanto in tanto pensa di potersi irritare per il mio “passato”. Sabato pomeriggio mi sono accucciata per un attimo nel letto di Han, e sul suo volto è apparso improvvisamente un sorriso; ha detto: “Ma sei proprio una svergognata! Prima vai a fare una gita con il tuo precedente "seduttore" e adesso cerchi di nuovo di sedurre me”. Eccetera. Ieri sera ho raccontato per telefono a S. di come mi ero intrufolata tra le lenzuola di Han per una mezz'ora e lui ha detto: Ah, tutto questo non va preso troppo stil serio. Ma subito dopo ha aggiunto: Che non lo si prenda troppo sul serio, però, non deve indurre a far uso del “non prendere sul serio” come “copertura” per ogni sorta di sregolatezze. E poi ha aggiunto anche: Non lo dico per te, ma per me. E d'un tratto la voce canterina di Jopie in quella piccola cucina a Vlaardingen: Oh, ma che bellooo! Oh, davvero, che bellooo! Com'è possibile, papà, che tu venga improvvisamente qui con Etty? Ha raccontato di aver bevuto una bottiglia di sonnifero, o Dio sa che tipo di roba, un attimo prima pensando: adesso papà ed Etty dovranno venire al funerale. Le ho risposto che mi dispiaceva che non ci fosse nessun cadavere, ma che comunque non era poi così brutto ritrovarsi. L'intera giornata mi è costata solo quattro aspirine, il che in realtà era dovuto solo al mal di denti. E la cosa più preziosa di quella giornata così ricca di sensazioni e di quella mezza nottata (viaggio in treno con black-out, la sera tardi, con quel pane clandestino; alla stazione centrale alle undici e mezzo di sera, la città deserta, Jopie senza bagaglio; entrati sottobanco in un hotel con l'aiuto di un agente; le storie di Klaas su quell'attrice ubriaca con corollario di ampi gesti sul binario freddo a Schiedam; quello scroscio di osservazioni politiche appassionate, e comunque, in fin dei conti, ogni momento inatteso e avventuroso; e l'umanità di quelle due persone quasi insostenibilmente profonda), la cosa più preziosa di tutte: la voce di Jopie che esclamava: Oh, ma che bellooo! E i suoi gesti familiari e la profonda sensazione di sentirla ancora molto cara. La figlia mi è più vicina del padre. Comincio a capire come stanno le cose per lei, e forse posso aiutare. Ma come tengo a debita distanza quel papà?! E ho fatto un'altra esperienza, per me importante: questo incontro inatteso, con un pezzo di passato, è rimasto rinchiuso entro i confini di quell'unico giorno e di quell'unica notte, e all'interno di tale spazio è stato subito completamente rielaborato. Un tempo me ne andavo in giro tenendomi dentro per settimane un materiale così sensazionale, senza assimilarlo, incapace di dedicarmi ad altro. Ora invece tutto viene, per così dire, rielaborato al momento e collocato al proprio posto; certo, un giorno simile è comunque colmo fino all'orlo e straripa oltre i suoi limiti, ma la mattina seguente, alle dieci e mezzo (alle due di notte a letto e alle sette e mezzo in piedi), stavo già dando lezione con il solito entusiasmo al mio mercante di grani, che alla fine dell'ora ha detto: Se le cose dovessero farsi troppo pericolose qui, per lei come ebrea, se dovesse mai essere costretta a nascondersi o

qualcosa del genere, venga pure da noi. E così ho un rapporto particolare con ogni persona che conosco, una relazione unica, ben distinta da tutte le altre; in tal modo non si agisce “alla leggera” o arbitraria, ma con ciascuno si conserva un rapporto definito e specifico. E di sera S. Proprio come se non lo vedessi da anni. Il suo volto sembrava scosso da molte esperienze interiori. Il mio raccontare e il suo raccontare: il tutto concentrato nello spazio di una mezz'ora. E poi, passando per Beethoven e torpedo giapponesi, abbiamo concluso con un valzer vecchio stile e un tango moderno. Durante Beethoven, ho chiesto in silenzio perdono al profilo in ascolto di Dicky, con la bocca infantile e le ciglia ricurve. Ho accarezzato con il mio mignolo il suo piccolo naso all'insù, e lei subito mi ha rivolto un sorriso luminoso con i suoi piccoli denti bianchi. Ho chiesto perdono per le meschine gelosie e l'irritazione che a volte mi suscita. Lei non sa nulla né di quell'irritazione né della mia richiesta di perdono, del resto con tutto ciò lei non ha comunque nulla a che fare. Eppure cambierà qualcosa nell'atmosfera tra di noi. È un bene ed è giusto che, nella propria interiorità, si possa contribuire al miglioramento delle relazioni umane (che modo nauseabondo di formulare le cose!), anzi, l'unico posto dove si possa cominciare è con se stessi, in se stessi. Non vedo altra via, e tale via si delinea sempre più chiaramente davanti a me. E poi c'era Lobatto con il suo profilo scuro e tagliente da pirata. Le vie dell'innamoramento (una parola troppo grossa in questo caso) sono capricciose e imperscrutabili, e non si lasciano deviare. Non bisogna prenderle troppo sul serio, ma è bene sapere che esse abbelliscono la vita, dando qui e là un po' di sapore. In passato, forse, ne sarebbero seguite delle fantasie erotiche, ma da ciò pare proprio che io mi sia completamente affrancata, tranne che nei momenti in cui desidero S., ma a questo ho diritto, mi sembra. Questa volta è stato semplicemente piacevole, essere vittima per brevi istanti del fascino di quel profilo maschile. E S. ieri sera al telefono: Il suo modo di ballare mi è entrato proprio nel sangue! Oh, mi fa piacere, ho detto allora con una certa malizia. Potrei danzare per notti intere. È una forma di sensualità che sorge da aree più profonde e non solo dal corpo. Sì, ha detto S., lei balla come una ragazzina che si tiene stretta, e Glassner osservava con quei suoi occhi amichevoli e amorosi. Non l'avevo mai vista così. Lo sa come balla? Come una ragazzina al caffè che, dopo aver lavorato sodo per un'intera settimana, adesso dimentica tutto nel tango. E lei balla così, con grazia e leggerezza, me lo sono proprio sentito nel sangue. E adesso è primavera, sì, è primavera. E quell'inattesa danza ha scatenato tanti nuovi ritmi in me: proprio come quando la faccia di Tide cambia totalmente se canta, così la mia sembra cambiare quando ballo, peccato che uno non possa vedere se stesso, anche se quella sera io mi sono vista riflessa negli occhi di Dicky, di Adri, e anche di S., occhi che si intenerivano, provavano desiderio ed erano anche un po' gelosi. E in seguito lui ha aggiunto che il mio modo sensuale di ballare era quasi al limite della decenza. Ma io ho ribattuto che questa sensualità veniva da molto più lontano che dal solo corpo. Si conoscono i limiti, le possibilità limitate della sensualità, e ci si è riconciliati con essa, e la nostra conoscenza e accettazione ci fa sentire liberi e slegati. Eppure so che quella mia danza potrebbe a un certo punto sfociare in una pura follia da baccante. Che si abbiano così tante sfaccettature e che la vita sia così ricca e che si possa continuamente scoprire qualcosa di nuovo dentro di sé! Già, e quel Lobatto con il suo profilo da pirata. Non ho potuto evitare di pensare a come Leonie, coraggiosa e implacabile, cercasse di farlo partecipare alla sua vita interiore, in modo che lui giungesse, grazie all'anima di lei, a conoscersi nel profondo. E mentre io ero affascinata dal suo essere-uomo, c'era anche, al tempo stesso, la sensazione di non dover flirtare con gli uomini, di non dover cercare negli uomini solo la controparte, ma di doverli ammettere anche al nostro regno interiore. Noi donne abbiamo un grosso compito da portare a termine con gli uomini - comincio lentamente a sospettarlo - e intravedo anche il percorso da seguire. Attraverso la nostra “anima”, voi arriverete alla vostra. Non voglio solo flirtare con te ed essere affascinata dalla tua virilità, forse in passato era questo l'essenziale tra i sessi; ma in realtà sono solo cose di minore importanza, anche se hanno un loro fascino, e quel fascino non va ignorato: è solo che ogni cosa ha un suo posto e un suo

spazio. Ma l'altro lato, l'umanità, lì risiede il nostro compito. Io mi apro a voi e voi entrate. Non temo più di rendermi ridicola o di essere considerata “sentimentale”; quando voi non mi capite ciò dipende solo da me. Dipende sempre da noi stessi; quando l'altro non mi comprende vuol dire che io non sono paziente o comprensiva o abbastanza aperta, oppure che non ho buona volontà a sufficienza. Questo è il modo in cui Leonie ha posto la questione, con una certa fatica, molti pomeriggi fa, accanto al fuoco; lo aveva imparato a sue spese in gioventù: dipende sempre da noi, siamo noi a non comportarci abbastanza bene, se non riusciamo a raggiungere l'altro. E mi è tanto cara per questa verità che ha scoperto e che ha esposto in maniera alquanto incerta. Ed è vero, dipende sempre da noi. Ciò comporta una grande responsabilità, una vita responsabile. Credo di non vivere ancora in maniera abbastanza regolare; in realtà non bisognerebbe perdere un solo minuto: se non c'è il lavoro, ci sono le persone che richiedono attenzione e comprensione, e questa comprensione può essere data pienamente solo se si ascolta con costanza se stessi e si lavora su se stessi. Insomma, non si deve mettere troppa carne al fuoco, ma essere fedeli a tutti e a tutto, portando a termine quanto si comincia. Nelle relazioni umane non si può essere volubili, e quando si accoglie qualcuno nel profondo, bisogna lasciarlo lì e continuare a lavorare su di lui. Perché anche questa è una nuova verità per me: non si deve “lavorare” solo alla propria vita interiore, ma anche a quella di coloro che si è voluto accogliere in se stessi. In realtà noi diamo uno spazio ai nostri amici in noi stessi, uno spazio dove possono crescere, e cerchiamo di definirli più chiaramente, e questo dovrebbe aiutare anche gli altri alla lunga, anche se noi non raccontiamo loro nulla. Accogliere in sé i gesti, gli sguardi, le parole, i problemi e la vita degli altri, e lasciare che quella vita altrui continui a svilupparsi in noi, diventando sempre più delineata: questo è il nostro compito essenziale. Ci sono un paio di cose delle quali continuerò probabilmente a parlare per tutta la vita, con parole che diventano sempre più limpide; mi sarà concesso di trovare quelle giuste? A S. al telefono, ieri sera (oh, l'eterno telefono!) . Ascoltami, ho scritto qualcosa di importante sul palmo della mano sinistra. Devo chiederti una cosa: faresti un viaggio con me, un viaggetto da una città che non conosciamo a un'altra parimenti sconosciuta? Andremo a spasso, scriveremo un libro e balleremo, sì, e questo è tutto. Ma devo saperlo adesso, per cominciare a mettere da parte i soldi. Risate fragorose all'altro capo del filo. Quanto al viaggio: Oh, magari fosse vero. Io l'ho consolato: Forse viaggeremo insieme verso la Polonia. Il futuro? Cosa ci porterà il futuro? Non importa. Cosa ci porterà il prossimo minuto? Preparare la tavola per il pranzo e Leonie. E poi Hetty E. e, stasera, S. I ritmi della mia danza spudorata saranno ancora nel suo sangue? È proprio primavera. Me ne accorgo dal mio mal di gola e da una meravigliosa allegria, leggera e sicura, ma anche molto seria. Stai forse scrivendo cose senza senso, sorellina? Martedì mattina [17 mano 1942], le nove e mezzo Ieri sera, mentre andavo da lui in bicicletta, avevo dentro un grande e dolce desiderio di primavera. E pedalavo sognante sull'asfalto della Larissestraat, tutta impaziente di vederlo, quando d'un tratto mi son sentita accarezzare da una tiepida aria di primavera e ho pensato: anche questo va bene. Perché non si dovrebbe provare un grande e tenero trasporto amoroso per la primavera, oppure per tutti gli uomini? Si può anche fare amicizia con un inverno, con una città o con una campagna. Mi ricordo il faggio rosso vino della mia adolescenza. Avevo un rapporto speciale con quella pianta. Alla sera ero capace improvvisamente di provarne nostalgia e allora andavo a cercarla, facevo mezz'ora di bicicletta e poi le giravo intorno, presa e incantata dalla vista di quell'albero rosso sangue. Sì, perché mai non si dovrebbe avere un'esperienza amorosa con la primavera? E la carezza di quell'aria era così tenera e così universale che le mani di un uomo, anche le sue, mi sembravano ruvide, al confronto. Così sono arrivata a casa sua. La piccola camera da letto prendeva un po' di luce dallo studio, entrando ho visto il suo letto pronto per la notte, e sopra il letto s'incurvava un ramo carico di

orchidee profumate. E sul tavolino, accanto ai guanciali, c'erano dei narcisi, così gialli, così straordinariamente gialli e giovani. Quel letto pronto, le orchidee e i narcisi - non c'è neppure bisogno di coricarsi insieme in un letto così; mentre sostavo un momento nella camera in penombra era proprio come se avessi trascorso un'intera notte d'amore. Lui era seduto al suo piccolo scrittoio, e di nuovo ho notato che la sua testa somigliava a un paesaggio grigio corroso dal tempo, antichissimo. Ecco, una persona deve aver pazienza. Il tuo desiderio dev'essere come una nave lenta e maestosa che naviga per oceani infiniti, e non cerca un luogo in cui gettar l'àncora. E d'un tratto, inaspettatamente, trova quel luogo, per un momento. Sì, ieri sera la nave ha trovato per qualche istante il suo porto. Eppure sono passati solo quattordici giorni da quando ero stata così sfrenata, e l'avevo attirato a me facendo in modo che mi cadesse addosso, e poi avevo pensato che sarei morta di tristezza. E una settimana fa mi son lasciata scivolare fra le sue braccia, sentendomi poi, in un modo o nell'altro, infelice, perché in quella situazione c'era un che di forzato. Ma quelle tappe devono pur essere state necessarie per arrivare a questo scivolare dolcemente l'uno verso l'altro, a questa intimità, a questo esserci reciprocamente cari e buoni. Una sera come questa conserva nel ricordo tutta la sua grandezza. E forse non si ha neppur bisogno di tante sere così, per aver ugualmente la sensazione di possedere una piena e ricca vita amorosa. Gli ho detto: Sai, i tuoi occhi sono davvero senza tempo. La tua bocca è in tutto e per tutto attuale, ma i tuoi occhi sono senza tempo, e questo talvolta mi fa disperare. Disperare? Come mai? Ma sì, perché provo un grande desiderio di te, un desiderio terreno, legato al tempo, e tu sei lì, con quei tuoi occhi senza tempo, per cui ho l'impressione che non riuscirò mai a raggiungerti. E tuttavia mi sembra bello che i tuoi occhi siano senza tempo, per questo ti amo anche così, ma ti prego: cerca di essere un po' terreno, qualche volta. E lui mi ha presa sulle ginocchia e i suoi occhi si sono improvvisamente velati - occhi che possono davvero spezzare il cuore dalla tenerezza - e ha detto: Non è curioso tutto questo? Arrivare da Berlino, stabilirsi in due camerette nei Paesi Bassi e trovare una ragazzina così - a dire il vero le persone si trovano dappertutto, basta avere pazienza, non occorre cercarle, se hai pazienza, ti arriva tutto. E come mi sento io adesso? Posso esprimerlo solo con delle immagini distorte, un giorno troverò di certo le pennellate capaci di renderlo, quando comincerò davvero a scrivere. Come mi sento? Alla stregua di un desiderio che si è assopito ma che continua a vivere nei sogni, carezzato dai tiepidi venti primaverili. L'ho detto in modo orrendo, ma so cosa intendo. Ah già, domenica pomeriggio, quando Glassner raccontava le sue storielle seduto al pianoforte, mi sono sentita come se il mio cuore fosse un'immensa tastiera sulla quale lui suonava con dita energiche e tenere: la musica nasceva da un punto tanto vicino, tanto in profondità. E quella buona Tide che nel suo diario ha scritto che era gelosa perché io so ballare così bene. Ma anche questo è assorbito ormai; buona Tide. E, ancora, Leonie che ieri sembrava una pudica scolaretta inglese con la sua minigonna marrone, la giacchetta marrone rossiccio e il largo cappello di feltro beige sui capelli tinti di color rosso ramato. Lei è così coraggiosamente intenta a trovare la strada verso se stessa. Se oggi le scrivessi, le direi: Piccola, sono proprio orgogliosa di te! E oggi pomeriggio Hetty in funzione di “oggetto d'analisi”: anche questa bambina entrerà a far parte del gruppo di persone che io ho il compito di definire con chiarezza dentro di me. Sì, gli occhi di lui sono senza tempo. Se chiudo i miei, me li rivedo davanti ed è come se i secoli vi fossero stati compressi in un blocco di granito grigio-verde. E la sua bocca non è solo demoniaca ma anche così terribilmente buona e cara. Di un uomo non puoi dire che è “dolce”. Ma ieri, di tanto in tanto, c'era sul suo volto un sorriso che avrei proprio voluto definire “dolce”. Sulla base di come mi sento in questo momento, non riesco proprio a immaginare che la nostra relazione possa avere un ulteriore “accrescimento”, ma so che lo sviluppo procede; ed è un bene, davvero, riuscire a prendere una sempre maggiore distanza l'uno dall'altra; in realtà una relazione non è altro che una presa continua di distanza, o forse non è destinata a essere altro, per potersi poi incontrare su un piano più elevato e in modo ancora più intenso. Quella distanza che ogni volta si

ricrea tra di noi, è un bene: così è possibile vedersi di nuovo nella propria e reciproca interezza, e non ci si ostacola nella crescita. Anche se ieri gli ho detto che, in alcuni momenti, mi piacerebbe che ogni distanza sparisse e che noi avessimo uno spazzolino in comune. E lui: Ma io sono contento che ne abbiamo due. E ho anche trovato le parole giuste per dire che, a mio avviso, si tratta di un compito storico della donna per i tempi futuri: mostrare all'uomo la via verso la sua anima attraverso l'anima femminile. E in questo non c'è bisogno che si perda nulla della tensione erotica, ma bisogna assegnare il giusto posto a ogni cosa, il posto pertinente, il posto nell'ordine generale. Inoltre, credo che in futuro saranno più importanti e più innovativi quegli uomini che hanno in sé una buona parte di femminilità - e che però in questo sono veri uomini - come lui e come Rilke, per esempio, uomini che - qui la mia capacità espressiva mi abbandona - sanno funzionare da segnavia per l'anima. E non quei tipi-”lui”, quei Führer e quegli eroi in uniforme. Non quelli che comunemente vengono chiamati “veri uomini”; ma forse il tipo che immagino io esiste solo nella fantasia delle donne. E alla fine ho ritrovato il mio “giovane poeta” e adesso posso trascrivere il brano che mi riecheggia nella testa già da un po': “E sono forse più affini che non si creda i sessi, e il grande rinnovamento del mondo forse in questo consisterà, che uomo e fanciulla, liberati da tutti gli errori e disgusti, non si cercheranno come opposti, ma come fratelli e vicini, e si uniranno come creature umane, per portare in comune, semplici, gravi e pazienti, il difficile sesso che è loro imposto”. Di sera, le sette Subito dopo il corso, gli metto in mano la lettera che segue, nata di getto dopo l'analisi di Hetty. 17 marzo, martedì mattina, le 6 e 30 [cancellato] Dato che da eternità io ti... Di sera, mezzanotte A volte penso che accada troppo nella mia vita. Ieri ecco un grande desiderio che ha trovato un punto di ancoraggio in lui, e stasera si presenta l'ultima sensazione: lui era ubriaco, così, dopo due vermouth e, a dire il vero, non mi è piaciuto affatto. 20 marzo 1942, venerdì mattina, le undici e mezzo Ho dovuto di nuovo far risuonare l'adunata attorno al mio centro interiore, la sera dopo i due innocenti vermouth che, secondo Werner Levie, erano solo sciroppo di lamponi, ma ché S. non era riuscito a reggere al punto che il suo viso era diventato un guscio vuoto, debole, da cui ogni briciola di spirito era scivolata via. Un momento davvero sconcertante. Dopo mesi, quella sera, mi sono di nuovo inginocchiata di fronte al mio letto e mi sono totalmente concentrata sulla mia interiorità. Nei giorni precedenti era stato come se la vita procedesse troppo piena e intensa. Mentre si spendono le proprie energie all'esterno, bisogna pur sentir crescere le forze e la concentrazione, anzi questa dovrebbe essere l'unica regola di vita: se si vive diversamente, si sta sbagliando qualcosa, ecco perché ho dovuto improvvisamente raccogliere di nuovo le energie attorno al mio centro interiore. Ed ero anche d'un tratto spaventata all'idea che quanto gli avevo scritto poche ore prima, in piena convinzione, potesse rimanere soló una manciata di parole vuote: “E questo mi è tornato chiaro per l'ennesima volta oggi a mezzogiorno: non si può mai essere consapevoli a sufficienza della nostra responsabilità nei confronti del prossimo che ci interroga, che chiede il nostro aiuto; dobbiamo tendere l'orecchio a ciò che ci dice il nostro cuore con sempre maggior devozione e coscienziosità; interiormente dobbiamo diventare sempre più disciplinati e

non abbiamo il diritto di sciupare neanche un minuto della nostra vita, perché c'è tanto da fare, una quantità di cose da fare per gli altri”. E alla sera tardi, di colpo ho avuto paura di non essere fedele nei confronti di quelle parole. Ma quando ero là, inginocchiata così, di notte, dopo tutti quei giorni turbolenti, di nuovo del tutto sola con me stessa, ho avvertito comunque una grande forza di concentrazione. E questo si impara ogni giorno, sempre di più: a dare immediatamente alle cose che accadono un posto nell'ordine generale della propria vita. Martedì sera, sotto una luna pallida e quel lampione (le scenografie tradizionali di grandi e piccole sbronze), il suo volto sembrava un guscio vuoto e fragile, perché lo spirito ne era scivolato via. E un paio d'ore prima gli avevo scritto, riguardo alla sera precedente: “La grande nostalgia ha trovato per un momento il suo porto; per qualche tempo ha gettato l'àncora accanto a te”. E la sera, la sua faccia - svuotata e debole, sensuale ma senza quella tensione interna, per la quale la sua stessa sensualità riceve un accento demoniaco in modi sempre diversi - mi ha fatto improvvisamente pensare, un po' stanca e sollevata: Ah, no, legarmi a una sola persona per tutta la vita, voler stare con un uomo per tutta la vita, ah no, con te proprio non lo vorrei. E proprio in quel momento lui ha detto: Lei non deve essere in-in-namorata di me, magari solo ogni tanto, questo è bello, ma non per sempre, questo va contro, va contro il... il nostro compito. L'ultima cosa l'ha quasi detta con tono presuntuoso. Ma si era già ripreso al momento dei saluti. E in realtà non provavo ripulsione nei suoi confronti, già, ma quello che stava succedendo in realtà era me ne rendo conto d'un tratto - che la sua tensione interiore era sparita e quindi anche la tensione tra di noi. Il suo volto debole, sensuale e buono da neonato si mostrava comunque tanto in quei brevi momenti: una vita starà spesso di fronte a una doppia possibilità, quella di svilupparsi verso il basso e quella di andare verso l'alto. E in quell'istante ho visto chiaramente quello che lui sarebbe potuto diventare se non si fosse sviluppato “verso l'alto”. Quel guscio sensuale e fragile ha mostrato in un attimo i pericoli che lo avevano sempre minacciato nel suo percorso naturale. In realtà è stato davvero impressionante vedere, nella sua nudità e chiarezza, ciò che sarebbe diventato se lo spirito, la fede e l'amore non avessero sconfitto la sensualità. E l'elemento infinitamente attraente e coinvolgente del suo viso nasce proprio da quella lotta tra i sensi e lo spirito che si legge sui suoi tratti. Il sensuale, portato sul piano dello spirito, si demonizza. E il pomeriggio successivo, dopo quella lezione, gli ho detto: Sai, ti amo di più quando dai lezioni di quando bevi. La mattina seguente al telefono gli ho detto più o meno questo: Sai, ho pensato che, a essere sinceri, tu hai pieno diritto di ubriacarti ogni sera. Dopo tutto, sei impegnato a dedicare ogni tua energia ai tuoi simili per l'intero giorno, e questo deve richiedere una tale tensione e concentrazione interiori che posso benissimo immaginare che tu abbia bisogno di bere la sera per reagire a tanto sforzo. E la sua risposta meriterebbe di essere stenografata. Ma non me la ricordo con esattezza. Era una risposta profondamente seria e oggettiva al tempo stesso, e riguardava la vita ascetica, soluzione necessaria quando si vuole donare senza posa tutta la propria forza. Eccetera. La mattina mi sono imbattuta nella domanda “Cos'è la verità?” nel Het Evangelie van de Heilige Twaaven. D'altronde erano passate solo un paio d'ore dal suo piccolo crollo. E il pomeriggio, quella lezione introduttiva per il freudiano, legnoso pur se amabile, e sua moglie, la seguace dei Wandervdgel, e Liesl e me, in silenzioso ascolto devoto sullo sfondo, tutti attenti a seguire. E allora l'ho di nuovo ammirato e amato dal profondo del mio cuore. Un giorno, in un momento insospettabile, avrà il fitto pubblico accademico che si merita. Un'intensa capacità di concentrazione unita a una grande agilità mentale; una profonda familiarità con la sua materia e al tempo stesso un umorismo imprevedibile; la matura e profonda esperienza che sta dietro ogni parola e la giovinezza e freschezza del gesto, con cui tutto viene trasmesso. Liesl e io ci siamo sentite davvero privilegiate, e la piccola Liesl, più tardi nella camera di Dicky, ha detto in modo così patetico e buffo, balbettando leggermente, e forse con un po' di esagerazione, pur restando autentica: Come ho fatto a meritarmi di poter assistere alle lezioni, la considero una sorta di grazia. Quando l'ho raccontato a S., lui si è fatto quella sua buona e salutare risata, dicendo: Be', questo è proprio un po' esagerato. Così è trascorso il pomeriggio di martedì.

Sabato mattina [21 marzo 1942] Ancora un quarto d'ora prima che arrivi il mio uomo di Enkhuizen. Cosa mi viene in mente in questo istante? Per esempio, questo: io sono “disinibita” nell'aspetto umano, non in quello sensuale o erotico, lì mi sto lentamente trasformando in una persona molto controllata. Ma sul piano dell'umano, io non conosco freni né confini né convenzioni. Con S. è esattamente così. E credo che questo sia un bene. Comincio a capire dove e come devo rivedere il mio atteggiamento interiore nei confronti di Han; amarlo ma senza sensi di colpa. Amare per un affetto onesto e sulla base di tutto il buono che c'è stato. E comunque vivere la vita secondo la mia propria natura, del resto non potrebbe andare diversamente, ma con la consapevolezza che si è responsabili nei confronti di se stessi, e basta. E non nei confronti degli altri. Simili espressioni liberatorie si possono usare soltanto quando si ha davvero un senso onesto di responsabilità. E amarlo per lui e non per me stessa; non aspettarmi più di riceverne in cambio qualcosa. E soprattutto: non fargli più richieste. Aiutarlo a chiarire per sé il processo di invecchiamento che sta attraversando in questo momento. Di notte lo voglio anche solo riscaldare e coccolare con il mio corpo, senza desiderare un appagamento per me stessa. E quello che non deve più accadere, mai più: usare lui come mezzo di sfogo se desidero un altro o se in genere ho bisogno di un uomo. Amare, ma non per un senso di colpa. Con un senso di colpa potrei anche infettarlo, mentre lui non riesce a prendere consapevolezza di ciò che realmente accade. Tra l'altro, assumersi la responsabilità del proprio comportamento esclude ogni senso di colpa. Quella sera ho raccontato a S., quando era per me un porto sicuro, come avessi pianto una notte, al buio, sull'ascella di Han a causa del desiderio per lui, per S. In quei momenti sono venute fuori anche molte confessioni, pure riguardo a quel bambino mai nato. Da una conversazione con S. su Han: io ho detto: Lui prova ancora una certa gelosia nei confronti del mio cosiddetto “passato”; S.: Già questo deriva dal desiderio di voler “possedere” l'altro. Io: Ma è una persona troppo decente per far assumere a quel “desiderio di possesso” dimensioni troppo grandi. S.: Già, ma non è neanche abbastanza avanti per potersene rendere conto e per liberarsi del tutto da quell'idea di “possesso”. Ogni tanto mi chiedo: dipende anche da me, o lui è troppo vecchio per intraprendere un percorso di presa di coscienza, o almeno di ciò che intendo con questo concetto? E credo che anch'io dovrei acquisire maggiore chiarezza in me stessa riguardo a lui. Allora non c'è bisogno per lui di “spiegare” così tanto. Quando avrò raggiunto internamente una chiara, ben delineata e pura attitudine nei suoi confronti, questa riecheggerà anche dentro di lui, pur solo inconsciamente. Finché la mia attitudine verso di lui sarà ancora offuscata da sensi di colpa da una parte e da richieste basate sull'intensità e la pienezza della nostra passata relazione dall'altra, continuerò a offuscare anche la sua vita interiore. E mi dico d'un tratto: è comunque strano non poter più concedere tutto ciò che si è concesso in passato, eppure desiderare che l'altro sia sempre esattamente lo stesso. È un ambito, questo, dove devo ancora fare chiarezza. Sono felice di essere riuscita, finalmente, a vedere la strada per arrivarci. E adesso aspettiamo il lattaio e poi il mio gentile commerciante di grani. Domenica mattina [22 marzo 1942], le otto e mezzo Quello che mi viene in mente così, in questo momento. Sì, cerchiamo di digiunare davvero fino all'una. Devi imparare a controllare lo stomaco. E inoltre, riguardo al tuo corpo, devi imparare ad ascoltare il tuo ritmo interiore. Per esempio, adesso: non ho assolutamente fame, anzi; ho quasi un po' di mal di stomaco. Ma la domenica mattina le cose da mangiare sono sempre più buone del solito: una tazza di cioccolata e una fetta di pane con uno spesso strato di burro, e il più delle volte non riesco a resistere. Dopo mi sento miserevole e penso: se solo non avessi mangiato nulla. Se ho degli “impulsi”, per usare una parola grossa, essi vengono fuori proprio in questo ambito. A volte, in un momento incontrollato e caotico, posso abbuffarmi di

qualunque cosa mi capiti sotto mano, con una sorta di piacere sfrenato nel rovinarmi lo stomaco, e poi stare semplicemente a guardare come va a finire. E quando il mio stomaco è ormai rovinato, dico a me stessa molto opportunamente: è proprio quello che ti meriti, non avresti dovuto mangiare con una simile foga incontrollata. E poi provo una profonda tristezza; non per lo stomaco rovinato, ma per via della mancanza di controllo. Su questo piano devo ancora conquistare una vera e propria disciplina. E mi sta anche riuscendo, poco alla volta. Quindi, oggi digiuno fino all'una. Questo è per me già un grande compito, vediamo se riesco ad andare fino in fondo. Non è importante il rito del digiunare, ma il fatto che io mi senta di non aver assolutamente bisogno di mangiare. E in questo caso, per l'appunto, bisogna provare a non mangiare, specialmente di questi tempi, quando altri che hanno fame possono usare meglio le scorte di cibo a disposizione. Ieri mi è di nuovo venuto in mente, d'un tratto, quello che impedisce alla mia vita di farsi routine. Alle sei e mezzo dovevo andare a prendere S. da Geiger, o meglio: dovevo farmi dare da lui le annotazioni di Leonie e poi tornare subito indietro, quindi lo avrei visto per cinque minuti. In realtà non mi ero sentita bene per tutto il pomeriggio: mal di testa, mal di stomaco, un po' di influenza. Ma alle sei e mezzo sono andata da S. Prima però, nel bagno, ho dato un po' di colore a quel faccino pallido, ho armeggiato così tanto davanti allo specchio, con il cappello da cosacco, finché una creatura accettabile non ha ricambiato i miei sguardi, dopodiché sono uscita sbattendo il portone. E poi all'improvviso, di nuovo un momento tanto intenso: sì, sto andando da S., anche solo per cinque minuti. Ma lui sarà lì e io avrò la possibilità di vagare per il paesaggio frastagliato del suo viso. Vado da S.; lui è un mio amico. È il mio migliore amico. Sì, è proprio vero. Vado a scaldarmi un po' sotto le sue buone irradiazioni, e lui è un mio amico. Lui è lì, con tutto se stesso. Non è in prigione e neanche in un paese lontano. E qui, sulla Nicolaas Maesstraat, vado immediatamente da lui e lui è lì, in carne e ossa, lo guardo e godo del suo volto vissuto. E la cosa più bella: lui è un mio amico. A un tratto ho avvertito nel profondo la realtà della nostra amicizia, con gratitudine, una gratitudine che sa all'istante rinnovare e ringiovanire la vita. Mi sono informata piena di interesse della sua orchidea, ma cosa dico, un'orchidea? Venti orchidee su un solo ramoscello. A volte, quando andavo da lui, avevo la sensazione di far visita a quell'orchidea, e lui mi pareva passare in secondo piano. Oh, oggi dovevo comprare dei tulipani, ha detto, non sopporto più di vedere quell'orchidea in solitudine, mi irrita; la trovo così degenere nella sua maniera aristocratica di vivere. Mi viene d'un tratto in mente che devo trascrivere il sogno di Leonie del 20 marzo; è un brano lungo, ma coraggio; anzi, no, lo batterò a macchina. Ancora un paio di cosette. Max per alcuni giorni al telefono: E allora, come vanno le cose con il “Chiroscopo”? E io: Dovevi passare una volta, Max, anche solo per fare un piacere a me, Max. E lui: Oh, va bene allora. Giovedì mattina Aimé è finalmente tornato a lezione, con uno sguardo trasognato e tuttavia fisso interiormente su qualcosa di determinato che talvolta si apre a me d'improvviso, rendendomi tanto felice. Avere presa sugli individui è qualcosa che mi dà una grande soddisfazione. Io ho detto: Aimé, dovresti chiedere in qualche modo scusa a Becker per quel tuo comportamento da zingaro: prima gli mandi dei telegrammi e Dio sa cos'altro, e poi sparisci di nuovo. E lui, irritato: Ah, le persone che stanno lì a farsi le pulci a vicenda! E io, ridacchiando: Tu, grande idiota, sei tu quello che ha cominciato a “far le pulci”. E non puoi certo aspettarti che un generoso cinquantacinquenne afferri immediatamente come funziona per te e la tua asocialità! E comunque, eccetera, eccetera. In ogni caso è andato verso la cattedra di Becker, quando questo è entrato, e in quel modo ha potuto recuperare qualcosa. Il suo profilo tagliente e pallido con i capelli nero corvino ha comunque un posto specifico da qualche parte nella mia vita. Sono felice che un simile sguardo ogni tanto si apra a me e mi auguro di poter testimoniare la sua crescita e anche quella della nostra amicizia. La relazione con Han. Il territorio è finalmente visibile. Questo non significa ancora che sia stato già totalmente esplorato. E comunque: con quanta sconcertante incoscienza viviamo ancora in molte regioni della nostra vita. Ogni volta viene alla luce una nuova zona, ma il territorio da esplorare adesso perlomeno giace davanti a noi. E adesso, accidenti, sono le nove e mezzo, alle undici e mezzo viene quella ragazza ebrea dai

capelli nero corvino, risoluta e sensuale, per imparare un po' di russo. Alle tre il nostro pomeriggio Hugo Wolf. Forse stamattina avrò anche il tempo di trascrivere le note di Hetty? Di sera, le nove La mia marocchina dall'aria grave guarda di nuovo nel giardino di fiori, o piuttosto, come sempre, ci passa sopra con lo sguardo dei suoi occhi scuri, che sono limpidi e animaleschi al tempo stesso. I piccoli crochi, gialli e violetti e bianchi, penzolano spossati sull'orlo del barattolino del cioccolato in granuli, rispetto a ieri sono quasi del tutto avvizziti. E quelle campanule gialle nel trasparente cristallo verde - come vi chiamate, voi? Le ha comprate S., in uno slancio di primavera. E ieri sera era già arrivato con quel mazzo di tulipani. Piccolo bocciolo rosso e ancor più piccolo bocciolo bianco, così chiusi, così inaccessibili e insieme così indicibilmente dolci, ho dovuto guardarvi tutto il tempo oggi pomeriggio, durante la musica di Hugo Wolf. C'era anche il Rijksmuseum dietro le finestre, fresco e nuovo nei suoi contorni come una provocazione, e insieme così vecchio e familiare. Ci è stato proibito di passeggiare sulla Zuidelijk Wandelweg, ogni misero gruppetto di due o tre alberi è dichiarato bosco e allora sulle piante è inchiodato un cartello con la scritta: vietato agli ebrei. Questi cartelli diventano sempre più numerosi, dappertutto. E ciononostante, quanto spazio in cui si può ancora stare ed essere lieti e far musica e volersi bene. Glassner aveva portato un sacchetto di carbone, Tide un po' di legna, S. zucchero e biscottini, io avevo del tè, e la nostra piccola artista vegetariana svizzera arrivava qui con una grande torta. Prima S. ci ha letto qualcosa su Hugo Wolf. E mentre leggeva alcuni passaggi su quella vita tragica, il suo viso gli tremava un poco, intorno alla bocca. Anche per questo mi è tanto caro: è così vero. E ogni parola che dice, canta, o legge, la vive. Quindi se legge cose tristi, diventa veramente triste anche lui. Trovo commovente quand'è così emozionato che sembra stia quasi per piangere: allora piangerei volentieri un pochino con lui. Quel Glassner, che continua a far progressi al piano. Oggi pomeriggio gli ho detto di nascosto: ti accompagniamo nella tua crescita, silenzioso Glassner. Ci sono momenti in cui d'un tratto, quasi fisicamente, capisco come un artista creativo possa cadere nel bere, abbandonarsi agli eccessi, smarrirsi completamente, ecc. ecc. Un artista ha veramente bisogno di un carattere molto forte per non sfasciarsi moralmente, per non cadere in abissi senza limiti. Non saprei proprio descrivere questo fenomeno. A volte mi capita con molta intensità: tutta la mia tenerezza, le mie forti emozioni, quel mare dell'anima molto mosso, lago dell'anima o oceano dell'anima, come dir si voglia, vorrei poterli riversare in un'unica piccola poesia, ma sento pure che, nel caso ci riuscissi, vorrei immediatamente buttarmi a rompicollo in un abisso, vorrei ubriacarmi. Dopo un'azione creativa uno dovrebbe esser trattenuto dalla propria forza di carattere, da una morale che offra un appiglio, da non so che cosa, per non cadere Dio sa in quali profondità. E per quale oscuro impulso? Io lo sento in me, nei momenti interiori più fecondi e creativi - quando dentro di me si alzano dei demoni, e forze distruttive e autodistruttive stanno in agguato. Non è neppure il normale desiderio che si ha dell'altro, dell'uomo, è qualcosa di più cosmico, universale, inarrestabile. Sento però che anche in quei momenti io comincio a controllarmi. Allora provo di colpo il bisogno di inginocchiarmi in un angolino tranquillo, di tenermi a freno e ben raccolta in me stessa, di vegliare a che le mie forze non si disperdano in una regione senza limiti. Alla fine di questo pomeriggio, ho trovato per un momento una barriera che mi ha fermata e contenuta: il limpido sguardo grigio chiaro di S. che mi ha completamente assorbita, e la sua cara bocca carnosa. Per un momento mi sono sentita al sicuro, trattenuta da quello sguardo. Ma tutto il pomeriggio avevo errato per uno spazio illimitato dove non c'erano confini a tenermi: e allora poi un limite lo si trova di colpo, quello per cui non si sopporta più la sconfinatezza - e dalla disperazione che si prova, ci si può abbandonare agli eccessi. Quell'intreccio di rami scuri nella luce chiara e trasparente della primavera! Stamattina, al mio risveglio, ho trovato le cime degli alberi dietro la mia finestra. E oggi pomeriggio, un piano più in basso, dietro le larghe finestre ho trovato i tronchi. Il bocciolo rosso di tulipano e quello bianco, inclinati l'uno verso l'altro, il nobile pianoforte

a coda nero e misterioso e complicato, un essere a sé, e dietro le finestre i rami scuri contro il cielo chiaro e più in là ancora il Rijksmuseum. E S., un momento estraneo, eppure familiare, molto lontano e insieme molto vicino, d'un tratto un brutto antichissimo gnomo, poi di nuovo uno zio benevolo un po' appesantito e ghiotto di biscotti, poi ancora lo charmeur dalla voce calda - sempre diverso, il mio amico, ma insieme lontano. Una piccola inquietudine affiora d'un tratto in me, ma io vorrei incominciare la nuova settimana con energia e raccoglimento interiore. Ci sono di nuovo così tante cose in programma: dovrei lavorare coscienziosamente alle note di Hetty, domani, e alla sera, per prima cosa, darle le spiegazioni e poi discutere l'analisi con lei. Oh, c'è dell'altro naturalmente. Credo di essere libera e aperta nei confronti dei miei simili. Ma spesso mi scopro molto timida e incerta nei miei atteggiamenti, o piuttosto nel modo in cui appaio agli altri. Quando parlo, davvero parlo a qualcuno, quasi rendendogli testimonianza, io dico cose serie e lo faccio senza la minima inibizione, ma al tempo stesso mi sorprendo a non guardare in faccia l'altro, a fissare in lontananza e, per dir così, a parlare più a me stessa che a lui. All'improvviso me ne sono resa conto con chiarezza, perché voglio davvero affrontare l'impresa rischiosa di lavorare psicoanaliticamente su Hetty. E so con quanta acutezza lo sguardo di S. sia sempre focalizzato sulla persona con cui sta parlando, quanto lui fissi l'altro. Non oso ancora guardare la gente nel modo giusto, legando il mio sguardo al loro; ancora continuo a evitarli. Perché accade questo? Dovrò chiederlo a S., una volta o l'altra. E c'è un'altra cosa riguardo alla quale mi sento incerta e intimidita. Mi sono accorta, per esempio, che durante una delle ultime lezioni Hetty cercava il mio sguardo, lo cercava con intenzione, e che d'un tratto, quasi implorante e fiduciosa, voleva consegnare il suo volto e i suoi occhi a me, mentre io, pur consapevole che stavo fronteggiando una forte emozione, ancora una volta me ne ritraevo. Che significa? Adesso che me ne sono resa conto, mi accorgo che succede spesso. Parlo a molte persone, punto direttamente alla loro interiorità, osservo tutti con avidità, eppure in qualche modo li evito. C'è ancora in me una sorta di ipersensibilità... Drrinim, il telefono. E venti minuti dopo arriva Hans che, sogghignando come una scimmia, dice: certo, se non ci si è visti per un paio d'ore, è naturale parlarsi al telefono per mezz'ora. È stata l'ennesima conversazione gratificante. E i fiori gialli si chiamano fresie, lui lo sapeva perfettamente. Buona notte, a tutti voi, crochi esausti e piccole pigne - quanto tempo siete rimasti lì in attesa? - e fresie eleganti. Povero Han, mentre parlavo con S., per mezz'ora, piena di confidenza e ironia, calore e cordialità, gli accarezzavo di tanto in tanto la testa, posata sul cuscino bianco accanto a me. Quanto può disturbarlo, una simile telefonata? La facevo piuttosto apertamente, e senza avere la coscienza sporca. Ma lui non può capire quante cose abbiamo da dirci l'un l'altra. E che le nostre sorgenti non si disseccano! E adesso vado a dormire. Ancora un po' d'influenza, ma ci si industria a superarla nel modo migliore. Buona notte, piccoli crochi, me ne ritorno nel mio stretto lettino. E, malgrado tutto, amo la mia notte solitaria! Lunedì mattina [23 marzo 1942], le nove Buongiorno, piccoli crochi, fuori ci sono 2 gradi e ha gelato: è per questo che state lì tanto avviliti e inconsolabili nella scatola della granella di zucchero? Ma quei germogli verdi che si innalzano lungo le vostre corolle stanche sono tanto giovani e intraprendenti. E oggi ci sarà certamente bel tempo. Qualcosa sui miei sogni. In genere dimentico quello che sogno, ma quando mi sono svegliata, nel cuore della notte, sapevo ancora che il sogno si riferiva a ciò che ieri sera avevo annotato riguardo alla quasi totale mancanza di coraggio nel guardare in faccia i miei simili. E mi sono addormentata molto contenta con la sensazione di... oh, va bene, almeno un po' di lavoro è stato portato avanti nella notte. Anche l'ultima volta, ricordavo solo che nel sogno mi ero intensamente occupata dei problemi di Leonie, e pure in quel caso avevo una precisa sensazione: riesco a chiarire sempre meglio i suoi

problemi dentro di me e, muovendo da quella chiarezza, posso poi aiutare lei; stanotte si è quindi lavorato a questo. Era da tanto che non pregavo così concentrata e con tanta passione come stamattina in bagno, per cinque minuti. Ho l'impressione di aver raggiunto una nuova fase, una sempre maggiore concentrazione interiore. E questa è una classica reazione dopo aver di nuovo provato con anima e corpo i pericoli di una caduta nell'infinito astratto. In quella breve preghiera ho anche chiesto: Non farmi essere vanesia. Intendo dire questo: sempre più persone vengono da me per mostrarmi la loro vita interiore, per parlarmi delle loro difficoltà e tra queste ce ne sono di interessanti e valide, e io devo fare in modo che la mia vanità non si gonfi, perché le persone si rivolgono a me. Bisogna tenere, in un modo o nell'altro, tali questioni nella sfera dell'impersonale; ricreare di volta in volta la distanza e chiarire che l'importante è il problema umano, che si tratta di portare in luce le difficoltà e i conflitti, che per caso albergano in quella o quell'altra persona. E allora ci si china, per così dire, insieme su quel problema, con amore e cura; lo scopo non è la creazione di un legame troppo personale, nel quale si investirebbero energie in modo sbagliato. Soprattutto con una ragazzina così giovane e passionale come Hetty, devo far sì che non diventi un legame personale troppo forte. Ho detto ultimamente a S.: La trovo bellissima da guardare, con quel visino giovane e passionale, e una ragazzina così giovane e bella mi ispira molto di più che se non fosse così attraente. Al che S. ovviamente ha subito ribattuto: Sì, ma questa non può essere la questione principale e nemmeno il punto di partenza. Lui è talmente avanti in questo che aiuta anche le persone meno attraenti, addirittura quelle che non sopporta, allo stesso modo in cui aiuta quelle che più lo ispirano. E deve essere così. Non è necessario che tema una vanità troppo grande, non ce l'ho dentro di me, ma ne devo comunque ogni volta essere consapevole. E vorresti dunque sostenere, a sangue freddo e di prima mattina, una simile tesi: se l'artista, che è nell'uomo, non è tenuto a freno, dopo ogni atto creativo, da un carattere forte e a tutto tondo, la persona umana, cioè la parte morale dell'individuo - non l'uomo creativo, o forse anche lui, alla lunga - se ne va al diavolo, e ne sono testimonianza la grande follia e l'offuscamento dello spirito in cui cadono molti artisti. Anche l'opera d'arte è una forma espressiva ma di qualcosa di diverso dalla personalità individuale. È troppo complicato per elaboralo adesso. Ma ubriachezza, crolli, follia, malinconia negli artisti sono cose che credo di riuscire quasi a sentire fino in fondo. Ultimamente, quante più forze creative si liberano in me, tanto più velocemente io mi “riprendo” ed è come se per un attimo tirassi forte le redini di un cavallo selvaggio e imbizzarrito, senza che quello smetta di impennarsi, ma la tensione che deriva dal tirare le redini è una gioia in sé. Ci sarebbe ancora molto da scrivere, ma ora devo davvero dedicare una mattina all'analisi di Hetty. 27 marzo 1942. Venerdì mattina, le dieci e mezzo Negli ultimi tempi mi è successo un paio di volte, in un momento, per strada, o in qualunque altro posto, di dovermi fermare senza respiro e chiedermi: è questa davvero la mia vita? Così piena, ricca, intensa e così bella? Devo andare a sedermi di nuovo tranquilla per un attimo alla mia scrivania e riesaminare quei due giorni brevemente. Non si tratta dei fatti e delle persone, benché siano alquanto stimolanti, colorati e cangianti, è in questione l'intero senso della vita, la sempre crescente intensità della vita interiore. E poi capire se la relazione con S., che io ormai non credevo suscettibile di “accrescimento”, diventerà ancora più piena, ampia e ricca. Annoterò quello che mi attraversa la mente per caso. Quando, ormai settimane fa, Liesl all'improvviso, in quella cucina, in una mattina gelida, ha detto “Etty”, quell'espressione suonava come se avesse conquistato una cittadella. E suo marito Werner questa mattina ha detto al telefono: Ma sei impazzita? Si riferiva al cesto di giacinti bianchi che erano sul tavolo stamattina al momento della colazione. È proprio così, credo: un uomo deve raggiungere i propri sentimenti attraverso i nostri, i sentimenti delle donne. Così stavano le cose per Werner. C'era qualcosa di molto dolce e tenero nascosto tra le

pieghe dure, intellettuali e a volte quasi brutali del suo essere. Persino sua moglie in passato ha visto a malapena quella dolcezza e non ci credeva. E il suo sentimento restava una piantina inibita che non trovava da nessuna parte il giusto terreno per crescere. E adesso il terreno comincia a farsi buono in Liesl, sicché il sentimento di Werner può mettervi radice e crescere. E quando quel sentimento sarà totalmente sviluppato, sarà diventato una pianta forte, potrà forse fiorire ovunque. Ma la questione riguarda innanzitutto il nostro rapporto. Proprio per via delle sue grandi inibizioni, anch'io in passato mi sentivo inibita nei suoi confronti, e subivo qualche imposizione. Ma lentamente la situazione dentro di me è cambiata, nella misura in cui anche il mio terreno è ormai pronto ad accogliere il suo sentimento. Quindi il suo lato dolce ha trovato un nuovo terreno per svilupparsi. E grazie a ciò adesso, gradualmente, tra noi tre sta crescendo un'atmosfera bella e umana. Ma per questo è necessario che io non sia in nessun modo forzata o innaturale, devo rivolgermi verso la mia interiorità, in ogni momento e con tutta me stessa, e fare in modo che quel terreno, dove, per così dire, altri trovano rifugio per il loro sentimento, per la loro anima - tanto per usare una volta dei paroloni -, che quel terreno sia quanto più ampio e “pulito” possibile. E io credo che, con queste persone, potrò avere un'amicizia duratura. Ma si deve anche “lavorare” a un'amicizia, “lavorare interiormente”. È ancora solo un procedere per tentativi, un tastarsi a vicenda, e quel che più conta è trattarsi reciprocamente con rispetto. L'avervi conosciuti, lo consideriamo un vero regalo, ha detto Liesl, un po' trasognata, ieri pomeriggio. Quel largo vassoio di vetro pieno di spaghetti rimane ancora nel mio ricordo come un monumento. Non per il cibo, ma per l'atmosfera tutt'intorno. Peccato che non abbia sufficiente talento narrativo per descrivere, con un paio di tratti, quell'atmosfera. Dipende anche da questo: S. è un mondo sempre nuovo, sempre di nuovo stupefacente, diverso e stimolante; più tardi, quella sera, sono andata per un attimo da lui per i biscottini all'avena. Là da lui gli ho prima fatto dare un'occhiata a quelle tre lettere di Adpana e improvvisamente una porzione di passato è riemersa, quel momento del 1933. Riesco a malapena a immaginarmi che io abbia passato tutto quanto o, in realtà, me lo immagino molto bene, e tutto quello che ho vissuto mi è sempre rimasto dentro e riposa in un punto tanto profondo del mio essere, bell'e rielaborato, ed è forse questo il motivo per cui ogni tanto mi sento così soddisfatta, così ricca, così piena e colma di esperienza. Ed è una sazietà che non mi fa più desiderare nuove avventure e poiché non sono più tanto agitata, la vita è diventata per me una grande, inattesa, continua avventura interiore: ogni minuto del giorno e della notte dà, per così dire, nuovo nutrimento a quell'avventura. Oggi si riesce anche ad avere un po' di pace: a volte tra due profondi respiri e a volte inginocchiandosi per cinque minuti, in qualunque luogo della casa io mi trovi. E tutto quello che vivo, anche le esperienze più emozionanti, le rielaboro sul luogo dove le vivo e in quel momento. Ciò non vuol dire che dimentichi immediatamente quello che vivo, ma ogni esperienza si unisce subito, inevitabilmente, alla grande corrente della vita: scorre, per così dire, subito insieme al grande flusso, e non forma più, come in passato, barriere, chiusure e materiale impuro nella corrente della vita. Devo ancora dirlo a Leonie: la sua coscienza delle piccole onde, nella loro infinità, è più netta di quella della grande corrente, di quell'unico grande flusso che riassume in sé tutte le piccole onde. E deve acquisire maggiore coscienza di quell'unico grande flusso interiore. Al giorno d'oggi il mio senso della vita è questo: la mia vita scorre come una grande, ricca, potente corrente attraverso di me, nutrita da innumerevoli piccoli affluenti, ecc. La sai una cosa piacevole?, ha detto S., quando eravamo per un attimo, mercoledì sera, nell'ufficio di sotto: Sei pure carina da guardare. E un po' dopo: È davvero bellissimo che ci siamo trovati. E io: non è stato solo bello, era necessario, era destino. Più tardi mi è venuto in mente a un tratto che, tutto sommato, quella era una meravigliosa cosa da dire. Sei carina da guardare. Di solito lo dice soltanto con sguardi e gesti carezzevoli delle sue buone mani, ma non riesce a esprimerlo a parole. E noi, sciocche donne, dipendiamo così tanto dalle parole. È bellissimo che ci siamo trovati - era in realtà, vista la persona da cui veniva, una splendida dichiarazione d'amore.

Poi, più tardi durante la sera - era ancora quello stesso mercoledì -, tra gli spaghetti e i biscottini d'avena: era una notte primaverile così mite, il suo viso sembrava così giovane nella luce della luna. Abbiamo parlato del tipo sbagliato di amore: di quell'amore per cui si è felici, vitali e allegri quando si è accanto al proprio amato, ma completamente vuoti e svogliati quando si è di nuovo da soli. E io: “A volte ho la sensazione di amarti molto di più quando non ti sono vicina che quando lo sono. E in passato c'era sempre il pericolo che, incontrandoti di nuovo di persona, ne rimanessi ogni volta un po' delusa, perché la mia fantasia si scontrava nuovamente con l'uno o l'altro dei lati spigolosi della realtà. Ma questo è pian piano svanito. Non ho ancora vissuto nella mia vita una situazione per cui amassi qualcuno anche se quello non era con me”. E lui: “È comunque una prova che si tratta più di amore che d'infatuazione”. Tipico che una conversazione sia tanto difficile da rendere. Anche se l'avessi stenografata, il suo contenuto reale non sarebbe comunque racchiuso in quelle note. Una luna non si può stenografare, e neanche il viso di un cinquantacinquenne, che appare tanto giovane e animato alla luce di quella luna. E quello di cui abbiamo parlato appartiene alle domande estreme e più profonde riguardo a questa vita, alla relazione tra uomo e donna e tra essere umano ed essere umano. Ci vuole un'intera vita prima che si riescano a trovare le parole giuste per questi pensieri e sentimenti. Ma mi piacerebbe tanto riuscire qualche volta a fissare qualcosa di tutti i pensieri che ci scambiamo, per avere un piccolo, sia pur povero, appiglio per dopo, o anche solo per avere un sostegno e uno stimolo per i giorni a venire, che forse saranno più vuoti di quelli che vivo adesso. Lui ha detto che questo sembra essere l'ideale per molti: un uomo e una donna che sono esclusivamente l'uno per l'altra, che, nell'amore, si lasciano totalmente assorbire dall'altro. Noi, invece, pensiamo che sia soltanto una limitazione. Così non arriva più alcuno apporto da fuori; ci si nutre a vicenda e questo, a lungo andare, porta comunque a un impoverimento. Se l'amore per tutte le persone non viene coinvolto, in una maniera o nell'altra, alla lunga il rapporto conduce a impoverimento e limitazione. E noi viviamo questa situazione, davvero. Il pensiero di Hertha non mi disturba più. Lei è spesso insieme a noi ora. Durante una delle ultime piccole crisi, lui ha detto: Non le farò più leggere le lettere della mia fidanzata, alla fine è anche di cattivo gusto. Più tardi avrei voluto dirgli: Fammele comunque leggere, devo riuscire ad affrontarle. E in più, ormai sono talmente coinvolta nella vita di quella giovane donna a Londra, in certo modo, che anch'io voglio continuare a vivere con lei, indipendentemente dal fatto che lei sia o no la sua futura moglie. Ma martedì si è presentato spontaneamente con un paio di lettere da parte di Hertha: le ho lette sul tram verso la Lippmann e Rosenthal; più tardi abbiamo parlato di una serie di questioni che lei aveva toccato in quelle lettere. E questa volta non ho reagito a queste lettere in maniera sbagliata, addirittura senza tuffi al cuore. Lei è stata di nuovo totalmente accettata. Come proseguirà tutto questo in futuro, non lo sa nessuno, ma è un bene adesso vivere interiormente tutt'e tre insieme, per poter rendere la realtà più semplice in un secondo momento. E adesso inizio un nuovo quaderno. QUADERNO VI 27 marco 1942 - 30 aprile 1942 27 marzo 1942. Venerdì sera, le nove e mezzo L'ho scarabocchiato sul palmo della mia mano sinistra con la penna stilografica: Dolce ochetta. Che una donna sia tanto legata alle parole! Gli sono sfuggite al telefono, quando ho detto che non volevo più andare a Cuba. E allora in Svizzera? E io: Sì, in Svizzera ci verrei. A quel punto lui si è lasciato sfuggire: Dolce ochetta. E io ho fatto un salto di gioia, ho raccolto tali parole e adesso le porto con me. Che una donna sia tanto legata alle parole! Una volta, tanto tempo fa, lui mi ha detto: Sono parsimonioso con le parole d'amore alle donne, perché so che loro vi si attaccano troppo, mentre noi a volte le diciamo solo per dire. Ma sono state un dono prezioso e inatteso per me, stasera: Dolce

ochetta! Finirò solo di copiare questo brano tratto dall'opera di Rilke e poi a letto. Rainer Maria Rilke! Tra dieci anni scriverò un saggio straordinario su di te, ne sono convinta. Per ora continuo a vivere con te e a godere di te. E stasera S. che si è messo, di punto in bianco, a leggermi per telefono alcuni frammenti del diario di Rilke; dopo di che mi sono all'improvviso ricordata che lui voleva dettarmi una lettera al telefono, e allora gli ho consigliato di assumere una segretaria a parte per le lettere e di riservare a me la lettura delle poesie, aggiungendo che forse in tal caso mi sarei licenziata, eccetera. E ancora: la vita è bella! Avrei voluto trovare via via parole più significative per definirla! Più in là! Dolce ochetta - io, idiota, io davvero oca. Io, con il mio amore per l'umanità che trovo più importante della relazione tra i sessi. Ci sono così tante cose che ci uniscono, tanta tenerezza inespressa, tanta comprensione e vita, eppure salto di gioia improvvisamente per due paroline sciocche e ne sono così felice: dolce oca. Oggi deve ancora venire Klaas Schipper, che a suo modo è comunque una specie di eroe. Più tardi, dopo aver letto un paio di capoversi di Klatt Sei una ragazza pericolosa, ha detto ieri, dopo che avevamo ciondolato un po' nella camera soleggiata di Dicky. Ma poi ha subito aggiunto: Sei tanto pericolosa, e anche tanto poco pericolosa, quanto lo sono io. Mi è venuto d'un tratto in mente quando ho letto queste parole: “Da tale contesto si comprende necessariamente come Rilke fosse convinto che l'amore gioca un ruolo determinante non solo per l'accrescimento personale, ma anche per renderci più disposti all'ascolto, più essenziali, più ricettivi verso le voci che giungono da lontano, sicché quanti intendono l'amore solo come rapporto fra sé e l'amato sono in errore”. Lo sappiamo entrambi e lo viviamo entrambi, ma siamo un uomo e una donna, e i gesti teneri fra noi sono un dono supplementare che scende come la manna dal cielo in alcuni rari momenti. Negli ultimi giorni, mentre lavavo i piatti, ho pensato che il mio desiderio matura pian piano verso la sua realizzazione. E forse, non bisogna avere un'idea preconcetta di quella realizzazione: perché mai dovrebbe proprio consistere in un uomo e un letto? Eppure dev'essere proprio così. Quindi la realizzazione è questa: corpo e anima sono una cosa sola, il corpo non è nient'altro che l'espressione dell'anima, e non si gode del corpo per il proprio personale vantaggio. A volte la distanza tra corpo e anima è molto sottile in noi, almeno così sembra: forse dobbiamo ancora elevarci verso quell'unità? Ieri pomeriggio, mentre ero sdraiata sul divano in camera di Dicky e sapevo che in ogni istante S. poteva venire su per svegliarmi, mi sono sentita legata a lui come mai prima, al punto che volevo soltanto protendermi verso di lui. Il mio corpo ha perso tutto l'imbarazzo e la ritrosia che è solito mostrare nei confronti di uno sconosciuto - perché come uomo lui mi è comunque, nei suoi profondi. recessi, ancora estraneo; avrei voluto poter respirare attraverso la sua bocca, e in quel momento avevo la sensazione di poter essere una cosa sola con lui. E desideravo soltanto che venisse su e che si sdraiasse piano piano accanto a me, e che un unico respiro attraversasse entrambi. Ma al tempo stesso sapevo che quello era il momento più bello, il momento in cui mi sentivo libera eppure così legata a lui. Sapevo che se fosse venuto su, tutto sarebbe di certo cambiato. “Sarebbe di certo cambiato”, sì, ma che importanza avrebbe, a lungo andare? E quando è salito e si è piegato su di me, per lui ha avuto inizio un gioco sensuale, mentre io desideravo soltanto che il mio corpo esprimesse quello che stava accadendo nella mia anima. E mentre continuava a sottrarsi, d'un tratto ha detto: Non trova anche lei che dominarsi sia molto più difficile del lasciarsi andare e tuttavia molto più bello? Era solo un gioco, e in lui si combatteva anche una lotta contro la sua stessa sensualità; dopo di che, ha detto: Sei una ragazza pericolosa. E io non volevo proprio nulla di pericoloso, volevo solo, per un attimo, riposare completamente in lui, e che per un istante un solo respiro attraversasse i nostri corpi. E quando affermo che il mio desiderio sta lentamente maturando verso la realizzazione, so che un giorno anche lui avrà lo stesso mio bisogno, il bisogno che il corpo diventi l'espressione della nostra relazione “spirituale”, e so che

noi, in quell'istante, ci ritroveremo. E adesso, buona notte, in realtà non volevo scrivere nulla. Sabato mattina [28 marzo 1942], le dieci A volte mi sveglio con una frase bell'e pronta nella testa, un paio di parole che, nel cuore della notte, in uno stato di dormiveglia, devo aver detto a me stessa a bassa voce; non so mai di preciso da dove vengano, ma alla mattina d'un tratto sono lì e io me le ricordo. Stamattina, ero già sveglia da un po', mi è giunta dalla notte la frase: Pian piano si sta verificando uno spostamento d'accento dal piano fisico al piano spirituale. Era riferito alla mia relazione con S. Scrivere un diario è un'arte che io non comprendo. È già successo molto stamattina. L'assistente più giovane dell'ufficio è comparso con aria trionfante, portando con sé tre rape clandestine che ha poi barattato con Käthe per dei crauti. E io ero già, alle prime ore del mattino, al telefono con S. per avvertirlo che doveva far avere a Liesl quelle due uova in tempo per la cena, altrimenti non sarebbero più state usate. Ma lui se ne era già occupato, l'uomo “onni-pensante” e che provvede a tutto. Devo annotare pure cose simili? Potrei riempire dei volumi, e credo anche che sarebbero molto interessanti da leggere fra qualche tempo. Ma lasciamo che lo facciano altri. E poi, una settimana fa, mi sono ripromessa di registrare nel mio diario, alla fine di ogni giornata, le persone con cui ho parlato. Ma questo costerebbe un mare di carta. E poi, ha davvero senso? A volte la mia giornata è straripante di persone e di conversazioni, eppure ho la sensazione di vivere in un silenzio e una pace completi. E l'albero davanti alla mia finestra, di sera, è un'avventura ancora più grande di tutta quella gente messa insieme. Qualche volta penso che succeda talmente tanto nella mia vita - così tante persone interessanti, libri, colloqui, esperienze - che è proprio un peccato non riuscire a registrare tutto per i tempi a venire. Del resto, la mia realtà è un'altra. Penso che dovrei smetterla, una buona volta, di annotare tutto quello che mi accade. La mia realtà è altrove. Ho aspettato per tre ore da Lippmann e Rosenthal. Buffonata e ladrocinio. E allora? Non sono mai stata tanto intima con S. e in pace con lui come, per l'appunto, in quelle tre ore di attesa. Tutte le forze risparmiate, latenti, e tutto il mio buon umore mi sono venuti in soccorso ed è stato come se in quelle ore crescessimo ancora di più l'uno verso l'altra. E poi: si vive tanto e la vita è colma di esperienze. Alla fine, però, si porta dentro di sé una grande, fruttuosa solitudine, dappertutto. E a volte l'essenziale della giornata è la pausa di riflessione tra due profondi respiri, e quel tornare a guardarsi dentro durante una preghiera di cinque minuti. Prendiamo la giornata in cui dovevo consegnare l'anello nuziale a L [ippmann] e Ros [enthal] (davvero un fatto memorabile, di rilevanza storica: il ragazzone e la piccola ragazza ebrea, io che ho detto con enfasi, dopo tre ore di attesa: “Allora posso contare sul fatto che mi porterà quell'anello domani?”) al mattino, dopo di che, quello stesso giorno, con Liesl da Van Meerlo e poi al Café de Paris con Herbert Nelson, Sylvia Grohs e il dottor Levie, che era “Werner” per la prima volta (è stato davvero gratificante vedere che avevo perso il mio ultimo residuo di snobismo: in passato, l'avrei trovato fantastico, andarmene a bere un caffè con persone “famose” e dare del “tu” a un direttore di teatro; tutte queste reazioni le ho smaltite, c'è ancora solo l'umano senza tutta quella farsa, e ne sono grata) ; quindi Café de Paris e poi, la sera, gli spaghetti, che sono ormai stati immortalati più volte in queste pagine, e poi qui la discussione con Kroonder sul libro di S., e l'intensa conversazione tra S. e me in occasione di quella corrispondenza giovanile improvvisamente rispuntata; poi la passeggiata nella luce notturna, una sera nella quale i nostri sentimenti profondi sono stati ancora più confermati e approfonditi, e poi dai Levie con quel giornalista di Francoforte, Weil - testa intellettuale piena d'acqua, un'anima denutrita e occhi affamati, proprio una piccola scimmia tremante -, che ha i rigonfiamenti del filosofo sulla mano sinistra. (Viene da un ambiente materialistico e ha trasferito quella componente materialistica sul piano spirituale, ha detto S., che, per così dire, nello spazio di cinque minuti, ha avuto tra le mani quell'uomo e ne ha ricostruito il carattere, aggiungendo: sì, quando ti passano tra le mani i destini di tanti individui, come accade ogni giorno a me, allora a poco a poco finisci per comprendere con

grande chiarezza in quale modo si debba tirar su ogni singolo individuo, ti vedi davanti l'edificio; ma i mattoni e il lavoro, a questo deve pensarci l'interessato; insomma se ne stava lì con le sue espressive, gesticolanti mani dicendo: sì, quando ti passano tra le mani i destini di tanti individui..., e in quel momento era di nuovo per un attimo un grande uomo). E quel Weil mi ha irritata per un istante a causa di quella sua attitudine intellettualistica e prepotente, da onnisciente, ma S. ha detto, quando eravamo ormai fuori: Pover'uomo. Anche un suo breve commento mi rende più matura. Quindi, dai Levie e poi quella breve camminata verso casa di S. e infine, nella luce notturna, da sola verso casa, e fino all'una e mezzo una conversazione con Han sulla corrispondenza di Adpana; era proprio strano che una cosa del genere, ormai uscita dalla mia mente da tanto tempo, potesse continuare a infastidirlo. È stato dunque un giorno lungo. E la cosa principale? Era pur sempre che i rami dell'albero davanti alla mia finestra fossero stati recisi. Solo la notte prima le stelle pendevano ancora come luminosi frutti dai suoi rami scuri, e la notte seguente si arrampicavano, incerte, lungo lo spoglio tronco devastato. Già, quelle stelle: per alcune notti, forse un paio, sole e perdute, graffiavano ancora la superficie deserta, ampia del cielo. Un'immagine memorabile: “stelle graffianti”! Ma non c'è niente da fare; stavolta doveva essere detto. Per un momento ho corso il rischio di diventare sentimentale, quando i rami venivano recisi; mi sono rattristata profondamente. Poi, però, mi è parso subito chiaro: amerò il nuovo paesaggio che ne nascerà, quale che sia. E adesso due alberi si innalzano là, dietro la mia finestra, come due asceti emaciati e imponenti. Ieri sera svettavano nel cielo limpido fendendolo come pugnali. E giovedì sera c'era di nuovo la guerra dietro la mia finestra, e io la osservavo dal letto. Nella stanza accanto, Bernard stava ascoltando Bach; e quella voce suonava dapprima tanto energica e luminosa, e poi improvvisamente aeroplani, colpi antiaereo, spari, bombe, più fragorosi di quanto non accadesse da molto tempo. Sembrava che tutto si svolgesse vicino a casa. E d'un tratto ho acquisito la chiarissima consapevolezza di quante case, in tutto il mondo, ogni giorno crollano sulle persone. E Bach proseguiva coraggiosamente, ma era ormai una vocina molto debole. E io, sdraiata sul letto, mi sentivo in uno stato d'animo strano. Lievi luci di esplosioni lungo il tronco spoglio e minaccioso davanti alla mia finestra. Scalpitio. Ho pensato: a ogni istante una scheggia di granata può attraversare questa finestra. È possibile. Ed è anche possibile che si debba patire molto dolore. E tuttavia mi sentivo in uno stato d'animo pacifico e grato, là nel mio letto. E accettavo, con una sensazione di maturità e rassegnazione, tutte le catastrofi e le sofferenze che ancora mi aspettavano. E credevo fermamente che avrei comunque continuato a ritenere la vita bella, sempre, nonostante tutto. Tutte le catastrofi vengono da noi stessi. Perché c'è la guerra? Forse perché ogni tanto ho l'inclinazione a trattare in malo modo il prossimo. Perché io e il mio vicino e noi tutti non abbiamo abbastanza amore nel profondo, eppure possiamo sconfiggere la guerra e persino tutte le sue escrescenze interiori, ogni giorno, ogni istante, sprigionando l'amore che abbiamo dentro, in modo da concedergli una chance di vivere. E credo che non sarò mai capace di odiare qualcuno per via di quella che viene chiamata la sua “cattiveria”, mi odierei per questo, anche se “odio” è una parola troppo grossa qui. Non si può mai essere abbastanza elastici in quello che si esige dagli altri né abbastanza intransigenti nelle richieste che si fanno a se stessi. E credo che sia per questo motivo che oggi io non ho paura, perché tutto quello che mi succede mi è così vicino, perché nasce - per quanto mostruose siano le dimensioni che esso prende a volte - dagli uomini ed è sempre da ricondurre a qualcosa di umano. È questa la ragione per cui molti eventi non mi spaventano, perché io continuo a pensare che originino dall'uomo, da ogni individuo, da me stessa, il che rende tutto comprensibile; quegli eventi non degenerano mai in misfatti isolati, totalmente avulsi dagli individui. Già, quegli alberi: a volte, di notte, i loro rami si abbassavano sotto il peso dei frutti delle stelle, mentre ora sono minacciosi pugnali eretti contro il cielo chiaro di primavera. E nella loro nuova forma, nel nuovo paesaggio, sono di nuovo indicibilmente belli. Mi ricordo una sera lungo un canale di Amsterdam, una sera da sogno d'estate, ormai molto tempo fa. Visioni: città rase al suolo; città che affondavano e nuove città che sorgevano, e pensavo tra me e

me: bombardate pure fino alla fine queste nostre città, ma noi costruiremo un mondo nuovo e anche quello svanirà e tuttavia la vita è bella, sempre nuovamente bella. Era una sorta di visione: città che collassavano in abissi e altre che si ergevano e così avanti nei secoli, e la vita che è così bella. E anche il paesaggio di Rotterdam violata: ecco un nuovo paesaggio, bizzarro, con il suo proprio fascino, di cui ci si potrebbe innamorare un'altra volta. Noi, esseri umani, causiamo situazioni spaventose, ma dato che esse nascono da noi stessi riusciamo di volta in volta a riadattarci. Appena cambieremo e non potremo più adattarci alla nuova situazione, quando non potremo più sopportare interiormente tutte le diverse circostanze, solo allora le tragedie finiranno. Aeroplani che atterrano in fiamme hanno ancora un certo potere sensazionale per noi - sono scene altamente godibili persino da un punto di vista estetico -, eppure noi sappiamo, nel profondo del nostro essere, che nel frattempo persone muoiono bruciate vive e finché sarà ancora così, finché non tutto in noi stessi si ribellerà e riusciremo ancora a trovare forme di adattamento, fino ad allora tutti gli orrori andranno avanti. Questo significa che io non sono mai addolorata, non mi ribello mai, accetto tutto e amo sempre la vita in qualunque circostanza? No, non è così. Credo di vivere tutte le sciagure e le ribellioni che un essere umano può sperimentare e di conoscerle, ma non vi rimango ancorata, non prolungo momenti simili. Essi mi attraversano, come la vita stessa, in forma di un ampio flusso secolare: quei momenti si sciolgono nel flusso, e la vita va avanti. E così tutte le energie rimangono in me, completamente a disposizione: io non ancoro le mie energie a una singola tristezza passeggera o a una ribellione. E infine: alla tristezza del mondo non bisognerebbe offrire, di tanto in tanto, un piccolo rifugio? E un bel giorno dirò forse a Ilse Blumenthal: “Sì, la vita è bella, la lodo alla fine di ogni giorno, eppure so che figli di madri, e lei è una madre, sono trucidati nei campi di concentramento. E il dolore di tutto ciò bisogna saperlo sopportare; anche se te ne lasci devastare, dovrai rialzarti un giorno, perché un essere umano è tanto forte, perché il dolore deve diventare una parte di te, una parte del tuo corpo e della tua anima, non devi fuggirlo ma sopportarlo come una persona adulta. Non sfogare i tuoi rancori in un odio che vuole vendetta su tutte le madri tedesche, che adesso, in questo istante, hanno lo stesso tuo dolore da sopportare per i loro figli caduti e massacrati. Devi lasciare a questo dolore tutto lo spazio possibile in te stessa e concedere a esso l'asilo che gli è destinato, e forse, così facendo, il dolore nel mondo diminuirà, se tutti sopportiamo, onestamente e lealmente e in maniera responsabile, ciò che ci viene assegnato. Se invece non dai un opportuno ricovero al dolore, ma concedi maggior spazio all'odio e ai piani di vendetta - da cui nascerà ulteriore dolore per altri -, be', allora il dolore non finirà mai in questo mondo ma crescerà soltanto. Quando avrai concesso al dolore il posto e lo spazio che le sue nobili origini richiedono, allora sì che potrai dire: la vita è tanto bella e ricca. Lo è al punto che potresti credere in Dio. Tra una cosa e l'altra - la tazza di caffè (che oggi noi beviamo pieni di devozione, perché ogni tazza potrebbe essere l'ultima) presso il fuoco, a chiacchierare con Käthe e con il grande e il piccolo Hans - si son fatte le undici e mezzo. Devo ancora trascrivere quella conversazione con Hetty, una cosa simile è terribilmente difficile, e sul programma ci sono ancora: L'idiota, che ho abbandonato per troppo tempo, e Wandlungen und Symbole der Libido [La libido, simboli e trasformazioni] di Jung, di cui ho trovato un esemplare sgualcito e a pezzi nella biblioteca di S.; e alle sei e mezzo stasera S., e poi con Glassner e S. dai Levie (sono piuttosto curiosa di provare la cucina di Liesl) , e infine, di sera, ancora Tide. E domani pomeriggio musica qui da noi. Eccetera. Domenica sera [29 marzo 1942], le nove e mezzo Dico a me stessa: per favore, stai calma, ragazzina; perché ti lasci prendere così da una signorina con la testa piatta da ragazzo, un pantalone e occhi blu penetranti che vuole imparare il russo da te? E la sua provocante amichetta che voleva tanto fare amicizia con me perché mi trovava molto “affascinante”, il che mi fa gonfiare di vanità ovviamente. E poi quelle uova a occhio di bue con speck. Una cosa simile oggigiorno diventa una vera avventura e tra un po' non farò altro che scrivere di cibo in questo quaderno. Una settimana di autentiche abbuffate, ha detto S. oggi

pomeriggio. E quell'esile donnina di Liesl: stasera le ho raccontato per telefono che avevo immortalato in queste pagine anche la sua opera d'arte fatta con il riso di ieri, e ora procedo con altre squisitezze culinarie. E la testa piatta da ragazzo che ha detto a S.: Ciao, piccolo, sei proprio una bestia! E tutte quelle immagini di Madonne al muro, e il Cristo e quel vecchio gobelin. Sei proprio una bestia! E il giovane telepatico che la scorsa settimana ha detto: Lei ha qualcosa di un protocristiano, se crede nella reincarnazione, direi che vive ancora al tempo degli Apostoli. L'haute sauterne della scorsa notte, e la sua “mancanza di inibizioni”, che sentivo crescere. E il mio infinito rispetto per lui, per quest'uomo che, nonostante la sua forte sensualità, la travolgente, fortissima sensualità che sentivo ribollire in ogni fibra sotto l'influenza del vino - ah, mannaggia, solo due bicchieri -, conduce una vita che si potrebbe quasi definire ascetica. Sì, un grande rispetto. Ci sono cose di tutt'altro genere da registrare; oh, la mia impazienza che non mi permette ancora di scrivere! E stasera la mia reazione emotiva senza precedenti agli inattesi occhi blu e al viso singolare di oggi pomeriggio. E d'un tratto mi sono ritrovata di nuovo dietro alla mia scrivania, mentre mi capitavano sott' occhio casualmente queste lettere di Rilke: “... è evidente che devo seguire lui, Rodin: non nel trasformare in sculture la mie creazioni, ma nell'ordinamento interno del processo artistico; non a creare devo imparare da lui, bensì il profondo raccoglimento per riuscire a creare. Devo imparare a lavorare, lavorare, Lou, è questo che mi manca tanto! Il faut toujours travailler - toujours - mi disse una volta quando gli parlai degli abissi paurosi che si spalancano tra i miei giorni buoni”. E d'un tratto ne ero di nuovo consapevole ed è tornata la pace e la serietà che comunque non mi abbandonano mai del tutto, come accadeva un tempo, neanche nei momenti più ricchi di emozione. Ho frugato sulla scrivania: c'erano un paio di raccolte di lettere di Rilke, le voglio leggere in maniera sistematica e approfondita in un lasso di tempo ragionevole. C'era un libro di Jung che avevo appena iniziato a leggere; poi L'idiota di Dostoevskij che dovrò studiare a fondo sia riguardo all'uso della lingua sia per il contenuto. Il numero sempre crescente di miei allievi mi costringe a conoscere sempre meglio e più approfonditamente la lingua. E poi c'è il lavoro di S.; devo stare costantemente pronta per S., tenermi aperta per lui e per vivere insieme a lui le esperienze, e c'è sempre da imparare, sempre, ma non voglio neanche trascurare il mio studio del russo. C'è sempre la mia seconda patria, la letteratura, in cui continuo a viaggiare liberamente. E le persone e gli amici, i molti amici: ormai non hai più con quasi nessuno di loro una relazione solo accidentale, anzi, con tutti una relazione delineata e sempre particolare; non si può essere infedeli all'una a vantaggio dell'altra. Non ci sono più momenti persi o morti, bisogna imparare sempre meglio a riposare tra due profondi respiri o in una breve preghiera di cinque minuti; nonostante le molte persone, le tante domande, lo studio eterogeneo, si deve continuare a portare in sé un grande silenzio nel quale potersi costantemente ritirare, anche nel cuore del caos più grande e della più intensa conversazione. Bisogna trarre forza da se stessi di volta in volta. Non ero affatto emozionata da quelle due donne, c'era soprattutto tanta vanità da parte mia: quella piccola provocante Hagen che mi ha detto, apertamente ma anche in modo buffo: A quel corso mì hai subito colpita, eri in ogni caso l'unica persona davvero “degna di nota”. E non era neanche vanità in questo caso, ma forse un senso di esaltazione al pensiero che ogni sorta di umanità si apra a me, che nessuna persona mi sia più estranea, al pensiero di riuscire a trovare la via d'accesso ai tipi più disparati di umanità. E, in ultima analisi, non si tratta proprio di vanità, ma di soddisfazione per tutte quelle diverse sorte di umanità, sempre più paesaggi, inaspettati e mai sospettati, fatti di volti e gioia perché riesco sempre a trovare la via d'accesso in tutte quelle persone diverse. E mi sono tornate in mente le parole che già alcuni mesi fa ho scritto in uno di questi quaderni, e che hanno cominciato davvero a vivere in me: Salda, costante, paziente. Stasera mi è sembrato necessario riprendere per un attimo quelle parole. C'è così tanto lavoro da fare: a cosa porterà, non so. Adesso devo ancora trascrivere questo passo di Rilke:

“... in una poesia che mi riesce c'è molta più realtà che in ogni relazione o affetto che provo; dove creo, io sono vero, e vorrei trovare la forza per fondare la mia vita interamente su questa verità, su questa infinita semplicità e gioia che talvolta mi sono concesse”. [Martedì] 31 marzo [1942], di mattina, le nove In un giorno come questo, devo essere più concentrata che mai nella mia vita esterna, per non disperdere quella interiore. Mal di pancia, svogliatezza, un po' di influenza e un fitto programma: in un giorno come questo non devi riflettere troppo sul modo in cui vivi, o su ciò che pensi della vita: tutte le azioni di questo giorno devono chiudersi ermeticamente in sé come in una scatola, così che non venga riservato troppo spazio alla svogliatezza. Per giunta, prendi le cose più seriamente di quanto non sia necessario: è davvero così seria la faccenda delle tasse di S.? E mi sento d'un tratto profondamente depressa: lui deve trascorrere un giorno terribilmente pieno come questo, e poi ci sono anche le preoccupazioni per l'incerta situazione legale. Dato che io stessa, in un giorno simile, non posso sopportare troppo, temo che anche lui non riesca a venirne a capo. E poi quella conversazione telefonica con Liesl di domenica sera che mi infastidisce tanto! Dovrei proprio parlarne con lei. Tanto stupida eppure tanto impressionante! Le ho detto: Liesl, ho una nuova allieva, una lesbica. E la voce della piccola Liesl si è improvvisamente indurita, quando ha detto: Capisco. Ed è giovane? In ogni caso, quella conversazione è stata davvero sciocca, oltre ogni immaginazione. Dipende dal fatto che io ero rimasta tanto colpita da quelle Madonne, dal vecchio gobelin, dalle uova a occhio di bue con speck, da quella sottile figurina scura con la catena pesante di perle verdi e da quel tipetto mascolino incurante, gli occhi blu acceso, che ha detto a S.: Ciao, piccolo, sei proprio una bestia. Ho raccontato anche questo a Liesl al telefono. E, ripensandoci, mi è venuto in mente che una cosa simile era proprio al di sotto dei miei standard. Ma perché quel colloquio mi infastidisce tanto? Perché in giorni come questo, nel periodo premestruale, tutto mi infastidisce di più che nei giorni normali? Allora, cerchiamo prima di tutto di scrivere un bel tema sull'uso dell'imperativo in Kant, poi leggiamo la corrispondenza degli anni giovanili di S. - mi sarei volentieri scelta un momento più adatto per questo, la cosa non mi interessa per nulla al momento - e poi un'ora di lezione e una conferenza sui fagioli borlotti; poi, occuparsi del pranzo, tentare di dormire per un'oretta, provare ad andare a prendere Liesl per le tre e cercare anche di tiranni un po' su il morale. L'amicizia non è qualcosa che c'è così per caso: ogni volta deve sorgere qualcosa di nuovo dai molti momenti e umori della giornata e ci dev'essere sempre un elemento di festa in questo rapporto. Poi lezione fino alle cinque. Dopo a casa, ancora qualche chiacchiera con Leonie, e questo mi rallegra sempre tanto, e poi a cena tutt'e tre da Geiger e, stasera, il concerto di Mischa. Leonie rimarrà a dormire da noi e perciò si farà certamente tardi. Una bella giornata. Tide pregherebbe: Oh, Padre, fa' che S. non abbia problemi con le tasse!, ma una cosa simile a me non riesce. Mi riterrei del tutto sciocca e profana. Abbasso semplicemente la testa e mi sento tanto oppressa. Dipende solo da quella pancia una volta al mese? E adesso al lavoro, ragazzina. Organizza la tua giornata in modo da non lasciare libero neanche un minuto. Mercoledì mattina [1° aprile 1942], le undici Che cosa mi ha colpita di più di ieri sera? Quel piccolo mappamondo sulla libreria, così piccolo che avrei potuto prendere tra le mani l'intero globo, con oceani e paesi - era persino più piccolo di quella ridicola lampada arancione che pendeva sopra la testa incerottata di Mischa e il pianoforte laccato di rosso. E la mia reazione alla performance di Mischa? A metà di Beethoven, d'un tratto ho provato una compassione disperata per il piccolo fratello, per il mio fratellino. E a che cosa giova, che cosa importa ormai tutto ciò - la tua musica geniale, il tuo pubblico entusiasta e anche tanto avido di emozioni -, fino a che ci sarà quella linea di sofferenza attorno alla tua debole bocca tesa? Povero ragazzino! È davvero come ha detto Leonie: Non si riesce a godere della musica perché ci si chiede

di continuo cosa stia succedendo in realtà dietro a quel piano - che tipo di dramma, che fenomeno stia avendo luogo. E il viso di S. che io, a un certo punto, dopo la pausa, avevo di fronte a me in lontananza: tanto pallido, gli occhi adesso quasi grigio chiari, trasparenti, con tutta quella pietà dentro. E un'altra cosa essenziale: di nuovo un che di dolce e tenero e “più aperto” nel viso di Werner. E, a un certo punto, ho detto a Liesl, tanto per parlare: Ascolta, dopo averti telefonato domenica sera ero piuttosto irritata, perché ho detto un sacco di stupidaggini. E lei ha risposto: Non me lo ricordo proprio, e anche se per una volta tu lo avessi fatto non potrei che esserne contenta. È un bene sentire ancora in sé, per un attimo, il vuoto e il malessere per poter scoprire di nuovo com'era in passato e com'è invece adesso. Lunedì sera, mentre andavo a dormire, ho detto: No, Dio, oggi non riesco a lodarTi, mi sento davvero infelice. L'albero davanti casa era ormai un pezzo di legno senza vita, che fendeva un cielo noioso. Ma quella sensazione di tristezza profonda è durata solo per un attimo. Ieri mattina la giornata sembrava cominciare con tale fatica; poi è arrivato quello di Enkhuizen con la sua generosa offerta di fagioli borlotti e di ospitalità; dopo la lezione ha tirato fuori davanti a me, in maniera commovente, un sandwich di pane preparato in casa con del formaggio, dicendo: lo provi, e pensando di certo: questa pecorella sta senz'altro morendo di fame. Poi ha acceso la sua pipa e allora abbiamo fatto ancora due chiacchiere. E dopo Leonie: che il suo “transfert” verso di me sia così terribilmente forte! Forse sto vivendo ancora con troppa ingenuità e poca consapevolezza i rapporti con i miei simili, do troppo per scontato che tutti siano tanto liberi nel profondo quanto lo sono io. Ma si dovrà lavorare a quel transfert. “Tu, amore mio, tu mia appassionatamente amata, impagabile università privata di psicologia, ho di nuovo molto da discutere con te e da imparare da te”. Ieri sera, mentre stavo lì, sotto la testa da dittatore del canonico morto, guardando il pesce rosso che non si cura mai di nulla ed è davvero un esempio grandioso dell'andare per la propria strada, ho d'un tratto provato di nuovo quella sensazione tanto singolare: ecco Adri, ho pensato, e lì c'è Tide e lì i Levie e là S., e Leonie alla mia sinistra e il mio fratellino dietro al piano, tutti i miei buoni amici attorno a me: ho sentito il profondissimo legame che ho con ciascuno di loro, in un modo o nell'altro, e che non è però una prigionia. E in quel modo si sono liberate tante forze dentro di me. Una grande libertà interiore, un senso d'indipendenza pur essendo in sintonia con gli altri, gioiosa e forte. E adesso, prima del caffè, mi vizierò con un'oretta di lettura delle lettere di Rilke, anche questo è lavoro. E se dovessi aver bisogno di trovare parole che possano rendere il mio attuale stato d'animo, le prenderò in prestito di nuovo da un altro, cercherò le lettere “a un giovane poeta” e leggerò le stesse parole per l'ennesima volta e, di nuovo, sentirò l'urgenza di trascriverle (fino a che non troverò le mie parole? Sì [tre parole illeggibili]; Jaap, che nel frattempo è entrato, siede accanto al fuoco, mentre io rammendo calze, chiacchiero e ora sto anche trascrivendo questo brano). “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate non possa venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”. Lo avverto con tanta forza negli ultimi tempi: i Leitmotiv appartengono in misura crescente alla mia vita. A tempo debito riemergerà un Leitmotiv, ogni volta, sì, dopo momenti caotici o faticosi o confusionari, ne spunterà di nuovo, all'improvviso, un altro. Un po' più tardi Devo ancora imparare a dispormi meglio nei confronti degli altri. Ho confuso Leonie descrivendole la ragazza con la testa da ragazzo, gli occhi blu e vestiti maschili, tra quel vecchio gobelin e quella

Madonna. Ha avuto la sensazione - mi ha raccontato dopo - che avessi incontrato una ragazza borghese che non è capace di gestire la vita. E perché mai ho raccontato a Jaap che vado a seguire le prove notturne allo Joodse Theater e che ho ricevuto un libro per mediazione di Henriétte Davids, ecc.? Questo forse lo farà preoccupare. Si tratta da parte mia solo di vantarsi, di suscitare curiosità o far vedere che vita “interessante” conduco, eppure sono consapevole di essermi liberata dei miei ultimi residui di snobismo; o forse no, dato che ho bisogno di raccontare quelle cose? È vero, devi poter parlare di qualcosa, e non puoi raccontare a destra e a manca che hai una relazione intima con un albero dietro la tua finestra. Ma ti devi sempre chiedere cosa l'altro può rielaborare, a maggior ragione con persone di natura poco equilibrata e problematica. Non solo ascoltare dentro se stessi, ma anche dentro gli altri. E devi farlo almeno fino a che non ci sarà così tanto caos e rumore in te stessa, caos e rumore che nascono da te, fino a che non sarà tanto difficile per gli altri avvicinarsi a te, se non per coloro che riescono a guardare oltre e che avvertono continuamente la corrente sotterranea, la corrente della vita che là, nel tuo profondo, scorre senza sosta. Ma non devi rendere le cose troppo difficili ai tuoi simili. E non devi essere troppo ingenua e inconsapevole nel relazionarti con loro: cerca piuttosto di entrare in sempre maggiore sintonia e di sapere cosa esattamente ognuno di loro può ricevere e rielaborare dentro di sé. Ora voglio solo trascrivere qualcos'altro da una lettera di Rilke del 1902: “Si percepisce d'un tratto che in questa immensa città ci sono eserciti di malati, annate di moribondi, popoli di morti. “Non ho mai provato una sensazione simile in nessuna città, ed è strano che io la provi proprio a Parigi, dove (come scriveva Holitscher) l'istinto vitale è più forte che in qualsiasi altro luogo. Ma l'istinto vitale è la vita? No, vivere è qualcosa di calmo, ampio, semplice. L'istinto vitale è furia e caccia. Istinto di possedere la vita, subito, tutta, nell'arco di un'ora. Di questo Parigi è così piena e per questo così vicina alla morte. È una città estranea, estranea”. Lentamente, negli ultimi mesi, ma con risultati certi, sto assorbendo in me l'uomo, l'opera e la vita: Rilke. È probabilmente l'unico modo giusto di occuparsi di letteratura, studio, esseri umani o altro: assorbirlo appieno dentro di te, lasciarlo crescere lentamente in te, finché quello che assorbi non diventa una parte di te stessa. Si tratta di un processo di maturazione. Tutto è un processo di maturazione: con in mezzo tutte le sensazioni e le emozioni che ti investono come fulmini. Eppure l'essenziale è ancora la crescita, il processo di maturazione organico. E anche la comparsa improvvisa di Leitmotiv. Essere molto, molto umile e infinitamente piccola, e poi ancora umile, cercando di essere sempre più semplice. Diventare ed essere estremamente semplice, e anche vivere' in semplicità. Sentire la semplicità e l'ampiezza non solo per te stessa e nei tuoi migliori momenti, quelli di pace, ma anche nella vita quotidiana; non diffondere attorno sensazioni e non cercare sempre di renderti interessante; prendi distanza, onestamente e forse anche combattendo, dal desiderio di essere considerata a tutti i costi interessante dal mondo esterno. Cerca invece di trovare e realizzare davvero la semplicità nella tua vita e in ciò che ti circonda. Sul serio: sii umile e semplice, aspetta, rimani aperta, lascia crescere e lavora! Sì, lavora. Nel tuo caso, non importa neanche cosa fai, non hai ancora trovato una dimora stabile per il tuo lavoro, ma, che si tratti di scrivere in russo o di leggere Dostoevskij o Jung o di una conversazione, tutto questo può essere sempre lavoro. E devi anche aver fiducia nel fatto che un giorno tutto si amalgamerà in una grande sintesi e credere che stai costruendo qualcosa. In questo credo infatti da molto tempo: credo nel lavoro e nelle azioni che si uniscono, trovando una giusta collocazione e mai un vuoto in mezzo; nel tanto lavoro regolare e costante. Ed essere molto, molto modesta. Di pomeriggio, le quattro A metà di quella telefonata, poco fa, lui ha detto all'improvviso: Se la sente, allora, la primavera nelle ossa? E io ho ribattuto: No, in fondo sono una ragazza assennata, non lo sa che sto diventando

sempre più assennata? E lui: Bene, ieri al concerto, quando era seduta di fronte a me, il viso appoggiato alla parete, mi è piaciuta moltissimo! Anche lei mi è piaciuto, ho risposto io immediatamente, entusiasta. Mi racconti prima lei perché le sono piaciuta tanto. Allora lui ha detto: Aveva occhi così seri, così espressivi, e poi era così bella. In realtà non so più esattamente quello che ha detto, ma questo me lo ricordo: occhi così seri, così espressivi. E mi ha detto anche di aver pensato: Che bello avere una persona con cui poter stare così, qualcuno con cui si è in termini tanto intimi e amichevoli e che in questo rapporto ci sia anche “eccitazione”. Poi ha aggiunto un'espressione dal gusto primaverile, qualcosa che, venendo da lui, credo fosse intesa come una dichiarazione d'amore molto speciale; ha detto infatti: Meno male che non è qui, altrimenti mi salterebbe addosso. Sa, talvolta si hanno dei piccoli flash che ci rimangono impressi. A un certo punto, ieri sera, lei ha alzato una gamba così in alto, che si riusciva a vedere un pezzetto di pelle tra la gamba e il ventre, e mi è piaciuto moltissimo, bisogna che lo riveda, e questa volta più da vicino. Mi ha eccitato molto. E io: È bello che ci sia anche questo, ma bisogna sapere che non è la cosa più importante. E poi io gli ho raccontato come, qualche mattina prima, mi fossi svegliata con questa frase in testa: Sta avvenendo un lento spostamento di accento dal piano fisico al piano spirituale, e che quest'espressione era riferita alla mia relazione con lui. E anche questo è diventato un Leitmotiv al quale mi aggrappo: voglio stare insieme a lui, quando il corpo è espressione dell'anima e non più soltanto a vantaggio del corpo. Era questa la ragione per cui, quel sabato sera, la sera dell'haute sauterne, ero tanto felice di non essere sola con lui. Si sarebbe buttato su di me, con tutti i sensi “scatenati” da quel vino. E così non lo voglio più. In passato sì. Prima infatti la sensualità aveva un grosso ascendente sulla mia fantasia e io lo volevo solo come amante. Adesso le cose non stanno più così. Sono consapevole di quanto velocemente si raggiungano i confini delle possibilità fisiche; voglio il suo corpo solo se, grazie a quello, noi possiamo esprimere qualcosa della nostra amicizia, altrimenti non lo voglio affatto. Posso dominare il desiderio puramente fisico che resta. Proprio perché ho vissuto già tanto intensamente nel corpo, per molti anni, è già arrivata una grande pace in me, e non ho più la necessità di soddisfare soltanto il corpo a ogni costo: e sono molto grata che le cose siano giunte a questo punto. Lo voglio certamente, ma deve anche esserci armonia tra corpo e anima, su questo non transigo, e cercherò di evitare, con pazienza e circospezione e autocontrollo, quei contatti che non sono così perfetti e armonici come voglio che siano. E se non riusciamo a raggiungere quell'armonia? So perfettamente che a volte si tratta di un unico momento di grazia, che quell'armonia non si può quasi raggiungere. Ma se tendiamo verso quello stato, forse riusciremo anche a raggiungerlo! E altrimenti? Sono già pronta ad accettare con mitezza anche il caso contrario. Quel fidato, perseverante amico scriverà di nuovo a Mischa riguardo a ieri sera. “Straziante, il ragazzo. Ha tutto: una memoria favolosa, musicalità, virtuosismo. Ma è su quest'ultimo punto che dà il meglio. Viene ammirato, idolatrato, s'impegna soltanto per diventare un virtuoso, non se stesso. Dovrebbe avere un mentore, un ragazzo così non può vigilare su di sé. Mi dispiace tanto per lui”. E così via. È un bene parlare di tutto con qualcuno che è più maturo e ha più esperienza. Non si dovrebbe mai permettere che le cose macerino dentro di sé. Mi accorgo che anche nelle piccole cose riesco sempre a trovare una guida in lui e di quanto lui riesca a dirottare altrove, con una sola parola, le mie idee esagerate o a cambiarle. Abbiamo brevemente parlato di Leonie; la conclusione è che lei è follemente gelosa di me, che mi vede come una rivale, che vorrebbe essere proprio come me ma che mi vuole molto bene. Devo aiutarla ad affrancarsi da me. Forse posso farlo al meglio svolgendo il ruolo della parte che “sopporta” e che accetta nella nostra amicizia, e non continuando a raccontarle cose su me stessa che possono agitarla e pesarle, ed evitare la mia maniera letteraria e plastica di descrivere le cose. Gli ho chiesto: “Forse è addirittura sbagliato in genere raccontare le cose in modo così plastico e affabulatorio come faccio io?”, e lui mi ha risposto che devo fare attenzione a chi ascolta, che lui si è sempre divertito da matti con i miei racconti, ma che li prendeva sempre con le pinze. Ecc. ecc. E poi abbiamo anche aggiunto questo su Leonie: tremendamente esaltata e, dall'altra parte, molto

timida. Un caso molto difficile. E tutti quei complessi! A volte mi sembra un pozzo nero da cui continuano a fuoriuscire scorie. Devo comunque correggere il mio modo di essere nei suoi confronti, devo mettere me stessa da parte e non agitarla con i miei racconti e le mie storielle. E ancora qualcosa da una lettera di Rilke: “Ma prima di tutto il lavoro. Ciò che si sente accanto a Rodin: il lavoro è spazio, è tempo, è muro, è sogno, è finestra ed eternità ... Il faut travailler toujaurs ... Lo ha detto di recente, questo sabato, e come lo ha detto: con profonda convinzione, in tutta semplicità, mentre stava lavorando ... fu solo come un mormorio e una carezza delle sue mani. “Oh, se io ... fossi davvero giovane (nel 1903 avrò ventotto anni, e questo è molto, moltissimo) , ma se ciononostante lo fossi, allora attorno a me non dovrebbe esserci altro che lavoro, e mai dovrebbe smettere di essere così. Allora non si chiamerà più vita, ma lavoro: ci riuscirò?”. Me lo ricordo ancora dai miei primi anni di studio: come passeggiavo per le strade notturne, le mani chiuse a pugno nelle tasche del giaccone, la testa profondamente incassata nel collo, dicendo tra me e me: Voglio lavorare, lavorerò. E così arrivavo a casa stremata, per via di tutto quel pensare di dover lavorare, tanto che non avevo più la forza per mettermi realmente al lavoro. È andata così per anni. Ricordo che Adpana, una volta, ha anche gridato questa frase al treno in partenza che mi stava portando a Deventer: “Lavora, piccola, lavora, lavora sempre”. E in quel momento sentivo nelle ruote del treno il ritmico suggerimento arbeiten, arbeiten, arbeiten. E su questo tema gli ho scritto una lettera commovente, ma neanche quell'anno ho lavorato davvero. Perché non ci riuscivo. Adesso, a ripensarci, posso capire come andavano le cose allora. E ora? Ora, oltre alla volontà, c'è anche la possibilità di realizzare concretamente il lavoro e la volontà fluisce così senza intoppi nell'azione; le barriere, che in passato non riuscivo ad attraversare, sono state abbattute. E non dico neanche più: Già, ma non ho ancora trovato il “terreno” in cui radicarmi, e non soffro per il fatto di non aver ancora trovato uno strumento e neanche un argomento, come una volta ha detto S. Si tratta ancora solo di “essere profondamente concentrati per dar forma” e poi se riuscirò pure a “dar forma” non lo so ancora. Ma credo che si possa costruire anche senza mai scrivere una sola parola o dipingere un solo quadro, fosse solo la propria vita interiore. E anche questa è un'azione. E, tuttavia, qualche volta mi chiedo se non dovrei fare uno sforzo più deciso nella ricerca delle parole e della forma che diano espressione ai miei pensieri e ai miei sentimenti. In realtà in questo sono tanto indolente e caotica, e lo trovo ancora molto difficile. Continuo a godere troppo delle persone e delle cose. Forse dovrei già provare a catturarle in una forma fissa, con lacrime e sangue, come si dice. E ovviamente ho ancora paura del grande iato tra ciò che ho visto e vissuto e ciò che viene formato. Temo ancora quella via crucis e forse mi affido ancora troppo alla “Grazia”. Ma, oltre alla crescita organica, deve esserci anche il lavoro minuzioso, attivo e disciplinato. Un giorno di alcuni anni fa l'ho annotato su un pezzetto di carta: “La Grazia, nelle sue rare apparizioni, deve trovare una tecnica ben rodata”. Una tecnica? Una forma? Davanti a tutto questo mi ritrovo a reagire impotente. Dove devo cercare il mio materiale? Aspettare soltanto? Ascoltare e avere buona volontà - questo in ogni caso. 2 aprile [1942], giovedì mattina, le otto Nelle prime ore, il mattino era là bell'e pronto dietro la mia finestra. Il verde campo d'erba dello spiazzo dell'IJsclub e il Rijksmuseum sembravano già svegli. E i miei due magri asceti, di nuovo minacciosamente protesi verso l'alto. È stato un buon risveglio. Ieri sera alle otto c'era ancora Loekie con la sua arancia che, con la rotondità di un arancione brillante e la sua perfezione, mi sta davanti tra le fresie e le tre pigne raccolte... quanti anni fa ormai? In realtà io le voglio un bene immenso e vorrei poterla stringere e trattenerla, impedendole di scivolare nel pantano fangoso che è forse proprio la sua destinazione ultima. Se adesso lavoro coscienziosamente al russo con lei, forse questo le darà in futuro un piccolo appiglio per qualcosa di meglio che le avventure casuali in cui continua a farsi coinvolgere quasi a dispetto di se stessa. Di nuovo quell'eczema sulle sue mani e un rigonfiamento sul piede; non riesce a procurarsi le verdure e il latticello e simili cose indispensabili, perché non ha dei fornitori regolari. Eppure non si lamenta

mai e ha sempre quel suo visetto trasognato con i limpidi occhi bambineschi. Sì, Loekie, più in là scriverò un racconto su di te: allora girerai con le tue lunghe gambe da danzatrice su numerose righine blu del mio quaderno. Alle nove e mezzo la mia ultima allieva. E adesso che la prima impressione si è smorzata - lei è davvero come un giovane ragazzo affascinante -, mi chiedo: come sei fatta e perché sei diventata così e come vivi e sei felice? Ho lavorato assieme a lei molto intensamente per un'ora. E c'era, è ovvio, quel famoso flusso invisibile tra di noi, in me comunque con una nota più umana che erotica. E su quest'ultima: da un punto di vista erotico, sono certo ricettiva in tutte le direzioni, sia per la bocca demoniaca di S., sia per la sottile figurina di Liesl e per i suoi capelli biondi mossi, sia per questa donna, con la sua testa piatta da ragazzo, piccola e provocante, e la sua voce limpida che è quasi innaturalmente chiara. Ma l'elemento erotico e sessuale che mi anima ha lentamente trovato una collocazione nell'ordine della mia vita, assumendo un ruolo subordinato, mentre l'elemento umano domina senza sosta, anche se quello stesso interesse umano è sempre intenso e passionale. È tipico che, da quando ho incontrato questa ragazza, questo ragazzo, e non so neanche come chiamarla, abbia cominciato a sognarla con regolarità. È sempre presente nei miei sogni. La prima volta che l'ho vista è andata così: le avevo fatto una lezione di russo, e poi siamo andate fuori insieme. Lei aveva due pesanti valigie, e una gliela portavo io. A metà strada mi ha salutata in gran fretta, lasciandomi indietro con quella pesante valigia. Sono rimasta lì, sentendomi totalmente confusa e abbandonata, e le ho gridato dietro: “Non abbiamo ancora fissato la prossima lezione!”, ma lei ha risposto: “Ti chiamo”. Non ero certo contenta così, abbandonata in mezzo alla strada con quella pesante valigia. S. ha interpretato l'episodio dicendo che io volevo probabilmente liberarla dalle sue difficoltà e dai suoi problemi. E stanotte credo di aver sognato che raccontavo a qualcun altro, in maniera dettagliata, la lezione che le ho fatto ieri sera. Per quanto riguarda il mio atteggiamento, penso di aver esagerato un po', nel contesto delle nostre ultime discussioni, sbandierando la “saggezza” e la pace da me acquisite, anche se con questo volevo solo aiutarla, mentre invece stavo ancora godendo troppo del mio nuovo stile di vita. E presentando in un paio di frasi scorrevoli e semplici il risultato di un faticoso lavoro psicologico, durato un intero anno, ho forse messo troppo in ombra il percorso che lei deve ancora fare, e il fatto che il suo cammino deve essere diverso dal mio. Ma la questione principale è che ho parlato con lei forse troppo per il mio piacere personale, crogiolandomi nelle mie piccole saggezze e pensando troppo poco a lei. In futuro dovrò mettere totalmente da parte me stessa facendomi piccola ed evitando di caricarla troppo. Lei è ancora molto giovane ed eccitata: non è necessario che io contribuisca a questa eccitazione, per di più mostrando la mia tranquillità. E forse tutto questo ha scatenato in lei uno stato di gelosia impotente riguardo alla serenità e alla pace che io mi sono conquistata e che lei non possiede ancora. Oh, pazienza, e poi volevo solo dire questo: parlando con gli altri dei miei traguardi interiori dell'ultimo anno, devo essere più in sintonia con loro e non godere tanto di tutto quello che racconto. E questo vale non solo per Leonie, ma per tutti. E adesso cos'altro aggiungere? No, ragazzina, al lavoro. Mettiti a leggere quelle lettere di S., trascrivi le note su Stella, fai colazione, riordina la tavola e verso le undici da S. Sono molto, molto grata che la faccenda delle tasse si sia risolta bene. Un paio di mattine fa ero tanto sotto pressione e preoccupata per quella storia, ed esattamente negli stessi momenti lui era altrettanto preoccupato e ansioso per la medesima ragione, come mi ha raccontato dopo. Ma anche questa storia si è conclusa splendidamente. Mattino grigio, pioggia e vento. Povero S., ti auguro un gran sole splendente durante le tue vacanze dal conte epilettico. Mattina di Venerdì santo [3 aprile 1942], le otto e mezzo Quando ieri sera, alle dieci e mezzo, sono entrata nella mia stanza dove la tenda davanti a

quell'unica grande finestra è sempre del tutto aperta, ho trovato là, di nuovo, il mio devastato, solitario albero. Un'esitante stella si arrampicava lungo il suo magro corpo da asceta, ha riposato un po' nell'incavo di una delle sue membra (?! bello!) e poi si è persa nel cielo ampio, non più catturata tra i rami. Il Rijksmuseum sembrava una città turrita in lontananza. Tra la libreria di S., grande e profonda, che si erge come un misterioso tempio di saggezza, e il mio lettino da monaco, c'è giusto lo spazio per potersi ogni tanto inginocchiare. Una cosa che volevo descrivere già da giorni o settimane, ma che per una sorta di timidezza - o forse un falso pudore? - non riuscivo a formulare, è la seguente: talvolta un naturale desiderio di inginocchiarmi attraversa tutto il mio corpo; no, è diverso: è come se il mio corpo fosse fatto per il gesto dell'inginocchiarsi, un movimento che sento nascere a volte nel corpo intero. Ogni tanto, nei momenti di profonda gratitudine, sento un'irresistibile necessità di inginocchiarmi, il capo del tutto chino e le mani sul viso. È un gesto ormai connaturato al mio corpo, e quel gesto a volte vuole essere realizzato. E ricordo: “La ragazza che non sapeva inginocchiarsi” e la ruvida stuoia di cocco del bagno. Eppure, quando annoto queste esperienze, avverto ancora un certo imbarazzo, come se stessi descrivendo la più intima delle cose intime; avverto ancora maggior timidezza e pudore che se dovessi mettere nero su bianco la mia vita amorosa. Del resto, c'è qualcosa di più intimo della relazione tra gli uomini e Dio? Ecco anche il perché di quella specie di disgusto riguardo al recente convegno di Oxford; così esibizionista. Fare l'amore così pubblicamente con Dio. Un tale baccanale, e poi quei devoti piccolo-borghesi e quelle signorine un po' mature alla ricerca di un uomo. No! Mai più una cosa simile. Forse per una volta può andar bene, in quanto novità. E poi sono troppo rispettabili perché qualcuno li guardi come se assistesse a uno spettacolo teatrale. Ancora qualcosa su van W. Con il suo abito maschile, era proprio un giovanotto disinvolto e provocante. Ma io l'ho trovata commovente e quasi da compatire, quando ha indossato il cappotto, una morbida pelliccia da orsetto blu scuro, con uno scialle rosso sopra. E d'un tratto era qualcosa a metà tra uomo e donna. Prima invece era solo un giovane affascinante. Quel pellicciotto le conferiva un che di materno e di pesante, qualcosa di molto adatto al suo corpo. E stava bene, con quella piccola testa piatta da ragazzo. In quel momento l'ho trovata molto dolce e commovente. Ho parlato ancora con S. di lei e lui ha detto, tra le altre cose: Persone simili in fondo sono perverse. E lo sono proprio perché accentuano l'aspetto sessuale vedendolo come il punto centrale della vita, e in tale prospettiva giudicano anche i loro simili. Ha ragione nel definirla una sorta di perversione. Adesso capisco anche come una donna simile possa arrivare a dire a qualcuno come S.: Ciao, piccolo, sei proprio una bestia. E lui lo è di certo, visto dalla sua prospettiva, per cui tutti gli altri orizzonti sono coperti e il centro di tutto è solo quell'infelice fallo. Gli occhi di Han, da qualche settimana, sono di nuovo raggianti e provocanti come sempre. Usciremo anche dai nostri problemi finanziari. Un po' di tempo fa gli ho detto: In realtà, all'inizio di ogni giorno, bisognerebbe chiedersi: oggi c'è un tetto sulla mia testa e ho abbastanza da mangiare? E se è così, bisogna sentirsi grati. E ogni giorno di nuovo. Ce la faremo. “Si soffre di più per il timore di soffrire”. Suona un po' trita, ma questa piccola verità, che fa mostra di sé in bei caratteri incisi nel legno, sopra targhe casualmente appese alle pareti, in così tante ridenti case cristianoborghesi, è più attuale che mai. Ieri sera sedevo accanto al fuoco leggendo le lettere di Rilke, mentre Han sfogliava il suo giornale e fumava la pipa. E improvvisamente ho detto, dal profondo del cuore: “Ciao, ragazzo dolce!”, e lui, da dietro il suo giornale aperto: “Ciao, ragazzina!”, e poi un lungo silenzio, mentre continuavamo a leggere. E anche questa è stata una cosa buona! Le lettere di Rilke sono per me come un mare, nel quale immer tiefer und weiter hineinschwimme [“nuoto sempre più al largo e mi immergo sempre più in profondità”] una cosa simile in olandese non riuscirei proprio a formularla. E adesso prima ci dedichiamo alla lezione di conversazione in russo, e poi a fare la spesa, e poi da Käthe per imparare come si fa “la finta panna” per via di lunedì. E per il resto della giornata, trascrivere le note di Stella e quella traduzione russa per la povera, inacidita Aleida Schot, e poi altre avventure con Jung e Rilke. Sabato mattina [4 aprile 1942], le otto

Quando stamattina, alle sei e mezzo, ho guardato fuori dalla mia finestra, il Rijksmuseum era ancora immerso nel dormiveglia, l'IJsclub dormicchiava ancora, ma i miei due alberi stavano lì, feroci e svegli punti esclamativi. Due punti esclamativi nerissimi, evidenti come scritti su una pagina semivuota. Mi sono rimpinzata di efedrina, superol e aspirina, e mi sono rimessa a dormire per un'oretta. Una volta, in un momento in cui non sapevo dove sbattere la testa, ho annotato: “Mi sento così giù e triste, deve essere l'influenza”. Ma non era certo l'influenza. Sono giorni, adesso, che lotto contro influenza, mal di gola, mal di testa, raffreddore, mal di stomaco - una notevole collezione di malesseri, senza dimenticare le mestruazioni -, eppure non ne ho alcun fastidio o quasi. Certamente il mio buon umore non ne sta risentendo. La mia pazienza deve crescere ancora. Ne ho già conquistata abbastanza per aspettare quello che verrà, per avere fiducia che qualcosa verrà. Non so se avrò la pazienza di camminare per ore da sola attraverso un paesaggio solitario, di vivere da sola per settimane in un villaggio di pescatori sul mare, paga dei miei pensieri. Non ho ancora abbastanza pazienza per occuparmi di fiori, ascoltare musica, guardare dipinti e leggere la Bibbia. Tutto questo devo ancora impararlo, e va imparato per un'intera vita. Credo però di essere all'inizio. E ogni tanto sopraggiunge una grande pazienza, quella che alla lunga sarà la sorgente interiore da cui potrò attingere per il lavoro creativo. Ma sono sicura che quella pazienza sarà ancora interrotta, sul più bello, da una tensione; devo imparare a raccogliere tutta la pazienza che c'è in me, mettere insieme tutti i frammenti di pazienza per formare un'unica grande pazienza. E forse, forse, molto più in là, riuscirò anche a scrivere. Ecco Käthe, quindi devo affrettami e aiutarla a preparare la colazione; buona, fidata, gentile Käthe! Le nove Noi non viviamo sotto uno stesso tetto. Cinque strade, una molto lunga e quattro più corte, un ponte e un canale mi separano da lui. Appena lo lascio e arrivo in bicicletta a casa, sulla mia scrivania c'è un apparecchio telefonico piccolo e nero, e un'analoga meraviglia della tecnologia moderna sta anche sul suo tavolo da lavoro strapieno. E quei due aggeggi ci connettono di nuovo. Lui è andato dal conte epilettico con La libido, simboli... e con una raccolta di lettere di Rilke, e io sono rimasta qui, con La libido, simboli... e con l'altra raccolta delle lettere di Rilke, sulla mia veranda assolata. Tutto quasi innaturale, nella sua casualità. È davvero bello, ho constatato con soddisfazione giovedì pomeriggio, sul bus numero 24, mentre lo accompagnavo alla stazione. Ciò che era stupefacente è quanto segue. Già da giorni l'opera di Jung mi invitava alla lettura dalla mia scrivania e in un improvviso impulso, mercoledì sera, l'ho iniziata e mi ci sono immersa per un'ora intensa. Quando, la mattina dopo, l'ho raccontato, lui ha detto, molto sorpreso: Ma guarda, anch'io l'ho cominciato inaspettatamente ieri sera, stava da giorni sul mio tavolo e all'improvviso ho avuto bisogno di cominciare a leggerlo. E cose del genere succedono non di rado. In questo periodo mi occupo di Rilke in maniera sempre più approfondita e intensa. In realtà, mi sto occupando ininterrottamente di lui, e va da sé: in passato non mi è mai capitato di riuscire ad assorbire tanto a fondo uno scrittore; cresco a contatto con i suoi scritti. E un bel giorno trovo l'opera completa di Rilke sul suo tavolo da lavoro, e la sera, ogni tanto, lui mi legge al telefono una citazione di Rilke. Così, per caso, spontaneamente. Non si tratta di voler fare disperatamente la stessa cosa che fa lui, a tutti i costi, né un istinto irrefrenabile di vivere in sintonia. No, a un certo punto ci ritroviamo per caso a essere immersi nella stessa cosa. Da studentessa, facevo sogni sul futuro: sposare un uomo con cui poter anche lavorare. Ma non avrei mai immaginato che le cose potessero prendere la piega attuale. Tutto è così semplice, naturale, scontato e ordinato. Lavoriamo insieme, io sono al corrente di ogni dettaglio del suo lavoro in ufficio, ho ben presente tutto il materiale che lui insegna, al punto che durante le sue lezioni posso ricordargli qualcosa solo con un gesto. E oltre a ciò, ognuno di noi ha il suo ambito privato: lui ha la sua musica e io il mio russo. Non viviamo sotto lo stesso tetto, siamo separati da cinque strade, un ponte e un canale. E anche se procediamo insieme e viviamo in sintonia la nostra vita, crescendo l'uno accanto all'altra, siamo tuttavia completamente liberi: sono piena di un'infinita gratitudine e

stupore per il fatto che la mia vita si sia sviluppata in questo modo. Dopo la colazione, ho cominciato la lettura di Matteo, d'ora in poi la farò ogni giorno e in maniera sistematica. Ieri ho afferrato il senso di quel dipinto di Rembrandt: la testa di Matteo sulla quale si sovrappongono i volti di Tolstoj, Beethoven e Rembrandt; un uomo forte, concentrato e ricco di sensualità, che ascolta una voce, la voce immateriale. Pian piano comincio a capire il significato delle cose. Sono le nove e mezzo, devo assolutamente mettere un po' di ordine nel guazzabuglio di questa scrivania, cacciare Han dal suo letto e riordinare la stanza e anche preparare qualcosa per il consigliere antirivoluzionario che impara il russo. Ma voglio anche trascrivere alcune parole di una lettera di Rilke che ho letto ieri sera: sono tratte dalla stessa lettera a Lou Andreas-Salomé nella quale scrive anche che, quando riesce a scrivere una poesia, quella contiene più realtà che qualunque relazione o affetto che possa provare nei confronti delle persone, aggiungendo: “dove creo, sono vero, e vorrei trovare la forza per fondare la mia vita interamente su questa verità, su questa infinita semplicità e gioia che talvolta mi sono concesse”. Da qui prosegue: “Questo cercavo già, quando andai da Rodin; perché, presago, sapevo da anni dell'infinito esempio e modello della sua opera. Ora che vengo da lui so che anch'io non potrei volere né cercare altre realizzazioni se non quelle della mia opera ... Ma come cominciare a percorrere questo cammino dov'è nella mia arte il mestiere, il suo punto più profondo e più umile, dal quale mi sia concesso iniziare a operare? Voglio percorrere a ritroso ogni cammino fino a quell'inizio, e tutto ciò che ho fatto non sarà stato nulla, meno ancora dello spazzare una soglia su cui il prossimo lascerà di nuovo l'orma della via. Ho in me pazienza per secoli e voglio vivere come se il mio tempo fosse lunghissimo. Voglio concentrarmi al riparo da tutte le distrazioni, voglio recuperare quanto di mio ho troppo rapidamente prodigato e risparmiare...”. E la lettera si conclude con le parole seguenti: “Tuttavia mi mancano ancora la disciplina, la capacità e la volontà di lavorare che bramo da anni. Mi manca la forza? La mia volontà è malata? È il sogno che, in me, ostacola tutto l'agire? I giorni passano, e talvolta sento la vita passare. E ancora non è accaduto nulla, ancora non c'è nulla di reale attorno a me; e io continuo a dividermi e scorro divaricando, e desidererei scorrere in un letto e diventare ampio. Perché, Lou, non è forse vero che così dev'essere: dobbiamo essere come un fiume e non dividerci in canali per portare acqua ai pascoli. Non è forse vero che dobbiamo tenerci uniti e mormorare? Forse potremo, quando saremo molto vecchi, forse una volta, proprio alla fine, cedere, ampliarci e sfociare in un delta...”. Mentre io annoto queste parti, mi viene d'un tratto in mente, in una forma cristallina come mai prima d'ora: Fra qualche tempo partirò per la Russia, come inviata dell'Europa, e poi viaggerò per tornare in Europa, come inviata della Russia. L'Europa sono io stessa, risiede in me; in futuro userò tutta la mia coscienza, il mio sapere e la mia intuizione per esplorare la Russia e raccontare poi com'è all'Europa. Credo che a lungo andare il mio percorso sfocerà lì, che tutto quello che io raccolgo in me stessa e le cose attorno a cui raggrumo me stessa, tutto contribuirà a creare le condizioni perché io possa comprendere quel paese, assorbirlo in me e dare forma alle esperienze che farò là (FRASE RUSSA) Chi potrà dirlo? Devo ancora annotare quella conversazione di giovedì mattina con S. Esito sempre un po' a descrivere ogni colloquio così pregno di significato, perché non sono ancora in grado di renderlo in parole. Ma devo comunque provare ad annotarlo brevemente, come un piccolo punto d'appoggio, un osservatorio da cui vedere la strada delineata più chiaramente in futuro, più in là, quando avrò tempo. Mi piacerebbe, per esempio, riportare anche Rilke in Russia. Lui ha infatti avuto sempre nostalgia di quel paese. E porterò i russi in Europa, diventerò una figura intermediaria tra due mondi che hanno comunque molti punti in comune. Ma prima, devo ancora imparare così tanto e maturare e capire.

Le cinque e mezzo di pomeriggio Per favore, per favore, non voglio prendere una vera influenza. Mi sento strana e stordita oltre ogni dire. Ma lunedì dovrò essere di nuovo completamente in forma altrimenti non verrà fuori nulla dalla mia “finta panna montata”, dal mio giorno con S. e dalla mia notte da Liesl e Werner, il tutto seguito da una post-vacanza con Liesl martedì mattina. Non so se sia la cosa giusta da fare, ma oggi comincio con il digiunare: in questo modo si ottiene una bella sensazione di pulito dentro, e poi presto a letto. Domattina Stella, per quella che sembra prospettarsi come una questione eccitante, vista la recente opposizione paterna; non pare proprio che io riesca a limitarmi alle mie lezioni di russo, devo sempre occuparmi dei miei allievi anche dal punto di vista psicologico. Poi, di pomeriggio, Lout, la cui conversazione speriamo non sia diventata 1 quello che di solito è l'emblema di un gentleman inglese, come mi è apparso quando l'ho incontrato per strada, con il suo rigido cappello nero e la cravatta di seta bianca. Terribilmente bello! Quanto siamo diventati diversi noi due, anche se si poteva prevederlo fin dall'inizio! E non voglio, non voglio davvero prendere l'influenza. Sto già pregustando il prossimo lunedì. Sì, anch'io! 5 aprile [1942], domenica mattina, le nove e mezzo Quando ieri sera sono andata a dormire, alle dieci, fuori era quasi totalmente buio. Solo i miei due alberi erano ancora visibili, mentre si arrampicavano in cielo come due sentieri dritti e verticali, due segnaposti in un paesaggio scuro. Oggi porterò ancora avanti con energia la battaglia contro l'“influenza”, solo il mio stomaco e la mia testa sono ancora “strani”. Contro la malattia bisogna combattere reagendo il più passivamente possibile, facendosi il più piccoli possibile. Sto vivendo un po' così, chiusa in me stessa, affrontando con mitezza le insidie della vita, e desidero che tutto sia passato entro domani. Fuori: pioggia, grigio, freddo. Ieri sera. Sulla mia scrivania c'erano bianchi narcisi che illuminavano come stelle lucenti la mia marocchina nerissima. Ho ricevuto dal fiorista un piccolo mazzo di bucaneve, i quali adesso mi stanno davanti in una piccola tazza color verde scuro, tremanti nella fredda mattina domenicale. In un vaso di terracotta marrone, sul tavolino bianco rotondo, c'è un grande mazzo di ramoscelli, con degli amenti e altri tipi di infiorescenze di cui non conosco il nome, e, se guardo quei rami, mi pare proprio un bosco nel quale ci si potrebbe addentrare, avanzando in profondità. I ramoscelli si piegano sulle Cattedrali gotiche, sugli Impressionisti, su Goya e Vincent, il “cercatore” del sole. Han sta ancora dormendo, là, lontano alle mie spalle, e respira tranquillo sotto la coperta blu del divano. Vivo ormai da tre anni in questa camera e sono grata per ogni giorno che posso viverci e lavorarci. Ho letto ancora un po' Rilke ieri sera. Quando lo leggi, non ricordi sempre i dettagli, ma è come se diventassi interiormente sempre più attenta. È come se tutto quello che ti giunge dall'esterno dovesse essere guardato e affrontato con molta più attenzione, come non hai mai fatto prima; ma anche tutto quello che s'innalza da dentro dev'essere ascoltato con maggiore attenzione, sempre più attentamente e seriamente. Quando scrisse le lettere che sto leggendo adesso, aveva ventotto anni. E talvolta mi viene in mente d'un tratto - anch'io ho ventotto anni - già, ventotto anni. È un numero che mi spaventa ancora un po', non so perché. Non ho ancora del tutto accettato quest'età e a volte dico agli altri di avere ventisette anni, sorprendendomi di quanto riesca a essere infantile! Ventotto: lo trovo un numero tanto cupo e greve. Ma no, scema! Com'è andata quella conversazione, giovedì mattina? Nel momento in cui stava dicendo una cosa o l'altra, e le sue mani grandi e buone scivolavano lungo le mie cosce nude, io ho detto: Sai, di recente ho pensato che tu per me, in fondo, sei un estraneo. E lui allora mi ha guardata un po' sorpreso e mi ha chiesto: Ma lo pensa davvero? forse perché non ci siamo ancora mai visti nudi? Io non ho affatto 1 Non è impossibile che ci sia scritto e venga inteso il contrario, ovvero: “speriamo sia diventata proprio...” [N. d. C.].

questa sensazione. Per lui tutto è una cosa sola, più che per gli altri, ormai non riesce a separare il fisico dallo spirituale, e io sento una tale vicinanza e intimità con quell'uomo, proprio perché la sua vita è tanto più coerente della mia. E gli ho detto che avevo un po' paura di un contatto fisico completo, perché lo volevo solo se il corpo diventava espressione dell'anima; che era quella la ragione per cui ero così distante e riservata la sera dell'haute sauterne; che avevo avuto la sensazione che fosse solo sensualità e che al mio posto poteva benissimo esserci un'altra donna. A quel punto lui si è fatto molto serio e ha detto che non era assolutamente così, che ero stata solo io a eccitarlo. Va bene così, insomma, ecc., eppure mi rendo conto, mentre scrivo, che non ho nessuna pazienza nel registrare questo episodio, perché non riesco ad afferrarne l'essenziale. Nel prosieguo della conversazione si è detto in sostanza quanto segue: è molto probabile che fra noi, in un rapporto sessuale completo, vengano a galla ignote sensazioni ed emozioni, o addirittura che si formino dei contrasti. Ma lui sarebbe pronto ad affrontare eventuali conseguenze. Ha poi aggiunto che io rimarrei comunque sempre uguale per lui, anche se quest'operazione uomo-donna non rappresenterebbe un gran successo; lui non prende tutto ciò troppo sul serio, non è di certo la sua priorità. No, non riesco ancora a catturare nelle parole il valore e il significato pieno della nostra discussione. So soltanto che lo amo, ogni giorno di più, e che con lui io maturo e divento una persona vera e adulta. Un po' di più ogni giorno. Prima di addormentarmi, ieri sera, mi sono chiesta se non stia vivendo in modo imprudente. A Londra c'è una donna che lui vuole sposare. La mia vita interiore è libera e indipendente da lui, e continuo a sostenere che andrò per la mia strada nel mondo, ma riuscirò a vivere ancora quando non sarò più toccata dal calore dei raggi che emanano dal centro del suo essere? Mentre riflettevo tutta concentrata su questo, ieri sera, a letto, poco prima di addormentarmi, mi sembrava di non poter più vivere così; d'un tratto avevo la faccia inondata di lacrime, e un peso di piombo sul petto. E tutto questo solo al pensiero che un giorno lui possa andare a vivere molto lontano da me. E mi sono detta che sto davvero vivendo in maniera pericolosa: cresco accanto a lui, ogni giorno di più, e c'è davvero qualcosa di imprudente in tutto questo. Ah, no, tutto va bene. E c'è dell'altro: in tutte le relazioni che ho avuto in questa mia giovane vita pienissima, dopo la fine di un periodo più o meno breve, ho sempre ripensato con una certa nostalgia all'inizio, agli avventurosi, freschi e promettenti inizi di una relazione, e mi sono detta: Peccato che non sia più come all'inizio, non sarà più così bello. E adesso, con S., è esattamente il contrario. In ogni nuova fase della nostra relazione, mi guardo indietro e penso: il legame tra di noi non è mai stato così profondo e forte com'è adesso. Ogni passo in avanti sembra guadagnare in intensità, e le fasi precedenti sembrano impallidire al confronto di quelle successive, a ogni istante la relazione diventa tanto più eterogenea, colorata, stimolante e interiorizzata. Una volta ho detto - dopo il 3 febbraio, quando lo conoscevo ormai da un anno -, e lo ripeto da un anno a questa parte: Credo che un ulteriore accrescimento sia praticamente impossibile. Invece c'è stato un accrescimento, per cui all'improvviso un pezzetto arido del campo della nostra amicizia ha iniziato a fiorire. È da tanto tempo, ormai, che ho smesso di dire: non potrà esserci più alcun miglioramento. In noi è possibile ancora ogni tipo di crescita, in tutte le direzioni. E questo dipende anche dal fatto che noi due possediamo energie in abbondanza, perché abbiamo quasi le stesse priorità, siamo aperti - lo siamo ogni giorno di nuovo - l'uno per l'altra e per l'intero mondo esterno. Perché non abbiamo pretese sugli altri; perché entrambi conosciamo tanto bene l'arte del godere delle piccole cose quotidiane e crediamo in Dio alla stessa maniera; perché ogni tanto siamo innamorati l'uno dell'altra e lo accettiamo come un dono ulteriore, come un qualcosa di più, senza renderlo il cuore della nostra relazione. E io imparo da lui ogni giorno e lui vuole tanto istruire; io chiedo continuamente e la sua risposta è sempre pronta. Han mi ha appena chiesto, con una voce mezzo assonnata, rivolgendosi alla mia schiena scrivente: Allora, stai di nuovo annotando i tuoi sogni? Raccontami un po' cos'hai sognato. Aveva il sottotono ironico di sempre, e io gli ho detto: Mi sento lusingata da tanto interessamento la mattina presto. E

adesso andrò a preparare la pappa d'avena per questo buon uomo. Ho riconquistato la giusta attitudine nei confronti di Han e anche i miei sensi di colpa sono spariti. E lo amo adesso nel modo giusto per la relazione che abbiamo e che è cresciuta in tanti anni, senza portarvi alcun elemento forzato che nasca da sensi di colpa. A volte chiedo: Mio Dio, cosa ho fatto per meritarmi una vita tanto buona, bella e ricca? Ecco perché sono anche la tua creatura più felice su questa terra! Di pomeriggio, le due Adesso i rametti di salice e ontano e i piccoli narcisi bianchi hanno un po' di compagnia. La mia piccola allieva orientale nerissima è arrivata stamattina con magnifici, spogli rami di castagno nei quali deve ancora sbocciare ogni vita: ora sono in un angolo sul pavimento e gettano un'ombra dei loro rami lisci e forti sulla carta da parati bianca. E un pezzetto di primavera è appena arrivato a rallegrare questo pomeriggio piovoso con un biglietto scritto con la tanto familiare e cara calligrafia: “Affinché lei non mi dimentichi del tutto e sappia che è Pesach”; giacinti, rossi, viola, gialli, rosa, bianchi, raccolti in un nastro verde. Stanno lì a festeggiare la primavera, troneggianti al centro del tavolino bianco, e i rametti di salice e ontano, nell'angolo della stanza, stanno allargando le loro ampie braccia verso quella pila di vecchi libri decorativi. Devo improvvisamente pensare che, dal momento in cui è entrato nella mia vita un uomo massiccio e inelegante di circa cinquant'anni, che già comincia a diventare calvo, i suoi fiori hanno giocato un ruolo tanto essenziale nelle mie giornate. Mercoledì pomeriggio [8 aprile 1942], le nove e mezzo Ho afferrato d'un tratto questo quaderno con un gesto inconsulto, tra la trascrizione di un paio di lettere e un forte mal di testa. Un tale desiderio di annotare qualche parola! Con una sensazione di questo genere: qui, su queste pagine, io sto tessendo con un unico lungo filo. E infatti un'unica linea di continuità, che costituisce il mio autentico mondo, sta scorrendo nella mia vita come un'ininterrotta via, ma non so come devo formulare tutto questo. Il Vangelo di Matteo è lì per me, mattina e sera, e anche le poche parole che scrivo ogni tanto su questo quaderno. O meglio: in realtà non si tratta neanche delle parole imperfette su queste righine blu, ma della sensazione di tornare sempre al medesimo punto, là dove si insiste a tessere un unico filo, dove si crea una continuità che forma la vera vita. E in generale: c'è un crescente desiderio di raccogliersi con sempre maggiore concentrazione attorno al proprio centro; il bisogno di molto raccoglimento, di lavoro disciplinato e l'incessante esigenza di dare forma. Sto scrivendo questo solo perché sono influenzata dalle lettere di Rilke? O forse esse mi toccano tanto, talmente tanto che vivo nel costante desiderio di leggerle, le bevo, per così dire, a grandi sorsi, perché mi sento nella stessa fase da lui descritta nelle lettere del 1903 o 1904? Continuo a perdere troppo tempo, non mi concentro a sufficienza, sono ancora troppo trasandata, in genere. A volte, la tentazione di inginocchiarmi attraversa il mio corpo come un'onda, un bisogno che è quasi irresistibile, e la testa diventa tanto pesante, così pesante, credo, per la devozione e il desiderio che l'onda mi sommerga. E adesso devo ancora trascrivere la lettera di S. per Mischa; gli sono molto grata, per quella lettera. S. sta entrando con tanta risolutezza nella vita di Mischa che mio fratello, a lungo andare, non potrà più “scacciarlo” e forse un giorno troverà in lui un sostegno, in uno dei momenti disperati della sua esistenza troppo difficile. S. non lascia mai che le cose accadano casualmente. In qualche modo lui riesce a diventare qualcosa di “fatale” in una vita. Giovedì mattina [9 aprile 1942], le dieci Stamattina presto mi sono d'un tratto inginocchiata sul tappeto della sala, tra le briciole. E se dovessi riportare quello che ho detto nelle mie preghiere, ne verrebbe fuori qualcosa del genere: Oh, Signore, questo giorno, proprio questo giorno, mi sembra così pesante. Fa' che io riesca a sopportarlo nel modo migliore fino alla sua conclusione, nella moltitudine dei giorni. Questo giorno

non sarà forse più pesante degli altri, ma la mia forza di sopportazione non è così grande. E poi c'è anche la tensione e l'incertezza riguardo alla convocazione di S. da parte di Lippmann e Rosenthal. Ma, Dio, fa' in modo che io non sprechi neanche un piccolo atomo della mia forza per la paura e l'ansia, che io preservi tutte le energie per portare a termine questo giorno. Sul terreno dell'IJsclub si stanno già esercitando dei soldati tedeschi. E così ho chiesto: Dio, lascia che io non disperda la forza, neanche un briciolo di forza, per l'odio, l'inutile odio nei confronti di questi soldati. Conserverò la mia forza per cose migliori. In realtà non si dovrebbero prendere così tante aspirine, anche in caso di forti mal di testa. Perché non si dovrebbe sopportare anche il mal di testa?, ho pensato stamattina. Sento la testa e il cuore tanto pesanti, pesanti come un macigno, come se fossi incinta di qualcosa ma non sapessi di che cosa. O si tratta solo di quella mezza dozzina di aspirine? 13 aprile [1942]. Lunedì mattina, le otto e mezzo Stamattina mi sono imbattuta in queste parole in Matteo: “E sarete trascinati davanti a governatori e re”, ecc. E poi: “Ma quando sarete arrestati, non preoccupatevi di quel che dovrete dire e di come dirlo. In quel momento Dio ve lo suggerirà”. Domani consegnerò a S. queste parole, prima che vada da L [ippmann] e R[osenthal] Che io stessa non abbia paura o ansia, in tempi come questi, dipende forse anche dal fatto che io non colgo ancora bene la realtà, che ne vivo un'altra; ma proprio di ciò bisogna tener conto. Ho mille cose da scrivere. Ma di tutte queste posso forse lasciarne perdere 999. Mi chiedo se non sto vivendo troppe esperienze. Questo spiegherebbe forse l'estemporaneo scoppio nei confronti di S., giovedì sera, quando ho gridato: Se potessi fare quello che voglio, afferrerei tranquillamente una valigia e andrei a sotterrarmi in un villaggio di pescatori sul mare. Da giorni ero infatti affamata di silenzio e solitudine. Ma è come se tutto questo fosse stato “cancellato” in quella sala di teatro vuota, spoglia, fredda, dove sono rimasta a sedere per circa sette ore di fila, e dove mi sono un po' guardata attorno, in quella gabbia di matti dove non fanno che provare. Rilke. Sto leggendo le sue lettere. Ogni giorno trovava nuove parole, buone e affettuose per il mondo della natura e degli uomini. Ogni giorno, per così dire, trovava nuovi vezzeggiativi e gesti amichevoli, per l'aria, la pioggia, il sole, per le “cose”. Eppure non era un uomo avvezzo a lagnarsi con i fiorellini e gli uccellini, ha sempre lavorato e duramente. Perché mai non si dovrebbero trovare ogni giorno nuove parole e vezzeggiativi per le cose quotidiane che ci circondano e per l'aria che respiriamo? A volte mi prende la sensazione febbrile di dover descrivere tutto, tutto quello che vivo, nel mio “diario”, perché sarebbe davvero un peccato, Dio ce ne guardi, se un dettaglio interessante andasse perduto. Ma mi devo togliere una cosa simile dalla testa, una volta per tutte. La maggior parte delle cose può essere tralasciata. Riguardo al mio desiderio romantico di andare in quel villaggio di pescatori, S. ha detto, molto oggettivo e illuminante: Sì, hai vissuto in maniera troppo esuberante negli ultimi tempi e adesso torna il desiderio dell'introversione. In realtà non dovresti arrivare a questo punto. E infatti, negli ultimi giorni, è stato proprio così: al mattino mi sentivo bene solo quando leggevo la Bibbia, oppure Rilke, e in compagnia di queste righine. In quei giorni avevo la sensazione che, a un certo punto, mi sarei svegliata nel cuore della notte e avrei scritto un libro. Ma anche la sensazione di essere incinta, incinta spiritualmente, e avrei desiderato mettere al mondo qualcosa. Un desiderio di silenzio. Ora il silenzio è tornato da me e io lo porto con me, continuamente. Devo dirlo a Liesl che afferma di sentirsi bene solo nella natura. Bisogna portare la natura dentro di sé, si può viverla in un fiore, in una nuvola, in una sensazione che ti scorre nelle vene. Una persona può racchiudere tutto in se stessa e portarselo dentro. È possibile. Ma non si possono sempre inseguire le cose, e non bisogna neanche esserne dipendenti. È passata soltanto una settimana da quando ho dormito nelle sue braccia, per un'oretta, e un unico respiro ci ha attraversati entrambi? Non lo vedo da tre giorni e mi sembra che sia passato tanto, tanto tempo. Il mio giacinto inizia ad avvizzire dopo aver avuto, anche quel giacinto, una vita

estremamente esuberante. Adesso rielaborerò alcune annotazioni per lui, dopo andrò a comprare una batteria e gliela lascerò sul tavolo, insieme a un paio di fiori e di parole: “Sarò di nuovo una brava segretaria”. Forse nell'ultima settimana ho vissuto in modo troppo indisciplinato e sono stata un po' negligente con il lavoro per lui. Ma ora che sono di nuovo totalmente raccolta attorno al mio centro, torno a essere a sua disposizione, sempre pronta per lui, ecc. 15 aprile [1942], mercoledì mattina, le otto e mezzo Un grido di gioia, un impetuoso grido di primavera! Ho goduto della sua bocca e bevuto dalla sorgente dei suoi respiri. È tornato. Come bambini esuberanti, ultimamente saltelliamo lungo la riva soleggiata: così tanto amore, tanto calore e anche una grande gioia infantile. Ci sarebbe tanto da registrare; ma, insomma, i fatti non contano. Ragazzina, negli ultimi tempi stai andando di nuovo a letto tardi: finirà male. Ho vissuto e vissuto soltanto, negli ultimi giorni, in questa primavera, con quel viso caro e buono attorno a me. Eppure ho avuto tanta attenzione anche per molti altri volti cari. Non è stato un nutrimento fisico quello degli ultimi giorni, infatti quasi non c'è stato contatto fisico, piuttosto un intenso assaporare le promesse del futuro. Nel mio armadio c'è ancora quello scampolo di tessuto zingaresco. Con la supervisione di Liesl ne farò fare un vestito, aperto da tutti i lati per prendere il sole, il vento e le sue carezze. E poi d'estate, una brughiera e io, in quel vestito zingaresco, con le gambe nude abbronzate e i capelli da zingara al vento, e poi una piccola fattoria con una veranda dal soffitto basso, e il profumo delle mele e una veduta notturna di quella brughiera. Tutto questo verrà. Ieri mattina, Lippmann e Rosenthal. Derubati e perseguitati, e allora? Tanta felicità, felicità interiore, più di quella che il pallido, nervoso funzionario predatore possa mai immaginare. E c'è davvero la sensazione di disporre appieno delle proprie forze, di una continua crescita delle energie e dell'amore, non solo per un uomo, per un insignificante uomo, ma realmente per tutti quelli con cui ci si trova a vivere. Ancora mille cose da scrivere, ma voglio continuare a leggere per un po' il mio buon Matteo, e poi, dopo colazione, la conversazione di russo, nel pomeriggio quel freudiano e Leonie, poi forse di nuovo Liesl e, di sera, da S. per lavorare un po'. Mi sono dissetata con il suo respiro. Di pomeriggio, le cinque A volte penso di vivere troppe cose, mi sembra quindi di non rendere giustizia a ciò che mi circonda, sicché molti tesori vanno perduti. Per esempio, la conversazione con Liesl, martedì mattina, o meglio, quel suo monologo interiore sulla sua giovinezza, ormai una settimana fa. Dovrei rielaborarla in me e renderla produttiva. Ho avuto la sensazione che fosse materiale con cui poter vivere per settimane. Poi ho vissuto altre mille cose nuove e alle volte temo di perdere alcuni momenti e di non essere abbastanza ricettiva. O forse è proprio così? (è appena arrivata Leonie, ora smetto di scrivere). Adesso sono le undici e mezzo di notte e io mi trovo nel letto che un tempo chiamavo il nostro “ampio rifugio dell'amore”. Han si è appena tolto la camicia, e ancora una volta io mi stendo, immersa completamente nella serenità e nell'amicizia, accanto al suo corpo familiare. Ho appena preso commiato, per una notte, dai miei due alberi, quei due pugnali rivolti verso il cielo stellato, con commozione. Poco più di una mezz'ora fa ero da S. Abbiamo lavorato e parlato alla luce della piccola lampada, e c'è stato un unico, misurato gesto d'affetto. Oggi pomeriggio, durante il sesto capitolo, ho guardato la sua bocca espressiva e le ho sussurrato: Stanotte sarai il boccale da cui io berrò il suo respiro. Il modo in cui lui ha parlato del suo lavoro! Ho proprio avuto la sensazione di stare accanto a una sorgente della vita. Sedevo vicino alla fonte da cui zampillavano le mie forze. Lo amo così tanto, davvero. Stasera ero seduta sul pavimento accanto alle sue gambe e lui ha abbassato, pensoso, lo sguardo verso di me, dicendo: Insomma, come stai vivendo adesso, non è difficile per una ragazza come te, che era comunque abituata a vivere con gli uomini? E, tra le altre cose, ha aggiunto: Diciotto mesi fa non potevo certo immaginare che avrei lasciato vivere una ragazza come te nel modo in cui stai vivendo tu; avrei considerato un peccato (o una cosa del

genere) non andare a letto con lei. E adesso mi ammiro e mi sorprendo di come sono diventato. D'altronde, se così non fosse, non potrei neanche lavorare con l'intensità con cui lavoro ora. E io ho detto: Ho pieno rispetto per il modo in cui vivi e anche una grande considerazione. E, tra l'altro, ho aggiunto: Una persona acquisisce sempre più pazienza. Il contatto fisico mi pare spesso una forzatura. Di una sola tua carezza posso vivere per lungo, lungo tempo. E così via. E adesso sono stesa qui, accanto a Han, la mia gamba nuda tra le sue cosce, e guardo il suo profilo e i suoi occhi chiusi: sul suo viso si vede un'espressione di attesa, mi è tanto familiare e io lo sento vicino. E so anche questo: adesso ho la pazienza di aspettare quell'unica carezza di S., indispensabile per la mia vita, ma tale pazienza la devo a Han. Grazie alla convivenza ininterrotta con lui per alcuni anni, è nata una sorta di assuefazione nel mio corpo, e molto è stato vissuto fino in fondo. E devo ringraziare le sue mani carezzevoli, che erano sempre con me. Han assume un posto sempre più organico nella mia vita sentimentale, e io comincio a vedere e a comprendere sempre meglio il legame tra il passato e il presente, e il ruolo essenziale che lui ha giocato in tutto questo. Un po' di tempo fa era molto più difficile, spesso e volentieri lui mi irritava, ma anche questo è finito. Anch'io lo amo, ma per il momento c'è qualcosa di chiuso nella nostra relazione, non ci sono nuove possibilità di sviluppo. Ma eccomi qua, stesa accanto a lui: mi stendo accanto a lui in un vero, sincero affetto e mi rivolgo al suo profilo in attesa, per capire se mi vorrà anche stanotte, e io sono pronta anche a questo; non per me, ma per lui e per l'idea che lui ne abbia diritto, ma anche per un sincero sentimento di amicizia. E S.? Mi sono dissetata del suo respiro, bevendo dal calice della sua bocca, e forse questa è stata la prima volta nella mia vita che ho davvero baciato un uomo. La mattina seguente [16 aprile 1942], le nove, presso il mio giacinto afflosciato sulla veranda Non sono stata ovviamente del tutto sincera, quando ho scritto che mi concedo a lui per genuina amicizia, perché trovo che ne abbia diritto sulla base della nostra relazione che dura da anni: suona così nobile se lo dico. E l'intenzione è nobile. Ma, da parte mia, non si tratta solo di un dare per un sentimento di amicizia; è anche un “prendere” per “piacere”. Corpi che si conoscono da tanto tempo, di notte cominciano a muoversi secondo leggi e ritmi propri. E adesso sono le nove di mattina e spero di trascorrere una giornata di lavoro lunga e costruttiva su questa veranda. Forse questo è l'unico modo giusto di baciare un uomo: non solo per sensualità, ma anche per il desiderio di respirare, un momento, da una sola bocca. Che un solo respiro attraversi entrambi. E con S. questa è la prima volta che ho un'esperienza simile, e da allora Han lo bacio solo in modo platonico. Già, i corpi hanno le loro proprie leggi. Quel Lunedì di Pasqua, ormai una settimana fa. La mattina presto ero distesa nel letto di Han e le sue mani carezzevoli mi erano vicine e familiari. Forse però nel sottofondo c'era anche il pensiero meno nobile: se mi concedo a lui adesso, avrà voglia di cominciare bene la giornata, e forse si comporterà meglio quando starò via tutto il giorno. Ma un simile pensiero, che in realtà è molto grossolano e opportunista, non assume mai una grande rilevanza dentro di me e così non finisce con il dominare il comportamento, l'elemento umano, invece, rimane invariabilmente quello decisivo. Homo sum. Mi ricordo che alla fine di una giornata in cui era contenuta una vita intera, mentre me ne stavo distesa sul lettino di Renate, alle due di notte, ero sorpresa di me stessa, forse anche, per un verso o per l'altro, commossa, e mi chiedevo: che tipo di persona sei, veramente? Alle undici e mezzo, quella mattina di Pasqua, sono andata da S. Pranzo, intensità, calore. E dopo aver mangiato a quel tavolino accanto al davanzale con i fiori lussureggianti - lui come un buon patriarca, ma con lo sguardo raggiante di un innamorato, nella sua grande poltrona -, abbiamo riposato insieme sul largo divano. E così, in quell'oretta, abbiamo condiviso un solo respiro, come desideravo da settimane. Ho riposato tra le sue braccia con grande confidenza e con grande trasporto, eppure anche piena di tensione sensuale. Ma soprattutto c'era quell'unico respiro condiviso. E in quell'oretta una grandissima forza ha percorso le mie vene, tanto che ho pensato di poterne vivere molto a lungo. Una passeggiata di alcune ore lungo una strada fuori mano: un piccolo ruscello, salici e prati, e in

lontananza la città; le sue mani gesticolanti e il suo viso espressivo. E durante quella passeggiata, siamo passati accanto a una casa bassa e larga, di un'altra epoca, e quella casa ha acquisito un proprio volto e sembrava cercarmi. Intendo solo sottolineare il contatto con le cose che mi circondano, il sentirsi fusi con una parte della natura in cui si cammina; una bassa vecchia casa che improvvisamente ti mostra un volto e che per te comincia a vivere. Rilke. Le “cose”. E di sera quella cenetta in tre: i miei due amici, S. e Han, e piselli e uova a occhio di bue e “finta panna montata”. E una ragazza eccitata che saltellava in cucina tra le pentole, ma tutto è andato meravigliosamente bene! E dopo la cena, lui mi ha anche dettato quella lettera per Mischa. Alle nove e mezzo dai Levie. Era la prima volta insieme, e poi è cominciata una nuova fase di vita che è proseguita fino alle due di notte. La lotta contro il fumo di Werner. E quando - credo che fosse intorno a mezzanotte e mezzo e c'era stata una discussione - gli ho sottratto la sua ennesima sigaretta, mi è saltato addosso come un piccolo zingaro nero e delirante e, con suo stupore, io l'ho “buttato a terra”. Poi una selvaggia lotta sul pavimento, e Liesl che guardava con un'espressione filosofica. La mattina dopo, a colazione, Werner ha detto: Mi sento mezzo morto, ma sano. Dopo di che, ha fumato meno per due giorni, come ha raccontato Liesl a S. in un secondo momento, dicendo anche che aveva avuto un piccolo shock per quella lotta, che aveva improvvisamente capito quanto il suo fisico si fosse indebolito negli ultimi tempi. E pensa che questo sia dovuto al fumo. Ieri pomeriggio, quando mi ha letto qualcosa di Mosè Maimonide, gli ho detto schiettamente: Non ha alcuna importanza leggere simili cose edificanti, leggere Maimonide e voler costruire un mondo migliore dopo la guerra, quando invece sistematicamente, come se non si potesse fare altrimenti, ti avveleni e distruggi con chissà quanti pacchetti di sigarette al giorno! E le cose stanno davvero così. Se anche il più piccolo dettaglio nella tua vita non mira all'armonia con le idee più alte che professi, allora quelle idee non hanno alcun senso. Il mio piccolo buon papà, l'altro ieri sera, ha detto: Di questi tempi, bisognerebbe essere grati ogni giorno che splende il sole e non si è imprigionati. E ha aggiunto, un po' mestamente e con ironia: Sì, lo dico ogni giorno agli altri. Non ce la fa davvero più. Ci sono troppi detriti accumulati nella sua “sorgente originaria”, detriti che non si possono spazzare via quando si hanno sessant'anni. Ma è importante aiutare già adesso gli altri, affinché non siano così tristi quando avranno sessant'anni. A Deventer si vive come le mucche, ha detto papà, si pensa solo a mangiare e in più siamo schiavi di quella grande casa. E mamma, il pomeriggio, rivolgendosi a me: A Deventer sono una (FRASE RUSSA), “una persona morta”, e allora non mi restano energie per qualcosa che non sia la cura della casa. E questo è il modo in cui vivono. Non mi lascio più andare in pezzi per una compassione autodistruttiva, unita a sensi di colpa, ogni volta che vedo i miei genitori o penso a loro. Sono consapevole della loro vita, ma è la loro vita, maturata così negli anni, io non posso cambiare molto di questo stile, posso solo continuare ad amarli e andare avanti con la mia esistenza. Molto è cambiato nella mia relazione interiore con i miei genitori, molti legami stretti si sono rotti, e con questo si sono liberate molte energie per amarli davvero. Sì, quel Lunedì, quel Lunedì di Pasqua. Liesl e Werner, alle due di notte, come due monelli di strada parigini seduti sul bordo dei loro improvvisati letti da zingari nella sala. E io sul letto di Renate: ho tolto il cartone di oscuramento dalla finestra e improvvisamente sono apparse alcune stelle all'altro capo del letto. Non erano le stesse stelle che vedo davanti alla mia finestra, ma ho avuto comunque un contatto con loro e d'un tratto mi ha invasa la sensazione rassicurante che, in qualunque posto del mondo io mi trovi, mi sarà possibile osservare le stelle e lasciarmi cadere su un letto, o sul pavimento o chissà dove, e sentirmi a casa, dovunque. E in questo ricco, davvero ricco, Lunedì di Pasqua i due momenti più essenziali sono stati forse: la casa che mi mostrava un proprio volto e le due stelle alle due di notte, all'altro capo del lettino di Renate. Adesso devo però mettermi a lavorare, una buona volta. 17 aprile [1942], venerdì mattina, le nove Che tipo, mio Dio! E come salta su quel divano! Deve essere una russa. Una cosa simile non la

facciamo qui in Olanda: un enfant terrible. Sono ancora troppo assillata da queste parole. Stamattina presto ho pregato: Signore, liberami dalle piccole vanità. Prendono troppo spazio interiore e io so benissimo che le cose importanti sono ben altre, non certo l'essere considerata carina e affascinante dai miei simili. Quello che voglio dire è che queste cose non possono occupare troppo spazio nella tua attenzione e immaginazione, perché rischi di perderti in considerazioni come queste: quanto sono carina e spiritosa, e quanto piaccio a tutti. In passato facevo il clown per una sorta di forzatura e mi sentivo estremamente infelice. Adesso, ogni tanto sono esuberante e solo per un eccesso di energia, e proprio nei giorni in cui interiormente sono più seria e concentrata; in quei momenti si sprigiona d'un tratto un'esuberanza infantile da sorgenti nascoste, che confina con il fare la buffona. Ma quando ti rendi conto che agli altri piaci, ciò non deve occupare troppo spazio nella tua attenzione e immaginazione, non può carezzare troppo il tuo ego, perché il focus si sposterebbe di nuovo dalla vita interiore a quella esterna. Negli ultimi tempi stai vivendo davvero tanto dei piaceri esteriori, e proprio in simili momenti dovresti essere “più raccolta” e più serena che mai, altrimenti tutto si risolverà in vanità ed esteriorità. Stasera, dalle sei in poi, prove generali della Csárdásfürstin [La principessa della Ciarda], domani sera alla prima con S., a vedere la medesima Principessa, dopo che avremo mangiato insieme da Geiger. Domenica festeggeremo il compleanno di Adri da Krijn, e il pomeriggio faremo un po' di musica, mangeremo da lui e di sera balleremo, ecc. Il prossimo sabato è il compleanno di S. Mangeremo tutti insieme, in dodici, da Geiger, e poi andremo dai Levie. La domenica pomeriggio musica qui da noi, ed eventualmente la sera cena da Glassner. Sono tutti momenti di festa, ma possono occupare solo quello spazio che spetta loro. Non posso cominciare già a pensare: che vestito mi metto dai Levie e quanto sarò seducente mentre ballerò e quanto piacerò ancora a tutti. Ieri mi ha colpita questa frase di Rilke: “... per me dovrà venire un tempo in cui sarò solo con la mia esperienza interiore, le apparterrò e la trasformerò: perché tutto l'immutato urge in me e mi confonde”. Sì: appartenere alla propria esperienza interiore e trasformarla. È anche il mio grande desiderio. E bisogna portare in sé il proprio “vissuto”, metterlo al centro di spazi silenziosi e ascoltarlo. E tutto questo non è possibile se concedi troppa attenzione all'entusiasmo che dall'esterno investe la tua personcina. Essere in se stessi. Essere soltanto. Silenzio. Anche se sei circondata da una marea di persone. E nessuna vanità! 22 aprile [1942], mercoledì mattina, le dodici La mia risposta a quel biglietto di Tide: Bimba cara, ciò che ho trovato stamattina nella mia cassetta postale mi ha molto commosso. A intervalli regolari - ma con sempre maggiori pause - mi riassale il bisogno estremamente forte di isolarmi e di starmene per un bel po' totalmente da sola. Domenica mi è costato una grande fatica dover lasciare la mia scrivania e venire da voi. È molto egocentrico e asociale? Ho comunque goduto della buona atmosfera che voi sapete diffondere attorno, anche se io non ero del tutto con voi. Ma ieri sera mi sono comportata in maniera scandalosamente incontrollata, andandomene a leggere in un angolo. In questi tempi devo ancora trovare il coraggio di dire: “Starò a casa da sola e senza voi tutti per un pezzo”. Ma a volte si ha troppa paura di ferire gli altri, e invece ferisci molto di più se ti aggreghi agli altri mentre, interiormente, sei del tutto assente. Credo di aver vissuto di recente in modo troppo “estroverso” - per usare una volta questo impressionante termine specialistico - e la mia natura, che in realtà tende più all'introversione, ha subito una pressione. In ogni modo, non perdo più del tutto il mio equilibrio, come succedeva in passato. L'armonia interiore non mi abbandona più. Le tue parole di stamattina sono state molto dolci e mi hanno fatto bene, Tide. Ti abbraccio E stamattina presto, con una voce cara e tenera, S. mi ha detto al telefono: Non sarebbe bello, certo,

se adesso fossi ancora arrabbiato. Ma ieri sera sì, ieri sera ero furioso con lei. Per il momento il mio desiderio si concentra su questo: leggere tutto Rilke, ogni lettera, e assorbirlo in me, per poi espellerlo, dimenticarlo e vivere di nuovo della mia sostanza; capire quando vivo sotto la sua influenza e dove i suoi umori e i miei si incontrano; del resto, non è una questione di influenza. È quasi una febbre: ho la sensazione di essere sempre affamata della sua voce, che non mi basta, prima che si sia integrata in me ogni parola che lui abbia mai pronunciato. E poi dimenticare di nuovo. E vivere di nuovo della propria sostanza. Bisogna crescere continuamente verso questo traguardo: vivere del proprio essere. Per far ciò bisogna ogni volta dimenticare tutto, tutto quello che in passato si è assorbito e letto e sentito da altri. E credo che dovrò stare ancora molto, molto tempo da sola, anche mesi, e se ne vengo fuori bene, quando troverò il coraggio di essere sola con me stessa a lungo, cercando dentro ciò che non è stato appreso dall'esterno, solo allora forse potrò dire di essere davvero nata. Di sera, le otto Oggi pomeriggio, nella sua camera piena di sole, ho gettato le mie braccia da bambina attorno al suo collo estivo, e ho premuto il mio volto da bambina contro la sua testa, buona e solida, che irraggiava così tanta tenerezza e dolcezza, dicendogli: Ti voglio bene, un bene da morire. Ogni tanto lui riesce a emanare una tale ampia, radiosa bontà che vorrei inginocchiarmi, perché una simile commozione non può esprimersi neanche in un abbraccio. Lui mi ha raccontato come ieri sera gli sia stato necessario addirittura uno sforzo pari a una piccola battaglia, per non gridarmi durante la lezione: Esca dall'aula. Dopo di che ha detto a se stesso: Vedi come sei, uno non ti sta ad ascoltare e tu sei già offeso. Si è controllato ed è rimasto arrabbiato con me per un paio d'ore, per via del mio comportamento, ma poi tutto è finito. E ha detto: Che cosa ne sarebbe della mia teoria se non vivessi in base a quella, o una cosa del genere. Ama sdraiarsi sulla terra, direttamente a contatto con Madre terra. Un letto è comunque qualcosa di degenere. Io sogno così tanto la nostra comune brughiera. A volte me lo immagino addirittura come una zolla di terra. Un po' di tempo fa Leonie mi ha raccontato cosa aveva detto di S. una sua amica de L'Aia: È davvero un ladyman, uomo da donne, lo senti subito, appena ti tocca una mano, da lui emana un tale fluido... Che cosa significa: “un uomo da donne”? Anche questo mi pare un tale cliché. Credo che la maggior parte delle persone se ne farebbe un'idea distorta, e penserebbe più all'aspetto erotico e sessuale che ad altro. È un uomo da donne, è vero, ma nel senso che lui ha in sé qualcosa di femminile, probabilmente, qualcosa per cui le donne si recano da lui, come da Rilke, per rivelare i loro più profondi segreti. Può capire una donna proprio perché ha così tanto di femminile. In genere una donna rimane senza un rifugio per la sua anima, perché non può trovarlo presso gli uomini comuni. Negli uomini come lui, invece, l'“anima” trova un rifugio e una comprensione. In questo senso: un uomo da donne, certamente! Era la sera di sabato, La principessa della Czarda. La cosa più singolare accaduta quella sera: S. ha chiesto a Werner, il direttore di teatro sotto pressione la sera della prima, che era venuto a salutarci: Lei dunque sta leggendo Libido, simboli... di Jung, mi dica un po'... ma quel povero Werner si era già dileguato. Ebbene, questa sua continua preoccupazione, questo essere costantemente impegnato in qualcosa (attualmente con Mischa) - che si trovi in una sala di teatro o in qualunque altro luogo -, monterebbe in altri, in qualcuno di meno importante, fino a diventare un egocentrismo intollerabile, mentre in lui mi sembra sempre un segno di grande forza. E poi quella notte tropicale lungo la Stadionkade, con tutte quelle stelle sopra la nostra panchina. E più tardi la sua piccola lampada da tavolo. E la domanda: Qual è in realtà la differenza tra temperamento, passione e sensualità? Io posseggo tutt'e tre. Tra le altre cose, gli ho detto: Con te a volte ho la sensazione che se facciamo l'amore, questo sia qualcosa che tu hai già superato, che non ti appartiene più. A volte mi rattrista. E d'altro canto, ci sono ancora quei demoni nell'angolo in basso a destra della tua bocca. Se non ci fosse quella piccola curva demoniaca, su cui sembra

concentrarsi tutta la passione, avrebbe solo un viso buono e caro. E avrà sempre tenerezza da dare, sempre, fino a vecchiaia inoltrata; la sua passione è passata al lavoro mentre combatte ancora una battaglia titanica contro la sensualità, la sensualità sregolata. E io gli ho detto: Non vorrei un matrimonio che fosse diverso da com'è tra di noi adesso. Ognuno a casa propria, ognuno con la sua vita e con la sua strada, ogni giorno alla ricerca di un incontro, eppure sempre più internamente e intensamente legati, con un legame di cui l'uomo comune non ha alcuna idea. E poi abbiamo brevemente parlato dell'istinto di possesso che impedisce alla maggior parte delle persone di scegliere un matrimonio di questo tipo che offrirebbe, invece, molte più possibilità per un rinnovamento costante. Lui è davvero il cemento che salda i frammenti e gli amici del passato. Lui collega tutto, e attraverso le sue due piccole camere scorre il mio intero passato. Ogni volta trovo un frammento, lo raccolgo, glielo porto e improvvisamente esso entra a far parte di un tutto. Questo in riferimento a Pieter e Hanneke Starreveld, che sono spuntati d'un tratto dal tempo che fu: Pieter nel suo studio di consultazione, con la sua faccia incolore, antica e terrosa, e Hanneke con i suoi occhi incavati e fieri. E nella loro stanza, là sulla Stadionkade, assieme alle molte belle cose fatte con le mani, ho trovato inaspettatamente Jung e Rilke. Certe inezie possono apparire all'improvviso molto importanti, e cose che prima mi sembravano oscure ed enigmatiche diventano tutt'a un tratto semplici e chiare grazie a una sua sola parola o gesto. Ho sempre pensato di dover raccogliere tutte le sue parole e annotarle come “materiale” - materiale per Dio sa che cosa -, ma è molto meglio questo processo: le sue parole e le sue considerazioni vanno a vivere in me, fino a diventare parte di me; questo accade con sempre maggiore forza e ha più valore, credo, che registrare continuamente le sue espressioni. A volte penso di conoscerlo, di valutarlo e di capirlo appieno, ma ogni volta si ripresenta un momento, una parolina, un solo gesto, un'espressione del viso, per cui lui si fa per me ancora più chiaro. È un libro aperto che io leggo e rileggo, e ogni volta di nuovo sfoglio: ci sono sempre le stesse parole, ma io sto imparando sempre più a guardare dietro il loro significato. Leggo con sempre meno interruzioni e con più fiducia in lui, come non ho mai fatto con nessun libro. E così dev'essere una persona per te, e restare tale per tutta la vita: un libro che sfogli di continuo, nel quale, dietro le parole note, si spalancano orizzonti sempre più ampi. E adesso Han. Cosa devo fare con lui? Oggi pomeriggio Leonie, con un'espressione colpevole, ha detto: Vorrei parlarti al più presto; credo di essere stata molto sciocca nei tuoi confronti. S. ha detto: Vi lascio al vostro colloquio, sparisco per una decina di minuti. E non era davvero una piccola cosa, quella che mi ha confidato. Aveva chiesto a Han, indagando un po' nella mia vita privata: Bene, e cosa pensi della relazione tra Etty e S., che di certo non è solo platonica? Ma quando si è resa conto del viso sorpreso di Han, ha cominciato a fare marcia indietro terrorizzata e sembra che abbia salvato la situazione; perlomeno, lo spero. Al momento siede molto tranquillo con un sigaro e un giornale sulla veranda. E io ho detto qualcosa del tipo: Leonie, perché gravare un vecchio con delle cose che non potrebbe mai elaborare? Perché dovrei raccontargli cose che per lui sarebbero di capitale importanza e per me assolutamente no? L'onestà non consiste di certo nel raccontare tutto a tutti. Quello che conta è sentirsi responsabili l'uno per l'altro; e vivere la propria vita e non opprimere l'altro più di quanto sia necessario. E questo non significa condurre una vita frivola. Ecc. E adesso c'è così tanto da scrivere, ma non viene fuori nulla a causa di quella - mi scuso per il termine - fottuta pancia. Questa volta è davvero molto grave. E si spiega anche il mio comportamento di ieri sera: tutto a causa di quella pancia. La mia composizione chimica cambia improvvisamente, per cui io non mi sento più responsabile. Durante i giorni di circolazione sanguigna alterata, i processi più bizzarri fermentano in me. Ci sono anche momenti improvvisi di creatività, ma soprattutto la disperazione di non essere in grado di esprimere nulla di tutto ciò che, pur vago e incerto, sta accadendo in me. E scoprire che sto diventando comunque già vecchia e che ancora non ho né uno “strumento” né un “argomento”. Devo scendere nel profondo di me stessa, trascinarne fuori i blocchi di granito informi e forgiarli. Ma non ho ancora la forza per portarli fuori, non ho uno strumento per scolpire il granito. E adesso devo fare un po' di compiti, per la lezione di

Becker che mi attende domani. Questa lettera verde di Aimé è arrivata domenica, dopo che l'aveva lasciata stare per settimane. Sono stata molto contenta di riceverla; una tarda reazione alla sua visita da S., e anche qui si manifesta quella continuità per la quale la vita acquista senso e significato. Di sera, le undici Tipico che le nostre conversazioni telefoniche, che durano più di un'ora e mezzo alla fine della giornata, siano il contatto più intimo che io ho con lui. Allora ci sono solo le nostre voci, una convivenza di due voci. No, questo è espresso male. Stasera le sue parole erano di nuovo una mano calmante sulla mia testa. Ha detto: Non deve dipendere così dal suo corpo. Deve imparare a superare sempre più rapidamente questi stati d'animo. È quello che cerco di fare. Questo in riferimento alla mia pancia, che per alcuni giorni ha messo in scompiglio ogni cosa. E abbiamo parlato tanto, tanto. Eppure con lui non è mai un vanitoso ostentar parole. Ha sempre puntato alle cose serie dell'esistenza, e sempre senza pompa, così, normalmente come va avanti la vita. E le sue parole mi hanno anche fatto capire che non dovrei davvero pensare cose stupide come: sono già vecchia, ho ventotto anni e non sono ancora stata in grado di esprimere le cose che giacciono in me e che vogliono essere espresse. Bisognerebbe solo crescere e maturare e non pensare all'età. Forse non sarà così finché non avrò sessant'anni, quando potrò dire quello che voglio dire. Nella vita non bisogna sottrarsi a nulla, ma “confrontarsi” con tutte le futilità e le difficoltà e le tristezze, cercare sempre un contatto pieno con la vita, con tutto quello che ne fa parte, pur riuscendo a farselo scivolare addosso, e a sfuggire alla presa delle piccole cose. Qualcosa di molto diverso: a volte credo che potrei scrivere, descrivere, ma poi divento così stanca, improvvisamente, e penso: perché tutte quelle parole? Vorrei che ogni singola parola che mi trovo a scrivere fosse una nascita, davvero una nascita, che nessuna parola fosse artificiale; vorrei che ogni parola fosse essenziale, altrimenti non ha proprio alcun senso. Ed è per questa ragione che non potrò mai vivere della “scrittura” e invece dovrò sempre avere un altro lavoro parallelo per guadagnarmi la giornata. Ogni parola deve nascere da una necessità interiore: scrivere non può essere altro. 24 aprile [1942], venerdì mattina, le nove e mezzo Il volto di Eduard Veterman in mezzo a una folla di attori in una caffetteria: una luna gentile, amichevole, misteriosa che fluttuava sopra un paesaggio irrequieto. O un lampione, che spargeva una luce sfocata tutt'attorno. E mentre, piccola e perduta, me ne stavo al centro del grande palcoscenico, con il vuoto abisso sbadigliante dell'auditorium che si apriva minaccioso davanti a me, mi è venuto d'un tratto in mente il pensiero, indefinibile e strano, che alcune persone facciano dipendere tutta la loro vita dall'applauso dell'abisso sbadigliante. Ecco le impressioni più forti delle molte ore passate nel mondo del teatro. Non vi si trovano persone vere con cui si vorrebbe entrare in contatto. In quei giorni ho sperimentato il fatto che gli ultimi residui del mio snobismo sono spariti. Devo improvvisamente pensare a quando, forse all'età di quindici anni, sedevo nel piccolo studio di mio padre - che era disordinato e impersonale, come tutte le camere delle diverse case dove abbiamo vissuto -, pensando di voler scrivere. E mi ricordo ancora cosa scrissi allora: “Rosso, verde, nero. Attraverso le foglie di un albero verde vedo una ragazza con un vestito rosso brillante”. Ecc. Era l'unico modo in cui potevo esprimere tutte le forti sensazioni che avevo in me. Anche in seguito, su quel treno diretto a Parigi. Eccitata dal ritmo del treno, dalle molte impressioni, sedevo là con il mio piccolo, misero bloc-notes stretto fra le dita e di nuovo sentivo il bisogno di scrivere. E allora scrissi qualcosa come: “Grigio, scuro, nero, ma dentro era arancione acceso e rosso fuoco”. E, in quel treno che sfrecciava, aggiunsi: “Nella vita di ogni individuo, il mondo dev'essere di certo

crollato almeno una volta, eppure esiste ancora”. Singolare. Mi ricordo ancora che trovavo quella frase un 'invenzione davvero incredibile, ed essa per un certo periodo mi liberò dalla mia oppressione interiore. Ed è ancora così per me: vorrei scrivere qualcosa, dar voce a qualcosa di indefinito in me, che chiede di erompere all'esterno - e quasi mi vergogno di me stessa, perché a ventotto anni ancora non trovo le parole -, vorrei, per così dire, accarezzare la carta con una sola parola. Potrei scrivere di narcisi gialli e del volto meridionale della ragazza marocchina che guarda verso l'alto, e delle tre pigne della brughiera di Blaricum, che ancora danzano sulla mia scrivania; e poi dei miei rametti di castagno che sono arrivati al punto di fioritura e che stendono le loro piccole mani, aggraziate quanto quelle di ballerine e al tempo stesso protese verso il cielo in una posa difensiva. Eccetera. Molti pensieri sconnessi. Una cosa è buona: la cosiddetta “asperità” di una volta è finita. Potrei scriverne parecchie, di brevi frasi intelligenti sulla vita, che nel passato inventavo sentendomi tanto ingegnosa. Ma oggi mi stancano. A volte mi chiedo se non viva, negli ultimi tempi, solo della mia “anima” e non tratti con sdegno il pensiero. Spesso ho un fugace desiderio di esprimere questo o quell'altro in maniera elegante, ma lascio immediatamente perdere e considero il tutto troppo artificiale. Ho più bisogno di scrivere di narcisi gialli e rami di castagno fiorenti, che di ponderare pensieri profondi. La “giusta misura” arriverà. Pazienza. Salda, costante, paziente. Ieri mattina mi sono svegliata alle sei e la prima cosa che mi ha colpita è stato il pensiero che dovrei comunque ricominciare a studiare l'olandese e fare della lingua uno strumento. Forse ho troppa fiducia nel fatto che le parole verranno da sé, quando i tempi saranno maturi, ma può darsi che stia commettendo un grandissimo errore di valutazione. Io non sono niente e non posso fare niente. Eppure, ci sono così tante possibilità, così tante cose che aleggiano intorno e aspettano di essere dette e forse, se lavoro più duramente dentro di me, avrò la possibilità di mostralo. Credo di essere ancora molto “bloccata”, nonostante la grandissima libertà interiore che ogni tanto avverto. Ogni cosa è comunque ancora un grande blocco di granito informe. Quando si tratta di ritrarre un carattere o un'atmosfera, penso che dovrei essere fermata al primo tentativo. S. ha detto una volta: Lei assapora ancora troppo il suo talento. Io, in realtà, mi chiedo se ci sia un qualche “talento”. Ma forse spreco ancora troppo quello che ho. E invece dovrei essere molto più decisa nel concentrarmi su questa scrivania, il mio vero centro; nel raccogliere i pezzetti sparsi in tutti gli angoli e forgiarli in un unico insieme. Forse mi disperdo ancora troppo come cenere al vento. Ma non so davvero da dove cominciare. Innanzitutto: sii salda. E non permettere ai tuoi giorni di scivolarti tra le dita esperte come granelli di sabbia. Succede così in fretta. Sono di nuovo le dieci. Mi sono alzata alle sette e mezzo. Ho preparato la colazione. Ho letto un paio di pagine di Rilke, una pagina della Bibbia, scribacchiato qualcosa in questo quaderno, e fra tre quarti d'ora arriva la mia nuova allieva; oggi pomeriggio, dopo il caffè, devo cercare di dormire un'ora per via di quella pancia ancora in rivolta; poi devo lavorare alle carte di Starreveld, preparare la lezione per Kurt, scrivere ad Aimé, ancora lavorare al russo, e stasera S.: la lettera a Mischa. Accade molto in un giorno come questo. È una giornata fredda e incolore, oggi: ho indossato il mio scialle dai colori accesi sul maglione color terracotta, per compensare. Siedo qui in silenzio e immersa totalmente in me stessa, e tra un'ora sarò una persona molto diversa: vivace e intensa; e la cosa buffa è che dopo la tua lezione di un'ora, non riesci subito a tornare allo stato di concentrazione precedente, ma sei un po' cambiata per via del contatto con un altro elemento. Sei una sostanza chimica che viene sottoposta tutto il giorno a una serie di processi e di continuo mescolata con altre sostanze, subendo piccole modifiche. Un processo continuo, grande. E dov'è l'elemento originario? Qual è in te l'elemento originario? È quasi inquietante pensare improvvisamente una cosa simile: che tu ti muova e viva attraverso le molte ore di un giorno e che, alla fine della giornata, tu sia un altro rispetto a quello che eri all'inizio. Ma ecco che arriva Käthe con il caffè. Di pomeriggio, le due

Bisogna imparare anche questo pian piano: nei giorni in cui hai tanto malessere fisico, non devi agitarti e rendere la vita un inferno per chi ti sta intorno. In realtà, reagiamo proprio così, sfogandoci senza sosta su quelli che ci stanno attorno, quando noi stessi siamo infelici. Bisogna imparare a fare i conti con il proprio malessere, senza farne soffrire troppo gli altri. Sto imparando gradualmente a controllarmi. Mi sento proprio come un animale che vuole solo accucciarsi in un angolo e starsene lì, raggomitolato. Proprio una sensazione simile: non agitarsi, ma restarsene tranquillamente raggomitolata in un angolo. Non devi neanche lasciare che i tuoi pensieri e sentimenti affliggano chi ti sta attorno. Potrei avvelenare tutto - ogni cosa che mi avvicina, ogni cosa che mi viene in mente, ogni cosa su cui poso lo sguardo - con i miei malesseri. Adesso so come isolare e accettare quello stato d'animo, facendo in modo che non causi problemi agli altri. Giorni come questi sono davvero molto difficili. Ma bisogna anche rendersi sempre più indipendenti dal proprio corpo. Eppure il corpo è una nostra parte e - anche nei momenti di malessere - fa sorgere pensieri e percezioni che in ultima istanza ci arricchiscono. Quei giorni premestruali sono sempre molto diversi da quelli normali; è come se la mia costituzione cambiasse e anche i processi spirituali sono differenti: più selvaggi, più fantasiosi, meno inibiti, da una parte, ma anche più attardati, più lenti, con una grande tristezza di fondo, dall'altra. E ogni volta, in giornate simili, rischio di perdere completamente l'equilibrio, di lasciarmi andare, di dimenticare obblighi e lavoro, tutto, ecc. E mi costa uno sforzo titanico dire a me stessa: adesso un'ora di sonno, poi un paio d'ore di lavoro, e poi questo e quest'altro. In simili momenti la cosa migliore è forse la maggior disciplina esteriore possibile, laddove invece la mancanza di disciplina e il lasciarsi andare sono le cose di cui meno si sente il bisogno. In passato processi come questo - che vanno nella direzione della completa autodistruzione - duravano anche settimane, ma adesso ho il controllo di me stessa. Le quattro, sulla veranda immersa nella luce solare Un momento fa, mentre andavo a dormire, piena di timore, mi sono chiesta se i miei brevi momenti di esaltazione confluiranno un giorno in un potente scatto. Sto per riempire fino all'orlo di violette il contenitore basso e largo che Käthe ha trovato per me in soffitta e quei fiori, domattina presto, dovranno essere un saluto per il suo cinquantacinquesimo compleanno. “Vorrei trovare qualche parola nuova per esprimere tutti i profondi sentimenti che provo per te. E mi vengono in mente sempre le stesse: Che tu sia benedetto!”. Domani alle nove vado a fare colazione da lui e poi il giorno porterà tanta varietà e movimento. 25 aprile 1942. Sabato pomeriggio È bellissimo avere alcune ore per se stessi sotto al sole: moltissime preoccupazioni ti abbandonano. Perché mi sono sentita improvvisamente quasi sradicata e stranita, stamattina, in mezzo ai suoi fiori? Credo che sia dipeso da quel passo della lettera di Tide in cui lei gli diceva che gli avrebbe mandato dei gelsomini e che lui avrebbe dovuto immaginare che fossero da parte di Hertha. Mi sono sentita così piccola di fronte a quel gesto, per qualcosa del genere io non sono ancora abbastanza matura, non lo potrò mai fare. A dire il vero, c'era un unico passaggio vacillante nel “manoscritto” che gli ho dato il 3 febbraio: “E a questa tua compagna lontana, e pur così vicina: spero di esserle fedele”. Accanto alla forte e gioiosa lettera di Tide (che lui stesso ha definito un po' “esuberante”) , mi sono sentita tutt'a un tratto tanto piccola. Ma anche questo è passato. Dipende forse anche dal fatto che oggi mi sento davvero fisicamente molto male e perciò anche un po' incerta, timorosa di non riuscire a emanare, stasera, seduta tra Werner ed Eucalipto, sufficiente entusiasmo per gli spaghetti. Cerca di essere comunque te stessa il più possibile, non forzata e forse solo un po' più tranquilla. Oh, tutti quei fiori nelle sue due piccole camere! Provenienti da tutte le parti, sono stati portati dentro da braccia stracolme. E il suo viso in mezzo ai fiori, caro e raggiante, e stamattina ancora più giovanile.

Ieri sera. L'ho tenuto a distanza. Sul tardi quando, dopo il lavoro, stavamo sdraiati l'uno accanto all'altra per terra, io ho guardato il suo volto buono e caro, con quella bocca tanto aggressiva, e ho detto all'incirca così: Si può non esprimere fisicamente quello che si prova per l'altro. Ed è per questo che sono in realtà sempre triste quando noi ci riavviciniamo fisicamente. Con un piccolissimo gesto a volte si può dire di più che nelle notti più scatenate e passionali. E mi sono lanciata su di lui quasi con disperazione; eppure tutto questo non è più così grave come in passato. Sono sempre felice quando mi stringe fra le sue braccia, e tuttavia c'è sempre la paura estemporanea di superare i limiti oltre i quali non ci sono altre possibilità. Gli ho anche detto che spesso mi sentivo più intimamente e fortemente legata a lui durante una conversazione telefonica che nel più intenso abbraccio reale. Mi chiedo se non sia una sorta di eccessiva sensibilità da parte mia; eppure qui albergano le sorgenti del dolore umano. Questo non mi fa più soffrire fisicamente come in passato, ma percepisco il tutto come una lontana eco, che comunque resta intorno a me. E adesso questo: come si spiega che, dopo aver avuto una serata di contatto fisico con S., trascorra la notte con Han? Senso di colpa? Prima forse, ora non più. Forse S. ha liberato in me forze che non sono ancora uscite allo scoperto e che io porto avanti nella vita con Han? Non lo credo. O si tratta di perversione? O forse è una specie di convenienza, finire dalle braccia dell'uno in quelle dell'altro? Ma che vita sto conducendo? Ieri sera, dopo S., stavo tornando a casa in bicicletta, quando ho sprigionato tutta la mia tenerezza, una tenerezza che non si può manifestare a un altro essere umano, pur amandolo moltissimo: l'ho diffusa nella grande, ampia notte primaverile che mi circondava da ogni lato. Ero ferma sul piccolo ponte e ho guardato oltre il canale: mi sono sciolta nel paesaggio e ho offerto tutta la mia tenerezza a quella notte, al cielo con le sue stelle e all'acqua e al ponticello. È stato il momento migliore della mia giornata. Sentivo che quella era l'unica maniera per dare voce e corpo alle tante sensazioni di tenerezza che, nel profondo, si provano per un altro: affidarle alla natura, lasciarle scorrere sotto un cielo, notturno e libero, di primavera e sapere che non c'è altra via d'uscita. E così sarebbe dovuta terminare la mia giornata, sarei dovuta andare a dormire nel mio lettino da studentessa dietro la luccicante finestra senza tende, e gli alberi sarebbero stati ancora al loro posto. Ma sono tornata a casa e ho trovato Han solo: sembrava perso nella sua camera ed era intento a spogliarsi; d'un tratto, senza esserne molto convinta, ho detto: Vuoi che resti a dormire con te? E Han, veloce e conciso: Sì, rimani. Un essere umano è qualcosa di sorprendente. Non lo si conosce mai del tutto. Stasera, da Han, mi sono improvvisamente scontrata con un pezzo di vita nuda che in qualche modo mi ha commosso profondamente. Abbiamo avuto una conversazione sulle sue piccole avance erotiche nei confronti dell'irrequieta Leonie, nel cuore della notte e sotto il copriletto blu acceso, e sulla questione se la fedeltà tra uomo e donna sia un bene da perseguire pur essendo forse contrario all'innato “istinto da cacciatore” dell'uomo. In Han tutto è così inconsapevole. È un dato di fatto che l'uomo sia un cacciatore e non si dovrebbe andare contro natura, e poi non è neanche così importante. Bisogna riscoprire un uomo ogni volta da vicino, e ogni volta constatare con sorpresa come le priorità della vita siano per lui diverse che per noi donne; e noi donne forse roviniamo molte buone relazioni trattando come essenziali delle cose che per l'uomo non contano affatto. Ho raccontato ancora di quanto ammiri S. per la sua lotta eroica contro quella che si potrebbe chiamare la sua “natura”. E Han ha detto più o meno: Sì, ma andrebbe in pezzi e non sarebbe in grado di fare il suo lavoro se non si comportasse così. E poi, non è affatto importante. Dopo di che abbiamo iniziato all'improvviso a parlare di qualcosa di tanto infantile come “la donna ideale”. Sì, ha detto Han, forse si può arrivare alla fedeltà assoluta, se si trova la donna ideale. E dove hai trovato qualcosa che si avvicini alla donna “ideale”? gli ho chiesto. Lui ha risposto - e questo mi ha toccata nel profondo, perché era tanto inaspettato e perché mi ha dimostrato che non si arriva mai a conoscere veramente qualcuno: Forse, nelle domestiche, perché sono così naturali. Non puoi parlare o vivere con loro, ed è un peccato, ma è proprio tra di loro che ho trovato le donne più “naturali”. Han, con i suoi occhi grigio-blu dolci, che possono sembrare tanto intraprendenti su quel suo viso fine, sensibile e che sta lentamente assumendo la fragilità di un uomo anziano, ma che ancora conserva in qualche modo una giovanile intraprendenza. Qualcosa che non vuole invecchiare. A volte mi prende l'improvvisa paura che abbia una vecchiaia solitaria. E mi chiedo se

non sia mio compito cercare di creare assieme a lui un modus vivendi prima che quella vecchiaia arrivi. Ma devo di continuo correggere me stessa, in modo da non ritenere le altre persone più complicate e tragiche di quanto non siano in realtà, solo per via della mia complessità. Han trova la vita semplice e buona, e le prospettive materiali e incerte del futuro lo preoccupano più di quelle interiori. Ma poi mi appare di colpo tanto fragile e delicato, e io mi preoccupo, provo un senso di profonda compassione protettiva nei suoi confronti. I sensi di colpa sono spariti. I miei sentimenti per lui hanno una loro natura speciale, sono chiaramente definiti, e non si mescolano a colpa o irritazione o chissà cosa. L'ho assorbito nella mia vita, lui ne è diventato una parte essenziale che non può più essere cancellata, senza far vacillare l'intero edificio. E adesso andiamo da Geiger. Questo sole e le giovani foglie di castagno lì fuori attorno al grande albero. Mi metto il mio vestito da zingara su richiesta di S. e spero di essere almeno un pochino bella. 26 aprile [1942], domenica mattina, le dieci Ecco un piccolo anemone rosso, un po' sbattuto per aver festeggiato troppo! Ma fra un po' di anni lo ritroverò tra queste pagine - sarò diventata una matrona, allora, prenderò in mano questo fiore disseccato e dirò con nostalgia: ecco, questo anemone l'avevo tra i capelli per il cinquantacinquesimo compleanno del grande, indimenticabile amico della mia giovinezza. Era il terzo anno della seconda guerra mondiale, mangiavamo clandestinamente maccheroni e bevevamo caffè vero - con cui Liesl “era diventata brilla” -, eravamo tutti così allegri e ci chiedevamo a che punto sarebbe stata la guerra al prossimo compleanno; io avevo fra i capelli questo anemone rosso e qualcuno diceva: sei proprio un miscuglio di russo e spagnolo, e un tale, quello svizzero biondo dalle grosse sopracciglia, diceva: una Carmen russa, dopo di che gli ho chiesto di recitarci una poesia su Guglielmo Tell con la sua buffa erre svizzera. Poi siamo tornati a piedi passando per quelle vie familiari della zona sud di Amsterdam e siamo prima saliti sul suo terrazzino fiorito. Intanto Liesl ci aveva preceduti a casa sua e si era infilata un vestito di lucente seta nera, ben stretto sul corpo magrolino e con larghe maniche trasparenti azzurre, lo stesso azzurro sui piccoli seni bianchi. E pensare che è madre di due bambini - così magra e fragile. Allo stesso tempo, ha come una forza primordiale. E Han aveva un'aria così disinvolta e intraprendente e sul suo cartoncino a tavola c'era scritto: amante eternamente giovane, padre di eroine, una definizione che lui accettava protestando. Più tardi Liesl mi ha detto: Potrei innamorarmi di quest'uomo. Ma ciò che ha dato spicco alla serata, perlomeno per me, è stato questo: erano circa le undici e mezzo, nell'altra stanza Liesl era seduta al pianoforte, S. su una sedia davanti a lei, io appoggiata a lui; Liesl ha chiesto qualcosa, di colpo ci siamo trovati immersi nella psicologia, e S., con la sua faccia intensa ed espressiva, ha cominciato a spiegarglielo - chiaro, vivace e disponibile come sempre. E pensare che aveva dietro di sé una giornata di lettere e fiori e persone e traffico, di organizzazione di un pranzo dov'era capotavola, e più tardi vino e ancora vino - cosa che lui non sopporta tanto bene - e dev'essere stato ben stanco, ma quando gli capita qualcuno con una qualunque domanda sui grossi problemi di questa vita, subito s'impegna, “c'è”. In quel momento, S. avrebbe potuto parlare da una cattedra a un pubblico attento - e a Liesl è venuto di colpo un faccino commosso sopra tutto quell'azzurro trasparente, e guardandolo con occhi spalancati ha balbettato in quel suo modo commovente: Trovo toccante che lei sia così. Io mi sono appoggiata ancor di più a S., ho accarezzato la sua testa così buona ed espressiva e ho detto a Liesl: È vero, ciò che più colpisce in S. è proprio la sua prontezza e disponibilità, il suo aver sempre una risposta per te - e così le ore passate insieme acquistano un significato profondo, non si perde mai tempo. E S. ha fatto una faccia meravigliata, quasi un po' infantile, con un'espressione che non riesco ancora affatto a descrivere, è da un anno che cerco le parole, e ha detto: Ma non è così con tutti? Ha baciato la piccola Liesl sulle guance e sulla fronte e mi ha attirata più vicino al suo ginocchio, e io ho dovuto di colpo pensare a Liesl, un paio di settimane fa, sul suo tetto al sole: Mi piacerebbe passare qualche giorno con S. e con te, da qualche parte, nella brughiera...

E a giudicare da come stavamo insieme ieri sera tutt'e tre, ho creduto che tutto si sarebbe sistemato alla fine. Ma poi gli altri sono arrivati l'uno dopo l'altro e si è cominciato a parlare di rimanere insieme fino alle quattro della mattina, ma S. diceva: non bisogna mai toccare i limiti, bisogna che rimanga sempre qualcosa per la fantasia. E poi sono rincasata di corsa attraverso una notte vuota e illuminata dalla luna, dopo aver salutato tutti velocemente sotto casa, dopo aver sentito ancora per un attimo la sua dolce e buona bocca sulla mia. Sono tornata sullo stesso ponte della sera prima dove, uscendo da casa sua, avevo sparso tutt'intorno, e lasciato lì, la mia tenerezza, ma adesso era tutto diverso. Ho accelerato attraversandolo, passando per le strade totalmente deserte e mi sono catapultata in casa senza fiato alle undici e mezzo, dove Han mi ha accolta con i suoi amichevoli occhi blu. E ho dormito come un'amica nelle sue braccia, e tutt'e due eravamo felici della serata, probabilmente ognuno a modo suo. Le nove di sera Ho appena avuto una lunga e illuminante conversazione con Han: quel piccolo incidente con Hesje, un anno fa, di cui mi ha parlato solo ora. E io, con una specie di orgoglio, gli ho detto: Vedi, io sono una donna che viene sempre a sapere tutto, tutti mi raccontano sempre tutto perché sentono che io posso capire. E le donne verranno sempre a raccontarmi i loro problemi, problemi che hanno con il mio uomo perché lui non le lascia in pace o, al contrario, sanno di poterlo raccontare a me, perché io le capirò e non mi lascerò andare alla sensazione di essere ferita o tradita. Tipica, in realtà, quella Hesje, che si vanta di conoscere gli uomini e che ne ha “avuti” così tanti, eppure non sa, in ultima istanza, come stanno realmente le cose con un uomo e in che cosa consiste il nocciolo duro della relazione uomo-donna. Ma insomma, non volevo affatto scrivere di questo. Ho camminato sulla Beethovenstraat oggi pomeriggio, andando a trovare Tide nella sua camera assolata, e ho pensato d'un tratto a S.: è come un vecchio tronco eroso e su di lui spuntano tante piccole tenerezze come altrettante giovani, verdi foglioline su un vecchio albero. Una volta gli ho scritto: non si deve suddividere il proprio grande desiderio in cento piccole soddisfazioni. E adesso voglio aggiungervi: la propria grande tenerezza va suddivisa in mille piccole tenerezze perché, altrimenti, si potrebbe crollare sotto il peso di quell'unica grande tenerezza. Mille piccole tenerezze: per un cane per strada e per un vecchio venditore di fiori; e trovare la parola giusta, esattamente quella di cui si ha bisogno. E poi non essere tristi perché non si riesce a dare espressione a quell'unico sentimento grande che si ha dentro. Venerdì sera, mentre tornavo da casa sua in bicicletta, attraverso la notte primaverile, ho sparso il grande amore e l'immensa tenerezza che provo per lui nella notte, ne ho riversata un po' nelle stelle e ne ho lasciata un po' nei cespugli lungo il canale. E poi: bisogna saper reggere i propri sentimenti forti e sopportarli e farli avanzare. Non si deve sempre desiderare di liberarsene, bisogna saperne portare il peso e non lasciarsene distruggere, anzi, trarne energie e non solo per quell'unico uomo ma anche per molte altre creature di Dio, che pure hanno diritto alla nostra attenzione e al nostro amore. Ma questa è una cosa vera: lui è un antico tronco segnato dalle intemperie, pieno di nuovi germogli teneri, fiorenti come tante piccole foglioline. Leonie è intenta a ficcanasare nella mia vita privata. In realtà, lo trovo molto inopportuno. Ha già percepito da anni che “c'è qualcosa” tra Han e me, ma la sua intuizione non è arrivata al punto da permetterle di trarre conclusioni senza fare a me delle domande dirette. Vuole tanto conoscere la mia vita, ma come dovrò spiegarle che, se vuole conoscere la mia esistenza, le realtà che la compongono, deve cercarle altrove? È vero: stanotte ho dormito nelle braccia di Han, ma la vera esperienza di oggi è stata quella magnolia nell'angolo della stanza di Tide, che mi ha quasi spaventata con la sua bellezza enigmatica. Sono rimasta per quasi cinque minuti a fissarla a bocca aperta, come ipnotizzata, come se non riuscissi a credere che fosse possibile tanta bellezza o non potessi elaborarla velocemente, e non mi sentivo capace di staccarmi da quei fiori; ho accarezzato con grande cautela le foglie con la punta delle dita, e per poco non chiedevo a Tide: posso fare visita ogni giorno alla tua magnolia, per favore? E potrei immaginarmi di arrivare a desiderarla come un

essere umano. E quella è stata una realtà ancora più grande di quell'uomo e di quel letto di cui l'infelice Leonie vorrebbe sapere ogni dettaglio. La scorsa settimana le ho detto con magnanimità: Bene, se, come amica, mi chiedi conto della mia vita, sono pronta a raccontartela con parole limpide e a darti fatti concreti. Ma in seguito ne ero un po' esasperata e trovavo la faccenda alquanto brutale, sicché mi sono detta: Già, come vera amica, dovresti renderti conto di com'è la vita dei tuoi amici, e per il resto dovresti lasciar perdere. Ma forse la cosa migliore è considerare il tutto come parte del trattamento psicologico; meglio che io le racconti qualcosa della mia vita e con questo le dia una chance di liberarsi di me. Se le dico cose concrete sulla mia esistenza, forse le sue fantasie si placheranno e quanto più la sua immagine della mia vita diventa concreta e oggettiva, tanto più grande sarà la possibilità per lei di affrancarsi da me. E sono convinta che Liesl, che mi conosce da così poco tempo, adesso che è stata con Wegerif e me insieme, in qualche modo si rende conto di come stanno le cose tra noi, ma non lo chiederà mai. E a lei lo racconterei con grandissimo piacere, come se niente fosse: Con quest'uomo ho vissuto per cinque anni una vita matrimoniale e questo mi ha dato una grande pace. Oggi pomeriggio ho desiderato essere uno scultore abituato a lavorare su superfici ampie e scure. Lui riempiva l'intera sedia di fronte a me, potente e grandioso; io ero un po' sprofondata nel divano di fronte a lui e lo assorbivo con tutti i sensi, e al tempo stesso lo osservavo in maniera obiettiva e sobria, sentendo che mi mancavano gli strumenti per dare una descrizione spassionata di lui seduto lì, ma pure che, alla lunga, mi sarà possibile. Devo ancora “esercitarmi” con lui per una vita intera, con parole inadeguate, che sono tanti colpi inutili su uno spesso blocco di indomabile granito. Aveva incrociato il suo ginocchio sinistro sul destro, e quel pesante busto - le spalle larghe e il forte petto - indicava quanto fosse concentrato, e ancor più la sua testa, piegata, intenta all'ascolto. Tra l'una e l'altra canzone di Tide, ha letto un altro brano della lettera della diciannovenne Riet. E mi colpiva quanto il suo viso cedesse senza difendersi al costante flusso delle emozioni che, per così dire, lo modellavano da dentro in modi sempre diversi. La testa pesante - la fronte: non alta, ma così concentrata e forte, le orecchie da fauno, i capelli che stanno imbianchendo e che sono però ancora tanto giovani -, china su quella lettera, quindi china su una giovane vita fiorente, colta sul nascere, e d'un tratto la sua bocca tanto tenera e indifesa che lo faceva sembrare quasi sul punto di piangere; ha alzato poi la testa, improvvisamente, e si è guardato attorno, con uno sguardo pensieroso e concentrato; e poi, ancora, quella piccola piega indomabile sul suo labbro inferiore, che sembra staccarsi dal resto del viso al punto da sembrare quasi una piccola bocca a sé. Oggi pomeriggio sono passate così tante emozioni sul suo viso, era così aperto e nudo come non lo avevo visto per lungo tempo; e comunque sempre con la grande disciplina e il tono sobrio delle sue parole, così che non c'è mai spazio per il sentimentalismo in lui. E andandosene, per un attimo, la sua grande mano calda sul mio viso: Allora come va, è ancora melanconica? E quando ho emesso un risolino sciocco e non ho risposto, ha cercato di imitare il mio riso, in fondo alla gola, e quando lo fa, quell'atto sembra proprio la più grande delle carezze. Il mio “riso chirghiso”, lo chiama, e chiude a metà gli occhi e ride con un profondo e caldo suono nella gola; ogni volta che mi imita, io faccio l'esperienza di una grande carezza. La maggior parte delle persone sono solo rifugi casuali per le grandi emozioni: a volte può nascere in qualcuno un'improvvisa tenerezza, che tuttavia può sparire di nuovo per mesi, e nessuno sa dove sia andata a finire. E così va con tutto. Ma lui è un edificio permanente, un rifugio sempre pronto per le grandi emozioni. Mi appare come un'imponente dimora dove le cose importanti per noi uomini trovano un riparo sicuro ed eterno. E ci sono molte stanze in quell'edificio. E adesso devo ricominciare a organizzarmi un po', riprendere in mano le redini; ne ho abbastanza di andar dietro a quella pancia sottosopra, dovrà pur finire a un certo punto. Oggi ho avuto dei brutti dolori reumatici al collo e alle spalle e mi sentivo così stanca, quasi non dovessi mai più riprendere a lavorare. Ma devo tornare, una buona volta, a sedermi alla scrivania e finire con costanza tutte le cose arretrate che vi si sono accumulate. Il verbale di Pieter, al quale si aggiungerà quello di Hanneke domani, e ancora la documentazione relativa a Jeanne L. Devo copiare altri brani dal suo manoscritto per la lezione di martedì e preparare la lezione per l'allieva di russo di giovedì, e per

tutti gli altri allievi, poi la lettera per Mischa, ecc. ecc. Tutto si affastella di nuovo in modo terribile, se non riprendo subito a lavorare. E mercoledì Aimé, se risponde. Oggi ho cercato di dar conto di come reagirei se Hertha rispuntasse improvvisamente e diventasse sua moglie. Avrei la sensazione di dover viaggiare verso un posto lontano, verso il più remoto della terra. Cercherei di far chiarezza in me stessa su treni che viaggiano alla velocità della luce, divorando migliaia di chilometri. Ma ogni giorno vorrei allontanarmi ancora un po' da lui, non per sfuggirlo - questo è ormai impossibile, perché è diventato parte integrante di me -, ma per trovare pace, da sola; e poi forse un giorno potrei anche tornare. Perciò ieri mi sono sentita ancora, per un attimo, così insicura e lacerata, accanto a Tide: perché lei è così perfetta e forte, da questo punto di vista, e ha pregato per lui quasi pubblicamente nella camera boema dei Levie: “Possano coloro che lui ama tornare e vivere con lui un giorno”. No, non potrei farlo, davvero non potrei. E adesso ancora un piccolo dettaglio: Liesl mi ha appena raccontato al telefono che la prima espressione spontanea di Werner, dopo che noi ce ne eravamo andati, è stata: “E se adesso penso alle donne del teatro, mi fanno venire il voltastomaco” . Lunedì mattina [27 aprile 1942], le otto Da una lettera di Rilke del 1906: “Rimane peraltro sospesa la mia irrevocabile decisione di rinchiudermi tutti i giorni, per un certo numero di ore, ovunque io sia e in qualsiasi circostanza... per amore del lavoro: che giunga davvero, o che io compia solo i gesti corrispondenti, non importa. Non sapevo forse già e con profonda convinzione, fin dal mio viaggio in Russia, che la preghiera e il suo tempo e il suo gesto, devotamente e integralmente tramandato, erano la condizione di Dio e del suo ritorno per chi nemmeno lo attendeva, ma soltanto inginocchiandosi e rialzandosi, all'improvviso ne era colmo sino all'orlo...? “Anch'io voglio inginocchiarmi e rialzarmi, ogni giorno, nella solitudine della mia stanza, e voglio santificare ciò che mi accade in questi momenti: anche l'assenza, la delusione, l'abbandono. Non c'è povertà che non sia anche pienezza, qualora la si prenda seriamente e dignitosamente e non la si lasci in balia del risentimento”. Un po' più tardi, di mattina: ieri la sua voce risuonava così limpida e forte nella camera di Tide. Non l'ho mai sentito cantare in modo così corretto e coinvolgente prima d'ora. E credo che il sabato precedente, il giorno del suo compleanno, sia stato “riempito” d'amore e calore, tanto nutrito d'amore da tutte le parti, e che questo sia il motivo per cui la sua voce risuonava così fluida ed energica. Sì, suonava così: come se la sua voce fosse stata nutrita da una sorgente di forza e ora fosse più potente che mai. Tra poco Hanneke, con i suoi occhi incavati color blu acceso. Pensare che la ritroverò là, dopo anni, in quelle due piccole camere come “oggetto d'analisi”! Una cosa simile è certo significativa. Spero che lui, prima, possa posare le sue mani terapeutiche sulle mie spalle e sul collo, cigolo e scricchiolo per i reumatismi e oggi mi sento davvero fisicamente uno straccio. Mercoledì mattina, 29 aprile [1942] Che io riesca a sentire un amore così grande! Il mio stato interiore sta fiorendo in tutte le direzioni, il mio amore cresce sempre più forte e grande, e imparo ogni volta di più a reggerlo senza farmene schiacciare. E così ci si sente sempre più forti. Che io riesca ad amare così tanto! Lui è un uomo straordinario. Non ti sorprende l'ira della tempesta, l'hai vista crescere; gli alberi fuggono. Fuggendo

mettono in fuga i viali. Così scorrevano gli alberi lungo il terreno dell'IJsclub stamattina alle cinque. Tranne quell'unico tronco spoglio di fronte alla mia finestra: simile a una carabina nodosa uscita da una favola orientale. Il cielo era d'opale e i contorni del Rijksmuseum si mischiavano, viola e gialli, nel cielo. Vorrei poter trovare una nuova parola per lui ogni giorno; ogni giorno vorrei poter esprimere la sua essenza nel modo migliore. A volte siedo nella sua piccola stanza e lo guardo da lontano, e mi sembra di girargli attorno, osservandolo da tutte le prospettive, e vorrei sentire con le mie mani il materiale di cui è fatto. Allora è come un pezzo messo in mostra in un museo, compatto e segreto e imperscrutabile. È come se non lo avessi mai visto prima, come se dovessi ricominciare daccapo a conoscerlo. E questa è, credo, la grande magia della nostra relazione, almeno per me: che lui sia ogni volta nuovo ai miei occhi, che debba essere di volta in volta riesaminato e scandagliato daccapo; lo assorbo dentro di me, ogni volta di nuovo, lui è un materiale che in anni non sono ancora riuscita a studiare a fondo; e questo forse spiega anche perché, da anni, non riesco a studiare molto altro. Ieri sera gli ho detto, durante la telefonata che come sempre conclude la nostra giornata e in cui la nostra amicizia raggiunge il suo culmine, che forse riuscirò a lavorare seriamente solo quando lui si sarà sposato e io avrò sofferto tantissimo; non so più che cosa ha risposto. So solo che mi è tanto caro, tanto. Ieri sera, alla fine della nostra conversazione, ho detto: Alla fine, non è bello questo? Mi sento malata, da tutta la settimana mi sento così, malata nel fisico, ma appena sono vicino a te o parlo con te, mi ritrovo perfettamente sana e mi sento bene. E lui: È la cosa più bella che lei mi abbia detto oggi. Ho così taaaanto da scrivere! Ma non c'è tempo, purtroppo non c'è tempo. È necessario che divida il mio giorno in modo più disciplinato. Non perdere troppo tempo nelle fessure della giornata, negli intervalli tra le diverse attività: bisogna passare dall'una all'altra attività, con sicurezza e determinazione. Sbriciolo ancora troppo il mio tempo tra una cosa e l'altra, credo. Costanza. La mia giornata mi appare a volte come un complicato congegno con tante leve. Devo imparare a maneggiare quelle leve sempre meglio, sicura e assidua e costante, soprattutto costante. C'è un indescrivibile cumulo di cose da fare. E respirare profondamente tra due giri di leva per tranquillizzarmi. Ci sono troppe cianfrusaglie sulla mia scrivania, e anche questo dipende dall'uso sbagliato di quel congegno. E adesso a lezione di conversazione in russo. Le cinque di pomeriggio In fondo è solo accanto a lui che sono diventata eigentlich schöpferisch [“davvero creativa”] strano, alcune cose non riesco più a dirle in olandese. In realtà è con lui che sono sorte per la prima volta le mie forze creative, ed esse prenderanno una prima forma attraverso lui. Poi lui dovrà mandarmi via, gettarmi nello spazio infinito. In un solo istante lucidissimo mi diventa all'improvviso chiaro: non devo desiderare di trascorrere una vita intera con lui e di sposarlo. Grazie a lui ho assunto la mia forma, ma lui deve lasciarmi andare di nuovo affinché io, in seguito, possa di nuovo forgiarmi in modo autonomo rispetto a lui. Quella domenica pomeriggio, nella camera soleggiata di Tide, le emozioni si agitavano sul suo viso come onde. Era l'effetto della musica, del suo stesso canto. La lettera di Riet, di quella “giovane vita fiorente, colta sul nascere”, sulla quale lui si è chinato, come ho scritto in modo disgustosamente sentimentale, non aveva nulla a che fare con quelle espressioni. Da dentro scaturivano forti emozioni che modellavano e rimodellavano la tenera argilla malleabile del suo viso. Cosa c'è che non va con la mia pancia, in nome di Dio? Mentre bevevo il caffè con Han e Käthe, ho detto d'un tratto, molto convinta: Cosa pensereste se avessi un bambino? Avrò certamente un bambino. Han ha stupidamente taciuto e Käthe ha cominciato a immaginare con entusiasmo come lo avremmo cresciuto insieme e che aiuto straordinario sarebbe stato in futuro nella gestione della casa se avesse preso da me. Ma, scherzi a parte, c'è qualcosa di molto strano nella mia pancia. Mi sento tanto male e stramba. Ieri in realtà, per la prima volta - dopo quindici mesi -, lui ha posato la sua mano calda sul mio

corpo nudo come un conduttore di calore e di forza: così bello dopo quindici mesi, questo crescere lento verso la realizzazione; e questo agire graduale e cauto, proprio in persone come lui e me che, con la nostra esperienza della fisicità, di solito rincorriamo un fine velocemente e con sicurezza. E ieri sera, da dietro la mia scrivania, separata da lui da cinque strade, un ponte e un canale, gli ho detto: Oggi a mezzogiorno il mio ventre era contentissimo di aver fatto finalmente la tua conoscenza. E adesso, che ha superato i primi momenti di timidezza e di imbarazzo, vorrebbe tornare domani e ne prova già un grande desiderio. Mi sento così strana e mi gira la testa, eppure là sotto c'è una “concentrazione di forza”. E simili momenti di malessere e sonnolenza sono anche “i più creativi”. Ma, santo cielo, spero proprio che non debba ricominciare quella tortura di pediluvi caldi e pillole di chinino. È comunque improbabile: quell'unica notte con Han. No, non è possibile! Oggi pomeriggio l'ho mandato al diavolo e ho detto che non guarderò più un uomo se succederà di nuovo. Eccomi sdraiata sul divano, lo strano rottame di una giovane donna isterica, che si sente tanto pesante e tesa nel ventre e così leggera nella testa. Dietro di me, il sole. E il mio piccolo castagno leva al cielo, come in una supplica, tante piccole mani decorative dal vaso di terracotta. Stasera da S. mi arrenderò tra le sue braccia calde che danno forza. Forse le sue mani magnetiche potranno far sparire quella sensazione d'insicurezza e di vuoto che mi attraversa il corpo. Le otto di sera Sembrava che ci fosse qualcosa di nervoso nella sua voce poco fa, quando al telefono ha detto, quasi ironico: Bene, e verrà già con la sua stella gialla? Per alcuni mesi mi è parso che le cose esterne e le questioni politiche non mi toccassero e mi chiedevo se non fosse una sorta di “estraneità al mondo”, di incapacità di valutare il reale. Adesso non me lo chiederei più. Dentro di me nascono forze sempre più intense, tanto che ora credo di poter reggere questi tempi, di poterli attraversare, e credo pure che attraversarli sia una missione storica. Per alcuni mesi ho combattuto nella mia fantasia una battaglia su che cosa avrei scelto nei momenti decisivi, tra questa veranda soleggiata, lo studio indisturbato e gli occhi fidati di Han, da una parte, e un campo di concentramento o di altro tipo e condividere le sofferenze con S., dall'altra. Non è neanche più una cosa da decidere. Adesso, se me lo chiedo, mi accorgo improvvisamente che la scelta di seguire S. e condividere con lui le sofferenze è cresciuta in me al punto che viene spontanea. E questo è dovuto, credo, anche al fatto che sono diventata più libera interiormente nei suoi confronti, e che mi sento di nuovo in grado di unire la mia vita alla sua, per un momento, senza avere la sensazione, così facendo, di sacrificare la mia. Questo suonerebbe paradossale a molti, eppure è l'unica saggezza possibile tra uomo e donna. E anche questo: mesi addietro temevo forse che il sogno si sarebbe infranto in un'esistenza lacerata da preoccupazioni. Adesso, in qualche modo, è maturato uno stato di unione interiore così forte e un tale legame con l'altro che la realtà esterna non può danneggiare molto. E poiché la realtà viene sempre più assorbita all'interno, si diventa sempre più indipendenti dalle circostanze esteriori. Certo, lo sto scrivendo alla mia fidata scrivania - con i miei libri, i rami di castagno, il favagello, e in più il ritratto a matita della faccia di S. appeso un po' inclinato al muro di fronte a me -, e forse è facile adesso scrivere queste cose, ma c'è qualcosa in me, qualcosa di forte e indistruttibile che sa di poter sopportare anche altre situazioni. Sono così felice che lui sia ebreo e io ebrea. E cercherò di fare il possibile per restare con lui e percorrere insieme questi tempi. E stasera gli dirò anche: Non ho paura di nulla, in realtà, mi sento tanto forte; se il pavimento su cui dormi è un po' più duro o se puoi percorrere solo un paio di strade invece che tutte le strade, eccetera, eccetera, sono piccole differenze di grado, è tutto così insignificante a fronte delle infinite ricchezze e delle infinite possibilità che abbiamo dentro. Cerchiamo di custodirle e di averne cura, e poi di non tradirle, conservando la nostra fede in esse. E io ti rimarrò accanto ma ti lascerò del tutto libero, e poi, più in là, ti cederò alla donna che tu vuoi sposare. Ti sosterrò a ogni passo, esternamente e interiormente, sono certa di essere ormai abbastanza matura da poter sopportare molte cose dure della vita riuscendo comunque a non lasciarmene indurire nell'intimo.

Mi sento tanto sicura di me stessa e per nulla spaventata, in qualche modo trionfante e indistruttibile, piena di tanto amore e fiducia. E se anche il più piccolo vacillamento, la più sottile paura dovessero insinuarsi in te, sarò immediatamente con te e ti sosterrò. Un vecchio vestito, un paio di sandwich, un po' di sole di tanto in tanto, e uno sguardo affettuoso; una mano che c'è ancora e può accarezzare: è tutto quello che serve. Il nostro lavoro possiamo farlo ovunque sia rimasto anche un solo uomo, fosse pure la guardia di un campo di concentramento. Arrivo subito da te. Ho indossato un nuovo maglione di lana rosa che è una bellezza, e ho lavato il mio corpo dalla punta dei piedi alla punta dei capelli con sapone di lillà. Mi sono a volte lamentata nel profondo del fatto che, nelle tue piccole camere, ci fosse così poco spazio per il nostro amore fisico, e che non potessimo andare insieme da nessuna parte per via di tutte quelle ordinanze e divieti. E adesso invece la tua stanzetta mi sembra un paradiso di possibilità e libertà, con la piccola lampada da tavolo, il mio sapone di lillà e le tue buone mani carezzevoli. Dio sa quale grande libertà tutto questo sia per noi ora, in relazione a ciò che potrebbe accadere in futuro. Non ho visioni spaventose del futuro, non si sa come tutta la situazione si svilupperà. Non penso al futuro troppo lontano. Ma se le cose diventeranno difficili per noi, io sono pronta a sopportarle. Giovedì [30 aprile 1942], le sei Mai arrendersi, non fuggire mai, rielaborare tutto, e forse soffrire, ma questo non è così grave, l'importante è non arrendersi mai. Oggi pomeriggio, in un breve momento di lucidità, mentre stavo sdraiata sul divano, ho pensato: per il fatto che entrambi siamo così “magnanimi”, S. e io, e che entrambi siamo così consapevoli delle grandi ampiezze(?) che abbiamo dentro, ci permettiamo - pensiamo forse di potercelo permettere di non prendere troppo sul serio le cose importanti. Pensiamo che tutto alla fine andrà bene. Intendo la sua fedeltà nei confronti di Hertha. Lui pensa: Le sono comunque fedele, è sicuro dei suoi sentimenti per lei e nel frattempo fa giocare a me un ruolo nella sua vita, un ruolo che si armonizza con quella fedeltà. Dal canto mio, so che Hertha esiste e nei momenti di lucidità mi preparo a tener conto di quell'esistenza, e poi c'è anche la mia fedeltà nei confronti di Han; ma noi andiamo per la nostra strada, S. e io, pensando di essere in ogni caso fedeli, di avere così tanto spazio dentro di noi che possiamo permetterci molte libertà che le persone normali non potrebbero sopportare. Ma possiamo davvero permettercelo, siamo davvero abbastanza seri nei confronti dei grandi valori di questa vita? Gliel'ho chiesto al telefono e lui ha detto: Sei una ragazza intelligente. C'è così tanto da scrivere. Una volta c'era un uomo, nell'antichità - non si chiamava Procuste? - che venne stirato fino ad adattarsi a un letto molto lungo. Io mi sento - di nuovo - come se venissi stirata. Fa tanto male e supera quasi la mia capacità di sopportazione, ma, se riesco a sopportarlo, sarò davvero diventata un bel po' più grande. L'importante è non arrendersi mai, mi sono improvvisamente detta con tono risoluto, mai ritirarsi per la paura di non poter resistere. Io so che tu riesci a elaborare tutto quanto, anche se pressata dal dolore. Tu, piccola scimmia, mi ha detto oggi pomeriggio, e il suo viso è stato d'un tratto attraversato da un'emozione che gli ha inumidito gli occhi. Tu, piccola scimmia. E, un'ora prima, mi aveva detto al telefono: Ho provato molta pena per te, questa mattina. Avevi l'aria smarrita di chi ha visto partire tutte le navi e non è riuscito a salire su nessuna. Io gli ho detto che la sua onestà nei miei confronti era comunque il dono più grande per me, e che quando mi dice che un momento da me considerato bello è stato per lui meno bello, come mi ha detto stamattina, è un dono ancora più grande per me, ancora più bello del più bel momento passato con lui. Ha ormai raggiunto un punto in cui non può più giocare con i grandi valori della vita e restare impunito. Dopo cena E questo spiegherebbe anche la sua reazione alla serata di ieri. “Per me non è stato un evento

spiacevole, non lo è stato proprio”. Ma oggi: minore tensione sia intellettuale sia spirituale. Bisognerebbe tenere un diario in due. Altrimenti è tutto così di parte. Si scava di continuo nei propri sentimenti, ma cosa si sa dell'altro? Il pensiero di quella fidanzata mi ha fatto stare male. “Su questo punto non mi sono ancora chiarito con me stesso”. Un'analisi critica su di lui - me l'ha chiesto di nuovo oggi pomeriggio - potrebbe avere inizio qui e non con le cose piccole, perché non avrebbe senso. Ma su questo più tardi. La scorsa notte. Alle nove meno un quarto sono andata per un po' da Liesl e Werner. Lui stava macinando il caffè in un angolo della cucina, la faccia da zingaro che fissava con espressione di sfida la sua stella gialla - in onore della stella si era regalato quel pomeriggio due once di vero caffè in grani, equivalente allo stipendio di un'intera settimana -, e Liesl si aggirava per casa con un collo rigido e un piccolo viso bianco e contratto per la tosse forte. Io mi sono seduta sul cassettone e ci siamo quasi ubriacati del profumo di caffè; io ho dato un'occhiata, provando una sensazione edificante, alla cucina bella e rassettata e al volto da zingaro di Werner, che alle volte può essere così birichino, e alla piccola figurina di Liesl, sospirando: Bambini, è tutto così pulito e in ordine da voi, ogni cosa è tanto linda e ordinata, e poi ci siete voi, una coppia di bohémien, tutto insieme crea un'atmosfera intrigante. Ci siamo raggomitolati sulle poltrone e, con il caffè nero che ci fumava davanti, abbiamo discusso un po' di Medioevo, di storia, di stelle gialle e di psicologia. Negli anni a venire i bambini studieranno a scuola stelle gialle e ghetti e terrore, e a molti si drizzeranno i capelli in testa. Ma parallela a questa storia da manuale scolastico, ne corre un'altra. Un paio di sedie comode - comprate con i soldi dell'assicurazione, perché le sedie di loro proprietà erano state spazzate via dalla faccia della terra, insieme a molti altri averi, in seguito a un bombardamento -, una tazza di caffè, un paio di buoni amici, intimità e un po' di filosofeggiare. E la vita ancora così bella per noi. O almeno è ciò che ho avuto il coraggio di dichiarare: ritengo che la vita valga la pena di essere vissuta e che sia ancora così bella. In quel momento Werner ha cominciato a fare un'espressione seria. Ma eravamo così felici là tutt'insieme, e proprio la sera in cui era stata istituita la “stella gialla”. E io ho detto: Forse vale davvero la pena di essere coinvolti personalmente nelle vicende della storia. In questi casi puoi sul serio raccontare ciò che i libri di scuola tralasciano. Quell'uomo sulla Beethovenstraat, oggi pomeriggio, è degno di nota. Proprio un giovane croco fiorente che si guarda con ammirazione: indossava trionfante una grossa stella d'oro sul petto; era in se stesso una parata e una dimostrazione, per quel suo modo di pedalare felice. E tutto quel giallo mi è balenata d'un tratto una visione poetica in cui il sole gli sorgeva sopra, tanto era raggiante, giallo e felice. Va bene, ragazzina, così soddisfacenti le cose non sono affatto, e sembra che tu riesca a creare immagini poetiche su qualunque cosa. Ieri mi sono di nuovo chiesta se io non sia davvero “fuori dal mondo”, perché tutte quelle misure mi toccano così poco, personalmente, anche se in effetti non mi illudo, neanche per un momento, circa la gravità di tutta questa situazione. Ma a volte riesco a considerare una misura come qualcosa che fa impressione per via della sua singolarità storica; ogni nuovo regolamento trova subito, per così dire, il suo posto nel nostro secolo, e io riesco a vederlo dal punto di vista di un secolo successivo. E la sofferenza, tutta la sofferenza umana, e l'odio e la lotta? All'improvviso ieri ho pensato questo: la sofferenza ci sarà sempre e non è davvero importante se si soffre vuoi per l'una vuoi per l'altra ragione. È come con l'amore. Deve riguardare sempre meno l'oggetto, se vuole essere vero amore. A volte si può soffrire forse di più per un gatto investito che per una città rasa al suolo dai bombardamenti con una quantità indicibile di vittime. Non si tratta dell'oggetto, ma della sofferenza in sé, dell'amore, delle grandi emozioni e della qualità di queste emozioni. E i grandi sentimenti, quei toni elementari e segreti, diventano sempre più brucianti (“toni brucianti” non è male!) e ogni secolo alimenta il fuoco con sostanze diverse, ma ciò che conta è il calore del fuoco e non le sostanze usate. E che si tratti di stelle gialle e campi di concentramento e terrore e guerra, è una questione di secondaria importanza. E non mi sento certo meno combattiva per via di pensieri del genere, perché certezza morale e indignazione morale appartengono anch'esse ai “grandi sentimenti”. Ma l'indignazione morale genuina deve essere racchiusa entro un'ampia cornice umana che si allarghi agli accadimenti mondiali, e non sia un odio personale, che spesso usa gli eventi attorno a noi come scuse per fomentare piccole irritazioni private, anche forse rancori di

anni addietro, sostanze velenose mai rielaborate. Già, quella psicologia, ma noi non ci lasciamo più trascinare su una falsa pista, e cerchiamo subito la radice di quell'odio per capire se esso è davvero grande e di statura morale. Cielo, dove sto andando con le mie digressioni? Tutto questo solo in riferimento al quarto d'ora con il caffè macinato fresco. Ora sono già le otto e mezzo, e devo ancora scrivere coooosì tanto. Alle nove e un quarto mi sono dileguata dall'abitazione dei miei due bohémien con le loro pulitissime camere e mi sono catapultata a casa di S. senza fiato, succhiando rumorosamente qualcosa di appiccicoso. Ah, già, mentre me ne andavo, Werner ha detto: Sono curioso di sapere come reagirà S. a questa stella gialla. E alle dieci e mezzo ho telefonato a Werner per un istante dalla camera di S. e gli ho chiesto: Puoi consigliarmi un buon avvocato presso il Consiglio Ebraico? Se sposo un migrante tedesco - quindi un apolide -, questo che conseguenze può avere? Potrò condividere il suo destino quando sarà mandato in Polonia? Ecc. E la voce improvvisamente seria di Werner: Non sono sciocchezze. E io, molto decisa: Certo, lo so. In questo modo ci viene ora dato un destino, invece che una vita. E, nei molti vortici in cui mi sono fatta trascinare dopo questo dialogo, quelle due parole si sono quasi perse. Ma le ritrovo improvvisamente e mi rendono di nuovo un po' orgogliosa e seria. Anziché per una vita casuale, ti senti così, in tutta tranquillità, matura per un “destino”. Matura per prendere il tuo destino su di te. È il grande cambiamento di quest'ultimo anno. Non devo più armeggiare con i pensieri e trafficare con la mia vita: ora c'è un processo organico in corso. Cresce qualcosa; lanci un'altra volta uno sguardo verso l'intero e là c'è di nuovo qualcosa che è cresciuto, e devi solo accettarlo e assumerlo, portarlo con te e lasciare che sbocci. Alcuni mesi fa mi sono chiesta se vorrei seguirlo in esilio o chissà dove. E nella mia fantasia si sono svolte molte scene strazianti. Dovevo scegliere tra questa cara scrivania, il posto più fidato che conosca, questa veranda assolata e la protezione equilibrata, onnipresente, di Han - tanto per chiamarla così - e una vita sradicata in chissà quale posto inospitale di questa terra, isolato da un passato e da un futuro, così pensavo, ecc. E nella mia immaginazione non sono riuscita ad arrivare a una scelta, ma in compenso ho inventato per lui preghiere stupefacenti, nel caso dovesse finire esiliato da qualche parte, lontano da me, e nei miei pensieri gli ho scritto lettere delle quali ritenevo con convinzione che, se le avessi potute scrivere davvero, sarebbero appartenute alla più bella letteratura mondiale. Ecc. E ieri mi sono sentita d'un tratto stranamente seria, adulta e sicura e ho guardato in me stessa e ho visto... ecco! In quei mesi improvvisamente qualcosa era maturato in me, era lì, e tutto quello che dovevo fare era accettarlo. Poi ho capito che avrei legato la mia vita alla sua, in un finto matrimonio, per rimanergli accanto. Lo avrei consegnato “sano e salvo” alla fidanzata, e sapevo che avrei potuto condividere con lui una vita dura, giorno dopo giorno, perché mi sentivo ancora più libera e affrancata da lui di quanto non fossi mesi prima. Già, a volte osservo questa camera e dico: Oh, Etty, sai davvero quello che stai facendo? Ma questa camera la porterei via con me, anch'essa è infatti diventata parte di me, non ci sarei comunque rimasta per tutta la vita, lo sapevo già, ormai la porto con me interiormente, e qui mi potrò sempre ritirare. Appartiene alla mia formazione, mi è rimasta fedele per anni, mi ha formata ed è sempre stata lì, pronta e aperta e accogliente, a volte colma di sole. E Han? Non è anche questo un processo naturale? Dovrò scivolare via da lui lentamente e poi, d'un tratto, sarò del tutto via, e so già che il mio cuore si spezzerà spesso pensando a lui, ma anche pensando a me stessa. Porto anche lui con me, anche lui è diventato sostanza della mia sostanza, e ha “trasformato” la mia essenza. C'era una tale grande certezza in me: finto matrimonio, apolide, esilio o chissà cos'altro e un matrimonio per amicizia e amore, ma per una forma d'amore diversa da quella che è necessaria per sposarsi. E poi lasciarlo andare e allontanarsi da lui: non voglio infatti essere un peso con la mia personcina, non voglio la minima mancanza di libertà, per nessuno di noi due. E proprio perché mi sento così libera, oserei condividere il bisogno. Con tutti i rischi del caso. Da una parte il rischio di un legame troppo profondo e dall'altra quello di respingerci a vicenda, il rischio di una diminuzione d'intensità: ma questo non conta affatto, no? La cosa principale non è forse che insieme si riesca a venire fuori da un momento di grande bisogno, e che ci si riesca meglio che da soli? Che

si sopravviva a questi anni difficili? E che io possa aiutarlo nelle cose pratiche? Eccetera. Gli ho raccontato tutto questo in un lungo, serio e quasi professionale colloquio. E lui mi ha guardata all'improvviso dall'alto - io sedevo a terra, accanto alle sue ginocchia -, con un'aria interrogativa e tenera, chiedendomi: Ma come hai fatto a diventare così matura? E poi: Sei una ragazza fantastica. Ed è giusto sentirsi a volte gravemente malati e confusi e disorientati, come oggi, e chiedersi di nuovo: Lo vuoi davvero? E poi, d'un tratto, ecco la paura gelida e l'incertezza e un sospiro per dire: Mio Dio, bambina, in che cosa ti stai cacciando? Ma la certezza pian piano cresce. Sono diventata abbastanza matura per assumermi il mio “destino” e per smetterla di vivere una vita casuale. Prima devo parlare con quell'avvocato, dopo con Tide; e con i miei genitori. E controllare in me se quella certezza sta crescendo. Per questo è un bene che tu abbia ora ventotto anni e non più ventidue, adesso avrai il diritto ad avere un “destino”; non è più un sogno romantico o la ricerca dell'avventura, o un'infatuazione che spinge le persone ad azioni folli e irresponsabili, ma è una serietà terribile e sacra, ed è così ardua e a un tempo così ineludibile. E poi, l'altra faccia della medaglia: qualcosa di molto diverso, meno oggettivo. E anche così tipico: settimane fa, sono entrata per un attimo nelle sue due camere, una sera. La camera da letto era illuminata da uno spiraglio di luce proveniente dallo studio; il letto era già pronto per la notte: un lenzuolo bianco piegato e un cuscino bianco e, all'estremità, narcisi gialli, splendenti. Il ramo pesante delle orchidee si piegava curvo sopra al suo letto: sono rimasta per un istante immobile in quella cameretta semibuia a guardare il cuscino bianco sul quale di notte si sarebbe posata la sua testa, sola; poi ho attraversato la camera verso lo studio, e insieme abbiamo lavorato duramente per tutta la sera. Forse c'è stato un unico tenero gesto tra di noi; ma quei pochi minuti, in cui sono rimasta ferma accanto al suo letto ben preparato sotto al ramo di orchidee, mi hanno regalato la sensazione di aver trascorso una notte d'amore. E ieri stavo su quel letto, per la prima volta nuda tra le sue braccia, ed è stata una notte d'amore molto meno di quella volta. È stato in ogni caso un momento buono. Non è stato eccitante e non c'è stata estasi. Ma è stato un momento dolce, che mi ha fatto sentire al sicuro. Le mie ultime inibizioni sono crollate, ed è stato così infinitamente bello vedere, attraverso gli occhi semichiusi, la sua grande mano espressiva riposare sul mio corpo bianco. E lui mi ha trovato bella. Ha posato con prudenza la mano sui miei seni, sussurrando quasi sorpreso: com'è morbido. E tu, così tenera. QUADERNO VII [Mai ritrovato]

QUADERNO VIII 18 maggio - 5 giugno 1942 [Lunedì 18 maggio 1942] E quella Beppie che gira per Amsterdam con le calze abbassate e i capelli spettinati, che pare abbia portato intere famiglie all'illegalità e alla distruzione perché collabora con la Gestapo; non potrò mai dirlo chiaramente a Max e non ci proverò neanche - anche se stento a credere ai suoi racconti, per via di tutto il disprezzo che lui prova nei confronti del comportamento di lei e per la situazione deplorevole di questa ragazzina trascurata e degenere. Una ragazzina sciocca e trasandata che non è riuscita a capire un uomo e ad assorbirlo in sé, e per la quale l'intera Gestapo, l'intera Occupazione e l'intera guerra non sono altro che mezzi di cui si serve per le sue contorte follie. Eccetera. Non ho davvero alcuna pazienza nelle dita per scriverci un romanzo. Intendo dire che è tutto così insignificante: che lei sia una spia, che si faccia pagare dal nemico, che perseguiti il suo primo

seduttore e traditore con tutto ciò che si presenta alla sua mente confusa; non è davvero importante, se paragonato alle cose che contano. Quella Gestapo è un decoro casuale, e anche la guerra e l'Occupazione, sono tutte prerogative casuali attorno a lei: se non ci fosse stato un nemico occupante, avrebbe cercato altri strumenti per la sua angoscia e il suo smarrimento; ma, per amore di completezza, dovrei aggiungere qui che lei è anche una piccola ragazzina del ghetto sporca, bugiarda e pettegola. Partendo da un'avventura gratuita, non seria - almeno da parte dell'uomo -, ha costruito, con la sua fantasia, una vita di valori: amante, madre, moglie, compagna. Una volta mi disse, ormai anni fa - e già allora suonava quasi ridicolo: “Ho detto a Max: voglio essere tua madre, la tua compagna e la tua amante”. In ultima analisi, è tanto miserabile e meschina, eppure molto pericolosa. Ma Max non capirà mai quanto anche lui sia da biasimare! Concepire un progetto nobile in un momento di serenità della tua vita non è davvero sufficiente, devi anche farlo nascere e crescere. Nel caso di Leonie, ho solo concepito, ma poi non ne ho fatto più nulla. Di tutte le mie intenzioni di leggere i suoi sfoghi “con serietà profondissima”, non è rimasto granché, la mia riluttanza è ancora troppo grande, e domani lei viene di nuovo da me: abbiamo bisogno di prenderci un po' di vacanza da lei. Può davvero dipendere solo dal fatto che io trovi la sua bocca tanto brutta da non poterci fare l'abitudine? Le minacce e il terrore crescono di giorno in giorno. M'innalzo intorno la preghiera come un muro oscuro che offra riparo, mi ritiro nella preghiera come nella cella di un convento, ne esco fuori più “raccolta”, concentrata e forte. Questo ritirarmi nella chiusa cella della preghiera diventa per me una realtà sempre più grande, e anche un fatto sempre più oggettivo. La concentrazione interna costruisce alti muri fra cui ritrovo me stessa e la mia unità, lontana da tutte le distrazioni. E potrei immaginarmi un tempo in cui starò inginocchiata per giorni e giorni - sin quando non sentirò di avere intorno questi muri, che m'impediranno di sfasciarmi, perdermi e rovinarmi. Martedì mattina [19 maggio 1942], le otto Nello stretto deposito del mio corpo le sensazioni, per il momento, sono ammassate in casse e scatole. Giacciono inutilizzate nei loro imballaggi, in attesa di essere tirate fuori e di trovare la loro collocazione in uno spazio vitale, invece che in quel deposito spoglio dove se ne stanno lì ad aspettare. Non è del tutto vero, ma mi sembrava un'immagine tanto bella nelle prime ore del mattino. O forse c'è qualcosa di vero ultimamente? La pioggia di ieri, anche se abbondante e sontuosa, non mi ha portato alcuna liberazione dall'atmosfera opprimente. Potrei scrivere pagine e pagine, probabilmente senza trovare alcun sollievo per i miei umori in subbuglio. In realtà credo che dovrei parlare di pancia e reni piuttosto che di “umori”. Stamattina ho pregato affinché tutte le parti malandate del mio corpo potessero ricomporsi. Lancerei una corda resistente attorno ad esse, sperando di tenerle insieme in questo modo. Ho un senso di nausea nello stomaco e reumatismi alle spalle, e nel mio ventre ci sono una serie di organi che si comportano male, come i reni e le ovaie, o forse essi non si trovano neanche nel ventre. Comunque sia, le mie dita sulla paglia consumata della sedia del bagno erano un intreccio di forti ramoscelli; e da qui ho tratto di nuovo forza ed energia. Alle dieci leggerò a S. ancora un po' della “confessione” di Leonie e prima di questo vorrei tanto scrivere una lettera ai miei (FRASE RUSSA), “madre” e “padre”per una sorta di senso del dovere. Per me Leonie è un peso sullo stomaco. Oh, Signore caro, rendimi un po' giusta, non gelosa, e davvero, davvero matura, e un po' al di sopra delle cose concrete. Puoi forse scacciare totalmente qualcuno come persona perché ha una bocca che sembra troppo debole e sensuale? Che razza di umanità è la mia in questo caso? Mezzogiorno Se io stamattina avessi avuto un po' più di tempo, avrei anche scritto qualcosa di questo genere:

È così impegnato ultimamente, abbandonato nei suoi pensieri. Lo sento di nuovo così lontano. C'è la bassa marea e l'alta marea, gli ho scritto una volta in un momento di saggezza e rassegnazione. E da ieri penso: adesso c'è di nuovo la bassa marea. Ciò non mi fa più sentire ribelle e triste come un tempo; adesso dico semplicemente a me stessa: ebbene, c'è la bassa marea. Devi comunque assegnare un posto anche a questo, nell'ordine delle cose, non credi? E, da un punto di vista interiore, non sono più così drasticamente staccata da lui come prima. Avrei scritto più o meno questo, qualcosa che, un paio d'ore dopo, sarebbe stato già datato. Stamattina sono rimasta di nuovo per mezz'ora a guardare la sua faccia allegra e gentile, e lui mi ha di nuovo sommersa con le lettere, da ogni parte, e con domande; era di nuovo totalmente presente e ho notato che era tutto dipeso da me, dalla mia situazione fisica. Mi manca la forza per sostenerlo, per portarlo con me e comprenderlo appieno, e mi vengono in mente all'improvviso le parole del poeta: Voglio specchiarti sempre in tutta la figura mai cieco o troppo vecchio, per sostenere la tua immagine vacillante e greve. E sono davvero troppo stanca per sostenere la sua greve, vacillante immagine; in quei momenti devo metterlo per un attimo accanto a me, riposare per un istante a lato della sua strada, che è dritta e procede verso la meta. Per me è utile e necessario constatare sobriamente: dipende da me e non da lui. Lui non mi abbandona, ma io, per un attimo, non riesco a portarlo con me. Un improvviso senso di tranquillità mi coglie ora più alla sprovvista di quanto potessi immaginare. E tuttavia, nelle aree a sud del mio diaframma, la sensazione è comunque molto sgradevole. Esclamazione: che cosa voglio esattamente? L'Arte. Con la lettera maiuscola più grande possibile! E fare schizzi, rapidi e potenti come stampe giapponesi. Una breve frase contro uno sfondo senza parole, allo stesso modo in cui un flessibile ramo nero è tracciato su un cielo piano e luminoso. D'un tratto sento il bisogno di trascrivere qualcosa da una lettera di Rilke del 1903, dopo una veloce introduzione di Rodin: “Quello che egli guarda e circonda con lo sguardo è per lui sempre l'unico, il mondo in cui tutto accade; se scolpisce una mano. questa è sola nella stanza, e non c'è nient'altro al di fuor i ai una mano; e Dio ha fatto in sei giorni solo una mano e ha versato acque attorno a essa e su di essa ha piegato il cielo; e sopra di essa ha riposato quando tutto era finito, e c'erano una sola maestà e una sola mano”. 20 maggio [1942]. Mercoledì mattina, le otto e mezzo Improvvisamente sono una trapezista e, con un unico potente salto in alto, mi ritrovo al centro di quel complesso palcoscenico che è la vita. Quando S. mi ha telefonato alle dodici e mezzo, per dirmi: Quella ragazza sta venendo da te ora, sii carina con lei, era così spaventata all'idea di venire da te, d'un tratto mi hanno abbandonata tutte le inibizioni e i virus che, nel mio inconscio, si erano accumulati contro di lei. Mio Dio, in questo nostro mondo dove le persone si massacrano e si trattano orribilmente! Perché mai quelli che hanno ancora un minimo di cognizione di quali valori contino davvero non dovrebbero realizzare quei valori nella realtà della loro vita quotidiana? E benché io provassi dolore in ogni parte del corpo e della testa, appena entrata, lei ha detto: Ti trovo più in forma della settimana scorsa! Ed è stato un incontro breve, allegro e intenso. La sera, mentre ero in strada per andare alla sua lezione, ho fatto un altro meraviglioso, gigantesco salto su quel trapezio. Mi sono ricordata di come la scorsa settimana mi fossi nascosta, stanca e malandata, in mezzo a quella folla di allievi e ho pensato a quanto debba essere terribile se non riesci a comprendere, assimilare e sorreggere qualcuno che ami. Quanti racconti di sofferenza devono nascere, nei matrimoni, proprio da circostanze di questo tipo, dal fallimento nel comprendere l'altro. E, nel profondo di me stessa, ho avvértito quanto debba essere terribile. E ieri mattina era proprio come se io fossi rimasta indietro, ferma ai margini della sua strada dritta, e dovessi riposare un po'. Ma ieri sera, mentre pedalavo andando da lui, ho

ritrovato improvvisamente la forza che attraversava tutto il mio corpo da una parte all'altra. Riuscivo di nuovo a comprenderlo, lui e anche il mondo intero, ed ero d'un tratto tanto grata di essere fatta così, di essere capace di accogliere, sorreggere ed elaborare tutto quello che giunge fino a me - lascio che molte cose mi tocchino. E ho gonfiato i bicipiti; è buffo notare come il corpo trovi le possibilità espressive corrispondenti a ciò che accade nell'animo. E forse, a causa di una fiducia giovanile in me stessa, un po' eccessiva, ho fatto un balzo troppo alto su quel trapezio. Durante il corso mi sono seduta accanto a lui e non mi sono nascosta in mezzo agli altri, come la settimana prima; vedevo ogni tanto il suo volto di lato e d'un tratto mi è parso così vecchio e stanco. Così vecchio, se paragonato alla forza che era di nuovo nata in me. E più tardi quella sera lui mi ha detto: Hai di nuovo un bell'aspetto; con quel suo gesto naturale e immediato, che non ha nulla di offensivo, ha proteso le mani verso il mio seno. Non è comunque nient'altro che “forza spirituale”. Lei è un'innamorata nello spirito. Ma la cosa principale è che lei continua a ispirarmi. 23 maggio [1942], sabato sera, le dieci Talvolta, durante una conversazione con lui, i contorni appaiono così netti, quasi cristallizzati, che vorresti poter fotografare l'intero colloquio. Talvolta, torno a casa con una conversazione tanto delineata e chiara nella mente, che mi sembra di poterla isolare dalle parole di un'intera serata. Ma ci si inganna su questo punto. Non si può fotografare una conversazione dopo che ha avuto luogo, si può solo tentare di ricrearla. Oggi pomeriggio essa era, all'improvviso, di nuovo tanto chiara nelle sue linee fondamentali. Ma non oso mai trascriverla, per paura di renderla confusa con le mie parole. E sarebbe ora che desistessi proprio da ciò: dall'idea che, dopo un'esperienza che ti ha coinvolta, tu debba sederti davanti a un pezzo di carta e ricreare immediatamente la scena trasformandola in un capolavoro. E devi anche liberarti della paura che, se non la trascrivi subito, più tardi la dimenticherai. Certo, sai benissimo che è così, ma devi imparare a viverlo, il che vuol dire che devi acquisire una reale fiducia nel fatto che le impressioni più forti e valide rimarranno in una sorta di riserva, riserva dalla quale potrai un giorno attingere a piene mani. Non volevo affatto scrivere di tutto questo: torno, e credo che, se mi lasciassi andare, tornerei sempre, allo stesso punto. Alla questione dello “scrivere”, del voler scrivere, alla possibilità di dare forma. Pazienza e ancora pazienza. “Voglio scrivere un libro” ho mugugnato all'improvviso oggi, come una bambinetta impertinente, mentre stavo appoggiata alle sue ginocchia. Nei momenti più insospettabili mi coglie il pensiero viene da lontane profondità ed è molto intenso e genuino: Voglio scrivere un libro! E lui ha ribattuto, con grande calma ma con convinzione: “Bene, ce l'ha quasi fatta. È ancora alle doglie del parto, ma ce l'ha quasi fatta”. Non lo so. Ma adesso pensa per favore alla mancanza di carta. Una cosa simile può dirla solo lui, senza che suoni rude. Gli stavo di nuovo camminando accanto in silenzio, in completo silenzio, e provavo un grande dispiacere per me stessa, com'è naturale, quando a un tratto mi ha sorriso in mezzo all'Apollolaan, e ha detto: Lei, stronzetta onanistica, mentalmente intendo. Zitta, zitta, e poi a casa scriverà di sicuro una decina di pagine nel suo diario, e magari fra sei mesi mi racconterà qualcosa. A volte ho la sensazione di non essere in alcun modo adeguata. Nei confronti di lui e delle sue parole, che a volte, nel cuore di una nostra conversazione sulle cose importanti della vita, mi incalzano colpo su colpo: colpi di martello mirati e dritti al cuore. E grazie a un colloquio simile, una parte della nostra vita appare d'un tratto imponente come una fortezza. Non posso certo mettermi a stenografare, non appena parliamo di cose intime. Ma quanto più il mio cuore e, a volte, anche la mia testa sono pieni della sua presenza, tanto più vuote sono le mie mani quando afferro questo quaderno, e a volte riesco solo ad annotare una misera parola. Forse più in là ritroverò quella parola, simile a un piccolo appendiabiti da cui vedrò pendere un'intera sera o un pomeriggio o una sola ora, con il loro contenuto ricco e pieno. Potrei quasi renderlo con una formula algebrica. Quanto sono ancora legata all'idea convenzionale,

secondo la quale si deve stare per un certo numero di volte alla settimana sotto le stesse lenzuola per poter dire di avere una vera relazione? Credo che per me non conti assolutamente la convenzione, piuttosto cose molto diverse. E, ancora: dove stanno i confini della fedeltà? Ma, obbiettivamente, questo non ha alcuna importanza. Lui è fedele, a suo modo. Qualora dovesse cominciare con me una relazione completa, finirebbe in tali conflitti con se stesso circa il rapporto con Hertha, che questo potrebbe danneggiare seriamente la nostra stessa relazione, che è così intensa, che è maturata con grande costanza per quindici mesi e ancora sta crescendo. E in una relazione completa con me comincerebbe a non sentirsi libero nei miei confronti. Non ci rifletto molto, ha detto, non ci ho pensato proprio in questi termini, ma intuitivamente mi comporto così e penso che vada bene. (Intermezzo: non si possono prendere parole dalla realtà di una conversazione e trascriverle su un foglio di carta. Diventano parole molto diverse. Bisogna ricrearle in un'altra realtà, e non si può neanche ricreare l'atmosfera che avvolgeva la realtà parlata; è necessario crearla daccapo, e questo deve accadere con le parole: qui inizia la letteratura e tutto il problema). Se sapessi, ha aggiunto, che lei sta vivendo una vita abbastanza soddisfacente là, che incontra tante belle persone, allora forse vivrei anch'io in maniera diversa qui, per quanto riguarda questo aspetto. Non ha nulla a che fare con il desiderio o con la brama, è piuttosto... sì è proprio fedeltà. E lui pensa anche al “dopo”, anche per me. Volevo dirgli che il mio “dopo” è ormai andato perduto, perché noi siamo già andati molto oltre. C'è forse un nuovo processo in elaborazione dentro di me? Non ha nulla a che vedere con quei letti gemelli. A volte in me si staglia all'improvviso un'idea che un tempo non avevo: voler essere sua moglie. Non ha niente a che vedere con letti e stati civili, né con lo stare insieme una vita intera. Si tratta semplicemente di voler stare con un altro senza riserve. E ogni volta che mi viene in mente, riesco a vedere fogli completamente coperti con quella irrequieta, caratteristica calligrafia e con la firma: Deine Frau. In calce a ogni lettera passionale e piena di desiderio, di nuovo: Deine Frau. E lui scrive in calce alle sue: Dein Mann. E qui sta il limite. Per quel Deine Frau ci sarà sempre uno “stop”. E lui pensa al “dopo”, soprattutto per me. Mentre scrivo queste cose, mi si forma un nodo in gola e mi sento sempre più disperata, tutto mi sembra così grave; ed è davvero singolare che io, proprio in questi momenti, debba venire a cercare questo quaderno. La settimana scorsa, invece, era carica di una sensazione totalmente diversa: quella di voler andare per la mia strada e di non voler mai legare la mia vita alla sua. A volte tutto sembra tanto semplice ed è come se tra lui e me fluissero solo cose buone e fruttuose. Ma poi di colpo mi sento come se in qualche angolo dell'edificio fosse stato fatto un piccolo errore di costruzione, sicché l'intera casa rischia di crollare da un momento all'altro. E allora tutto il positivo della nostra relazione scompare, e mi coglie il presentimento orribile di una lunga via crucis. Ora sono le undici meno un quarto e mi pare terribile dover andare a letto adesso. Ho ancora un grosso nodo in gola, e la giornata di domani mi sta davanti come un'alta montagna minacciosa che deve essere scalata con gambe stanche. E sono così scontenta, scontenta di essere indolente tanto da non riuscire a spiegare a me stessa tutto quello che deve essere spiegato. A volte, mi assale il presentimento che le cose nel profondo siano molto diverse da come appaiono sul piano superficiale dove io riesco ad arrivare. Non è così grave se in te cresce la volontà di stare con un solo uomo senza riserve. Un desiderio simile non deve mica realizzarsi all'istante. Non c'è bisogno di farne una tragedia; dovresti essere grata che sensazioni elementari di questo genere possano attecchire nel tuo cuore vagabondo. E poi, tutte le fantasie da scolaretta con le quali riesci a commuovere te stessa fino alle lacrime - si tratta forse di masochismo? Devi seguire i percorsi che la vita delinea davanti a te, in questo momento, le difficili vie di questo pezzo di storia in cui oggi ci ritroviamo a vivere. Devi continuare a vedere la tua vita in questa cornice più grande. Se davvero sta crescendo un sentimento forte, va bene, lascia che cresca tranquillamente. E quello che talvolta temo, cioè di andare troppo oltre in un sentimento, non è possibile. Bada a che non ti distrugga e non ti riduca in polvere, ma ti riempia di vita e ti renda creativa. E poi, naturalmente, ci sono sempre le esigenze di quel piccolo animaletto femminile che vorrebbe possedere l'uomo. Oggi pomeriggio abbiamo parlato anche della relazione tra “sessualità” e “consapevolezza di sé”.

Devo accettare questa “fedeltà”, per quanto mi pesi, la sua fedeltà, e devo anche sapere che un'eventuale infedeltà causata da me potrebbe annientare questa bella e fruttuosa relazione. Me ne sto qui, seduta a fissare un punto nel vuoto, e improvvisamente dico a me stessa: lui ovviamente ha ragione. Io tengo troppo poco in considerazione quella donna a Londra. È una parte importante della sua vita, quella relazione: la deve portare avanti intatta attraverso questi tempi difficili. Desidero troppo che la sua relazione con me sia il punto focale della sua vita; forse in me, a questo riguardo, c'è ancora un po' d'intolleranza e forse anche vanità ferita. Ma se è così, allora meglio dirsi: non meriti neanche di averla, una relazione così intensa e indicibilmente complicata, con quest'uomo di cinquantacinque anni, se sullo sfondo del tuo sentimento ci sono ancora piccolezze del genere. E non c'è forse dell'altro? L'idea che, insomma, se non posso averlo tutto per me, allora preferisco non averlo per niente? Non credo però che le cose siano così piane e banali in me; del resto, forse a causa di quello che manca tra noi due, finisco col perdere di vista il molto che invece c'è e che, di giorno in giorno, può ancora crescere. So già che, fra molti anni, sarò grata per tutto quello che è maturato dentro di me attraverso la sofferenza per lui, perché è solo grazie a lui che le forze creative, latenti in profondità, hanno cominciato a dare segni di vita. E benché sappia che in futuro gliene sarò grata, e che lo sarò anche per il fatto che lui mi ha lasciato andar via, devo prima soffrirne. E d'un tratto mi stupisco non poco nel vedere scorrere di continuo dalla mia penna la parola “soffrire”. La mia vita non merita affatto quella parola. Lui somigliava proprio a un pasciuto imperatore romano, per il modo in cui si stendeva comodamente su quella grande poltrona. Nerone deve essere apparso così nei suoi momenti più domestici. La sua pancia pesante - e nemmeno pesante in maniera sgradevole - è diventata un rifugio per la mia testa assonnata. E il volto largo ed espressivo, così pieno di calore umano e di aggressività, così benevolente e voluttuoso al tempo stesso. E su tutto questo si stende sempre, come un'aura, quella calma olimpica. Ti stai davvero torturando con vane illusioni, quando pensi di essere privata di una qualunque sua parte perché a Londra c'è una donna che lui intende sposare, un giorno. Un giorno, sì, più in là. Ma che cosa sappiamo dopo? Mio Dio, che ottimismo solare c'è ancora nelle nostre fantasie. Il futuro? Una baracca nel Drenthe con trentasei famiglie dentro? Fame, uccisione o esilio? In ogni caso, puoi davvero permetterti di disperdere le tue energie in fantasie infruttuose e autolesioniste, di disperdere le forze di cui hai ancora bisogno per attraversare questi nostri tempi? Le fantasie sono molto belle, ma non devono divorare tutta la tua vita e risucchiare l'energia. In me si stendono intere regioni ancora incolte, dove non ha mai messo piede la più elementare umanità. Così, per esempio, nel mio atteggiamento verso quella donna a Londra. Tide prega per lei ogni giorno; che loro si riuniscano. E preferibilmente in Olanda e nello “Spier-club” e che poi si possano portare avanti tranquillamente le attività del circolo. No, davvero, questo non riesco ancora a farlo. Devo mettermi in viaggio. Vedi, quest'insensata follia ricomincia. Sì, certo, in viaggio! Probabilmente verso la brughiera di Drenthe. Insomma, non ha importanza. Se lei viene o non viene, e se sarò io a partire, che ne sappiamo noi, prima del tempo? Tuttavia si tratta della predisposizione interiore, anche nei confronti di lei. In passato mi aggiravo con un'aria arrogante attorno a quel ritratto pensando più o meno: non ho nulla a che fare con quella noiosa donnina. Proprio come se lei mi portasse via qualcosa a cui non aveva diritto. Davvero una bella ipotesi! Ma se c'era qualcuno che stava derubando qualcun altro, non ero forse io, eh? Ma che misero livello “mentale-spirituale”! Non è stato rubato nulla, c'è solo un arricchimento. La sua scorta d'amore è così grande e diventa sempre più ricca. E chi finisce nel baluginare dei suoi raggi (quanto odierò in futuro tutte queste parole patetiche; stai calma, questa è una soluzione temporanea in mancanza di meglio, un giorno arriveranno anche le parole giuste) non priva nessun altro di quell'amore, ma ne aggiunge solo alla scorta. Ora però rischio davvero di sguazzare nello stesso baccanale cosmico, per il quale di recente mi sono tanto infuriata riguardo a Leonie. A volte, una donna vuole lasciare all'improvviso le vaste distese e veder tracciato uno stretto limite attorno a lei e a un uomo, desidera non avere altro che se stessa e l'uomo. Un po' di tutto questo è ancora dentro di me, ma non rappresenta più ciò che c'è. Quel famoso mercoledì (è stato davvero solo tre giorni fa? Mi sembra una grande e illuminante avventura che appartiene a un periodo molto lontano della mia

vita), quando Hanneke ha detto - parlando di “costrizioni” e “legami”: No, io non potrei vivere senza legami, senza un marito, senza figli, no, semplicemente non potrei, in quel momento ho subito capito quale poteva essere la mia reazione interiore alle sue parole, e cioè più o meno questa: Sì, io potrei vivere così, potrei forse addirittura resistere a lungo in una cella spoglia, per anni inginocchiata su un pavimento duro, avrei comunque una vita grande e lussureggiante: tutto quello che la vita può offrire sarebbe dentro di me. E ho avvertito di essere fatta di una materia diversa rispetto a Hanneke e sì, a tutte le donne che non possono vivere senza legami. Oggi pomeriggio, durante la nostra passeggiata, lui ha detto: Lei mi piace molto, mi piacciono molto gli ingredienti della sua anima. Ciò che vi è di sostanziale in lei. Perché, in Olanda, questo viene generalmente frainteso: la sua anima russa, intendo. Certo, gli olandesi apprezzano il suo spirito e la sua intelligenza, ma non comprendono la sostanza... o qualcosa di simile. Ho ancora così tanto da fare che non mi rendo conto in realtà di come posso sprecare anche solo un minuto della mia vita. Lì c'è Jung e, dopo la lettura delle sue Trasformazioni seguirà Energetica psichica. C'è anche sant'Agostino e la Bibbia e non ho ancora letto l'ultima opera di Rilke. Già da settimane Die Renaissance di Walter Pater giace sulla mia scrivania. E ho anche improvvisamente abbandonato il Principe Mygkin al suo destino. E poi mi sento pian piano matura per le Gothische Kathedralen, che inizialmente se ne stavano ignorate sul tavolino bianco e che adesso attirano sempre più la mia attenzione. E c'è ancora così tanto, un'infinità di cose. Ho del tutto tralasciato i miei russi, la letteratura sulla Russia e la lettura di documenti in originale. Ma a questo punto dovrebbe ormai esserti molto chiaro: non puoi sprecare le tue forze con fantasie sul futuro, con storielle di sofferenza incontrollata, assoluta, stancante. Un po' di sofferenza non è poi così grave, ragazzina mia, fa parte della vita e se non impari a soffrire in questa maniera, non puoi neanche essere così felice come talvolta, anzi spesso, sei. Non puoi neanche fissarti ossessivamente su quell'unico uomo, perdere il tuo senso di prospettiva mettendo quell'uomo, ingrandito a dismisura, al centro della tua esistenza. È ormai quasi mezzanotte, ma ora non mi dispiace di non essere andata a dormire presto: penso che tra tutte le parole che ho scritto ce ne sia almeno una precisa e illuminante, perché mi sento un bel po' più libera e leggera di una mezz'ora fa, nonostante quel mal di pancia incredibilmente fastidioso. Forse si sta per scoprire l'inizio di una formula liberatoria. Penso che ora andrò comunque a infilarmi nel letto vicino a Han. Non per un attacco di debolezza, come quello di qualche minuto fa, quando mi sentivo troppo miserabile per stare da sola, ma solo perché è tanto piacevole. Anche questa è stata una frase singolare nella nostra conversazione di oggi pomeriggio: E se adesso pretendessi che tu fossi completamente mia e che interrompessi la tua relazione con W[egerif], ciò causerebbe di certo dei conflitti, non per te ma per lui. E ha continuato: Alla fine non importa dove quel poco andrà a finire, purché si sia creativi, ecc., e qui ha senz'altro aggiunto cose molto rilevanti, ma non le ricordo alla lettera; in sostanza deve aver detto all'incirca: purché non si tradisca lo spirito. E questo è forse il motivo per cui, a volte, mi dà una sensazione di incertezza, perché penso a quei cittadini ammodo a cui si drizzerebbero certamente i capelli in testa di fronte a simili considerazioni, e per l'idea di come si debba vivere in base alla morale comune, e allora non riesco a inquadrare le cose nella giusta prospettiva. Eppure va bene per la nostra vita: ... alla fine non importa dove quel poco andrà a finire... Qui mi trovo di fronte a uno slittamento delle regole tradizionali tanto inquietante che finisco per un attimo in un vuoto. Sono forse ancora legata a convenzioni? Ho paura di giocare con i grandi valori? Tuttavia, se i grandi valori di questa vita sono stati messi al sicuro da qualche parte, non è forse con lui che si trovano? E quel deposito dentro di me non diventa forse sempre più affidabile? E perché non stare completamente, senza riserve, con un solo uomo? Lo si può realizzare solo nella forma di: “Sono tua moglie”? Deve sempre dipendere da questo? Quel vivere senza riserve con un solo uomo non può realizzarsi su un piano puramente umano? Resto forse ancorata a idee troppo tradizionali? E il desiderio di concedermi del tutto fisicamente, che a volte è tanto forte, è un corollario indispensabile ai forti sentimenti che provo per lui? Quel desiderio compare a momenti, e poi sparisce di nuovo. E tu ti trattieni forse dal realizzare quel desiderio perché conosci i pericoli che ne

possono derivare? Conservo ancora i peggiori ricordi di quell'unica volta. E tuttavia, non lo si realizza comunque, quel desiderio, anche in un solo abbraccio, a volte in un unico gesto di totale resa all'altro? Non è sufficiente? Non stai forse esagerando, nella tua immaginazione, l'importanza di quell'unico breve momento di contatto sessuale? Dato che il sesso non gioca neanche un ruolo tanto importante nella tua vita, non ti lasci forse influenzare, in un certo senso, da una sorta di prospettiva tradizionale su queste questioni? Adesso è davvero tempo di andare a dormire, dolce bambina, e non con Han che pensa si sia fatto troppo tardi, ma da sola. Ma è un bene che tu abbia preso per le corna queste questioni oscure e confuse che hai dentro, altrimenti ti trascinerebbero via come un toro inferocito. Domenica mattina [24 maggio 1942], le dieci e mezzo Una ventosa mattina di Pentecoste La ritiro, me la riprendo indietro per sempre, quell'espressione da avaro fruttivendolo: “Sono già andata troppo oltre con i miei sentimenti per lui”. Non si può mai andare troppo oltre con il proprio amore per qualcuno; quando dico di essere andata troppo oltre, intendo dire che temo di finire col distruggermi per quell'amore. Ma si vedrà, finora ho tratto solo forza e vita dai miei sentimenti, sempre più forti, per lui. La formula algebrica di ieri suonava più o meno così: se dovessi cominciare una relazione completa con lui, il danno e i conflitti che ne deriverebbero all'interno del rapporto con Hertha sarebbero più grandi dell'arricchimento che ne verrebbe per la nostra stessa relazione. E quei conflitti nei suoi sentimenti per Hertha avrebbero un effetto distruttivo sul nostro rapporto. Se il limite che lui si dà, il punto in cui si sentirebbe infedele, è passare una notte d'amore insieme nello stesso letto, bene, questa è la sua soggettiva linea di confine, e io devo rispettarla. E poi è il suo modo di mostrare che è fedele a quella donna sola che fa tanta fatica a Londra. Ieri gli ho detto che in questo atteggiamento si nasconde un autoinganno, una politica dello struzzo, e che comunque qualcosa non quadra, ma questa è la mia soggettiva impressione su dove stiano i limiti. E perché non dovremmo realizzare un piccolo atto di astinenza per quella infelicissima, desiderosa creaturina in attesa, là, dall'altra parte del Canale? Ieri pomeriggio lui lo ha espresso in modo talmente chiaro e onesto che, in realtà, gliene sono molto grata. Fa parte della mia crescente consapevolezza il non assolutizzare alcuna situazione, il considerarla piuttosto come un ponte per molte altre, in modo da non rendersi troppo dipendenti da ciò che potrebbe rivelarsi uno stato passeggero delle cose. D'altronde bisogna sempre essere consapevoli riguardo a se stessi, il più consapevoli possibile. Alle dodici e mezzo di ieri sera, nel bagno, dopo aver recuperato uno stato di tranquillità interiore, scrivendo su queste righine blu, sono improvvisamente scoppiata in lacrime dietro la sedia del bagno, fino a spezzarmi il cuore. Ho visto me stessa separata da lui in scene plastiche e chiare. Con il volto pallido come una maschera e gli occhi spenti, in preda alla sensazione di essere a pezzi, stavo passeggiando lungo la riva; già, e così all'infinito. Se potessi dare forma di racconto o di romanzo a quelle scene, che sono forse scorse nella mia testa per cinque minuti, molti lettori sensibili ne sarebbero commossi fino alle lacrime. E anch'io ho cominciato a piangere, ma allo stesso tempo mi sono detta: stai per avere le mestruazioni. Va spesso così: si scatenano ogni sorta di energie nel tuo corpo, attraverso il tuo sangue, e tu ne sei completamente in balìa, perché infiammano la tua immaginazione con le peggiori immagini e visioni tormentose. E da qualche parte, in un angolo del tuo essere, provi ancora una sorta di piacere masochistico nell'abbandonarti a queste fantasie che ti costano molte lacrime. A quel punto alcune parole ricompaiono improvvise sulla scena: “prendersi sul serio” e “considerare se stessi importanti”. Nel ricordare gli elementi che determinano la temporanea situazione di smarrimento, non mi perdo più nella disperazione e non la pongo più, come in passato, al centro del cosmo, con nient'altro che vaste distese desolate tutt'intorno. E credo che anche questo faccia parte della presa di coscienza: scrutare le situazioni e continuare a tenerle d'occhio, capirle, considerarle relative e non assolute. Mi sembra che un cane rabbioso abbia azzannato il mio cuore con i suoi canini taglienti, e morda e

strappi e tiri e scrolli, e non voglia più mollare la preda. Ciò che Rilke scrisse a Mary Gneisenau (1906) sulle lettere della monaca portoghese, non ha nulla a che vedere con quello che sto vivendo io, eppure vorrei trascriverne alcune frasi, per una sola parola che vi è contenuta: “Perché l'appassire e l'essere appassito, e il consacrarsi a ciò, sono una bellezza supplementare accanto alla bellezza di ciò che sopraggiunge, sospinge e sorregge, così come lo è il pianto, e la trepidazione, e il sacrificio di sé, e le vane e mortificanti suppliche, quando ciò si manifesta con tanta potenza, precipitando inarrestabile oltre il declivio di un cuore, come accadeva alla monaca portoghese... “... "un qualcosa di infinitesimamente piccolo e irragionevole" era davvero quell'implorare e sminuirsi e umiliarsi nel rifiuto, ma era così ricco, così creativo, e rappresentava a tal punto lo sviluppo e la maestà di quel cuore che, al di là dell'oggetto stesso, si fece valere e divenne grande, inesauribile e bello...”. Quando si diventa creativi persino nei momenti più tristi e disperati, allora nulla ha più importanza, no? E un momento creativo non lo si paga di certo troppo, neanche al prezzo di una grande sofferenza? Mi succede spesso: un nuovo sentimento estremamente intenso nasce d'un tratto, un sentimento così travolgente da abbattersi su tutte le cose vecchie come una tempesta, e tutto quello che c'era prima all'improvviso diventa limitato e perde d'importanza, non conta più, c'è solo la nuova sensazione che domina tirannica su tutto il resto. Così stavano le cose anche con il mio desiderio di vivere con lui senza riserve, con la volontà di essere sua moglie. Per il mio cuore incostante e vagabondo, un'esperienza estemporanea e potente. Ma non ho ancora imparato che devo prima permettere a tale sentimento di riflettere tranquillamente su se stesso; vuole subito, come un despota ostinato, che venga scosso l'ordine esistente, mentre dovrebbe farlo progredire. Credo che un simile sentimento sia realizzabile e genuino solo se riesce a trovare, in modo naturale, una sua collocazione nel rapporto esistente, offrendo a esso uno sfondo più ampio e un più profondo rilievo: altrimenti non è che un nuovo stimolo, una mera sensazione. Ogni volta bisogna trovare la forza di sostenere i sentimenti forti che nascono in noi e di farli progredire. Non si deve tendere all'immediata realizzazione, non bisogna desiderare di esserne subito liberati. Né vivere questi stati come qualcosa che travolge e distrugge tutto ciò che esisteva prima. In realtà è soltanto un piccolo nuovo filo colorato che va ad arricchire e allargare un tessuto in continua crescita. Vedi, anche questo è un prendere troppo sul serio i propri impulsi. Un nuovo impulso emerge e gli altri devono fargli spazio, tutto è infranto, mentre come fosse un usurpatore e un predatore, il nuovo sentimento invade un territorio pacifico. Dovrebbe invece entrarvi come un umile ospite - anche se di nobili natali - che chiede di essere ricevuto, e che forse un giorno salirà fino alla posizione dominante in quel vecchio paese accogliente, ma prima dovrà dimostrare di esserne degno. Di pomeriggio, le quattro Non c'è bisogno di andare molto lontano da casa per vivere avventure e incontri eccitanti. Ho voglia di mettermi a letto per trascorrere un'oretta con sant'Agostino, ma le mie mani hanno prima vagato un po' tra gli scaffali dei libri lungo il letto e all'improvviso ho incontrato in Italia Lou Salomé in compagnia di Nietzsche (Guy de Pourtalès, Amor Fati: Nietzsche in Italien). L'ho incontrata quando aveva ventuno anni, intorno al 1880, poi nel momento in cui Rilke stava attraversando la Russia con lei e le mise in mano il suo Libro d'ore (Deposto nelle mani di Lou, 1899) , quando lei aveva più o meno quarant'anni. E quando scrisse il suo libro su Rilke, nel 1929, era ormai anziana. È stato così sorprendente ritrovarla lì, così giovane e agli inizi. “Si trattava di una giovane signora, Lou Salomé, un'ebrea di origine finlandese, 21 anni, d'aspetto incantevole, intelligenza pronta e carattere risoluto; era anche benestante. Molto colta e del tutto indipendente, questa ragazza che aveva ricevuto un'educazione libera cercava a suo modo di passare il tempo e, senza dubbio, nulla avrebbe desiderato tanto ardentemente quanto legare il suo spirito in evoluzione al destino di quello studioso vagabondo”.

Malwida von Meysenbug cercò di combinare una relazione tra Nietzsche e Lou. “"Nel frattempo Malwida mi ha detto" raccontò (Nietzsche) "che la giovane le ha confidato di non aver mai avuto altra aspirazione, sin da bambina, che al sapere e di avere ad esso sacrificato ogni altra cosa. Ciò mi ha commosso". “E a Malwida disse: "Ecco un'anima che con un alito è riuscita a creare un piccolo corpo"“. E una volta lui scrisse di lei a un amico: “Lou... è perspicace come un'aquila e coraggiosa come un leone”. A ogni domanda che gli si rivolge arriva sempre una risposta diretta. Lui non nasconde mai nulla, non agisce mai in modo misterioso, si sente libero di essere aperto e onesto in ogni momento e dovunque sia, e lo fa senza perdere mai nulla del suo fascino. Ieri mi sono di nuovo imposta con le più diverse domande riguardo al suo corpo nudo. E una delle sue risposte è stata così definitiva, quasi oggettiva, per me così straordinariamente semplice: Non mi masturbo mai dopo aver pregato. 26 maggio [1942], martedì mattina, le nove e mezzo Ho camminato lungo la riva, in un vento tiepido e rinfrescante al tempo stesso. Siamo passati davanti a lillà, roselline e soldati tedeschi che montavano la guardia. Abbiamo parlato del nostro futuro e del fatto che preferiremmo rimanere insieme. Non posso assolutamente descrivere com'era, ieri. Tornando a casa nella notte tiepida, così pigra e leggera dopo il Chianti bianco, ho ritrovato improvvisamente quella certezza che ora, con un portapenne in mano, è di nuovo sparita: un giorno scriverò. Le lunghe notti che passerò seduta a scrivere saranno le mie notti migliori. E allora verrà fuori tutto quel che accumulo dentro, scorrerà pian piano come una corrente senza fine. Volevo scrivere qualcosa su di lui, ma non so più che cosa. Dopo quella conversazione tra lui e Werner, che ha reso Liesl così esausta, lui ha detto: Questo lo capisco benissimo, io d'altronde parlo come un invasato. E più tardi abbiamo camminato tutt'e tre insieme lungo la riva: “un uomo alto, brutto, demoniaco, con due donne affascinanti”. Quello che ha detto Liesl nel pomeriggio è vero. Non si deve vedere come un “sacrificio” da parte mia quando dico che vorrei seguirlo in Polonia o chissà quale altro inferno sulla terra. Sarebbe un sacrificio più grande, per me, rimanere indietro da sola, nell'intento di salvare e preservare qualcosa della sua aura e del suo spirito. Ma non mi sento ancora all'altezza di un tale sacrificio e neanche abbastanza forte. E, tra l'altro: andrà come deve andare. Le possibilità si sono formate e giocano già un ruolo nella nostra vita. Non bisogna forzarne la realizzazione; essa giungerà all'improvviso, quando non ci saranno alternative. Da una conversazione: “Nella sfera erotica sono poligamo, ma interiormente, nel profondo del cuore, sono monogamo”. E più tardi: “Ma se anche si constata di essere poligami, non vuol dire che si abbia il diritto di agire di conseguenza”. “Hai la pancia di un antico romano” ho osservato di pomeriggio. “Assolutamente no” ha detto Liesl e ha studiato attentamente quella parte del corpo. “Non tanto romana nel peso, quanto nell'espressione”. A volte lui ha l'aspetto di come io immagino un imperatore romano nei suoi momenti domestici; e puoi allora avere con lui dialoghi straordinariamente ricchi di significato. Quando Werner è tornato dal suo teatro, noi ce ne stavamo seduti dietro una pittoresca pila di panini farciti con uova, pomodoro, salsiccia e formaggio, tutte cose alle quali oggi quasi si dovrebbe inneggiare, e io ho detto d'un tratto: “Werner, lo sai che S. ha la pancia di un antico romano?”. E Werner, nella sua maniera concisa e buffa: “Perché proprio di un antico romano?”. Io ho aggiunto: “Sì, la pancia di un imperatore romano al tempo della decadenza”. E Werner, di nuovo testardamente sorpreso: “Perché proprio al tempo della decadenza?”. Ecc. Non so come l'ho guardato ieri sera, quando, dopo cena, è andato a sdraiarsi per un momento sul divano e io, per l'ennesima volta in quella giornata, mi sono stesa accanto a lui. Quegli occhi sono

diventati, ma solo per un brevissimo istante, improvvisamente dolci e commossi, e lui ha detto: Non fissarmi così. E poi il suo viso è tornato professionale; io l'ho guardato improvvisamente in modo serissimo, molto riservato e intimidito, e lui ha fatto di nuovo quella sua ampia, raggiante e salutare risata, e un po' più tardi, durante un dialogo, gli ho chiesto d'un tratto: Ti dà fastidio, se ti fisso così? Lui s'è fatto subito molto pensieroso e serio, e la commozione ha di nuovo attraversato come una piccola onda il suo viso e lui ha detto: Ho un così buffo orologio dentro di me. L'improvvisa visione cosmica di Liesl: una serata con Chianti bianco in una stanza appartata, quattro persone - due donne e due uomini - e il Vangelo di Giovanni. E non è forse questa l'unica via giusta? Vivere e soffrire intensamente e perdersi in questo pezzo di vita, giorno dopo giorno, pur restando sempre rivolti con lo spirito ai vasti orizzonti che giacciono dietro i giorni e gli anni. E avere sin d'ora, almeno a tratti, un senso di purificazione, quello che forse avremo quando, dopo anni, maturi e cambiati, guarderemo indietro a questi tempi. Vivere così, completamente, con ogni battito del cuore, in questo ricco e intimo presente pur sapendo sempre che ampie e infinite sono le strade verso gli anni a venire, verso terre lontane e, anche verso il cielo. Ieri era tutto così in equilibrio dentro di me, e io ero in pace con ogni cosa, con Hertha, con l'atteggiamento di lui nei confronti di Hertha, con tutta la sofferenza che dovrà arrivare e che io non percepivo più come sofferenza. Forse perché ieri ero tanto legata a lui e sentivo la possibilità, anche in lui, di un sempre più stretto legame? Non è ancora giunto il momento in cui le nostre vite debbano separarsi. Sentiamo entrambi che quel tempo non è ancora arrivato. E poi, non posso certo continuare a ripeterglielo: imparo comunque sempre qualcosa da lui? A volte sono proprio un “discepolo” attento e fervente che pende dalle labbra del”maestro”. Siedo col fiato sospeso accanto a lui, guardando le onde e i movimenti che scorrono sul suo volto ispirato, e allora lo so: devo ancora imparare così tanto da te e crescere ancora tanto grazie a te e non posso andare avanti senza di te, non lo potrò per molto tempo; ma anche: arriverà un tempo in cui potrò proseguire da sola e trasmettere qualcosa della forza e dell'ispirazione che quotidianamente eredito da te, in piccole quantità, ma è assolutamente necessario che io non vada ancora via da te. E adesso con Liesl dalla sarta. In un momento qualunque, di sera tardi A volte la forza fisica non è sufficiente per fronteggiare e sopportare la piena dei sentimenti e dei buoni propositi, e questo è il peggio che possa capitare. Devo ancora educare un po' me stessa a non opporre un'impotente resistenza a questo evento, cercando di forzare le cose a ogni costo, per esempio, volendo di colpo addentrarmi in un libro molto impegnativo. Adesso devo costringermi a lasciar andare tutto e avere il coraggio di restare sola con la mia debolezza, di essere giusto quel grumo di umanità stanca e non proprio ispirata che sono al momento, e niente più. Buona notte. Per me il matrimonio sta “al di là dell'amore e dell'odio”; così perlomeno dév'essere nel nostro caso. Comincio a capire sempre meglio le ricorrenti fasi di atteggiamento oggettivo in lui; sono sempre nuove dighe innalzate ad arginare una corrente di sensazioni altrimenti troppo grande e forte. “Nel caso contrario scorrerei via insieme con i miei sentimenti”. Nei suoi contatti personali, ogni giorno, ora dopo ora, l'emozione attraversa il suo corpo sotto forma di correnti copiose e forti, e lui deve costruire sempre più dighe per non esserne trascinato via. Io posseggo in realtà pochissime parole per tutto quello che vorrei dire. Potrei forse allargare il mio vocabolario? Penso che sia possibile. Significa lavorare duro, è un mestiere. Credo di contare ancora troppo sul fatto che la “grazia” mi investirà, e che a quel punto tutte le parole e le immagini appariranno da sé. A volte mi rimprovero perché non lavoro, non lavoro seriamente, anche se sono impegnata tutto il giorno. Allora penso, e temo, di lasciar passare il tempo senza lavorare, con ogni mia fibra, alle cose che veramente contano. Mi dico anche, in tono consolatorio, che deve ancora arrivare il mio momento e ho fiducia nel fatto che arriverà, ma non sono forse in qualche modo pigra e vanitosa, o

meglio, riluttante nei confronti delle cose che contano davvero? Perlomeno che contano per me. Non sto ancora lavorando a ciò che, nei miei momenti più ispirati, sono certa costituirà in futuro la mia principale occupazione, ma sicuramente, ogni tanto, si svolge un duro lavoro dentro di me e io lascio fare. Sì, in quei frangenti sono l'officina nella quale la vita produce importanti progetti, il più delle volte ignoro addirittura quali, ma sento che qualcosa cresce e lavora dentro di me; non faccio neppure lo sforzo di scoprire cosa sta accadendo, anche se so benissimo che prima o poi lo verrò a sapere, per ora lascio che si lavori tranquillamente. Alla mattina Tide, nella sua stille Stunde [“ora quieta”], annota proprio tutto quello che le viene in mente, da Dio alle tessere per il pane. Spesso mi riprometto di farlo anch'io, ma so immediatamente che non ci riuscirò mai, perché, già nelle prime ore del mattino, comincerei ad affondare in tutti i pensieri che sorgono dentro di me. Me ne sto qui più o meno da cinque minuti, fisicamente esausta e non troppo ispirata, a fissare questa scrivania disordinata e cara, e se dovessi annotare tutto quello che sta cercando di spingersi fino alla punta delle mie dita intente a scrivere, non riuscirei a smettere. Ho caricato la sveglia alle sette. La caricherò ogni giorno a quell'ora, in modo che le prime ore del mattino, che precedono la colazione, diventino i miei momenti più produttivi: o forse sto solo cercando di imitare quello che fa lui? In realtà non vorrei sposarlo, ma vorrei tanto restare a lungo accanto a lui, così, con tre strade, un canale e un ponte che ci dividono. Credo che dovrò in ogni caso restare da sola. Devo ancora esplorare in solitudine il mondo intero, senza farmi rallentare, nei miei movimenti, da quello che sarebbe in sostanza un marito; devo conservare l'ispirazione e farmi sostenere da ciò che sarà ricordo e adesso è, ogni giorno, la mia realtà. Ma la realtà attuale può essere tanto potente che non si vorrebbe più abbandonarla, mentre so, in alcuni momenti lucidi e di onestà, che il ricordo di questa realtà temporanea ne costituirà una più grande, più illuminante di quanto la semplice continuazione della stessa realtà possa mai essere. Questa mi pare davvero una formulazione terribilmente profonda e cristallina. Dio, dammi molta forza. Devo diventate forte e scaltra come un uomo, come un adulto, per poter essere una sua valida controparte nel lavoro. Se fossi sposata con lui e avessimo una casa insieme, farei in modo che venissero a trovarci uomini astuti e intelligenti della sua età, colleghi adatti alla sua personalità, con cui potrebbe misurarsi. Non è così, e io non sono che una ragazzina. Eppure vorrei avere così tanta forza e intuizione e intelligenza da poter sostituire temporaneamente quei colleghi. Adesso, però, non ce la faccio a continuare a scrivere. Solo un'ultima parola: è davvero “un'eredità”, quella che ricevo ogni giorno, poco alla volta, dalle sue mani. 29 maggio [1942], venerdì mattina, le undici e mezzo Che succede stavolta? Mi sento come una botte piena di liquido prezioso. Ma la botte è di scarsa qualità e rovinata, quindi il nobile contenuto non viene conservato in modo appropriato. Così mi sento adesso, sin dal momento in cui mi sono alzata. Uno stanco e vecchio involucro di pelle, ricoperto di punti consumati, che contiene in sé un fluido troppo nobile. C'è quasi una sproporzione ridicola tra il contenitore e il contenuto. Non mi è noto davvero nient'altro che mi dia una tale sensazione di abbattimento e che mi faccia sentire così stramba quanto la mia pessima condizione fisica. Stamattina mi ha detto: Ha un'aria così sbattuta, di nuovo in crisi? Ma, con tutta la buona volontà del mondo, non riuscirei a pensare ad altro che al mio estremo affaticamento e a un nuovo dolore che affligge il mio corpo. Non è tutto qui, naturalmente. Spesso sono così malconcia in ogni parte del corpo, eppure il mio spirito e il mio umore procedono inalterati per la loro strada, pieni di forza e sicurezza, e in tal caso non sento, neanche per un solo istante, alcuna sproporzione tra contenitore e contenuto. Ma adesso lo avverto quasi a livello fisico: un vecchio involucro consunto, che impregna di sé e inquina il contenuto molto più nobile. La logora stella gialla sventolava con trascuratezza sul suo impermeabile grigio sbottonato, non troppo pulito, e lui faceva ciondolare una pesante valigia, con quella sua faccia allegra e tanto dolce:

Mischa. La prima cosa che ha detto è stata: “Mi sono messo in verticale sulla testa ieri sera”. Ecco la sua prima reazione alla serata di ieri con S. E poi: “È un tipo fantastico. Sulle prime fa l'impressione di un uomo d'affari, ma non è proprio niente di tutto ciò”. Allora gli ho raccontato che lui era stato nel mondo degli affari per venticinque anni. “No” ha detto Mischa con decisione. “Non riesco a crederci”. E poi, con una grande tenerezza: “Non sa neanche impacchettare un libro, non è assolutamente pratico, non posso credere che sia stato nel mondo degli affari”. E alla fermata dell'autobus, ha detto all'improvviso: “È proprio strano, è indicibilmente maldestro, ma non dà proprio per niente l'impressione di esserlo”. “Questo dipende dalla sua grande disciplina” ho risposto io. “Pensa davvero che me la caverò?” ha chiesto Mischa, pieno di speranza. Lo spazio di manovra è talmente ristretto e non si può essere troppo ottimisti, ma nessuno finora si era mai occupato così tanto di lui - forse perché nessuno era alla sua altezza? “Ha solo un difetto” ha detto Jaap, imperioso e di fatto senza alcuna amabilità. Ma persino Jaap, una volta esibita tutta la sua implacabile conoscenza libresca, aveva concluso con una domanda inerme: “Va bene, ma chi aiuterà lui allora? Chi cercherà di trattenerlo da questa parte della linea di separazione, proteggendolo dalla società e da se stesso?”. L'arte, l'atto creativo costano un prezzo elevato e dure sanzioni, implicano svariate carenze e fasi di spossatezza, dalle quali sembra di non riuscire più a riprendersi, che si alternano a picchi di attività. Sono le dodici, che cosa faccio adesso? L'intero giorno che ho davanti è tutto per me. Sono consapevole del fatto che, quanto più mi sento fragile, tanto più sono necessarie disciplina, organizzazione e stabilità nella vita quotidiana, altrimenti andrò in pezzi. Si tratta solo di quei reni volubili, adesso? Non credo. Credo invece che sarò di nuovo pesante e gravida di molte cose, che ancora io stessa ignoro. Mi sento così molle in ogni punto del corpo e dell'anima, e il minimo gesto mi costa troppa fatica. D'un tratto mi chiedo se non sia sempre lo stesso tira e molla: vale a dire che proprio nei giorni di maggiore spossatezza e impotenza, sento anche il più grande desiderio di atti creativi, la più forte volontà di essere produttiva? Liesl pensa di dover “scandagliare” un lato scoperto di recente in me: la “suscettibilità”. E una così vuole pure sposarsi, ha riso forte S., dopo la nostra conversazione. Penso anche che a lungo andare, non sarei adatta a qualunque tipo di vita in società, perché in una vita in comune le irritazioni, l'acrimonia e la perdita del controllo sembrano inevitabili, anche se non capisco perché mai sia necessario; non lo capisco davvero, e mi lascia sempre tristemente sorpresa - non ferita o colpita nell'autostima, ma sorpresa - come sia possibile che persone, tanto vicine le une alle altre, possano dirsi a vicenda simili cattiverie nei momenti di stanchezza e perdita di controllo. Nella mia idea questo disintegra subito tutto quello che c'è di bello in una relazione. Non si dovrebbe aggiungere la minima discordanza a un mondo come questo, già pieno di discordanze. E ciò non vuol dire che non si debba essere vivaci e vitali e passionali nelle proprie espressioni, e aperti e impietosamente diretti con gli altri. Ma trovo quelle piccole irritazioni fatali per un rapporto. A mio avviso le cose stanno così, e forse per questo sono inadatta alla vita in comune. E, tuttavia, perché mai le cose devono andare così e bisogna accettarle? Aspiriamo a una sempre maggiore intuizione, alla consapevolezza e alla fratellanza, eppure trovo che un unico moto d'irritazione tra due persone, che fino al giorno prima condividevano un così forte legame e vivevano in armonia, sia in lampante contrasto con quella nostra aspirazione: e ciò sembra rendere nullo ogni buon proposito. Se i nostri aneliti non permeano ogni più piccolo respiro della nostra vita e attività giornaliera, allora nessuna aspirazione a una maggiore intuizione, nessun tentativo di giungere a un piano più alto della vita hanno il benché minimo valore. E qui sto di nuovo esagerando, ovviamente, anche se ciò non si allontana molto da quello che vorrei dire. Dico: “aspirazione” e “tentativo” e questo significa dunque che non ci siamo ancora. In tutto questo sono possibili crolli e cadute, in ogni momento, ma ciò non deve renderci così disperati e infelici. Alla fine quel martedì sera è stato così produttivo per tutti noi, benché anche sgradevole. E questo è l'essenziale: che tutto, qualunque cosa, continui a svilupparsi, fino a farci diventare produttivi. Lui ha detto: Sono molto contento che sia finalmente

tornato a emergere un mio lato negativo. Negli ultimi mesi cominciava già a darmi molto fastidio che non ci fosse neppure un lato negativo... ecc. E per Hanneke è stato lo stimolo a scrivere quella lettera, un atto di coraggio che le ha permesso di fare un primo, inedito, passo produttivo verso la discussione con lui; è stato un momento che si è concluso con un bacio spontaneo e che mi ha resa tanto felice. E Liesl che, con sua grande sorpresa, d'un tratto ha scoperto la mia “suscettibilità”, di cui vuole ancora discutere. E io, per parte mia, ho guardato più da vicino quell'istituzione impressionante e deleteria che si chiama matrimonio e con la quale mi misuro sempre di più negli ultimi tempi. Scopro due grandi correnti in me, entrambe ugualmente potenti: il desiderio di andare per la mia strada non sentendomi adatta a una vita in comune, e il voler tentare di condividere l'esistenza con un'altra persona, assumendomene tutte le conseguenze. E in mezzo, o meglio al di là di ciò, c'è il nostro “matrimonio apparente”, un'istituzione a sé, un'opportunità di rimanere insieme e attraversare insieme questi tempi duri. Ma l'istituzione del “matrimonio” è sovraccarica di tradizione, è tanto stimabile che non ci si può scherzare. E anche se il nostro è un matrimonio apparente, esso spinge comunque a una disposizione interiore nei confronti delle problematiche del matrimonio reale. E la serietà di questa istituzione la provo per la prima volta sulla pelle. Un bellissimo tema per un racconto. E i miei buoni genitori; mia madre, qui sulla veranda, l'altro ieri ha detto: Non lo consideriamo motivo di gioia, ma alla fine tu devi vivere la tua vita: un uomo decrepito, vecchio, con tutta una vita già alle spalle, e non conta quanto sia giovane nello spirito. Di sera, dopo cena Ogni volta è come se, per l'una o l'altra questione, io non fossi ancora del tutto indipendente da lui o non fossi diventata una persona libera e autonoma. Se mi sento tanto male come oggi, metto subito in relazione questo stato con lui. Intendo dire che, non appena mi sento del tutto indebolita, temo di deluderlo con la mia mancanza di forza. Nell'inconscio, forse, temo anche che mi trovi fastidiosa, quando mi sento così miserevole, quando per qualche tempo non sono troppo entusiasta di tutto ciò che lo riguarda; allora ho paura che la nostra relazione ne possa soffrire. E questo è ovviamente insensato. Uno può sentirsi peggio di un altro, un giorno, e ha diritto di dirlo, fa parte della sua vita e l'altro dovrebbe accettarlo. Voglio solo dire che, se mi sento malissimo e miserabile, dovrei considerare questa sensazione come indipendente da lui. Non c'è neanche bisogno che la nasconda, tanto si vede comunque. Posso dirgli in maniera sobria: Mi sento uno straccio oggi, nella pancia e nella testa e in tutto il corpo; lasciami stare per un po'. Ma quanto c'è di contratto e forzato nella vita di un essere umano! Andare davvero con le proprie gambe per la propria strada, quando si sta bene e anche quando c'è malessere, in salute e malattia, nei momenti creativi e in quelli di depressione. E non chiedersi continuamente: cosa penserà l'altro di me, gli darà fastidio, mi troverà noiosa? E pensa sempre alla differenza tra: Vincolo e UNIONE! Oggi ancora: Michelangelo e Leonardo. Anche loro sono nella mia vita, e la riempiono. Dostoevskij e Rilke e sant'Agostino. E gli Evangelisti. Frequento un'ottima società. E non c'entra più il “bello spirito da letterati” di un tempo: ognuno di loro ha qualcosa di vero da raccontarmi, e molto da vicino. Certe cose di Michelangelo mi hanno presa inaspettatamente alla gola, è stato un incontro di grande immediatezza. “Ci si abbandonava smodatamente alle proprie tristezze, sino all'autodistruzione”: è diventata una frase leggendaria. Ora non succede più. Anche nei giorni di grande stanchezza e tristezza non mi lascio più cadere così in basso. La vita rimane una corrente ininterrotta, forse in questi giorni un po' più lenta e ostacolata, ma continua tuttavia a scorrere. Non dico più: sono così infelice, non so più che fare, non m'importa più di niente. Una volta, avevo ogni tanto la pretesa di essere la persona più infelice di questa terra. Non riesco ad annotare le cose che mi colpiscono davvero. Per esempio, quella sera da Pieter e

Hanneke. Una serata simile sprofonda dentro di me e rimane là a riposare come qualcosa di pesante. Sono sicura che ci sono molte altre cose pesanti che giacciono sul fondo della mia anima. E forse questo è il motivo per cui mi sento così greve, stanca e gravida. Tutte queste impressioni e questi ricordi si amalgameranno mai in me, fino a formare un pesante ammasso di argilla che, un giorno, tornerà utile per chissà quale ignota fioritura? Ma c'è una cosa che s'impone: preferirò sempre una scrivania disordinata e piena di libri, che è soltanto mia, al più ideale e armonico dei letti nuziali. Mia madre direbbe, aggressiva: Ma l'uno non deve escludere l'altra, non credi? Io credo, invece, che l'uno escluda l'altra. Mi ricordo una frase che ho letto tanto tempo fa in un romanzo, su questa o quell'altra esaltata contessa, che del resto era una figura storicamente esistita e che diceva: “Lo amo troppo per sposarlo”. Allora, la trovai un'espressione sciocca e incomprensibile, ma adesso comincia a comunicarmi qualcosa. Più in là scriverò su questo un libro, non molto voluminoso, una narrazione in prima persona sicura e limpida. Ma molto più in là. E adesso: al di là della scrivania e del talamo nuziale ci sono: la brughiera di Drenthe dove si può morire di fame e la Polonia, dove pare si possa prendere la difterite. Questo è un altro “compito”. E quel “matrimonio apparente” non ha nulla a che vedere con il matrimonio reale. Ma quest'istituzione, nonostante l'apparenza che vogliamo attribuirle, ha comunque impresso su di me impronte tanto forti che io mi sono ritrovata improvvisamente faccia a faccia con il matrimonio reale e con la maturazione che ne deriva. Adesso voglio scrivere anche questo: per quanto stanca e affaticata e a pezzi io mi senta, quando siedo per un po' a questa scrivania, la mia caotica postazione di lavoro, la faccia bianca del muro che si erge drittissima di fronte a me, la camera alle mie spalle e al di là l'intero mondo, ricomincio a stare tanto bene e a sentirmi di nuovo tranquilla, così completamente “a casa”. Ma, al tempo stesso, so che l'interferenza minima dall'esterno in questa “pace” e in questa casa, farà vacillare nuovamente tutto quanto. Dio, certe volte non si riesce a capire e ad accettare ciò che i tuoi simili su questa terra si fanno l'un l'altro, in questi tempi scatenati. Ma non per questo io mi rinchiudo nella mia stanza, Dio: continuo a guardare le cose in faccia e non voglio fuggire dinnanzi a nulla, cerco di comprendere i delitti più gravi, cerco ogni volta di rintracciare il nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile. In mezzo alle rovine delle sue azioni insensate. Io non me ne sto qui, in una stanza tranquilla ornata di fiori, a godermi Poeti e Pensatori glorificando Iddio, questo non sarebbe proprio tanto difficile, né credo di esser così “estranea al mondo” come dicono inteneriti i miei buoni amici. Ogni persona ha la sua realtà, lo so, ma io non sono una visionaria, persa nei sogni, una “bell'anima” ancora un po' adolescente (Werner diceva del mio “romanzo”: “Da una bell' anima a una grande anima”). Io guardo il Tuo mondo in faccia, Dio, e non sfuggo alla realtà per rifugiarmi nei sogni - voglio dire che anche accanto alla realtà più atroce c'è posto per i bei sogni -, e continuo a lodare la Tua creazione, malgrado tutto! Tra poco, quando lui mi telefonerà e mi chiederà col suo tono inquisitorio: E allora, come sta?, potrò rispondere sinceramente: Sopra molto bene, sotto molto male! Spesso, nel momento in cui vengono toccati, i problemi sono già quasi risolti. Perlomeno in psicologia è così, nella vita forse è molto diverso. D'un tratto mi sono resa conto che collego troppo le mie malattie con S., e l'ho notato in una goffa frasetta: e così, con una piccola improvvisa cesura, mi sono staccata di un altro trattino da lui, e tra poco lo incontrerò dopo essermi guadagnata un altro pezzetto di libertà. Il processo di reciproco avvicinamento è dunque parallelo a quello della reciproca liberazione. Nei giorni di grande debolezza forse, senza accorgermene, m'aggrappo alla sua forza come alla mia salvezza. Allo stesso tempo, quella forza sovrabbondante mi scoraggia, perché mi sento impari, temo di non tenerle dietro. Né l'una né l'altra sono la reazione giusta. La mia guarigione e rigenerazione devono venire dalle mie forze, non dalle sue. E in periodi come questo la sua dirompente forza vitale può anche irritarmi o spaventarmi, ma forse questo capita spesso a una persona malata nei riguardi di una sanissima, perché si sente come diseredata.

Improvvisamente, più tardi la sera, tra due frasi di una traduzione in russo Un paio di giorni fa l'ho formulato più o meno così: sarebbe per me un sacrificio più grande rimanermene da sola in condizioni confortevoli, piuttosto che seguire lui in chissà quale inferno sulla terra. Ma, dopo tutto quello che si è mosso in me negli ultimi giorni, credo che sarebbe davvero un sacrificio andare con lui in chissà quale posto, per sostenerlo. Per come mi sento ora, non andrei né per me stessa né per un senso di comunanza di destino, ma per una passione quasi oggettiva, se così si può dire, per fare del mio meglio al fine di salvare e preservare per l'umanità il materiale prezioso di cui lui è costituito. Dentro di me stanno di nuovo avvenendo ogni sorta di cose, non so ancora se si tratti d'impulsi estemporanei o di frutti davvero maturi, l'esito di lenti, sotterranei processi. Studiare la grammatica e fare esercizi di traduzione è una mia passione. Sabato mattina [30 maggio 1942], le sette e mezzo Ieri sera avevo preparato in anticipo la tavola per la colazione e la mia sveglia era puntata alle sette. Così, di buon'ora, ero già in compagnia di sant'Agostino e adesso vorrei fissare un paio di parole sulla carta. Sempre la stessa verità, dappertutto, in sfumature e toni che cambiano di continuo, ma il contenuto è sempre lo stesso: “...Ti lodi per le cose la mia anima, Dio creatore di tutto, ma senza lasciarsi in esse invischiare dall'amore, attraverso i sensi del corpo. Esse vanno ove andavano per cessare di esistere, e straziano l'anima con passioni pestilenziali, perché il suo desiderio è di esistere e di riposare fra le cose che ama. “Ma lì non può trovare un punto fermo, perché le cose non sono stabili. Fuggono, e chi potrebbe raggiungerle con i sensi della carne, o afferrarle, anche quando sono vicine? I sensi della carne sono lenti, appunto perché sono della carne...”. I rami nudi che si arrampicano lungo la mia finestra si sono coperti di giovani foglioline verdi. Un vello di riccioli sui loro nudi e duri corpi di asceti. Già - com'era ieri, nella mia cameretta? Ero andata a dormire presto, dal mio letto guardavo fuori attraverso la grande finestra aperta. Ed era come se la vita con tutti i suoi segreti mi fosse nuovamente accanto, come se la potessi toccare. Avevo la sensazione di riposare sul suo petto nudo, di sentire il battito regolare e leggero del suo cuore. Ero fra le nude braccia della vita e ci stavo così sicura e protetta. Pensavo: com'è strano. C'è la guerra. Ci sono i campi di concentramento. Piccole barbarie si accumulano di giorno in giorno. Camminando per le strade, io so che in quella casa c'è un figlio in prigione, in quell'altra un padre preso in ostaggio, o un figlio diciottenne condannato a morte. E questo capita a due passi da casa mia. So quanto la gente è agitata, conosco il grande dolore umano che si accumula e si accumula, la persecuzione e l'oppressione, l'odio impotente e il sadismo: so che tutte queste cose esistono, e continuo a guardar bene in faccia ogni pezzetto di realtà nemica. Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto nudo della vita e le sue braccia mi circondano così dolci e protettive, e il battito del suo cuore non so ancora descriverlo: così lento e regolare e così dolce, quasi smorzato, ma così fedele, come se non dovesse arrestarsi mai, e anche così buono e misericordioso. Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra, o altre insensate barbarie umane, potranno cambiarvi qualcosa. Ogni sorta di cose si è scatenata là, a sud del mio diaframma. Questo mio involucro mortale richiede decisamente alcune riparazioni drastiche. Finché vivo in questa casa tranquilla e protettiva, non è così grave, ma devo essere pronta, in ogni momento, alla possibilità che queste amichevoli mura non mi diano più un riparo sicuro e in tal caso mi troverò in una situazione maledettamente disagevole. Voglio proteggerlo e seguirlo, ma gli sarebbe difficile trarre qualche vantaggio dalla mia compagnia nei suoi viaggi, se fossi ancora il bizzarro rottame che sono al momento. Non so davvero che cosa farci. Se limito il sale, forse quel rene si farà sentire un po' meno. Ma le gocce omeopatiche e le infinite aspirine si pestano comunque sempre i piedi a vicenda, creando campi di

battaglia nella mia “casa terrena”. Ah, già, il mio corpo: improvvisamente mi compare davanti l'immagine di un vecchio rudere in abbandono, con piccioni bianchi che entrano ed escono dalle crepe delle sue mura, e che rappresentano i miei pensieri: forse sono più che pensieri, sono i movimenti e i gesti del mio spirito; tra le brecce nascono piccoli fiori nuovi, così teneramente freschi e giovani tra le pareti erose, e questi sono i miei sentimenti. Ecco come mi sento d'un tratto: un vecchio rudere in abbandono, ma piccioni bianchi attraversano in volo le fessure e piccoli raggianti fiori crescono nelle brecce delle mura. Oh, va bene, tutto questo è molto pittoresco, ragazzina, ma è meglio che ingoi un po' delle tue gocce adesso e io sarò felice quando vedrò nello specchio un viso un po' meno devastato di quello che mi hai mostrato nelle prime ore del mattino. Alla fine della mattina, qualche parola dal cuore di una lettera di Rilke: “Da noi stessi caviamo fuori immagini, cogliamo ogni occasione per diventare creatori di un mondo, costruiamo una cosa dopo l'altra attorno alla nostra interiorità”. 1° giugno 1942, lunedì mattina, le otto Nelle prime ore della mattina ero già in strana compagnia: quella di Casanova e di sant'Agostino. Il processo sta prendendo pian piano strane proporzioni nel mio corpo. Certo, posso raccontare storielle sciocche, come ieri sera: Bambini, nel mio involucro mortale si è infiltrato un tarlo o una falena o chissà che cosa; a sud del mio diaframma è andato storto di tutto, ma non conviene davvero andare avanti così. Si formano mulinelli attorno al mio cuore e per tre giorni ho avuto la sensazione, fino all'ultima vertebra, di essere sospesa nell'aria. E, tra l'altro, trovo assolutamente noioso scrivere delle mie condizioni di salute. Ciò che è irresponsabile in me è il fatto che in fondo non mi preoccupo di come sto, fisicamente intendo. Continuo a vivere, a modo mio, circumnavigando con destrezza le rocce del disagio fisico e il mio spirito conserva la sua rotta e il mio sentimento la sua intensità. E in tutto questo mantengo una sensazione di sicurezza... il telefono. Dopo colazione Il geranio cresciuto a dismisura sta lentamente morendo dissanguato dietro la finestra. Lo vedo sempre a distanza come un faro rosso fuoco, quando attraverso la strada dritta in direzione della sua finestra, dietro la quale S. a volte attende con gesti impazienti. Poi mi resta da percorrere il pezzetto di piana sabbiosa di fronte a casa sua - un lembo di trascurato deserto giusto in mezzo alla curata zona sud di Amsterdam - e salire di corsa molte scale e ci sono. E adesso vado dal dottore per vedere cosa fare con quella sensazione di vertigine, anche se, detto in confidenza, non ho molta fiducia in lui. Ma stamattina ci vado davvero in cerca di aiuto. [Martedì] 2 giugno [1942], le sei di pomeriggio Da una lettera a Leonie che non ha più il permesso di viaggiare: “Adesso andiamo tutti a mangiare e stasera dai Levie ci sarà un'altra vittima con le "mani in alto". Voglio ancora annotare una cosa. Stamattina, nel bagno, quando ti pensavo molto intensamente, d'un tratto sono emerse queste parole. Se le trascrivo letteralmente così come mi si sono presentate, sono convinta che suoneranno alquanto patetiche, ma alla mattina presto erano vere e quindi voglio tentare di metterle nero su bianco per te qui: “Negli anni a venire sarà il nostro orgoglio e la nostra vittoria il fatto che ogni colpo distruttivo che hanno cercato di infliggerci si sia trasformato nel suo contrario, facendo avanzare soltanto la nostra forza e la nostra crescita. “E quanti momenti tristi e solitari potrà portarti questo temporaneo isolamento, chissà se potrà esserti di buon auspicio e quali fecondi contratti epistolari ne potranno derivare. E per il resto? “Forse sarai di ritorno la prossima settimana, ma questo non cambia assolutamente nulla in quanto

ho appena detto: in ultima istanza, quello che conta è l'attitudine. E adesso a tavola! Tieni duro, piccolina, e alla prossima volta!”. Mercoledì mattina [3 giugno 1942], le nove Il desiderio creativo in alcuni giorni sale dentro di me in flutti talmente alti che temo di esserne travolta e annegare. I contenuti che stanno cercando di venire fuori da me sono a tal punto sproporzionati rispetto alla forma debole che dovrebbe contenerli - come una diga ridicolmente piccola in un grande fiume che scorre con furia - che, se tali flutti dovessero alzarsi di frequente, ne verrei erosa dentro. E vorrei dire a me stessa: invece di compiere larghi e vasti giri intorno a quegli immensi e indomabili contenuti, dovresti metterti al lavoro per rinforzare la tua, oh, quanto infima e debole, forma. Dico sempre che c'è un così forte desiderio creativo in me, che io sono di continuo alla ricerca delle parole e delle immagini con cui potrei delineare quel desiderio. Ma forse dovrei cercare piuttosto di raffigurare ciò che dà origine al desiderio in minuziose ed esatte forme, per esempio, un fiore o un gesto o il viso di una persona o un'atmosfera in cui m'imbatta da qualche parte. Non riesco ancora a farne nulla, per così dire, non riesco ad afferrare nulla, ogni cosa si affastella ancora in me, incombendo così grande e forte e vaga. Mentre ieri pomeriggio sedevo qui alla mia scrivania, mi ha raggiunto un pensiero, quasi una sorta di epifania: ora siedo qua e potrei fare cose con le parole. Un'atmosfera, un incontro fra esseri umani, potrei creare qualcosa del genere. Qualcosa dalle linee e dai contorni chiari, qualcosa di misurabile, tangibile e sostanziale, benché, in ultima istanza, immateriale e intangibile. Già, forse è quello che dovrei fare, ma non riesco ancora a esprimerlo in maniera appropriata e dentro provo una tale vergogna a volte - per quanto infantile possa sembrare per il fatto di essere, all'età di ventotto anni, capace di esprimere così poco. Ma dovrei fare così: prima descrivere tutto in modo cristallino, esatto e minuzioso, e, una volta espressa la realtà tangibile fino all'ultimo dettaglio, solo allora il momento sarà maturo per passare alla sfera irreale, solo allora quella realtà potrà essere convertita in un simbolo, in un'allegoria del mondo concettuale, immateriale e irreale. Ma questo deve passare per una fase di descrizione del minuzioso ed esatto, e oh, tanto chiaro e limpido ed esplicito. Altrimenti tutto diventa vago e “sfumato”. Comincio a vedere lucine di ogni tipo. Vorrei creare cose con parole serie e bizzarre. Credo che una reale limatura e un'autentica tenerezza possano crescere solo su un terreno di forza primordiale. Altrimenti si finisce nella perversione e nella decadenza. Le sette di sera I giorni e i buoni propositi ti scivolano via tra le dita, senza dare quel frutto che ci si aspetta da un buon momento. Devo prima rimettermi completamente in salute. Le cose così non vanno, con quel singolare stato di mezza salute e l'arrogante convinzione che lo spirito andrà comunque per la sua strada. È così caldo e asfittico oggi, e le molte ore lente di questa giornata si sono gonfiate in me fino a diventare un vago malessere e una sensazione di irrequietezza. Ci si chiede a volte, d'un tratto, chi e che cosa si è. Se non siamo chiamati a compiti più alti di quelli che possiamo assolvere. Se non finiamo per illuderci circa le nostre potenzialità creative, se siamo davvero persone oneste o se, invece, nel più profondo di noi stessi, non stiamo in realtà giocando con i valori di questa vita. Se saremo capaci di far piena chiarezza su di noi. Eppure, mentre siedo qui, avverto nuovamente che la mia stessa serietà mi pesa dentro come un macigno, perché non faccio nient'altro che arrendermi a essa. A volte mi sento in colpa perché sto forse ignorando i miei doveri più essenziali e sono pigra nelle cose più importanti. Dovrei cercare di fare almeno una cosa semplice con le parole, anche se imperfetta. Dovrei avere il coraggio di far uscire alcuni dei miei pesanti, vaghi sospetti da una prigione interiore che si fa sempre più stretta, dovrei cercare di dar forma a quei sospetti, una forma che permetta loro di mostrarsi alla luce del sole, e non dovrei provare vergogna qualora quella

forma fosse brutta o manchevole. Ma questo è ciò che a volte quasi mi fa impazzire Avrei bisogno di vaste distese di tempo, di deserti di tempo, d'infiniti spazi e concentrazione attorno a me, per poter realizzare anche la più piccola cosa. E un giorno è costituito da una colazione, un pranzo e una cena, e in mezzo alcune ore. Una telefonata, un allievo e un esercizio di russo. E a volte si vive un solo minuto che sembra essere formato da giorni e giorni, tanto ampio e sconfinato. Ma in realtà occorrerebbero giorni e giorni di tempo reale per descrivere le esperienze di un solo minuto. Invece le ore si ritrovano incastrate tra le molte attività giornaliere e i piccoli doveri. Se riuscissi a scrivere - il che sarà infinitamente faticoso per me, credo - dovrei avere ore con un'ampia visuale su molte altre che verranno dopo, e che saranno soltanto per me. Dovrei starmene seduta, per dir così, in una sala del Tempo, con molte grandi finestre da cui si vede il Tempo, che dovrebbe essere dominio totalmente mio. Ecco perché ho a volte la sensazione di non fare nulla e che tutte le buone ispirazioni e i piccoli inizi si polverizzino in sogni vaghi e speculazioni circa le grandi cose che in futuro creerò in base alle esperienze, alle percezioni e alla piccola saggezza che ho acquisito, cose per le quali in questo momento ritengo di non aver tempo. Ma so che la vita sarà sempre costituita dal momento di alzarsi e da quello di andare a dormire, e da alcuni pasti e doveri quotidiani e, tra l'uno e l'altro, bisogna fare in modo di completare le grandi cose che si ritiene contino davvero. E se adesso non ci riesco, se oggi nella mia vita non riesco a fare spazio per quelle, chi mi dice che più in là lo potrò fare? Giovedì mattina [4 giugno 1942], le nove e mezzo Lo ricopio un'altra volta, per l'ennesima volta; lo devo fissare nella mia mente, ogni volta di nuovo: “Qui non si misura il tempo, qui non vale alcun termine e dieci anni son nulla. Essere artisti vuol dire: non calcolare e contare; maturare come l'albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz'apprensione che l'estate possa non venire. Ché l'estate viene. Ma viene solo ai pazienti, che attendono e stanno come se l'eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d'ogni ansia. Io l'imparo ogni giorno, l'imparo tra dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!”. In un giorno d'estate come oggi ti senti cullata da mille dolci braccia. Diventi pigra e indolente, ma dentro di te c'è un mondo che lievita verso un destino sconosciuto. E volevo ancora dire questo: quando, tempo fa, lui ha cantato il Lindenbaum (mi era piaciuto così tanto, che gli avevo chiesto di cantare un intero bosco di tigli), le pieghe e i lineamenti del suo viso sembravano vecchi, vecchissimi sentieri attraverso un paesaggio antico quanto la creazione stessa. Tempo fa, al tavolino d'angolo da Geiger, il viso giovane e fine di Münsterberger ha fatto capolino tra quello di S. e il mio; d'un tratto mi sono resa conto, quasi con sconcerto, di quanto fosse vecchia la sua faccia, proprio come se le fossero passate sopra molte vite invece che una sola. Ho avuto un piccolo contraccolpo, e come in un'istantanea, ho sentito che non avrei voluto legare per sempre la mia vita alla sua, che sarebbe stata una cosa impossibile. Ma in fondo era una reazione meschina, basata com'era sull'idea convenzionale del matrimonio. La mia vita è comunque legata alla sua, o piuttosto, è collegata alla sua. E non tanto le nostre vite, quanto le nostre anime - mi rendo conto che questo possa suonare piuttosto enfatico, di mattina presto, ma dipende probabilmente dal fatto che non posseggo ancora del tutto la parola “anima”, che non è ancora “di mia competenza”. È straordinariamente banale e meschino che nei momenti in cui il suo viso mi piace, io desideri sposarlo, mentre quando mi appare così... così vecchio - soprattutto se ha accanto un viso giovane e fresco - io pensi allora: no, meglio di no. Sono criteri e reazioni che dovrei cancellare dalla mia vita - che ostacolano un sentimento d'unione veramente grande, oltre i confini di convenzione e matrimonio - o meglio: dell'idea che ce ne facciamo. Non deve semplicemente succedere che, in seguito a qualche espressione del viso o cose simili, si pensi per un attimo: mi piacerebbe sposarlo, e che si abbia una reazione opposta un momento dopo. Questo non dovrebbe davvero accadere, perché non ha nulla a che fare con le cose essenziali, con le cose che contano. Di nuovo qualcosa che non riesco a esprimere in alcun modo. Ma: è necessario esprimere e sradicare molto dentro di sé, affinché si liberi un ampio spazio indiviso in cui le grandi

emozioni e i grandi legami siano delineati nella loro interezza, senza venir di continuo attraversati da piccole reazioni di secondaria importanza. Dovrei chiudere del tutto con la chirologia e usare il tempo che si rende libero per lo studio del russo. Non devo suddividermi in cose che non sono essenziali per me. E devo avere il coraggio di dirglielo. E ieri sera, per esempio, sono rimasta almeno un'ora di troppo con Aleida Schot, e non so neanche il perché, probabilmente perché pensavo che ci sarebbe rimasta male se fossi andata via presto. Se fossi davvero seria con le questioni della vita, una cosa simile non accadrebbe. Mi frantumo e mi concedo a cose che non sono necessarie, né per me stessa né per altri, ma ancora solo per via del timore, poco autonomo, di ferire lui e altri, dietro a cui si cela anche la paura di piacere di meno. E questa è pure, in ultima istanza, una forma di dipendenza dagli altri, dal giudizio altrui, il che è in realtà un problema degli altri e non mio. Adesso sono le undici meno un quarto e credo di aver di nuovo “riunificato” me stessa. Va di nuovo tutto bene. Disciplina, pazienza, perseveranza, fermezza, fiducia, onestà e cercare di vedere il più chiaramente possibile la strada principale e non perdermi lungo le troppe stradine secondarie. A mezzanotte, nel bagno Un paio di parole da una conversazione di stasera, mentre scendevamo le scale; il suo viso appariva di nuovo così virile e serio sulle scale semibuie, dopo che, un minuto prima, tra scoppi di risa forti e immotivati, come uno sciocco bambinetto con addosso una camicia blu cielo, che ha caldo, terribilmente caldo, tanto da essere sul punto di sciogliersi dal sudore, e con i tratti del viso totalmente rilassati, che gli davano qualcosa di debole e sensuale, ma anche un tocco di benevolenza - ma dov'ero rimasta con la mia frase? Non lo so più. Mah, insomma, su quelle scale semibuie la sua espressione si è tesa improvvisamente di nuovo sotto la pressione di un pensiero nascente e la sua faccia, per natura debole e buona, appariva di nuovo quasi mascolina a causa della profonda riflessione che ne comprimeva ogni tratto. In fondo l'importante è che ogni momento della vita sia pieno, che non si diventi egocentrici, che non si viva soltanto per sé. E mi sono ricordata come, la scorsa settimana, seduta in quella piccola misera gelateria, stracolma di stelle gialle, ho detto a Liesl: Se almeno non diventassimo troppo compiaciuti, dobbiamo fare attenzione a questo, noi che abbiamo trovato la nostra realtà interiore. Bisognerebbe restare sempre in sintonia con gli altri, ricordando continuamente quant'è difficile l'accesso alla realtà interiore e come sia necessario ritrovarlo di continuo. Alcune parole dal cuore di una conversazione di ieri sera, quando si è parlato brevemente della mia esagerata reticenza: io ho detto che potevo parlare solo di cose che sono già “delineate” in me, e lui mi ha improvvisamente assalita, dicendo che questa era una mia falsa convinzione. Che non si è mai delineati e che bisogna avere il coraggio di mostrarsi durante il proprio sviluppo, anche se non si è ancora “delineati”. E ne ho parlato ancora un po', dicendo che la sentivo a volte come una discrepanza in me, se mettevo a paragone il mio temperamento, la spontaneità, l'intuizione veloce, la vivacità nei confronti dell'esterno, con la maniera lenta, languida e profonda dei miei processi interni. E quando racconto qualcosa di me stessa, ho la sensazione di frantumarmi, mi sento “lacerata” e dopo me ne rattristo sempre molto. E, tuttavia, ho bisogno di giustificare il mio modo agli altri, e probabilmente suona molto pretestuoso quando dico che mi sento chiamata a spiegare i miei processi interiori all'umanità. Non a un singolo individuo in un colloquio privato ma all'intera umanità, sì, a tutta l'umanità, nella forma di un capolavoro o qualcosa del genere. Non ha ovviamente alcun senso, il fatto che stia seduta a questa scrivania e mi renda ridicola per la mancanza delle parole giuste, ma a volte per me è come se tutto quello che vivo interiormente fosse non soltanto mio, come se non avessi il diritto di tenerlo solo per me, ma dovessi renderne conto ad altri. (Stasera S. ha proprio detto che la mia reticenza può derivare, tra l'altro, dal mio forte senso di possessività). Come se, in questo piccolo segmento di storia umana, fossi uno dei tanti apparecchi di ricezione che deve ritrasmettere i messaggi. Ma non so ancora quali messaggi.

Se non fossi troppo intorpidita per fare un bilancio di questa giornata, sarei scontenta di una sola cosa: del modo in cui ho parlato a Hetty del “mondo del teatro”. Lei probabilmente non lo ha neanche notato, ma a me dà ancora fastidio. Perché c'era un tocco di: “Io sono una donna completamente a suo agio in quei circoli e so tutto di quel mondo”. Quante vaghe enormità che non servono a nessuno. Ciò che S. ha detto stasera, parlando con quei due gemelli siamesi, Fein e Weyl, che dopo otto anni insieme si rivolgono ancora l'un l'altro con il formale Sie, era perlomeno convincente: “L'attore che deve ogni volta comprimere e concentrare tutta la vita in quei due minuti di sera su un palcoscenico, e che lontano dalle scene spesso è una persona interiormente striminzita che non lavora a se stessa e si "blocca"“. E altre osservazioni cristalline; mentre io sciorinavo vaghe storielle sensazionali, come un vero “iniziato”, e allo stesso tempo parlavo con arroganza e disprezzo di questo gruppo di persone, segnalandone il livello molto basso. E dopo segue per me immediatamente una sbronza: se non riesco a sostenere nel mio profondo ogni singola parola che dico, è meglio che non dica proprio nulla. Tu imbrogli per fare impressione sugli altri, dovresti vergognarti, piccola! E questo è il motivo per cui ogni sua singola parola è una ventata d'aria fresca: mai vaga, ogni parola nasce dopo che è stata ragionata, tutto è così sicuro, così senza ambiguità, trucchetti o camuffamenti. E io imparo da ogni parola che viene fuori da lui. Persino una serata come questa, durante la quale entrambi eravamo un po' rimbambiti per via del caldo e ci comportavamo come due folli a piede libero, porta con sé momenti cristallizzati grazie ai quali le cose si chiariscono nella mente e si diventa un po' più lucidi dentro. Ma di tutto questo quel buon uomo non si rende conto. Buona notte. Venerdì mattina [5 giugno 1942], le otto e mezzo, nel bagno Quando ieri sera, sulla Stadionkade, mi sono girata d'un tratto e ho guardato il viso di Werner, mi hanno subito colpita una serietà e una determinazione che non conoscevo ancora. Ma quella serietà era cesellata sul suo viso. E sul volto di S. le cose stanno diversamente, e durante i miei esercizi di respirazione, mi sono languidamente chiesta cosa accada realmente con S. Poi mi ha raggiunta il pensiero: in lui la serietà è modellata. Cesellata e modellata. Così la vita forgia i volti con diversi strumenti. O, piuttosto: sul viso di S., la vita ha lavorato a mani nude, su quello di Werner in maniera più indiretta, con uno strumento, uno scalpello o qualcosa del genere. Mentre mi svegliavo, stamattina, mi è venuta in mente d'un tratto una frase, che una volta avevo annotato come fiera scolaretta in un piccolo bloc-notes: “Il mio cuore è come un'armonica, si contrae e si stende, e chi la suona è la Vita”. Venerdì sera, le sette e mezzo Oggi pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi con Glassner. Mi sono resa conto che è così che voglio scrivere: con tanto spazio intorno a poche parole. Odio troppe parole, mi danno fastidio. Vorrei scrivere parole che siano organicamente inserite in un gran silenzio, e non parole che esistono solo per coprirlo e disperderlo: dovrebbero accentuarlo, piuttosto. Come in quell'illustrazione con un ramo fiorito nell'angolo in basso: poche, tenere pennellate - ma che resa dei minimi dettagli - e il grande spazio tutt'intorno, non un vuoto, ma uno spazio che si potrebbe piuttosto definire ricco d'anima. Io detesto gli accumuli di parole. In fondo, ce ne vogliono così poche per dir quelle quattro cose che veramente contano nella vita. Se mai scriverò - e chissà poi che cosa? - mi piacerebbe dipinger poche parole su uno sfondo muto. E sarà più difficile rappresentare e dare un'anima a quella quiete e a quel silenzio che trovare le parole stesse, e la cosa più importante sarà stabilire il giusto rapporto tra parole e silenzio - il silenzio in cui succedono più cose che in tutte le parole affastellate insieme. E in ogni novella, o altro che sia, lo sfondo muto dovrà avere un suo colore e un suo contenuto, come capita appunto in quelle stampe giapponesi. Non sarà un silenzio vago e inafferrabile, ma avrà i suoi contorni, i suoi angoli, la sua forma: e

dunque le parole dovranno servire soltanto a dare al silenzio la sua forma e i suoi contorni, e ciascuna di loro sarà come una piccola pietra miliare, o come un piccolo rilievo, lungo strade piane e senza fine o ai margini di vaste pianure. C'è qualcosa di comico in me: potrei riempire dei volumi su come vorrei scrivere, ma può darsi benissimo che a parte le ricette io non scriverò mai nulla. Però le stampe giapponesi mi hanno fatto capire a che cosa io aspiri, e mi piacerebbe camminare una volta attraverso paesaggi giapponesi, per capirlo ancor meglio. Del resto credo che un viaggio in Oriente lo farò, in futuro - per trovare in quei luoghi, vissute ogni giorno, quelle realtà che qui ci fanno sentire soli, in dissonanza.

QUADERNO IX 5 giugno 1942 - 3 luglio 1942 5 giugno 1942, venerdì sera, le dodici, nel bagno “Una volta vivevamo tra alberi di limoni e mimose” ha detto Veterman con un gesto grandioso “e adesso viviamo tra le case. “E collezioniamo case evacuate, ne abbiamo già una a Menton e una a Blaricum”. Ha un che del grand seigneure un che del bohémien, ma forse più del primo. E alle volte mi fa pensare anche a un nobile cavallo filosofico, ammesso che sia possibile immaginare qualcosa del genere. Max Ehrlich, al suo confronto, era un rospo amorfo di bassa qualità. E io mi sto sentendo di nuovo misera e priva di centro. Vai a dormire, ragazza mia. Devi cercare di uscirne ogni volta che succede, in realtà non succede più tanto spesso, ma questa volta è tornata la sensazione di non stare dietro a se stessi, di non riuscire a seguire senza riserve le cose che contano, le cose serie, di cui capita di essere parte ma che ti fanno di colpo sentire vecchia e greve, priva di fiducia in te stessa. E in certi momenti non amo me stessa per niente, e le parole che uso sono fragili e svigorite come quelle di una timida scolaretta. E la vita in me è diventata una specie di strofinaccio spiegazzato. Non è neanche tristezza la mia, perché la tristezza appartiene a me e mi è familiare; è probabilmente anche la mia parte più fruttuosa e vera. Ma ora si tratta di qualcos'altro. Ogni cosa sembra essermi scivolata via. Sul serio, meglio se vai a dormire, forse dipende solo dal fatto che stai andando a letto troppo tardi negli ultimi giorni. Sabato mattina [6 giugno 1942], le otto, nel bagno (Probabilmente non si laverà molto bene, se deve escogitare tutte queste cose). Questo a proposito della signora Veterman, ma potrebbe riferirsi a molte persone: I loro sentimenti non possono entrare nel profondo o uscirne, ma sono, per così dire, imprigionati dentro di loro, e i loro occhi sono piccole finestre sbarrate attraverso le quali i sentimenti guardano fuori con desiderio e a volte con disperazione. Riguardo agli Starreveld (e poi andrò finalmente a lavarmi i denti e a mettermi le calze): Tutta la tenerezza e la gentilezza di Pieter scorrono nei suoi piccoli cervi e in tutti gli altri animali che disegna, e Hanneke si aggira per la casa senza ricevere mai una sola carezza e diventando sempre più dura e spigolosa... Non ho ancora finito, ma l'intera casa sta reclamando il cibo, quindi prima le calze e poi la colazione. Le undici di mattina È stata una piccola escursione, ieri sera tardi. Sono di nuovo me stessa adesso e tutte le mie certezze hanno fatto ritorno in me. Ero stata invasa improvvisamente dall'insicurezza, credo: non lasciare che io sia, per favore, troppo “egocentrica”. Mentre sedevo alla mia scrivania ieri sera, Han ha detto con

un pizzico di irritazione sul viso: Non ho ancora letto neanche una di tutte le pagine che scrivi, una dopo l'altra. E io ho ribattuto: Guarda, papino, è terribilmente noioso per un altro, ma ti leggo volentieri qualcosa uno di questi giorni, così vedrai quanto poco interessante possa essere. E così gli ho letto quel che avevo appena scritto sulle stampe giapponesi e sulla relazione tra parole e inespressività, e sul modo in cui in futuro vorrei riuscire a scrivere; e poi anche la pagina, in cui esprimo il mio disappunto per il fatto che i buoni propositi scivolino via tra le dita e che le persone a volte possano vivere una parte sostanziosa della vita in un solo minuto, mentre ci vorrebbe un'intera porzione di vita per descrivere le esperienze di quel singolo minuto; e questo mi fa pensare che non avrò mai tempo a sufficienza. Quelle erano osservazioni molto oggettive per i miei gusti. Ma Han ha commentato, senza aver capito: Già, tu scrivi sempre di te, sei costantemente occupata con te stessa, e questo mi ha dato d'un tratto una sensazione di smarrimento. E ho provato a chiarirgli che in queste pagine non si parla solo di me ma anche di tutti gli altri che io riesco a capire, però, solo attraverso me stessa. E non si tratta soltanto di quel pezzetto di “io” che porto in me stessa, ma anche di tutto ciò che la vita mi ha addossato. E questo pensiero mi ha attraversato fulmineo la mente: se Puškin scrive di se stesso, è come se scrivesse di altri, ma quando Lermontov scrive di altri, è invece come se stesse scrivendo solo di se stesso. Per me non si tratta davvero solo dell'“io”. Ma bisogna prima chiarirsi su quell'io, è necessario, di volta in volta, arrivare a una chiarezza su quello, e solo dopo si possono fare altri passi. Ho anche provato a spiegare a Han che una persona come me è obbligata a rendere conto a se stessa dei propri stati d'animo, per poterli tenere, così facendo, sotto controllo e disciplinarli, altrimenti prolifererebbero in me. E un diario, già un diario, è lì soprattutto per aiutare qualcuno a mettere chiarezza nei propri stati d'animo, perlomeno così stanno le cose per me. Gli ho anche detto che la ragione per cui il più delle persone non si occupa di se stessa è indolenza e pigrizia “spirituale”; che anche per fare questo c'è bisogno di una sorta di coraggio. E infine, ho aggiunto che per me la fonte e il punto di partenza di ogni atto creativo sarà sempre il mio stato d'animo. Eccetera, eccetera. Ho detto tutto questo a lui, ma soprattutto a me, come se dovessi convincermi che va bene vivere come penso di dover vivere, rendere conto a me stessa di ogni passo e tornare a me stessa, ogni volta di nuovo a me stessa. E, probabilmente, ieri sera sono nati da qui l'incertezza e il desiderio di fuggire del tutto da me stessa. E comunque, non è di certo possibile. Ma adesso sono di nuovo tornata in me, tutte le mie certezze sono di nuovo qui, e ho già pelato molte patate nel sole e sentito, nel frattempo, come ci sia un tono dominante in me, e come si stia sviluppando una mia melodia, una melodia alla quale devo dare ogni possibilità di crescere e tanto spazio, e alla quale essere fedele. Lunedì mattina [8 giugno 1942] Come una cascata del Niagara, sabato sera, lui ha riversato le acque della sua eloquenza su di noi. Si stava quasi trasformando in un disastro naturale. Il modo di procedere di quella sera - per giungere a una buona conclusione - è stato davvero un lavoro titanico, una lotta con materiale che questa volta si dimostrava estremamente recalcitrante. E pensare che può accadere così tanto in una piccola stanza nello spazio di due ore. Devo ancora provare, se ne avrò il tempo, ad annotare qualcosa di quei momenti. Quanto segue riguarda Pieter? E la via che dovrà ancora percorrere? “Gli oggetti dell'arte sono sempre il frutto dell'essere stati in pericolo, di aver vissuto un'esperienza fino all'estremo limite, oltre il quale nessuno può procedere oltre. Quanto più si avanza, tanto più nostra, tanto più personale, tanto più unica diventa un'esperienza, e alla fine l'oggetto dell'arte è l'espressione necessaria, insopprimibile, il più possibile definitiva di questa unicità... In ciò consiste l'immenso aiuto che l'opera d'arte offre alla vita di colui che la deve creare: ché, di tale vita, essa è il riassunto”. Più tardi, durante il giorno, da Stanley Jones?

“Prima di tutto dobbiamo dire che esiste una forma di rabbia che ha una valenza biologica. La rabbia è spesso una forma di protezione nei confronti del male. L'anima s'impenna e, con profonda indignazione, resiste al male. Nietzsche aveva probabilmente ragione quando diceva: "La virtù ha poca importanza se non può suscitare rabbia". Se non fossimo più in grado di arrabbiarci, allora ci trasformeremmo in "mucche morali, con la nostra compiacenza tronfia". Gesù era in grado di essere pieno di rabbia. "Li guardò con rabbia, rattristato dalla durezza dei loro cuori". Ma attenzione: era rabbia mista a dolore. Era "rattristato". Questa è la differenza tra rabbia legittima e rabbia illegittima. Se la nostra rabbia è radicata in indignazione morale, in dolore morale e non nel risentimento personale, allora quella rabbia è buona e valida e salutare”. Ecc. Ho appena detto a S., durante una conversazione: Se non fossi così precisa e intellettualmente scrupolosa, allora, con la mia ipersensibilità, sarei sicuramente diventata una “piagnucolosa teosofista”, non pensa? E lui, ridendo rumorosamente: Ma non sarebbe mai potuta diventare niente di tutto ciò, in lei c'è per l'appunto la mescolanza. Di sera E così continuo a prendere in prestito le parole degli altri per annotare cose per le quali mi mancano le mie. Da una delle lettere di Rilke: “Ma la cosa più bella è un'aiuola (di rose), "La France", il cui terreno è talvolta coperto di petali caduti; da vecchio mi piacerebbe avere un'aiuola così, e sedermici davanti e farla con le parole, nelle quali ci sia tutto ciò che so”. (L'ho copiato per via delle parole in corsivo). Ecco quello che avrei voluto scrivere, alcuni giorni fa, in merito a quella breve, piccola depressione, ma che non sono arrivata a scrivere, come non mi riesce di scrivere molte delle cose che vorrei annotare: Credo che questo sia un inizio e credo di essere sul punto di maturare lentamente verso quest'obiettivo: prendersi sul serio. Credere in se stessi e credere che abbia un senso cercare di trovare la propria forma. Si scappa tanto spesso da se stessi - lo si vede e sente continuamente attorno - sulla base del motto “non è poi così importante” oppure “accadono tante cose più importanti in questo mondo che non posso certo dare troppa importanza a me stesso”. E così tante cose restano a giacere nelle persone come materiale grezzo, perché la gente crede che la sua materia non sia degna di elaborazione. E si lasciano poi confondere dalla quantità e diversità; e da quelli che ai loro occhi sono i doni più preziosi e importanti, e dalle possibilità degli altri. Ah, sai una cosa, leggi ancora un po' di Rilke, sei comunque troppo pigra per riuscire a esprimerti, almeno per il momento. E in ogni caso: sono ancora nella fase di apprendistato, e ci saranno giorni in cui il bisogno di assorbire e raccogliere dentro di me sarà più forte dell'urgenza di dare qualcosa di me. E continua a valere, giorno dopo giorno, quello che gli ho scritto a suo tempo: Dando forma ti avvicini a me. Ah, già, ma volevo anche dire questo: ecco l'inizio, l'inizio assoluto: Prendersi sul serio ed essere convinti che abbia senso trovare una propria forma. È qualcosa che si può fare anche per i propri simili: sospingerli sempre più verso se stessi, catturarli e trattenerli nella loro fuga da sé, e poi prenderli per mano e ricondurli alle loro sorgenti interiori. Ieri sera, prima ci siamo seduti nella sala, come al solito. E poi è arrivato Glassner e, con un paio di melodie di Bach, ha costruito una cattedrale intorno a noi, ha innalzato una cupola sopra di noi e più tardi, con il Carnaval di Schumann, ha creato un altro spazio, nel quale ci ha avvolti. E ancora molto di più, eccetera, ma adesso buona notte. 9 giugno [1942], martedì sera, le dieci e mezzo Stamattina alla prima colazione notizie più o meno circonstanziate dal ghetto. Otto persone in una cameretta, con la comodità che si può immaginare. Non si capisce, non si riesce a concepire che

tutto questo succeda a poche strade da qui, che possa diventare il tuo stesso destino. Stasera, tornando dall'amico vegetariano svizzero verso casa sua - dove il geranio continua a proliferare - gli ho chiesto d'un tratto: dimmi una buona volta, che debbo fare dei miei sensi di colpa quando vengo a sapere che otto persone sono costrette a vivere in una cameretta, mentre io ho quella gran stanza piena di sole, tutta per me? Lui mi ha guardata di traverso con un'espressione piuttosto diabolica e ha risposto: o tu lasci quella stanza (e ha fatto una faccia ironico-interrogativa, come se dicesse: ti ci vedo proprio!), o tu cerchi di capire cosa c'è dietro quei sensi di colpa; forse pensi di non lavorare abbastanza? A quel punto ci ho visto chiaro: è vero, ho detto, il mio lavoro mi permette di rimanere sempre nei mondi elevati dello spirito; e quando vengo a sapere di situazioni come questa, mi domando inconsciamente, o - come ora - consciamente: riuscirei a mandare avanti il mio lavoro con la stessa convinzione e dedizione se abitassi insieme ad altre sette persone affamate in una camera sudicia? Per me, questo lavoro spirituale, questa intensa vita interiore hanno valore soltanto a condizione che possano essere proseguiti in qualsiasi circostanza: e se non è possibile nella pratica, almeno nel pensiero. Altrimenti, tutte le cose che faccio ora sono solo “belle lettere”. Forse quel che mi paralizza un po' è proprio il timore di non poter rimanere me stessa in quelle condizioni, è l'insicurezza di non poter superare quella prova (una volta sarei potuta restare bloccata per settimane, ma probabilmente non credevo ancora nella necessità del mio lavoro). Dovrò ancora dimostrare la validità di quel modo di essere, se continuerò a vivere come faccio ora: io non so fare l'operaia socialista o la rivoluzionaria politica, questo posso togliermelo dalla testa, anche se i miei sensi di colpa potrebbero ugualmente spingermi in quella direzione. Chiaro che non gli ho detto tutte queste cose durante la nostra breve passeggiata - gli ho detto solo: forse è la mia paura di non superare la prova. E lui, molto serio e “calmo” insieme: quella prova verrà per tutti noi. Dopo di che ha comprato cinque piccoli boccioli di rosa e me li ha messi in mano dicendo: Lei non si aspetta mai nulla dal mondo esterno e così finisce sempre per ricevere qualcosa. Relativizzare la propria sofferenza non diminuisce l'intensità della stessa, o comunque non dovrebbe farlo. Relativizzare con il fine di ridurre è un'operazione disonesta, fa ingiustizia alla vita, adombra qualcosa di ciò che la vita ti pone davanti. Relativizzare è qualcos'altro. E Hanneke, che oggi pomeriggio ha pianto a dirotto nelle sue braccia perché si sentiva così vuota. E Liesl, che domenica sera ha ascoltato qui Beethoven. Houthakker, l'ardito conoscitore d'arte, non le ha tolto gli occhi di dosso e più tardi mi ha detto: Che donna interessante, ha un viso medioevale . E Liesl era sopraffatta dalla depressione durante il Beethoven, e pensava con “orrore” a come suo marito la stesse attendendo a casa, al fatto che ci fosse di nuovo un letto nuziale e a come avrebbe dovuto giustificare le proprie azioni, ecc. Le persone sono molto diverse dietro al sipario rispetto a come sono davanti a esso. Mercoledì mattina [10 giugno 1942], le sette e mezzo È così trascinante e ardente, il mio Agostino-a-stomaco-vuoto. Un raffreddore di testa ora non mi fa più perdere completamente l'equilibrio, però non è un piacere. Buongiorno, scrivania disordinata! Lo straccio per la polvere è buttato con negligenza intorno ai miei cinque giovanissimi boccioli di rosa, e Über Gott [Su Dio] di Rilke è mezzo schiacciato sotto il Russisch für Kaufleute [“Russo per commercianti”]. L'anarchico Kropotkin se ne sta spiegazzato in un angolo, non è più del tutto di casa, qui. L'ho tirato giù dallo scaffale polveroso di camera mia, volevo rileggere il resoconto della sua prima reazione alla cella in cui avrebbe trascorso qualche anno di prigionia. La descrizione dell'impatto con quella cella, se la si traduce su un piano interiore, può costruire un'allegoria di come dobbiamo reagire di fronte alle norme che sempre più restringono lo spazio in cui possiamo muoverci: bisogna valutare subito le possibilità di quello spazio, per angusto che sia, e convertirle subito in piccole realtà. Mi sono detta: prima di tutto devo badare a rimaner forte, non voglio ammalarmi. Supponiamo che, durante una spedizione al Polo Nord, io sia costretta a trascorrer alcuni anni in quelle regioni: mi terrò in movimento il più possibile, farò esercizi di ginnastica e non mi lascerò logorare

dall'ambiente che mi circonda. Dieci passi da un capo all'altro della mia cella sono già qualcosa; moltiplicati per 150, sono una versta. Mi sono proposta di camminare ogni giorno sette verste, circa cinque miglia: due verste al mattino, due prima di pranzo, due dopo pranzo, e una prima di andare a dormire. Ecc. Quest'ora prima della colazione è per me come una piattaforma per salire sulla mia giornata. C'è una gran tranquillità, anche se i vicini hanno la radio accesa, e anche se Han - seppure pianissimo - sta russando dietro di me. Non c'è proprio nessuna pressione intorno. Grazie alle lettere di Mlle de Lespinasse, comincio improvvisamente a pensare a una frase di Rilke che vado a cercare: “... in pieno XVIII secolo, con tutto il suo godimento della propria infelicità, ma senza averne davvero voglia”. Ho voluto citare questa frase per S., pensando a come ha tratteggiato il carattere di Hesje, il suo bisogno di emozioni. Il fatto che un momento di sofferenza era una nuova svolta sensazionale. Lui ha detto: Nella mia terminologia, direi “senza averne davvero la predisposizione” piuttosto che “senza averne davvero voglia”. Già, e così ci si può imbattere in tante cose diverse la mattina presto. Più tardi, durante il giorno: da una lettera-R. “... alcuni giorni fa mi son capitate fra le mani le traduzioni di meravigliose poesie cinesi. Li Tai Pe e altri. Che grandi poeti erano! Essi fanno un cenno, ed ecco qualcosa che va e che viene; dopo un millennio lo si sente attraverso quella lingua straniera sopraggiunta così tardi; com'era lieve ciò che essi evocavano, andava e veniva; e come ogni gravità si trasformava in assenza di peso, così da permanervi...”. In molti modi ciò mi è familiare e mi tocca nell'intimo, e potrebbe costituire una sorta di motto di ciò che io spero di realizzare un giorno, un giorno ancora lontano: “e come ogni gravità si trasformava in assenza di peso, così da permanervi...”. A volte, quando pedalo per le strade, molto lentamente e tutta assorta in quel che avviene dentro di me, mi sembra di potermi esprimere con una tale forza e sicurezza che mi ritrovo poi piena di meraviglia, quando ogni frase che scrivo appare così traballante e sgraziata. A volte parole e frasi corrono dentro di me così sicure e persuasive, che dovrebbero uscirmi fuori quasi da sole, e proseguire naturalmente il loro corso su un qualsiasi pezzo di carta. Ma non siamo affatto a questo punto. Mi domando solo se non lascio troppo gioco alla mia fantasia, se le vengo troppo poco in soccorso dall'esterno, se non sarebbe meglio costringerla ad assumere forme precise. Ma non c'è soltanto una fantasia indisciplinata e vagabonda: in realtà ci sono cose che prendono via via una forma sempre più circoscritta, concentrata e tangibile - e tuttavia non c'è ancora nulla di concreto, com'è possibile? A volte mi sento proprio come una grande officina in cui si lavora duramente, si picchia col martello, o chissà che cosa. Altre volte mi sento come se dentro fossi di granito, un pezzo di roccia battuto senza posa da forti correnti - una roccia di granito sempre più scavata, i cui contorni e le cui forme si cesellano col passar del tempo. Forse verrà un giorno in cui quelle forme saranno bell'e pronte, ben nette nei loro contorni, e allora mi toccherà semplicemente registrarle così come le ho trovate in me stessa. Sto semplificando troppo? Ho troppa fiducia in un lavoro che, in questo momento, viene fatto per me? Voglio metterci tutto il mio impegno e la mia attenzione, ed essi assisteranno al “lavoro” a nome mio: saranno i miei rappresentanti in quell'officina, ma assisteranno semplicemente, senza fornire alcun aiuto effettivo. A dire il vero, ho trovato un po' al di sotto della mia dignità battere a macchina e archiviare la lettera per Stella, che davvero non è un monumento letterario. Eppure per me quella lettera è stata un'impresa. In passato avrei accuratamente evitato di rispondere a qualunque lettera, aspettando che arrivasse l'occasione di rispondere in un colloquio de visu. E questo cela molta trascuratezza e codardia, forse anche la paura di non scrivere una “bella” lettera, la paura di concedersi, in una maniera o nell'altra. Fa parte della nostra cultura o formazione, o come la si voglia chiamare, il fatto che non si dia nessuna possibilità alle parole che ci vengono indirizzate di svanire nell'aria. Bisogna

rispondere anche al più debole appello, quando ha senso e quando sembra necessario. Dovresti rispondere al meglio delle tue possibilità alle domande che ti vengono rivolte, con la risposta che casualmente sta maturando in te in quel momento. Credo che nello spazio si librino tante domande disperate, inevase, oscillanti dagli uni agli altri e che, se ciascuno - a suo modo e secondo le proprie capacità, cominciasse ad affrancarle da quella disperata ricerca, fornendo loro una risposta, una dimora, non ci sarebbe una tale terribile messe di domande senza un tetto. E non c'è legislazione sociale che possa rimediare a questa loro condizione di “senzatetto”. E scrivere quella lettera è stata davvero un'impresa per me. Per giorni interi aveva pesato come un macigno sulla mia coscienza e alla fine, quando avevo risposto con pazienza e senza troppe pretese, come avrei fatto in passato, mi ha dato un vero senso di soddisfazione. L'inizio è caratteristico: comincia con un accenno alla mia salute, il che non ha senso naturalmente; in passato giustificavo tutto con la mia salute, come fa mia madre ancora adesso; ma bisogna educare se stessi, in tutto. Se le intuizioni che mi guadagno grazie alla mia frequentazione delle più nobili menti, mentre siedo a questa scrivania, non si applicano ai più piccoli dettagli della vita quotidiana, se qualcosa di quella grande consapevolezza dei valori umani non permea di sé il più debole dei miei respiri, la “vita spirituale”, o comunque deciderò di chiamarla un giorno in un momento più ispirato, non ha alcun significato. Perlomeno così lo avverto io... E per pensarla in questo modo non c'è bisogno di essere idealisti fervidi o annebbiati. E anche di questo vorrei scrivere un giorno, con parole modeste e leggere, anche se ancora non so proprio come. Di sera, leggendo un romanzo davvero di qualità Eppure è tutto molto diverso che nei libri, molto più difficile. Un giorno dovrò elaborare a modo mio tutto quello che so della vita e delle persone. E, negli ultimi tempi, a ogni passo, una frase appropriata di Rilke attira la mia attenzione. E ora ho trovato questa in una lettera: “Sempre più (e per mia fortuna) vivo l'esistenza del nocciolo nel frutto, che ordina attorno a sé tutto ciò che ha, traendolo fuori da sé nell'oscurità del suo lavoro. E sempre più mi rendo conto che vivere così è la mia unica via d'uscita: altrimenti non saprei trasformare tutta l'amarezza che mi circonda nella dolcezza, di cui sono eternamente debitore al buon Dio”. Ogni cosa è diventata molto più difficile, ho detto, e vorrei rendere tutto di nuovo facile senza che diventi una bugia. [Giovedì] 11 giugno [1942], le nove di mattina Si dovrebbero tener strette le redini, ogni tanto, e non solo della propria ansia, in modo che non si impenni e non dia inizio, come un cavallo imbizzarrito, a una corsa distruttiva attraverso tutto il nostro essere; ma bisogna contenere anche la tristezza, non facendola crescere a ogni istante, come un fiume in piena che inondi i campi coltivati con tanta fatica. Bisogna cercare di mettere un freno al proprio egocentrismo, di non lasciare libero sfogo a ogni stato d'animo. Non è necessario eliminare la propria ansia e la tristezza, bisogna imparare a tenersele e a sopportarle; non arrendersi ad esse senza riserve, come se non ci fosse nient'altro sulla terra. Non si possono sacrificare di continuo le proprie forze migliori alla tristezza; le forze vanno conservate - a lungo andare, bisogna aspirare perlomeno a questo - per la società, per usare una volta una parola grossa. E con società intendo un allievo che viene da te per imparare il russo, un tuo simile che si rivolge a te con le sue difficoltà, una poesia che richiede la tua attenzione per essere capita. In passato ritenevo che fosse un mio diritto cedere completamente alla tristezza, ogni altra cosa doveva lasciarle spazio e non c'era nient'altro di importante paragonato alla grande, enorme desolazione che attraversava tutto il mio essere. Adesso non è più così, anche se a volte si sfiorano i limiti. In un giorno come questo, in cui mi sento fisicamente davvero uno straccio, in cui la depressione mi affligge e mi cresce dentro una tristezza sempre più greve, sono subito tentata di perdonare troppo a me stessa e di liberarmi un po' del lavoro. Al momento non capisco dove devo

prendere l'energia per preparare due lezioni e stasera andare anche alla prima della rappresentazione di Veterman. E forse ho tanta compassione per me stessa di fronte a un simile “fitto” programma. Figuriamoci: due allievi e una serata a teatro. E in mezzo tutto il tempo per me stessa. No, non si deve proprio permettere alla tristezza di aver un simile potere su di noi. Adesso non più, adesso che stiamo diventando adulti. Si è conosciuto tutto e si è fatta esperienza di tutto, ma non può andare avanti così, perché alla lunga questo non è altro che egocentrismo e le forze migliori vanno perdute. “Eppure continuiamo a lasciarle cadere, sia l'una sia l'altra: quella letizia, quella tristezza. Non le possediamo ancora, né l'una né l'altra. E che cosa siamo mentre ci alziamo, e fuori un vento, un luccichio, un suono che cogliamo dalle voci degli uccelli nell'aria, può catturarci e fare di noi ciò che vuole? È bene udire, vedere, afferrare tutto ciò, non esserne insensibili, al contrario: sentirlo sempre in migliaia di forme in tutte le sue variazioni, ma senza smarrirsi in esso” . Quando ci si arrende in maniera tanto completa a ogni possibile tristezza, si vuole ancora troppo sperimentare se stessi nella tristezza, far esperienza di sé troppo intensamente, e non è questo che conta a lungo andare. Batterò a macchina quel pezzo sul mio “lato notturno”. Una tenera creaturina come me che poi, di notte, va accoltellando uomini dalla barba arruffata con un singolo colpo di pugnale sul viso. Durante una conversazione telefonica, nelle prime ore del giorno, gli ho raccontato tutto di questo sanguinario omicidio notturno e lui ha detto: Smettila, per favore, ti ritrovi la polizia in casa in un minuto. Ieri ho parlato con qualcuno che ha incontrato spesso Rilke nel sanatorio di Valmont. Le parole del suo racconto che più mi hanno impressionata sono state: un uomo cupo, ma molto amichevole. E perché mai non dovrebbe essere così? Anziché sfogare la propria tetraggine, tristezza o chissà cosa sugli altri, essendo scortese con loro? Quando noi soffriamo, non dobbiamo per forza far soffrire anche gli altri, no? Se solo l'educazione dell'uomo intervenisse su questo punto. È un processo di presa di coscienza, che ciascuno deve portare avanti da solo. Ma coloro che hanno già iniziato quel processo, devono dare il primo impulso agli altri, che sono ancora “non nati”. Sarà questo alla lunga il mio modo di “lavorare socialmente”, sono inadatta a qualunque altro metodo. Sto svolgendo il mio apprendistato, in questi anni indicibilmente ricchi, con un uomo con cui davvero - non vorrei mai sposarmi. Il mio apprendistato sta andando bene; divento pian piano una vera adulta. Ieri sera, dopo le nove, sono andata in bicicletta da lui, benché non ne avessi davvero voglia. La testa chiusa e vuota, e alla sua tipica espressione: Sì, ma che cosa vuole davvero, signorina Hillesum? (che buffo, sono io!) , ho ribattuto: Questa sera mi sento un'idiota, sono noiosa e torno a casa. Al che lui mi ha raccontato diverse cose di quella giornata, mi ha fatto leggere alcune annotazioni su pazienti e io per poco non mi sono addormentata vicino al taschino del suo gilè. A un certo punto, lui ha detto ironicamente: Lei quindi è isterica, oggi? E io ho fatto del mio meglio per chiedere, con la necessaria indignazione: Che cosa intende esattamente con il termine isterico? Lui ha fatto un gesto vago, dicendo: così lunatica e così irrisolta, forse è meglio se torna a casa. Sono rimasta seduta a guardarlo molto tranquilla e controllata, molto vicina a lui e sapevo che un'ora come quella, in passato, sarebbe stata assolutamente insopportabile, e scoraggiante al di là di ogni immaginazione. Di solito ero genuinamente isterica e disperata; mi sarei sentita tradita e abbandonata, incapace di consolarmi del mio vuoto e della mia tristezza. E adesso invece stavo lì molto serena e composta, pensando tra me e me: non dovresti essere così ambiziosa, pensando di riuscire a ispirare un uomo in ogni minuto della sua vita. Devi accettare il fatto che puoi essere vuota e stanca, e voler solo andare via. Questo accade nelle relazioni migliori. In passato, non volevo riconoscere quel vuoto dentro di me e facevo quindi sforzi immani su tutti i fronti, da quello spirituale a quello erotico e sessuale, per avere un contatto ad ogni costo e, se la cosa non funzionava, mi davo a celebrare orge di solitudine fra me e me. Questa volta, invece, me ne stavo lì tranquilla, seduta composta, anche un po' triste, certo, pensando: bene, questo è qualcosa che quel buon uomo non può cambiare. In passato esigevo da lui, e anche da altri amici, che facessero miracoli per consolarmi. Adesso riuscivo a sopportare il mio vuoto, la stanchezza e il malessere, capendo che anch'essi sono parte

della vita e che non c'era bisogno di disperarsi così tanto. E ho nascosto la testa in mezzo al grigio chiaro del suo vestito e quando più tardi ho lanciato, per caso, uno sguardo in su, ho visto scorrergli sul viso espressioni ed emozioni, come se da lui erompesse un sentimento troppo potente e si mettesse a fare una breve camminata serale lungo i suoi tratti tormentati. Non so che cosa fosse e non so neanche se lui fosse consapevole del fatto che il suo viso rivelava d'un tratto un'emozione tanto forte, ma io ho potuto leggerla e impossessarmene come se fosse destinata a me. Ed è stato piacevole. Talvolta possiamo ricevere quanto è necessario dall'espressione di un viso, essa può nutrirci per giorni e giorni; non c'è sempre bisogno di quei ferventi gesti passionali che dovrebbero convincerci di essere davvero desiderati. Il che non è altro se non un modo per alimentare il proprio ego. Scrivendo queste cose, mi sento già meglio. Dopo giorni molto caldi, è improvvisamente tornato il freddo e il corpo fa fatica a riadattarsi. Forse è per questo che mi sento malissimo. quasi malata. Ma non si può neanche essere così dipendenti dai cambiamenti atmosferici. E proprio in giorni di questo genere, quando ci si sente cedere su tutti i fronti per la stanchezza e il malessere, bisogna vivere una vita più disciplinata e diligente che in qualunque altro momento. Ecco fatto, ho appena tirato fuori dal guardaroba, ancora una volta, il maglione color terracotta e ci ho indossato sopra la giacca di lana blu scuro, e siamo solo a giugno. E oggi digiunerò fino alle sei per rimettere un po' a posto lo stomaco, il che vuol dire che farò un pisolino all'ora di pranzo, così guadagnerò tempo; voglio anche tornare a rallegrarmi all'idea di rivedere i miei due allievi, e questa sera Liesl a quella sciocca prima, l'importante è che riesca a tenermi addosso questo maglione, quanto al romanzo di Grete von Urbanitzky, Eine Frau erlebt die Welt [“Una donna fa esperienza del mondo”] con cui volevo trascorrere questa mattina, lo conserverò per un'ora più degna; e comincerò a leggere Russisch für Kaufleute dopo aver trascritto a macchina il sogno di stanotte. Ancora un dettaglio di ieri sera. Quando mi sono debolmente lamentata del fatto che ero distrutta e che sarei tornata a casa, lui mi ha chiesto con aria inquisitoria: Ma come si sente, me lo descriva con precisione. E io ho risposto con un tono da sfinge, con una serie di gesti vaghi e un'espressione facciale imperscrutabile: A dire il vero, non lo so. Allora lui ha detto: Sì, vede, ciò che la rende così interessante per gli altri è il fatto che lei non dica mai nulla, ma io... io lo trovo noioso da morire. Dopo di che sono d'un tratto scoppiata in una risata liberatoria, per quella sua osservazione che suonava tanto fresca e sincera e terribilmente giusta. E mi ha chiesto, divertito: ho ragione, o no? E se non lo avevo ancora pensato ieri sera, allora lo penso adesso, e cioè che, in passato, per via di un'espressione così diretta e cruda da parte sua, mi sarei sentita ferita e insicura e che ora, invece, la fiducia in me stessa è aumentata e che vivo una simile espressione solo come qualcosa di rinfrescante e illuminante. Quanto più si tenta di vivere solo il proprio “io” negli stati d'animo, e non il cosmico, tanto più si è esclusi da tutte le impressioni che ci raggiungono e tanto più ci si impoverisce, alla lunga. Di sera tardi Una commedia e un pubblico con un povero vocabolario: “affascinante”, “delizioso”, “magico” e di nuovo “affascinante”. Le lacrime mi scendevano copiose lungo le guance e sarò stata certo quella che ha riso più forte in tutta la sala, ma non so neanche cos'altro dire, se non: “affascinante”. E il fatto di aver a disposizione solo poche parole, davvero così poche, mi rattrista. In passato avvertivo un senso di pesantezza nel momento in cui il sipario calava sulla commedia. Questa volta la pesantezza era minore. Ma avevo comunque bisogno di fuggire quelle coppie sposate interscambiabili e turbolente, e correre al mio severo sant'Agostino. Proprio come se dovessi cercare rifugio in lui da tutte le commedie del mondo. Un essere umano è una cosa strana. Tutto sommato sono molto contenta di questo giorno. Nelle prime ore del mattino l'ho lasciato quasi scivolare tra le mie dita per una forma di indifferenza e malessere, ho pensato di avere troppo poca forza per portare quella giornata fino alla sua conclusione. Ma quando mi sono seduta alla scrivania e ho cominciato a chiedermi che cosa significava tutto ciò, è diventato chiaro che il disagio fisico non era il fattore dominante. Ho scoperto che una vasta gamma di materiali psicologici e una sorta di polvere impedivano alla macchina di mettersi in moto. Ma per questo si può fare molto. E la

forza cresce, se la si usa e si è fiduciosi che essa ci sia. Fa così tanto freddo, e la mia testa è così pesante che non sembra più solo piena di batuffoli di cotone. Sta crescendo qualcosa tra Liesl e me? A volte, ultimamente, mi è capitato di pensare che in un qualche gesto incontrollato e passionale un gesto che non ho mai immaginato nei confronti di una donna, ma che è in me comunque avvicinerò il suo esile corpo al mio. Non so cosa farei, dopo. È come se questo gesto, negli ultimi tempi, si fosse sviluppato dentro di me. Ciò che è nato tra noi, però, è davvero qualcosa di singolare, ha detto S. ieri sera, guardando ora l'una ora l'altra, ma noi, io e Liesl, abbiamo fatto finta quasi di non sentire. Io ho sentito eccome, ma ho guardato dritto davanti a me. Quello che ha detto ha colpito veramente anche lei? Un paio di notti fa, ho sognato di lei in una cornice tanto erotica, addirittura sessuale, e mi sono svegliata con un orgasmo. Voglio davvero una cosa simile? Non ho teorie al riguardo, e l'unica cosa che davvero conta è che la amo genuinamente. E l'erotismo non è la questione principale nella nostra relazione ma, a volte, affiora all'improvviso, là, anche se non lo trovo problematico. Sono un piccolo dono supplementare della vita, questi inattesi momenti di innamoramento, momenti in realtà più poetici che non da realizzare con qualcuno in particolare. Il fascino che lei esercita su di me è un dono speciale ma non è necessario che si concretizzi, anche se le mie mani a volte vorrebbero tendersi verso di lei. Buona notte! Venerdì mattina [12 giugno 1942], le otto Triste, depressa, abbattuta, insicura; un cumulo di sabbia sul quale la prima persona che passa può posare il piede per farlo vacillare in ogni suo punto. Per alcuni giorni S. si è allontanato nei miei sentimenti, come se qualcosa dentro di me si fosse spento. Può dipendere tutto solo da un raffreddore di testa? Devi ancora imparare molto. Per esempio, che non è necessario trovarsi di continuo in uno stato di passione, un minuto dopo l'altro. Forse è addirittura un mero “bisogno di sensazioni” sempre nuove. Lascia che lui viva, lascia vivere anche te stessa e la vostra relazione. Che tutto vada come deve andare, tu puoi benissimo sentirti un po' vuota; ma quel vuoto si allargherà soltanto se continui ad associarvi un'intera serie di situazioni catastrofiche. In una relazione ci deve essere spazio per tutto, persino per il vuoto, per quanto paradossale possa sembrare. L'unica cosa che non devi fare è reagire drammaticamente o con impazienza Dopo la colazione con un altro tipo di surrogato del tè Non bisogna ingigantire un piccolo vuoto fino a farlo diventare un deserto di vacuità. Credo che, dopo quella breve telefonata, anche questo sia passato. Resta ancora solo un raffreddore, è come se la mia testa non riuscisse a inspirare aria, non i miei polmoni, ma la mia testa; tutto nel mio cranio vorrebbe distendersi ma non può, il cranio è troppo stretto, non c'è spazio per un simile gesto di distensione. Questo mese di giugno sembra essersi dimenticato totalmente dei suoi doveri. È come se l'estate improvvisamente, dopo un piccolo inizio esuberante, avesse cambiato idea e stesse regredendo verso l'autunno a vele spiegate. Un maglione di lana e una giacca di lana l'uno sull'altro, a metà giugno! Ho appena dato al telefono il benvenuto ad Adri come cittadina permanente di Amsterdam. Ha detto, tra le altre cose: Ieri ho sentito parlare di te da Van Wermeskerken; lei è molto presa da te, e non solo perché “sei così intelligente” ma anche perché “spieghi tutto così bene”. Questo è davvero molto incoraggiante. Comunque, in realtà: lo so già. E poi: non me ne vanto. Ma anche: non ho nemmeno complessi di inferiorità. Per quanto riguarda questo punto, vivo esattamente in mezzo, la bilancia non pende né da una parte né dall'altra. Non mi trovo per nulla particolarmente brillante o intelligente, come gli altri sostengono sempre, o perlomeno non perdo il mio tempo a pensare, oh, quanto sono intelligente. In realtà non mi immagino mai di fare qualcosa di speciale, non ne ho bisogno per il mio senso di autostima. Ma, d'altro canto, non mi succede neanche mai di avere la sensazione di essere troppo stupida per l'una o per l'altra cosa, non riesco a farlo. Per quanto riguarda questo

punto, vivo in equilibrio. Simili sentimenti sottraggono inutilmente tempo ed energie, e non sono neanche necessari, bisogna solo andare per la propria strada e niente più. È proprio sconcertante sentire da altri, a ogni passo: Sono troppo sciocco per questo, insomma, eccetera, il continuo mostrare l'uno o l'altro complesso di inferiorità. Quando, ultimamente, stavamo andando dagli Starreveld, Tide ha cominciato d'un tratto a comportarsi come una scolaretta, c'era un po' di commedia in tutto quell'atteggiamento, ma lo sfondo era reale: “Mi sento troppo stupida per quel tipo di compagnia, mi viene il mal di pancia, davvero mi rende totalmente nervosa”. E io mi sono arrabbiata, a ragione, e un po' sorpresa, ho detto: “Tide, come puoi essere così sciocca a dire certe cose!”. Da una parte, un continuo erodere il proprio senso di autostima, e dall'altra: l'“arroganza”. Entrambi sono superflui, perlomeno dovrebbero esserlo, per chi prende sul serio la vita e sa che è breve e che c'è ancora tanto da fare. Non ho ancora speso una sola parola su quelle verdure, già, le verdure. Wim ha portato due cetrioli da Heemstede, un dono di Dio: file di persone in attesa, per ore e ore. Meglio forse usare i fagioli della scorta. Non ce la faccio a scrivere di simili cose, troppo poca pazienza. E ora sembra che gli ebrei non potranno più entrare nei negozi di frutta e verdura, che dovranno consegnare le loro biciclette, che non potranno più salire sui tram né uscir di casa dopo le otto di sera. Se mi sento depressa per queste disposizioni - come stamattina, quando per un momento le ho avvertite come una minaccia plumbea che cercava di soffocarmi - non è, però, per le disposizioni in sé. Mi sento semplicemente molto triste, e la mia tristezza cerca conferme. Così, una lezione poco piacevole che devo dare m'ispira altrettanta paura e angoscia delle più pesanti misure adottate dalle forze di Occupazione. Non sono mai le circostanze esteriori, è sempre il sentimento interiore - depressione, insicurezza, o altro - che conferisce alle circostanze un'apparenza triste o minacciosa. Nel mio caso funziona sempre dall'interno verso l'esterno, mai viceversa. Di solito le disposizioni più minacciose - e ce ne sono parecchie, attualmente - vanno a schiantarsi contro la mia sicurezza e fiducia interiori, e una volta risolte dentro di me, perdono molto della loro carica paurosa. Sul mio bloc-notes ancora un breve passo stenografato: un frammento di una conversazione tra S. e Werner, che S. mi ha raccontato dopo: W.: È anche un'oggettiva questione di bisogno, in definitiva un uomo non può vivere sempre senza uno sfogo fisico, non per sempre. S.: È comunque possibile che in lei - dato il complesso d'inferiorità che prova in questo rapporto e, quale diretta conseguenza di ciò, il suo voler dare continuamente prova di sé attraverso l'attività fisica - è possibile che quel bisogno originariamente reale e naturale non sia poi così grande come l'idea che debba esserci. E ciò continua a produrre i suoi effetti nell'inconscio... E, più, tardi: sarebbe tuttavia grottesco, ridicolo, penoso che un matrimonio così fallisse per problemi connessi alla sfera sessuale. Qualcosa su Pieter: è disadattato, ossia ha un rapporto difficile con la sua cerchia, perciò deve continuare ad avere un'immagine il più possibile negativa di tale cerchia, per giustificare la propria difficoltà ad adattarsi a essa e i suoi tentativi di rifuggirne. Un po' più tardi la mattina Rovistando qua e là in un vecchio quaderno per stenografia, mi imbatto in questo mio scarabocchio: me lo “appunto” semplicemente qui. Mi ricordo d'un tratto d'averlo scritto mentre sedevo di fronte alla finestra, sulla sua sedia da patriarca, rivestita da Adri, in un momento in cui S. era via e io ero così piena di lui, che dovevo semplicemente annotare qualcosa: “Può permettersi di essere sempre sincero, senza per questo diventare meno interessante. Solo quando una persona è profonda e piena di sostanza, una sincerità come la sua non diventa fastidiosa. E anche se qualcuno dice che ha un'aura mistica, ogni cosa in lui è tanto limpida e cristallizzata che non c'è possibilità che emani vaghezza o ambiguità”. Bisogna pure che la smetta con il raffreddore e il malessere: consumano la mia energia e la mia voglia di lavorare. Devo togliermi questa idea: che solo perché patisco tanto il freddo e il

raffreddore, e mi sento la testa chiusa, io abbia il diritto di lasciarmi un po' andare, di lavorar meno bene; dovrebbe quasi essere il contrario, oserei dire, anche se gli atteggiamenti forzati non vanno mai bene, neppure in questo caso. Il continuo aggravarsi della situazione alimentare abbasserà la nostra resistenza al freddo e ai raffreddori: mi sta già succedendo. E l'inverno deve ancora venire. E si deve pur andare avanti, continuare a essere produttivi. Devo prepararmi a un futuro in cui gli impedimenti fisici faranno parte della mia vita, se voglio evitare che essi si presentino ogni volta come ostacoli inaspettati e paralizzanti: devo farli acclimatare, per dir così, alla mia condizione quotidiana, a tutta la mia piccola persona, in modo da dominarli e non averne più fastidio. Allora essi non saranno più un elemento frenante, che mi tocca affrontare ogni volta con gran dispendio di tempo ed energia; saranno invece un elemento che avrò risolto in me stessa, sicché non dovrò più dedicarvi attenzione e potrò proseguire indisturbata per la mia strada. Magari mi sono espressa malissimo, ma so perfettamente che cosa voglio dire. Sabato mattina [13 giugno 1942] Stanca, scoraggiata e logora come una zitella. Assonnata come la pioggerella fredda che cade fuori. Così senza forze! Ma allora non devi startene a leggere in bagno fino all'una di notte, con gli occhi che ti si chiudono per il sonno! Chiaro che la ragione è un'altra. Una crescente svogliatezza e stanchezza: forse un fatto puramente fisico, dopo tutto? Tante piccole schegge del proprio io, che tagliano la strada a spazi più ampi. Questo io così ristretto, coi suoi desideri che cercano solo la loro limitata soddisfazione, va strappato via, va spento. Più mi sento stanca e debole, più mi sconcertano la sua forza e il suo amore, che rimangono sempre a disposizione di tutti. Sono semplicemente sbalordita che gli restino tante energie, in giorni simili. Per una persona sola è già abbastanza quando suo nipote viene arrestato, perché stava su una barchetta sul canale, e ieri sua sorella è stata trattenuta, semplicemente sparita, perché sembra che abbia ignorato le regole della gentilezza dovuta al nostro governo occupante in un colloquio di cui non sappiamo ancora nulla. E poi ci sono anche le questioni finanziarie, le ipoteche e un capitale di famiglia non denunciato che potrebbe costargli la testa. In ogni momento possiamo esser spediti in una baracca nel Drenthe, e nei negozi di frutta e verdura sono appesi cartelli che vietano l'ingresso agli ebrei. Una persona normale ne ha abbastanza, oggi. Lui invece riceve sei pazienti, e passa ore intense con ciascuno di loro; li apre e ne elimina il pus, apre le sorgenti in cui Dio si nasconde a molti uomini, continua a lavorare con loro finché le acque scorrono nelle anime prosciugate; le confessioni si ammucchiano sui suoi tavolini, quasi tutte finiscono con: “Aiutami, ti prego”; e lui c'è per ognuno, e aiuta. Ieri sera, in bagno, ho letto di un prete: “Era un intermediario tra Dio e gli uomini. Le cose ordinarie non l'avevano potuto toccare. E proprio per questo capiva così bene la pena di tutti gli esseri in divenire”. Ci sono dei giorni in cui non riesco a stargli dietro, per stanchezza o per altro. Allora vorrei che la sua attenzione e il suo amore fossero soltanto miei, e di me non resta che quell'io limitato, e gli spazi cosmici che ho dentro si chiudono. In questi casi, naturalmente, perdo il contatto con lui. E vorrei che anche lui fosse soltanto un “io” limitato, e tutto per me. Un desiderio femminile molto comprensibile. Ma mi sono già allontanata parecchio da questo mio “io”, e continuerò per questa strada. E i cedimenti fanno parte di questo percorso. In passato mi capitava di scrivere: gli voglio così bene, così infinitamente bene. Ora quel sentimento è scomparso. Forse è per questo che mi sento così oppressa, triste e logora. E in questi ultimi giorni non riesco neanche a pregare. Non voglio neppure bene a me stessa. Tre cose probabilmente connesse tra loro. Divento di colpo ombrosa come un mulo che trovandosi su un sentiero roccioso non vuol più fare un passo avanti. E quando mi sento spenta nei suoi confronti e non ho più spazio e forza per “viverlo” interiormente, mi domando di punto in bianco: forse anche lui mi ha lasciata un po' andare? Forse le sue energie sono così consumate dalle tante persone che quotidianamente ne hanno bisogno, che per un po' (leve prendere le distanze da me? Etty, mi disgusti: così egocentrica e così meschina. Invece di stargli accanto col tuo amore e con la tua partecipazione, ti domandi come una bambina piagnucolosa se lui ti dedichi - per carità! - abbastanza attenzione. Sei la classica donna piccina, che

pretende tutto l'interessamento, tutto l'amore per sé. Or ora una breve conversazione telefonica con lui, oggettiva e scolorita. Credo che ci sia anche questo: un “volersi esaltare” in una specie di sentimento tragico. E non solo un sentirsi sempre triste, ma un volersi sentire sempre più triste. Un portare agli estremi le situazioni drammatiche, per poi soffrirne di gusto. È un retaggio del mio masochismo? Serve poco fare dei saggi ragionamenti da adulti, nel nostro “strato superiore”, quando in quello inferiore pullulano piante velenose che devono essere sradicate. Probabilmente lui riderebbe non poco se conoscesse tutte le mie fantasie sui “sentimenti morti” nei suoi confronti, e direbbe con tono molto obiettivo, tranquillizzante e serio: in ogni relazione capitano dei momenti bassi, bisogna lasciare che passino, poi tutto va di nuovo a posto. Ecco che assolutizzo un'altra volta questi momenti. È anche così stupido, in tempi che consumano ogni energia, sentirti infelice perché la tensione fra te e un uomo si è un po' allentata. Non è neanche prova di una grande fiducia in se stessi fare tanto chiasso se in alcuni giorni il tuo sentimento non è così intenso come in altri, come se tutto l'amore fosse scomparso e ti venisse a mancare Dio sa che cosa. Tu che non hai da fare la coda per ore. Ogni giorno trovi il cibo in tavola, è Käthe a occuparsene. E la scrivania coi libri ti offre ospitalità ogni mattina. E l'uomo più importante della tua vita abita a poche strade da qui e ancora non è stato portato via. Dormi invece abbastanza, finalmente. E vergognati ben bene. E veditela con te stessa, non trattare gli altri mettendo tutto sul piano della suscettibilità; anche se non la mostri, ce l'hai dentro, perciò devi proprio cominciare a fare un po' di pulizia. Non farti prendere da un'atmosfera, da un momento, per di più d'indolenza, ma tieni presente le grandi linee e le grandi direzioni. E sii pure triste, semplicemente e sinceramente triste, ma non costruirci sopra dei drammi. Una persona dev'essere semplice anche nella sua tristezza, altrimenti la sua è soltanto isteria. E finisci per trascinare nei tuoi umori anche quel povero Han, un uomo di sessant'anni. In verità non volevo assolutamente dormire con lui, se devo essere molto sincera. Ma volevo rimanere con lui per una sorta di stanchezza, per un non-voler-rimanere-sola e per un voler-essere-coccolata. Ma lui ha detto: È troppo tardi, vai nel tuo letto. A quel punto io ingigantisco il mio sentimento fino a trasformarlo in una terribile solitudine e in un sentirsi abbandonata, e con una maschera di profonda tragedia e tacendo in modo impressionante lascio la sua camera per andare in bagno a leggere un romanzo. E lui mi raggiunge un po' scoraggiato e mi accarezza e non sa cosa fare con me, adesso che io, nel cuore della notte, con la testa piegata e le lacrime dietro i vetri dei miei occhiali, siedo nel bagno a leggere un romanzo. Dopo di che, lui mi fa intendere timidamente che devo comunque andare da lui. Io, però, sprofondo sempre più in una sensazione di solitudine e di abbandono, tengo la testa piegata e lascio che faccia da solo, mentre io resto una mezz'oretta su quella sedia di vimini, sapendo che la luce proveniente dal bagno lo infastidisce, ma resto lì soprattutto per rendere la situazione il più drammatica possibile. Infine vado nel mio letto e sono in realtà contenta di essere sola e so che tutto quanto non era altro che isteria. E devo rimanere sola, totalmente sola, finché non ho risolto tutto con me stessa e finché non è tornata un'atmosfera un po' più pura dentro di me. Tutto quel pandemonio da me inscenato forse non è altro che un desiderio di estorcere al mondo esterno ciò che in questo momento non riesco ancora a dare a me stessa. E con un simile atteggiamento puoi rovinare le tue relazioni migliori. Dovresti rinchiuderti in una cella spoglia, e startene sola con te stessa finché tu non sia nuovamente in chiaro, e tutte le isterie non ti siano passate. E non sentirti triste e abbandonata ogni volta che S. dice una parola che ti sembra troppo impersonale. Sono solo richieste che fai e che nascono da un senso di impotenza. Cerchi soltanto di compensare, a partire dal mondo esterno, quello che ti manca interiormente. Ognuno deve saper sopportare la propria tristezza con una certa dignità e in prima persona - totalmente da solo. E nella sua forma più pura e semplice. Solo così essa ha un valore duraturo e può avere effetti benefici. Non si può camuffarla in mille modi. C'è tanto, davvero tanto da fare in questa vita; ciò che è in gioco è grande e serio, e le vie per accedervi non possono essere ostacolate dai detriti della tua struttura vacillante che continua a sgretolarsi. Vado prima a dormire per un'ora. E senza dubbio ritroverò me stessa e ritornerò a essere semplice, persino nella tristezza, e non mi comporterò mai più in modo

così folle. Ieri sera dai Levie. “Quante cose cadono addosso a quel poveruomo” ha detto Liesl, quando è stata citata la sorella imprigionata di S. “E pensare che io oggi l'ho scocciato” ha detto Werner. E io gli ho risposto: “D'altronde è la sua vita e la sua gioia essere infastidito da persone come te”. Questa frase ben formulata era intenzionalmente diretta a lui e ha colto nel segno. Il suo viso all'improvviso ha ripreso vita e io ho ricevuto da Liesl uno sguardo di ringraziamento. Lei sembrava un uccellino tremante e, mentre io andavo via, si è quasi aggrappata a me nel corridoio, supplicandomi: “Torna spesso per favore, cerchiamo di mantenere i contatti in questo periodo”. “Certo che li manteniamo” ho risposto. “Sì, ma abbiamo comunque così bisogno gli uni degli altri”. E Werner mi ha accarezzato la guancia con la sua mano che mi ricorda le grinfie di un uccello predatore, senza aggiungere altro. Questi tempi e il peso degli eventi gravano su loro due. Avrei ancora voluto dire: Bambini, non andate a dormire con questo stato d'animo depresso e abbattuto. Prendete in mano un buon libro, fosse pure solo la Bibbia. Ma io stessa non avevo la forza di persuasione per suggerirlo. E avrei voluto dire anche questo a Werner: Se ti capiterà di fare un bilancio della giornata di oggi, non ricorderai solo la perquisizione degli ufficiali nel Café de Paris e la cattura di quel ragazzo di diciannove anni, ma anche l'ora passata con S. Ci sei stato per la prima volta e sembra che questo incontro sia stato molto fruttuoso e importante per il tuo futuro sviluppo. Questo non lo puoi certo cancellare. Perché permettere alle cose brutali e deprimenti di ogni giorno di dominarti e dimenticare quell'ora buona? La nostra crescita dovrebbe far sì che i momenti buoni della nostra vita e lo sviluppo interiore vincano le pressioni e le minacce quotidiane. Il modo in cui tutti sedevano lì ieri sera, completamente abbattuti e scoraggiati da questi tempi minacciosi, significava che quell'ora, che era stata la parte migliore della giornata, era stata sommersa e non giocava più alcun ruolo. E non bisognerebbe consentirsi una simile trascuratezza. Ma io ero troppo debole ed esausta, troppo poco sicura delle mie sensazioni, per dire tutto quanto. Eppure a lungo andare dovrò tornare di nuovo su queste cose, ogni volta e dovunque; ma prima dovrò essere in grado io stessa di dare l'esempio. Ciò che ho scritto all'inizio della mattina ha di nuovo perso la sua verve; una volta che hai messo nero su bianco le cose, ti scivolano via. Mi sto addentrando in una giungla di parole, molte parole sono ridondanti e molte non colgono nel segno e sono sbagliate, ma non si tratta delle parole, quanto piuttosto di farsi strada in mezzo a esse per poi arrivare d'un tratto in una radura con una visuale aperta su tutti i lati e sul cielo: allora sarò andata ancora un po' avanti. E alla fine di una conversazione così caotica con me stessa, mi rendo conto di non essere comunque così piccola, immatura e miserabile come pensavo all'inizio. E i miei desideri, pensieri e speranze glieli risparmierò, almeno per qualche tempo, in modo da non infettare me e lui. Nella mia stanchezza voglio spesso cose che, se sono onesta con me stessa, non desidero affatto. Richiamerò indietro le mie speranze e i miei desideri, come si richiamano a casa bambini piagnucolosi e turbolenti che si sono allontanati troppo. Appartengono a me e devono stare a casa, per essere educati da me; una volta che saranno stati riportati alla ragione, potranno di nuovo vagare liberamente. Ma per il momento, indisciplinati e informi come sono, fanno danni, senza sapere quello che vogliono realmente. Alla fine della mattina Ho avuto bisogno di molte strade laterali e di cespugli di parole, in questa mattina piovosa e cupa, per arrivare a una consapevolezza chiara e semplice delle cose. In mezzo alle troppe, e tuttavia necessarie, parole di stamattina ho anche scritto qualcosa di simile: a volte, si cerca di compensare una temporanea mancanza di forze interiori facendo richieste supplementari al mondo esterno, aspettandosi irragionevolmente che queste possano sostituire le forze provenienti da dentro. Ma avrei dovuto aggiungervi questo: nei momenti in cui non ho amore in me, o almeno non lo sento vivere in me, cerco di compensare pretendendo razioni supplementari di amore da parte dei miei cari. Potrei tranquillamente farne a meno, perché se anche loro m'inondassero d'amore, non saprei cosa farmene, anzi, e non lo vivrei nemmeno come amore, perché non avrebbe alcuna eco in me. E

ciò innesca un processo per il quale si diventa sempre più esigenti. Si potrebbe quasi ridurre a una formula algebrica: una mancanza o assenza di amore dentro di me mi fa esigere una doppia porzione di amore dal mondo esterno. E anche se questa mi venisse data, non saprei comunque cosa farmene. In ogni caso - e questa è una nuova questione - com'è possibile allora stare temporaneamente senz'amore? Ma questo è un capitolo a parte, e forse è anche molto più semplice di quanto io non pensi, ma prima devo preparare alcuni brevi esercizi per il mio uomo dei fagioli. Lunedì mattina [15 giugno 1942], le otto Devo imparare molto da quest'ultimo periodo di depressione per non trovarmi a viverne un altro nella stessa forma; solo in tal caso, giorni di questo tipo avranno avuto un senso. “Se non vivesse come un monaco, conservando tutta la sua energia, non sarebbe in grado di lavorare con gli altri dispiegando tale travolgente intensità e tanta efficacia” così ho fatto la mia filippica a Jan Polak sabato sera. Perché la mia passione di giovane donna deve sempre suscitare i suoi giorni e le sue notti di astinenza? E quante immagini erronee trasformano di nuovo la vita in un labirinto? Del resto, non lo amo forse più come maestro che come amante? E sono capace di accorgermi che il secondo aspetto non è essenziale in uno come lui? La mia sensazione che la nostra relazione sia imperfetta e mutila non nasce da una sorta di immagine tradizionale, per cui la più alta realizzazione dell'unione tra un uomo e una donna è la condivisione del letto? Nei miei momenti meno equilibrati ho sempre questa sensazione, a dir poco. Ieri notte c'è stato un istante in cui ho pensato di essere arrivata al limite Il Rijksmuseum in lontananza sembrava un palazzo da califfi, e non appena ho tentato di descrivere il cielo notturno, un cielo che ancora non si era trasformato in una notte nera, ma esitava tra molte sfumature di blu, solo allora ho notato quanto era povera di parole la mia tavolozza. Il mio dritto, povero tronco d'albero faceva d'un tratto pensare a una palma; quando lo vedo innalzarsi nel cuore della notte dietro la mia finestra sullo sfondo di un cielo esotico, somiglia proprio a una palma. Sono sdraiata sul letto e guardo la notte attraverso la finestra aperta, una notte sempre diversa, e so che non avrò mai bisogno di viaggiare, perché tutti i paesaggi del mondo mi fanno visita, di notte, nel cielo sempre cangiante dietro la mia finestra. E mentre pensavo - erano più o meno le quattro di notte - di aver ritrovato la pace, la chiarezza e la vastità, si è alzata d'un tratto una piccola, solitaria marea in me, e ha inondato e spazzato via quei pochi, piccoli progressi sulla via dell'intuizione che mi sembrava d'aver compiuto negli ultimi giorni. E si sarebbero potute strizzare le lenzuola per quanto erano bagnate di lacrime; poi mi sono detta, un po' ironicamente: Però, però, che bel tipetto che sei! Ero di nuovo disperata dallo starmene rinchiusa in uno spazio ristretto, sbattendo invano le ali contro un muro di ferro eretto da lui. E so, lo so per certo, che è un muro immaginario, che esiste solo nella mia fantasia influenzata da idee tradizionali. In fin dei conti si hanno quelle ali per volare al di sopra di tutti i muri e librarsi liberi in uno spazio che non conosce simili partizioni artificiali. È come se volessi, per una sorta di autopunizione, schiantarmi volando contro un piccolo muro. È una disgrazia, credo, che io mi ritrovi ancora alle prese con questo tipo di problemi, in tempi come questi, in cui noi dobbiamo stare gli uni accanto agli altri, con tutte le forze di cui siamo capaci, se vogliamo sopravvivere agli eventi. Lui ha appena chiamato per dire che Hulle è stato trasferito ad Amersfoort. E gira la voce che sia possibile sentire le urla dei maltrattati anche a grande distanza nella brughiera. Ed è più che una voce. E nessuno sa dove sia sua sorella, la madre di Hulle. E non si tratta solo di Hulle e di sua madre, ma anche degli altri, che sono migliaia e migliaia, per i quali bisognerebbe pregare con forza ogni minuto del giorno e che non dovrebbero essere dimenticati nemmeno per un solo secondo. È davvero vergognoso, Etty, che tu ti sia di nuovo lasciata impigliare in speranze e desideri che non sono neanche davvero tuoi. Devo fare chiarezza su questo punto, prima di potermi considerare appartenente a quella grande comunità nel cui seno tutti dovrebbero tornare scevri dal proprio egocentrismo. Molti, di questi tempi, attuano una politica dello struzzo: pur facendo appello alla gravità e alla serietà di “quest'epoca”, lasciano che i loro piccoli problemi continuino a vagare, irrisolti e trascurati, in ogni angolo del loro essere. Ci vuole

uno speciale coraggio, per prendere sul serio i piccoli problemi personali, e irrilevanti, per così dire, a fronte di eventi essenziali. Eppure gli eventi che, grandi e minacciosi, gravano fuori, sopra e intorno a noi, ma con i quali noi dovremmo sentire un contatto interiore, non nascono, in ultima istanza, da noi stessi? Eccetera. Vedi Jung, pagina così e così. Perché a volte mi assale la sensazione disperata che la nostra relazione sia manchevole? Che io non riesca a donarmi pienamente a lui, perché lui, in qualche modo, mi frena? Mi scontro con la sua fedeltà che si estende fino all'altro lato del Canale e copre una distanza di molti anni. Ma non è forse - e lo confesso per una volta onestamente - una sorta di vanità femminile ferita a causa dell'incapacità d'infrangere la sua fedeltà? Tide prega ogni sera per Hertha e per la loro unione e lei mi è tanto cara e l'ammiro per come è. Quanto all'idea di “infrangere la fedeltà di qualcuno”, non appartiene forse al repertorio di luoghi comuni piccolo-borghesi descritti in romanzetti di scarsa qualità? Queste crisi, che ricorrono a intervalli più o meno lunghi e mi danno la sensazione disperata che ci sia qualcosa di sbagliato nella struttura della nostra amicizia, non si verificano forse su un piano che è molto al di sotto della mia dignità, e molto distante dal piano nel quale opera il suo mondo concettuale? A volte mi sento come un bambino immusonito e capriccioso che cerca di forzare una porta che non è neanche chiusa. E non faccio forse un gioco infantile con me stessa, facendo finta che quella porta sia chiusa e spingendomi così in uno stato di sempre più profonda infelicità? Non lo so con esattezza. Qualcosa non quadra. Non nella nostra relazione, ma nel mio sentimento, e forse ancora di più nel modo in cui immagino le cose; un determinato cliché su come dovrebbe essere tra un uomo e una donna, ignorando ogni realtà concreta. E vorrei tanto uscire da questo vicolo cieco con una sola mossa ardita. Con un solo passo lasciarmi alle spalle questi problemi intricati, che assorbono tante energie, per poter essere produttiva insieme a lui e creativa nel suo spazio cosmico. Così come sono negli ultimi tempi, rappresento solo un fardello per lui - con il mio viso pallido e la mia indifferenza e la stanchezza (che comunque non derivano solo dalla mia cattiva condizione fisica) -, piuttosto che un sostegno e un'ispirazione. Non bisogna avere la vanità di essere fonte d'ispirazione per qualcuno, non bisogna in genere voler essere niente, si deve solo essere ed essere al meglio delle proprie capacità; se ci riesco, bene, in tal caso sarò una sufficiente ispirazione e non solo per lui, ma anche per molti altri. Forse dovrei addirittura educare me stessa a evitare ogni contatto fisico con lui? Senza, comunque, serbargli in alcun modo rancore? Non credo di riuscire a venirne a capo stamattina. Al momento mi sento molto più confusa e colma di lacrime che all'inizio di queste pagine. Ieri pomeriggio ho pensato improvvisamente: si possono chiedere, agli altri cose che non possono dare? Si può insistere nelle proprie fantasie su quello che un altro dovrebbe essere per noi? Forse gli sto chiedendo qualcosa di impossibile, per lo più inconsciamente, e forse faccio richieste che lui non può soddisfare. Richieste che mi sottraggono forze e offuscano la nostra relazione. Mi ricordo di una nostra conversazione, molto tempo fa, su sensualità e passione. Tu sei entrambe le cose, aveva detto lui, sensuale e passionale. In realtà, io sono solo sensuale, e sono passionale sul piano mentale. E credo che anche lui sia così. La sua mente è costantemente nutrita di passione e di un'ispirazione che può arrivare a farsi ossessione. E dalle sue mani e dalle sue carezze emana una tenerezza che è dell'anima e non del corpo. E ciò che gli rimane da dare, a se stesso e al suo partner, in termini puramente fisici, in godimento puramente sensuale, ebbene, non è certo molto, se paragonato a quello che concede con il cuore, senza riserve, in ogni momento. Ed è proprio su questo che si concentrano le mie richieste e le mie fantasie. Quando ha dato tutta la passione e la tenerezza che possiede, mi presento io con una richiesta puramente fisica, e vorrei che la sua passione spirituale si trasferisse nel suo corpo, e che quel corpo fosse a mia disposizione. E qui cominciano le mie fantasie e con loro anche la mia storia di dolori. Per lui il corpo non è più qualcosa di importante, lo sottomette sempre più, e io invece vorrei che continuasse a trovarlo importante. Perché mai? Per una sorta di paura che la vita mi faccia mancare qualcosa? Non abbiamo più volte parlato del legame che esiste tra sessualità e consapevolezza di sé? O forse non oso ancora lasciar perdere la vecchia, tradizionale valutazione circa il ruolo del corpo nell'amore? E tutto ciò su cui mi sono da tempo accordata con lui, durante lunghe discussioni, e che continuo a

prendere in esame nei miei momenti migliori, è riuscito a radicarsi profondamente nel mio senso della vita? Sto arrivando ora al confine di un nuovo processo? C'è poi il lato grottesco di tutta la faccenda: quando il suo corpo, a volte, obbedisce alle proprie leggi sensuali, non mi piace neanche tanto. Io non voglio la sua sensualità, voglio la sua tenerezza e la sua passione. E quelle, non le ho già in ogni istante? Giungono poi i momenti, i più infimi e vergognosi di tutti, in cui soffro perché non vorrei condividere quella tenerezza e quella passione con nessun altro. E invece devo dividerle con l'intera creazione. Ma il mio senso della vita non va anch'esso in quella direzione? Del resto, nessuno può essere sempre grande come nei suoi momenti di grandezza. E comunque arriverà un tempo in cui le piccolezze della vita non troveranno più spazio in noi stessi. Non credo che tutto sia così complicato tra lui e me, penso piuttosto che sono io talvolta a rovinare la situazione, insinuando idee molto complesse e arretrate nel tessuto della nostra relazione fruttuosa e bella. E forse il fattore più persistente è un residuo da romanzetti di bassa lega: tutto o niente. Bene, ci sono sempre nuovi terreni da coltivare dentro di te. Basta che lui mi lasci in pace per un paio di giorni, e avrò superato il peggio. Dovrò essere molto severa con me stessa e verificare il valore e l'autenticità delle mie fantasie scatenate e dei miei desideri. Adesso sono le undici e dieci; andrò nella mia piccola camera e lì mi inginocchierò in un angolo accanto alla sua biblioteca: è passato tanto tempo dall'ultima volta. Dovrò tornare a essere molto severa con me stessa e tenermi sotto controllo. Essere severi non basta. Bisogna prima esaminare con pazienza l'origine di tutta quell'inquietudine, del malessere e dell'inutile spreco di energie. E tuttavia non ci si può accontentare della scoperta dell'origine, bisogna invece intuire un nuovo modo per continuare la vita di ogni giorno, abbandonando le vette di quel singolo momento d'illuminazione, per poter verificare l'applicabilità di quella stessa intuizione alle cose quotidiane. E adesso non puoi più lasciarti trasportare in tutte le direzioni come negli ultimi giorni, ma devi riprendere con serietà il controllo di te stessa, della tua vita e dei tuoi buoni propositi. Dopo la meditazione accanto all'armadio di legno di pero Non bisogna mai rendere una persona, anche se molto cara, lo scopo della propria vita. Si tratta qui di fini e mezzi. Il fine è la vita stessa, in tutte le sue forme, e ogni uomo sta lì come mediatore tra noi e la vita. La vita dà in prestito agli uomini i gesti, i contenuti, le forme e in ogni uomo noi impariamo a conoscere la vita in una forma sempre diversa. Impariamo a conoscere le persone per conoscere meglio la vita, ma poi dobbiamo di nuovo lasciarle libere e restituirle alla vita, per quanto questo ci possa sembrare difficile. E in coloro che abbiamo più cari, attraverso loro forse impariamo meglio a conoscere la vita. O forse no? Il nostro amore non ostacola la nostra visione della vita? Sì, e proprio nel momento in cui l'amore fa di quelle persone amate il fine ultimo della vita. E adesso sono già passate le undici e mezzo e il resto del giorno deve essere dedicato allo studio della lingua materna di mia madre. So che, in questo ambito, ho una sorta di missione da svolgere nel mio futuro, una mediazione tra la Russia e l'Occidente. E all'interno del mio piccolo circolo di allievi cerco già di assolvere a quel compito nel migliore dei modi, trasmettendo loro, oltre alla grammatica, anche un'idea di quell'incomprensibile paese orientale. Ma per far ciò non dovrei sapere molto di più? Chiederò a Becker alcuni libri sulla storia culturale. Devo studiare ancora così tanto, e imparare così tanto, e lo voglio pure, che non capisco come possa permettere al mio proprio “io”, nel senso più ristretto del termine, di distogliermi ogni volta dalla mia strada. Ma ogni volta sgombererò di nuovo il cammino, lo devo a me stessa, e lo percorrerò davvero, fino in fondo. 16 giugno [1942], le nove e mezzo Lui lo ha detto ovviamente con grande consapevolezza, ma sapeva l'effetto delle sue parole. La porta era già quasi chiusa, stavamo uno da una parte e una dall'altra, e ci eravamo quasi salutati, quando lui d'un tratto ha detto: Se continua a essere ammalata, non potrà più farmi da segretaria né

essere la mia fidanzata. E con quel “fidanzata” era come se ricevessi un preziosissimo riconoscimento, sicché ero quasi tentata di chiedergli molto umilmente: Ma sono davvero la sua fidanzata? Invece poi ho sfiorato il suo viso irriverente e ho detto molto fiera: Nemmeno lo voglio. Dopo di che ho fatto di corsa tutte le scale. E quando sono arrivata in strada, lui era già alla finestra e io gli ho indirizzato una linguaccia nella maniera più evidente possibile, ricevendone in cambio un bacio al volo, e ancora, alla fine della strada, ho visto il suo braccio sventolare in segno di saluto dalla finestra. Bene, imparassi adesso, imparassi la lezione per sempre! Non drammatizzare una piccola depressione come questa. Lui c'era di nuovo per te, totalmente, e io lo amo così tanto. E dobbiamo riuscire a sopportare insieme questi tempi, e a venirne fuori, e ci dobbiamo sostenere a vicenda in tutto e amarci, eccetera, eccetera. Il giorno ha avuto proprio un bell'inizio stamattina, con un forte mal di testa e la nausea e una sensazione di malessere tanto intensa quanto mai prima d'ora. Ma improvvisamente mi è tornata di nuovo la pazienza. Alcuni giorni fa mi ero lamentata tra me e me: c'è una tale cesura tra la mobilità della mia mente e l'inerzia, la stanchezza del corpo. Ma non si tratta di una vera mobilità produttiva della mente. È tutta inquietudine e impazienza. Si deve poter essere malati e, anche in questo, imparare a esercitare la propria pazienza. Mi è bastato fare appello alla mia pazienza, che all'improvviso ho cominciato a sentirmi meglio e ho potuto persino svolgere le mie lezioni in modo adeguato. Poi, alle dodici e mezzo, sono entrata nella sua cameretta con un grande mazzo di fiordalisi. E tutto andava di nuovo così bene. Voglio ancora copiare qualche passo dalle sue annotazioni su Leonie: “L'energia produttiva dev'essere riversata in una forma, in modo che l'elemento creativo mantenga la sua vitalità. Per contro si può dire che solo l'autentico atto del plasmare può tradurre l'elemento creativo nell'uomo in un'espressione capace di raggiungere altri soggetti della stessa cerchia. Senza capacità di dar forma si ha una sorta di godimento narcisista; ci si inebria del proprio sentimento, della propria passione. Mentre solo l'atto del plasmare costringe tutte quelle forze a un'azione continua, e così per reazione a essere nuovamente fecondate”. Ora mi è facile dire che tutto quanto ho scritto lunedì sulla nostra relazione mi appare irreale, perché non coglie assolutamente l'essenza. Eppure è un bene che mi ci sia soffermata, una volta tanto. Così ho già “anticipato” qualche dinamica, in vista della prossima depressione. E ora un po' di autodisciplina. Sono le dieci e dovrò semplicemente combattere il mio desiderio di continuare a leggere o di cincischiare per un po' (il che succede solo per via della stanchezza alla quale non voglio cedere) e andrò a letto e mi addormenterò con pazienza, per essere fresca domani e poter lavorare intensamente con lui per alcune ore. Disciplina, formazione e pazienza. E se dovessi mai avere un motto, sarebbe costituito da una sola parola: pazienza. Buona notte. Mercoledì mattina [17 giugno 1942], le sette e mezzo Sembrano piccolezze, ma passare dalla teoria sulla disciplina e l'autoeducazione alla pratica nella vita giornaliera costa il prezzo di una bella battaglia e di una buona autoeducazione. Per esempio, alla sera, prendere commiato dal giorno a un'ora decente e senza troppa reticenza, senza prima sfogliare per ore ogni tipo di libro o gironzolare in casa per pura ansia e insoddisfazione per i risultati della giornata. In passato mi accadeva tanto spesso. Allora aspettavo fino all'ultimo momento il miracolo, che avrebbe reso la mia giornata qualcosa di straordinario. Una sorta di postscriptum che conteneva tutto quello che era mancato alla giornata. Adesso tutto questo non è più così grave, solo ogni tanto. In passato le transizioni erano molto più scioccanti in me: dal giorno alla notte, dal lavoro al non far niente, dalla solitudine alla compagnia di altre persone, tutto procedeva con grandi sussulti. Adesso invece ogni cosa si mescola più dolcemente con il resto, perché si è formato un ritmo interiore che è mio e solo mio. Sembra forse esagerato, ma è così: c'è bisogno di una bella disciplina per andare a letto in orario, lasciando andare volontariamente il giorno. Ci si deve rendere conto di questo una buona volta, in modo che poi tutto proceda da sé, e la cosa entri a far parte del proprio ritmo di vita.

Una piccolezza come questa, per la quale si può anche impiegare la grande parola disciplina: di sera a volte mi viene una terribile voglia di un sandwich, non tanto per fame quanto per una sensazione di piacere (sic!), e pur sapendo che la mattina dopo mi sentirei molto meglio senza quel sandwich sullo stomaco. Eppure di sera mangio comunque un sandwich. È l'“istinto”, sì! Ma quella cosa è appena scesa lungo la mia gola che già me ne pento. Significa che “istinto” e “ragione” sono in disaccordo? In ogni caso: ieri sera non ho mangiato quel sandwich, anche se ne avevo molta voglia, e mi è costato un bel po' di autocontrollo. Tutto fa parte della formazione, del processo di arrivarealla-forma di una persona, lo so per certo; quando si ha la forza per le piccole cose, la si ha anche per quelle grandi. E in futuro tutto procederà da sé, e le energie saranno state liberate per le cose che contano davvero, d'accordooo? Allentare la presa spasmodica sulla giornata. Credo che molti stringano una parte della giornata in avidi/stretti artigli persino di notte. Ci dovrebbe essere un atto di cedimento e rilassamento ogni sera: lasciare andare il giorno, con tutto quello che contiene. E congedare tutto ciò che non si è riusciti a concludere a dovere in quella giornata, sapendo che arriverà un altro giorno. Si deve, per così dire, attraversare la notte con mani vuote e aperte, mani dalle quali si è lasciato andare volontariamente il giorno. E solo dopo si può davvero riposare. E in quelle mani riposate e vuote, che non hanno voluto trattenere nulla, e nelle quali non c'è più alcun desiderio, ognuno di noi, al risveglio, riceve un nuovo giorno. Il mio nuovo giorno, tuttavia, non sembra a tratti appesantito da ciò che il giorno precedente ha lasciato in eredità? E non capita a volte che un nuovo giorno non riesca a svilupparsi perché mezzo sepolto sotto le macerie e i resti di quello venuto prima? Sono le otto di mattina. È la metà di giugno e io ho addosso uno spesso maglione invernale. E mi sento bene come non mai. Quel farabutto tra i farabutti sapeva benissimo quello che stava dicendo: Se non guarisce presto, non potrà più essere la mia segretaria e la mia fidanzata. In passato mi sarei insospettita di fronte a simili parole e avrei pensato: lo dice solo per ragioni terapeutiche. Adesso però sento che non si è trattato di ragioni terapeutiche, lui sapeva benissimo quali parole indirizzarmi, prendendo bene la mira, per colpirmi dritto al cuore. “La mia fidanzata”. Come se mi stesse appuntando sul petto una preziosa medaglia. E ho avuto un piccolo tuffo al cuore per l'orgoglio e la gioia. Così tremendamente “sana” non mi sento proprio, ma bisogna portare su di sé con una certa dignità e pazienza anche i giorni meno buoni e più malaticci, e soprattutto non si deve volerli scacciare, forzarli a convertirsi velocemente in giorni buoni, questo neanche aiuta molto. Soprattutto qualcuno come me, che spesso sta fisicamente male, deve imparare a “inquadrare” organicamente quella sensazione di malessere, per così dire, in se stesso affinché non ti colpisca ogni volta come un'ingerenza estemporanea e spiacevole. E non ci si deve sentire depressi, se la salute è meno florida. Né credere di subire un torto. Non lo faccio consapevolmente, ma a livello inconscio sarebbe sicuramente possibile. E inserire quel malessere organicamente nelle proprie cose quotidiane e nella vita di ogni giorno, così che non ci sia bisogno di sprecare alcun pensiero o sensazione supplementare per quello. Esercitare la moderazione per poter poi di nuovo essere immoderati, senza farsene annientare. Quella rosa tea gialla si è aperta. Già solo per tutto quel giallo, che non è neanche giallo, bisognerebbe credere in Dio. Cento libbre di fagioli cannellini piccoli e lisci in un rozzo sacco. Sono in ufficio. E costano 35 centesimi alla libbra. (Al “mercato nero” chiedono un fiorino e mezzo alla libbra). Sabato pomeriggio ho detto a Vis dal faccino pallido: Dopo la guerra ci saranno molte discussioni sui prezzi da usurai e sui guadagni da profittatori, ma allora perlomeno potremo testimoniare che abbiamo conosciuto qualcuno come lei che non ha voluto guadagnare sul cibo giornaliero. Questo ci è di grande consolazione, sa, signor Vis, oltre alla notevole, pratica generosità di cui lei ci fa oggetto. Un essere umano è in realtà così ingrato e immoderato nelle sue richieste. Sabato e domenica sono stati giorni talmente duri per me, pieni di autocompassione, di ribellione, di tristezza e insoddisfazione nei confronti di me stessa. Ma quel gesto, sabato pomeriggio, con cui Vis mi ha

offerto duecento libbre di fagioli per aiutare gli ebrei banditi dai negozi di frutta e verdura - e lo sguardo di Tide domenica, così scrutatore e pieno di amore nei miei confronti, nel momento in cui sono scoppiata a piangere - non sono sufficienti per rendere entrambi quei giorni qualcosa di bello? E adesso, alla lezione di conversazione in russo. Le dodici e mezzo di notte Devo di nuovo lasciar andare la presa sul mio giorno, che è stato un buon giorno. Ancora non riesco però a dedicarmi a uno studio davvero costante e approfondito. Ma verrà certo anche questo, perché il modo in cui, di giorno in giorno, cresco e divento sempre più forte, mi assicura la possibilità futura di uno studio assiduo e concentrato. In un giorno come questo mi sento di nuovo alla guida di molti cavalli imbizzarriti. Ma li tengo a freno: una sensazione di forza e pienezza e mobilità interiore, e al tempo stesso un grande autocontrollo. Quando lui è entrato, si è affrettato, estasiato, verso quelle fragole che un'anima buona aveva messo sul suo tavolino. E improvvisamente mi ha sorpreso il pensiero: se in futuro non potrai più ottenere tutto quello che ti serve, allora lo ruberò per te, non preoccuparti. Oh vergogna, un rispettabile psicologo con gli occhiali che suscita simili sentimenti antisociali in una ragazzina! Va bene, ma adesso devo andare a dormire, in nome di Dio. Vorrei ancora dire una speciale parola di saluto a questo giorno, ma non lasciamoci prendere troppo dall'entusiasmo. In passato mi succedeva spesso: nell'ultimo istante del giorno, volevo comprimere molte emozioni intense in poche parole. Pian piano, molto lentamente, comincio comunque ad avere una concezione e una sensazione del torpore (per evitare di usare la parola “lentezza” per la terza volta nella stessa frase) dei processi interiori. E il giorno si scioglie nella notte e la notte cambia lentamente nel giorno e avanti così, e non si può d'un tratto la sera andare a sedersi alla propria scrivania e dire: bene, e adesso, prima di andare a dormire, descriverò tutto quell'intenso vissuto e quelle cose straordinarie, come se dovesse essere consegnato un rapporto entro una determinata ora. Mi sto gradualmente abituando a me stessa, credo, per quanto incomprensibile questo possa suonare. Non ci sono più parti di me che si lanciano al galoppo come cavalli imbizzarriti, parti e pensieri non si staccano più dal grande disegno, ed è come se tutte le componenti si stringessero con maggior forza attorno al fulcro e tutto procedesse con un ritmo unico. La forza vitale che nasce dal mio centro raggiunge via via anche le periferie più esterne e il cerchio si sta pian piano chiudendo; lo avverto con grande forza soprattutto dopo un paio di giorni di depressione. Un sentimento potente e un amore per la vita si stanno spalmando sempre più in maniera omogenea sul mio intero essere e stanno informando di sé anche le più piccole attività quotidiane. E adesso devo allentare la stretta delle mani e lasciar andare il giorno; mi costa uno sforzo doloroso - prima il dovere e dopo il piacere! - ma prima voglio copiare quelle poche parole di Chambers: “Ci sono giorni senza clamore ed eccitazione, giorni di sola routine e di normale lavoro. “La routine è la maniera in cui Dio ci permette di rilassarci in mezzo ai nostri momenti di tensione. Non ti aspettare che Dio ti fornisca continuamente giorni di festa, ma impara a vivere la vita di ogni giorno nella forza di Dio”. 18 giugno [1942]. Giovedì mattina, le otto Questo è il mio quaderno degli scarabocchi. Una specie di pattumiera per le scorie dei miei eccitati stati d'animo Non più così tanto eccitati, come in passato. E quando tutti gli scarti saranno stati eliminati, arriverò a produrre qualcosa di positivo su queste righine blu? Lei è sssschifosamente avara nell'animo, ha detto lui - con tante “s” e con un'espressione indignata -, perché non mi mostra mai ciò che sta scrivendo. Già, ma è solo perché penso che sia una perdita di tempo per lui; quanto a me è interessante forse solo in seconda istanza, per avere dei punti fermi in me stessa e seguire meglio tutta una serie di processi interiori. Solo pochi giorni fa ho scritto, in un momento di panico, di avere la sensazione che il nostro rapporto fosse manchevole e incompleto. Adesso non riesco più a ricordarmi quella sensazione,

neanche in maniera approssimativa. E ci saranno ancora simili crisi e forse mi libererò di altre scorie. Credo che qui si tratti soprattutto dei non pochi residui di idee distorte che, nei miei momenti più disperati, ho ingigantito in Dio-solo-sa-quali orge di sensazioni drammatiche. Al momento, sono di nuovo totalmente immersa nella nostra relazione, per così dire; essa sciaborda contro di me da tutti i lati e avverto ogni giorno grandi possibilità di crescita. E appena si permette all'immaginazione, carica di idee tradizionali riguardo a come dovrebbero andare le cose tra un uomo e una donna, di avventurarsi incontrollata su altre vie, essa può - con tutte le sue possibilità inondare la realtà e distruggerla. Ieri, per strada, sotto la pioggia, gli ho chiesto se sono ancora troppo “egocentrica”. Lui si è fermato un istante, mi ha guardata con aria pensierosa e ha detto: In realtà non credo che tu sia ancora molto egocentrica. Ci sei per gli altri, ecc. Forse sei ancora egocentrica, ha precisato, nella misura in cui accantoni le persone che non sono particolarmente interessanti per te e che non ti stimolano. Ma a questo punto l'ho contraddetto. A tutti i miei allievi, per esempio, faccio lezione con la stessa intensità e con altrettanto piacere e dedizione (per usare una volta una parola grossa) , indipendentemente da quanto li possa trovare noiosi o interessanti. Tra l'altro, ho notato che i miei allievi e la materia mi appassionano sempre più (ecco un'altra parola grossa; d'altronde cerco di dare il mio meglio a lezione, non insegno solo parole e frasette, ma stabilisco un forte contatto umano, che ha anche effetti proficui sull'intera lezione). Ecc. L'unica cosa in cui sono ancora egocentrica è probabilmente la mia relazione con lui. Forse dovremmo parlarne una volta. E forse, nella mia testolina a volte confusa, ho ancora una serie di idee non chiare al riguardo, idee che lui potrebbe spazzare via con una sola parola lucida e un solo sorriso. La mia rosa tea sta appassendo tra la macchina da scrivere, un fazzoletto e un rocchetto di filo nero. È quasi insostenibilmente bella e tenera. Appassendo gentilmente, e con rassegnazione, si prepara ad abbandonare questa breve, fredda vita. È così tenera e amabile, e ha una tale grazia nella sua lenta morte che potrebbe facilmente spezzarmi il cuore. Ma bisogna lasciar morire in pace anche una rosa tea e non cercare fervidamente e disperatamente di trattenerla. In passato riuscivo a essere inconsolabile e inspiegabilmente triste per un fiore che appassiva. Ma bisogna imparare ad accettare anche l'appassire della natura, senza opporvi resistenza. E sapere che ci sarà sempre una nuova fioritura. Di sera, le undici e mezzo “Quando potrò finalmente sposarla?” ho chiesto inaspettatamente nel corso di una nostra conversazione. Già, ma quel letto con le coperte di cretonne è destinato alla signorina che fissa da lì sopra l'armadio con il suo sorriso senza vita. Per me c'è il duro pavimento. Potrei continuare a sospirare in questo modo per lungo tempo. Devo andare a dormire. Se avessi il coraggio, sì, il coraggio di registrare una sera come questa con impietosa onestà e chiarezza, e in tutti i suoi dettagli, ebbene: ciò che resta di valido è la cosa reale. Il corpo è inadatto a esprimere sentimenti; bisognerebbe essere in grado di riconoscerlo onestamente e vedere che altro ci resta. Sono tempi difficili e grevi. Non possiamo più vivere in evi odo così esuberante ed eccessivo. Ogni eccesso che ruba si riposo alla notte, divora forze di cui magari si avrà bisogno il giorno seguente per impreviste difficoltà che la vita ci presenta. È passato molto tempo da quando eravamo una sola bocca e stavamo tanto tranquillamente l'uno nelle braccia dell'altra. Ho amore per altre mille persone, per l'intero creato e per un'intera vita di studio e lavoro produttivo; non so come, ancora. Lui è un uomo vecchio. E io non voglio sposarlo per legare la mia vita alla sua, ma solo per superare uniti tempi come questi. Ci tocca viverli. E anche in modo sensato. Grazie a lui io mi confronto con tutti i problemi che possono sorgere tra un uomo e una donna, grazie a lui e non con lui, perché per lui, in questo ambito, non ci sono più problemi. E questo è il

motivo per cui non posso parlargliene. “Siamo sicuramente destinati a esaminare e sperimentare noi stessi nel confronto con l'assoluto, ma probabilmente siamo anche vincolati a non esprimere, condividere, comunicare questo assoluto prima che esso si cali nell'opera d'arte; perché in quanto unica cosa che nessun alt ro potrebbe e dovrebbe capire, in quanto follia personale, per dirla così, esso deve calarsi nell'opera d'arte sì da acquistare valore e mostrare la legge, al pari di una filigrana che diventa visibile solo nella trasparenza dell'arte. - La libertà di comunicare presenta tuttavia due forme, che mi sembrano le sole possibili: quella nei confronti della cosa realizzata e quella nell'ambito dell'autentica vita quotidiana, là dove mostriamo ciò che siamo diventati grazie al lavoro, un modo per sostenersi, aiutarsi e (nel più umile senso del termine) ammirarsi vicendevolmente. Ma nell'uno come nell'altro caso si dovranno mostrare i risultati, e non è mancanza di fiducia, non è vicendevole rinuncia o esclusione, se non si mostrano i ferri del mestiere, che tanto sconcerto provocano in noi e che valgono solo per l'impiego personale”. Già, Madame, quindi parti dal presupposto di poter creare delle opere d'arte. E in obbedienza a quel motto pensi di poter soddisfare una sorta di avidità dell'anima. Pensi: in futuro darò tutti i miei tesori alla comunità. E ovviamente, dall'altra parte, c'è quella insicurezza che tu possa davvero dare delle “opere d'arte”. Ventotto anni e ancora niente di realizzato. Eppure, eppure. La mia vita sta appena iniziando. Ho vissuto tutto quello che c'era da vivere e solo ora comincia la vita vera. E adesso è passata la mezzanotte e vado a dormire. 19 giugno [1942], venerdì mattina, le nove e mezzo Sai cosa mi dà la nausea, mia cara? La tua mezza franchezza, e la tua mezza enfasi. Ieri sera volevo ancora scrivere qualcosa, ma in fondo erano sciocchezze senza capo né coda. Certe volte ho paura di chiamare le cose per nome: forse perché non rimarrebbe più niente, allora? Le cose devono poter essere chiamate per nome, e se non reggono a questa prova non hanno diritto di esistere. Spesso si cerca di salvarle con una sorta di vago misticismo. Il misticismo deve fondarsi su un'onestà cristallina: quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà. Insomma, prima o poi diventerà chiaro anche tutto questo. Ti devo riprendere sempre sulle stesse cose, Etty. Torni a casa la sera, hai vissuto l'una e l'altra cosa: una conversazione, un abbraccio, forse si è anche manifestata esitante una nuova visione delle cose, hai letto il diario che un paziente gli ha affidato e anche questo ti ha dato materiale per riflettere; hai stenografato in posizioni molto pittoresche: lui seduto sulla sua poltrona da sultano accanto alla finestra, dietro il geranio che si dissangua, e io accovacciata fra le sue gambe, usando la sua pancia come scrittoio; avevo incastrato un pezzo della confessione di Leonie tra i bottoni del suo pantalone, in un punto licenzioso, dove fluttuava come una bandiera. In questo periodo accadono molte cose fra noi, in sere come questa, anche se il suo volto mi appare vecchio e grigio di stanchezza, e io vorrei posare la testa sulla sua pancia e dormire, piuttosto che usarla come scrittoio. Spesso, quando torno a casa la sera, mi sembra di aver vissuto delle esperienze straordinarie durante il giorno, e allora vorrei subito scriverci su qualcosa di immortale, addirittura. Non mi limito a registrare le mie esperienze con parole semplici e magari sgraziate dopo tutto scrivo solo un diario -, ma pretendo subito di estrarre aforismi e verità eterne dalle esperienze più banali. Immagino che meno di così io non possa fare. E lì cominciano già le incertezze e le generalizzazioni. Certo, ritengo che parlare della mia pancia sia ben al di sotto della mia dignità spirituale (strano che questa importantissima parte del corpo abbia un nome così goffo). (Quando mi ha chiesto come stavo, gli ho detto: Non posso certo riempire pagine e pagine di diario parlando della mia pancia. Invece deve farlo, ha risposto lui, è proprio questo che deve fare). Se io volessi scriver qualcosa sui miei umori di ieri sera, dovrei innanzitutto annotare con molta schiettezza e obiettività: era il giorno prima delle mestruazioni, e allora sono responsabile a metà. E se Han non mi avesse spedita a letto a mezzanotte e mezzo, sarei ancora seduta alla mia scrivania. Non credo che si tratti di momenti veramente creativi, è così solo in apparenza. Tutto è allora in disordine e in subbuglio dentro di me, io divento agitata e incoerente, qualche volta anche

sconsiderata: ed è tutto dovuto a quel fenomeno femminile che si verifica - per me purtroppo ogni tre settimane - a sud del mio diaframma. E così si spiegano anche diverse mie reazioni di ieri sera. Nei giorni che precedono le mestruazioni ho sempre un grandissimo fastidio, forse non tanto un fastidio quanto la necessità di lasciarmi andare completamente a fantasie erotiche. Di pomeriggio, dopo i miei allievi e dopo Dicky-con-le-fragole e padre Schipper con i suoi neri dell'America del Sud, ho riposato un po' su quella coperta blu del divano, e devo dire che la situazione ha superato un po' i limiti. E in fantasie simili si è una cosa sola, fisicamente, con l'uomo che si ama e ci si lascia andare con più abbandono di quanto non possa avvenire nella realtà. Lo stiamo lentamente scoprendo. E spesso, in un giorno come questo, prima del ciclo, sono molto più irrequieta che in altri momenti. Ma è un'irrequietezza che non nasce da una vera gioia di vivere e dalla passione, ma ancora da stanchezza e mancanza di equilibrio. E adesso mi diventa improvvisamente chiaro che azioni e gesti nati (in realtà, non nati ma forzatamente suscitati) da una tale irrequietezza, non sono di vitale importanza. È proprio in giorni come questi che sento un disperato bisogno di contatto fisico, ma sto cominciando a capire che è proprio in simili momenti che non devo cedere, perché la voglia di quel contatto viene esclusivamente da una necessità fisica e per il desiderio di una donna questo non è sufficiente, non lo è davvero. A questo si aggiunge che in simili momenti il corpo pro [babilmente fa richieste] al mondo, ma se queste richieste [vengono inaspettatamente] 2 soddisfatte risulta a posteriori che non erano reali. Dietro le speranze e i desideri, sgorgati in un momento incontrollato da quel corpo irrequieto, si scopre che non c'è una vera forza vitale né un vero abbandono. Insomma, quella terribile irrequietezza ti conduce su false piste, sicché a un certo punto non dovrai più cederle. Quando ho preso commiato da lui, ieri sera, mi ha accarezzato il seno quasi con nonchalance e ha detto (in riferimento al diario di Netty che conteneva molti brani appassionati sulle carezze al seno) qualcosa del genere: “A lei questo non fa una grande impressione, vero? Lei dopo non rimane eccitata a lungo, mi pare di capire” (quel “lei” in simili contesti è davvero intrigante). Certo che no. Le carezze delle sue mani sono, in fin dei conti, una parte integrante del nostro dialogo quotidiano, persino mentre mi sta dettando una lettera d'affari quelle mani, quelle continue conduttrici di calore e tenerezza, accarezzano le mie cosce, i miei seni, i miei capelli o le mie ciglia. È il nostro dialogo quotidiano, e sarei disonesta se dicessi che me ne lascio eccitare continuamente. Ma mi immagino [a volte che l]ui mi stia eccitando e stimolando, e c[he mi lasci po]i a bocca asciutta e non voglia fare i conti con le co[nsegu]enze. Ma - e torno sempre a parlarne - questo è il risultato di una falsa immagine da parte mia, di una sorta d'idea fissa che in fondo è piccolo-borghese, per quanto paradossale questo possa suonare. Infatti non voglio neanche, nel profondo del mio cuore, una relazione sessuale. Il mio corpo cerca di continuo la tenerezza, e la trova in lui; quanto alle mie richieste sessuali, be', non sono molto pressanti, e le poche volte che si presentano riesco a sconfiggerle. Credo che le cose stiano così - ferma, stai per arrivare al nocciolo della questione, adesso: in un angolo della propria mente o dei propri sentimenti o chissà dove, credo che le persone abbiano un'immagine di quel che è necessario per rendere una vita completa. E anche il momento sessuale è parte di tutto ciò, naturalmente. Si pensa di essere obbligati nei confronti della vita, e che la vita sia obbligata nei nostri confronti a soddisfare quei bisogni sessuali. Per dirla molto onestamente, ci si può chiedere se si è davvero un essere umano normale e completo quando in una relazione non viene “incluso” anche l'elemento sessuale. Ecco perché sento a volte che la nostra relazione è “manchevole” e incompleta. È solo perché manca quell'unico momento? Non ha un peso anche il cliché sentimentale (nella nostra relazione, è davvero un cliché): allora non mi ama così tanto, dopo tutto, se non mi vuole completamente? Ma devo ripetermelo di continuo, che si tratta di dare peso a cose assolutamente non essenziali. Eppure, sto pian piano superando questa situazione, credo, ho cominciato ad affrancarmene. Ma dov'ero 2 Foglio di quaderno danneggiato con conseguente perdita di testo in alcuni punti [N.d.C.].

rimasta con il mio discorso, in nome di Dio? Ah, già, lui mi ha chiesto, quindi, se rimanessi a lungo eccitata. No, certo che no, ha aggiunto con un sorriso indifferente. E avrei, ovviamente, dovuto dire con altrettanta nonchalance: Naturalmente no, e questa sarebbe stata la verità e poi me ne sarei tornata a casa con la mia pancia gorgogliante e avrei dormito a lungo. Ma ho detto, con aria da sfinge: Ah, quante cose sa di me, fissando un po' misteriosamente oltre la sua testa un punto in lontananza, cioè la lontananza erano i giorni appena passati, nei quali avevo “sofferto” così tanto per quella mia sensazione. E all'improvviso ci siamo ritrovati aggrovigliati a fare un po' di lotta giocosa, finendo per terra, le bocche fuse l'una nell'altra che non volevano più separarsi: il suo corpo si è proteso verso il mio: mi ha mandato un piccolo messaggero che io ho accolto tra le mani carezzevoli, liberandolo dal suo fardello troppo pesante. In un uomo è una specie di meccanismo, ha detto una delle ultime volte, in una donna è un processo. Per questo motivo la donna deve essere la guida e l'educatrice, in una relazione amorosa. In momenti come quello di ieri sera la mia bocca è pronta a una resa, ma il mio corpo non ancora: è davvero un processo. In un uomo è diverso, l'elemento sessuale non permea tutto l'essere, lo libera per un momento, e l'uomo poi lo dimentica di nuovo, tutto procede molto più velocemente. È più rapido nel prendere: a volte, prima ancora che se ne sia reso conto sul piano emotivo, il suo corpo ha già preso, seguendo proprie leggi meccaniche. Mentre per noi donne - parlando in termini generali - il momento della resa arriva solo alla fine di un lento processo, nel quale l'intera psiche gioca un ruolo pari a quello del corpo. Quindi non bisogna dare troppa importanza all'atto sessuale, all'essere presa da parte di un uomo. Per noi è un atto con il quale una relazione viene coronata e completata, nell'uomo è un momento che non viene organicamente inserito in un tutto. E l'amore nei nostri confronti non dobbiamo misurarlo troppo con il suo desiderio fisico per noi, che, a volte, obbedisce solo a leggi meccaniche; dobbiamo dunque cercare altrove i segni d'amore. Se e quanto spesso il suo corpo desidera il nostro non deve essere la misura che determina il nostro senso di autostima femminile Il suo corpo reagirà quasi automaticamente a ogni corpo femminile che si tenderà verso il suo; le cose sono diverse per lui. E qui sta, credo, una grande fonte di incomprensioni tra uomo e donna. Le donne prendono troppo sul serio un momento che per l'uomo non è affatto essenziale, o almeno non lo è per conoscere i suoi sentimenti. Sono consapevole del fatto che sto scrivendo tutto questo in modo ancora confuso, ma per me diventa via via più chiaro, così chiaro che forse riuscirò a liberarmi di molte cose superflue, e la mia strada sarà più sgombra, sempre di più, per una vita e un lavoro davvero produttivi. Spero di riuscire a “farla finita” con queste faccende, in modo da non dover più trascinarmele dietro come una zavorra. Siamo rimasti a parlare sul pavimento duro, nell'angolo della sua camera, dove eravamo finiti per caso. Abbiamo chiacchierato ancora un po'. Lui si è d'un tratto chiesto: Rivedrò mai i miei figli? Sono già passati tre anni, ecc. E un po' più tardi: Nella vostra cerchia vi capita spesso di pensare che io sia un uomo solo? Ma io non mi sento mai solo, ha detto lui. E non ti sentiresti solo nemmeno nella cella di una prigione? Nemmeno lì, credo, ha continuato, ma a priori non si può sapere, bisogna prima sperimentarlo. Eccetera, eccetera. Poi sono tornata a casa con un pomodoro e un pezzo di marzapane, che sarà sicuramente fatto di fagioli cannellini, e sotto la pioggia, alle undici e mezzo di notte, la mia bicicletta mi stava aspettando. E non mi sentivo né soddisfatta né insoddisfatta, solo un po' vaga, un po' stanca e non avvertivo quasi niente di niente. Ho pensato che quell'abbraccio sul pavimento duro non poteva competere con gli abbracci delle mie fantasie erotiche, durante quel pomeriggio sul copridivano blu, perché la realtà non può mai e non dovrebbe mai competere con la fantasia; qualora ciò accada, abbiamo il privilegio di vedere come l'immaginazione sia diventata realtà. Quando sono rientrata, sarei ovviamente dovuta andare a dormire, ma la mia irrequietezza, più che un vero bisogno di espressione, mi ha spinta verso la mia scrivania. E questo dovrei davvero insegnarlo a me stessa una volta per tutte: non cedere all'irrequietezza da mestruazioni. Non c'è alcuna forza vitale dietro quell'irrequietezza. Mi devo “raccogliere” con il massimo autocontrollo

per non scoppiare in tutte le direzioni, sprecando le mie forze in modo avventato per un ignoto Niente. Le reazioni a quel breve momento di contatto fisico non sono state per me molto intense, né intense di gioia né intense di tristezza. Da una situazione del genere, così opaca, volevo subito trarre delle verità profonde, volevo spremere un'imperitura saggezza dalla mia pressione sanguigna che si era impennata, dall'inquietudine che mi aveva spinto a lottare con lui; non c'era in realtà una vera passione ieri sera, forse solo nelle mie emozioni, e comunque il mio corpo non aveva le energie necessarie alla passione, che quindi era sostanzialmente infondata. E altrettanto infondato è stato il mio improvviso desiderio di annotare qualcosa. In simili momenti devi afferrare le briglie dell'autocontrollo e sapere che dietro a quell'irrequietezza e a quell'ansia non c'è alcuna vera forza vitale alla quale cedere, perché quelle sensazioni vengono semplicemente da una circolazione sanguigna un po' impazzita nei giorni premestruali. E in tutto questo non c'è nulla di mistico. Qualcosa sull'ironia. Anche qui dipende da come viene usata, se come arma di autodifesa o come uno dei molti mezzi per avvicinarsi alla vita. Rilke lo dice meglio parlando al suo giovane poeta: “Non vi lasciate dominare dall'ironia, specialmente nei momenti di aridità. Nei fecondi, tentate di servirvene come un mezzo in più per afferrare la vita. Usata con purezza, è anch'essa pura, e non bisogna vergognarsene; e se vi sentite troppo in confidenza con essa, se temete questa crescente confidenza, rivolgetevi allora a cose grandi e gravi, davanti alle quali essa si fa piccola e inerme. “Cercate la profondità delle cose: fin laggiù l'ironia non scende mai - quando sfiorate in tal modo il margine della grandezza, saggiate nello stesso tempo se questo modo di vedere nasce da una necessità del vostro essere. Ché sotto l'influsso di cose gravi essa o cadrà da voi (se è qualcosa di accidentale) o s'irrobustirà (se veramente v'appartiene come innata) a serio strumento e s'allineerà nell'ordine dei mezzi, con cui voi dovete elaborare la vostra arte”. Tra poco avremo macchie d'unto sui libri e macchie (l'inchiostro sul pane imburrato, dice Pa Han. La famiglia pranza ancora, io ho messo da parte il mio piatto e sono lì che copio Rilke, tra le fragole eccezionali e quella strana insalata che mangiamo... Ora la stanza si è vuotata e sono seduta con le briciole sulla tovaglia, un ravanello solitario e i tovaglioli sporchi. Käthe sta già lavando i piatti in cucina. È l'una e mezzo. E sono già le due meno dieci. Prima bisogna fare i piatti con Käthe: e adesso mi trovo di nuovo con il mio Rilke in mezzo alle briciole, ai tovaglioli sporchi e a quell'unico ravanello rosso, davvero tanto pittoresco. Ora vado a dormire per un'ora, fin quando il peggio del mio mal di pancia è passato. Alle cinque viene un tale mandato da Becker, che suppongo voglia prendere lezioni di russo. Stasera devo leggere ancora Puškin per un'oretta. Non ho da fare le code e non ho quasi da preoccuparmi per l'andamento della casa. Non credo che in Olanda ci sia un'altra persona che viva in condizioni altrettanto buone, o così mi sembra perlomeno. Devo far buon uso di tutto il tempo che ho a disposizione e che non è consumato dalle preoccupazioni quotidiane, devo sfruttarlo minuto per minuto, è una responsabilità pesante. Ogni giorno mi sembra di non aver lavorato con sufficiente concentrazione e intensità. Ho davvero degli obblighi, degli obblighi morali. Di sera, le dieci Ho qui davanti a me il quaderno di scuola di Hanneke, alle cui righine blu, forse per la prima volta dopo anni, lei si affida debolmente, dopo quella prima ora d'analisi con S. E le prime righe del 28 aprile recitano: “Mi sento goffa, impacciata di fronte a questo quaderno. Spinta dal suggerimento di un altro, suggerimento che ho ascoltato solo a metà, tanto che le parole a momenti non mi hanno affatto raggiunta, ma da cui usciva qualcosa che io ho riconosciuto come parte dell'unica forma di vita che abbia un senso per questo mondo”. Sto copiando questo brano per via delle parole in corsivo. Ho dovuto ripensarci all'improvviso, quando quel ragazzo biondo e sincero, che mi portava i saluti di Leonie da L'Aia, si è seduto qui con me nella stanza. In quell'ora che aveva trascorso da S., anche lui vi aveva riconosciuto qualcosa che è necessario come il pane. “Nessuno è interessante e tutti sono noiosi per quanto mi riguarda” ha detto “ma ho la sensazione di poter trovare qualcosa in quest'uomo, qualcosa che sto cercando.

Noi intellettuali, ecc.”. Purtroppo ci sono ancora poche persone come lui. D'un tratto ho sentito di nuovo un grande senso di responsabilità nei suoi confronti, la sensazione che devo stare attenta a non assorbire tutta la sua forza perché lui è essenziale come il pane a così tanti, a così incredibilmente tante persone, ed è radicato in quest'epoca con una sincera vocazione. Anche per quel giovane bisogna trovare un'oretta di tempo ogni settimana. Sì, bisogna semplicemente trovarla. Oggi pomeriggio è arrivato anche Mischa. Ha raccontato le sue reazioni a quell'ora di arresti con parole così calme, misurate e minime. “Si rimane sgomenti quando si vede che esistono davvero persone simili,” ha detto “erano ragazzi della mia età e sono rimasto scioccato quando ho visto le loro facce piatte. Non ascoltano alcuna ragione, sai, anche se avessi detto che mia madre era sul letto di morte non avrebbe fatto alcuna differenza. Per loro un ebreo non è un essere umano. E avevano l'aria di voler fare in ogni momento un bagno di sangue. In mezzo alla Breestraat uno di loro ha detto: "Se scappi, ti sparo"“. Deve aver sofferto molto in quel breve lasso di tempo, soprattutto pensando a papà e mamma. Il ragazzo è in genere troppo “sensibile al dolore”. Per questo motivo il mio cuore quasi si spezza per alcune delle sue parole, per alcuni gesti ed espressioni del suo viso. Ho letto tutto il quaderno di Hanneke, affascinata e senza interrompermi, e questo mi rallegra se penso che posso concentrarmi così. S. mostra di avere in me davvero una grande fiducia, permettendomi regolarmente di prendere visione di tutto quello che gli altri gli confidano, dei loro più intimi segreti. Grazie a ciò io riesco a guardare nelle persone, posso vedere come sono dietro agli schermi della loro esteriorità, e imparo di più da questo che da molti libri e dallo studio. E se incontro quelle persone, mi dimentico, davvero me lo dimentico, quello che ho letto di loro. Non c'è alcuna curiosità sensazionalistica in tutto ciò, nel voler leggere ogni dettaglio di altri. È una scuola che frequento, e sono grata a lui di farmi partecipare a tutto quello che altri gli confidano. Me ne sto seduta qui, e non credo affatto che riuscirò mai a scrivere qualcosa. Non credo di essere dotata in questo campo. Questa consapevolezza non mi rende infelice. La vita è una corrente talmente forte, ininterrotta in me, cresce con sempre maggior intensità, e riempie tanto completamente il letto del mio essere, dei miei giorni e dei miei pensieri che non desidero altro che andare avanti così. Bene, bene, le cose stanno esattamente come ieri sera, anche se in una forma leggermente diversa. Mi sono immersa nella vita di un'altra persona, ho letto l'intero quaderno blu, con Hanneke sempre nei miei pensieri, così come l'ho conosciuta in diverse fasi della sua vita, ma solo esternamente. In particolare, com'era quando è venuta incontro a S. e a me, la sera in cui ci ha portato quella lettera: infantilmente timida e con qualcosa di molto dolce e quasi umido negli occhi, tutta la sua durezza e le spigolature erano sparite. Adesso ho provato una forte commozione e vorrei convertirla all'istante in alcune parole di grande impatto. Ma non ci riesco. E perciò ho scritto solo: Non ho il talento per scrivere. Anche questo è comunque qualcosa di grande impatto. Buona notte. No, non ancora buona notte. Mi è venuto d'un tratto in mente che le cose stanno realmente così. Infatti non ho probabilmente il talento per scrivere; ho solo il talento, se così lo si può chiamare, di fare esperienza di tutto quello che in questa nostra vita umana è possibile vivere e sentire e subire, e non solo a mio modo, ma anche come molti altri. I vizi più grandi non mi sono sconosciuti, ma conosco anche la più grande fiducia in Dio e lo spirito di sacrificio e l'amore per l'umanità. E faccio esperienza di tutto, corpo e anima, attraverso il sangue e l'oscurità, in ogni angolo del mio essere. Non credo di avere un vero talento per la scrittura. Se fosse necessario, forse potrei scrivere cose facili e bizzarre, Spielereien, ma queste non hanno nulla a che fare con il profondo del mio essere, sono le creste delle onde, ma là sotto non c'è il mare? Non posso scrivere, ma faccio esperienza di questa vita con il corpo e con l'anima, di minuto in minuto, in tutti i suoi aspetti e fluttuazioni, in tutti i suoi colori e suoni. Faccio esperienza delle persone e anche della loro sofferenza. E da quell'esperienza, forse, un giorno si faranno strada a fatica le parole che dovrò dire, e che sgorgano da una sorgente talmente vera che dovranno trovare la loro via. Saranno forse parole molto impacciate, ma vorranno essere dette. Ho anche paura di una certa facilità nella scrittura. Credo di

poterlo fare, ma è come se opponessi resistenza perché non riuscirei comunque a toccare le cose che contano davvero. Un giorno troverò certamente le mie parole, o, meglio, le mie parole forse un giorno troveranno me; la mia esperienza un giorno incontrerà le parole che la libereranno. Non riesco a scrivere, ma riesco di certo a vivere. E, un giorno, da questa mia vita reale nasceranno anche parole. Sabato sera [20 giugno 1942], le dodici e mezzo È stato un buon giorno. Non ho lavorato molto. Stamattina presto da S. Eccetera. E ora le finestre della veranda sono spalancate e la serata estiva è qui, al centro della stanza. Sulla mia scrivania ci sono gigli giapponesi, fieri e fiammeggianti. La piccola rosa tea là vicino è così fragile, delicata e stanca della vita. È stata di nuovo, dopo tanto tempo, una serata buona e intima con Han. Senza troppe parole. Capelli grigi mossi su un viso fragile. L'ho visto invecchiare molto negli ultimi tempi. E così, quando si è giovani, si vede un amante focoso e innamorato diventare lentamente un uomo vecchio. Quando riesco a liberarmi interiormente di ogni aspettativa nei suoi confronti, mi accorgo che lo amo tanto. Stasera sedevamo presso le finestre aperte della veranda in pace e amicizia, con un giornale, una pipa, un libro e una tazza di cioccolata, come se fossimo sposati da venticinque anni. lo leggevo un libro sulla Russia. Sto cominciando a capire sempre più di quel paese; a mio modo valuto che cosa esso può dare all'Europa. In questo campo c'è materiale di studio per una vita intera. Un giorno ci arriverò. Ed esplorerò la Russia di persona. L'Europa occidentale, la conosco; sono io stessa. E anche una parte della Russia è nel mio sangue. Certamente in futuro viaggerò in ogni angolo di quel paese, osserverò le persone e le esaminerò, e poi racconterò tutto all'Europa. A volte è come se ogni cosa in me si preparasse alla Russia: tutte le conoscenze accumulate, tutte le mie intuizioni mi sembrano destinate a ciò. E le cose si muovono in quella direzione, senza dubbio. In realtà non ho nessuna fantasia al riguardo, solo una crescente fiducia e sicurezza che quello sia il luogo dove mi aspettano alcune delle mie attività future. Adesso vado a dormire. È stato un giorno talmente buono, eppure non ho lavorato molto, ho dormito per tutto il pomeriggio, trascorso la mattina a chiacchierare e ho un terribile mal di testa. Posso forse descrivere al meglio il mio stato di oggi dicendo che i cieli dentro di me si sono estesi per un istante, diventando ampi quanto quello fuori di me, in questa silenziosissima sera d'estate. Per umiliare qualcuno si dev'essere in due: colui che umilia e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell'aria. Restano solo delle disposizioni fastidiose che interferiscono nella vita di tutti i giorni, ma nessuna umiliazione e oppressione angosciose. Si deve insegnarlo agli ebrei. Stamattina pedalavo lungo lo Stadionkade e mi godevo l'ampio cielo ai margini della città, respiravo la fresca aria non razionata. Dappertutto c'erano cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell'unico pezzo di strada che ci rimane c'è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. Possono renderci la vita un po' spiacevole, possono privarci di qualche bene materiale o di un po' di libertà di movimento, ma siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura. Certo che ogni tanto si può esser tristi e abbattuti per quel che ci fanno, è umano e comprensibile che sia così. E tuttavia: siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli. Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma ciò non è grave. Dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto allora verrà da sé: e “lavorare a se stessi” non è proprio una forma d'individualismo malaticcio. Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso - se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. È l'unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d'eternità che ci portiamo dentro può esser espresso

in una parola come in dieci volumoni. Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra. E adesso, buona notte; spero di poter tornare domattina presto, alle otto, dai miei gigli giapponesi e dalla mia rosa tea morente. Domenica mattina [21 giugno 1942], le otto Com'è andata stamattina prima che mi svegliassi? Una sensazione quasi tangibile. Era come se dentro di me si fossero raccolti spazi e distanze di ogni sorta, che volevano irrompere all'esterno per svilupparsi in spazi e distanze ampi, sempre più ampi. Era come se quelle distanze fossero cose molto tangibili, che dovevo lasciar andare. Erano in me come cavalli scalpitanti in una stalla troppo stretta. Il senso di una spazialità interiore è molto forte, e stamattina, prima del risveglio, era più forte e più tangibile che mai. Come se dentro di me si distendessero all'infinito steppe pianeggianti, le vedo e le sento e mi muovo su di loro. La sensazione di stamattina presto sarà stata così forte per via della lettura di quel libro sulla Russia, ieri sera? Die russische Leistung [“L'efficienza russa”] di Karl Nötzel. Voglio trascriverne alcune frasi: “Il suo compito sul piano umano sembra consistere proprio nel mostrare all'intera umanità fino a quali estremi di oppressione, minaccia e insicurezza materiale l'uomo può ancora ritenersi uomo, e fino a che punto è dunque possibile dominare l'uomo con la semplice coercizione senza spezzare la sua volontà di vivere”. E adesso facciamola finita con questa copiatura; potrei trascrivere quell'intero libro; del resto, non è una mia proprietà? Voglio sempre copiare ciò che mi sembra bello. Quando lo faccio, scrivo più chiaramente e con maggiore cura del solito e dimoro a lungo e con attenzione in ogni parola. Tengo per un attimo ogni parola nelle mani e poi la lascio di nuovo andare e passo a un'altra. Ho accanto la mia colazione: un bicchiere di latticello, due fette imburrate di pane bigio con cetriolo e pomodoro. Ho rinunciato al bicchiere di cioccolata che mi concedevo sempre, un po' di soppiatto, alla domenica mattina, voglio abituarmi a questa colazione più monacale che mi aiuta a raggiungere i miei “appetiti” nei luoghi più nascosti, e a sradicarli via. È meglio così. Dobbiamo imparare ad affrancarci sempre più dalle necessità fisiche, dobbiamo abituare il nostro corpo a chiederci solo l'indispensabile, soprattutto per quanto riguarda il cibo, perché stiamo andando verso tempi difficili: anzi, ci siamo già. Eppure trovo che stiamo ancora magnificamente bene. Ma è meglio abituarsi a una certa astinenza in periodi di relativa ricchezza, che esservi poi costretti in momenti di reale bisogno: quello che otteniamo spontaneamente da noi stessi ha basi più solide e durature di quello che realizziamo per forza (ricordo il professor Becker col suo pacchetto di mozziconi di sigarette). Dobbiamo affrancarci dalle cose materiali ed esteriori a un punto tale che lo spirito possa continuare comunque il suo cammino, e il suo lavoro. E dunque: niente cioccolata, ma latticello! I miei gigli giapponesi se ne stanno là, con i loro calici rosso-arancione spalancati, tanto capricciosi e bizzarri quanto enigmatici draghi di una fiaba, che più tardi si rivelano essere principi vittime di un incantesimo. La piccola rosa tea avvizzita là accanto sembra ora un'evanescente, tubercolotica ragazza proveniente da una famiglia in rovina. Quanto c'è da fare sulla mia scrivania. Il geranio che Tide mi aveva dato solo una settimana fa, dopo quell'improvviso torrente di lacrime, è sempre lì. E poi ci sono quelle pigne, mi ricordo bene quando le raccolsi: era nella brughiera, dietro la casa di campagna della signora Rümke. Dev'essere stata la prima volta che passavamo insieme una giornata in aperta campagna. Avevamo parlato di demoniaco e non-demoniaco e mi ricordo ancora perfettamente in relazione a cosa: gli avevo raccontato quella scena con Klaas e Jopie nei giorni di guerra; come Klaas aveva quasi ammazzato di botte sua figlia perché lei non gli aveva portato il veleno e come io fossi andata a chiedere aiuto in tutto il quartiere - nei bar, da un custode di un ponte mobile, presso la polizia e la Croce Rossa -, ma nessuno voleva venire. Me lo ricordo ancora in modo nitido. E allora io gli ho detto: Mi dia un bacio non demoniaco. E improvvisamente ci siamo trovati sdraiati bocca a bocca su quella vasta brughiera assolata, e molto dopo lui ha detto: E lei lo chiama non demoniaco? E così non rivedremo più una brughiera per molto tempo: qualche rara volta sento questi divieti come una privazione opprimente, ma in genere so che il cielo tutt'intero si stende sopra di noi, sopra l'unica, stretta strada

che ci è ancora consentito di percorrere. E le tre pigne mi accompagneranno, se necessario, fino in Polonia. Santo cielo, questa scrivania somiglia proprio al mondo nel primo giorno della creazione! A parte gli esotici gigli giapponesi, il geranio, le rose tee appassite, le pigne che sono diventate reliquie, e una ragazza marocchina dallo sguardo animalesco e limpido, ci sono in giro sant'Agostino e la Bibbia e le grammatiche russe e i dizionari e Rilke e innumerevoli piccoli taccuini, una bottiglia di surrogato di limone, carta per scrivere a macchina, carta copiativa, Rilke, cioè ancora una raccolta, e Jung. E tutto questo è solo ciò che si trova in giro al momento, ci sono anche gli ospiti fissi della scrivania, appoggiata contro il muro. E la cosa più straordinaria è che c'è ancora spazio per me e per il mio quaderno. Han è sdraiato alle mie spalle e respira con ritmo regolare, e dall'altra parte del muro sento l'acqua scorrere nel bagno dei vicini. Non sono ancora le nove, è domenica, e dalle sette di stamattina ho già trascorso un'intera vita, che ho lasciato dietro di me; oggi ho ancora tre vite davanti. Comincio la mia giornata con una colazione frugale. Alle dieci e quaranta (oh, sì, in punto; il signore è preciso) andrò a prendere S., e nel frattempo mi resta molto tempo per Karl Nötzel. Alle dieci e mezzo arriva il mio indio occidentale, Max, e forse mi riesce per una volta di dare un bello scossone a quella sua pigra melanconia. Oggi pomeriggio vorrei andare a sdraiarmi un po' al sole da Liesl, ma non c'è molto sole al momento; forse ci andrò in ogni caso per passare un'oretta insieme a lei. E poi vorrei leggere anche qualcosa nel pomeriggio e svolgere un po' di lavoro. E stasera musica da Tide. Spiegelenberg. Löwenstein e Wissbrun. Di pomeriggio, le tre Quei brevi momenti di scoraggiamento, a volte, s'insinuano anche nei tuoi giorni migliori. Dovresti scoprirne l'origine ma, se non sai come arrivare al fondo di banalità simili, allora è meglio lasciar perdere. Un improvviso piccolo accesso di gelosia, per esempio, come quello che mi ha suscitato il vedere che lui oggi pomeriggio ha fatto una passeggiata sotto al sole con Tide e non con me, anche se di solito, in una domenica come questa, preferisco essere lasciata sola. L'erompere dell'emotività è stato quasi troppo repentino per poterne scrivere. Come ho detto, ci si scontra con simili banalità. Il sole ora splende caldissimo e io mi sto arrampicando sul tetto di Liesl, anche se rimarrei più volentieri a questa scrivania dove fa fresco, con il sole sullo sfondo. Ma per l'amicizia bisogna pur fare qualcosa, e se quella piccola donna trova piacevole che io stia da lei, allora... 22 giugno [1942], lunedì sera, le nove Ieri sera ho fatto esperienza di così tante cose. Prima le note di un violoncello hanno risvegliato il mio cuore e fluttuato insieme a esso nella stanza. Era una strana visione, Le note hanno catturato il mio cuore e, quasi lo reggessero da ogni lato, lo hanno sollevato in alto sopra di me. Ho guardato come danzava nell'aria e mi ha dato una sensazione meravigliosa. Il tuo cuore che danza sopra di te, in alto nel cielo, catturato dalle note di un violoncello: una sensazione meravigliosa, davvero. Credo che sarei capace delle più bizzarre estasi. La seconda avventura è stata di natura più terrena: ero appiattita in un angolo del divano e ascoltavo la musica, quando d'un tratto è accaduto qualcosa al mio corpo, ma non saprei descrivere precisamente che cosa. Il corpo era all'improvviso leggero, senza peso, una piccola cosa che Dio nel suo volo aveva lasciato cadere. Avrei potuto spingerlo verso qualcuno con facilità e offrirglielo. “Qualcuno” è vago, ovviamente. Mi è parso all'improvviso un corpo così carino e attraente, avrei voluto tanto offrirlo a lui, senza gesti spettacolari, ne potevo improvvisamente prendere distanza con facilità. Quella sensazione è rimasta con me per tutto il giorno. Eppure da qualche parte c'era ancora qualcosa che tratteneva spasmodicamente il mio corpo, verificandone la posizione e la visibilità, ecc. Sarà stato di certo un complesso d'inferiorità. In tutti i romanzi le ragazze hanno giovani seni appuntiti; anche per me sono sempre stati un ideale. I miei / sono pesanti grappoli d'uva, come ha detto una volta Han, / gravano come pesanti e ricchi grappoli

d'uva nelle mani di un uomo / . Nei miei sogni mi sono spesso vista circolare con pesanti seni caricaturali, ma ormai non accade da molto tempo. Hai davvero esagerato con questa pesantezza, ha detto una volta S., i tuoi seni sono come quelli di una ragazza di Tahiti. Me lo ricordo molto bene; lo ha detto su un tram della linea 25, in quella sfortunata mattina dopo la notte in cui mi sono sdraiata nuda per la prima volta sul suo copriletto di cretonne. Che ridicola conversazione con me stessa è questa adesso, come ci sono arrivata? Già, ieri sera. Proprio come se si fosse rotto un incantesimo che gravava sul mio corpo. Giaceva là, da un momento all'altro, così leggero e senza peso, e pronto a essere dato via con un gesto piccolo e casuale. E voleva andare da lui. Nel cuore di una conversazione innocente e intima tra noi verrà di nuovo fuori con quella mia ben nota maniera pittoresca: Prendimi, dunque, una buona volta! Ieri sera, tornando a casa, mi sono sentita completamente e assolutamente esausta. In quei momenti si è proprio senza difese contro fantasie striscianti e corrosive. È interessante seguire le fasi di un tale processo. Riemerge di nuovo la sensazione che lui mi stia trascurando. In scene turbolente, e sempre più turbolente, tratteggio storie di sofferenza nelle quali io, ovviamente, sono la miserevole e dolente vittima. Poi posso sdraiarmi e sentirmi deliziosamente infelice e cercare di “rimettermi in sesto”. Ieri quel film voleva scorrere di nuovo nella mia testa stanca, ma mi sono inginocchiata davanti al mio letto giusto in tempo, non accadeva ormai da molto, e ho detto con risolutezza: Oh Dio, no, una cosa così insensata è al di sotto della mia dignità, per favore allontanala da me. E ho detto a me stessa alcune cose dure e semplici, e allora era finita con quelle fantasie debilitanti: e sono andata a dormire come una brava bambina. Mentre salivo le scale da Liesl, ieri pomeriggio, un pensiero paradossale mi ha attraversato la mente come un lampo: bisogna essere pronti a perdonare oggi chi un tempo ci è piaciuto. Intendo dire che non bisogna aspettarsi ingiustamente che qualcuno ci piaccia altrettanto in ogni occasione. E non si può certo rimproverarlo nel proprio cuore, nel più dimenticato e piccolo angolo del proprio cuore, se qualche volta ci piace un po' meno. È una tragedia eterna nelle relazioni fra le persone. La vita dà, la vita prende. A volte ti concede di amare molto qualcuno, di esserne follemente innamorata e affascinata, poi all'improvviso si porta via tutto. E quello per cui un tempo ti eri infiammata di passione sta là davanti a te, a un tratto, meschino e saccheggiato. Ma in genere non ci si può fare nulla. Forse hai amato troppo ciecamente, con scarsa attenzione alla realtà. Perciò compare all'improvviso una realtà nella quale l'amore non ha più spazio. E l'altro non ci può fare nulla. E tu stessa spesso non puoi farci molto. Ma non ci si deve biasimare a vicenda, anzi è necessario essere grati alla vita per i momenti di ispirazione che essa talvolta ci permette di vivere attraverso altri; bisogna rassegnarsi e accettare che tutto questo scompaia di nuovo, e soprattutto non si deve darne la colpa all'altro. Non è una questione dell'altro, è una questione della vita in sé. E qui non si può forzare nulla. Come un albero forte e potente, che lascia cadere al suolo una foglia secca, così io posso d'un tratto abbandonare dentro di me, con un gesto quasi indifferente e annoiato, persone alle quali tengo. Non c'è dubbio che tutto si sistemerà di nuovo e nessuno lo noterà mai. Forse li ho visti un po' troppo negli ultimi tempi, i Levie. E poi c'è dell'altro. Io attraverso la vita da sola, libera da ogni ostacolo nel mio volo. Quelle poche pagine del libriccino sulla Russia hanno di colpo messo le ali al mio spirito, negli ultimi giorni. In un unico slancio vigoroso ho superato tutti in volo, lasciandomi una messe di cose alle spalle: gestioni domestiche e problemi di verdure, per esempio. E ho trovato persino le problematiche matrimoniali di Liesl e Werner noiose e stantie, perché con un sol potente scarto sono entrata volando in un nuovo, o, meglio, rinnovato territorio. Non c'è dubbio che si calmerà tutto di nuovo, lo lascio un attimo macerare. Ho una vita migliore di chiunque altro in Europa e in Asia, ho confidato oggi pomeriggio a S., sul suo tetto di ghiaia assolato. E lo penso davvero. Non vorrei far cambio con nessuno. Ma devo sempre ricordarmi che vivo in condizioni privilegiate, non devo fare la fila per le verdure, e anche se la facessi lo penserei comunque. Sono sola, e posso prendere il volo tanto in alto e velocemente quanto voglio. È un inizio, ma quell'inizio c'è, lo so per certo. Significa raccogliere tutte le possibili forze e vivere la propria vita con Dio e in Dio e avere Dio in se stessi. (A volte trovo la parola Dio” così primitiva: è solo una metafora dopo tutto, un avvicinamento alla nostra più grande e continua avventura interiore; sono sicura di non

aver neppure bisogno della parola “Dio”, che a volte si presenta come un suono primitivo, primordiale. Una costruzione di sostegno) . E se, la sera, a volte sento il bisogno di parlare con Dio e dico molto infantilmente: Dio, con me non può andare avanti così - e talvolta le mie preghiere possono essere molto incerte e imploranti -, allora è proprio come se io mi rivolgessi a qualcosa dentro di me, o come se cercassi di implorare una parte di me stessa. E adesso devo andare a dormire; ma non c'era ancora una marea di cose da scrivere? Tutto e ancora di più. È stato un giorno buono, un giorno di continuo impegno, di passaggio quieto da un'attività all'altra, come se l'intera giornata fosse un'unica continua occupazione ininterrotta. E ho lentamente girato in bicicletta attorno all'IJsclub stamattina, nel caldo incipiente del giorno estivo, ed era come se avessi pedalato per una giornata intera nella natura libera, non ha davvero nessuna importanza se si fa esperienza di venti alberi in dieci minuti o di cinquantamila alberi in un giorno intero, vero? Ciò che conta è la qualità e non la quantità, potrebbe dire molto opportunamente Leonie a questo punto. Sono rimasta a sedere per un'ora al sole sul tetto, prima venti minuti con lui, seduto su una sedia a sdraio, e io sulla ghiaia con un vestito da zingara, dal quale tutto quello che somigliava a colletti e maniche è stato tagliato via. La sua mano era posata sul mio collo e siamo rimasti così, venti minuti al sole, discutendo di cose insensate e serie, e io mi sono riempita le tasche di ghiaia e ho detto che più in là avrei avuto una casa tutta mia in Crimea; e lui mi ha promesso di venire a farmi visita là; io ho detto che ero la persona più felice di tutta l'Europa e l'Asia. Anche dell'Asia?, ha chiesto lui, e io ho risposto che non sono mai stata molto brava in geografia e mi chiedevo addirittura dove fosse; e il suo riso, il suo riso “socialmente inaccettabile” e liberatorio, risuonava sui camini tutt'attorno. Siamo stati così per venti minuti e io ho vissuto, per così dire, alcune settimane di luna di miele su una lussuosa spiaggia di Miami. E poi sono rimasta al sole ancora un'ora da sola, e questo mi è bastato come fosse una vacanza molto lunga. Riesco a riposare tra due profondi respiri, lo imparo sempre meglio: un'ora di sole può significare un'intera vacanza estiva. Avrò una vita molto impegnata e tanta vacanza e libertà, come le persone al di fuori non possono neanche immaginare. E non potrei concedermi di non far nulla per giorni, perché per me equivarrebbe a non fare nulla per interi anni. Sto prendendo un ritmo tutto mio, imparo una mia divisione del tempo, al punto da diventare davvero inadatta alla vita in comunità; del resto, una reale vita in comunità mi trasformerebbe probabilmente in un orso solitario, per quanto possa sembrare paradossale. Sono le undici meno un quarto, alle undici voglio essere a letto, alle sette alzarmi e poi cominciare a scrivere una risposta alla lettera di Netty van der Hof. La mia ambizione letteraria è più grande dei miei risultati. Forse un giorno accadrà il contrario. In futuro gli sarò grata per avermi fatta germogliare così a lungo verso di lui. Verso di lui? Solo il tempo potrà dirlo. Forse la ragione per cui talvolta cerco di spingere con forza nella direzione di un rapporto completo è che sono spaventata all'idea che il tempo non mi darà ragione. Se il desiderio non ha lunga vita, non è necessario che venga esaudito. Il desiderio deve prima essere denudato lentamente di tutti i suoi orpelli superflui e, nel momento in cui ti starà davanti nudo, urgente e irresistibile, e quando rimarrà con te e crescerà e continuerà a farlo a dispetto di tutti i malesseri e di tutte le noie quotidiane, bene, allora vedremo. Martedì mattina [23 giugno 1942], le otto e mezzo Mi mancano tutti gli strumenti per completare il mio lavoro di cesello sulle parole, quel lavoro che molto spesso mi impegna la mente, ma nel quale rimango bloccata proprio perché mi mancano le parole. Non posso nominare nulla della terra con il suo nome: nessuna città, nessun fiore, nessun santo, nessun principe, nessuna stella, niente. Ho bisogno del cosmo intero come similitudine per dare un contesto a ciò che sta nascendo dal profondo della mia anima, con tanta potenza e colore. Devo imparare ancora molto: i nomi che le persone attraverso le epoche hanno dato alle loro città, ai loro fiori, alle loro stelle, per poi poterli aggiungere, come altrettanti colori, alla mia povera tavolozza di parole. Solo pochi giorni fa avevo avuto dei pensieri quasi vendicativi e ingiusti, invece stamattina ero lì nel mio letto che ridevo di colpo a più non posso per la mia follia infantile. M'ero trovata di fronte

al viso di Hertha che continua sempre a sorridere da sopra il cassettone, il letto di S. era già preparato per la notte, ero sulla porta e volevo salutare, e intanto con un occhio guardavo quel sorriso che per me dura già da sedici mesi, con l'altro il letto, e pensavo con rabbia e tristezza e con un senso di solitudine: già, il letto colorato è per quella noiosissima signorina dal sorriso senza vita. Se lui potesse leggere questi sfoghi da donna offesa, probabilmente farebbe tremare le pareti dal ridere. Povera Hertha, come sono ingiusta nei tuoi confronti. Di colpo mi domando com'è la tua vita, lì a Londra. A volte me lo chiedo quando arrivo in bicicletta nella sua strada silenziosa, e vedo da lontano la sua figura che fa cenni impazienti, e intanto si sporge sopra il geranio che coi suoi lunghi gambi si dissangua sul davanzale. Allora salgo di corsa i gradini di pietra fino alla porta di casa, che in genere lui ha aperto nel frattempo, ed entro senza fiato nelle sue due camerette. Certe volte è ritto in mezzo alla stanza e ha un'aria così possente e impressionante, come se fosse stato scolpito nella pietra grigia di una roccia che esisteva già il terzo giorno della creazione. E altre volte non è affatto impressionante, ma bonario e goffo come un orso impacciato, e caro, così caro come non avrei mai pensato fosse possibile per un uomo senza essere noioso o effeminato. Qualche volta un pensiero improvviso modella i suoi tratti, che si tendono come vele al vento, e lui dice: Stia un po' a sentire... e poi segue per lo più qualcosa d'istruttivo. E sempre ci sono le sue grandi e buone mani, a trasmettere un calore e una tenerezza che non nascono dal corpo, ma dall'anima. Povera Hertha, lì a Londra. Sono io a prendermi la maggior parte di ciò che le nostre vite hanno in comune. In futuro potrei spiegarti tante cose di lui. Cose imparate attraverso il dolore, che mi ha anche insegnato che si deve poter condividere il proprio amore con tutta la creazione, con il cosmo intero. Ma in quel modo si ha anche accesso al cosmo. Però il prezzo di quel biglietto d'ingresso è alto e pesante, e lo si guadagna risparmiando a lungo, con sangue e lacrime. Ma nessun dolore e nessuna lacrima sono troppo cari per lui. E tu dovrai passare attraverso le stesse cose, cominciando dal principio. A quell'epoca io viaggerò freneticamente per il mondo, perché non sarò ancora integrata nel cosmo e per certi versi rimango pur sempre una donnetta limitata. E probabilmente tu dovrai percorrere una strada simile alla mia, perché quest'uomo è così impregnato d'eternità, che non potrà più cambiare molto. Penso che tu e io abbiamo molto in comune - altrimenti, come avrebbe potuto nascere questa amicizia fra lui e me? Tu sarai un po' più timida e solitaria di quanto non lo sia io, ora, e più pesante mentre io sono più fantasiosa. Ma noi abbiamo comunque in comune una grande serietà. E le mie privazioni cominceranno quando tu entrerai fisicamente nella nostra vita. Lui troverà sciocche queste parole, perché può dare in abbondanza a più di una persona, e con lui nessuno ha mai da rinunciare a niente. Ma noi donne siamo fabbricate in modo così singolare. La mia vita s'incrocia spesso con la tua; come sarà più tardi, nella realtà? Se ci dovessimo incontrare per davvero, dobbiamo stabilire fin d'ora di essere comunque ben disposte l'una verso l'altra. Perché significherebbe che la storia ci permette di nuovo di respirare, e di vivere liberamente. E nell'esperienza comune di quel gran bene non dovrebbero più sussistere contrasti tra le singole persone. Non sei disperata qualche volta lì dove sei, dall'altra parte della Manica? Ma certo, non conosco bene tutte le tue lettere? E come fai a sopportare tutto questo da sola, una ragazzina così giovane in quella grande città bombardata? In fondo ti ammiro, e se cominciassi a provar compassione per te, non finirei più di compatirti. C'è una donna ad Amsterdam che prega tutte le sere per te, e questo è veramente grande da parte sua, perché subito dopo Dio vuol bene a lui, con un amore che è il primo e l'ultimo della sua vita. Sono contenta che ci sia qualcuno che preghi per te, in questo modo la tua vita è più protetta, né io sarei in grado di farlo, per ora. Io non sono veramente grande, tranne che forse in qualche raro momento illuminato, ma per il resto sono carica di tutti i vizi che appesantiscono il cammino dell'uomo nel suo viaggio verso il cielo. Gelosia e riluttanza meschina e così via. Per fortuna conosco le poche cose grandi che contano nella vita, e forse arriverà una sera in cui pregherò per te, libera da qualsiasi pensiero recondito e meschino, e dalla gelosia. E quella sera ti sentirai di colpo così bene e riconciliata con la vita come non lo eri da molto tempo, e tu stessa non capirai da dove ti venga quel sentimento. Ma io non sono ancora arrivata a quel punto. E ora al lavoro. Chissà cosa fai tu in questo momento. La tua lotta quotidiana per la sopravvivenza è tanto più difficile della mia che potrei sentirmi in colpa nei tuoi confronti, come già mi sento in colpa di fronte a coloro che

debbono arrancare per procurarsi il cibo quotidiano, far lunghe code, eccetera. Tutto questo mi crea grandi doveri morali e responsabilità, se non mi dessi tanto da fare, ogni minuto dei miei giorni. Raccolgo ricchezze spirituali in un tempo in cui altri stanno in fila davanti a negozi di frutta e verdura, ma vivo nella costante consapevolezza che non lo sto facendo solo per me stessa. Ieri pomeriggio sedevo tra i ciottoli di un tetto assolato e lui mi guardava da una comoda sedia a sdraio; io ho fatto d'un tratto un ampio gesto e ho detto: Ho una vita migliore di chiunque in tutta l'Europa e l'Asia. E il suo sano riso - ti ricordi ancora quel riso, è passato così tanto tempo da quando lo hai sentito per l'ultima volta - scrosciò contro tutte le canne fumarie, perché io mi comportavo in maniera così regale con alcune parti del mondo. Davvero, sono seria. Ma questa consapevolezza di avere una vita migliore, in mezzo a così tanti poveri sgobboni, tra le preoccupazioni quotidiane, crea grandi doveri morali e responsabilità; ogni giorno la mia forza cresce, sopportando in maniera sempre più affidabile queste responsabilità, facendole scorrere tra molti scogli minacciosi. Tra le mie occupazioni principali c'è lo studio della lingua russa, e del grande e amato paese in cui si parla quella lingua. Il giorno in cui tu approderai qui, andrò a occhi chiusi alla stazione, e comprerò un biglietto che mi porti dritto nel cuore di quel paese. Che ne dici di tanto romanticismo infantile alla mattina presto, e in tempi come questi? Certo che mi vergogno, ma la verità è che talvolta vedo le cose così, nella mia fantasia. Hertha, se tu sapessi quanto è minacciata la nostra esistenza. In questa mattina di sole scrivo ingenuamente di “approdare” e di “incontrarci”, ma forse prima di allora ci troveremo, miseri e stenti, in un campo inospitale. Benché fatichi a immaginare una cosa simile, c'è così tanta forza vitale in lui e in quello che lui ha ancora da dare a molti, ai moltissimi che ne hanno bisogno come il pane quotidiano, che non riesco a credere in una fine senza senso per lui: per questo, la sua vita, come la vive lui di minuto in minuto, ha troppo senso e contenuto. Qui la nostra vita è di giorno in giorno più minacciata, come andrà a finire non lo sappiamo. Qualche tempo fa, ho parlato con lui dell'idea di unire legalmente la mia vita alla sua per non finire separati da un destino cieco e per sopportare meglio insieme questi tempi terribilmente difficili. Cosa ne pensi? Se, forse inconsciamente, il pensiero di essere sua moglie - benché solo davanti alla legge - ha mai avuto un fascino segreto su di me, esso è ormai completamente sparito. Si tratta di cose più importanti dell'eterno giochetto uomo-donna. Sarebbe un matrimonio “al di là dell'amore e dell'odio”, tanto per usare un mezzo plagio. Il suo fine sarebbe quello di permetterci di fronteggiare questi tempi difficili insieme. Dai il tuo consenso? Lo amo tanto quando il sole splende come oggi, molto più di quando fa freddo come la scorsa settimana. Un essere umano è qualcosa di molto instabile e incostante. E pensare che persino una cosa come l'amore dipende dai cambiamenti climatici! Devi solo cercare di trovare un punto nel tuo profondo dove sei sempre uguale e sul quale puoi contare senza distinzioni di sorta. E finché non arrivi là, devi essere prudente con i tuoi sentimenti, in modo da non arrecare un danno eccessivo a chi ti sta attorno con atti impetuosi, che più tardi risulterebbero assolutamente infondati. Mercoledì pomeriggio [24 giugno 1942] Imparare da qualcuno ogni giorno senza ridursi a imitarlo. Dopo una conversazione di oggi pomeriggio con lui, sul fatto che sarebbe codardo da parte mia se me ne andassi, nel caso in cui lei lo raggiungesse qui: dovrò spingere me stessa contro tutti gli angoli appuntiti della vita, fino a sanguinare - per dirla adesso in modo patetico, ma non per questo meno sentito -, prima di arrivare a quella pace olimpica, che anche ora talvolta è parte di me. E non mi verrà risparmiato un solo graffio? Quasi mi ribello. Ma se riuscissi a estrapolarne anche solo un piccolo valore eterno? Durante la conversazione di oggi pomeriggio, testarda e indomabile, ho afferrato immediatamente il concetto: appena lei arriverà, me ne andrò, e allora ogni cosa tra di noi sarà spezzata con un solo taglio netto al centro, anche se non so cosa farò dopo. Ma allora che senso ha la nostra relazione adesso, se ho la sensazione che tutto poi dovrà finire? Sono ancora così inadeguata quando si tratta di affrontare il cosmo, quel mondo esterno che per le donne risulta ancora di difficile accesso? Il

tempo lo deciderà. So già che in questa sfera non schiverò niente, dovessi anche essere sul punto di morire dissanguata, sì. E se ne avessi il tempo, riempirei ancora venti pagine, nonostante la penuria di carta, scrivendo degli istinti possessivi, del vero amore, di lui e me. Ho di nuovo la sensazione che sia stato inserito un errore nella costruzione della mia vita. Tale sensazione, tuttavia, si collega a quello che è accaduto negli ultimi tempi più che essere il risultato di una mia vera convinzione. Del resto, conduco una vita folle. Ieri gli ho messo in mano una lettera che, tutto considerato, era una disperata dichiarazione d'amore e poi sono rimasta seduta con lui su un tetto in una sera d'estate; l'ho amato così tanto, eppure alcune ore dopo mi sono lasciata andare, nuda, con la mia pelle bianca e soffice, tra le braccia di un uomo ugualmente nudo e ho fatto esperienza di una breve intossicazione di mezza estate, anche se i miei pensieri erano ancora con l'uomo sul tetto. Ed entrambi quegli uomini hanno più di mezzo secolo. È una vita folle, ma ciò che conta non sono i piccoli avvenimenti del giorno e della notte, ma... il campanello per la cena. Giovedì pomeriggio [25 giugno 1942] Da una lettera di mio padre, nel suo umorismo inimitabile: “Oggi è cominciata l'èra delle non-biciclette. Ho consegnato personalmente quella di Mischa. Leggo sul giornale che ad Amsterdam gli ebrei hanno ancora il permesso di usarle: che privilegio! Non dobbiamo più temere che le nostre biciclette vengano rubate. Per i nostri nervi è sicuramente un vantaggio. Anche nel deserto abbiamo dovuto farne a meno, per ben quarant'anni”. E se fossi gelosa, non sarebbe come se, nei miei sentimenti, non fossi sicura di lei? Non si deve assistere al cabaret, neanche per fare un piacere a qualcuno. Vorrei scrivere un intero libro su un sassolino di ghiaia e su un paio di violette. Potrei vivere molto a lungo con una singola pietruzza, e avere la sensazione di vivere nella natura potente di Dio. Ho scoperto solo ora che la pietruzza di ghiaia di quel pomeriggio sul tetto, nel sole, proveniva direttamente dai giorni della creazione, e la mia sorpresa per aver scoperto all'improvviso così tanta eternità in una pietruzza non si è ancora sgretolata fino a oggi. Stavo nel foyer del teatro ebraico, intenta a osservare i volti tutt'intorno e farmene un'idea, quando m'è tornata in mente sua sorella che con ogni probabilità è ormai rinchiusa in una cella, e in silenzio ho consolato la sua anima: non immaginare neanche per un attimo di perderti qualcosa qui... quindi... Ieri, tornando a casa, ho pensato: È stata la più bella serata che abbia mai vissuto. Ho trascorso molte sere con lui, e per ognuna di esse ho pensato la stessa cosa. C'è sempre una sera della quale dico, piena di convinzione: Questa è la più bella di tutte. Adesso vado a dormire, dopo aver tentato di liberarmi, grazie a sant'Agostino, di quell'amaro retrogusto lasciato dal cabaret. Una sera così è un'inezia, eppure ogni sua immagine mi ha lasciato il segno, prima quel ponte sull'Amstel nei colori della sera, e ogni cosa andava ancora bene in quel momento, poi però sono sopraggiunte quelle tristi figurine delle quali so troppo per potermi ancora divertire alle loro buffe trovate. L'intera atmosfera di quel posto mi ha buttata giù. E adesso vado a dormire profondamente; domani c'è di nuovo tanto da fare. Tutte le mie attività quotidiane scivolano dolcemente l'una nell'altra al punto che la mia giornata sembra essere un'unica continua azione. Il giorno era così completo e perfetto fino alle nove di stasera, e adesso invece è così frammentato, ma non è grave, sembra che sia arrivata a uno stadio della mia vita nel quale tutto ha un effetto produttivo, e la forte e solida struttura del mio giorno può anche sopportare il fatto che qualcosa si stia frantumando in un qualche suo angolo. In futuro, quando la guerra sarà finita e noi potremo di nuovo muoverci ovunque liberamente, credo che non dedicherò più tanto tempo alle uscite, alla Musa della leggerezza, ma ora ho la sensazione di perdermi qualcosa della vita se non faccio esperienza di tutto, anche nell'ambito dell'intrattenimento. Buona notte. Venerdì [26 giugno 1942], poco prima di mangiare: così, a caso

Un paio di giorni fa Käthe ha detto: Mi sento così stanca e assonnata, ma dipende certamente dal clima strano. E io l'ho guardata, sorpresa, e ho pensato: il clima? Ma in passato provavo sempre anch'io un certo fastidio per il “clima”. La mia salute era influenzata da ogni cambiamento climatico e ne dipendeva; e l'osservazione di Käthe mi ha fatto improvvisamente capire che ho smesso di badare al clima. E ho avuto un pensiero grandioso: i miei climi e. i miei fenomeni atmosferici li ho dentro di me, sono indipendente da quelli esterni. Il fatto di portarsi dentro le proprie stagioni e i propri paesaggi mi ha dato d'un tratto una forte sensazione di potere e indipendenza. Calmati, ragazzina, in inverno morirai molto probabilmente di freddo, dato che adesso, a metà giugno, stai ancora girando con i vestiti invernali. Una relazione tra due persone, un uomo e una donna, che non si svolge secondo le ben definite regole del matrimonio, ecc. - e nessuna relazione deve per forza seguirle - può essere giudicata solo in base ai suoi frutti, ai suoi effetti. E la nostra relazione non è perfetta allora? Se giudicata con questi criteri? L'ultima volta gli ho fatto leggere la lettera di Netty van der Hof: ne è rimasto contento e, indicandola, ha detto: Questa cosa mi sembra molto più bella di quest'altra, e ha fatto un gesto inequivocabile, tipico della sua limpidezza, con un movimento che indicava alternativamente le parti inferiori dei nostri due corpi. Andare a mangiare... campanello. Le nove di sera Poco prima di cena stavo per annotare: solo pochi giorni fa ho scritto a una ragazza che la vita è grandiosa, è una coinvolgente avventura. E adesso, con questo mal di testa crescente alle tempie e una sensazione di freddo e disagio nel corpo, potrei facilmente tornare su quelle parole con stupore, se non fosse per il fatto che negli ultimi anni mi è diventato sempre più chiaro che sono in grado di portare una parte delle mie ore migliori persino dentro i miei giorni non tanto buoni, benché si tratti a volte solo dei più piccoli residui. Ma oggi non resto mai deprivata di tutto. Le persone, per la maggior parte, considerano che i momenti migliori stiano a sé, senza alcun legame con il resto della loro vita, non credono che essi possano riempire i loro giorni. Me lo ripeto ogni volta: se almeno un'ombra delle nostre intuizioni più alte e dei nostri momenti più significativi non si insinua fin nel più breve respiro allora nulla ha senso. L'ho formulato male; vado a leggere qualcosa e dopo da Mischa che è da Glassner. Sono felice che lei venga, ha detto stamattina, e allora anch'io sarò felice. Eppure, eppure, la mia più grande avventura di questa settimana: quella pietruzza. Posso ancora sentire il senso di sorpresa davanti a quel sassolino, davanti al fatto che una parte importante della creazione sia stata racchiusa in un singolo, piccolo sasso. La vita è così bella; credo di rendermene conto pian piano solo adesso. Forse un giorno sarò anche in grado di descrivere tutte le mie esigenze con quella pietruzza. Il mio più grande maestro in questo momento, oltre a S., è Rilke. Non rappresenta un'occasione di riposo per qualche ora, quando il lavoro è finito, ma riempie i miei giorni ed è parte integrante del mio essere. Un'intera generazione dovrà riscoprirlo. Ed è proprio vero quanto Lou Andreas scrisse del suo amico: “Per certi aspetti questo poeta della delicatezza estrema era anche vigoroso”. Delicatezza che non può mai diventare indebolimento (cosa di cui è stato tacciato), quando la base è fatta di forza. E lui è forte e coraggioso, quest'uomo delicato. Un po' più tardi Prima di uscire, devo ancora copiare qualcosa da una lettera: “... Ieri fummo là insieme (al Salon d'Automne). Cézanne non ci fece andare da altri. Sempre più mi accorgo di quale evento egli rappresenti. Ma immagina il mio stupore quando la signorina V., che ha educazione e sguardo da pittrice, disse: "È rimasto seduto là davanti come un cane, semplicemente a guardare, senza nervosismi né altre intenzioni". Fece poi molte osservazioni positive circa il suo modo di lavorare. "Qui" disse mostrando un punto "ha saputo questo, e ora lo dice" (un punto in una

mela); "il posto vicino è ancora libero, perché non l'ha ancora saputo. Faceva solo quello che sapeva, nient'altro". "Che buona coscienza deve aver avuto" le dissi. "Certo, era un uomo felice in qualche parte della sua anima"“. Questo è stato scritto anche per me, come motto. Mezzanotte Ancora qualcosa su Rilke: una delicatezza che ha le sue radici in un terreno primordiale di forza e di severità nei confronti di se stessi. Un altro giorno mi sta scivolando dalle spalle con un movimento stanco. Le rose sulla mia scrivania sono aperte fin dove è possibile. Domani i loro petali caduti giaceranno in mezzo ai miei libri. Vado a letto. Netty van der Hof, nel suo diario, ha scritto a un certo punto: “Vista Etty Hillesum ieri. Un brioso esserino. Astuta?”. Adesso vado nella mia piccola stanza, la giornata mi pende ancora dalle spalle come un cappotto sgargiante, la lascerò scivolare via fino a essere totalmente nuda e pronta per la notte. Poi mi inginocchierò e il bianco muro, accanto al quale c'è il mio letto, si ergerà di fronte a me, austero e semplice come la parete di una cella monacale. La mia serietà, di regola segnata da così tanto dubbio e autoironia, si sta gradualmente riprendendo dalle sue parziali erosioni e mette sempre più radice in ogni angolo del mio essere. Buona notte. 27 giugno [1942], sabato mattina, le otto e mezzo Con parecchie persone in una cella stretta. Il nostro compito non è forse allora di “mantenere ben odorosa la nostra anima” in mezzo a quelle esalazioni viziose? Trovo davvero curioso, e lo capisco sempre meno, che alcuni possano darsi tanto da fare per trarre sempre e continuamente il massimo del piacere dal proprio corpo e da quelli altrui. L'ho detto alcuni giorni fa a lui in un momento di sincerità: Un tempo ero solita saltellare sul letto con un uomo per intere notti, ma oggi capisco a volte che è davvero un peccato, e uno spreco, perdere così tanto tempo ed energia per il proprio piacere fisico. Ma forse puoi dirlo solo se hai molte notti d'amore alle spalle? E ora mi succede questo: ogni tanto sento l'impulso di darmi all'uomo che amo, ne ho la possibilità. Si tratta allora di questo, di un impulso? E se quindi si trascorre una notte d'amore a settimana o una volta all'anno, non conta, no? Alla piccola stazione ferroviaria di Enkhuizen, il commerciante di semi, Vis, si è rivolto a un impiegato dei grandi commercianti di semi Sluis e Groot, chiedendogli: (FRASE RUSSA) “Parla russo?” e il giovane impiegato ha replicato: (FRASE RUSSA). “un po'”. Non è forse di importanza storica il fatto che, in una piccola stazione del Nord, un paio di convinti calvinisti farfuglino un paio di suoni rotti nella madrelingua di mia madre? E pensare che sono l'istigatrice di questi suoni! Mischa ed Eucalipto con i loro scialbi profili occhialuti e la loro maestria nelle mani. Durante il nostro pomeriggio musicale di ieri S. ha detto, dopo uno Schubert a quattro mani e poi Mozart: In Schubert ho dovuto pensare ai limiti del pianoforte, in Mozart ai pregi. E Mischa, esitante nella ricerca delle parole ma preciso nell'effetto: È vero, in questo pezzo Schubert abusa del pianoforte per produrre della musica. Nel frattempo io stavo facendo un complicato calcolo. La mia è una famiglia singolare, in passato avrei forse detto degenere. Ma perché usare parole grosse che non servono a nessuno? Jaap, Mischa e io insieme abbiamo un'età di 26 + 21 + 28 = 75 anni. E i nostri partner insieme raggiungono l'onorevole età di quasi un secolo e mezzo, avendo rispettivamente 42, 40 e 63 anni. Potrei anche andare avanti a contare. I miei 28 anni convivono con i 123 anni dei miei due compagni, ognuno dei quali ha più di mezzo secolo. “È strano” ho detto a S. lungo il canale, durante una breve camminata verso casa sua ieri sera. “Che noi tre ci siamo scelti tutti dei partner con i quali non abbiamo prospettive future”. E lui ha risposto: “Se intendi il futuro in senso materialistico”. Abbiamo continuato a parlare per un po' nella tranquilla e buia strada di casa sua, e

improvvisamente la mia mano si è fatta largo tra i i bottoni della sua camicia ed è rimasta a riposare un momento sul suo petto villoso. E lui ha detto: “Buffo, anche la Tideman lo fa sempre con me, buffo che voi due lo facciate”. Arriveranno indubbiamente momenti inutili nella mia vita, nei quali mi sentirò in dovere di soffrire al pensiero che Tide si permetta simili gesti nei suoi confronti, e che io li veda nella luce sbagliata. Stavolta invece ho pensato: vabbé, anche Tide lo fa, non è un problema. E la mia mano ha continuato a muoversi sul suo nudo petto villoso. Lui si è tirato indietro e ha preso le chiavi di casa dalla tasca ed è salito. E d'un tratto, dopo esserci già abbondantemente salutati, gli sono volata dietro, su per le scale, e ho baciato quelle care mani e quel selvaggio avamposto della sua cara bocca, poi sono ridiscesa di corsa per le scale, e lui mi ha gridato: “Lei, ragazza russa!”. Senza caffè e senza sigarette si può vivere, protestava Liesl, ma senza la natura no, la natura non la si deve poter togliere a nessuno. Io ho detto: Fa' conto che siamo condannati al carcere, magari per qualche anno, e vivi con i due alberi dirimpetto a casa tua come se fossero un bosco. E per essere in carcere, abbiamo ancora una relativa libertà di movimento. Liesl, talvolta un piccolo elfo, una specie di bagnante al chiaro di luna di calde notti estive, è anche capace di pulire gli spinaci per tre ore al giorno, e di far la coda per comprare le patate fin quasi al punto di perdere i sensi. E qualche volta manda fuori dei piccoli sospiri che vengono proprio dal profondo, e tremolano dalla testa ai piedi per quel corpo magrolino. E come rivestita di timidezza e di castità, anche se i fatti della sua vita potrebbero non sembrare così casti; e ha insieme un che di robusto, una specie di forza primordiale della natura. Quel “momento basso” nei suoi confronti era stato proprio di breve durata. E sarebbe ben stupita se sapesse quel che scrivo ora: effettivamente è l'unica amica che ho. “So che verrà un momento di crisi nella mia vita, in cui sarò tanto misera da soffrire per il fatto che tu, pur sapendo che stanotte ho dormito con un altro uomo, non sei geloso” ho detto quella sera lungo la riva del canale. E lui mi ha guardata, sorpreso ma non privo di comprensione, dicendo più o meno questo: “Se un elemento di gelosia si tosse insinuato in questa serata, non sarebbe stata così bella e fruttuosa, come invece è ora, non credi?”. E poi: “Se fossi geloso, non significherebbe forse che non sono sicuro di te e dei tuoi sentimenti? Capisco anch'io che non puoi certo lasciare nei guai il tuo vecchio compagno, vedi? Se io mi ingelosissi, forse tu cominceresti a dare di meno a quell'uomo, per paura di farmi soffrire”. È stato l'inizio di una di quelle nostre splendide conversazioni, che in seguito non riesco mai a ricordarmi alla lettera, ma che apparterranno sempre ai miei più bei ricordi di lui. Una volta ogni tanto, una conversazione simile ci raggiunge come un inatteso regalo del cielo. Lui osserva, per dire così, la sua intera vita come da un'alta torre, e quella vita mi viene incontro in semplici parole, come un corso d'acqua. In quei momenti le parole non sono ostacoli che devono essere superati per capirsi totalmente, sono piuttosto i mediatori silenziosi che portano con sé l'intero fluire della vita. Io aspetto con lui nella torre di vedetta, e i vari paesaggi della sua vita, i suoi traguardi e le sue intuizioni si srotolano ai nostri piedi. Le sue parole arrivano quasi meditabonde e in forma di pensiero, così, senza alcun pathos. Non sono ancora capace di descrivere come mi appare il suo volto in quei momenti. Quando lui è così, lo amo più che in qualunque altro istante. Quasi misurato e ascetico, come se avesse perso ogni minima rotondità sensuale. In quei momenti sembra che la sua testa contenga una bufera che lo fa oscillare in tutte le direzioni, e anche quella sera era così; eppure non c'era neanche un soffio di vento lungo la riva estiva. E poi: bisogna davvero avere tanta esperienza per capire un po'? Non basta un po' di esperienza per capire molto? Quello che conta è l'intensità. E poiché lui ha vissuto tanto intensamente passando attraverso molte, moltissime esperienze, inclusi momenti difficili e improduttivi, può capire ogni cosa e perdonare molto. “Dopo tutto, anch'io sono tornato a casa da mia moglie dopo qualche incontro intimo, e ricominciavo tutto di nuovo con lei se ne avevo voglia, passando direttamente da un'esperienza all'altra. Ma a lungo andare questo risucchia le tue energie creative, divora alla radice il tuo potere creativo. E delle mie molte esperienze, solo quelle spirituali sono rimaste con me, le altre sono quasi svanite dalla mia memoria.

“E siccome ho tutto alle spalle, a volte posso far luce sulle vostre esperienze, sulla vostra sofferenza riguardo a cose per le quali la mia stessa sofferenza è già passata” ha detto riflessivo. “D'altro canto, posso aiutarvi ancora di più non prendendo le cose con drammaticità come fate voi, altrimenti finirei per "agitarmi" interiormente, insieme a voi”. E così via; non posso proprio rendere tutto il discorso, sono cento dettagli e c'è quell'eterno sfondo grandioso. Non sarebbe male se adesso mi mettessi finalmente al lavoro. Ah, già, abbiamo parlato ancora un po' di quei momenti di gelosia: residui arcaici che si ergono dentro di te e devono essere spazzati via. Noi tutti siamo gravati dal peso di una tradizione potente, con un complesso di idee rigide su come tutto dovrebbe andare, se si vuole una perfetta felicità tra un uomo e una donna. Eppure ognuno di noi deve rompere quella tradizione e liberarsi dai cliché, per consentire alla relazione di svilupparsi secondo proprie leggi. Ogni relazione personale dovrebbe seguire leggi dettate dalle possibilità del caso. È così che dovrebbe andare. E gli istinti di possessività e i cliché sulla “fedeltà”, che andrebbero prima saggiati in merito alla loro efficacia, sono tanti fattori atavici che bisogna sradicare dentro di sé. E si deve demolire il vecchio tempo per poter cominciare una nuova èra. Più tardi durante il giorno Ancora sull'opera di Cézanne, ma questa descrizione non vale per ognuno di noi e in ogni ambito? “Ieri fui molto colpito da come essi siano diversi (i quadri di Cézanne) senza essere manierati, quanto poco si curano di originalità, sicuri di non perdersi, in qualsiasi modo si avvicinino alla natura multiforme, ma anzi di scoprire, gravi e coscienziosi, l'anima inesauribile di quella molteplicità”. Sabato sera, le dieci e un quarto Il mio abitante di Enkhuizen ha messo sulla mia scrivania due tessere annonarie per fette biscottate, perché “qui ad Amsterdam si sta morendo di fame”; poi è arrivata d'un tratto Wils con il suo mantello di velluto nero sul piccolo corpo senza braccia. Più tardi l'ho accompagnata per un breve tratto del lungo cammino attraverso la città che lei doveva fare, poi ho comprato alcuni fiordalisi blu e piselli odorosi, che non sono né rossi né non-rossi - potrei rimanere a sedere per ore davanti a questi fiori e non trovare comunque le parole per descriverne il colore; a quel punto la stanchezza che mi era cresciuta dentro per tutto il pomeriggio ha avuto un'improvvisa impennata d'intensità, sicché quasi mi sentivo sotto l'effetto di un anestetico. Ero già spaventata all'idea che la mia sera fosse ormai spacciata, ma oggi mi riprendo velocemente da simili attacchi di depressione estemporanei. Ho dormito fino alle sette e mezzo, e poi ho avuto ancora alcune ore produttive. Sono andata avanti con la lettura del libro di Nòtzel. Il mio studio è più un'esperienza interiore che un avvicinamento attivo alla materia; un autentico possesso e una chiara visione d'insieme dei diversi ambiti devono ancora arrivare. Per ora trovo ovunque conferma delle mie vaghe intuizioni, e questo per il momento mi soddisfa. Tale conferma rafforza qualcosa in me, anche se non tutto rimane ancora così indefinito. Arriverà anche questo. Dovrà pur arrivare il momento in cui potrò esprimere con maggior nettezza quello che adesso sento ancora come un lavoro preparatorio. Adesso voglio congedarmi, con un atto d'imposizione, dalla mia giornata: è ancora presto, ma mi piacerebbe sottrarre a quell'insidiosa stanchezza un frammento di energia, con un lungo riposo. Quei piselli odorosi mi stanno quasi facendo impazzire con il loro rosso eccitante, indefinibile. Allo stesso modo una bella donna, che non si riesce a possedere per via della parte indefinibile in cui consiste la sua bellezza, può far impazzire un uomo. Non si deve voler possedere e capire tutto - comprendere non è, in fondo, possedere nella mente? -, ma bisogna essere semplicemente in grado di fare esperienza delle cose. Forse questo è l'aspetto più difficile per noi occidentali; per poter fare esperienza senza resistenze, ci manca la grande pazienza e l'altra componente preziosa della fede: l'umiltà. Buona notte. Ancora una cosa, dopo un ultimo sguardo a quel pisello odoroso: anche la bellezza è qualcosa che si

deve essere capaci di sopportare. Domenica mattina 128 giugno 1942], le nove Vediamo un po' che cosa lo spirito riesce oggi a ottenere da questo corpo recalcitrante, dedito al sabotaggio. Nelle regioni del profondo sud sono di nuovo iniziate rivolte, ed è un bene che io domattina torni dall'omeopata. È infatti più piacevole essere di nuovo in pieno possesso delle forze fisiche, l'ho notato negli ultimi giorni. Con cinque tavolette di carbone e una mentina presi a stomaco vuoto, ho letto il primo capitolo del Genesi. La trovo davvero impressionante: “La terra era informe e deserta, le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”. E forse può sembrare impertinente da parte mia, ma mi sembra che il resto del capitolo sia alquanto naïf, e soprattutto quelle “grandi balene” mi hanno commossa. Ho già tentato di fare un'incursione in più punti della Bibbia; una volta con Giovanni, l'altra con i Salmi, ecc. Stamattina mi sono ripromessa di cominciare dalla prima lettera dell'Antico Testamento e ogni mattina, a stomaco vuoto, un passetto in avanti. Una volta dovrò chiedere al mio amico lettore-della-Bibbia perché trovo quel primo capitolo così naif da lasciarmene commuovere, in un modo o nell'altro. Un pensiero ispirato da quel pisello odoroso e da Karl Nötzel: Ieri sera ho avvertito la bellezza quasi insostenibile del pisello odoroso color rosa-rosso tra i miei libri. Se avessi avuto a disposizione sufficienti parole (e fortunatamente non ce l'ho) , allora mi sarei seduta a scrivere un trattato estetico. E con questo avrei scacciato il peso di quella bellezza che mi ha quasi frantumata. Ma non avevo parole a disposizione e ho scritto soltanto: anche la bellezza è qualcosa che bisogna saper sopportare. Bisogna essere capaci di sostenere e sopportare le cose, fino alla fine e con tutto il loro peso. Mi sono improvvisamente chiesta: non sta qui la differenza tra i russi e noi occidentali? Il russo porta il suo fardello fino alla fine, piega le spalle sotto il peso, pieno di emozioni, e soffre nel profondo. Noi ci fermiamo a metà strada col sopportare e d liberiamo con parole, considerazioni, filosofie, trattazioni teoriche e quant'altro. Ci fermiamo nel cuore dell'esperienza delle nostre emozioni e non riusciamo più a portar; le oltre e a soffrire, e il nostro cervello ci viene in aiuto, ci sottrae il peso e vi costruisce le sue teorie. E non sarà per questo che l'Europa occidentale ha prodotto tante filosofie, ecc., mentre in Russia, in quest'area, domina il silenzio? Quello che sentiamo dalla Russia sono allora lamenti e tutto proviene direttamente dall'anima; non importa se ogni cosa sarà logica o consistente, perché sarà stata vissuta nel profondo, e quindi va bene. Negli occidentali le teorie e i sistemi devono funzionare come insiemi perfetti, altrimenti sentono che le loro vite non hanno una base solida e completa. Non subiscono, non vivono, non sopportano né soffrono, fino al profondo del loro essere; qui risiede la debolezza nella loro vitalità, una debolezza nella loro capacità di sopportazione. Pertanto, è per loro d'importanza vitale, assoluta, che le teorie siano insiemi conclusi e non pieni di contraddizioni. Per il russo non ha alcuna importanza. Formulato terribilmente male. Un giorno diventerà più chiaro in me. Ci priviamo della sofferenza finale e la allontaniamo da noi con le parole. Il russo sopporta fino alla fine e, se non soccombe, diventa sempre più forte. Il resto, quello che non vogliamo sopportare, lo formuliamo a parole, parole sulla sofferenza, sulla bellezza e per questo motivo risultiamo più produttivi circa i frutti dell'intelletto. Per il momento mi fermo qui, ci tornerò sopra per chiarirlo a me stessa. Insomma, ieri sera ero arrivata più o meno a questo punto a letto e poi mi sono sdraiata a riflettere sul telefono, sì, sul telefono. A come il telefono, di sera, non abbia lo stesso suono di quello che ha durante il giorno, un suono che pur ripetendosi una dozzina di volte è sempre lo stesso; di sera sembra una voce che attraversa la notte, e io so sempre in anticipo se è lui all'altro capo del filo o una persona qualsiasi. E avevo appena finito con questi pensieri poetici sul telefono, che può somigliare alla voce chiaramente riconoscibile di una persona amata, limpida e vera, quand'ecco che quella voce mi chiama nel cuore della sera. In quel preciso momento. E sono balzata giù dal letto, dicendo: Guten Morrrgen! E lui parlava del marzapane che io, la sera dopo,

non avrei dovuto portare perché una gentile signorina avrebbe provveduto ai biscotti. E io ho detto che avevo già avuto una profonda conversazione con il mio albero e che ero già andata a letto. Mi ha chiesto se parlassi mai ad alta voce con il mio albero. Sì, veramente, ho risposto, quell'albero scriverà in futuro la mia biografia, lui mi conosce meglio di chiunque altro: una forsennata in pigiama. Dopo di che abbiamo avuto un dialogo spinto sul pigiama. E lunedì mattina lo ispezionerà di persona. Lo amo così tanto. La marea di questioni senza senso che gli ho sbrodolato addosso ieri sera, sorgeva dalla gioia per la serata produttiva e seria che avevo trascorso alla mia scrivania. Quanto più seria e concentrata sono interiormente, tanto più grandi sono le cose divertenti e le insensatezze che posso produrre, in una sorta di noncuranza, che non è dovuta a mancanza di riflessione ma proprio a un sentimento di forza e serietà interiori. Onde danzanti e leggere dalle creste bianche, ma sotto si nasconde l'intero mare con tutte le sue profondità e che è sempre là dopo tutto, e non è questo che conta? Più tardi “Questo consumarsi dell'amore nel lavoro anonimo, da cui nascono cose tanto pure”. Di sera Sto male come un cane, e non può certo andare avanti così a lungo. Adesso credo che i tempi siano maturi per sposarsi. Riesco a malapena a immaginarmi che una giornata buona segua a questa sera, ma una cosa simile è difficile da dire quando si tratta di me. Allora vai a dormire. Lunedì mattina [29 giugno 1942], le dieci Quella signora dell'alta nobiltà con la ricca capigliatura di biondi ricci sulla fronte cantava come un canarino giapponese con le doglie. E l'adagio mozartiano dell'anziana, eppur tanto virginale, direttrice del sanatorio di TB sembrava più un numero da trapezio che musica, con la sedia sul tavolo come un leggio musicale. Per quanto riguarda S., si potrebbe dire: qualcosa di meno sarebbe stato di più. E visto che lui ieri, per una sorta di indolenza, ha prodotto “poco”, mi è sembrato davvero molto e ho goduto tanto di alcune delle sue canzoni. Quando cerca di esprimere tutti i suoi sentimenti in una sola canzone, allora dà troppo, dà così tanto, a volte, che il suo pubblico si sente dolorosamente imbarazzato. In questo senso, siamo tutti più o meno calvinisti dell'anima, faremmo a meno di buon grado, anzi, ci ribelliamo, quando qualcuno denuda la propria anima in pubblico e se ne sta là, d'un tratto, nudo davanti alla gente. E lui a volte se ne sta proprio nudo come un verme, quel tesoro. E canta di rose e piccioni, e tutta la tenerezza che è possibile provare al riguardo si riflette nei suoi denti falsi. E se poi si lancia in Geh, gehorche meinen Winken [“Va'! Segui il mio cenno”] e Amboß oder Hammer sein [“essere martello o incudine”], allora i muri della nostra casa cominciano a tremare e anche quelli di alcune case vicine. Un autista del garage qui sotto una volta ha detto a Käthe, pieno di soggezione: “Da voi si fa davvero musica dura, qualche volta”. Mi sento “da cani, terribilmente misera” e “disgraziata”, la mattina presto specialmente. Ieri sera a letto sono stata male per un po', ed ero quasi disperata. Poi, d'un tratto, ho pensato: perché non cercare di scendere a patti con questa situazione da sola, anche i nostri malanni sono dei compiti da assolvere da soli, senza coinvolgervi troppo gli altri; sono rimasta sdraiata là fermissima, molto paziente e senza troppa ribellione, e pian piano ho avuto la sensazione che tutto passasse. Già, e dopo il freddo giorno grigio di ieri, questo sole tenero, davvero tenero, è un dono inatteso. Ci si può tuffare in questi giorni come in un tiepido e salutare bagno, e si deve cercare di salvarne qualcosa per i giorni freddi che verranno. Dio non è responsabile verso di noi, siamo noi a esserlo verso di lui. So quel che ci può ancora succedere. Adesso io sono separata dai miei genitori e non li posso raggiungere, anche se si trovano

a due ore di viaggio da qui: ma so esattamente in che casa abitano, so che non patiscono la fame e che sono circondati da molte persone ben disposte verso di loro. E anche loro sanno dove sto io. Ma potrà venire un tempo in cui non saprò più niente, e i miei genitori saranno deportati e moriranno miseramente, chissà dove: so che può succedere. Le ultime notizie dicono che tutti gli ebrei saranno deportati dall'Olanda in Polonia, passando per il Drenthe. E secondo la radio inglese, dall'aprile scorso sono morti 700.000 ebrei, in Germania e nei territori occupati. Se rimarremo vivi, queste saranno altrettante ferite che dovremo portarci dentro per sempre. Eppure non riesco a trovare insensata la vita. E Dio non è nemmeno responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi! Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell'altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto. E resterò a scrivere a questa scrivania fino all'ultimo minuto e a credere in ogni poesia che leggerò... l'allievo... sta arrivando. A metà giornata Andrà tutto bene! Più tardi Al momento sono occupata soprattutto con: I quaderni di Malte Laurids Brigge Die Russische Leistung di Karl Nötzel Das Unbewußte im normalen und kranken Seelenleben [“L'inconscio nella vita psichica normale e malata”] . [Mercoledì] 1° luglio [1942], di mattina Il mio spirito è riuscito ad accettare tutti gli avvenimenti di questi ultimi giorni - le voci che corrono sono più distruttive dei fatti, perlomeno qui, in Polonia sembra che la strage sia al colmo. Ma il mio corpo s'è sfasciato in mille pezzi, ognuno dei quali ha un dolore diverso. È curioso come il mio corpo debba digerire le cose in un secondo tempo. Ho così tanto da scrivere, interi libri, sui giorni appena trascorsi. Rilke vale ancora, anche adesso. Copio qui di seguito alcune frasi che ho letto stamattina presto e che continuano a essere valide, anche ora: “Noi calcoliamo gli anni, stabiliamo qua e là dei termini, smettiamo, ricominciamo, esitiamo tra una frase e l'altra. Ma com'è monolitico quello che ci viene incontro, quale affinità esiste nel molteplice che ha generato se stesso, che cresce, che si educa - noi in fondo abbiamo solo da esistere, ma con semplicità, con insistenza, come esiste la terra, docile alle stagioni, chiara, scura, nello spazio, non chiedendo di posare se non nella rete degli influssi e di forze in cui le stelle si sentono sicure”. Quante volte ho pregato, neppure un anno fa: Signore, ti prego, rendimi un po' più semplice. E se quest'anno mi ha portato qualcosa, è stata proprio questa maggiore semplicità interiore. E credo che in futuro riuscirò anche a esprimere le cose difficili di questa vita con parole molto semplici. In futuro. Cerchiamo di mettere insieme le energie per descrivere il sogno di ieri sera, un sogno che dice tanto di me: S. era stato catturato, nel Drenthe, e io camminavo lungo il terreno dell'IJsclub, triste come non potrò mai esprimerlo a parole. Incontravo un soldato tedesco, lo guardavo dritto negli occhi chiedendo, come fosse normale: Ha una fidanzata al suo paese? E quando lui ha confermato, gli ho detto: Allora la sua fidanzata sarà triste, come lo sono io adesso. Io e quel soldato siamo diventati amici, non è chiaro dal sogno in che modo, ma abbiamo parlato più volte e ci siamo raccontati delle azioni oltraggiose che i tedeschi stavano compiendo. Ci siamo detti d'accordo sul fatto di dover affrontare onestamente la situazione e che ci saremmo dovuti affratellare, che con noi iniziava la

fratellanza tra i due popoli. E io gli ho anche detto: Naturalmente mi scontrerò con un tuo lato per il quale dovrò pensare: questo è tipicamente tedesco, ma questa non sarà una ragione per odiarti, dovrò solo accettarlo come un dato di fatto. Lui ha cercato poi di far liberare S. e alla fine ci è riuscito. S. stesso non ne sapeva nulla, ma io lo avrei aspettato ad Assen. Ho detto a Kathe, con un secco tono di comando: Ho bisogno di una delle tue tessere per il pane. Lei me l'ha data e io ho comprato dei panini freschi nel negozio all'angolo, li ho farciti con del formaggio, li ho incartati e ho pensato tra me e me: se adesso S. non viene liberato, mi attende il momento più straziante di tutti, il momento in cui aspetto alla stazione di Assen con un sacchetto di panini che lui non potrà mangiare. E al tempo stesso mi passava per la mente la cosa più singolare dell'intero sogno: pensavo che un giorno avrei scritto un racconto culminante 'nella scena di un personaggio che pensa di andare a prendere la persona amata in prigione, e le porta un sacchetto pieno di panini freschi, mentre poi viene a scoprire che era tutto un malinteso, e rimane lì ad aspettare con i suoi panini. La storia farà commuovere il mondo intero ma dovrò ricorrere a effetti grossolani, quali i panini; non riuscirò mai a scrivere in maniera semplice, come Rilke. In quel sogno mi sono scontrata, per così dire, con i limiti delle mie possibilità, delle mie future possibilità come scrittrice e non credo che tale sogno mi abbia fatta sentire molto felice, anche se non lo ricordo con precisione. Nel sogno c'era anche un altro momento simile: scrivevo nel mio diario: “Quando mi prende tra le sue braccia per cinque minuti, al termine della serata, e poi io lo lascio, le mie membra sono intorpidite come dopo una notte d'amore”. E ho pensato con tristezza che nella poesia non riuscirò mai a superare questo livello espressivo: tutto è così povero; e ho pensato di nuovo a Rilke. Il sogno è andato avanti, anche se non ricordo esattamente come le diverse parti fossero collegate tra loro, ma a un certo punto accadeva questo: Stavo con il mio soldato sul predellino del tram, quando lui mi ha improvvisamente confidato di voler avere una relazione completa con me. E io gli ho detto - e me lo ricordo parola per parola: Pensi davvero che un contatto fisico possa aggiungere qualcosa alla relazione ultra-spirituale (mi chiedo se si possa dire così) che stiamo vivendo? E credi che io potrei darti qualcosa di più di quello che ti ho già dato? Dopo di che sono saltata giù dal predellino. Sarebbe così bello, un insieme compatto e splendido, se questa fosse la fine del sogno, un sogno in cui si celano così tanti dei miei problemi. Fino a quel momento tutto si era svolto su un piano elevatissimo. Ma siamo sinceri: sono saltata, quindi, dal predellino del tram dopo tutte quelle parole “altamente spirituali” (che sono infatti una mia conquista) , e d'un tratto mi è venuto il bisogno di tornare indietro e dirgli ancora: “Dopo tutto non sto avendo una relazione neanche con S.”. E sentivo che ne sarebbe stato molto sorpreso e che non sarebbe riuscito a capire la situazione appieno. Ho continuato a camminare sentendomi insoddisfatta, anche se non volevo ammetterlo e mi comportavo come se tutto andasse benissimo. E mi sono detta: eppure conosco davvero gli uomini anche se non ho una relazione con loro. Sono andata a fondo nei pensieri, sentendomi molto vecchia e molto moderata, e riflettendo su come avessi già un'intera vita alle spalle, pensando che sapevo già tutto della vita; ma c'era ancora da qualche parte quel senso d'insoddisfazione. E ora non posso più muovere né le membra del mio corpo né i pensieri del mio cervello, tanto sono a pezzi fisicamente. È l'una meno un quarto. Dopo il caffè cercherò di dormire un po'. E alle cinque meno un quarto da S. Certe volte la mia giornata è fatta di cento giornate diverse. Ora sono a pezzi. Stamattina alle sette ho passato un momento di un'irrequietezza e di un nervosismo infernali per tutte queste nuove ordinanze: è un bene, però, così posso rendermi un po' conto della paura degli altri, visto che quella paura m'è diventata sempre più estranea. Alle otto ero di nuovo la tranquillità in persona. Ed ero quasi fiera che, sentendomi fisicamente a pezzi, potessi ancora dar lezione di conversazione russa per un'ora e mezzo: una volta l'avrei disdetta, con la scusa della mia salute. E stasera sarà ancora un altro giorno, verrà un'altra persona con problemi, una ragazza cattolica. Il fatto di potere oggi, come ebrea, aiutare una persona non ebrea, dà una singolare sensazione di forza. Di pomeriggio, le quattro e un quarto

Sole in questa veranda, e un vento lieve che fa fremere il gelsomino. Vedi dunque, un altro giorno è appena cominciato - quanti ne sono trascorsi da stamattina alle sette? Rimango altri dieci minuti vicino al gelsomino; e poi, sulla bicicletta per il momento ancora permessa, vado dal mio amico, che è nella mia vita da sedici mesi ma mi sembra di conoscere da mille anni - anche se a volte mi appare in una luce così nuova da farmi restare senza fiato. Com'è esotico il gelsomino; in mezzo a quel grigio e a quello scuro color di melma è così radioso e così tenero. Non capisco niente del gelsomino. Del resto non c'è bisogno. Si può benissimo credere nei miracoli in questo XX secolo. E io credo in Dio, anche se tra breve i pidocchi mi avranno divorata in Polonia. Quel gelsomino, sono senza parole davanti a quel gelsomino. È lì da un bel pezzo, ma solo ora inizio a restarne colpita. 2 luglio [1942], giovedì mattina, le sette e mezzo Alle sette, quando la mia sveglia ha squillato e ho aperto gli occhi, la mattina era distesa, ampia come la vita, dentro la mia cameretta e dietro la finestra. La città era là sotto, potevo accorgermene dal rumore del tram; in lontananza si udiva il canto dei soldati. Ma tutto ciò che io vedevo erano nuvole e le cime fluttuanti degli alberi, raccolti in un largo cerchio attorno alla mia finestra, e poi c'è quell'unico albero che è soltanto mio. Stanotte una stella solitaria danzava attorno al suo tronco. Solo cielo e verde dietro la mia finestra e sotto, di tanto in tanto, piccoli rumori della città. Farò in modo di non diventare imprudente. Ieri pomeriggio lo sono quasi diventata, dopo il gelsomino. E non è certo finita lì, non mi sono limitata al gelsomino. Sulla strada verso casa sua, mi sono imbattuta in rose rosso scuro che si arrampicavano sul muro di un'abitazione, una delle tante di una lunga fila, e volevo immediatamente cedere il mio cuore instabile a quelle rose, e poi, all'improvviso, ho visto molte violette lungo il muretto basso di un giardino. E più tardi ho chiesto a S.: Non è quasi empio continuare a credere così tanto in Dio di questi tempi? E non è frivolo, gli ho chiesto ancora, continuare a trovare la vita così bella? La sofferenza non è al di sotto della dignità umana. Cioè: si può soffrire in modo degno, o indegno dell'uomo. Voglio dire: la maggior parte degli occidentali non capisce l'arte del dolore, e così vive ossessionata da mille paure. E la vita che vive la gente adesso non è più una vera vita, fatta com'è di paura, rassegnazione, amarezza, odio, disperazione. Dio mio, tutto questo si può capire benissimo: ma se una vita simile viene tolta, viene tolto poi molto? Si deve accettare la morte, anche quella più atroce, come parte della vita. E non viviamo ogni giorno una vita intera, e ha molta importanza se viviamo qualche giorno in più, o in meno? Io sono quotidianamente in Polonia, su quelli che si possono ben chiamare dei campi di battaglia, talvolta mi opprime una visione di questi campi diventati verdi di veleno; sono accanto agli affamati, ai maltrattati e ai moribondi, ogni giorno - ma sono anche vicina al gelsomino e a quel pezzo di cielo dietro la mia finestra, in una vita c'è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera fine. Si deve anche avere la forza di soffrire da soli, e di non pesare sugli altri con le proprie paure e con i propri fardelli. Dobbiamo ancora impararlo e ci si dovrebbe reciprocamente educare a ciò, se possibile con la dolcezza e altrimenti con la severità. Quando dico: in un modo o nell'altro ho chiuso i conti con la vita, non è per rassegnazione. “Tutto è proprio un malinteso”. Se mi capita di dire una cosa del genere, viene intesa altrimenti. Non è rassegnazione, non lo è di certo. Cosa voglio dire? Forse, che ho già vissuto questa vita mille volte, e altrettante volte sono morta, e dunque non può più succedere nulla di nuovo? È un modo di esser blasé? No, è un vivere la vita mille volte minuto per minuto, e anche un lasciare spazio al dolore, spazio che non può essere piccolo, oggi. E fa poi gran differenza se in un secolo è l'Inquisizione a far soffrire gli uomini, o la guerra e i pogrom in un altro? Assurdo, come dicono loro? Il dolore ha sempre preteso il suo posto e i suoi diritti, in una forma o nell'altra. Quel che conta è il modo con cui lo si sopporta, e se si è in grado di integrarlo nella propria vita e, insieme, di accettare ugualmente la vita. Sto teorizzando dietro la mia scrivania, dove ogni libro mi circonda con la sua familiarità, e con quel gelsomino là fuori? È solo teoria, non ancora messa alla prova da

nessuna pratica? Non lo credo più. Tra poco sarò messa di fronte alle estreme conseguenze. Ho dolore in tutto il corpo e tra poco dovrò camminare con S. fino all'altro capo della città e vedremo passarci davanti molti tram che avrebbero potuto portarci più velocemente che le nostre gambe; e a breve sembra che dovremo davvero essere registrati, adesso anche gli olandesi e anche le ragazze (Lei non può andarsene, ha detto ieri S. deciso; e Käthe, indicando le sue fragole sciroppate, ha aggiunto: Spero che lei possa ancora godere di queste fragole con noi; le nostre conversazioni sono già infarcite di frasi come queste). So che Mischa, col suo corpo delicato, sta per recarsi a piedi alla stazione centrale, penso ai visini pallidi di Mirjam e Renate, alle preoccupazioni di molti, so tutto, tutto, in ogni momento; a volte devo chinare il capo sotto il gran peso che ho sulla nuca, e allora sento il bisogno di congiungere le mani, quasi in un gesto automatico, e così potrei rimaner seduta per ore - so tutto, sono in grado di sopportare tutto, sempre meglio, e insieme sono certa che la vita è bellissima, degna di essere vissuta e ricca di significato. Malgrado tutto. Il che non vuol dire che uno sia sempre nello stato d'animo più elevato e pieno di fede. Si può esser stanchi come cani dopo aver fatto una lunga camminata o una lunga coda, ma anche questo fa parte della vita, e dentro di te c'è qualcosa che non ti abbandonerà mai più. 3 luglio 1942, venerdì sera, le otto e mezzo Sono sempre seduta alla medesima scrivania, ma a questo punto dovrei tirare una riga e proseguire con un altro tono. Dobbiamo fare spazio a una nuova certezza: vogliono la nostra fine e il nostro annientamento, non possiamo più farci nessuna illusione al riguardo, dobbiamo accettare la realtà per continuare a vivere. Oggi, per la prima volta, sono stata presa da un gran scoraggiamento, mi toccherà fare i conti anche con questo, d'ora in poi. E forse, o meglio: certamente questo dipende anche dalle quattro aspirine di ieri. E se dobbiamo andare all'inferno, che sia con la maggior grazia possibile! Però, non avevo mai voluto parlarne in modo così esplicito: perché questo stato d'animo, proprio ora? Perché ho una vescica al piede a forza di camminare per la città così calda- perché tanti hanno i piedi distrutti da quando gli è stato proibito di prendere il tram? Per il pallido visetto di Renate che deve andare a scuola a piedi con le sue gambette corte, un'ora all'andata e un'ora al ritorno, nel caldo? Perché Liesl fa la coda e non riesce, ugualmente, a procurarsi le verdure? Per tante e tante ragioni, piccole in sé, ma tutte parti della gran campagna che è in atto per sterminarci. E tutto il resto appare semplicemente grottesco e inconcepibile, per ora - ad esempio il fatto che S. non possa più visitare questa casa, col suo pianoforte e coi suoi libri; o che io non possa più andare a casa di Tide, ecc. Includo in questo quaderno quello che Netty ha scritto a S. È ancora valido: porto con me la certezza sempre crescente che il mio desiderio si avvererà, che io un giorno andrò in Russia, che in futuro diventerò uno dei tanti piccoli elementi di congiunzione tra la Russia e l'Europa. È una certezza che ho dentro e che non viene scossa da una nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Bene, questa nuova certezza io l'accetto. Ora lo so: vogliono il nostro totale annientamento. Non darò più fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall'altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia. La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio - così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al posto mio, continuerà la mia vita dov'essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto daccapo, e con tanta fatica. Non è anche questa un'azione per i posteri? L'amico ebreo di Bernard mi aveva mandato a chiedere, dopo le ultime ordinanze, se pensavo ancora che non dovessero essere ammazzati tutti e preferibilmente tagliati a

pezzetti, uno per uno.

QUADERNO X 3 luglio 1942-29 luglio 1942

[Venerdì 3 luglio 1942] E ho pensato: oh, sì, questo sì che soddisferebbe la nostra personale acrimonia e i nostri desideri di vendetta, ma perché scegliere la via più agevole e facile? Perché pensare solo alla soddisfazione del proprio io? Perché alla fine si tratta di questo. Allora quelli che verranno dopo non saranno andati molto avanti rispetto a noi e dovranno ricominciare tutto daccapo, perché dunque non fare noi un piccolo passo in avanti? E non solo in teoria, ma nella pratica di ogni giorno. Per esempio, la mia improvvisa irritazione e aggressività nei confronti di Käthe, non appena avverto quanto lei nel profondo del suo cuore difenda il suo paese, o piuttosto il buono che c'è in quel paese, perché, dopo tutto, le persone che vi abitano sono persone come noi. Ed è così di certo, non è vero? Puoi creare quante teorie vuoi, sono persone come noi e a questo dobbiamo aggrapparci in tutte le circostanze, e dobbiamo proclamarlo contro tutto quell'odio. È vero, ci portiamo dentro proprio tutto, Dio e il cielo e l'inferno e la terra e la vita e la morte e i secoli, tanti secoli. Uno scenario, una rappresentazione mutevole delle circostanze esteriori. Ma abbiamo tutto in noi stessi e queste circostanze non possono essere mai così determinanti, perché esisteranno sempre delle circostanze - buone e cattive - che dovranno essere accettate, il che non impedisce poi che uno si dedichi a migliorare quelle cattive. Però si deve sapere per quali motivi si lotta, e si deve cominciare da noi stessi, ogni giorno daccapo. Una volta mi sentivo in dovere di concepire molti pensieri geniali al giorno, ora mi sento non di rado come una terra incolta su cui non cresce assolutamente niente, ma su cui si stende un cielo alto e tranquillo. Meglio così: in questo momento non mi fiderei di troppi pensieri brillanti, a volte preferisco lasciar riposare la testa, e attendere. Tante cose sono successe dentro di me, in questi ultimi giorni: ora, finalmente, qualcosa s'è cristallizzato. Ho guardato in faccia la nostra misera fine, che è già cominciata nei piccoli fatti quotidiani; e la coscienza di questa possibilità fa ormai parte del mio modo di sentire la vita, senza fiaccarlo. Non sono amareggiata o in rivolta, non sono neppure più scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere, di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinnanzi agli occhi. Non giocherò più con le parole che creano soltanto malintesi - per esempio: ho chiuso i conti con la vita, non può più succedermi niente, non si tratta di me e della mia distruzione ma del fatto che si distrugga. Così dico qualche volta agli altri, ma non ha molto senso, né riesco a spiegarmi - né importa, del resto. Con “aver chiuso i conti con la vita” voglio dire che la possibilità della morte si è perfettamente integrata nella mia vita; questa è come resa più ampia da quella, dall'affrontare e accettare la fine come parte di sé. E dunque non si tratta, per così dire, di offrire un pezzetto di vita alla morte perché si teme e si rifiuta quest'ultima, la vita che ci rimarrebbe allora sarebbe ridotta a un ben misero frammento. Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest'ultima. È la prima volta che mi tocca confrontarmi con la morte. Non ho mai saputo bene come comportarmi con lei, sono vergine nei suoi confronti. Non ho mai visto una persona morta. Che strano: in questo mondo disseminato di milioni di cadaveri io, a ventotto anni, non ne ho ancora visto uno. Qualche volta mi sono chiesta quale fosse il mio atteggiamento nei confronti della morte; in realtà, non me ne sono mai preoccupata per me stessa, non era ancora il momento. E ora la morte

è qui, in tutta la sua grandezza - e già è come una vecchia conoscenza che fa parte della vita e che si deve accettare. È tutto così semplice. Non c'è bisogno di fare profonde considerazioni. D'un tratto la morte - grande, semplice, e naturale - è entrata quasi tacitamente a far parte della mia vita. E adesso io so che appartiene alla vita. Ecco, ora posso dormire in pace. Sono le dieci di sera. Oggi non ho combinato molto, ma avevo da fare i conti con i miei piedi pieni di vesciche, dopo quei lunghi giri per la città tanto calda, e con altre piccole miserie simili: ogni cosa deve essere sofferta e accettata. A un certo punto mi hanno preso un gran scoraggiamento e una grande insicurezza, e sono passata un momento da lui. Aveva mal di testa ed era preoccupato, in genere tutto funziona alla perfezione in quel corpo robusto. Sono stata un momento fra le sue braccia ed era così dolce e caro, quasi malinconico. Credo che per noi incominci una fase nuova, ancora più seria, intensa, e concentrata sulle cose essenziali. Ogni giorno ci si libera di qualche piccolezza. “Il nostro annientamento è vicino, non possiamo più illuderci”. Domani notte dormirò nel letto di Dicky, S. dormirà al piano di sotto e alla mattina verrà su a svegliarmi. Tutto questo è ancora possibile. E sapremo ben trovare il modo di aiutarci reciprocamente, nei tempi difficili che verranno. Un po' più tardi E se anche non avessi avuto niente da questa giornata - neppure, da ultimo, questo positivo e aperto confrontarmi con la morte -, non dovrei dimenticare quel soldato tedesco kasher, che si trovava al chiosco col suo sacco di carote e cavolfiori. Prima, sul tram, le aveva messo in mano un biglietto, e poi c'era stata quella lettera che dovrò ben leggere una volta: gli ricordava tanto la figlia di un rabbino che lui aveva potuto ancora assistere giorno e notte, sul suo letto di morte. E stasera è andato a farle visita. Quando Liesl me l'ha raccontato, ho saputo all'istante che stasera avrei dovuto pregare anche per quel soldato tedesco. Una delle tante uniformi ha ora un volto. Ci saranno ancora altri volti su cui potremo leggere e capire qualcosa. E questo soldato soffre anche lui. Non ci sono confini tra gli uomini sofferenti, si patisce sempre da una parte e dall'altra e si deve pregare per tutti. Buona notte. Da ieri, di colpo, ho molti anni di più, so che la mia vita ha un termine. Non sono più scoraggiata, mi sento più forte. Si diventa più forti se si impara a conoscere e ad accettare le proprie forze e le proprie insufficienze. È tutto così semplice e sempre più evidente per me, vorrei vivere abbastanza a lungo per farlo capire anche agli altri. E ora, per davvero, buona notte. Sabato mattina [4 luglio 1942], le nove Mi sembra che in me si compiano dei grandi cambiamenti e credo che siano qualcosa di più che semplici stati d'animo. Ieri mi s'è schiusa davanti una nuova prospettiva - se prospettiva la si vuol chiamare -, stamattina ero di nuovo tranquilla e serena e sicura come non lo ero da tempo. E tutto questo è successo grazie a quella piccola vescica sotto il piede sinistro. Il mio corpo è un ricettacolo di molti dolori: sono custoditi in tutti gli angoli, e ora gli uni ora gli altri si fanno sentire. Mi sono riconciliata anche con loro e sono stupita di come riesco a lavorare e a concentrarmi. Ma la forza spirituale non basterà, se la nostra situazione dovesse aggravarsi: me l'ha insegnato quella semplice passeggiata per andare e tornare dall'Ufficio delle imposte. Eravamo come due allegri turisti che se ne vanno a spasso per una città bella e soleggiata, la sua mano aveva preso la mia e stavano così bene insieme, le nostre due mani. A un certo momento mi ha preso una gran stanchezza, e mi sono resa conto con sconcerto che in questa città dalle lunghe vie non avrei potuto sedermi in un tram, o sostare per un momento in un caffè all'aperto (posso raccontargli qualcosa di molti caffè: ecco, là ero seduta due anni fa, con tanti amici, dopo il mio esame di laurea...). Allora ho pensato - o piuttosto, in qualche modo, ho “sentito” - che gli uomini si sono stancati e si sono rotti i piedi su questa terra di Dio per secoli e secoli, nel freddo e nel caldo, che

anche questo fa parte della vita. Un barlume d'eternità filtra sempre più nelle mie più piccole azioni e percezioni quotidiane. Io non sono sola nella mia stanchezza malattia tristezza o paura, ma sono insieme con milioni di persone, di tanti secoli: anche questo fa parte della vita che è pur bella e ricca di significato nella sua assurdità, se vi si fa posto per tutto e se la si sente come un'unità indivisibile. Così, in un modo o nell'altro, la vita diventa un insieme compiuto; ma si fa veramente assurda non appena se ne accetta o rifiuta una parte a piacere, proprio perché essa perde allora la sua globalità e diventa tutta quanta arbitraria. Al ritorno dal nostro lungo giro ci aspettava una camera fidata, con un divano su cui potevamo buttarci dopo esserci tolti le scarpe; trovavamo un'accoglienza generosa, e c'era anche un cesto di ciliegie, mandato da amici del Betuwe. Una volta un buon pranzo sarebbe stato del tutto naturale, ora è un regalo inaspettato; e se da un lato la vita si è fatta più dura e minacciosa, dall'altro lato si è fatta più ricca, perché si hanno meno pretese e ogni cosa buona diventa appunto un dono insperato, che riempie di riconoscenza. Perlomeno io sento così e lui pure, e certe volte ci meravigliamo ambedue di non provare nessun odio o indignazione o amarezza. In mezzo alla gente queste cose non si possono più dire: credo che finiremo per trovarci terribilmente isolati nelle nostre convinzioni. Mentre camminavo, io sapevo che alla fine avremmo trovato una casa sicura, ma sapevo pure che un giorno questa sicurezza non l'avremo più e allora gireremo per le strade prima di finire in una baracca a corsie. Lo sapevo per me e per gli altri, e l'ho accettato. Ho imparato un'altra lezione da quella camminata: dopo due ore avevo già un mal di capo terribile, come se la testa mi scoppiasse in tutte le sue suture, e i miei piedi erano ridotti al punto da chiedermi come avrei mai potuto camminare di nuovo; e le molte aspirine che ho preso (pensavo fosse necessario, per non dovermi mettere subito a letto ma non dovrei abituarmi a sopportare i miei mali senza rimedi artificiali?) mi hanno fatta sentire istupidita e avvelenata per tutto il giorno seguente. Per me stessa non era affatto grave, neanche per un istante, la mia vita non era meno bella e intensa per questo; ma dovevo pur constatare oggettivamente: cara mia, non ce la fai. Il tuo corpo è del tutto privo di difese, e se tu fossi in un campo di lavoro, dovresti arrenderti dopo tre giorni; e tutta la forza spirituale di questo mondo non ti potrà salvare se, dopo una piacevole passeggiata di neanche due ore, fatta con la prospetti. va di avere alla fine tutte le comodità, reagisci già con un mal di capo così forte e tanta stanchezza. Per me, personalmente, non è grave - io mi sdraio per terra e mi arrendo e poi è finita, e con ciò loderò ancora Dio e la vita - perlomeno, in questo momento io sento così. Ma ero di nuovo triste e preoccupata all'idea di pesare sugli altri, di render la loro vita ancora più difficile. Una volta non facevo mai vedere se mi stancavo troppo per le mie forze: non volevo pesare, facevo tutto come gli altri - passeggiate, festeggiamenti, le ore piccole. Forse c'era un po' di presunzione nel mio atteggiamento: la paura di perdere la simpatia e la compagnia degli altri se avessi disturbato i loro divertimenti con la mia stanchezza. Uno dei miei complessi d'inferiorità nasceva da ciò. Per di più, S. aveva combinato di andare domattina al ghetto, dove forse, in qualche casa, possiamo dare una mano: e il ghetto è molto più lontano dell'Ufficio delle imposte. Fino a ieri sera non ho osato dirgli che non potevo camminare così tanto. Sapevo infatti che sarebbe stata una distrazione per lui. Devo aver pensato che se Tide era in grado di camminare con lui per ore e ore, allora potevo farlo anch'io. Sempre quella paura infantile di perdere un po' dell'amore degli altri, se non ci si adegua! Ma comincio a liberarmi da questi condizionamenti. Bisogna saper riconoscere le proprie insufficienze, anche quelle fisiche; bisogna saper accettare di non poter essere per un altro come si vorrebbe. Riconoscere le proprie debolezze non significa lamentarsene: questa sì che sarebbe una miseria, anche per gli altri. Credo che sia stato proprio questo nuovo stato d'animo a farmi correr da lui ieri sera, poco prima delle otto: ho disdetto persino una lezione, cosa che è contraria alle mie abitudini, per poter stare un momento con lui. E mentre gli ero distesa accanto sul divano, gli ho detto di punto in bianco che mi rattristava moltissimo di essere così stanca dopo quella camminata, non per me stessa, ma perché mi ero resa conto di quante poche illusioni io mi potessi fare sulle mie reali condizioni fisiche. E lui ha subito risposto, come se fosse la cosa più naturale del mondo, che allora

sarebbe stato molto meglio non fare quel giro domenica mattina, al che ho suggerito a mia volta di portare a mano la mia bicicletta per poterla avere al ritorno. Sembra una piccolezza, ma per me è importantissimo, altrimenti sarei stata capace di rovinarmi i piedi solo per fargli piacere e per evitare in tutti i modi di seccarlo. Chiaro che tutte queste supposizioni erano frutto della mia fantasia. Adesso io dico con semplicità e naturalezza; ecco, le mie forze arrivano fin qui e non oltre, non posso farci niente, devi prendermi come sono. Per me, questo è un passo ulteriore verso una maturità e indipendenza a cui sembra che mi stia avvicinando di giorno in giorno. Molti di coloro che oggi s'indignano per certe ingiustizie, a ben guardare s'indignano solo perché quelle ingiustizie toccano proprio a loro: quindi non è un'indignazione veramente radicata e profonda. In un campo di lavoro so che morirei in tre giorni. Mi coricherei, morirei, eppure non troverei ingiusta la vita. A fine mattinata Ogni camicia pulita che puoi ancora indossare è quasi una festa; e così pure se ti lavi con un sapone profumato, in un bagno che è tutto tuo per quella mezz'ora. È proprio come se io mi stessi già congedando da queste raffinatezze della civiltà. E se un giorno non potrò più goderne, saprò in ogni caso che esistono e che possono rendere piacevole la vita, e in quanto tali le loderò, anche se non mi saranno toccate in sorte. Quel che conta, infatti, non è che tocchino proprio a me -vero? Bisogna saper accettare tutto quel che ci tocca: anche se un individuo nei panni del tuo prossimo ti si accosta all'uscita da una farmacia dove hai comprato il dentifricio, ti punta l'indice addosso e ti chiede con aria inquisitoria: Ha il permesso di comprare lì dentro? Ho risposto, timida e insieme decisa, e gentile come sempre: Sì, signore, questa è una farmacia. Capito, ha detto lui laconico e diffidente, e se n'è andato. Io non so essere tagliente. So esserlo in una conversazione tra persone di spirito, ma sono del tutto indifesa di fronte alla gentaglia di strada, tanto per parlare senza mezzi termini: allora divento timida, e triste e mi stupisco che tra esseri umani ci si possa comportare così, ma una risposta ben forte e tagliente - sia pur nei limiti del lecito - non mi viene. Quell'uomo non aveva il diritto d'interrogarmi. Uno di quegli idealisti che a suo tempo coopereranno a epurare la società dagli elementi ebraici. A ognuno il suo piacere in questa vita. Ma questi piccoli attriti col mondo esterno devono pur esser digeriti. Con ciò, non provo il minimo interesse a fare la figura di una persona coraggiosa di fronte a questo o quel persecutore - e dunque, non mi sforzerò mai in questo senso. Possono benissimo accorgersi che sono triste e del tutto indifesa nei loro confronti. Non ho nessun bisogno di fare una figura coraggiosa, ho la mia forza interiore e questo mi basta, il resto è irrilevante. E stasera gli Starreveld e la torta di ciliegie e la sua cameretta e il letto di Dicky: bello che ancora tutto questo sia possibile. L'una meno un quarto di notte, nella camera di Dicky Non bisogna cercare di fare un bilancio della propria vita nei giorni più faticosi e strani, altrimenti ci si rattrista più che mai. Ha appena rifatto il letto con gesti premurosi che mi commuovono, e poi, con tenerezza, ha posato la sua bocca sulla mia; quindi se n'è andato e io sono rimasta al centro di quella stramba camera come un'inerme scolaretta timida, trattenendo a stento le lacrime; dopo di che mi sono gettata con tutto il corpo sul letto di Dicky e pensavo di non essermi mai sentita così infelice come in quel momento, sentivo un dolore e una tristezza nauseanti, una sorta di sofferenza fisica nel cuore. Negli ultimi giorni lui ha cominciato a mostrare segni di stanchezza e sfinimento; mi preoccupo e ho tanta paura di non avere abbastanza forza per sostenerlo. Era da molto tempo che non mi sentivo tanto stanca, esausta in ogni fibra, come adesso; ho l'impressione che non sarò mai più in grado di riprendermi. Che cosa mi aspettavo da questa serata? Ancora piena di desiderio e priva di gusto? Molto meglio così com'è. Mi sento troppo stanca persino per amarlo. Questa camera

mi è già cara e familiare, penso di poter addirittura pregarci. Anche la distruzione appartiene alla vita. Forse quel confronto potente e impressionante con la distruzione, ieri sera e stamattina, mi toglie ulteriori forze. E dopo un'impressione così intensa, tutto il resto appare molto più debole e più scolorito. Desidero molte ore di studio pacifico alla mia scrivania. Ma la nostra vita quotidiana richiede così tanto sforzo, in tempi come questi. E anche questo sfinisce, cioè il fatto, per esempio, che lui mi racconti che qualcuno ha denunciato Geiger per avergli portato del cibo. Così ora Dicky e Adri devono portarglielo a rischio della vita. E lui si è autoinvitato due volte nel giro di una settimana da Liesl e Liesl è in panne, perché non sa cosa preparare. Eppure, stasera abbiamo parlato di artisti e vita, e di anima e spirito, di quei pochi argomenti che vengono sempre fuori. Andiamo avanti come prima. E la distruzione è parte della vita. E domani, mi sentirò ancora così stanca? In tal caso sarà un giorno perduto; bisogna saper “prendere atto” anche della propria stanchezza fisica. Quando è lì, io mi rannicchio in un angolino con un libro. Stamattina ho sentito l'improvviso bisogno d'inginocchiarmi sulla ruvida stuoia di cocco nel bagno, così raccolta che la testa mi stava quasi appoggiata sul ventre: potrei rimanere giorni e giorni così - il corpo simile alle pareti rassicuranti di una piccola cella - e non avere più preoccupazioni quotidiane né responsabilità. Bisogna vivere attraversando anche queste depressioni, non ci si può fare illusioni sul mondo esterno. Werner non resisterà a lungo facendo la spola avanti e indietro dal teatro. Non mi piacerebbe dover vivere con altri, e di certo non con degli amici. Qui, sola a questo tavolino sotto la lampada, sola nella notte, comincio a superare il momento di maggior depressione. Devo restare da sola così a lungo, e c'è sempre meno spazio: noi ebrei veniamo ammassati in spazi sempre più ristretti. La stanchezza di stasera non è eterna. Avrò tempo di riprendermi. Ma giorno dopo giorno ogni sorta di cose spiacevoli minacciano di sommergermi. Non bisogna pensare al futuro troppo lontano. Ho ancora un letto con lenzuola pulite, e domani mattina ci sarà la colazione e acqua corrente calda e fredda, e lui mi telefonerà. Per domani tutto è organizzato. Non devo pensare al dopo. Un tempo mi sentivo disperata se avevo una stanchezza mortale come questa. Pensavo che non sarebbe mai passata e la proiettavo, per così dire, già sui giorni successivi e così restavo stanca. Vado a dormire e forse domani tutto sarà diverso. In passato rimanevo stanca così a lungo anche perché mi trascinavo dietro materiale non rielaborato e tristezze incomprese, ma adesso comincio a comprendere qualcosa della mia tristezza; è costituita da un insieme di elementi e l'ho già in parte rielaborata. Stasera sono state dette molte cose buone. Mi sento così inadeguata, perché non riesco a esprimerne nessuna. Ogni cosa in me sta ancora aspettando di essere “trasformata”. Stasera ho pensato d'un tratto: sto cercando d'armonizzare tutte le contraddizioni che ho dentro, vivo le mie difficoltà e le porto a una soluzione; molte cose diventano sempre più semplici e chiare per me, mi sto dedicando a un'opera “formativa”, per dir così, a un lavoro artistico sulla mia psiche. Ma questo non avrà come conseguenza il fatto che sarò piena di equilibrio e armonia tanto che - e a volte succede già - non farò più il lavoro creativo e che non ne avrò più bisogno? È l'una e un quarto e devo andare a dormire. Non pretendo assolutamente nulla dalla giornata di domani, non ho aspettative. Pranzare da Adri adesso mi fa sentire insicura. L'aspetto peggiore di questa mia stanchezza è che il mio senso dell'umorismo è sparito. E il mio umorismo è la mia forza di resistenza, soprattutto di questi tempi. Anche la distruzione è parte della vita, è una grande e schiacciante verità, l'ho guardata dritto negli occhi e la accetto, è forse questo il motivo per cui sono così stanca? Se non avessi avuto un momento così duro ieri, adesso probabilmente avrei già riempito pagine e pagine su lui e me, e sul fatto che dorme al piano di sotto e che io non sto dormendo con lui, e su ogni tipo di sciocchezza. Ma non è durato più di due minuti. Sarebbe stata un'indelicatezza enorme nella casa immacolata dei Nethe. In me sta avvenendo uno spostamento di enfasi; va di pari passo con una grande tristezza e con una rinnovata esperienza di me stessa, della necessità di essere me stessa. E con la sensazione di voler fuggire da lui e da ogni altra compagnia. Eppure non scappo davvero perché so che si deve attraversare anche questo. Lui non può ammalarsi e neppure indebolirsi. Siamo di nuovo senza difese e alla mercé di altri, quando si tratta di questa vita “terrena”. Ma ne verremo senza dubbio fuori. E dobbiamo anche concedere al nostro spirito il diritto di stancarsi ogni tanto e di

abbandonarci, dobbiamo avere fiducia nel fatto che tornerà da noi. Non dobbiamo perdere fiducia nei suoi confronti durante queste momentanee depressioni. Voglio ancora scrivere piccoli racconti, un giorno, brevi, delicati e incisivi. Lui si trova al piano di sotto e non c'è dubbio che sta già dormendo, oppure no? Devo davvero cercare di superare questa mia stanchezza eccessiva. Non è infatti la mia più grande forza, quella cioè che riesco ad affrontare da sola tutti e tutto? I fastidi del corpo e quelli dello spirito? L'intero mondo è in me, e anche se sono stanca o triste o spaventata, in me resta comunque il mondo intero, sempre, e continua a crescere. “Mondo” è ovviamente una parola errata, è molto di più. Nell'ultimo anno è nato qualcosa in me che non mi lascerà mai. Ma lui deve restare in buona salute, e al sicuro. E non devono portarlo via, non lo devono fare. Perché allora mi toccherebbe continuare a vivere raccogliendo le forze da ogni angolo del mio corpo e della mia anima, per concentrarle in una grande e ininterrotta preghiera per lui. Ma non può capitargli nulla, non saprei come andare avanti. E tutti coloro che non sanno come andare avanti con la loro vita, benché vivi, sono in parte già morti. Non si deve morire mentre si è ancora in vita, si deve vivere la vita fino in fondo, fino alla fine. E se dovesse accadergli qualcosa? Già, allora dovrei continuare a vivere nel suo spirito e pregare per lui, giorno e notte. Il mio stato d'animo è così strano. Tutto quello che fino a ora era così irreale si trasforma sempre più in una cosa reale, in una realtà che fino a questo momento era interiore. È come se l'intero processo del “mettere al mondo” stesse avvenendo dentro di me. Spostamenti. All'esterno tutto rimane uguale. Meglio non parlare di simili spostamenti interiori perché non si ha ancora il controllo sulla propria voce e perché suonerebbe troppo magniloquente e quasi insostenibile. Una cosa, tuttavia, è certa: si deve contribuire ad aumentare la scorta di amore su questa terra. Ogni briciola di odio che si aggiunge all'odio esorbitante che già esiste, rende questo mondo più inospitale e invivibile. E di amore ne ho tanto, tantissimo, così tanto che davvero può fare la differenza, non occorre andare a cercarlo. E adesso devo proprio andare a dormire. La tristezza ora si è spostata dal problema uomo-donna-letto; sotto questo punto di vista sto davvero maturando e non sono più così sprovveduta. Il nostro momento arriverà quando arriverà. E adesso, buona notte. [Domenica 5 luglio 1942]. Le otto e mezzo di mattina Quando è entrato in camera mia aveva un pigiama celeste e un'espressione timida in viso: gli stavano così bene. S'è seduto sul bordo del letto a parlare per un po'. Ora se n'è andato, passerà un'ora prima che sia pronto: lavarsi, far ginnastica, “leggere”. “Leggere” lo posso fare insieme a lui. Quando ha detto: Adesso ho ancora bisogno di un'ora, mi ha preso di colpo una gran tristezza, quasi dovessimo separarci per sempre. Oh, lasciar completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di fare la sua vita, è la cosa più difficile che ci sia. La sto imparando per lui. Fuori un vero tripudio di cinguettii; un tetto piano coperto di ghiaino e un piccione davanti alla mia finestra spalancata. Il sole già al mattino presto. Lui tossiva poco fa, e ha sempre ancora la testa che gli duole nello stesso punto. Ha fatto un bruttissimo sogno; l'ha chiamato un “sogno premonitore”. Ero sveglia alle cinque e mezzo. Alle sette e mezzo mi sono completamente spogliata e lavata, ho fatto un po' di ginnastica e poi sono tornata sotto le coperte. Poco dopo è entrato lui, esitante e timido nel suo pigiama celeste, tossiva, ha detto: “Sono esaurito”. Stamattina andiamo dal medico invece di fare quel lungo giro. E oggi voglio ritirarmi a riposare nel mio silenzio: nello spazio del mio silenzio interiore a cui chiedo ospitalità per un giorno intero. Forse riuscirò a riposarmi così. Corpo e mente sono molto stanchi e funzionano male, ma oggi non ho da lavorare, e credo che andrà bene. C'è sole su quel tetto e un tripudio di cinguettii, questa camera è già così raccolta intorno a me che ci potrei pregare. Abbiamo avuto entrambi una vita molto libera, lui con le donne, io con gli uomini, e ciononostante lui era seduto col suo pigiama celeste sul bordo del mio letto: per un momento la sua testa era abbandonata fra le mie braccia nude, abbiamo parlato un pochino, poi era via di nuovo. La trovo una cosa molto commovente. Non abbiamo, né l'uno né l'altra, il cattivo gusto di abusare di una situazione troppo facile. Alle nostre spalle c'è una vita libera e sregolata di amori trascorsi in molti

letti altrui, eppure siamo ancora capaci di essere timidi, ogni volta. È molto bello che sia così e me ne rallegro. Ora mi metto la mia vestaglia colorata e scendo di sotto per leggere la Bibbia insieme a lui. Passerò tutto il giorno in un angolino di quella gran sala silenziosa che ho dentro di me. Io conduco una vita davvero privilegiata. Oggi non devo lavorare, non ho compiti casalinghi e non ho da far lezione. La mia colazione è pronta in un cartoccio e Adri ci porterà il nostro pranzo caldo. Così, stanca, posso restar seduta nell'angolino del mio silenzio, accoccolata come un Buddha e anche col suo sorriso - interiormente, s'intende. Bello per le persone che lavorano tanto duramente dover guardare una tale boccaccia ghignante! Non mi è chiaro perché sia di nuovo necessaria quell'improvvisa rozzezza. Oggi devo scrivere molto, moltissimo. Le dieci meno un quarto Erano un buon nutrimento a digiuno, quei pochi Salmi che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana. Abbiamo vissuto insieme il principio di un giorno ed è stata una cosa molto bella, una carica d'energia. E di nuovo quella stupida fitta al cuore quando ha detto che andava a far ginnastica e a vestirsi: come se, dovendo ritornare di sopra, io mi sentissi abbandonata e sola al mondo. Una volta ho scritto: vorrei poter condividere il mio spazzolino da denti con lui. Quanto bisogno di essere vicina a una persona fin nei suoi più piccoli gesti quotidiani! Però questa distanza è fruttuosa: ci si ritrova poi sempre, e tra poco verrà su a chiamarmi per far colazione alla sua piccola tavola rotonda, vicino al geranio che si dissangua ogni giorno di più. Oh, quegli uccelli e quel sole sul ghiaino del tetto. Ho nell'anima tanta calma e dolcezza, e un senso di appagamento che riposa in Dio. Che forza primordiale vien fuori dall'Antico Testamento e che radice “popolare”, anche. Magnifiche figure, forti e poetiche, vivono in quelle pagine. Un libro davvero avvincente, aspro e tenero, ingenuo e saggio, interessante non solo per ciò che dice, ma anche perché permette di conoscere chi lo dice. È popolata da intere tribù di figure sconosciute: passando quei dieci minuti a legger la Bibbia con lui, mi ha colpito l'impressionante quantità di cose che quel Libro contiene. Dalla Bibbia scaturiscono tutte le correnti che in questo momento scorrono in ogni spirito e in ogni cuore umano, correnti che si sono cristallizzate in -ismi e differenti confessioni, dottrine e conflitti. Ma adesso che hai tratto forza da quella gentile, e infinitamente varia, sorgente, lasciami tornare alle mie stanche e impotenti parole. Nel corso di una lunga vita, creerò preziosi ma semplici ricettacoli per contenere i miei sentimenti; al momento devo accontentarmi di quelli che sono a portata di mano, per quanto grossolani, informi e poveri. Ecco che sento il suo passo sulla scala. Le pareti di questa camera stanno già scivolando attorno a me come un abito familiare e su misura. Potrei vivere e lavorare qui. Una piccola arte. Una gentilezza d'animo che sarebbe meglio lasciare a se stessa, oggi. No, non era il suo passo. Forse in futuro, molto in là, ci sarà concessa una camera silenziosa? Forse quando avremo attraversato tutto e superato tutto, onestamente e senza cercare di evitare nulla, senza voler vivere meglio di altri in questi tempi. Se riusciremo a superare tutto quello che deve venire, forse un giorno avremo una camera silenziosa per gli anni futuri, con un po' di comfort e con la sensazione di essercelo meritato. E altrimenti? Be', non è comunque la cosa principale. C'è sempre una camera silenziosa in qualche angoletto del nostro essere e potremo pur occuparla di tanto in tanto. Non potranno di certo privarci di quello spazio. Ormai da un anno intero sto lavorando al silenzioso spazio dentro di me, tanto che adesso si è esteso fino a diventare una sala, tangibile nella sua presenza. Di pomeriggio, le tre e un quarto Alla fine di una giornata come questa, Tide avrebbe detto, in un tono quasi oggettivo: Dio grande, Ti ringrazio per quelle buone ciliegie, per il sole e per avermi permesso di passare l'intera giornata con lui. E non c'è davvero bisogno che qualcuno sia in tali …..................................................... Di sera, le dieci

Soltanto questo: ogni minuto di questa giornata è trascorso in un batter d'occhio, ma la giornata tutt'intera mi rimane dentro come un dono pieno di consolazione, un ricordo che potrà essere necessario e che ci accompagnerà come una realtà sempre presente. E ogni fase di questa giornata faceva impallidire quelle che l'avevano preceduta. Non si può puntare esclusivamente sulla conservazione o sulla distruzione: tutte e due esistono come possibilità estreme, ma non ci si può fissare su nessuna delle due. Quel che conta, piuttosto, è che si affrontino le mille cose di ogni giorno. Ieri sera parlavamo di campi di lavoro. Io dicevo: Non posso farmi nessuna illusione, il mio corpo non vale niente e sarò morta in tre giorni. Werner era d'accordo per parte sua, mentre Liesl ha detto: Non so, io ho la sensazione che me la caverei. Posso capirla bene, una volta ero come lei, sentivo di possedere un'energia indistruttibile. È un nucleo di forza che continuo a portarmi dentro, ma anche questo non va inteso in senso troppo materialistico. La questione non è se il corpo poco esercitato possa resistere, questo è relativamente secondario: la forza autentica, primaria, consiste in ciò, che se anche si soccombe miseramente, fino all'ultimo si sente che la vita è bella e ricca di significato, che si è realizzato tutto quanto in noi stessi e che la vita era buona. Non riesco tanto a esprimermi, finisco sempre per usare le stesse parole. Lunedì mattina [6 luglio 1942], le undici Forse posso scrivere per un'ora di seguito sulle cose più importanti. Rilke scrive da qualche parte del suo amico paralizzato Ewald: “Ma ci sono anche dei giorni in cui egli invecchia, i minuti gli passano sopra come anni”. Così, ieri, le molte ore del giorno sono passate sopra di noi. Quando ci siamo salutati, mi sono appoggiata per un momento a lui e gli ho detto: Vorrei rimanere ancora a lungo con te, il più possibile. Nel suo viso, la bocca era così dolce, indifesa e malinconica quando ha risposto quasi trasognato: Già, ognuno di noi avrà pure i suoi desideri... E ora mi domando: non dobbiamo cominciare già adesso a congedarci da questi desideri? Se si comincia ad accettare, non si deve accettare tutto, allora? Stava contro il muro della camera di Dicky, io ero appena appoggiata a lui, dolcemente; all'apparenza non c'era nulla di diverso da tanti altri momenti simili nella mia vita, ma per me fu improvvisamente come se un cielo da tragedia greca si stendesse sopra di noi: per un momento tutto si è confuso ai miei sensi, io mi trovavo con lui nel mezzo di uno spazio infinito, carico di minacce ma anche di eternità. Forse è stato allora che s'è compiuta in noi una grande e definitiva trasformazione, ieri. È rimasto ancora un momento appoggiato al muro e ha chiesto con tono quasi lamentoso: Stasera devo scrivere alla mia fidanzata che compirà gli anni tra poco: ma cosa devo scriverle, mi manca la voglia e l'ispirazione. Gli ho detto: Devi cercare fin d'ora di riconciliarla con l'idea di non rivederti più, devi fornirle dei punti d'appoggio per la sua vita futura. Devi aiutarla a riconoscere che in tutti questi anni avete continuato a vivere insieme, malgrado la lontananza fisica, che lei ha il dovere di continuare a vivere nel tuo spirito e di conservarne un pezzetto per questo mondo - ecco ciò che conta. Così ci si parla, oggi, discorsi di questo genere non sembrano neppure più assurdi, siamo entrati in una nuova realtà e ogni cosa ha preso colori e accenti diversi. E tra i nostri occhi, le nostre mani e le nostre bocche scorre un flusso ininterrotto di dolcezza e di tenerezza, in cui sembra che si sia spento ogni più piccolo desiderio: ormai si tratta semplicemente di essere buoni l'uno verso l'altro, con tutta la bontà di cui siamo capaci. E ogni riunione è anche un addio. Stamattina mi ha detto al telefono, quasi trasognato: Era bello ieri, cerchiamo di stare insieme il più possibile durante il giorno. E ieri pomeriggio - eravamo seduti al suo tavolino rotondo, e come due “scapoli”, ancora viziati, ci godevamo un pranzo abbondante che non c'entrava nulla con la situazione attuale - , quando gli ho detto che non volevo lasciarlo, ha risposto con un tono improvvisamente severo e solenne: Non dimentichi tutto ciò che lei dice sempre, non può dimenticarlo. E non mi sembrava più di essere come una bambinetta in un dramma che supera la sua capacità di comprensione, come succedeva tanto spesso in passato, qui invece si trattava della mia vita e del mio destino ed ero in grado di sopportarli: e il mio destino, con tutte le minacce, insicurezze fede e amore, mi andava a pennello

come un vestito che fosse stato cucito appositamente per me. Gli voglio bene con tutto il disinteresse che ho scoperto di possedere e non voglio minimamente pesare su di lui con le mie esigenze e con le mie paure. Rinuncerò persino al desiderio di rimanergli accanto fino all'ultimo momento. Il mio essere si sta trasformando in un'unica, grande preghiera per lui. E perché solo per lui? Perché non anche per gli altri? Ci vanno anche ragazzine di sedici anni, nei campi di lavoro. Noi che siamo più vecchi dovremo prenderle sotto la nostra protezione, quando sarà il turno delle nostre ragazze olandesi. Ieri sera volevo dirlo a Han, che ci vanno anche ragazze di sedici anni - ma sono stata zitta pensando che avrei potuto essere buona anche con lui, e che non era il caso di caricarlo di altri pesi: non posso forse risolvere queste cose da sola? Certo che ognuno di noi deve sapere - ma non si deve anche esser buoni con gli altri, non si deve evitare di caricarli tutto il tempo di pesi che possiamo benissimo portare da soli? Soltanto qualche giorno fa pensavo ancora: il peggio verrà quando non mi sarà più concesso di tenere matita e carta per chiarirmi le idee di tanto in tanto. Senza questa possibilità, che per me è di un'importanza essenziale, potrei anche scoppiare e distruggermi dentro. E ora so che se si comincia a rinunciare alle proprie pretese e ai propri desideri, si può rinunciare a tutto. L'ho imparato in questi giorni. Forse potrò rimanere qui ancora per un mese, e poi anche questa scappatoia nelle disposizioni verrà scoperta. Incomincerò a far ordine nelle mie carte e ogni giorno dirò addio. E così il vero addio sarà solo una piccola conferma esteriore di ciò che, di giorno in giorno, s'è già compiuto dentro di me. Sono in uno stato d'animo così singolare. Sono proprio io a scrivere qui, così tranquilla e matura qualcuno mi potrebbe capire se dicessi che mi sento così stranamente felice, non in modo artificioso o altro, ma in tutta semplicità, perché mi sento crescere dentro dolcezza e fiducia, di giorno in giorno? Perché tutta la confusione, le minacce e i pesi non mi portano neanche per un momento all'alienazione mentale? Perché continuo a vedere e a sentire la vita così chiara e nitida in tutti i suoi contorni. Perché nulla offusca i miei pensieri e i miei sentimenti. Perché posso sopportare e accettare tutto, e perché la coscienza del bene che c'è stato nella vita - anche nella mia vita - non è stata soppiantata da tutte queste altre cose, anzi diventa sempre più parte di me. Non oso quasi aggiungere altro, non so che cosa sia, è come se mi spingessi troppo oltre nel mio distacco da tutto ciò che porta la maggior parte delle persone vicino all'alienazione mentale. Se sapessi con certezza di dover morire la prossima settimana, potrei rimanere a studiare alla mia scrivania per tutto questo tempo, nella massima tranquillità di spirito e senza che questa sia una fuga - io so, ora, che vita e morte sono significativamente legate fra loro. Sarà uno scivolare dall'una nell'altra - anche se la fine potrà essere triste o persino orribile,. nella sua forma esteriore. Dovremo passare ancora per tante vicissitudini. Diventeremo poveri; poi, a lungo andare, saremo ridotti all'indigenza; ogni giorno perdiamo un po' delle nostre forze, e questo è dovuto non solo alle nostre paure e insicurezze, ma anche a piccoli e semplici fatti concreti - come quello di poter entrare in sempre meno negozi odi esser costretti a percorrere lunghi tratti a piedi, cosa che sta già logorando molte persone che conosco. La nostra distruzione si avvicina furtivamente da ogni parte, presto il cerchio sarà chiuso intorno a noi e nessuna persona buona che vorrà darci aiuto lo potrà oltrepassare. Per ora ci sono ancora tante piccole aperture, ma anche queste saranno chiuse fra breve. È curioso com'è fatto l'uomo. Ora c'è un tempo freddo e piovoso - come se dall'altopiano di un'afosa notte estiva uno fosse improvvisamente scaraventato in una valle fredda e umida. Anche l'ultima notte che ho passato con Han era sul filo del confine tra caldo e freddo: era ieri sera, parlavamo davanti alla finestra aperta delle gravi questioni che sono in gioco in questo momento, il suo viso era così stravolto che ho pensato: questa notte piangeremo abbracciati. Abbracciati ci siamo, ma non abbiamo pianto. Solo nell'estasi della fine, mentre il suo corpo era steso sul mio, sono stata improvvisamente sopraffatta da un'ondata di tristezza che era profondamente umana, e poi da un sentimento di compassione per me e per tutti, e poi ancora mi pareva che tutto fosse come doveva essere. Nel buio ho potuto nascondere la mia testa fra le sue spalle nude e ho assaporato le mie lacrime da sola. E poi, di colpo, ho dovuto pensare a quella torta della signora W. oggi pomeriggio e

allo strato di fragole che la ricopriva, e m'è venuto da ridere fra me e me, quasi con allegria. E ora devo occuparmi del pranzo e alle due vado da lui. Potrei aggiungere che non ho lo stomaco a posto, ma mi sono proposta di non scrivere più della mia salute, costa troppa carta e me la cavo ugualmente. Una volta ne scrivevo a lungo perché non sapevo bene come regolarmi con questi problemi, ma ora sono cose superate - perlomeno così mi sembra. Sono un po' avventata e presuntuosa? Non so. 7 luglio [1942], martedì mattina, le nove e mezzo Mien ha appena telefonato che ieri Mischa ha passato la visita per essere mandato nel Drenthe. L'esito non si sa ancora. La mamma è alzata, diceva, e papà legge molto; lui ha tanto dentro di sé. Le strade che si percorrono in bicicletta non sono più del tutto le stesse, i cieli al di sopra sono così bassi e minacciosi, e paiono cieli da temporale, anche col sole radioso. Si vive ora fianco a fianco con il destino o comunque lo si voglia chiamare, si trovano anche i comportamenti per convivere quotidianamente con esso, e tutto è molto diverso da quel che un tempo potevamo leggere su tutti i libri. Per me, io so questo: dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni per pensare agli altri, che amiamo. Voglio dir questo: si deve tenere a disposizione di chiunque s'incontri per caso sul nostro sentiero, e che ne abbia bisogno, tutta la forza e l'amore e la fiducia in Dio che abbiamo in noi stessi, e che ultimamente stanno crescendo in modo così meraviglioso in me. S. diceva ieri: Mi sono maledettamente abituato a lei. E Dio sa quanto “maledettamente” io mi sia “abituata” a lui. Ma devo abbandonarlo ugualmente. Voglio dir questo: dal mio amore per lui devo attingere forza e amore per chiunque ne abbia bisogno; ma questo amore e preoccupazione per lui non devono consumarmi al punto da togliermi le forze: perché anche questo sarebbe “egoistico”. E persino dalla sofferenza si può attingere forza. E con l'amore che sento per lui posso nutrirmi una vita intera, e altri insieme con me. Bisogna essere coerenti sino alla fine. Si può dire: fin qui posso sopportare tutto, ma se gli succede qualcosa, o se devo lasciarlo, allora non posso più continuare. Anche in quel caso bisogna proseguire. O l'uno o l'altro, ora: o si pensa soltanto a se stessi e alla propria conservazione, senza riguardi, o si prendono le distanze da tutti i desideri personali, e ci si arrende. Per me, questa resa non si fonda sulla rassegnazione che è morire, ma s'indirizza là dove Dio per avventura mi manda ad aiutare come posso - e non a macerarmi nel mio dolore e nella mia rabbia. Sono ancora in uno stato d'animo singolare. Potrei dire: è come se mi librassi invece di camminare, come se non vivessi dentro alla realtà, come se non sapessi cosa sta succedendo. Qualche giorno fa scrivevo ancora: voglio star seduta per un pochino alla mia scrivania, e studiare per me. Questo non si fa più. Cioè: succederà un giorno, ma a questa pretesa bisogna rinunciare. Bisogna rinunciare a tutto per poter fare in un giorno le migliaia di piccole cose che vanno fatte per gli altri, senza smarrirsi. Werner diceva ieri: Noi non traslochiamo più, non ne vale la pena. E mi guardava e diceva: Se almeno potessimo partire insieme. Il piccolo Weyl si guardava tristemente le gambette magre e diceva: Questa settimana devo comprarmi ancora due paia di mutande lunghe, come devo fare?, e rivolto agli altri: Se solo potessimo essere nello stesso scompartimento. La prossima settimana, partenza all'una e mezzo di notte; e il viaggio in treno sarà gratis, sì proprio gratis, e non si possono portare animali domestici - così era scritto in quell'ordinanza. Inoltre, bisogna portarsi le scarpe da lavoro e due paia di calze e un cucchiaio, ma niente oro e argento e platino, quello no, sì invece la fede, commovente, quella si può ancora tenere. E io non mi porto nessun cappello, diceva F., ma un berretto, quello sì che andrà bene. E così, eccoci alla nostra “ora amara”. Tornando a casa ieri sera per il consueto “amaro”, pensavo: in nome del cielo, come posso dar lezione per un'ora, adesso - su quell'ora e mezzo con Van Wermeskerken, con la sua liscia testa da ragazzo e i suoi grandi occhi blu provocanti, potrei scrivere un libro intero. Spero di potermi ricordare tutto di questo periodo, di poterne più tardi raccontare qualcosa. È tutto ben diverso da quel che si legge sui libri, molto diverso. Non posso scrivere dei mille dettagli che vivo quotidianamente, spero di ricordarmeli. Noto che la mia capacità di osservazione registra tutto così esattamente e ne provo un piacere singolare. Nella

generale rovina delle cose, in tutta la mia stanchezza, sofferenza, e così via, rimane pur sempre la mia gioia, la gioia dell'artista nell'osservare le cose, e nel trasformarle in un'immagine dentro il proprio spirito. Leggerò l'ultima espressione dal viso dei moribondi, con partecipazione, e la conserverò. Soffro con coloro con cui ora parlo tutte le sere, e che la prossima settimana lavoreranno in un luogo minacciato di questa terra, in una fabbrica di munizioni o Dio sa dove, sempre che possano ancora lavorare. Ma io registro in me ogni piccolo gesto, parola, espressione del loro volto, e lo faccio con una concretezza quasi fredda e oggettiva. Ho la disposizione dell'artista e credo che più tardi, quando sentirò la necessità di raccontare tutto, avrò anche abbastanza talento per farlo. Di pomeriggio Un amico di Bernard ha incontrato un soldato tedesco che gli ha chiesto una sigaretta. Ne è venuto fuori un dialogo da cui risultava che il soldato era austriaco, un tempo professore a Parigi. Voglio conservare una frase del dialogo riferito da Bernard. Il soldato diceva: In Germania ci sono più soldati uccisi dalla caserma che dal nemico. Quell'uomo che lavora in Borsa diceva domenica mattina da Leo Krijn: “Dobbiamo pregare di tutto cuore che succeda qualcosa di buono, finché conserviamo la disposizione verso questo qualcosa di buono. Infatti, se il nostro odio ci fa degenerare in bestie come lo sono loro, non servirà più a nulla”. I miei piedi ancora inabili mi preoccupano moltissimo. Spero che la mia vescica sarà guarita a quel punto, altrimenti sarò certamente di peso quando saremo pigiati tutti quanti insieme. E poi dovrò andare finalmente dal dentista, tutte le cose indispensabili che sono state rimandate per una vita intera devono essere sbrigate con urgenza, credo. E lascio perdere anche questo frugare nella grammatica russa, per i primi mesi ne saprò abbastanza per i miei allievi, è meglio che finisca di leggere L'idiota. Non faccio neppure più riassunti di libri, ci vuole troppo tempo e non potrò trascinarmi dietro tutta quella carta. Con la mente estrarrò dalle cose ciò che è essenziale, e lo terrò in serbo per i momenti di necessità. E potrò anche abituarmi meglio alla mia partenza se con diverse, piccole azioni mi renderò sempre più conto di questo distacco, di modo che 1'“ultima fine” non giunga come un colpo troppo pesante: liquidando lettere, carte e vecchie cose che stanno in giro nei cassetti della mia scrivania. Penso però che Mischa sarà giudicato inabile. Devo andare a dormire prima, altrimenti ho sonno di giorno e questo non va. Prima che Lizzy parta per il Drenthe devo vedere di metter le mani sulla lettera del nostro soldato tedesco kasher, per conservarla come document humain. Dopo la grandissima, schiacciante disperazione del primo momento, quella storia ha preso molte pieghe singolari. La vita è così curiosa e sorprendente e infinitamente piena di sfumature, a ogni curva del suo cammino si apre una vista del tutto diversa. La maggior parte delle persone ha nella propria testa delle idee stereotipate su questa vita, dobbiamo nel nostro intimo liberarci di tutto, di ogni idea esistente, parola d'ordine, sicurezza; dobbiamo avere il coraggio di abbandonare tutto, ogni norma e appiglio convenzionale, dobbiamo osare il gran salto nel cosmo, e allora, allora sì che la vita diventa infinitamente ricca e abbondante, anche nei suoi più profondi dolori. Vorrei poter avere letto tutto di Rilke, prima che arrivi il giorno in cui forse non potrò più leggere, per molto tempo. M'immedesimo molto intensamente nel piccolo gruppo di persone che ho conosciuto per caso da Werner e Liesl, e che la prossima settimana sarà deportato per lavorare in Germania sotto la sorveglianza della polizia. Stanotte ho sognato che dovevo preparare la valigia. Era una notte inquieta, soprattutto le scarpe mi facevano male. Come si doveva fare con la biancheria e il cibo per tre giorni e le coperte, tutto in una valigia o in uno zaino? Però rimarrà ancora posto per la Bibbia in un angolino. E se possibile per Il libro d'ore, e per le Lettere a un giovane poeta di Rilke. E mi piacerebbe tanto portare con me i vocabolarietti russi e L'idiota, per non perdere l'esercizio della lingua. Questo mi può naturalmente succedere - e sarà un caso molto curioso - se io dichiaro alla nostra registrazione: insegnante di lingua russa: sarà un caso unico e le

conseguenze non si possono prevedere facilmente. Dio sa per quali vani giri finirò ancora per andare in Russia, una volta che abbiano messo le mani sulla mia conoscenza delle lingue e del resto. Più tardi nel pomeriggio Forse sarò autorizzata a portare un paio dei miei quaderni; vorrei averli solo per le citazioni e per verificare se sono rimasta fedele a me stessa. Vorrei poi mettere nero su bianco queste parole tratte dal Malte: “... era suo compito vedere in quell'orrore apparentemente soltanto ripugnante ciò che è, quello che conta tra tutto ciò che è. Non c'è scelta né rifiuto”. E poi ancora: “Non credere però che qui soffra di delusioni, è il contrario. Mi meraviglio a volte della facilità con cui rinuncio a tutto quello che mi aspettavo in cambio della realtà, anche se ingrata”. Le otto Ecco, ora si mette un coperchio sul chiasso di questa giornata, e questa sera, con tutta la pace e la concentrazione che sono in me, è mia. Una rosa tea gialla sta sulla mia scrivania, tra due vasetti di viole. L'ora dell'“amaro” è passata. S. chiedeva, del tutto esausto: Come resistono i Levie ogni sera, io non resisto più, mi sento a pezzi. E ora lascio dietro di me tutte le dicerie e tutte le realtà, ora si studia e si legge, per tutta una sera. E io, come sto? Nessuna delle preoccupazioni e delle minacce di questa giornata m'è rimasta attaccata, sto qui seduta alla mia scrivania così “vergine” e appena nata, così disposta a studiare, come se nel mondo non succedesse niente. Tutto m'è completamente caduto di dosso, nulla ha lasciato una traccia, mi sento così “ricettiva” come non mai. La prossima settimana probabilmente tutti gli olandesi saranno chiamati al controllo. Di minuto in minuto desideri, necessità e legami si staccano da me, sono pronta a tutto, a ogni luogo di questa terra nel quale Dio mi manderà, sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così come sono, ora. Abbiamo ricevuto in noi tutte le possibilità per sviluppare i nostri talenti, dovremo ancora imparare a far buon uso di queste nostre possibilità. È come se in ogni momento altri pesi mi cadano di dosso, come se tutti i confini che oggi ci sono tra persone e popoli non esistano più; in certi momenti è proprio come se la vita mi fosse divenuta trasparente e così anche il cuore umano, e io vedo, vedo e capisco sempre di più, e dentro di me sono sempre, sempre più in pace, e c'è in me una fiducia in Dio che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me. E ora al lavoro. Prima solo un brano tratto da Das Unbewußte im normalen und kranken Seelenleben di Jung. Un po' più tardi, tra una cosa e l'altra Mi voglio togliere questo peso dallo stomaco adesso: questa mattina gli ho detto al telefono che, ieri, Mischa è andato a fare l'ispezione medica. Sentivo che stava trattenendo il respiro per la paura e l'ho sentito dire, quasi nonostante se stesso: È meraviglioso, davvero meraviglioso. 702 Perché devo dirgli certe cose? Se Mischa viene rifiutato, sarà solo un piccolo colpo inutile in più. Anche aJaap non avrei dovuto dire nulla. Potevo sentire anche lui trattenere il respiro al telefono. Bisogna risparmiare le persone e non caricarle di quanto non sia assolutamente necessario. Le persone si danno già tanti pesi a vicenda, per tutto il giorno, con le loro paure e sospetti, e a causa degli orrori che sentono giorno dopo giorno. Certo, bisogna sapere cosa succede nel mondo, è un dovere etico, ma bisogna risparmiare, quando è possibile, le persone che ci sono vicine, le persone che amiamo e che hanno già molto da sopportare. Più tardi Quando ho incontrato la moglie del telepatico, aveva i riccioli rosso carota, ma fino a un paio di

settimane fa era ancora, a quanto pare, nera corvino, una zingara focosa. Ora aveva capelli biondorossicci, così potrà andare a nascondersi appena verranno a prenderla. Suona romantico o avventuroso, o una cosa simile. Liesl mi ha raccontato più tardi, con un'espressione quasi materna sul piccolo volto: È ancora una bambina, sai, e penso che volesse solo farsi i capelli rossi per cambiare. Perché scrivo una simile sciocchezza poco prima di andare a dormire? Probabilmente per essere in grado di richiamare alla mente quel piccolo volto, un giorno, grazie a queste poche parole, e tutti gli altri volti intorno che si raccolgono ogni sera nella stanza degli ospiti. Tutti quei volti devono ancora depositarsi da qualche parte in me, e più in là li disseppellirò. E adesso torniamo per un po' al Malte. Bernard a tavola stasera ha detto: Ora si comincia a vedere qualcosa sul volto delle persone per strada, vi si può leggere la miseria. Mercoledì mattina [8 luglio 1942] La sua voce al telefono stamattina presto suonava ancora più vibrante e carezzevole del solito. A un certo punto, ha detto: Ho riletto attentamente la sua ultima lettera, la lettera del diario. Lei è una meravigliosa tontolona. Io ho ribattuto: Quello che ho scritto non potrei riscriverlo adesso, è già diventato leggenda. Invecchiamo di così tanti anni ogni giorno; ora che qualcosa è successo solo qualche settimana fa, può sembrare successo da un secolo. Sì, ma può ritornare, ha detto lui. E ha senz'altro ragione, quel conoscitore della natura umana. Mischa è stato rifiutato per il Drenthe e Jaap cercherà di essere assunto come infermiere nell'Ospedale israelitico. Stanotte quegli alberi stavano dietro la mia finestra come cipressi in una notte tropicale. Forse non sarà botanicamente del tutto corretto, ma è stata una notte da favola. Oggi devo fare un'ora di lezione, tra un po', al mio sentimentale indio-occidentale. Devo battere a macchina un paio di brevi brani, alle dodici farò una rapida passeggiata con lui lungo la nostra riva e poi andrò da Jaap: dopo di che il resto del giorno sarà tutto per me. Che possa essere produttivo; la mia voglia di studiare è più grande che mai. Potrei stringere le braccia attorno a questo giorno piovoso e coccolarlo a morte. Di sera Gli occhi di Tide fanno la guardia sul suo viso come soldati e si rifiutano di guardare altrove. C'è stato di nuovo quell'improvviso cambiamento, quasi chimico, nella mia circolazione, un cambiamento che sembra doversi compiere da un momento all'altro. Devo solo andare a letto; non resta molto dei miei progetti di studio. Sono i momenti in cui, in passato, mi sarei sentita sprofondare gentilmente in un canale fangoso, il che mi sembrava la più grande liberazione possibile. Il mio ciclo mestruale viene preceduto o da una grande irrequietezza, un fuoco d'artificio nel pensiero, oppure da un terribile malessere e letargia. Lasciamo che sia così, e ora a letto. Giovedì mattina [9 luglio 1942], le nove e mezzo Parole come Dio e Morte e Dolore ed Eternità si devono dimenticare di nuovo. Si deve diventare un'altra volta così semplici e senza parole come il grano che cresce, o la pioggia che cade. Si deve semplicemente essere. E io, sono io già abbastanza avanti da poter dire sinceramente: spero di andare al campo di lavoro, per poter essere di appoggio alle ragazzine di sedici anni che ci vanno anche loro? Per rassicurare i genitori rimasti indietro: non siate inquieti, io vigilerò sui vostri figli. Quando dico che fuggire o nascondersi non ha il minimo senso, che non ci sono scappatoie e che val meglio rimaner con gli altri e cercare di essere per loro quel che ancora siamo in grado di essere, sembra che io sia molto, troppo rassegnata - sembra che il mio atteggiamento sia del tutto diverso

da come l'intendo io. Ancora non ho trovato il tono giusto per spiegare questo mio sentimento intatto e gioioso, in cui sono compresi tutti i dolori e tutte le passioni. Parlo ancora con un tono filosofico e libresco, come se mi fossi inventata una teoria consolatoria per rendermi più piacevole la vita. Per il momento farei meglio a tacere, e a essere. Venerdì mattina [10 luglio 1942] Una volta è un Hitler; un'altra è Ivan il Terribile, per quanto mi riguarda; in un secolo è l'Inquisizione e in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si porta, sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima. Più tardi Io penso e penso, e mi rompo la testa, e provo a risolvere le preoccupazioni minacciose di ogni giorno nel minor tempo possibile - ho un groppo dentro che mi affatica il respiro, debbo fare i conti e darmi da fare e lasciar perdere lo studio per una parte della mattinata, cammino un po' su e giù per la camera, ho anche mal di pancia, ecc. - ed ecco che rispunta quella certezza: più tardi, se sarò sopravvissuta a tutto quanto, scriverò delle piccole storie su quei. sto tempo, e saranno come rade pennellate su un ampio, muto sfondo fatto di Dio, Vita, Morte, Dolore, Eternità. Talvolta le molte preoccupazioni ci saltano addosso come parassiti. Bene, allora bisogna grattarsi un po' e si diventa anche più brutti, ma uno deve pur toglierseli di dosso. Considererò il breve tempo in cui potrò rimanere qui come un regalo, una vacanza. In questi ultimi giorni sto percorrendo la vita come se mi portassi dentro una lastra fotografica che registra esattamente tutto, fin nei minimi dettagli. Sento che ogni cosa mi entra “dentro” con grande nitidezza di contorni. Più tardi, forse molto più tardi, svilupperò e stamperò tutte quelle immagini - quando avrò trovato il tono giusto per esprimere questo nuovo modo di sentire la vita. Tutto dovrebbe tacere finché questo nuovo tono non sia stato trovato. Ma mentre si parla - il silenzio è piuttosto una scappatoia che una soluzione - si deve cominciare a cercarlo. La transizione dal vecchio al nuovo tono la si deve poter seguire in tutti i suoi passaggi. Un giorno pesante, molto pesante. Un “destino di massa” che si deve imparare a sopportare insieme agli altri, eliminando tutti gli infantilismi personali. Chiunque si voglia salvare deve pur sapere che se non ci va lui, qualcun altro dovrà andare al suo posto. Come se importasse molto se si tratti proprio di me, o piuttosto di un altro, o di un altro ancora. È diventato ormai un “destino di massa” e si dev'essere ben chiari su questo punto. Un giorno molto pesante. Ma ogni volta so ritrovare me stessa in una preghiera - e pregare mi sarà sempre possibile, anche nello spazio più ristretto. E, neanche fosse un fagottino, io mi lego sempre più strettamente sulla schiena, e porto sempre più come una cosa mia, quel pezzetto di destino che sono in grado di sopportare: con questo fagottino già cammino per le strade. Dovrei impugnare questa sottile penna stilografica come se fosse un martello e le mie parole dovrebbero essere come tante martellate, per raccontare il nostro destino e un pezzo di storia com'è ora e non è mai stata in passato - non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all'Europa intera. Dovranno pur sopravvivere alcune persone per diventare più tardi i cronisti di questo tempo. Anch'io vorrei essere in futuro una piccola cronista. La sua bocca tremante quando ha detto: “Allora Adri e Dicky non potranno più portarmi da mangiare”. 11 luglio 1942, sabato mattina, le undici Si dovrebbe parlare delle questioni più gravi e importanti di questa vita solo quando le parole ci

vengono semplici e naturali come l'acqua che sgorga da una sorgente. E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. Su tutta la superficie terrestre si sta estendendo piano piano un unico, grande campo di prigionia e non ci sarà quasi più nessuno che potrà rimanerne fuori. È una fase che dobbiamo attraversare. Qui gli ebrei si raccontano delle belle storie: dicono che in Germania li murano vivi o li sterminano coi gas velenosi. Non è granché saggio raccontarsi storie simili, e poi, se anche questo capitasse in una forma o nell'altra, è per responsabilità nostra? Da ieri sera piove con una furia quasi infernale. Ho già vuotato un cassetto della mia scrivania. Ho ritrovato quella sua fotografia che avevo perso quasi un anno fa, ma che sapevo avrei recuperato: ed eccola lì, in fondo a un cassetto disordinato. È tipico per me: io so che certe cose, grandi o piccole, si aggiustano - anche, e soprattutto, se sono cose materiali. Non mi preoccupo mai per il domani, per esempio so che tra poco dovrò andarmene di qui e non ho la più pallida idea di dove andrò a finire, e poi, anche le mie entrate sono ben scarse in questo momento -_ma per me stessa non mi preoccupo mai, perché so che qualcosa succederà. Se si proiettano le proprie preoccupazioni sulle varie cose che devono accadere, si impedisce a queste cose di svilupparsi in modo organico. Ho una fiducia così grande: non nel senso che tutto andrà sempre bene nella mia vita esteriore, ma nel senso che anche quando le cose mi andranno male, io continuerò ad accettare questa vita come una cosa buona. Mi meraviglio di quanto io mi stia già orientando verso la prospettiva di un campo di lavoro. Ieri sera camminavo con lui lungo il canale, avevo dei comodi sandali ai piedi e d'un tratto m'è venuto da pensare: devo portarmi anche questi sandali, così potrò alternarli alle scarpe più pesanti. Che mi prende in questo momento? Una gioia così leggera, quasi scherzosa? Ieri è stato un giorno pesante, molto pesante; ho dovuto soffrire molto dentro di me, ma ho assorbito tutte le cose che mi sono precipitate addosso, e mi sento già in grado di sopportare qualcosa in più. Probabilmente questa serenità, questa pace interiore mi vengono dalla coscienza di sapermela cavare da sola ogni volta, dalla constatazione che il mio cuore non s'inaridisce per l'amarezza, che i momenti di più profonda tristezza e persino di disperazione mi lasciano tracce positive, mi rendono più forte. Non mi faccio molte illusioni su come le cose stiano veramente e rinuncio persino alla pretesa di aiutare gli altri, partirò sempre dal principio di aiutare Dio il più possibile e se questo mi riuscirà, bene, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri. Ma su questo punto non dobbiamo farci delle illusioni eroiche. Mi chiedo che cosa farei effettivamente, se mi portassi in tasca il foglio con l'ordine di partenza per la Germania, e se dovessi partire tra una settimana. Supponiamo che quel foglio mi arrivi domani: cosa farei? Comincerei col non dir niente a nessuno, mi ritirerei nel cantuccio più silenzioso della casa e mi raccoglierei in me stessa, cercando di radunare tutte le mie forze da ogni angolo di anima e corpo. Mi farei tagliare i capelli molto corti e butterei via il mio rossetto. Cercherei di finire di leggere le lettere di Rilke. Mi farei fare dei lunghi pantaloni e una giacchetta con quella stoffa che ho ancora per un mantello d'inverno. Naturalmente vorrei ancora vedere i miei genitori e racconterei loro molte cose di me, cose consolanti - e ogni minuto libero vorrei scrivere a lui, all'uomo che - già lo so - mi farà morire di nostalgia. Certe volte mi sembra di morire sin da adesso, quando penso che dovrò lasciarlo e che non saprò più niente di lui. Tra qualche giorno andrò dal dentista per farmi otturare tutti quei buchi nei denti: sarebbe proprio grottesco che mi venisse mal di denti. Mi procurerò uno zaino e porterò con me lo stretto necessario, poco, ma tutto di buona qualità. Mi porterò una Bibbia e quei due libretti sottili, le Lettere a un giovane poeta e, in qualche angolino dello zaino, riuscirò a farci stare Il libro d'ore? Non mi porto ritratti di persone care, ma alle ampie pareti del mio io interiore voglio appendere le immagini dei molti visi e gesti che ho raccolto, e quelle rimarranno sempre con me. Anche queste due mani vengono con me, con le loro dita espressive che sono come giovani rami robusti. Spesso saranno congiunte in una preghiera e mi proteggeranno; e staranno con me fino alla fine. E così questi occhi scuri col loro sguardo buono, dolce e indagatore. E se i tratti del mio viso diventeranno brutti e sconvolti dalla sofferenza e dal lavoro eccessivi, allora tutta la vita del mio spirito potrà concentrarsi negli occhi. Eccetera, eccetera.

Naturalmente si tratta di un semplice stato d'animo, uno dei tanti che si provano in queste nuove circostanze. Ma è anche un pezzo di me stessa, una possibilità che ho. Una parte di me che sta prendendo sempre più il sopravvento. Del resto: un essere umano è poi solo un essere umano. Già ora abituo il mio cuore ad andare avanti, anche quando sarò separata da coloro senza cui non credo che potrei vivere. Il mio distacco esteriore aumenta di giorno in giorno per far posto a un sentimento interiore - la volontà di continuare a vivere e a sentirsi legati per quanto lontani si possa essere gli uni dagli altri. Eppure quando cammino con lui, la mano nella mano, lungo il canale - che ieri sera aveva un aspetto autunnale e tempestoso -, o quando, nella sua cameretta, mi scaldo ai suoi gesti buoni e generosi, allora provo di nuovo questa speranza e questo desiderio così umani: perché non potremmo rimanere insieme? Il resto non avrebbe più importanza, allora, io non voglio lasciarlo. Ma altre volte penso fra me: forse è più facile pregare da lontano che veder soffrire da vicino. In questo mondo sconvolto, le comunicazioni dirette tra due persone passano ormai solo per l'anima. Esteriormente si è scaraventati lontano, e i sentieri che ci collegano rimangono sepolti sotto le macerie, cosicché in molti casi non potremo mai più ritrovarli. La prosecuzione ininterrotta di un contatto, di una vita in comune è possibile solo interiormente, e non rimane forse la speranza di ri trovarci ancora su questa terra? Naturalmente io non so come reagirò quando mi toccherà lasciarlo per davvero. In questo momento ho ancora nelle orecchie la sua voce di stamattina al telefono, e stasera ceniamo alla stessa tavola. E domattina facciamo una passeggiata, poi pranziamo insieme da Liesl e Werner e di pomeriggio si farà musica. Per ora lui è sempre qui. E forse, nel profondo del mio cuore, io non credo neppure che dovrò lasciare né lui né altre persone. Un essere umano è poi solo un essere umano. In questa nuova situazione dovremo imparare un'altra volta a conoscere noi stessi. Molte persone mi rimproverano per la mia indifferenza e passività e dicono che mi arrendo così, senza combattere. Dicono che chiunque possa sfuggire alle loro grinfie deve provare a farlo, che questo è un dovere, che devo far qualcosa per me. Ma questo conto non torna. In questo momento, ognuno si dà da fare per salvare se stesso: ma un certo numero di persone - un numero persino molto alto - non deve partire comunque? Il buffo è che non mi sento nelle loro grinfie, sia che io rimanga qui, sia che io venga deportata. Trovo tutti questi ragionamenti così convenzionali e primitivi e non li sopporto più, non mi sento nelle grinfie di nessuno, mi sento soltanto nelle braccia di Dio per dirla con enfasi; e sia che ora io mi trovi qui, a questa scrivania terribilmente cara e familiare, o fra un mese in una nuda camera del ghetto o fors'anche in un campo di lavoro sorvegliato dalle SS, nelle braccia di Dio credo che mi sentirò sempre. Forse mi potranno ridurre a pezzi fisicamente, ma di più non mi potranno fare. E forse cadrò in preda alla disperazione e soffrirò privazioni che non mi sono mai potuta immaginare, neppure nelle mie più vane fantasie. Ma anche questo è poca cosa, se paragonato a un'infinita vastità, e fede in Dio, e capacità di vivere interiormente. Può anche darsi che io sottovaluti tutto quanto. Ogni giorno vivo nell'eventualità che la dura sorte toccata a molti, a troppi, tocchi anche alla mia piccola persona, da un momento all'altro. Mi rendo conto di tutto fin nei minimi dettagli, credo che nel mio “confrontarmi” interiore con le cose io stia saldamente piantata sulla terra più dura della realtà più dura. E la mia accettazione non è rassegnazione, o mancanza di volontà: c'è ancora spazio per l'elementare sdegno morale contro un regime che tratta così gli esseri umani. Ma le cose che ci accadono sono troppo grandi, troppo diaboliche perché si possa reagire con un rancore e con un'amarezza personali. Sarebbe una reazione così puerile, non proporzionata alla “fatalità” di questi avvenimenti. Spesso la gente si agita quando dico: non fa poi molta differenza se tocca partire a me o a un altro, ciò che conta è che migliaia di persone debbano partire. Non è che io voglia buttarmi fra le braccia della morte con un sorriso rassegnato. È il senso dell'ineluttabile e la sua accettazione, la coscienza che in ultima istanza non ci possono togliere nulla. Non è che io voglia partire a ogni costo, per una sorta di masochismo, o che desideri essere strappata via dal fondamento stesso della mia esistenza ma dubito che mi sentirei bene se mi fosse risparmiato ciò che tanti devono invece subire. Mi si dice: una persona come te ha il dovere di mettersi in salvo, hai tanto da fare nella vita, hai ancora

tanto da dare. Ma quel poco o molto che ho da dare lo posso dare comunque, che sia qui, in una piccola cerchia di amici, o altrove, in un campo di concentramento. E mi sembra una curiosa sopravvalutazione di se stessi, quella di ritenersi troppo preziosi per condividere con gli altri un “destino di massa”. Se Dio decide che io abbia tanto da fare, bene, allora lo farò, dopo esser passata per tutte le esperienze per cui possono passare anche gli altri. E il valore della mia persona risulterà appunto da come saprò comportarmi nella nuova situazione. E se non potrò sopravvivere, allora si vedrà chi sono da come morirò. Non si tratta più di tenersi fuori da una determinata situazione, costi quel che costi, ma di come ci si comporta e si continua a vivere in qualunque situazione. Le cose che devo ragionevolmente fare, le farò. I miei reni sono ancora infiammati e anche la mia vescica al piede non è kasher, mi farò rilasciare un certificato medico se sarà possibile. Mi si raccomanda infatti di cercarmi ancora un posto, una specie d'impiego presso il Consiglio Ebraico. La settimana scorsa sono stati autorizzati a impiegare 180 persone e ora i disperati vi si accalcano in massa: proprio come un pezzo di legno che dopo un naufragio va alla deriva sull'oceano infinito, un relitto a cui tutti i naufraghi tentano ancora di aggrapparsi. Ma trovo assurdo e illogico prendere delle iniziative. Né sono il tipo che sfrutta le sue buone relazioni. Del resto, sembra che vi si combinino parecchi intrighi, e il risentimento contro quel singolare organo di mediazione cresce di ora in ora. Inoltre: più tardi toccherà anche a loro. È vero che gli inglesi a quel punto potrebbero essere sbarcati: così dicono coloro che conservano una speranza politica. Ma credo che si debba rinunciare a qualunque aspettativa che punti sul mondo esterno, che non si debba far calcoli sulla durata del tempo, ecc. ecc. E ora apparecchio la tavola. Grazie a Dio, un altro allievo ha disdetto la lezione, quindi l'intero pomeriggio è di nuovo tutto per me, come il resto della sera, dopo le otto. Spero di riuscire a continuare la lettura del libro di Schubart e di continuare a studiare Jung. E poi dovrò ancora trovare il giusto tono per rispondere alla lettera dell'eccitata Leonie, che trovo molto commovente in determinati punti, ma insopportabilmente esagerata in altri e - diciamolo pure - sgraziata e rumorosa. Benché scriva nei suoi appunti per S. di aver scoperto in se stessa la Pace con la P maiuscola, quella lettera suona ancora tanto rumorosa alle mie orecchie. Dobbiamo di nuovo dimenticare tutte le nostre grandi parole, cominciando con Dio e finendo con Morte, e dobbiamo tornare a essere tanto semplici quanto pura acqua di sorgente. Soprattutto, un po' meno eloquenti. Ma che ci si può fare, se lei si sente un po' come un Profeta? Preghiera della domenica mattina [12 luglio 1942] Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l'oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani - ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarTi affinché Tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che Tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali ma anch'esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la Tua responsabilità, più tardi sarai Tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare Te, difendere fino all'ultimo la Tua casa in noi. Esistono persone che all'ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d'argento - invece di salvare Te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: non prenderanno proprio me. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle Tue braccia. Comincio a sentirmi un po' più tranquilla, mio Dio, dopo questa

conversazione con Te. Discorrerò con Te molto spesso, d'ora innanzi, e in questo modo Ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per Te e a esserTi fedele e non Ti caccerò via dal mio territorio. Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma sono piuttosto le mille piccole preoccupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a mordermi come altrettanti parassiti. Be', allora mi gratto disperatamente per un po' e ripeto ogni giorno: per oggi sei a posto, le pareti protettive di una casa ospitale ti scivolano sulle spalle come un abito che hai portato spesso, e che ti è diventato familiare, anche di cibo ce n'è a sufficienza per oggi, e il tuo letto con le sue bianche lenzuola e con le sue calde coperte è ancora lì, pronto per la notte - e dunque, oggi non hai il diritto di perdere neanche un atomo della tua energia in piccole preoccupazioni materiali. Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un'altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso futuro. Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle bufere di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt'intorno alla Tua casa, mio Dio. Vedi come Ti tratto bene. Non Ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma Ti porto persino, in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino profumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti. Voglio che Tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora Ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza. Non posso garantirTi niente a priori, ma le mie intenzioni sono ottime, lo vedi bene. E ora mi dedico a questa giornata. Mi troverò fra molta gente, le tristi voci e le minacce mi assedieranno di nuovo, come altrettanti soldati nemici assediano una fortezza inespugnabile. 14 luglio [1942], martedì sera Prima che ciò che ha scritto svanisca, lo ricopio qui, prendendo in mano, per così dire, ogni singola lettera: Sono le 9.55. Ho appena tirato su la cornetta del telefono, ma invece del solito suono familiare e piacevole, si ode un cupo silenzio! È triste, e anch'io sono triste, triste da morire: mi sento come se stessi condividendo tutto il dolore, tutta la sofferenza, tutta l'angoscia di migliaia di persone! Mi sarebbe piaciuto udire ancora una volta la tua cara voce, così tenera e sonora, a me così infinitamente familiare, e ricordo ancora quell'annotazione nel tuo diario che tanto mi ha commosso. Sai, sento un gran peso sul cuore, eppure tutto è così soave e così traboccante d'amore e... (questo posso dirglielo anche domani, ora non riesco). Buona notte. Il servizio di staffetta ariano funzionava meravigliosamente tra un rastrellamento e l'altro. Stamattina gli ho scritto, tra le altre cose: “Il mio padiglione auricolare è vuoto e desolato, non potendo udire di mattina la tua voce vibrante e affettuosa”. E ho aggiunto: “Ti porto dentro di me come il mio bambino mai nato, ma non ti porto in grembo, bensì nel cuore, ed è anche un posto più rispettabile”. Ogni giorno è fatto di cento giorni e ogni giorno s'invecchia di dieci anni, fate un po' il conto. L'inferno di Dante al confronto è una frivola operetta. È riuscito a chiamarmi da un telefono nelle vicinanze, oggi pomeriggio, e mi ha detto, tra l'altro: “Questa sera dobbiamo pregare intensamente”. E nel pomeriggio ho consegnato in fretta uno scarabocchio a Gera che recitava: “Adesso dobbiamo pregare a ogni istante, non solo questa sera. È come se qualcosa in me si fosse consolidato in una inesausta preghiera, come se continuasse a pregare in me, anche quando rido, anche quando scherzo. E poi: c'è tanta fiducia in me”.

E ho scritto ancora oggi a casa: “Un saluto veloce da Jaap e me con la notizia che siamo sopravvissuti a questo giorno, il che si può certo definire un colpo di fortuna. E ve lo ripeto per l'ennesima volta: per me non dovete preoccuparvi mai, in qualunque situazione mi venga a trovare. Posseggo per predisposizione una sorta di fiducia divina e illimitata, in me stessa, che mi fa sentire protetta in ogni circostanza”. Gli occhiali da aviatore del piccolo Weyl. Eppure stasera sono, malgrado tutto, corsa da lui. Proprio come se non ci fossimo visti per dieci anni. Ci siamo saltati addosso come due cuccioli impazziti. Il viso era tanto affaticato, quasi ascetico e insieme giovanile. Voglio rimanere con lui, sì, lo voglio davvero. Non si può più volere nulla. Da qualche parte ho ancora una così grande fiducia in me stessa. Non per me personalmente, nel senso che finisca bene per me, ma semplicemente per un senso di resa. Stanotte in un sogno ho avuto all'improvviso la sensazione di essere un rocchetto di filo che viene lentamente srotolato. E questo simboleggia, per così dire, il gesto che si apre sempre più e si protende sempre oltre, con il quale mi impegno a concedermi a tutto ciò che viene. Ognuno deve vivere con lo stile suo. Io non so farmi avanti per garantirmi quella che può sembrare la mia salvezza, mi pare una cosa assurda e divento irrequieta e infelice. Quella lettera in cui faccio domanda al Consiglio Ebraico, scritta su insistenza di Jaap, per un po' mi ha fatto perdere l'equilibrio - lieto e insieme serissimo - che avevo oggi. Quasi fosse un'azione indegna - questo star tutti addosso a quell'unico pezzetto di legno che va alla deriva sull'oceano infinito dopo il naufragio, questo salvare il salvabile, spingersi a forza di gomiti, provocare l'annegamento altrui, tutto così indegno; e poi, questo spingere non mi piace. Io appartengo piuttosto al genere di persone che preferiscono galleggiare ancora un po' sull'oceano, stese sul dorso e con gli occhi rivolti al cielo, finché - con un gesto rassegnato e devoto - vanno a fondo per sempre. Io non posso fare diversamente. Le mie battaglie le combatto dentro di me, contro i miei propri demoni; ma combattere in mezzo a migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho neppure paura, non so, mi sento così tranquilla, talvolta mi sembra di trovarmi in alto sui merli del palazzo della storia e di far correre lo sguardo su territori lontani. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. So tutto quel che capita e la mia testa rimane lucida. Talvolta è come se sul mio cuore venisse sparso uno strato di cenere. O come se sotto i miei occhi il mio viso appassisse e si dissolvesse, e nei suoi lineamenti grigi i secoli si inabissassero uno dopo l'altro, e tutto si disfacesse, e il mio cuore lasciasse andare tutto. Sono solo brevi momenti, dopo di che ritrovo ogni cosa e la mia testa ridiventa lucida, e sono di nuovo in grado di sopportare benissimo questo pezzo di storia. Una volta che si comincia a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un'unica, lunga passeggiata. Com'è singolare tutto ciò. Riesco a capire un pezzetto di storia e di umanità ma per ora preferisco non scrivere, avrei l'impressione che ogni parola sbiadirebbe e invecchierebbe all'istante, come se la parola nuova capace di sostituire quella vecchia abbia ancora da nascere. Se io fossi in grado di registrare molte cose che penso e che sento e che talvolta mi si chiariscono in un baleno - cose che riguardano questa vita, gli uomini, e Dio -, sono sicura che ne potrebbe venir fuori qualcosa di molto bello. Continuerò ad aver pazienza e lascerò maturare ogni cosa dentro di me. Mi sembra che si esageri nel temere per il nostro povero corpo. Lo spirito viene dimenticato, s'accartoccia e avvizzisce in qualche angolino. Viviamo in modo sbagliato, senza dignità e anche senza coscienza storica. Con un vero senso della storia si può anche soccombere. Io non odio nessuno, non sono amareggiata. Una volta che l'amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito. Se sapessero come sento e come penso, molte persone mi considererebbero una pazza che vive fuori dalla realtà. Invece vivo proprio nella realtà che ogni giorno porta con sé. L'uomo occidentale non accetta il “dolore” come parte di questa vita: per questo non riesce mai a cavarne fuori delle forze positive. Bisogna che cerchi quelle due o tre frasi che avevo già trascritto da una lettera di Rathenau. Eccola qui. Ecco cosa mi mancherà: qui basta che allunghi una mano, e subito ritrovo le parole e i frammenti di cui il mio spirito ha bisogno in un determinato momento.

Bisogna invece che abbia tutto in me stessa. Si deve anche essere capaci di vivere senza libri e senza niente. Esisterà pur sempre un pezzetto di cielo da poter guardare, e abbastanza spazio dentro di me per congiungere le mani in una preghiera. Ecco la preghiera: “Ogni violenza nel mondo ha delle conseguenze, come ogni azione. Esistiamo per prendere su di noi un po' del dolore del mondo offrendo il nostro petto, non per moltiplicarlo, facendo a nostra volta violenza. “So che lei soffre, e io soffro con lei. Sia indulgente con questo dolore, ed esso sarà indulgente con lei. I desideri e la collera lo accrescono; con la dolcezza esso si addormenta come un bambino”. Ora sono le undici e mezzo di sera. Weyl si allaccia lo zaino troppo, troppo pesante per la sua gracile schiena, e si avvia a piedi alla stazione centrale. Io l'accompagno. Stanotte non si dovrebbe poter chiudere occhio, si dovrebbe soltanto poter pregare. Mercoledì mattina [15 luglio 1942] Non devo aver pregato abbastanza bene stanotte. Quando ho letto il suo biglietto stamattina, qualcosa s'è spezzato, qualcosa m'è traboccato dentro. Stavo occupandomi della tavola per la colazione e di colpo dovetti congiungere le mani e chinare profondamente il capo e lacrime che avevo tenute dentro a lungo m'inondarono il cuore, e in me c'era così tanto amore compassione dolcezza, e anche così tanta forza, che dovrà pur servire a qualcosa. Dopo aver letto le sue parole, ho vissuto un momento di una serietà e di un'intensità estreme. Sembra forse strano, ma per me queste poche parole sbiadite scarabocchiate a matita sono la prima lettera d'amore che ricevo. Ho valigie piene di cosiddette lettere d'amore, uomini diversi mi hanno scritto tante parole, appassionate e tenere, imploranti e piene di desiderio, parole con cui hanno cercato di riscaldare se stessi e me, e spesso eran fuochi di paglia. Ma le sue parole di ieri: “Sai, sento un gran peso sul cuore”, e quelle di stamattina: “Cara, voglio continuare a pregare”, sono il dono più prezioso che il mio cuore viziato abbia mai ricevuto. Malte Laurids ha scritto da qualche parte: “E adesso voglio scriverlo ancora una volta, qui; perché così l'ho più a lungo di quanto lo leggo, e ogni parola dura e ha tempo di svanire”. Adesso prendo di nuovo ciascuna sua parola nel palmo della mano e me la metto sul cuore, e le sue parole rimarranno là: Martedì sera Sono le dieci e mezzo. Sono rimasto inginocchiato fino adesso davanti alla mia seggiola e ho pregato con grande fervore nel profondo dell'animo. Ho implorato protezione e aiuto per tutte le povere creature traboccanti di paura, interiormente impreparate, che trascorrono le ultime ore nel loro rifugio. Sì, e siccome condivido la loro sofferenza, il mio cuore è così pesante e così pieno di amore, vorrei accoglierli tutti in me e consolarli, come sa consolare una madre! È stato così bello vederti questa sera, così all'improvviso! Mi sei diventata talmente cara, e proprio questa sera sentivo tanta nostalgia di te! Ieri sera ho dimenticato di darti la menta che avevo comprato per te dal venditore di cioccolato. Cara, voglio continuare a pregare! Di sera No, non credo che andrò a fondo. Oggi pomeriggio ho passato un momento di grandissima disperazione e tristezza - non per le cose che succedono ma semplicemente per me stessa, al pensiero di lasciarlo solo: non ero neppure triste per la nostalgia che sentirò di lui, ma per quella che lui sentirà di me. E solo un paio di giorni fa avevo pensato che non mi sarebbe più potuto succedere niente se avessi ricevuto l'ordine di partenza - tanto, ormai, avevo già vissuto e sofferto anticipatamente ogni cosa. Oggi, invece, mi sono resa conto che tutto mi può pesare anche più di prima. È stato molto duro. Ti sono stata un po' infedele, mio Dio, ma soltanto un po'. Ogni tanto

questi momenti di disperazione, quasi di temporanea estinzione, fanno bene: una pace ininterrotta sarebbe quasi sovrumana. Ora so di nuovo che saprò superare ogni momento di disperazione. Oggi pomeriggio non avrei potuto immaginare che stasera sarei stata seduta, così tranquilla e concentrata, a questa scrivania: tutto in me s'era spento, non sapevo più pensare coerentemente, era una profonda, terribile tristezza. E poi le mille piccole preoccupazioni, i piedi che fanno male dopo mezz'ora di cammino, il mal di testa che può crescere al punto da farmi scoppiare, ecc. ecc. Ora è tutto passato. So che sarò spesso a pezzi, che molte volte ancora stramazzerò, distrutta, su questa terra di Dio. Ma con la mia tenacia riuscirò sempre a rialzarmi - anche se oggi pomeriggio ho attraversato una fase di indurimento e di ottundimento spirituale, e ho visto come potrei ridurmi dopo esser vissuta per anni in una situazione disperata. Ora però la mia testa è limpida come non mai. Domani devo parlare con lui del nostro atteggiamento verso il destino che ci tocca - devo proprio! Mi hanno portato le lettere di Rilke, 1907-1914 e 1914-1921, spero di fare in tempo a leggerle tutte. E anche Schubert m'è arrivato. È stata Jopie a portarmi tutto quanto. E, come un altro san Martino, s'è sfilata il suo golf di pura lana di pecora che ripara tanto bene dalla pioggia e dal freddo: così ho già qualcosa da mettermi per il viaggio. E chissà che non riesca a far stare tra le mie coperte i due volumi dell'Idiota e i vocabolarietti Langenscheidt? Sarei disposta a portarmi un po' meno da mangiare per farci stare quei libri. Meno coperte non è possibile, già così patisco mortalmente il freddo. Oggi pomeriggio ho trovato lo zaino di Hans in corridoio: l'ho provato di nascosto, non era del tutto pieno ma anche così era troppo pesante per me. Del resto, sono nelle mani di Dio. E lo è anche il mio corpo con tutti i suoi piccoli dolori. Quando mi ritroverò a terra distrutta e stordita, bisognerà che in un qualche angolino di me stessa io sappia che mi rialzerò un'altra volta, altrimenti sarò perduta. Vado per una strada e ho una guida per percorrerla. Ogni volta ritrovo la mia memoria e allora so, meglio che mai, come debbo comportarmi - o piuttosto, so che lo saprò, in ogni circostanza. “Cara, voglio continuare a pregare”. Gli voglio così bene. E anche oggi mi chiedo se non sia più facile pregare da lontano e continuare a vivere interiormente insieme con lui, che vederlo soffrire da vicino. Sarà come sarà, il mio unico rischio è che il mio cuore si spezzi per l'amore che provo per lui. Ora voglio leggere ancora un po'. Quando prego, non prego mai per me stessa, prego sempre per gli altri, oppure dialogo in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me, che per comodità io chiamo “Dio”. Non so, trovo così infantile che si preghi per ottenere qualcosa per sé. Bisogna che domani gli chieda se prega mai per se stesso, e allora vuol dire che lo farò anch'io. Mi sembra infantile anche pregare perché un altro stia bene: per un altro si può solo pregare che riesca a sopportare le difficoltà della vita. E se si prega per qualcuno, gli si manda un po' della propria forza. Per tanti, la peggior sofferenza è la totale impreparazione interiore, per cui crollano miseramente già prima di aver visto un campo di lavoro. Secondo loro, la nostra catastrofe è completa e definitiva. L'inferno di Dante è davvero un'operetta frivola al confronto. “Questo è l'inferno”: così aveva detto lui poco tempo fa, molto semplicemente e molto oggettivamente. Certe volte la mia testa si sente urlare, mugghiare, e fischiare intorno, e i cieli si stendono così bassi e minacciosi sopra di me. Eppure, di tanto in tanto, riaffiora quell'umore leggero e come danzante che non m'abbandona veramente mai e che non è umorismo macabro, perlomeno non credo. Col passare del tempo mi sono pian piano preparata a questi momenti, ora posso continuare a vivere indisturbata guardando con occhio limpido alle cose. In questi ultimi anni non mi sono solo occupata di belle lettere, alla mia scrivania. E queste cose potranno ora compensare un anno e mezzo, che è stato come un'intera vita di dolore e di distruzione: sono cresciute dentro di me e io con loro, sono diventate una perenne riserva che mi aiuterà a vivere senza stentare troppo. Più tardi

Una frase tratta da una lettera di Rilke: “Così tutto viene e viene, e basta solo esserci con tutto il cuore”. Più tardi Voglio ricordarmi una cosa per i miei momenti più difficili, voglio tenerla sempre presente: Dostoevskij trascorse quattro anni di galera in Siberia avendo la Bibbia come sua unica lettura; non gli era permesso di star solo e anche l'igiene lasciava molto a desiderare. Sono le undici meno un quarto. Domani sarò tutto il giorno con lui, un dono prezioso di questi tempi: un intero giorno con l'amato, è quasi sfacciatamente tanto per una persona. Buona notte. Adesso sarà di nuovo inginocchiato di fronte alla sua sedia? Se richiamo alla mente quell'immagine - un uomo buono inginocchiato nella sua piccola stanza - qualcosa mi straripa nel cuore, e con quell'immagine chiusa in me non può più accadermi nulla di male. “Non credere che avrai molti "vantaggi psicologici" in un campo,” ha detto Werner oggi “ti formerai una "dura scorza", questa è l'unica cosa”. Una “dura scorza” non si adatta a me: rimarrò inerme e disposta a tutto. Mio Dio, come andrà a finire con me? No, non te lo chiederò in anticipo; sopporterò ogni momento, come viene, anche il più inimmaginabile, e se qualche volta tu cadrai in me, io ti risolleverò. Spero di venirne fuori insieme a te. Di nuovo, buona notte. [Giovedì] 16 luglio [1942], le nove e mezzo di sera Hai altri progetti per me, mio Dio? Riuscirò ad accettarli? Io rimango comunque pronta. Domani mi troverò nell'inferno, devo esser ben riposata per affrontare quel lavoro. Solo di oggi avrò da raccontare per un anno intero. Jaap e Loopuit, il vecchio amico, che diceva: Non posso certo permettere che Etty sia trascinata nel D [renthe]. Io dicevo a Jaap, dopo che Leo de Wolff ci aveva di nuovo fatto risparmiare un'attesa di ore: Più tardi dovrò far molto per gli altri, per ripagare tutto ciò. Non è lecito, non è giusto che questo capiti nella nostra società. Liesl ha detto con molto spirito: Sei appunto la vittima del favoritismo. In quel corridoio, in quella calca e in quell'angoscia sono riuscita ancora a leggere alcune lettere di Rilke, continuo a vivere a modo mio. Quell'angoscia mortale su tutti quei volti, mio Dio, quei volti. Ora vado a dormire. Spero di essere come un centro di tranquillità in quel manicomio. Mi alzerò presto per potermi concentrare. Mio Dio, che progetti hai in serbo per me? Quell'ordine di partenza non mi era veramente entrato dentro che già, dopo un paio d'ore, non c'era più. Com'è potuto succedere così in fretta? S. aveva detto: Oggi pomeriggio ho letto il tuo diario e dopo averlo letto sapevo che non ti sarebbe successo niente. Devo fare qualcosa per Liesl e per Werner, devo proprio. Non in modo affrettato, ma con attenzione e concentrazione. E poi mettere velocemente una lettera in tasca a Loopuit. È successo un miracolo e anche questo deve essere accettato e sopportato. Le Tue vie, mio Dio, sono imperscrutabili. 19 luglio [1942], domenica sera, le dieci meno dieci Avrei tante cose da dirTi, mio Dio, ma devo andare a dormire. Sono come narcotizzata, e se non vado a letto alle dieci non sarò in grado di reggere a un'altra giornata come questa. Del resto: prima dovrò aver trovato una lingua completamente nuova, per parlare di tutto ciò che ha toccato il mio cuore in questi ultimi giorni. Non ho affatto chiuso con noi due, mio Dio, né con questo mondo. Voglio vivere ancora a lungo e voglio condividere il destino riservato a tutti noi. Questi ultimi giorni, mio Dio, questi ultimi giorni! E stanotte! S. respira proprio come cammina. Ho detto, sotto le coperte: Preghiamo insieme. No, non posso dire tutto quel che c'è stato in questi ultimi giorni, e stanotte.

Eppure sono una dei Tuoi eletti, mio Dio, perché mi concedi di prendere tanta parte a questa vita, e perché mi hai dato abbastanza forza per sopportare tutto quanto. E perché il mio cuore è anche lui in grado di sopportare sentimenti così grandi e così intensi. Stanotte alle due, quando sono finalmente salita di sopra e mi sono inginocchiata nel mezzo della camera di Dicky, quasi nuda e completamente sciolta, ho detto improvvisamente: Ho certo vissuto delle cose grandi quest'oggi e questa notte, mio Dio, Ti ringrazio perché sono in grado di sopportare tutto e perché Tu lasci che così poche cose mi passino accanto senza toccarmi. E ora a letto. 20 luglio [1942], lunedì sera, le nove e mezzo Senza pietà, senza pietà. Ma tanto più misericordiosi dobbiamo esser noi nel nostro cuore, la mia preghiera di stamattina presto non voleva dire nient'altro che questo: Mio Dio, è un periodo troppo duro per persone fragili come me. So che seguirà un periodo diverso, un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l'umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L'unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d'ora in noi stessi. In qualche modo mi sento leggera, senz'alcuna amarezza e con tanta forza e amore. Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi: verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno? Stamattina ho pregato pressappoco così. M'è venuto spontaneo d'inginocchiarmi su quella dura stuoia di cocco del bagno e le lacrime mi scorrevano sul volto. E credo che quella preghiera mi abbia dato forza per tutto il giorno. Ora leggo ancora una piccola novella. Continuerò a vivere a modo mio in tutte le circostanze, anche se devo battere a macchina mille lettere al giorno, dalle dieci di mattina alle sette di sera, e se torno a casa alle otto coi piedi rotti dal camminare e devo ancora cenare. Riuscirò sempre a trovare un'ora. Rimarrò completamente fedele a me stessa e non mi rassegnerò né mi piegherò. Potrei forse reggere a questo lavoro, se non attingessi ogni giorno a quella gran pace e chiarezza che sono in me? Sì, mio Dio, Ti sono molto fedele, in ogni circostanza, non andrò a fondo e continuo a credere nel senso profondo di questa vita; so come devo continuare a vivere e ci sono in me, e in lui, delle certezze così grandi, Ti sembrerà incomprensibile ma trovo la vita così bella e mi sento così felice. Non è meraviglioso? Non oserei dirlo a nessuno con così tante parole. 21 luglio [1942], martedì sera, le nove Oggi pomeriggio, durante quella lunga camminata per tornare a casa, quando le preoccupazioni volevano assalirmi un'altra volta e sembrava che non mi dessero più pace, mi sono detta d'un tratto: Se tu affermi di credere in Dio devi anche essere coerente, devi abbandonarti completamente e devi aver fiducia. E non devi neppure preoccuparti per l'indomani. Poi, mentre facevamo quattro passi lungo il canale - e Ti ringrazio mio Dio che questo sia ancora possibile, e mi sembra che varrebbe la pena di sgobbare tutto il giorno per stare cinque minuti con lui -, S. ha detto: Ah, quante preoccupazioni abbiamo tutti. Gli ho ripetuto: Dobbiamo essere coerenti, se abbiamo fiducia dobbiamo averla fino in fondo. Mi sembra di custodire un prezioso pezzo di vita, con tutta la responsabilità che me ne viene. Mi sento responsabile per quel grande e bel sentimento della vita che mi porto dentro, devo cercare di mantenerlo intatto in questo tempo per poterlo trasmettere a un tempo migliore. È l'unica cosa che conta e ne sono pienamente cosciente. Ci sono dei momenti in cui penso che dovrei rassegnarmi e soccombere, ma ogni volta ritrovo quel senso di responsabilità nei confronti della vita che in me va veramente tenuto vivo. Ora leggo ancora alcune lettere di Rilke e poi molto presto a letto. Fino a oggi la mia vita personale è stata infinitamente buona. In mezzo alle mille petizioni (non “urgenti”) che ho battuto a macchina, in quell'ambiente che sta a metà tra l'inferno e un manicomio, ho ancora letto un po' di Rilke e mi ha dato di nuovo così tanto, come se l'avessi letto nel ritiro della mia camera silenziosa.

“... Ma almeno ho scoperto in me stesso il gesto con cui si accosta il grande al grande, non per sbarazzarci del suo peso che è grande in tutto ciò ch'è grande, e infinito in tutto ciò ch'è incomprensibile: ma per poterlo ritrovare sempre in quel luogo elevato, dove la sua vita continua a svolgersi indipendentemente dal nostro dolore e dal nostro smarrimento, che sono così limitati al confronto”. E volevo ancora dire questo: credo di essere arrivata pian piano a quella semplicità che ho sempre desiderato. [Mercoledì] 22 luglio [1942], le otto di mattina Mio Dio, dammi forza, non solo spirituale ma anche fisica. In un momento di debolezza Ti voglio confessare sinceramente che se devo lasciare questa casa, non so proprio che fare. Però non voglio preoccuparmi in anticipo. E dunque, toglimi il peso di queste preoccupazioni: se dovessi portare anche quello, oltre a tutto il resto, dubito che sarei in grado di vivere. Sono tanto stanca oggi, in tutto il corpo, non ho molto coraggio per affrontare il lavoro di questa giornata. Non credo molto in questo lavoro, se dovesse continuare a lungo penso che diventerei completamente fiacca e rassegnata. Eppure Ti sono grata perché non mi hai permesso di rimaner seduta a questa tranquilla scrivania, ma mi hai portato in mezzo al dolore e alle preoccupazioni di questo tempo. Un idillio con Te in una stanza da studio ben protetta non sarebbe proprio tanto difficile, ora invece è importante che io Ti porti con me, intatto attraverso tutte queste vicissitudini, e che Ti rimanga fedele così come Ti ho sempre promesso. Camminando per le strade ho da riflettere molto sul Tuo mondo; “riflettere” non è la parola giusta, è piuttosto un tentativo di approfondire le cose con un nuovo organo o senso. Spesso ho la sensazione di vedere questo tempo in prospettiva, come una fase della storia di cui conosco già l'inizio e la fine e che posso inquadrare nel tutto. Sono riconoscente di non provare nessun odio o amarezza, ma di avere una così gran calma che non è rassegnazione, bensì una sorta di comprensione per questo tempo, per quanto strano ciò possa sembrare! Si deve poter capire questo tempo se si capiscono gli uomini, è infatti opera nostra. Il presente è quello che è e come tale bisogna riuscire a capirlo, malgrado lo sconcerto che si prova ogni tanto. In qualche modo io seguo la mia via interiore, che diventa sempre più semplice ed è lastricata di benevolenza e di fiducia. [Mercoledì pomeriggio, le due Il mio cuore oggi è già morto diverse volte, e di nuovo si è risvegliato. Sto prendendo commiato minuto dopo minuto e mi sto liberando del mondo esteriore. Taglio le corde che ancora mi tengono legata, carico a bordo tutto quello che può servire al mio viaggio. Siedo adesso sulla sponda di un tranquillo canale, le mie gambe pendono da un muretto di pietra e mi chiedo se il mio cuore un giorno sarà tanto stanco e consumato da non poter più volare dove vuole come un uccello libero. Nella ex Stadstimmertuin Con la vostra perseveranza guadagnerete le anime vostre. Certamente. L'uomo ha un suo ritmo proprio; in Polonia (una sorta di nome collettivo per tutto l'ignoto del futuro) sarà esattamente com'è qui]. 23 luglio [1942], giovedì sera, le nove Le mie rose rosse e gialle si sono completamente schiuse. Mentre ero là, in quell'inferno, hanno continuato silenziosamente a fiorire. Molti mi dicono: come puoi pensare ancora ai fiori, di questi tempi.

Ieri sera, dopo quella lunga camminata nella pioggia, e con quella vescica sotto il piede, sono ancora andata a cercare un carretto che vendesse fiori e così sono arrivata a casa con un gran mazzo di rose. Ed eccole lì, reali quanto tutta la miseria vissuta in un intero giorno. Nella mia vita c'è posto per tante cose. E ho così tanto posto, mio Dio. Oggi, mentre passavo per quei corridoi così affollati, ho sentito improvvisamente un gran desiderio d'inginocchiarmi sul pavimento di pietra, in mezzo a tutta quella gente. L'unico atto degno di un uomo che ci sia rimasto di questi tempi è quello d'inginocchiarci davanti a Dio. Ogni giorno imparo qualcosa sugli uomini e mi rendo sempre più conto che non si può trovare aiuto negli altri, che dobbiamo sempre più contare sulle nostre forze interiori. Il senso della vita non è soltanto la vita stessa, ha dichiarato S. una volta, lungo il canale, quando ci dicevamo che l'importante era comunque non perdere il senso della vita. Spesso mi viene da dire: c'è un gran marciume in quel posto. Ma oggi, d'un tratto, ho pensato: se dico sempre quella parola, marciume, esso finisce per propagarsi nell'atmosfera e non la rende certo migliore. La cosa più deprimente è sapere che quasi mai, nelle persone con cui lavoro, l'orizzonte interiore si amplia in seguito alle sofferenze che quest'epoca infligge. Non soffrono neppure in profondità. Odiano, e sono ciecamente ottimisti se si tratta della loro piccola persona, e sono ancora ambiziosi per il loro piccolo impiego; è una gran porcheria e ci sono dei momenti in cui mi perdo completamente d'animo e vorrei abbandonare la testa sulla macchina da scrivere e dire: non posso più andare avanti così. Ma poi vado avanti, e imparo sempre qualcosa sugli uomini. Ora sono le dieci. Dovrei andare a dormire, ma vorrei tanto leggere qualcosa. Sto ancora divinamente bene. Liesl, la piccola coraggiosa Liesl sta su fino alle tre di notte e confeziona borsette per una fabbrica. E Werner non si è tolto i vestiti per sessanta ore di seguito, sono successe molte cose strane nella nostra vita, mio Dio, da' forza a tutti noi. E soprattutto, fa' che lui stia di nuovo bene e non portarmelo via. Oggi, di colpo, la paura che lui mi venga improvvisamente a mancare. Mio Dio, ho promesso che avrei confidato in Te e ho di nuovo scacciato il mio timore e le mie preoccupazioni per lui. Sabato notte saremo insieme. Non posso essere abbastanza riconoscente che questo sia ancora possibile. Oggi è stata di nuovo una giornata molto pesante eppure sono riuscita a sopportarla, ora vorrei tanto dire qualcosa di molto bello, non so perché, qualcosa sulle rose o sul mio amore per lui. Leggerò due poesie di Rilke e poi a dormire. Sabato mi prendo un giorno libero. Lo strano è che non ho problemi fisici: niente mal di testa, mal di stomaco, ecc. A volte c'è qualche piccola avvisaglia in questo senso, ma allora mi ritiro nella mia pace interiore fintanto che il sangue non mi scorre di nuovo regolarmente nelle vene. I miei malanni dovevano avere una radice psicologica. Non è neppure una calma forzata, come molti credono, o un inizio di affaticamento. Se le stesse cose mi fossero capitate un anno fa, sarei crollata dopo tre giorni o mi sarei suicidata o avrei preso degli atteggiamenti forzatamente vivaci. Ora invece c'è un tale equilibrio e pazienza e pace e senso di prospettiva e anche una qualche intuizione sui rapporti tra le cose, non so cosa sia, ma malgrado tutto: sto molto bene, mio Dio. Sono troppo stanca per leggere adesso, domattina mi alzerò presto e me ne starò un pochino a questa scrivania. Oggi, mentre dicevamo che avremmo voluto rimanere insieme, ho di nuovo pensato: ti vedo già adesso così malandato, ti voglio tanto bene ma la cosa peggiore sarà vederti soffrire e stentare accanto a me, preferirei pregare per te da lontano. Accetterò tutto come verrà, mio Dio. Non credo molto in un aiuto dall'esterno, né ci conto - su inglesi o americani o una rivoluzione o Dio sa cosa. Non ci si può attaccare a queste cose. Quel che viene è bene. Buona notte. 24 luglio [1942], venerdì mattina, le sette e mezzo Voglio studiare intensamente per un'ora prima che cominci questa giornata, ne sento un gran bisogno e ho anche la concentrazione necessaria. Stamattina presto, quando le preoccupazioni mi hanno assalita un'altra volta, mi sono alzata. Mio

Dio, allontanale da me. Non so che farò se gli toccherà di partire per un campo, non so che strade percorrerò per lui. Una cosa è certa: dobbiamo accettare tutto dentro di noi, dobbiamo essere pronti a tutto e sapere che le “cose ultime” non possono esserci sottratte; allora, con quella pace interiore, sapremo ben compiere i passi necessari. Non dobbiamo romperci la testa e avere timore, ma pensare con calma e chiarezza. Nel momento in cui dovrò decidere, saprò che cosa fare. E adesso, Europa und die Seele des Ostens [Europa e l'anima dell'Oriente]. Un breve frammento prima di andare: “L'atrofizzarsi del senso del diritto, a partire dall'epoca dei Tartari, ha avuto anche un influsso inaspettatamente positivo, beninteso solo fra gli spiriti più illuminati della cultura russa. Aprì la via lungo la quale si comprese che l'idea di giustizia non è il supremo principio dell'etica, che al di sopra c'è l'idea di amore la quale, al di là del giusto e dell'ingiusto, della colpa e della vendetta, chiude per sempre la fonte della discordia fra gli uomini con un grande gesto di bontà che tutto perdona e tutto purifica, rendendo così possibile il regno di Dio sulla terra. Questo, che è il nucleo del cristianesimo e che, sia a quel tempo sia ai nostri giorni, ha incontrato e incontra fortissime resistenze, fu recepito più facilmente e coltivato con maggior serietà dall'élite morale russa che non dall'Occidente europeo, il quale risente della sopravvalutazione cui è andato incontro il principio di giustizia, sicché non riesce ad avanzare al di là di esso. Forse è la Provvidenza che, nei russi, abbassa la soglia del senso di giustizia, affinché - almeno in un luogo sulla terra - possa prima o poi realizzarsi la dottrina di Cristo circa il primato dell'amore”. Ecco, le mie rose sono sempre lì. Porterò a Jaap quella mezza libbra di burro. Sono molto stanca. Sono in grado di sopportare questo tempo presente, lo capisco persino un poco. Se sopravviverò a questo tempo e se allora dirò: la vita è bella e ricca di significato, bisognerà pur credermi. Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani, liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile. Stasera usciamo insieme e ceniamo al Café de Paris, sembra quasi grottesco; Liesl diceva: “È certo una grazia che ci sia concesso di sopportare tutto questo”. Liesl è una gran donna, è veramente una gran donna, più tardi mi piacerebbe descriverla. Sì, ce la caveremo. 25 luglio [1942], sabato mattina, le nove Ho cominciato la giornata in modo stupido: parlando della “situazione”. Come se esistessero parole adatte. Questo dono prezioso, questo giorno libero che ho, devo impiegarlo bene - e non mettermi a parlare, e a turbare le persone intorno a me. Stamattina voglio nutrire un pochino il mio spirito recalcitrante, noto che ho sempre più bisogno di dargli del materiale di studio difficile da elaborare. Quest'ultima settimana è stata proprio una grande conferma di me stessa. In quel manicomio io ascolto la mia voce interiore, e tiro dritto per la mia strada. Circa cento persone discutono in un piccolo ambiente, le macchine da scrivere ticchettano, ma io sono seduta in un angolino e leggo Rilke. Ieri abbiamo improvvisamente traslocato a metà mattinata, tavoli e sedie ci venivano portati via, altra gente aspettava e sognava di entrare, tutti davano ordini e contrordini, anche per la sedia più insignificante, ma Etty era seduta in un angolo su quello sporco pavimento, tra la sua macchina da scrivere e il suo pacchetto di panini, e leggeva Rilke. In quel luogo io mi do le mie norme di comportamento e vado e vengo a parer mio. In mezzo a quel caos e a quella miseria vivo talmente con un ritmo mio che a ogni istante, mentre batto a macchina quelle lettere, posso rituffarmi nelle cose che trovo importanti. Non è un isolarmi dal dolore che ho intorno, non è neppure una forma di apatia. Sopporto e custodisco tutto dentro di me, ma tiro dritto per la mia strada. Ieri è stato un giorno pazzo, un giorno in cui il mio umorismo quasi diabolico è tornato a galla, in cui improvvisamente mi sono sentita di nuovo come un bambino birichino. Dio, fa' solo che io non finisca nello stesso campo con i miei colleghi. Più tardi scriverò cento satire su di loro.

E poi, in questa vita restano tante possibilità curiose: ieri sera abbiamo mangiato una passera di mare fritta, una cosa indimenticabile sia per il prezzo che per la qualità. E oggi pomeriggio alle cinque mi trasferisco a casa sua e ci rimango fino a domattina. Leggeremo e scriveremo un po' e staremo insieme per una sera, una notte e una colazione. Sì, una cosa del genere è ancora possibile. Da ieri mi sento di nuovo così forte e lieta e così senza timore, neppure per lui. Libera da ogni preoccupazione. Mi stanno venendo dei gran muscoli alle gambe a forza di camminare. Forse finirò per attraversare davvero la Russia, una volta o l'altra? S. dice: È il momento di mettere in pratica il detto: ama i tuoi nemici. E se lo diciamo noi, bisognerà pur credere che sia possibile... Voglio ancora copiare una cosa di Rilke che ieri mi aveva colpita: riguarda anche me, come tante cose sue. “... Per carattere nutro un'inclinazione molto forte, quasi appassionata a donare, in qualsiasi forma: sin da bambino la mia gioia più impetuosa è sempre consistita nel non tenere nulla per me, ma nel donare tutto cominciando da ciò che mi era più caro. So che questa gioia, lungi dall'essere bontà, è piuttosto una sorta di debolezza, di avidità sentimentale quasi. Affinché ne risulti una virtù, devo trovare la forza di raccogliere tutto il mio donare in una cosa sola, pesante, faticosa: nel lavoro...”. In me c'è un silenzio sempre più profondo. Lo lambiscono tante parole, che stancano perché non riescono a esprimere nulla. Bisogna sempre più risparmiare le parole inutili per poter trovare quelle poche che ci sono necessarie. E questa nuova forma d'espressione deve maturare nel silenzio. Ora sono le nove e mezzo. Rimarrò a questa scrivania fino a mezzogiorno; petali di rosa sono sparsi fra i miei libri. Una rosa gialla s'è schiusa completamente e mi fissa, grande e spalancata. Queste due ore e mezzo che ho davanti mi sembrano quasi un anno d'isolamento. Sono così riconoscente per queste poche ore e anche per la concentrazione che mi sta crescendo dentro. Più tardi Un giorno troverò le parole per le cose che voglio esprimere; per ora le prendo in prestito ancora da Rainer Maria. “... che in fondo le decisioni non esistono. Questo è vero. Perché, quando dentro di noi una cosa procede con tanta naturalezza dall'altra, senza alcuna forzatura, ecco che non resta spazio per una decisione. La catena si srotola, anello dopo anello, e l'uno è infilato nell'altro, con una chiusura leggera e tuttavia fissa, mobile eppur in un legame infinito”. Più tardi “Forse perché mi trovo in quei momenti di transizione che mi insegnano a negare il dato di fatto della bruttezza (così come, analogamente, del suo opposto: la bellezza), per restituirmi, con il tempo, tutto più nuovo, più giusto, più anonimo”. Più tardi In Jung trovo una definizione di “normale”: “Normale è per l'appunto quella persona che, pur vedendo ridotta al minimo la possibilità di vivere a causa di svariate circostanze, è comunque in grado di sopravvivere”. 27 luglio 1942, lunedì mattina, le otto Bisogna essere sempre disposti a rivedere la propria vita, a ricominciare tutto daccapo in un luogo diverso. Sono viziata e indisciplinata. Forse voglio ancora godermi troppo la vita, in tutte le esperienze che faccio. Nello stato d'animo in cui mi trovo da ieri sera, non posso che dire a me stessa: in fondo sei molto ingrata. Ci sono state tante cose buone in questo fine settimana. Tante cose che potrebbero nutrirmi per giorni, anche se non dovessero toccarmi altro che disgrazie. Ho uno spirito ben poco collegiale verso quelle signorine dattilografe. Trovo che il nostro lavoro è

stupido e assurdo e cerco di schivarlo il più possibile. Sono così scontenta e triste e irrequieta stamattina presto come non lo ero da tempo e non si tratta in questo caso del “grande dolore”, ma di piccole scontentezze personali e del mio disadattamento. E sono tanto triste che tutte le cose buone e preziose di questo fine settimana siano morte e sepolte per colpa di una piccolezza; perché una dattilografa un tantino volgare che vuol fare da padrona mi dice alle cinque di pomeriggio, quando cerco di andarmene alla chetichella: eh no, non puoi andar via adesso, c'è ancora da battere a macchina quel prontuario, è molto poco riguardoso da parte tua. E siccome con la mia macchina si possono battere solo cinque copie alla volta e ce ne volevano dieci, ho dovuto battere tutto due volte. Ma tu vuoi tanto andare dai tuoi amici e hai male alla schiena e ogni cellula del tuo corpo si ribella. Hai un atteggiamento sbagliato. Devi pensare che è proprio grazie a quel lavoro che puoi rimanere ad Amsterdam, vicino a coloro che ti sono cari. E te la passi già abbastanza bene. Ieri pomeriggio mi sono resa conto di quanto quell'insieme sia tetro, sconfortante, indegno e senza sbocchi: “Chiedo cortesemente di essere esonerato dal servizio di lavoro in Germania, perché lavoro già qui con impegno per la Wehrmacht e sono insostituibile”. È sconfortante. Eppure io sostengo che se noi non opponiamo a tutto ciò un'alternativa forte e luminosa con cui si possa ricominciar daccapo in un luogo del tutto diverso, allora siamo perduti, definitivamente e per sempre. Saprò ben riscoprire l'accesso a questa nuova, radiosa sorgente. Sono stanca e depressa. Ho ancora una mezz'oretta e potrei scrivere per giorni, fintanto che non mi sia liberata da tutto ciò che all'improvviso mi angoscia. Ma ora devo andare: dovrò percorrere molte gallerie sotterranee strette e buie, per ritrovarmi d'un tratto in un luogo aperto e luminoso. Ieri pomeriggio mi trovavo in un corridoio stretto e affollato, dove per un'ora e mezzo ho aspettato Werner: ero seduta su uno sgabello contro il muro, la gente mi veniva addosso da tutte le parti, tenevo il libro di Rilke sulle ginocchia e leggevo. Leggevo per davvero, con la massima concentrazione, ci ho trovato delle cose che mi sarebbero potute bastare per parecchi giorni e le ho subito copiate. Più tardi, nel piccolo spiazzo dietro il nostro ufficio, ho trovato un bidone della spazzatura al sole, mi sono seduta là e ho letto Rilke. E sabato sera: l'anello della nostra relazione si è chiuso, così semplicemente e così naturalmente. Come se di notte non mi avesse mai ricoperta nient'altro che la sua coperta a fiori. E poi ci sono ancora i canali lungo cui cammino, e che imprimo via via di più in me stessa in modo da averli sempre con me. E può una semplice ora di lavoro in più - sia pure di lavoro stupido e insopportabile - privarti di tutto ciò e annullare ogni cosa? Le mie paure sono più profonde e credo che potrei anche rintracciarle, ma ora non ho tempo. Voglio ancora trascrivere questo: “Mi capita spesso di domandarmi se la realizzazione ha davvero a che fare con i desideri. Certo, quando il desiderio è debole, è come una metà che, per essere qualcosa di autonomo, necessita della realizzazione, la quale funge appunto da seconda metà. Ma i desideri possono crescere meravigliosamente, sino a diventare qualcosa di intero, di compiuto, di integro, che non necessita di completamento, che cresce, prende forma e si riempie attingendo esclusivamente da se stesso. Talvolta verrebbe da pensare che proprio questa doveva esser stata la causa della grandezza e dell'intensità di una vita, l'aver accondisceso a desideri troppo grandi, che dall'interno, quasi fossero spinti da un meccanismo a scatto, si gettavano fuori nella vita, azione dopo azione, effetto dopo effetto, non sapendo nemmeno più qual era in origine la loro meta e tramutandosi, in modo puramente elementare, alla stregua di un'impetuosa cascata d'acqua, in esistenza immediata, in lieto coraggio, così come gli eventi e le occasioni li mettevano in circolo”. Tra poco camminerò di nuovo lungo tutti quei canali, cercherò di tacere, di dare ascolto a ciò che è realmente capitato dentro di me. Dovrà trasformarmi ancora molto, oggi. Ancora una cosa: credo proprio di avere una specie di regolatore interno. Un malumore mi avverte ogni volta che ho preso la strada sbagliata, e se continuo a essere onesta e aperta, se conservo la mia volontà di diventare quella che dovrò essere e di fare ciò che la mia coscienza mi prescrive, in tempi come questi, allora andrà tutto a posto. Credo che la vita pretenda molto da me e che mi riservi anche molto, ma devo saper ascoltare la mia voce interiore, devo rimanere onesta e aperta, e non sfuggire a quel sentimento.

Di sera, le dieci e mezzo “Essere fiduciosi e pronti”. Ora vado a occuparmi del mio zaino. Oggi, in un solo giorno ho vissuto anni di torpore. Ho attraversato anni di un prolungato processo d'intorpidimento. Il pensiero del suicidio è di colpo emerso, ancora una volta, da profondità nascoste, ma poi è scomparso. Ero tanto oppressa dalla tristezza, stamattina, che pensavo che non avrei mai più conosciuto la felicità. Ma c'è sempre una forza che d'un tratto s'innalza gorgogliando da sorgenti nascoste e m'insegna che sono ancora molto lontana dalla fine. Oh, se si potesse far volare il proprio cuore, come un libero uccello, attraverso tutto ciò che accade! Quello che più mi spaventa è il torpore e tutte le persone con cui dovrò stare. Eppure deve esserci qualcuno che sopravviverà e potrà testimoniare che Dio è vissuto anche in questi nostri tempi. E perché non dovrei essere io quel testimone? Non si deve ragionare in giorni ma in anni. Oggi c'è stato un momento in cui ho pensato di aver raggiunto la fine delle mie forze, è stato un giorno che conteneva anni. Ma adesso so che non devo cedere durante un giorno simile, per quanto duro possa essere. Devo contare gli anni di una vita dura. E cercare di sopportarla, sforzandomi di salvare un pezzetto di Dio. E tuttavia penserò spesso di aver raggiunto la fine delle mie energie, me ne sono accorta oggi. Avverto di nuovo dentro di me una sicurezza e una forza incredibilmente grandi. E la sensazione di essere pronta a qualunque cosa. Ho chiamato Hesje per chiederle se poteva procurarmi uno zaino. E il dentista. Eccetera. Ed è probabile che il mio destino sarà quello di andare da sola, non assieme a qualcun altro in un'ultima follia. Se i suoi figli metà ariani non lo aiuteranno e lui dovrà partire prima di me, andrò con lui volontariamente, ma non vorrei che lui venisse con me se venisse prima il mio turno, per quanto sia grata per le sue parole di oggi pomeriggio, quando ha detto di volermi accompagnare. Ho la sensazione di dover essere parsimoniosa con ogni parola che dico. Dovrei dire solo le parole più essenziali. Come se dovessi immagazzinare dentro di me ogni cosa cara e preziosa, in modo da riuscir più facilmente a portarmi dietro un intero mondo inalienabile. Di' soltanto quello che è assolutamente essenziale e per il resto cerca di essere sempre più concentrata su te stessa. Ora che veniamo quasi frantumati dai movimenti dei nostri tempi, tempi che forse un giorno potremo chiamare grandi, ciò che conta davvero è innalzare Dio, come un vessillo, al di sopra delle mille paure, delle oppressioni e dello sconforto di ogni giorno. Stamattina sapevo che avrei dovuto subire molte “trasformazioni”; sono stata “trasformata” di nuovo. Ancora una volta gioia e leggerezza e risolutezza insieme alla completa resa. E adesso devo andare a letto. Domani, mentre mi occuperò di tutte quelle lettere, spero di avere la possibilità di andare avanti un bel po' con Jung. Dovrò “accettare”, in nome di Dio, che il lavoro che faccio è monotono e che vengo maltrattata da ragazze d'ufficio alquanto primitive e vanitose, con la passione per l'organizzazione; tra una cosa e l'altra, comunque, mi rimane tanto tempo a disposizione: quindi devo cercare di impiegarlo bene, invece di sentirmi triste in una sorta di rabbia impotente. Ora sono serena. Vorrei davvero che lui rimanesse qui piuttosto che venire con me. Odierei vederlo soffrirmi accanto; anche se lui, con un unico sguardo, scambiato tra chissà quali sofferenze, potrebbe darmi nuova energia e sostenermi per lungo tempo. Lo chiuderò dentro di me, al sicuro, e lo porterò con me, per poter essere con lui ogni volta che voglio. Signore, sarà così duro, ma adesso che ho di nuovo sconfitto questo giorno dopo un inizio tormentoso, e sono seduta a questa scrivania, quasi fiduciosa e quasi felice, so che non sono ancora alla fine delle mie forze. Ho cominciato a rileggere i miei diari, e devo dire che mi sono piuttosto vergognata delle molte sciocchezze da scolaretta che ho scritto. Le volevo stracciare tutte. Ma poi ho pensato che dovrei conservare i diari comunque, come tramite per entrare in contatto con la vecchia me stessa, un giorno. Certo, è possibile che mi colga un grande torpore. Ne ho fatto esperienza oggi, e so quanto fa male. Ma forse ci saranno momenti in cui la vita è gentile con noi, e perciò sarà possibile risvegliare la propria vita interiore. Forse muore qualcosa anche là, non lo so; sulla base di come

stavo oggi, è indubbio. E i miei scarabocchi potranno forse restituirmi qualcosa di me stessa. Oggi sono stata da sola con lui per dieci minuti, e quei dieci minuti valevano l'intera giornata. Ma avevo già recuperato forza e fiducia andando da lui. Il suo volto mosso e sofferente al pensiero che forse avrei dovuto lasciarlo molto presto; il suo gesto forte e feroce: “Non può lasciarmi. Deve restarmi accanto”. So che più in là dovrò sopportare la sua solitudine e la sua desolazione, e la mia. E poi c'è Han, che sta invecchiando molto, sempre più, ogni giorno che passa. E i miei genitori, i miei piccoli genitori. Ma so che me la caverò, mio Dio. Ti ringrazio per avermi resa così “capace di resistere”. E adesso, buona notte. Più tardi Passiamo ad altro; oggi ho imparato una cosa importante: dovunque ci troveremo, dobbiamo esserci con tutto il nostro cuore. Se il cuore è altrove, non saremo capaci di dare abbastanza alla comunità a cui apparteniamo e quella comunità ne diventerà più povera. Che si tratti di impiegate carrieriste o Dio sa cosa, bisogna esserci con tutto il cuore e si potrà trovare qualcosa anche in loro. 28 luglio (1942], , martedì mattina, le sette e mezzo Lascerò che la catena di questa giornata si svolga anello dopo anello, io stessa non ci metterò mano ma avrò fiducia. Lascerò a Te le Tue decisioni, mio Dio. Stamattina ho trovato uno stampato nella cassetta per le lettere e ho intravisto un foglio bianco. Ero molto tranquilla, ho pensato: il mio ordine di partenza, peccato, ora non ho neanche più il tempo di preparare lo zaino. Dopo un po' mi sono resa conto che le mie ginocchia tremavano. Era un formulario per il personale del Consiglio Ebraico. Per ora non ho neanche un numero d'identificazione. Farò quei pochi passi che ritengo di dover fare, magari dovrò aspettare a lungo, mi porterò Jung e Rilke, spero di poter lavorare molto, oggi. E se, in futuro, non sarò più in grado di ricordare tante immagini, mi rimarranno sempre questi ultimi due anni, e risplenderanno all'orizzonte della mia memoria come un bellissimo paese, che una volta era la mia patria e che è sempre ancora mio. La giornata di ieri mi ha dato tanto coraggio, ho capito che Dio rinnova sempre le mie forze. Mille fili mi legano ancora qui. Dovrò strapparli a uno a uno e caricare tutto a bordo, così non lascerò indietro niente quando dovrò partire, porterò tutto dentro di me. Ci sono dei momenti in cui mi sento come un uccellino nascosto in una grande mano protettiva. Ancora alcune parole di Rilke: “... non temevo la durezza di quegli anni di tirocinio: il mio cuore anela a essere martellato e levigato: purché sia la mia durezza, quella che mi appartiene, e non, come per tanti anni durante l'infanzia e l'adolescenza, un'inutile crudeltà, dalla quale non mi fu dato di imparare nulla. (O magari ho anche imparato qualcosa... ma perdendo tali e tante energie)”. Ieri il mio cuore era come un uccello preso in trappola, ora è di nuovo libero e vola indisturbato dappertutto. Oggi c'è il sole. Preparo i miei panini e mi metto in cammino. L'una e mezzo di pomeriggio, al suo tavolino Dio, mio Dio, non mi farai certo andare via finché lui è malato. Adesso respira tranquillo nella piccola stanza qui accanto, sotto la sua coperta dai fiori tenui. Il dottore dice che il pericolo di una polmonite è passato. Un quarto d'ora dopo Adesso che vedo il suo caro volto sorridente con la barba incolta, l'angoscia più profonda è passata. Non puoi andartene, ha detto. Non vado ancora via. Dio non mi farà andare via un giorno prima del

necessario. Il mio numero di identificazione l'ho ricevuto in fretta, e ho chiesto un permesso per il dentista, ma invece di andare dal dentista, me ne sto seduta a questo tavolino. Se cammino per le strade, tengo gli occhi quasi chiusi per poter raccogliere, per così dire, tutte le immagini sempre più dentro di me. Preparerò il mio zaino e in un angolino nascosto ci sarà pure uno spazietto per l'Antico e il Nuovo Testamento. Sono pronta, per quanto si può esserlo in questi casi, mio Dio, ma Tu non mi porti ancora via da lui, vero? Non è ancora possibile, proprio no. Ogni volta che rileggo la lettera di Tide, sento dentro tante lacrime che vorrebbero scorrermi sulle guance. Adesso il mio cuore è totalmente qui, di nuovo, in queste due camerette. E anche la mia preghiera. Stamattina era con tutti quelli che incontravo sulla mia strada. Deve essere sempre là dove ci si trova casualmente. Stamattina ho camminato per tre ore e adesso posso essere un po' stanca? Non sono triste né ho paura. Avrò pazienza, un'infinita pazienza: viene messa alla prova ogni minuto, e grazie a ciò cresce di minuto in minuto. (Adesso siedo sul pavimento, accanto al suo letto, accovacciata tra due armadietti. Se sollevo lo sguardo, vedo il suo viso caro e buono. Sei ancora tanto buono con me, mio Dio) . La prossima settimana avrei voluto alloggiare qui nella camera di Dicky, ma la buona e robusta signora Nethe ha detto che era meglio di no, perché sono già stati effettuati dei rastrellamenti notturni qui nelle vicinanze. Bene, allora no. Che almeno lui resti ancora in salute e io non debba andare via, anche se dovessi vederlo solo per cinque minuti al giorno. Lui giace lì a due metri da me sotto la sua coperta fiorita: il volto cupo, invecchiato e mosso, e gli occhi trasparenti e chiari. Adesso potrei scrivergli una lettera d'amore. Durante i miei lunghi giri per la città stamattina, nei miei pensieri gli ho scritto molte lettere d'amore. Se devo andare via, non voglio che lui mi segua. Il mio cuore volerà verso di lui, da ogni luogo della terra, come un uccello alla ricerca di qualcosa, e sempre lo troverà. Mi piace tanto guardarti, ha appena detto, sarebbe bello se potessimo restare insieme e trascorrere ancora un periodo tranquillo, ma una cosa del genere è pressoché inimmaginabile. Gli ho portato rose rosse e gialle, adesso sono accanto al suo letto, e lui non le perde di vista. Di nuovo, un po' più tardi Ha appena detto di nuovo, molto deciso: Sei per metà ariana e quindi posso anche sposarti. Forse bisognerebbe fare un tentativo con i genitori scomparsi della mia mamma russa. Allora vuoi sposarmi?, ho chiesto. Sì, ma solo per vivere insieme, non un vero matrimonio. E poi ha proseguito serio: Negli ultimi giorni ho pensato che non devo legare a me persone giovani. Devo dissuadere anche Hertha dallo sposarmi. E io ho risposto: Non fa nessuna differenza comunque, posso restare in ogni caso con te. Mi infonde un tale meraviglioso coraggio: tanto calmo e serio, deciso e così pieno di una vitalità allegra e insieme matura. In questo momento più che in qualunque altro so che ho una missione in questa vita, un piccolo compito tutto per me. E dovrò affrontare ogni cosa. Sono grata che il destino non mi abbia presa in una delle sue molte grinfie - per esempio in una prigione per aver nascosto dell'argento, già, cose del genere succedono pure - così sarò trasportata dalla corrente. In futuro sarò il cronista delle nostre vicissitudini. Le comporrò in una lingua nuova e le conserverò in me stessa, se non avrò la possibilità di scriverle. Diventerò apatica e rivivrò, cadrò a terra e mi rialzerò, e forse, fra molto tempo, mi capiterà di avere intorno uno spazio tranquillo che sarà tutto mio, e allora ci rimarrò anche un anno se sarà necessario - fintanto che la vita tornerà a zampillare, e mi verranno le parole giuste per testimoniare ciò che dovrà essere testimoniato. Le quattro di pomeriggio È stata una giornata molto diversa da come me l'ero immaginata. Le otto e mezzo di sera

A parte l'aspetto “storico”, tanto per dirla freddamente, è stato un giorno di bizzarria, di dimenticanza del dovere, e di sole. Ho camminato lungo i canali come se avessi marinato la scuola, e sono stata accoccolata in un angolo della sua camera, di fronte al suo letto. Ora ci sono di nuovo cinque rose tee nel vasetto di stagno. C'è differenza fra “temprato” e “indurito”. Spesso non se ne tiene conto, oggi. Credo di diventare ogni giorno più temprata, a parte quell'indisciplinata vescica, ma indurita non lo sarò mai, e non ne sento neanche il bisogno. Tante cose cominciano a chiarirsi: per esempio, che non vorrei diventare sua moglie. Voglio darne atto molto spassionatamente e obiettivamente: la differenza d'età è troppo grande. In pochi anni ho già visto invecchiare un uomo; ora sta invecchiando anche lui. È un uomo vecchio a cui voglio bene, infinitamente bene, e con cui mi sentirò sempre legata. Ma “sposarlo”, come direbbe un bravo borghese, francamente non lo vorrei. E proprio il fatto di dover percorrere la mia strada da sola mi fa sentire così forte. Nutrita di ora in ora dell'amore che provo per lui, e per gli altri. Infinite coppie si formano all'ultimo momento, per disperazione. Preferisco esser sola e per tutti. Naturalmente, non si potrà mai più riparare al fatto che alcuni ebrei collaborino a far deportare tutti gli altri. Più tardi la storia dovrà pronunciarsi su questo punto. Rimane sempre il fatto che la vita è così “interessante”, in ogni circostanza. Provo un bisogno quasi diabolico di osservare ciò che capita. Di vedere, sentire e esserci anch'io, di rubare alla vita tutti i suoi segreti, di osservare freddamente le espressioni degli uomini nelle loro ultime convulsioni. E poi, mi ritrovo improvvisamente di fronte a me stessa e posso imparare molto dallo spettacolo offerto dalla mia anima, di questi tempi. E poi - più tardi - dovrò trovare le parole adatte per descrivere tutto quanto. Leggerò ancora i miei vecchi diari. Non credo più che li straccerò. Forse, più tardi, mi aiuteranno a riprendere contatto con me stessa. Abbiamo avuto tempo a sufficienza per prepararci agli avvenimenti catastrofici di oggi: due anni interi. E proprio l'ultimo è stato l'anno decisivo, l'anno più bello della mia vita. Sono certa che ci sarà continuità tra questa vita e quella che ora verrà. Perché è una vita che si svolge interiormente e lo scenario esteriore ha sempre meno importanza. “Temprato”: distinguerlo da “indurito”. 29 luglio [1942], mercoledì sera, le otto Ho già provato l'intera gamma delle sensazioni, sin dall'istante in cui ho aperto gli occhi. Adesso regna di nuovo la quiete. Si deve diventare ancora più semplici. Quando, sabato notte alle due, sono approdata nella camera di Dicky, dopo l'intima vicinanza sotto la coperta a fiori, ho letto ancora un po' di Rilke e ho trovato quanto segue - le parole mi venivano incontro allegre come fossero i miei più stretti familiari: “... e all'improvviso hai la sensazione di cogliere, come attraverso la trasparenza delle lacrime, la vaga idea che tu stesso, in quanto amante, hai necessità di star solo, che stai patendo un dolore, ma non un torto, quando sei sopraffatto e cinto d'assedio nel bel mezzo di un sentimento che ti precipita verso una persona amata; sì, che persino questa in apparenza suprema condivisione chiamata amore può svilupparsi integralmente e trovare in qualche misura il suo compimento, solo quando si è soli, separati; e questo, anche perché nella fusione di affetti profondi si genera una corrente di piacere che ti trascina con sé e alla fine ti abbandona da qualche parte; mentre per chi è chiuso nel suo sentimento l'amore diventa un lavoro quotidiano, che lui stesso si è imposto, e una serie di audaci e generose richieste poste di continuo agli altri. Esseri che si amano l'un l'altro a tal punto scatenano infiniti pericoli attorno a sé, ma sono al sicuro da quelle modeste occasioni di pericolo, che hanno sfilacciato e sminuzzato al loro esordio tanti grandiosi sentimenti. Poiché essi sono pronti a desiderare e a pretendere sempre il massimo l'uno per l'altro, nessuno può far torto all'altro con una limitazione, al contrario, essi incessantemente generano, l'uno per l'altro, spazio e vastità e

libertà...”. Domenica mattina ero accoccolata per terra in un angolo della sua stanza, avevo addosso la mia vestaglia a righe vivaci e rammendavo delle calze. A volte l'acqua è così limpida che si distingue ogni cosa sul fondo. Potresti dirlo in modo ancor più stomachevole, se la domanda è lecita? Volevo dir questo: era proprio come se la vita mi apparisse altrettanto chiara e trasparente nei suoi mille dettagli, nelle sue svolte e nei suoi movimenti. Come se avessi davanti un oceano e ne potessi distinguere il fondo, guardando attraverso l'acqua trasparente come cristallo. Chissà se riuscirò a scrivere per davvero, una volta o l'altra? Non sembra che lo creda molto - o mi sbaglio? Forse passerà molto tempo prima che io sia capace di descrivere un momento simile, un “momento alto” della mia vita. Sei seduta per terra, in un angolino della stanza dell'uomo amato, rammendi calze e allo stesso tempo sei seduta sulla riva di un mare immenso, e questo mare è così limpido e trasparente che puoi distinguerne il fondo. A un certo momento tu senti la vita così ed è una cosa indimenticabile. Ma ora credo proprio che mi stia venendo l'influenza o qualcosa del genere: non deve succedere, è proibito per principio! Anche le mie gambette poco allenate sono molto stanche, dopo le lunghe marce di ieri. Oggi devo procurarmi i documenti d'identità per Werner. Mi pianterò in quella stanzetta al piano di sopra con la stessa cortese fermezza che ho mostrato ieri per me stessa. È anche ora di andare dal dentista. Ci sarà molto lavoro oggi? Ora vado. Non si sa mai cosa ci possa portare un giorno; del resto non importa, non si deve dipendere da queste cose, neppure di questi tempi. Esagero forse? E se domani arrivasse il foglio bianco con l'ordine di partenza per me? Pare che le deportazioni da Amsterdam siano sospese. Ora si comincia a Rotterdam. Assistili, mio Dio, assisti gli ebrei di Rotterdam.

QUADERNO XI 15 settembre 1942 -13 ottobre 1942 15 settembre 1942, martedì mattina, le dieci e mezzo Forse è stato tutto un po' troppo, mio Dio. Sono costretta a ricordarmi che un essere umano ha anche un corpo. Avevo creduto che il mio spirito e il mio cuore potessero sopportare tutto da soli. Ma il mio corpo si fa sentire e dice: alt. Ora mi rendo conto di quanto Tu mi abbia dato da sostenere, mio Dio. Tante cose belle e tante cose difficili. E quelle difficili si sono trasformate in belle ogni volta che ero disposta a sopportarle. E certe volte è stato più difficile sopportare le cose belle e grandi che quelle dolorose, perché ne ero come sopraffatta. Pensare che un piccolo cuore umano possa provare così tanto, mio Dio, possa soffrire e amare a tal punto. Ti sono così riconoscente perché hai scelto proprio il mio cuore, di questi tempi, per fargli sopportare tutto quanto. Forse è un bene che mi sia ammalata, non ho ancora accettato questo fatto e mi sento un po' intontita e smarrita e abbandonata; ma sto anche cercando in tutti i modi di mettere insieme un po' di pazienza, sento bene che per una situazione così nuova ci vorrà una pazienza del tutto nuova. Riprenderò la vecchia, collaudata abitudine e di tanto in tanto discorrerò un pochino con me stessa su queste righine blu. Parlerò con Te, mio Dio. Posso? Poiché le persone scompaiono, non mi resta altro che il desiderio di parlare con Te. Amo così tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di Te, mio Dio. Ti cerco in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di Te. E cerco di disseppellirTi dal loro cuore, mio Dio. Ma ora avrò bisogno di molta pazienza e riflessione e sarà molto difficile. E dovrò far tutto da sola. La parte migliore e più nobile del mio amico, dell'uomo che Ti ha risvegliato in me, è già presso di Te. È solo più rimasto un vecchio consunto e infantile in quelle due camerette, là dove ho vissuto le gioie più grandi e più profonde della mia vita. Ho sostato accanto al suo letto e mi sono trovata davanti ai Tuoi massimi enigmi, mio Dio. Dammi ancora una vita intera per poter capire tutto quanto. Mentre scrivo queste cose sento che è un bene che io debba rimaner qui. D'un tratto mi rendo conto

di aver vissuto così intensamente, in due mesi ho consumato le riserve di una vita intera. Forse ho esagerato a forza di vivere interiormente? Non ho esagerato se ora ascolto il Tuo avvertimento. Di pomeriggio, le tre Ecco, l'albero è sempre lì, l'albero che potrebbe scrivere la mia biografia. Però non è più lo stesso albero - o forse sono io che non sono più la stessa persona? E a un metro dal mio letto c'è la sua libreria, basta che allunghi il braccio sinistro e ho in mano Dostoevskij o Shakespeare o Kierkegaard. Ma non lo farò, ho un gran capogiro. Mi metti davanti ai Tuoi massimi enigmi, mio Dio. Ti sono riconoscente per questo, ho anche la forza di affrontarli, di sapere che non c'è risposta. Bisogna saper sopportare i Tuoi misteri. Dovrei proprio dormire, per giorni e giorni, dovrei lasciar andare tutto quanto. Il medico diceva ieri che ho una vita interiore troppo intensa, che vivo troppo poco sulla terra, anzi, che vivo quasi ai confini col cielo, che il mio fisico non può reggere a tutto ciò. Forse ha ragione. Quest'ultimo anno e mezzo, mio Dio! E questi ultimi due mesi, che da soli sono stati come una vita intera. E non ho forse avuto delle ore di cui ho detto: se dovessi morire tra poco, quest'ora mi è valsa una vita? Ho' avuto spesso delle ore simili. E perché poi non dovrei vivere in cielo? Il cielo esiste, perché non ci si potrebbe vivere? O piuttosto: il cielo vive dentro di me. Devo pensare a un'espressione di una poesia di Rilke: “spazio interiore del mondo”. Ora devo dormire, e lasciar andare tutto. Mi gira tanto la testa. Non c'è niente che funzioni nel mio corpo. Vorrei guarire presto, ma dalle Tue mani accetto tutto come viene, mio Dio. So che è sempre un bene. Ho imparato che un peso può esser convertito in bene, se lo si sa sopportare. Vedi, ho ancora sempre lo stesso problema, non so decidermi a smettere di scrivere, all'ultimo momento vorrei ancora trovare la formula liberatoria, la parola che esprima il mio ricco, sovrabbondante sentimento della vita. Perché non mi hai fatto poeta, mio Dio? Ma sì, mi hai fatto poeta, aspetterò pazientemente che maturino le parole della mia doverosa testimonianza: cioè che vivere nel Tuo mondo è una cosa bella e buona, malgrado tutto quel che ci facciamo reciprocamente noi uomini. Il cuore pensante della baracca. Martedì notte, l'una Una volta ho scritto che volevo leggere la tua vita fino all'ultima pagina. Ora l'ho fatto. Provo una gioia così singolare, per tutto quanto, per com'è stato e perché è stato certamente un bene altrimenti non potrei sentirmi così forte, lieta e sicura. Ecco, ora riposi nelle tue due camerette, tu caro, grande, buono. Una volta ti ho scritto: “Il mio cuore volerà sempre verso di te, da ogni luogo della terra, come un uccello, e sempre ti troverà”. E un'altra volta ho scritto nel diario di Tide: “Sei diventato talmente parte del cielo che s'incurva sopra di me, che mi basta alzare gli occhi per esserti accanto. E se anche mi trovassi in una cella sotterranea, quel pezzo di cielo si stenderebbe dentro di me e il mio cuore volerebbe a lui come un uccello, ed è per questo che tutto è così semplice, sai, straordinariamente semplice e bello e ricco di significato”. Avrei ancora mille cose da chiederti e da imparare da te, ora mi toccherà far tutto da sola. Sai, mi sento così forte e sono certa che me la caverò. Sei tu che hai liberato le mie forze, tu che mi hai insegnato a pronunciare con naturalezza il nome di Dio. Sei stato l'intermediario tra Dio e me, e ora che te ne sei andato la mia strada porta direttamente a Dio e sento che è un bene. Ora sarò io l'intermediaria per tutti quelli che potrò raggiungere. Sono seduta alla mia scrivania, vicino alla mia piccola lampada. Ti ho scritto così spesso da qui, e anche ho scritto così spesso di te. Devo confessarti una cosa strana: non ho mai visto una persona morta. In questo mondo, in cui migliaia di uomini muoiono ogni giorno, io non ho mai visto un cadavere. Tide dice: È solo un “piccolo soprabito”. Lo so. Eppure mi sembra altamente significativo che proprio tu sia il primo morto che vedrò.

Oggi si pasticcia e si scherza con le cose grandi, con le cose ultime di questa vita. Molti si rendono malati, o continuano a esserlo, per paura di essere portati via. Molti addirittura si ammazzano. Sono riconoscente che la tua vita sia finita naturalmente, che anche a te sia toccato un po' di dolore da sopportare. Tide dice: questo dolore gli è stato assegnato da Dio, e così gli è stato risparmiato quello che gli avrebbero inflitto gli uomini. Tu, caro uomo viziato, probabilmente non saresti stato in grado di sopportarlo. Io sì che ne sono capace, e in questo modo continuerò la tua vita e ti trasmetterò ad altri. Quando si è arrivati al punto di sentire la vita come una cosa bella e ricca di significato, anche di questi tempi, proprio di questi tempi, allora è come se tutto ciò che avviene debba avvenire così e non altrimenti. Essere di nuovo seduta alla mia scrivania! E domani non posso tornare a Westerbork e così sarò ancora una volta con tutti gli amici, quando sotterreremo insieme i tuoi poveri resti mortali. Sai com'è, queste cose devono pur succedere, è una consuetudine igienica degli uomini. Ma saremo tutti quanti insieme e il tuo spirito sarà in mezzo a noi e Tide canterà per te, se sapessi quanto sono felice di poter esserci anch'io. Sono ritornata proprio in tempo, ho baciato ancora la tua bocca avvizzita e morente, tu hai preso ancora una volta la mia mano e l'hai portata alle tue labbra. Una volta hai detto quando sono entrata in camera tua: La ragazza viaggiatrice. Un'altra volta hai detto: Ho dei sogni così strani, ho sognato di essere battezzato da Cristo. Ho sostato con Tide accanto al tuo letto, per un momento abbiamo creduto che tu stessi morendo e che i tuoi occhi si spegnessero. Tide mi ha abbracciata, io ho baciato la sua cara, pura bocca e lei ha detto molto piano: Ci siamo trovate. Eravamo accanto al tuo letto, come saresti stato felice se ci avessi viste in quel momento, proprio noi due. Magari ci hai viste, anche se sembrava che in quell'istante tu stessi morendo. Sono pure così riconoscente che le tue ultime parole siano state: “Hertha, io spero...”. Quanto hai dovuto lottare per rimaner fedele, ma la tua fedeltà ha vinto su tutto il resto. Proprio io te l'ho resa così difficile a volte, lo so; ma è da te che ho anche imparato cosa siano la fedeltà, la lotta e la debolezza. In te c'erano tutto il male e tutto il bene che possono esserci in un uomo. I demoni, le passioni, la bontà e l'amore per gli uomini, tutto era in te, che sapevi tanto capire, che sapevi cercare e trovare Dio. Hai cercato Dio dappertutto, in ogni cuore umano che ti si è aperto - quanti ce ne sono stati -, e dappertutto hai trovato un pezzetto di lui. Non hai mai rinunciato a questo, potevi essere così impaziente nelle cose piccole, ma in quelle grandi eri così paziente, così infinitamente paziente. È stata proprio Tide a venire a dirmelo stasera, Tide, col suo viso luminoso e caro. Ci siamo sedute un momento in cucina. Nel salotto c'era Joop, il mio compagno d'armi a Westerbork. E più tardi c'era Pa Han nell'altra stanza. E Tide ha messo le mani sul tuo pianoforte e ha cantato un breve canto: Auf, auf mein Herz in Freuden [“In alto, in alto mio cuore, con gioia”]. Ora sono le due di notte e la casa è così silenziosa. Devo raccontarti una cosa strana, credo che capirai. Alla parete è appeso un tuo ritratto: vorrei farlo a pezzi e gettarlo via, e così facendo avrei la sensazione di esserti più vicina. Tu e io non ci siamo mai chiamati per nome. Per molto tempo ci siamo dati del “lei”, e solo più tardi, molto più tardi, mi hai dato del “tu”. E il tuo “tu” è stato per me una delle parole più carezzevoli che mi siano mai state dette da un uomo - e sai bene che ero abituata a sentirne tante. Firmavi sempre le tue lettere con un punto interrogativo, e così facevo anch'io. Cominciavi sempre le tue lettere con: “Hören Sie mal...” , il tuo caratteristico “Stia un po' a sentire”, la tua ultima lettera cominciava con “Carissima”. Ma per me sei senza nome, così senza nome come lo è il cielo. E vorrei metter via tutti i tuoi ritratti e non guardarli mai più, è sempre ancora troppa, troppa materia. Voglio continuare a portarti in me senza nome e ti trasmetterò ad altri in un semplice, tenero gesto che una volta non conoscevo. Mercoledì mattina [16 settembre 1942], le nove (nello studio del dottore) Spesso, a Westerbork, quando andavo in giro con quei chiassosi, litigiosi, e fin troppo attivi membri del Consiglio Ebraico, mi veniva da pensare: su, lasciatemi essere un pezzetto della vostra anima. Lasciatemi essere la baracca in cui si raccoglie la parte migliore, che esiste sicuramente in ognuno

di voi. Io non ho bisogno di fare così tanto, io voglio solo esserci. Lasciatemi essere l'anima in questo corpo. E prima o poi trovavo in ognuno di loro un gesto o uno sguardo più nobile, di cui credo fossero appena coscienti. E me ne sentivo il custode. 16 settembre, le tre di pomeriggio, mercoledì Tornerò ancora una volta in quella strada. Tre strade, un canale e un ponticello mi separavano da lui. È morto alle sette e un quarto di ieri, proprio il giorno in cui scadeva il mio permesso. Ora vado ancora una volta da lui. Poco fa ero in bagno, ho pensato: adesso vado dal mio primo morto, e la cosa, in fondo, non mi diceva nulla. Ho pensato: devo fare qualcosa di solenne, di straordinario, e mi sono inginocchiata sulla stuoia di cocco nel piccolo bagno. Ma poi ho pensato: è convenzionale. Quanto siamo pieni di convenzioni, di preconcetti sui comportamenti da tenere in determinate situazioni. A volte, inaspettatamente, qualcuno s'inginocchia in un angolino di me stessa: quando cammino per la strada o sto parlando con una persona. E quel qualcuno che s'inginocchia sono io. Ora, su quel letto così familiare, è distesa una salma. Quella coperta di cretonne! In fondo non ho nessun bisogno di tornare là. Tutto si compie da qualche parte in me stessa, tutto, in me ci sono vasti altipiani senza tempo né confini, tutto si compie lì. Ora percorrerò di nuovo quelle poche strade. Quante volte le ho percorse, anche con lui, sempre immersi in dialoghi interessanti e fruttuosi. E quante volte le percorrerò ancora, ovunque mi troverò, su quegli altipiani interiori della mia vita più profonda. Dovrei forse fare una faccia triste o solenne? Sono forse triste? Vorrei congiungere le mani e dire: ragazzi, sono così felice e riconoscente e trovo la vita così bella e ricca di significato. Proprio così, e lo dico mentre sto accanto al letto del mio amico morto prematuramente, e mentre io stessa posso essere deportata ogni momento in una terra sconosciuta. Mio Dio, Ti sono così riconoscente per tutto quanto. Continuerò a vivere con quella parte dei morti che vive in eterno e risveglierò alla vita ciò che è morto nei vivi e così non ci sarà nient'altro che vita, un'unica grande vita, mio Dio. Tide canterà ancora una volta per lui, penso con gioia al momento in cui ascolterò la testimonianza luminosa della sua voce. Joop, compagno d'armi, sono in viaggio con te. O piuttosto, ti parlo di tanto in tanto e sei molto nei miei pensieri, e sono così riconoscente di poterti trasmettere un poco di ciò che non posso fare a meno di trasmettere. È così significativo che tu sia entrato nella mia vita, non avrebbe potuto essere diversamente. Ciao. 17 settembre [1942], giovedì mattina, le otto Il sentimento che ho della vita è così intenso e grande, sereno e riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola. In me c'è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe di nuovo la sua: “riposare in se stessi”, e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo “me stessa”, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo “Dio”. Nel diario di Tide ho trovato spesso questa frase: Padre, prendilo dolcemente fra le Tue braccia. È così che mi sento, sempre e ininterrottamente: come se stessi fra le Tue braccia, mio Dio, così protetta e sicura e impregnata d'eternità. Come se ogni mio respiro fosse eterno, e la più piccola azione o parola avesse un vasto sfondo e un profondo significato. S. mi aveva scritto in una delle sue prime lettere: “E se posso trasmettere qualcosa di questa forza sovrabbondante, sono contento”. Mio Dio, è un bene che Tu abbia fatto fermare il mio corpo. Devo guarire completamente per fare ciò che devo. Ma forse, anche questa è un'idea convenzionale. Lo spirito non dovrebbe forse continuare a lavorare e a essere creativo anche quando il corpo è malato? E amare e hineinhorchen, “prestare ascolto dentro” di sé, dentro gli altri, all'interno del contesto di questa vita, e dentro Te. Hineinhorchen, vorrei trovare una buona traduzione olandese di questa

parola. In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio. E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che presta ascolto alla parte più essenziale e profonda dell'altro. Dio a Dio. Quanto sono grandi le necessità delle Tue creature terrestri, mio Dio. Ti ringrazio perché lasci che tante persone vengano a me con le loro pene: parlano tranquille e senza sospetti, e d'un tratto viene fuori tutta la loro pena, e si scopre una povera creatura disperata che non sa come vivere. E a quel punto cominciano i miei problemi. Non basta predicarTi, mio Dio, non basta disseppellirTi dai cuori altrui. Bisogna aprirTi la via, mio Dio, e per far questo bisogna essere un gran conoscitore dell'animo umano, un esperto psicologo: rapporti con padre e madre, ricordi giovanili, sogni, sensi di colpa, complessi d'inferiorità, insomma tutto quanto. In ogni persona che viene da me io mi metto a esplorare, con cautela. I miei strumenti per aprirTi la strada negli altri sono ancora ben limitati. Ma esistono già, in qualche misura: li migliorerò pian piano e con molta pazienza. E Ti ringrazio per questo dono di poter leggere negli altri. A volte le persone sono per me come case con la porta aperta. Io entro e giro per corridoi e stanze, ogni casa è arredata in modo un po' diverso ma in fondo è uguale alle altre, di ognuna si dovrebbe fare una dimora consacrata a Te, mio Dio. Ti prometto, Ti prometto che cercherò sempre di trovarTi una casa e un ricovero. In fondo è una buffa immagine: io mi metto in cammino e cerco un tetto per Te. Ci sono così tante case vuote, a loro offro Te come commensale più importante. Perdonami questa metafora non troppo sottile. E torno sempre con il mio Rilke: “Perché, davvero, anche la grandezza degli dèi dipende dalla loro precarietà, dal fatto che qualunque sia la dimora in cui li si custodisce, al sicuro lo sono soltanto nei nostri cuori”. Di sera, verso le dieci e mezzo Mio Dio, dammi pace e fammi superare ogni cosa. C'è talmente tanto. Devo mettermi una buona volta a scrivere. Ma prima devo cominciare a vivere in modo disciplinato. Ora si spegne la luce nella baracca degli uomini. Ma se non hanno neppure la luce? Dove sei stato stasera, piccolo compagno d'armi? Certe volte mi prende una gran tristezza: ora non posso più uscire dalla mia baracca e trovarmi davanti alla grande brughiera. Passeggio un pochino per il campo e non passa molto tempo che da una parte o dall'altra spunta fuori il mio compagno d'armi, con la sua faccia abbronzata e quella piega diritta e indagatrice tra gli occhi. Quando comincia a imbrunire sento da lontano le prime note della Quinta di Beethoven. Vorrei poter dominare tutto con le parole - questi due mesi tra il filo spinato che sono stati i mesi più intensi e più ricchi della mia vita e una tale conferma dei valori più importanti e più alti per me. Mi sono così affezionata a quel Westerbork e ne ho nostalgia. E là, quando mi addormentavo nella mia stretta cuccetta, avevo nostalgia della scrivania a cui sono seduta ora. Ti sono così riconoscente, mio Dio, perché in ogni luogo mi rendi la vita così bella che ne ho nostalgia quando ne sono lontana. Però, questo mi rende anche la vita pesante e difficile. Ecco, ora sono le dieci e mezzo passate, nella baracca si spegne la luce, devo andare a dormire. “La paziente deve fare vita tranquilla”, così è scritto in quel certificato piuttosto impressionante. Devo anche mangiare riso e miele e altre delizie simili. Mi viene in mente quella donna dai capelli bianchi come la neve e dal nobile viso ovale, che aveva un pacchetto di pane tostato nel suo tascapane. Era l'unica provvista che si portava nel suo viaggio in Polonia, doveva seguire una dieta molto stretta. Era infinitamente cara e calma e aveva una statura alta, da ragazza. Un pomeriggio ero seduta al sole con lei, davanti alle baracche di transito. Le avevo dato un libro della biblioteca di Spier, Die Liebe [“L'amore”] di Johannes Mùller, e le aveva fatto molto piacere. Più tardi aveva detto ad alcune ragazzine che si erano unite a noi: Ricordatevi bene che domattina presto, quando partiremo, ognuna di noi potrà piangere soltanto tre volte. E una ragazzina aveva risposto: non ho ancora ricevuto il mio tagliando per piangere. Sono circa le undici. Com'è trascorsa in fretta questa giornata, sarà meglio che vada a dormire. Domani Tide si metterà il suo tailleur grigio chiaro e canterà: Auf, auf mein Herz in Freuden nella sala del cimitero. Per la prima volta siederò in una vettura con le tendine nere. Avrei ancora tanto da scrivere, per giorni e giorni. Concedimi pazienza, mio Dio, concedimi una pazienza del tutto nuova. Questa scrivania mi è ridiventata familiare e l'albero dietro la mia finestra mi sembra che non oscilli

più. Avrai i Tuoi progetti a permettermi di stare di nuovo seduta qui, farò del mio meglio. E ora, per davvero, buona notte. Jopie, ho tanta paura che tu abbia la vita difficile e vorrei tanto aiutarti, là dove sei. E ti aiuterò. Ciao! Venerdì mattina, 18 settembre [1942] Le Tue lezioni sono dure, mio Dio, lascia che io sia la Tua buona e paziente allieva. Sento di essere uno dei molti eredi di un grande patrimonio spirituale. Ne sarò la fidata custode. Lo diffonderò al massimo delle mie possibilità. Mi scopro a fare gesti vaghi, fragili e nervosi, sento il corpo così leggero e fluttuante, ma la mia mente è tanto sicura e forte. Andrò a riordinare la mia scrivania. Devo mantenere un buon ordine anche nelle cose esterne, anzi, proprio nelle cose esterne, altrimenti tutto diventerà insostenibile per me. Se metto qualcosa da qualche parte, un minuto dopo non so dove sia finita, e poi mi costa troppo tempo ritrovarla, e quel tempo potrebbe essere dedicato a cose migliori. Farò del mio meglio e riordinerò subito la mia scrivania. 20 settembre [1942], domenica mattina, le dieci Come posso ringraziarTi, mio Dio, per tutto il bene che fai affluire in me, ininterrottamente. Per tutta l'amicizia, peri molti pensieri fecondi, per il grande amore che c'è in me e che io riesco a riversare in tutto, a ogni passo. A volte credo quasi che sia troppo, e allora non so come comportarmi, per agire bene. Del resto, sembra che grazie a quel grande amore tutto ciò che fai diventi fecondo - forse un giorno riuscirò a esprimerlo. Domenica sera Mettere in parole, suoni, immagini. Molti uomini sono ancora geroglifici per me, ma pian piano imparo a decifrarli. È la cosa più bella che conosca: leggere la vita dagli uomini. A Westerbork era come se mi trovassi davanti al nudo steccato della vita. Davanti alla sua ossatura, libera da qualsiasi costruzione esterna. Mio Dio, Ti ringrazio perché m'insegni a leggere sempre meglio. So che prima o poi dovrò scegliere, e sarà molto difficile. Se voglio veramente scrivere, se voglio provare a registrare tutto ciò che in me chiede sempre più di esser messo in parole, allora dovrò appartarmi dagli altri ben più di quanto non faccia ora. Dovrò chiudere finalmente la mia porta e mettermi a lottare contro una materia non facilmente controllabile, e sarà una battaglia dura e felice al tempo stesso. Dovrò ritirarmi da una piccola società per rivolgermi a una società più grande. Forse non si tratta neppure di questo, forse è il puro istinto poetico, il desiderio di materializzare qualcosa della propria ricchezza d'immagini, è un fatto talmente elementare che non c'è neppure bisogno di spiegarlo. A volte mi domando se io non viva troppo intensamente: io vivo, godo e consumo la vita al punto che non ne rimane più niente. Forse è necessario che un qualche resto rimanga, perché si produca la tensione che induce a creare? Io parlo molto con le persone, soprattutto ultimamente. Parlo sempre ancora in modo più espressivo e lucido di quanto non sappia scrivere. A volte penso che non dovrei sprecare le mie energie a parlare, che dovrei tirarmi indietro e proseguire la mia ricerca silenziosa sulla carta. Una parte di me lo vorrebbe, un'altra non riesce ancora a decidersi e si disperde nelle parole che dice agli altri. “E non basta neppure avere ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono molti, e bisogna avere la grande pazienza di attendere che tornino. Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che la prima parola di un verso, in un'ora rarissima, si alzi ed esca dal loro

centro”. In futuro avrò un quaderno sul quale cercherò di scrivere. È qualcosa con cui dovrò vedermela da sola, il mio fronte privato, e a volte sarà una battaglia disperata. Quel quaderno sembrerà un campo di battaglia sanguinoso, fatto di parole che lottano e combattono le une con le altre. E forse, qui e là, qualcosa s'innalzerà un giorno da quel campo di battaglia, puro come la luna, un breve racconto che a tratti veglierà su una vita inquieta come un sorriso lenitivo. “Vorrei seguirti in quel campo” ha detto Klaas, in tono greve e disperato. Stavamo alla finestra della mia cameretta, intenti a guardare tutto quel verde fuori. Era un postscriptum a un lungo pomeriggio, e in quel postscriptum era incluso l'essenziale, come spesso accade. “Nel profondo del mio cuore sono pieno di disperazione,” ha detto Klaas “c'è qualcosa che non va con la mia vita, me la trascino dietro e non riesco a venirne a capo. La questione è che non sono stato l'uomo che sarei dovuto essere e che ho sempre pensato di essere. Avrei dovuto lavorare come operaio in una fabbrica in Germania. Adesso posso dire di non lavorare per la Wehrmacht, ed è molto meglio così, ma in realtà è solo una scusa”. Io ho detto: “È esattamente la stessa cosa con quegli ebrei che si nascondono. Possono dire di farlo perché non vogliono lavorare per la Germania, ma non è affatto così eroico e rivoluzionario come sembra. In realtà si sottraggono, con una scusa altisonante, a un destino che avrebbero dovuto sopportare assieme agli altri. E ci saranno molti che, quando verranno spediti via, ritireranno fuori la stessa vecchia scusa: "Siamo indispensabili qui alla Wehrmacht, possiamo rimanere?"“. Stava lottando con molte parole, in parte con se stesso e in parte con me, dietro quella finestra. Era una scena da togliere il fiato, come in un dramma radiofonico, volendo usare i termini della sua professione. Dio, Tu mi doni sempre simili scene grandiose, mio Dio, Te ne sono così grata. Il nudo dolore spirituale, le domande ultime, mi stanno tanto spesso davanti nella loro nudità e io cerco sempre, con ogni mio senso, di captare qualcosa di quello che accade nelle Tue creature, mio Dio. Penso che questi siano tempi grandi, comunque tempi grandi, e un giorno Ti dirò perché. Incontro mattutino con K. tra le baracche, dopo l'ultimo trasporto notturno. “Siamo all'oscuro dei nessi, tutto qui”. Domanda a K.: Posso portarle qualcosa da A.? K.: Sì, può portarmi l'amore. Io: Non si può portare l'amore a qualcuno, bisogna averlo in sé. K.: Anche lei lo sa già? Ma dove lo ha imparato? Fr.: A quelli, bisogna spezzare le gambe, a tutti. Certo, lo so, lei dirà che ci sono anche tedeschi perbene. D'accordo, allora quelli li fuciliamo soltanto. E a questo qui, gli spezziamo le gambe o lo fuciliamo? Fr. generoso: Questo sarà solo fucilato. H., la mia città, possono bombardarla, raderla al suolo. Qualche settimana fa hanno trascinato via di là mia madre, 83 anni. Adesso possono raderla al suolo... Sì, noi siamo già a questo punto. K. e la mancanza di critica. Ho capito improvvisamente perché i re tenessero a corte dei giullari. Sorella Mendes da Costa del convento carmelitano con quattro nonni portoghesi. E il Padre dagli occhi non offuscati e dalle mani rozze che ha previsto la rivoluzione comunista. Non aveva lasciato il suo monastero per quindici anni. E le due suore provenienti da quella famiglia ricca, fervidamente ortodossa e altamente dotata di Breslau, con stelle sulle tonache. Tornavano con la mente ai ricordi dell'infanzia. Max, hai visto quella donna sordomuta all'ottavo mese di gravidanza col marito epilettico? Max, quante donne russe al loro nono mese sono cacciate in questo momento dalle loro case, e afferrano ancora il fucile? Il mio cuore è una chiusa che ogni volta arresta un flusso ininterrotto di dolore. Jopie nella brughiera, seduto sotto il gran cielo stellato, mentre parlavamo della nostalgia: io non ho nostalgia, io mi sento a casa. Ho imparato tanto da quel discorso. Si è “a casa”. Si è a casa sotto il cielo. Si è a casa dovunque su questa terra, se si porta tutto in noi stessi. Spesso mi sono sentita, e ancora mi sento, come una nave che ha preso a bordo un carico prezioso: le funi vengono recise e ora la nave va, libera di navigare dappertutto. Dobbiamo essere la nostra propria patria. Ci ho messo due sere per potergli confidare questa cosa così intima, la cosa più intima che ci sia. E volevo tanto dirgliela, quasi per fargli un regalo. Sai, sono uscita di notte dalla mia baracca. È stato

così bello, sai. E poi mi sono, sì mi sono... oh è stato così bello. E solo la sera seguente sono riuscita a dirglielo: mi sono inginocchiata davanti alla vasta brughiera. Lui è rimasto completamente senza fiato, in silenzio, poi ha detto: Quanto sei bella. Il dottore ha naturalmente torto. Una volta una cosa simile avrebbe potuto rendermi insicura, ora ho imparato a guardare attraverso le persone e le parole con la mia intelligenza. “Lei vive troppo con lo spirito. Lei non si lascia andare abbastanza. Lei non vive le cose elementari della vita”. Avrei quasi voluto chiedergli: Dovrei forse coricarmi con lei su questo divano? Non sarebbe sembrata un'osservazione molto sottile, ma il suo monologo andava in quella direzione. E ancora: “Lei non vive abbastanza nella realtà”. Più tardi avevo pensato: è un ragionamento sbagliato. La realtà, appunto. La realtà è che in molti luoghi di questa terra ci sono uomini e donne che non possono stare insieme. Gli uomini sono al fronte. I campi. Le prigioni. Le separazioni. Questa è la realtà che si deve affrontare. E ci si dovrebbe allora rinchiudere nei desideri inutili, e commettere il peccato di Onan? Perché non si potrebbe trasformare quell'amore che non si può scaricare sull'uno o sull'altro sesso in una forza che torni a profitto della comunità degli uomini, e che forse si potrebbe anche chiamare amore? E se ci si adopera in questo senso, non si poggia proprio sul terreno della realtà? Una realtà meno tangibile di un uomo e una donna in un letto: ma non esistono forse altri tipi di realtà? C'è qualcosa d'infantile, quasi di sottosviluppato in un ometto attempato che di questi tempi, mio Dio, proprio di questi tempi, si mette a parlare di “lasciarsi andare”. Mi piacerebbe saper raccontare in modo nitido quello che lui intendeva veramente. “L'esistenza di un punto di vista estetico che pensava di catturare la bellezza vi ha tratto in inganno e ha chiamato alla ribalta artisti che consideravano loro compito creare la bellezza. E non è inutile ripetere ancora una volta che la bellezza non si può "fare". Nessuno ha mai fatto la bellezza”. “... che tutto ciò che si può fare è creare una superficie chiusa in modo preciso e in nessun punto casuale, una superficie che, come quella delle cose in natura, è avvolta, ombreggiata, illuminata dall'atmosfera, solo questa superficie ... nient'altro. D'improvviso, al di là di tutte le grandi parole pretenziose e bizzarre, l'arte sembra collocarsi in una dimensione modesta e disadorna, nella quotidianità, nel lavoro artigianale. Perché, cos'altro significa fare una superficie? “Ma riflettiamo per un istante: non è tutto superficie ciò che abbiamo davanti a noi, che percepiamo e interpretiamo e spieghiamo? E ciò che chiamiamo spirito e anima e amore non è soltanto una lieve variazione sulla piccola superficie di un volto vicino? E chi di questo vuole offrirci la forma non deve attenersi alla tangibilità che corrisponde ai suoi mezzi, alla forma che riesce a definire e a condividere? E chi fosse capace di vedere e di porgere ogni forma non offrirebbe (quasi senza saperlo) tutto lo spirito?”. “Perché ogni felicità che abbia fatto tremare i cuori, ogni grandezza la cui idea quasi ci distrugge, ogni considerazione di ampi mutamenti ... c'è stato un momento in cui non furono nient'altro che un arricciarsi di labbra, un aggrottarsi di sopracciglia, i punti in ombra sulle fronti; e questa vibrazione attorno alla bocca, questa linea sopra le ciglia, questa oscurità su un volto ... forse esistevano già prima, esattamente così: come disegno su un animale, come scanalatura di una roccia, come incavo di un frutto...”. “Dopo la guerra, due correnti attraverseranno il mondo: una corrente di umanesimo e un'altra di odio”. Allora ho saputo di nuovo che avrei preso posizione contro quell'odio. [Martedì] 22 settembre [1942] Bisogna vivere con se stessi come con un popolo intero: allora si conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se vogliamo perdonare agli altri, dobbiamo prima perdonare a noi stessi i nostri difetti. È forse la cosa più difficile, come constato così spesso negli altri e un tempo anche in me, ora non più: sapersi perdonare per i propri difetti e per i propri errori. Il che significa anzitutto saperli generosamente accettare. Vorrei proprio vivere come i gigli del campo. Se sapessimo capire il tempo presente lo impareremmo da lui: a vivere come un giglio del campo.

Una volta ho scritto in uno dei miei diari: vorrei poter toccare con la punta delle dita i contorni di quest'epoca. Ero seduta alla mia scrivania, allora, e non sapevo bene come accostarmi alla vita perché non l'avevo ancora toccata dentro di me. Ho imparato a farlo mentre ero seduta qui. Poi, d'un tratto, sono stata scaraventata in un centro di dolore umano - su uno dei tanti, piccoli fronti di cui è disseminata l'Europa. E là - sui volti delle persone, su migliaia di gesti, piccole espressioni, vite raccontate - su tutto ciò ho improvvisamente cominciato a leggere questo tempo come un insieme compiuto, e non solo questo tempo. Avevo imparato a leggere in me stessa e così ero in grado di leggere anche negli altri. Era proprio come se le mie dita sensibili sfiorassero i contorni di questo tempo, e di questa vita. Com'è possibile che quel pezzetto di brughiera recintato dal filo spinato, dove si riversava e scorreva tanto dolore umano, sia diventato un ricordo quasi dolce? Che il mio spirito non sia diventato più tetro in quel luogo, ma più luminoso e sereno? A Westerbork ho letto un tratto del nostro tempo che non mi sembra privo di significato. Ho amato tanto la vita quand'ero seduta a questa scrivania ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti e dai miei fiori. E là, tra le baracche popolate da uomini scacciati e perseguitati, ho trovato la conferma di questo amore. La vita in quelle baracche piene di correnti d'aria non contrastava affatto con la vita in questa camera protetta e tranquilla. Non sono mai stata tagliata fuori da una vita per così dire “passata”, per me esisteva solo una grande, significativa continuità. Come potrò descrivere tutto ciò? E far sentire quanto la vita sia bella e degna di esser vissuta e giusta, sì, proprio giusta? Forse Dio mi concederà quelle poche, semplici parole? Parole che siano anche colorite, appassionate e serie, ma soprattutto semplici? Come posso rappresentarlo con poche, tenere, leggere e robuste pennellate, il piccolo villaggio di baracche tra cielo è brughiera? Come posso far sì che anche altri leggano dentro a tutte quelle persone - persone che devono esser decifrate come geroglifici, tratto dopo tratto, finché non ci si trova davanti a un unico, grande e comprensibile insieme, incorniciato da cielo e brughiera? Una cosa è certa: non potrò mai scrivere le cose come la vita le ha scritte per me, in caratteri viventi. Ho letto tutto, con i miei occhi e con tutti i miei sensi, ma non saprò mai raccontarlo allo stesso modo. Potrei anche disperarmi per questo, se non avessi imparato che dobbiamo accettare le nostre forze insufficienti, però con queste forze dobbiamo veramente lavorare. Cammino accanto agli uomini come se fossero piantagioni e osservo quant'è cresciuta la pianta dell'umanità. Sento che questa casa comincia a scivolarmi giù dalle spalle ed è un bene che sia così: il distacco si compie definitivamente, e con molta cautela e malinconia, ma anche con la certezza che è un bene e che non può essere diversamente, lascio che tutto scivoli, giorno dopo giorno. Con una camicia indosso e una nello zaino - com'era la fiaba dell'uomo senza camicia raccontata da Kormann? Un re cercava per tutto il reame la camicia del suo suddito più felice, e quando ebbe finalmente trovato quell'uomo, si scoprì che non aveva camicie - e con quella minuscola Bibbia, posso forse portarmi anche i vocabolari russi e i racconti popolari di Tolstoj, e magari ci sarà anche posto per un volumetto di lettere di Rilke. C'è anche quel maglione di pura lana di pecora, lavorato a mano da un'amica - quante cose possiedo ancora, Dio mio: e una persona come me vuol essere un giglio del campo? Dunque, con quell'unica camicia nello zaino me ne vado incontro a un “avvenire sconosciuto”. Così si dice. Ma sotto i miei piedi girovaghi non c'è forse dappertutto la stessa terra? E lo stesso cielo - ora con la luna, ora col sole, per non parlare di tutte le stelle - non si stende forse sopra i miei occhi rapiti? Perché si dovrebbe parlare di un “avvenire sconosciuto”? [Mercoledì] 23 settembre [1942] Klaas, non si combina niente con l'odio, la realtà è ben diversa da come ce la costruiamo noi. Prendi quel nostro assistente. Lo vedo spesso nei miei pensieri. La cosa che più colpisce in lui è il suo collo diritto e rigido. Odia i suoi persecutori con un odio che suppongo sia giustificato. Ma anche lui è un uomo crudele. Sarebbe un perfetto capo di un campo di concentramento. L'osservavo spesso mentre stava all'ingresso, quasi fosse là per acchiappare i suoi compagni ebrei scacciati, non era mai uno spettacolo molto consolante. Mi ricordo ancora il modo con cui aveva dato a un bambino di tre anni che piangeva due sporchi pezzetti di liquirizia: glieli aveva buttati sulla tavola di legno dicendogli

paternamente: sta' attento a non sporcarti il muso. Ripensandoci, credo si trattasse di goffaggine e di timidezza piuttosto che di malagrazia: semplicemente, non riusciva a trovare il tono giusto. Ma era anche uno dei giuristi più brillanti in Olanda e i suoi articoli così intelligenti erano formulati alla perfezione (l'uomo che si era impiccato all'ospedale: “ricordarsi di cancellarlo dallo schedario Hopla”). Ogni volta che lo vedevo girare tra la gente, con quel collo diritto, lo sguardo dispotico e la sua eterna pipetta, mi veniva da pensare: gli manca solo una frusta in mano, gli starebbe magnificamente bene. Ma non ero risentita con lui, m'interessava troppo. In certi momenti mi faceva una pena terribile. Aveva una bocca così insoddisfatta, o meglio, così infelice: era la bocca di un bambino di tre anni che non è riuscito a imporsi a sua madre. Nel frattempo lui aveva passato la trentina, era diventato un bell'uomo, noto giurista e padre di due figli: ma quella bocca da bambino insoddisfatto di tre anni gli era rimasta tale e quale, anche se naturalmente era diventata un po' più grossa col passar del tempo. A guardarlo bene, non era affatto attraente. Vedi, Klaas: quell'uomo era pieno di odio per quelli che potremmo chiamare i nostri carnefici, ma anche lui sarebbe potuto essere un perfetto carnefice e persecutore di uomini indifesi. Eppure mi faceva tanta pena. Riesci a capirci qualcosa? Non aveva mai contatti amichevoli coi suoi compagni, e se questo succedeva agli altri lui li guardava di sottecchi con un'espressione così affamata (potevo vederlo e osservarlo in continuazione, in quel luogo si vive senza muri) . Più tardi, un collega che lo conosceva da anni mi aveva raccontato alcuni particolari della sua vita. Nei primi giorni della guerra si era buttato in strada dal terzo piano ma non era riuscito ad ammazzarsi, come doveva pur essere sua intenzione. In seguito ci aveva riprovato, questa volta sotto una macchina, ma anche questo tentativo era fallito. Poi aveva trascorso qualche mese in un istituto per malattie mentali. Era paura, tutta paura. Era un giurista così brillante e acuto e nelle discussioni accademiche aveva sempre l'ultima e decisiva parola. Ma nel momento decisivo era saltato giù dalla finestra. Sua moglie doveva camminare per casa in punta di piedi e lui faceva delle scenate ai figli atterriti. Mi faceva tanta, tanta pena. Che vita è mai questa? Klaas, volevo solo dire questo: abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi, che non dovremmo neppure arrivare al punto di odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi. E non ho neppure finito quando dico che anche fra noi esistono carnefici e persone malvagie. In fondo io non credo affatto nelle cosiddette “persone malvagie”. Vorrei poter raggiungere le paure di quell'uomo e scoprirne la causa, vorrei ricacciarlo nei suoi territori interiori, Klaas, è l'unica cosa che possiamo fare di questi tempi. Allora Klaas ha fatto un gesto stanco e scoraggiato e ha detto: Ma quel che vuoi tu richiede tanto tempo, e ce l'abbiamo forse? Ho risposto: Ma a quel che vuoi tu si lavora da duemila anni della nostra èra cristiana, senza contare le molte migliaia di anni in cui esisteva già un'umanità - e che cosa pensi del risultato, se la domanda è lecita? E con la solita passione, anche se cominciavo a trovarmi noiosa perché finisco sempre per ripetere le stesse cose, ho detto: È proprio l'unica possibilità che abbiamo, Klaas, non vedo altre alternative, ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò per cui ritiene di dover distruggere gli altri. E convinciamoci che ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancora più inospitale. E Klaas, vecchio e arrabbiato militante di classe, ha replicato sorpreso e sconcertato insieme: Sì, ma... ma questo sarebbe di nuovo cristianesimo! E io, divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma: Certo, cristianesimo - e perché poi no? Che io possa rimanere sana e forte! Quella baracca talvolta al chiaro di luna, fatta d'argento e d'eternità: come un giocattolino sfuggito alla mano distratta di Dio. [Giovedì] 24 settembre [1942] “Almeno abbiamo una consolazione,” diceva Max col suo sogghigno un po' aspro e goffo “laggiù la

neve è talmente alta d'inverno che copre le finestrine delle baracche, così farà buio anche di giorno”. Si trovava persino spiritoso: “Ma almeno avremo un buon calduccio, non andrà mai sotto zero. E nell'officina ci hanno messo due stufe” continuava con entusiasmo. “Quelli che ce le hanno portate raccontavano che si accendono così bene che scoppiano dopo la prima volta”. Potremo condividere tante cose quest'inverno: se sapremo aiutarci reciprocamente a sopportare il freddo, il buio, la fame. E se capiremo che ci toccherà sopportare tutto ciò insieme con l'umanità intera, anche coi nostri cosiddetti nemici; e se ci sentiremo inseriti in un tutto e sapremo di essere uno dei tanti fronti sparsi per tutta la terra. Avremo una baracca di legno sotto il cielo, con letti che provengono dalla linea Maginot, tre cuccette una sull'altra e niente luce, perché da Parigi continuano a non mandare quel cavo. E quand'anche ci fosse la luce, manca comunque la carta per oscurare le finestre Ho interrotto tutto nel bel mezzo ed è di nuovo sera. Oggi il mio corpo si è comportato in modo odioso. Sotto la mia lampada d'acciaio c'è un ciclamino rosso-rosa. Stasera sono stata molto con S. Ho sentito improvvisamente un principio di tristezza, anche questo fa parte della vita. Eppure Ti sono così riconoscente, mio Dio, sono persino quasi fiera che Tu non mi nasconda i tuoi ultimi, i Tuoi massimi enigmi. Potrò pensarci una vita intera. Ma stasera avevo di colpo tante cose da chiedergli, anche su di lui, tante cose che non mi erano chiare. Ora dovrò trovare le risposte da sola. È una grande responsabilità, ma devo dire che mi sento capace di assumerla. Strano che quando trillerà il telefono non sarà mai più la sua voce con quel mezzo imperioso, mezzo tenero: “Stia un po' a sentire...”. Sarà ben difficile, di tanto in tanto. Da quanto tempo non ho più visto Tide. Il mio arricchimento di questi ultimi giorni: gli uccelli del cielo e i gigli del campo e Matteo, 6, 33: “Ma cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in sovrappiù”. Domani un appuntamento con Ru Cohen al Café de Paris; sull'Adama van Scheltemaplein c'erano cinque persone in camicia da notte e pantofole, e comincia a fare così freddo; hanno anche portato via una persona ammalata di cancro all'ultimo stadio, e ieri sera hanno ucciso un ebreo nella Van Baerlestraat, cioè appena girato l'angolo da qui, perché voleva fuggire. Tanti uomini vengono uccisi dappertutto, mentre io sto scrivendo vicino al mio ciclamino rosso-rosa, e alla lampada d'acciaio della mia scrivania. Intanto il mio braccio sinistro riposa sulla piccola Bibbia aperta, ho mal di testa e mal di pancia, e in fondo al mio cuore ci sono quei soleggiati giorni estivi nella brughiera, e quel campo giallo di lupini che arrivava fino alla baracca di disinfestazione. Non è passato neppure un mese, era il 27 agosto a mezzanotte, da quando Joop mi aveva scritto: “Eccomi di nuovo seduto con le gambe che penzolano fuori dalla finestra, ad ascoltare l'immenso silenzio. Il campo di lupini, ora senza i suoi colori esultanti, è immerso nella luce violenta e confortante della luna. Tutto è di una solennità e di una pace che mi rendono muto e serio. Salto giù dalla finestra, faccio pochi passi sulla sabbia soffice e guardo la luna”. E poi finisce quella lettera notturna, scritta con la sua calligrafia compatta e fitta su una brutta carta: “Capisco che si possa dire: qui si può solo fare un gesto: inginocchiarsi. No, non l'ho fatto, non lo trovo necessario, mi sono inginocchiato stando seduto sulla finestra e poi sono andato a dormire”. È così singolare che quell'uomo sia improvvisamente, quasi silenziosamente comparso nella mia vita, vivo e vivificante, mentre il grande amico, l'ostetrico della mia anima, soffriva nel suo letto e ridiventava bambino. In un momento difficile come questo mi chiedo che intenzioni hai nei miei confronti, mio Dio. Forse dipende dalle mie intenzioni verso di Te? Improvvisamente, tutte le pene notturne e le solitudini di un'umanità sofferente attraversano il mio piccolo cuore e lo addolorano. Quante pene voglio prendere su di me quest'inverno? Più tardi viaggerò per i paesi del Tuo mondo, mio Dio, io lo sento in me, questo istinto che passa i confini, che sa scoprire un fondo comune nelle varie creature in lotta fra loro su tutta la terra. E vorrei parlare di questo fondo comune, con voce sommessa e dolcissima e insieme persuasiva e ininterrotta. Dammi le parole e dammi la forza. Ma prima voglio trovarmi al fronte, tra gli uomini sofferenti - e poi avrò pur il diritto di parlare? Ogni volta è come una piccola ondata di calore, anche dopo i momenti più difficili: la vita è davvero bella. È un sentimento inspiegabile, che non può

fondarsi sulla realtà in cui viviamo. Ma non esistono forse altre realtà, oltre a quella che si trova sui giornali e nei discorsi vuoti e infiammati di uomini intimoriti? Esiste anche la realtà del ciclamino rosso-rosa e del grande orizzonte, che si può sempre scoprire dietro il chiasso e la confusione di questo tempo. Dammi un piccolo verso al giorno, mio Dio, e se non potrò sempre scriverlo perché non ci sarà più carta e perché mancherà la luce, allora lo dirò piano, alla sera, al Tuo gran cielo. Ma dammi un piccolo verso di tanto in tanto. [Venerdì] 25 settembre [1942], le undici di sera Tide mi ha raccontato di un'amica, che dopo la morte del marito le aveva detto: “Dio mi ha messo in una classe superiore, i banchi sono ancora un po' troppo grandi”. E quando abbiamo parlato del fatto che lui non c'era più e che tutt'e due, stranamente, non sentivamo nessun vuoto, anzi una tale pienezza, Tide si è stretta un momento nelle spalle e ha detto con un sorrisino coraggioso: sì, i banchi sono ancora un po' troppo grandi, ogni tanto è un po' difficile. Matteo, 5, 23: Se tu dunque stai presentando la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24: lascia la tua offerta davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con tuo fratello; poi, torna a presentare la tua offerta. È già successo che galeoni carichi di tesori naufragassero nell'oceano. L'umanità ha sempre provato a ripescare questi tesori sommersi. Nel mio cuore sono già naufragati tanti galeoni e per tutta la vita cercherò di riportare alla superficie una parte dei tesori che ora giacciono sul fondo. Non possiedo ancora gli strumenti adatti. Dovrò fabbricarli dal nulla. Trotterellavo accanto a Ru, e dopo una lunga conversazione che toccava di nuovo tutte le “questioni ultime”, mi sono improvvisamente fermata nel mezzo di quella stretta e banale Govert Flinckstraat e gli ho detto: E poi, Ru, io ho una qualità così infantile, che ogni volta mi fa trovare bella la vita e che forse mi aiuta a sopportare tutto così bene. Ru mi ha guardata pieno di aspettativa e io ho detto come se fosse la cosa più naturale del mondo - non è forse così?: Sì, vedi, io credo in Dio. Sembrava un po' sconcertato, mi ha guardata in viso come se cercasse qualcosa di misterioso, ma poi credo che fosse molto contento per me. Forse è per questo che mi sono sentita così raggiante e forte per il resto della giornata? Perché ho detto così di getto, così semplicemente, in mezzo a quel grigio quartiere popolare: Sì, vedi, io credo in Dio. È un bene che io sia rimasta qui per qualche settimana. Tornerò laggiù rinnovata e rinvigorita. Non ho avuto un vero senso comunitario, ho fatto troppo i miei comodi. Certo che avrei potuto andare a trovare quei vecchi Bodenheimer, invece di sbrigarmela col pretesto che tanto non potevo fare niente per loro. E così ci sono altre cose in cui ho mancato. Ho cercato troppo il mio piacere. C'erano due occhi in cui guardavo troppo volentieri, alla sera, nella brughiera. Era molto bello ma ho mancato in tanti modi. Anche verso le ragazze della mia camerata. Di tanto in tanto buttavo loro qualche briciola di me stessa e poi scappavo di nuovo via. Non era ben fatto. Però sono riconoscente che sia stato così e sono anche riconoscente di poter riparare al mal fatto. Credo che ritornerò laggiù più seria e concentrata e meno alla ricerca del mio piacere. Se si vuole influire moralmente sugli altri, bisogna cominciare a prender sul serio la propria morale. Io saltello qua e là con Dio come se fosse una cosa da nulla, ma dovrei vivere conformemente. Non ci siamo ancora, non ci siamo proprio ancora, a volte mi comporto come se fosse già tutto risolto. Sono frivola e faccio i miei comodi, spesso vivo le cose più da artista che da persona seria, ho anche un lato bizzarro e capriccioso e avventuroso. Ma mentre me ne sto seduta a questa scrivania, alla sera tardi, sento che in me c'è anche una grande, crescente serietà, una forza che spinge e indirizza, una tacita voce che mi dice cosa devo fare e che mi fa scrivere molto schiettamente: ho mancato in tanti modi, il mio vero lavoro deve ancora cominciare. Finora è stata soprattutto Spielerei. [Sabato] 26 settembre [1942], le nove e mezzo

Mio Dio, Ti ringrazio perché ho potuto conoscere così pienamente una delle Tue creature, anima e corpo. Mio Dio, devo lasciarTi più fare. E non devo neppure metterTi delle condizioni: purché io stia bene... Anche se non sto bene, la vita non continua forse ad andare avanti, e nel modo migliore? Non posso certo avere delle pretese, e non le avrò. Ed ecco che, nel momento in cui ci ho rinunciato, anche il mio mal di stomaco è migliorato parecchio. Stamattina presto ho sfogliato i miei diari. Mille ricordi mi sono venuti incontro. È stato un anno immensamente ricco. Inoltre: ogni giorno porta una nuova ricchezza. E Ti ringrazio perché mi hai concesso tanto spazio da poterla accogliere tutta. Mi rendo conto sempre di più che Rilke è stato uno dei miei grandi educatori in quest'ultimo anno. [Domenica] 27 settembre [1942] Che si possa essere un fuoco così sfavillante! Tutte le parole ed espressioni adoperate sinora mi sembrano grigie, pallide e scolorite, se paragonate all'intensa gioia di vivere, all'amore e alla forza che si sprigionano ora da me. Il mio fratellino pianista ventunenne scrive da un manicomio nell'ennesimo anno di guerra: “Henny, anch'io credo, so che esiste un'altra vita. Credo persino che certe persone siano in grado di vederla e di viverla anticipatamente. Quello è un mondo in cui gli eterni sussurri mistici si sono fatti viva realtà, e in cui gli oggetti e le parole comuni hanno acquistato un significato più alto. È probabile che a guerra finita gli uomini saranno più ricettivi a quella realtà, che l'umanità intera sarà compenetrata di un ordine superiore”. “E se anche io distribuissi tutti i miei beni a sostentamento dei poveri ... e non avessi l'amore, tutto questo non mi servirebbe a niente”. Tu non hai più da soffrire, uomo viziato, io invece posso resistere bene a quel po' di freddo e di filo spinato e continuo a farti vivere. Faccio vivere la parte immortale di te. È curioso come una persona si ritrovi poi sempre con qualcosa di materiale: Tide mi ha dato il suo pettinino rosa rotto. In fondo non voglio neppure avere delle fotografie sue e forse non pronuncerò mai più il suo nome, ma quel brutto pettinino rosa, con cui l'ho visto pettinare i suoi radi capelli per un anno e mezzo, è ora nel mio portafoglio tra i miei documenti più importanti, e sarei disperata se dovessi mai perderlo. Una persona è proprio uno strano essere. [Lunedì] 28 settembre [1942] Audi et alteram partem. Il bandito dal nome falso coi gas venefici e i mughetti e l'infermiera sedotta. Mi aveva proprio fatto impressione sentirmi dire da quell'internista galante dagli occhi malinconici: Lei ha una vita spirituale troppo intensa, le fa male alla salute, è troppo per la sua costituzione. Jopie aveva assentito pensieroso quando gliel'avevo raccontato. Ho ruminato a lungo su queste parole e sono sempre più convinta del contrario. È vero che vivo intensamente, a volte mi sembra di vivere con un'intensità demoniaca ed estatica, ma ogni giorno mi rinnovo alla sorgente originaria, alla vita stessa, e di tanto in tanto mi riposo in una preghiera. E chi mi dice che vivo troppo intensamente non sa che ci si può ritirare in una preghiera come nella cella di un convento, e che poi si prosegue con rinnovata pace ed energia. Credo che sia soprattutto la paura di sprecarsi a sottrarre alle persone le loro forze migliori. Se, dopo un laborioso processo che è andato avanti giorno dopo giorno, riusciamo ad aprirci un varco fino alle sorgenti originarie che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò “Dio”, e se poi facciamo in modo che questo varco rimanga sempre libero, “lavorando a noi stessi”, allora ci rinnoveremo in continuazione e non avremo più da preoccuparci di dar fondo alle nostre forze. Non credo nelle determinazioni oggettive. Infinito intrecciarsi di reciproche influenze umane. Dicono che sei morto troppo presto. Bene, allora ci sarà un libro di psicologia in meno, ma è entrato

un po' più d'amore in questo mondo. [Martedì] 29 settembre [1942] Spesso dicevi: “Questo è un peccato contro lo spirito, e si vendicherà. Ogni peccato contro lo spirito si vendica”. Credo anche che ogni “peccato” contro l'amore per gli altri si vendichi, nella persona stessa come nel mondo circostante. Voglio ricopiare ancora una volta Matteo, 6, 34: “Non siate dunque inquieti per il domani perché il domani avrà le sue inquietudini; a ciascun giorno basta la sua pena”. Bisogna combatterle come pulci, le tante piccole preoccupazioni per il futuro che divorano le nostre migliori forze creative. Ci organizziamo l'indomani nei nostri pensieri ma poi va tutto in modo diverso, molto diverso. A ciascun giorno basta la sua pena. Si devono fare le cose che vanno fatte e per il resto non ci si deve lasciar contagiare dalle innumerevoli paure e preoccupazioni meschine, che sono altrettante mozioni di sfiducia nei confronti di Dio. Andrà tutto a posto con quel permesso di soggiorno e con quelle tessere, è inutile che io ci rumini su, è molto meglio che faccia una traduzione dal russo. In fondo, il nostro unico dovere morale è quello di dissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, di sempre maggior tranquillità, fintanto che si sia in grado d'irraggiarla anche sugli altri. E più pace c'è nelle persone, più pace ci sarà in questo mondo agitato. Poco fa una piccola conversazione telefonica con Toos. Jopie scrive di non mandare più pacchi. Sta succedendo di tutto, laggiù. Haanen ha scritto una lettera a sua moglie: troppo poco per capirci qualcosa e troppo per non preoccuparsene. Fa paura. E poi, anche dentro di me c'è qualcosa che non funziona più bene. Bisogna reagire, bisogna sapersi isolare da quel chiasso sterile che si diffonde come una malattia contagiosa. Ma così posso di nuovo rendermi un po' conto di come stia tutta quella gente. Povere e aride vite. E così si arriva a dire, come ho sentito spesso: non riesco più a leggere un libro, non riesco più a concentrarmi. Oppure: una volta avevo sempre la casa piena di fiori, ma ora no, ora non ne ho più voglia. Sono vite impoverite, sono vite povere. Adesso so di nuovo che posizione prendere. Se solo si potesse far capire alla gente che si può “lavorare” alla propria pace interiore, e continuare a essere produttivi e fiduciosi dentro di noi malgrado le paure e le voci che circolano. Che possiamo costringerci à inginocchiarci nell'angolo più remoto e tranquillo del nostro essere, e rimanerci fintanto che su di noi non si stenda nient'altro che un purissimo cielo. Da ieri sera ho potuto di nuovo sperimentare su me stessa quanto la gente soffra, è un bene doverselo ricordare e imparare ogni volta da soli come reagire. E poi, continuare indisturbati a percorrere i vasti e sgombri paesaggi del proprio cuore. Ma non sono ancora a questo punto. Prima si va dal dentista, e oggi pomeriggio sul Keizersgracht. “Perché, se c'è una colpa, è questa: non accrescere la libertà della persona amata offrendole tutta la libertà che in noi matura. Noi che amiamo abbiamo solo questo da offrire: lasciarci liberi l'un l'altro, perché trattenerci è facile, e non è arte da imparare”. [Mercoledì] 30 settembre [1942] Essere fedeli a tutto ciò che si è cominciato spontaneamente, a volte fin troppo spontaneamente. Essere fedeli a ogni sentimento, a ogni pensiero che ha cominciato a germogliare. Essere fedeli nel senso più largo del termine, fedeli a se stessi, a Dio, ai propri momenti migliori. E dovunque si è, esserci “al cento per cento”. Il mio “fare” consisterà nell'“essere”! Soprattutto, devo essere più fedele a quel che vorrei chiamare il mio talento creativo, per modesto che sia. A ogni modo: ci sono tante cose che vorrebbero esser dette e scritte da me, e dovrei finalmente mettermici. Invece cerco in tutti i modi di scappare, e in questo manco. D'altra parte, so che devo aspettare con pazienza che le mie parole crescano. Ma devo anche aiutarle. È sempre così: si vorrebbe scrivere subito qualcosa di straordinario e di geniale, ci si vergogna delle proprie sciocchezze. Ma se io ho un dovere nella vita, in questo tempo, in questo stadio della mia vita, è proprio quello di scrivere, annotare, conservare. Le cose, nel frattempo, le digerirò comunque. Io leggo la vita come un tutto coerente, so che sono in grado di leggerla, e nella mia presunzione e

pigrizia giovanili penso che tanto mi ricorderò ogni cosa, e che più tardi saprò anche raccontarla. Ma dovrò pur crearmi dei piccoli punti di partenza. Io vivo la vita sino in fondo, ma sento sempre più che ho delle responsabilità verso quelli che vorrei chiamare i miei talenti. Ma dove cominciare, mio Dio. Ci sono così tante cose. Non devi neppur pretendere di scrivere le cose così come le hai appena vissute con tanta intensità: sarebbe un errore. Non si tratta di questo. Non so ancora come farò a dominare tutta questa materia. So soltanto che dovrò fare tutto da sola, e che ho abbastanza forza e pazienza per riuscirci. Devo anche essere fedele, non posso più disperdermi come sabbia al vento. Io mi divido tra gli affetti, le impressioni, le persone e le emozioni che mi toccano: devo rimaner fedele a tutti ma devo anche essere fedele al mio talento. “Vivere” tutto quanto non è più sufficiente, ci vuole qualcosa in più. Credo di vedere sempre meglio gli abissi che inghiottono le forze creative e la gioia di vivere dell'uomo. Sono buche che ingoiano tutto e queste buche sono nella nostra stessa anima. A ciascun giorno basta la sua pena. Inoltre: l'uomo soffre soprattutto per la paura del dolore. Ed è la materia, è sempre la materia che attira tutto lo spirito a sé e non viceversa. “Vivi troppo con lo spirito”. Perché, Osias? Perché non ho abbandonato immediatamente il mio corpo alle tue mani desiderose? L'uomo è una strana creatura. Quanto vorrei scrivere. Da qualche parte in me c'è un'officina in cui dei titani riforgiano il mondo. Una volta avevo scritto disperata: è proprio nella mia testolina, nel mio cranio che dev'essere spiegato il mondo. Ora lo penso ancora di tanto in tanto, con una presunzione quasi diabolica. Riesco sempre più ad affrancare la mia forza creativa dalle necessità materiali, dal pensiero della fame, del freddo e dei pericoli. È comunque un pensiero, non una realtà. La realtà è qualcosa che bisogna prendere su di sé, con tutto il suo dolore e con tutte le sue difficoltà, e intanto che la si sopporta, la nostra pazienza aumenta. Ma il pensiero del dolore - non il dolore “vero”, che è fruttuoso e può render la vita preziosa -, quello va distrutto. E se si distruggono i preconcetti che imprigionano la vita come inferriate, allora si libera la vera vita e la vera forza che sono in noi, e allora si avrà anche la forza di sopportare il dolore reale, nella nostra vita e in quella dell'umanità. Venerdì mattina a ottobre 1942], a letto “Correrò questo rischio”: non sono del tutto onesta con me stessa. Dovrò ancora imparare questa lezione e sarà la lezione più difficile, mio Dio: prendere su di me il dolore che m'imponi Tu e non quello che mi sono scelta io. In questi giorni io spendo tante parole per convincere me stessa e gli altri che devo tornare laggiù, e che il mio stomaco non è poi così importante: forse non lo è per davvero, ma quando si ha bisogno di tante argomentazioni c'è qualcosa che non va. Infatti è così. E ora posso ricominciare daccapo a dir forte a me stessa: ma sì, certo, di questi tempi capita a tutti di sentirsi fiacchi e con la testa che gira per qualche giorno, ma quando passa, passa, e allora si continua come se niente fosse. Mi sembra di aver solo bisogno di stendere la mano per tenere in pugno tutta l'Europa, Russia compresa. Così piccolo, chiaro, familiare m'è diventato il tutto - e così vicino, anche in questo letto! Ricordatelo bene: anche in questo letto. Anche se fossi costretta a rimanerci, quieta e immobile, per settimane intere. Adesso lo trovo troppo difficile: non riesco ancora a rassegnarmi al pensiero che dovrò rimanere a letto. Ti prometto di vivere pienamente dovunque tu decida di farmi fermare. Ma vorrei tanto partire mercoledì, anche se fosse solo per due settimane. Sì, lo so che ci sono dei rischi: ci sono sempre più SS nel campo e sempre più filo spinato tutt'intorno, le restrizioni aumentano e forse, tra due settimane, non potremo neppure più venir via, anche questo è possibile. Ti senti di correre questo rischio? Il mio dottore mi ha forse ordinato di stare a letto? Era stupito, invece, che non fossi ancora ripartita per Westerbork. Ma che cosa c'entra il dottore? Se anche cento dottori mi dichiarassero in perfetta salute ma una voce interiore mi dicesse di non andarci, bene, allora non ci dovrei andare. Aspetterò ancora un Tuo cenno, mio Dio, nel frattempo mi dispongo a partire. Tratterò con Te - vuoi? Posso

partire mercoledì prossimo, posso rimanere in quella brughiera per due settimane? E se non dovessi star bene, rimarrò qui a curarmi - accetteresti una transazione simile? Non credo. Eppure vorrei proprio partire mercoledì, per tanti buoni motivi. Adesso sarà bene che dorma un po', anche se non ho affatto finito di parlare con Te. Ma so bene che la mia pazienza più vera e più profonda mi ha abbandonata. So anche che la ritroverò quando sarà necessario. E la mia onestà rimarrà sempre con me. Ma ora è tutto molto difficile. Aspetterò fino a domenica, e se non si tratterà di un semplice capogiro passeggero dovrò essere ragionevole, e rimarrò qui. Mi prendo ancora tre giorni. Ma allora devo anche stare tranquilla. Ragazza mia, non fare stupidaggini! Non consumare una vita intera in un paio di settimane. Le persone che vuoi raggiungere le raggiungerai comunque. Non sono quelle due settimane che contano, non scherzare con la tua preziosa vita. Non provocare a bella posta gli dèi, che ti hanno organizzato meravigliosamente ogni cosa, non distruggere il loro lavoro. Mi prendo ancora tre giorni. Più tardi Ho la sensazione che la mia vita laggiù non sia ancora conclusa, che non sia ancora diventata un insieme compiuto: come un libro - e quale libro! - in cui io sia rimasta a metà. Vorrei tanto continuare a leggere. A volte, quand'ero laggiù, mi pareva che tutta la mia vita antecedente fosse stata una preparazione alla mia vita in quella comunità - eppure, non avevo vissuto piuttosto appartata, fino allora? Più tardi Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati - non potrebbe essere questa l'idea? E non dobbiamo forse collaborare alla sua realizzazione? Credo che imparerò. Si dovrebbero prendere le distanze da tutti quei nomi, che vanno bene per gli specialisti. Non è necessario sapere che si chiama emorragia dello stomaco, o ulcera dello stomaco, o anemia, per sapere cos'è. Probabilmente dovrò starmene coricata per un po' ma non voglio accettarlo, e m'invento dei bellissimi ragionamenti per dimostrare che non è una cosa grave e che posso partire mercoledì. Farò così: mi prenderò ancora tre giorni, e se poi mi sentirò sempre ancora prigioniera di questa corazza di debolezza, rinuncerò ai miei progetti presuntuosi. E se lunedì mi sentissi bene? In quel caso andrò da Neuberg e gli dirò nel mio modo più accattivante - già mi vedo, con un sorriso in cui compare un nuovo dente di porcellana bordato d'oro: dottore, vengo a parlarle come a un amico. Ecco, le cose stanno così ma vorrei tanto partire, crede che potrei? E so già che mi risponderà di sì perché sarò così persuasiva da farglielo dire. Gli farò rispondere quel che mi piace sentire. È dunque così che vivono gli uomini: usano gli altri per farsi convincere di qualcosa in cui in fondo non credono; cercano negli altri uno strumento per coprire la propria voce interiore. Se ascoltassimo solo un po' di più questa voce, se provassimo solo a farne risuonare una dentro di noi, quanto meno caos ci sarebbe. Imparerò ad accettare la mia parte, qualunque essa sia. Quante cose ho già imparato stando a letto stamattina. Sono sempre piuttosto soddisfatta quando un progetto umano ragionevole si rivela pura vanità. Avremmo dovuto sposarci, eravamo sicuri che in due saremmo riusciti a sopportare le miserie di questo tempo. Ora, nel più remoto angolino di quel gran cimitero fiorito di Zorgvlied, c'è un corpo consunto sotto una pietra (mi piacerebbe vederla); e io sono prigioniera della mia debolezza e devo starmene coricata in questa stanzetta, che è mia già da quasi sei anni. Vanità delle vanità - ma non era vano scoprire in me stessa che ero in grado di aprirmi completamente con qualcuno, di legarmi e di condividere con lui le necessità del momento. Questa non era vanità. E per il resto? Non mi ha forse sgombrato la strada che conduce direttamente a Dio, dopo avermela aperta con le sue imperfette mani umane?

No, mia cara, non mi piace affatto come il tuo corpo si comporta sotto quelle coperte. Non essere mobili è proprio brutto. E quanto ero mobile, mio Dio, quanto. Ero persino stupita e incantata per come percorrevo le Tue strade sconosciute, con uno zaino sulle mie spalle poco esercitate. Era un tale miracolo. All'improvviso mi si erano aperte delle porticine sul “mondo”, delle porticine che avevo sempre creduto sbarrate. E quanto si erano aperte. Ma ora sono malata, sono proprio malata. Ti concedo ancora due giorni e mezzo. Se tra un po' arriva Jopie e mi guarda di nuovo in modo tanto penetrante con i suoi onesti occhi seri, non racconterò più storielle del tipo: Oh, sto bene e mercoledì vengo con te, ma dirò: Lasciami ancora un po' lottare con me stessa e allora scoprirò cos'è meglio per me. Eppure voglio così tanto andarci ancora una volta mercoledì! Tu chiedi troppo, ragazzina. Non fare la temeraria. Vuoi prima lasciarti vivere fino all'esaurimento e poi di nuovo farti restaurare qui? Credo davvero che tu lo voglia. Tutto è così incompiuto là, devo concludere così tanto. E tutti quelli che inaspettatamente vengono strappati alle loro case, nel bel mezzo delle loro attività (“inaspettatamente” oggi non puoi davvero più dirlo), e che avranno di certo una sensazione di incompiutezza? E non si dovrebbe vivere la vita in modo da realizzare dentro di sé un tutto chiuso e completo, un insieme che sia sempre compiuto, ogni istante di nuovo? In futuro voglio visitarli tutti, uno per uno, gli uomini che a migliaia sono finiti in quel pezzo di brughiera, passando per le mie mani. E se non li troverò, troverò le loro tombe. Non potrò più rimanere tranquillamente seduta alla mia scrivania. Voglio andare per il mondo, vedere coi miei occhi e sentire con le mie orecchie com'è andata a tutti coloro che abbiamo fatto partire. Purché tu sia sana, bambina mia, sana, ha detto il dottor Frànkel, quando io, dopo il mio ultimo soggiorno, non sono potuta tornare indietro con lui; è stata la prima cosa che gli ho sentito dire con vera passione. A fine pomeriggio Ho camminato un po' per la casa. Chissà, forse andrà meglio del previsto, forse è solo un po' di anemia che potrò sistemare anche laggiù, con qualche flaconcino di medicine. Del resto: una persona non dev'essere miope e non deve puntare su scadenze troppo ravvicinate. E così pare che io sia esonerata. Ho chiesto al notaio dalla gamba corta: ora dovrei fare i salti dalla gioia, vero? Ma io non voglio affatto avere quei foglietti per cui gli ebrei si fanno reciprocamente a pezzi: perché devono toccare proprio a me? Vorrei trovarmi in tutti i campi che sono sparsi per l'intera Europa, vorrei essere su tutti i fronti; io non voglio per così dire “stare al sicuro”, voglio esserci, voglio che ci sia un po' di fratellanza tra i cosiddetti “nemici” dovunque io mi trovi, voglio capire quel che accade; e vorrei che tutti coloro che riuscirò a raggiungere - so che sono in grado di raggiungerli, fammi guarire, mio Dio - possano capire questi grandi avvenimenti come li capisco io. E che cosa significa tutto questo, se non ho l'amore? Rendimi un po' sana: non c'è bisogno che io lo sia moltissimo, non lo sono mai stata. E il dolore che sento ora nel mio corpo, l'ho avuto anche mesi fa e allora è andato via. Ma adesso si tratta più di quello sfinimento generale. Ti concedo ancora due giorni e un quarto. Sabato mattina [3 ottobre 1942], le sei e mezzo, in bagno Comincio a soffrire d'insonnia e questo non va. Stamattina all'alba sono saltata giù dal letto e mi sono inginocchiata alla finestra. L'albero era immobile nella mattina grigia e silenziosa. Ho pregato: mio Dio, concedimi la pace grande e potente della Tua natura. Se vuoi farmi soffrire, dammi il dolore grande e pieno, non le mille, piccole preoccupazioni che consumano completamente. Dammi pace e fiducia. Fa' che ogni mia giornata sia qualcosa di più che le mille preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana. E tutte le nostre ansie per il cibo, i vestiti, il freddo, la salute, non sono forse altrettante mozioni di sfiducia nei Tuoi confronti, mio Dio? E non ci castighi forse prontamente - con l'insonnia, e con una vita che non è più una vita? Sono disposta a rimanere tranquillamente coricata per qualche giorno, ma allora voglio essere

un'unica, grande preghiera. Un'unica, grande pace. Devo portare nuovamente la mia pace con me. “La paziente deve fare vita tranquilla”. Pensa Tu alla mia pace, mio Dio, dovunque mi troverò. Potrebbe essere che non la sento più perché sto per compiere dei passi sbagliati? Forse - non so. Sono una persona così socievole, mio Dio, non ho mai saputo quanto. Voglio stare fra gli uomini, fra le loro paure, voglio vedere tutto da me e capirlo e raccontarlo più tardi. Ma vorrei tanto star bene. In questi giorni mi preoccupo troppo per la mia salute e questo è naturalmente sbagliato. Fa' che in me ci sia la stessa, grande immobilità che c'era nella Tua alba grigia. Fa' che la mia giornata sia qualcosa di più che le semplici preoccupazioni per il corpo. Alla fine, io ricorro sempre allo stesso rimedio: salto giù dal letto e m'inginocchio in un angolino nascosto della mia camera. Non voglio neppure forzarTi la mano, mio Dio: “Fammi guarire in due giorni”. So che tutto deve crescere, che è un lento processo. Ora sono circa le sei e mezzo. Mi laverò dalla testa ai piedi con acqua fredda e poi me ne starò coricata nel mio letto, starò immobile e non scriverò niente in questo quaderno, cercherò di stare semplicemente distesa e di essere tutta una preghiera. Già altre volte sono stata così male da credere che ci avrei messo delle settimane per venirne fuori - e invece, dopo pochi giorni, era tutto passato. Ma in questo momento vivo male e ho un atteggiamento forzato. Se fosse possibile, in qualche modo, mi piacerebbe partire mercoledì. So bene che ora non posso dare molto a una comunità di persone, vorrei tanto stare un po' meglio. Ho bisogno proprio di poco, per me è già abbastanza. Ma se voglio qualcosa con tutta la mia forza, allora c'è già un'incrinatura nel ritmo. Ma non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano in me ed è proprio ciò che non sto facendo. Che sia fatta non la mia, ma la Tua volontà. Un po' più tardi Vedi, adesso mi sono lavata, ho scritto una lettera che mi è parsa necessaria, ho fatto un giro nella casa e messo un po' in ordine la mia cameretta e adesso, Dio - tanto per dirla in maniera banale -, ora mi dirigo alla Tua cassa e cambio molti spiccioli tintinnanti e grevi con una sola banconota vergine e liscia. Che ne dici di tanta poesia a stomaco vuoto? Già vengo a scambiare le mie molte piccole preoccupazioni con una grande pace. I miei genitori, mio Dio, i miei genitori! Certo, è il nostro totale annientamento! Ma sopportiamolo con grazia. In me non c'è un poeta, in me c'è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poeta. In un campo deve pur esserci un poeta, che da poeta viva anche quella vita e la sappia cantare. Di notte, mentre ero coricata nella mia cuccetta, circondata da donne e ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e rigiravano - donne e ragazze che dicevano così spesso durante il giorno: “non vogliamo pensare”, “non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze” -, a volte provavo un'infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti, le fin troppe impressioni di un giorno fin troppo lungo, e pensavo: “Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca”. Ora voglio esserlo un'altra volta. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento. Sono coricata qui con tanta pazienza e di nuovo calma e già mi sento assai meglio; leggo le lettere di Rilke Su Dio e ogni sua parola è carica di significato per me, avrei potuto scriverle io stessa, se le avessi scritte io le avrei scritte così e non diversamente. Mi sento anche la forza di partire, non penso più a far progetti e a correre rischi, andrà come andrà e sarà per il meglio. “Cristo può aver avuto ragione a parlar male delle cose terrene, in un tempo pieno di dèi appassiti e spogli, quantunque (non posso pensare altrimenti) sbocchi in un'umiliazione di Dio il non vedere in quanto ci è qui concesso un tesoro che, solo rettamente usato, ci può riempire perfettamente di felicità fino all'orlo dei nostri sensi! Il giusto uso, questo importa. Prendere in mano le cose terrestri giustamente, pieni di cordiale amore. Di meraviglia, come cose nostre, passeggere, uniche: questo è anche, per dirla usualmente, il grande avvertimento sul modo di usare Dio, questo intendeva

descrivere san Francesco d'Assisi nel suo Cantico al Sole, che all'ora della morte per lui fu più magnifico della croce, la quale s'ergeva là solo per indicare la direzione del sole”. Sabato pomeriggio, le quattro Ora mi arrendo completamente. Già mi vedo partire mercoledì, su queste gambette vacillanti: una cosa proprio triste. Sono così riconoscente di poter stare coricata qui, di poter essere tranquillamente malata e che mi si voglia curare. Prima devo guarire bene, altrimenti sarò solo un peso per la comunità. Credo proprio di essere un po' malata, dalla testa ai piedi, stretta in una corazza di debolezza e vertigine. Adesso sento anche questo: che non ne esco più con una sola ora di riposo. Ora mi sento proprio come una suola sulla quale si sia camminato tanto a lungo da consumarla completamente. Non devo proprio essere infantile o impaziente. Che fretta ho di condividere tutte le miserie degli altri dietro quel filo spinato? E che cosa sono sei settimane in una vita intera? Il mio cranio è stretto in un cerchio di ferro e sul mio capo pesa un'intera città di rovine. Non voglio essere una foglia malata e avvizzita che si stacca dal tronco della comunità. 3 ottobre, sabato sera, le nove Se vuoi proprio guarire devi vivere diversamente: devi tacere per giorni interi e rinchiuderti in camera tua e non lasciar entrare nessuno, è l'unico modo. Non va bene come ti comporti adesso. Forse diventerai ancora ragionevole. Si dovrebbe pregare giorno e notte per quelle migliaia. Non si dovrebbe stare neanche un minuto senza preghiera. So che un giorno avrò il dono dell'eloquenza. 4 ottobre (1942], domenica sera Stamattina Tide. Oggi pomeriggio il professor Becker. Più tardi Jopie Smelik. Pranzato con Han. Capogiro e debolezza. Mio Dio, mi dài dei tesori da custodire, fa' che li custodisca e li amministri bene. Tutto questo parlare con gli amici mi fa male ora, mi logora completamente. Non sono abbastanza forte per tirarmi indietro, per trovare il giusto equilibrio tra il lato introverso e il lato estroverso di me stessa: sarà un grosso compito. I due lati sono ugualmente forti in me. Mi piace aver contatto con le persone. Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte migliore e più profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna è come una storia, che è la vita stessa a raccontarmi. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere. La vita mi confida così tante storie, dovrei raccontarle a mia volta, renderle evidenti a coloro che non sono in grado di leggerle direttamente. Mio Dio, mi hai concesso il dono di poter leggere, mi concederesti anche quello di poter scrivere? Ma io stessa lavoro contro................................... Le undici e mezzo di sera È proprio una mia caratteristica: non finisco mai le frasi. Devo fare in modo che non resti una mia specificità. Stasera Jopie. Quanto hai reso bello l'occhio umano, mio Dio. Aveva ragione, il mio compagno d'armi. Ha detto: Mi chiedo se tu sia davvero seria quando dici di voler migliorare, visto che vai avanti in maniera così sciocca. Mi sono forse inconsciamente abituata a stare di nuovo in un letto confortevole e a essere curata tanto bene? La Westerbork dove andrò tra qualche settimana è una Westerbork diversa da quella che ho lasciato. Devo ricordarlo di continuo a me stessa. Dovrò prendere di nuovo commiato e riscoprire daccapo come stanno realmente le cose lì. Il modo in cui mi sono comportata con me stessa oggi è davvero scandalosamente imprudente.

Adesso siedo alla mia scrivania e fisicamente mi sento rotta da tutte le parti e soprattutto nella schiena. Ma la mia mente è ancora così limpida e fresca e, finché continua così, essa trascinerà con sé anche il corpo. Ma sei davvero terribilmente imprudente. E adesso buona notte, e domani dài inizio a una “nuova vita”. Una volta tanto, nel cuore della notte Siamo rimasti solo Dio e io. Non c'è più nessun altro che mi possa aiutare. Ho delle responsabilità, ma non me le prendo veramente: scherzo ancora troppo e sono indisciplinata. Non mi sento affatto impoverita, ma ricca e in pace. Siamo rimasti solo Dio e io. Buona notte. 8 ottobre [1942], giovedì pomeriggio Sono ammalata, non ci posso far niente. Più tardi raccoglierò tutte le lacrime e le paure, laggiù. In fondo lo faccio già in questo letto. Forse è per questo che ho la febbre e il capogiro? Non voglio essere il cronista di orrori. Ce ne saranno abbastanza. E neanche di fatti sensazionali. Ancora stamattina ho detto a Jopie: eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti “orrori” e dire ugualmente che la vita è bella. E ora eccomi coricata in un angolino con febbre e capogiro, e non posso far nulla. Poco fa mi sono svegliata con la gola secca, ho afferrato il mio bicchiere ed ero così riconoscente per quel sorso d'acqua fresca, ho pensato: se solo potessi andare in giro fra quelle migliaia di uomini ammassati laggiù e potessi offrire un sorso d'acqua ad alcuni di loro. Ogni volta mi dico: su, non è poi così grave, sta' tranquilla, non è così grave, sta' tranquilla. Quando capitava che una donna o un bambino affamato si mettessero a piangere dietro uno dei nostri tavoli di registrazione, mi mettevo dietro di loro, quasi a proteggerli, le mie braccia incrociate sul petto, sorridevo un pochino e dentro di me dicevo a quell'esserino rannicchiato e smarrito: tutte queste cose non sono poi così gravi, non sono proprio così gravi. Rimanevo lì e c'ero, si poteva far altro? A volte mi sedevo vicino a qualcuno, gli passavo un braccio intorno a una spalla, non dicevo molto e guardavo le persone in faccia. Nulla mi era nuovo, non una di quelle espressioni di dolore umano. Tutto mi pareva così familiare, come se sapessi e avessi già vissuto ogni cosa. Certi mi dicono: hai dei nervi d'acciaio a resistere. Non credo di avere dei nervi d'acciaio, credo anzi di avere dei nervi piuttosto sensibili, però sono in grado di “resistere”. Ho il coraggio di guardare in faccia ogni dolore. E alla fine di ogni giornata mi dicevo sempre: voglio tanto bene agli uomini. Non provavo mai amarezza per quel che veniva fatto loro, sempre invece amore per come degli uomini fossero capaci di sopportare il dolore, ne fossero capaci per impreparati che fossero, dentro di sé. Mi viene in mente quel biondo Max dalla testa rasata su cui i capelli ricominciavano a crescere, e dagli occhi azzurri dolci e sognanti: aveva subito tali maltrattamenti ad Amersfoort che non aveva più potuto essere “deportato” ed era rimasto in ospedale. Una sera ci aveva raccontato per filo e per segno le violenze a cui era stato sottoposto. In futuro ci sarà chi pubblicherà tutti questi dettagli, e probabilmente sarà necessario per tramandare la storia di questo tempo nella sua compiutezza. Io non ne sento il bisogno... L'indomani [venerdì 9 ottobre 1942] A quel punto è improvvisamente comparso papà e c'è stata grande agitazione. “Mia soave monachina” e “donchisciottismo” e “Signore, rendimi più desiderosa di capire che di esser capita”. Ora sono le undici di mattina. Jopie dovrebbe essere arrivato a Westerbork. È come se una parte di me fosse là con lui. Stamattina devo di nuovo lottare contro tanta impazienza e scoraggiamento, sono preoccupata per il mal di schiena e per quel senso di pesantezza alle gambe, che vorrebbero tanto viaggiare per il mondo ma non ne sono ancora in grado. Anche questo si farà. Non si dev'essere così materialisti. E mentre me ne sto coricata qui, non viaggio forse per il mondo?

In me scorrono i larghi fiumi e s'innalzano le grandi montagne. Dietro gli arbusti della mia irrequietezza e dei miei smarrimenti si stendono le vaste pianure della mia calma, e del mio abbandono. Tutti i paesaggi sono in me, ho tanto posto ora, in me c'è la terra e c'è anche il cielo. Capisco benissimo che gli uomini abbiano potuto inventare qualcosa come l'inferno. Il mio inferno non lo vivrò mai più - l'ho già sperimentato una volta ed è bastato per una vita intera -, ma posso vivere molto intensamente quello degli altri. Così dev'essere, del resto, altrimenti potrei diventare troppo autosufficiente. E per quanto possa sembrare paradossale: quando si punta troppo sull'unione fisica, quando s'investono tutte le proprie energie nel desiderio della persona amata, in fondo le si fa torto: perché allora non rimangono più forze per essere veramente con lei. Rileggerò sant'Agostino. È così austero e così ardente. È così appassionato, si abbandona così completamente nelle sue lettere d'amore a Dio. In fondo, quelle a Dio sono le uniche lettere d'amore che si dovrebbero scrivere. Sono presuntuosa nel dire che possiedo troppo amore per darlo a una persona sola? L'idea che per tutta la vita si debba amare sempre e soltanto una persona mi sembra così infantile. Può impoverire e inaridire parecchio. Chissà se la gente imparerà che l'amore per la persona reca assai più felicità e buoni frutti che l'amore per il sesso, e che questo priva di linfe vitali la comunità degli uomini? Congiungo le mani in un gesto che mi è divenuto caro e attraverso il buio ti dico cose sciocche e serie, e imploro una benedizione sulla tua bella testa sincera - in una parola sola si direbbe che “prego”. Buona notte, mio caro! Sabato sera [10 ottobre 1942] Credo di poter sopportare e accettare ogni cosa di questa vita e di questo tempo. E quando la burrasca sarà troppo forte e non saprò più come uscirne, mi rimarranno sempre due mani giunte e un ginocchio piegato. È un gesto che a noi ebrei non è stato tramandato di generazione in generazione. Ho dovuto impararlo a fatica. È l'eredità più preziosa che io abbia ricevuto dall'uomo di cui ho già quasi dimenticato il nome, ma la cui parte migliore continua a vivere in me. Com'è strana la mia storia - la storia della ragazza che non sapeva inginocchiarsi. O con una variante: della ragazza che aveva imparato a pregare. È il mio gesto più intimo, ancor più intimo dei gesti che ho per un uomo. Non si può certo riversare tutto il proprio amore su una persona sola... Domenica pomeriggio, 11 ottobre [1942] Da Der Schauende [Colui che contempla]: Con che deboli forze noi lottiamo, ciò che contro noi lotta come è grande; se noi, più simili alle cose, ci lasciassimo piegare come loro dalla grande tempesta diventeremmo vasti e senza nome. Piccola cosa è ciò che noi vinciamo, e lo stesso successo ci fa piccoli. La poesia si conclude con le parole: Crescere è per lui: esser fino in fondo da una forza sempre più grande vinti. Tra due sonnellini pomeridiani Comincio a rendermi conto con sempre maggiore chiarezza che dentro di noi c'è una materia, o comunque la vogliamo chiamare, che conduce una sua vita e con la quale potremmo fare delle cose.

Da quella forza posso creare tante vite che vengono educate solo dal mio essere. Non domino ancora quella materia; forse ho ancora troppo poca fiducia nella sua propria vita, nelle sue vite. Io stessa non posso creare altro che lo spazio in cui quelle vite possono svilupparsi e io stessa non ho altro da offrire che la mano che guiderà la penna al fine di delineare quelle vite con le loro intuizioni e le loro esperienze. [Lunedì] 12-10-42 Le mie impressioni sono sparse come stelle sfavillanti sullo scuro velluto della mia memoria. L'età dell'anima è diversa da quella registrata all'anagrafe. Credo che l'anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età non cambi più. Si può nascere con un'anima che ha dodici anni. E quando si hanno ottant'anni, quell'anima ne ha ancora dodici e non di più. Si può anche nascere con un'anima che ne ha mille, esistono ragazzini dodicenni in cui si sente un'anima simile. Credo che l'anima sia la parte più inconscia dell'uomo, soprattutto in Occidente, penso che un orientale “viva” la propria anima molto di più. L'occidentale non sa bene che farsene e se ne vergogna come di una cosa immorale. L'anima è diversa da ciò che noi chiamiamo “sentimento”. Ci sono persone che hanno molto “sentimento” ma poca anima. Ieri ho chiesto a Maria a proposito di una persona: È intelligente? Sì, ha risposto lei, ma solo col cervello. S. diceva sempre di Tide: ha “l'intelligenza dell'anima”. Quando ci capitava di parlare della nostra grande differenza d'età, S. diceva sempre: Chi mi dice che la sua anima non sia più vecchia della mia? A volte torno ad accendermi completamente quando, come ora, l'amicizia e le persone che ci sono state in quest'ultimo anno risorgono in tutta la loro grandezza e mi colmano di riconoscenza. Ora sono quel che si dice malata e anemica e più o meno obbligata a stare a letto, eppure ogni minuto è pieno di ricchezza - cosa succederà quando starò di nuovo bene? Devo ogni volta esultare e acclamarTi, mio Dio: Ti sono così riconoscente perché mi hai concesso una vita simile. Un'anima è fatta di fuoco e di cristalli di rocca. È una cosa molto severa e dura in senso veterotestamentario, ma è anche dolce come il gesto delicato con cui la punta delle sue dita sfiorava le mie ciglia. Di sera E poi ci sono momenti in cui la vita è dura e così scoraggiante. Allora sono agitata, irrequieta e stanca al tempo stesso. Oggi pomeriggio ho avuto momenti molto creativi. E ora una spossatezza come se avessi sparso il mio seme. Non potrò far altro che starmene immobile sotto le coperte e aspettare con pazienza che questo scoraggiamento, questo senso di dispersione in tante direzioni, mi passino. Una volta facevo pazzie in situazioni simili: mi mettevo a bere con gli amici o pensavo al suicidio o sfogliavo tutta la notte cento libri diversi. Bisogna anche accettare i momenti “non creativi”; più li si accetta onestamente, più essi passano in fretta. Si deve avere il coraggio di fermarsi, di essere talvolta vuoti e scoraggiati. Buona notte, caro spino delle dune. L'indomani mattina presto [martedì 13 ottobre 1942] Faccio roteare una matitina come se fosse una falce, ma non riesco a falciare le molte escrescenze del mio spirito. Ci sono persone che mi porto dentro come boccioli e che lascio sbocciare. Ce ne sono altre che mi porto dentro come ulcere, finché si aprono e suppurano (La signora Bierenhack). Vorwegnehmen [“anticipare”] : non conosco una buona traduzione olandese di questa parola. Sono distesa qui da ieri sera, e intanto comincio ad assorbire una piccola parte del gran dolore che

dev'essere assorbito su tutta la terra. Comincio a mettere al coperto un po' del dolore che patiremo quest'inverno. Non si può farlo in una volta sola. Oggi sarà una giornata molto pesante. Rimarrò a letto, con calma, e “anticiperò” una piccola parte dei duri giorni che verranno. Quando soffro per gli uomini indifesi, non soffro forse per il lato indifeso di me stessa? Ho spezzato il mio corpo come se fosse pane e l'ho distribuito agli uomini. Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo. Lui era il potente tronco attorno al quale le nostre vite femminili si arrampicavano. Finisco sempre per tornare a Rilke. È così strano, Rilke era un uomo fragile e ha scritto gran parte della sua opera fra le mura di castelli ospitali, e magari sarebbe stato distrutto dalle circostanze in cui ci troviamo a vivere noi. Ma non è proprio questo un segno di buona economia - il fatto che, in circostanze tranquille e favorevoli, artisti sensibili possano cercare indisturbati la forma più giusta e più bella per le loro intuizioni più profonde; e che poi, in tempi più agitati e debilitanti, queste stesse forme possano offrire appoggio e protezione agli uomini smarriti? Ai turbamenti e ai problemi che non trovano forma o soluzione, perché ogni energia è consumata dalle necessità quotidiane? In tempi difficili si tende a disprezzare le acquisizioni spirituali di artisti vissuti in epoche cosiddette più facili (ma essere artista non è di per sé abbastanza difficile?) e si dice: tanto, cosa ce ne facciamo? È un atteggiamento comprensibile, ma miope. E rende infinitamente poveri. Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite. BISOGNA SAPER ACCETTARE LE PROPRIE PAUSE!!!

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