Ermetismo - Alchimia - Filosofia Meditativa

March 31, 2018 | Author: David Psamate | Category: Alchemy, Plato, Neoplatonism, Knowledge, Nature
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Gerhard Dorn e l'arcano della pietra vivente di Andrea Melis Filosofia meditativa di Gerhard Dorn

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G e r h a r d D o r n e l'arcano della pietra vivente

Della vicenda u m a n a d i G e r h a r d D o r n conosciamo poco. Nato probabilmente in Belgio, visse durante la seconda metà del X V I secolo ed esercitò la professione medica e di farmacologo, nonché l'attività di scrittore di filosofia ermetica ed alchimia, soprattutto in Germania ed in Svizzera. La sua presenza è segnalata a Basilea, a Francoforte e, probabilmente, a Strasburgo. Tuttavia il nome di Gerhard Dorn è prevalentemente legato alla traduzione, alla diffusione ed alla fervente apologia degli insegnamenti di Paracelso. Significativamente, la sua opera p i ù nota e citata è il Dictionarium Theofrasti Paracelsi (Francoforte 1584), una disamina esplicativa dell'assai complessa terminologia paracelsiana. Sarebbe però incauto trascurare D o r n , archiviando il corpus dei suoi scritti sulla scorta di un sommario giudizio di epigonismo, seppure onesto e devoto. Molte delle sue opere sono assolutamente indispensabili per comprendere e apprezzare appieno la portata delle dottrine paracelsiane, per sottrarle all'ottuso riduttivismo

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positivista che non ha saputo vedere in esse nient'altro che una congerie di superstizioni da grimoire, un coacervo di evocazioni, f o r m u l a r i e teorie bislacche, c u i non concedere molto più della divertita e distratta curiosità per un reperto esotico, legato ad un passato tanto fantastico quanto oscuro. Questo sprezzante e superficiale punto di vista è stato, o r m a i da tempo, messo abbondantemente in crisi dai b r i l l a n t i studi di Walter Pagel1 che ha dimostrato - pur mantenendosi rigorosamente entro una prospettiva storiografica e filologica d'indiscutibile vaglio scientifico l'estrema e articolata complessità, la ricchezza di pensiero, o anche solo di referenze filosofiche, mediche e naturalistiche, che l'opera di Paracelso rivela. Tuttavia il dato che anima il nostro interesse nei conf r o n t i d i Gerhard D o r n consiste p r i m a r i a m e n t e i n u n aspetto assai peculiare dei suoi scritti, ovverosia la descrizione puntuale, e preziosissima per trasparenza, che egli propone della prassi alchemica nel suo punto p i ù delicato, laddove il linguaggio dell'ermetismo alchemico - che D o r n integra all'interno di un articolato orizzonte filosofico platonizzante 2 - con le sue visionarie prescrizion i , s'interseca, sovrappone e avviluppa alla prassi ascetico-devozionale, facendosi metafora e simbolo d'un processo, di un'ars practica, di natura anagogico-teurgica 3 , 1

Walter Pagel, Paracelso, Il Saggiatore, Milano 1989. Sui punti di riferimento filosofici del Dorn - che avremo modo di rilevare ed evidenziare più oltre, in svariate circostanze - ved. anche Jean Francois Marquet, "Philosophie et alchimie chez Gerhard Dorn", in Alchimie et Philosophie à la Reinassance, a cura di J.C. Margolin e S. Matton, Librairie Philosophique J. Vrin, Paris 1993, pagg. 215-221. 3 La teurgia è primariamente esperienza del Divino. Così la definisce Giovanni Reale, riecheggiando gli autori neoplatonici: "È la 'sapienza' e T'arte' 2

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volta a trasmutare spiritualmente le potenze psichiche dell'uomo e del cosmo in cui questi si rispecchia. Ciò che ha costituito secolare oggetto di contesa, ossia la legittimità stessa di un'interpretazione in chiave spirituale e interiore dei testi di alchimia, o almeno di una parte di essi, in Dorn diviene dato acquisito, dichiarato punto di partenza, evidente e acclarato come in pochiss i m i a l t r i a u t o r i . E anche a voler ammettere che l ' a l chimia fisica non sia interamente riducibile a quella spirituale, certamente, per Dorn, la prima non potrebbe m i nimamente sussistere senza la seconda. Così nel De Philosophia Meditativa e nel De Philosophia Chemica ad Meditativam comparata, che al p r i m o fa seguito costituendone un complemento logico, il raffronto fra processo alchemico e ascesi spirituale è proposto in costante e serrato contrappunto, dal titolo fino alla l i m pida ricapitolazione conclusiva: "Come sette sono i gradi filosofici attraverso i quali all'intelletto si rivela l'accesso alle cose p i ù alte, sette sono anche le operazioni alchemiche principali, attraverso le quali l'artista può pervedella magia utilizzata per finalità di carattere mistico-religioso. Appunto queste finalità costituiscono le caratteristiche che contraddistinguono la teurgia dalla comune magia". " I l 'teurgo' differisce essenzialmente dal 'teologo' perché mentre quest'ultimo si limita a parlare intorno agli dei, l'altro, invece, evoca gli dei e agisce su di essi, o, meglio, li fa agire sull'uomo" (G. Reale, "L'estremo messaggio spirituale del mondo antico nel pensiero metafisico di Proclo", saggio introduttivo a: Proclo, / manuali, Rusconi, Milano 1985, pag. C L X X I X ) . Per un inquadramento ed un approfondimento storico-filosofico del concetto di teurgia ved. Hans Lewy, "The meaning and the history of the terms Theurgist' and 'Theurgy'", in Chaldaean Oracles and Theurgy, Études Augustiniennes, Paris 1978, pagg. 461 e sgg. Per un inquadramento generale dei fondamenti della teurgia ved. tra l'altro Gregory Shaw, Theurgy and the Soul, the Neoplatonism of Iamblichus, Pennsylvania State Univ. Press, 1995.

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nire a quell'arcano - che eccelle sopra ogni altro - della medicina universale" 4 . L'iter di questo confronto è proposto con tale chiarezza da n o n richiedere dettagliate e sistematiche disamine p r e l i m i n a r i del contenuto. Tuttavia ci soffermeremo su alcune questioni specifiche. Per collocare appropriatamente i due testi citati sopra, bisogna ricordare che essi costituiscono, in larga parte, una rielaborazione, a t r a t t i m i n i m a e discreta, di un'opera precedente del Dorn, il De Speculativa Philosophia5, che li sussume entrambi. Inoltre, il De Philosophia Meditativa e il De Philosophia Chemica ad Meditativam comparata fanno parte di una summa teorico-pratica di scritti dorniani, raccolta nel Theatrum Chemicum6 accanto ad altre opere del nostro Autore, fra cui ricordiamo almeno il noto Congeries Paracelsicae. I t i t o l i di questa summa sono c o l l o c a t i nell'ordine seguente: Physica Genesis, Physica Hermetis Trismegisti, Physica Trithemii, Philosophia Meditativa, Philosophia Chemica, De Tenebrìs contra Naturam et Vita Brevi, De Duello Animi cum Corpore, De Lapidum Preciosorum Structura. I p r i m i due t r a t t a t i sono, rispettivamente, un commento al p r i m o capitolo della Genesi, e un commento alla Tabula Smaragdina, attribuita tradizionalmente ad Ermete Trismegisto. Anche in questo caso, non mancano i p u n t i di contatto e confronto fra i testi commentati. Lattanzio aveva visto in Ermete Trismegisto un'annunciatore del Verbo giudaico4

Theatrum Chemicum, Argentorati 1659-1651, voi. I, pag. 453. D'ora in poi Th. Chem. 5 Abbiamo utilizzato la Philosophia Speculativa, come termine di confronto testuale, per emendare alcuni refusi presenti nella redazione della Philosophia Meditativa. 6 Ibid., voi. I, pagg. 326-490.

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cristiano, e secondo un paradigma diffusosi nel corso del XV secolo - assai caro anche a Ficino - Ermete Trismegisto sarebbe stato un contemporaneo di Mosè, convinzione rappresentata emblematicamente e figurativamente finanche sul pavimento del Duomo di Siena: "Hermes Mercurius Trismegistus contemporaneus Moyse"7. Ma t o r n i a m o alla Philosophia Meditativa. Quali sono dunque i sette gradini di questo itinerario spirituale e in cosa consiste il rapporto analogico con l'opus chemicum? "La putrefazione spagirica è assimilabile allo studio9 dei filosofi. Come i filosofi, attraverso lo studio, si dispongono alla conoscenza, così gli esseri naturali, mediante la putrefazione, sono condotti alla soluzione, che a sua volta è raffrontabile alla conoscenza filosofica. Ed infatti così come grazie alla conoscenza filosofica si dissolvono i dubbi, non altrimenti, mediante la soluzione spagirica, si dischiudono i corpi metallici, per consentire l'estrazione dei loro spiriti. E ancora, come dall'amore meditativo per gli studi sorge la frequenza e quindi la familiarità con la saggezza, la somiglianza alla verità e la comunione con la virtù, similmente dalla frequente ripetizione della congelazione che segue la soluzione, l'una sempre alternata all'altra, le partì dei corpi naturali, per l'assiduità di tale operazione, acquisiscono un grado di affinità per purezza, così da poter accedere all'unione spagirica. Perciò, come per la frequenza negli studi filosofici si acuiscono le facoltà intellettive dei filosofi, così, con le abluzioni spagiriche, si possono sottilizzare persino le membra dei c o r p i n a t u r a l i . Allo stesso modo in cui i filosofi, attra7

Ved. i p r i m i capitoli di Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza, Bari 1985. 8 Studium indica qui una anche una laboriosa disposizione di ardente devozione, intensa vibrazione emotiva per l'oggetto cui ci si dedica.

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verso la virtù, si congiungono alla verità, parimenti gli elementi si compongono attraverso la miscela spagirica e la composizione. Grazie alla potenza si consolidano le virtù filosofiche, insediandosi per dignità, e in guisa analoga gli spiriti sono insediati nei loro corpi attraverso la fissazione spagirica, in modo che non rifuggano il fuoco. Infine, come per mezzo del miracolo la filosofia adepta rende manifesta la Verità agli uomini, similmente la medicina spagirica, grazie alla proiezione, svela la propria perfezione. In breve ti è stato rivelato tutto ciò che l'autentica filosofia possiede in comune con l'arte spagirica per quanto concerne le operazioni" 9 . L'arcano sembrerebbe essere stato rivelato appieno, se non fosse che il versante alchemico-spagirico di questa metafora cela a sua volta proprio la descrizione dei term i n i tecnico-pratici del processo lungo il quale si articolano le singole operazioni dell'alchimia interiore. La controparte psico-fisica dell'opus resta velata, anche se p i ù d'uno spiraglio è stato dischiuso. Una delle vie d'accesso per tentare di sciogliere questo enigma pratico consiste in un vero e p r o p r i o scambio delle "maschere". L'uomo deve essere in grado di introiettare in sé il mondo esterno, di assimilarlo alla propria soggettività - l'Unus Mundus di cui parla Dorn - per r i uscire, nel medesimo tempo, a o b i c t t i v a r e se stesso, agendo sulla p r o p r i a compagine psico-fisica, p r o p r i o come se contemplasse un minerale, una pietra vivente10. 9

Th. Chem., voi. I, pag. 453. Corsivi nostri. Nella Philosophia Meditativa sono trattati i primi due gradi (putrefactio - studiwn e solutio - cognitio philosophica) che rappresentano il primo, difficilissimo scoglio dell'opus. I gradi successivi costituiscono l'oggetto della Philosophia Chemica. 10 II significato simbolico della pietra, nei testi alchemici, presenta molteplici aspetti. Tra gli altri, oltre ai riferimenti evangelici e biblici in generale,

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È in se stesso, p r i m a d'ogni altro luogo, che l ' a l c h i mista deve sperimentare l ' u n i t à cosmica. Il carattere pratico della conoscenza ermetica è costantemente ribadito da t u t t i gli alchimisti. L'uomo, in quanto riassume in sé l'intero Creato, è, secondo Paracelso, quintessenza del cosmo. Nell'uomo, scienza ed esperienza si compenetrano, divengono t u t t ' u n o attraverso i l processo d i identificazione con l'oggetto conosciuto. Pagel11, g i u stapponendo alcuni frammenti t r a t t i da Paracelso, così riassume questa concezione. "La conoscenza è experientia - qualcosa che conosciamo con certezza - contrariamente all'experimentum, che è, di per sé, puramente 'accidentale'. [...] 'Allorché o r i g l i (ablauschen) per cogliere dalla scammonea la conoscenza che possiede, essa verrà in te così come è nella scammonea, e allora avrai acquisito l'esperienza e insieme la conoscenza'. [...] 'Scientia, pertanto, è ciò che è in pieno accordo con la conoscenza conseguita tramite il giusto ordine della Natura'. 'La scientia è contenuta nell'oggetto in cui Dio l'ha depositata: Yexperientia è la conoscenza di casi in c u i la scientia è stata messa alla prova'. [...] Mettendo la scientia alla prova in un esperimento, l'osservatore raggiunge un'identificazione con l'oggetto e questo rende possibile la comprensione dell'oggetto: experientia. Essa va m o l t o p i ù in profondità dell'essenza degli oggetti di quanto non faccia la percezione sensibile. [ . . . ] ' . . . è la concordanza che rende l'uomo u n i n la pietra è eletta a forma simbolica perché rappresenta, ontologicamente, la manifestazione p i ù "semplice" ed elementare dell'essere obiettivo nello spazio. Nell'immobilità lapidea anche la dimensione temporale si assottiglia fino a rendere l'oggetto virtualmente partecipe dell'essere puro, non soggetto al divenire e alla trasformazione. La pietra è quindi, per eccellenza, oggetto dell'osservazione. " Cit., pagg. 54-55.

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tero: così egli conosce il mondo e da esso l'uomo stesso, essendo questi due una cosa sola, e non due. È questo che io metto a base dell'esperienza'". D o r n g l i fa eco nella Philosophia Meditativa: "E n o n possiamo, muovendo da un d u b b i o qualsiasi, conseguire maggiore certezza se non facendo esperienza, né in modo migliore che facendola in noi stessi. Per cui verificheremo le cose dette in precedenza intorno alla verità compiendo da noi stessi la prova". Ma il Creato non è soltanto ordine. La parola greca kosmos, infatti, significa sia ordine, sia ornamento. Se l'osservazione dell'ordine naturale conduce alla conoscenza della Legge, la contemplazione della bellezza, in quanto teofania, è esperienza - cardiaca p i ù che cerebrale - amorosa e u n i t i v a , che prelude alla theosis, alla divinizzazione d e l l ' u o m o che sappia vedere nel Creato, e in se stesso in quanto ornamento del Creato, il manifestarsi del Divino. È questo uno degli aspetti, tra l'altro non privi di sublime poesia, che contraddistinguono l'"ingenuo stupore" dell'alchimista di fronte alla Natura. Ecco perché i testi di alchimia invitano l'uomo a esperire e conoscere dentro di sé i quattro elementi, i pianeti e i minerali, mentre descrivono metaforicamente la conoscenza di sé come un viaggio macrocosmico attraverso le qualitates. L'uomo, secondo Dorn, riceve il corpo dalla terra e l'intelletto dal cielo. " I l cielo e la terra sussistono insieme, così come il cielo e l'uomo. Tuttavia, poiché l'uomo è composto anche di terra, lo si deve conoscere a partire da essa e secondo essa. Ma bisogna giudicare il quaternario (degli elementi) anche a partire dal cielo e secondo il cielo. Quindi l'uomo, il cielo e la terra sono una cosa sola, ed insieme anche l'aria e l'acqua. [ . . . ] A l l ' i n t e r n o del-

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l ' u o m o , e n o n f u o r i d i l u i , esiste u n tesoro grandissimo . 11 mondo esterno diviene teatro13 dell'attività interiore, e l'esperienza del cosmo esteriore si "drammatizza" e vivifica all'interno della sfera mentale ed emotiva. Il potenziale "psiche-delico" 14 di tale operazione è enorme, e il punto d'equilibrio sta proprio nel riuscire a far dimorare il macrocosmo entro se stessi, finanche all'interno della dimensione "affettiva", mentre si opera, per converso e simultaneamente, una trasformazione di fredda e distaccata oggettivazione del proprio io 15 . È uno degli aspetti simbolici - beninteso non il solo - del cosiddetto "fuoco frigido", a cui accennano riservatamente gli alchimisti, e la cui accensione rappresenta forse la p i ù difficile e m i steriosa delle operazioni. "Bruciare con l'acqua" o "lavare col fuoco", "acqua ardente" sono ossimori usuali, massime d e l l ' a l c h i m i a operativa che si incontrano di frequente negli antichi trattati. Thomas Vaughan, nelle u l time righe dell'Aula Lucis, osserva lapidariamente: "Tutti sono in grado di far bollire l'acqua nel fuoco, ma se sapessero come far bollire il fuoco nell'acqua, la loro scienza f i sica andrebbe ben al di là della cucina". Ma questo capovolgimento orizzontale non è in sé sufficiente qualora non poggi saldamente su un vertice superiore. Il punto di 12 13

Philosophia Speculativa, in Th. Chem., voi. I, pag. 274. II suffisso "tr" nel sostantivo teatro (gr. Géaxpov) indica il mezzo, lo strumento per ottenere qualcosa. Il teatro rappresenta quindi lo strumento per guardare (Gedco^cu) in modo attivo, contemplare. 14 Nel senso letterale del termine, rendere manifesta, rivelare all'esterno l'attività dell'anima (yvxfi), ma anche consentire che l'attività dell'Anima del Mondo si manifesti nel "piccolo mondo" interiore dell'alchimista. 15 Così, nella Philosophia Meditativa, Dorn osserva: "Impara inoltre a conoscere da te stesso ciò che vi è in cielo e in terra, specialmente tutto ciò che è stato creato per te". E ancora: "Non potrai realizzare quell'Uno che cerchi, traendolo dalle altre cose, se prima non sarai riuscito a fare di te stesso una cosa sola".

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vista di D o r n è i n e q u i v o c a b i l e : "Peraltro, qualora si cerchi di realizzare l'intellezione, si sappia anche che essa, come del resto la fede, è in realtà un dono gratuito di Dio". E questa Grazia, per Dorn come per t u t t i gli alchimisti, va ardentemente implorata. "Ancor p i ù grande la follia di chi fosse tanto ignorante da credere che la Grazia di Dio possa essere ottenuta con la sola fatica, senza i m plorarla prima. [...] Chiedere (veramente) significa domandare non solo con la bocca ma col cuore e con trasporto emotivo". Questo "vertice superiore" traccia la direzione stessa e l'"orientamento" del processo di trasmutazione. Per gli alchimisti, sta all'uomo consentire che il sigillo spirituale s'imprima nell'esperienza, consacrandone il valore. Qualora egli vi riesca, il teatro micro-macro-cosmico diverrà, per lo stesso uomo, scenario di una rivelazione divina 16 . Ecco allora un esempio descrittivo di questo capovolgimento orizzontale, imperniato sull'asse verticale della divinizzazione dell'uomo, in cui i contenuti interiori sono proiettati sullo scenario cosmico dei quattro elementi. "Per p r i m a cosa devi mutare la terra del tuo corpo in acqua. Il tuo cuore impietrito, terrestre e fiacco, deve essere reso tenero e attento, perché realizzi la conoscenza di Dio ma anche di se stesso. E ciò si compie imprimendo nel cuore - come sigilli apposti nella cera - immagini e v i sioni contemplative di natura spirituale. In seguito, dall'acqua sia tratta l'aria: volgi il tuo cuore, contrito e u m i 16

Allorché, nel proporre un'interpretazione della concezione alchemica del cosmo, si trascuri di riconoscere il valore fondante di tale principio, l'intera alchimia tradizionale si ridurrebbe a un mero panpsichismo, esito fatale e inevitabile delle interpretazioni di segno "panpsicologistico" che sostituiscono, al Principio Primo, il principio - meramente umano - di individuazione psichica.

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liato, in alto nel cielo, verso il Creatore, emulando l'aria che tende sempre verso le regioni più alte. E mediante la preghiera bussa con vigore, perché ti sia spalancata la comprensione delle cose divine. Infine, l'aria si traduca in fuoco, e ciascun desiderio del tuo cuore, oramai levato in alto (sublimato), sia tramutato in amore - cui è assimilato il fuoco, per l'ardore - di Dio e del tuo prossimo su questa terra, affinché questa fiamma non si estingua mai. E così accadrà che, per affinità, la tua diade, composta di spirito e corpo, sia congiunta in un solo ternario, attraverso i suddetti tre gradi del quaternario" 17 . 17

Gerhard Dorn, Phisica Trithemii, in Th. Chem., voi. I, pag. 396. La dottrina degli elementi tramandata nei testi di alchimia pone solitamente agli estremi l'acqua ( V ) e il fuoco ( A ) in quanto contrari, e - in posizione intermedia - la terra ( V) e l'aria (A), a indicare due condizioni di "arresto" e fissazione più o meno parziale rispetto alla direzione puramente discendente e ascendente. Dorn, al contrario, sembrerebbe porre agli estremi la terra e il fuoco, collocando l'acqua e l'aria in posizione intermedia. Questo "scambio" all'interno della dimensione inferiore è strettamente connesso al punto di vista che egli intende esprimere, ovverosia quello che più propriamente caratterizza ed esemplifica l'esperienza umana. A conforto di questa tesi si osservi l'identità di vedute rispetto al Timeo platonico (32B), ove rinveniamo il medesimo ordine. Proclo, commentando l'impostazione platonica del problema, al principio del terzo libro del suo Commento al Timeo, rileva questa incongruenza, solo apparente - rimproverata a Platone anche da Teofrasto - e la giustifica proprio all'interno di una teoria epistemologica del cosmo, per cui terra e fuoco appaiono essere i cardini, rispettivamente sensibile e visibile, dell'esperienza umana. Tornando a Dorn, se l'elemento terra contraddistingue la rigida fissità della forma individuata, del soggetto conoscente, la prima immersione nell'elemento acqua simbolizza invece una "discesa agli inferi", esperienza della potenza selvaggia e impersonale delle energie che animano il Creato e della continuità micro-macro-cosmica, conoscenza del "drago", presa di contatto con la dimensione degli atavismi, dissoluzione dell'illusione dell'io, e inoltre, per esprimersi nel linguaggio religioso, riconoscimento del peccato ma anche apertura verso l'esperienza del Divino nel suo aspetto di immanenza. Gli stadi successivi sono la logica successione di un unico processo ascendente di sublimazione ( A ) e ignificazione ( A ) . Se rappresentassimo i quattro elementi collocandoli sui punti estremi di una croce inscritta

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A questo punto il lettore potrebbe essere indotto a domandarsi se questi riferimenti al cosmo non rappresentino in realtà nient'altro che un appoggio metaforico per tracciare un iter sostanzialmente, o addirittura esclusivamente, etico-devozionale. Bisogna i n n a n z i t u t t o tener conto che qualsiasi ascesi comporta, almeno nelle sue fasi preliminari, un severo lavoro di rimozione dei vincoli concupiscibili e riferibili all'ego terrestre in genere. Persino nell'ascesi buddista - tra le forme meno i n c l i n i a qualsiasi indulgenza sentimentalistico-moraleggiante - vi è una serie assai articolata e severa di prescrizioni che regolano l'etica interiore ed esteriore dell'adepto. Nel l i n guaggio alchemico, questa purificazione e rettificazione preliminare è spesso designata con la mortificazione e con la rimozione delle i m p u r i t à dai metalli, dai pianeti che li simbolizzano, o anche dai due p r i n c i p i cardine: zolfo e mercurio. Nel De Duello Animi cum Corpore, Dorn contrappone talvolta a l l ' i m p u r i t à peculiare di ciascun pianeta una specifica v i r t ù cristiana. Questo fatto i l l u m i n a la ragione stessa della necessità di appoggiarsi a una prassi etico-devozionale. L'alchimia interiore è una "tecnica" di realizzazione spirituale che affiora in contesti religiosi, sapienziali ed etnico-culturali assai eterogenei. Il lavoro preliminare di purificazione e dissoluzione dei vincoli dell'io si appoggia necessariamente al patrimonio dottrinale, religioso ed ascetico-devozionale di ciascun contesto d'origine. È così per l'alchimia in amin una circonferenza (©), e ponessimo rispettivamente il fuoco e l'acqua ai vertici superiore e inferiore della croce, la terra e l'aria sulle braccia orizzontali sinistra e destra, il percorso indiretto dalla terra al fuoco, transitando attraverso gli altri due elementi, potrebbe simbolizzare la cosiddetta "via lunga" o "umida". In direzione contraria, il brusco e diretto passaggio dalla condizione tellurica a quella ignea, senza mediazioni o stadi intermedi, rappresenterebbe a sua volta la "via breve" o "secca".

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bito induista, taoista, islamico ed anche cristiano, ma in ogni caso il rapporto con l'osservanza di prescrizioni etico-religiose è di natura eminentemente funzionale. Si tratta comunque, nel caso delle prescrizioni etiche, di un mezzo, non di un fine, oppure, per essere p i ù precisi, non del fine u l t i m o . Un parallelo p i ù appropriato e "completo" potrebbe altresì essere p r o p o s t o r i s p e t t o alla teurgia, specialmente in ambito neoplatonico e alessandrino. Al severo controllo del mos individuale si succedono i r i t i preliminari di purificazione che culminano, a loro volta, nell'apoteosi misterica - e teurgica in senso proprio - e in un'illuminazione d'ordine superiore. Questa netta articolazione dei livelli, nel testo di Dorn, si evidenzia attraverso un brusco iato, un evidente salto nel linguaggio espositivo e nella terminologia del testo. Il lungo e severo sermone di richiamo alla Verità, c u l m i nante in una p r i m a ardente invocazione della Grazia, cede abbastanza improvvisamente il passo a un'oscura descrizione tecnica dedicata all'estrazione della quintessenza™, o spirito del vino, che per D o r n rappresenta " i l solo, fra gli arcani della natura, grazie al quale gli spagiristi attinsero alle cose p i ù alte". L'esposizione e l'uso dei termini si fa qui assai criptico, ingiustificatamente inaccessibile, se si trattasse solo di un testo di devozione religiosa. In realtà, dopo aver descritto abbastanza apertamente le p u r i f i c a z i o n i p r e l i m i n a r i e la "preparazione della materia" - operazioni poggianti anche sulla sfera etica dell'individuo ma n o n integralmente r i d u c i b i l i a 18

Lynn Thorndike scorge un debito di filiazione fra la concezione dorniana della quintessenza e gli scritti di Jean de Rupescissa e di Raimondo Lullo, ciascuno dei quali è autore di un Trattato sulla Quintessenza. Ved. Lynn Thorndike, A History of Magic and Experimental Science, Columbia Univ. Press, New York 1941, voi. V, pagg. 630 e sgg.

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essa, - l'esposizione delle tecniche di separazione dell'anima dalla compagine corporea non potrebbe essere proposta con pari evidenza e chiarezza, trattandosi di pratiche - teurgiche appunto - potenzialmente assai pericolose. Si può tuttavia dedurre, dalla stessa struttura espositiva che procede per un c a m m i n o di costante "assottigliamento" della materia, che il percorso tracciato descrive le graduali trasformazioni della coscienza, da uno stato "grezzo" e ottuso, vincolato alla dimensione assoggettata all'ego individuale, fino alla realizzazione di stati superindividuali. Che la descrizione dell'estrazione della quintessenza del vino da una natura vegetale rivesta un significato simbolico è cosa che si può facilmente evincere sia dal contesto, sia grazie ad alcune precise e inequivocabili affermazioni del Dorn. Così nella Philosophia Speculativa: "Non sarà filosofo colui che negherà che il pane o il frumento detengano in sé uno spirito meno potente di quello del vino, seppure meno abbondante nel pane rispetto al vino. Se un tale s p i r i t o può essere separato a r t i f i c i a l m e n t e dal pane, quanto p i ù naturalmente può avvenire la separazione di esso nell'uomo?" 19 . E ancora: "Vediamo pertanto che il corpo e l'anima possono, in modo assai pertinente, essere paragonati ai giard i n i e ai campi. [...] Possiedi il seme, il campo e l'acqua. Non ti manca nient'altro oltre il lavoro assiduo, ininterrotto. Occorre che tu non cessi mai di rimeditare, nei tuoi pensieri, le cose che ti sono state dette..."20. Se nelle p r i m e fasi dell'ascesi alchemico-spirituale la solutio riveste la valenza già segnalata di culmine del d i 19 20

Th. Chem., voi. I, pagg. 267-268. Philosophia Chemica, in Th. Chem., voi. I, pag. 434.

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stacco dai vincoli concupiscibili, e pertanto coincide anche con una forma di rigenerazione etica dell'individuo, l'accesso a l i v e l l i di coscienza d'ordine superiore comporta un vero e p r o p r i o distacco dalla compagine corporeo-sensoriale e dalla coscienza ordinaria. È in questa chiave che va interpretato sia il fuggevole accenno a un certo veicolo come strumento per compiere la separazione, sia la d o t t r i n a concernente la quintessenza del vino filosofico. L'allusione al veicolo come strumento di separazione cela uno degli arcani p i ù inviolabili dell'opus alchemicospirituale. Per comprenderne e valutarne appieno l ' i m portanza, ci si deve riferire in primo luogo alla dottrina neoplatonica del veicolo dell'anima (òxrma) esposta soprattutto da Giamblico, Porfirio, Proclo, Sinesio, dagli Oracoli Caldaici, in parte dagli stessi stoici (7tvei>ua è il termine che questi impiegano preferibilmente) e ancora, diffusamente, sebbene in modo piuttosto frammentario, dallo stesso Paracelso (corpo sidereo) e da Ficino 21 . Tale insegnamento, in ambito neoplatonico, si sviluppa p r i n c i p a l m e n t e come c o m m e n t o ad a l c u n i passi in cui Platone accenna alla dottrina dei veicoli22. Riassumendo, soprattutto a partire dalle osservazioni svolte da Proclo 23 , Giamblico e Porfirio, le funzioni del veicolo sono essenzialmente tre: 1) È la dimora sottile grazie alla quale l'Intelletto Trascendente si congiunge al corpo. 2) Al veicolo, in quanto intermediario e soglia fra la dimensione grossolana e quella soprasensibile, 21

Sulla concezione del corpo astrale nel Rinascimento ved. D.P. Walker, "The Astrai Body in Renaissance Medicine", in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, X X I , 1958, pagg. 119-133. 22 Timeo, 41 E; 44 E; 69 C; Fedro, 21A B; Fedone, 113 D. 23 In particolar modo nel quinto libro del Commento al Timeo e negli Elementi di teologia.

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fanno capo la facoltà sensitiva e immaginativa. 3) Mediante esso, una volta purificato e mondato dai residui genesiurgici, grazie ai r i t i anagogico-teurgici, l'intelletto individuale può elevarsi fino alla conoscenza delle potenze divine. La rettificazione, o addirittura la riconfigurazione e il ri-orientamento della sfera sensitivo-immaginativa, rappresenta l'obiettivo p r i m a r i o del processo - esposto in precedenza - di purificazione e separazione24. A p r o p o s i t o della preghiera, s t r u m e n t o di p u r i f i c a zione c u i lo stesso D o r n attribuisce considerevole i m portanza, Giamblico osserva: "Leva lentamente in alto i n o s t r i s e n t i m e n t i e i l n o s t r o pensiero [ . . . ] accresce l'amore divino, accende la scintilla divina della nostra anima, la purifica da ogni sentimento contrario, allontana dal pneuma etereo tutto ciò che è incline alla genesi ..."25. Sulla fotagogia, fenomenologia luminosa di origine divina, così si esprime: "Questa i l l u m i n a con luce 24

L'argomento è stato ampiamente trattato da numerosi studiosi della tradizione neoplatonica e la bibliografia è assai vasta. Per quanto concerne Giamblico, proponiamo all'attenzione del lettore almeno l'ottima disamina teoretica proposta da John F. Finamore, Iamblichus and the Theory ofthe Vehicle ofthe Soul, American Philological Association, Chico, California 1985. Sulla dottrina del "veicolo" al'interno della tradizione neoplatonica, suggeriamo senz'altro l'esauriente e approfondito lavoro di Maria Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma e Phantasia nel Neoplatonismo (aspetti psicologici e prospettive religiose), CUECM, Catania 1998. A nostro modesto avviso, riteniamo anche che le valutazioni parzialmente contrastanti espresse da Porfirio e Giamblico sul destino del veicolo, sulla sua immortalità e, in generale, esprimenti il diverso rilievo attribuitogli, possano rivelare una sostanziale eterogeneità nei rispettivi orientamenti teosofici, ovverosia, in sintesi, di propensione per una "via conoscitiva" che si dispiega attraverso la pura speculazione filosofica per il primo, e di una più schietta caratterizzazione iniziatica e magico-teurgica per il secondo. 25 Giamblico, / Misteri Egiziani, a cura di A.R. Sodano, Rusconi, Milano 1984, pag. 196. Corsivo nostro.

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divina il veicolo etereo e splendente che avvolge l'anima, per cui divine i m m a g i n i colgono la nostra potenza i m m a g i n a t i v a messe i n m o v i m e n t o dalla v o l o n t à degli Dei" 26 . Qualsiasi riflessione intorno alla funzione teurgica del veicolo è indissociabile dai processi di purificazione che costituiscono il cuore dell'antica arte telestica. Ne è ulteriore esempio tra gli altri il Commento ai Versi d'Oro di Pitagora, redatto da Ierocle 27 . L'uomo è oggetto di almeno tre diverse forme di purificazione, che concernono rispettivamente Yanima razionale, attraverso la filosofia e le v i r t ù , il veicolo, mediante i r i t i teurgici, e la componente fisico-vitale, attraverso l'ascesi corporea. La lunga e articolata trattazione della prassi catartica, poggiante sui precetti etici dei Versi d'Oro, culmina nella descrizione del veicolo purificato, la cui qualità è definita - come nel brano di Giamblico citato sopra - splendente (atìyoeiSèq). Il corpo luminoso riacquisisce le proprie a l i , che aveva smarrito al contatto con la vita terrena. Lo "splendore" del veicolo ha significativi riscontri nella letteratura alchemica, in particolar modo nei frequenti riferimenti ai fenomeni luminosi, fenomeni cui puntualmente si accenna anche nelle pagine conclusive della Philosophia Meditativa. Ancora una volta il legame coi Misteri antichi e con la tradizione platonica e neoplatonica si rivela p i ù profondo di quanto potrebbe apparire. La purificazione del mercurio con la relativa rimozione dell'umidità superflua - a indicare il 26

Ibid., pagg. 132-133. Corsivo nostro. La dottrina del veicolo è anche accennata in alcuni passi del Corpus Hermeticum, e specialmente in X, 13, 17, 18. 27 Hierocles, In Aureum Pythagoreum Carmen Commentarius, a cura di F.W. Koehler, Stuttgart 1974. Ved. anche il capitolo dedicato a Ierocle i Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit.

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"prosciugamento" dei vincoli - consente alla Luce 28 ed alla qualità ignea nascosta di rivelarsi. L'eccesso di u m i dità, che si riscontra al p r i n c i p i o dell'opus, indica, nel linguaggio ermetico, quello stato in cui la coscienza "solare" dell'adepto è sopraffatta dal desiderio, orientato verso le forme generate. Già in E r a c l i t o t r o v i a m o un modo affine di rappresentare l'anima. Così lo cita Porfirio 2 9 : "Per le anime è piacere o morte diventare umide; e il piacere è per esse cadere nella nascita. [...] Viviamo la loro morte e vivono la nostra morte". È evidente che il riferimento è ad una condizione decaduta dall'anima, sprofondatasi nel "pneuma torbido". Ed infatti, altrove (fr. 118 D K ) , Eraclito afferma icasticamente: "L'anima secca è la p i ù saggia e la migliore". Il concetto di u m i d i t à intesa come affezione negativa, i n c l i n a z i o n e a smarrirsi nella generazione, è presente nella stessa tradizione neoplatonica. Lo rinveniamo anche in Plotino 30 , in P o r f i r i o e in Proclo. P o r f i r i o , dopo aver spiegato come l'anima, mediante la fantasia eccitata dalle passioni del corpo, "regga il proprio fantasma" persino dall'Ade, così qualifica i "corpi" che veicolano l'anima: "Cosicché se (l'anima) è disposta in maniera p i ù pura, le è congenere un corpo prossimo all'incorporeità, come l'etere; se procede dalla ragione all'immaginazione, le è congenere un corpo di natura solare; se diviene femminea e tende alla forma, prende allora una natura l u nare; se invece cade nei c o r p i , quando si produce la 28

A. Pernety, Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris 1758 s.v. Luce, afferma che la luce corrisponde àll'albificazione del mercurio, successivamente alla putrefazione. 29 De Antro Nympharum, 10. 30 Ved. il capitolo dedicato a Plotino, e al "pneuma torbido" in particolare, in M. Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit.

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forma in virtù di ciò che in essa era informe, si costituisce in umidi vapori e perde del tutto la conoscenza dell'ente, in uno stato di annebbiamento infantile. E uscendone, poiché ha ancora lo spirito impregnato di umidi vapori, si trascina un'ombra ed è pesante, dato che uno spirito siffatto tende per natura a cadere nelle profondità della terra, a meno che un'altra causa lo r i converta. [...] Quando tenta di mischiarsi senza interruzione alla natura, la cui attività si svolge nell'umido e per lo più sottoterra, allora è impregnata di umidità. Quando invece tenta di allontanarsi dalla natura, diviene nitido splendore, senza ombre e senza nubi: l'umidità infatti crea le nubi nell'aria mentre il nitore pro31 duce dal vapore una nitida (a/òyfiv, splendente) luce" . 32 Proclo - anch'egli riferendosi a Eraclito e Porfirio a proposito dell'umidità dell'anima - riconduce all'arte dell'armonia, propria del "buon musico", la capacità di temperare e "distendere" gli "umori irascibili" e, per converso, di "contrarre" la rilassatezza propria della concupiscenza. Infine secondo Giamblico, Proclo e Macrobio, la sostanza del veicolo è tratta dall'etere, denominato in seguito anche quinto elemento e quintessenza, ossia da un principio celeste, attivo, incorruttibile e relativamente indifferenziato rispetto ai quattro elementi33. Per Paracelso, la quintessenza è la sede degli arcana, sottili virtutes agentes che caratterizzano ciascun ente. 31

Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, a cura di Giuseppe Girgenti, Rusconi, Milano 1996, cap. 29. 32 Proclo, Commentane sur le Timée, a cura di A.J. Festugière, Vrin, Paris 1966,1, 117,5-19. 33 Ved. I a m b l i c h i Chalcidensis, In Platonis Dialogos Commentariorum Fragmenta, edited by J. Dillon, Leiden 1973. In Tim., fr. 84.

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Grazie a queste, si estrinseca la potenza causale degli astra, o principi seminali. Dorn, nella Clavis Totius Philosophiae Chemisticae dedica un intero paragrafo alle v i r t ù della quintessenza del vino. "... lo spirito del vino, una volta estratto e separato del tutto dal suo corpo, per continuo moto circolatorio, ha la proprietà di estrarre ciascuno spirito dai rispettivi corpi, siano vegetali, minerali o animali, grazie alla sola infusione. [ . . . ] I p r i n c i p i a t t i v i , separati dai r i s p e t t i v i p r i n c i p i passivi, agiscono su qualsiasi composto, lo dissolvono attraverso la penetrazione dello spirito agente e ne separano lo spirito per unione di affinità 34 : poiché le cose s i m i l i sono attratte da quelle s i m i l i - quando non siano ostacolate - lo spirito brama, per propria natura, di essere sciolto dai vincoli del corpo e di far ritorno alla propria origine, ovverosia di essere riunito a ciò che gli è affine. Pertanto n o n deve meravigliare se la quinta virtù del vino e prima essenza attragga le v i r t ù di tutte le cose infuse in essa e le disaggreghi dagli elementi per soluzione del vincolo naturale, nel momento in cui g l i spiriti, per desiderio e azione, riescano a prevalere sulle componenti passive"35. Per elucidare u l t e r i o r m e n t e il senso di queste complesse metafore, sarà bene precisare che la conoscenza del "veicolo quintessenziale" per estrazione e separazione altro non è che la suddetta realizzazione progressiva di stati intellettivi maggiormente de-individualizzati rispetto alla coscienza corporea ordinaria, i n d i v i duata e di natura plumbeo-tellurica. Il carattere universale e unitario della virtù celeste quintessenziale, punto su cui m o l t o insiste il Dorn, è indice inequivocabile di 34 35

Per symbolisationem, dal greco CTU|a-(3dXA.co, porre insieme, u n i r e . Th. Chem., v o i . I, pag. 217. Corsivo nostro.

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questo status superindividuale in cui la coscienza sperimenta la continuità e l'unità micro- e macro-cosmica 36 . Anche l'affine dottrina indù degli "involucri" o "guaine" corporee n o n dovrebbe essere assolutamente intesa in senso letterale, ovverosia alla stregua di un "materialismo rarefatto", ma in quanto metafora di gradi di coscienza collocati su una scala ascendente, il c u i livello più basso è costituito dalla coscienza individuale ordinaria, soggetta al vincolo corporeo. Tuttavia, seppure potenzialmente reperibile ovunque, la quintessenza è assai difficile da estrarre. D o r n vuole suggerire quali possano essere i "punti d'accesso" meno impenetrabili, le "leve" per realizzare l'estrazione e la separazione. Si è detto che il veicolo dell'anima presiede, tra l'altro, alla funzione sensitiva e immaginativa. Se la purificazione dei sensi coincide con l'ascesi corporale descritta nella p r i m a parte della Philosophia Meditativa, l'ascesi immaginativa - già evidenziatasi anche nelle citazioni da Giamblico - rappresenta un argomento assai p i ù del i c a t o e complesso, e per ciò stesso t r a t t a t o in modo assai meno esplicito 37 . 36

Si confrontino, ancora una volta, le parole di Proclo (In Tim., I l i , 355, 918): "(l'uomo) è un microcosmo. Infatti, come l'Universo, egli dispone di un'intelligenza, una ragione ed un corpo divino, un corpo mortale, e le sue parti sono analoghe a quelle del Tutto. Donde alcuni affermano rettamente che la parte intellettiva dell'uomo corrisponde per rango alla sfera delle stelle fisse, che nell'ambito della ragione, la facoltà contemplativa corrisponde a Crono, la facoltà di governo a Zeus, e che entro l'ambito irrazionale, la facoltà irascibile corrisponde ad Ares, quella concupiscibile ad Afrodite, quella sensitiva al Sole, e quella vegetativa alla Luna, ed infine che il veicolo luminoso corrisponde al cielo ed il corpo mortale al mondo sublunare". 37 Per un serio approfondimento del ruolo svolto dalla vis imaginativa nell'opera alchemica non possiamo che rimandare agli o t t i m i scritti di Mino Gabriele. In Iconologia e immaginazione nel Sogno di Poliftlo (Conoscenza Religiosa, 1979, 1/2, pag. 106) egli osserva: "Immaginare significa 'agire con-

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Dorn, in molti dei suoi scritti, invita insistentemente il lettore a guardarsi dalle "false immaginazioni", o dal Serpente che introduce le proprie "fantasie" nel nostro 38 spirito incessantemente attivo . Egli è tuttavia altrettanto sollecito nell'incitare l'asceta a imprimere "nel cuore - come sigilli apposti nella cera - immagini e vi39 sioni contemplative di natura spirituale" . E osserva inoltre: "Al corpo non è data la facoltà di speculare, mentre l'anima, al contrario, adopera le silenziose opesciamente dentro se stessi attraverso rappresentazioni'. Il termine è composto dall'aggettivo latino imus (fondo, basso) e dal verbo agere (agire, guidare), ed esprime un'azione interiore, in 'profondità', che è poi detta creatrice in quanto le immagini da essa create sono il risultato di una combinazione consapevole di elementi fantastici e non fantasiosi". Non è possibile soffermarsi oltre su un argomento di tale vastità, assai r i levante tanto nella letteratura gnostica, neoplatonica, ermetica e misticoreligiosa dell'Occidente (si pensi già solo a Bòhme), quanto in quella islamica, persiana (imprescindibili gli scritti di Sohravardl) e nella disciplina tantrico-tibetana delle visualizzazioni (I Sei yoga di Nàropà) e il prezioso commento di Lama Tsongkhapa). Per ulteriori approfondimenti, oltre al saggio già citato, rinviamo al numero 1981, 2 (Immaginario e immaginale) della rivista Conoscenza Religiosa, contenente numerosi saggi sullo stesso argomento. Fra essi citiamo almeno quello di Antoine Faivre, L'immaginazione creatrice, funzione magica e fondamento mitico dell'immagine, pagg. 230-261, e quello di M i n o Gabriele, L'immaginazione in un inedito trattatello seicentesco di Giulio Rutati, pagg. 223-229. Suggeriamo inoltre: Henry Corbin, L'imagination créatrice dans le soufisme d'Ibn Arabi, Flammarion, Paris 1958; Manuel Insolera, La trasmutazione dell'uomo in Cristo nella mistica, nella cabala e nell'alchimia, Arkeios, Roma 1996 e ancora Mino Gabriele, Alchimia e Iconologia, Forum, Udine 1997. 38 De Duello Animi cum Corpore, in Th. Chem., voi. I, pagg. 478-479. 39 Passo già citato sopra. Ved. nota 16. Le parole di Dorn trovano perfetta corrispondenza in Sohravardì: "Quando l'immaginazione attiva è occupata nelle pratiche spirituali e si applica meditando alle scienze divine, essa è, allora, Albero benedetto (Corano, 24, 35), ove i rami sono altrettante specie di pensieri e su questi il frutto: luce di certezza. [...] D'altra parte, quando l'Immaginazione attiva [qui, la phdntasis], si esercita su quel ch'è oggetto di percezione sensibile, andando senza sosta da un capo all'altro dell'illusorio ... Essa è, allora, 'albero maledetto' ...". Sohravardl, L'arcangelo purpureo, Coliseum, Milano 1990, pagg. 85-87.

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razioni immaginative, che il corpo si impegna ad eseguire per imitazione del modello. La concezione è propria dell'anima, l'esecuzione del corpo" 40 . Anche nella Philosophia Meditativa il ruolo dell'immaginazione è r i badito "perché l'immaginare le cose dette in precedenza possa accendere in noi l'amore della verità". L'immaginazione, orientata dal "magnete" del desiderio, retto a sua volta dalla volontà solare, è per un verso il grembo entro cui "matura" l'embrione del corpo luminoso, per un altro il luogo deputato al p r i m o disvelarsi delle potenze celesti41. 40 41

Philosophia Chemica, in Th. Chem., voi. I, pag. 413. Ancora una volta, unitamente a Paracelso, è entro la tradizione platonica e neoplatonica che possiamo collocare l'orizzonte teorico-filosofico della concezione dorniana dell'uomo e delle sue facoltà. Già in Platone, infatti, l'immaginazione (phantasia) si presta non solo ad essere ricettacolo di pulsioni incontrollabili e di contenuti disarmonici ed irrazionali. Al contrario, qualora l'anima dell'uomo sia opportunamente mondata, l'immaginazione si fa specchio dell'Intelletto e strumento della divinazione. (Ved. M. Di Pasquale Barbanti, Ochema-Pneuma..., cit., pag. 52 e sgg.). Giamblico segue fedelmente Platone e a proposito dell'esperienza immaginativa instillata nell'uomo dall'alto scrive: "...la parte immaginativa dell'anima è ispirata dagli dei, perché non da sé, ma ad opera degli dei si sveglia alle forme diverse dalle immagini, soppressa totalmente l'umana abitudine". / misteri... cit., I l i , 133, 5-9. Questo venir meno dell'"umana abitudine" è particolarmente evidente nell'esperienza onirica. Secondo Sinesio (De Insomniis, cap. 4) all'abbassarsi della soglia dell'io cosciente, nel caso dell'anima purificata, possono far seguito esperienze anagogiche di autentica "incubazione divina". A tal proposito menziona dapprima un frammento degli Oracoli Caldaici (fr. 118): "Ad alcuni concesse di cogliere per apprendimento il simbolo della luce; altri, fin durante il sonno, fecondò della sua forza". Successivamente commenta: "Gli Oracoli Caldaici hanno bene suddiviso l'attribuzione dell'apprendimento. L'uno - dicono - viene istruito da sveglio, l'altro nel sonno; ma nella veglia è l'uomo che insegna, il dormiente invece lo feconda di sua forza il dio, così che l'apprendere equivale allora all'ottenere, fecondare essendo qualcosa di più del solo insegnare". In ambito platonico e persiano, a Sinesio farà eco il linguaggio mistico-visionario di Sohravardl: "Anche certi sogni son doppi imaginali di quel che l'anima contempla nei mondi super i o r i ; ove non sian facezie del demone della phàntasis". E ancora: "La

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La funzione dell'immaginazione è di capitale importanza per lo stesso Paracelso. E g l i r i m a r c a in p i ù di un'occasione come la fantasia n o n sia da confondere con l'immaginazione, la p r i m a essendo priva di qualsiasi potenza. L'immaginazione esprime, attraverso i propri contenuti, gli orientamenti della volontà 42 . Nel De virtute imaginativa così si esprime Paracelso: "L'uomo ha un laboratorio visibile, che è il suo corpo, e u n o i n v i s i b i l e , che è la sua i m m a g i n a z i o n e . Il Sole emette una luce che, anche se impalpabile e inafferrabile, può scaldare al p u n t o da accendere il fuoco per concentrazione; così l'immaginazione esercita i suoi effetti sulla sfera che gli è propria e fa germinare e poi svil u p p a r e forme t r a t t e d a elementi i n v i s i b i l i . Come i l mondo non è altro che un prodotto dell'immaginazione dell'Anima Universale, l'immaginazione dell'uomo (che è un piccolo universo) può creare le sue forme invisibili e queste possono materializzarsi" 43 . Un altro discepolo di Paracelso, M a r t i n Ruland 44 , definisce l'immaginazione "astrum in hominem, coeleste sive supracoeleste corpus". La definizione del Ruland rinvia alla pregnante teoria del pneuma phantastikón esposta parola 'sonno' designa uno stato in cui lo spirito si ritira dall'esteriore (l'essoterico) all'interiore (l'esoterico). Sul fedele - la cui immaginazione attiva persegua assidua meditazione del Malakùt - [...] sorgeran Luci: lampo che estasia l'una all'altra seguendo, per poi scomparire. Evento prodigioso che rapisce l'anima oltre la soglia del Mistero" (Sohravardl, L'arcangelo purpureo, cit., pag. 65 e pag. 97). 42 Ved. Alexandre Koyré, Mistiques, spirituels, alchimistes du XVI siede allentano., Gallimard, Paris 1971, pagg. 95-100. 43 Cit. in Serge H u t i n , La vita quotidiana degli alchimisti nel Medioevo, BUR, Milano 1991, pag. 203. 44 Lexicon Alchemiae, Frankfurt 1621, s.v. Imaginatio. Il Lexicon del Ruland riprende sistematicamente tutte le voci del Dictionarium dorniano, con l'aggiunta di ulteriori integrazioni.

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da Sinesio nel De Insomniis. Non bisogna nemmeno d i menticare ciò che si è già evidenziato in precedenza: ì'astrum è un p r i n c i p i o seminale, una potenza causale che estrinseca la propria potenza attraverso gli arcana. Questi d i m o r a n o a l o r o v o l t a n e l l a quintessenza. È inoltre da porre nel debito rilievo il fatto che per Ruland l'immaginazione sia un corpus, seppure di natura celeste. Sotto la voce Corpora Supercoelestia, Ruland aggiunge che questi si conoscono attraverso l'immaginazione, n o n attraverso g l i occhi corporei, e che sono i soggetti delle opere m i r a b i l i degli spagiristi. Ed ancora il Ruland ci soccorre nel definire cosa si debba intendere per Meditatio: "... ogni qualvolta si intrattenga un colloquio interiore con qualcun altro, che tuttavia non è visibile. Per esempio con Dio, nell'invocarlo, o con se stessi, oppure col proprio Buon Angelo". Le a l l u s i o n i alla v i r t ù seminale dell'immaginazione non sono infrequenti nei testi di alchimia 4 5 . Valga per t u t t i l'esempio del Novum Lumen Chemicum del Sendivogius. La ricorrenza del termine immaginazione e la valenza tecnico-meditativa non può sfuggire al lettore. "Come la Natura è nel volere di Dio che la creò e la i m pose ad ogni immaginazione, così la natura fece per sé il seme, cioè il suo volere negli Elementi" 46 . "(Prendi) un maschio vivo ed una femmina viva e cong i u n g i l i insieme, perché i m m a g i n i n o tra sé lo sperma atto a procreare il frutto della loro Natura" 47 . "Vi sono tutte queste cose e gli occhi degli u o m i n i volgari non le vedono, mentre gli occhi dell'intelletto e del45 Ved. 46

gli studi di Mino Gabriele citati sopra. M i c h a e l Sendivogius, Novum Lumen Chemicum, in Jean-Jacques Manget, Bibliotheca Chemica Curiosa, Genève 1702, voi. 2, pag. 465. 47 Ibid., pag. 468.

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l'immaginazione le percepiscono con una vista vera, verissima: i n f a t t i g l i occhi dei sapienti vedono la natura diversamente dagli occhi comuni" 48 . "Prima di accingervi all'opera, immaginate diligentemente ciò che cercate e quale lo scopo ed il fine del vostro proposito ..."49. "... vi è sempre abbondanza di sperma ad aspettare il seme che dall'immaginazione del fuoco lo conduce alla matrice attraverso i l m o v i m e n t o dell'aria. Qualora l o sperma penetri privo del seme, di nuovo fuoriesce senza frutto" 50 . " I n questo Elemento (l'aria) è i m m a g i n a t o un seme, per v i r t ù del fuoco, che vincola (constringit) il mestruo del mondo ..."51. " D i ciò è esempio l'anima, che immagina cose profondissime f u o r i dal corpo e che per queste è assimilata a Dio, che opera fuori del suo mondo e della natura, sebbene queste cose siano come una candela accesa al confronto della luce meridiana, poiché l'anima immagina ma n o n esegue se non nella mente, mentre invece Dio realizza le cose nel momento stesso in cui le immagina. [...] Pertanto Dio non è incluso nel mondo se non come l'anima nel corpo. Separata (dal corpo), ha il suo potere assoluto, così come l'anima di qualsiasi corpo ha la potestà assoluta e potenza autonoma di fare cose diverse da quelle che il corpo può concepire. Quindi, se vuole, (l'anima) ha la massima potestà sul corpo; diversamente la nostra Filosofia sarebbe vana"52. 48 Ibid., 49 Ibid., 50 Ibid., 51

pag. 471. pag. 474. pag. 480. Ibid., pag. 482. . " Ibid., pag. 484.

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Per concludere, è opportuno passare in rassegna alcuni tratti essenziali dell'anatomia microcosmica proposta dal Dorn. Dorn rispetta la tripartizione tradizionale della compagine umana in spirito, anima e corpo, impiegando il termine animus come sinonimo di spiritus. La scelta è probabilmente dovuta sia alla volontà di porre l'accento sulla complementarietà dinamica della diade animusanima, sia all'intenzione di non confondere il principio trascendente, infuso nell'uomo - spiritus - col principio vitale, spesso designato, nella letteratura alchemica p i ù tarda, col medesimo nome. È s i g n i f i c a t i v o osservare l ' e q u i l i b r i o di generi che, esprimendosi in latino, si instaura all'interno di questa triade. Animus (o spiritus) appartiene al genere maschile, anima a quello femminile, corpus al genere neutro. La sovversione dell'ordine armonico delle funzioni i r rompe nel momento in cui il principio femminile {anima) sia soggiogato al termine neutro {corpus), che a sua volta viene meno alla propria funzione di neutralità med i a t r i c e - il "sale a r m o n i a c o " , per e s p r i m e r s i n e l linguaggio alchemico - fra animus e anima, asservendo la seconda e imprigionando, oscurando il primo, vulnerato nella v i r t ù di fecondazione spirituale dell'anima. È il "Re ammalato" delle visioni alchemiche e delle leggende del ciclo del Graal, che giace passivamente finché l'uomo non sappia porre la retta domanda. Questa condizione di paralisi, di arresto, di inversione rispetto al r i t m o naturale entro cui si dispiega ogni virtus, è mirabilmente rappresentato in un'immagine simbolica tratteggiata dal Sendivogius nel dialogo del Novum Lumen Chemicum fra Saturno e l'Alchimista 53 . Secondo il Sen53

Tractatus de Sulphure, cit., pag. 489.

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divogius, lo Zolfo (Oro allo stato potenziale, spiritus dormiente) è prigioniero per volere di sua madre (Mercurio, anima non fecondata) in un "carcere tenebrosissimo" di cui Saturno {corpus) è giudice e prefetto. Saturno amministra la prigionia, ma non è il vero artefice. Il carattere di oscurità del corpo non è determinato da una qualità intrinsecamente e univocamente negativa - al contrario esso è, laddove assolva la propria funzione, il p r i n c i p i o neutro per eccellenza - bensì da un'errata collocazione gerarchica che perverte le rispettive funzioni. La sua giusta disposizione mediatrice rispetto alla diade animus-anima i l l u m i n a la neutra telluricità del corpo - testimone e m i n i s t r o delle avvenute nozze alchemiche fra animus e anima - innalzandola fino allo splendore del "corpo di gloria", specchio ed estrinsecazione manifesta dell'avvenuta congiunzione interiore. Nella prospettiva metafisico-tradizionale in genere, ed ermetico-alchemica in particolare, nessuna cosa creata può essere assolutamente malvagia. Il male nasce come incapacità a vedere, ignoranza, oscuramento. È frutto di un orientamento erroneo, di un per-vertere appunto la direzione e la disposizione dinamica delle cose. Tuttavia, l'impostazione del problema fatta valere da Dorn segue fedelmente il punto di vista platonico e neoplatonico. N o n dovrà pertanto indurre in errore il fatto che D o r n i n d i c h i l'anima e non il corpo come termine medio. Per corpo, si intendono qui primariamente g l i appetiti dell'anima r i v o l t i alla sfera corporea, grossolana e u n i l a t e r a l m e n t e esperita. Si i n d i c a cioè, per esprimersi nei t e r m i n i della d o t t r i n a i n d u i s t a e b u d dista, l'aspetto concupiscibile, la bramosia (kàma) che investe la dimensione corporea. Questa brama n o n è altro che una condizione mentale. Non a caso, Dorn afferma: " I n realtà, esso ( i l corpo) non può cercare di otte-

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nere alcunché se non grazie alla facoltà dell'anima che muove il corpo". L'anima, pertanto, è posta al centro di una contrapposizione di forze (spirito e corpo) che la traggono in direzioni diametralmente contrarie. Questa condizione di disordine centrifugo è il p u n t o di partenza dell'opus chemicum interiore, per cui la ricostruzione dell'ordine gerarchico "normale" è quella "fatica d'Ercole" che costituisce il passaggio obbligato verso la realizzazione degli stati di coscienza superiori. Poiché la cosmologia alchemica è una rappresentazione eminentemente dinamica, si evidenzia q u i , una v o l t a d i p i ù , come l e d e s i g n a z i o n i s i m b o l i c h e della triade spiritus, anima e corpus non possano essere assunte univocamente, e mutino invece il proprio significato secondo il contesto descrittivo. Nel p r i m o caso, l'equilibrio fra animus e anima, che si estrinseca centripetamente nel medio corporeo, partecipa, nell'apparente stasi di tale triangolazione, al movimento dinamico in direzione ascendente e spiraliforme, ossia a imitazione di un moto circolare cui sia stata i m pressa una direzione ascendente, donde segue la stessa t r a s m u t a z i o n e dei c o r p i . N e l secondo caso, la disarmonia gerarchica e funzionale dei t e r m i n i consegna il microcosmo umano alla condizione di convulso dinam i s m o , o r i z z o n t a l e e centrifugo, che si traduce, sul piano verticale, in una paralisi, nell'arresto della forma univocamente fissata. In quello stato, la "pietra" n o n potrà che essere - per usare le parole di Paracelso - una pietra orfana, "... come pietre che hanno g l i occhi ma non vedono, le orecchie ma n o n sentono, le n a r i c i ma n o n percepiscono i p r o f u m i . M u n i t e di bocca e lingua non parlano e non gustano, hanno mani e piedi ma non

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operano e non camminano. [...] Trasmutatevi da pietre morte in vive pietre filosofiche" 54 . Andrea Melis

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Philosophia Speculativa, cit., pag. 239.

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La filosofia meditativa è la volontaria separazione dal corpo dell'intelletto ben armonizzato, così che l'animo 1 possa p i ù facilmente rivolgersi alla conoscenza della Ver i t à . Per meditare rettamente, è necessaria una buona disposizione del corpo, in modo che non sia d'ostacolo all'intellezione 2 . Questa disposizione si ottiene in due modi: mediante la natura o grazie all'arte. La via naturale può essere p r o p i z i a t a attraverso il beneficio dell'arte, ed inoltre è possibile conseguire quanto, in un primo tempo, 1

Dorn impiega il termine animus come sinonimo di spiritus, primo termine della triade spirìtus-anima-corpus. 2 Traduco, qui e altrove, mens (concettualmente affine al greco voìJc.) con intellezione (ma si potrebbe parimenti rendere con intuizione intellettuale) giacché Dorn usa quasi sempre questo termine latino non già per indicare una facoltà, quanto piuttosto uno stato di coscienza qualificata verso la dimensione trascendente, un intus legere, un "leggere dentro", che penetra sino all'essenza delle cose, secondo la definizione di San Tommaso (S. Th., II, 2).

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fu in parte negato dalla stessa natura 3 . L'esercizio della ragione, la sobrietà del vitto e la medicina spagirica 4 rappresentano gli strumenti principali, che si impiegano, a questo fine, singolarmente o in associazione5. L'intelletto dicesi ben armonizzato quando l'animo è congiunto all'anima, in un vincolo tale da consentire il controllo delle brame corporee e degli impulsi. La buona disposizione del corpo consiste nell'immunità dai vizi che corrompono, e ciò riesce meglio quanto p i ù le parti che compongono il corpo abbiano raggiunto e ottenuto uno stato di equilibrio. Meno il corpo desidera ciò che gli è proprio, p i ù obbedisce all'intelletto. Qualsiasi cosa bramata dal corpo è corrotta. In realtà, il corpo non può cercare di ottenere alcunché se non grazie 3

L'Ars Regia, secondo un insegnamento frequentemente riproposto nei trattati ermetico-alchemici, è lo strumento atto a condurre al sommo compimento ciò che la natura ha espresso solo parzialmente e in forma non compiuta. Il processo alchemico è, in questo senso, condotto "oltre la natura", e in quanto agisce per retrogradazione contro l'impietramento delle forme individuate, esso è detto "contro natura". 4 L'aggettivo spagirico e il sostantivo spagina derivano dai verbi greci anàa, estrarre e àyeipco, unire. Molti autori di testi alchemici usano tale termine - spagiro, spagina - in senso spregiativo, a designare i "bruciatori di carboni" ossia coloro che cercano esclusivamente l'oro materiale anziché quello spirituale. Dorn invece impiega il termine nella sua accezione etimologicamente corretta, a indicare la tecnica dell'estrazione e della separazione, di capitale importanza nell'opera alchemica, fisica e spirituale, comunque la si voglia intendere. Nella Philosophia Speculativa, testo dorniano anteriore alla Philosophia Meditativa, ma in larga parte quasi identico, Dorn, nei passi sovrapponibili dei due testi, usa il termine alchimia al posto di spagina, a conferma del significato di sinonimo che gli attribuisce. 5 Si profila subito quella tripartizione della disposizione umana - necessaria a conseguire la saggezza - i n spagirica, morale e meditativa. Tale t r i partizione sarà apertamente enunciata e illustrata più avanti. A essa corrisponde in realtà una specie peculiare di medicina rivolta a ciascuna componente della triade spirito, anima e corpo. Si capisce come le prescrizioni etiche non siano da intendersi quali realizzazioni meramente morali, sibbene come disposizioni "tecnicamente" necessarie a rimuovere i vincoli.

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alla facoltà dell'anima che muove il corpo stesso. Questa, se non fosse degenerata rispetto alla propria natura originaria, agirebbe semplicemente per discernimento del bene o del male. Ma dacché in essa, in precedenza, s'insinuò la malizia, l'anima tende a soggiacervi a causa del corpo, a meno che non le opponga resistenza l'animo, che propende esclusivamente verso il bene. L'anima è posta fra il bene e il male. Possiede una propria facoltà di scelta del bene non certamente per sé ma attraverso il bene - così che ciò che fu tolto le è restituito - e del male attraverso sé soltanto. Cedendo e venendo meno il bene, e non altrimenti, si afferma il male, ossia per la c o n t i n u a resistenza che l'anima, trascinata dal corpo, oppone allo spirito, orientato esclusivamente al bene6. Per poter dedurre meglio queste cose a partire dal concetto di animo, bisogna ora riflettere sul motivo per il quale affermiamo che l'uomo sia composto di tre parti. Spesso spirito e anima sono nominati senza distinzione. N o i stessi, del resto, non poniamo fra loro alcuna differenza al di fuori degli aspetti accidentali 7 . Quando l'ani6

Dorn riprende qui una nota argomentazione metafisico-teologica secondo la quale il male non è altro che privatio boni, privazione del bene, così come la tenebra, nel suo aspetto negativo, è mera assenza di luce. L'argomentazione, di origine monistica, mira a sconfessare ogni dualismo ontologico fra bene e male, relativizzando il secondo. Il tema, in Occidente, fu ampiamente trattato in ambito neoplatonico, ed è poi stato ripreso ampiamente dai Padri cristiani. Plotino (Enneadi, I, 8, 3) afferma: "Se tali sono gli enti e tale è ciò che è al di là degli enti, il male non esiste né in quelli né in questo, giacché sia l'uno, sia l'altro è bene. Resta dunque che, se esiste, esiste in ciò che non è; e che sia una specie di non-essere e si trovi perciò nelle cose mescolate di non-essere o partecipanti al non-essere". Sant'Agostino si esprime così: "Tutte le cose sono buone e il male non è sostanza perché se fosse sostanza sarebbe bene" (Confessioni, V I I , 12). 7 II "corpo di gloria" rispecchia, sul piano della manifestazione, il frutto spirituale delle nozze fra animus e anima, o Sole e Luna. Nella mistica della

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ma segue il cammino dello Spirito Divino, e gli obbedisce rinunciando a se stessa, la chiamiamo animo o spirito, dal nome dello Spirito Divino cui è soggetta. Se al contrario essa oppone resistenza allo Spirito Santo che le i m prime il segno della salvezza, ed anzi ama se stessa, smarrendosi, allora la definiamo semplicemente e soltanto anima. N o n desideriamo che i nostri scritti siano intesi altrimenti, perché qualcuno poi non ci accusi ingiustamente di empietà. Empietà da cui invece tanto dista l'animo, che al contrario tenta di ridurre con tutte le forze questa a sé. Nell'uomo, l'animo è soffio di Vita Eterna. L'anima è organo dell'animo - o spirito - così come il corpo è organo dell'anima che a sua volta è vita del corpo per unione naturale. Parimenti lo spirito è vita dell'anima per unione sovrannaturale. Se q u i n d i l'anima, per consenso o assenso, aderisce maggiormente all'animo che al corpo, ne scaturisce l'intellezione e risorge l'uomo interiore, creato un tempo dal soffio di Vita Eterna a immagine di Dio 8 . Se al c o n t r a r i o l'anima aderisce maggiormente al corpo Cabala, Malkut, l'ultima Sefirah, rappresenta la terra, " i l regno", ed è complementare rispetto a Keter, "corona", prima espressione della Divinità nel suo aspetto trascendente. Il superamento di ogni differenza fra animus e anima sta qui a indicare il processo di androginazione spirituale. Nel Congeries Paracelsicae (Th. Chem., voi. I, pag. 509) Dorn afferma che Adamo non è altro che la "pietra animale", che "porta dentro di sé la sua invisibile Eva occulta". 8 II corpo è organo o funzione dell'anima nella misura in cui "esprime" l'attività della sfera psichica (anima). L'anima, per converso è, sul piano naturale, principio animatore del corpo. Parimenti, l'anima nella sua condizione di ricettività virginea è resa pregna per adombramento dello Spirito Divino che la vivifica mediante "unione sovrannaturale". La resurrezione dell'uomo interiore è ricondotta a un'immagine di fecondazione spirituale del grembo psichico-animico. Questo passo, ricco di risonanze mariologiche, è coerente con la marcata inflessione devozionale dell'intero testo dorniano.

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piuttosto che allo spirito, non resta altro che l'uomo esteriore e l'abisso delle tenebre esteriori contro natura. L'animo inoltre si compiace di tre cose: della ragione, dell'intelletto e della memoria. La ragione presenta all'intelletto l'immagine della speculazione e questo consegna agli arcani della memoria l'immagine che deve essere serbata. La Ragione Prima è l'ordine inviolabile e perpetuo dell'Intelletto Eterno. L'uomo è reso partecipe di tale ordine principalmente per dono di Dio e, insieme, dell'intelletto e della memoria che può essere considerata, in un certo qual modo, alla stregua di un'arca che conserva entrambi 9 . L'anima consta di due facoltà, il movimento e la sensazione. Il moto può essere naturale o accidentale. La sensazione è la percezione rispettivamente della cosa vista, udita, gustata, odorata o toccata attraverso l'organo pre9

II processo di generazione t r i a d i c a è r i p r o p o s t o anche a l l ' i n t e r n o d e l l o stesso a n i m o . La t r i a d e s p i r i t o , a n i m a e corpo, o zolfo, m e r c u r i o e sale, è trasposta sul p i a n o delle potenze i n t e l l e t t u a l i . La "ragione p r i m a " è evidentemente superiore alla ragione discorsiva (òiàvoiot) e rappresenta il "fiore d e l l ' i n t e l l e t t o " di neoplatonica m e m o r i a , fuoco i n t e r i o r e e d i v i n o ( i n greco, z o l f o = ^ e t o n = d i v i n o ) , f u l c r o dell'esperienza u n i t i v a . A esso spetta il r u o l o solare e fecondante d e l l o spiritus che i m p r e g n a l'intellectus-anima c o n le i m m a g i n i della speculazione. Questo carattere di speculum (specchio) rifer i t o all'intelletto rafforza la funzione femminile, lunare e ricettivo-riflettente di q u e s t ' u l t i m o , nei c o n f r o n t i d e l l ' a t t i v i t à solare e l u m i n o s a del P r i n cipio. L a m e m o r i a è r a p p r e s e n t a t a a l l a s t r e g u a d i " u n ' a r c a che conserva ent r a m b i " ( r a g i o n e e i n t e l l e t t o ) . S a p p i a m o che la nave e il c a r r o , in q u a n t o " v e i c o l i " , sono sovente i m p i e g a t i c o m e m e t a f o r e d e l c o r p o . L a m e m o r i a , come il corpo dell'uomo, rappresenta la concrezione "salina" del vissuto i n d i v i d u a l e , i l p u n t o d i e q u i l i b r i o , stabilizzazione e preservazione dell'esper i e n z a . C o n o s c i a m o p a r i m e n t i l a v i r t ù d i conservazione p r o p r i a del sale, circostanza che rafforza la parentela s i m b o l i c a fra m e m o r i a , c o r p o e sale. È p e r ò evidente che in questo specifico caso si a l l u d e al r i c o r d o , a l l a fissazione di un'esperienza d a l carattere i l l u m i n a t i v o , e q u i n d i a u n a presentificazione dei c o n t e n u t i s p i r i t u a l i , in breve al "sale della sapienza".

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posto. Perciò le membra corporee, grazie alle quali l'anima percepisce le sensazioni, sono propriamente dette organi di senso. Inoltre la percezione dei sensi consegna alla memoria, mediante la rappresentazione delle cose presenti, il ricordo di quelle passate. Questa facoltà (sensitiva) è comune agli uomini e agli animali irrazionali. I n fatti trattengono nella sensazione soltanto quelle stesse cose che si mostrano nei contenuti percettivi presenti. A l t r a è t u t t a v i a la radice p i ù nobile della memoria 1 0 . Essa gestisce la suddetta memoria senza alcuna rappresentazione mediatrice ma soltanto per il diligente e continuo movimento dello spirito mai ozioso, che oltretutto la mantiene perennemente giovane. La continuità della memoria accompagna lo sviluppo della ragione e questa 10

Dorn, ancora una volta seguendo Platone (Filebo, 34 A-C), distingue la funzione della memoria meramente "conservativa delle sensazioni" dalla parte più nobile, strumento della reminiscenza, unica dimensione conoscitiva atta a serbare, come lo stesso Dorn osservava poco sopra, "l'ordine i n violabile e perpetuo dell'Intelletto Eterno". In Plotino, l'irriducibile alterità di queste due caratterizzazioni della facoltà memorativa è esasperata fino al punto di rottura. La contemplazione dell'Uno comporta che l'uomo dissolva il personale bagaglio di esperienza, con tutto il cumulo di sedimentazioni affettive e concupiscibili che esso comporta. "Tale è l'ombra di Eracle nell'Ade: quest'ombra, nella quale - io penso - dobbiamo vedere noi stessi, ricorda le imprese compiute nella vita: poiché a quest'ombra appartenne soprattutto la sua vita [...]. Ma che cosa abbia detto l'Eracle vero, l'Eracle senz'ombra, questo non è detto. Ma che cosa potrebbe dire quest'anima una volta libera e sola?" (Enneadi, IV, 3, 27). (Al lettore che abbia familiarità con le metafore della letteratura ermetica non sfuggiranno le assonanze col linguaggio operativo dell'alchimia sia nel richiamo a Eracle, le cui fatiche designano le prime fasi della solutio alchemica, sia nell'immagine dell'ombra, ricollegabile proprio alla componente "fecciosa" e grossolana da rimuovere attraverso la solutio). La qualificazione della memoria, sempre per Plotino, si rivela nell'orientamento che a essa si vuole imprimere. " I l ricordo delle cose terrene la sospinge quaggiù, mentre quello delle cose celesti la trattiene lassù: in generale l'anima è e diventa ciò di cui si ricorda. Il ricordo è per noi un pensare o un immaginare ..." (IV, 4, 3).

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prerogativa appartiene esclusivamente all'uomo. Pertanto la sensazione è una facoltà animale, mentre la ragione è propria dell'intelletto, sicché le bestie non intendono se non per presenza della sensazione. G l i animali razionali, invece, intendono mediante l'intelletto mosso dalla ragione o mediante la sensazione, sia posteriormente a questa sia simultaneamente 11 . D'altra parte l'animo e il corpo sono realtà opposte e inconciliabili giacché non possono essere congiunti che per mezzo dell'anima 11

Questo indebolimento del vincolo temporale, che caratterizza l'apprendimento speculativo e i processi memorativi - privilegio della creatura umana - rappresenta un punto maggiormente significativo e pregnante di quanto si potrebbe ritenere. È una prima forma di inconsapevole "soluzione", sia rispetto ai vincoli spaziali, sia per quanto concerne l'irreversibile sequenzialità temporale dell'esperienza. L'alchimista fa intenzionalmente e immaginalmente leva sul proprio corpus d'esperienza psicofisica e affettiva, imprimendogli volontariamente direzioni altre, fino alla dissoluzione sistematica dei vincoli. Si ricordi, a solo titolo di parziale esemplificazione concreta, e astenendoci da un pur doveroso approfondimento del p i ù vasto tema della reminiscenza pitagorica e platonica, la disciplina della rimemorazione a ritroso, ossia una sorta di regressio indefinita, praticata dagli adepti del pitagorismo e tramandataci da Giamblico {Vita Pythagorica, X X I X , 164 e sgg.). Se il tempo presente è la dimensione privilegiata del desiderio (la componente concupiscibile dell'anima, secondo Platone) e quindi del flusso genesiurgico e centripeto rispetto all'Essere, è altresì vero che il punto di penetrazione del presente stesso, inteso come perfezione intemporale, si realizza, nell'ambito dell'ascesi alchemica, mediante uno sviluppo bidirezionale ma solo apparentemente divergente, i cui poli sono costituiti per un verso dalla regressio ad uterum (o reincrudamento dei metalli fino allo stato indifferenziato) e, per un altro verso, dalla "maturazione" forzata - e vorticosamente accelerata rispetto al decorso temporale della Natura dei metalli interiori mediante le "rotazioni", atte a completare la realizzazione di una forma nuova e perfetta in seguito alla dissoluzione della forma decaduta (ved. ancora la nota 3, sull'opera condotta "contro natura" e "oltre natura"). Questa controdirezionalità, paradosso sovrarazionale dell'alchimia, converge in realtà nel trascendimento del tempo stesso attraverso la perfectio intemporale (ved. nota 41) che può essere fatta coincidere, sul piano microcosmico-umano, al punto di congiungimento fra la ripristinazione del Paradiso terrestre e il principio dell'edificazione della Gerusalemme Celeste.

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intermedia, partecipe di ciascuno dei due avversari. Dato che dei due estremi uno è perfetto e l'altro è imperfetto, se il m o t o avviene a partire dal termine perfetto, passando attraverso il termine medio, la perfezione giunge sino al termine imperfetto e viceversa. Dunque Dio pone insieme, sistematicamente, tutte le cose, perché da tre d i vengano una cosa sola, ed Egli è effettivamente artefice di pace e unione, irrealizzabili ove non sussista contrapposizione di almeno due cose12. Due realtà sono sempre avverse finché non siano unificate mediante il ternario e rese amiche attraverso l'unità. L'animo esiste nel medesimo modo per t u t t i , ma n o n t u t t i lo assecondano alla stessa maniera 13 . Perciò l'intellezione n o n è pari né identica per t u t t i . Sono pochissimi coloro la c u i a n i m a sia congiunta con l ' a n i m o . M o l t i quelli che in misura differente sono partecipi dell'intellezione. Ancor p i ù sono quelli che, facendo dimorare l'anima nel corpo e il corpo nell'anima, non conoscono l'an i m o né ascoltano i suoi m o n i t i . Per essi n o n esiste alcuna intellezione, bensì follia anziché ragione e sapienza. L'intellezione è propiziata adeguatamente quando accade che l ' a n i m o e l ' a n i m a , in a r m o n i a , siano accolte dal corpo, in modo che da queste tre cose ne scaturisca una soltanto, inseparabile e consonante. Ma tale amicizia non può essere realizzata altrimenti che per mezzo della divisione, senza la quale non può compiersi l'unione. L'Uno è per propria natura unico, giacché quando resta tale non 12

II modo di porre il problema richiama palesemente il Timeo platonico e la teoria del medio proporzionale in esso esposta (31 B e sgg.). Questa concezione prelude a sua volta alla teoresi sulla generazione dell'Anima del Mondo. 13 Non sappiamo se Dorn fosse cattolico o protestante. Certamente questo e altri passi sono in netto contrasto con la dottrina protestante concernente la predestinazione.

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può essere congiunto o unito ad altro. Se tuttavia bisogna congiungerlo ad altro, occorre che quest'altro sia separato traendolo dall'Uno, in modo che nulla esista oltre l'Uno. E poiché le parti dell'Uno sono contrassegnate dall'Uno, ovverosia possiedono un legame di simpatia con esso, facilmente possono anche essere ricondotte all'Uno. Ciò avviene tanto p i ù agevolmente quanto meno le parti sussistano separatamente dall'Uno, per scarso grado di affinità. Per questa ragione occorre che l'intelletto sia distolto dal corpo, così che entrambi possano in seguito d i morare insieme. Poiché l'unione chiede di compiersi in maniera perfetta, bisogna, come dissi sopra, che il movimento avvenga dalla parte perfetta in direzione di quella imperfetta, in modo che quest'ultima sia resa migliore. Grazie a questa possibilità di distogliere la mente dal corpo, che alcuni chiamano morte volontaria 14 , l'animo e l'anima, congiunti insieme, acquisiscono la potestà e il dominio sul corpo, cosa che in precedenza non era possibile al solo animo, dal momento che l'elemento medio - che rende possibile il m o v i m e n t o s o v r a n n a t u r a l e (dall'animo verso il corpo) - era riluttante. I nemici non 14

La disciplina filosofica intesa come "morte volontaria" è ampiamente descritta e trattata da Platone nel Fedone (64-68). Ne proponiamo, a titolo di esempio, un paio di passi. "Tutti coloro che praticano la filosofia in modo retto rischiano che passi inosservato agli altri che la loro autentica occupazione non è altra se non quella di morire e di essere morti. [...] E allora, non è evidente, innanzi tutto, che il filosofo, diversamente dagli altri uomini, per quanto riguarda questo genere di cose, cerca di liberare l'anima dal corpo, quanto più gli è possibile?". In Occidente, posteriormente a Platone, la tradizione scritta intorno alla morte volontaria è assai cospicua. Tralasciando i ben noti precetti neotestamentari, in ambito più specificamente neoplatonico è Macrobio, nel Commento al Sogno di Scipione a dedicare svariate pagine a questo problema. Riecheggiando Platone e chiosando Plotino afferma tra l'altro: "Quelle anime che si sciolgono dai vincoli del corpo in virtù della morte filosofica, mentre ancora permane il corpo, vengono i n trodotte nel cielo e nelle stelle" ( I , 13, 10).

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possono essere r i u n i t i che in virtù un elemento di separazione, neutro rispetto a ciò che crea discordia, ma anche strumento di unificazione per quanto concerne la conciliazione di entrambi. I n o l t r e , e per la stessa ragione, ne r i s u l t a i n f i c i a t a l'astronomia giudiziaria nel momento in cui ci insegna che gli astri possono far propendere verso qualcosa. I n fatti gli astri non possono avere nessuna potestà sugli i n telletti umani, per i quali sono stati creati, essendo questi u l t i m i creazione n o b i l e e di gran lunga superiore. E anche se volesse, ciò che è meno nobile non potrebbe mai agire su ciò che è p i ù nobile. Se invece il corpo umano prevale sull'anima e la assoggetta al corpo corruttibile, dal m o m e n t o che i corpi degli astri sono p i ù n o b i l i di quelli degli u o m i n i , non sarò io a negare che per s i m i l i corpi (gli astri) sia possibile imprimere le proprie passioni sui corpi umani 15 . In breve, la mente del saggio do15

La convinzione che gli astri determinino integralmente gli eventi umani, anziché essere immagine celeste delle virtualità latenti (fauste o infauste), è in realtà una "superstizione" prevalentemente moderna. Questa superstizione, per quanto ciò possa apparire sorprendente, non ha riscontri nell'astrologia tradizionale, almeno in quella non ancora "recisa" dalle proprie radici metafisiche, giacché, come si evince dalla stessa argomentazione del Dorn, proprio di errore metafisico si tratta. La polemica di Dorn è in realtà una ripresa di temi assai cari a Paracelso. Questi riteneva che l'immagine celeste fosse una "profezia", una "rappresentazione anticipata" dei comportamenti umani. L'astrologia paracelsiana agisce soprattutto all'interno del teatro microcosmico. È l'uomo, attraverso la propria disposizione volitiva e immaginativa, a determinare l'orientamento causale degli astra che dimorano nel suo firmamento psichico. I corpi celesti sono soltanto il simulacro materiale dei principi causali (astra) che l'uomo stesso concorre a determinare. Mentre l'uomo spiritualmente differenziato è superiore alle cause astrali (vir sapiens dominabitur astris, ricorda Paracelso e ripete qui Dorn) l'uomo "tellurico", al contrario, precipita inesorabilmente in un circolo di succubanza. Per un verso egli è come un grembo entro il quale le "segnature" astrali nefaste possono imprimersi e proliferare. Per un altro verso, la veemenza immaginativa dell'ente concupiscibile e irascibile di tale tipo

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minerà g l i astri, quella dell'ignorante non sarà soggetta solo a questi bensì a tutte le cose inferiori e ad ogni tormento. Saggio è colui che, una volta realizzata l'intellezione, sappia dimorare in essa. Ignorante invece è colui che ama il corpo nell'anima, o l'anima nel corpo, senza aver cura dell'animo, come testimonia la Parola Divina: chi ama la sua anima (nel corpo, si intende) in verità la perde, e chi la odia (come sopra) la custodisce nell'eternità 1 6 . Ama l'anima nel corpo c o l u i che soggiace agli appetiti perversi. Al contrario ama il corpo nell'anima chi non soggiace a tali appetiti ma si diletta in vacue fantasie. Odia la sua anima nel corpo colui che sa frenare gli appetiti del corpo. Odia il corpo nell'anima colui che sa scacciare e sradicare immediatamente i vani pensieri delle proprie fantasie. Tale è dunque l'itinerario per unificare prima l'anima e lo spirito in modo da realizzare l'intellezione. Questa, tuttavia, spesso è denominata anima o spirito, ma nominandone una non escludiamo l'altro, dal momento che consideriamo già compiuta l'unificazione. Tuttavia bisogna r i levare che l'unione non è perfetta se non quand'è inseparabile e in effetti possono essere posti insieme g l i elementi p r i m i di un'unione che in seguito non consegue il proprio scopo. Perciò è possibile che l'intellezione sia r i tenuta p i ù o meno imperfetta. Coloro che hanno ragg i u n t o l ' i n t e l l e z i o n e perfetta sono p o c h i s s i m i , m o l t i d'uomo, determina a sua volta, sempre secondo Paracelso, un vero e proprio "avvelenamento degli astri" esaltandone l'aspetto infausto e l'inesorabilità dell'assoggettamento. Per ulteriori approfondimenti dell'opera e del pensiero di Paracelso, ved. Walter Pagel, Paracelso, Il Saggiatore, Milano 1989. 16 Allusione a Matteo, 10, 39: "Chi vuol serbare la vita, la perderà; e chi perde la vita per causa mia, la troverà".

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quelli che si sono avviati a essa, ancor p i ù coloro che ne sono totalmente privi. La buona disposizione del corpo, seppure n o n necessaria in assoluto, è assai utile per la vera contemplazione. Il corpo, a cagione della sua natura corrotta, il cui i n flusso è totalmente malsano, vincola e ostacola l'anima, impedendole di percepire le azioni dello spirito. Alcuni godono in via naturale del dono di una migliore predisposizione a realizzare tale separazione, poiché accidentalmente, in loro, nessuna, ovvero pochissima corruzione si aggiunse alla corruzione naturale. Meno inclini sono coloro che ostacolano la ragione, oltre che per l'originaria corruzione, a causa della propria negligenza e per conduzione dissoluta della propria vita. Tali sono coloro che, coinvolti nelle preoccupazioni mondane, ignorano le cose eterne extramondane. Ma tali sono anche coloro che abusano oltre il lecito di quanto la natura ha donato loro. Se dunque una data cosa può costituire un ostacolo, la rimozione della stessa può invece rappresentare un giovamento. E vi sono perciò alcune specie di medicina, che sono attivate dai loro stessi corpi mediante l'arte spagi17 rica, la più nobile di tutte le arti . Queste (specie di medi17

1 passi seguenti espongono alcuni dei fondamenti della medicina omeopatica paracelsiana, che agisce sottilmente e per legame analogico, anziché per contrasto. Medico è colui che conosce e sa riconoscere le signaturae, le qualità specifiche impresse nelle sostanze, nei minerali e nelle erbe, in modo da poterne stabilire l'impiego terapeutico in ragione della signatura specifica di ciascun morbo. Pagel (cit., pag. 121) osserva anche: "La farmacologia paracelsiana è basata sulla separazione. Con questo si intende l'isolamento della specifica virtù - arcanum - che ha una specifica azione su una o più malattie". Il legame di continuità e corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo è garante della scienza stessa delle segnature. Attraverso l'identificazione dell'arcanum sottile che caratterizza una sostanza specifica, il terapeuta può agire miratamente sull'astrum (principio causale) del firmamento microcosmico affine a essa, in modo da ricomporre quell'equilibrio il cui turbamento fu all'origine della forma patologica. La subtilitas del farmaco esclude interventi devastanti sul piano fisiologico.

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c i n a ) , grazie alla n a t u r a l e forza a t t i v a , t r a t t e n g o n o quanto è presente nel loro corpo, per natura e in seguito alla rimozione della componente passiva, e su un corpo estraneo possono compiere cose ancor p i ù straordinarie di quanto la natura consentirebbe loro di ottenere sui propri corpi. Qualsiasi realtà naturale possiede forma e materia ed è volta a giungere alla perfezione entro l'ambito del proprio genere, dal momento che il desiderio innato 1 8 è causa principale di tutte le forme di perfezione. E poiché la natura gode e si compiace nel congiungersi alla natura consimile, quando l'intelletto riesce a imporsi con l'ausilio di una medicina affine a sé, il corpo è costretto ad adeguarsi a quella stessa natura 19 . Parimenti se il corpo avrà il sopravvento, sostenuto dalle cose a l u i affini che portano corruzione, sarà l'anima per prima a soccombere. Affinché tutto ciò non sembri assurdo a qualcuno, aggiungerò che qualsiasi nutrimento è mutato in sangue dell'essere nutrito, mantenendo la stessa natura complessionale dell'essere che è divenuto cibo. La natura ci fornisce l'esempio nel fatto che chi si nutre della carne di animali feroci spesso diventa a sua volta molto feroce. La 18

Si è già detto che la cosmologia alchemica consiste in una visione dinamica della Natura. Il desiderio innato è il principio di perfezione verso cui ogni forma tende, per cui, ad esempio, si ritiene che i metalli, nel grembo della terra, subiscano un processo di "maturazione" che li condurrà fino allo stato aureo. L'oro, quindi, è il "desiderio innato" dei metalli. 19 II principio farmacologico della separazione è fatto valere da Dorn tanto sul piano corporeo, quanto su quello morale, psichico e spirituale. La disciplina medica è metafora, e addirittura parte stessa della terapeutica animica e spirituale. La separazione spagirica è il principio aureo dell'alchimia - tanto fisica che spirituale - per cui la restaurazione della forma originaria, cui è volto il processo di separazione, è la premessa per edificare una forma nuova e ancor più nobile. Martin Ruland così definisce l'alchimia nel suo Lexicon Alchemiae (cit., pag. 26): "L'alchimia è la separazione della parte impura da una sostanza più pura".

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natura non assume come nutrimento null'altro al di fuori di ciò che è p i ù sottile. Ciò che è grossolano e feculento è rimosso ed espulso attraverso gli escrementi. Inoltre la natura espelle qualsiasi secrezione di nutrimento superfluo attraverso i pori, col sudore, attraverso la vescica o per mezzo delle lacrime. Questo indusse Paracelso ad affermare che ciascun membro del corpo possiede il proprio stomaco - in cui il nutrimento viene digerito - e che in esso avviene la separazione del superfluo dal necessario20. Se per debolezza dello stomaco di qualche membro, durante la cattiva d i gestione, la superfluità non viene separata agevolmente, questo nutrimento eccedente fa sì che o la carne o le ossa di tale membro si dilatino oltre la dimensione naturale, generando un tumore, oppure gonfiandosi. Il medicamento filosofico non lascia traccia di alcunché di grossolano o superfluo. Ciascuna parte del corpo assume l'intero medicamento e senza separazione lo trasforma in natura simile a sé, priva di superfluità. Parim e n t i i l medicamento i m p r i m e l a p r o p r i a natura i m mune da degenerazione e superfluità, convertendo ogni cosa in natura incorrotta. 20

Come si è ripetutamente osservato, la separazione è il principio spagirico che guida l'intero discorso dorniano, principio esplicantesi anche sul piano fisico. A proposito dello stomaco, Paracelso osserva: "Quando somministri una medicina, è lo stomaco che deve preparartela ed esso è un alchimista. È possibile allo stomaco fare in modo che gli astri accettino la medicina, in tal modo essa viene diretta; se ciò non avviene, essa resta nello stomaco e fuoriesce con gli escrementi. [...] Ed ecco che ora l'alchimia è lo stomaco esteriore che prepara per l'astro quel che g l i è proprio" (Liber Paragranum, cap. I I I ) . HArcheus è il principio di organizzazione e specializzazione delle forme viventi, che presiede alla funzione "digestiva" di estrazione e assimilazione della parte sottile del nutrimento. Il Vulcano è l'elemento agente, il vero e proprio artefice alchemico della trasformazione per sottilizzazione.

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La natura incorrotta è un balsamo 21 naturale di lunga vita, insito naturalmente in ogni corpo, simile, nella natura, al medicamento spagirico. Grazie a questo balsamo, il colore e l'umore naturali, o radicali, per quanto è possibile, sono preservati dalla corruzione. Quando il balsamo viene a mancare, il corpo umano è affetto da lebbra, e quando esso si rafforza, per aumento, ciò che già era degenerato per mancanza del balsamo, è espulso attraverso le secrezioni. Dunque il medicamento spagirico differisce da quello volgare finora impiegato per il fatto che il secondo, una volta condotto nello stomaco insieme col suo corpo e coi relativi malanni, è digerito e separato in modo non d i verso rispetto agli a l t r i cibi, con disagio e nausea naturale. Il medicamento spagirico, con grande sollievo, al di là di ogni digestione, si trasforma subito in umido radicale caldo e balsamo, entrambi naturali. Occorre dunque che le tre parti principali del corpo fisico siano alimentate e rigenerate grazie alle cose affini. Pertanto ne deriva che il cibo e la bevanda quotidiani sono assunti insieme coi propri corpi, poiché sono naturalmente destinati a essere non già medicamento ma nutrimento degli elementi. Infatti ciascun elemento è nutrito da un elemento affine, ma tutte le cose convengono insieme e si conservano in equilibrio grazie all'elemento etereo, a cui ci sforziamo di conformare il p i ù possibile il nostro balsamo e le componenti a esso associate. Vi è infatti nel corpo umano una sostanza affine all'etere che conserva e preserva in esso le altre p a r t i elementari. Pertanto lo s p i r i t o del medicamento spagirico, congiunto alla propria anima e separato dal corpo grossolano e impuro, una volta che questo sia stato purificato e di nuovo ricongiunto al corpo per mez21

Per Paracelso il balsamo è ciò che preserva i corpi dalla corruzione.

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zo dell'anima, trasmuta le parti mentali, e perfino quelle sottili e vitali in una sostanza simile a sé, preserva anche il corpo fisico dalla degenerazione e protegge da ogni malanno. Non neghiamo che la nostra medicina sia corporea, ma diciamo che essa è resa sottile 22 , per opera dello spagirista, allorché il fisso sia reso volatile, e il volatile fisso. Certamente il corpo fisico non può essere curato da un corpo migliore di quello spagirico, né la mente umana può essere meglio ordinata di quanto possa esser fatto con la disposizione spagirica e meditativa, e in ogni caso in seguito al dono della Grazia divina 23 . Da tutte queste cose concludiamo che la filosofia meditativa consiste nel realizzare la separazione 24 del corpo mediante l'unificazione del mentale 25 . E questa p r i m a unificazione non è ancora sufficiente a creare il saggio, ma soltanto il discepolo intellettuale della Saggezza. La seconda unione dell'intelletto col corpo crea il Saggio, che f i n dalla p r i m a u n i o n e spera 26 e attende la terza unione, completa e beata27. 22

Spiritalis, n e l senso di sottile, n o n grossolana. È evidente, q u a l o r a sussistesse ancora la necessità di r i m a r c a r e tale assunto, che la prassi alchemica fisica e quella spirituale, secondo il p u n t o di vista paracelsiano e tradizionale in genere, n o n sono assolutamente s c i n d i b i l i . Ó g n i a c q u i s i z i o n e s u l p i a n o s p i r i t u a l e si r i v e r b e r a necessariamente nella dimensione corporea, né la p r i m a p u ò realizzarsi grazie alle sole forze d e l l ' u o m o , senza l'intercessione d i v i n a . 24 E m e n d o superatione, del testo, c o n separatione, d a l medesimo passo proposto anche nella Philosophia Speculativa. 25 R i t r o v i a m o anche nell'ascesi dello yoga questo i t e r di u n i f i c a z i o n e d e i c o n t e n u t i m e n t a l i , disposizione per c u i la mente è detta essere "fissata su u n solo p u n t o " (ekàgra). L a fissazione e c o n c e n t r a z i o n e i n u n solo p u n t o (ekàgratà) è anche u n a delle p r i m e tecniche yoga per arrestare il flusso i n c o n t r o l l a t o dei c o n t e n u t i sensoriali e m e n t a l i . 26 E m e n d o separantem, del testo, c o n sperantem, dal medesimo passo p r o posto anche nella Philosophia Speculativa. 27 Ovverosia, ovviamente, l'unione con D i o . 23

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Voglia Dio Onnipotente che t u t t i noi possiamo divenire tali e che Egli sia uno ed unico in t u t t i . Peraltro, qualora si cerchi di realizzare l'intellezione, si sappia anche che essa, come del resto la fede, è in realtà un dono gratuito di Dio. E questo vale per tutte le v i r t ù . Ciò non significa che non ci si debba impegnare per acquisirle, giacché Dio non esaudisce gli ignavi e i pigri, ma al contrario respinge le loro preghiere al pari di bestemmie28. Certamente, da parte degli uomini, grande sarebbe la follia nel chiedere il pane a Dio senza voler arare e produrre. N o n sarebbe meno folle desiderare e attendere l'intellezione senza sviluppare nessuna attitudine per acquisirla. Ancor p i ù grande la follia di chi fosse tanto ignorante da credere che la Grazia di Dio possa essere ottenuta con la sola fatica, senza implorarla prima. Dio colma i devoti con la sua benedizione, quando essi chiedono le cose migliori, e non esaudisce i negligenti anche se chiedono. Chiedere (veramente) significa domandare non solo con la bocca ma col cuore e con trasporto emotivo. Quindi, prima di dirigerci verso il primo grado della filosofia meditativa, ho ritenuto opportuno raccomandare ai discepoli sia l'implorazione dell'ausilio divino, sia un fervente zelo, nel disporsi interiormente a ricevere la Grazia. F i n q u i si è detto di questa disposizione soltanto, e la Grazia deve essere veramente richiesta a colui che dona la luce, Dio Ottimo Massimo. E poiché di questa disposizione, ottenuta mediante l'arte, tre sono le parti principali, ossia spagirica, morale e meditativa, si è reso necessario, in questa trattazione, approfondire tale disposizione in ciascun ambito 29 . 28

Questo esplicito attacco ai fondamenti della dottrina protestante è ancora più aperto e marcato rispetto alle precedenti allusioni. Ved. nota 13. 29 Ancora una volta Dorn ribadisce l'inscindibile unità dell'opus.

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È impossibile che l'uomo malvagio possegga quel tesoro, nascosto ai figli della sapienza, e che invece l'uomo giusto sia scarsamente qualificato a cercarlo e ancor meno a trovarlo. Nel corpo umano è nascosta una certa sostanza metafisica, nota a pochissimi, che n o n abbisogna di alcun medicamento, e che è essa stessa medicamento puro 30 . Invero, giacché essa è oppressa e ostacolata dalla degenerazione del proprio corpo e quindi esprime a stento la propria virtù, i filosofi scoprirono, grazie a una certa ispirazione divina, che questa v i r t ù e vigore celeste poteva essere liberata dai suoi vincoli, non tramite una q u a l i t à c o n t r a r i a , come insegnano i miscredenti, ma grazie a una affine. Quando ciò che corrispondeva a questa sostanza fu rinvenuto sia nell'uomo sia fuori di l u i , i saggi ne dedussero che le cose simili fossero da rafforzare con quelle simili, con la pace piuttosto che con la guerra, e che le cose contrarie fossero da respingere mediante i contrari. Per ottenere, attraverso l'arte, la buona disposizione del corpo fisico ci avvaliamo del r i m e d i o spagirico con cui evitiamo l'alterazione che sfocia nella digestione naturale e nell'espulsione. Ciò avviene allorquando la natura possa operare attraverso una forma rafforzata internamente. Questa è la preparazione del nostro corpo col metodo spagirico, grazie al quale, ostacolando il processo di corruzione, perveniamo p i ù facilmente alla separazione. Quindi il lettore attento concluderà che, dalla filosofia meditativa in primo luogo, attraverso quella spagirica fino alla vera sapienza il cammino è assai sicuro. Procediamo dunque verso la separazione volontaria. Grazie alla sua completa preparazione, il corpo potrà esNuovo riferimento al balsamo (ved. nota 21).

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sere facilmente separato dalle altre parti, nel momento in cui l'anima, su consiglio dell'animo, g l i neghi qualsiasi cosa esso desideri al di là della necessità fisica. In seguito a questa separazione, mediante la continua dedizione alla filosofia morale si ottiene la prima unione dello spir i t o con l'anima. Ho dovuto anteporre l'esposizione di questi insegnamenti, così che gli studiosi attenti potessero comprendere per quale ragione avessi messo i n sieme la meditazione con la morale e con la fisica, e in quali m o d i esse debbano essere confrontate individualmente, ma anche affinché i lettori non potessero dire che io abbia collocato entro un labirinto di dubbi l'ingresso verso ciò che si deve poter intendere. Ma l'animo, che attende alla disciplina meditativa, ci i n cita verso il primo grado della filosofia meditativa. La disciplina meditativa consiste nell'attenta ricerca del vero, e nell'oblio delle cose mondane, quantunque necessarie, secondo la Parola Divina: p r i m a d'ogni altra cosa chiedete il Regno di Dio, senza preoccuparvi di ciò che dovete mangiare e bere, o degli indumenti. Infatti il vostro Padre che è nei Cieli sa che cosa occorre agli u o m i n i . Tutte le cose di cui avete bisogno vi saranno date, qualora obbediate, dediti soltanto alla Parola di Dio 31 . Se quindi, per meditare realmente, occorre non curarsi anche delle cose necessarie, e allontanarle risolutamente da sé, ancor più, ogniqualvolta insorgano durante la meditazione le preoccupazioni mondane e i pensieri vani volti alle cose i n u t i l i che soffocano i l b u o n seme, bisogna scacciarle v i r i l mente32 con le parole del Signore che ci insegnò essere ef31 32

Parafrasi di Matteo, 6, 25-34. Se nel discorso immediatamente precedente, riferito all'implorazione della Grazia, Dorn ha messo l'accento sull'aspetto umido dell'opera - sull'esaltazione del principio mercuriale, lunare, ricettivo e femminile nella sua

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ficacissime in ciò: allontanati subito da me, Satana 33 , nulla mi accomuna a te, desidero essere interamente di Dio, cui mi sono votato. M a i l p r e m i o dell'opera consisterà nel comprendere cosa sia vero e cosa necessario. Vero dunque è l'Essere da cui nulla è escluso, al quale nulla può essere aggiunto o ancor meno può esser contrario. Questo può essere soltanto il Verbo di Dio, intorno al quale deve incentrarsi i n teramente la nostra meditazione, se vogliamo conoscere tutte le cose celesti e terrestri più misteriose, più u t i l i e lecite. Necessario è ciò di cui non possiamo assolutamente fare a meno, come il vitto e g l i i n d u m e n t i per coprirci. Superfluo, tutto ciò che è al di là della necessità. M o n dano è non soltanto tutto ciò, ma qualsiasi cosa sia suggerita o insinuata dal diavolo per cupidigia corporea, come loglio fra il grano, il cui scopo è far sì che ci allontaniamo dalla Verità divina per impedirci di dimorare in essa. M a la Verità è Virtù eccelsa e Fortezza inespugnabile, cui sono fedeli pochissimi amici, e che tuttavia ingenera t e r r o r e i n i n n u m e r e v o l i n e m i c i . Quasi t u t t o i l mondo 34 la tratta con estremo odio, mentre il solo Agnello Immacolato la difende come realtà insuperabile. Pegno i n d u b i t a b i l e e certo per coloro che trovano r i f u g i o in Essa, r i p a r o assolutamente sicuro. E n t r o questo baluardo giace l'autentico tesoro. Questo, non intaccato da t a r l i né saccheggiato dai ladri, sarà trasportato da qui, valenza di purezza devozionale - l'avverbio viriliter allude invece all'attivazione del p r i n c i p i o solare, maschile, aureo, emendato dalle lebbre sulfuree e c o l l e r i c o - m a r z i a l i dell'ego autoreferente. La m a r z i a l i t à contraffatta si trasfigura nella "santa collera" verso il male. 33 Parafrasi di Matteo, 4, 10. 34 E m e n d o modus, d e l testo, c o n mundus, d a l m e d e s i m o passo p r o p o s t o anche nella Philosophia Speculativa.

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dopo la morte, e conservato in eterno35, in quel tempo in cui tutte le altre ricchezze dell'intero mondo scompariranno e saranno destinate a divenire nulla, poiché dal nulla furono create. E purtuttavia esse paiono preziosissime al volgo, giacché l'uomo animale non comprende cosa possa condurlo verso la rovina oppure verso la salvezza. La Verità è un tesoro perpetuo, cosa v i l i s s i m a per il mondo, disprezzata da m o l t i , mentre invece i saggi non l'odiano affatto, e anzi l'apprezzano p i ù dell'oro e delle gemme. Essa ama t u t t i , e t u t t i la respingono come nemica, reperibile ovunque ma rinvenuta da pochi o da nessuno quasi. Essa dice a t u t t i nelle strade: "Venite a me, voi t u t t i che cercate la strada, vi condurrò verso il vero sentiero". Questa è la cosa annunciata tanto solennemente dai veri sapienti, che vince tutte le cose e che non è sconfitta da alcuna cosa. Penetra ogni corpo, ogni cuore duro, consolida ciò che è molle e rafforza in resistenza ciò che pure è già assai forte. Essa si palesa a t u t t i noi eppure non la vediamo. Parla ad alta voce dicendo: "Sono la Via della Verità, passate t u t t i attraverso me, giacché per giungere alla vita non vi è altro che me, autentica porta d'accesso e transito". Ma non la vogliamo ascoltare. Promana un profumo di dolcezza ma non lo percepiamo. Si offre a noi generosamente, giorno dopo giorno, nei banc h e t t i , attraverso un sapore gradevole, ma n o n la gustiamo. Blandamente ci trae verso la salvezza, ma noi, r i l u t t a n t i e fingendo di non avvertire la sua spinta, passiamo oltre. Qualsiasi cosa faccia, siamo come pietre che hanno gli occhi ma non vedono, le orecchie ma non sentono, le narici ma non percepiscono i profumi. Munite di 35

Riferimento a Matteo, 19, 21; Marco, 10, 21; Luca, 18, 22.

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bocca e lingua non parlano e non gustano, hanno mani e piedi ma non operano e non camminano. Misero tale genere d ' u o m i n i che non è m i g l i o r e delle pietre, ma di gran lunga p i ù infelice, perché loro e non quelle dovranno rendere conto delle proprie azioni! "Trasmutatevi - dice la Verità - da pietre morte in uomini vivi e saggi 36 . Io sono la vera m e d i c i n a che r e t t i f i c a e trasforma le cose in ciò che erano prima della corruzione, e assai meglio ancora, e trasmuta le cose, da ciò che non sono, in quello che devono essere. Ecco che g i o r n o e notte busso all'ingresso della vostra coscienza e non mi aprite. Tuttavia attendo mite e non mi allontano da voi, ma sopporto pazientemente le vostre i n g i u r i e , desiderando, grazie alla pazienza, ricondurvi a essa con l'esortazione. Venite dunque, venite, vi imploro ancora p i ù i n sistentemente, qualora siate in cerca della saggezza. E acquistate, senza pagare, né con l'oro o con l'argento o ancor meno con le vostre fatiche, ciò che vi è generosamente rivelato". Voce sonora, dolce e gradita alle orecchie dei filosofi. Oh, fonte inesauribile di ricchezze e giustizia per coloro che hanno sete! Oh, sollievo immediato dai colpi inferti da coloro che seminano desolazione! Che cosa chiedete oltre, m o r t a l i in affanno? Perché vi acceca la follia, dal momento che tutto ciò che cercate fuori di voi in realtà desidera dimorare in voi stessi? Il vizio del volgo consiste propriamente in questo, che nel momento in cui disprezza le cose che g l i appartengono, desidera le cose estranee. Consideriamo di nostra proprietà ciò che usurpiamo e di cui ci appropriamo. Ed i n f a t t i da n o i stessi non traiamo nulla di buono, ma se 36

Ved. Prima lettera di Pietro (2, 7). "Pure voi, simili a pietre viventi, siate edificati come edificio spirituale". Ved. nota 75.

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possiamo avere qualcosa di buono, lo riceviamo solo da Colui che è buono. Al contrario, qualsiasi cosa vi sia di male in noi, ce ne appropriammo traendolo da un male estraneo, per disobbedienza. N u l l ' a l t r o appartiene all ' u o m o al di là del p r o p r i o male. Ciò che possiede di buono lo ottiene non da se stesso, ma soltanto grazie al Bene, qualora sappia accoglierlo. La Vita, Luce degli uom i n i , brilla in noi, sebbene velatamente, così come nelle tenebre. Essa deve essere ottenuta non da noi stessi, seppure dentro di n o i , ma da Colui c u i appartiene, che si degna di dimorare in noi, quando lo rendiamo possibile. Egli insediò qui, in noi stessi, quella Luce, perché potessimo vedere il l u m e nel Suo L u m e che ospita la Luce Inaccessibile, e perché primeggiassimo fra le Sue creature, rese s i m i l i a L u i dal momento che ci donò la scintilla della Sua Luce. La Verità va dunque ricercata non in noi ma nell'immagine di Dio che è in noi. D'altronde, per poter definire la Verità in modo appena soddisfacente, domando che cosa sia presente nell'Uno, che pure non vi partecipi o che gli si possa contrapporre, dacché n u l l a esiste oltre l'Uno stesso? Chi potrebbe ignorare che nulla, che sia perfetto, sussiste al di là di quell'Uno soltanto, giacché non può essere d i m i n u i t o o accresciuto, ma abbondando in v i r t ù e potenza può elargire doni a t u t t i coloro che ne hanno b i sogno, senza intaccare la propria abbondanza? Che cosa esiste, i n f a t t i , oltre quell'Uno soltanto che a ogni cosa concede d'essere ciò che è, ma che a sua volta non riceve l'essere da altri? E invece Esso è tutto l'Essere che può e deve essere, nulla gli si può opporre e nulla può esistere al di là dello stesso. Che cosa esiste realmente, oltre la Verità, dal momento che la sola Verità rappresenta quell'Uno che solo è veramente.

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Il falso, invece, poiché n o n è altro che ciò che è contrario al vero, non necessario di per sé, non sussiste altrimenti che per privazione della vera essenza e non è altro che ciò che veramente non è. Donde alcuni concludono che il peccato e la morte n o n siano alcunché, dal momento che non derivano dall'essere, ma dalla privazione della vera essenza37. Q u i n d i il peccato è privazione del Bene e causa efficiente della morte, perché la morte è p r i vazione di Vita, che è il fine del Bene. Dal Bene deriva il pungolo della Verità, su cui non prevarranno g l i artigli della m o r t e , e c o n t r o c u i è arduo resistere per chicchessia, quantunque recalcitrante. Chiunque desideri aggiungere qualcosa alla Verità sarà costretto a sostituire, con qualche velame, qualcosa di falso al vero, perché la Verità, che si cinge del solo manto della perfezione, non teme di apparire senza velame. E se il nostro primo progenitore non avesse abbandonato questo manto di giustizia, n o n avrebbe neppure temuto di apparire nudo, quale in precedenza non appariva, e nemmeno poteva essere, munito di tutto il decoro della Verità. Privato dunque del manto perpetuo della Verità, si procacciò un falso manto di foglie d'albero, e rivelò da sé il proprio errore quando, al cospetto del Signore disse: "Sono nudo, Signore". E Dio - mosso a pietà verso colui che, timoroso, riconosceva di aver perso la Verità, per disobbedienza, in cambio dell'abito corrotto della felicità terrena - stabilì di donargli la veste nuziale della gloria eterna, mediante suo Figlio, che asserì e manifestò palesemente di rappresentare per noi la Via della Verità e la Vita. Con la sua morte, di cui non ebbe timore, ci liberò dalla morte perpetua cui t u t t i avremmo dovuto, giustamente, essere soggetti. Ve37

Ved. nota 6.

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dete fratelli quale sia il frutto della Verità, sì che anche nei confronti dei suoi nemici è benefica e mite, solo che la sappiano riconoscere. Tutti peccammo con Adamo, ma sono pochissimi fra noi - quasi nessuno in realtà - coloro che confessano, assieme a l u i , la propria nudità. E ciascuno al contrario desidera non solo apparire perfetto ma anche pretende d'esserlo, magari pur essendo il peggiore fra t u t t i . Così, anche vestito sfarzosamente, di lino scarlatto e porpora, ancor p i ù appare nudo. Dal primo desiderio del Progenitore ereditammo questo vizio, che la nostra carne p i ù d'ogni altra cosa desideri, per diritto o col sopruso, sapere, conoscere, possedere ed essere adorata come un idolo. E questo è il p i ù alto i m pegno degli uomini di questo secolo, e per gli stessi, come fu per Adamo, è cosa rovinosa. Né mancano tra noi coloro che, dopo la caduta di Adamo, si dedicano alla parte peggiore, e non diversamente da quello, fuggendo il volto del Signore, cercano ansiosamente i segreti delle tenebre esteriori. Questa mancanza di fede, così come conduce alla disperazione, ancor p i ù abbisogna poi di penitenza per far r i t o r n o verso la luce della Verità. Al contrario la Verità non è soggetta ad alcuna potestà né ad alcun potere mondano, perché niente le si può opporre, dal momento che è la vera e sola forza che supera la potenza del mondo intero. E se il corpo di colui che possiede la Verità fosse fatto in mille pezzi, nulla patirebbe il suo animo che anzi godrebbe in quel martirio: quella sola è la V i r t ù e la forza che pochi riescono a realizzare appieno. Per compagni ha la Giustizia e la Pietà, congiunte per vincolo i n separabile d'unione. La Pietà è Grazia concessa per volere divino, ed insegna a ciascuno a conoscere realmente se stesso. La Giustizia è in realtà la retribuzione e la restituzione di ogni cosa a colui al quale spetta: chiunque possieda veramente queste Virtù è p i ù ricco di tutti. Inoltre la

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Pietà a p p o r t a pace e m i s e r i c o r d i a , cose di c u i a v r e m o m o d o di trattare p i ù ampiamente a suo tempo. V e d i a m o o r a di cercare di c o m p r e n d e r e cosa sia la necessità. N o n p o s s i a m o essere c o m p l e t a m e n t e p r i v i d e l v i t t o e d e g l i i n d u m e n t i , che p e r t a n t o , c o m e d i c e v a m o p r i m a , sono cose assolutamente necessarie. Chiunque i n vece, anche qualora possa disporne, p u ò fare a m e n o sia delle delizie del cibo e delle bevande, sia del lusso e dello sfarzo degli i n d u m e n t i . Queste cose, i n f a t t i , n o n sono necessarie, m a , al c o n t r a r i o , superflue. P o c h i s s i m i i n o l t r e osservano l a necessità f i l o s o f i c a : c h i , che n o n sia f o l l e , n o n fa fronte m a l v o l e n t i e r i alla necessità volgare, e desidera altresì essere p r i v o soltanto di ciò che n o n p u ò ottenere per d i r i t t o o per prepotenza? I n realtà i l volgo g i u d i c a t u t t e le cose s u p e r f i c i a l m e n t e e secondo le apparenze. E quasi nessuno è r i c o n d o t t o al vero, nel m o m e n t o in c u i l'odiata Verità, con veste lacera, si rivela. In questa epoca, p i ù possono l'abito splendido, i m o n i l i , le collane e i g i o i e l l i rispetto alla stessa Verità e alla Saggezza. E n o n è s i n g o l a r e che n e l m o n d o , assieme a l l a s o m m a Saggezza, sia stata creata la stoltezza, in realtà contro la Saggezza? Le Sacre S c r i t t u r e lo attestano. G l i u o m i n i saggi di questo m o n d o celebrano la Verità stessa, Cristo e l'aut e n t i c a Saggezza, p e r c h é n o n s o n o cose e s t r a n e e a l m o n d o eppure lo trascendono. Barabba il ladrone, i n f a t t i , a m a g g i o r r a g i o n e f u scelto, i n q u a n t o c o r r o t t o t r a t t o f u o r i d a l m o n d o . Perché dunque c i s t u p i a m o s e i l m o n d o , nel m o m e n t o in c u i è fatto oggetto d'indagine assieme alla stessa Verità, aborrisce sì come veleno g l i uom i n i esperti delle autentiche arti? G l i stessi saggi seguaci di quel m o n d o a m m e t t o n o che la verità p r o c u r a l'odio, e l'ossequio g l i a m i c i 3 8 . Se avessero sottinteso che FosseTerenzio, Andria, 68.

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quio sia preferibile solo allo scopo di propiziare il favore, potremmo scusarli come persone che si dolgano dell'odio della verità. E invece, con la loro dottrina, sembra soprattutto che si comportino da parassiti per ambizione, piuttosto che voler consacrare liberamente gli u o m i n i verso la v i r t ù e la verità, senza speranza alcuna di lucro, o alla ricerca dell'altrui amicizia. E bisogna allora convincersi del fatto che le cose estranee alle nostre meditazioni debbano essere allontanate come fermento diabolico. Vediamo che in questo secolo ferreo39, qualora qualcuno si a v v i c i n i alla Luce i n v i r t ù d i m e d i t a z i o n i autentiche - grazie alle insospettabili fonti dell'autentica filosofia - e inoltre faccia questo per beneficio comune, ebbene, qualora non sia concorde con la falsa dottrina dei Greci 40 e dei miscredenti, costui soprattutto - poi che bevve il nettare di quell'ardore - è tenuto sprezzantemente a distanza dagli stessi miscredenti, dato che quella dottrina da filosofi senza fede fu generata priva d'ogni fondamento. D i temi dunque, o u o m i n i giudiziosi, come potrebbe accadere che un miscredente sprovvisto d'ogni autentico lume possa portare ad altri la luce della Verità? Entrarono in possesso della conoscenza umana e mondana, che oggi, per somma stoltezza è tenuta in considerazione alla stregua di Dio, proprio perché non proviene da Dio. E tuttavia, ciascun genitore tormenta il figlio, nell'adole59

Allusione alla dottrina, esposta nella Teogonia esiodea, delle quattro età del mondo (oro, argento, bronzo e ferro) di cui l'ultima, quella del ferro appunto, è la più buia. 40 Per Greci, Dorn intende i seguaci di Aristotele. Nella Philosophia Speculativa, l'allusione ad Aristotele è anche resa violentemente esplicita (Th. Chem., voi. I, pag. 242). Allo stesso indirizzo, Paracelso aveva rivolto polemicamente la sua Philosophia ad Athenienses. Entrambi identificano nell'aristotelismo, e in alcune propaggini della Scolastica medievale, i prodromi di una filosofia della natura puramente operativa, priva di fondamento metafisico e spirituale, ovverosia ridotta a mero dominio del mondo materiale.

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scenza, perché la apprenda al meglio. E comunque, se accadesse che un falso filosofo conversasse con un saggio autentico, dedito alla meditazione, subito trasalirebbe in i n s u l t i , disprezzando ogni cosa buona e vera, solo che n o n l'avesse udita in precedenza dal p r o p r i o maestro: come se non vi fosse nulla di buono e vero oltre a quanto è scaturito da miscredenti che ignorano la Verità. Infatti, con l'ausilio del lume della Verità, si può realizzare, in un solo anno o in un solo momento, l'intellezione speculativa 41 , p i ù di quanto possa la fatica assidua e improba di un uomo privo di quel lume, qualora abbia cercato la luce presso coloro che ne sono totalmente p r i v i . Ma vediamo quale sia la d o t t r i n a morale dei f i l o s o f i p r i v i di fede. Questi ripongono il sommo bene nel vivere agiatamente, ovverosia nella v i r t ù e nell'utilità 42 . Ritengono che la v i r t ù 41

Dorn contrappone fieramente la conoscenza illuminativa, intemporale e realizzantesi per intuizione divina, agli esiti incerti e transitoriamente "umani" della ragione discorsiva, e, peggio ancora, della dialettica sofistica. La prima si dà esclusivamente entro quello che Paracelso chiama "tempo perfetto". " I l pentimento, infatti, si colloca nell'eternità, cioè nello spirito, e non nel passeggero, che è il corpo; esso, quindi, non è associato con una cifra che indica un anno, né con numeri che contano buone azioni, tutti term i n i che appartengono a cose corporee e non spirituali. Lo spirito è perfetto e nessun l i m i t e è posto al tempo perfetto. Se lo spirito è nel pentimento anche solo per un momento, questo è sufficiente a causa della sua perfezione. Nelle azioni del corpo, invece, non basterebbe, poiché esso non è perfetto e con lo scorrere del tempo appare evidente che non può raggiungere la perfezione" (citato in W. Pagel, cit., pag. 71). Il tempo perfetto altro non sarebbe, per esprimersi con Platone, che la realizzazione del tempo come immagine dell'eternità. 42 La polemica sembra ora spostarsi contro l'Epicureismo, assai genericamente inteso. La ragione di questa indistinta associazione di correnti filosofiche ed etiche in realtà assai eterogenee, si motiva, nella prospettiva tradizionale propria del Dorn, nel loro essere soltanto "filosofia", ossia espressione di punti di vista che non oltrepassano l'ambito soggettivo. La polemica non è retoricamente antipagana, ma consapevolmente antiumanistica e antisecolare. Prova ne sia che dai bersagli polemici del Dorn sono esclusi, a titolo di esempio, Pitagora e Platone, e sono invece incluse le conventicole

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risieda preminentemente nell'ambire onori e l o d i , e stimano utile produrre e conservare ricchezze per diritto o col sopruso, con la guerra e col sudore. È evidente che questi u o m i n i si aspettano che dopo la loro morte non resti ai posteri che la fama, gli onori e l'ammirazione attraverso il ricordo delle loro gesta. Negando, e in parte ignorando la resurrezione, inventarono le m i l l e favole raccolte in poemi privi d'ogni verità - verità di cui furono assolutamente all'oscuro - sulla rovina degli u o m i n i e sulla loro stessa fine. Ecco per quale dottrina è necessario che coloro che mostrano di possedere competenza e t i t o l i per qualsiasi arte e facoltà detestino i conoscitori delle autentiche arti 43 . E tuttavia, se l'esperienza pone dinnanzi ai loro occhi la verità, qualora essa non sia comprovata dall'opinione di coloro che mai ne fecero esperienza, ciò che è vero è rifiutato in cambio del falso, mentre lo stolto, e chiunque affermi di voler professare la verità, è tenuto in grande considerazione. E qualora qualcuno svilisca giustamente g l i autori vacui, tosto gli allievi di costoro a d d i r i t t u r a minacciano g l i u o m i n i , o di supplizio, o di u n i v e r s i t a r i e coeve, i d e a l m e n t e e c o n c r e t a m e n t e eredi d e l l a m i s c r e d e n z a c o n t r o c u i egli s i scaglia. I n a l t r i s c r i t t i , specialmente quando t r i b u t a apertamente p a r i venerazione alla rivelazione mosaica e alla Tavola Smeraldina a t t r i b u i t a a E r m e t e Trismegisto (ved. Physica Genesis e Physica Trismegisti, in Th. Chem., v o i . I ) , D o r n m o s t r a di aderire a u n a visione universale della V e r i t à , collocantesi al di sopra della contingenza storica, geografica e r e l i giosa. 43 Ars sine scientia nihil, così recitava un a n t i c o m o t t o , ad intendere l ' i n consistenza conoscitiva di qualsiasi ars dissociata dalla scientia delle cause p r i m e e d e i f i n i u l t i m i , scientia che dovrebbe guidare e orientare l ' i m p i e g o di qualsiasi techne. A tale p r o p o s i t o , vedi il m a g n i f i c o saggio di A n a n d a K. Coomaraswamy, Ars sine scientia nihil, incluso nella raccolta // grande brivido, A d e l p h i , M i l a n o 1987. Questo insegnamento, comunque, era t u t t ' a l t r o che estraneo alla d o t t r i n a di Paracelso. Si vedano i t r a t t a t i // fondamento della sapienza e L'invenzione delle arti, a c u r a di B r u n o Cerchio, Il Leone Verde, T o r i n o 1998.

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quel gran disdoro, che chiamano cavalcatura dell'asino. E nel frattempo i medesimi non si avvedono del sollievo che provano nel cavalcare ogni giorno, attraverso i vicoli, i mostri sodomitici degli asini, generati contro natura per la malizia degli u o m i n i e contro il precetto divino, in ossequio al quale, un tempo, fu vietato che i pastori consentissero di far accoppiare a n i m a l i di specie diverse 44 . E cosa potrà opporre la stessa Verità contro le loro minacce dal momento che, come affermano, essa procura l'odio verso i suoi assertori e l'amicizia verso gli adulatori che la tacciono? Poco, ma si addice al filosofo l'andare incontro alla morte piuttosto che negare la Verità. In tutte le circostanze i cristiani la devono tenere come il p i ù alto bene. Beati coloro ai quali è concesso dal Cielo di perseverare in essa fino alla fine, cosa che a pochissimi (ahimè) è data. Chiediamo a Dio che di questo solo ci renda parte44

1 mostri sodomitici sarebbero i m u l i , p r o d o t t i dall'accoppiamento di cavalle e a s i n i . L'antica legge b i b l i c a vietava questo t i p o di procreazione eterogenea. " N o n a c c o p p i a r e a n i m a l i d i specie diversa, n o n s e m i n a r e n e l t u o c a m p o semenze di specie diverse" (Levitico, 19, 19). Anche E l i a n o (La natura degli animali, X I I , 16) osserva: " I l m u l o i n f a t t i n o n è u n a creatura della n a t u r a ; p o t r e m m o d e f i n i r l o u n a n i m a l e che l ' i n t e l l i g e n z a u m a n a h a p r o d o t t o , valendosi sfrontatamente di mezzi f u r t i v i e a d u l t e r i n i " . Questa s p u n t o p o l e m i c o d e l D o r n , che a p r i m a v i s t a p o t r e b b e essere r i d u t t i v a m e n t e l e t t o c o m e i n d i c e d i o s c u r a s u p e r s t i z i o n e , h a invece u n i n d i r i z z o s i m b o l i c o ben m i r a t o . La perversione, tanto sul p i a n o materiale, quanto su q u e l l o i n t e l l e t t u a l e , d e l l ' o r d i n e s t a b i l i t o per v o l o n t à d i v i n a , i n t r o d u c e u n fattore a r b i t r a r i o e l u c i f e r i n o di d i s o r d i n e e disgregazione d e l Cosmo. La trasgressione di un precetto concernente le species n a t u r a l i e il fatale o b n u b i l a m e n t o , per confusione, delle q u a l i t à e delle segnature impresse nelle creature, è i n d i c e di u n a violazione assai p i ù profonda e insidiosa che D o r n n o n manca di adombrare. Segnalata ancora da E l i a n o ( i b i d . ) , la sterilità dei m u l i - incapaci di r i p r o d u r s i in quanto l'utero delle f e m m i n e sarebbe "inadatto a ricevere il seme" - potrebbe essere interpretata come l'esito inevitabile di qualsiasi generazione forzata e "mostruosa". Si r i f l e t t a anche sul significato s i m b o l i c o della p r o i b i z i o n e , sancita dagli insegnamenti di alcune t r i b ù pellerossa, di "violare" i c a m p i con l'aratura.

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cipi. Così, come a proposito dell'ardore si dice che si generi nell'animo attraverso la volontaria separazione realizzata grazie alla meditazione, apprendiamo che l'opera spagirica deve realizzarsi alla stessa maniera attraverso essa. E infatti nell'opera spagirica è necessaria la ricerca della verità delle cose naturali, verità che si cela entro il loro lato nascosto. Pertanto, il vero centro spagirico deriva dalla natura delle cose generate. In esso si nasconde ogni virtù, la verità della cosa stessa, e la potenza da condurre in atto attraverso quest'arte. E perché ciò avvenga, è necessario che (le cose generate) siano divise nelle parti superiori e inferiori, che entrambe vengano purificate, e che solo a quel punto si realizzi, attraverso i mezzi spagir i c i delle operazioni, la r i d u z i o n e in u n i t à , o unione. Q u i n d i i l l a v o r o spagirico, cioè i l p r i m o grado verso l'unione spagirica, consiste nella divisione della cosa, ossia nella separazione45. La separazione degli elementi è duplice, quella degli elem e n t i p i ù p u r i dagli i m p u r i , la sola separazione veramente spagirica, e la separazione delle qualità dementali, nota e familiare a t u t t i . La natura, tuttavia, opera mediante la sola commistione 46 con due uniche operazioni, ossia l'alterazione e l'animazione 47 . Tratteremo le singole operazioni in seguito, ma diciamo ora cosa sia la separazione del p u r o d a l l ' i m p u r o . In certi c o r p i avviene me45

Ved. note 4, 17 e 19. Come osservato in precedenza, l'aspetto "contronaturale" dell'alchimia consiste proprio nel far regredire ogni composto naturale fino allo stadio "prenatale". 47 Ovverosia, il movimento nel tempo e nello spazio, determinazioni ontologiche di ciascun essere creato. Il lettore osserverà come, da questo punto in avanti, per un tratto consistente del testo, si evidenzi un brusco scarto nel registro espositivo, retorico e lessicale, scarto già segnalato nel nostro saggio introduttivo. 46

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diante i corpi stessi, in altri grazie a un veicolo 48 . Sebbene in t u t t i i corpi generati dalla natura vi sia un'essenza celeste che chiamano quintessenza49, in nessun corpo, come dicono i filosofi, è tanto abbondante quanto nel vino. Pertanto lo scelsero per rendere p i ù facile la separazione, e non perché la sostanza tratta dal suo corpo sia p i ù potente di quella estratta da qualsiasi altro corpo. Infatti la v i r t ù è universale e differisce solo per la varietà dei soggetti cui aderisce. Una volta libera, ritorna alla sua unità. Questo è il solo, fra gli arcani della natura, grazie al quale gli spagiristi attinsero alle cose p i ù alte50. Del resto non bisogna lasciarsi fuorviare dalla parola "vino", poiché ve ne sono due, quello filosofico 51 e quello volgare. Quello f i losofico può essere estratto da qualsiasi corpo naturale. Quello volgare si vende nelle taverne. Da qualsiasi corpo, se v o r r a i , separerai lo spirito e l'anima. Prima di t u t t o proviamo a insegnare qualcosa sul vino filosofico con l'aiuto di un esempio. Si prendano dei chicchi di grano, d'orzo, o di frumento di prima qualità 52 , acqua di fonte o piovana, o un'altra qualsiasi in cui possano macerare per gonfiarsi. Li si accumulino e lascino così finché, dopo qualche giorno, li si riscaldi e comincino a germinare. Quando saranno apparsi questi segni, li si distenda, così da lasciar evaporare, con l'essiccazione, l'umido superfluo. Dopodiché, siano triturati grossolanamente con una mola. Si riponga in un vaso di legno la farina ottenuta, la 48 Ved. saggio introduttivo, pagg. 21 e sgg. 49 Ved. saggio introduttivo, pagg. 25 e sgg. 50 Ved. saggio introduttivo, pagg. 26 e sgg. 51

A proposito del "vino dei Savi", Pernety afferma che esso è " i l loro mestruo o dissolvente universale, e la vite da cui si estrae è una vite che ha una sola radice" (Dictionnaire Mytho-Hermétique, Paris 1758, s.v. vino). 52 Non vi possono essere dubbi sul fatto che il passo si riferisca allegoricamente a una prassi di alchimia spirituale (ved. saggio introduttivo).

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si cosparga d'acqua bollente 5 3 e si chiuda il vaso. Una volta che il liquido si sia raffreddato e abbia riposato 54 , lo si coli con un setaccio, o con un sacco, in modo che sia intorbidato il meno possibile dalla farina. A questo punto, aggiungi alla medesima farina altra acqua bollente, come in precedenza, e filtra: ripeti questo processo di aspersioni e filtraggi, finché percepirai che tutta la sostanza dei grani è stata trattenuta in acqua, cosa di cui p o t r a i renderti conto assaggiando infine l'acqua e la farina. Fai bollire tutto il l i q u i d o , cosicché, mediante evaporazione, raggiunga la consistenza del miele. In questo modo hai preparato il vino filosofico dal grano, che puoi ottenere da qualsiasi altro seme, finanche dai più aridi, che possono essere separati grazie a sé medesimi mediante scottatura 55 . Si dice che questa separazione è realizzata per mezzo di un veicolo. Per il resto, da questo vino filosofico, attraverso la distillazione, separerai l'anima che, insieme allo spirito, ascende in alto dal corpo, e sublimerai molte volte lo spirito e 53

Ferventissima, nel testo latino. Un altro dei paradossi teorici dell'alchimia consiste nel fatto che il mezzo per conseguire l'estrazione è, a sua volta,la prima sostanza da estrarre. La soluzione del paradosso è pratica e si fonda sul principio sperimentale secondo cui l'opus ha una progressione circolare, cosa che lo stesso sviluppo spiraliforme del Caduceo suggerisce. Tanto l'immagine del vino, quanto quella deìi'aqua ferventissima, designano il processo di congiunzione e androginazione del principio igneo con l'acqua, processo simboleggiato anch'esso dall'intrecciarsi delle due serpi lungo la verticale del Caduceo. L'ignificazione del mercurio (aqua ardens, termine con cui Raimondo Lullo definisce anche lo spirito quintessenziale del vino) corona la stabilizzazione del mercurio (inteso come coscienza dell'indifferenziato), una volta che questo sia stato sottratto alla condizione di fissità (coscienza individuale) e liberato daH"'ombra". A proposito del fuoco ermetico, misterioso agente, indispensabile durante il corso dell'intero opus, Theobaldus de Hoghelande, nel De alchemiae difficultatibus, propone questo enigma: " I l nostro fuoco è spiaggia marina, sangue umano non completamente combusto e succo rosso d'uva" (Th. Chem., voi. I, pag. 180). 54 Quieverit. 55 Probabile allusione alla via secca che procede per diretta esposizione della materia al fuoco, senza l'intermediazione dell'acqua e del vaso.

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l'anima finché siano separati e liberati da ogni umore. Con un fuoco violentissimo, riduci il corpo, che avrai lasciato essiccare all'ombra o dinanzi a un fuoco, in ceneri aridissime. Aggiunta acqua bollente, fai bollire tutto insieme per un bel po', e otterrai una lisciva asperrima. Da essa, una volta che abbia riposato, inclinandola piuttosto dolcemente, separerai dalle ceneri la parte più chiara, trascurando la parte torbida. Aggiungendo - come in precedenza - altra acqua bollente alle ceneri, prepara altra lisciva. Una volta aggiuntala alla precedente, e dopo averla filtrata, ripeti l'intero procedimento per tutta la lisciva finché avrai constatato che nelle ceneri non è rimasto più nulla d'aspro. Farai passare la lisciva raccolta attraverso una manica di lino, il cosiddetto filtro, e la farai evaporare negli alambicchi. Con ciò avrai ottenuto il nostro tartaro, sale della natura di tutte le cose56. Questo potrà essere sciolto in acqua tartarea, sopra una pietra di marmo, in un luogo umido e freddo. Quindi, dopo aver rettificato nel modo migliore, come hai appreso, la quintessenza dal vino filosofico o da un vino volgare di qualsiasi colore, purché sia schietto e assai forte, riduci questo succo alla massima semplicità attraverso continui e assidui moti di rotazione57. Completato il ciclo di rotazione, 56

Pernety (cit., s.v. tartaro) afferma che il sale di tartaro dei savi è il magistero pervenuto al bianco. Ruland (cit., s.v. tartarus) lo definisce "calcolo del vino", ossia sedimento, concrezione del vino. Si ricordi la funzione di stabilizzazione e preservazione svolta dal sale. Il sale, in questa fase del processo, ha raggiunto una qualità nobilmente cristallina. 57 Non ci si deve far confondere e fuorviare dalla complessità della descrizione di queste fasi. L'intero processo, come già si è detto, non è che la ripetizione - secondo i diversi gradi di raffinamento della materia su cui si agisce - di un'unica prassi rotatoria. Se si osserva l'uso dell'aggettivazione e la trasformazione qualitativa descritta dal Dorn, si possono isolare alcune costanti: a) l'acqua ardente che a intervalli regolari inumidisce e riscalda il composto; b) il grano, inizialmente "tritato grossolanamente" e via via r i dotto in farina e, infine, perfino in cenere; e) gli strumenti, sempre più raffinati, per sottilizzare (triturazione prima, filtrazione ed evaporazione poi).

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scorgerai di nuovo la parte pura, separata dall'impuro, l i brarsi nell'aria, trasparente e di colore molto limpido 5 8 . Conservala, dopo averla separata dall'impuro con l'inclinazione59. A questo punto, vedrai il cielo spagirico, che potrai adornare di stelle inferiori, allo stesso modo in cui il cielo superiore è munito di stelle superiori. Stupirà gli u o m i n i p r i v i di fede, che emulano i Fisici, il fatto che tocchiamo con le mani il cielo e le stelle, e negheranno, come per ogni altra cosa, tutto ciò che non conoscono. Poco importa quello che faranno. Nessun livore o i n v i d i a ostacolerà il nostro intento, per c u i c'impegnamo a prestare aiuto a tutte le persone rette ed a coloro 58

Analogamente, Johannes De Monte-Snyder, nella Plana Recapitulatio, in Appendice alla Commentano de Pharmaco Catholico: "... finché da un compatto corpo solare, balzi fuori un certo corpuscolo traslucido e diafano, ciò che i Filosofi denominano vetrificazione. E quanto di più nobile Natura ed Arte possano realizzare e raggiungere". Il trattato segue il Chimica Vannus, Janssonius & Weyerstraet, Amsterdam 1666, pag. 69. Si confrontino inoltre le parole del Dorn con quelle tratte dall'Euphrates di Thomas Vaughan, che illuminano alcuni dettagli "tecnici" della medesima operazione: "Dunque quel fuoco particolare e specificato, vita del chicco di grano, che è il magnete vegetale, attrae a sé il fuoco universale, o vita nascosta nell'acqua, e unitamente al fuoco esso attrae l'aria, che è il vestimento o corpo del fuoco, che i Platonici chiamano 'Veicolo dell'Anima' e talvolta 'nembo di fuoco che discende dall'alto'. Qui risiede il fondamento dell'intero mistero dell'accrescimento e della moltiplicazione naturali, poiché il corpo del chicco di grano si accresce grazie all'alimento dell'aria, non semplice ma decomposta, aria che è trasportata dall'acqua è che è una sorta di sale dolce e volatile. Ma il fuoco, o vita del chicco di grano è fortificata dal fuoco universale, e questo fuoco è contenuto nell'aria che penetra nell'acqua. A questo punto potremmo osservare che non è la sola acqua a condurre alla generazione o rigenerazione delle cose, ma l'acqua ed il fuoco, ovverosia acqua e spirito o acqua che ha la vita in sé" (The Works of Thomas Vaughan, edited by Arthur Edward Waite, repr. s. d., pag. 427). 59 Secondo Dorn - Dictionarium Theophrasti Paracelsi, Frankfurt 1584, s.v. inclinatio - l'inclinazione "è una forza della natura che rende manifesto nell'uomo ciò verso cui la sua vita è maggiormente incline".

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che si dedicano alla Verità. Ma procediamo oltre, così come abbiamo iniziato. Possediamo dunque le stelle i n f e r i o r i , e cioè g l i i n d i vidui generati dalla natura nel mondo inferiore per congiunzione degli stessi i n d i v i d u i col cielo, così come avviene per le stelle superiori e gli elementi. Già sento la voce di molti che gridano sdegnati contro di noi: "Ah! Via di qui!", dicono. "Si tolgano di mezzo simili u o m i n i , che affermano che il cielo possa congiungersi alla terra". Ma gridino quanto p i ù forte vogliano gridare. Saranno costretti ad ascoltare cose ancora p i ù alte e straordinarie. Il cielo non è altro che materia celeste, forma universale che contiene in sé tutte le forme universali, distinte, e che tuttavia procedono da un'unica forma universale. Per cui, chiunque sappia che gli individui, mediante l'arte spagirica, possono essere ricondotti al genere p i ù ampio (universale), e che quindi possono anche assimilare speciali virtù, singole o molteplici, costui potrà facilmente individuare la medicina universale, in grado di guarire tutte le degenerazioni e le malattie, tanto nello specifico quanto in generale e complessivamente 60. Ed essendo unica l'origine principale di tutte le degenerazioni e unica universalmente anche la fonte di tutte le cose che rigenerano, restaurano e animano, chi, se non qualcuno privo di discernimento 61 , dubiterebbe di una simile medicina? 60

La realizzazione dell'intero magistero m a t u r a con sé sia l'esperienza dell ' u n i t à c o s m i c a (fase ascendente) sia l a conoscenza d i s c r i m i n a t i v a d e g l i astra o v i r t ù s e m i n a l i di t u t t i g l i enti specifici (fase discendente). 61 Mente privus, l ' u o m o p r i v o di discernimento, di intelletto. Si intende q u i n o n u n a p r i v a z i o n e bio-fisiologica, m a u n ' i n a b i l i t à , u n a mancanza d i q u a l i ficazione per Yintellezione spirituale.

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E inoltre, una volta estratte, con un certo metodo, le qualità degli elementi dalle cose che vivificano - preferibilmente da quelle che saranno dette in seguito - si rettifichi assai la loro sostanza di qualità ignea, alla stessa maniera del vino filosofico. In questo modo, il nostro mercurio sarà preparato per somma esaltazione. Così si potrà preparare la mistura di cielo nuovo, miele, celidonia, fiori di rosmarino, mercuriale, giglio rosso, sangue umano ecc. col cielo di vino rosso o bianco, oppure di tartaro. Si può anche fare una mistura delle cose sopraelencate, ricondotte al loro cielo, e parimenti delle cose mescolate in misura proporzionata alle forme, secondo l'ordine dell'opera maggiore e secondo la pratica, per aggiungerle in seguito a perfezionamento dell'opera minore, di cui d i remo. Quindi, si può ottenere anche un'altra miscela, sempre di cielo, con la chiave filosofica, per artificio di generazione. In seguito, qualora si aggiunga la perfezione m i nore, secondo la proporzione dell'opera maggiore, si perverrà in tal modo alla perfezione maggiore, che accresce la p r o p r i a specie, nelle sostanze esteriori, di due volte cinquemila 62 . Siccome queste cose sono comprensibili a stento per chi non possieda una piena conoscenza dei termini dell'arte, perverremo in seconda istanza63 alla definizione di queste 62

Si riferisce al raddoppio della moltiplicazione della virtù quintessenziale grazie al compimento, in successione, dell'opus minor e dell'opus maior. 63 Dorn rinvia alla Philosophia Chemica (ad Meditativam comparata), che segue la Philosophia Meditativa. Se nella Philosophia Meditativa sono esposti i p r i m i due gradi dell'opus, ossia Studium Philosophichum (putrefactio) e Cognitio (solutio), la Philosophia Chemica espone i restanti cinque gradi: Amor Philosophichus (congelatio), Frequentia (abtutio), Virtus (compositio), Potentia (fixatio) e Miraculum (proiectio).

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GERHARD DORN

cose, quando avremo concluso la trattazione della conoscenza meditativa. La conoscenza meditativa è la risoluzione 64 incontrovertibile di qualsiasi opinione concepita intorno alla verità, attraverso la certezza dell'esperienza. L'opinione è il presentimento i n c e r t o della verità, e concerne l ' a n i m o . L'esperienza è realmente la dimostrazione manifesta della verità, la soluzione e l'abbandono del dubbio. E non possiamo, muovendo da un dubbio qualsiasi, conseguire maggiore certezza se non facendone esperienza, né in modo migliore che facendola in noi stessi65. Per cui verificheremo le cose dette in precedenza intorno alla verità compiendo da noi stessi la prova. Dicemmo prima che la Pietà consiste nella conoscenza di sé66: da essa c o m i n c i a m o anche a rivelare la conoscenza meditativa. Nessuno può davvero conoscere se stesso se prima non veda e sappia, con l'assidua meditazione e con lo studio delle Sacre Scritture, che cosa egli stesso sia, e ancor più da chi dipenda o a chi appartenga, per quale fine sia stato creato e ugualmente da chi sia stato creato e come. Una volta apprese queste cose, comincia a sorgere la stessa Pietà che si riversa in due direzioni: verso il Creatore e verso la creatura. Infatti è i m possibile che la creatura conosca perfettamente se stessa se non mediante il Creatore. Nulla infatti proviene da sé soltanto. Chi dunque potrebbe comprendere l'effetto 64

La cognitio philosophica corrisponde alla solutio alchemica. "... così come con la soluzione si dissolvono i corpi, attraverso la conoscenza si r i solvono i dubbi dei filosofi" (Philosophia Speculativa, cit., pag. 270). 65 Sul rapporto fra scientia ed experientia ved. saggio introduttivo. 66 L'esposizione del Dorn sembrerebbe qui seguire l'acquisizione progressiva dei sette doni dello Spirito Santo. Primo dono è il Timore di Dio, su cui poggia la Pietà (in senso latino, Pietas, rispetto). La Pietà è a sua volta fondamento della Conoscenza.

FILOSOFIA MEDITATIVA

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prima di conoscere con certezza la causa? Forse che ciascun principio non precede il medio e la fine, oppure a partire dalla fine ci si può avvicinare a qualcosa? Dio, quindi è senza principio o fine67, esiste per sé dall'eterno, colmo d'ogni gloria che pur non volle possedere da solo. E stabilì, per semplice bontà, di farci compartecipi di essa, dinnanzi al suo cospetto, e di crearci a sua immagine: p r i m o esempio della sua bontà, mistero che non dobbiamo ignorare o trascurare superficialmente. Ma tuttavia, a stento un uomo solo conosce veramente tale arcano, e per parte nostra non permetteremo che addirittura gli ingrati, gli stolti e gli ignavi possano scrutare gli arcani d i v i n i attraverso i testi scritti. Ascoltate fratelli. Così come t u t t i siamo stati creati da un vilissimo fango, da t u t t i disprezzato e sdegnato, n o n diversamente, a causa della materia prima di cui siamo fatti, siamo p i ù i n c l i n i verso una cosa vile che n o n verso Colui che ci creò, traendoci da cosa vile, esseri preziosissimi, ornati d'ogni onore e gloria, di poco inferiori agli angeli. Vi stupite, t u t t i quanti voi che siete miseri mortali come me, di coloro che addirittura non credono sia accaduto che il Sommo Creatore di tutte le cose abbia scelto la p i ù vile materia fra tutte, da cui ha voluto trarre l ' u l t i m a e p i ù perfetta creatura, trascurando tutte le cose p i ù preziose, come l'oro, le gemme e le altre cose di tal fatta, che comunque furono fatte a vantaggio di quella sola creatura, e per sua u t i l i t à . E i n f a t t i , riconoscendo donde proveniamo, ci asterremo dall'arroganza dell'orgoglio. E così facendo, nessuno di n o i o d i il povero, scelto da D i o , giacché anch'egli fa parte di quella stessa massa donde 67

Secondo la settima massima dell'anonimo medievale Liber viginti quattuor philosophorum "Dio è principio senza principio, processo senza mutamento, fine senza fine".

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