Enigma Giovanni XXIII
April 24, 2017 | Author: marcoturi | Category: N/A
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Arai Daniele GIOVANNI XXIII: UN ENIGMA EPOCALE ? Christus Rex 2 3 Sommario Presentazione di Franco Bellegrandi&h...
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Arai Daniele
GIOVANNI XXIII: UN ENIGMA EPOCALE ?
Christus Rex
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Sommario Presentazione di Franco Bellegrandi… p. 5 Esordio dell’autore ... p. 7 Preludio all’enigma dell’Astro fatale… p. 14 1 - L'Enigma Angelo Roncalli, professore modernista… p. 34 2 - Le alienazioni fatali della storia moderna… p. 51 3 - L'Enigma del nunzio Roncalli, filomassonico… p. 65 4 - L’ora del patriarca prescelto «papa buono»... p. 79 Annesso I – U.R.I. ... p. 93 Annesso II - L’Antipapa Giovanni XXIII ... p. 95
5 - Giovanni XXIII: pedina di transizione o di mutazione? p. 96 6 - L’enigmatico caso del Padre Riccardo Lombardi … p. 120 7 - La «fallibile» pastorale politica del Vaticano II… p. 138 8 - La Reazione Cattolica all’aggiornamento... p. 154 9 - La “Coscienza della Chiesa” impressale da Cristo… p. 169 10 - La coscienza dei doveri umani stravolta… p. 183 11 - Il «Segreto» dell’attentato Anticristico… p. 198 12 - L’Accusa contro Roncalli, alias Giovanni XXIII... p. 218 13 - La visione cattolica sull’enigma del nostro tempo… p. 241 Bibliografia e abbreviazioni... p. 245
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Presentazione di Franco Bellegrandi Più volte invitato con cortese insistenza dall’Autore di questo libro a comparire con qualche parola introduttiva sulla sua prima pagina, depongo il mio biglietto da visita sul piatto d’argento che è quest’opera di Arai Daniele, preziosa per la documentazione storica quanto dirompente in tempi di opportunismo e menzogna. Sorprendentemente “Nikitaroncalli controvita di un Papa” (1) un mio libro pubblicato anni fa e oggi alla sua seconda edizione, sarà in buona compagnia. Non posso che esclamare evviva! Allora scrissi quelle pagine che erano un diario dei miei giorni vissuti all’interno del pontificato di Giovanni XXIII, come Cameriere di Spada e Cappa di Sua Santità - più di spada che di cappa come amavo definirmi - e come pluriennale collaboratore de “L’osservatore Romano” con i direttori Giuseppe Dalla Torre e Raimondo Manzini. Avevo vissuto le premesse di quel discusso Conclave: la drammatica morte di Eugenio Pacelli e la calcolata e feroce demitizzazione - rigogliosissima ai giorni d’oggi - di Papa Pio XII, e i postumi montiniani di quel pontificato roncalliano, con gli accordi fra Vaticano e Stati comunisti d’oltre cortina, il tradimento della Chiesa del Silenzio e del suo più significativo rappresentante, il Primate d’Ungheria cardinale Mindszenty. Arai Daniele ha ricostruito tassello dopo tassello la vita del “modernista” Angelo Roncalli, cioè la formazione, dall’embrione al Soglio di Pietro, di un innovatore rivoluzionario o, meglio, di un rivoluzionario innovatore, diventato suo malgrado pedina manovrata di un giuoco la cui posta era il destino della Chiesa e della religione cattolica. L’Autore - fervente cattolico che vive e lavora a Fatima e respira quell’aria illuminata dal culto mariano – traccia con cognizione di 1 - «Nichitaroncalli», sigla NR, EILES, Roma, 1994.
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causa, interpretazioni della Sacra Scrittura, calzanti con le sue tesi, sull’operato di Giovanni XXIII. Ma a mio avviso il valore del suo scritto è soprattutto nel preciso e documentato rigoroso reportage storico, controcorrente e quindi supremamente scomodo, di quella vita e di quel pontificato. Il papa buono, il papa affabile, il papa ricco di umanità e di arguzia contadina, ma anche capace di inimmaginabile durezza - ne seppe qualcosa Padre Pio di Pietralcina - fu inflessibile nel conseguimento di un Concilio, sconvolgente disegno di rinnovamento voluto da forze esterne, deciso all’insaputa del collegio cardinalizio, tanto che un autorevole esponente di quel supremo organismo della Chiesa ebbe a definire il papa “momentaneamente impazzito”. Certamente la storiografia ufficiale, quella costruita a uso e consumo di una massa legittima figlia del “grigio diluvio democratico” di dannunziana memoria, dove l’individuo è per sua orgogliosa quanto fittizia, ridicola definizione gestore di se stesso alla moda modernista e l’immanenza divina una favola, griderà ancora una volta allo scandalo, ma sarà ancora una volta la conferma che Arai Daniele col suo libro, difficile quasi al limite del concepibile, avrà fatto centro. Franco Bellegrandi
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ESORDIO L’enigma Giovanni XXIII: «Papa buono»? «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». La libertà ha per oggetto il bene conforme alla ragione. La libertà di errare «dimostra che siamo liberi, come la malattia, che siamo vivi, ma dell’umana libertà non è che difetto»; «Il poter peccare non è libertà, ma schiavitù», insegna san Tommaso. Per risolvere un enigma storico si deve arrivare a delle vere risposte in un mondo moderno infettato dalla libertà di errare e di mentire, ai più alti livelli civili e clericali. Come mai il mondo è arrivato a una tale pestilenza spirituale? La questione non è limitata soltanto a persone irretite nell’enorme tela d’insidie e inganni odierni, ma è legata a menzogne senza fine con inaudite conseguenze per l’intera sorte della vita umana in terra. E se l’enigma del «papa buono» pare spuntare isolato tra le nubi come un piccolo vertice, in realtà questo segno è piuttosto come un iceberg sorretto da una colossale piramide di poteri terreni poggiati su un mare di errori sinistri, di piani segreti e atroci delitti, diretti ad aggiornare la coscienza umana in vista di un «nuovo ordine mondiale». Esso appare come il processo terminale per svincolare le anime dall’Ordine cristiano; della Verità incarnata nel mondo. Eppure, Angelo Roncalli, divenuto il «papa buono», si dimostra grande riformatore del senso della «libertà di coscienza», proprio quello che, secondo Papa Gregorio XVI, riguardava l'«apertura del pozzo dell'abisso». Per decifrare un enigma di portata terminale occorre seguire le tappe secolari della ribellione umana divenuta poi rivoluzione a partire dalla trasgressione primordiale riguardo alla scienza assoluta del bene e del male. Da allora infatti un mare d'idee si avanzò per alterare la nozione stessa della libertà e della colpa, che aveva prodotto la caduta originale. Fu per restaurare la natura umana indebolita, che il Redentore soffrì la Passione da cui nacque la Sua Chiesa, la quale, di fronte al tentato oscuramento operato mediante il falso concetto di libertà di coscienza, cruciale per la vita personale e sociale, si è sempre pronunciata invocando la
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riparazione a simile male, denunciando e condannando i pensieri erratici ed eretici: dallo gnosticismo al modernismo. L’enigma storico riguarda il processo secolare d’adulterazioni dei termini della «libertà delle coscienze» di fronte alla Verità divina in «libertà di coscienza» autonoma, che non esclude col suo deismo nemmeno un po' di misticismo esoterico e ecumenista, aperto a ogni idea religiosa. Quindi, la prima questione per decifrare l'enigma Roncalli riguarda il come e il quando questa "malattia" cominciò a infettare gli uomini della Chiesa confrontati con la confusione sul rapporto vitale per l’uomo tra la verità e la libertà che, nei tempi moderni, raggiungeva dimensioni sociali e religiose da richiamare un passo fatale del libro del-l’Apocalisse. Ma si tratta di un passaggio storico.
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L’inizio della profonda rivoluzione nella politica vaticana L’attacco rivoluzionario contro la Chiesa avvenne su tutti i fronti: militare, diplomatico, politico, culturale e religioso. Ma la visione globale del problema, a causa delle scelte politiche «cristiane» in questi campi, si è annebbiata. Dal punto di vista della verità religiosa, però, tutto si chiarisce considerando le due possibili direzioni del pensiero religioso: della fede o della gnosi. Era il grave dilemma di allora per la coscienza del clero cattolico. La questione era di sapere se la direzione del pensiero fedele orientava a soluzione oppure se i pesanti cambiamenti determinavano nuovi modi di pensare, per esempio sulla “liberté” che, conquistata con la forza di una congiura, poi si vorrebbe pure affermata come diritto assoluto nei cosiddetti “diritti dell’uomo”. In tal senso vale l'esempio ottocentesco dell'opera dell'abate Lamennais, che pretese di poter risolvere il dubbio con un «liberalismo cattolico»! Ricordiamo che il liberalismo in sostanza attribuisce priorità delle libertà umane sulle verità divine. Ne consegue l’abbattimento dell’autorità della Chiesa, posizione tanto più insidiosa allorquando, malgrado le condanne del Magistero per chiarire la confusione sul termine liberalismo, essa è perpetrata da prelati e da chierici. Molti già si erano manifestati scandalosamente dal 1789, apostatando per servire la Rivoluzione o adattandosi acrobaticamente alle alternanze del potere, come è il caso del vescovo Talleyrand. Ma il vero tentativo di “battezzare” ed introdurre il liberalismo nella dottrina cattolica fu osato solo a partire dall'abate Lamennais in poi, per una soluzione che combinasse Rivoluzione e Fede. Era il liberalismo religioso che dal XIX secolo ha fatto tre grandi tentativi per asservire il pensiero cattolico e agguantare il timone della Chiesa pretendendo che questa gli si conformasse per “adeguarsi” ai tempi. La missione cattolica implicava invece l'opera di confermazione dell'ordine naturale e divino, avversato dalla mentalità moderna.
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Tale liberalismo fu dunque una tentazione dello stesso tenore del serpentino sussurro originale, quasi impercettibile ai più, ma sempre volto a “liberare” le coscienze dalla verità del Verbo divino. Mentalità riconoscibile perscrutando le ribellioni del pensiero umano lungo l'intero arco del tempo storico, errore le cui imprese approdarono infine a uno sfrenato abuso di ogni libertà nell'era post-rivoluzionaria. L'ora della grande passione della cattolicità Il primo tentativo, di Lamennais, consisteva nel considerare il diritto alla libertà un fatto universale, in cui si inseriva quello della libertà della Chiesa, come una specie nel proprio genere. Tale posizione, quanto alla libertà religiosa, aveva per conseguenza logica la totale separazione tra Stato e Chiesa, della legge degli uomini dalla Legge di Dio. Nel caso di Lamennais, scrittore, si può constatare la chiara tendenza modernista e gnostica dimostrata dalle opere del P. Julio Meinvielle («De Lamennais a Maritain») e di Etienne Couvert («La gnose contre la foi»). Il guaio è che tali tendenze sono oggi assai diffuse nella società ecclesiastica e che proprio in questo nostro tempo i cattolici vedono riemergere, come da un profondissimo pozzo, quella sordida marea di vecchi errori riaffermati, -horribile dictu- in nome della Chiesa e da chi vanta su di essa piena autorità. Così, le novità della mentalità democratica indotta dall'illuminismo, si presentano ora per condizionare il pensiero religioso cattolico. Per il nostro enigma ha importanza pure l'aspetto della nuova politica clericale in campo diplomatico, a partire da uno dei suoi principali mentori: il cardinale Mariano Rampolla. Ciò riguarda diretta o indirettamente l'altra potente influenza per cambiare la direzione del pensiero cattolico: i rapporti con la Massoneria, con la sua politica, culto e simbolismo, di chiara direzione gnostica. In politica, ciò corrispondeva da parte del Vaticano a un indirizzo d'intese per divenire partecipe di un governo internazionale concordato con i poteri dominanti in vista di quello al di sopra delle sovranità nazionali: il mondialismo. Roncalli non ha fatto mistero delle sue simpatie in questo senso e anche per il liberalismo americanista, figlio della rivoluzione illuminista. Ecco l'enigma presente: la mentalità voluta per operare l'inversione secondo la quale la libertà umana assume diritto
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di sovranità sui principi derivati da verità immutabili risulta propugnata da quella che si presenta con le apparenze della Chiesa cattolica. Ciò si può constatare dal tempo di Giovanni XXIII a questo di Benedetto XVI. Un esempio: per tale mentalità laicista il libero voto popolare può decidere che l'aborto volontario non è più un male, quindi cessa di essere illegale, ma anzi diviene persino un diritto. L'apertura effettuata dal «papa buono» non favorisce direttamente l'aborto, ma poiché serve non solo a laicizzare le società, ma anche a democratizzare la coscienza ecclesiastica secondo pastorali “nuove” e ideologie dominanti, sostiene quel potere satanico che vuole (e praticamente ovunque ha ottenuto) non solo l'aborto volontario come lecitamente ammissibile, ma lo pretende come diritto, quando non lo sancisce come un dovere obbligatorio (vedi Repubblica Popolare Cinese). In tal modo, l'apertura operata surrettiziamente, e presentata come fosse cattolica, demolisce non solo l’ordine cristiano, ma anche quello naturale e pone a gravissimo rischio la salvezza delle anime. Sono le insidie, ormai scordate dalle maggioranze religiose e politiche, che agiscono nello stesso senso del sussurro originale per “liberare” le coscienze e poi i popoli dal Verbo divino. La direzione del «roncalpensiero»: un enigma storico? Poiché tale mutazione per la liberazione religiosa delle coscienze iniziò a venir insinuata come dottrina proprio da questo «papa buono», dimostratosi così un pastore davvero strambo in rapporto ai precedenti, in ciò risiede l'aspetto allucinante dell'enigma storico: il volto del neotentatore viene a coincidere con quello apparentemente bonario di Giovanni XXIII. Poteva costui ignorare il rapporto della «libertà di coscienza» con l'apertura degli abissi sigillati dal Sangue del Salvatore? Il percorso di tale mutazione pareva mascherata, in materia religiosa, dai due termini evocati nella vita politica moderna: destra e sinistra. Che male ci sarebbe se il «papa buono» volesse una sterzata a sinistra? Il problema è che, mentre nel campo politico le posizioni possono variare, nel caso del pensiero religioso, più che di posizioni si tratta di direzioni. E solo due indicano il modo religioso di pensare in ogni tempo:
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la direzione della fede e quella della gnosi - pistis o gnosis. La prima - la fede - comporta l’ossequio della ragione rationabile obsequium - alle verità rivelate da Dio all'uomo, con tutte le loro conseguenze logiche. Qui l’uomo è rivolto verso Dio, ha in Dio il suo riferimento, ne esegue i comandi e ne segue le indicazioni. Questa è la conversione a Dio ed il distacco dalle creature, conversio ad Deum et aversio a creaturis. Con la seconda, l’uomo volge le spalle al suo Creatore, si rivolge ai suoi simili, fa riferimento a se stesso, e il suo pensiero decide autonomamente circa il bene ed il male. Seguire la seconda vuol dire compiere invece quella aversio a Deo et conversio ad creaturas che è la definizione stessa di peccato. Tutto ciò, che comprende anche eventuali intuizioni o presunte ispirazioni dichiarate divine, qui identificheremmo in senso lato con lo «gnosticismo». Quale altro nome dare all'operazione mentale che “aggiorna” la direzione del pensiero cristiano alle trovate dei nuovi tempi? Poiché "gnosi" è sinonimo di conoscenza, impulso naturale dell'essere umano, legata alla fede per quanto rappresenta la verità, qui sarà usato il termine "gnosticismo" per indicare la direzione opposta alla Fede. Non ve ne sono altre, e se una è di ascesa verso l'Alto, l'altra è di discesa verso il basso. Dunque due sono le direzioni essenziali in rapporto al pensiero umano: quella di chi riconosce e segue il Dio che si fece uomo, la «fede», oppure quella dell'uomo che si fa dio a se stesso, sintetizzabile come «gnosticismo». Quale è la direzione del «roncalpensiero»? È proprio un enigma storico? Nella prima direzione del pensare, secondo la fede, si vive come si pensa e si pensa come si crede. Nel secondo caso si crede come si pensa e si pensa come si vive; la vita presente, con i suoi bisogni e preferenze determinerebbe il vero e il giusto per quel momento, del resto il bene sarebbe in via di evoluzione verso un futuro, perché tutto cambia, spesso in meglio, secondo il credo rivoluzionario che è il nuovo potere mondiale. Tale pensiero in religione è il modernismo, a cui Roncalli aderiva, come si vedrà, senza escludere le fonti oscure delle idee umanitariste degli illuministi o antroposofiche degli iniziati all’esoterismo illuminista.
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Giovanni XXIII usava dire che non importa da dove si viene, il passato – ma dove si va – il futuro. Ora, princìpi e fini sono legati all’inizio, quindi al passato trasmesso nella Tradizione. Un futuro slegato da essa si nutre solo di utopie. Ma per i modernisti la realizzazione di questi sogni chimerici, come descritti da San Pio X, sono l’obiettivo della vita sociale, quel «fine» che giustifica i mezzi, come siano le alleanze pericolose con ogni utopismo materialista o gnostico; quel «fine» così accarezzato dalle proprie idee, anche religiose, da giustificare perfino la simulazione, l’ipocrisia e lo spergiuro, mezzi leciti per chi segue una carriera clericale che può portare al trono che giudica dei mutamenti del mondo. Sarebbe questa la direzione seguita dal «roncalpensiero»? È quanto importa conoscere, ma a partire della certezza che Angelo Roncalli ha fatto il giuramento antimodernista. Seguiva forse un piano così importante e «buono» da meritare ogni rischio di condanna secondo la legge della Chiesa? Roncalli ha inteso, infatti, invertire la direzione del pensare cattolico - in cui la verità ha priorità assoluta su ogni libertà - per passare al modernismo del diritto alla libertà del pensiero di verità illuministiche, democratiche, gnostiche d’ogni tempo. È la priorità della imperante mentalità massonica per deviare le coscienze dalla direzione cristiana che orientava il mondo secondo la Chiesa, ma che ora trova all’interno di essa un «papa buono» per rovesciarla. Il pensiero modernista, invertendo il senso della fede, segue la direzione gnostica. Era l’ora in cui Roma perdeva la fede per diventare la Sede dell’Anticristo? Le grandi questioni dell’essere umano riguardano la sua origine, la sua condizione nel mondo, e il suo fine ultimo. Precario è il governo della vita personale e sociale alieno a queste: sarebbe vivere senza conoscere la ragione e quindi il valore della vita. Nella retta direzione del pensare secondo la fede si può trovare l’uscita di questo tunnel esistenziale, così come risposta a questioni tanto personali, come riguardanti enigmi delle grandi inversioni gnostiche clericali. La prima risposta è che la creatura può solo conoscere il suo fine ricorrendo al Creatore. La seconda, è che nessuna filosofia, scienza o intuizione gnostica mai rispose sul mistero dell’uomo e perciò sul suo vero «bene». E dato che per
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governare la vita personale e sociale si deve aver in vista il loro bene, come farlo, non solo ignorando questo, ma assumendo che l’uomo è libero d’immaginarlo? Ora, l’idea massonica e anche modernista, vede questo «bene» in un’indefinita utopia futura, secondo la coscienza libera, ma illusa di ognuno di poter indicarlo da se. Ecco la terribile inversione della nozione di «bene», poiché così le ideologie più tiranniche e feroci, il nazismo o il comunismo, impongono a ferro e fuoco il loro «bene» proprio in nome della «libertà di coscienza» ma di chi? Proprio di un Lenin che immolò ogni coscienza personale alla sua idea di «bene» ! Come negare che le idee di Giovanni XXIII fossero di direzione gnostica, massonica e modernista, dopo aver dichiarato simpatia e operato aperture al mondo che impone tale «libertà di coscienza», come essendo il «bene», e ciò a danno della libertà delle coscienze che aspirano al «bene universale», rivelato e conosciuto nella fede? Per il modernista, al contrario, sono i «bisogni della vita presente, secondo i tempi» che devono determinare l’idea del «bene» che suscita una «fede»: un cristianesimo aggiornato a un piano utopico di riconciliazione «più universale» per riparare quanto aveva fatto nella sua millenaria storia! Questo si conferma e si riassume, come qui si vedrà, nei tentativi per mutare le coscienze considerando essenziale per la mentalità contemporanea, nel bene e nel male, quel che dettano le democrazie i cui atti a loro volta condizionano il comune modo de pensare. Così oggi, nella mentalità dominante, spuntano gli errori di quanto fu mutato nella Chiesa. Siamo all’enigma originale e permanente: fede o gnosticismo? L'enigma del «papa buono» dovrebbe, quindi, essere decifrabile da tutti a causa dell'ambiguità con cui appare voler seguire due direzioni opposte. Atto, questo, razionalmente impossibile, ma che, se proposto, indica già l'idea gnostica e antirazionale del modernismo, travestita da bontà verso ogni utopismo per la gestione degli opposti, e in extremis, del bene e del male. Giovanni XXIII lo fece senza esitare, ricorrendo alla sua «ispirazione celeste» per convocare il Vaticano II a servizio del modernismo degli gnostici. Abusò della fede dei credenti, come si vedrà, per seguire il piano massonico dell'antifede dello gnosticismo
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modernista. Infatti, a partire dal suo tempo si operò palesemente per la mutazione della "coscienza della Chiesa" con i devastanti risultati che la storia registra non solo nella Chiesa, ma nell'ordine del mondo. Era l'ottimismo utopista che si ritiene capace di mutare la coscienza umana in vista di un mondo dove il lupo risparmierebbe la pecora, come la Cristianità si accorderebbe col comunismo ed i chierici dovrebbero tacere, giustificando l'ateismo. Ora, per la Fede il «bene» della vita personale e sociale, non dipende da fatti o idee contingenti, soggette a libere scelte dell'essere umano, ma dell'ordine stabilito e rivelato dall'Essere trascendente. Il «bene» può essere ottenuto in terra solo ordinando il mondo secondo l'ordine naturale e divino precedente l'esistenza dell'uomo, la cui intelligenza e volontà hanno per fine ultimo la conoscenza e il culto del Bene, del Vero e del Bello nel pensiero di Dio. È l'ordine soprannaturale della Fede nella sua direzione cristiana: della Tradizione che procede ed è confermata da Gesù Cristo. Nel caso dello gnosticismo modernista, il «bene» della vita sociale dipende proprio da fatti e idee contingenti derivate da libere scelte e da progressi umani maturati dal-l'esperienza della vita e della storia. In essa si arricchisce la conoscenza del mondo e della vita rendendo l'uomo sempre più libero, evoluto e autonomo in rapporto alla natura. È l'idea moderna di evoluzione e progresso da applicare allo stesso «bene» umano, tutto secondo lo gnosticismo naturalista, che si dispensa da tradizioni rivelate sul senso cristiano della storia. La direzione gnostica del pensiero inverte quella della Fede per favorire ogni utopia mondialista. Non era questo il pensiero di Roncalli dal tempo del seminario e che, in vista della sua carriera spinta dal vincente corso modernista, lo portò al vertice da dove mutare la teologia e la politica nella Chiesa? Il modernista che conforma il suo pensiero alla vita, tanto più vorrà che la vita sociale e politica si conformi alla prevalente mentalità del mondo moderno. Così fu chiara l'inversione roncalliana in politica: mentre il Papa Pio XI insegnava che col comunismo, intrinsecamente perverso, nessuna collaborazione era possibile, il «Papa buono» invitava i cattolici nelle sue encicliche a cooperare con i regimi
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comunisti, il che rese sempre più difficile la governabilità in Italia e nel mondo. Tale risultato, legato agli “errori sparsi dalla Russia”, come profetizzato a Fatima, non era forse un «segno dei tempi», certo, non nel modo come lo intende il mondo o lo intese Giovanni XXIII, ma alla luce dei disegni divini per guidare gli uomini nei labirinti di questa vita? Sì perché, quando nel secolo XX imperversarono guerre e rivoluzioni rovinose, ma principalmente si profilava la devastatrice demolizione della Cristianità in seguito all’avanzata delle libertà di rovina, tempestivamente, nel 1917, la Vergine Maria appariva a Fatima, in risposta ad un appello del Papa Benedetto XV, con un messaggio per la pace nel mondo e la promessa che la Fede trionferà alla fine per mezzo dell’Immacolato Cuore di Maria. Allora già si manifestava la difficoltà degli uomini di Chiesa di accogliere questo intervento divino. Infatti, nel messaggio è detto che il cammino sarà lungo attraverso un tetro interregno. Ciò era nel Segreto, la cui terza parte, ancora segreta, sarebbe stata più chiara nel 1960. Essa è giunta tra le mani di Giovanni XXIII che l’ha letta per, in seguito, censurarla. Ecco il grande enigma per cui il così detto «papa buono» sarà per sempre ricordato nella storia della Chiesa. La visione del Segreto raffigura l’ora della persecuzione estrema: l’eccidio virtuale del Papa cattolico col suo intero seguito fedele, che sarebbe più chiaro precisamente negli anni di Giovanni XXIII. Il fatto è che fu censurato proprio allora e da lui quando si iniziava nell’ambito della stessa Chiesa quella persecuzione finale contro la Fede, avvolta da somme falsità, dalla «nuova pentecoste» capace di irretire gli eletti stessi, come profetizzato da Gesù. Non è forse quel che accade a tutt’oggi col Terzo Segreto di Fatima? L'esito della rivoluzione religiosa sotto il nome di aggiornamento della coscienza della Chiesa sembra oggi quasi impercettibile nel presente mondo scristianizzato. Eppure è clamorosa nella sfera spirituale come autentica perversione della coscienza umana in rapporto a Dio. Infatti prima l'essere umano cercava il vero e il bene ed i loro segni
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divini mediante una coscienza formata nella fede, sapendo che non poteva attingere a queste verità da sé. Oggi l'uomo, con una coscienza deformata dal modernismo, si sente libero di giudicare Dio e censurare un segno dei Suoi disegni per il nostro tempo, perfino nel suo stesso Nome. Giovanni XXIII con la sua censura a quella visione, che non negava fosse di origine divina, non svelava forse il suo enigma storico? Se prima, come modernista, volle l'«aggiornamento» dottrinale che contrastava con la dottrina dei 260 Papi e 20 Concili ecumenici precedenti sulla libertà cattolica d'insegnare il vero, non dimostrava pure di volere che i suoi «segni dei tempi», accordati con i poteri del mondo, prevalessero sui veri segni divini per il nostro tempo? L'esito di tale inversione di rotta del pensiero cattolico non poteva che risultare devastante nella vita dei popoli e della Chiesa. Ma visti tali frutti, può ancora essere un enigma il fatto di questa caduta dal Cielo sulla terra, con tali conseguenze apocalittiche, di chi fu chiamato «papa buono»? La sua autorità per compierla, quindi, deve essere vagliata solo dalla legge della Chiesa e non da beatificazioni ingenerate rapidamente dallo stesso apparato che lo ha giudicato a priori un «papa buono». A questa chiarezza, per amore alla verità tanto offesa, vuole contribuire questo lavoro, che è soprattutto testimonianza d’inaudite contraddizioni introdotte volutamente nella società ecclesiastica e in quella civile per mutare la nostra santa Fede cattolica, e proprio in nome dell'autorità del Vicario di Cristo.
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Preludio all’enigma apocalittico dell’Astro fatale Apocalisse - 9, [1-3] - La quinta tromba. Il quinto angelo suonò la tromba e vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell'Abisso; egli aprì il pozzo dell'Abisso e salì dal pozzo un fumo come il fumo di una grande fornace, che oscurò il sole e l'atmosfera. Dal fumo uscirono cavallette che si sparsero sulla terra e fu dato loro un potere pari a quello degli scorpioni della terra.
Questo libro tratta dei «segni dei tempi», in speciale del nostro tempo, dato che si pone la questione; non sarà che, mentre il mondo affannato scruta i segni del riscaldamento globale, un altro segno ben più grave, poiché riguarda la sopravvivenza dell’uomo nell’integrità spirituale in cui fu creato, resta congelato nella coscienza di tutti? Per testimoniare il Segno supremo e i conseguenti segni dei tempi, Gesù istituì la Chiesa e il Papato; essi stessi segni dell’autorità di Dio in terra, di quella Chiesa di Cristo che testimonia i Suoi soprannaturali segni, mentre dei falsi cristi si agitano tra quei «segni dei tempi» che lusingano il naturalismo del mondo e i suoi «culti» effimeri. Risalendo al libro della Genesi, c’è la presenza della Donna; di Maria Madre di Dio e della Misericordia. A ogni occasione d'afflizione e di pericolo per il popolo di Dio compare il segno della Donna, che sono segni dell'intervento della sfera celeste in quella terrena. Riusciamo però sempre a capire quello che avvertono? Non sarà che ora ci indica la scadenza di un ciclo della storia umana, mentre noi siamo assorti dai problemi di mutamenti climatici non sempre dipendenti da uomini. O anzi, in parte legati proprio a quella mentalità decadente che si nutre solo di quei segni materiali che l’intelligenza umana dovrebbe superare? Si deve pertanto vigilare perché i falsi segni del mondo non semino tra gli uomini e in nome della religione, la confusione tra segni veri e quei “portenti e prodigi menzogneri” previsti da Gesù e dagli Apostoli. Soffermarci, quindi, a scrutare i veri segni dei tempi in cui viviamo non é passatempo ozioso e nemmeno curiosità gratuita, ma è vigilare su quanto minaccia il nostro corso terreno, in cui si decide il nostro destino eterno. E la questione primaria della nostra Fede è l'intervento 19
di Dio nella vita umana. Cos'altro è la Rivelazione, l'Incarnazione e l'istituzione divina della Chiesa? Che cosa sono i sacramenti se non segni della grazia, come lo sono anche i miracoli e le apparizioni per confermare la nostra fede? Siamo così al primo quadro della visione qui proposta, poiché si può essere certi che anche il nostro tempo, non meno carico di guai che tutti gli altri, ha ricevuto un gran segno proporzionato ai suoi mali e che questo, avvenuto esattamente nel giorno e nell’ora segnata, e vista da una moltitudine, svelò la dimensione cosmica del miracolo del sole. È il segno dato a Fatima, in vista delle grandi guerre e alla vigilia della terribile rivoluzione comunista in Russia; segno per l’ora cruciale dei tempi dell’Apocalisse, quest’ultimo libro della Rivelazione divina. Qui sta il cruciale enigma di questo libro: del segno divino scartato! I segni della Provvidenza divina non sono impunemente scartabili. Nessuno s’inganni: la questione è universale: se il segno per i nostri tempi non fu debitamente rispettato dai chierici della Chiesa a cui fu affidato, si apriva la via indicata da chi è attratto dai falsi segni dei tempi per seguire i sentieri abissali di sette fissate a sconvolgere i tempi e le leggi (Dn. 7, 25). Quest’evidenza non sembra aver perturbato i sogni utopistici del modernista in carriera Angelo Giuseppe Roncalli. Ora, poiché la storia umana si dimostra narrazione di un’alienante ribellione cresciuta e moltiplicatasi nel senso della rivoluzione dell'Anticristo, questo fatto appare come il tema cruciale dell’Apocalisse e dei segni Mariani. Infatti, già lo era sette decadi prima dell'apparizioni di Fatima in quella di La Salette, che l'ha preparata con lo spaventoso avviso: «Roma perderà la fede e diverrà la sede dell'Anticristo». Riguardava dunque l’apostasia, il Papato e quello che incarna la finale avversione all’elevazione a Dio degli uomini, ma che fino a un certo momento storico avrà la sua opera di degradazione umana ostacolata. L’ostacolo, il katéchon delle Scritture, è nella legge divina rivelata e gestita da entità religiose e civili centrate nell'ordine naturale. Esso pertanto poteva essere identificabile sia con l'Impero romano, come poi con la Chiesa e il suo Pontefice. Si trattava del freno per impedire la libertà del disordine e dell'iniquità alienante dal senso spirituale a 20
favore di quello materiale della vita, per le anime come per le nazioni, tutto in seguito a quella caduta che, secondo la Rivelazione, è la vera «alienazione originale» della Parola di Dio.
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Per capire meglio il contrasto tra i segni trattati in seguito e la resistenza a quello del Terzo Segreto di Fatima, aiuta segnalare la solerzia dei capi religiosi, che delle apparizioni mariane curano le adunate e gli introiti, ma offuscando il loro messaggio. La Vergine Madre sarebbe apparsa solo per chiedere preghiera e penitenza, Con ciò ha fatto la sua parte, come diceva di Gesù il Grande Inquisitore di Dostojevskij. In seguito spetta ai grandi sacerdoti guidare il popolo, secondo i «segni dei tempi» svelati magari dalla psicologia e dalla sociologia moderne secondo le necessità del progresso. Non è proprio questa la piattaforma di lancio del Vaticano II, svuotando le chiese e colmando le sette? Quali erano allora i veri segni dei tempi? Gesù li avrebbe interpellati: «Sapete dunque distinguere l'aspetto del cielo e non riuscite a distinguere i segni dei tempi?» (Mt 16, 4). Un segno celeste è dato per richiamare l'attenzione dei fedeli su qualcosa. Non sono fine a se stessi, ma fanno luce sulla volontà divina di cui sono portatori per la salvezza delle anime. Perciò è paradigmatico riconoscere un segno del Cielo, ma, ritenerlo superfluo o inopportuno! Ciò significa censurare il suo disegno divino E qui si apre davanti ai fedeli un quadro inquietante, perché fu questa l'attitudine di Giovanni XXIII, che sarà ricordata per aver censurato un segno del Cielo mentre apriva la Chiesa a nuovi «destini». Ecco una grave «caduta» religiosa specialmente di fronte all'impressionante accumulo di mali nella realtà sociale dei nostri tempi, mali che hanno pur sempre cause spirituali. Sì perché, se è logico che nessun problema possa essere risolto senza risalire alla sua causa, la religione insegna che nessuna causa è aliena alla Causa assoluta che s’è rivelata e si rivela anche con segni straordinari nel piano storico. Tali segni, come quello di Fatima, anche se simbolici e enigmatici, possono essere illuminanti alla luce della Fede. Il libro dell’Apocalisse, racchiudendo la storia umana, contiene visioni e segni cifrati su ogni tempo. Se furono rivelati, è perché servono a far capire quanto appare velato, ma è soggetto d’intendimento nel corso di eventi reali. La caduta dell’uomo dalla sfera soprannaturale al mondo naturale, attirato com’è di usare a bel piacere delle proprie libertà, è pericolo insito nel fondo dell’anima umana e dramma di tutti i tempi. Oggi, però, per discernere il senso delle presenti cadute epocali, coinvolgenti l’essere umano - davvero d’ordine apocalittico - si deve 22
ricorrere alle sagge interpretazioni dei drammatici passi del Sacro Libro. Una sua notevole esegesi per i tempi moderni, indica come causa dei devastanti orrori morali del mondo, che abusa della libertà, un fatale uso del potere della «chiave» che apre il pozzo di questi abissi di iniquità. Tal esegesi riguarda le false libertà del nostro tempo apocalittico; è un’interpretazione del passato recente e proprio di chi aveva il potere pontificale delle chiavi. Sì perché il termine «chiave» ha un senso molto importante per chiarire gli enigmi della fede cattolica. Si tratta di Papa Gregorio XVI nell’Enciclica «Mirari vos» (15.8. 1832): «Tolto ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire in verità essersi aperto il pozzo dell’abisso dal quale vide San Giovanni salire tal fumo che oscurato ne rimase il sole, uscendone innumerabili locuste a disertare la terra» (Apocalisse 9, 3). È indicato qui lo scatenarsi di ogni libertà in terra, il cui esito culminante è la libertà di sentenziare sulla verità riguardante il culto di Dio e dell’uomo. Non più la verità dovrebbe guidare la vita personale e sociale, ma le scelte umane a determinare la verità! Effetto della politica ispirata da un illuminismo naturalista e agnostico, infestante il mondo per indurre e il relativismo ecumenista verso la verità religiosa! L’esegesi papale indicava l’abissale rovina a cui porta l’abuso della libertà, denunciato più volte dal Magistero della Chiesa. Eppure oggi, quanto era condannato dai Papi, è giustificato dalla “libertà religiosa” proprio nel senso contrario al Magistero, e in nome del potere pontificale delle chiavi; del Katéchon (2) delle Scritture - ovvero il
2 - Il Katéchon: l’ostacolo che sarà tolto alla fine secondo San Paolo (II Ts) per San Tommaso dipende dall’unione e sottomissione alla Chiesa Romana, sede e centro della fede cattolica. Finchè la società rimarrà fedele e sottomessa all’Impero spirituale romano, trasformazione dell’antico impero temporale romano, l’Anticristo non potrà comparire. Questa è la barriera e l’ostacolo. Per grazia di Dio, accanto a quest’ostacolo d’ordine civile, vi è l’incaricato di custodirlo, vegliando sui principi delle società; questo custode è il Papa, Vicario di Gesù Cristo.
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potere del Pontefice, istituito per contenere “nelle vie della verità gli uomini”. Eppure, questo potere è ora usato per togliere i freni alle false libertà. Il testo sacro indica, allora, chi apre tale abisso; non certo i nemici, sempre presenti, ma giammai vincenti sulla Chiesa. Chi toglie ogni freno che tiene gli uomini «nelle vie della verità» è qualcuno al vertice che, caduto dalla sfera spirituale, ottiene la chiave dell’abisso: un falso Cristo? Fantasia? Dice Gregorio XVI: «Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza (in foro esterno)... a danno della Chiesa e dello Stato, ma qual può darsi morte peggiore dell’anima che la libertà dell’errore? Tolto ogni freno... potremmo dire essersi aperto il pozzo dell’abisso dal quale vide San Giovanni salire tal fumo che oscurato ne rimase il sole, uscendone locuste innumerabili a disertare la terra» (idem Apocalisse). Attenzione, il Papa trattava una questione dottrinale di massima gravità e attualità, anche se rappresentata simbolicamente. La questione dell’abuso della libertà da allora è divenuta paurosamente cruciale per la Chiesa e per il mondo, ma poi, in una certa data, invece di essere tenuta sotto le chiavi del Soglio di Pietro, fu di colpo invertita in seguito all’elezione a questa Sede di un astro caduto dal Cielo in terra. Per sapere chi è la stella e che carica è figurata nell’astro in questione, basta leggere l’Apocalisse interpretata dal Signore, dal suo Angelo e dai Padri. All'inizio del libro dell'Apocalisse ci sono le parole del Signore sulle lettere agli angeli delle sette Chiese: i loro vescovi. Ciò è spiegato nel primo capitolo: «Questo è il recondito senso delle sette stelle che hai visto nella Mia destra e dei sette candelabri d'oro, eccolo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese» (Ap. 1, 20). I Padri spiegano che il Finché il custode vigilante (vescovo) sarà riconosciuto, rispettato, ubbidito, l’ostacolo sussisterà, la società rimarrà fedele all’impero spirituale romano della fede cattolica. Quando tale custode, il Papa, viene tolto di mezzo, con lui sparisce l’ostacolo e l’Anticristo compare.
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simbolo «stella» o «astro» riguarda la luce del cielo che guida dall'alto, ossia i vertici spirituali. L’angelo della Chiesa è il suo vescovo. Ciò si conferma nell’ottavo capitolo (10-11) delle quattro trombe, quando «stelle» cadono dal cielo in terra causando immani disastri spirituali: «Il terzo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque… divenute amare». Fantasie?
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Quale il tremendo enigma dell’Apocalisse per i tempi moderni? Si può negare la realtà storica degli effetti nefasti e dirompenti dei crolli di ecclesiastici che avvelenano le acque della fede con le eresie che inquinano la Cristianità? Un crollo di dimensioni appunto apocalittiche poteva solo essere operato in modo oscuro e talmente velato da richiedere ogni impegno fedele per decifrarlo da parte dei rimasti nella Fede. È la ragione dei segni divinamente rivelati sotto la forma di arcani enigmi e straordinari segreti, affinché «nessuno v’inganni con la sua filosofia e con vani raggiri ispirati alle tradizioni degli uomini, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (San Paolo ammonendo i Colossesi 2, 8). L’abisso degli errori e degli inganni demoniaci è descritto nello stesso libro dell’Apocalisse. «Vidi un angelo scendere dal cielo con la chiave dell'Abisso e una gran catena in mano. Afferrò il drago, il serpente antico - cioè il diavolo, satana - e lo incatenò per mille anni; lo gettò nell'Abisso, ve lo rinchiuse e ne sigillò la porta sopra di lui, perché non seducesse più le nazioni, fino al compimento dei mille anni. Dopo questi dovrà essere sciolto per un po’ di tempo. Poi vidi dei troni e a quelli che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. Vidi anche le anime dei decapitati a causa della testimonanza di Gesù e della parola di Dio, e quanti non avevano adorato la bestia né la sua immagine e non ne avevano ricevuto il marchio sulla fronte e sulla mano. Vissero e regnarono con Cristo per mille anni». Seconda razzia escatologica: «Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magòg, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare. Salirono su tutta la superficie della terra e cinsero d'assedio l'accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli» (Apocalisse, 20, 1-6). Segue il giudizio delle nazioni. Qui, molti cadono nel «millenarismo». A noi basta qui il dato storico per cui per mille anni vi fu l’Impero delle nazioni cristiane sui poteri nemici, ridotti e messi sotto i piedi di Cristo (I Cor. 25). Fu così in grandi linee dal IV fino al XIV secolo e poi seguì l’inizio della passione del Cristianesimo. 26
Questa passione oggi è all’apice a causa dell’inganno che la indusse; la deriva gnosticista che cresce per lo strazio della Cristianità. L’avviso più grave è quello di Gesù per questi tempi escatologici: «Badate che nessuno v’inganni; molti verranno nel mio Nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno» (Mt 24, 4). Sono i falsari che in Nome di Dio, di Cristo, degli Apostoli, assumono autorità per irretire le coscienze. Se costoro sono accolti e seguiti, siamo alla somma tribolazione spirituale di ogni tempo. Nel passato l'uomo si sottometteva a una legge che riconosceva di origine divina: la legge naturale, a cui subordinava vita e pensiero. Una certa gnosi esisteva come speculazione mentale. Poi le idee gnostiche sono divenute legge e ordine, senza che le masse abbiano avuto sentore di questo processo oscuro. Quale la sua attrattiva? Forse lo si può capire pensando al bisogno umano di conoscere se stessi. Così come per spiegare certi fenomeni fisici si dice che la natura ha orrore del vuoto, si può dire anche che la coscienza umana ha orrore dell'ignoranza di sé. Perciò sopperisce a questo vuoto cercando o accettando spiegazioni alla portata del proprio pensiero (3). Le utopie gnostiche infondono nella mente l'idea della capacità umana di determinare il bene e pure l'ordine sociale, in base a idee e ideologie nuove; ignorano l’origine, lo stato presente e il fine ultimo dell’uomo, tuttavia sorgono per governare la sua vita, incitando un culto ai suoi mentori. È il pensiero gnostico e massonico che incute la coscienza di poter attingere in proprio, più che cattoliche interpretazioni delle vere rivelazioni, arcane conoscenze di trovate iniziatiche. Si approda così a ideologie per reggere la vita sociale con poteri o ermetici o di uno scientismo affatto incerto. È dove lievitano gli scontri con la fede rivelata, terreno in cui sono identificabili due posizioni irreconciliabili del pensiero: della fede o dei vari gnosticismi. Perciò, non si può essere veri cattolici coltivando velatamente pensieri massonici, ma luce inattesa della Rivelazione che suscita stupore e, come recita lo stesso libro sacro, pur se amara, «sarà dolce nella bocca come il miele», suscitando forte senso di gratitudine verso l’Alto. 3 - Cf. «L’eclisse del pensiero cattolico», A. Daniele, Ed. Europa, Roma, 1997, p. 58
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La chiave dell’enigma: la coscienza umana Senza considerare la questione della coscienza umana non si potrà mai capire nessuna rivoluzione e tanto meno quella religiosa introdotta nella Chiesa Cattolica per mezzo di un “astro caduto dal cielo sulla terra. E gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso; ed egli aprì il pozzo dell’Abisso. Potrebbe la coscienza creare una sua verità come se fosse una luce nel mondo, mentre è solo lume di un’anima spirituale contingente davanti al Creatore? Vi è autorità nel mondo che lo possa fare? Forse un’autorità religiosa? Un vescovo? Chi sarebbe allora il “vescovo” che apre la coscienza umana alla libertà di fronte alla verità? Perché di questo si tratta. La coscienza non è forse vincolata alla conoscenza di una verità per ben agire? Priva di questa come potrebbe formulare un giudizio sul valore morale delle azioni che induce? Potrebbe una coscienza umana sancire verità che costituiscono la sua ragion d’essere; la condizione in cui si trova; il suo fine ultimo? Tutta la storia umana è scritta intorno a questo fatale dilemma: aderire alla verità rivelata o volerne stabilire una in proprio, nel bene e nel male, come avendo scienza e potere divino! Eppure, nessuna conoscenza è più chiara e certa nella coscienza che quella della propria ignoranza e impotenza riguardo alla vita. Ne consegue che la coscienza esiste per essere formata nella verità; soltanto la verità la può rendere libera (Gv. 8, 31). Si tratta della verità rivelata da Dio. Oggi si diffonde proprio l’idea contraria, in altre parole che la coscienza stessa sia norma di verità; idea di senso opposto a ogni concetto religioso, in specie al pensiero cristiano sviluppato nella filosofia perenne della Fede cattolica, per cui la verità sull’origine della vita presente e sul fine umano può solo venire da Dio all’uomo, dal Creatore alla creatura. Il castigo per l’abuso di voler invertire il senso naturale della fede con quello elucubrato dagli gnosticismi è nella frase di Gesù: “Perché sentano, ma non capiscano”. La coscienza formata cristianamente vuole la cosa giusta per una ragione superiore. Sbaglierebbe se volesse la cosa giusta per la propria affermazione. L’idea stoica o antroposofica che segue ragionamenti validi per giungere a ragioni false, è illusoria. Che cosa conta per la verità del pensiero, il mezzo o il fine; l’inferenza o la conclusione?
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L’antroposofia che esalta il cristianesimo per finire nel sincretismo è pericolosa proprio perché indica la via della fede per invertirla. Nel caso dello stoicismo poggiato sul senso di un universale spirito di sacrificio, insito in ogni coscienza, ma per esaltare il sentimento di forza e resistenza umana, più che la sua ragione, a quale verità è ordinato? Quando stoicismo e antroposofia s’impegnano a svelare l’arcano delle visioni per la vita umana, la seconda in vista di un presunto declino della visione cristiana, lo fanno ignorando che la Ragione della vita umana è la sua stessa soluzione: la contemplazione nell’amore del Vero, del Bene e del Bello che è Dio; per questa superiore ragione della vita umana, che va oltre il materiale, vale astenersi dal male come sopportare perfino il martirio. Decadenza sarebbe scordarlo per limitarsi alla corporeità dimenticando la propria natura spirituale; fare della coscienza e della propria scienza un fine esistenziale in sé, mentre hanno per ragione finale la vera conoscenza e la contemplazione del loro supremo oggetto; Dio. Nella questione della libertà delle coscienze è bene ricordare la questione sollevata nel libro di T. S. Eliot, «Assassinio nella Cattedrale», sul martirio dell’arcivescovo San Tommaso Becket. Se lui si fosse lasciato ammazzare dai sicari del re per dimostrare la sua forza morale, per affermare la forza della sua "libertà di coscienza", più che per testimoniare la sua fede, non sarebbe santo. Poiché è la ragione finale che vale, avrebbe rovinato la santità dell'atto. L’altra ragione è quella della posizione stoica. Ebbene, essa era la motivazione secondo Karol Wojtyla, che sta per essere beatificato dalla Chiesa conciliare! L’avvicinamento dell’idea stoica a quella cristiana, qui serve solo per far capire quanto era mancante e distorta la prima, che fu corretta dal pensiero cristiano. Altroché dire; “i filosofi cristiani accorti del valore dell’etica stoica hanno cercato di assorbirla nel Cristianesimo”. Sarebbe la Croce stoicismo? Lo stoicismo cerca la felicità nella morale dell’atarassia, nell’apatia dell’imperturbabilità e dell’indifferenza nella sopportazione di fronte al male e al dolore, per la propria affermazione. In ciò non è meno materialista del pensiero sviluppato dal cinismo perché lo fa per una morale poggiata sull’umana sufficienza. 29
Ora, per il Cristianesimo, la ragione perché si affronta un male in maniera “stoica” è l’essenza che trascende l’atto.
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La radicale inversione illuministica riguarda la verità stessa! Da quando e perché avanza nel mondo l’idea che l’uomo possiede già, o può fare a meno di tali verità per il suo retto agire? Si vedrà in seguito quell’inversione illuminista, di moda, che esalta valori, ma tralasciando i suoi principi, per esempio una libertà umana che si fa assoluta a scapito della verità. Dai giorni della grande illusione illuminista e del suo dominio sul pensiero moderno, è riuscita in pieno la scalata di quel rivoluzionario gnosticismo, ordito per la “liberazione” delle coscienze proprio dalle verità rivelate. Ma riguardo alla verità sull’uomo, il progresso nelle scienze non ha, né mai potrà aggiungere una virgola. Quindi, l’impulso indotto dalla grande illusione illuminista e scientista per la demolizione religiosa moderna ha per causa non la razionalità, ma una mentalità naturalista, gnostica e anche agnostica che ha impregnato pure chierici all’interno della Chiesa cattolica. Qui, con l’operazione Angelo Roncalli, siamo alla ragione di questo lavoro. Tale demolizione intellettuale illuminista fu completata nei nostri tempi dalla fellonia modernista aperta a ogni fasullo scientismo. Si pensi alla velata influenza nel Vaticano II dell’analisi psicologica e storica; perfino dell’evoluzionismo di un Teilhard de Chardin. San Pio X fu il Papa che affrontò in pieno l’iniquità dei modernisti con l’Enciclica «Pascendi». Vediamone alcuni passi: «Che cos’è dunque la Chiesa [per i modernisti]? Un parto della coscienza collettiva! [...] Fu errore volgare dell'età passata che l'autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio; perciò era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggi passate di moda. Come la Chiesa è emanata dalla collettività delle coscienze, così l'autorità emana vitalmente dalla Chiesa stessa». Per i modernisti «intesi a trovare modi per conciliare l'autorità della Chiesa con la libertà dei credenti» c'era bisogno d'arrivare a una «nuova autorità» [pastorale e non dogmatica]: «La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evoluzione nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accomodarsi con le forme di civile governo pubblicamente adottate. [...] questa loro dottrina dei bisogni... è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico». Oggi limitare la «libertà di coscienza», in termini di autonomia umana, e considerare ciò un grande male, sembra ormai follia, al 31
punto che i suoi assertori e perciò la Chiesa di sempre, andrebbero controllati e isolati per non danneggiare l’evoluzione della «nuova cultura»! Si tratta della cultura laicista attivata dal demo-cristianesimo (tipo Sillon), già condannato da San Pio X nella sua Lettera Notre Charge apostolique: “Alla base di tutti i loro errori sulle questioni sociali, si trovano le false speranze dei Sillonisti sulla dignità umana. Secondo loro, l’Uomo sarà veramente degno di tale nome solo quando avrà acquisito una forte consapevolezza (coscienza), illuminata, e indipendente, capace di fare a meno di un maestro, ubbidendo solo a se stesso, e capace di assumersi le più gravi responsabilità senza turbamenti.” Dunque, per capire la matrice dell’apostasia attuale, della caduta dal Cielo in terra che causò l’apertura del pozzo dell’abisso, dobbiamo ripercorrere il corso del processo modernista, che aliena il concetto di coscienza retta, formata nella verità - rivelata infallibilmente - per seguire l’idea della «coscienza libera», che si ritiene «degna e retta» in base ai propri giudizi sull’«evoluzione» delle scienze e sui nuovi «bisogni» dei tempi moderni. Ecco il fulcro della questione descritta da san Pio X nella condanna al modernismo («Pascendi»): parificano la rivelazione divina alla coscienza. Ed ecco l’enigma storico attuale: quanto fu condannato ora è promosso in nome della Chiesa cattolica, dal “potere delle chiavi”! Qui si parlerà della devastazione promossa per avviare il modernismo ecumenista e mondialista del Vaticano II, che solo un vescovo con una chiave speciale e in nome di una «dignità umana» assoluta, avrebbe potuto operare togliendo ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini… di natura inclinata al male… Chi potrebbe essere allora il vescovo con la chiave, se non uno in veste pontificale che, sfruttando un momento storico dei grandi cambiamenti dovuti a radicali ideologie e a stupefacenti tecnologie, apre…? Ecco il gran mistero religioso del nostro tempo! Nel piano storico sono individuabili tre momenti cruciali della rivoluzione di tale «libertà di coscienza»: la Riforma protestante; la rivoluzione liberale illuminista, che seguì, e l’«aggiornamento» del Vaticano II, che la completò nel campo della religiosità ecumenista. Si badi, però, all’inganno implicito di questa «libertà»: non si tratta di una libertà universale, di ogni coscienza, ma di quella rivendicata da alcuni 32
cervelli per imporla in vista di un’utopia evoluta sul «bene generale»; una «libertà» divenuta obbligatoria! In quale base?
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La storia delle grandi aperture rivoluzionarie In base all’idea che se il Cristianesimo non ha risolto i problemi della vita sociale nel mondo, doveva essere la vita delle società moderne ad aggiornare il Cristianesimo o a sostituirlo con la nuova scienza! Una «ragione» che ha caratterizzato la storia dei tempi moderni. Quanto al primo momento si deve risalire al passaggio dalla coscienza medioevale a quella dei nuovi tempi, con Erasmo e con Lutero che, pur se divergenti nel modo, seguivano la stessa idea della verità rivelata a ogni coscienza. Quanto al secondo momento, si può seguire la descrizione della crisi per l’«illuminazione» della coscienza europea fatta, per esempio dallo storico Paul Hazard. Il terzo momento è quello dell’ultima rivoluzione, che si vuole evoluzione della coscienza. Essa si manifesta, strano a dirsi, sia nella rivoluzione comunista, sia in quella «conciliare», attraverso una «nuova coscienza della Chiesa». Perché mai questa «rivoluzione conciliare» avrebbe punti in comune con l’altra, comunista? Perché in entrambi i casi non si tratta più della coscienza creata personale e perfettibile da Dio, ma di una coscienza auto ordinata al collettivo; auto concepita, secondo la visione socialista o modernista, dei progressi della vita sociale e religiosa del più maturo uomo moderno. In breve, si tratta di nuovi concetti di coscienza ideati per una «nuova visione» nel mondo che evolve. Tale visione si può individuare, nella sua concezione estrema, nella dottrina del social comunismo secondo i principi sintetizzati dall’accademico russo anti socialista, matematico di fama mondiale e amico di Soltzenicyn, Igor Safarevic (4): - abolizione della proprietà privata e della famiglia; delle differenze sociali e di ogni gerarchia; finalmente, della religione. Per scongiurare tale radicalismo socialista, unendo capre e cavoli, un’ultima versione «religiosa aggiornata» di questa utopia sulla «evoluzione» sociale, dovrebbe essere nel senso di un potere mondiale per un’umanità riunita in un’unica famiglia che professi una sola religione ecumenista. In nome della pace, era il
4 - Igor SAFAREVIC, «Il socialismo come fenomeno storico mondiale» La Casa di Matriona, Milano, 1980, p. 267. Dello stesso autore abbiamo «La setta mondialista contro la Russia».
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nuovo ideale da introdurre nella Chiesa e quindi nelle coscienze! È il piano che intendiamo seguire qui considerando le nuove dottrine ideate per la mutazione della coscienza della Chiesa ancorata alla Tradizione. Si vedrà il primo momento cruciale - della crisi della coscienza medioevale – trattando più avanti della questione religiosa di Erasmo e di Lutero che riguardano da vicino la mutazione conciliare iniziata da Giovanni XXIII. Anticipiamo soltanto il concetto basilare di Erasmo, che fu il precursore dell’apertura delle coscienze alle nuove libertà professando in campo teologico che “ogni uomo ha in sé la teologia”, e è “ispirato e guidato dallo spirito di Cristo, sia esso scavatore o tessitore”. In vista di ciò, un erudito monaco di Colonia ha concluso: “Erasmo ha messo le uova, Lutero le farà schiudere” (5). Ai primi ideatori del Vaticano II spettava elaborare una nuova teologia per una nuova dottrina da imprimere nella liturgia e nella pastorale della Chiesa Cattolica. Ai chierici di gran carriera spettava il passo seguente: andare incontro ai novatori così incubati per promuoverli a innovatori dei nuovi tempi, della separazione dello Stato dall’Impero spirituale della Chiesa. Lo si è capito poi, con gran ritardo, dall’opera di Roncalli, che può essere riassunta nel Discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II, come si vedrà più avanti. I precursori del Vaticano conciliare In seguito alla violenta Rivoluzione francese, che ha sconvolto la vita della Cristianità e della Chiesa, che posizione avrebbe assunto gran parte del Clero minacciato anche con le armi? La storia registra che molti preti hanno aderito e giurato fedeltà al nuovo potere, creando allora la divisione dei così detti preti «sermenté» con quelli rimasti, a loro rischio e pericolo, controrivoluzionari. Ma qui ci interessa piuttosto il periodo successivo in cui molti preti cominciarono a cedere, non tanto alla forza delle armi, quanto alla nuova «coscienza» liberale. Ciò è stato quel problema diffuso nel Clero il cui liberalismo fu considerato dal Papa Pio IX come il maggior nemico della Chiesa. 5 - Jacques Ploncard d'Assac, «L’Eglise Occupée», Edizioni de Chiré, Vouillé, 1972, p. 10-11.
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Dopo la rivoluzione del 1830 in Francia, tale pericolo rivoluzionaria interno alla Chiesa si aggravò perché venne presentata dalla corrente liberale dell’abate Lamennais all’opinione pubblica come «cattolica», cioè come proposta dai veri e coraggiosi difensori della libertà della Chiesa. Così si inaugurò l’inganno oggi imperante, ma allora, tale insidioso tentativo fu subito fermamente respinto dal Papa Gregorio XVI con l’enciclica «Mirari vos» del 1832 dove, davanti all’entità del pericolo, invocava la profezia apocalittica di San Giovanni. Il secondo tentativo per creare un «liberalismo cattolico» fu macchinato con l’allettamento di un’alleanza strategica della Chiesa con l’idea democratica. Questa tentazione fu respinta, con grande forza e precisione dottrinale, dal Papa Pio IX nell’enciclica «Syllabus» e nel Concilio Vaticano I: non vi è maggioranza democratica che possa prevalere sull’infallibilità della Chiesa e del Papa, custodi della Verità rivelata. Nel 1871, Pio IX, ricevendo una delegazione di cattolici francesi, diceva: «C’è un male più temibile che la Rivoluzione, più temibile che la Comune, con i suoi uomini scampati dall’inferno che hanno seminato il fuoco a Parigi. Quel che io temo è questa infelice politica; è il liberalismo cattolico ad essere il vero flagello!...». l terzo tentativo ottenne un successo pratico sotto Leone XIII che, sebbene fermo nella Dottrina, concesse il così detto «ralliement», ossia un’alleanza dei cattolici francesi con il governo che operava con principi liberali condannati dalla Chiesa. Ma, siccome Leone XIII concedeva in Francia quello che negava nella «Questione Romana», sarà bene adesso approfondire questa, per capire come quel «ralliement» transalpino si trasferisse poi a Roma e nel campo del pensiero religioso e oggi, dopo il Vaticano Il, non sia più nemmeno distinguibile, tanto è ben riuscito! Infatti, il modernismo si fece largo col Sillon di Sangnier, con l’Esprit di Mounier, con l’umanesimo integrale di Maritain e compagnia, per arrivare ai salvatori conciliari, che aprirono porte e finestre della Chiesa al diritto alla libertà di coscienza e di religione come vuole il mondo moderno. Ora vediamo uno degli aspetti operativi di questa politica clericale: quello diplomatico. Esso prevaleva nell’ultima decade del secolo passato nella politica diplomatica vaticana seguendo un progetto di grande rinnovamento, avente per principali mentori Rampolla, Della 36
Chiesa e Gasparri. Per loro la cattolicità non poteva ignorare l'esistenza di forze emergenti, nazionali e internazionali, nuove ‘dominatrici della storia’ e pronte a scardinare quanto rimaneva dell'antico “concerto” europeo. La politica di equilibri attraverso legami dinastici era destinata a sparire di fronte a nuovi imperialismi e Rampolla, per superare l'isolamento imposto alla Santa Sede dai governi della Triplice Alleanza, specialmente bismarckiano e sabaudo, voleva stabilire legami con le nuove potenze liberali. Il ralliement in Francia fu il momento per applicare tale piano. Ma il progetto clericale di ralliement che tralasciava le forze di resistenza “cattolica” in Francia, non creò buone intese, ma indebolì quelle sane, e i poteri rivoluzionari francesi hanno isolato i cattolici non solo da una soluzione monarchica ma dai loro capi naturali e lanciato la laicizzazione dello Stato. E nella politica europea queste intese aumentavano ancora l'attrazione dei cattolici Asburgo, aggiogati sempre più dagli Hohenzollern, verso il polo pangermanico che diveniva una realtà consolidata, anch’essa, a scapito di Roma. Ora, qui ci interessa saper come la politica-diplomatica pratica avrebbe influenzato il pensiero e i principi cattolici, poiché la ricerca di appoggi nel mondo portava dritto alla Massoneria; per sfuggire al lupo si sceglieva di andare proprio verso la sua bocca. Qualcosa di provvidenziale avveniva allora. Il veto posto a Rampolla nel conclave del 1903 da parte di Francesco Giuseppe, l’Imperatore austriaco del Sacro Impero, si palesa quindi più per tale politica che per sospetti della sua appartenenza massonica. O se vogliamo, più per gli atti politici che favorivano il piano massonico contro l’Impero Austro-Ungarico che per la sua posizione riguardo alla legge della Chiesa, che proibisce l’appartenenza alla Massoneria. Comunque, esso sancisce la sua sconfitta e interrompe l’influenza del Cardinale in Segreteria di Stato sotto San Pio X. Si tornava al pensiero cattolico che guida la politica e non il contrario. L'elezione di Della Chiesa nel 1914 ha rimesso in forza la politica di ralliement iniziata allora sotto Leone XIII. Ciò sarà visto qui alla luce di uno dei fatti più emblematici della storia vaticana all’inizio di questo secolo. Si tratta del conclave per la successione di Leone XIII nel 1903.
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Il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, della nobile famiglia siciliana di Cefalù, è una delle più controverse figure della Chiesa. Avendo da sedici anni la carica di Segretario di Stato e un gran carisma personale, presto si sarebbe imposto nel conclave e la sarebbe eletto se, con sorpresa generale, il cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia, non avesse interrotto il corso di quell’elezione come portavoce di Francesco Giuseppe che, come Imperatore AustroUngarico godeva, in virtù di un antico trattato tra il Sacro Impero e Roma, del potere di veto nei conclavi papali. Egli esercitò tal potere per impedire l’ele-zione del cardinale Rampolla. La ragione rimase ignota. Si immaginò che l’Imperatore austriaco non gradisse la sua politica pro francese. Ma c’era dell’altro. Ad ogni modo in quell’elezione la Provvidenza guidò i cardinali a eleggere per l’esercizio del Supremo Apostolato l’umile Giuseppe Sarto, divenuto san Pio X. Era fallita la prima scalata dei poteri occulti al Trono di Pietro, contro cui quei poteri si sono allora scatenati furiosamente. Qui degli autori francesi dedicati a individuare prelati massoni con uno zelo pari a quello del Wiesenthal nel localizzare nazisti, hanno trovato delle prove sulla condizione del Cardinale di membro di una Fraternità super segreta del Ordo Templi Orientalis, in cui egli sarebbe stato iniziato a Zurigo. In un recente studio lo storico italiano, Gianni Vannoni (‘Le Società segrete dal Seicento al Novecento’, ed. Sansoni, Firenze, 1985), descrive alcuni dettagli circa la cosiddetta OTO, Ordo Templi Orientalis, “una delle società segrete più sconcertanti esistenti...”. Essa fu fondata soltanto pochi anni prima del conclave papale in questione dal ricco viennese che si recava spesso in Oriente per studiare le "tecniche del potere magico del sesso" insegnato da certi yoga indiani. Altri fondatori del OTO furono i tedeschi, Theodor Reuss, membro anche del Rito occulto inglese di Memphis, e Franz Hartmann, un medico legato alla sede centrale americana della famosa Società Teosofica di Madame Blavatsky. Tra i devoti dell’OTO c’è da includere Rudolf Steiner, la cui ‘antroposofia’ avrebbe avuto un ruolo importante nella vita di Angelo Roncalli, causando il congedo dal Laterano del futuro Giovanni XXIII. Anche Karol Wojtyla ha poi subito quell’influenza secondo racconta il suo amico Malinsky. Ma pare che il più importante membro fondatore della OTO fosse Alistair Crowley, sommo satanista dei tempi 38
moderni, il ‘Cagliostro della Massoneria contemporanea’, immortalato nel noto romanzo di Somerset Maugham "The Magician". Eletto Gran Maestro nel 1912, Crowley si dichiarò "guidato dalla Suprema Intelligenza" per "aprire le porte alla Nuova Era". Riguardo a Rampolla, sembra che frequentassi la loggia dietro l’abbazia d’Einsiedeln, nei dintorni di Zurigo, dove riceveva dai Poteri occulti istruzioni politiche e operative, come di stabilire una loggia in Vaticano per sostenere alti dignitari, come Gasparri e Bea, assertori di una politica di alleanze mondiali. La P.1 sarebbe questa loggia interna, che ha ricevuto il nome di Rampolla, e ancora negli anni cinquanta, un suo nipote, il principe di Napoli, si vantava di aver presenziato l’iniziazione di uno dei suoi principali collaboratori, Gasparri. Qui, riguardo a Rampolla, come poi a Roncalli, ci interessa più vedere i risultati delle sue idee nel delicato campo diplomatico, che può condizionare altri. Con l’intento di difendere il cardinale Rampolla sulla questione del ralliement col governo massonico francese (dell’Oriente), la voce Rampolla dell’Enciclopedia Cattolica, indica il rischio dell’isolamento della S. Sede a causa dell’anticlericalismo del governo italiano del massone Crispi e della Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania. Ma poteva ciò giustificare un’apertura a chi era contro Dio. “Vogliamo organizzare un'umanità senza Dio!”, diceva Jules Ferry. E il potere massonico aveva disegni precisi. Gambetta, nel 1877, diceva: “Noi, in apparenza, combattiamo per la forma di Governo e per l'integrità della Costituzione; ma la lotta è più profonda: la lotta si svolge contro tutto quel che resta del vecchio mondo, tra gli agenti della teocrazia romana e i figli del 1789!” Per farlo c’era da abbattere quello che rimaneva del Sacro Impero in mano ai cattolici Asburgo, che cercavano di mantenere un'unità di popoli nella loro diversità secondo l’ideale di civiltà cristiana europea. La Grande Guerra fu allora un complotto contro quest’ordinamento, specialmente in vista di un forte successore di Francesco Giuseppe. Si trattava di Francesco Ferdinando che, educato secondo l’ideale tradizionale avrebbe favorito le forze antirevoluzionarie di tutta l’Europa, promuovendo governi organici fondati su piani di riforme fondamentali elaborati dai suoi fidati consiglieri, tra cui estensione del suffragio universale, già in vigore in Austria dal 1907, e uguaglianza dei diritti per le nazioni. 39
La sua difficoltà più grande era con i magnati e i liberali ungheresi che lo vedevano come un “clericale reazionario”, mentre aveva un contatto di eccezionale calore coi contadini ungheresi, che dichiarava “di nobile portamento”. Temeva però i massoni come elementi antidinastici, la cui influenza operava molto in alto nei governi. È curioso, però, che molti massoni ed ebrei dell’Austria-Ungheria si ritenevano tra i sostenitori più leali della dinastia (François Fejtö, ‘Requiem per un Impero defunto’, Mondadori, 1988, p.183). E dopo la paurosa ecatombe della II Grande Guerra un cancelliere austriaco socialista, l'ebreo Kreisky, affermò senza tentennamenti che se ci fosse stata allora nel 1939 la potenza equilibratrice dell’Impero austroungarico, Hitler non avrebbe avuto la mano libera con cui si è trovato. L’Europa fu in fiamme dopo l’assassinio dell’erede al trono imperiale d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando, il 28 giugno 1914 a Sarajevo per opera dell’attentatore ebreo Gravilo Princip insieme ad altri. L’Enciclopedia Britannica (VIII, 1975, p. 216) precisa che Princip fu indirizzato al terrorismo dalla società segreta serba conosciuta come Mano Nera... che pianificò l’assassinio e armò Princip e diversi altri. Si può dedurre, da documenti, che se Francesco Ferdinando non fosse stato assassinato, la politica austriaca sarebbe stata differente da quella militarista spinta dai tedeschi e non avrebbe ragionevolmente fornito pretesti per iniziare un’incontrollabile guerra. Si può concludere, quindi, che gli avversari interni e esterni che hanno tramato l’assassinio di Francesco Ferdinando non l’hanno proprio perché contrario alla guerra inutile. “Albert Mouset, nel suo libro tratto dal resoconto stenografico del processo svoltosi nell'ottobre seguente, ‘L’Attentat de Sarajevo’, riferisce che l’Archiduca fu condannato a morte dalla Massoneria. Notizia che coincide con le rivelazioni della "La Revue Internationale des Sociétes secrètes". Trame che hanno portato alla I Grande Guerra, la cui miccia fu accesa il 28 giugno 1914 dall'attentato di Serajevo contro il Principe ereditario, il cattolico e combattivo Francesco Ferdinando e sua moglie, tramato nella Loggia della società segreta di Belgrado, "Narodna Obradna", col concorso di elementi governativi. Alcuni episodi del 1917 sono indicativi di quanto tale guerra distruttiva dell'ordine cristiano in Europa fosse auspicata e promossa 40
da molti. Nel momento più cruciale del conflitto, vi fu l’appello di Benedetto XV e del nuovo Imperatore Carlo d'Austria rivolto all’Inghilterra e alla Francia del Presidente Poincaré per giungere ad una pace separata dalla Germania bellicista di Guglielmo Il. Contatti confidenziali furono stabiliti con i generali Foch e Petain tramite l'impegno della imperatrice Zita, i cui fratelli Sisto e Saverio di Borbone-Parma erano ufficiali dell'esercito alleato. L’iniziativa era a buon punto quando fu conosciuta dal Primo Ministro Giorgio Clemenceau. La "Tigre", come era conosciuto, si opponeva radicalmente ad ogni accordo. “È necessario espellere gli Asburgo, la monarchia papista”! Ora, Clemenceau apparteneva ad una setta i cui membri si facevano seppellire in piedi in odio a Dio. (Henri Le Caron, Le plan de domination mondiale de la Contre-église, Ed. Fideliter, 1985). La possibilità di un accordo non fu considerata poiché la guerra doveva portare alla completa distruzione degli Imperi Centrali, conditio sine qua non per avviare un processo di unione mondiale. Ecco in che mani era allora l’Europa. E così la guerra continuò. La Germania infettava la Russia con il virus rivoluzionario di Lenin e, dopo il massacro, l'Austria fu ridotta a un piccolo paese; ma è sotto gli occhi di tutti che cosa ciò sia costato al mondo. I poteri anticristiani che sono sorti in seguito hanno fatto rimpiangere la mancanza del contrappeso austriaco. Questo si è visto con i crimini, le violenze e le persecuzioni di uno stato di guerra rivoluzionaria che si è propagato in tutto il mondo per abbattere i segni rimasti di quanto essi chiamavano la «teocrazia romana»: la Chiesa Cattolica. Potrà la Rivoluzione avere il sopravvento su di essa, senza che le forze del mondo siano coalizzate con quelle all'interno della Chiesa? La «Terza Via»: la gestione delle opposte «direzioni» Un «compromesso storico» di portata e conseguenze inaudite si stava preparando sul piano religioso: la fusione della Città cristiana con quella mondana. La prima, dell’amore al Redentore, che sopperisce l’umana ignoranza e restaura la sua volontà decaduta; la seconda che disprezza e irride quest’amore in vista di una civiltà moderna centrata sull’uomo. E la nuova classe clericale, per la conciliazione globale del mondo, riduce la Redenzione a diritto universale dovuto alla ‘dignità 41
umana’. Ecco l’idea della ‘Redenzione universale’ della Gaudium et Spes e della Redemptor hominis; prodotti del Vaticano II, «Pentecoste aggiornata» convocata per avviare il processo del nuovo ordine religioso per la nuova umanità, in nome dello Spirito Santo! Il «nuovo umanesimo» è la «Terza via» conciliare che ha in vista una «presa di coscienza» per introdurre nella religione del Sacrificio redentore un nuovo umanesimo: l’utopica civiltà dell’amore, intesa come conciliazione e unione universale delle religioni. Tale terza via serve a raccordare le altre due con l’aggiornamento dell’ordine cristiano per la sua apertura alla modernità: l’idea gnostica e massonica che il pensiero cattolico ribadito dai Papi rifiuta come perversa. Ma una nuova classe clericale si è formata nei tempi moderni per gestire, in nome della pace, ciò che è in realtà contrapposizione metafisica. Per farlo si pretende di porre sullo stesso piano le rivendicazioni di uguaglianza e di diritti della città mondana col culto della città di Dio.... Ora, se prevale una politica ecclesiastica che ignora tale opposizione irriducibile mirando alla conciliazione totale, in extremis del bene col male, significa che maestri rivoluzionari dominavano ormai dall’interno della stessa Chiesa. Lo spirito di apertura al mondo è riconoscibile nei conciliaristi di ieri come di oggi perché costoro dichiarano che il processo rivoluzionario, civile e religioso, è animato da un profondo e generoso spirito che opera per la fratellanza universale: solo gli manca d’essere ‘battezzato’ per entrare nel solco del Cristianesimo. Tale revisione del Cristianesimo è la rivoluzione dell'aggiornamento clericale, aperto ad ogni utopia, è riuscita dove le altre avevano fallito. Sulla pericolosità delle idee e iniziative di Giovanni XXIII, il più celebre vaticanista italiano, il romano conte Fabrizio Sarazani, sul pontificato di Giovanni XXIII e sulle sue conseguenze dice: “… il segno lasciato da Roncalli nella storia dell’umanità supera di molto quello impresso dai vai Lenin e Stalin. Infatti se quelli hanno liquidato qualche milione di vite umane, Giovanni XXIII ha liquidato ben due mille anni di Chiesa cattolica” «Nichitaroncalli», p. 49) (6).
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Franco Bellegrandi, «Nichitaroncalli», sigla NR, EILES, Roma, 1994, p.
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Nel 1917, a Fatima, la Madre di Dio profetizzò tale «liquidazione» del Katéchon, l’ostacolo a tale demolizione epocale. Infatti, la visione virtuale del Terzo Segreto è sul complotto «datato» per «liquidare» il Papa insieme a tutto il suo seguito fedele. Poiché dopo la morte di Pio XII nel 1958 in Vaticano s’iniziò la demolizione cattolica, la domanda è: chi era designato a sostituito per compiere simile scasso?
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1 - L'ENIGMA RONCALLI, PROFESSORE MODERNISTA La conciliazione clericale con l’«evoluzione» delle idee del mondo sulla natura della vita e sulle «ragioni» della coscienza dell’uomo alienata dal fine soprannaturale della sua storia, è per la Fede un male inaudito, vero mistero di iniquità se perpetrato da prelati in nome dell’autorità cattolica. Qui s’inquadra l’enigma di Angelo Roncalli, chierico che, pur sospetto di modernismo, divenne egualmente professore, vescovo, nunzio, patriarca... mirando all’opera «buona», come da molto tempo era nei piani degli illuministi e delle logge, di aggiornare la coscienza della Chiesa ai tempi moderni! Ciò non deve, però, farci vedere Angelo Roncalli come l’«astro del male», un anticristo, ma piuttosto come un «asteroide modernista», un semplice vettore di piani diabolici il cui esito superava le sue capacità d’intendimento. Del resto è quel che si può credere pure di Adamo ed Eva, creature più perfette di lui, ma incredule sulle paurose conseguenze per gli uomini della loro caduta originale. Si considerano qui le spaventose conseguenze delle devianze umane, in speciale di quelle di uomini elevati alla somma Sede della Chiesa che, nell’indurre con le proprie idee tale “aggiornamento” per mutare la coscienza della Chiesa di Cristo, si fanno per questo, inconscia o coscientemente, dei vicari dell’Anticristo! Per capire le questioni trattate in questo libro il lettore dovrà avere in mente, più che problemi religiosi personali, il fatto basilare che interessa tutte le coscienze, quindi la Chiesa e le società umane: la vera guerra del mondo è tra il Pensiero soprannaturale rivelato da Dio e il naturalismo escogitato da uomini per abbatterlo; tra il Verbo divino e la rivoluzione delle «libertà di coscienza», che è la sinuosa dialettica delle ribellioni personali iniziate con la Caduta originale per l’emancipazione da Dio. In breve, tra la vita soprannaturale dell’anima per cui l’uomo fu creato e la vita naturale che ignora quella soprannaturale dell’anima, fine ultimo dell’uomo. E la sua coscienza si trova all’incrocio di due direzioni: o segue quel comune lume razionale che si mostra determinante per il pensiero che guida rettamente la vita naturale, o segue gli impulsi animali di questa, che condizionano il pensare e generano un loro proprio credere conforme a come si vive. Nella scelta di una di queste direzioni è riassunto il modo di pensare, sia di un comune fedele, sia di un gran prelato in carriera. Nessun’apparenza pietosa potrà mai occultare la scelta
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di un naturalismo larvato di qualcuno per che riduce la priorità assoluta del soprannaturale. Sarà questo il quadro per riconoscere la direzione del pensiero modernista di Angelo Roncalli, responsabile dell’apertura al mondo che rovinò le coscienze nel nostro tempo. Infatti, la rivoluzione avviata dalle aperture di Giovanni XXIII ai mali innescati dalla “nuova coscienza della Chiesa” e che condizionano il nostro tempo, è il tema di questo lavoro. Nei giorni nostri il Modernismo si è inserito ufficialmente a tal punto nella Chiesa conciliare che il senatore Andreotti arriva a dire nel suo libro «I quattro del Gesù. Storia di una eresia» (Rizzoli, Milano, 1999), che è ora per la Chiesa di rivedere “il giudizio su uomini che furono fino in tempi recentissimi ingiustamente perseguitati [perché fautori del modernismo]”. Nel caso del modernista Angelo Roncalli, però, tutto avvenne in modo ben diverso perché egli aveva molto imparato da don Ernesto [Buonaiuti, che fu scomunicato], egli ebbe invece l'unico torto di non aver saputo aspettare l'evolversi dei tempi («A ogni morte di Papa», Rizzoli, 1982). Roncalli imparò ad aspettare la sua ora lavorando per la propria ascesa fino a poter inoculare il modernismo nelle vene della Chiesa attraverso un concilio pastorale, ossia il Vaticano II. Come democristiano modernista Andreotti logicamente pretende che la nuova Chiesa conciliare, modernista anch’essa più che mai, recuperi i suoi vecchi araldi, condannati dalla Chiesa Cattolica. Oggi anch’egli, come tanti altri, può perfino vantarsi di professare tali errori che, risultando al presente vincenti, sarebbero da prendersi per verità, come vorrebbe il pensiero sofistico e storicistico moderno (Severino), pur esso vincente, per il degrado mentale del mondo contemporaneo! Si può parlare dell’enigma inerente a chi è ricordato come «Papa buono», cioè di Giovanni XXIII, che iniziò la sua carriera come professore di storia, ma fu interdetto d'insegnare perché sospettato di modernismo? Non è forse vero che allora, come oggi, professare l'eresia modernista era ragione per essere considerati contrari alla fede e perciò fuori della Chiesa? Non c’è forse questa condanna, e non solo nei documenti di San Pio X? Quindi, è lo stesso Andreotti a sollevare, pur senza accorgersi della gravità di quanto dice, gravi dilemmi richiedenti serie risposte, che rendono oltremodo legittimo e attuale parlare dell’«enigma storico Roncalli». Il modernismo non sarebbe più un’eresia contraria alla fede e perciò causa di auto esclusione dalla Chiesa cattolica? La sua condanna, che è nel magistero dei Papi, in special modo di san Pio X, sarebbe superata? 45
Con quali argomenti? Questo magistero è nei documenti del Vaticano II o piuttosto questo lo ha ignorato? In tal caso il giudizio sul modernismo riciclato sarebbe affidato, per assurdo, proprio all’apparato modernista in questione! Il senatore tratta le condanne dell’eresia modernista, di cui si nutre il pensiero democristiano, con cinico sdegno, quasi si trattasse di un malinteso da superare da parte di una Chiesa aggiornata. Eppure, quegli errori furono descritti e condannati alla luce della Fede e, i loro nefasti frutti di scristianizzazione, pur mascherati, sono oggi parte dell’immane decadenza registrata nella storia recente. A questo punto si deve tornare agli insegnamenti che spiegano come il modernismo sia non solo un'eresia specifica, ma anche una falsa «filosofia» che giustifica ogni altra possibile eresia. Di fatto san Pio X lo qualificava come «sintesi di tutte le eresie». Il problema è così grave e ampio che tratteremo qui soltanto dei punti che riguardano Roncalli quale professore di storia e di filosofia. La rivoluzione modernistica, nel suo proposito d’inoculare un germe di mutazione nella Chiesa, fu profeticamente individuata dai Papi. L’idea di germe è ricorrente nel programma modernista ed è analizzata da san Pio X nella «Pascendi», (48): Sviluppo dei germi della fede e la teoria dell’evoluzione (via d’esposizione oggettiva): «Muove dall’agnosticismo, e tende a dimostrare come nella religione, e specialmente nella cattolica, [... ci sia] il progressivo sviluppo del germe recato da Gesù Cristo... sempre immanente nella religione cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, si è sviluppato ed è venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi a quanto gli convenisse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche...». Evoluzione e adattamento della religione immutabile ai tempi sono le gravi contraddizioni modernistiche, che portano la vita intellettiva alla confusione, la vita morale all'indifferentismo e la vita religiosa all'ateismo; ciò spiegato magistralmente dai Papi, ma anche da rinomati filosofi di varie estrazioni. Giovanni Gentile scrisse che il Papa aveva dimostrato di conoscere meglio il modernismo dei modernisti e aveva tratto il loro pensiero dalle nebbie in cui essi volutamente lo avevano avvolto («Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia», Bari, 1909, p. 83). Su tali contraddizioni afferma: «Il vostro principio è intellettualista (Dio trascendente); il vostro metodo soggettivista (Dio immanente). Rimanete cattolici poiché il principio si oppone al vostro metodo, ma, in verità, tale metodo giudicato alla luce di questo principio, porta all'ateismo». 46
Che il Papa non ignorasse le vere idee dei modernisti lo testimonia, in modo, insospettabile, Benedetto Croce, il quale, su «Il Giornale d'Italia» (15.X.07) rispondendo al futuro apostata don Minocchi scrisse: “Il Modernismo pretende di distinguere il contenuto reale del Dogma dalle sue espressioni metafisiche che egli considera come cosa del tutto accidentale, allo stesso modo che sono accidentali le varie espressioni di linguaggio, in cui può venire tradotto un medesimo pensiero. E in questo paragone è il primo e sommo sofisma dei modernisti. Infatti, è verissimo che un medesimo concetto può essere tradotto nelle più varie forme di linguaggio, ma il pensiero metafisico non è linguaggio, non è forma di espressione: è logica ed è concetto. Onde un dogma tradotto in altra forma metafisica, non è più lo stesso dogma, come un concetto trasformato in altro concetto non è più quello. “Liberissimi i modernisti di trasformare i dogmi secondo le loro idee. Anch'io uso di questa libertà... Soltanto io ho coscienza, facendo questo, di essere fuori della Chiesa, anzi fuori di ogni religione; laddove i modernisti si ostinano a professarsi non solo religiosi, ma cattolici. “Che se poi, per salvarsi dalla necessaria conseguenza dell'assunto principio, i modernisti, simpatizzando con i positivisti, con i pragmatisti e con gli empiristi di ogni risma, addurranno che essi non credono al valore del pensiero e della logica, cadranno di necessità nell'agnosticismo e nello scetticismo. Dottrine, queste, conciliabili con un vago sentimentalismo religioso, ma che ripugna affatto ad ogni religione positiva”. Concludeva: “non ci capiterà facilmente un’altra volta la fortuna di essere d’accordo con il Papa”. (cf. Sì sì no no, 31.03.83). Gli errori del modernismo hanno prima contaminato la vita sociale col democratismo dominante, che invoca la separazione dello Stato dalla Chiesa, che pone i princìpi alla pari delle opinioni, vede la realtà a livello delle utopie e la verità alla mercé della volontà popolare. Posizioni condannate anche dal «Sillabo» di Pio IX. Il processo rivoluzionario si concentrò poi contro la Chiesa, infiltrandosi con utopie derivate dal concetto dell’evoluzione dell’umana coscienza che, una volta matura, si emancipa dall’autorità della divina Rivelazione, e dall’Ordine sociale cristiano legato al potere gerarchico della Chiesa. Tale processo innescato dal Vaticano II conduce all’abbandono del principio di trascendenza a favore di quello di immanenza, fa dell’uomo il centro di tutto e, perciò, riduce la religione a mero umanitarismo, come vorrebbe la Massoneria attraverso i profeti conciliari da essa suscitati.
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L’agonia del cristianesimo nel nostro tempo è evidente, anche a causa di tale spirito modernista, suscitato da qualcosa di molto segreto e astruso, qualcosa di occulto sotto la formula di una nuova religiosità, una specie di profetismo che evoca «segni dei tempi», non riferibili alla spiritualità cristiana, ma a un progresso indefinito dell’umanità. Si capisce, così, il suo spirito di riconciliazione gnostica e agnostica di tutto. Ciò ha attratto il modernista Roncalli ad adottare tale ideale umanitarista. Si può imputare a questa utopia della mentalità modernista la causa del crollo dell’idea cristiana nel mondo occidentale, in cui serpeggia ormai ovunque la religiosità legata alla New Age del nuovo ordine mondiale? Sì, perché quest’utopia può solo derivare da idee anticristiane miranti alla manipolazione per adattare a un nuovo senso il Cristianesimo. Quindi, tra questo e la religiosità di cui si riveste ogni moderna utopia, non vi può essere accordo; le utopie intendono solo un mutamento del Cristianesimo. Tale mentalità utopistica è intrinseca al modernismo dell’aggiornamento, che vuole apparire come una necessità dei tempi, vale a dire, che il declino della civiltà cristiana, suscitato proprio da tale mentalità rivoluzionaria, richiederebbe l’adattamento ai suoi “valori illuministici” di libertà e diritti umani, così intesi dal mondo moderno, come ripete oggi Benedetto XVI. Ecco l’idea modernista, per cui il nuovo male per i cristiani sarebbe non aprirsi ai progressi ideologici: gnostico o pelagiano, luterano o hegeliano, carismatico o marxista, liberista o nichilista, anglicano o lefebvriano! E chi più ne ha, più ne metta! Senza escludere neppure la contrapposizione tra bene e male. È l’utopia mirante alla riconciliazione globale mediante la dissoluzione di tutte le possibili antinomie. Ciò rimase evidente al mondo col discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II (7.12.65), quando «battezzò» con immensa simpatia l'umanesimo del culto dell'uomo che si fa Dio, aprendosi alla rivoluzione gnostica dell'uguaglianza che sfocia nella riconciliazione ecumenista delle «grandi religioni». Tale pensiero montiniano non rivela forse il profetismo del quale i modernisti si servirono per imporre le «chimere» intraviste nell'orizzonte della storia per sostituire l’Ordine cristiano? Non era questo il sogno della nuova leva di modernisti che svalutavano il soprannaturale nella storia per introdurre in seguito nella fede le loro ispirazioni salvifiche, come ha ben spiegato san Pio X? Si tratta del sogno di quell’utopismo modernista che inquinò la mente di molti chierici, inducendoli a demolire, col senso cristiano della storia, la stessa fede, in nome di un ideale umanitarista capace di compiere la redenzione universale! O non era quest’ultimo un mero pretesto? Non si tratta piuttosto di una sfrenata libidine di potere, che su tutto e su tutti vuole regnare indisturbata? Non evoca tutto questo 48
l’immagine dell’empia meretrice di Babilonia, ebbra delle sue follie? Tutto il contrario della visione dell’utopismo modernista è la visione per cui la Parola di Dio, tramandata in gran parte in forma di storia cristiana, insegna che essa fa trasparire la condizione dell’uomo decaduto; che essa è campo di prova in cui il soprannaturale sta al naturale come l'anima al corpo. Il Salvatore divino non si è forse incarnato nella storia del mondo?
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L’aggiornamento del senso cristiano della storia E la mente dell’uomo, creata per discernere la verità che la trascende, può trovare altro riscontro che nel senso soprannaturale della storia della Parola divina? Essa è vitale perché l'uomo possa, di là da ogni prova, riconoscere la verità che lo riguarda e sappia allora celebrare il culto del Bene, del Vero, di Dio. Si può riconoscere la fede distorta di un modernista proprio per la sua visione storica e il suo mancato rispetto verso i veri segni divini. Non per altro Roncalli, dimostrando queste visioni contorte, fu sospeso dall'insegnamento di storia e di filosofia. La religione rivelata è storia sacra che descrive gli sviluppi della perenne lotta del male contro il bene, in cui si possono leggere i disegni divini che riguardano l'essere umano e a seconda che gli uomini ricevano o ricusino i segni divini manifestatisi nella storia. La storia letta in un'altra luce non è maestra di vita, ma di errori letali. Mutilare la storia del soprannaturale significa anche svuotare la religione in se stessa, la fede che tiene conto dell'origine e del fine ultimo dell'uomo. Esistono, infatti, due mondi separati dal diverso modo d'intendere il senso della storia e della pace. Quello cristiano è definito da Cristo: si basa sulla Fede e la conversione dei cuori al bene rivelato da Dio. Al pensiero cattolico si contrappone l’idea di bene e di pace elucubrato dal sincretismo gnostico, includente ogni culto e “verità”, pure quelle anti cristiane, perché il nuovo «bene» esoterico, per i nuovi salvatori ecumenisti, clericali o laici, sarebbe l'utopica unione di una umanità, redenta dalla sua auto evoluzione. Ecco allora una delle idee che, per aggiornare il senso cristiano della storia alla modernità, pianifica un nuovo «pensiero illuminato» per un «nuovo ordine» nel mondo, a cui corrisponde una «nuova pentecoste» per allineare parimenti la Chiesa a questo nuovo corso. È l’ideale venuto da un nuovo mondo secolare e clericale di nuovi salvatori, impegnati affinché il Cristianesimo non sia più ragione di conflitti con i poteri agnostici, gnostici e con le credenze del mondo antico e attuale. Ecco il programma del profetismo ecumenista che colpisce il Cattolicesimo per soddisfare i bisogni del “nuovo ordine mondiale”: elaborare finalmente una religione globale! Non si creda, però, che ciò sia frutto di un qualche «roncalpensiero» o della mente di Montini e successori. No, I prelati modernisti non furono altro che pedine per impiantarlo da una suprema cattedra, cui furono elevati secondo schemi orditi altrove. Le nuove «teologie» venivano da un lontano mondo oscuro e esoterico. 50
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L’aggiornamento ribelle al Verbo incarnato viene da lontano È quanto, nei limiti di queste pagine, si vuol dimostrare, non tanto in vista di prove segrete, ma degli evidenti risultati di demolizione di tale trama. Inutile alludere a una religiosità nuova, come essa vuol apparire. Essa non è che l’aggiornamento di quella gnosi del «sarete come dèi» dell’alba dei tempi; tentazione che nel corso della storia ha assunto tanti aspetti strani, spesso religiosi. Se nei tempi antichi si è presentata per dominare le coscienze con nomi magici, nei tempi recenti è apparsa per guidare il mondo con la sua scienza: sinarchica, rosa-crociana, teosofica, ecc. e le sue tante «chiese» New Age, unite dall’idea finale del profetismo ecumenista, che muta la religione in revival festivo e riduce la rivelazione divina a confusa visione interna delle coscienze. Per compiere ciò i modernisti s’infiltrarono nella Chiesa in veste clericale, per demolire la fede tradizionale e l’autorità cattolica con un infido procedere. Essi sono canonicamente scomunicati dalla Chiesa con un imprescrittibile giudizio, ma in pratica basta che sotto giuramento neghino le idee ereticali, perché, con la protezione di un gerarca amico, non solo ri-mangano, ma siano anche promossi a cariche autorevoli nella Chiesa. Il gran problema è sempre stato identificare gli spergiuri per scomunicarli. Che parte avrebbe avuto Roncalli in questa fosca trama religiosa? Oggi si può valutare la portata del piano di mutamento mirante a unificare due mondi contrapposti con quell’«aggiornamento» operato dal Vaticano II. Esso si è rivelato vettore dell’omologazione religiosa ordita nei centri di potere e di pensiero mondialisti. Sembra incredibile che sia stato affidato al bonaccione Roncalli, privo di grandi doti, l’oscuro compito d’iniziare tale manovra epocale. Eppure, non vi sono dubbi; è stato lui a prestarsi al fischio d’inizio di tale aggiornamento. La parte avuta da Giovanni XXIII in esso è evidente (7). Si pone la domanda: chi era in verità Roncalli, destinato a divenire Giovanni XXIII e occupare la cattedra di Vicario di Dio per il mutamento della Chiesa? Qual era la sua fede nei segni divini nella storia?
7 - Questa “bonarietà e semplicità” paiono esser state piuttosto una maschera. Lo testimonia Franco Bellegrandi che lo ha conosciuto da vicino e lo descrive nel suo libro «Nichitaroncalli», p. 40
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La banda dei quattro modernisti a Roma Seguiamo la saga di Roncalli, che fu lo strumento di tale sortilegio. Nel suo citato libro «I quattro del Gesù. Storia di una eresia», Giulio Andreotti racconta che Angelo Roncalli, Giulio Belvederi, zio della moglie di Andreotti, Alfonso Manaresi ed Ernesto Buonaiuti erano quattro seminaristi, stretti da amicizia e dalla comune visione religiosa modernistica. Gli ultimi due hanno portato le loro idee eretiche così avanti da essere censurati e scomunicati (Manaresi e il Buonaiuti). Belvederi e Roncalli furono invece salvati dai loro protettori, nel caso di quest'ultimo dall'allora vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi, in odore di modernismo. Un altro compagno di Roncalli a Bergamo fu Nicola Turchi, che tradusse in italiano lo storico Duchesne, anch'esso censurato. Già in quegli anni precedenti l'evento di Fatima, si diffondeva nei seminari cattolici una deviazione modernistica, giustamente considerata eterodossa e perciò, aperta all'eresia consistente nel separare la storia dalla religione. Un suo fautore fu il professor Roncalli, futuro Giovanni XXIII, che avrebbe archiviato nel 1959 la terza parte del segreto della Madonna di Fatima come inopportuna; attitudine opposta allo spirito cristiano, che ritiene prezioso ogni segno celeste e grave la responsabilità di testimoniarlo, se riconosciuto come divino intervento, dalla Chiesa. Essi hanno illuminato la storia della Chiesa di Dio, fin dalla sua origine aiutando a interpretarla correttamente; confortano e consolano nelle prove che essa attraversa. Il cristiano legge la storia dell'umanità alla luce di Gesù Cristo, sua ragione e guida; ricordandosi innanzitutto che il mondo fu creato per essere l'impero dell'Uomo-Dio e della sua Chiesa, la cui missione è salvare gli uomini attraverso il culto del Bene, del Vero, del Bello; in Dio Uno e Trino. Poiché la fede in Dio e l’amore per i Suoi disegni avveratisi nella storia sono legati intimamente, si sa che la visione storica modernista, per cui la religione va asservita alla mentalità e ai bisogni sociali, come descritto nella «Pascendi», spegne il soprannaturale della Storia, e così anche la fede. Poiché tutto ciò riguarda Roncalli, di cui è possibile dimostrare che era pervaso da una mentalità modernista, che da nunzio e patriarca non nascondeva nemmeno più la sua apertura alla Massoneria, la conclusione è ovvia: l'apparato clericale del tempo di Pio XII era composto in buona parte da modernisti camuffati e da chierici ciechi di fronte ai veri pericoli. Così la Chiesa Cattolica in breve tempo è rimasta alla mercé dei 53
modernisti, che hanno provveduto ad occupare i suoi ruoli gerarchici, i centri di governo, di studio e di insegnamento, e tutti i suoi possedimenti e beni esteriori, quindi a demolirla dall’interno con un processo volutamente graduale, durato oltre quarant’anni affinché non si levassero reazioni pericolose, per edificare al suo posto la loro Chiesa Conciliare con la loro dottrina, il loro diritto canonico, i loro riti, il loro calendario, il loro clero. È tale chiesa conciliare, ed essa soltanto, che ha potuto “beatificare” colui che iniziò la trasmutazione clericale, il gran demolitore della Fede, Angelo Roncalli! Il fatto che Andreotti parli apertamente del recupero di tale eresia prova come la sua scalata nella Cristianità fosse devastante; essa sostituì la Chiesa tradizionale con un’altra, conciliare e modernista. Potrebbe Andreotti, modernista di prima leva, legato al nuovo potere, non festeggiare la vittoria dei suoi correligionari? Seguiremo questo corso attraverso le avventure del loro pontefice. Chierico di Bergamo, Roncalli deve aver molto presto fatto conoscere le sue predisposizioni alle «aperture mentali», perché il vescovo della sua città, Camillo Guindani, esponente progressista dell’azione sociale, lo inviò nel 1901 per studiare e far carriera a Roma. Qui assiste nel gennaio 1904 a una conferenza di Marc Sangnier, il fondatore del «Sillon», poi condannato da san Pio X. La dottrina di Sangnier, che «con l’occhio fisso a una chimera, prepara il socialismo» è il ricordo più vivo di tutta la formazione sacerdotale del giovane Roncalli, come farà sapere alla vedova del Sangnier nel 1950. Ciò che per san Pio X era «una setta... un misero affluente del grande movimento di apostasia», per Roncalli era la via maestra da seguire. Ordinato a Roma nel 1904, avendo per padrino-assistente Buonaiuti (8), Roncalli torna a Bergamo dove il vescovo, Giacomo Radini Tedeschi, che aveva conosciuto e frequentato a Roma, lo assume come segretario. Tale prelato, conosciuto poi come il vescovo rosso, era a suo turno protetto del cardinale Rampolla del Tindaro, fautore della politica di «ralliement», nome con cui si definisce l’invito ai cattolici francesi di aderire alla Terza Repubblica. Questa politica, però, come si vedrà in seguito, ben più che una mossa diplomatica costituì una tendenza di conciliazione ad oltranza con i poteri moderni. In quegli anni questa tendenza sembrava concernere solo la politica civile, ma in verità era 8 - «Nichitaroncalli», sigla NR, pg. 40
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frutto di una mentalità conciliare di stampo modernista che dilagava nella Chiesa.
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Un attacco interno all’aspetto «storico» del Cristianesimo Tutto ciò faceva presagire l’evento inquietante di un modernista come Roncalli che entra in conclave (1958) ed è eletto pontefice (prendendo il nome dell’antipapa Giovanni XXIII!) La scuola di pensiero di Roncalli seguiva l’idea modernizzante che sorvola sul fattore soprannaturale con la scusa di fare opera di pura storia; una storia da cui Gesù Cristo e la sua Chiesa rimangono al massimo proiettati «verso un punto omega», come voleva la fantasia gnostica di Teilhard de Chardin. Il primo impegno del modernismo era di condire i sapori tradizionali della religione e della storia con una salsa aggiornata ai tempi. Ecco servita la brodaglia indigesta sia per i cattolici sia per gli stessi agnostici. E per secondo, un fritto misto di spiritualismo gnostico e di naturalismo conciliare. Queste righe sono dirette, più che alla difesa dell’evidente manifestazione del soprannaturale nella storia, a far capire quanto sia nauseante per ogni coscienza voler condire eventi sublimi in salsa modernista per aggiornare alla politica del nuovo ordine mondialista. Eppure, proprio questa era la ricetta dei modernisti per le società. La Chiesa insegna che niente è più anticattolico del concetto per cui «si deve negare ogni azione di Dio sugli uomini e sul mondo», condannato nell’Allocuzione «Maxima quidam», del 9 giugno 1862 e nel «Sillabo». All’inizio del XX secolo la Santa Sede in persona di San Pio X condannò il modernismo analizzando il nucleo delle sue distorsioni, per esempio, riguardo alla «critica storica». Infatti, il modernista, partendo dall’idea che la Chiesa nasca dalla collettività, conclude sul suo bisogno d’adattamento alle tendenze della società, tra cui la sua separazione dal potere politico. In tal modo, non solo è demolita l’autorità del Magistero e della Gerarchia ecclesiale, che per definizione proviene da Dio, ma la nozione stessa d’autorità, cui si sovrappone la sovranità democratica. Essa potrà allora sostituire: col voto, i princìpi cristiani della vita sociale; con le ideologie, la parola rivelata; col profetismo gnostico le profezie divine. Ecco il peccato originale della chiesa-popolo, che ignora così la voce dell’autorità divina per cogliere la «mela» della «libertà di coscienza» e di religione. San Pio X condannò a chiare lettere questo potenziale pericolo e l’opera di tutti gli autori modernisti, non solo di quelli estremi, come il prete Alfred Loisy, ma anche di quelli moderati, come il prete francese Louis56
Marie-Olivier Duchesne, noto autore di una storia ecclesiastica da cui era stato depennato il soprannaturale. Ma Duchesne, come storico-critico, dichiarava di non voler seguire la via di modernisti di grido quali Renan ed altri, di cui mise inesorabilmente a nudo la scarsa preparazione scientifica. Lui faceva la storia scientificamente, e poiché quegli altri autori erano fuori dai seminari e lui dentro, il suo sistema velato era più influente dell’altro, apertamente modernista. Perciò fu tenuto sotto osservazione da Roma e poi rimosso dall’insegnamento. Egli accettò la censura, pur rilevando che la sua opera era già stata approvata dalle autorità romane. Di Loisy è bene sapere che fu discepolo di Duchesne. Da principio lo stesso Loisy era meravigliato ed anche un po' stomacato dallo «spirito razionalista» di quel maestro: « Il tono volterriano che dimostrava ancor più volentieri nella conversazione che negli scritti non mi piaceva affatto; non ci trovavo solo una mancanza di gusto, ma anche un certo difetto di senso morale». («Le ton voltairien qu'il affectait encore plus volontiers dans sa conversation que dans ses écrits ne me plaisait aucunement; je n'y trouvait pas qu'un manque de goût mais aussi un certain défaut de sens moral» - Mémoires, vol. I, p. 105). Poi il Duchesne iniziò Loisy all’incredulità e insieme divennero «i due grandi corifei della nuova scienza storico-critico-esegetica» con tutti i loro discepoli e ammiratori d’Italia, Francia, Inghilterra e Germania. I nomi di Loisy e Duchesne non possono disgiungersi nella storia del modernismo; anzi, ancor prima e più che al condannato Loisy, si deve far risalire al Duchesne la responsabilità di avere introdotto il modernismo nell’Istituto Cattolico di Parigi, da dove si sarebbe propagato in tutti i seminari, compresi quelli italiani. Il Duchesne può, quindi, considerarsi come il vero padre del modernismo. Così lo definisce l’Houtin e gli si può credere («Histoire du Modernisme», p. 249, Paris, 1908). “Il Duchesne, abilissimo a coprirsi, all’occorrenza, buttando a mare, anche i suoi amici, riuscì a sfuggire alle censure, da cui fu colpito il Loisy, il quale - bisogna riconoscerlo seppe essere nella ribellione più coerente e sincero del maestro”. L’episodio che, tra tutti, suscitò tanto scalpore intorno al Direttore dell’Ecôle Française a Roma, fu l’iscrizione all’Indice della sua «Histoire ancienne de l’Eglise» (Paris, 1905-1910) che apparve alla luce coperta da un «imprimatur» del Maestro del Sacro Palazzo di quel tempo, come se costui, sia pure teologo del Papa, possa garantire la perfetta ortodossia di un libro. 57
Cosa significasse quel libro i modernisti lo sapevano: era «une histoire ancienne de l’Eglise racontée avec toute la science du XXe siècle, dans la langue du XVIIIe à la barbe des théologiens du XIIe (Houtin, «La Crise du Clergé», p. 82, Paris, 1907). Definizione perfetta di un manuale d’incredulità rivestito d’ogni furbizia di menzogna (9). Ecco in breve descritto il gran maestro seguito da Roncalli. Così, si passò a voler ignorare che la vera guerra del mondo è tra il Pensiero soprannaturale rivelato da Dio e il naturalismo escogitato da uomini per abbatterlo; tra il Verbo divino e la rivoluzione delle «libertà di coscienza», sinuosa dialettica delle ribellioni personali. La scalata del modernismo in Italia Bergamo era allora un vero centro per le amicizie ereticali, che si stendevano in Europa. Tra i nomi di personaggi con cui Roncalli ha avuto stretti contatti, ci sono il cardinale belga Mercier, i cardinali Ferrari di Milano e Maffi di Pisa (il Mercier italiano), mons. Bonomelli, oltre a Radini Tedeschi ed altri, tutti preparati ad operare una svolta epocale nella Chiesa. Allora Roncalli insegnava storia nel seminario locale, seguendo la linea dell’«Histoire» di Duchesne, tanto diffusa pur nel giornale diocesano «L’Eco di Bergamo», a tal punto che lo stesso Papa ebbe occasione di segnalare che in nessuna diocesi italiana i modernisti Loisy e Duchesne erano tanto diffusi. L’edizione italiana della «Histoire» di Duchesne appena pubblicata nel 1911, con la traduzione di Buonaiuti e Turchi, ebbe le critiche mosse dal Papa e dal card. Billot che si tradussero in divieti per i seminari in una circolare del cardinale Lai. Ma Roncalli, condiscepolo del modernista Buonaiuti e del Turchi e, come loro, professore di storia, si serviva ancora dell’opera di Duchesne, malgrado fosse modernizzante, posta all’Indice e vietata nei seminari, continuando 9 - A discolpa di quel teologo, il Padre Alberto Lepidi O.P., che alcuni accusano a torto di “modernismo” per aver “protetto” Buonaiuti perché tentò in extremis di ricondurlo alla fede cattolica, ottenendogli un ultimo colloquio con San Pio X, e che altri si compiacciono di accusare del “delitto” di aver dato il suo imprimatur anche ad una riedizione del Messaggio di La Salette, conviene notare che fu proprio grazie al suo imprimatur che l’abbé Charles Maignen che scriveva in Francia su “La Verité” con lo pseudonimo di “Martel” poté pubblicare il suo libro contro il P. Isaac Hecker, vero modernista ante litteram, fondatore dei paulisti americani, mostrandone il carattere semi-pelagiano e innescandone poi la condanna con l’enciclica Testem Benevolentiae di Leone XIII contro quello che allora si chiamò l’Americanismo (22 gennaio 1899).
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ad utilizzarla per l’insegnamento, fino ad essere richiamato. Roncalli rispose con una lettera (27 giugno 1911) dove giurava la sua fedeltà: “Io non ne lessi più di quindici o venti pagine... non ho neppur veduto gli altri due volumi… conoscevo abbastanza le idee del Turchi ... non me ne fidai affatto”. Si discolpò, quindi, dicendo che aveva letto solo qualche pagina dell’opera incriminata (10). Si noti che queste sono affermazioni fatte sotto giuramento! Il sospetto principale su Roncalli era di un modernismo larvato, e perciò era nel libro nero del Sant’Ufficio. L’inedita documentazione fa parte delle Carte Cavalcanti... «Un fortunato ritrovamento archivistico permette di stabilirlo con precisione storica» e citarle. In esse sono conservate cinque lunghe lettere scritte dal canonico Giambattista Mazzoleni (1855-1931) fra il maggio e il settembre 1911, nelle quali analizza alcune conferenze tenute dal Roncalli. Nella prima lettera il Mazzoleni conclude: “Mi aspettavo che volesse svolgere il concetto della vita cristiana, ma per me la sua conferenza ebbe troppo il sapore di occultismo. Parvemi anche mancante della base, che è l’abneget semetipsum, essendosi disinteressato dei consigli evangelici anzitutto. Quel dire poi del matrimonio santificazione del piacere sessuale mi pare una vera sconvenienza a dir poco”. Allora Roncalli insegnava storia nel seminario locale, seguendo proprio l’«Histoire» del Duchesne e collaborando con le iniziative progressiste. Fatto è che alla nomina del professor Roncalli per la cattedra di storia scolastica nel seminario romano fu posto il veto nel 1912 perché indicato di «dubbia ortodossia» (Lorenzo Bedeschi, «Paese Sera», 13 dicembre 1972). Il futuro Giovanni XXIII, tuttavia, chiusa la porta romana, continuò a essere segretario del vescovo modernizzante di Bergamo, Radini-Tedeschi, che gli riaprì la porta per farlo segretario e insegnante nel locale seminario. Ci fu allora la partenza per la guerra e quando il sergente Roncalli tornò, nel dicembre del 1918, Bergamo era sotto un nuovo vescovo, Luigi Marelli. Costui non pose difficoltà alla carriera di Roncalli, che nel novembre 1919 ebbe una prima udienza col Benedetto XV e l’anno dopo il cardinale olandese Von Rossum, prefetto della Propaganda Fide, invitò Roncalli a presiedere il Consiglio centrale di quella Congregazione per riorganizzare le opere missionarie nelle diocesi italiane.
10 - Hebblethwaite, «Giovanni XXIII, il Papa del Concilio», Rusconi, Milano, 1989, pagine 62-65).
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Roncalli parte per Roma e il 12 febbraio1921 è ricevuto dal Papa che lo nominerà poi monsignore. C’è da chiedersi se questa promozione romana di un semplice professore di Bergamo, già sospettato di modernismo, fosse normale o rientrasse nel giro delle influenze di Radini Tedeschi, uomo di Rampolla, presso i suoi successori Della Chiesa e Gasparri. Fatto è che durante il pontificato di Benedetto XV gli ecclesiastici apprezzati da san Pio X furono emarginati mentre per altri si aprirono le porte vaticane, come nel caso del giovane prete Giovanni Battista Montini (futuro Paolo VI), figlio di un deputato del Partito Popolare, che con Roncalli aveva iniziato a Roma dal 1924 una lunga amicizia. In quell’anno era già morto Benedetto XV e regnava Achille Ratti, alias Pio XI, che proseguì la linea diplomatica del predecessore. Il nuovo Papa fu favorevole ai concordati, mai a dei cedimenti modernisti nella Dottrina; d’esempio è la sua nota enciclica «Mortalium animos». Connotato del modernismo, come visto, è proprio la lettura della storia nell’ottica gnostica o anche agnostica, capisaldi del pensiero massonico, per cui tutto può essere accettato, ogni fede e ideologia, perché di assoluto non c’è che la fratellanza universale. Ecco che Giovanni XXIII, anche se è molto difficile documentare una sua iniziazione Lo confermano non solo le sue parole e atti ma documenti compromettenti, sulle sue deviazioni e spergiuri spariti dall’Archivio Vaticano. Roncalli, ritenuto dottrinalmente inquinato come professore di storia (11), passa stranamente senza problemi alla carriera diplomatica. A proposito di carriera, è degno di nota il consiglio di Roncalli, ormai Giovanni XXIII, a monsignor Marcel Lefebvre. Quando quest’ultimo fu accusato dai vescovi francesi per aver sostenuto la tradizionale «Cité Catholique» nel '59, fu consigliato da lui a non scoprirsi per la carriera: “fate attenzione, se volete far carriera, non affermatevi come tale in maniera troppo decisa” (12). Se sopra si parla di un «fortunato ritrovamento» di copie di questi documenti, è perché gli originali erano nei registri vaticani, spariti, guarda caso, proprio nel periodo in cui Giovanni XXIII «regalava» il dossier di 11 - «Nichitaroncalli» p. 41.
12 - Mons. Francesco Spadafora, «La Tradizione contro il Concilio». Un consiglio amichevole, o piuttosto un consiglio beffardo della scaltra ironia roncalliana, quasi un consiglio mafioso? Ma, a proposito di consigli, c’è purtroppo anche il quanto meno improvvido consiglio dato da Mons. Lefebvre al Card. Gaetano Cicognani di firmare il diktat roncalliano portatogli dal fratello Amleto, Segretario di Stato. (Marc Dem, "Il Faut que Rome soit detruite" Ed. Albin Michel, p. 111)
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Montini, che era in Vaticano, a questo suo amico, parimenti sospetto. Si deve, quindi, prendere atto che l’infiltrazione del modernismo nella Chiesa accadde senza che vi fosse una consistente percezione del rischio gravissimo che una visione storica deviata rappresenta per la verità cattolica, per il retto pensiero e quindi per l’intera Cristianità. Ciò è detto in vista del fatto che la deviazione di Roncalli nel campo storico, non essendo stata dovutamente soppesata, come riguardante la fede, è divenuta, per via della «brillante» carriera di Roncalli eletto al soglio pontificale, la causa scatenante della scristianizzazione mondiale. Giudizio certo esagerato se tutto dipendesse solo dalle capacità del personaggio; innegabile, però, in quanto coinvolse il Soglio supremo, di giudice su ogni insegnamento della Chiesa. Un convinto modernista… mascherato Tuttora si dice che manchino le prove per accusare Roncalli di modernismo. Infatti, si potrebbe domandare come mai Pio XII, Tardini, Ottaviani, Siri e altri prelati non lo hanno segnalato, ma promosso? Come mai pochi si accorgevano di questa velata mutazione religiosa? Sì, perché tutto già indicava allora che Roncalli era modernista, ma lui doveva negarlo per assicurarsi la carriera, seguendo quanto «imparato da don Ernesto Buonaiuti» (vedi Andreotti, che parla di quell’“unico torto di non aver saputo aspettare”). Certo è che seguiva chiaramente la prassi modernista, per cui la Chiesa andava cambiata insensibilmente dal suo interno, come poi avrebbe fatto, nell’ambito delle cariche che gli furono affidate. Lo avrebbe dimostrato durante tutta la sua lunga carriera, nonostante sia pure certo che abbia prestato il giuramento antimodernista. Si tratterebbe di uno spergiuro aggravato dal tradimento modernista che scomunica un cattolico. Ora, solo un apparato composto di chierici della sua stessa tendenza ha potuto ignorare il sospetto fondato di spergiuro in questioni di fede, sufficiente per squalificare qualsiasi cittadino, ma più ancora per annullare qualsiasi possibilità di beatificazione. Anthony Burgess, di formazione cattolica, ha fatto un'analisi, pubblicata su «Il Tempo» di Roma (13), del neopelagianesimo di Giovanni XXIII. Questa analisi, a detta del suo autore, è giunta alla Congregazione per la causa dei santi in Vaticano e è stata allegata al dossier dell'«avvocato del diavolo» come argomento contrario alla sua beatificazione. Roncalli, sosteneva il Burgess, rinnovando l'eresia di Pelagio, riteneva che l'uomo 13 - Intervista al «O Estado de S. Paulo», 10.1.1982, e altri quotidiani del mondo.
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porti in sé la forza di autoredimersi, avanzando nella conoscenza e raggiungendo la vera libertà anche senza la grazia divina. Tal eresia, prosegue quell’autore, introdotta nella Chiesa di Roma, alterò la vita morale del mondo. Burgess illustra la sua tesi anche attraverso un personaggio del suo libro, «Gli strumenti delle tenebre», (Rizzoli,1983) che pone la mentalità di Roncalli e di Montini in contrasto con quella di un cattolico gran peccatore, ma cosciente dell’esistenza del suo male. Così, era falsa la bontà umana di Roncalli che predicava l’uomo nato buono. Una bontà che non quadra con la dottrina cattolica del peccato originale, ma si sposa bene col mito illuminista del “buon selvaggio” di Rousseau. Tale “bontà” è, essa stessa, il male che fa di questo secolo, dal punto di vista dell’affermazione del male, il più terribile di tutti... e di Roncalli “il più pericoloso prodotto del secolo; più di Hitler”! Curioso che quest’accusa, che pare oggi tanto esagerata quanto impopolare, venisse da un famoso autore mondano di lontana formazione cattolica, ma comunque legato alla logica cattolica secondo la quale anche piccole deviazione mentali dalla verità possono causare mali enormi. E ciò in proporzione del potere di chi le attua; nel caso di chi occupa la cattedra di Pietro, diviene causa di supremi mali. Come mai quest’autore lo riconosceva e testimoniava, a rischio e pericolo della sua popolarità nel mondo cattolico, e i grandi prelati tacevano e lo ignoravano? È il mistero che avvolge, dal tempo successivo a San Pio X, il grande apparato clericale vaticano. O era incapace d’identificare un chierico che durante la vita aveva dimostrato idee naturaliste, pelagiane e moderniste, o era esso stesso profondamente infiltrato da modernisti e massoni (14). Solo per una di queste ragioni avrebbe potuto tralasciare un grave sospetto di spergiuro in questioni di fede. Infatti, prima favorì la nomina di tale chierico a nunzio, una nomina che implicava la veste di vescovo, e di patriarca e cardinale, reso dunque candidato a essere supremo maestro visibile della Chiesa, e poi, mantenne la riverenza a tale chierico che, eletto rovinò la Chiesa con la sua «nuova pentecoste». Lo stesso libro di Andreotti (I quattro del Gesù) si chiude con l’intervento di Giovanni XXIII diretto alla causa di beatificazione del card. Andrea Ferrari, 14 - Buonaiuti ha potuto fare carriera, almeno all’inizio, proprio perché protetto dagli “integristissimi” Mons. Benigni e Mons. Chiesa che lo designarono come loro sostituto e successore ad insegnare sulle loro stesse cattedre, rispettivamente, storia della Chiesa all’Apollinare (Mons. Benigni) e filosofia a Propaganda Fide (Mons. Chiesa).
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ritenuto modernizzante. Lo ha fatto con una frase tipica della sua capacità di giudizio, aliena alle questioni di fede: “Se Pio X aveva una statura di santità di un metro, il Cardinal Ferrari l’aveva di quattro metri”. Tale misurazione orizzontale della santità fu conclusa da Giovanni Paolo II, aggiungendo solennemente a Ferrari anche Roncalli. Ecco la carriera di chi è stato incredibilmente beatificato per la sua «opera» di chilometrica «bontà ecumenista»! Eppure Gesù ha detto: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi ” (Mt. 23, 15). Costoro vantano abbondanza mega chilometrica di «bontà ecumenista», ma proprio per estinguere ogni proselitismo. Giovanni Paolo II portò tre volte al Brasile cattolico il verbo conciliare, perfino simpatico al vodù, ma a ogni volta le sette si sono moltiplicate a dismisura (15). Si è visto che il professore filo modernista Angelo Roncalli, da quanto scrisse Giulio Andreotti, aveva molto imparato da don Ernesto [Buonaiuti, che fu scomunicato]. Costui ebbe l’unico «torto» di non aver saputo aspettare l’evolversi dei tempi (16). Roncalli, invece, imparò allora ad aspettare la sua ora lavorando per la propria carriera. Ciò perché doveva superare la tappa di professore di storia a lui interdetta poiché sospetto di modernismo. Il trionfo di quest’eresia dipendeva dalla furbizia dei suoi addetti, visti come pragmatisti: “i modernisti, simpatizzando con i positivisti, con i pragmatisti e con gli empiristi di ogni risma... cadranno nell’agnosticismo e nello scetticismo. Sono i loro frutti a favore di ben altro che la figliolanza cattolica! Per loro non è più l’uomo che deve ascoltare Dio Padre, ma l’uomo moderno, finalmente adulto ed emancipato che trova la divinità anche nei culti della «vecchia serpente» del sussurro originale o del «pitone» delle macumbe. Insomma il mondo sarebbe uno e l’uomo sarebbe capace della sintesi del bene e del male, della tesi e del-l’antitesi di hegeliana memoria, roncalliana incubazione e di ratzingeriana attuazione. La loro «nuova pentecoste» unì un mondo clericale secondo il pensiero della dignità dell’uomo e la loro di nuovi liberatori e salvatori - come Dio. L’inversione consisteva nell’assumere un «culto» immanente contra il culto cristiano trascendente! E poiché la società umana si fonda comunque su un culto (17), le «liberazioni conciliari» concorsero al culto democratico di cui la «confusione europea 15 - Vedi «La Fede teandrica e il Vodù», www.agerecontra.it 16 - Andreotti G., «A ogni morte di Papa», Rizzoli, 1982. 17 - Vedi Capitolo 9, p. 181.
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unita» è torvo esempio. Un chierico de “semplicità geniale” avrebbe aperto il pozzo di tale scempio.
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2 - LE ALIENAZIONI FATALI DELLA STORIA Oggi si è visto che la «nuova Europa» rinnega perfino le sue radici cristiane. Mentre per Benedetto Croce non possiamo non dirci cristiani, la nuova Europa vorrebbe rinnegare perfino l’incancellabile realtà storica di queste radici. Come mai? Tale rifiuto può solo provenire dalla rivoluzione illuminista del mondo moderno, proprio quello rinunciatario alla trascendenza. Eppure, lo si vuole onorare e sostenere. Come? Forse infondendo i suoi valori illuministici nelle coscienze, anche cristiane, con un nuovo culto: il culto dell’uomo, principio e fine di tutto. Ma poiché l’area dei culti è piuttosto di dominio della «coscienza religiosa», questo nuovo culto dovrebbe avere un avallo proprio in quest’area, naturalmente cattolica! Magari attraverso la «nuova coscienza della Chiesa» frutto del lavoro modernista, le cui idee furono messe in ridicolo da Benedetto Croce: “i modernisti, simpatizzando con i positivisti, con i pragmatisti e con gli empiristi di ogni risma, addurranno che essi non credono al valore del pensiero e della logica, cadranno di necessità nell’agnosticismo e nello scetticismo. Dottrine, queste, conciliabili con un vago sentimentalismo religioso, ma che ripugna affatto ad ogni religione positiva”. Per capire una tale oscura crisi spirituale contemporanea si deve vagliare da dove viene e dove ci porta il tenebroso ma dominante culto di un tale agnosticismo rivoluzionario. Dai suoi massacri si può già capire che tale culto, si nutre e sacrifica alla fine ai suoi idoli proprio le umane coscienze. Questo libro inizierà, quindi, con la storia della ribellione umana che si è concretizzata nel mondo con la Rivoluzione per eccellenza, quella della creatura cosciente contro l’Ordine e la Fede suscitate dal suo Creatore. Ecco l’origine di tutte le crisi cui l’uomo e la sua società devono risalire per capirle e superarle. Per assisterci il Signore istituì la Chiesa con la Cattedra di San Pietro che ha il potere delle chiavi. Che succederebbe, però, se la chiave fosse rapita da tonacati, come Angelo Roncalli, che inaugurasse la successione di una nuova chiesa di convertiti a un «aggiornamento illuminista»? È quanto viviamo, ma che si deve capire dalle sue origini; dalla nuova mentalità che ha incubato tali errori. Iniziamo con la descrizione di una crisi di coscienza, quella della coscienza europea che, seguendo la crisi protestante spuntata nel 1517, cambiando il mondo delle idee, cambiò la vita delle società sulla terra. 65
«La crisi della coscienza europea», cioè la convergenza delle idee che insieme avrebbero portato alla rivoluzione francese.
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La crisi originale della coscienza europea Tale crisi è situata, dallo storico Paul Hazard, alla fine del regno di Luigi XIV, tra il 1680 e il 1715. Ecco il preambolo del libro: “La crise de la conscience européenne” (Parigi, 1934): «Quale contrasto! Quale brusca evoluzione! La gerarchia, la disciplina, l’ordine garantito dall’autorità, i dogmi che regolano la vita con fermezza: ecco quel che gli uomini del secolo XVII amavano. Soggezione, autorità, dogmi: ecco quel che detestano gli uomini del secolo XVIII, loro immediati successori! I primi, sono cristiani, e gli altri anti-cristiani; i primi, credono nel diritto divino, e gli altri nel diritto naturale (degli uomini): i primi, vivono a loro agio in una società che si divide in classi disuguali, i secondi sognano soltanto l’uguaglianza. La maggioranza dei francesi pensava come Bossuet; d’un tratto, i francesi pensano come Voltaire: è una rivoluzione! Per sapere come questa avvenne, ci addentriamo in un campo mal conosciuto. In passato, si studiava molto il secolo XVII; poi, soprattutto il secolo XVIII. Alle loro frontiere si estende la zona incerta, impervia, dove ci si può scontrare ancora con scoperte e avventure. Percorriamola scegliendo, per delimitarla, due date non rigorose: da una parte, attorno al 1680, dall’altra, il 1715. Ci si presenta lo Spinoza, la cui influenza cominciava allora a farsi sentire; e con lui, Malebranche, Fontenelle, Locke, Leibniz, Bossuet, Fénelon, Bayle; solo per citare i più grandi e senza parlare dell’ombra di Cartesio. Questi eroi dello spirito, ognuno secondo il proprio carattere e genio, erano occupati a riprendere, come se fossero nuovi, i problemi che sollecitano eternamente l’uomo: quello dell’esistenza e della natura di Dio, dell’essere e delle apparenze, del bene e del male, della libertà e della fatalità, dei diritti del sovrano o della formazione dello stato sociale. Tutti problemi vitali. In che cosa si deve credere? Come si deve agire? E affiorava sempre questa domanda, che si pensava già definitivamente regolata: ‘Quid est veritas?’. Apparentemente, si prolungava il Grande Secolo con la sua sovrana maestà... Si trattava di sapere se si doveva credere o no; se si doveva ubbidire alla tradizione o ribellarsi contro di essa.; se l’umanità avrebbe potuto continuare la sua via confidando nelle stesse guide, o se alcuni nuovi capi l’avrebbero fatta cambiare per condurla a nuove terre promesse. I nazionali e i religionari, come dice Pierre Bayle, disputavano tra loro le anime, e si confrontavano in una lotta che aveva per testimone l’Europa pensante. Gli assalitori, poco a poco, hanno 67
avuto la meglio. L’eresia già non s’isolava nè si nascondeva; acquistava discepoli, si faceva insolente e presuntuosa. «La negazione già non si mascherava; si esibiva. La ragione già non era sapienza equilibrata, ma critica audace. Le nozioni più comunemente accette, del consenso universale che dimostrava Dio, e quella dei miracoli, erano poste in dubbio. Si rinviava il divino a cieli sconosciuti e impenetrabili; l’uomo, solo l’uomo, rimaneva come misura di tutte le cose... Era necessario, si pensava, distruggere l’edificio antico che aveva riparato male la famiglia umana, e la prima fatica doveva essere la demolizione. [Era la demolizione della Città cristiana!] “La seconda, di preparare le fondamenta per la ricostruzione della città futura... una filosofia rinunciataria di sogni metafisici ..., una politica senza diritto divino, una religione senza mistero, una morale senza dogmi. Era necessario forzare la scienza a smettere di essere semplice gioco dello spirito per divenire certamente un potere capace di dominare la natura. Tramite la scienza si sarebbe conquistata una felicità senza equivoci. Riconquistando così il mondo, l’uomo lo avrebbe organizzato per il suo benessere, per la sua gloria e felicità future. In ciò si riconosce, senza difficoltà, lo spirito del secolo XVIII. «Abbiamo voluto precisamente dimostrare che i suoi caratteri essenziali si erano messi in vista molto prima di quanto si giudicano; che questo spirito si trovava interamente formato nell’epoca in cui Luigi XIV ancora risplendeva; che i suoi caratteri erano già espressi, circa il 1680, con quasi tutte le idee che sono apparse rivoluzionarie attorno al 1760 e fino al 1789. E’ avvenuta allora una crisi della coscienza europea, tra il Rinascimento, da cui procede direttamente, e la Rivoluzione Francese, che prepara. «Non ve n’è altra più importante nella storia delle idee. “A una civiltà fondata sull’idea del dovere - doveri verso Dio, doveri verso il Principe i nuovi filosofi cercarono di sovrapporre la civiltà fondata sull’idea del diritto; diritti della coscienza individuale, diritti della critica, diritti della ragione, diritti dell’uomo e del cittadino». Hazard considera dal punto di vista storico, il mutamento da imprimere nelle coscienze: dai doveri verso Dio, verso il Padre; dal Sacrificio di amore del Figlio per salvare gli uomini, alle libertà di coscienza di alcuni innovatori che avrebbero costituito i «centri di pensiero» della grande rivoluzione moderna. Ecco che questo terzo momento rivoluzionario sembra il più intricato e contradditorio di tutti, a causa dei nuovi diritti che, proclamati universali, 68
sono solo prodotti di visioni personali; comprensibili solo alla luce di moderne posizioni personaliste.
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Era suonata l’ora della «nuova coscienza collettiva» Infatti, si tratta delle libertà e diritti di alcuni d’imporre le proprie idee e culti e fare di questi una vera e propria “fede”; quella “più universale” cui devono sacrificare i popoli affinché divengano più progrediti! Sul comunismo come «nuova religione» della redenzione sociale, molto si è scritto. Qui basta dire che era la ribellione della coscienza di alcuni che, in vista della coscienza di tutti, è divenuta rivoluzione mondiale. Ma per creare la «nuova coscienza collettiva» si doveva abolire per decreto o con una «nuova pastorale» quella individuale. Lenin divenne il capostipite dell’uomo nuovo sovietico - della santità della nuova verità (Pravda) del nuovo «bene collettivo». Ciò esigeva far piazza pulita delle vecchie verità e della Tradizione. Lo storico inglese Paul Johnson nella sua «Storia del mondo moderno», 1917-1980 (Mondadori, 1989), nel capitolo sulle prime utopie dispotiche (p. 63), descrive Lenin: “Per capire l’impegno profuso da Lenin nella politica dobbiamo supporre che egli fosse animato da un ardente umanitarismo, simile all’amore dei santi nei confronti di Dio; in lui infatti non ritroviamo nessuno dei difetti tipici dei politici ambiziosi: non era vanitoso, né specialmente interessato nel comando. Il suo umanitarismo era astratto, rivolto all’umanità in generale, ma privo di affetto, o anche solo di interesse per i singoli individui. Per lui i compagni di partito non erano persone, ma ricettacoli per le sue idee, ed erano giudicati solo per questo aspetto. […] Le uniche persone che frequentò per tutta la vita appartenevano alla sua stessa classe, l’intellighenzia borghese, da lui considerata una casta privilegiata, dotata di qualità speciali, e destinata a svolgere un ruolo [sacerdotale ...] decisivo nella storia. Lenin sosteneva fermamente che il marxismo rispecchiava la verità oggettiva. Scrisse che “dalla filosofia del marxismo, fusa in un unico blocco di acciaio, è impossibile togliere una sola premessa, una sola parte essenziale, senza allontanarsi dalla verità oggettiva” [dal dogma…]. Tale certezza, insieme alla convinzione di saper interpretare i testi marxisti, avvicinavano Lenin alle posizioni di Calvino, che nelle sue Ordinanze reinterpretò le Sacre Scritture e lo rendevano molto più intollerante nei confronti di compagni ‘eretici’ piuttosto che verso gli ‘infedeli’… Al ‘nuovo ordine’ di Lenin occorreva una organizzazione più specializzata e più crudele al tempo stesso: una polizia politica… Convinto che la violenza fosse un elemento essenziale del processo rivoluzionario egli non arretrò mai di fronte alla necessità di farne uso: 70
aveva raccolto l’eredità di due scuole di pensiero, entrambe favorevoli al terrore. Dalla rivoluzione francese poteva citare Robespierre: - Durante una rivoluzione nel governo popolare devono coesistere virtù e terrore, senza la virtù il terrore è fatale, senza il terrore la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia: rapida, severa, inflessibile; è una emanazione della virtù -. Le sue attività erano proporzionali a questo numero: sotto gli ultimi zar c’erano state in media 17 esecuzioni all’anno (per tutti i crimini), mentre nel 1918-19 le esecuzioni della Ceka ammontavano a una media di 1.000 al mese, per soli crimini politici. Questa cifra è sicuramente approssimata per difetto, a causa della profonda iniquità del sistema creato da Lenin. […] Esso provvedeva che la Ceka controllasse i tribunali speciali (che si riunivano in segreto), e eseguisse le pene inflitte. Quindi il destino di chi cadeva nelle sue mani dipendeva unicamente dai «dettami della coscienza rivoluzionaria» … Ma la caratteristica più sconvolgente, e più importante dal punto di vista storico, del terrore leninista non era rappresentata tanto dal numero delle vittime, quanto dai principi in base ai quali esse venivano scelte. A Lenin bastarono pochi mesi di governo per dimenticare il concetto della colpa individuale, e con essa l’intera etica giudaico - cristiana della responsabilità individuale. Un decreto di Lenin del gennaio 1918 invitava gli organi dello stato a «liberare la Russia da ogni genere di «insetti nocivi». Questo non era un atto legale ma un invito allo sterminio. […] Solzenicyn stilò un elenco, peraltro incompleto, dei gruppi che si trovarono cosi condannati a essere distrutti, in quanto «insetti». Essi comprendevano ex membri degli zemstvo, aderenti a movimenti filantropici, proprietari di case, insegnanti di liceo, persone che facevano parte dei consigli cittadini o di cori, preti, monaci e suore, pacifisti alla Tolstoj, funzionari dei sindacati’: in breve tempo diventarono tutti «ex persone». «Abolita l’idea della colpa personale, Lenin cominciò a “sterminare” (lui stesso usò spesso questo verbo) intere classi, basandosi semplicemente sul lavoro che svolgevano, o sulla famiglia a cui appartenevano, innescando una spirale di morte che non si fermava di fronte a nulla… Era nata la nuova forma di sterminio: il genocidio»… per il «bene» della società! Al capostipite, «pontefice della nuova fede comunista», che operò la diffusione degli errori mentali della «libertà di coscienza», seguirono molti altri «profeti» e come si vedrà, non solo nel santuario del «socialismo reale», ma pure nelle varie sfere delle nuove “teologie! Si dirà: che hanno in comune i «profeti» della rivoluzione conciliare con quelle del socialismo reale, do manifesta 71
virulenza intellettuale, come quella dei khmer rossi cambogiani che, in nome di un’ideologia mostruosa hanno sterminato orribilmente un quarto della popolazione del paese, per classi sociali?
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I nuovi rivoluzionari della rivoluzione conciliare Tal caso è legato alla ribellione precedente della «libertà di coscienza»? Sì, era la conseguenza di quella e riservata a sterminatori per imporre le loro ideologie demenziali come verità obiettiva! Quanto ai «profeti conciliari», essi non solo approvarono la sua radice: la «libertà di coscienza», ma giustificarono l’ideale comunista! Sono essi gli “intellettuali demistificati” dell’aggiornamento conciliare? Dice il filosofo Augusto Del Noce: “All’intellettuale era assegnata da Gramsci una funzione simile a quella che Marx assegnava al proletariato: quella di chi, liberando se stesso, libera il mondo. La decomposizione lo trasforma in funzionario dell’industria culturale, dipendente da una classe di potere che ha bisogno così dell'intellettuale dissacratore (quale «custode del nichilismo») come esperto aziendale” (18). Così il chierico, resosi operatore sociale, fruisce di ampi spazi virtuali nella TV, onde amplificare le sue idee per insinuare concetti sovversivi. Che relazione può avere tutto questo con il pensiero del “papa buono”, il suo socio Paolo VI e successori? Lasciamo la risposta a noti scrittori cattolici. Dice G. K. Chesterton: «Oggi il criminale più pericoloso è il filosofo moderno, emancipatosi da ogni legge». A ciò lo scrittore francese Jean Madiran aggiunge che la nuova coscienza propugnata dalla rivoluzione conciliare del Vaticano II è una coscienza emancipata “dalla legge di Dio che è il Vangelo, e emancipata dalla legge naturale che è il Decalogo”; e continua: “La filosofia moderna non è, in essenza, una filosofia, è un atteggiamento religioso a livello della religione naturale, contro religione naturale, l‘opposto dei primi quattro comandamenti del Decalogo […] La formidabile eresia del XX secolo consiste nell’affermare cose che non sono vere in nessun ordine reale, in nessun dominio dell’essere, che sembrano vere solo nell’ambito della filosofia moderna e specialmente marxista, e che a fuor da codeste farneticazioni ideologiche non hanno né una realtà, né un senso” («L’eresia del XX secolo», Volpe, Roma, 1972). Si tratta della profonda eresia demolitrice, intrinseca al Vaticano II.
18 - A. Del Noce, «Il suicidio della rivoluzione», Rusconi, Milano, 1978. 73
L'emblematico Discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II "L'umanesimo laico profano alla fine è apparso nella sua terribile statura ed ha, in certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s'è incontrata con la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. Una simpatia immensa lo ha pervaso. La scoperta dei bisogni umani ha assorbito l'attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito in questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell'uomo. [...] Riguardo i «valori» del mondo rinunciatario alla trascendenza: sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette." Quali idee e iniziative precedono questo inconcepibile discorso? Per i chierici modernisti, come Roncalli, poi Giovanni XXIII, e Montini, poi Paolo VI, la rinuncia alla trascendenza nel governo del mondo è da benedire in nome della libertà! Il fatto è che per quest’avvicinamento risultava perfino un incontro e accordo Montini-Stalin negli anni quaranta, all’insaputa di Pio XII. Il quindicinale romano «Sì sì no no» (sett. 15, 1984), riferendosi a una lettera di Mons. Roche, autore del libro ‘Pie XII devant l’Histoire’ alla rivista Itineraires, in cui si menziona la parte del Cardinale Tisserant nel patto Roma-Mosca di non far parola del comunismo nel Vaticano II, tratta del caso che vedremo più avanti. Ora si pone solo la questione: voleva Montini onorare e benedire gli sforzi di quel sanguinario tiranno per cancellare la libertà delle coscienze a favore della promozione dell’unità religiosa secondo la «libertà» di coscienze contaminanti, come la loro? Furono contatti politici tra un altolocato in Vaticano (Montini) e i capi sovietici, arrivando fino a Stalin. Tutto all’insaputa del Papa, come rivelerà l’arcivescovo luterano di Stoccolma anni dopo. La questione misteriosa rimane però: su cosa dovevano trattare? Dagli indizi sorti dai fatti successivi due questioni devono essere state prospettate allora: la chiamata di un “concilio” per operare l’unione delle chiese cristiane; la collaborazione di queste all’edificazione di un nuovo ordine popolare-democratico su scala universale. Insomma, l’accordo tra due utopie di tenore gnostico sul bene dei popoli! Ora, si è visto sempre
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più in seguito che la realtà di un tale piano di “compromesso storico” di ambito mondiale andava ben oltre gli indizi. L’idea non poteva non piacere a Stalin e così tale unione fu in seguito applicata in Ucraina nel pseudo Concilio di Leopoli del 1946. Per bocca di sacerdoti, convocati dal potere politico, fu dichiarato il ritorno dei cattolici ucraini in seno alla Chiesa ortodossa russa, e quindi la loro cessata unione con Roma. I vescovi cattolici non allineati a quel diktat, come Slipyj, furono arrestati e s’instaurò una persecuzione religiosa da parte del Patriarcato di Mosca. La questione si è notevolmente complicata quando i perseguitati religiosi ortodossi divennero a loro volta persecutori, comportandosi, anche davanti ai fedeli ortodossi, come se ogni obiezione a ciò fosse un'invenzione dei nemici dell'Unione Sovietica, politica seguita da patriarchi e metropoliti indicati dai sovietici. La gerarchia ortodossa asservita al regime aveva, per primo dovere, esaltare le conquiste sovietiche e negare ogni persecuzione religiosa. Dopo questi fatti, ormai pubblici e denunziati pure dal clero ortodosso (vedi i samizdat religiosi, le dichiarazioni di Padre Jakunin, di Padre Dudko, di Lev Regelson, nel libro "La tragedia della Chiesa russa"), è incredibile che a dare credito e onore a quella gerarchia sovietizzata sia stata proprio una «gerarchia romana», che dovrebbe rappresentare le sue principali vittime: gli ucraini e i suoi capi religiosi come il vescovo Slipyj. Ma, al contrario, con l'accordo tra il Vaticano e Mosca, per consentire la presenza d’osservatori ortodossi russi nel Vaticano II, assicurando al Cremlino che il comunismo non sarebbe stato oggetto né di discussioni né di condanne, si capisce un piano venuto da lontano e che continuò nella politica di apertura al socialismo. Tale compromesso si è confermato nella "ostpolitik" vaticana! Inoltre, l’azione ecumenista conciliare impone ora, dopo la caduta dei muri sovietici, al Clero rimasto fedele a Roma di non riprendere le chiese a loro sottratte da quel diktat staliniano! E le chiese riprese andrebbero restituite agli ortodossi o, meglio ancora, usate per entrambi i culti! Un giorno quell’iniziativa montiniana dovrà essere approfondita. Alla visita di Montini seguì l’iniziativa staliniana di “unire” con un decreto “ecumenista” la Chiesa degli “Uniati”, fedeli a Roma, con quella degli “Ortodossi” fedeli ai Soviet. Così iniziò la persecuzione dei preti fedeli, come il futuro Cardinale Slipyj, mandato in Siberia. Vi è un’incredibile concordanza di fatti strani in questa politica di aperture ai nemici della Chiesa. Non è forse anche emblematico quanto si eviti, nella chiesa libera del "mondo libero", di dare notizia sulla 75
dimensione delle persecuzioni alla Chiesa cattolica nel mondo marxista? Perché? Ebbene, questa politica aperturistica, iniziata con mons. Montini, è stata accelerata da Giovanni XXIII e da Montini divenuto Paolo VI.
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Primordi della politica «costituzionalizzata» dal Vaticano II Tre giorni prima dell’indizione del Vaticano II Roncalli confida ad Andreotti: “molte delle anticipazioni di allora [del modernismo] erano poi divenute feconde realtà. Il Concilio le avrebbe costituzionalizzati (ib. p.104).
Per capire il percorso di questo processo scellerato, del piano di pace umanitarista che fa a meno di Cristo, torniamo ora a quel tradimento intrapreso già durante il pontificato di Pio XII. A tale scopo si veda l’articolo su Sì sì no no, (n° 11, anno X, del 15/9/1984, Daniele). Sulla gravità e le responsabilità dell'accordo Roma-Mosca hanno scritto in molti. Anche Antonio Socci «Quel Patto scellerato fra Kgb e “Papa Buono” (su Libero, 11.X.2006). A più riprese la rivista francese Itinéraires: n.70, febbraio 1963, n.72, aprile 1963, n. 84, giugno ‘64. Così la rivista cattolica inglese Approaches, supplemento n.79. Poi la medesima rivista, Itinéraires, n. 280, febbraio 1984, sotto il titolo L'accord Rome-Moscou, ha riassunto la storia del vergognoso accordo. Nell'occasione, il direttore Jean Madiran, scrisse del cardinale Tisserant: “Ho sempre avuto l'impressione che fosse un fourbe”. Intervenne allora in sua difesa Mons. Roche, che ne fu intimo collaboratore per 25 anni, con la lettera pubblicata nel n. 285 di Itinéraires, sotto il titolo L'accord Rome-Moscou - Confermation de Mgr Roche. Ma questo accordo spurio aveva il suo precedente. Di questa lettera riportiamo, in una nostra traduzione, quanto interessa per l’argomento in questione: […] “Voi commentate non senza ragione questo accordo [Roma-Mosca] che data, voi dite, dal 1962. In questo modo, mostrate di ignorare un accordo precedente che si colloca durante l’ultima guerra mondiale, nel 1942 per essere più precisi, e del quale furono protagonisti Mons. Montini e lo stesso Stalin. Quest'accordo del 1942 mi sembra di considerevole importanza. Ma voglio, per ora, seguirvi unicamente nel vostro commento sull'accordo del 1962. Tutti sanno […] che questo accordo fu negoziato tra il Cremlino e il Vaticano nel più alto vertice. Mons. Nikodim e il card. Tisserant non furono che i portavoce, l'uno del capo del Cremlino, l'altro del Sommo Pontefice allora regnante. Se Mons. Nikodim desiderò incontrare come interlocutore idoneo il card. Tisserant fu per delle ragioni evidenti che tutti conoscono. Anzitutto il card. Tisserant parlava russo. Inoltre egli fu, dal 1936 al 1959, segretario della Sacra Congregazione per la Chiesa orientale. Infine i due si conoscevano […]. Io vi posso assicurare, Direttore, che la decisione d'invitare gli osservatori russi ortodossi al Concilio Vaticano II è stata presa personalmente da Giovanni XXIII, con 77
l'incoraggiamento aperto del card. Montini, che fu il consigliere del Patriarca di Venezia al tempo in cui egli era arcivescovo di Milano. Di più: era il cardinale Montini che dirigeva segretamente la politica della Segreteria di Stato durante la prima sessione del Concilio, dal posto clandestino che il Papa gli aveva procurato nella famosa Torre San Giovanni, nella cinta stessa della Città del Vaticano. Il card. Tisserant ha ricevuto ordini formali, tanto per negoziare l'accordo quanto per sorvegliarne durante il Concilio l'esatta esecuzione. Perciò, ogni volta che un vescovo voleva affrontare la questione del comunismo, il cardinale interveniva, dal tavolo del consiglio di presidenza, per ricordare [imporre] la consegna del silenzio voluta dal Papa”. Qui interessa rilevare quanto Mons. Roche conferma circa le responsabilità di Mons. Montini, fautore di un accordo con Mosca fin dal lontano 1942. Mons. Roche si rivela buon conoscitore dei fatti. Lo dimostra anche la sua opera Pie XII devant l'Histoire (ed. du Jour). Egli sa che Montini, come Sostituto alla Segreteria di Stato di Pio XII, manovrò a sinistra, in armonia con le simpatie nutrite fin dalla giovinezza (Cf. Fappani-Molinari: Montini giovane, ed. Marietti), ma in netta antitesi con il pensiero e le direttive di Pio XII, il Papa che avrebbe dovuto rappresentare, ma che, evidentemente, giudicava privo della sua illuminata visione della politica. Su tale linea Montini stabilì, all'insaputa di Pio XII, contatti con i sovietici durante l'ultima guerra, come Mons. Roche ricorda; contatti di cui Pio XII fu informato dall'arcivescovo protestante di Uppsala, che, nella sua qualità, riceveva informazioni corredate di prove dal servizio segreto svedese, aggiornatissimo sulle manovre nell'Est europeo. "Il «tradimento» di Montini è storia vera e autentica! (19) Si era nel 1954, quando Pio XII era già provato dalla malattia e indebolito dalla vecchiaia.” Il colonnello Arnould, del Deuxième Bureau francese (il Brigadiere Generale dell’Intelligence Service) fu il James Bond di Pio XII. “Ufficiale di carriera, quindi, ma soprattutto di rigidi costumi e cattolico praticante... Pio XII lo chiamò a Roma e gli offerse di diventare il Suo agente personale, dipendente solo da Lui, perché - gli disse - "Un diplomatico è costretto a osservare alcune regole e ad essere molto prudente; un agente, no!". Il Colonnello accettò, prestò giuramento al Pontefice e iniziò la sua nuova missione. Per preparare il suo giro nell'Est, entrò in relazione col vescovo luterano di Uppsala, Primate di Svezia, 19 - Luigi Villa, «Paolo VI beato?», ed. Civiltà, Brescia, 1998, p. 204.
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che, avendo molta stima di Pio XII, non esitava a rendergli preziosi servizi, come l'aiuto ai membri del Clero, detenuti, e come l'introduzione clandestina nella Russia di Bibbie, ecc. “Nel corso di uno di questi suoi incontri (verso l’estate 1954), l'arcivescovo di Uppsala, improvvisamente, disse al colonnello: “Le autorità svedesi sanno benissimo che il Vaticano ha relazioni con i sovietici”!... e gli consegnò una busta sigillata, indirizzata a Pio XII, pregandolo di rimetterla nelle sue mani, senza farla conoscere a nessun altro in Vaticano. Gli disse: “Questa busta contiene le prove delle relazioni che il Vaticano ha con i Sovietici". Giunto a Roma, il Colonnello consegnò la busta a Pio XII, che la lesse in sua presenza, sbiancando in volto. In breve: l'ultimo testo ufficiale, firmato dal pro-Segretario di Stato Montini, era datato 23 settembre '54. Il 10 novembre Pio XII allontanava dalla Segreteria di Stato Montini”. Pio XII nell’autunno ‘54 aveva pure saputo che Montini gli aveva nascosto i dispacci relativi allo scisma dei Vescovi cinesi, caso che si andava aggravando. Inoltre, Pio XII, nell'ottobre del «54, venne a conoscenza del rapporto segreto di quell' arcivescovo di Riga, incarcerato dai sovietici, il quale affermava che “c'erano stati in suo nome [di Pio XII] contatti coi persecutori da parte di un'alta personalità della Segreteria di Stato” (Cf. Courrier de Rome, giugno 1975 n. 145). Per il tradimento di Montini, scrive Mons. Roche, “l'amarezza [di Pio XII] fu così viva che la sua salute ne risentì ed egli si rassegnò a governare da solo gli affari esteri vaticani.» Anche il bollettino della Contrereforme Catholique (n° 97, p. 15), parla della questione: “L’inchiesta fece scoprire nella cerchia di Mons. Montini un traditore, il gesuita Alighiero Tondi, il quale nel corso di un drammatico confronto col card. N., riconobbe di aver dato ai sovietici i nomi dei preti inviati clandestinamente in URSS e che [a seguito della delazione] erano stati tutti arrestati ed uccisi. È noto che il Tondi sposato [prima civilmente e poi] religiosamente [con l'attivista comunista Zandi, dopo varie vicissitudini e la morte della moglie] ritroverà "lavoro" a Roma nel 1965, col favore di Montini, ormai Paolo VI”. Può l'accordo Roma-Mosca definirsi solo errore diplomatico o politico? Certamente no. Basta riflettere sul prezzo religioso dell'accordo e su ciò che Roma ha ottenuto - l'insignificante presenza di alcuni osservatori ortodossi, sorvegliati dal KGB, concedendo in cambio: il silenzio della Chiesa su “quella nefanda dottrina del così detto comunismo, contraria sommamente allo stesso diritto naturale, la quale, una volta ammessa, porterebbe al radicale sovvertimento dei diritti, delle cose, delle 79
proprietà di tutti, e della stessa società umana”. Pio IX (Qui pluribus; Syllabus); su“la peste distruttrice, la quale intaccando il midollo della società umana, la condurrebbe alla rovina” (Leone XIII, Quod Apostolici muneris). Su quel “pericolo” che minaccia di precipitare “popoli interi... in una barbarie peggiore di quella in cui ancora giaceva la maggior parte dei mondo all'apparire del Redentore”; su quel “satanico flagello” nel quale “non vi è posto per l'idea di Dio, non esiste differenza fra spirito e materia, tra anima e corpo; non si dà sopravvivenza dell'anima dopo la morte” e che “spoglia l'uomo della sua libertà, principio spirituale della sua condotta morale, toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l'assalto degli stimoli ciechi” (Pio XI, Divini Redemptoris); su l’“iniquità... che mira a strappare la fede a quegli stessi ai quali promette il benessere materiale” (Pio XII, Enc. Menti nostrae 1950). L'impegno preso e mantenuto da quei gerarchi fu la rinunzia alla missione della Chiesa, un tradimento all'umanità, a Dio, alla Chiesa stessa; questa pagina nera della storia della Chiesa resterà, come scrive Jean Madiran (Présent, Parigi), “la vergogna della S. Sede nel secolo XX”. I successori di Benedetto XV, di Pio XI e di Pio XII, avrebbero potuto sottoscrivere tranquillamente le affermazioni dei loro predecessori. Oggi, invece, esse sono totalmente capovolte: col Vaticano II, la Chiesa, che non poteva tacere e non aveva taciuto fino ad allora, fu fatta tacere; gli stessi più accaniti nemici rendono testimonianza che Roma ha cessato di tutelare il santuario della religione cristiana e di richiamare l'attenzione sul pericolo comunista. Togliatti nel suo memoriale scriveva: “Nel mondo cattolico organizzato e nelle masse cattoliche vi è stato uno spostamento evidente a sinistra al tempo di papa Giovanni” (‘Il Tempo’, 13 giugno 1984). La questione del comunismo era, però, solo un grave errore tra tanti. Libertà di coscienza? Sì, ma riservata ai novatori per inoculare nuove teologie e “nuovi umanesimi” nella “vecchia” religione. Ciò in combutta con umanisti rinunciatari alla trascendenza che potevano riconoscere il nuovo umanesimo di Paolo VI cultore dell’uomo, in forza del quale i "valori" del mondo rinunciatario alla trascendenza: - tutti, "sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette."
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“Un errore è peggio di un delitto, è matrice di delitti”. E l’errore degli errori per un consacrato è voler anteporre presunti valori umani a princìpi trascendenti. Perché a questo punto si potrebbe domandare a quale scopo serve la sua consacrazione. (cf. Lc 16, 13).
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La politica per uno strisciante «compromesso storico» religioso! Padre Tucci, oggi cardinale, era amico di Giovanni XXIII, che lo scelse come perito durante il Vaticano II, ora racconta di una udienza concessagli dal pontefice alla vigilia del famoso congresso della Democrazia cristiana nel gennaio del 1962 a Napoli, nel corso del quale Aldo Moro convinse l'intero gruppo dirigente del partito sulla necessità di un'alleanza con il Partito Comunista Italiano (Zenit, 22.12.09). Durante l'incontro – ha detto il porporato – Giovanni XXIII mi ripetè quanto mi aveva già detto durante il primo dei nostri incontri: che non voleva occuparsi delle cose dell'Italia e avrebbe voluto che la Segreteria di Stato fosse molto cauta nelle questioni italiane. Mi disse che non s’intendeva di politica e, in ogni caso, pensava che il Papa, appartenendo alla Chiesa universale, non dovesse essere coinvolto in questioni particolari riguardanti l'Italia. «A proposito delle divisioni interne alla Democrazia cristiana, aggiunse credo riferendosi alla sinistra - che andavano comunque rispettati anche quelli che non erano, per così dire, sulle posizioni più accettabili, perché si trattava comunque di persone che difendevano le loro idee in buona fede”. «Io non me ne intendo – disse Giovanni XXIII – ma francamente non capisco perché non si possa accettare la collaborazione di altri che hanno un'ideologia diversa per fare cose in sé buone, purché non vi siano cedimenti dottrinali». Capii così che Moro avrebbe avuto via libera – ha affermato Tucci –. Penso anzi che allo statista venne comunicata questa posizione del Papa perché, conoscendo la sua fede, non credo che avrebbe proceduto altrimenti su quella strada”. Quindi, il «papa buono» voleva il «compromesso storico» in Italia. Soltanto, ipocritamente, non voleva che fosse conosciuto il suo coinvolgimento nella politica. Ciò avrebbe segnato poi la vita di Moro. Chi guidava velatamente i compromessi ribelli? Nell’Apocalisse le orde ribelli sono guidate dallo stesso «vescovo» che aprì il pozzo dell’abisso, chiamato in ebraico «Abaddon» (distruzione), in greco «Apollyon» (distruttore), “forse allusione ad Apollo, l’arciere dalle terribile frecce” (20); forse le frecce per colpire i fedeli, come per l’eccidio del Papa cattolico nella visione del Segreto di Fatima? «Libertà di coscienza»? Sì, ma riservata a demolitori conciliari che spinsero verso insane ideologie, sovversive della fede nelle coscienze fino 20 - G. Bonsirven S.J., «L’Apocalisse di S. Giovanni», Studium, Roma, 1963, p.177.
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al «diritto alla libertà religiosa», come verità obiettiva; nuova «coscienza della chiesa», per il nuovo ordine della grande ammucchiata ecumenista! Per l’animazione della nuova democrazia universale! I consacrati dovrebbero servire il Signore nella fede, anche se spesso la loro attività impone lavori e preoccupazioni in diversi campi, possono dirsi fedeli soltanto se anche tali impegni hanno per priorità il bene della Fede. Ciò vale in speciale per i prelati e ancor più i per pontefici che, come vicari di Cristo, devono essere i vigilanti dei vigilanti nella fede. Uno dei grandi guai dei tempi moderni è stato che i papi, assillati da ogni tipo di problema e soprattutto da quello riguardante la difesa della Chiesa, hanno dovuto impegnarsi su un fronte sociale e politico assai intricato, al punto d’essere chiaro che senza l’aiuto divino erano a rischio la vita della Chiesa e del Papa: entità sovversive erano pronte a sostituire i papi cattolici per varare la «mutazione della coscienza» e pertanto dell’identità della Chiesa Cattolica. La Chiesa non può essere demolita, ma l’identità e l’autorità cattolica di tali chierici che accolsero lo spirito della rivoluzione giustificandolo, sì. Non si tratta dunque di autodemolizione della Chiesa, come insinuò Paolo VI, ma di personali apostasie; demolizione di tantissime coscienze clericali. Tra «religiosità umanitarista» e religione cristiana non vi è alcun accordo, eppure, questi ecumenisti vantano la «bontà» della riconciliazione totale, idea che comporta, in extremis, mettere insieme bene e male! Ecco il profetismo conciliarista per servire il nuovo ordine mondiale che pervase la coscienza di sciagurati chierici modernisti, fautori del Vaticano II, ordito per aggiornare la coscienza della Chiesa, impressale da Gesù Cristo, a una «nuova coscienza» secondo i tempi. Tale «religiosità» per modernizzare la coscienza della Chiesa ha per noti ispiratori, insieme a Teilhard de Chardin, Maurice Blondel. Questo modernista, essenzialmente volontarista, professa il primato dell'azione sulla ragione e la sua filosofia spiegare la redenzione e la provvidenza con lo spiritualismo moderno della interiorità della coscienza, col soggettivismo e non certo in vista della natura oggettiva. Per questi filosofi dell'azione la coscienza si esplica nella volontà, pratica e creativa, anche nella sfera morale e religiosa. Dalla volontà umana proverrebbe anche la trascendenza che consente la comprensione della natura dell'essere in se stessi; la Tradizione interna alla coscienza contemporanea che permette una «nuova pentecoste» per decidere sulla «verità attuale».
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3 - L'ENIGMA DEL NUNZIO RONCALLI FILOMASSONICO Che i modernisti simpatizzino anche con i massoni, atei e comunisti, con essi condividendo idee umanitariste, è un fatto ricorrente nel loro passato e presente politico; essi osteggiano solo la tradizione e perciò miravano alla fine del «Syllabus» di Papa Pio IX attraverso un concilio pastorale. Ecco cosa è stato il Vaticano II; velata rivoluzione religiosa nata da utopie basate sulla teoria dell’evoluzione riguardanti l’umana coscienza che, una volta matura (vedi il «cristiano adulto» di Karl Rahner), si svincolerebbe dalle autorità gerarchiche legate alla Rivelazione. Così il mondo moderno passerebbe finalmente dal principio di trascendenza a quello di immanenza, professando la religione antropocentrica, in prospettiva di un umanitarismo globale; ideale che affratella massoni, socialisti, liberali e i democristiani, apologisti del valore insuperabile del «pastorale» Vaticano II (21). Eppure, proprio questa mentalità relativista, condannata dal magistero cattolico, dominava la mente degli infiltrati nella Chiesa per aggiornare la fede e le autorità cattoliche al progresso del mondo moderno. Bastava rimandare il senso del “relativismo” a questioni diverse, come fa oggi Benedetto XVI, per perseverare nell’escluderlo da quel che interessa, per esempio dall’osceno relativismo religioso ecumenista. È la stessa linea di Roncalli, di un profetismo evocante i segni dei tempi, non riferiti alla spiritualità cristiana, ma alla chimera di un nuovo ordine ecumenista. Tale piano, modernista e massonico, si doveva realizzare operando la mutazione della Chiesa dal suo interno, attraverso una nuova classe clericale con appoggi gerarchici sufficienti per arrivare a un «nuovo papato»; un nuovo potere che avrebbe operato per aggiornare la tradizione ai bisogni dei tempi servendosi del potere delle chiavi, cioè in nome di Dio stesso, e perciò contando sull’obbedienza passiva di un mondo cattolico pronto a giustificare ogni idea e gesto di «papi» finalmente «buoni». Angelo Roncalli, chierico bergamasco con ampie «aperture mentali», a Roma fu sedotto dal programma modernista di Marc Sangnier (il fondatore del Sillon che, con l’occhio fisso a una chimera, preparava il socialismo, e fu condannato da san Pio X) e così consolidò le sue visioni 21 - P. Cornelio Fabro, «La svolta antropologica di Karl Rahner», Rusconi, Milano, 1974
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moderniste. Secondo lui confessò alla vedova del Sangnier nel 1950 a Parigi.
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L'apparato modernista interno alla Chiesa in Italia Le affinità moderniste si estendevano in tutta Europa e Roncalli presto lo confermò, entrando lui stesso in contatto con i pezzi grossi di tale processo, come il cardinale belga Mercier, i cardinali Ferrari di Milano e Maffi di Pisa (il Mercier italiano), oltre a Radini Tedeschi di Bergamo, tutti agenti di quella «svolta epocale» di cui la Chiesa avrebbe avuto «bisogno per adeguarsi ai tempi». E, come si sa, Roncalli dal 1919 aveva già nel suo «curriculum clericale», un paio di udienze private con Benedetto XV e la nomina da parte del cardinale olandese von Rossum, Prefetto della Propaganda Fide, alla presidenza del Consiglio centrale di quella Congregazione per riorganizzare le opere missionarie nelle diocesi italiane, e nominato dal Papa monsignore. Il fatto che queste rapide promozioni favorissero un professore sospettato di modernismo poteva solo confermare il gran ritorno, dopo la morte di San Pio X, del giro di influenza degli uomini di Rampolla (loggia P1?), Della Chiesa e Gasparri, che aprirono le porte vaticane a tanti sospetti di deviazioni nel campo dottrinale o anche politico. È il caso di Montini la cui affinità e lunga amicizia con Roncalli risale al 1924. Morto Benedetto XV, fu eletto il 6 febbraio 1922, Achille Ratti, Papa Pio XI, che confermò come Segretario di Stato il rampolliano Gasparri, e proseguì la linea diplomatica del predecessore, molto vicina alla sua. Pio XI, riguardo ai rapporti internazionali, fu il Papa dei Concordati, ma riguardo alla rampante tendenza interreligiosa, ne fu strenuo oppositore. In vista della deviazione pancristiana promossa da dom Lambert Beauduin OSB, e degli accordi ambigui con gli Anglicani favoriti dal Cardinale Mercier, ha scritto la sua enciclica «Mortalium animos» condannando il piano ecumenista e il pancristianesimo che da allora ha compiuto passi da gigante. Se in quegli anni l’Americanismo (condannato dall’enciclica Testem Benevolentiae Nostrae di Leone XIII del 22 gennaio 1899) e il congresso per l'unione dei cristiani e erano condannati dal Papa, oggi in nome del papa s’indicono riunioni d’ogni fede democratica, anche non cristiana. Per riconoscere la continuità di quei piani ecumenisti, specialmente della apertura agli Anglicani, basta considerare i piani attuali di Benedetto XVI. Nel progetto presentato da dom Beauduin nel 1925 c’era lo schema del movimento ecumenista anglicano di Oxford per il XIX secolo, della «Corporate reunion» (derivata dalla società secreta «The Order of Corporate Reunion»), che era un prolungamento dei piani rosacrociani. 86
Tale progetto fu riprovato dal Papa Pio XI ma oggi è ripresentato agli Anglicani del TAC (Traditional Anglican Communion) da Benedetto XVI nella sua costituzione apostolica «Anglicanorum Coetibus». Si tratta del riciclaggio del progetto di dom Beauduin con Lord Halifax e benedetto dal cardinale Mercier per una «chiesa Anglicana unita ma non assorbita». Per Roncalli il piano ecumenista in questione, base del piano massonico, era quello buono. Non sorprende, quindi, che a lui il già citato Pier Carpi attribuisca l'iniziazione massonica e rosacrociana (v. nota 1). Il Santo Ufficio non ignorava il piano massonico per l’ecumenismo con gli Anglicani; poteva ignorare che Roncalli aveva una visione massonica? Ma i documenti che registravano le sue deviazioni e spergiuri esistevano, anche se poi sono spariti dall’Archivio Vaticano. Ad ogni modo, in Vaticano si sapeva abbastanza sui rapporti negativi riguardo alla dottrina di Dom Beauduin e sui movimenti degli anglicattolici e dell’Oxford (22), come poi di Roncalli, per questa ragione solo con una forte raccomandazione egli avrebbe potuto accedere alla carriera diplomatica. Oggi si vedono i risultati! Sulla relazione di Roncalli con le deviazioni ecumeniste del pancristianesimo, vi furono occasioni in cui svelò il contrasto con le direttive dottrinali della Chiesa e del Papa. L’importante Enciclica «Mortalium animos» del 1928 fu scritta proprio in vista delle deviazioni ecumenistiche, il «pancristianesimo» di dom Beauduin, l’uomo di fiducia del cardinale Mercier, che in seguito si è visto costretto a dare le dimissioni da priore del monastero di Amay. Mentre Pio XI accusava gli errori del metodo Beauduin, Roncalli lo applicava. In Bulgaria e in Turchia, lo strano nunzio operò proprio al contrario di quanto allora era insegnato nell’Enciclica «Quas primas», sulla regalità sociale di Gesù Cristo: la peste che infetta la società, la peste del nostro tempo, è il laicismo. Ma Roncalli era per il «principio basilare» della laicità dello stato: la Chiesa si guarderà bene dall'intaccare o discutere questa laicità . Il Vaticano, già dal tempo di san Pio X, si era dimostrato contrario a questa impresa che avrebbe creato un conflitto insanabile con gli arabi e innescato, per ragioni evidentemente religiose, una graduale ma inarrestabile esclusione dei cristiani dalla Terra Santa. Ma mentre difende il laicismo della nuova Turchia, Roncalli s’impegna ad aiutare i sionisti di passaggio per la Palestina che volevano far rinascere una nazione ebraica. 22 - http://www.rore-sanctifica.org/etudes/2008/Order_ofCorporate_Reunion-Persson
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L'operazione ecumenista di Roncalli in Bulgaria Quando Roncalli nel 1925 fu nominato arcivescovo di Areopoli con l’incarico di Visitatore Apostolico in Bulgaria, il suo caro amico don Lambert Beauduin, in vista di ciò, disse che la missione di Roncalli in Bulgaria poteva avere un esito [ecumenistico] molto positivo, opinione condivisa da Montini. Una era la preoccupazione di Roma, altra la visione e probabilmente l’interesse verso nuove amicizie di Roncalli. Quindi, siamo davanti a questioni di fede e di diritto divino, disprezzate da un nunzio per ragioni ecumenistiche. In quest’ottica in Turchia arrivò perfino a far cancellare il «Filioque», che in aperta polemica con gli ortodossi, era scritto a grandi lettere sull’ingresso della delegazione apostolica (Spinelli, Biblioteca Sanctorum, voce: Giovanni XXIII, Città Nuova, Roma, 1987).
In Turchia Roncalli aveva fatto la sua pubblica professione di fede nella fraternità universale dicendo nella cattedrale di Istanbul: «Noi siamo tutti fratelli senza distinzione di religione, di legge, di tradizioni e di classe» (23). Nella Pentecoste del 1944 disse in un’omelia: “I cattolici, in particolare, amano distinguersi dagli altri: fratelli ortodossi, protestanti, ebrei, mussulmani, non credenti e credenti di altre religioni... Devo dirvi che nella luce del Vangelo e del principio cattolico questa è una logica falsa. Gesù è venuto ad abbattere tali barriere; egli è morto per proclamare la fraternità universale” (24). 23 - P. Tanzella, «Papa Giovanni», edizioni Dehoniane, 1973, pagina 140.
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Nel 1983, fu pubblicato in Messico il libro intitolato: "Introdução à Franco-Maçonaria". Il suo autore, Jaime Ayala Ponce, Iniciado grado 33 del rito scozzese, membro attivo del Consiglio supremo e principale scritore massone messicano", dice nella presentazione del libro: «Nel 1935, Angelo Roncalli, arcivescovo di Mesembria, era delegato apostolico in Turchia. La vita non era facile per lui. Con la guerra, così come altri preti e religiosi, lui si veste da civile. Proprio in quest’epoca fu invitato a entrare in una società erede degli insegnamenti Rosa-Croce, alla quale Louis Claude Cagliostro diede tanta forza... Nella stessa opera, Jaime Ayala Ponce rivela che, «anni addietro il celebre massone Prof. A. Sierra Partida volle pubblicare nei giornali nazionali, una copia del verbale d’intronizzazione in una loggia parigina nella quale risultava che i profani Angelo Roncalli e Giovanni Montini furono ammessi in quel giorno [?] all’iniziazione negli augusti misteri della confraternita. Si capisce che la stampa rifiutò la pubblicazione della materia, per cui lo stesso professore fece fare copie che distribuì nei circoli massoni del paese.
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Sarebbe la fraternità dell’ONU, della «Nostra aetate» del Vaticano II e dei loro successori per il nuovo ordine mondiale? Allora non era la fraternità di Gesù, ma quella della massoneria!
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Angelo Roncalli inviato nunzio a Parigi Ecco un altro rebus della sua carriera. Come mai un nunzio di seconda scelta dimenticato in Turchia fu scelto personalmente da Pio XII per una mansione assai difficile in una delle prime sedi della diplomazia vaticana? Non certo per il lavoro svolto, che già dal tempo di Pio XI aveva suscitato molti dubbi sull’ortodossia di quel tipo dall’apparenza tanto pacioccona quanto furbesca. Un giorno forse si saprà. Per ora l’ipotesi più plausibile ci pare quella del libro “Via col vento in Vaticano”, pubblicato dalla Editrice Kaos (25). «L’invio di Roncalli a Parigi sarebbe stata la risposta di Pio XII a De Gaulle che, prima ancora dell’entrata degli alleati a Parigi (25 agosto 1944), il 30 giugno 1944, aveva chiesto un’udienza a Pio XII. Si trattava di ottenere dal Papa la rimozione di nunzio, prelati e sacerdoti che in Francia avevano accettato il governo collaborazionista di Vichy del maresciallo Pétain. Papa Pacelli non cedette alla pretesa del generale, né riconobbe subito il nuovo governo. Ma la questione andava affrontata con quella prudenza vaticana consistente nel temporeggiare il più possibile. Ecco il ruolo adatto, nel bene e nel male, per Roncalli che come personaggio di basso profilo, avrebbe pure ridimensionato le pretese del generale. C’è da ricordarsi che accanto a Pio XII c’era il suo amico Montini, che deve aver suggerito il suo nome. La versione a nostro avviso più plausibile di questa scelta, che non esclude né il ridimensionamento delle pretese del generale, né il suggerimento di Montini (26), o del caso, nel volume testé citato viene enunciata nei termini che seguono: All’epoca, tutti erano a conoscenza che monsignor Roncalli, tra quelli che veramente contavano, era privo d’ogni possibilità di fare gran carriera; per puro caso lo avevano designato delegato apostolico ai quarantamila cattolici della piccola Bulgaria. Presso la sezione per gli affari con gli Stati della segreteria di Stato, il suo operato era ritenuto pressappoco una frana e lui veniva tenuto a bada. Spesso faceva trovare Roma davanti a fatti compiuti, che rasentavano il pressappochismo in contrasto con le severe procedure dei rapporti diplomatici. Più volte gli venne ricordato che come delegato apostolico, tanto in Bulgaria quanto in Turchia, non era accreditato presso il governo a pieno titolo, ma era solo un rappresentante pontificio presso i vescovi e le chiese cattoliche locali. Invece, spesso di sua iniziativa, monsignor Roncalli coinvolgeva la Santa 25 - “Via col vento in Vaticano”, I Millenari, Editrice Kaos, Milano, 1999. 26
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Sede in situazioni che la segreteria di Stato riteneva nient'affatto condivisibili. In quel tempo, ad esempio, era impensabile che il rappresentante del Papa prendesse dimestichezza con i capi delle chiese ortodosse al di fuori dello stretto protocollo, per evitare facili strumentalizzazioni e fraintendimenti. In segreteria di Stato stavano aspettando l’occasione propizia per ritirarlo dall’incarico diplomatico, anticipandogli il non meritato riposo pensionistico, possibilmente spedendolo in quel di Sotto il Monte. Sennonché, a Parigi, Charles De Gaulle in quegli anni era ai ferri corti con il nunzio apostolico monsignor Valerio Valeri sul fatto dei trenta vescovi francesi che - affermava il generale - avrebbero collaborato col governo Pétain e che per questo lui voleva far dimettere. Come ovvio il Vaticano si guardò bene di aderire a tale insano proposito, e istruiva il nunzio a opporglisi decisamente. I rapporti con la Santa Sede erano ai limiti di rottura. Al punto che De Gaulle aveva chiesto e ottenuto l’allontanamento di monsignor Valeri al quale, richiamato a Roma, il Papa anticipò la porpora cardinalizia. «II Vaticano non aveva gradito il comportamento di De Gaulle, e per ripicca tardava la difficile designazione del nuovo nunzio. La schizzinosità del presidente francese faceva di tale designazione un vero rompicapo. In Segreteria si chiedevano: quale rappresentante pontificio gli sarebbe potuto andare a genio? In che modo venirne a capo? «Sulla piazza all’epoca non se ne trovava uno adatto. Per De Gaulle il lungo ritardo nella provvisione era un'amara ritorsione diplomatica che non riusciva a trangugiare. Un giorno il presidente francese riceve le credenziali dell'ambasciatore di Turchia e, dopo il protocollo ufficiale in colloquio privato, il discorso scivola sulle difficoltà diplomatiche che un capo di Stato incontra, quando sullo stesso territorio con gli stessi cittadini subentrano interessi di poteri spettanti a due diverse potenze, come ad esempio la Santa Sede. […] A De Gaulle gli si rizzano le orecchie e chiede: «Allora come vi regolate?». E il diplomatico turco: “Il mio governo si regola volta per volta secondo i personaggi che rappresentano la Santa Sede che, sia pure come delegazione e non nunziatura, riveste tuttavia l'importanza di una delle più influenti potenze internazionali. Ad esempio, questo Delegato Apostolico che ora abbiamo tra i migliori finora avuti, monsignor Giuseppe Roncalli, buono, umano, disponibile, furbacchione come tutti i preti”. De Gaulle se lo appunta. Si fa raccontare qualche altro aneddoto, come quello dei trecento bambini da Roncalli dichiarati battezzati per porli in salvo, e pone termine all’udienza. Due ore dopo, parte un cifrato da Parigi in Vaticano con 91
l’indicazione di gradimento del governo francese per il Delegato Apostolico di Turchia nel caso che il Vaticano lo nominasse nunzio a Parigi. L’imbecco del gradimento per ottenerne la designazione. Monsignor Domenico Tardini, della Sezione dei rapporti con gli Stati esteri, che di quel delegato, pasticcione e ciarliero, aveva una personale impressione del tutto negativa, rimase strabiliato di fronte alla proposta di Parigi. Visti i rapporti tesi con la Francia, monsignor Roncalli non sarebbe potuto essere all’altezza della delicata e complessa situazione del momento, dove i diplomatici più abili avevano fatto cilecca. Ancora un’altra stranezza da aggiungere alla lista proveniente dall’Eliseo. Si decise di tirare le cose per le lunghe, ritardando la risposta. Si era ai primi di dicembre del 1952, non mancava molto a Natale; De Gaulle doveva ricevere gli auguri del Corpo diplomatico, porti, secondo l’accordo di Vienna, prima dal nunzio apostolico (decano, non ancora designato!). In mancanza, sarebbe subentrato il vicedecano che - guarda caso - era l’ambasciatore russo, comunista di zecca, male accetto a De Gaulle, quale esponente di una presunta destra. All’epoca le forme erano essenziali. Lo smacco a De Gaule era noto a quel Corpo diplomatico. De Gaulle segnalò la cosa al Vaticano, perché si regolassero. Non c’era tempo da perdere. Tardini, pressato, fa un cifrato a monsignor Roncalli a Istanbul, pregandolo d’affrettarsi a venire a Roma per poi raggiungere la nunziatura apostolica di Parigi, quale nunzio in Francia. Roncalli, al quale giungevano insistenti voci di un suo richiamo dalla diplomazia, pensa subito a uno scherzo di cattivo gusto da parte di qualche burlone; monsignor Tardini questa volta dovette essere più esplicito, affrettandosi a dirgli che la cosa era più che seria e che urgeva trasferirsi ancor prima di Natale. Doveva affrettarsi! Si trasferì subito e a Roma Papa Pacelli gli raccomandò di stare attento a quello che avrebbe dovuto dire nel discorso augurale a principio dell'anno; anzi gli suggerì di farlo rivedere in segreteria di Stato, prima di leggerlo. Roncalli promise di fare del suo meglio, ma non ebbe tempo di coordinare le idee per buttar giù una bozza. «Una volta a Parigi, tra i primi impegni di Roncalli vi fu quello di rendere visita all'ambasciatore russo, il vicedecano, che lo tenne a cena. Tra una portata e l’altra, tra un bicchiere e l’altro, tra il lusco e il brusco, i rapporti divennero subito amichevoli e fraterni. Monsignor Roncalli prese la palla al balzo e a bruciapelo chiese all’amico russo: “Lei, signor ambasciatore, cosa avrebbe detto per gli auguri, se io non fossi venuto in tempo?”. Gioco fatto! L’ambasciatore vicedecano passò il ciclostilato nelle mani 92
del neodecano Roncalli; questi lo spuntò, lo reintegrò, e con l’enfasi del neofita lo declamò al cospetto di De Gaulle e di tutti gli ambasciatori del Corpo diplomatico francese, che rimasero meravigliati per i punti più salienti da lui toccati con fine sensibilità di provetto diplomatico. Solo quello russo rideva sotto i baffi. Le congratulazioni andavano anche al presidente De Gaulle, che così si salvava dagli avversari d’oltretevere. Soddisfatto di tanto, i trenta vescovi non furono defenestrati. E i rapporti divennero concilianti con la Francia gollista. Il nunzio Roncalli faceva da raccordo in ogni circostanza delicata tra Santa Sede, Francia e tutti gli altri Paesi di oltrecortina, i cui problemi politici si dipanavano con l’intervento del nunzio bonaccione sempre sorridente, stimato oltrecortina. «Roncalli in questa nuova veste trovò in Parigi il centro per sviluppare il suo giro di nuove cospicue amicizie, che possono ben riflettere le sue scelte. Il nuovo nunzio, da rinomato ghiottone, sapeva come allietarle con la buona tavola. Sembra uno scherzo ma la brillante soluzione del nunzio Roncalli per quei gravi problemi consistette nel contrattare il miglior cuoco di Parigi. In questo modo Roncalli si fece allora tanti amici noti, come Leon Blum, l’ebreo socialista che, operando l’unione a sinistra del Fronte Popolare, era giunto al potere nel 1936. Vediamo gli amici speciali. Edouard Herriot, presidente del Partito Radical-Socialista, divenuto presidente del Consiglio nel 1924 e 1932. Famoso anticlericale, del suo governo scrive Léon de Poncins (Christianisme et F.M.): “L’immissione della Massoneria nelle cose del Parlamento ed il suo dominio sulla maggioranza... si era affermata più forte che mai durante il ministero Herriot del 1924. Il suo governo [salutato pubblicamente dai massoni], decretò una serie di leggi socializzanti, prefigurazione delle leggi del Fronte popolare di Leon Blum, leggi elaborate in precedenza nelle logge massoniche («Forces Secrètes», pagine 63-64). «L’altro, Vincent Auriol, ateo e socialista, anch’egli massone, ministro delle Finanze nel governo del Fronte popolare e primo Presidente della 4ª Repubblica (1947-54). Costui più tardi volle servirsi di un vecchio privilegio del governo francese per imporre la berretta cardinalizia al Nunzio in Francia, Roncalli, allora eletto cardinale e perciò papabile. Un altro amico fu il diplomatico svizzero Carl Burckè, massone, professore di storia, specializzato in Voltaire e Goethe, commissario della Società delle Nazioni e presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa. Quando Roncalli fu eletto nel 1958 Burckhardt scrisse all’amico Max Richer una lettera che descriveva la vita di Roncalli a Parigi: “Girava 93
come un giovane funzionario d’ambasciata, lo si incontrava dappertutto ... [nel salotto di madame Abrami lo ha sentito a lungo]: è deista e razionalista… segue i filosofi francesi e arriva alla stessa posizione dei riformisti…è chiuso al soprannaturale… Cambierà molte cose; dopo di lui la Chiesa non sarà più la stessa”. «L’amico più intimo, però, fu il Barone Yves Marsaudon, nipote di monsignor Le Cam, collaboratore di Rampolla, nominato nel 1946 Ministro dell’Ordine di Malta a Parigi, poi dal 1926, fratello massone della Gran Loggia di Francia, e infine dal 1932 Maestro Venerabile 33°grado della Loggia della Republique. Quando egli, forse con problemi di coscienza per queste appartenenze segrete, si consigliò con Roncalli, si sentì dire di restare pure in Massoneria!» Questo programma fraterno imponeva il concetto: cercare in ogni cosa più ciò che unisce, che ciò che divide. Quindi, bisognava lasciar da parte i dogmi cattolici, la necessità di conversione, l’autorità del Vicario di Cristo, insomma Cristo stesso. Roncalli rifiutò sistematicamente aiuto a quanti volevano avvicinarsi alla Chiesa di Roma: lo fece sempre con i giovani ortodossi; un rifiuto della missione cattolica. Il conciliatorismo modernista era la tendenza politica contraria alle direttive della Chiesa, per la quale anche le questioni politiche hanno un aspetto dottrinale, come era il «Non expedit» di Pio IX e dell’anticomunismo dei Papi recenti. Ma quel che importava a Roncalli (che mirava a ciò che univa) e anche all’arcivescovo di Parigi Suhard, era aggiornare la Chiesa, conciliandola col progresso della modernità del democratismo, 80ª proposizione condannata dal «Sillabo» di Pio IX. In questo senso Roncalli ha appoggiato in pieno l’iniziativa dei preti operai. Essi andavano a lavorare nelle fabbriche per essere in contatto con i lavoratori e, se possibile, con qualche parola evangelica, avvicinarli. Il problema è che invece di convertire quelli alla religione, si convertivano loro al comunismo. Con tali risultati Roma ha reagito e impose un intervento di Suhard, che nel febbraio 1949 fece una dichiarazione in proposito, giudicata carente dal Vaticano. Roncalli, invece, intervenne a favore di quell’iniziativa rovinosa per la fede, e fece pubblicare su L’Osservatore Romano, con l’aiuto di Montini, un elogio di tale missione in atto a Parigi e del suo patrono Suhard. Quando Pio XII, il 30 giugno 1949 decreta la scomunica dei comunisti atei e di quanti in qualche modo favoriscono il comunismo, Roncalli parte da Parigi in un lungo giro in provincia, svelando come intende evitare il 94
problema. Assenza che ripete in occasione della pubblicazione della Enciclica «Humani Generis» (12 agosto 1950), che condanna la «nuova teologia». Con il Vaticano II si capirà perché le dottrine che i Papi cattolici condannano, con i suoi autori, sono da promuovere per Roncalli e successori. Per fare qualche nome: Danielou, De Lubac, von Balthasar, Chenu, Congar, ecc. E' vero che il monito contro l’opera dell’ispiratore di questi «nuovi teologi», Teilhard de Chardin, ormai morto, è rimasto in corso sotto Giovanni XXIII, probabilmente per non scandalizzare troppo, perché in sostanza, il Teilhard fu il vero mentore della rivoluzione del Vaticano II. Ricordiamoci che si trattava di una rivoluzione venuta da lontano e che non raccoglieva solo le idee e direttive di personaggi conosciuti. In essa tutto è ordito nel segreto. Aleggia perfino l’antroposofia e il nome di Rudolf Steiner suo autore che già dal 1910, al tempo di San Pio X, diceva: “Abbiamo bisogno di un Concilio e di un Papa che lo convochi” (27). Il preannuncio dell'elezione di Roncalli al soglio pontificale Il francese Jean-Gaston Bardet, che poi si saprà essere un noto massone, autore di libri della tendenza dell' esoterismo cristiano, scrive nell’agosto 1954 a Roncalli, e poi lo visita a Venezia per ripetergli che diventerà Papa; non solo, ma predice che il suo pontificato sarà segnato da grandi interventi riformatori. Sa anche che prenderà il nome di Giovanni. Poiché tutto ciò si è avverato e ci sono altri indizi che Roncalli sapeva che sarebbe stato eletto, si può dedurre che i poteri occulti avevano già ravvisato in lui, il papabile del prossimo Conclave, che perciò andava avvertito in tempo. La scelta della persona poteva non essere legata al suo curriculum, indicante il chierico conforme ai loro bisogni? Allora anche la convocazione del concilio poteva rientrare in una decisione presa altrove. Altro episodio strano è stato ricordato nel programma «Enigma» di RAI 3 del 2003. Si tratta di un rapporto del 1954 dell’ambasciatore Francesco Giorgio Mameli al ministro Piccioni della Repubblica Italiana, nel quale Roncalli viene indicato come il candidato al pontificato da favorire. Roncalli doveva essere il Giovanni Battista, il precursore di Montini, patto più che accettabile e pure voluto da lui, come lo era anche la 27 - Arcivescovo R. Graber, «Athanasius», Civiltà, Brescia, pagina 43.
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convocazione di un concilio per l’aggiornamento voluto dalle logge. Si può dunque capire che l’operato ecumenista di Roncalli nel vicino Oriente gli aveva aperto tante porte e poi come nunzio a Parigi pure quella del Soglio papale, per essere il «papa buono» della nuova libertà di coscienza secondo le logge.
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Angelo Roncalli Patriarca a Venezia Dopo aver favorito monsignor Feltin, presidente di Pax Christi (pacifismo cristiano), per la successione al cardinale Suhard a Parigi, Roncalli nel 1953 è ritornato in Italia e a dispetto di aver anche in Francia fatto sollevare sospetti sulla sua fede filo modernista e massonica, viene, per la consuetudine in voga nella diplomazia vaticana, sulla dignità spettante al nunzio a Parigi, Papa Pacelli lo nomina patriarca di Venezia e cardinale (1956) (28). Tornato definitivamente in Italia dopo tanti anni all’estero, Roncalli ora patriarca di Venezia, avrebbe completato una carriera prestigiosa che mai si sarebbe sognata se non fosse stata supportato da poteri esterni alla Chiesa che puntavano su di lui. Roncalli non ignorava i grandi problemi della politica italiana e mondiale, sia per la sua posizione di nunzio, sia per i suoi continui ritorni a casa, in Italia. Professando la riconciliazione ad oltranza della Chiesa con ogni potere di rampolliana memoria, Roncalli ha sempre resistito in modo velato all’azione di Pio XII per contenere il comunismo e l’avanzata socialista e libertaria. Adesso poteva dimostrare questa sua linea a Venezia con la scusa della buona ospitalità cristiana. Per esempio, quando l’arcivescovo Feltin di Parigi visitò Venezia, lui volle che la banda suonasse la Marsigliese, come se essa non fosse pur sempre un segno rivoluzionario. Un caso emblematico fu quello del 1957, col benvenuto al XXX Congresso del Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni, che aveva nella sua bandiera la falce e il martello. Già prima Roncalli aveva difeso i suoi preti richiamati da Roma per aver proposto sui periodici locali l’apertura dei cattolici alla collaborazione coi socialisti. Costretto dal cardinale Pizzardo a definire la sua posizione, criticò nella sua pastorale del 12 agosto 1956 le aperture a sinistra a ogni costo, ma non firmò il richiamo ai preti (caso Dorigo). Se costui scriveva quello che lui pensava, poteva firmare tale condanna? Così le falsità del 1914, di fronte al cardinale Lai, le ripetè davanti a Pizzardo. Quando Pio XII trasferì Montini a Milano, Roncalli espresse al segretario Capovilla una perplessità che svelava il suo limite:
28 - Il 14 novembre 1952, Montini scrive a Roncalli sul Patriarca di Venezia, ammalato grave, se sia disposto a succedergli. Dopo l’assenso, ancora Montini, gli annuncia la sua creazione a cardinale nel Concistoro del 1953. Dopo la morte del Patriarca di Venezia, Roncalli gli succederà, il 28 dicembre.
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La Massoneria mirava a un «Papa buono», furbo e relativista “Dove troveranno ora uno che sappia redigere un documento [ambiguo] come sapeva fare lui?”. Idee sinuose come quella del «principio» escogitato per il Vaticano II che anticipò a Venezia: va cercato in ogni cosa di sviluppare più ciò che unisce, che ciò che divide. Un’idea condivisibile in alcuni campi pratici, mai, però, in quello religioso, dove riflette chiaramente un larvato relativismo verso l’essenziale della Fede. Poteva egli essere un «prescelto» dei rivoluzionari? La scelta di Loris Capovilla come segretario, un prete di sinistra (29), fa capire come Roncalli farà per attuare la sua serpentina idea politica contraria alla dottrina della Chiesa. Sì perché la Chiesa doveva chiedere scusa per i suoi «peccati» commessi in ogni tempo e direzione. In tal modo la nuova classe clericale non doveva far altro che screditare la Chiesa del passato e al limite, Gesù Cristo stesso, a favore della «bontà e comprensione» di quella chiesa del presente e dei suoi «umilissimi» e «buonissimi» pastori. Quanto all’onore dovuto alla Madre di Dio, esso andava dosato con molta cautela! Allora bastava a Roncalli non firmare la petizione per l'istituzione della festa della regalità di Maria, che precede di sei mesi l'enciclica di Pio XII «Ad Coeli Reginam», per la cerimonia e la consacrazione del 31 maggio. Il suo ecumenismo va in ogni direzione, meno in quella mariana, perché in fondo tutti sono cristiani anonimi, anche senza volerlo. In tal senso Roncalli invitava alla sua tavola veneziana tutti, protestanti, ebrei, musulmani, senza distinzioni, il che scandalizzava molti perché era la messa in opera di un indifferentismo senza confini. Se mirava a conversioni, questa non era che al suo credo modernista e ecumenista! Furono massoni il primate della chiesa anglicana Fisher e il patriarca Atenagora della chiesa ortodossa (30), con i quali Roncalli iniziò il dialogo ecumenico in un clima di fraterna comprensione (il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo lo rivela nel suo libro «Filosofia della Massoneria», Marsilio Ed. p.146). Il patriarca ortodosso Atenagora di Costantinopoli paragonò Giovanni XXIII a Giovanni Battista. Si può pensare che questo sia dovuto al fatto che in diverse occasioni discussero su «nuove vie...». 29 - «NichitaRoncalli», pp. 99-102.
30 - Atenagora (massone) paragonò Giovanni XXIII a Giovanni Battista, il precursore del Messia, e questo perché preparò il passaggio dei cattolici a una nuova religione, quella di Teilhard de Chardin, il cui Messia sarà, poi, il suo amico intimo: Montini!
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Tre giorni prima della indizione del Vaticano II Roncalli confidò ad Andreotti: «Molte delle anticipazioni di allora [del modernismo] erano poi divenute feconde realtà». Il Concilio le avrebbe costituzionalizzate! La novità del nome scelto da Giovanni XXIII stupì molti, ma la sua logica segreta era nota agli addetti ai lavori (Appendice I): quel Pontificato doveva preparare la via a Montini dell’aggiornamento della tradizione e particolarmente degli ultimi Pontificati, da Pio IX a Pio XII. Ci avrebbe pensato poi Montini, divenuto Paolo VI, ad imporre ai cattolici la sovversione religiosa subdolamente perseguita. Non c’è dubbio che Roncalli desse molta importanza ai simboli. Forse attraverso di essi si potrebbe capire meglio cosa c’era nell’animo di questo chierico che fece togliere dalla facciata della delegazione apostolica lo stemma con la parola «Filioque», un simbolo della fede cattolica, ma che ha nella sua croce pastorale l’occhio nel triangolo, usato dalla Massoneria. Questi fatti non sono una prova della sua affiliazione alla setta, ma dimostrano le associazioni mentali delle sue scelte iconografiche. Ora, come si è visto, per il pensiero massonico, ogni fede e ideologia può essere accettata se subordinata all’idea di fratellanza universale. Questo era il pensiero manifestato da Roncalli in Turchia nella Pentecoste del 1944: “Gesù è venuto ad abbattere le barriere [tra credenti, credenti di altre religioni e non credenti]; Devo dirvi che nella luce del Vangelo e del principio cattolico questa è una logica falsa; egli è morto per proclamare la fraternità universale… Sarebbe quella fraternità dell’ONU, fondata sui principi massonici? o quella della «Nostra aetate» del Vaticano II, per il nuovo ordine che ignora o nega Dio Padre? La fraternità senza padre è propria dei massoni. Perciò il giornalista Pier Carpi non deve aver inventato niente quando scrive della sua iniziazione rosacrociana e iscrizione alla massoneria («Le profezie di Papa Giovanni»). Non fu solo con parole e concetti che Roncalli espresse la sua simpatia per la posizione massonica, ma con le sue molte frequentazioni che per il loro peso devono aver contato per ricavare il «papa giovanni» e il «concilio» tanto atteso dalle logge. Non ci sono le prove dei servizi segreti francesi, incaricati della protezione del nunzio, che ogni giovedì Roncalli si recasse alla loggia? Non sarà ufficiale, ma lo sono i suoi atti favorendo la Massoneria, contro tutti i giudizi della Chiesa. Ad ogni modo personalmente ho ripetuto questa informazione avuta da un ufficiale, addetto alla protezione del nunzio, al cardinale Oddi venuto da noi e che era stato suo vicario a Parigi. Non l’ha contestata, ma la storia non va scritta con ammissioni mute e mosse di testa. Pur confermato a parole, 99
cosa risolverebbe sulle prove dell’origine della demolizione realizzata (31)? Diversi Grandi Maestri massoni francesi e italiani hanno confermato apertamente le aperture del futuro Giovanni XXIII. Nel 1989 la rivista dei Franc-maçons «Humanisme» (nº 186), racconta l’incontro del nunzio Roncalli con Alexandre Chevalier, che avanzò proposte riguardo al diritto canonico e altro. All’intesa segreta tra il futuro Giovanni XXIII e chi diventò Gran Maestro nel 1965 e fu invitato all’incoronazione di Giovanni XXIII a Roma, fa eco l’ipotesi che la loggia «L’Etoile Polaire» (l’Atelier), “sia stata all’origine del Vaticano II” (32). Roncalli era massone? Quale può essere la risposta a quella domanda su Roncalli massone? Si è visto che ci sono indizi che lo confermano, ma essi non conducono a prove definitive. Resta, però, che quanto non appare provato, è evidente dai frutti del suo operato pontificale. Questo va investigato alla luce della Fede. Nel nuovo clima postconciliare tutte le religioni divengono più o meno buone e la conversione non è più necessaria per gli ebrei, giustificati nella Vecchia Alleanza. Anzi, la loro visione del futuro sarebbe analoga a quella del cattolicesimo conciliare: dell’attesa della venuta (o del ritorno) del Messia ! (Catechismo della Chiesa Cattolica, numero 840). La questione dell’adesione di Giovanni XXIII alla fede modernistica o massonica [un massone è fuori dalla Chiesa, non potrebbe esserne il suo capo, nemmeno se votato dall’unanimità dei cardinali, che comunque si possono ingannare (vedi Bolla «Cum ex apostolatus», Papa Paolo IV, 1559)] è molto delicata (Vedi a proposito l’ultima appendice...). Potrebbe, tale immane sciagura, essere simbolicamente prefigurata nella visione del Terzo Segreto di Fatima, in cui ai tre pastorelli fu mostrata una città mezza in rovina, che dopo l’eccidio del suo capo va verso la completa distruzione? Roncalli avrebbe censurato tale visione profetica consegnata alla Chiesa dalla Madre di Dio! 31 - In un trafiletto del 20 dicembre 1994, “Il Giornale”, a pagina 13, riferiva la sorprendente notizia, contenuta in un libro appena pubblicato. In quei giorni, alla presenza autorevole del cardinale Silvio Oddi, in Vaticano, Franco Bellegrandi aveva presentato un suo libro “Nichitaroncalli”, nel “Centro Russia Ecumenica”. Del resto, in quegli stessi anni, furono pubblicati numerosi libri in cui si associava apertamente il nome del «Papa Buono» alle gerarchie massoniche del “Priorato di Sion”, in cui risultano essere formati i futuri padri dell’Europa unita. (Rolando Pratt) 32 - Jacques Ploncard d'Assac, «Présent», Parigi, 20 luglio 1989.
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4 – L’ORA DEL PATRIARCA PRESCELTO «PAPA BUONO» Giovanni XXIII, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, eletto nel conclave del 1958, occupò il soglio pontificale da allora fino alla sua morte avvenuta nel 1963. Egli è stato, in contrapposizione a Pio XII e ai suoi predecessori, chiamato «buono». Era tanta simpatia estranea alla campagna mediatica volta a fare il panegirico a un comodo «alleato» del nuovo ordine ecumenista mondiale? Per la cultura cattolica questo appellativo di «buono» conferito con tanta fretta deve destare sospetti. Infatti, in tutta la Bibbia è espressa la maledizione cui è soggetto chi confida ciecamente in una facile bontà dell’uomo, sempre segnato dal rischio della caduta originale, ossia di ripiombare nel deleterio errore di «scegliere» il «bene» sussurrato da una voce occulta, per «essere come Dio». Il giovane che si rivolse a Gesù: «O buon Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?», fu redarguito: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio» (Mt. 19, 17; Mc. 10, 18; Lc. 18, 19). Il fatto è, però, che la «bontà» di Roncalli interessava certamente a quanti erano nemici dei Papi cattolici e che alla sua elezione, esultarono all’idea che finalmente avevano il «papa buono» desiderato da almeno due secoli. Così, il mito insinuato del buon Roncalli va visto dai cattolici, non adeguandosi ai giudizi della stampa, ma tenendo presente cosa per la Chiesa abbia significato la sua apertura alla rivoluzione e l’eclisse di fede che ne è seguita. In tal senso è da vedere in cosa la sua «bontà». Forse era quella volta a «liberare» la Chiesa da qualche «insostenibile» dogma, o da qualche dottrina «intransigente», insegnata dai Papi del passato in difesa della Fede? Che idea aveva Roncalli sul buon uso del potere pontificale Il Signore l’ha definita con le parole rivolte alla confessione di fede e amore di cui Pietro era capace. Alla Sua domanda: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo? Prese la parola Simon Pietro e disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Rispose Gesù: “Beato sei tu, Simone figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che avrai legato sulla terra resterà legato nei cieli e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra resterà sciolto nei cieli”» (Mt 16, 16). Il Papa rappresenta l’Autorità divina in terra. Una missione che pare impossibile per qualsiasi uomo. 101
Potrebbe ciò significare il potere di archiviare un segno della Provvidenza divina? Quale altro il senso del «Segreto», censurato proprio da Giovanni XXIII, che dava molta importanza ai simboli e ai segni dei tempi? In questo caso, davanti a tale segno del cielo, egli deve aver dimenticato perfino la nota evocazione esoterica della sfinge considerata dai massoni: «deciframi o ti annullerò». Certo, però, che la censura, da parte di un chierico che occupa la Sede di Pietro, del segno della Provvidenza per il nostro tempo, rappresentato dal «Segreto di Fatima», è di se il segno tremendo che conferma la visione del Segreto sulla città cristiana rovinata e la “soppressione” del Papa con tutto il suo seguito cattolico, che vivono nell’attenzione e piena fedeltà alla Parola e ai segni della Provvidenza divina. La rivoluzione conciliare, oscura metamorfosi religiosa, si svela, come già visto, nelle parole buoniste della stessa gerarchia conciliare i cui membri, al contrario di quanto insegnarono i Papi, rivedono la Provvidenza e non solo riconoscono un «ideale generoso» alle rivoluzioni e a Lutero una «profonda religiosità», ma reputano i frutti di tali ribellioni, immoralità, persecuzioni, genocidi e scristianizzazione del mondo, ri-sultato di errori accidentali e non intrinseci al processo rivoluzionario dell’illuminismo. Anzi, attestano, da Giovanni XXIII a Benedetto XVI, che la solidarietà illuminista fa avanzare il mondo verso un nuovo ordine di giustizia e di pace! Non si vuol affermare qui che i nuovi pastori seguano ogni «valore» della modernità illuminista, antroposofica o simile, riguardo all’inversione del Cristianesimo. Quello che si può costatare, però, alla luce delle loro stesse dichiarazioni, è che intendono armonizzare la religione di Dio fatto uomo con la religione dell’uomo che si fa Dio (vedi Paolo VI), ossia col nuovo umanesimo ecumenista, che raccoglie in un unico fascio tutte le credenze e perfino le miscredenze. E' la gestione degli opposti che nella sua contraddizione hegeliana è un’idea non solo anticristiana, ma anche contraria alla natura razionale dell’uomo. Angelo Roncalli fu il professore d’idee moderniste, il nunzio d’intese filo massoniche e il patriarca, che, eletto al soglio di Pietro per un intervento «ironico del caso», assunse il nome dell’antipapa Giovanni XXIII, iniziando il mutamento che ha finito per rovinare a fondo la Chiesa (v. appendice *). Tale «enigma» appartiene allo stesso periodo storico del «segreto» di Fatima da lui censurato nella sua visione della cristianità rovinata e del Papato colpito. Perciò, per affrontare questo tenebroso enigma nessun cattolico avveduto penserà di ricorrere alle parole dello stesso Roncalli, 102
che inoltre, come ha capito Andreotti, “aveva molto imparato da don Ernesto”,il Buonaiuti suo amico modernista scomunicato “che ebbe l’unico torto di non aver saputo aspettare l’evolversi dei tempi”, evitando di esporsi e raggirando i problemi. Se avesse saputo fare come Roncalli, forse sarebbe divenuto lui pure eminente maestro della fede umanitarista e buonista che «aggiorna» quella «arretrata» dei Padri, dei Santi e dei Papi di quella Chiesa che da duemila anni combatte le «riforme» volte a scardinare la Tradizione legata a Gesù Cristo. L’enigma non si risolve nemmeno cercando scritti o tessere sospette, ma seguendo l’istruzione del Signore: «Dai frutti li conoscerete». E il buon senso insegna che certi frutti maturano con le scelte. La scelta dei «modernisti» - lo aveva capito anche il non cattolico Benedetto Croce era quella “della conciliazione storica con i positivisti, pragmatisti e empiristi di ogni risma che, non credendo al valore del pensiero e della logica, cadranno di necessità nell’agnosticismo e nello scetticismo. Dottrine, queste, conciliabili con un vago sentimentalismo religioso, ma che ripugna affatto a ogni religione positiva”. È la scelta filo massonica del Roncalli modernista, simpatizzante pure dei socialisti, coi quali spartiva idee umanitarie e antitradizionali. Poiché oggi questa scelta è moneta corrente nella Chiesa che si dice cattolica, ma è «conciliare», questa va identificata considerando il suo corso storico postconciliare nel quale fu promossa una «nuova coscienza della Chiesa» secondo il credo modernista alieno dal «valore del pensiero e della logica» indicato da san Tommaso. Si tratta della diametrale opposizione tra la filosofia perenne e quell’idea illuminista che intendeva compiere, più che un semplice «aggiornamento» religioso, un radicale capovolgimento nella visione della vita e nella coscienza della Chiesa e del mondo. Con il Vaticano II si è voluto fondere due visioni dell’uomo e del mondo inconciliabili: quella cristiana fondata sul sacrificio d’amore del Redentore, che sopperisce all’ignoranza dell'uomo e restaura la sua volontà ferita, con quella mondana che disprezza e irride quest’amore in vista di una civiltà moderna evoluta grazie alla libertà dell’uomo decaduto. Il «nuovo bene» della «nuova classe clericale» fu preparato per stabilire tale conciliazione globale col mondo. Per essa la Redenzione andava ridotta a un diritto universale dovuto all’assoluta «dignità umana». E' l’idea della «redenzione universale» della «Gaudium et Spes» e della «Redemptor hominis»; prodotti rifiniti del Vaticano II che, salvo prova in 103
contrario, fu convocato per avviare il processo illuminista del «nuovo ordine» religioso, ordinato a una «nuova umanità ecumenista». Si tratta della via conciliare in vista di una «presa di coscienza» per introdurre nella religione del Sacrificio redentore il «nuovo umanesimo», cioè l’utopica «civiltà dell’amore», intesa come unione e riconciliazione universale delle religioni in una prospettiva massonica e dunque gnostica, contrabbandata in nome dell’«aggiornamento» e dell’«apertura» dell’ordine cristiano alla modernità: via che il pensiero cattolico dei Papi ha sempre rifiutato come perversa, ma che oggi nel nuovo concerto democratista dominante, appare come obbligatoria. Tale piano ottimista di «conciliazione cosmica», che svela la presenza del mistero d’iniquità nella stessa Chiesa, può essere inteso alla luce di uno dei fatti più strani della storia vaticana all’inizio del ventesimo secolo: il conclave per la successione di Leone XIII nel 1903. Si è visto che già all’alba del Novecento uomini della Chiesa avrebbero «benedetto compromessi storici epocali». Infatti, il card. Rampolla fu il gran promotore di una politica di «ralliement» dei cattolici col governo francese, detto giustamente del «Grande Oriente». Da ciò l’idea che potesse essere l’iniziato creatore della retro-loggia vaticana, la P1, formatrice della cerchia di chierici influenti capaci di mutare l’indirizzo della Chiesa a favore di una «riconciliazione» con massoni «d’ogni risma». Mancano prove dell’appartenenza massonica di Rampolla? Forse, ma non del progressivo mutamento dell’indirizzo di molti uomini della sua linea verso una «conciliazione a oltranza» coi nemici della Chiesa. Inoltre, la tendenza a un’azione diplomatica favorevole a un nuovo ordine secondo i principi massonici è da allora una realtà storica ben vista da molti chierici favorevoli all’ONU. Per Paolo VI e seguaci questa è addirittura l’ultima speranza per l’umanità! Del Conclave del 1903, per il cattolico, interessa soprattutto il seguito guidato dallo Spirito Santo perché allora la Provvidenza guidò i cardinali ad eleggere Giuseppe Sarto, che divenne san Pio X, nell’esercizio del supremo apostolato. Tutt'oggi san Pio X è detestato dai chierici modernisti e Pio XII ha compiuto un atto di coraggio canonizzandolo. Contro di lui, i poteri del male si sono scatenati furiosamente; la loro prima scalata al trono di Pietro era fallita a causa di un umile «profeta di sventure». Le questioni d’affiliazioni alla Massoneria, tanto astruse e difficili da provare, dovrebbero interessare meno ai cattolici che l’opera effettiva di 104
prelati elevati a posizioni di potere per introdurre quei princìpi. E' il caso di Roncalli. Che fosse iniziato, come assicura il massone Pier Carpi, cosa cambia se come nunzio favorì manovre ecumeniste, laiciste, favorevoli alla formazione dello Stato sionista, tutto in barba agli orientamenti dei Papi?
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Era Roncalli il prescelto dei massoni ed ecumenisti? Dato che Angelo Roncalli ha occupato la cattedra suprema della Chiesa, il solo dato per giudicare è la sua opera in tale posizione. È a lui, infatti, che vanno ascritti i risultati finali che ora il mondo vive nel senso della «mutazione» d’ordine modernistico della Fede, una mutazione che è ormai una tremenda realtà. Roncalli si dimostrò aperto a ogni apertura. Spetta agli storici investigare sul suo incontro, o "disincontro", nella Sicilia di Cagliostro con questo grande capo. Risulta, anche se non è dimostrato, che sia andato lì per tale occasione. La via clericale della rivoluzione era la gestione degli opposti. È innegabile che nei tempi moderni s’è formata una nuova classe clericale per gestire, in nome della pace, ciò che è in realtà opposizione radicale alla fede cattolica. Ne sono un esempio i vari Lamennais e Sangnier e i loro discepoli. Se prevale, però, una politica clericale che ignora le opposizioni irriducibili, di modo che nuovi «maestri buoni» pontificano nella Chiesa per mettere sullo stesso piano le rivendicazioni di «uguaglianza» e di diritti della città mondana col culto della città di Dio, vuol dire che questi, se ne rendano o meno conto, tendono a operare una riconciliazione in definitiva, al limite del bene col male! Ecco la rivoluzione finale di marchio satanico! Essa riuscì dove le altre fallirono proprio nel periodo indicato nella terza parte del Segreto di Fatima che, se svelato nel 1960, come previsto, avrebbe indicato la natura nefasta di quegli eventi oscuri, cioè gli sconvolgimenti conciliari che virtualmente liquidavano l’autorità cattolica. Non avvertiva forse esso di un evento senza precedenti storici che, successivo alle due guerre mondiali, sarebbe stato ancora più rovinoso sul piano morale della rivoluzione sovietica? Emblematicamente il messaggio divino che parlava di tali pericoli fu censurato da un chierico sedotto da quell’«altro messaggio» oscuro. Tutto secondo la parola di Gesù: «Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste» (Giovanni 5, 43). Lo spirito di apertura al mondo è riconoscibile nei conciliaristi di ieri come di oggi quando dichiarano che il processo rivoluzionario, civile e religioso, è animato da un «profondo e generoso» spirito che opera per la fratellanza universale: perché esso entri nel solco del cristianesimo loro, basterebbe «battezzare» lo spirito della «religione dell’uomo che si fa Dio»!
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Il piano sinarchico in atto per mutare la Chiesa Si capisce la «revisione», in nome dell’«aggiornamento» conciliare, del Cristianesimo, da un lato dalle loro aperture ad ogni utopia, dall’altro dalla loro avversione alle dottrine sulla Colpa originale, sull’Inferno e sul Giudizio; pietre d’inciampo per l’ecumenismo. Per i dati di tale piano vediamo Epiphanius nel suo grande lavoro: «Massoneria e Sette Segrete: la Faccia occulta della Storia» (pp., 7-9). “E' difficile negare l’esistenza di un’azione secolare che, vuotati gli spiriti dalla filosofia scolastica, li ha aggrediti con dosi dapprima omeopatiche di dottrine gnostiche; l'introduzione del dubbio metodico sotto la copertura dello scientismo, il disprezzo della retta ragione spinto fino al rifiuto del reale, il rinnegamento delle autorità naturali, la «nulla potestas nisi a Deo» avvicendata da un potere che trae la sua legittimazione dal basso, un potere infero: un modo essenzialmente luciferiano di procedere, fondato sulla menzogna e il compromesso. Tentare una spiegazione del mondo odierno col ricorso a facili determinismi di leggi fisiche, princìpi economici o sociologici, è superficialità che non può soddisfare chi voglia ricercare secondo verità: occorre rivolgersi in altra direzione, spingere le ricerche ben più in profondità partendo dalla realtà dell'uomo: essere libero di aderire al bene o al male e per ciò stesso in grado di organizzarsi nella pratica dei medesimi. E come la legge perfetta del Vangelo sorresse l'uomo per lunghi secoli illuminandogli la via e sostenendolo in quella speranza di eternità che egli concretizzò edificando la grande civiltà cristiana - la città terrena sorta il più possibile a immagine di quella di Dio - così non possiamo rinunciare, per simmetria, a tentare di individuare una rottura, un guasto nella storia dell'uomo, che ha permesso al male di organizzarsi con un deposito dottrinale, un piano di dominazione dell'uomo sull'uomo, una gerarchia occulta che veglia alla sua realizzazione e alla fedele trasmissione di tale deposito, un percorso da compiere per asservire l’umanità alla potestas tenebrarum, in una parola una vera Controchiesa tendente ad appropriarsi di ogni valenza religiosa e politica. I connotati di questa Controchiesa sono quelli dell’alta loggia e dell’alta finanza: alta loggia in cui domina il mago attraverso l’esoterismo e la magia, che pianifica, dirige, corregge il tiro se i risultati non corrispondono a quelli voluti; alta finanza che, concentrando oggigiorno nelle sue mani pressoché le intere ricchezze del pianeta, le orienta ai fini di dominio mondiale perseguiti dall'alta loggia. […] Il Movimento Sinarchico, 108
giungerà, attraverso il nostro tormentato secolo, fino alle grandi assise mondialiste dell’ONU e dell’UNESCO e in campo religioso a quel drammatico e terribile evento che per la cattolicità fu il Concilio Vaticano Il, seguìto dal primo atto di costituzione del-l’ORU (Organizzazione delle Religioni Unite, oggi URI, vedi annesso) nella Giornata di Preghiera di tutte le religioni ad Assisi. Oggi, alle soglie del Governo Mondiale politico ed economico, la posta in gioco è ancora la Chiesa cattolica, unica salvezza per l'umanità. E' qui che avverrà la lotta finale, qui le forze del male concentreranno ogni sforzo plaudendo dal pulpito dei mass-media ad ogni passo compiuto nella loro direzione e condannando con altrettanto clamore ogni tentativo di rientro nell'alveo della tradizione cattolica, dell'insegnamento dogmatico di sempre. Oggi la crisi che travaglia la Chiesa è macroscopicamente innegabile, il suo ruolo di unica depositaria della verità messo in discussione in assemblee democratiche dagli stessi uomini di chiesa in nome di un ecumenismo allargato ad ogni falsa religione, ad ogni errore. A costoro, più che la salvezza delle anime, stanno a cuore la filantropia, i problemi sociali, mentre nella cattolicità dilagano il pacifismo e una neutralità intellettuale affatto sconosciuti nella sua lunga storia. L’ipotesi di una degenerazione spontanea non regge: gli appelli di Paolo VI che denunciava il fumo di Satana penetrato nel sacro tempio richiamano alla memoria i sinistri propositi delle retrologge che per bocca di un loro autorevolissimo esponente, Albert Pike, 33° grado del Rito Scozzese Antico Accettato americano, autore di «Morals and Dogma» (Commento al XXX Grado, Cavaliere, grand'eletto Kadosh, VI volume, Editore Bastoni, 1984, p. 156), considerata la bibbia dei massoni, dichiarava: «Quando Luigi XVI fu giustiziato la metà del lavoro era fatta e quindi da allora l'Armata del Tempio doveva indirizzare tutti i suoi sforzi contro il Papato»”. Il pensiero segreto dell'«altro» mira all'auto redenzione umana «Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste» (Giovanni 5, 43). E quest’«altro» chi può essere se non Lucifero o un suo vicario, che segue il suo piano? Poi la Massoneria adotterà pure il piano teosofico di Helena Petrovna Blavatsky come linea guida del processo di «aggiornamento culturale» in vista della distruzione dell’Ordine cristiano. All’alba dei tempi il sussurro del tentatore originale suscitò nella mente umana l'idea di un’autonomia assoluta dal Creatore.
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Nel XIX secolo tale idea si ripresentò con forza nelle varie dottrine che ripensavano la divinità. La «Dottrina segreta» di Helen Blavatsky è una di quelle che ha attirato mezzo mondo, svelando il grande piano: «La Teosofia è una gnosi che intende divinizzare l'umanità come una vera e propria religione di massa, che insegna essere il male uno dei principali sostegni del mondo manifestato; una necessità per l'evoluzione e il progresso, come la notte per il giorno e la morte per la vita, e affinché l'uomo possa vivere eternamente. Satana (o Lucifero) rappresenta l'energia attiva dell'Universo, la luce, la vita, la lotta, il pensiero, la coscienza, il progresso, la civiltà, la libertà […] è Dio […] una sola cosa col Logos. Esiste in natura una Legge eterna, legge che tende a conciliare gli opposti e a produrre l'armonia finale. Grazie a tale Legge di sviluppo spirituale... l'umanità verrà liberata dagli dèi falsi e bugiardi [si legga cristianesimo] e otterrà, alla fine, la sua autoredenzione». La delirante teosofia della Blavatsky fu cautamente adattata al nostro secolo con l’antroposofia di Rudolf Steiner, che adatta i concetti per un nuovo cristianesimo, in cui è «Cristo» a «armonizzare gli opposti». Il gesuita Teilhard de Chardin ne fu attratto e lo fu pure il giovane Karol Wojtyla, sedotti entrambi dal programma di un’armonia antropocentrica: la pace attraverso l'idea della redenzione universale; idee gnostiche che possono a prima vista sembrare molto particolari e poco ricollegabili alla strana mutazione religiosa innescata da un conclave e messa in opera con un concilio se non fossero clamorosamente presenti nelle righe del Vaticano II e venute alla ribalta al convegno interreligioso di Assisi del 1986. «Sol che si rifletta un poco sulle cosiddette «teologie» moderne ci si rende conto di quanto il pericolo in apparenza incredibile e assurdo, data la storicità della persona di Cristo e il patrimonio dogmatico della Chiesa, di trasformare il cristianesimo in panteismo, sia concreto e attuale. Paradigmatico è il caso di Teilhard de Chardin. Questo gesuita vede tutto in chiave darwiniana [e steineriana]: per lui l'universo, inteso come materia di cui l'uomo sarebbe la punta evolutiva, tenderebbe, nella naturale sua evoluzione, verso un 'punto omega' che rappresenterebbe l'incontro tra la materia e Dio, inteso, quest'ultimo, come una specie di anima universale che finirebbe con l'unificare il molteplice materiale in
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un complesso superindividuale che sarebbe il Cristo cosmico, punto di arrivo dell'evoluzione» (33). Ebbene, tutte le ramificazioni gnostiche, dalle più antiche fino allo «gnosticismo cristiano» dei discepoli della Blavatsky, della Besant, di Rudolf Steiner, di Teilhard de Chardin, tutte hanno in comune la stessa direzione: l'autodivinizzazione dell’uomo; tutte emanano una conoscenza esoterica che indica un «nuovo bene umano». Da questo punto in poi la missione del Cristianesimo, per questa gnosi, è compiere tale «bene». E, guarda caso, per i «mondialisti» come per i conciliari si tratta dell’unione dell’umanità. Quindi, il «bene» non sarebbe più condurre i popoli alla pace di Gesù Cristo, ma il cristianesimo avrebbe per missione e fine l’unione indiscriminata di tutti. Quanto converge in tale direzione è buono e giusto; quanto diverge nocivo e deve quanto prima scusarsi di un tale passato. Ecco il collegamento col «deismo» delle logge, il rapporto dei «maestri» terreni con il «Grande Architetto»; legame simile a quello di Teilhard de Chardin col «cristianesimo» in evoluzione verso il «Cristo cosmico». A tale «pedagogia» anticristiana mancava ancora un contenuto adatto a convogliare le coscienze al sincretismo globale. La Teosofia provò a elaborarlo, ma invano. Sarà il suo erede a fare un passo avanti, in modo da fornire ai poteri del mondo e alle logge una nuova formula che, invece di escludere, includa il Cristianesimo nel sincretismo globale. Rudolf Steiner fu questo «maestro» della nuova sintesi. Uomo di qualità intellettuali eccezionali, pedagogo prodigioso e fertile scrittore, Steiner fu a capo della Società Teosofica in Germania ivi fondando nel 1902 la rivista «Lucifer», che nel 1904 assunse il titolo di «Lucifer-Gnosis». Secondo i suoi biografi Steiner ebbe una “Guida” che Edouard Schuré, il famoso teosofo e filosofo protestante francese (1841-1929), autore nel 1889 del libro I Grandi Iniziati, così descriveva: “Il Maestro di Rudolf Steiner era uno di quegli uomini potenti che vivono sotto la maschera di uno stato civile qualunque, per compiere una missione conosciuta solo dai pari loro. Non operano mai apertamente sugli eventi umani” (*) fatto invero preoccupante se confrontato con la descrizione che il martinista Mariel ci rende dei Superiori Incogniti, quando, disquisendo sulla loro natura, si chiede se essi siano “uomini di carne oppure genii, entità o
33 - Carlo Alberto Agnoli, «Donde viene e dove ci porta il Vaticano II», Chiesa Viva, numero 168, novembre 1986.
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daimon” concludendo che: “la Dottrina Segreta di H.P. Blavatsky ci dà se non certezze almeno interessanti approssimazioni”. (**). Fonti: (*) E. Pappacena, Rudolf Steiner, Lanciano, Itinerari, 1973, p. 194 (**) P. Mariel, Le società segrete che dominano il mondo, Firenze, Vallecchi, 1976, pp. 12 e segg. (ivi, p. 207). Per averne un
saggio si sappia che in tale opera Satana viene descritto come “il Dio, il solo Dio del nostro pianeta” e, altrove, “[Satana] non è che una sola cosa col Logos”, per cui: “la Chiesa maledicendo Satana [...] maledice Dio [...] o la Sapienza rivelatasi come Luce e Ombra, Bene e Male nella Natura”. Rudolf Steiner partì dalla Teosofia della Blavatsky, che aveva per programma la «Fraternità Universale» nella conoscenza sincretista di «tutte le religioni e filosofie»; sarebbe la teoria del campo unificato dallo «spirito universale», paragonabile a quella di Einstein per il campo fisico. Si tratta della «gnosi» che vanterebbe tra i suoi illuminati non solo il neoplatonico Eckhart, ma falsamente secondo i cavilli di Steiner i santi Agostino, Francesco d'Assisi e Francesco di Sales, Gertrude, Ildegarda, Caterina di Siena e persino San Tommaso d'Aquino. Ecco alcuni dei personaggi noti dell'epoca attratti da questa «iniziazione» esoterica: Thomas Edison, Pieter Mondrian, Alexander Scriabin, William Butler Yeats, Gandhi, George Russel, Bernard Shaw, Annie Besant, Aldous Huxley, Fernando Pessoa. Quest’ultimo tradusse la Blavatsky e scrisse a un amico: “Osservo che la Teosofia, che ammette ogni religione, ha un carattere interamente simile al paganesimo, che accoglie nel suo Pantheon tutti gli dèi, ti accorgerai dalla seconda ragione della grave crisi dell'anima mia. La Teosofia mi terrorizza col suo mistero. È l'orrore e l'attrazione dell’ abisso realizzati nell’oltre anima. Uno spavento metafisico, mio caro” (34). L’Antroposofia, il cui tempio a Dornach, presso Basilea in Svizzera, è stato battezzato «Goetheanum» in onore dell’illuminato Goethe, è oggi diffusa in tutto il mondo con centri d’iniziazione e poli scolastici denominati Scuole Waldorf. Una nuova visione religiosa “più universale”?
34 -
«A Voz do Silêncio», Ed. Civilização Brasileira, Rio, 1969. Fernando Pessoa è morto a 47 anni. La sua inquietudine lo ha portato all'alcool e questo alla morte. Internato in ospedale a causa di una cirrosi acuta, sapeva che sarebbe bastato un altro bicchiere per morire; lo bevve e fu trovato morto il giorno dopo.
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Se leggiamo il Vaticano II alla luce di Steiner, che rifacendosi al panteismo di Goethe, andò oltre la Teosofia, è per arrivare a una conclusione rilevante: tutti questi pensieri mirano a una nuova sintesi religiosa, antropocentrica e antroposofica. Quest’ultima mira a una conoscenza soprasensibile sulla vita dell’uomo inserito nell'universo, riunendo non solo ogni religione, ma pure la Teosofia espressamente condannata dalla Chiesa (Dz, 2189) (35). In verità questo pensiero non è nuovo: è il pensiero massonico e prima, nel ‘600, rosacruciano e prima ancora cabalistico. Steiner voleva che il nuovo «cristianesimo» includesse i sacramenti e la fede nella reincarnazione (si riteneva Pitagora reincarnato); credeva nel ritorno della mente per meglio capire e spiegare l’uomo, nei suoi impulsi ed energie, sia religiosi che rivoluzionari. La mente umana (almeno la sua), avrebbe la saggezza per discernere ogni segreto sull’uomo e sull’universo. Oltrepassando tutti i limiti delle censure ecclesiastiche, la sua lettura avanza sull’onda della fede olimpica di chi sente di aver capito tutto e senza timore, coglie in frutti dall’albero della scienza del bene e del male. Rudolf Steiner commenta i quattro Vangeli e l’Apocalisse spiegando tutto senza esitazioni. Ecco, ad esempio, la sua «verità» sui due bambini Gesù: “Abbiamo quindi due storie di Gesù di Nazareth prima che accogliesse in sé il Cristo”. La “grandiosa figura di Giuda degli ultimi capitoli dell’Antico Testamento e la figura di Giuda del Nuovo... nelle sue successive reincarnazioni… Giuda incarna la sensualità umana, e realizza la fusione dell’elemento romano con quello cristiano”, tutto è recuperato e spiegato senza tentennamenti. “Dopo che Cristo, che aveva in sé lo Spirito universale dell'umanità, ha avuto la sua opera completata in Terra, formando un’unità perfetta di vita spirituale nel mondo, solo allora si è resa possibile la facoltà di parlare nel senso di questo Cristo-Impulso, spuntato nei cuori... divenendo parte sostanziale del mondo spirituale, principio dell'evoluzione cristiana... in spirito di libertà”. Tali sono solo alcune citazioni della sua vasta opera dove echeggiano narrazioni di religioni orientali. “Krishna: nome che riassume quanto stende attraverso i millenni la sua luce all’evoluzione spirituale dell’umanità”... così «Maitreya-Buda» e «Hermes-Mercurio» legati ai nomi di «Zarathustra» e Mosè. “Le diverse dottrine portate agli uomini da Buddha, Zoroastro... per stabilire la Fraternità universale... sostantivo che prima era conosciuto solo da pochi iniziati”... con il tempo e 35 - Denzinger - Enchiridium Symbolorum et definitionum et declarationum de rebus fidei et morum.
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l’apparizione di nuovi iniziati, tali dottrine avrebbero illuminato il patrimonio della conoscenza dell’intera famiglia umana. E Steiner, considerando che la Chiesa cattolica aveva tradito questa sua missione ed era condannata alla sparizione, elaborò, alla luce del buddismo esoterico, il suo «esoterismo cristiano» in cui Cristo è il personaggio capace di equilibrare e temperare l’ardore di Lucifero da un lato e la mente fredda del demone Arimane dall’altro. L’influenza del panteismo sincretistico steineriano nella Chiesa, è avvenuta attraverso alcuni dei suoi ammiratori. Uno dei più noti fu il gesuita Teilhard de Chardin; poi Roncalli e uno degli autori del Vaticano II («Gaudium et Spes»), Karol Wojtyla. L’«Antroposofia», che la Chiesa ha incluso nella stessa condanna della teosofia, è riuscita a rifarsi contagiando molti dei suoi membri, i cui pensieri letteralmente vagavano alla ricerca di una «sintesi suprema» di là della cattolica. Il Piano per una Super chiesa mondiale: a cosa mirava in fondo Steiner se non a questa? “Abbiamo bisogno di un Concilio e di un Papa che lo convochi”, ecco quanto voleva Steiner già nel 1910 (36). Giovanni XXIII, aprendo a queste «venture» gnostiche del mondo moderno, dove avanza il naturalismo massonico insieme col materialismo socialista e chiudendo alle «profezie di sventure», non irrideva forse gli allarmi ripetuti dagli ultimi Papi riguardo ai pericoli crescenti? Basta sentirli per capire che si è trattato di una vistosa rottura, non solo con la visione dei Papi sui mali presenti, ma con quella complessiva della Bibbia, dalla Genesi all'Apocalisse. Riportiamo alcuni avvertimenti papali sulle mosse anticristiane del mondo moderno, per poi ricordare la loro dottrina specifica sugli errori incombenti nell’ambito della fede, qui elencati in breve. Si tratta dell’insegnamento dei Papi: Gregorio XVI sul «delirio» delle libertà e dell’indifferentismo in materia di religione (enciclica «Mirari vos»,1832); Pio IX sull’elenco di errori della società civile moderna, con cui ogni conciliazione è impossibile per la Chiesa (encicliche «Quanta cura» e «Sillabo», 1864); Leone XIII sul pericolo rappresentato dal liberalismo (enciclica «Libertas», 1888) e dalla Massoneria (“Humanum genus – De secta massonum, 1884 e l’enciclica «Inimica vis»,1892); Pio X, sulle insidie del modernismo e del suo larvato agnosticismo, collettore d'ogni eresia (enciclica «Pascendi», 1908), e condannando la democrazia cristiana del Sillon («Notre Charge apostolique», 1910); Benedetto XV, che pubblicò il Codice canonico voluto da San Pio X, dove è detto che l’affiliato alla Massoneria è fuori della Chiesa; Pio XI sul pericolo del «pancristianesimo», l’operazione 36 - R. Graber, «Athanasius», Civiltà, pagina 43.
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ecumenista di allora, con enciclica «Mortalium animos», 1928); Pio XII, contro la «nuova teologia» per una «nuova chiesa» (enciclica «Humani generis», 1950). L’attrazione modernistica di Roncalli per il laicismo e per il pensiero ecumenista e massonico, lo rendeva pure ammiratore della civiltà pragmatica americana e della sua «fede» americanista in continuo «aggiornamento» (37).
37 - Tale affinità è descritta e lodata da Lucia Butturini, «Tradizione e rinnovamento nelle riflessioni del giovane Roncalli», Aa.Vv., Servitium editrice, 2003, pagine 13-23.
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L’inversione religiosa illuministica è lanciata Quanto era visto in quei giorni dal Papa Leone XIII (Lettera «Testem benevolentiae», 22 gennaio 1899) come il pericolo americanista, per Roncalli era motivo di ottimismo. Così, poi, per inserire tali idee nei documenti del Vaticano II, in speciale sulla «libertà religiosa», era stato invitato come «perito» principale John Courtney-Murray, «teologo americanista». Da allora non fu più Roma a giudicare gli errori americanisti, ma questi a tracciare il nuovo indirizzo ecumenista della chiesa conciliare, in barba a tutto il Magistero cattolico precedente! I promotori e i teologi di queste deviazioni furono tutti invitati a Roma e poi promossi nella «chiesa conciliare» inaugurata da Giovanni XXIII. Tale processo aveva come obiettivo quello di inglobare il Cristianesimo in una super religione sincretista. Tuttavia, nel considerare tale processo sincretistico, giova por mente prima ancora che al contrasto con la dottrina cattolica a quello coi principi basilari della logica. Da un lato esso ricorre all’esoterismo ultrasensibile dell’antroposofia. Dall’altro a un illuminismo che mette in dubbio, prima che la fede, i princìpi di causalità, di finalità e d'identità e non contraddizione. È vero che il «pensiero» illuminista, come quello modernista è essenzialmente relativista ed equivoco; si dimostra piuttosto una tendenza. Questa, però, ha solo il senso d’opposizione al senso teandrico della fede cristiana, alla Tradizione, che ha il senso della Parola di Dio all’uomo. Quindi, l’inversione illuministica ha per senso definito quello del pensiero umano su Dio; pensiero illuminista messo in atto dalle organizzazioni come la Massoneria, la cui visione può essere deista, gnostica o agnostica, anche teosofica, antroposofica o manichea; ogni pensiero d’aspetto trascendentalista - in verità immanentista - vi rientra, l’importante è che sforni pensieri e politiche per governare il mondo stabilendo alleanze con quanti intendono cacciare l'influenza sociale del pensiero soprannaturale che viene da Dio all’uomo. Tutta la discussione sulla vacuità di tale illuminismo è però inutile di fronte all’evidenza che tale spirito regge la mentalità moderna, in modo sempre più dominante in ogni campo inoculando il pensiero deviato degli avversari dichiarati dell’Ordine cristiano pure nel «cattolicesimo» di Benedetto XVI, che ne fa l’apologia ai mussulmani (22.12.09). Rivediamo le parole di Pio XII che riassumono la radicale inimicizia tra tale spirito rivoluzionario e quello cristiano: (Discorso all’Azione Cattolica del 12 ottobre 1952): “Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di 116
operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell'unità nell'organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; talvolta l'autorità senza la libertà. E' un nemico divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo a additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il nemico si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle università, nella scuola, nella famiglia, nell'amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra. Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l'amore fra gli sposi…”. Pio XII vedeva allora il processo così avanzato da ritenere vano “andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare rovina e morte”, ma che si dovesse “vigilare... affinché il lupo non finisca col penetrare nell’ovile per rapire e disperdere il gregge”. Eppure l’occupazione è avvenuta! Quanto il pensiero cattolico, confermato dai Papi, rifiutava come perverso, i pastori conciliari lo promuovono in seguito alle grandi aperture alla modernità, e cioè al relativismo naturalistico gnostico e massonico a cui Giovanni XXIII ha spalancato le porte. Tutto sembra riportare ad un piano che è una forma di «compromesso storico globale», senza esclusioni ideologiche o religiose. Esso implica l’idea che l’uomo sia intrinsecamente buono e perciò che la verità e la Chiesa non abbiano veri nemici. Quei presunti nemici sarebbero solo frutti d’incubi dovuti a tempi d’in-tolleranza e di chiusura. Perciò, la Chiesa deve e può operare nel senso di un’apertura ottimistica al mondo e a ogni utopia. Ecco che per raggiungere questo «bene» ogni stratagemma sarebbe lecito e benvenuto, come l’asserita ispirazione dall’alto, militata da Giovanni XXIII e presa per buona per convocare il Vaticano II, in barba ad ogni criterio di prudenza cattolico per quanto riguarda la difesa della fede nel mondo attuale. Infatti, di fronte ai fatti soprannaturali, la Chiesa va con «i piedi di piombo». Tra le migliaia di miracoli avvenuti a Lourdes nei cent’anni successivi all’apparizione, per esempio, ne sono stati riconosciuti solo una sessantina. In realtà, l’atteggiamento di fiducia nel mondo e nelle proprie forze, contrabbandati 117
dal «buonismo» di Roncalli, già indicava un pensiero con radici pelagiane. Ciò fu notato nel mondo cattolico e espresso da alcuni noti scrittori come Anthony Burgess, che inviò alla Congregazione per la causa dei santi in Vaticano, dossier contro la beatificazione di Roncalli, consistente nel considerare la falsa bontà umana che mascherava l’errore consistente nel ritenere l’uomo buono per natura, errore che ha fatto del secolo XX, dal punto di vista dell'ignoranza del male originale, il più terribile di tutti i precedenti (38). Infatti, Giovanni XXIII «ispirato» a convocare il Vaticano II, ma aperto ad ogni visione gnostica, è un fatto inaudito e spaventoso, trattandosi di chi occupava la Cattedra di Vicario di Cristo (39). Queste tacite apostasie sono nei documenti del Vaticano II e dintorni. Dunque, quel lavorio filosofico e liturgico, con cui il Protestantesimo minò la Chiesa nel Cinquecento, è compiuto nei nostri tempi. Allora i Papi e il Concilio di Trento affrontarono il pericolo rinsaldando l’autorità cattolica. Oggi, l’attacco avviene nel cuore dell’apparato pontificale (40). A quel punto si è formata una resistenza cattolica contro dichiarazioni e documenti che non potevano essere approvati da nessun vero papa né da un concilio ecumenico, ma solo da anti papi e da conciliaboli. Se il modernismo conciliare intendeva cancellare il soprannaturale della storia, è proprio la storia attuale a registrare sempre più la conferma dei segni apocalittici di questa inversione religiosa nel “compimento del tempo delle nazioni” profetizzato da Gesù, con tutte le sue devastanti conseguenze, civili e religiose. È quel che si vedrà in seguito.
ANNESSO I – U.R.I. L'iniziativa delle religioni unite (United Religions Initiative, URI ), è un tentativo internazionale nato nel 1993 in seno al Parlamento delle Religioni di Chicago per unire le religioni ai fini mondialisti, secondo l’idea teosofica e massonica. Si mirava a dar
38 - «O Estado de São Paulo», 10 gennaio 1982. 39 - Ad aggiungere un aspetto tragicomico, per non dire demoniaco, oggi tutti possono vedere su youtube immagini di Roncalli che s’intrattiene pure con gli extraterreni: http://www.youtube.com/watch? v=rRC1Uqwac-8.
40 - Vedi l’articolo «L’Antichiesa» di Mons. A. Castro Mayer, agerecontra.
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vita ad un'autorità sopranazionale che avrebbe come ramo spirituale una sorta di ORU, che sta per l’unione delle religioni come l’ONU per le Nazioni Unite. Di recente l’idea fu espressa da Sir Sigmund Sternberg, nella sua qualità di direttore del Consiglio Internazionale di Cristiani ed Ebrei, insieme a Robert Muller, rappresentante New Age presso l’ ONU. Nel 1982 Sternberg era nominato Cavaliere del Pontificio Ordine Equestre di San Gregorio Magno da Giovanni Paolo II, per il quale organizzò l’incontro con la Sinagoga del 1986, adoperandosi in seguito per il riconoscimento di Israele da parte del Vaticano, compiutosi negli anni 93-94. Nel 1988, Sternberg ricevette le insegne del massonico Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, che fa capo alla corona britannica (Lo Sternberg Centre for Judaism di Londra è il maggior seminario rabbinico europeo). In questa veste Giovanni Paolo II, nel 1994, lo ha ricevuto in Vaticano come guida della delegazioni britannica per il concerto tenuto per commemorare la Shoa. Nel 1998, Sternberg, per aver operato a favore del sincretismo interreligioso, fu insignito del massonico premio Templeton per it Progresso delta religione, e in seguito riceveva la laurea honoris causa conferito dalla Open University del miliardario George Soros. Inoltre, Sternberg patrocina, a fianco di Gorbaciov, del Dalai Lama e della moglie del fondatore di Scientology Barbara Marx Hubbard, della Commissione mondiale per la Coscienza e la Spiritualità globali ("World Commission on Global Consciousness and Spirituality"), presieduta dal new ager R. Muller, the riunisce leader mondiali al fine dichiarato di "coltivare la visione globale e la sapienza per it nuovo millennio". Massoneria, B’nai B’rith, Tempio della Comprensione di New York (gestore della Cappella della Meditazione al Palazzo dell’ONU), Teosofia, Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra (W.C.C.), Fondazione Gorbaciov. L’impresa U.R.I. venne estesa a tutto il mondo, con la partecipazione di cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, baha'i, indù, sikh, zoroastrani, seguaci del New Age e della Wicca (movimento neopagano di cultori delta stregoneria), ecc. Essa è affine alle iniziative di "preghiera" comune, come è avvenuto ad Assisi. La necessità dell'U.R.I. veniva sottolineata da Muller in questi termini: "Le Nazioni Unite sono it cervello globale iniziale dell'umanità [...]. Abbiamo ancora bisogno di un'anima globale, vale a dire la nostra coscienza e la fusione con l'intero universo e col fluire del tempo", aggiungendo: "I nostri supremi interessi includono l'apoteosi del genere umano [...] le maggiori religioni in fin dei conti mirano tutte alla stessa cosa". Tutto ciò era legato alle idee di una filosofia dell'ecologia spirituale, un’etica globale e quant’altro. Perciò è davvero estraneo che vescovi cattolici abbiano fondato la Conferenza mondiale per la Religione e la Pace (W.C.R.P. World
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Conference on Religion and Peace) che, col suo “contributo” di sincretismo e ecumenismo conciliare, è associata all’URI e accreditata presso l'O.N.U., col supporto di Giovanni Paolo II. La sesta assemblea generale della Conferenza il 3 novembre 1994 tenne i lavori d'apertura presso la sala sinodale della S. Sede, col tema: "Risanare il mondo: le religioni per la pace". Si trattava della prima conferenza interreligiosa della storia della Chiesa tenuta in Vaticano, con l’intervento personale di Giovanni Paolo II in veste di presidente di un'assemblea di quasi mille rappresentanti di quindici fedi diverse e associazioni non cristiane. Sotto le volte vaticane risuonarono per due ore, in presenza di Giovanni Paolo II, versi del Corano ed ebraici, come pure invocazioni per la pace di scintoisti, buddhisti e indiu, intervallati da blues africani". Il W.C.R.P. è il tramite ufficioso del Vaticano con i gruppi interconfessionali a proiezione mondialista come l’U.R.I., mentre il canale ufficiale rimane il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. Il quartier generale della W.C.R.P non risiede a Roma, bensì al numero 777 dell'United Nations Plaza di New York, dove lavora a stretto contatto con l'O.N.U., con l'U.N.E.S.C.O. e l'U.N.I.C.E.F. Tutto ciò mira ad una religione planetaria unica, che deve impregnare del suo spirito gnostico la Repubblica Universale, sotto un Governo globale. Di questa unità fra le religioni già scriveva nel 1946 sulla rivista Le Temple un'autorità in campo massonico, il Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio di Francia, il 33 barone Yves Marsaudon, legato a Giovanni XXIII da stretti vincoli di amicizia.
ANNESSO II - GIOVANNI XXIII: ANTIPAPA BIS? «Giovanni XXIII» fu il nome scelto da Baldassarre Cossa (COSCIA, sigla C.), di nobile famiglia napoletana. Sulla sua gioventù si diffusero leggende ostili; si sa di certo che fu famigliare del card. Pietro Tomacelli; quando questi fu creato papa con il nome di Bonifacio IX (1389), il C. diventò cubiculario, e non ebbe scrupolo nell'uso dei mezzi per far denari; e per denaro sarebbe riuscito a farsi creare cardinale diacono di S. Eustachio il 27 febbraio 1402. Tenne il governo di Bologna come legato ed il 26 giugno 1409 fu fra gli elettori di Alessandro V, dell'obbedienza di Pisa. Si diede premura di condurre l'eletto a Bologna dove questi morì; ed il 17 maggio 1410 in quella città il C. fu eletto a succedergli con il nome di Giovanni XXIII. Essendo riuscito a far pace con Ladislao re di Napoli, poté radunare durante il 1413 un concilio a Roma, com'era stato stabilito a Pisa nel 1410, e vi condannò i libri di Wiclef. Ma costretto a lasciare la città, riparò nell'Italia settentrionale, e dietro le istanze di
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Sigismondo, re di Germania, indisse il 3 ottobre il Concilio di Costanza per il io nov. 1414, Vi si trovò infatti per il giorno fissato, sperando di avere ragione sui suoi due avversari: Gregorio XII, il papa legittimo, e Benedetto XIII, il papa di Avignone. Accortosi che male voci circolavano contro di lui a Costanza, profittando di un torneo solenne lasciò di nascosto la città il 20 marzo 1415 con l'occulto favore di Federico duca di Tirolo. Egli sperava che il Concilio si sarebbe sciolto; ma re Sigismondo ch'era presente riuscì a farlo continuare per provvedere alla cessazione dello scisma ed alla riforma della Chiesa. Il Concilio infatti sancì la propria autorità e nel maggio citò Giovanni a comparire. Questi che da Sciaffusa, dove s'era rifugiato, era passato a Laufenburg, poi a Friburgo e a Breisach, abbandonato dal duca di Tirolo, si sottomise, fu imprigionato a Radolfzell; ed il 29 maggio fu deposto, dopo un breve processo « come simoniaco, dissipatore dei beni ecclesiastici, amministratore infedele della Chiesa tanto nello spirituale che nel temporale ». In quello stesso concilio ch'egli aveva radunato, Giovanni ratificò tale sentenza senza fare alcuna opposizione. Egli rimase prigioniero sotto severa custodia e la sorveglianza di Lodovico di Baviera nel castello di Hausen. Riconobbe poi nel 1418 come vero papa Martino V, che lo nominò cardinale vescovo di Tuscolo (1419). Il C. mori a Firenze il 22 nov. 1419 e fu sepolto nel battistero della città, dove gli fu eretto un monumento sepolcrale per ordine di Cosimo de' Medici da Michelozzo e da Donatello.(da Pio Paschini su Enciclopedia Cattolica, Vol. IV, voce Cossa). Ora, Roncalli, eletto papa, ha preso il nome di questo antipapa, che comunque è morto cardinale nominato dal vero Papa, Martino V, perciò ritenuto di fede cattolica. In tal modo Cossa si rivelò estraneo all’arcano “complotto” per sostituire la Chiesa di Cristo con una segreta “Controchiesa”, sospetto che grava invece su Roncalli, per le ragioni esposte in molti studi, per cui prima o poi sarà necessario instaurare un vero e proprio processo al suo operato; l’amore per la Verità e l’onore della Chiesa lo richiedono. Il “papa buono”, e questo appellativo la dice lunga sul modo come egli è stato lodato in vita, fino ad essere beatificato quasi a furor di popolo, lascia dietro di sé solo il fumo e le rovine di una Cristianità devastata a partire dal suo tempo.
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5 - GIOVANNI XXIII: PEDINA DI TRANSIZIONE O DI MUTAZIONE? Nei disegni divini il Cristianesimo, seguendo i passi del suo Fondatore, dopo la domenica delle Palme del suo trionfo, di durata millenaria, passò al suo millennio di passione, in cui la Chiesa dovette vigilare sempre più affinché gli avversari di Gesù Cristo non intorpidissero con manovre di falsa conciliazione il suo clero. In esso si distinsero, dall’inizio, quelli pronti a convertire il mondo e quelli propensi a convertirsi ai nuovi tempi. I primi, coscienti che la persecuzione alla Chiesa di Cristo è conseguente alla via tracciata dal suo Capo morto in croce, combattono la doppia battaglia, contro la decadenza propria e del mondo. I secondi, ritenendo la scalata mondana irreversibile, cercano alleanze per convivere col mondo anticristiano. In tal senso è sorta nei tempi moderni la politica delle grandi conciliazioni estesa al campo religioso; una politica dimentica del fatto che non ci sono articoli di scambio nel campo della verità. Trattare con quanto avversa la Fede per ottenere pace svela, oltre a un avvilente irenismo, un occulto manicheismo per cui verità opposte possono completarsi, come il bene col male. In questioni politiche, industriali, commerciali, fiscali, diplomatiche, ecc., può essere utile trattare, ma sempre che ciò non leda il principale, d’inestimabile valore anche sociale, ovvero la Fede che indica il male e coltiva il bene. Testimoniare la Fede è, quindi, la vera azione per migliorare la convivenza umana in vista del suo fine ultimo, azione di alto costo, ma l’esempio viene dal Signore e fu seguito fino alla morte, dal tempo dei primi cristiani ai nostri giorni in cui il Cristianesimo è la religione più perseguitata del mondo, se non con le armi, con una politica sociale edonista che oscura la visione spirituale riguardo alla morte, al giudizio, all’inferno e al paradiso. Eppure, proprio queste sono le luci che debbono essere presenti nelle coscienze per frenare il male nella vita personale e sociale. Il mondo moderno, invece, abbagliato dalle luci dei grandi progressi materiali, applaude quegli spiriti illuminati, quelle «libere coscienze» decise a «liberare» le coscienze altrui dalle luci divine. San Pio X («Pascendi») spiega che il modernista parifica la rivelazione divina, niente meno che alla coscienza ideale del «buon selvaggio», dell’uomo che si ritiene «naturalmente buono», secondo la religione dell’uomo che si fa dio. Questo spirito mondano del falso progresso fu accolto e onorato “i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette” (Discorso di 122
Paolo VI alla chiusura del Vaticano II) è una versione «cristiana» del modernismo che onora gli atei. È la perversa contraddizione filosofica modernista consistente in camuffare l’inoculazione dell’idealismo immanentistico, da cui proviene, nel-l’apparenza dei princìpi trascendenti che combatte. Il suo metodo è quello di ergere «valori contro principi»: una scienza contro la religione, una sociologia contro la Dottrina, un perdonismo contro la giustizia, un’altra storia contro la Rivelazione, insomma una «ragione illuministica» contro le luci della Fede. A questa luce, Giovanni Paolo II, alla stregua di Caifa, che profetizzò che Gesù doveva morire per riunire i figli di Dio (Gv 11, 50-52), testimoniò in un’omelia a Fatima del 2000, il brano dell’Apocalisse (12), sul Signum magnum, della Donna vestita di sole e del drago rosso che, inseguendo i suoi figli, “trascina con la coda un terzo delle stelle del cielo e le precipita sulla terra” (12, 4); un evento dei tempi della grande scristianizzazione del mondo, iniziato col Vaticano II. Possiamo non testimoniarlo, ricorrendo agli aiuti profetici dati da Dio per la difesa della Fede? In questi termini avviene la vera guerra mentale scatenata nel mondo contro il Verbo che ha istituito la Chiesa per attirare al cielo il pensiero e la volontà delle anime, sempre bisognose di liberarsi dalla morsa naturalista del mondo che soffoca ogni respiro soprannaturale. Naturalmente oggi tutto ciò è schernito da quanti si accordano ai piani dei moderni poteri terreni che operano per suscitare nella Chiesa una «nuova classe» d’appoggio al nuovo ordine mondiale di marchio illuministico. Tali poteri sono enormi e subdoli. Si pensi alla promozione che la loro stampa fa di figure dottrinalmente inconsistenti come il «teologastro» Hans Kueng, il cui «pensiero moderno» è mondialmente esaltato al servizio di un piano per screditare il Cattolicesimo che, secondo quei poteri, avrebbe fallito nella sua missione. Perciò c’era «bisogno» di trasferire la guida della Chiesa a una nuova «intellighenzia cattolica», come si era tentato in passato con Rampolla. Ma dove quell’aquila aveva mancato l’obiettivo, forse avrebbe potuto riuscire un apparente passerotto di “semplicità geniale”, come Roncalli era stato definito da Jean Guitton. L’ora opportuna si ripresentò col conclave che seguì alla morte di Pio XII. Era l’occasione della scalata finale alla Chiesa da parte dei poteri occulti che, per meglio dominare il mondo materiale, avevano bisogno di una «chiesa globale». E Roncalli da giovane si era dimostrato adatto a operare tale mutazione religiosa sostenendo il principio che si deve cercare prima quel che unisce piuttosto 123
che le visioni soprannaturali, dogmatiche e storiche, costitutive della Fede, come la Santissima Trinità, che invece dividono.
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L'ora cruciale per la Chiesa: il Conclave del 1958 Come professore modernista gli era stato perciò interdetto d’insegnare una storia priva di quel soprannaturale che fonda la religione, ma divide con il sì sì no no; storia sacra rivelata da Dio affinché l’uomo passi dal contingente mondano all’assoluto divino; passaggio a rischio poiché in agguato si insinuavano le «gnosi illuminate» da «dottrine segrete», per infettare con fermenti di una «religiosità» naturalista, la Fede del Dio Uno e Trino. Fatto è che una volta corrotto l’amore per cui l’essere umano si dispone a rinunciare ai piaceri del mondo, della carne e della mente, spunta quell’altro amore mondano che suscita proprio l’attrazione contraria e l’uomo, non pensando più come crede, né vivendo più come pensa, finisce col credere come vive; fa del presente la sua regola di coscienza. Ecco i connotati dello «spirito conciliarista» svelatosi nella nuova «prassi pastorale», intenta a sostituire la professione di fede della Chiesa, i suoi princìpi, norme e azione sociale, con l’«amore per il mondo moderno»; amore che ha per norma l’umanitarismo, per speranza la evoluzione della coscienza, per carità il soggettivismo che adatta i Vangeli ai «bisogni» dei tempi; e tale «nuova pastorale» si svolge con una nuova liturgia orizzontale, ecumenista e mondialista, tutte contraffazioni modernistiche per introdurre subdolamente nella Chiesa lo spirito del relativismo ecumenista, foriero del nuovo ordine mondiale. La missione del successore di Pietro è quella di continuare ad operare seguendo il compito affidato agli Apostoli da Gesù, ossia di convertire i popoli della terra, prima di tutti il suo, gli ebrei, alla verità per cui è venuto al mondo. È in ciò che il Papa deve confermare i suoi fratelli. Poiché la perfezione nel pensare e nel volere non è attributo umano, così come non lo è la perfezione nella fede, gli uomini elevati a tale carica di supremo magistero, rimediano alla propria imperfezione procedendo per amore a Cristo, alla Sua parola, alla verità da Lui tramandata, unica conoscenza assicurata dall’autorità di Dio in terra manifestata nella Sua Chiesa. Il Concilio Vaticano I insegna che la sola ragione umana può giungere al riconoscimento di un Dio Creatore. Ma altro è per le creature voler conoscere da sé la propria origine, stato e fine ultimo, cioè il proprio bene, quello che nella Bibbia è nell’albero della scienza del bene e del male, conoscenza impossibile all’uomo al infuori della Rivelazione di Dio, da cui dipende l’ordine nel mondo. Essa non può essere appresa dal
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«progresso delle scienze umane», ma solo dalla Parola rivelata; nessun vero bene per l’uomo è raggiungibile senza la Rivelazione.
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Il colpo da maestro di Angelo Roncalli Eppure, tale «progresso» e «evoluzione» senza limite della conoscenza umana, era divenuto il grande scopo possibile anche per una nuova classe clericale, che per arrivare a tale «bene» doveva ergere la nuova autorità aggiornata ai nuovi tempi, abbattendo quella vecchia. Era in gioco, sempre di nuovo, la pretesa umana di dettare il proprio «bene». Il Conclave del 1958 sarebbe l’occasione per realizzare tale scopo. Ora, il Conclave per eleggere il Papa raggiunge il suo scopo quando l’eletto, avendo i requisiti prescritti di lucidità e fedeltà per la carica, accetta con un atto esterno l’investitura, a cui deve certamente corrispondere un atto interno. Entrambi gli atti si devono rendere noti nel giuramento solenne di fronte a Cristo, pubblicamente professato dall’eletto secondo la Fede, che vuol dire, ancora più del Battesimo, la rinuncia a Satana, alle sue pompe e alle sue opere, come lo è la Massoneria nemica della Fede. Tale assegnazione soprannaturale è descritta come il momento in cui la Chiesa sceglie un degno confessore della Fede, affinché esso riceva direttamente da Dio l’autorità per rappresentarLo, mai per contraddirLo. Una era la questione: Roncalli eletto al soglio di Pietro aveva il proposito giurato di preservare la continuità cattolica? È innegabile che avessi un cervello fino a cui deve la carriera, ma essa è andata molto oltre le sue aspettazioni e le sue doti religiose. L’abilità di Roncalli era d’altro tipo. Già importanti osservatori politici lo avevano notato, e con favore. In particolare alcuni non italiani. Robert Kaiser, accreditato per seguire il Vaticano II come corrispondente del «Times magazine» che aveva stretto rapporti di amicizia con Giovanni XXIII e lo descriveva come un «genio politico» che sotto l’apparenza di umile prete di origini contadine era un «astuto rivoluzionario» (Robert Blair Kaiser, «Pope, Council and World», N.Y. Macmillan, 1963). Anche M. Trevor («Pope John», N.Y. Doubleday, 1967) notava che molti vedevano un aspetto «machiavellico» nelle attività di Giovanni XXIII. Similmente, Avro Manhattan («The Vatican Moscow Alliance», N.Y. Ralston Pilate, 1977) intravvedeva in lui un «rivoluzionario determinato» e un «Papa socialista». Come si vede «l’enigma Giovanni XXIII» sollevava perplessità già in quel periodo critico per la Chiesa e per il mondo. I più sagaci capivano che Roncalli anticipava una nuova classe di «rivoluzionari religiosi» impegnati a stabilire in modo occulto un nuovo ordine democratico, da cui una nuova
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chiesa - più universale - sarebbe sorta col marchio ecumenista e come grande «animatrice» religiosa riunendo varie chiese. “Furono massoni il primate della chiesa anglicana Fisher e il patriarca Atenagora della Chiesa ortodossa, con i quali Giovanni XXIII iniziò un dialogo ecumenico in clima di fraterna comprensione” (il Gran Maestro Giuliano Di Bernardo nel libro «Filosofia della Massoneria», Marsilio, p. 146). Atenagora, patriarca «ortodosso» di Costantinopoli, così come altri, dimostrò di aver ragione nel vedere Roncalli come un nuovo Giovanni Battista, precursore di Montini e di una «evangelizzazione» di nuovo conio. Per le ragioni descritte, confermate dal dossier sulla carriera di Roncalli, da cui risultavano le sue intenzioni eterodosse - come poi sarebbe stato per Montini – c’erano gravi controindicazioni alla sua elezione al pontificato. Il Sant’Uffizio, che era in possesso di quel dossier, ne era al corrente delle sue idee moderniste. Ma i cardinali Ottaviani e Tardini, convinti che Roncalli sarebbe stato un Papa di transizione, ritennero di poterne prescindere contando sul giuramento che avrebbe seguito l’elezione papale. Erano sicuri di poter poi pilotare quell’anziano chierico che supponevano ingenuo e docile. In quella occasione, risulta che l’interessato per dirimere ogni dubbio si sia prestato a scrivere in grande sul suo dossier di non essere mai stato modernista. Comunque, per quei due prelati, in quel momento era più importante stabilire un accordo per la conferma di Tardini a segretario di Stato o, nel caso che Roncalli fosse eletto, piuttosto che approfondire l’ortodossia di quel dubbio papabile. Così, dopo le trattative per assicurarsi le «buone» intenzioni di quel cardinale considerato come un «buono» da Ottaviani e Terdini malgrado che il suo dossier lo rivelasse sospetto, divennero i principali elettori di Roncalli nel Conclave del '58. Mi confermò le ragioni della scelta di questa bislacca candidatura, una scelta che avrebbe orientato quella di altri cardinali, il giornalista Emilio Cavaterra, biografo del «Carabiniere della Fede» («Il Prefetto del Sant'Offizio», Mursia, Milano, 1990). Tale leggerezza riguardo all’elezione del successore di Pio XII era in stridente contrasto con le preoccupazioni di Pio XII che prima di morire aveva previsto: «dopo di me il diluvio». Secondo quel Papa, infatti, il meno peggio dei candidati sarebbe stato il cardinale Siri, che però venne subito scartato perché la sua assai giovane età faceva presagire un pontificato troppo lungo per le intenzioni di allora. Fu così che la scelta cade sul vecchio Angelo Roncalli. Di tale scelta, quei due autorevoli 128
cardinali si pentirono poi amaramente, ma era troppo tardi: colui era ormai elevato alla posizione per compiere la mutazione della Chiesa. L'enigma di quel solenne giuramento tradito Il dossier su Roncalli, presente negli Archivi Vaticani, fu rimosso da lui stesso insieme con quello di Montini. Un delitto perfetto, non fosse Roncalli un chiacchierone che, ormai, senza paura lo ammise pubblicamente. (Nichitaroncali, p. 41). Se non è vero si comprovi che il dossier è ancora completo negli Archivi Vaticani. In ogni caso nessuno nega che Giovanni XXIII, con sorpresa di molti, sia stato l’iniziatore di un processo di profonda mutazione nella Chiesa. Eppure il giuramento papale lo escludeva, sotto pena di severo giudizio di Dio. «Io prometto: di non diminuire o cambiare niente di quanto trovai conservato dai miei probatissimi antecessori e di non ammettere qualsiasi novità, ma di conservare e di venerare con fervore, come vero loro discepolo e successore,con tutte le mie forze e con ogni impegno,ciò che fu tramandato; di emendare tutto quanto emerga in contraddizione con la disciplina canonica, e di custodire i sacri Canoni e le Costituzioni Apostoliche dei nostri Pontefici, quali comandamenti divini e celesti, (essendo io) consapevole che dovrò rendere stretta ragione davanti al (Tuo) giudizio divino di tutto quello che professo; Io che occupo il Tuo posto per divina degnazione e fungo come Tuo Vicario, assistito dalla Tua intercessione (...) Perciò, ci sottoponiamo al rigoroso interdetto dell' anatema, se mai qualcuno, o noi stessi, o un altro, abbia la presunzione di introdurre qualsiasi novità in opposizione alla Tradizione evangelica, o alla integrità della Fede e della Religione, tentando di cambiare qualche cosa all'integrità della nostra Fede, o consentendo a chi pretendesse di farlo con ardire sacrilego. (...)» (dal: «Liber Diurnus Romanorum Pontificum», pagine 44 o 54). Alla luce di questo giuramento, così come di quello precedente, «antimodernista», si deve dedurre che Giovanni XXIII non credeva, o che esso potesse riferirsi al suo «aggiornamento», o che lo potesse vincolare, o che le mutazioni legate al piano che lui doveva attuare, anche se già condannate dalla Chiesa, fossero da evitare perché sgradite a Dio. Tali giuramenti esistono, però, proprio perché chi li presta dimostri di ritenersi pubblicamente vincolato ai loro termini dettati dalla Chiesa. Di questo giudizio, evidentemente, Roncalli non aveva paura, così come non lo 129
preoccupava il suo precedente giuramento antimodernista, né l’anatema che spergiurando aveva attirato su se stesso. A questo punto, visti i sistematici cambiamenti che Giovanni XXIII ha operato, come sarà descritto, si può pensare che per la sua fede modernista essi non raffigurassero un male ma un bene perché conformi ai «bisogni dei tempi». Infatti, per i modernisti, oggi può essere un bene quanto ieri la Chiesa riteneva un male, in particolare, anzi soprattutto, i «valori dell’illuminismo». Infatti, una volta negato, in nome del relativismo e dello storicismo illuminista, il concetto di verità immutabile, intangibile e trascendente, insomma di verità oggettiva, viene meno necessariamente anche il principio di continuità e il papa di questa nuova chiesa cessa di essere il custode per divenire il padrone di una rivelazione immanentistica di nuovo genere: l’uomo al posto di Dio. Naturalmente relativizzata, e quindi negata la verità, sfuma anche il concetto di spergiuro che alla distinzione vero-falso è strettamente correlato. È poi importante considerare che nell’ottica del relativismo immanentista l’errore per eccellenza è l’immutabilità del vero, l’idea, cioè, di quel Dio, che, come dice San Paolo (Eb 13, 8) resta sempre il medesimo, ieri, oggi e anche per i secoli. L’idea contraria, quella degli innovatori modernisti, sarebbe la continuità del Magistero della Chiesa a dover essere rivista e ogni mezzo per raggiungere questo fine, anche qualche «geniale» spergiuro, poteva essere «buono»! La continuità dev’essere vista sia nel rapporto della Chiesa con l’autorità divina, sia nel suo rapporto con l’insegnamento e la diffusione della fede. Il Papa non trae il suo potere dalla propria intelligenza o competenza, né da idee o scienze umane, che sono per natura relative, ma dalla Parola del Salvatore tramandata senza soluzione di continuità. Quale continuità qualifica la missione papale? Il Papa, per rappresentare l’autorità divina, conoscendo la debolezza umana, si fa assistere da una cerchia di saggi fedeli. È la funzione della Curia. In questo senso il Papa quando accetta la carica presta un giuramento solenne ed è attento ai consigli dei suoi fratelli nell’episcopato. È nei Sacri Libri l’evento dei giudaizzanti, per cui Paolo “resistete in faccia” a Pietro, che accolse la dura critica, di cui sarà grato, perché quella del Papa è una missione vicaria. Nei nostri tempi quest’assistenza necessaria è fornita ordinariamente dalla Curia romana che circonda il Papa, così come per i gravi problemi ricorre straordinariamente ai Concili ecumenici, presieduti dal Papa, quando sono vagliati importanti documenti apostolici; tutto, onde evitare ogni 130
minaccia di deviazione dalla missione di preservazione e diffusione della fede integra e pura, come fu affidata alla Chiesa dal Signore. Allo stesso modo la Chiesa ricerca la formulazione più chiara, che eviti quelle ambiguità che mascherano errori ed eresie. Perciò conserva la lingua latina, che a causa della sua struttura è adeguata a esprimere con precisione concetti filosofici e sentenze giuridiche.
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Quali mutazioni Giovanni XXIII voleva operare nella Chiesa? Si può credere che nella preservazione della Fede nella Chiesa in tutto che c’è per suo uso, come la lingua Latina, ci sia la mano della Provvidenza. Ma il Vaticano II non riuscì neppure con un po' di latino a coprire errori ed eresie in mezzo a sterminate ambiguità. Come riconoscere in esso continuità nella rappresentazione dell’autorità divina, quando l’«ag-giornamento» di Giovanni XXIII s’è rivelato vera rottura. Poteva essere altrimenti con le idee moderniste che recava? Contravvenendo al giuramento di preservare «quanto trovò conservato dai suoi probatissimi antecessori», ogni suo frutto era già degenere. Perciò, quanto al rapporto di continuità con l’insegnamento e la diffusione della fede, Giovanni XXIII con il suo Vaticano II, rinunciando alla infallibilità della Chiesa, ha dimostrato la sua deliberata intenzione di discontinuità. Infatti, le deviazioni dell’ecumenismo «pancristiano», in subdolo contrasto con la dottrina della Chiesa seguivano le «novità ecumenistiche» di don Lambert Beauduin OSB, l'uomo di fiducia del cardinale Mercier, che in seguito alla pubblicazione dell’importante enciclica «Mortalium animos» si era trovato costretto a dare le dimissioni da priore del monastero di Amay. Mentre, però, Pio XI accusava il tentativo eretico di Beauduin, Roncalli lo riteneva buono. Così don Lambert, ricevuto festosamente da Roncalli nel 1954 a Parigi, diceva: “Se eleggessero Roncalli papa tutto sarebbe salvo; abbiamo la nostra chance; egli sarebbe capace di convocare un concilio per consacrare l’ecumenismo ... i cardinali nella maggior parte, non sanno cosa devono fare. Sono capaci di votare per lui» (41). Questo «maestro», quindi, non poteva restare nemmeno come priore di un convento cattolico, ma il suo discepolo, Roncalli, poteva addirittura divenire papabile. Divenuto Giovanni XXIII, infatti, egli attuò subito «il metodo di don Beauduin... quello buono», mettendo in moto la macchina conciliare chiamata a «consacrare» il relativismo ecumenista. Così ha operato nel senso di promuovere quella liturgia e ecumenismo... per una nuova uguaglianza tra le chiese. Tre giorni prima dell'indizione del Vaticano II, Roncalli confidò ad Andreotti: “Molte delle anticipazioni di allora [del modernismo] erano poi divenute feconde realtà. Il Concilio le avrebbe costituzionalizzate” («I quattro del Gesù Storia di un'eresia», p. 41 - L. Bouyer, «Dom Lambert Beauduin, un Homme d’Eglise», Castermann, 1964, pp. 180-181, citato da Didier Bonneterre, «Le mouvement liturgique», Fideliter, 1980, pp. 112,113.
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104). Ecco la conferma testimoniale di quale sia, sin dalle sue origini, l’«intenzione conciliare» di Giovanni XXII, che continua a essere predicata come cattolica. Lo vediamo anche da come si esprimeva il cardinale Ratzinger ieri e da come lo fa oggi Benedetto XVI, riguardo al programma del Vaticano II iniziato da quel suo predecessore. Di tale «aggiornamento» l’allora prefetto della Congregazione per la Fede, è stato tanto promotore quanto esecutore, avendo rivelato a Vittorio Messori («Inchiesta sul Cristianesimo», SEI, Torino, 1987, p. 152): «Il problema degli anni sessanta era di acquisire i migliori valori espressi in due secoli di cultura liberale. Ci sono, infatti, dei valori che, depurati e corretti, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro luogo nella visione del mondo. Questo é stato fatto» (con il Vaticano II). Si trattava del processo di «ralliement» («allineamento») clericale al mondo moderno e al suo illuminismo, con la scusa che la Chiesa andava aperta ai «valori migliori espressi da due secoli di cultura liberale» (ibidem); cioè alla libertà, eguaglianza e fraternità rivoluzionarie. Il piano d’«aggiornamento» della Chiesa, messo in atto da Giovanni XXIII, proveniva da idee estranee alla cattolicità e perciò non poteva che essere orchestrato da potenti «lobby» rivoluzionarie favorite dalla ingenuità, ignoranza o complicità di preti forse inconsapevoli che il piano mascherato da «aggiornamento culturale» mirava a una vera inversione religiosa. Chi può negare che Giovanni XXIII abbia operato per abbassare le difese della Chiesa e per aprirne la dottrina «assoluta» e eterna a un «aggiornamento» alle dottrine e allo spirito del tempo? Ciò non poteva che essere ordito da quanti volevano la Chiesa allineata “ai migliori valori espressi in due secoli di cultura liberale”; un nuovo ordine mondiale promosso oggi da Benedetto XVI, ormai senza veli. Aggiornamento alla cultura illuminista era la parola d'ordine Come si è visto, Giovanni XXIII spesso parlava attraverso le sue scelte «pastorali», ossia di nuovi pastori da lui eletti. Uno di questi fu il cardinale Frings, arcivescovo di Colonia che aveva per teologo personale il giovane prete Joseph Ratzinger, tutti assistiti dal gran teologo Karl Rahner. Costui è riconosciuto come la colonna portante del Vaticano II, o forse, come il principale esponente della corrente del Reno sfociata nel Tevere. Nel 1961, nella sua conferenza a Genova Frings espresse quella stessa intenzione di Giovanni XXIII per un cambiamento profondo nella Chiesa; disse che ormai era necessario fare della Chiesa cattolica «una Chiesa più universale». Affermò a chiare note che il particolare compito 133
della Chiesa di oggi è lo sguardo sull’umanità intera come un tutto: “Essa dovrà diventare Chiesa universale in un senso ancora più vasto di quello che sia stato sinora”. «Universale» è la traduzione del termine «cattolica» («cattolica» è la parola greca, «universale» la corrispondente latina). Parlano come se la Chiesa non fosse universale. La Tradizione ha dato al termine «cattolica» un senso preciso per significare che la Chiesa deve «conglobare» riunire, portare all’unità... della verità e all’unità della Fede. Poi, il termine «chiesa universale» fu impiegato come definizione di una chiesa aperta a tutto; l’idea che spuntava già nella conferenza del cardinale Frings, il quale aggiungeva: “Ci si può domandare se non sia altrettanto urgente il dovere di rivolgere lo sguardo a nuove forme dell’annuncio cristiano”. Il grave è che cambiare la forma dell’annuncio evangelico vuol dire correre almeno il rischio di cambiare il Vangelo. Come sarebbe possibile cambiare impunemente i termini che da sempre esprimono la Fede senza alterare anche la sua essenza? Sarebbe fattibile interpretare la continuità alla luce del mutamento, la Tradizione immutabile alla luce dell’aggiornamento ai bisogni dei tempi? La mutazione programmata per la Chiesa I «pontificati conciliari» sono stati riconosciuti nel mondo quasi senza proteste. Ma, si deve capire, ciò riguarda la fragilità, non la fedeltà dei cattolici. Comunque non mancò il sospetto sulla nullità di quel conclave se un cardinale, come Tisserant, dichiarò a porte chiuse «illegittima l’elezione di Roncalli, che, secondo quanto disse, fu voluta e preparata da forze estranee allo Spirito-Santo». Questo sospetto è in una lettera del cardinale a un abate docente di diritto canonico, (cf. ‘Vita’, 18/9/77, p. 4, NiRon p. 41)’. La reazione in questo senso trovava la sua ragione nelle celate mutazioni che si dimostravano strumenti per la sovversione religiosa in senso modernista e pancristiano. Pubblicazioni sono cominciate a circolare accusando l’illegittimità dell’elezione di Roncalli, perché voluta dalla massoneria (NR, p. 177)*. L’accusa si dimostrò fondata, pur senza valenza canonica. Ma il vero dichiarato è fatto universale, il tremore clericale è lacuna personale. Il fatto è che allora il sospetto «papa» ordinò “perquisizioni all’uscita di San Pietro, dei vescovi «più indiziati» d’insofferenza del nuovo corso” (ib.). Il sospetto non doveva in nessun modo circolare fuori porte. Si obietterà: chi può provare che Roncalli fosse massone? Forse nessuno, dato il segretismo della sétta. Ma se la Chiesa condanna il massone più per ciò che esso compie contro la fede, piuttosto che per la sua «tessera», Roncalli compì ciò che nessun 134
massone avrebbe potuto contro la Chiesa. Dimostrò così nei fatti di superare quanto qualsiasi gran maestro massone avrebbe potuto fare. Poteva tale intenzione segreta essere sconosciuta a Dio? Se il sostegno della Chiesa è la Fede trasmessa senza interruzione dalla Tradizione, non sono proprio le deviazioni moderniste e le idee massoniche contro di essa a demolire la Chiesa? Poiché il Papato esiste per assicurare questa Fede, un papa eletto per cambiarla e demolirla può essere un vero papa? Il frutto storico di tale cambiamento è senz’altro la generale scristianizzazione, iniziata proprio in seguito all’elezione e al nuovo «piano» di Roncalli, non fondato sulla dottrina rivelata, ma su un concetto ambiguo di «coscienza retta» esposto, come visto, nella «Pacem in terris», divenuta il riferimento della «Dignitatis humanae» del Vaticano II sulla «libertà religiosa». La nuova coscienza, maturata con i tempi, sarebbe stata capace d’interpretare i dogmi e la storia, non secondo la verità che libera, ma secondo la «visione teologica» che le é connaturale. Il «piano» partiva da tre iniziative annunciate da Giovanni XXIII: un Nuovo Codice di Diritto canonico, un Sinodo Romano e il Concilio Vaticano II. Ma le iniziative non annunciate, ma promosse, erano molte altre: una nuova Curia, adatta ai nuovi tempi; una serie di iniziative di senso rivoluzionario; una nuova religiosità che stigmatizzasse eventi come quello di Padre Pio e facesse a meno di segni celesti come Fatima: la presa di distanza dai vecchi e nuovi «profeti di sventura»; l’apertura del Collegio cardinalizio secondo i criteri geografici in voga nel mondo. Tutto seguendo i nuovi «principi» per cui si doveva privilegiare quel che unisce rispetto a quel che divide: una gestione religiosa di segno ecumenistico, che scartasse quanto il mondo moderno rifiuta della Fede. Si trattava di una gestione degli opposti, anche in materia religiosa, era perciò la meta prioritaria del modernismo roncalliano, aperto a varie richieste mondane, come equiparare l'autorità divina della Chiesa ai poteri democratici del mondo; ridurre la rivelazione a capitolo dell’umana conoscenza; declassare l'attività della Chiesa a quella di ente sociale; presentare dogma e filosofia cattoliche come dialettica discutibile; risolvere l’incompatibilità tra Magistero cattolico della «verità una» e i «lumi» del pluralismo moderno. Tali sono alcune contraddizioni che il modernismo conciliarista intendeva applicare alla religione e alla Cristianità, affinché la Chiesa - finalmente - potesse svolgere una «animazione» democratica conglobando ogni culto. Tutto sotto l’apparenza di una distensione.
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Giovanni XXIII rivoluzionario mascherato? Dai primi giorni del suo pontificato Roncalli sconvolse, come mai prima era avvenuto, la vita tradizionale del Vaticano. Con battute spiritose si rese il protagonista della cronaca e personaggio di prima pagina dei giornali del mondo. La grande comunicazione passò a disporre di un pastore giocondo secondo i suoi bisogni perché solito scherzare sugli argomenti più seri e sacri. L’atteggiamento di fiducia nel mondo e nelle proprie forze, che traspariva nell’«ottimismo» di Roncalli, già indicava un pensiero con radici pelagiane, che fu notato nel mondo cattolico ed espresso da alcuni noti scrittori. «Qualcuno in Vaticano aveva definito Giovanni XXIII l’Ermete Zacconi (attore della fine del secolo che passava dal dramma alla commedia) della Chiesa moderna, per quella sua innata abilità di presentarsi sotto gli aspetti più disparati. Roncalli infatti aveva due volti che dominava perfettamente. Quello per tutti e per l'ufficialità, amabile e semplice, l'altro,quello che contava tremendamente, fermo e deciso, ostinato e definitivo. A tratti, a chi gli stava a un metro di distanza, poteva capitare di afferrare, dietro la maschera bonaria e al sorriso per tutti, un lampo del volto autentico. In una boutade nel corso di una conversazione, in un cenno delle sue mani... erano le rivelazioni del suo carattere che sapeva essere duro, a volte, fino a sfiorare la spietatezza». Padre Pio «Un esempio ignoto ai più: sobillato dai suoi consiglieri negò al povero padre Pio la benedizione apostolica in occasione del cinquantesimo sacerdotale del frate, nell'agosto 1960, e gli impedì di impartire ai fedeli accorsi a San Giovanni Rotondo la benedizione papale. L'anticomunismo del cappuccino dalle stimmate era ben noto in Vaticano, e la Casa 'Sollievo della Sofferenza' il grande ospedale realizzato con le offerte da tutto il mondo, solleticava la cupidigia ardente di tanti tonacati». (42) Giovanni XXIII tagliava corto quando sentiva le denunce di persecuzioni contro il monaco santo (cardinale Bacci), tra cui quelle da parte del suo segretario Capovilla. Inoltre era al corrente delle microspie nascoste nel confessionale per spiare le confessioni di padre Pio (43).
42 - «Nichitaroncalli», pg. 180 43 - Vedi «Il calvario di padre Pio», Giuseppe Pagnossin, 2 volumi, Padova, 1978; «I Nemici di padre Pio», F. Chiocci, «Reporter», 1968; «Nel Nome del Padre», Luciano Cirri e E. Malatesta, Aquili edizioni Roma,
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Per assistere la missione apostolica nel seno del Corpo mistico non mancano gli aiuti profetici e mistici, la cui accoglienza dipende proprio dalla fede e amore del Pontefice, attento alle parole di san Paolo sulle profezie, non fidandosi mai del proprio giudizio nel trattare con presunte «ispirazioni dall'alto», contro ogni criterio di vigilanza e prudenza per quanto riguarda la difesa della fede nel mondo attuale. Di fronte ai fatti soprannaturali, la Chiesa va «con i piedi di piombo». Potrebbe un capo della Chiesa, aderire allegramente a una sua «ispirazione» su un evento cruciale per i destini dell'umanità? Non è forse emblematico, per conoscere lo spirito rivoluzionario di Giovanni XXIII, pesare la sua intenzione di presentare come divina l’«ispirazione» che gli aveva fatto convocare il Vaticano II, mentre ridimensionava Fatima e anche padre Pio? Il Santo Ufficio non poteva ignorare che Roncalli aveva una visione modernista. I documenti che registravano le sue deviazioni e spergiuri esistevano, anche se poi sono spariti dall’Archivio Vaticano. Lo ammise lui stesso in un commento registrato: “Poiché, come vedete, anche un prete messo «in osservazione» dal Sant’Uffizio può diventare papa!” Fu così che egli “inaugurò con quella sua segreta manomissione nell’Archivio Vaticano, quella che diventerà più tardi, con Paolo VI, una consuetudine a tutto scapito della Storia: quella cioè di far sparire i documenti compromettenti riguardanti la persona del pontefice e quelle del suo più stretto entourage” (Nichitaroncalli, pp. 4l, 42). Anche il dossier su Montini, parimenti sospetto, fu ritirato dallo stesso Giovanni XXIII, per farne regalo all’interessato. Non sorprende che poi perfino Paolo VI abbia visto quale fumo si addensava sul Vaticano delle nuove manomissioni, anche dottrinali. «Aggiornamento», il nuovo nome per mutamento? «Si propendeva a credere che certe battute attribuite al nuovo Papa e che facevano il giro di Roma, fossero proprio vere. Come quella per cui a qualcuno che gli domandò se era stato lui stesso a scrivere la sua prima enciclica «Ad Petri Cathedram», rispose che l'aveva letta! […] Nel frattempo lavorare alla Radio Vaticana divenne davvero imbarazzante. I discorsi di Giovanni XXIII in diverse occasioni (noi dovevamo tradurli, riassumerli e trasmetterli) erano compilati alla buona, se di compilazione si trattava, e presto, tra i miei colleghi francesi, tedeschi, portoghesi, spagnoli e polacchi, si passò a esprimere apertamente le nostre impressioni negative. Si dovevano operare drastici tagli per 1989).
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modificare certi passaggi «Memoirs», Roma, 1994).
incomprensibili»
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(Robin
Anderson,
La Chiesa del Nuovo Codice: «Il 25 gennaio del 1959, Giovanni XXIII, visitando la basilica di San Paolo fuori le Mura, annunciò la prossima convocazione di un sinodo diocesano dell'Arcivescovato di Roma, di un concilio ecumenico e la revisione del Codice di Diritto Canonico. Nella sorpresa generale, si è arrivati ad una comune convinzione: Giovanni XXIII mirava ad una ristrutturazione di tutta la Santa Chiesa. Il sinodo di Roma ne sarebbe il modello, il Concilio avrebbe impartito le direttive e il nuovo Codice ne avrebbe fissato le leggi ordinarie dando insomma corpo, esistenza e vita alla nuova Chiesa, destinata a sostituire quella vecchia di due millenni... Con la pubblicazione di questo nuovo Codice, è integralmente confermata la convinzione suscitata nei fedeli... il nuovo Diritto può essere inteso come uno sforzo per tradurre in linguaggio canonico l'ecclesiologia conciliare: Chiesa = popolo di Dio = comunione; autorità ecclesiastica = servizio collegiale; insomma sulla Chiesa incombe il dovere dell'ecumenismo» (Monsignor Antonio de Castro Mayer, DAC, «Monitor Campista», Campos, Brasil, 17 aprile 1983). Promozione di una gerarchia modernista e ... Qui basta ricordare che nel nuovo Codice, nato dal Vaticano II, sono state inserite novità su cui incombe l'accusa di eresia, ma sono state rimosse delle condanne, come quella della Massoneria! Giovanni XXIII decise subito di «ringiovanire» il vecchio Collegio cardinalizio, onde rimpiazzare la generazione di elettori del tempo di Pio XII con una nuova della sua linea. Perciò promosse un buon numero dei «suoi» preferiti, primo fra tutti Montini e, in seguito, Bea. Convocò tre concistori nello spazio di venti mesi, oltrepassando ampiamente il numero massimo previsto fino allora di settanta cardinali stabilito da Sisto V, il cui criterio in quattro secoli nessun Papa aveva osato cambiare perché ordinato alla difesa della continuità dottrinale, suscettibile d'essere alterata se l'equilibrio tra nuovi e vecchi nel Collegio cardinalizio fosse stato drasticamente rinnovato. Nel conclave del 1963, alla sua successione, per la quale aveva raccomandato dal letto di morte Montini, il Collegio era sostanzialmente rinnovato e contava 84 cardinali elettori. S’iniziava così il mutamento anche negli equilibri per la continuità dottrinale degli elettori del Papa, mutamento che sarebbe stato compiuto dai successori, quando si stabilì perfino un limite d’età per votare ed essere votato. Mentre l’anziano Pertini era eletto presidente d’Italia, cardinali più giovani di lui erano 139
esclusi da quel collegio di nuovi saggi elettori. Ad ogni modo, per Giovanni XXIII, c’era allora un grande «saggio» da promuovere.
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La scelta di Bea come braccio destro L'operazione cambiamento avrebbe fatto leva sulle opinioni dei vescovi, attraverso il nuovo potere attribuito alle conferenze episcopali nazionali, strumento di pressione sull'autorità della Curia romana che normalmente era l'estensione dell'autorità del Papa e ancora operava in continuità con il Magistero e il Papato precedenti, e quindi di Pio XII. Se ora la Curia doveva essere piegata ciò dimostra l'avversione di Roncalli, fatto ricorrente nella sua carriera, da Bergamo a Venezia, per il Magistero tradizionale. Per sottomettere la Curia, senza dare troppo nell’occhio nel mondo cattolico, serviva un nuovo organo ecclesiastico che, diretto da un prelato «al di sopra di ogni sospetto», portasse avanti l'operazione «aggiornamento», anche dottrinale, secondo le direttive impartite dall'alto. E così nel 1960 tornò in scena a Roma un anziano gesuita, coetaneo ma conosciuto da Roncalli solo per le sue tendenze bibliche, per cui disponeva di un’abbondanza di titoli adeguati al ruolo: padre Agostino Bea, direttore del Biblico, confessore di Pio XII ed «esperto di avvicinamenti «ecumenici», anche con gli ebrei, conduceva allora vita ritirata, dovuta al declino fisico; ma, «riscoperto» da Giovanni XXIII, d'un tratto ritrovò tutta la sua forza. Il Segretariato affidato a Bea era veramente una novità speciale, era il «Segretariato per la (nuova) promozione dell'unità cristiana (che avrebbe incluso anche gli ebrei)». Bea, suo primo segretario, fu subito fatto cardinale per guidare un organo, tanto potente da ricevere nel 1962 lo status ufficiale di commissione conciliare. A tale commissione, per svolgere la sua operazione ecumenista, fu conferito perfino il potere di cancellare giudizi del Sant'Uffizio su questioni di fede. Il nuovo cardinal Bea per un nuovo ecumenismo La testimonianza di monsignor Marcel Lefebvre su questo prelato, che ebbe un ruolo di rilievo nella preparazione del Vaticano II, getta luce su molte gravi anomalie accadute in quei giorni. “Devo raccontarvi un piccolo incidente accaduto nel 1962, quando ero membro della Commissione centrale preparatoria del Concilio. Noi tenevamo le nostre riunioni in Vaticano ma l'ultima fu drammatica. Nei fascicoli dati alla Commissione centrale ve ne erano due sullo stesso soggetto: uno veniva dal cardinale Bea, presidente della Commissione per l'unità e l'altro veniva dal cardinale Ottaviani, presidente della 141
Commissione teologica. Quando li abbiamo letti, quando io stesso ho letto questi due schemi, ho detto: 'é molto strano, sono due punti di vista sullo stesso soggetto completamente diversi, ossia la libertà religiosa o l'attitudine della Chiesa di fronte alle altre religioni'. Quello del cardinale Bea era intitolato «De libertate religiosa»; quello del cardinale Ottaviani «De tolerantia religiosa». Vedete la differenza, la profonda differenza? Cosa accadeva? Per qual motivo due schemi completamente diversi sullo stesso soggetto? Al momento della riunione, il cardinale Ottaviani si alza e, segnandolo col dito, dice al cardinale Bea: 'Eminenza, lei non aveva il diritto di fare questo schema,non aveva il diritto di farlo, perché è uno schema teologico e dunque di pertinenza della Commissione di teologia'. E il cardinale Bea alzandosi dice: 'Scusi, avevo il diritto di fare questo schema come presidente della Commissione dell'unità: se c'è un soggetto che interessa l'unità é proprio l'unità religiosa', e aggiunse rivolto al cardinale Ottaviani: mi oppongo radicalmente a quanto dite nel vostro schema «De tolerantia religiosa». […] Fu l'ultima seduta della Commissione centrale e chiaramente potemmo avvertire, alla vigilia del Concilio, prospettarsi davanti a noi, tutta la lotta che si sarebbe svolta durante il Concilio. Ciò vuol dire che queste cose erano preparate già prima del Concilio. Il cardinale Bea non ha certo fatto il suo schema «De libertate religiosa» senza essersi accordato con [Giovanni XXIII e... ]altri cardinali. È questo molto importante e molto grave perché se ne desume che il Concilio dell'aggiornamento era stato preparato. Ed è per questo che tutti gli schemi del Concilio già preparati furono respinti, le commissioni rimaneggiate e che ci si oppose alla lista dei membri delle commissioni preparatorie del Concilio che, certo senza imporlo, il cardinale Ottaviani proponeva. Così ci trovammo al Concilio in una situazione veramente penosa e capimmo che quelli che erano conservatori, che restavano fedeli ai princìpi di sempre, alla tradizione di sempre, non erano più ascoltati, non erano più sostenuti dalle autorità, soprattutto quando, dopo l'elezione di Paolo VI, furono nominati i moderatori del Concilio: i cardinali Döpfner, Suenens, Lercaro, Agagianian. La nomina palesemente era a favore di quattro cardinali liberali” (44). Le richieste del «B'nai B'rith», avanzate attraverso il professor Jules Isaac, furono accolte il 13 giugno del 1960 da Giovanni XXIII. Esse 44 - Mons. Marcel Lefebvre «Io accuso il Concilio», 1976
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riguardavano una «revisione» dei termini del Vangelo riguardo al deicidio e l’apertura dell’ecumenismo ai «fratelli maggiori», rappresentati dal «B'nai B'rith». Questa iniziativa presso il Vaticano della più potente, influente ed antica organizzazione internazionale giudaica, fondata nel 1843 come ramo della massoneria riservata agli ebrei, aveva suscitato gran sorpresa. In Francia, molti sono gli uomini politici ad essa legati secondo un'inchiesta sul suo modello massonico pubblicata da Emmanuel Ratier («Mystères et Secrets des B'nai B'rith», edizione italiana Sodalitium, Verrua Savoia). Si può vagliare il livello di potere ricevuto dal cardinal Bea dalla missione di avvicinamento, affidatagli da Giovanni XXIII, dalle modifiche da lui introdotte nei testi liturgici riferiti agli ebrei nella redazione della «Nostra aetate» del Vaticano II e poi, dall’invito ad «aperture» verso gli ebrei, aperture culminate con la visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma e al Muro del pianto. Il cambiamento della posizione dottrinale è evidente nei successivi «Orientamenti conciliari». Il 24 giugno 1965, i capi conciliari approvano il documento ufficiale d’invito ai cristiani affinché, insieme agli ebrei, «preparino il mondo alla venuta del Messia». L’eco di tale invito si riscontra al paragrafo 840 del «nuovo catechismo»: «quando si considera il futuro, il popolo di Dio dell'Antica Alleanza e il nuovo popolo di Dio tendono a fini analoghi: l'attesa della venuta (o del ritorno) del Messia». La Fede nella venuta di Cristo e il Suo rifiuto avrebbero fini analoghi! Quale pensiero sofistico, «gnostico» o modernista è stato capace di tale sproposito per cui la necessità di conversione degli ebrei al Vangelo di Cristo, prima missione degli Apostoli, di san Pietro e della Chiesa, sarebbe, secondo i nuovi profeti, ormai confusione del passato? L’autorevolezza del Sant'Uffizio: problema per Roncalli La dimostrazione che Roncalli intendeva cambiare la Chiesa, senza però scoprirsi nel campo dottrinale e liturgico, si può riscontrare anche nei suoi sordi confronti con la Curia, che è a servizio della fede del papa cattolico. Il Sant’Uffizio, forte ancora delle recenti encicliche di Pio XII, emetteva decreti, divieti e «monitum», che Giovanni XXIII non poteva rifiutare, ma che poteva neutralizzare o compensare. Caso clamoroso fu quello della scelta di Bea, che, essendo stato direttore del Pontificio Istituto Biblico, diventò il braccio destro di Giovanni XXIII ed ebbe l’ordine di «aggiornare» quell’Istituto, eretto come diga per contenere proprio le eresie razionaliste volte all’aggiornamento della Parola divina. Per compiere l’opera, però, doveva superare ancora la Commissione Biblica 143
dove i monsignori Antonino Romeo e Francesco Spadafora, appoggiati dal cardinale Ottaviani e da altri, operavano esponendo con coraggio ai vescovi tali distorsioni modernistiche. A quel punto Giovanni XXIII lasciò cadere il suo volto «buono», minacciando la chiusura della Commissione, che però continuò la battaglia del «Biblicum» fino alla prima sessione del Vaticano II, riuscendo a limitare i danni della nuova esegesi razionalista, che doveva, nel piano modernista, imbottire di novità la Costituzione dogmatica «Dei Verbum». Durante il periodo della preparazione del Vaticano II, che durò più dello stesso Concilio, si verificò in Vaticano l’esplicita contrapposizione tra le due fazioni: la tradizionale e la modernista. La prima, rappresentata dalla Curia, cioè dagli ausiliari diretti dei Papi cattolici, la seconda da un elenco di chierici che avevano, in tempi prossimi o remoti, cercato di trasformare la Dottrina, meritando richiami e anche censure papali. Tuttavia, come apparve evidente, Giovanni XXIII pendeva per questa seconda parte. Fatto paradossale per chi ignorava chi fosse colui che volle tanti teologi sospetti in quella sede. All’elenco ufficiale presentatogli, Roncalli aveva aggiunto a mano i nomi dei sospetti De Lubac e Congar. Ma i prelati di Curia vennero declassati o indirettamente esautorati. Lungo è l’elenco: il cardinale Pizzardo non è rimasto nella sua carica nel Sant’Uffizio; il cardinale Tardini, sentendosi esautorato nella preparazione del Vaticano II, arrivò ad annunciare pubblicamente le sue dimissioni, ma morì l’anno dopo, forse di crepacuore. Parimenti il cardinale Cicognani. Sono molti i casi che dimostrano come il «papa buono» adoperasse il peso della sua «bontà» per piegare la coscienza d’importanti membri della Chiesa. Significativo è il caso del cardinale Gaetano Cicognani. Nel 1962, il famigerato monsignor Bugnini presentava il suo «schema» per la riforma della Liturgia alla Commissione preparatoria per la Liturgia. Il suo presidente, cardinale Gaetano Cicognani, accorgendosi che essa nascondeva dei pericoli si rifiutò di firmarla. Consapevole che senza quella firma lo «schema» sarebbe stato fermato, Bugnini si appellò a Giovanni XXIII, che s’impegnò ad intervenire. Chiamò, infatti, il cardinale Amleto Cicognani, suo segretario di Stato e fratello minore del presidente della Commissione Liturgica, per ordinare che visitasse suo fratello e non tornasse da lui finché lo «schema» non fosse firmato. Il Cardinale eseguì l’ordine e ottenne dal fratello, quasi in lacrime, quella firma che violentava la coscienza di liturgista. Quattro giorni dopo 144
l’anziano cardinale moriva! (vedi Michel Davis, «The Council of Pope John», Augustine Press, Dickinson, Tx, 1990).
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Il «think tank» teologico della rivoluzione conciliare Siccome Angelo Roncalli aveva poco del teologo, per far avanzare le sue idee moderniste sceglieva i pensatori di quella linea; proprio quelli della «nuova teologia» condannata da Pio XII come pericolo incombente. Essi avrebbero esercitato la loro influenza in modo decisivo, ma con studiata discrezione e anche restando interdetti, come fu il caso di Teilhard de Chardin. Ecco i nomi principali. Per l’«ecumenismo» cristiano-giudaico Augustin Bea. Per la Liturgia don Lamberto Beauduin e poi il massone Annibale Bugnini. Per l’evoluzione religiosa Teilhard de Chardin e poi Hans Urs von Balthasar. Per la filosofia Henri de Lubac e Yves Congar. Per la teologia Karl Rahner, Joseph Ratzinger e poi Karol Wojtyla. L’avvio all’ecumenismo liturgico fu propugnato da don Beauduin con la sua rivista «Irenikon» diretta più all’istruzione del popolo che all’adorazione di Dio. Tale «pedagogia» ecumenista, era giunta ad elaborare adattamenti dottrinali e aveva portato all’apostasia molti monaci. Perciò era stata condannata da Pio XI. Ma per Roncalli: «Il metodo buono era quello», e infatti, nota il biografo di Giovanni XXIII, Hebblethwaite: “La sua prima lettera sull’ecumenismo cita proprio la rivista Irenikon” («Mouvement Liturgique», abbé Didier Bonneterre, edizioni Fideliter, 1980). Era l’avvio della riforma liturgica del «Novus Ordo» di Paolo VI. Ora, la continuità nella fede, palesata nel modo di pregare secondo il concetto «lex orandi, lex credendi», è la vita della Chiesa e del Papato, mentre la rottura di questa continuità non può che prefigurare il loro «abbattimento». Per completare quest’«eccidio» non bastava un «Papa rivoluzionario», ma occorreva che esso si servisse di un concilio pastorale che fosse a un tempo il 1789 e il 1917 della Chiesa. Il piano conciliare per l’aggiornamento della Chiesa Ogni piano ha il suo obiettivo principale e questo è la riconciliazione della Chiesa con il mondo moderno, quindi, con i suoi poteri prevalenti: il liberalismo e il socialismo nel piano civile, il giudaismo e il protestantismo ecumenista nel piano religioso. E visto che tutto ciò è riassunto nel pensiero massonico; con la Massoneria. In tal modo si aveva un piano globale, dal pensiero filosofico a quello politico e da infondere nelle coscienze attraverso una nuova coscienza della Chiesa. Ma poiché questa aveva già condannato tutte queste idee, era necessario introdurre prima di tutto la nuova direzione nello stesso modo di pensare di modo a 146
invertire il suo senso oggettivo con quello soggettivo. Era quello che la filosofia idealista moderna proponeva, che in politica doveva essere tradotto nella necessità che fosse la vita pratica a determinare il governo, più che il riferimento a principi. Se il nuovo «bene» sociale diveniva la pace e l’unità per i popoli, questi valori dovevano prevalere anche per le religioni, in speciale per la fede cattolica. Poiché in queste idee la libertà umana prende il sopravvento sulla verità divina, cioè la direzione opposta a quella della fede, tale piano si dimostrava in partenza improponibile. Come farlo avanzare? Solo attraverso gli stessi termini della religione, ma capovolti nella Chiesa. Così i novatori dovevano ricorrere proprio a quei termini usati dai fedeli. Essi furono usati di continuo dal loro eletto «papa buono»: le indefinite ispirazioni e apparizioni di senso più vicino alla religiosità sentimentale che alla fede. «Apparizioni» sì, perché è proprio nel piano di tale aggiornamento conciliare parlare per poi attuare “nuove pentecosti” e nuovi «cenacoli» dove lo Spirito Santo illumina direttamente i chierici e proprio con le idee consone al tempo e alla pace con le altre religioni. E questo va accettato alla luce della stessa nuova nozione della tradizione, come voleva il modernista Maurice Blondel (della tradizione evolutiva): Gesù parlando alle coscienze in cui già sarebbe la «tradizione» cristiana, e così la gente vede i «segni del nostro tempo» nella nuova Chiesa e trasmesso dai nuovi pastori conciliari (45). Si noti: c’era bisogno di adeguare la stessa Tradizione come fonte della rivelazione attuale. Ciò fu fatto dall’inizio del Vaticano con i lavori dei periti Rahner, Congar, Ratzinger, etc. (46). Dato, però, che lo schema sulla doppia fonte della Rivelazione era presentato teoricamente dal Pontefice attraverso la Curia secondo la Dottrina cattolica, questo doveva essere sostituito. Come farlo? Con una votazione, ma questa richiedeva due terzi del totale perché era documento «del Papa». Non bastavano i voti ottenuti e allora? Semplice, «il Papa buono» riduceva per decreto la maggioranza a metà+1 e il piano per neutralizzare la Tradizione orale di fronte a quella scritta, voluta dai protestanti, passava a causa della «mossa» di Giovanni XXIII contro gli stessi «schema del Papa» (primo agente della Tradizione orale). Ecco quanto avvenuto nel Vaticano II, che sarebbe ridicolo non fosse prima perverso.
45 - Vedi articolo «Le nuovi pentecosti» agerecontra. 46 - Vedi Ralph M. Wiltgen, s. v. d., «Le Rhin de jette dans le Tibre, Le Concile inconnu», ed. du Cèdre, Paris, 1976, pagine 172 ss).
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Il nuovo corso insinua allo stesso tempo che in materia di fede tutto va lasciato all’intimo delle coscienze e a queste si dirigono le nuove pentecosti conciliari! In tal modo si passa dall’unica Pentecoste oggettiva d’origine divina che fonda l’unica Fede dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, alle tante pentecosti soggettive, secondo i tempi, conciliabili con ogni credenza e sussurro ecumenista. L’espressione “nuova Pentecoste” potrebbe essere usata come metafora per evocare e confermare la vera e unica Pentecoste. Invece fu usata per insinuare gravi confusioni, ma anche all’immane insidia della “gestione degli opposti”. Cioè, che si possa avere oggi nuove rivelazioni dello Spirito Santo, magari anche per “aggiornare” o interpretare in senso inverso quelle precedenti. Ecco compiuta quella mutazione gnostica che ha radici nell’alba della storia, ma che è rimasta bloccata nei venti secoli dell’Era cristiana. Una semplice ragione ci può far capire che questi cambiamenti non potevano avvenire in nome dello Spirito Santo: poiché proclamando per la prima volta nella storia della Chiesa un Concilio ecumenico non dogmatico e perciò non infallibile, si dispensava giustamente quella massima assistenza dello Spirito Santo che è assicurata al Papa e alla Chiesa. Qui si è visto come la dispensa oggettiva, seguita dall'evocazione soggettiva di una nuova Pentecoste, è servita all’aggiornamento. Un concilio per affrontare o riciclare eresie? La Chiesa insegna perciò che la nota dell’infallibilità è assicurata da Dio a un Concilio ecumenico per il bene della fede, e che l'insegnamento del magistero ordinario e universale, anche senza giudizi solenni, deve essere creduto con la stessa fede divina e cattolica dovuta alla parola di Dio scritta o tramandata ed è perciò infallibile. Nella preparazione del Vaticano II la prima intenzione di Giovanni XXIII fu proprio quella di «alleggerirlo» dal suo supremo valore, ossia dall’infallibilità divina che dispiace al mondo moderno, per attribuirgli valore pastorale. Tuttavia, insisteva - come fece poi anche Paolo VI, che comparò il Vaticano II al Concilio di Nicea - sulla sua autorità di concilio ecumenico. Era una proposta alquanto scandalosa, ma che fu accettata passivamente da tutta una gerarchia che non osò contestare la credibilità del «papa buono». Nell’onda di questa ambiguità si vedrà che il Vaticano II, dalla sua preparazione al suo decorso, e finalmente alla sua applicazione, si è svelato l’evento più insidioso della storia del Cristianesimo. 148
Il nuovo «principio» che Giovanni XXIII applicava nelle sue aperture era, come già visto, che si doveva cercare più ciò che unisce che ciò che divide da genti di religioni e ideologie diverse. Ma siccome un ministro di Dio deve innanzitutto avere in vista i princìpi della fede, dato che non si capisce di cos’altro più importante si possa occupare un prelato cattolico, questi, applicando tale «principio», incorre in un conflitto di valori. Infatti, parlare di problemi sociali, per esempio, senza tener conto della Fede, significa ammettere che quelli non sono legati a questa, che la Fede può essere tenuta fuori dalle questioni umane. Insomma, significa accettare lo gnosticismo, caposaldo della filosofia massonica e del sincretismo antroposofico: tutto può essere accettato, ogni fede e ideologia anticristiana, perché niente è più importante di quanto contribuisce alla pace e alla fratellanza universale. Ecco il compito che Roncalli affidò al Vaticano II. I Concili Ecumenici della Chiesa e il Vaticano II Un Concilio generale o ecumenico è un’adunanza di tutti i vescovi per «definire» questioni fondamentali riguardanti la Fede e la Morale, e di conseguenza per condannare formule eretiche che vi si oppongono (vedi san Tommaso Summa, I, q. 36, a 2): «Dicendum est quod in quolibet concilio institutum fuit symbolum aliquod, propter errorem aliquem qui in concilio damnabatur», (in ogni Concilio fu compilata una professione di fede che prendeva di mira l’errore condannato in quel concilio). È quanto dice san Roberto Bellarmino in «De Conciliis et Ecclesia», I, 1 e 2. “Tutti i Concili Ecumenici del passato terminarono con la proclamazione di verità dogmatiche e morali necessarie per la sopravvivenza della Chiesa, formulate in definizioni e completate con anatemi che non lasciavano più scappatoie all'eresia o allo scisma. Gli Atti di questo Magistero solenne apparvero sempre e a tutti infallibili e, di conseguenza, vincolanti” (cardinale Journet, «L’Eglise du Verbe Incarné», t. I, p. 536). Il Magistero ecclesiastico infallibile nella Costituzione Apostolica «Dei Filius» del Concilio ecumenico Vaticano (24 aprile 1870) dichiara: «Bisogna inoltre credere con fede divina e cattolica tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che viene dalla Chiesa proposto da credersi come divinamente rivelato, sia con un giudizio solenne sia con il magistero ordinario e universale» Denzinger, 1792). Come i Giudei plasmarono il Vaticano II 149
Nel lungo articolo del 25 gennaio 1966, «How The Jews Changed Catholic Thinking», Joseph Roddy, Editore del Look Magazine, descrive i principali contatti per l'apertura di Giovanni XXIII alla «lobby» giudaica, intenta a «invadere il campo della dottrina e del dogma di Santa Madre Chiesa». L’articolo, scritto subito dopo la chiusura del Vaticano II, parla del rapporto delle idee inserite nei suoi documenti, come la «Nostra Aetate», con la politica del mondo. Per l’arcivescovo di Aix, Provenchères, il «segno dei tempi» all’origine di questo decreto del Vaticano II «è stato l'incontro di Jules Isaac con Giovanni XXIII». Roddy documenta il suo seguito e ne intuisce le conseguenze che abbiamo conosciuto con le visite dei successori di Giovanni XXIII alle sinagoghe. Si trattava di accordarsi per condannare il presunto «odio cristiano» verso i giudei deicidi a causa dei Vangeli. A tale scopo e per svolgere un’attività «ecumenista» che avrebbe spinto altri prelati a inseguire accordi fino ad allora impensabili, il cardinale Bea ricevette grandi poteri. Roddy descrive il viaggio di Bea a New York del marzo 1963. Portato dall’Hotel Plaza all’«American Jewish Committee». Lì, poi, il «Sanhedrin» (Sinedrio) avrebbe ricevuto il capo del segretariato per l’Unità dei Cristiani (come mai estesa ai giudei). Era l’inizio della “storia di come potenti progressisti di Sion e prelati di Roma e dell’America hanno usato il potere della stampa per provare al pubblico che la penna e l’agenda modernista-massonica-sionista era per loro più potente del Dogma e della Verità!” Frase dello stesso J. Roddy. Era l’applicazione del principio di Giovanni XXIII: «si deve cercare più ciò che unisce di ciò che divide», a questi rapporti religiosi che implicano il massimo conflitto di valori poiché esso riduce la stessa religione di Gesù Cristo ad argomento d’intese. Queste sono possibili su tante questioni sociali, ma quale intesa ci può essere in questioni religiose ignorando la verità dei Vangeli? Sennonché applicare tale principio alla religione cattolica nel suo «dialogo» con fedi diverse significa accantonare i dogmi, e cioè, gli ostacoli di fede, in tal modo praticamente rinnegando e condannandoli come fattori di discordia. In quest’ordine di idee lo stesso Gesù Cristo, col suo «chi non è con me è contro di me” (Mt 12, 30) inevitabilmente dovrà o sparire o, tutt’al più venir ridotto al rango di semplice simbolo di una delle tante «verità» esoteriche ad uso di quello che in loggia viene sprezzantemente definito «mondo profano», in perfetta conformità al messaggio del grande pantheon mondiale e mondialista di Assisi convocato, sulla linea tracciata da Roncalli, da Giovanni Paolo II ad Assisi il 27 ottobre 1986. Per i cattolici il vero 150
attentato contro il Verbo di Dio non si compie solo con l’uccisione di Gesù Cristo, ma continua con la diffamazione della sua persona e di sua Madre, con la persecuzione alla sua Chiesa, con la negazione e stravolgimento dei suoi Vangeli. Che senso ci può essere di cambiarli per promuovere una dubbia fratellanza con i Giudei? È vero che già Pio XII nel 1949 aveva accolto il lamento di Jules Isaac sull’uso liturgico dell’espressione «perfidi giudei». La parola perfidia, derivata da infedeltà e applicata ai Giudei aveva assunto una valenza infamante e forse sarebbe stata comunque corretta. Ma quello che non poteva essere corretto è il principio della necessità di conversione dei Giudei a Cristo (47). È noto il caso del rabbino capo della sinagoga di Roma (l'equivalente dell'epoca di un recente Elio Toaff o di un odierno Di Segni), Israel Zolli che, illustre e onesto studioso delle Scritture convertitosi al cattolicesimo, col Battesimo, volle assumere per riconoscenza il nome del Papa Pio XII, Eugenio (48). La fratellanza religiosa implica il Padre comune che inviò suo Figlio per salvare gli uomini affratellati nella Parola divina. Potrebbe la Chiesa mutare questo senso per evitare l’accusa di antisemitismo? La dimostrazione più vistosa della dilacerante mutazione «culturale» operata da Roncalli nella Chiesa si palesò nel comportamento del clero. Migliaia di preti lasciarono la tonaca, molti si sposarono, e quelli rimasti hanno subìto, in gradi diversi, atroci dilemmi di coscienza, tra la Chiesa in cui furono formati e la nuova chiesa ecumenista conciliare. Questo fatto perdura da quasi mezzo secolo. In verità essi furono attratti dalla più insidiosa forma di rivoluzione d’ogni tempo, quella semantica, che aliena il senso d’ogni cosa venuta dall’Alto, a causa di un «aggiornamento» dall’«altro». Come si è visto essa mirava a convertire la coscienza dei «consacrati» a un nuovo ordine sociale, i cui «operatori» si sentissero i nuovi salvatori del mondo. Si trattava d’instaurare una nuova coscienza per un nuovo sacerdozio di una religione «socialistoide».
47 - Come scrive León De Poncins in «Judaism and the Vatican»: «Nel 1949 [Jules Isaac] ebbe contatti col clero [modernista] di Roma, ed attraverso costoro potè ottenere una udienza privata da Pio XII, col quale si lamentò in favore del giudaismo, chiedendogli di far esaminare i 'Dieci Punti di Seelisberg'». [Quindi quello portato avanti da Roncalli era un programma di mutazione della Chiesa già tracciato da parecchio tempo ed ormai fermo al semaforo solo in attesa del verde…]
48 - «Il Rabbino che si arrese a Cristo» Judith Cabaud, San Paolo.
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L’esempio scelto qui per illustrare questa rivoluzione paradossale, prassi distruttiva dell’identità del sacerdote cattolico, è quello del padre gesuita Riccardo Lombardi, tanto vicino a Pio XII e alla sua attività pastorale da essere detto il «microfono di Dio». Egli fu anche legato all’Evento di Fatima, ma con quale contributo? La domanda è d’obbligo perché lui è di certo il «tipo» più diretto del «profeta di sventure» di roncalliana memoria.
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6 - L’ENIGMATICO CASO DI PADRE LOMBARDI La potente macchina d’inculturazione del «buonismo materialista», liberale, socialista e modernista e minacciando ogni cultura e in special modo il clero cattolico, richiedeva dal Papa la disposizione a sostenere una forte elite culturale. Tra questi i Gesuiti, e tra loro un padre eccellente oratore, capace d’infiammare anche i più tiepidi. Si trattava di padre Riccardo Lombardi, noto negli anni Quaranta e Cinquanta per la grande stima avuta dal Papa. E Lombardi, chiamato il «microfono di Dio» - corrispondeva a tanto privilegio alzando la voce specialmente contro il pericolo comunista degli «atei senza Cristo, senza Dio, senz’anima, figli del demonio con le mani sporche di sangue», che avrebbero trascinato nella miseria la società umana. Occorreva, quindi, una «mobilitazione generale» dei cattolici, in seguito alle parole d’ordine del Papa, come predicava Lombardi: con Pio XII che era stato offerto alla Chiesa nel nostro secolo un piano celeste per un «mondo migliore». Qui si vedrà che padre Lombardi era anche lui un riformatore. Come mai allora questo suo aspetto lo ha reso ancora più inviso al velato riformista e modernista Roncalli divenuto Giovanni XXIII? È chiaro che a tal punto si tratta di un enigma del riformismo clericale, spiegabile solo dalla diversità di scopi: uno voleva affrontare le crisi nella Chiesa, l’altro cambiarla! Il «Movimento per un Mondo Migliore» fu, allora animato da chierici connessi in qualche modo con gli avvisi di Fatima, con l’appoggio di Pio XII. Per la storia è importante conoscere tale movimento e padre Lombardi, poiché, attraverso questo personaggio chiave del tempo di Pio XII, si può capire meglio la dimensione dei guai di quel momento. Essi generarono quella crisi pre-conciliare sfociata nel crollo di moltitudini di chierici e fedeli. Lo descrive il mio articolo sul libro «Pio XII per un mondo migliore», di p. Lombardi, 1954, Roma, La Civiltà Cattolica (49). Si deve sapere che in Vaticano già coabitavano allora due spiriti: uno di condanna, l’altro di apertura al comunismo. Il primo portava il Papa a parlare del pericolo «intrinsecamente perverso, con cui nessuna trattativa è possibile», il secondo preparava segretamente il «compromesso storico» con ogni socialismo, democratico o reale. Ora, chi lavorava con la visione di Pio XII non poteva ignorare e tacere che quell’altra politica era dentro lo stesso palazzo nella figura di Montini. Il libro di Zizola lo racconta. «La Crociata bolognese ha rialzato 49 - «L’enigmatico caso di padre Riccardo Lombardi»
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le quotazioni di Lombardi agli occhi di Pio XII e, intransigentismo a parte, ha riempito di soddisfazione lo stesso Lercaro, che ne dice tutto il bene possibile alla riunione dell’8 febbraio dei cardinali e vescovi d’Italia a Roma» (50). Ma «l’intemperanza» di Lombardi predicatore suscitò anche le obiezioni di un summit gerarchico interessato a favorire la riunificazione delle forze cattoliche in un solo partito: quello democristiano. Da un’altra parte c’era la tendenza a compensare le spinte politiche con quelle spirituali (La Pira). Lombardi s’ispirava al carismatismo di Chiara Lubich (Focolari) come ad un secondo afflato di vita. Ma il suo campo di lotta è ormai ben individuato. Lombardi vuole una riforma anche per strappare ai comunisti le posizioni da essi occupate in Italia, cosa risultata impossibile ai democristiani. Montini però lo tiene d’occhio; il suo piano punta ad altro: all’articolazione di nuove conferenze episcopali in tutto il mondo. Lombardi scriverà poi che, in Brasile, parlando col nunzio, anche lui di nome Lombardi, della riforma, il diplomatico gli disse di non farsi illusioni: «Ci vorranno miracoli per tale riforma. L’unica via - gli suggerì - sarebbe di sviluppare un movimento dei vescovi in un Concilio, perché «non basterebbe neanche persuadere il Papa, da solo». Tornando in Europa, padre Lombardi fa scalo in Portogallo per andare a Fatima, dove esprime una preghiera a Maria Santissima: «Io predico in tutti i toni la riforma della Chiesa, dico di presentare un messaggio del Papa, in realtà sono io che trascino la Chiesa. Mamma, fa che non sia una follia, che non danneggi nessuna anima». Infatti, in quel periodo il Padre si era messo in piena azione, secondo il suo piano, non quello della Madonna di Fatima. A Lei si fece ricorso più per chiedere la benedizione del piano del «Mondo migliore» che per seguire il Piano divino. Ma si accordava il primo, clericale, al secondo, celeste? Lombardi, dopo molto insistere, riuscì ad avere un colloquio con suor Lucia, nel parlatorio del convento di Coimbra il 18 ottobre 1953, nel libro si Zizola, il 7 febbraio 1954, in quello di Padre Alonso. Il dialogo è essenzialmente lo stesso, e qui riprendiamo le due versioni. Padre Lombardi ha domandato allora alla suora, che era malata e febbricitante: Mi dica se il Movimento per un Mondo Migliore [che la suora conosce], può essere la risposta della Chiesa alle parole della Madonna a lei affidate. Lucia rispose che Dio vuole che si intraprenda un lavoro di grande rinnovamento. «Si cominci dalla riforma del clero: il popolo
50 - Giancarlo Zizola, «Il microfono di Dio»: Pio XII, padre Lombardi e i cattolici italiani», Mondadori, Milano, 1990, pagina 322, sigla MD.
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seguirebbe. Si dice che mancano le vocazioni. Non è così. Non è che ci sono pochi preti, è che non sono come devono essere. Come il popolo seguirebbe il clero, così questo una riforma di Roma. Nel fare i vescovi dovrebbero badare più a sceglierli santi che dotti» (MD, p. 332). E Lucia continua: «La rinnovazione che lei predica è necessaria: altrimenti, considerando lo stato dell’umanità, solo una piccola parte del genero umano si salverà». Padre Lombardi insiste - Lei crede veramente che molti si perdono? Personalmente, spero che Dio salvi un gran numero di anime. A proposito ho scritto il libro «La salvezza di chi non ha fede». «No Padre, si salvano in pochi», risponde la Suora… «Padre, molti, molti si dannano. Anche anime consacrate, molte». Ora, Padre Lombardi, deve essersi ricordato allora anche delle parole della piccola Giacinta, che aveva visto l’inferno, e che parlava spesso delle sue visioni delle molte anime che nel corso delle guerre si perdono, cadendo nell’inferno come la neve sui campi. Perciò la bambina ardeva di pietà per salvarle, invocando preghiera e sacrificio. E Lombardi è tornato a Roma talmente depresso che molti sono rimasti allarmati, pensando che avesse conosciuto i castighi incombenti contenuti nel Segreto di Fatima. Un clima di tensione a Roma, è quanto Lombardi trova al ritorno. Pio XII condanna i preti-operai e appoggia Gedda nel senso di un irrigidimento della politica vaticana, indebolita da troppe incertezze. La situazione è grave e non sembra che ci sia modo per contenere i molti tradimenti. «Quanto a Montini, le sue difficoltà sembrano accresciute da quando i suoi ben noti legami con De Gasperi, Fanfani, La Pira e con i dirigenti dell’Azione cattolica giovanile, hanno contribuito a stendere sui suoi quotidiani rapporti col Papa un velo leggerissimo, quasi impalpabile e tuttavia inquietante di pena, quel minimo disagio che basta a insinuare tra loro il dubbio o la reticenza. E’ qualcosa di più che un sospetto se padre Rotondi ha sussurrato all’orecchio di Lombardi, già dall’estate, un segreto: ‘Il Papa ha ora sempre più la sensazione di essere servito male da qualcuno molto vicino a lui’ (MD, p. 333). «Il modo come suor Pascalina, la governate di Pio XII, trattò Montini, fa capire che pesa su di lui un sospetto di tradimento. Lui era il «monsignore che aveva osato ‘tradire’ il termine era molto forte - la battaglia antisocialista oltre che anticomunista di Pacelli». Suor Pascalina aveva visto piangere il Papa, deluso per l’atteggiamento aperturista di Montini. Il monsignore aveva già attirato l’attenzione del prosegretario del Sant’Uffizio, cardinale Ottaviani, un capofila, insieme a Gedda, di quanti 155
accusavano Montini di trescare con Fanfani e di aspirare a una Democrazia Cristiana autonoma dal Vaticano. Si andava oltre volendo far credere che il monsignore avesse perfino assistito a certe messe nere. Fu padre Lombardi a darne notizia al Papa, e lui, in una nuova crisi di pianto, esclamava: «Non è vero! Non è possibile! Assolutamente non è possibile crederci» (A. Spinosa, «Pio XII, l’ultimo Papa», Mondadori,1992, p. 358; MD, p. 356). In vista delle gravi informazioni su Montini, non limitate solo a sospetti d’ordine politico, è strano che questo potente monsignore abbia scelto allora di sfogare la sua afflizione proprio andando alla Civiltà Cattolica, il 16 novembre 1953. Ora, Lombardi era al corrente che il Sant’Officio aveva aperto un dossier segreto su Montini: lui stesso l’ha denunciato «come responsabile di una politica personale verso i regimi comunisti dell’Europa orientale e verso alcuni Paesi latino-americani» (MD, p. 355). Ma lui sapeva pure che il «castigo» inflitto al «traditore» sarebbe la riprova che esso era più forte del cosiddetto «partito romano» che all’interno della curia faceva capo allo stesso Ottaviani e a Pizzardo, con appoggi nella università Lateranense e nella Civiltà Cattolica che voleva l’allontanamento di Montini dalla sua mansione nella Segreteria di Stato, da affidare al conservatore Tardini. Infatti, il Papa scelse monsignore Dell’Acqua e quanto a liberarsi di Montini, non ha saputo far di meglio che inviarlo come arcivescovo a Milano, di modo che sembrasse a tutti di aver promosso e non rimosso il sospetto personaggio. Si è solo guardato dal farlo cardinale! Ora, i chierici di vocazione rivoluzionaria, come Lombardi, credevano nell’intervento di Dio nella storia, ma attraverso le loro iniziative. Si noti: per il suo movimento padre Lombardi viaggiò e si appellò a tutte le diocesi del mondo cattolico; ma senza ricordare che la richiesta della Madonna di Fatima rimaneva disattesa e dimenticata. Il che significa dare la priorità al progetto umano sull’indicazione divina; ecco una delle vere mancanze di sintonia del movimento lombardiano con gli eventi straordinari di Fatima, e ciò veniva anche confermato dalla riforma da esso espressa. Si può quindi concludere crudamente che alla fine dei conti Lombardi assumeva Fatima al servizio di quell’idea di riforma e non il contrario. Dire questo non significa giudicare delle intenzioni degli autori di tale movimento, ma del suo esito. E allora si può vedere nel gesuita padre Riccardo Lombardi un prototipo del religioso in crisi tra la Chiesa guida a un miglior mondo e una «nuova Pentecoste» per stabilire la nuova Chiesa al servizio del Mondo Migliore. 156
Per la storia di Fatima è dunque importante conoscere attraverso questo personaggio chiave, la crisi di un’intera classe clericale, che seguendo un tale percorso pre-conciliare fu sorda al Messaggio di Gesù per Maria: «Fai sapere ai Miei Ministri... ». Le esercitazioni di Lombardi, la pastorale per la «formazione di apostoli», era la via suggerita da Montini, allora arcivescovo di Milano, con cui il Padre mantiene i migliori rapporti. «Il metodo consiste nella combinazione tra la ‘riforma individuale’ cui mirano i tradizionali ‘esercizi’ ignaziani e il modello collettivo dei convegni di studio: ‘Si tratta di tentare’ aggiunge ‘la riforma vera della coscienza ma in tanti insieme, dinanzi a problemi che ci riguardano tutti’ » (MD, p. 338). «Solo nei primi dodici mesi di lavoro compiono le Esercitazioni duemila preti, ottanta vescovi, un migliaio di dirigenti d’Azione cattolica, uomini politici, sindaci democristiani, operai... Lombardi supera il sistema tradizionale... sollecita il dialogo orizzontale... Nel 2° anno, l’afflusso è ancora maggiore, partecipando interi episcopati regionali come quello del Triveneto, capeggiato dal patriarca di Venezia Roncalli. Lo schema fondamentale è proposto e sintetizzato da Lombardi: ‘S’illustra il piano pontificio di santa rivolta contro il mondo moderno nei suoi aspetti organizzati male’» (MD, p. 339). Tale crociata pontificia contro il mondo moderno era però annullata, in verità invertita, con la scomparsa di Papa Pio XII nell’ottobre 1958. «Roncalli Papa se lo aspettano in pochi. Tra loro non c’è padre Lombardi. La sera del 28 ottobre 1958, quando sente alla TV l’habemus Pontificem di Ottaviani dalla loggia di San Pietro, col nome di Angelo Giuseppe, il gesuita si mette d’istinto le mani sulla testa, come per una sciagura: ‘O Signore Iddio’ mormora impallidendo»... «Mi aspettavo il Papa del rinnovamento della Chiesa» dirà «e invece chi era? Mi pareva assurdo. […] Lombardi ha predicato davanti a Roncalli, nunzio a Parigi. Ha tenuto per Roncalli, e i vescovi delle Tre Venezie, le Esercitazioni per un Mondo Migliore. È stato suo ospite a Venezia. Una volta lo ha pure confessato» (MD, p. 410). Qualcosa ha sempre impedito i buoni rapporti tra questi due personaggi rappresentativi di quel momento della vita nella Chiesa. Un episodio può in parte rivelare le ragioni profonde della reciproca avversione. I vescovi delle Tre Venezie non avevano simpatia per le iniziative pontificie condotte da Lombardi. «Messo al corrente da Dell’Acqua del dispiacere del Papa, Roncalli - appena tornato a Venezia suggerì ai vescovi della regione di invitare Lombardi a predicare gli Esercizi spirituali del 1955» (MD, p. 411). La riluttanza dei vescovi a 157
sperimentare il metodo comunitario era comprensibile per la loro carica di responsabilità individuale. «Invece, nel corso di fine maggio a Torreglia Alta (Padova), quei venerandi vescovi si sentirono infliggere per cinque giorni un condensato delle tesi del Mondo Migliore dalla mattina alla sera, col risultato di diventare ancora più sconcertati e di lasciare deluso il predicatore. Anche da parte mia» dirà il Padre «fu uno dei corsi più deboli, precisamente per la forma così stonata con il contenuto comunitario...» (MD, p. 411). «Fu al termine di quegli esercizi così disagiati che il patriarca andò a confessarsi da Lombardi: si proponeva così ‘di dargli ulteriore prova della mia cordialità e della mia attenzione’. Ne profittò anche per mitemente ‘fargli alcuni rilievi sul suo modo di parlare ai vescovi’... Però non era solo questa la causa di certa perplessità. Nel diario di quei giorni il patriarca precisava che, a dividerli erano ‘alcune riserve circa apprezzamenti di ordine storico e di visione unilaterale dello stato del mondo odierno’ nonché un certo ‘suo modo di concepire e di esprimere forse troppo alla buona il suo pensiero pessimista, aggressivo e alla franctireur’ » (MD, p. 412). «L’incidente maggiore avvenne a Venezia nell’ottobre seguente. Per confermargli ancora la sua stima, Roncalli volle affidare a Lombardi un corso straordinario di conferenze in San Marco. Lo presentò al clero come ‘un potente e straordinario richiamo, come di un profeta antico, al fervore delle epoche più felici della storia della Chiesa: a un rinnovamento - precisava il manifesto d’invito - non di superate strutture, ma dello spirito che le pervase e deve pervaderle ancora, e le rese, come le renderà, assolutamente benefiche e salutari’. [...] Quella sera la preghiera di Lombardi fu per San Pio X: ‘Ottienici un Papa del Mondo Migliore, dopo Pio XII’» (Diario, 15 ottobre 1955). «Il tema della ‘nuova controriforma’ per la riconquista della società al cattolicesimo dominava le conferenze del gesuita. E a tu per tu col patriarca, egli insisteva che ora occorreva un riformatore, che la Chiesa aveva bisogno assoluto di una riforma e quindi di un Papa riformatore: però non gli venne neppure in mente che quel Papa potesse essere proprio lui. ‘Ci vuole un altro San Carlo’ gli disse Lombardi, una sera, mentre il Patriarca gli mostrava i cinque volumi, da lui curati con la collaborazione di don Pietro Forni, degli Atti della Visita Apostolica di San Carlo Borromeo a Bergamo (1575). ‘Veda in questo punto, ad esempio’ gli disse Roncalli. ‘San Carlo trova un vescovo assente da tre mesi dalla diocesi e nessuno che sappia dove sia andato. Cose del genere sono inconcepibili, oggi’. Lombardi 158
insiste: ‘Non è che i tempi siano migliorati di molto. Anche oggi non si vede un cardinale riformatore da cui sperare. Sia pure per ragioni diverse, i difetti ci sono ancora’. ‘Ah, noi ci sforziamo di fare ciò che possiamo’ sospira il cardinale». «Non era che l’avvisaglia di quanto successe poco dopo, durante la cena col patriarca e con il vescovo di Padova, monsignore Bortignon, segretario dell’episcopato veneto, commensali l’ausiliare di Venezia Augusto Gianfranceschi e il segretario del patriarca, Loris Capovilla. Lombardi continuò più liberamente che nelle conferenze pubbliche a manifestare la sua visione apocalittica delle vicende italiane. Tra l’altro, disse che non trovava in tutta Italia un solo vescovo ‘di stile tridentino’; che si rotolava verso il peggio; che nessuno riusciva a capire l’importanza del Mondo Migliore, la sua necessità, la sua quasi obbligatorietà, dal momento che il Papa lo aveva fatto proprio. Il cardinale, che gli era accanto, tentò di contraddirlo: ‘Caro padre, ho studiato a fondo la situazione italiana, pre e post-tridentina. Posso dirle che oggi le cose vanno molto meglio!’». «Lombardi allora scattò in piedi, congestionato, vibrò un pugno sulla tavola così forte da far tremare piatti e bicchieri e, mentre qualche vetro schizzava in frantumi sul pavimento, gridò: ‘Le anime vanno all’inferno e il patriarca mi dice che le cose vanno bene!’ Si strappò il tovagliolo dal colletto, lo gettò tra i piatti e usci bruscamente dalla saletta lasciando i commensali sbigottiti» (MD, pagine 413, 414): «Non parlo più!». Dopo lo sconcerto, Roncalli si levò e uscì a sua volta per andare a calmare Lombardi che era un inviato dal Papa regnante e riuscì a placare le acque. Questo episodio, in cui è affiorato con violenza come Lombardi era combattuto dal contrasto tra le parole di suor Lucia sulla perdita di tante anime e l’attivismo ottimista di tanti prelati, deve aver sconvolto la mente del padre quando udì, la sera del 28 ottobre 1958, il nome di Roncalli con l’habemus Papam. Lombardi aveva deplorato l’assenza di vescovi tridentini? Aveva ragione di preoccuparsi. Le porte si sarebbero chiuse in seguito al suo Mondo Migliore, considerato un «integrismo» dei profeti di sventura. Lombardi ha predicato a Parigi nel 1949. «Ma è di quell’anno l’episodio brusco di quel religioso benedettino, andato dal Nunzio a intercedere per una benedizione sulla Crociata della Bontà: ‘Non pronunciate mai questa parola davanti a me!’ gli fece Roncalli, rabbuiandosi. ‘Vengo da Costantinopoli e so che il solo ricordo delle crociate basta a dividere i cristiani’» (MD, p. 411). Ora, lo spirito del movimento d’espansione della Fede e della Civiltà cristiana nel mondo, sotto il segno della Croce, ha 159
sempre plasmato l’operato della Chiesa. La Crociata Eucaristica fiorì nel tempo di Pio XII. Era il nome crociata o il suo spirito che faceva rabbuiare Roncalli. Adesso la Chiesa e Lombardi si trovavano con un capo cui perfino il termine crociata faceva inorridire. Che cosa stava per succedere? Ad ogni modo, l’anno dopo, con la convocazione del concilio di Roncalli, il 25 gennaio 1959, un fremito di entusiasmo anima l’impeto riformatore di Lombardi. Il Padre si allinea subito. «È un Lombardi non più apocalittico che esce da questo ritratto: ‘Dovunque si guarda nella Chiesa si trovano da valorizzare spunti stupendi già in atto, basterebbe notare con quale energia e quali applicazioni colossali si sia fatto araldo di tale spirito di unità e di rinnovamento il nuovo regnante Pontefice Giovanni XXIII, benedetto per questo dall’intero genere umano. Il Concilio Ecumenico annunziato da Lui per ispirazione dello Spirito Santo è il più grande sforzo umanamente immaginabile per una unità cattolica più efficiente ed un mondo migliore’» (MD, p. 428). L’8 agosto del 1960, Lombardi è a Castel Gandolfo e in una udienza «indimenticabile», si sente dire da Giovanni XXIII: «Il padre Lombardi prima era come quei profeti dell’Antico Testamento, terribili. Poi è diventato profeta del Nuovo Testamento. Ma ora deve diventare ancora più soave... È con spirito di soavità che si deve dire tutto. Dire le cose, ma badando al modo...». Lombardi risponde: «Ho avuto tante umiliazioni e son cambiato molto. Ho imparato, sa? Sono più modesto...» (MD, p. 428). La vera questione non era, però, di badare al modo, ma alla sostanza, cioè se il magistero dei Papi e di Pio XII sui grandi errori e mali del comunismo sarebbe continuato. Ma nei nuovi obiettivi di Giovanni XXIII Lombardi non può non vedere «uno sganciamento da Pio XII» ed entra in crisi. Nel giro di un anno tralascia la direzione del movimento per dedicarsi a un istituto per l’apostolato della gioventù femminile. Nel frattempo, Il capo del Sant’Officio, Ottaviani, «ha attaccato fortemente, in una omelia nella basilica di Santa Maria Maggiore, quei politici che non si fanno scrupolo di ‘stringere le mani grondanti di sangue dei novelli anticristi’, riferendosi alla visita di Gronchi a Mosca il 7 febbraio 1960. Anche sui primi cosmonauti sovietici sono caduti i fulmini di Ottaviani, che li considera ‘atei i quali credono di vuotare i cieli con le loro prodezze spaziali’ (MD, p. 437). La nuova politica vaticana, però, apre talmente alla sinistra e al comunismo che la Curia romana è allarmata: ‘La voce diffusa è che Giovanni XXIII sia persuaso che viene il comunismo. Perciò attenuerebbe tanto i contrasti per poter trattare’» (MD, p. 434). 160
«Roncalli sta lavorando per assicurare la partecipazione dei vescovi d’oltre cortina al Vaticano II. Ha avviato contatti con il regime di Tito per normalizzare le relazioni tra Chiesa e Stato in Jugoslavia. Malgrado la bufera abbattutasi sulla Chiesa a Cuba, si è astenuto dal fulminare la scomunica su Fidel Castro, come vorrebbero i circoli della ‘Chiesa del silenzio’, e mantiene il nunzio all’Avana. […] Al principio dominante con Pio XII, ‘Non ci si accorda con il diavolo’, nell’epoca della contrapposizione frontale dei blocchi, egli preferisce la formula del primate polacco Stephan Wyszynski, ‘cardinale conciliante’ che Pacelli ha costretto ad una umiliante anticamera nel 1957: ‘Con il diavolo no, con gli uomini si. Non abbiamo nemici, abbiamo fratelli che ignorano per il momento i legami che ci uniscono’» (MD, p. 435). In verità, Pio XII, e predecessori, si riferivano a regimi «intrinsecamente perversi, con cui la trattativa è impossibile», giustamente quelli con cui Wyszynski trattò e ora anche Roncalli. Giovanni XXIII nel messaggio natalizio del 1960 saluta «L’atmosfera di distensione che ha fatto rifiorire la speranza in molte anime» e ha aggiunto: ‘La Chiesa accompagna con le sue preghiere tutti coloro che, nelle relazioni internazionali, permettono gli incontri in un clima di serenità, aiutano al regolamento pacifico dei conflitti, al riavvicinamento dei popoli e alla loro mutua collaborazione’» (MD, p. 436). La sterzata a sinistra nel piano nazionale e internazionale preoccupa i membri della Curia romana e altre personalità del pensiero di Pio XII. Questi prelati cercano voci autorevoli per affrontare tale mutamento. Chi meglio di padre Lombardi, che considerava la distensione un cavallo di Troia del comunismo mondiale? Egli diceva in una lettera a La Pira, che lo invitava a «cogliere ogni sintomo di speranza»: «Mi è sembrato un dovere per la difesa di tanti pusilli il dichiarare che nell’attuale fase bisogna stare in guardia dalla speculazione comunista su quei fatti. Se tutte le persone fossero buone, si sarebbe potuto parlare di quegli incontri come di una promessa per l’umanità. Siccome purtroppo ci sono innumerevoli persone che oggi tramano per la rovina delle anime con la bandiera del comunismo, mi sembra che bisogna difendere i deboli da tutto ciò che li può illudere, che il comunismo sia in qualsiasi senso in via di conversione» (Lettera di Lombardi a La Pira, 9 ottobre 1959). «Lo ribadisce in una clamorosa intervista a Oggi alla fine di maggio 1961, dal titolo simbolico: ‘Padre Lombardi prepara una nuova Crociata per sottrarre al caos la Civiltà Cristiana. Nel Diario scrive: ‘Si respira nell’aria una specie di adattamento ad avere i comunisti tra noi. E il silenzio 161
del Papa è interpretato come acquiescenza. Insomma, si teme che il Papa mi richiamerebbe se io parlassi molto su quello’» (Diario, 4 giugno 1961). Il cardinale Ottaviani, che ripeteva allora: «la situazione è molto grave», patrocina la «crociata» di Lombardi mettendo a disposizione i mezzi di cui dispone. S’illude però ed inganna il gesuita sul consenso che pensa di strappare a Giovanni XXIII: «Ottaviani riferisce che il Papa benedice approvando» annota nel suo diario Lombardi. Richiede però «che io devo agire come singolo non con l’intero Movimento Mondo Migliore e che, per la predicazione, stia attento a quei punti che mi furono già notati in altre occasioni. Il cardinale mi dice di aver riferito al Papa che il padre Lombardi predicherà solo di far preghiera e penitenza e questo certamente è buono» (Diario, 8 e 27 giugno 1961). In verità Giovanni XXIII reagisce al progetto in ben altra maniera: «Non passano molte settimane e il cardinale Confalonieri riceve da Tardini una lettera durissima, accompagnata dall’intervista di Lombardi a Oggi, piena di sottolineature». Ecco le direttive a Lombardi: 1) La Santa Sede non vuole che si usino certi toni e certi metodi. Non si deve parlare di «crociata», non si deve gettare l’allarme, non si deve parlare di rivoluzione, di «riforma». Non si devono prendere atteggiamenti da Savonarola. 2) Parlando del comunismo non si dia la falsa impressione che esso sia il male. Si dica che ci sono tanti mali e - fra i tanti - anche il comunismo. 3) Poi bisogna sempre specificare che la Chiesa è contro il «comunismo ateo»: questo è il termine della Divini Redemptoris. Si capisce che il comunismo è condannabile anche per altri motivi, ma noi dobbiamo stare a questa terminologia. 4) Non bisogna proclamare che si farà un giro di tutta l’Italia. Si andrà, così, diocesi per diocesi senza suscitare clamori e allarmi fuori luogo. 5) Soprattutto viene raccomandato il «garbo»: quel garbo che da tre anni viene praticato e predicato dall’Alto (Lettera di padre Rotondi a padre Lombardi, 18 agosto 1961).
Un primo colpo contro i «profeti di sventura» Lombardi colpito cerca appoggi nella Curia e non solo al Sant’Officio ma anche al Vicariato. Monsignor Parente lo assicura: «Gli avvisi riguardano solo il tono apocalittico e profetico». Bisogna muoversi: «Le notizie sul comunismo in Italia sono gravissime», «lei si senta libero, è necessario il suo grido perché l’ora è gravissima» (Diario, 4 ottobre 1961). «Lo stesso allarme, e in più una pesante critica alla linea papale ritrova alla Congregazione del Concilio, da monsignore Pietro Palazzini che ne è segretario. In alto dominano un cieco ottimismo ad oltranza e l’illusione». 162
Non diversa è l’opinione di tanti altri prelati, tra cui Samoré, capo degli «Esteri» della Segreteria di Stato e frequentatore dei riti a Santa Maria Maggiore per la «Chiesa del silenzio» (Diario, 24 ottobre 1961). Padre Lombardi è portato a una reazione di sdegno, che si accresce con la lettura della prima lettera sociale di Giovanni XXIII, Mater et Magistra, per cui sembra che «la Chiesa possa cristianizzare il sistema comunista da dentro». Tali mosse per dialogare con i regimi comunisti sono causa di turbamento per il mondo cattolico. «La tolleranza che viene da Roma disorienta tutti». Lui vive un’ora dolorosa. Ma padre Lombardi continua a proporre i suoi corsi nei termini del gravissimo pericolo che incombe: «Vorrei sforzarmi di mostrare il piano del Signore» in cui include la Madonna. E si sente rispondere: «La Madonna farà pur qualcosa!». E Lombardi: «Ma la responsabilità è nostra! Il pericolo lo dobbiamo fronteggiare noi, con l’aiuto di Lei, ma anche con l’impegno del clero cattolico». E sente la risposta tagliente: «La Madonna mi sta bene, lei con la spada in alto». Il vescovo di Vittorio Veneto Albino Luciani in una lettera «spiega i motivi per i quali rifiuta l’offerta della predicazione di Lombardi per ‘mostrare il piano del Signore’: «Può esser interpretata da certa gente entusiasta in senso profetico, carismatico, quasi alla Savonarola. Iniziative del genere, appoggiate da un vescovo e lasciate cadere da un altro, vanno a rischio di creare dicerie e nuove confusioni». Infatti, il «piano della Madonna di Fatima», della consacrazione della Russia al Suo Immacolato Cuore, era uguale per tutti i vescovi, ma non vi era nessuno che lo ricordasse allora, tanto meno quelli che avevano i propri piani di aggiornamenti e riforme. Strano: tra questi c’era ora Lombardi che chiede udienza a Giovanni XXIII. Costui lo fa aspettare tre mesi, tempo in cui il Padre riepiloga le sue tormentose contraddizioni. Dopo tanti suoi giudizi durissimi rivolti nei confronti di quella politica di tolleranza verso il comunismo e l’URSS, da buon gesuita padre Lombardi è alla ricerca degli ordini papali da accogliere con ogni slancio di fedeltà e di sottomissione, qualunque essi saranno (!). E Giovanni XXIII quando lo riceve nella sua biblioteca la mattina dell’antivigilia di Natale è al corrente di questo fatto; di questa ubbidienza “per inde ac cadaver” dei Gesuiti. «Del problema per cui Lombardi ha chiesto di vederlo - se possa intraprendere il nuovo giro di predicazione anticomunista - il Papa non fa parola per tutto il tempo. Preferisce attirare l’attenzione del gesuita su altri problemi, per esempio la vita spirituale del clero... si duole che, nella riforma del Breviario, siano stati mantenuti - dice - dei salmi che ‘nulla 163
hanno a che fare con la pietà sacerdotale’. Per esempio, si trovano ancora dei salmi sulla storia d’Israele, salmi che parlano di battaglie, guerre, scontri, salmi che invocano un Dio guerriero. «E addirittura son state conservate le famose ‘maledizioni’... ‘non per nulla evangeliche’». «Io proprio non amo questi salmi forti». «Veramente» suggerisce modestamente il gesuita «io sono cambiato tanto, Santità. E proprio per effetto del suo stile... ma il Padre Lombardi rimane forte» incalza Giovanni. «E sarà forse talora necessario esser così, che ci siano degli apostoli di fuoco. Però, veda, la pietà normale del sacerdote deve essere nella pace, nella pace! `È la pace lo scopo del Concilio, anzi della stessa Chiesa». Così Giovanni XXIII introduce l’altro tema che gli sta a cuore: quello dell’accoglienza delle ispirazioni divine, un tema che sa non meno presente all’orizzonte spirituale dell’interlocutore. Lo stile è sempre quello narrativo e gli racconta come gli sia venuta l’ispirazione del Concilio. «Non ci avevo pensato affatto prima» dice (!). «Ma dovendo io andare nella Basilica di San Paolo, molti cardinali vollero andarci anche loro. Per cui ho pensato di dir loro qualcosa. Per il popolo era facile improvvisare un discorsino. Mi consigliai con Tardini. Tardini aveva un carattere tutto diverso dal mio, sa? Però... io gli avevo detto che non avrei fatto nulla senza dirlo prima a lui, e che anche lui non facesse nulla senza dirlo a me. Parlando con Tardini» prosegue «mi venne di dirgli che per i cardinali pensavo di parlare dell’unità, l’unità dei figli di Dio, e anche quella con i non cattolici, e che bisognava fare nella Chiesa qualcosa, come tutti fanno adesso le loro assemblee. Per esempio: un Concilio... Poi venne da me don Dell’Acqua, che era mio segretario a Istanbul... Si vede che il cardinal Tardini gli aveva detto qualcosa perché, appena gli accennai del Concilio, subito disse: ‘Ma il Concilio è un gran progetto. Però qui a Roma bisognerebbe anzitutto fare un Sinodo’... E infine venne un altro, e mi disse che le leggi della Chiesa sono tutte da rivedere. Capisce, Padre? Così son venute le tre idee, del Concilio, del Sinodo romano e della revisione del Codice di diritto canonico che ho annunciato a San Paolo’» (MD, pp. 444/5). Ma tali «ispirazioni» si sono dimostrate poi delle invenzioni! Sì perché ripetute in tempi diversi! La menzogna del Concilio “ispirato” Roncalli così si esprime nel suo Giornale dell’anima: “Riassunto di grandi grazie fatte a chi ha poca stima di sè stesso, ma riceve le buone ispirazioni e le applica in umiltà e fiducia (...). Seconda grazia. Farmi apparire come semplice e immediate di esecuzione alcune 164
idee per nulla complesse, anzi semplicissime, ma di vasta portata e responsabilità in faccia all’avvenire, e con immediato successo. Che espressioni son queste: cogliere le buone ispirazioni del Signore, simpliciter et confidenter! Senza averci mai pensato prima, vennero fuori in un primo colloquio col mio Segretario di Stato, il 20 gennaio 1959, le parole di Concilio Ecumenico, di Sinodo diocesano e di ricomposizione del codice di Diritto Canonico, e contrariamente a ogni mia supposizione o immaginazione su questo punto. Il primo a essere sorpreso da questa mia proposta fui io stesso, senza che alcuno mai me ne desse indicazione. E dire che tutto mi parve così naturale nel suo immediato e continuato svolgimento”. (51) Don Ricossa di Sodalitium riassume la storia fornita dell’ispirazione (52). “La versione del protagonista, Giovanni XXIII: “è dunque chiara e concordante: 1) La decisione di indire un Concilio fu una “celeste ispirazione”.(53) 2) Egli ebbe questa ispirazione solo cinque giorni prima di annunciare pubblicamente il Concilio, ovvero il 20 gennaio, parlando col cardinal Tardini. 3) Mai aveva pensato prima di allora al Concilio, tanto che fu sorpreso da quello che egli stesso diceva. 4) Mai nessuno gliene aveva parlato prima. Questa versione è quella da tutti conosciuta ed ufficialmente accreditata, al punto che Paolo VI « il 29 settembre 1963 dirà, in lode di Giovanni, che il Concilio ecumenico era stato indetto ed avviato “per divina disposizione”»(54), e lo stesso Giovanni Paolo II soggiungerà:”... egli ha legato il suo nome all’evento più grande e trasformatore del nostro secolo: l’indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui intuito, com’ebbe a confessare, come per una misteriosa e irresistibile ispirazione dello Spirito Santo...”(25/XI/1981) [discorso del 26 novembre 1981 per il centenario della nascita di Roncalli] (55). Versione ufficiale, dunque, ed accreditata. Con un solo difetto: di essere totalmente FALSA.”
E tale versione ufficiale, pretesa come vera dalla serie dei papi conciliari, è tanto smaccatamente fasulla da dover essere rifiutata persino dagli
51
- GIOVANNI XXIII. Il Giornale dell’anima, Edizioni di Storia e Letteratura. V edizione. Roma 1967. pagg. 359-360. Testo parzialmente riportato da Hebblethwaite, pagg. 446-447. Con queste parole si chiude il diario di Giovanni XXIII. [Evidenziatura in grassetto nostra].
52 - Don Francesco Ricossa, Il papa del Concilio (12° puntata), Sodalitium n. 34, 1993, p.12.
53 - Cf. Giornale dell’anima, op. cit., pag. 359, nota 1, nella quale Loris Capovilla ripete le parole stesse di Papa Giovanni.
54 - Insegnamenti di Paolo VI, Tipografia Poliglotta Vaticana, vol. I, 1963, pag. 168. Citato da CAPOVILLA, in: AA.VV., Come si è giunti al Concilio Vaticano II, Massimo, Milano, 1988. pag. 38.
55 - Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Tip. Pol. Vaticana,vol. IV, 2/1981, pagg. 752-757, citato da LORIS CAPOVILLA, in: AA.VV. Come si è giunti al Concilio Vaticano II, Massimo, Milano, 1988. p.24.
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storici filoroncalliani come Hebblethwaite o di tendenza progressista, ma seri, come il Padre Martina SJ, non disposto ad avallare acriticamente la mitologia giovannea costruita da storiografi tipo Balducci, Falconi, Zizola e simili. Prosegue Don Ricossa (56): “La falsità delle affermazioni Roncallo-Montino-Wojtyliane al proposito è accertata, documentata ed accettata da tutti gli storici. I quali fanno i salti mortali per non dare a Roncalli del bugiardo. Imbarazzato, Hebblethwaite scrive: «Chiaramente papa Giovanni non può voler dire di non aver mai pronunciato la parola “Concilio” prima del 20 gennaio ‘59: sarebbe semplicemente falso»(57).”
Si cerca allora da parte di Hebblethwaite e di far passare questo fatto come un episodio di smemoratezza senile, ma senza essere molto convincenti. Anche perché la “smemoratezza” sembra essere stata utilizzata pure in altre circostanze non senili. Ricorda Don Ricossa (58): “Certo, nel 1962 Giovanni XXIII era vecchio. Ma vecchio non era don Roncalli, quando nel 1914, messo “con le spalle al muro” dal card. De Lai, affermava falsamente, ma con giuramento, di non essere un seguace del Duchesne! Per quell’episodio, Hebblethwaite, non potendo ricorrere al rimbambimento senile per giustificare le bugie di un giovane di 32 anni, utilizzò la formula “cancellare i ricordi dalla memoria” ( 59). Diciamo che, poichè la volpe perde il pelo ma non il vizio, anche nel 1962, ricordando gli avvenimenti di tre anni prima, Roncalli “cancellò” certi ricordi dalla memoria…!”
Il gesuita padre Giacomo Martina descrive a sua volta, i fatti: “Secondo il Giornale dell’anima e un discorso dell’8 maggio 1962, Giovanni XXIII avrebbe concepito il proposito (di convocare un Concilio) in seguito ad una ispirazione improvvisa, nata in lui durante un colloquio col Segretario di Stato, Card. Tardini, il 20 gennaio 1959. L’affermazione autobiografica - che apre singolari problemi sulla veridicità del Giornale dell’anima e sul carattere del papa - è però contraddetta da molte testimonianze, parecchie delle quali risalgono al papa stesso” (60). Occorre inoltre tener conto del fatto che l’idea di un Concilio Ecumenico, in se stessa buona, se si fosse proceduto in modo regolare secondo il costume della Chiesa a condannare numerosi errori moderni, tra i quali il comunismo e lo stesso modernismo e a stabilire definizioni dogmatiche da tempo in attesa, quale 56 - Don Francesco Ricossa, Il papa del Concilio, op. cit., pag.13.
57 - P. HEBBLETHWAITE, Giovanni XXIII. Il Papa del Concilio, Rusconi, Milano, 1989, pag. 446. 58 - Don Francesco Ricossa, Il papa del Concilio, op. cit., pagg.13-14. 59 - Cf. “Sodalitium”, n. 23, pag. 9.
60 - G. MARTINA, La Chiesa in Italia negli ultimi trent’anni, Studium, Roma 1977, pagg. 85-86. [Evidenziatura in grassetto nostra]. Commenta Don Ricossa: “Secondo Martina, quindi, non ci possiamo fidare neppure del diario privato di Giovanni XXIII (evidentemente questi sapeva che sarebbe stato pubblicato...).”
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ad esempio quella di Maria Corredentrice, era già da tempo meditata e venne poi proposta da vari esponenti della Curia Romana, tra i quali il Card. Ottaviani, il Card. Ruffini ed altri, come spiega Don Ricossa (61): “Il Cardinale Ottaviani, che fu, come abbiamo visto, uno dei “grandi elettori” di Roncalli, ha dichiarato almeno due volte, nel 1968 e nel 1975, che si parlò di un Concilio durante il conclave, ancor prima dell’elezione del Patriarca di Venezia, quando fu chiaro che sarebbe stato lui il prescelto. I cardinali Ottaviani e Ruffini, allora, accompagnati da altri rimasti anonimi, si recarono nella notte del 27 ottobre 1958 nella cella di Mons. Roncalli per proporgli un Concilio Ecumenico.(62) Secondo il Card. Ottaviani, il Card. Roncalli avrebbe fatta sua l’idea del Concilio già da quel momento, ovvero prima ancora di essere eletto. Il 30 ottobre, due giorni dopo la sua elezione, Giovanni XXIII parlò al segretario Capovilla della “necessità di convocare un Concilio”. Il due novembre, prima ancora dell’incoronazione, dice allo stesso che “ci vuole un Concilio”, e questo dopo aver ricevuto in udienza proprio il Card. Ruffini ed aver parlato della questione. Ne riparla in novembre col nuovo Patriarca di Venezia, Giovanni Urbani, e col Vescovo cappuccino di Padova, Girolamo Bortignon. “Il 28 novembre la decisione è quasi presa”. “La decisione di papa Giovanni di tenere un Concilio si cristallizza nel dicembre 1958”. Attorno a Natale ne parla con Mons. Cavagna, suo confessore, ed alcune altre persone. « In gennaio, Roncalli ha preso la sua decisione. Il momento esatto è forse quello della notte dell’8 gennaio 1959. Comunque sia, il mattino dopo, egli incontra don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana, che è stato il segretario del suo “eroe” il Card. Ferrari, quarant’anni prima. Giovanni gli dice: “Ti devo dire una cosa grande, che però devi promettermi di mantenere segreta. Questa notte mi è venuta una grande idea, di fare il Concilio». Il Rossi tenne l’acqua in bocca... a metà, e ne fece un’allusione nel suo bollettino, La Rocca, del 15 gennaio.(63) È pertanto storicamente accertato che non solo l’idea del Concilio non venne improvvisamente alla mente di Roncalli durante il colloquio col Card. Tardini del 20 gennaio, ma che addirittura il Tardini fu uno degli ultimi a saperlo, solo 5 giorni prima dello storico annuncio! “Un fatto dei più sorprendenti e dei più significativi è questo: papa Giovanni non dice niente a Tardini, il suo Segretario di Stato”(64). Quando, il 20 gennaio, Giovanni XXIII rivela a Tardini che ha deciso di annunciare l’indizione del Concilio la domenica seguente, dopo aver avuto questa idea solo il giorno prima (ma quante bugie racconta!), questi capì “di trovarsi di fronte ad un fatto compiuto, a una decisione già presa”. Il Card. Tardini approvò pertanto l’idea come “bella e nuova”, anche se “il preteso entusiasmo di Tardini non era esente da riserve”(65) come lascia capire Andreotti, messo al corrente del progetto da Giovanni XXIII il 22 gennaio, il quale
61 - Don Francesco Ricossa, Il papa del Concilio, op. cit., p.14.
62 - Hebblethwaite, op. cit., pp. 400, 437. Le dichiarazioni del Card. Ottaviani furono raccolte dal settimanale Epoca (8/12/1968) e dal diplomatico americano Bernard R. Bonnot che le cita nel suo libro (dal titolo significativo) Pope John XXIII, an Astute Pastoral Leader, Alba House, New York, 1979, p. 13. Don Ricossa commenta: “Ancora una volta la scelta del Card. Ottaviani non si rivelò felice.”
63 - Per tutte queste citazioni, si veda HEBBLETHWAITE, op. cit., 432, 434, 435, 436, 440, 441. Si veda pure CAPOVILLA in “Come si è giunti al Concilio Vaticano II” op. cit., pp. 35-37. 64 - HEBBLETHWAITE, op. cit., 435.
65 - Cf. HEBBLETHWAITE, op. cit., pp. 443-448. 167
non approva i sei anni di preparazione al Concilio previsti dal suo Segretario di Stato.(66) Commenta padre Martina: “È singolare prova della natura dei rapporti del papa col suo segretario di Stato, cordiali ma non profondi, che questi venisse a conoscenza del proposito solo il 20 gennaio, quando il Pontefice aveva già irrevocabilmente deciso l’iniziativa ed aveva steso il primo abbozzo del discorso ai cardinali del 25 gennaio seguente”.(67) In maniera più grossolana, il giornalista anglosassone Wilton Wynn (che ha avuto “l’onore” di cenare con Giovanni Paolo II) esprime lo stesso concetto dello storico gesuita (Martina) e dell’altro giornalista ex-gesuita (Hebblethwaite): « Papa Giovanni riusciva regolarmente ad aggirare il vecchio nemico Tardini. In qualità di segretario di Stato, Tardini sarebbe (sic) dovuto essere il collaboratore più stretto del papa. Ma Giovanni XXIII non lavorava attraverso i canali “ufficiali”, preferendo invece ricorrere a persone più consone al suo carattere e nelle quali riponeva la massima fiducia ».”(68)
Dunque il Concilio, non fu affatto ispirato dallo Spirito Santo a Roncalli, divenuto “papa buono”, ma da ben altro spirito nel modo sopra detto, e non come lo stesso Roncalli, Montini, Wojtyla e Ratzinger hanno voluto far credere e continuare a far credere. Quali saranno state quelle “persone più consone al suo carattere e nelle quali riponeva la massima fiducia”? Chi, se non i settari modernisti? Scrive Don Ricossa (69): “Un indizio, e più che un indizio, si trova nella testimonianza del suo vecchio amico (fin dal 1924) Dom Lambert Beauduin, pioniere dell’ecumenismo e della riforma liturgica. Alla morte di Pio XII, disse agli intimi: “Se eleggessero Roncalli tutto sarebbe salvo: sarebbe capace di convocare un Concilio e consacrare l’ecumenismo...”. È difficile pensare che il vecchio cospiratore parlasse a casaccio, e che non svelasse, piuttosto, una parte dei progetti elaborati col Roncalli in tanti anni per la riforma della Chiesa.” (70)
Il racconto vorrebbe illustrare «l’anima docile» che «è come un vaso in cui Dio versa le ispirazioni, servendosi, quando siamo li aperti per ricevere, di tante persone attraverso le quali il Signore parla...». Negli appunti che padre Lombardi ha lasciato di quell’udienza egli salta prontamente su quel discorso e dice: «Forse qui c’è una quarta ispirazione per Vostra Santità!»... riunire un gruppo di apostoli... «Quanto a quello che dovrebbe essere l’argomento dell’udienza - il piano di predicazione -, il Diario si limita ad ammettere che il Papa ‘non gli
66 - GIULIO ANDREOTTI. A ogni morte di Papa. I Papi che ho conosciuto, Rizzoli, Milano 1980, pagg. 77-78; e anche HEBBLETHWAITE, op. cit., p. 448. 67 - MARTINA, op. cit., p. 86.
68 - WILTON WYNN, Custodi del Regno, Frassinelli, 1989, p. 81. 69 - Don Francesco Ricossa, Il papa del Concilio, op. cit., pg.14.
70 - L. BOUYER, Dom Lambert Beauduin, un homme d’Eglise, Castermann, 1964, p. 180-181, citato da D. BONNETERRE, Le Mouvement liturgique, Fideliter, 1980, p. 112. (vedi anche nota 98).
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dedica una sola parola’... Lombardi lascia nelle sue mani un libro fresco di stampa... Concilio. Per una riforma nella carità... E’ un libro esplosivo. E, per il suo autore, un boomerang» (MD, pagine 446/7). Il libro racchiude un terremoto di idee rivoluzionarie, dal matrimonio per i preti caduti ad una radicale riforma della Curia. La cosa in parte è anche piaciuta al Generale dei Gesuiti Janssens, ma c’erano ancora troppi strali contro l’Impero di Satana del comunismo ateo... Giovanni XXIII rimase molto turbato da quel lavoro e decise di calcare una dura mano sul suo autore che osava un «aggiornamento» diverso dal suo. E Lombardi fu sottomesso a una serie di ritrattazioni e umiliazioni, fino al completo ridimensionamento del padre e del suo Movimento. Certamente padre Lombardi aveva toccato il tenebroso segreto di una rivoluzione già pianificata in altri centri di pensiero e già in corso. Ha preteso di giocare con qualcosa molto più grossa di lui... che ha voluto dirottare ma ne diviene una misera pedina, e la sfinge della rivoluzione invisibile lo ha abbattuto. Seguì per lui, come per tanti preti fedeli una notte assai scura... Come sarà nel tempo seguente, di Montini, divenuto Paolo VI? «Mandato arcivescovo a Milano (‘un allontanamento attribuito da alcuni in parte a noi’ ammette a fior di labbra Lombardi) (Diario, 21 giugno 1963) Montini lo ha invitato fra i predicatori di spicco della Missione ambrosiana del 1957. A un pranzo con Siri e Lercaro, lo ha voluto alla propria destra. Mentre gli ospiti erano accompagnati alle macchine, per un attimo l’arcivescovo e il gesuita sono rimasti separati dagli altri... Lombardi ha gettato le braccia al collo all’arcivescovo, come per un improvviso moto di perdono, e Montini gli ha posato la testa sulla spalla: ‘Eccellenza, perché il Papa non la fa cardinale?». Negli anni successivi, Montini ha ricevuto da Giovanni XXIII l’intero dossier istruito dal Sant’Officio sul suo conto». [quello istruito sul conto di Roncalli non fu più trovato] (MD, p. 473). Il fallimento personale si concretizza quando il 2 ottobre 1963, Montini, divenuto Paolo VI, in trono da poco più di tre mesi lo informa, in una udienza drammatica, che il Mondo Migliore sarebbe affidato alla Compagnia di Gesù. Ogni sogno di padre Lombardi svaniva. Così Paolo VI, che aveva già riconvocato il Vaticano II e annunciato la riforma della Curia romana, chiude una tra le più calde pendenze del tempo roncalliano, quella del Mondo Migliore che si era caricata di aspetti troppo personali e anticomunisti. Proprio chi aveva tanto pianificato riforme per la Chiesa e per la Curia era tolto di mezzo. Perché? Per aver toccato un segreto di uomini coinvolti con i poteri del 169
mondo, ma principalmente per non aver testimoniato l’abbandono di un Segreto di Dio. Il Mondo Migliore sarà d’allora in poi strumentalizzato ovunque. In Brasile servì a promuovere molti «profeti» delle nuove «comunità ecclesiali di base», che alimentavano proprio uno sfondo marxista. In altri luoghi servì una «teologia del laicato», aperta anche al dialogo sulla «morte di Dio» e sulla redenzione dei miscredenti e atei. «Si spezza anche l’uomo, sotto i colpi della Curia romana e quelli, non meno percussivi, di una crisi psicologica devastante. Al termine di questa passione, il protagonista si ritira tra le quinte. La voce che ha fatto vibrare le masse si vela di pianto e si spegne» (MD, p. 472). Padre Lombardi aveva ricevuto tante grazie e molti aiuti, ma non aveva saputo ordinare la sua impresa all’Idea principale: al dolce segreto di Dio per gli uomini del nostro tempo: la parola di Maria! Padre Lombardi nemmeno s’interessò di unirsi alla resistenza cattolica in formazione. E il suo momento passò lasciando solo pena e rovina. La questione che si pone: - Come mai solo molti anni dopo l’elezione al pontificato di Roncalli alcuni cattolici sollevarono il sospetto della nullità di quella elezione e delle successive? La sorpresa risulta dal fatto che oggi un intero mondo accetta la legittimità cattolica dei “papi conciliari” senza minimamente considerare il suo aspetto canonico, cioè che nessuno è validamente eletto se intende cambiare la Chiesa. La continuità nella preservazione della Tradizione scritta e orale è la missione per cui fu istituito il Papato e oggi è ormai un fatto storico che dai giorni dell’ascesa di Giovanni XXIII la continuità della Chiesa cattolica, come essa fu tramandata attraverso 260 Papi e 20 Concili ecumenici, lungo due millenni, è stata interrotta. Ci basta un dato per riconoscerlo: la Chiesa cattolica si è sempre proclamata unica via istituita da Dio per la salvezza, mentre la nuova Chiesa conciliare ha dichiarato col Vaticano II e messo in pratica da allora che ciò si estende a tutte le religioni, Altrimenti come intendere la riunione interreligiosa di Assisi e il suo seguito? Ciò vale specialmente per i Giudei, che non avrebbero bisogno di convertirsi a Cristo perché rimangono nella fede dell’Antica alleanza. Per la nuova religione conciliare, quindi, non è necessario predicare il Vangelo in tutto il mondo per convertire ogni creatura, perché non sarebbe vero quanto ha insegnato il Signore, che solo “chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, mentre “chi non crederà sarà condannato”. A questo punto la fede sarebbe superflua per la salvezza! Nemmeno Lutero avrebbe accettato le affermazioni per cui Wojtyla, fondato sul Vaticano II, dispensa la 170
necessità della fede; l’inganno per cui chi si presenta come Vicario di Cristo e garante delle chiavi del Suo sangue, fa intendere che non c’è bisogno di Lui per l’ordine del mondo e per la salvezza delle anime. Tornando alla questione iniziale si deve dire però che solo in momenti successivi all’elezione di Giovanni XXIII i cattolici che volevano restare tale si sono accorti che la deviazione dottrinale era profonda e dimostrava la sua continuità col “roncalpensiero” ripreso dai successori. Tanto per inciso, anche il Padre de Nantes, che accettava questi papi, analizzando il discorso di apertura del Vaticano II, vi trovò otto evidenti eresie. Alla questione iniziale seguono altre che saranno qui riassunte in tre: 1 - Dove si legge a chiare lettere che il Vaticano II insinua l’origine divina di altre religioni? La risposta è nella dichiarazione Nostra aetate. 2 - Come mai i Cattolici non hanno reagito tempestivamente a questa e altre aberrazioni? Per rispondere vedremo che ci sono state reazioni, scemate però dalla “fiducia di provvedimenti da parte del papa”. 3 - Dove è scritto che il fedele può contestare tale “papa” in nome del Diritto divino? La risposta è nella legge della Chiesa sulla perdita “ipso facto” dell’autorità del deviato della fede (canone 188 # 4). Ciò è nel Diritto Canonico, fondato sulla Rivelazione, sul Magistero pontificale e di logica elementare: non può essere capo chi non appartiene al corpo. Ma se né gli alti prelati né i preti di prestigio come Lombardi reagiscono, chi lo farà? La gran devozione per chi occupa la Cattedra di Vicario di Cristo deriva dal rappresentarLo quale primo testimone della Fede; somma responsabilità per cui, se la tradisce, non è il meno, ma il più gravemente colpevole. Eppure nei nostri tempi resta più la devozione per tale uomo che per la Fede del Salvatore! Tempi di delirio che invocano castighi! 7 - LA «FALLIBILE» PASTORALE DEL VATICANO II I pensieri che mutilano la verità non manifestano forse il mistero d'iniquità profetizzato come segno precursore della fine dei tempi? Siamo al segreto di Maria Santissima: «A te una spada trafiggerà l'anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Luca 2, 35) che anche «ma non solo» - per questo, per aver avuto cioè l’anima sua trapassata da una spada, Maria è la nostra Mediatrice e Corredentrice. Il Vaticano II avrebbe ridimensionato questa fede per non dispiacere ai protestanti (71).
71 - vedi Ralph M. Wiltgen, s. v. d., «Le Rhin de jette dans le Tibre, Le Concile inconnu», ed. du Cèdre, Paris, 1976, pagine 90-95).
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La vera Chiesa non può mai tacere sulla necessità di conversione a Gesù salvatore, ragione della sua istituzione. A questo riguardo giova completare la testé richiamata profezia del santo Simone: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. A te una spada trafiggerà l'anima» (Luca 2, 34-35). Ci sono elementi tangibili per svelare la strana origine del Vaticano II proprio per implementare il silenzio sulla necessità di conversione? Certamente: esse vanno dal piano delle loggie volto a formare un clero modernista dai cui ranghi uscisse un «papa» disponibile a convocare un concilio. Oggi tale inversione è un fatto pubblico. Basta sentire i nuovi pastori. «Dai loro frutti li conoscerete»; chi se non gli ispiratori e i realizzatori di tali piani e pensieri segreti? È il programma ribadito anche da Benedetto XVI. Si è visto che per attuarla una legione di novatori ha operato e opera ancora per la completa metamorfosi della Chiesa, ridotta ad animatrice “spirituale” della democrazia ecumenista globale. Ma poiché tale «frutto finale» è presentato dai vertici come elemento essenziale per l'autenticità della religione, una moltitudine di cattolici sono passati dallo stato di dubbio a quello d'apostasia, senza nemmeno accorgersi in quale «sofisma religioso» sono stati irretiti. Qual è questo sofisma? L’Illuminismo, venendo a succedere al «profondo teologo» Martin Lutero, ha introdotto il «fai da te» della coscienza, dopo il «fai da te» del libero esame luterano. La coscienza non sarebbe più la norma prossima dell'agire (72), di cui la norma superiore, la «regula agendi», è la legge naturale e divina (73) stabilita da Dio. Essa quindi non sarebbe più
72 - «Col nome di coscienza intendiamo il giudizio immediato pratico sul valore morale delle azioni che siamo per compiere. Non è coscienza il giudizio generale in astratto sul valore morale di un'azione. Questo giudizio si suppone, ma, perché si abbia la coscienza, si richiede l'altro giudizio circa il valore morale dell'azione propria, concreta, imminente. É dunque un confronto tra il principio generale e l'azione che si è per fare», cardinale Massimo Massimi, «La Nostra Legge», Libreria Editrice Vaticana, Roma, 1961, pagina 55.
73 - «La coscienza (antecedente) è l'araldo della Legge, non solo della legge naturale, ma anche della legge positiva, divina e umana. Essa dice come dobbiamo regolare la nostra condotta… E' la guida che ci mostra il cammino, comandando e proibendo, e anche permettendo e consigliando. Il giudizio di questa guida non è infallibile, come non è
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l’orologio personale che dobbiamo regolare sull’ora reale, ma il potere di cui disponiamo per agire a piacimento spostando le lancette su un'ora che dipende solo dai nostri giudizi personali. La mentalità luterana elimina l’«atto» della fede, perché non vuole più sottoporre l’intelligenza personale all’interpretazione della rivelazione data dal magistero della Chiesa, la quale è infatti la «regula Fidei». In tal modo la coscienza si separa dai sicuri ancoraggi della legge naturale e divina per farsi trascinare dai flutti della mentalità corrente, alla mercé di ogni vento di idee e di sentimenti dominanti. Si viene a realizzare così un’usurpazione oggettiva della coscienza, che dal piano delle decisioni riguardanti l'agire va a invadere anche il dominio che appartiene all'«atto» della fede, cioè all'intelligenza nella sua adesione razionale all'insegnamento della Chiesa. In altre parole, la coscienza passa a giudicare autonomamente su cosa è bene e cosa è male. Essa intal modo, divenuta erronea perché disancorata dai corretti riferimenti che la trascendono, e conformata solo alle più comode idee mondane di larga diffusione mediatica, si erge a norma non solo dell'agire, ma anche del credere, secondo i tempi. Ecco la rivoluzione clericale innescata dal piano modernista. Quindi per capire la matrice dell'apostasia attuale dobbiamo ripercorrere il corso del processo modernista, che ripudia il concetto di coscienza retta, formata nella verità - rivelata infallibilmente - per seguire l'idea della «coscienza libera». Essa pretende derivare dal progresso delle scienze e dai bisogni dei tempi moderni. Si tratta del fulcro della questione descritta da san Pio X nella condanna al modernismo con particolare riferimento ai redattori del «Sillon»: “Alla base di tutti i loro errori sulle questioni sociali, si trovano le false speranze dei Sillonisti sulla dignità umana. Secondo loro, l’Uomo sarà un uomo veramente degno di tale nome solo quando avrà acquisito una consapevolezza forte, illuminata, ed indipendente, capace di fare a meno di un maestro, ubbidendo solo a se stesso, e capace di assumersi le più gravi responsabilità senza turbamenti. Tali sono le grandi parole con cui viene esaltato l'orgoglio umano, come un sogno che conduce l’Uomo lontano senza luce, senza guida, e senza aiuto nel regno dell’illusione nel quale egli sarà distrutto dai suoi errori e dalle sue passioni mentre infallibile la nostra mente. Quindi è necessario distinguere dalla coscienza vera o retta una coscienza erronea o falsa», card. Massimo Massimi, opera citata a p. 59.
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attende il giorno glorioso della sua piena consapevolezza. Secondo questi filosofi [sillonisti], il primo elemento della dignità dell'uomo è la libertà, intesa, però, nel senso che, ogni uomo è autonomo fuori che in materia di religione”. Fuori che in materia di religione? Certo, nessun cattolico e meno ancora un consacrato, avrebbe potuto pensare che, in nome della religione, si potesse andare oltre le teorie del «Sillon» condannate da Magistero. Eppure, il Vaticano II le ha riprese superandole con la dichiarazione «Dignitatis humanae» (7 dicembre 1965), nella quale dichiara, in nome del-l’autorità della Chiesa, il «diritto alla libertà religiosa», il cui fondamento è la dignità della persona umana, «quale si conosce, sia per mezzo della parola di Dio rivelata che tramite la stessa ragione» (vedi Giovanni XXIII, «Pacem in terris», 11 aprile 1963). «Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa dev'essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società» (6, d.).
Il magistero di San Pio X aveva condannato in anticipo questa dottrina sillonista e democristiana che, suffragata dal Vaticano II, ha superato ogni limite precedente spingendosi fino a sostenere che il diritto all'autonomia di ogni uomo, anche in materia di religione, è fondato sulla Rivelazione (!). Si cancella, imperterriti, l’evento del frutto proibito dell’albero della conoscenza del bene e del male! Ovvero, si ignora la questione del peccato originale, che è la ragione della necessità di Redenzione per la fede. Peggio della dottrina del «Sillon», condannata all'inizio del secolo da un Papa santo, si segue la strada larga aperta dalla «fede» nell’intrinseca bontà e dignità dell’uomo. La via del «Sillon» è ritenuta ancor troppo stretta è stata superata da quell'assemblea conciliare, alla luce dei «segni dei nostri tempi». Dio vorrebbe la «libertà religiosa» per i tempi moderni! Quindi secondo Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e i loro correligionari Dio avrebbe dato all’uomo non solo la libertà di fatto, ma anche quella di diritto di scegliere tra vero e falso, bene e male. Onde la scelta dell’errore e del male sarebbe un diritto dell’uomo e, con tutta evidenza la religione del Serpente del Genesi. Ma, tale «religione» per cui l’uomo ogni uomo, sarebbe padrone del bene e del male, e dunque legge, dio a se stesso; la «religione» della libera coscienza sarebbe voluta da Dio!
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Giovanni Paolo II, nel «Messaggio per la celebrazione della giornata mondiale della pace» (8 dicembre 1998), dichiarò: “La libertà religiosa costituisce (...) il cuore stesso dei diritti umani. Essa è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda”. Ma come? Non solo la libertà di passare da una falsa religione alla vera, storicamente rivelata, ma la libertà di negarla e avversarla in favore di una propria scelta religiosa sarebbe il cuore di ogni diritto e quindi, un bene, anzi il massimo bene per l'uomo, mentre la negazione di questo presunto diritto, da sempre affermata dalla Chiesa, sarebbe diventata un delitto. Tale «diritto» lo può predicare l’Illuminismo e il liberalismo ipocrita della Rivoluzione francese, russa o cubana, ma un Papa o un Concilio ecumenico della Chiesa cattolica come può farlo senza svelarsi in grave contrasto con quanto si chiama la «coscienza della Chiesa» impressale da Gesù Cristo? Se è proprio la Chiesa che ha il dovere e diritto di formare le coscienze, come potrebbe invitare le genti alla libertà religiosa, che implica libertà per qualsiasi o nessuna formazione, né religiosa né morale? Essa dovrebbe supporre l’inesistenza di Dio e della sua Legge e Religione. Sarebbe un invito all’apostasia in nome dello stesso insegnamento di Gesù Cristo che invece ha detto: «Predicate a tutti la Buona Novella. Chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato» (Mc 15, 15). Da allora, anche questa lezione finale del Vangelo secondo San Marco è stato censurata come una aggiunta. E la questione sarebbe risolta dai teologi conciliari escogitando una nuova «coscienza» della Chiesa per cui buona novella è quella della “redenzione universale” a causa dell’assoluta dignità umana, che sarebbe la ragione dell’incarnazione del Verbo. Poiché tale religione dell’apostasia, che è quella del Vaticano II, oggi è più praticata che compresa, si deve capire il suo «sussurro» demoniaco alla luce degli abbagli che essa ha seminato nella storia fino al presente; è il colmo della deresponsabilizzazione dell’uomo e perciò della demolizione sociale. Il concetto cattolico di libertà e di dignità Leone XIII («Libertas», 20 giugno 1888): «La libertà, dono di natura nobilissimo, è proprio unicamente degli esseri intelligenti o ragionevoli e conferisce all'uomo questa dignità, di essere in mano del suo consiglio ed avere intera padronanza delle sue azioni. La qual dignità però importa moltissimo come sia sostenuta, perché dall'uso della libertà derivano del 175
pari e sommi beni e sommi mali. Può infatti l‘uomo obbedire alla ragione, seguire il bene morale e tendere diritto all'ultimo suo fine; e può invece mettersi in tutt'altra via, e correndo dietro a false immagini di bene, turbare l'ordine debito, ed esporsi da se stesso ad inevitabile rovina. Il nostro Redentore Gesù Cristo, restaurando ed elevando la dignità primitiva di natura, recò alla volontà grandissimo giovamento; e... la innalzò a più nobile segno. Per la stessa ragione assai benemerita di sì eccellente dono di natura fu e sarà sempre la Chiesa cattolica, come quella che ha per officio di propagare a tutti i secoli i benefizi recatici da Gesù Cristo». Libertà morale e libero arbitrio secondo la Chiesa Il bene voluto è conosciuto da un giudizio della ragione. Così la volontà, come la libertà che ne deriva, ha per oggetto il bene conforme alla ragione. La possibilità di errare, per difetto di giudizio, «dimostra che siamo liberi, come la malattia, che siamo vivi, ma dell’umana libertà non è che difetto». Parla di ciò san Tommaso: «Il poter peccare non è libertà, ma servaggio». Basti quel che egli dice commentando le parole di Gesù Cristo: «Chi fa il peccato è schiavo del peccato». (Giovanni 8, 34): «L’uomo è ragionevole per natura […] si muove da sé e però da libero, quando opera secondo ragione: ma quando opera contro ragione, come fa quando pecca, allora egli è mosso quasi da un altro, e tirato e imprigionato nei termini altrui: chi fa il peccato ne è schiavo». Leone XIII distingue: «La libertà naturale, (d’ordine psicologico) è principio e fonte nativa da cui scaturisce ogni altra libertà. Essa, innalzandosi alla conoscenza delle ragioni immutabili e necessarie del vero e del bene, è in grado di giudicare della contingenza dei beni particolari. Ora, come la semplicità, spiritualità ed immortalità dell’anima, così la libertà sua nessuno afferma più alto, nessuno con più costanza difende della Chiesa cattolica, che le insegnò sempre, e le sostiene qual dogma». La responsabilità umana è risposta dovuta anzitutto a Dio. «Poiché ogni mezzo ha ragione di bene utile, e il bene, in quanto bene, è oggetto proprio dell’appetito, ne segue che il libero arbitrio è dote della volontà, anzi è la volontà stessa, in quanto ha, nell’operare, facoltà di elezione». La libertà e la Legge: «Tale essendo dunque nell'uomo la condizione della sua libertà, troppo era necessario avvalorarla di lumi ed aiuti, che in tutti i moti suoi la indirizzassero al bene e la ritraessero dal male; altrimenti di grave danno sarebbe riuscito all'uomo il libero arbitrio». 176
«E primieramente fu necessario porgli una legge, ossia una regola di ciò, che si ha da fare ed omettere... Nello stesso arbitrio dell'uomo adunque, ossia nella morale necessità che gli atti volontari nostri non discordino dalla retta ragione, va cercata, come in radice, la prima causa dell'esserci necessaria la legge. E nulla può dirsi o concepirsi più perverso e strano di quella massima: che l'uomo, perché naturalmente libero, deve andare esente da legge; il che, se fosse vero, ne seguirebbe che per essere liberi dovremmo essere irragionevoli. Ma la verità si è che proprio per questo l'uomo va soggetto a legge, perché è libero per natura». «L’uomo, per necessità di natura, trovasi in una vera e perpetua dipendenza da Dio, così nell'essere come nell'operare, e però non può concepirsi umana libertà se non dipendente da Dio e dalla sua divina volontà. Negare a Dio tale sovranità, o non volervisi assoggettare, non è libertà ma abuso di libertà e ribellione, e in siffatta disposizione d'animo consiste appunto il vizio capitale del liberalismo. Il quale però prende molte forme, potendo la volontà in modo e gradi diversi sottrarsi alla dipendenza dovuta a Dio e a chi ne partecipa l’autorità». La vera libertà consiste nel fatto che l’uomo possa vivere secondo il bene e il fine per cui fu creato con l'aiuto dell'ordinamento giuridico della società. La libertà fisica e sociale dev’essere pertanto condizionata dalla legge, per cui se qualcuno abusa della propria libertà contro il bene e la libertà comune, la società ha il diritto e il dovere di ricorrere alla coercizione per impedirlo. Ecco il corollario inevitabile del problema della libertà umana: perché la legge sia rispettata, assicurando la libertà generale, l’autorità deve poter intervenire e il suo potere coercitivo e punitivo, è, pertanto da considerare come un servizio per la libertà di tutti. Ora ci si chiede: può questa vera libertà essere diversa e indipendente da quella fondata sulla verità rivelata da Dio? Può questa vera libertà dispensare la verità rivelata da Dio per il bene umano? L’illuminismo voleva aggiungere i suoi «valori» alla libertà dell’uomo affinché fosse simile (o anche superiore) a Dio, conoscendo il bene e il male. Ora vediamo le tappe oscure di questo piano, il più ambizioso dell’intera ribellione umana, che ha percorso tutti i tempi e che in quelli moderni, è giunto all’inaudita iniquità del Vaticano II.
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La «contro religione» illuminista Che gli uomini conoscessero per istinto il rischio della tirannide di una libera creatività umana è attestato dal sospetto con cui erano visti perfino i poeti nel passato. Ma ora poetastri sono al vertice del Vaticano! L’Umanesimo invertì lo spirito di vera libertà universale aprendo con ciò la cultura ad ogni idea, e iniziò una «riforma delle coscienze». La libertà dei figli di Dio, che ha per scopo di servire la divina Verità, fu rivolta al mero servizio dell’uomo. Non importava quel che si doveva sapere, ma conoscere sempre di più, in uno spirito di vana erudizione. Questo nuovo concetto di istruzione è prevalso, ponendo le basi delle rivoluzioni moderne che, a loro volta hanno improntato di se le nuove forme di insegnamento separando la cultura e la scuola dalla religione e in tal modo accentuando, il processo di sia pur illusoria autonomizzazione dell’uomo da Dio e dal magistero della Sua Chiesa. Era il piano di apertura irreversibile alla speranza di un ammirabile mondo futuro, utopia rimasta preclusa all’uomo, secondo i modernisti, da una greve mentalità religiosa, che va rimpiazzata. Erasmo è stato uno dei più noti precursori di questa apertura professando in campo teologico che «ogni uomo ha in sé la teologia», ed è «ispirato e guidato dallo spirito di Cristo, sia esso scavatore o tessitore». Lo scrittore Jacques Ploncard d’Assac, nel suo libro «L’Eglise Occupée» (3), parla degli effetti di tali idee fino ai nostri giorni, partendo dalla battuta di un monaco di Colonia: «Erasmo ha messo le uova, Lutero le farà schiudere». In esse c’era come un sussurro che invocando il nome di Cristo, in realtà, col libero esame di Lutero si ripeteva alla coscienza dell’uomo moderno l’invito a emanciparsi dalla oggettività vincolante, del vero e del bene già rivolta ad Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden. L’umanesimo ha svegliato con forza questa tentazione e nell’epoca e nell’Europa di Adriano VI, Erasmo e Pighius, molti erano i riformisti e novatori che si dicevano cattolici in vista di una mutazione dottrinale. Roma rischiava di svegliarsi protestante non fosse l’intervento di Papi della forza di Paolo IV e San Pio V (74). Si tratta di idee apparse allora e nei secoli scorsi, matrici della mentalità dei profeti della devastante rivoluzione conciliare. Come riconoscere tali profeti? «La Chiesa è intransigente nei princìpi, perché crede; tollerante nella pratica perché ama. I nemici della Chiesa sono tolleranti nei princìpi, perché non credono; intolleranti nella pratica, perché non amano» (padre Garrigou 74 - vedi articolo “Quando Roma rischiò di svegliarsi protestante”.
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Lagrange, «Dieu, son existance et sa nature», volume II, p. 725). Giovanni XXIII rilancia l’ambiguità erasmiana nella «Pacem in terris», che, essendo il riferimento più citato nella «Dignitatis Humanae», chiaramente contiene la frase chiave della revisione conciliare sui concetti di dignità umana e libertà religiosa: «In hominis iuribus hoc quoque numerandum est, ut et Deum, ad rectam conscientiae suae normam, venerari possit, et religionem privatim et publice profiteri»; cioè «Fra i diritti dell’uomo va annoverato anche quello secondo cui ciascuno ha il diritto di onorare Dio seguendo la retta norma della propria coscienza e di professare la propria religione in pubblico e in privato» (AAS 55, 1963, p. 260). Ecco l’ambiguità rilanciata dalla “semplicità geniale” di un falso pastore: si tratta di norme divine su cui si fonda la «retta coscienza», o di una «retta norma», come giudizio della propria coscienza autonoma? L’abbozzo di quest’ambiguità di Erasmo era stato condannato dalla Chiesa nel passato. Nei nostri tempi essa ritorna rinforzata da Giovanni XXIII, per delineare il piano di «aggiornamento» conciliare, è l’esecrabile ambiguità che si rivelerà la copertura dall’«alto» per far avanzare l’opzione della «Dignitatis Humanae» per una «coscienza autonoma». Indi, schiuse le uova erasmiane e “illuminate” le coscienze, ai promotori del Vaticano II spettava il passo seguente: andare incontro ai rivoluzionari ormai cresciuti e moltiplicatisi, non per combatterli, ma per unirsi a essi con gran tripudio, secondo il noto Discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II. Dalla «Pacem in terris» alla «Dignitatis humanae» Nella «Dignitatis Humanae» “Seguono una citazione di Lattanzio e un’altra di Leone XIII, ma né l’una né l’altra provano la proclamazione fatta, poiché Lattanzio parlava del diritto dei cristiani a praticare la loro religione nell’impero romano e Leone XIII precisava di quale libertà intendeva parlare, cosa che non fa invece l'enciclica di Giovanni XXIII. In questa, infatti, l’assenza di ogni precisazione fa sì che la proclamazione del diritto di ogni uomo a professare la propria religione possa cadere sotto i colpi della condanna del liberalismo fatta da Leone XIII, proprio nella «Libertas» di cui nella «Pacem in terris» si cita un passaggio... procedimenti simili non sono onesti intellettualmente»... Il senso della «Dignitatis Humanae» «è il senso percepito dal padre Rouquette, che scriveva in «Études» del giugno 1963: La «Pacem in
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terris» è di fatto un evento che, per gli storici futuri, segnerà una svolta nella storia della Chiesa». (F. Spadafora, Tcc, pp. 240/1) La «Dignitatis Humanae» è basata sulla versione eterodossa della «Pacem in terris». Ecco il riassunto del testo postumo del padre Joseph de Sainte Marie pubblicato dal «Courrier de Rome» (maggio 1987) e da «Itinéraires», (luglio-agosto 1987): “Padre Laurentin lo testimonia... scrive «questo diritto della persona... non è una innovazione conciliare», […] questa formula «che inizialmente era stata assunta tale e quale, non può essere mantenuta se non a costo di attenuazioni. Tuttavia, la dichiarazione presa nel suo insieme non scioglie certe ambiguità, ma perfino fa deduzioni su quanto era stato volontariamente mantenuto nella Pacem in terris». “Ecco una confessione da considerare e padre Laurentin dice da chi l’ha avuta: padre Pavan (il teologo di Giovanni XXIII)” in «Libertà religiosa e Pubblici poteri», Milano, 1965, p. 357. “Strano modo di insegnare la verità”. Padre Joseph dice che la formula ambigua della «Pacem in terris» “può cadere sotto la condanna del liberalismo contenuta nella «Libertas» di Leone XIII”, della quale si cita un brano... In verità il condizionale “può” è fuori luogo, specialmente se si legge quanto segue: “senza dubbio troviamo qui una delle «ambiguità volontariamente mantenute» di cui parla padre Laurentin. A cosa serve invocare l'espressione «seguendo la giusta norma della coscienza» per dire che si tratta qui della libertà religiosa concepita correttamente? Poiché siamo di nuovo di fronte ad un’ambiguità. Si sa che la morale cattolica riconosce il diritto e proclama il dovere, di ogni uomo, di seguire il giudizio della «coscienza retta»: conscientia recta. S’intende con ciò il giudizio di una coscienza formata secondo le norme della virtù della prudenza e che si è conformata alla verità. Questa nozione classica si trova perfino nella Gaudium et spes, 16. Di questa coscienza retta si proclama la dignità, che si estende fino alla coscienza invincibilmente erronea, quella di una persona che è nell’impossibilità morale e pratica di liberarsi dall'errore in cui si trova”. Infatti, la coscienza perde la sua dignità nel momento in cui aderisce all’errore per negligenza colposa. “L’ambiguità della «Pacem in terris» appare nella redazione latina del testo, che parla della rectam conscientiae suae normam, cioè della «norma retta della coscienza». Si deve intendere il riferimento alla norma della «coscienza retta» o di una «norma retta», che sarebbe ogni giudizio in coscienza? Ognuno può capirlo come crede; e in ciò consiste l’ambiguità. Ognuno la applicherà perciò ugualmente nel senso che vuole, ma l'enciclica ha in se stessa un 180
moto interno che ci dice in quale senso, secondo essa, tale «libertà» dev'essere intesa. È il senso inteso da padre Laurentin e da padre Pavan, così come dai periti conciliari della «libertà religiosa». Senza dubbio, continua immediatamente: non un cambiamento dei princìpi dell’antropologia cattolica, fondata sulla Rivelazione, ma una presa di posizione nuova vis à vis del mondo moderno. Soltanto questo? Forse si può anche dire questo della «Pacem in terris», a causa delle «ambiguità volontariamente mantenute», ma ciò è impossibile dopo la «Dignitatis humanae», titolo della dichiarazione conciliare, dove si trovano princìpi che furono essi stessi cambiati”. “La continuità tra la «Pacem in terris» e la «Dignitatis humanae» è evidente; lo dimostrano tanti testi quanto le testimonianze, incontestabili in questa materia, di padre Laurentin e di padre Rouquette. Abbiamo visto come il primo lo sottolinei. Ed ecco quanto diceva il secondo, nella stessa cronaca del giugno 1963, cioè tra la prima e la seconda sezione conciliare: «Tra i diritti derivati dalla dignità della persona umana, l'enciclica insiste sul diritto ad una libera ricerca della verità» (non semplice «tolleranza», ma «libero esercizio del culto»), e questo è detto con una confusione di campi e di punti di vista mantenuti deliberatamente”. “Le posizioni prese in questo modo dall’enciclica arrivano a proporre il Segretariato per l'Unità nel progetto dello schema «De libertate religiosa»; il cardinale Bea, in un’intervista alla quale ci siamo riferiti, ha indicato che lì c'era il suo spirito. Il paragone (tra il progetto di schema e la «Dignitatis Humanae») parla da sé e ci permette di identificare nella persona del cardinale Bea, l'autore del testo centrale della dichiarazione sulla libertà religiosa, o almeno, il suo ispiratore principale”. “Il sofisma che si ripete in entrambi i testi consiste nel passare in modo indebito dall'affermazione innegabile, evidente e fondamentale, della libertà essenziale dell’atto di fede, libertà per la quale ogni pressione su tale atto ne distrugge la natura stessa, all'affermazione, per niente evidente, e di fatto negata tradizionalmente dalla Chiesa, di una libertà parimenti essenziale e illimitata a priori in materia di esercizio pubblico del culto religioso, qualunque esso sia (75). La Chiesa non nega nella
75 - Papa Gregorio XVI lo chiama «deliramentum». (vedi enciclica «Mirari vos»).
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pratica, in assoluto, ogni diritto di pubblica espressione alle altre religioni. In ciò la sua tolleranza è aumentata nel tempo”. “La «Pacem in terris» e il Vaticano II si spingono al punto di mettere in causa gli stessi princìpi. Esattamente in questo consiste la novità e il gravissimo problema posto dall'affermazione del testo conciliare «Dignitatis Humanae»: un diritto alla libertà religiosa nel foro esterno iscritto nella natura umana e nell'«ordine stesso stabilito da Dio», diritto che si vuole limitato unicamente dalle esigenze d'«ordine pubblico». Si noti anche, poiché il fatto è di massima importanza, un'altra somiglianza tra l'enciclica di Giovanni XXIII e la dichiarazione del Vaticano II: in entrambi i casi questi testi, di così pesanti conseguenze per la storia della Chiesa, e che così si pongono per il giudizio di tale magistero, non sono potuti venire alla luce che in seguito a gravi scorrettezze di procedura. Per quel che concerne la «Pacem in terris», ecco ancora la testimonianza di padre Rouquette: «So da buona fonte che il progetto in questione è stato redatto da monsignor Pavan, animatore delle Settimane Sociali in Italia; la sua redazione è stata condotta in gran segreto; il testo non sarebbe stato sottomesso al Sant'Uffizio, i cui direttori non fanno mistero della loro opposizione al neutralismo politico papale. Si è voluto evitare così che il Sant'Uffizio differisse indefinitamente la pubblicazione del testo, come era successo con la «Mater et Magistra».” “La «Pacem in terris» è stata pubblicata all’insaputa del Sant’Uffizio, essendo stata redatta e mantenuta segreta dal piccolo gruppo di periti - e di pressione - del quale era l'opera. Analogo, ma ancora più grave, il percorso seguito dalla «Dignitatis Humanae». Le legittime obiezioni sollevate al piano di dichiarazione da parte del «Coetus internationalis Patrum» non furono ascoltate, ma respinte (vedi Ralph M. Wiltgen, s. v. d., «Le Rhin de jette dans le Tibre, Le Concile inconnu», ed. du Cèdre, Paris, 1976, pagine 243-247). Come la «Pacem in terris», e ancora più di questa, la dichiarazione conciliare è stata pubblicata in seguito a palesi violazioni delle regole. Non fu rispettato nel primo caso almeno il dovere di prudenza; nel secondo, perfino un diritto esplicito è stato conculcato.” Conseguenze della contraffazione dottrinale Questa «Pacem in terris», documento voluto da Giovanni XXIII per iniziare in modo velato la mutazione della Dottrina cattolica, non solo “può cadere”, ma cade sotto la condanna del liberalismo contenuta nella Enciclica «Libertas» di Leone XIII e non solo di tale Lettera, ma di tutto il Magistero. “Il discorso sugli effetti di questi errori imposti alla Chiesa 182
da gruppi di pressione per vie oltremodo subdole grazie alla copertura dell'autorità o conciliare sarebbe vastissimo. Ci limitiamo ai titoli principali sotto i quali continuare la riflessione sulle loro conseguenze ed implicazioni. La prima concerne l’autorità del magistero: se la Chiesa insegna oggi solennemente il contrario di quanto insegnò fino al 1963, significa che si era prima sbagliata. Ma se si era sbagliata, è fallibile, e lo è oggi come lo fu ieri. Che ragione avrei per credere in essa ora più che ieri? “La seconda è che proclamando oggi come principio assoluto il diritto naturale alla libertà religiosa, la «dichiarazione» conciliare rappresenta una condanna di massa non solo dell’insegnamento precedente della Chiesa, ma anche del suo modo di agire; il che mette in causa non più semplicemente la sua potestas docendi, ma anche l’uso della sua potestas regendi. “Per dei secoli la Chiesa avrebbe agito ignorando e conculcando un diritto naturale fondamentale della persona umana. E la negazione conciliare dei diritti e dei poteri della società civile in materia religiosa implica un’analoga condanna di tutti i Papi degli ultimi secoli. “Peggio ancora, con la concezione non solo laica ma abbastanza laicizzante che essa offre, la dichiarazione conciliare nega i diritti di Cristo sulla società civile, il che è non solo in contraddizione con il costante insegnamento della Chiesa, ma anche con le verità più fondamentali della dottrina cristiana della Redenzione. C’è un’empietà in questo, nel senso proprio del termine, forse non del tutto esplicita, ma a causa della sua implicazione immediata. […] Insomma, per tornare al piano dell'ordine naturale, questa separazione falsa e indebita di quanto concerne la religione rivelata dell’ordine della società civile si risolve nella completa rovina delle fondamenta stesse di quest'ordine. “Il caso estremo a cui condurranno i princìpi qui esposti sarà quello della esaltazione dello Stato come realtà suprema e ultima. Non sarebbe forse esso, in ultima analisi, a giudicare le esigenze dell’«ordine pubblico», in nome del quale sarebbe abilitato a regolamentare «la libertà religiosa»? E' vero, si parla di un «ordine morale oggettivo» per fondare questi diritti del potere civile, ma su cosa si fonderà questo stesso ordine se non si riconosce più allo Stato alcun dovere verso la religione in quanto tale e verso la religione rivelata in particolare?” Ogni «ordine pubblico» sarebbe «informato a giustizia»? Scrive il giudice Carlo Alberto Agnoli («La Crisi della Chiesa moderna alla luce della fede e il problema della libertà di religione», Civiltà, 183
Brescia, 1984): “Rendendosi conto del terribile pericolo insito nel principio da loro espressamente enunciato per cui non si può impedire a nessuno di agire in conformità della propria coscienza, principio che legittima la pratica di qualsiasi mostruosa dottrina, i padri del Vaticano II hanno ritenuto di poterne eliminare o almeno limitare la portata anche socialmente sovversiva affermando che la libertà di religione e di morale, pur essendo diritto primario, va soggetta al limite dell’ordine pubblico informato a giustizia. Se ne ricava che secondo i padri conciliari esisterebbe un ordine pubblico, fondamento di ogni umana e ordinata convivenza e conforme al diritto naturale, anzi, che del diritto naturale sarebbe la quintessenza, di cui depositario e arbitro esclusivo sarebbe lo Stato, che di esso dovrebbe avvalersi per giudicare se e fin dove le religioni - tutte le religioni - abbiano diritto di esistere e manifestarsi. E questo Stato, al di fuori e al di sopra delle religioni, è necessariamente lo Stato laico ed ateo”. “Sulla base dell’esperienza storica di questi ultimi due secoli nel corso dei quali si è affermato il laicismo, a quale ordine pubblico allude il Vaticano II?A quello comunista, del KGB e del Gulag? O a quello demoliberale che deve assicurare la legalizzazione dell’aborto, della pornografia e della droga?” Chi ha smarrito la nozione dell’origine divina del diritto come norma di giustizia e della conseguente superiorità e anteriorità della giustizia e del diritto rispetto allo Stato, non ha perso il senso stesso di diritto naturale e di giustizia e quindi anche di ordine giusto? Esiste una giustizia universale che giustifica lo Stato, o sono i vari Stati con i loro vari governi partitici a creare i princìpi della giustizia? Lo Stato esiste in funzione della Giustizia o al contrario, questa cambia secondo gli Stati e i governi? La Chiesa insegna che la giustizia umana deve fondarsi sulla Giustizia che trascende i governi, ma per il Vaticano II è un fatto scontato che ogni «ordine pubblico» contingente è «informato a giustizia», non perché fondato su una dottrina di verità, ma perché è neutrale: la ignora agnosticamente. Siamo allora alla dignità del dialogo, più che il credere, esso è già formatore della nuova coscienza, è già principio di verità, secondo i conciliari. La filosofia conciliare, ispirata al monismo e all’evoluzionismo che riduce tutto al principio terreno, per servire il fine che si prefiggeva - la pace secondo un «ordine nuovo» del mondo -, doveva fornire a quel fine il suo contributo specifico, «religioso». Scartate le «vie filosofiche razionali», anche dell’idealismo di Croce (che deride il modernismo), 184
essa andava elaborata in un ambito prettamente clericale, come utopia religiosa, onde evitare i rischi di un’incongruenza filosofica. Ecco perciò l’applicazione conciliare della tesi di Karl Rahner S.J.: del «cristiano anonimo»; modello centrale di «uomo nuovo» universale, dell’antropocentrismo «cristiano», creativo e conciliante. Su tale idea che, come si vedrà, è la distorsione di un concetto vero, poggia il processo di unificazione del Vaticano II nella sua ricerca del «nuovo ordine religioso». Essa è anche la base di una «nuova coscienza incosciente» di redenzione universale («Redemptor hominis») che, ispirata in un «secondo Cenacolo Apostolico», da una «nuova Pentecoste», farebbe tacere i dubbi sulla bontà, ispirazione e saggezza dei suoi autori. Siamo davanti a «ispirazioni», «intuizioni», proiezioni di un misticismo alla rovescia, di un esoterismo che dovrebbe scalzare i fondamenti della fede cattolica, che non ignora né prescinde dei termini di ragione. A Dio è dovuto «un culto razionale», come insegna l’Apostolo (Romani 12, 1) e ribadisce il Concilio Vaticano I, Costituzione «Dei Filius». Si vorrebbe, invece, limitare la natura dell’omaggio dovuto a Dio dall’uomo a un vago sentimento, anche incosciente, mentre la ragione umana rimarrebbe concentrata su faccende e utopie terrene! L’elementare sofisma del «roncalpensiero» Giovanni XXIII, aprendo il Vaticano II, ha pronunciato quello strano discorso, che molti hanno capito essere farina del sacco di Montini. Ma era anche sua l’idea di aprire alle «venture» del mondo moderno, dominato dal naturalismo umanistico, padre dell’ecumenismo massonico e del materialismo socialista. Anzi, l’idea di farlo bloccando i «profeti di sventure», non balzava fuori in quel momento tanto luminoso per lui, ma era una convinzione portata avanti nella sua lunga militanza modernista, che irrideva degli allarmi riguardo ai pericoli crescenti ribaditi dai Pontefici. Basta sentire i Papi degli ultimi secoli per capire che quest’inversione era una perfida rottura, non solo con la visione biblica, dalla Genesi all’Apocalisse, ma con tutti i Profeti, i Padri e i Santi della Chiesa. Essi sempre ammonirono, non solo contro le mosse antidivine del mondo naturale, avverso al soprannaturale, ma sui pericoli di un modo di pensare e di vivere idolatrico dei poteri e beni di questo «mondo». È per questo stesso motivo che i Papi dei tempi moderni condannarono il «delirio» della libertà e dell’indifferentismo in materia di religione (Enciclica «Mirari vos», 15 agosto 1832); la tentazione di conciliazioni 185
impossibili con gli errori del mondo moderno (Enciclica «Quanta cura» e «Sillabo», 1864); il pericolo delle false libertà del liberalismo (Enciclica «Libertas», 1888) e della Massoneria («Inimica vis», 1892); le insidie del modernismo e il suo agnosticismo, collettore di ogni sofisma ed eresia («Pascendi», 1908). Condannando queste «profezie di sventura», Giovanni XXIII censurava anche il Segreto di Fatima, col quale la Madre di Dio ricordava che la causa delle guerre sta nella ribellione umana. Quella ribellione che anteponendo errori umanistici alla parola di Dio, è la causa spirituale delle due grandi guerre. C’è perciò da chiedersi: per il «roncalpensiero» la causa delle guerre era da ritrovare nel pensiero umanistico moderno, fucina delle grandi rivoluzioni, o nel Cristianesimo di sempre, che tali movimenti intendevano distruggere? La domanda è d’obbligo perché ogni ragionamento serio indica che riguardo alle disgrazie non va bloccato chi ne accusa le cause, ma chi le promuove. Al contrario, Giovanni XXIII e Paolo VI prendevano le distanze dai «profeti di sventura», per aprire con «immensa simpatia» ai suoi fautori. Potevano cadere in un sofisma così bieco affermandosi rappresentanti dell’infallibile autorità divina, che contraddicevano? La politica comunisteggiante di Giovanni XXIII Per ricordare la politica di Roncalli, qui riprendiamo la testimonianza di Franco Bellegrandi nel suo «NichitaRoncalli». «Dopo la «Pacem in terris», la visita degli Ajubei in Vaticano e le elezioni italiane del 28 aprile 1963 che videro i comunisti guadagnare un milione di voti rispetto alle elezioni politiche di cinque anni prima, Papa Giovanni ricevette un certo John McCone, arrivato in aereo a Roma dagli Stati Uniti un paio di giorni prima. L’udienza fu annotata sul bollettino ufficiale della Santa Sede, ma nessuno degli osservatori vaticani, allora, ci fece caso. Qualche tempo dopo si seppe nella stretta cerchia della famiglia pontificia chi fosse quel personaggio e si scoprì che era un capo servizio delle “informazioni segrete” degli Stati Uniti, un alto funzionario della CIA. Quando venni a sapere l’identificazione di quel misterioso americano, un altro piccolo spazio vuoto del vasto e poliedrico mosaico giovanneo tracciato negli appunti dei miei tacquini, ebbe finalmente il suo tassello chiarificatore. Infatti, proprio verso i primi di maggio del 1963, se ben ricordo, al termine di una cappella papale, mentre mi avviavo alla uscita laterale della basilica, insieme al cardinale Tisserant che era in gruppo con i cardinali Spellman e 186
Mclntyre, senti Spellman esprimere all’arcivescovo di Los Angeles le sue preoccupazioni per un passo urgente che il papa gli aveva ordinato di compiere presso la Casa Bianca “...because after receiving that personality, the pope have had the impression to be controlled by american cops and he absolutely did not tolerate...”. Adesso quella battuta si coloriva di un suo significato. Così pure alla luce del poi assunsero una loro precisa dimensione quei brani di conversazione fra il papa e monsignor Capovilla, che mi fecero a lungo riflettere. Il papa parlava di Kruscev. “Bisogna amarlo e aiutarlo quell’uomo”, diceva, “perché forse è l’anello di congiunzione che da tanto tempo aspettavamo fra il comunismo e il cristianesimo... Gesù Cristo, anche lui, a suo modo, era un comunista bello e buono... e fu vittima dell’imperialismo romano... quante analogie con oggi... si, bisogna pregare il Signore per Kruscev... bisogna che ci avviciniamo a lui il più possibile.., a lui e alla Russia sovietica che sarà la protagonista.., del futuro del mondo...”. Quel giorno, appena terminato il servizio, mentre la Chrysler nera della Corte mi riaccompagnava a casa, annotai sul tacquino, come era mia abitudine, quelle parole di Giovanni XXIII che mi schiudevano un orizzonte che in quei giorni ancora non avevo ben messo a fuoco, ma i cui contorni andavo lentamente identificando con crescente stupore. Poche settimane dopo quel mercoledi, da Luciano Casimirri, direttore del Servizio Stampa Vaticano, seppi l’intenzione del papa di invitare in Vaticano il giornalista russo Ajubei genero di Krusciov. Misi immediatamente in relazione quella notizia d’anteprima con le parole di Giovanni XXIII, quel mercoledi di udienza generale.I giorni trascorsero uno dopo l’altro, poi, la notizia del ricevimento di Ajubei fu data ufficialmente e il genero di Krusciov fu ricevuto dal papa. In quei giorni, in uno di quei soliti discorsetti domenicali dalla finestra, Giovanni XXIII disse alla gente raggruppata in piazza San Pietro in attesa della benedizione: “...amate Krusciov, Dio lo ama...” gli rispose il delirio dei comunisti italiani. Si rese conto Giovanni XXIII di come fu strumentalizzata dal PCI la sua opera e la sua persona? Certamente sì. Perché per un lungo tratto la sua politica spiano studiatamente la strada al comunismo in Italia, e in generale, alle sinistre nel mondo occidentale. Anzi, sembra evidente che ogni sua azione, ogni sua parola, ogni suo gesto, sia stato calcolato con assoluto tempismo da Roncalli proprio perché fosse strumentalizzato, fino alle sue più estreme conseguenze, dai comunisti. Sul finire del suo pontificato, probabilmente Roncalli ebbe qualche attimo di ravvedutezza critica nei 187
confronti della sua politica rivoluzionaria e filocomunista... Forse Roncalli si era voltato indietro a considerare, per la prima volta, la sua opera, dall’angolazione di lui uomo di Sotto il Monte, fatto di antica e schietta pasta contadina, e non da quella di Giovanni XXIII, personaggio-strumento che era servito a stravolgere la storia della Chiesa e dell’umanità, convogliandola incontro a un oscuro futuro.»
9 – LA REAZIONE CATTOLICA ALL’AGGIORNAMENTO Nel Capitolo XVI, Franco Bellegrandi continua la sua testimonianza. «Analizzando i fatti di quel breve scorcio di anni in cui si centra il pontificato rivoluzionario di Giovanni XXIII, sembra che la Storia si sia data appuntamento con Roncalli, spianando la strada, nel grande insieme del giuoco politico internazionale, alla realizzazione del suo programma. Negli Stati Uniti, il presidente Kennedy non aveva trovato da ridire al programma che le sue “teste d’uovo” avevano preparato per l’Italia. Non pareva giusto, a costoro, che l’Italia, liberata anche a costo di sangue americano dal fascismo, continuasse a essere governata da un partito, il democratico cristiano di quei tempi, caratterizzato da una solida impostazione di centro-destra saldamente ancorata al conservatorismo vaticano. E avevano suggerito al giovane ed entusiasta presidente, l’esportazione, in Italia, di quella formula di centrosinistra che, scompigliando i loro calcoli, avrebbe aperto la via all’avvento del comunismo nell’area di potere di quel Paese. La formula, studiata in tutti i possibili dettagli dagli esperti della Casa Bianca, fu spedita ben confezionata in Italia. E piovve, come il cacio sui maccheroni,proprio nel momento piu opportuno, in cui, appunto Giovanni XXIII cominciava ad “aprire” al marxismo, e le parole “distensione” e “dialogo” sembravano le formule magiche indispensabili per risolvere tutti i contrasti e tutte le problematiche con l’Est comunista. La democrazia cristiana italiana, detentrice del potere dalla conclusione del ventennio fascista fino ad allora, fiutando le nuove direzioni del vento, d’oltre Atlantico e d’oltre Tevere, e soprattutto preoccupata, come è buona norma di tutti i partiti politici di quasi tutte le democrazie “approssimative” che rallegrano l’uomo moderno, a mantenere a tutti i costi la sua egemonia, varo subito quella formula semplicemente inconcepibile per l’Italia di allora. «Il Vaticano aveva scelto Amintore Fanfani, come il politico più adatto, secondo lui, a realizzare l”apertura” a sinistra. Quella scelta era stata il 188
frutto di una accorta e abilissima opera di persuasione esercitata dai “monsignori scaltri” di Loris Capovilla e dai “nunzi laici” del “visionario” sindaco di Firenze, La Pira. «Perché l’uomo dei nostri giorni dimentica con tanta facilità? Perché l’uomo della strada non va a rileggersi le collezioni dei giornali? Quante menzogne salterebbero fuori e quanti politici si meriterebbero la qualifica di falsari. Ricordo con esattezza quei tempi. Quando si cominciò a parlare di centro-sinistra, in tutti i circoli più attendibili della nazione si considerava semplicemente follia la realizzazione di una eventualità del genere. Ci si rideva addirittura sopra. Ma dietro alle quinte, lontano dagli occhi dell’opinione pubblica, si lavorava, e come, per imporre la nuova formula. Gli Stati Uniti avevano dato ingenuamente il “la”. Il Vaticano roncalliano, come era ovvio, appoggio con tutto il suo rilevantissimo peso, l’iniziativa politica. Comunisti e socialisti questi ultimi avrebbero spartito il potere coi democraticicristiani, diventando le punte avanzate del PCI al governo, premettero con tutta la loro forza in quella direzione. E una mattina gli italiani si svegliarono col centro-sinistra bello che fatto. Fanfani era stato il realizzatore ufficiale, da parte democraticocristiana, della storica pensata, legando il suo nome alla iniziativa politica che avrebbe portato l’Italia allo sfacelo dei giorni nostri, e Capovilla manovro con lui e con un altro ristretto entourage di marxisti cattolici italiani per tirar fuori a forza, col forcipe,quel tristo e mal nato esperimento da una Italia che era stata pur capace di quel miracolo economico che aveva fatto stupire il mondo. E che da quel preciso momento cominciò inesorabilmente a tramontare, su un fosco orizzonte di crisi economica, di scioperi e di violenze. Come si vede, nessun momento storico sarebbe stato più propizio di quello, per la politica rivoluzionaria di Roncalli. Egli portò a Roncalli, quel momento storico, su un gran piatto d’argento, l’opportunità da tanto accarezzata, di stabilire finalmente contatti diretti e amichevoli con i rappresentanti ufficiali dei senza Dio. Ancora una volta, guarda il caso, gli Stati Uniti: nelle prime fasi di disgelo e dell’avvicinamento fra Vaticano e mondo sovietico,aveva fra gli altri,avuto una parte importante un giornalista americano, tale Norman Cousins, direttore della “Saturday Review”, amico personale di John Kennedy. La missione mediatrice di Cousins cominciò ad Andover, nel Maryland, nell’ottobre del 1962, durante la crisi di Cuba. La cittadina americana era l’unico luogo al mondo nel quale scienziati statunitensi e scienziati sovietici si trovavano insieme per un congresso. Cousins, 189
ricevuto un messaggio di Kennedy, fece da tramite fra un prete cattolico, padre Felix Morlion, e i sovietici Shumeiko e Feodorov,amici di Kruscev. Dal contatto fra il religioso e i due russi scocco la scintilla del messaggio di pace di Giovanni XXIII, al cui messaggio taluni fanno attribuire l’improvviso invertimento di rotta delle navi sovietiche che puntavano sulle Antille con i cannoni pronti a sparare. A questo punto Cousins era entrato nel giuoco e volentieri continuo ad agire come mediatore tra il Vaticano e l’Unione Sovietica. «Era in Vaticano ai primi di settembre del 1962. Dovendosi recare a Mosca, chiese ai monsignori Dell’Acqua e Igino Cardinale, che con i cardinali Cicognani, Bea, Koening, il nunzio in Turchia Lardone e poi Casaroli furono fra i più stretti collaboratori di Giovanni XXIII nella politica distensiva verso l’Est, quale fosse a loro avviso l’iniziativa che si potesse chiedere a Kruscev per l’apertura di un dialogo. I due prelati, che erano al corrente dei passi compiuti dal cardinale Testa presso Borovoi e Kotilarov al Concilio risposero: “La liberazione dell’arcivescovo Slipyi”. Il 13 dicembre 1962 Norman Cousins fece il suo ingresso nello studio di Kruscev al Cremlino. Dal rapporto che poi Cousins consegno a papa Giovanni è possibile ricostruire nei particolari l’incontro. La conversazione cominciò sul filo dei ricordi familiari e di brevi battute scherzose. Poi Kruscev disse: “Il Papa ed io possiamo avere opinioni divergenti su molte questioni, ma siamo uniti nel desiderio della pace. La cosa piu importante è vivere e lasciar vivere. Tutti i popoli vogliono vivere e tutti i Paesi hanno il diritto di vivere. Specie oggi che la scienza può fare un bene immenso e un male immenso”. Il colloquio si protrasse per tre ore. Alla conclusione, la sostanza di esso fu fissata in cinque punti: «1) La Russia desidera la mediazione del papa e Kruscev ammette che non si tratta solo di mediazione utile all’ultimo momento di una crisi, ma anche del continuo lavoro del papa per la pace; «2) Kruscev desidera una linea di comunicazione attraverso contatti privati con la Santa Sede; 3) Kruscev riconosce che la Chiesa rispetta il principio di separazione fra Stato e Chiesa in diversi stati; 4) Kruscev riconosce che la Chiesa serve tutti gli esseri umani per i valori sacri della vita e che non si interessa soltanto dei cattolici; 5) Kruscev riconosce che il papa ha avuto un grande coraggio ad agire come ha agito, sapendo che il papa stesso ha problemi all’interno della Chiesa, come Kruscev ha problemi all’interno dell’Unione Sovietica”.
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«Roncalli lesse il documento e di suo pugno vi traccio a margine: “Letto da Sua Santità (lui!) nella notte 22-23/12/1962”. Si potrebbero scrivere volumi per commentare e contestare, fatti alla mano, una per una, le parole dette da Kruscev in quel suo incontro col giornalista americano. Il totale asservimento della Chiesa del Silenzio allo stato comunista, di lì a pochi anni, accettato e riconosciuto dal Vaticano, l’invasione della Cecoslovacchia da parte degli eserciti del Patto di Varsavia, la persecuzione degli ebrei, dei dissidenti rinchiusi nei manicomi e nei lager, parlano da soli e gridano “bugiardo!” a Nikita Kruscev. Dal giorno di quell’in-contro trascorse un mese. Il 25 gennaio 1963 alle ore 21 l’ambasciatore sovietico in Italia, Kozyrev, consegnava a Fanfani una nota da parte di Kruscev con la preghiera di comunicarne il contenuto in Vaticano. Nella nota si diceva che all’arcivescovo Slipyi era stata concessa la libertà. Ma da parte sovietica si chiedevano garanzie: soprattutto quella di non sfruttare a fini di propaganda antisovietica il presule restituito. Quando il vescovo ucraino, ridotto il fantasma di se stesso dalla disumana prigionia nel lager sovietico, scese dal treno, nella stazione di Roma, sotto alla pensilina, ad attenderlo, c’era solo il segretario di Roncalli, il marxista Loris Capovilla. «Come accadde, anni dopo, al Primate d’Ungheria, cardinale Mindszenty, fatto tornare a Roma con un inganno per essere destituito da Montini, ligio all’ultimatum di Kadar, quell’eroico vescovo ucraino fu emarginato nel silenzio. Visse isolato nella sua piccola comunita sulla Via Aurelia, alle porte di Roma. In alcune stanze del Collegio Ucraino di piazza degli Zingari ignoto ai piu, sono conservati sotto vetro gli stracci e i poveri oggetti personali con cui l’arcivescovo Slipyi visse e soffrì la sua prigionia in Siberia. «Nikita Kruscev aveva gettato l’amo. L’esca ignara era quella larva di uomo di Slipyi. Subito, Roncalli abboccò. Attraverso quei “contatti privati” auspicati dal russo, arrivo al Cremlino l’invito del papa alla figlia del premier sovietico Rada e a suo marito, il giornalista Alexei Ajubei, direttore dell’«Izvestia», di recarsi da lui, in Vaticano. Fu una botta dritta alla Roncalli anni venti. La parte più conservatrice del Vaticano insorse e fece sapere al papa la propria disapprovazione. Il cardinale Ottaviani gli espresse, in un drammatico tu per tu il proprio dissenso. Roncalli non ascoltò nessuno e marciò dritto sulla sua decisione. Nel marzo di quell’anno i due coniugi russi dietro a cui si muove la lunga mano del Cremlino mettono piede in Vaticano. Il comunismo internazionale esulta, il PCI è alle stelle. I due ospiti si 191
intrattennero col papa, nella sua biblioteca, senza che nessun membro del collegio cardinalizio fosse presente al colloquio. Quella visita farà da “pendant” all’altra di qualche anno più tardi, quando - nel giorno del Corpus Domini! - Paolo VI accoglierà a braccia spalancate l’ungherese Kadar, e stringerà fra le sue le mani insanguinate del boia di Budapest. Per qualche giorno la polemica infuria in Vaticano. «Alla fine la grossa mano del prete di Sotto il Monte si abbatte a ridurre i più coraggiosi al silenzio. Il 20 marzo 1963 Roncalli scrive: “L’assoluta chiarezza del mio linguaggio, dapprima in pubblico e poi nella mia biblioteca privata, merita di venir rilevata e non sottaciuta artificialmente. Bisogna dire che non c’e bisogno di difendere il Papa. Ho detto e ripetuto a Dell’Acqua e Samorè che si pubblichi la nota redatta da padre Kulic (l’interprete), l’unico testimone della udienza concessa a Rada e Alexei Ajubei. La prima sezione non ci sente da questo verso e me ne dispiace”. Quando un papa scrive che una cosa “lo dispiace”, vuoi dire che quella cosa l’ha terribilmente irritato. «Il 22 novembre di quell’anno, a Dallas un cecchino aveva posto termine alla vita del presidente Kennedy. Gli era succeduto Lyndon Johnson che aveva tirato le briglie rimettendo al trotto riunito il galoppo del suo predecessore che correva a rompicollo sulla via di una illusoria, pericolosa nuova politica mondiale. E, puntuale, dopo la visita dei familiari di Kruscev a Roncalli, la “Pacem in Terris” e le elezioni italiane, la CIA varcherà, come s’e detto, il Portone di Bronzo. Ma Giovanni XXIII non si arresta. Anzi, quel tentativo U.S.A. di mettere il morso, come a un cavallo che ha preso la mano, al papa, irrita Roncalli e lo fa correre con maggiore precipitazione sulla sua strada. Vuoi ricevere, adesso Nikita Kruscev. L’incontro e preparato con una serie di contatti coperti dalla segretezza diplomatica e dal piu stretto riserbo del Vaticano. I due figli di contadini dovranno stringersi la mano un giorno memorabile di quell’estate 1963. Anche questa volta, un’agenzia di stampa tedesca capta il “bisbiglio” e spara al mondo la notizia, che suscita reazioni vastissime e non sempre positive. Il quotidiano romano “Il Tempo” scriveva a questo proposito il 20 marzo 1963 che “... nei circoli vaticani si è espressa una certa meraviglia riguardo al termine di ‘coesistenza tattica’ con il quale l’agenzia tedesca definisce lo scopo dell’incontro fra Giovanni XXIII e Nikita Kruscev. Si fa notare che nessuna “tattica comune” sarebbe possibile fra il Vaticano e la Russia, mentre “la coesistenza non è né tattica né strategica, ma semplice
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riconoscimento della esistenza reciproca che può essere o non essere accompagnata da contatti fra le parti”. «E, sempre sullo stesso argomento, la rivista dei Gesuiti statunitensi, “America” scrivera che non vi sono ostacoli di principio allo stabilimento di relazioni fra il Vaticano e i sovietici: “Il papa e i suoi collaboratori sentono, dall’altra parte, acutamente le necessità della Chiesa universale, e gli speciali problemi dei Paesi dominati dal comunismo”. Ma la morte, in gara col tempo e con i frenetici programmi di Giovanni XXIII vinse di varie misure. Quella visita memorabile non ci fu più. Rimase per traverso anche a Nikita Kruscev che ormai considerava Roncalli un prezioso strumento per l’espansione “pacifica” del comunismo nel mondo occidentale. Tanto che in un’intervista concessa al giornalista americano Drew Pearson subito dopo la firma del patto nucleare, e pubblicata il 29 agosto 1963 dal quotidiano di Düsseldorf, “Mittag”, il premier sovietico così si espresse su Roncalli: “Il defunto papa Giovanni era un uomo del quale si poteva dire: “Egli sentiva il polso del tempo. Era certamente più saggio del suo predecessore e capiva l’epoca nella quale viviamo”. Per un capo di stato sovietico non è poco! Ma ormai l’esaltazione rivoluzionaria ha preso la mano a Roncalli. Il giorno di giovedì santo, 11 aprile 1963, viene resa nota la sua enciclica “Pacem in Terris”. L’Enciclica papale segnerà la fortuna del PCI. Alle Botteghe Oscure dove già erano noti alcuni passi più scottanti del documento, la leggono tutta d’un fiato ed esultano. Al Cremlino non si crede ai propri occhi, leggendo il testo immediatamente tradotto e divulgato alle direzioni per gli “affari religiosi”. Roncalli da quel momento è il papa dei comunisti. Il partito comunista italiano fa stampare a sue spese e diffondere milioni di copie del Capitolo V dell’Enciclica, che si rivolge, per la prima volta nella storia di questi documenti pontifici, non soltanto all’Episcopato, al clero e ai fedeli della Chiesa di Roma, ma anche a “tutti gli uomini di buona volontà”. La lettera enciclica che abbatterà l’ultimo diaframma che separa cristianesimo e marxismo segna, storicamente, l’inizio del confondersi insieme delle due dottrine e del grande equivoco che minerà le fondamenta della Chiesa. L’invito al dialogo è esplicito nei passi in cui l’Enciclica dice”... chi in particolare momento della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra credenti e quanti non credono o credono in
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modo non adeguato, perché aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e per renderle omaggio. «E la sdrammatizzazione del pericolo marxista vibra e s’innalza la dove il documento giovanneo spiega con rasserenante bonomia che “... va altresì tenuto presente che non si possono neppure identificare false dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali, culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente e-volventisi, non possono non subire gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi”. Mentre il riconoscimento del valore del marxismo nella misura in cui concorre a risolvere i problemi dell’umanità, Roncalli lo esprime subito appresso, là dove scrive: “inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?” E segue, immediato, l’esplicito invito all’incontro, al dialogo, all’accettazione: “Pertanto, puo verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece sia o lo possa divenire domani”. In quel periodo, un parroco cosi scriveva al periodico “Settimana del Clero”: “...I comunisti nei loro appelli giunti in tutte le case hanno ripetuto con grande gioia: “Vedete, il Papa è con noi. Questo lo ha detto nella sua ultima enciclica. Poi, non lo sapete? Ha ricevuto il genero e la figlia di Kruscev e ormai tra cristianesimo e comunismo la pace è fatta.. Votate per noi che rispetteremo i vostri sentimenti”. Fuori delle chiese, attivisti comunisti, con fare compunto, distribuirono il seguente volantino: “Cattolici e comunisti: è possibile incontrarsi. Una svolta di grande significato va maturando in questo periodo al vertice della Chiesa cattolica. In numerosi discorsi, e soprattutto in occasione del Concilio ecumenico, il Pontefice Giovanni XXIII ha sottolineato questi elementi: 1) l’esigenza di un grande e sincero impegno di tutti per salvare la pace, per stabilire un clima di convivenza e di reciproca comprensione fra tutti i popoli senza distinzione di fede religiosa, di tendenze ideologiche, di sistema sociale; 2) la necessità di abbandonare le vecchie crociate anticomuniste, di superare l’epoca delle scomuniche per ricercare nel 194
dialogo, “nella misericordia anziché nella severita” (come ha detto appunto il Papa) la via che consente all’umanità di allontanare dalla propria testa la minaccia di una catastrofe atomica; 3) la tendenza a non impegnare direttamente la Chiesa nelle competizioni politiche, al contrario di quanto è avvenuto in passato, allorché il Clero e l’Azione Cattolica arrivavano ad identificare la religione con un solo partito e utilizzavano anche il pulpito per imporre il voto alla democrazia cristiana. Ajubei dal Papa. Il nuovo spirito che anima la Chiesa ha avuto una conferma nella cordiale simpatia con cui nei giorni scorsi il Papa ha ricevuto in Vaticano uno dei massimi dirigenti dell’URSS, Alexei Ajubei. Pur partendo da diverse posizioni ideologiche, cattolici e comunisti possono e debbono incontrarsi per allontanare la minaccia di un conflitto atomico, per instaurare un nuovo clima di distensione e di progresso... La realtà di oggi, la stessa svolta, in atto nella Chiesa, dimostrano che i tempi cambiano e che oggi più di ieri è possibile battere la conservazione per rinnovare il paese in senso democratico e socialista. Cammina coi tempi, cammina con noi. Vota comunista”. «La trappola del “comunismo clericale” era, adesso, pronta e tesa nella direzione dei “comunistelli delle sagrestie”, sempre smaniosi di intrecciare dialoghi,alla continua ricerca della collaborazione con i marxisti, pungolati dal complesso d’inferiorità verso i “laici aperti” e, ben presto, quella trappola scatto, imprigionando democristiani e cattolici nel giro vizioso del “frontismo”. Tanto per citare uno dei mille esempi che prepararono il clima del “comunismo clericale”, a Vicenza i giovani comunisti affissero manifesti del seguente contenuto: “Le barriere della paura e della diffidenza cominciano a cadere. Il sindaco cattolico di Firenze (La Pira) accoglie il sindaco comunista di Mosca... In tutto il mondo si sviluppano iniziative per favorire la causa della distensione internazionale... Insieme oggi? Noi giovani comunisti e cattolici dobbiamo agire nell’interesse della nostra patria e della causa della distensione internazionale.., grandi responsabilità sono di fronte a noi giovani comunisti e cattolici...”. «E i dirigenti nazionali del PCI scrissero, con la piu viva chiarezza: “Bisogna comprendere che, quando il nostro partito parla di un’intesa con i cattolici, non lo fa per disporre di facili ritorsioni polemiche, per fini esclusivamente di parte, ma perché di questa intesa ha bisogno la classe operaia e il popolo italiano, la causa della pace, della democrazia e del
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socialismo... affinché si possa mandare avanti con piu forza e con maggiore ampiezza la nostra azione unitaria”. «Uno dei più “duri” parlamentari del PCI, Arturo Colombi, non indugiò a prender la penna, allora, per scrivere una esaltazione delle ACLI, il sindacato cattolico, i cui capilega e attivisti si erano trovati insieme a quelli del sindacato unitario (comunista) a organizzare e dirigere la lotta... Gomito a gomito si erano trovati nelle assemblee, organizzate negli Oratori e nelle Camere del Lavoro, nei comizi... E certo che molte prevenzioni sono cadute da una parte e dall’altra e che una nuova atmosfera di fraterna fiducia e nata nel fuoco della lotta”. Per far si che la trappola tesa ai cattolici, in sincronia perfetta con l’azione politica di Giovanni XXIII, funzionasse nel modo più efficace e totale, lo stesso segretario del PCI, Palmiro Togliatti se ne uscì con questa affermazione: “Vogliamo sottolineare l’enorme portata ideale e pratica del riconoscimento, esplicitamente fatto da questo Pontefice, che alla pace, alla comprensione e collaborazione fra i popoli si può e si deve giungere anche quando si parte da posizioni diverse e lontane. «La liquidazione operata in questo modo di vecchi ingombranti ostacoli alla conquista della pace e dell’amicizia fra tutti gli uomini, e stato un servizio inestimabile reso a tutto il genere umano e di cui tutti debbono essere grati all’opera illuminata di questo Pontefice”. Parole abili, pronunciate con tempismo ben calcolato, dalla vecchia volpe comunista che pure non ha avuto indugi a scrivere, rivelando i suoi autentici convincimenti, su “Momenti della Storia d’Italia”, in merito alla collaborazione fra Stato laico e Chiesa cattolica: “Consapevole del nuovo reale pericolo che minaccia la società capitalistica, del pericolo della ribellione delle masse lavoratrici, la Chiesa cattolica, dopo aver assimilato una parte del metodo liberale, assimila una parte del metodo socialista e si pone... sul terreno della organizzazione delle masse lavoratrici, della mutualita,della difesa economica, del miglioramento sociale... Su questo nuovo piano non soltanto i rapporti fra lo Stato e la Chiesa si configurano in forme nuove, ma si precisano la figura e la funzione della Chiesa stessa e del papato come forze che lottano per la difesa dell’ordine capitalistico ,ora in prima linea, ora come riserva, ora con una tattica, ora con l’altra, a seconda delle circostanze e della particolare situazione internazionale e di ogni paese, ora coprendosi di una maschera democratica, ora mostrando apertamente un volto reazionario. Questo, oggi, e il vero potere temporale dei Papi”. 196
«Diciasette giorni dopo la promulgazione dell’Enciclica applaudita dai marxisti, si svolsero le elezioni in Italia. La risposta inequivocabile alla “Pacem in Terris” fu l’aumento di un milione tondo di voti per il partito comunista, rispetto alle elezioni politiche di cinque anni prima. «La distensione intrapresa all’Est, l’udienza degli Ajubei in Vaticano, la “Pacem in Terris” a diciasette giorni dalle elezioni politiche in Italia: Tre colpi di maglio formidabili dell’escalation roncalliana che butteranno all’aria l’equilibrio politico italiano e rimbomberanno sull’Europa, come il primo, lungo, fragoroso tuono, foriero di tempesta. Come si può non pensare a un preciso programma studiato a tavolino e concordato nei suoi più piccoli particolari? Quel primo risultato, quel milione di voti “regalato” con una bella benedizione ai rappresentanti dell’ateismo ufficiale, insieme a quell’enciclica che sarà la chiave che servirà a spalancare la porta inviolata della cittadella cristiana alla penetrazione dei senza Dio, fara aprire gli occhi a quanti ancora si illudono. A quanti ancora si rifiutano di pensare e di credere a un programma di sovversione graduale e rapido. Fatto di colpi di mano. Uno diverso dall’altro. Ma tutti diretti verso lo stesso obiettivo. La trasformazione della Chiesa in un organismo essenzialmente sociologico, in linea con le più avanzate teorie sociologiche e antropologiche dei nostri giorni. Quando sarà noto l’esito di quelle elezioni, una folla di scalmanati sventolanti bandiere rosse si accalcherà in Piazza San Pietro acclamando Giovanni XXIII. Un’altra pagina della Storia era stata voltata, con un gran fruscio e una lunga, gelida ventata d’aria. Le Guardie Svizzere vegliavano, immobili, come da secoli, sulle frontiere del Vaticano, mentre il colonnato del Bernini stringeva nelle sue braccia di pietra il nereggiante clamore di quella moltitudine. Ma da quella sera il significato del loro servizio si era di colpo annullato. Dietro alle loro alabarde, infatti, l’antica Chiesa e la Tradizione non c’erano più. Da quella sera avevano abbandonato per sempre, insalutate ospiti, le undicimila stanze del piccolo Stato. «All’incirca nove mesi prima di quegli eventi, il papa era stato assalito dal male che lo portera alla tomba. L’archiatra e i medici che lo coadiuvano, a una precisa domanda di Roncalli gli avevano risposto che gli sarebbe restato, piu o meno, un anno di vita. «L’appuntamento con la morte sorprende Giovanni XXIII. Sta di fatto che già qualche mese dopo quell’annuncio, l’estroversissimo papa appare a chi gli vive e lavora vicino, più silenzioso, talvolta soprappensiero. Gli avvenimenti messi in moto dalla sua volontà 197
rivoluzionaria, gli precipitano intorno. La forza scatenata dalla sua politica acquisita, per la sua sola forza di inerzia, subisce un’accelerazione sempre maggiore, che sconvolge programmi, e scompiglia pazzamente i confini ella politica europea stabilitisi da oltre trent’anni di dopoguerra, con un disegno a volte tormentato e sofferto. Il conto alla rovescia che lo avvicina giorno dopo giorno alla partenza per l’ultimo viaggio fa destare Roncalli dal suo sogno durato tutta una vita e la realtà uscita dalle sue mani di contadino e di inflessibile rinnovatore, adesso lo fà rabbrividire e, forse, agghiacciare. Qualcuno di quelli che gli sono intorno mi racconta che il papa, a volte, piange in segreto. Ed è diventato taciturno. Ma ormai Roncalli e, come dice il detto orientale, a cavallo alla tigre, che, suo malgrado, lo trascina avanti sorda ai suoi probabili ripensamenti. In quegli ultimi mesi di vita il male l’ha agguantato alla gola. Tutti ce ne siamo accorti, intorno a lui. È assente. Disfatto. Eppure i comunisti continuano a manovrare quel papa che diventato un fantoccio nelle loro mani. «L’ultimo “amaro tè” che il prete di Sotto il Monte dovra trangugiare per conto del marxismo italiano e internazionale soltanto venticinque giorni prima di morire, è quella torbida invenzione propagandistica delle sinistre, il Premio Balzan per la pace. Roncalli adesso non ne vuol sapere. Tenta il rifiuto e si attacca al pretesto, del resto drammaticamente valido, della sua malattia che l’ha condotto ormai alle soglie della morte. Ma tutto l’apparato creato e voluto da lui, che gli respira intorno, perfettamente congegnato e sincronizzato, tutto quell’apparato che serve il comunismo internazionale, la massoneria, il progressismo, e che ha già belle pronto nella manica il nuovo papa, Montini, gli fà violenza col sorriso sulle labbra. Viene tirato letteralmente giù dal letto. Rivestito dei paramenti papali, portato di peso nella Cappella Sistina perché farlo scendere in San Pietro, in quelle condizioni, equivarrebbe ad ucciderlo. «Il caso volle che quella mattina, venerdì 10 maggio, fossi intimato di servizio e così scortai quel condannato, questa fu la mia precisa impressione, insieme alle Guardie Nobili e a tutto il fastoso seguito della Corte. Era pallido e sconvolto dal male. Aveva lo sguardo fisso nel vuoto. Una volta posto a sedere sul trono, tremò a lungo, scosso da brividi. Ma c’erano gli altri, intorno a quel trono, a sorridere per lui. C’erano i rappresentanti di quel premio messo insieme col danaro di morti ammazzati sotto il piombo dei rossi nel 1945, c’era il tetro monsignor Capovilla con il luccichio dei suoi denti sotto i grandi 198
occhiali funerei, che sorridevano ai fotografi al posto del papa. Che quando rientrò nelle sue stanze non volle veder più nessuno. Fuori di quella stanza da letto, che di lì a pochi giorni sarebbe stata visitata dall’Angelo della morte, un mare di carta stampata sommerse il mondo, pubblicizzando ai quattro venti quell’e-vento in cui ancora una volta, l’ultima, Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, il papa dei comunisti, era stato prezioso e poderoso strumento nelle mani abili del burattinaio marxista. «Certamente sul punto di morire Roncalli ebbe un ravvedimento… Prima di rendere l’ultimo respiro, sillabò parola dopo parola la sua professione di fede alla religione cattolica, ed ebbe la forza e la lucidità di dare una sua versione, drammatica, alla sua morte con le parole: “muoio sacrificato come l’Agnello”. Nessuno dei suoi predecessori, in punto di morte, aveva creduto opportuno di esprimere ad alta voce quella professione di fede, per lo meno singolare in un pontefice, capo della Chiesa cattolica e Vicario di Cristo in terra. E poi, quel “muoio sacrificato come l’Agnello”. A cosa voleva alludere il morente Roncalli? La risposta era lì fuori, nel PCI che attendeva quella morte a fauci spalancate. L’afferrò infatti famelico e la fece sua. In Sicilia, dove era in corso la campagna elettorale per le “regionali”, ordinò la sospensione dei comizi di partito in “segno di lutto”; nelle fabbriche, le commissioni interne ordinarono la sospensione del lavoro per alcuni minuti, per ricordare Giovanni XXIII; a Livorno gli operai furono incolonnati e condotti al porto affinché vedessero che un mercantile sovietico ivi ormeggiato aveva esposto la bandiera rossa a mezz’asta per la morte del Pontefice; a Genova e nelle altri grandi città, gli attivisti comunisti andavano di casa in casa per distribuire volantini e ciclostilati in cui si affermava che “l’immensa opera di pace di Giovanni XXIII corre tanti pericoli per la spinta capitalistica verso la guerra” e si sottolineava che l’opera del Papa non era stata facile perche “Egli non è stato risparmiato dagli attacchi più o meno velati, perfino provenienti dalle alte gerarchie ecclesiastiche.., che osteggiano la distensione, per che sanno che essa rappresenterebbe la loro sconfitta politica e ideologica”. «Nemmeno per la morte di Giuseppe Stalin le rotative del PCI lavorarono tanto quanto per quella di Giovanni XXIII. Era arrivata l’ora di compiere il “miracolo”. Sferragliavano adesso giorno e notte per costruire su tonnellate e tonnellate di carta stampata il mito di Angelo Giuseppe Roncalli, il papa dei marxisti. Precipitosamente il Vaticano
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dette inizio al processo di beatificazione del papa appena defunto.» Ecco il papa dei marxisti e dei massoni (76). L'eresia, fulcro di ogni demolizione sociale “L’anello è chiuso. Muovendo dal soggettivismo, l’eresia modernista vi ritorna detronizzando Dio e mettendo al suo posto l’Uomo. E' perciò che il Papa (san Pio X), nello stile preciso dell'epoca, del quale il linguaggio babelico di questa seconda metà del secolo XX ha perduto il ricordo, chiama l’immanentismo. Poiché la coscienza umana non è collegata a nulla che la oltrepassi, essa non potrà attingere Dio se non in se stessa: «Esso si trova nell’uomo stesso». «Quindi - rileva il Papa – l’equivalenza fra coscienza e Rivelazione». Tutte le verità della fede sono già contenute nella coscienza dell’uomo afferma il Tyrrel in «Through Scylla and Charybdis». Dio non comunica più all'uomo le verità sovrannaturali per mezzo della Rivelazione. E' l’uomo, che le scopre in sé medesimo” (Marcel de Corte, «La grande Eresia», Volpe, 1970). Erano i profeti del Vaticano II consapevoli dell’indispensabile bisogno di un «ordine morale oggettivo» per fondare i diritti umani da loro attribuiti al potere civile? Se lo erano, come mai tacevano su quei principi cattolici, che dicevano rappresentare, che sono quelli che dovevano fondare questo stesso ordine? Forse si vergognavano di dire che ogni ordine e giustizia si fonda sulla verità divina che trascende l’uomo. Si vergognavano di crederlo e tacerlo, o della Fede stessa? A confermare questo timore sta il fatto che si opposero a che si imputasse allo Stato alcun dovere verso la religione in quanto tale e verso la religione rivelata in particolare. L’uomo che segue la «religione dell’uomo che si fa dio», avrebbe il diritto non solo di scegliere le sue verità, ma di insegnarle nel mondo civile e anche religioso come materia di una «nuova fede». Secondo Paolo VI, “l’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa non soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione di ogni realtà”. [...]
76 - Libro intitolato: "Introdução à Franco-Maçonaria" Ponce.
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di Jaime Ayala
Tale «umanesimo», fondato sui “valori del mondo rinunciatario alla trascendenza”. Quindi, deve poter fare delle proprie opinioni un diritto da “onorare, sostenere e benedire” dall’«autorità conciliare». Oggi quest’umanesimo, che con l’animazione «spirituale» dei grandi sacerdoti del conciliarismo ecumenista, pretende guidare all’utopia di quel «ammirabile mondo nuovo», aiuta a far materializzarsi soltanto un mondo edonista e abortista, demolitore del Cristianesimo. Non sembra, però, che i suoi sciagurati umanisti (77) si siano accorti che esso è in via di distruzione, non per opera del crescente Islam, ma dei germi d’auto corruzione che si porta dentro. La reazione cattolica durante il Vaticano II che Il documento conciliare Nostra aetate (Nae) è la chiave per capire queste “aperture deviate”, perché è stato concepito a misura dei poteri del mondo moderno, per operare la rottura della Chiesa col suo passato. Inutile sarebbe, perciò, per un cattolico che vuole difendere la Fede, riferirsi ai fatti attuali senza riportarsi al “pensiero” che li ha prodotti. Sarebbe possibile che il veleno ecumenista fosse inoculato nelle vene della Chiesa senza che i cattolici se ne accorgessero e reagissero? In verità non si può dire che sia mancata una reazione cattolica a tanto inganno durante il Vaticano II. Ricordiamo ora un’importante alzata di scudi di prelati e di laici durante il Vaticano ma che oggi sembra quasi del tutto dimenticata. delle pagine del libro “Diario del Concilio” del progressista Henri Fesquet (Tutto il Concilio giorno per giorno, DC = Diario del Concilio, Henri Fesquet, Mursia, Milano, 1967: 16 ottobre 1965, p. 966): sulla definitiva adozione dal Concilio della Dichiarazione Nostra aetate il 16.X. 1965, il cui voto mette fine “a un numero incredibile di pressioni, di passi, di visite, di lettere, di pamphlets, di trattati che hanno assalito il Segretariato per l'unità dei cristiani per più di tre anni. Quando saranno conosciuti nei particolari questi vari tentativi per fare abortire o rendere insignificante la dichiarazione conciliare, si resterà confusi davanti a tanta passione, aberrazione, odio, e per dire tutto, ignoranza e bestialità (!?). D'altro lato, parecchi lamenteranno a buon diritto che l'ultima versione del testo presentata dal Segretariato per l'unità abbia perduto un poco del suo mordente. È soprattutto peccato che le vere ragioni per cui sono state fatte queste modifiche siano state più o meno nascoste dietro dei pii motivi. La diplomazia romana è prevalsa su una franchezza assoluta. Ma bisogna riconoscere che la dichiarazione, come è stata votata, ha salvato l'essenziale. Gli osservatori che durante l'intersessione avevano fatto correre le voci più allarmanti hanno sbagliato di grosso. Il Vaticano Il ha realizzato, grosso modo, la volontà di Giovanni XXIII biasimando severamente l'antisemitismo. La Chiesa ha
77 - Titolo del libro dell’agnostico Aldous Huxley, «Il mondo nuovo» (Brave New World). «O admirável novo mundo», sulla dittatura della tecnologia, scritto nel 1932.
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riconosciuto implicitamente le sue colpe passate in tale materia, che sono pesanti, durevoli e numerose. La nuova mentalità ecumenica ha vinto i pregiudizi di un tempo. A questo riguardo, il voto di venerdì inaugura una pagina bianca nella storia dei rapporti tra Roma e gli ebrei. Fino all'ultimo giorno gli antisemiti cattolici si sono coalizzati per cercare di imbavagliate il Concilio. Abbiamo già segnalato il pamphlet italiano di Don Zaga. Un altro è di Léon de Poncins, che accusa i vescovi che hanno approvato il testo dell'anno scorso d'«incoscienza». «Una dichiarazione degna di un antipapa. » (ib., p. 967): Ma bisogna soprattutto ricordare il libello di 4 pagine ricevuto dai vescovi. È preceduto da questo titolo lungo e curioso: «Nessun Concilio e nessun Papa possono condannare Gesù, la Chiesa cattolica, apostolica e romana, i suoi pontefici (Il libello enunera 15 papi «antisemiti», da Nicola I (IX secolo) fino a Leone XIII) e i concili più illustri. Ora la dichiarazione sugli ebrei comporta implicitamente una tale condanna, e, per questa eminente ragione deve essere respinta». Nel testo si leggono queste spaventose parole(!): « Gli ebrei desiderano ora spingere la Chiesa a condannarsi tacitamente e a mutar parere davanti a tutto il mondo. È evidente che solo un antipapa o un conciliabolo (sic) potrebbero approvare una dichiarazione di questo genere. Ed è quello che pensano con noi un nun ero sempre crescente di cattolici sparsi nel mondo i quali sono decisi ad operare nel modo che sarà necessario per salvare la Chiesa da una simile ignominia ». Che firme vi sono in fondo al pamphlet? Trentun movimenti cattolici tra i quali per la Francia le riviste «Itinéraires, Nouvelles de chrétienté», la « Cité catholique » la cui rivista «Verbe» (che si chiama ora «Permanences»), è ben nota, l'«Action Fatima-la-Salette », e il « Movimento tradizionalista cattolico ». Ecco il numero degli altri movimenti classificati per nazionalità: USA (3), Italia (3), Messico (3), Spagna (2), Argentina (2), Portogallo (2), Cile (2), Germania (1), Austria (1), Brasile (1), Ecuador (1), Venezuela (1), Giordania (1). La Francia - come si vede con cinque movimenti, ha il triste privilegio di essere in testa. Aggiungiamo che è difficilissimo interpretare i voti negativi di cui abbiamo parlato sopra: 10 astensioni più 250 non placet. Hanno votato contro lo schema in una proporzione sconosciuta i vescovi dei Paesi arabi, i vescovi di estrema destra, e alcuni vescovi malcontenti che il testo attuale fosse meno preciso e meno forte di quello adottato nel 1964.»
Negli anni che seguirono divenne chiaro che i redattori di questo manifesto, che accusava lo spirito del Vaticano II di opporsi alla dottrina cattolica, avevano ragione: Era evidente che solo un antipapa e un conciliabolo avrebbero potuto approvare una dichiarazione con un insegnamento antievangelico. Essi erano ormai riconoscibili dai loro evidentissimi frutti di scristianizzazione e apostasia generale. I redattori del manifesto non avevano ragione, però, nel non aver dato seguito a quest’accusa legittima, poiché, trattandosi della presenza di un antipapa e di un conciliabolo che avrebbero fatto deviare dalla fede cristiana, il danno era troppo grave per accettarlo senza provvedere ad una reazione proporzionata. Mancavano forse alla Chiesa di Dio gli strumenti per impedire ai suoi demolitori di agire? No certamente. Perché allora questa testimonianza del pericolo che correva la Chiesa non ebbe seguito, ma causò la divisione e il crollo completo della testimonianza cattolica? Si noti, quest’accusa della presenza di un antipapa in un conciliabolo fu sottoscritta durante il Vaticano II da molti gruppi cattolici, 202
ma non ha avuto seguito. Come mai? Non sia mai detto che alla società perfetta che è la Chiesa mancasse la chiarezza delle leggi e delle dottrine cattoliche per difendere la Fede della Chiesa. Quel che sicuramente è mancata fu la volontà di unirsi e operare secondo la sua Legge. È quando si deve considerare per arrivare ad una conclusione costruttiva. Anni dopo, anche i monsignori Marcel Lefebvre e Antonio de Castro Mayer avrebbero espresso dubbi sulla validità delle autorità conciliari in Vaticano. Il primo ha parlato di “anticristi”, il secondo di un antipapa. Ma diversi sacerdoti e laici vanno pure oltre queste posizioni, anche se con motivazioni e elementi canonici diversificati. Poiché l’eresia pancristiana del modernismo conciliare, ossia lo gnosticismo ecumenista, è da sempre condannata dai Papi, è chiaro che il Signore può non giudicarci per la scarsa cognizione del Codice canonico sul Diritto di Dio, ma sulle conclusioni di buon senso nessuno può essere esentato. Qui si tratta del paradosso di un’autorità cattolica, ma… ecumenista! L’autorità papale esiste per rappresentare l’Autorità divina, condannando quanto contrasta con la verità trasmessa nella Rivelazione. Se al contrario, si accordasse con quanto le è contrario, sarebbe il peggiore nemico della Fede; sarebbe vedere “nel Luogo Santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele” senza reagire; attitudine indegna per un consacrato. È ancora il risultato di quella debolezza umana che il Signore è venuto a guarire con la fede, ma prevedendo che molti sarebbero incapaci di preservarla nei tempi finali. Per essi ha predetto la crisi apocalittica della grande oscurità: “Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).
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9 - LA “COSCIENZA DELLA CHIESA” IMPRESSALE DA GESÙ CRISTO Dall’Enciclica «Immortale Dei» di Leone XIII, 1º nov. 1885: “Quel pernicioso e deplorevole spirito innovatore che si sviluppò nel sedicesimo secolo, volto dapprima a sconvolgere la religione cristiana, presto passò, con naturale progressione, alla filosofia, e da questa a tutti gli ordini della società civile. Da ciò si deve riconoscere la fonte delle più recenti teorie sfrenatamente liberali, senza dubbio elaborate durante i grandi rivolgimenti del secolo passato e proclamate come principi e fondamenti di un nuovo diritto, il quale non solo era sconosciuto in precedenza, ma per più di un aspetto si distacca sia dal diritto cristiano, sia dallo stesso diritto naturale.” “Poiché si afferma che il popolo contiene in se stesso la sorgente di ogni diritto e di ogni potere, di conseguenza la comunità non si riterrà vincolata ad alcun dovere verso Dio; non professerà pubblicamente alcuna religione; non vorrà privilegiarne una, ma riconoscerà alle varie confessioni uguali diritti affinché l’ordine pubblico non venga turbato. Coerentemente, si permetterà al singolo di giudicare secondo coscienza su ogni questione religiosa; a ciascuno sarà lecito seguire la religione che preferisce, o anche nessuna, se nessuna gli aggrada. Di qui nascono dunque libertà di coscienza per chiunque, libertà di culto, illimitata libertà di pensiero e di stampa. Posti a fondamento dello Stato questi principi, che tanto favore godono ai giorni nostri, si comprende facilmente in quali e quanto inique condizioni venga costretta la Chiesa.” “Ora, è sufficiente la semplice ragione naturale per dimostrare come siffatte teorie sul governo delle comunità siano assai lontane dalla verità. È la stessa natura che testimonia come qualsiasi potere derivi dalla più alta e augusta delle fonti, che è Dio. La sovranità popolare che si afferma insita per natura nella moltitudine indipendentemente da Dio, se serve ottimamente ad offrire lusinghe e ad infiammare grandi passioni, non ha in realtà alcun plausibile fondamento, né possiede abbastanza forza per assicurare uno stabile e tranquillo ordine sociale. In verità a causa di tali dottrine si è giunti al punto che da molti si sostiene la legittimità della rivoluzione, vista come giusto strumento di lotta politica.”
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“La Chiesa vuole assolutamente evitare che chiunque sia costretto, suo malgrado, ad abbracciare la fede cattolica, perché, come saggiamente ammonisce Agostino, "l’uomo non può credere se non spontaneamente". Similmente la Chiesa non può consentire quella libertà che induce al disprezzo delle leggi santissime di Dio e sopprime la doverosa obbedienza all’autorità legittima. Infatti, questa è piuttosto licenza che libertà; e felicemente viene definita da Agostino "libertà di perdizione"; dal-l’Apostolo Pietro "velo di malizia" (1Pt 2,16); anzi, essendo irrazionale, diviene vera schiavitù; "poiché chi fa peccato è schiavo del peccato" (Gv 8,34). Al contrario, la libertà autentica e desiderabile è quella che, nella sfera privata, non permette all’individuo di essere schiavo degli errori e delle passioni, terribili padroni, e che nella sfera pubblica governa saggiamente i cittadini, offre loro con larghezza le opportunità per migliorare la propria condizione, difende lo Stato dalle sopraffazioni altrui. La Chiesa, più di chiunque altro, approva questa libertà onesta e degna dell’uomo, né ha mai cessato di adoperarsi e di lottare perché ai popoli fosse garantita salda e integra.” La coscienza, come l’anima spirituale dell’uomo, è individuale, ma come luce e principio della persona umana creata da Lui è anche principio per la società nella sua azione verso il prossimo, lo Stato, il mondo umano. Questi non possono avere princìpi alieni a quello della coscienza individuale, determinata dal Creatore stesso. La divisione tra i princìpi (della coscienza) dello Stato e della Chiesa, pretesa dal laicismo, è condannata dai veri Papi, proprio a favore della vera libertà delle coscienze e non «di coscienza». Da cosa stati e partiti politici pretendono di liberare le coscienze degli uomini? Dalla verità cristiana? Il piano inaugurato da Giovanni XXIII col Vaticano II consiste nel liberare le coscienze dalla Legge divina di Cristo nel contesto di uno stato ateo nel quale la legge è arbitrario e schiavizzante prodotto dei detentori del potere. Nel suo Discorso Vous avez voulu del 7.9.55, Pio XII dice: “Papa Leone XIII, nella sua Immortale Dei, avendo in mente il rapporto tra Stato e Chiesa, tra la Chiesa e la cultura ha scritto (sulla coscienza della Chiesa): La Chiesa cattolica è consapevole che il suo divino Fondatore, le ha trasmesso il dominio della religione, la guida religiosa e morale degli uomini nella loro interezza, a prescindere dal potere statale.” “Leone XIII, ha racchiuso, per così dire, in una formula la natura propria di queste relazioni, di cui da una luminosa esposizione nelle sue 205
encicliche Diuturnum illud (1881), Immortale Dei (1885) e Sapientiae Christianae (1890): i due poteri, la Chiesa come lo Stato, sono sovrani. La loro natura, come il fine che essi perseguono, stabiliscono i limiti entro i quali governano iure proprio. Come lo Stato, la Chiesa ha anche un diritto sovrano su tutto ciò che ha bisogno di raggiungere il suo scopo, anche sul materiale. Lo Stato e la Chiesa sono due poteri indipendenti, ma non per questo devono ignorarsi e tanto meno combattersi; è molto più conforme alla natura e alla volontà divina che collaborino con comprensione reciproca, dal momento che la loro azione viene applicata allo stesso soggetto, cioè al cittadino cattolico.” Ecco che “la formula di Papa Leone XIII è quella che riflette più o meno esplicitamente la coscienza della Chiesa”. “Lo illustra il paragone citato dal Papa, riferito al predecessore Bonifacio VIII: «... sicut luna lumen nullum habet, nisi quod recipit a sole, sic nec aliqua terrena potestas aliquid habet, nisi quod recipit ab ecclesiastica potestate... Omnes potestates... sunt uno Christo et a nobis tamquam uno vicario Iesu Christi»”… la Chiesa cerca la certezza del diritto e l'indipendenza necessarie per la sua missione. Concludendo: la coscienza della Chiesa è stabilita dal suo divino Fondatore e Capo, Gesù Cristo, nel diritto e dovere di formare la libere coscienze nelle verità da Lui insegnate. Quale sarebbe il diritto alla libertà di coscienza di fronte a questo diritto-dovere? La liberalità clericale d’aggiornare la coscienza della Chiesa al modernismo, per passare in modo surrettizio dalla “libertà delle coscienze” voluta da Dio, alla “libertà di coscienza” d’accordo con i poteri delle logge, può essere solo una mossa ordinata da Satana ai vicari dell’anticristo! Magistero sulla libertà di coscienza prima di Giovanni XXIII Pio XI, Lettera enciclica “Non abbiamo bisogno” (29.06.1931): “I sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa, ed è questa la riflessione e conclusione che più di ogni altra si impone, come è di ogni altra la più grave… Si tratta del diritto delle anime di procurarsi, il maggior bene spirituale sotto il magistero e l’opera formatrice della Chiesa, di tale magistero e di tale opera unica mandataria, divinamente costituita in quest’ordine soprannaturale fondato nel Sangue di Dio Redentore, necessario ed obbligatorio a tutti per partecipare alla divina Redenzione.
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Si tratta del diritto delle anime così formate di partecipare i tesori della Redenzione a altre anime collaborando all’attività dell’Apostolato Gerarchico. È in considerazione di questo duplice diritto delle anime, che Ci dicevamo testé lieti e fieri di combattere la buona battaglia per la libertà delle coscienze, non già (come qualcuno forse inavvertitamente Ci ha fatto dire) per la libertà di coscienza, maniera di dire equivoca e troppo spesso abusata a significare la assoluta indipendenza della coscienza, cosa assurda in anima da Dio creata e redenta. Si tratta inoltre del diritto non meno inviolabile della Chiesa di adempiere l’imperativo divino mandato, di cui la investiva il divino Fondatore, di portare alle anime, a tutte le anime, tutti i tesori di verità e di bene, dottrinali e pratici, ch’Egli stesso aveva recato al mondo. «Andate e istruite tutte le genti, insegnando loro a osservare tutto quello che vi ho commesso». Pio XII, Discorso “Dacché piacque al Signore”, 2.X.45: “La potestà della Chiesa abbraccia tutto l'uomo, il suo interno e il suo esterno, in ordine al conseguimento del fine soprannaturale, in quanto che egli è interamente sottoposto alla legge di Cristo, della quale la Chiesa è stata dal suo divin Fondatore costituita custode ed esecutrice, così nel foro esterno, come nel foro interno o di coscienza. Potestà dunque piena e perfetta, quantunque aliena da quel «totalitarismo», che non ammette né riconosce l'onesto riferimento ai chiari e imprescrittibili dettami della propria coscienza e violenta le leggi della vita individuale e sociale scritte nei cuori degli uomini.[Rm 2, 15] La Chiesa infatti con la sua potestà mira non ad asservire la persona umana, ma ad assicurarne la libertà e la perfezione, redimendola dalle debolezze, dagli errori e dai traviamenti dello spirito e del cuore, i quali, prima o poi, terminano sempre nel disonore e nella schiavitù.” È missione della Chiesa educare le coscienze Pio XII, Radio-messaggio 23.3.52: “Vorremmo parlare di ciò che vi è di più profondo e intrinseco nell’uomo: la sua coscienza. Vi siamo indotti dal fatto che alcune correnti del pensiero moderno cominciano ad alterarne il concetto e a impugnarne il valore. Tratteremo dunque della coscienza in quanto oggetto della educazione. La coscienza è come il nucleo più intimo e segreto dell’uomo. Là egli si rifugia con le sue facoltà spirituali in assoluta solitudine: solo con se stesso, o meglio, solo con Dio - della cui voce la coscienza risuona - e con se stesso. Là egli si determina per il bene o per il male;… con essa si presenterà al giudizio 207
di Dio. La coscienza è quindi, per dirla con una immagine tanto antica quanto degna, un άδυτον un santuario, sulla cui soglia tutti debbono arrestarsi; … geloso santuario, di cui Dio stesso vuole custodita la segretezza col sigillo del più sacro silenzio”. “Occorre rifarsi ad alcuni concetti fondamentali della dottrina cattolica per ben comprendere che la coscienza può e dev’essere educata. Il divin Salvator ha arrecato all’uomo ignaro e debole la sua verità e la sua grazia: la verità per indicargli la via che conduce alla sua meta; la grazia per conferirgli la forza di poterla raggiungere. Percorrere quel cammino significa, nella pratica, accettare il volere e i comandamenti di Cristo, e conformare ad essi la vita, cioè i singoli atti, interni ed esterni, che la libera volontà umana sceglie e fissa. Ora qual è la facoltà spirituale, che nei casi particolari addita alla volontà medesima, affinché scelga e determini, gli atti che sono conformi al volere divino, se non la coscienza? Essa è dunque eco fedele, nitido riflesso della norma divina delle umane azioni. Sicché le espressioni, quale «il giudizio della coscienza cristiana», o l’altra «giudicare secondo la coscienza cristiana», hanno questo significato: la norma della decisione ultima e personale per un’azione morale va presa dalla parola e dalla volontà di Cristo. Egli è infatti via, verità e vita, non solo per tutti gli uomini presi insieme, ma per ogni singolo [Gv 14, 6]: è tale per l’uomo maturo, è tale per il fanciullo ed il giovane. Contro questa dottrina, incontrastata per lunghi secoli, emergono ora difficoltà ed obiezioni che occorre chiarire. Come della dottrina dommatica, così anche dell’ordinamento morale cattolico si vorrebbe istituire quasi una radicale revisione per dedurne una nuova valutazione. “Il passo primario, o per dir meglio il primo colpo all’edificio delle norme morali cristiane, dovrebbe essere quello di svincolarle - come si pretende - dalla sorveglianza angusta e opprimente dell’autorità della Chiesa, cosicché, liberata dalle sottigliezze sofistiche del metodo casistico, la morale sia ricondotta alla sua forma originaria e rimessa semplicemente alla intelligenza e alla determinazione della coscienza individuale. “Il divin Redentore ha consegnato la sua Rivelazione, di cui fanno parte essenziale gli obblighi morali, non già ai singoli uomini, ma alla sua Chiesa, cui ha dato la missione di condurli ad abbracciare fedelmente quel sacro deposito. Parimente la divina assistenza, ordinata a preservare la Rivelazione da errori e da deformazioni, è stata promessa 208
alla Chiesa, e non agli individui… Come è dunque possibile conciliare la provvida disposizione del Salvatore, che commise alla Chiesa la tutela del patrimonio morale cristiano, con una sorta di autonomia individualistica della coscienza? Questa, sottratta al suo clima naturale, non può produrre che venefici frutti, i quali si riconosceranno al solo paragonarli con alcune caratteristiche della tradizionale condotta e perfezione cristiana, la cui eccellenza è provata dalle incomparabili opere dei Santi. La «morale nuova» afferma che la Chiesa, anzi che fomentare la legge della umana libertà e dell’amore, e d’insistervi quale degna dinamica della vita morale, fa invece leva, quasi esclusivamente e con eccessiva rigidità, sulla fermezza e la intransigenza delle leggi morali cristiane, ricorrendo spesso a quei « siete obbligati », «non è lecito »… “L’emancipazione delle attività umane esterne, come le scienze, la politica, l’arte, dalla morale viene talora motivata in sede filosofica dall’autonomia che ad esse compete, nel loro campo, di governarsi esclusivamente secondo leggi proprie, benché si ammetta che queste collimano d’ordinario con quelle morali. E si reca ad esempio l’arte, alla quale si nega non solo ogni dipendenza, ma anche ogni rapporto con la morale, dicendo: l’arte è solo arte, e non morale né altra cosa, da reggersi quindi con le sole leggi della estetica, le quali peraltro, se sono veramente tali, non si piegheranno a servire la concupiscenza. In simile maniera si discorre della politica e della economia, che non hanno bisogno di prendere consiglio da altre scienze, e quindi dall’etica, ma, guidate dalle loro vere leggi, sono per ciò stesso buone e giuste. È, come si vede, un sottile modo di sottrarre le coscienze all’imperio delle leggi morali. Educate le coscienze dei vostri fanciulli con tenace e perseverante cura. Educatele al timore, come all’amore di Dio. Educatele alla veracità. Ma siate veraci per primi voi stessi, e bandite dall’opera educativa quanto non è schietto né vero. Imprimete nelle coscienze dei giovani il genuino concetto della libertà, della vera libertà, degna e propria di una creatura fatta a immagine di Dio… la vostra coscienza cristiana vinca ogni prova, sicché il nemico di Dio «tra voi di voi non rida» [Par., 5, 79, 81]. Il vigore della sana educazione si riveli nella sua fecondità in tutti i popoli, i quali tremano per l’avvenire della loro gioventù”. Ia coscienza cattolica reagì al Vaticano II?
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La reazione cattolica a un concilio per «aggiornamento» della Chiesa, già per questo nato sospetto, è esistita? «Se non la sospettava, perché Giovanni XXIII, venendo meno a ogni prudenza e consuetudine, aveva volutamente scavalcato il collegio cardinalizio. In tal modo si aveva assunto la responsabilità tremenda di scartare il vertice vaticano del tempo di Pio XII, che hanno avuto la notizia allo stesso tempo che essa era trasmessa alla stampa e si stava freneticamente divulgando in tutto il mondo. Molti importanti cardinali, come Tedeschini, si sono sentiti presi in giro» (NR, p.174). A questo proposito riprendiamo la testimonianza del libro «Nichitaroncalli» di Franco Bellegrandi, che ricorda una ispezione poliziesca fatta a spese di chi resisteva al nuovo corso del progressismo clericale insieme a quei pochi, associati al nome di monsignor Lefebvre. Monsignor Faveri fu il protagonista di una clamorosa reazione, quando all’uscita dai lavori del concilio fu pregato di sottoporre la sua borsa piena di carte e documenti al controllo della gendarmeria vaticana. Il vescovo si ribellò all’imposizione, minacciò uno scandalo sulla stampa. «L’incidente fu messo a tacere, ma bastò a creare nel Concilio quell’atmosfera di fosca congiura che lo caratterizzò per tutto il suo primo corso, sotto il pontificato di Giovanni XXIII e, ancor più drasticamente, per tutto il catastrofico seguito firmato dal successore predestinato di Roncalli. Ma cosa c’era all’origine di quell’insolito e irriguardoso provvedimento di polizia che riecheggiava tempi da basso impero? Pochi sanno che non appena iniziato il Concilio Ecumenico che drizzò subito la sua prua verso il mare in tempesta del rinnovamento totale della Chiesa alla luce di teorie sociologiche e marxiste,il mondo cattolico non allineato a quelle impostazioni rivoluzionarie che giudicava irresponsabili e disastrose per il futuro del cristianesimo, dopo i primi momenti di scoramento e indignazione, si organizzò per contrastare in ogni modo il passo a quel rullo compressore che schiacciava sotto il suo peso la Chiesa tradizionale e tutto quanto con essa si identificava. Quella massa di cattolici che qualche anno più tardi doveva schierarsi apertamente con Lefebvre,facendo affluire al suo Seminario mezzi e solidarietà a tal punto da regalare a Paolo VI uno scisma in piena regola e da spegnergli nella mano incerta e colpevole la saetta della scomunica, già dalle prime settimane del Concilio aveva serrato le file e cominciava a organizzarsi per tentare di aprire gli occhi ai padri conciliari sulle verità che a loro erano celate e la cui ignoranza li stava trasformando in strumenti della sovversione religiosa. Cominciarono a pervenire, nei 210
domicili privati degli eccellentissimi vescovi, pubblicazioni clandestine che spiegavano con dovizia di nomi, di date e di fatti, i retroscena e i secondi fini che si prefiggeva il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo. Nelle prime settimane del Concilio questa proliferazione di stampa clandestina, che si proponeva di illuminare le tenebre davanti agli occhi dei vescovi, fu abilmente tenuta celata al mondo di fuori. Ma quei solerti vescovi conquistati da tempo alla causa del progressismo e già gratificati, per il loro zelo riformista e per quel loro credo rivoluzionario,di promozioni e prebende, denunciarono subito quella sorta di quinta colonna e i padri conciliari furono invitati a consegnare in Vaticano di giorno in giorno tutti quegli opuscoli stampati in tutte le parti del mondo, e soprattutto nell’America del nord e nell’America latina, in Francia e in Spagna, che man mano si andavano accatastando sui tavoli delle loro stanze private, recapitati quasi ogni settimana dalla posta o, a volte, da misteriosi corrieri. Ma ci si accorse ben presto che non tutti i vescovi avevano obbedito all’invito. Tanto che qualcuno di questi libretti cominciò a circolare al di fuori del Vaticano e, quando capito fra le guardinghe mani episcopali e quelle meno caute di laici una circostanziata pubblicazione che accusava di illegittimità l’elezione di Giovanni XXIII perche voluta dalla massoneria, e che indicava Roncalli come appartenente a quella setta gia dagli anni della sua nunziatura in Turchia, la repressione si scateno nel perimetro della Città Leonina. Sembra che il papa a quella stoccata tirata dritta alla sua persona, contrariamente al solito, abbia perduto le staffe, ordinando la perquisizione, all’uscita di San Pietro, di quei vescovi “piu indiziati” di insofferenza al nuovo corso. La Gendarmeria pontificia organizzò in gran riserbo una piccola squadra che cominciò, con garbo, a ficcare il naso nelle cartelle di qualche eccellentissimo vescovo. Alcuni abbozzarono. Ci fu chi invece si ribellò. Fra questi il mio amico Faveri. Quella grave inammissibile disposizione lesiva della dignità episcopale, non bloccò affatto la fuga di quelle molto indesiderate pubblicazioni che continuarono, e più di prima, a circolare non soltanto a Roma, ma di rimbalzo in Italia e nel resto del mondo. Tanto che in un numero speciale del settimanale vaticano “L’Osservatore della Domenica”, stampato in occasione della conclusione del Concilio, intitolato “Il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo”, non fu possibile passare sotto silenzio quel fenomeno divenuto ormai ufficiosamente ben noto a tutti. E infatti al direttore del settimanale prof. Enrico Zuppi, fu ordinato di pubblicare un pezzo per tentare di sminuire e ridicolizzare quella fioritura di 211
controinformazione che si verificò ininterrotta per tutta la durata del Concilio.» (NR, p. 176) «Nella pagina 154 di quel numero speciale appare, infatti, un articolo su tre colonne “L’anonima letteratura anticonciliare”, in cui si da atto, a denti stretti, della realtà, intensa e ininterrotta del fenomeno, e si scrive che «... circa il contenuto si può aggiungere che molte di queste pubblicazioni si trincerano dietro una sospetta preoccupazione per l’ortodossia, e ne traggono pretesto per attaccare inconsideratamente Cardinali e Vescovi, accusandoli di voler introdurre eresie, di voler sovvertire la Chiesa e venderla ad interessi terreni... »; e ancora il primo e più massiccio testo pubblicato nell’agosto 1962... è stato varato sotto lo pseudonimo Maurice Pinay... (Vedi p… su questo lavoro accusato niente meno che…) di un farraginoso insieme di gratuite ed illogiche accuse contro i Padri del Concilio i quali “tramano di distruggere” - come si legge nell’appello al Lettore - “le più sacre tradizioni realizzando riforme così audaci e malevole, tipo quelle di Calvino, Zuinglio ed altri grandi eresiarchi, tutto con la finzione di modernizzare la Chiesa e metterla al livello dell’epoca, però col proposito occulto di aprire le porte al comunismo, accelerare la rovina del mondo libero e preparare la futura distruzione del Cristianesimo». E di seguito: «...In alcuni fogli ciclostilati arrivati dall’America (Caledonia, N.Y.), nell’agosto 1964, un certo Hugo Maria Kellner, dopo essersi scagliato contro “gli effetti devastatori del secolarismo”, accusa i dirigenti della Chiesa di non aver fatto sforzi adeguati per “arginare la decadenza catastrofica delle intime qualità del cattolicesimo, verificatasi negli ultimi decenni». Questo autore deve dimostrare l’assurdo: che molti Padri Conciliari sarebbero “diventati vittime di un satanico adescamento che suggerisce l’uso apparentemente lodevole della parola di Cristo, per rovinare e distruggere la Chiesa”! E ancora... “Gli attacchi, però, più consistenti e aspri sono stati quelli indirizzati agli “ebrei falsamente convertiti” e alla “organizzazione giudaico-massonica internazionale B‘nai B‘rith”. “Alcuni autori di opuscoletti o lettere-circolari, fatte pervenire di nascosto, sottobanco, agli indirizzi privati dei Padri, hanno affermato che “solo l’ebreo e veramente il popolo deicida”, perché “il giudaismo, servendosi della massoneria, del comunismo e di tutte le organizzazioni sovversive che ha creato e diretto,continua a combattere Cristo in forma arrogante e implacabile”. “... La campagna non si limita all’Italia ma si e allargata in tutto il mondo latino. I principali accusati sono stati chiaramente indicati. Ecco le “voci eretiche”: i teologi tedeschi, di razza ebraica, Oesterreicher e Baum che avrebbero avuto il compito di “giudaizzare i cristiani”; il rev. Klyber che ha “praticato ai cattolici il lavaggio del cervello a favore degli ebrei”; il cardinale Bea che “nel presentare il suo progetto di decreto in favore dei giudei e in opposizione ai Vangeli, ha nascosto ai Padri Conciliari che egli ripeteva le tesi suggeritegli dall’ordine massonico dei B’nai B’rith”. Per concludere, il fatto più assurdo (!) per cui: “nemmeno il delfino di Roncalli, Paolo VI (!) è stato risparmiato dalla valanga di attacchi scagliati contro la Gerarchia in questi caldi anni del Concilio. In un fascicoletto stampato nel novembre 1965 in California e firmato Militant Servants of our Lady of Fatima, si afferma tra l’altro che “Paolo VI ha commesso un «detestabile delitto, paragonabile ad una apostasia, pronunciando un discorso dinanzi ai
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rappresentanti atei delle Nazioni Unite«, e che il 4 ottobre, data della visita pontificia all’O.N.U. - e da considerarsi un giorno di tenebre, secondo soltanto a quello della crocifissione di Gesù, giacché in quella data il Pontefice avrebbe consegnato il Corpo Mistico di Cristo nelle mani delle Nazioni Unite, organismo controllato da ebrei, massoni e comunisti”.
Commenta Bellegrandi: «Molto ci sarebbe da dire in margine e in risposta alle tre colonnette stampate dalla rivista Vaticana in merito ai ridicolizzati allarmismi di chi si preoccupava del temuto connubio con i protestanti, i fatti (storici) rispondono da soli: già nel 1971 e precisamente nei giorni di Pasqua, proprio nel cuore di Roma, nell’antica chiesa tedesca dell’Anima si concelebrava a porte chiuse la Messa coi protestanti,clandestinamente ma d’accordo, evidentemente, col Vaticano. “Il Giornale d’Italia” nei numeri del 9 e 10 aprile 1971, divulgò la notizia circostanziata, sullo svolgimento di quell’incredibile “Zusammenarbeit”. «In merito al tentativo di “recupero” dei cristiani da parte dell’ebraismo si ricordi che Paolo VI nella sua visita all’O.N.U., come è visibile nelle fotografie scattategli in quell’occasione,portava appuntato sulla sua veste bianca I’“Ephod”, il Razionale del Giudizio, l’insegna del Sommo Sacerdote ebraico, che comincio a esibire sul suo abito pontificio dal tempo della visita in Palestina. Che, infine, tutti gli addetti all’O.N.U. sanno che nel palazzo di vetro la maggioranza dei funzionari americani conversano fra loro in Jiddisch. È sintomatico che in quell’articolo della rivista vaticana commemorativa del Concilio ci si e ben guardati dal far cenno alle accuse di massone mosse a Roncalli e alla dibattuta questione sulla illegittimità della sua elezione al soglio pontificio. Le due frecce nel fianco che fecero perdere il tradizionale controllo a Giovanni XXIIl. Come non si fa cenno su quanto la stampa clandestina diffuse più tardi, Paolo VI regnante, sull’origine ebraica di Giovanni Battista Montini. «Alla luce dei fatti succedutisi negli anni successivi al Concilio, si deve riconoscere che molti di quegli scritti, a volte disperati, che raggiunsero a Roma i Padri Conciliari, si rivelarono profetici. Nella mia qualità di articolista de “L’Osservatore Romano”, il giornale che per tutto il pontificato di Pio XII era stato fra i più prestigiosi informatori del mondo, assistetti, col montare del progressismo vaticano di pari passo col marxismo in Italia, alla graduale perdita di ogni significato della parola “libertà di stampa”. Al giornale vaticano approdò un giovane prete di origine ebrea, Don Levi, che raccolse nelle sue mani le redini del giornale, esautorando lo stesso direttore Raimondo Manzini, uomo mite e 213
perfetto esecutore, e il giornale vaticano diventò l’obbediente portavoce del nuovo regime, trasformandosi in un bollettino del progressismo clericale. La parola “giornalista” in Italia, intanto, si deteriorò rapidamente. Configurandosi con gente che prima o poi aveva venduto la propria coscienza e la propria libertà di idee e di espressione, a peso d’oro, al regime al potere. [Ecco il vero assurdo!] «Ho assistito in questi anni a vergognose defezioni di qualificati personaggi che stimavo e consideravo incorruttibili e che, al contrario, sollecitati da stipendi faraonici, portarono il loro buon cervello all’ammasso, prostituendosi anima e corpo al mercato della più indecorosa politica. Se si potessero rileggere oggi, con attenzione, quei libretti clandestini che tanto fecero paura in Vaticano, allora, e che oggi sono introvabili, conservati come i preziosi documenti che sono, da chi ha la fortuna di possederne qualcuno, ci si stupirebbe dell’esattezza di molte di quelle previsioni. Ma allora quanto successe dopo era impensabile. La grande abilità di Giovanni XXIII aveva fatto si che all’osservatore lontano e distratto sfuggissero gli spostamenti di rotta che la sua grossa mano di contadino, guidata da un cervello di primissimo ordine, imprimeva al timone della Chiesa. Angelo Roncalli camminava spedito sul suo programma, ma cercava di destare il meno possibile attenzione immediata, o allarmismi pericolosi. Nell’aspetto esteriore del Vaticano tutto procedeva come sempre. Il rituale della Corte era il medesimo anche se, come dissi, a chi osservava da molto vicino le cose, non sfuggiva una certa inflazione di nuovi personaggi dalle carte non perfettamente in regola, immessi in posti-chiave.» L’alba della crisi rivoluzionaria delle coscienze cattoliche Come visto, il passaggio dell’era cristiana a quella moderna è essenzialmente segnato da una mutata visione in rapporto alla coscienza umana. La prima formata da sempre dalla Chiesa Cattolica, fu rovinata sistematicamente dalla Riforma protestante e dalle rivoluzioni liberali, guidate dalla Massoneria. Il piano di queste era infiltrare la rivoluzione illuminista nelle coscienze dei chierici cattolici, programma descritto dal Canonico Roca nel suo «Glorieux centennaire» del 1889. Egli stesso era un prete passato alla massoneria, e descrive in anticipo il processo di mutazione massonica di preti come Roncalli. Un programma segreto ma descritto esplicitamente da un canonico apostata. Dal libro «Le infiltrazioni massoniche nella Chiesa» del P. E. Barbier, edito nel 1910 e favorito da molte approvazioni episcopali: «La 214
Massoneria ha concepito il proposito infernale di insensibilmente corrompere i membri della Chiesa, del clero e della gerarchia, inoculando in essi, sotto forme seduttrici e di apparenza inoffensiva, i falsi principi con i quali pianificava di sovvertire il mondo cristiano». Nei documenti dell'Alta Vendita poi, si legge: «Per ottenere un Papa nella misura richiesta, si tratta, per primo, di preparargli una generazione all’altezza del regno che ci prefiggiamo... si lasci da parte la vecchiaia e anche l’età matura; andate alla gioventù... è questa che va convocata senza che sospetti di essere sotto la bandiera delle Società Segrete... Non abbiate nemmeno una parola d’empietà o d’impurità... Una volta assodata la vostra reputazione nei collegi, università e seminari... questa reputazione aprirà l'accesso alle nostre dottrine nel clero giovane come nei conventi... È necessario perciò diffondere i germi dei nostri dogmi». La mutazione del Cristianesimo procedente da Dio è impossibile. Quindi, il risultato reale di tale processo non sarà mai cambiare, ma demolire il Cristianesimo che, come sempre insegnato dai Papi, non potrà mai essere né liberale, né socialista, né riconciliato con un altro ordine, oltre che quello suo, cattolico, apostolico e romano. Le idee rivoluzionarie esaltano la naturale bontà e dignità dell’uomo e negano la sua responsabilità nel male conseguente alla Caduta originale; imputano il male a poteri che limitano la coscienza dell’essere umano. Essa liberata da certi vincoli, evolverebbe nella conoscenza del «bene» di dominio dell’universo e del proprio destino, vincendo autonomamente il male. La Rivoluzione vede tali vincoli negativi in tutto quanto porta il Nome di Dio: la Chiesa, il Cristianesimo. Per convincere tutta la terra le servono chierici posti ad aggiornare quei vincoli di Culto e modello cristiano, o meglio a sopprimerli, conciliando ogni culto, in modo da fondere la Città di Dio in un solo villaggio globale dell’umanità intera. L’idea di battezzare con immensa simpatia l'umanesimo laico, il culto dell'uomo che si fa Dio, come detto da Paolo VI alla chiusura del Vaticano II (7.12.1965), non è solo empietà ma impossibilità alla luce della fede e del buon senso. È la ribellione portata nel piano religioso sotto la forma dell’unione totale e della falsa pace per cui la verità dovrebbe coabitare e collaborare con l’errore. Perciò va liquidato il tradizionale modello cattolico per la formazione delle coscienze. È quanto fa il Vaticano II per cui la Chiesa deve scusarsi in nome del Cristianesimo, di Dio stesso, per i passati conflitti in nome della Fede. 215
Purificata così l’autorità universale, cattolica, i conciliari, rivestiti da una ‘nuova’ autorità, battezzano la compenetrazione sociale delle religioni. È la spiegazione per la dichiarazione conciliare sulla «libertà religiosa», che contraddice il Magistero e appare come l’epocale devastante apertura del pozzo dell’abisso! Ognuno avrà il culto de vuole, anche satanista, da seguire “in coscienza”. Autodemolizione della Chiesa? Se la chiave dell’armonia universale si trova nell’ordine cristiano, come crede il cattolico, è chiaro che il processo rivoluzionario non può edificare, bensì portare al fallimento generale, all’autodemolizione. Parimenti, se la conoscenza della verità che salva proviene dall’autorità divina, del Salvatore, come è evidente, un nuovo cattolicesimo che pretenda revisionarla, non potendo né migliorare né sostituire l’Ordine e l’Autorità che “svaluta”, può solo autodemolirsi come cattolico.. Il filosofo Del Noce ha descritto l'esito di tale processo. “Nel colpire l'ordine precedente senza riuscire a instaurarne uno nuovo, la rivoluzione si autodistrugge; si suicida nel totalitarismo e sfocia nel nichilismo, che è la devalorizzazione di quanto riteneva supremo”. (Del Noce Augusto, «Il suicidio della rivoluzione», Rusconi, Milano, 1978). Non vi è «colpo» più micidiale per un chierico che revisionare il potere della Parola divina nella società, spacciando le proprie idee come dottrina divina; è il nichilismo più inaudito; è come segare il ramo in cui siede; colpire la casa e anima propria per lo sciagurato acquisto di audience e plauso nel mondo. È il più incredibile suicidio spirituale per chi vanta autorità cattolica, termine di valori assoluti, perché è svilimento di “quanto afferma supremo”. Ogni cattolico si dovrebbe domandare che valore può avere la «umile bontà» di un prelato che giustifica ogni credenza, cui ripugna ogni idea di «crociata», che rifiuta ogni proselitismo cattolico; in breve, che non intende convertire nessuno alla Chiesa e tanto meno i «fratelli maggiori» dell’Ebraismo, per non offendere la loro dignità, insinuando che per salvarsi non hanno bisogno di Gesù Cristo. Quanto ai simboli del Suo potere in Cielo e in terra, come il Triregno e tutte le dignità che rivestono il Papato, ma non appartengono di certo ad alcun chierico, beh! questi sono da regalare ai poveri o ai musei. È l’orgoglio di una «pseudo-bontà» vantata e strombazzata con ogni mezzo di fronte alla Chiesa e al mondo. Del resto, che umiltà è questa di voler innovare di testa propria quanto stabilito ed ereditato dal Verbo di Dio? 216
Ma tant’è, se hanno sostituito le Dottrine millenarie sulla coscienza della Chiesa con le proprie, perché dovrebbero preoccuparsi di simboli il cui senso alienarono nelle loro coscienze moderniste dagli anni di seminario? Era comunque in atto allora un generale processo di alterazione della coscienza del clero in vista di formare l’orda dei prossimi adulatori dei futuri vicari dell’Anticristo. Ciò era previsto nel Segreto di La Salette in conferma dell’Apocalisse (8,12). Poiché molti non hanno ancora capito quale sia la natura del male inoculato nelle coscienze come “bene della libertà”, qui si deve concludere con la riflessione più generale e pratica a proposito di quanto influisce in modo decisivo del comportamento alla luce della psicologia umana. Per la Chiesa il Culto e il modello è Gesù Cristo, e si ha la Cristianità. Per il «mondo moderno», come culto e modello si pone l’uomo democratico, e si ha come sintomatico esempio l’equivoca cultura dell’Unione europea. Qui ci serviremo del pensiero di un critico francese recente, Émile Faguet (1847-1916) e del suo libro « le culte de l’incompétence» a cui seguì « ... et l’horreur des responsabilités». Scrittore della borghesia della Belle Époque, eletto alla Académie Française nel 1900, Faguet ha toccato, ridendo e scherzando il cuore profondo del dibattito politico-sociale, che come vedremo è soprattutto religioso perché riferito a un “culto”. Nel 1910 apparve il suo «Le Culte de l’incompétence», dove spiega che: “La Déclaration des Droits de l’Homme de 1789 stipule dès son article premier que « les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l’utilité commune », ce qui revient à autoriser ces distinctions dès lors qu’elles sont fondées sur l’utilité commune, c’est-à-dire sur la compétence”. Dans son livre Émile Faguet brocarde avec érudition et humour l’anonymat administratif et l’égalitarisme primaire liés à une conception sectaire de l’égalité républicaine qui, en contradiction avec le texte fondateur de 1789, permet au citoyen de s’abriter derrière l’État, pérennisant du même coup les pires incompétences, cela au détriment même de «l’utilité commune». Faguet ricorda che Montesquieu affermava che il principio della monarchia è l'onore, quello del despotismo è il terrore, mentre quello della (loro idea) di repubblica era la virtù ovvero il patriottismo. Ma l’interessante è quanto applicava alla democrazia come culto della incompetenza. A parte le vere e false considerazioni, rimane che quel che 217
costituisce il governo secondo i vari regimi è quella mentalità impressa nelle coscienze, che è in fondo il suo “culto”, come per i Romani il culto era la “pietas”. E qui abbiamo la svolta. Quando il culto viene dall’Alto, ci precede, ci trascende, la vita è modellata secondo il Bene che riconosciamo e di fronte al quale si deve rispondere. Al contrario con nuovi principi dedotti dagli uomini, secondo i tempi – ecco il modernismo – tutto diviene cangiante e caduco, lasciando le coscienze nell’orrore delle incertezze, le responsabilità spariscono di fronte a utopie, al male divenuto legge, al nulla ripensato come futuro. Sorge il nuovo dubbio delle coscienze nella vita sociale: si deve rispondere dei «talenti» avuti o si deve protestare per quelli mancanti? E a chi? Il modernismo introdusse tale rivendicazione in modo esistenziale per «l’uomo nato buono» e non per caso al modernista Vaticano II seguì la contestazione universale iniziata con la ribellione del 1968. Da allora gli uomini non vogliono più vivere come pensano, né pensare come credono, ma credere e pensare come vivono. È l’inciviltà del grande fratello sorta da un impulso di liberazione delle coscienze giustificato in «alta sede», quella per cui ognuno, anche se si conserva nello stesso circolo di parole e di preghiere, in verità, solo risponde a se stesso. È il «culto dell’uomo» voluto dai capi conciliari a partire da Roncalli. Ecco l’invisibile caduta dal Cielo in terra di un asteroide cui fu data la chiave dell’«autorità» con cui aprì l’abisso d’ogni delirio libertario per la demolizione d’ogni civiltà; per la disgrazia di tutta l’umanità presente e futura.
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10 - LA COSCIENZA DEI DOVERI UMANI STRAVOLTA
Oggi i veri cattolici si trovano a combattere una battaglia terminale perché l’errore si è infiltrato col titolo di autorità nella Chiesa per stabilire la «nuova coscienza della Chiesa». Tale autorità invertita ha corrotto la mentalità fedele e giustificato perfino l’Illuminismo e il Sessantotto, termini per il finale svilimento dell’essere umano spirituale come Dio lo ha creato a Sua immagine e somiglianza, con intelletto e la volontà libere per accogliere il Bene e il Vero. Così, la coscienza dell’uomo moderno fu mutata freudianamente in istinto animale preso da passioni, fino alla propria degradazione morale; fino alla distruzione fisica, che segue quella mentale e spirituale. Tutto sotto una “nuova autorità” immessa nelle coscienze per incutere in nome della dignità umana la libertà religiosa la liberazione ecumenistica dal sacro vincolo dell’anima nell’amore di Dio Uno e Trino. Nell’assordante vaneggiare del mondo moderno, chi ormai parla più del mistero racchiuso nell’umana coscienza? Come mai sulla natura della più mirabile realtà della Creazione poco si dice di vero ai nostri piccoli? Eppure, niente è più importante e vitale per ognuno e per la società umana che riconoscere il “centro operativo” d’ogni credere, sapere e agire, ossia la coscienza di ognuno, che registra in modo indelebile le fasi della vita e il suo rapporto con la verità divina. Qui è il vero pegno di salvezza per quanti cercano di non smarrire la giusta via. Sembra paradossale, ma questa demolizione procede proprio dalla suprema cattedra per confermare il mandato divino che deve formare tutte le coscienze nella Sua Fede. Ancora più paradossale, però, è che il mondo clericale, quasi per intero, vede la lotta nel campo “culturale”, quasi i preti potessero con la predica culturale screditare gli “slogan” che vengono dall’«alto», proprio dove il lupo si presenta come pastore per meglio addomesticare la moltitudine delle sue prede stralunate e incoscienti della propria apostasia e perdita. Nessuna coscienza, che è nell’essere stesso di ognuno, scompare con la morte del corpo fisico cui procurò la forma viva. Poiché la coscienza, l’io dell’anima spirituale, creata a immagine e somiglianza del Creatore, non ha un principio materiale, essa non può morire, ma vive per sempre. Tutte le 219
guerre e tutte le rivoluzioni del mondo, secolari o religiose, avvengono prima a causa delle coscienze. Si deve, perciò, aver sempre presente l’estrema importanza di riconoscersi nella propria coscienza ben formata, per fronteggiare i tanti pericoli di «alienazioni» cui è esposta specialmente nei nostri tempi apocalittici. Per l’anima spirituale, «essere» significa conoscersi (e amarsi), e così essa si costituisce come un se-stesso, un Io, una persona (Summa, Ia, Q. 77, a. 1, ad 1). Vediamo il testo agostiniano basilare per la cultura dell’Occidente (De Civitate Dei XI, 26: essere – conoscere – amare): «In questa triplice certezza non temo alcuno degli argomenti degli accademici che mi dicono – e se t’inganni? Se m’inganno vuol dire che sono. Non si può ingannare chi non esiste: se dunque m’inganno perciò stesso io sono. Poiché dunque esisto dal momento che m’inganno, come posso ingannarmi a credere che esisto, quando è certo che io esisto dal momento che m’inganno? Poiché dunque, anche nell’ipotesi che m’inganni, esisterei pure ingannandomi, non m’inganno certamente nel conoscere che esisto. Di qui segue che anche nel conoscere di conoscermi esistente non m’inganno. Infatti, come conosco che esisto, così conosco anche di conoscere la mia esistenza. E quando avrò queste due cose (l’essere e il conoscere) aggiungo, in me conoscente questo stesso amore come un terzo elemento di non minor pregio. Né m’inganno sulla realtà del mio amore poiché non m’inganno sulla realtà che amo. Qual motivo vi sarebbe infatti per biasimarmi e impedirmi di amare delle cose false se fosse falso che io le ami? Ma poiché invece queste due cose sono vere e certe, chi vorrà dubitare che anche l’amore che le fa amare sia vero e certo? Ora, non c’è nessuno che non voglia essere, come non c’è nessuno che non voglia essere felice; ma è possibile essere felici senza esistere?» Ammettendo l’errore, esso stesso mi porta direttamente all’essere che sono io. Solo dopo aver preso conoscenza dell’Essere-io ho conosciuto il conoscermi, cioè, ho conosciuto il mio stesso conoscere. Perciò prima dell’«io sono» c’è l’esperienza dell’Essere. Il cogito di Cartesio, volendo dare al ragionamento di Sant’Agostino maggior chiarezza, lo rovinò completamente con una deduzione che percorre la via inversa. Col dubbio metodico sono sospese tutte le evidenze naturali. Ma lo stesso dubbio non è 220
passibile di dubbio: non posso dubitare che dubito. E se dubito, penso. Cogito ergo sum, si traduce giustamente in «penso dunque esisto» e non «sono»; poiché quel che Cartesio raggiunge con la sua deduzione non è l’Essere, ma la semplice esistenza. Il fatto esistenziale dell’errore, che consiste in un disaccordo con la realtà, conduce Sant’Agostino d’acchito all’Essere dell’io sono. La conclusione cervellotica del dubbio, secondo un «dubito dunque esisto», consistente nel non fondarsi su alcuna realtà la cui obiettività è indipendente dal pensiero (soggettivo), conduce Cartesio al regno del pensiero disincarnato da cui egli deduce l’esistenza di un soggetto pensante e fa di ciò condizione del pensiero. Così con Cartesio iniziava nel mondo cristiano il regno della coscienza antropocentrica, di un esistere senza l’Essere, di una ragione auto elevata a dea di rivoluzioni letali. In verità, la coscienza umana è nell’eterno mistero di Dio; riconoscerLo e amarLo è il suo primo dovere e tutti possono farlo col senso comune, senza complicate deduzioni del pensiero filosofico, ma inseguendo quella «ragione» dell’esistenza concernente ogni essere umano: persona creata per un fine elevato poiché dotata dal Creatore delle facoltà d’intelligenza e volontà libere, per il privilegio di conoscere il Vero, di praticare il Bene=Vero, di intendere il Bello=Bene=Vero. Il primo dovere razionale è, quindi, confessare il proprio Autore, per esserGli riconoscente della vita; dovere di risposta che è «responsabilità» personale e sociale di credere rendendo culto al Creatore di quanto è vero, buono e bello (78). Adamo, creato nella grazia di Dio, era sempre, senza esitazioni, nel vero, mai nell’errore, o quindi nel male, perché preservato dalla grazia. Creato, però, libero, poteva non abbracciare con amore sufficiente la Verità e il Bene che è Dio, nella Sua Parola e nei Suoi doni. Da quell’ora si espose alla tentazione dell’albero della scienza del bene e del male, e quindi del vero e del falso, di modo che, conoscendo anche il male e il falso, restasse - per natura - pendente verso di essi, e quindi, esposto ad essi. Il difetto di amore da parte dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, doveva essere colmato. Non poteva rimanere un vuoto di «bene» nella creazione divina. E lo fu con l’Incarnazione del 78 - Tema ripreso dal libro inedito “Figura di questo mondo” del filosofo tomista brasiliano J. B. Pacheco Salles.
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Nuovo Abramo, Gesù Cristo, sacrificatosi per amore del Padre che ama le sue creature. Questo è il divino Sacrificio di amore che dev’essere impresso nelle coscienze perché si possa abbracciarlo con amore per esseri salvati. Questa è la missione universale affidata alla Chiesa di Dio, che sempre allontanò gli uomini dalla tentazione di imporre i propri «diritti» in nome della «auto dignità» di tale «libertà»; libertà d’ignorare l’avvertimento del Padre sul rischio letale di voler rapire quel frutto dell’albero della conoscenza ultima del bene e del male, d’accesso vietato perché umanamente impenetrabile. Solo del male si può fare conoscenza, ma a spese del bene per cui l’uomo fu creato. Il «non serviam» consistente nell’ignorare il singolo divieto divino sui frutti dell’albero della scienza del bene e del male, avviso, fu offesa e inganno fatale, a cui il Padre ci ha voluto riscattare rivelando alle coscienze la Fede, che è sacro legame con Dio. Essa risolve il dilemma apparente su cosa deve venire prima nella coscienza degli uomini, soggetti di doveri e di diritti, istruendo sul primo precetto del dovere verso Dio e la Sua Parola. Non è forse questa la prima norma verso il vero bene dell’essere umano; quello che giustifica la sua esistenza? Alla luce di questa realtà umana, non solo spirituale, il «concetto» fondante della missione cattolica nel mondo è quel «diritto naturale» per cui il «dovere» delle coscienze verso Dio nel Decalogo universale, precede ogni «diritto umano». L’universalità di questo concetto è storicamente riconoscibile nella celebrazione dei sacrifici, per cui miliardi di anime di ogni tempo e luogo, dai popoli primitivi ai più progrediti, hanno avuto il pensiero di tale «dovere» che s’impone e convoca ogni coscienza, naturalmente vincolata alla responsabilità umana di rispondere al Suo Creatore. Vediamo la questione ritornando al dilemma apparente per le coscienze: Quid est veritas? La domanda di Pilato di fronte a Gesù, ripresa dagli atei e agnostici di ogni tempo, si pone nella coscienza e lì trova la sua prima vera risposta nel codice indelebile che, comune a tutti gli uomini, ci precede e trascende, indicando la direzione del bene e del male. Se quella luce è lì, vi è stata posta. Da Chi? Richiamare tale questione vitale è il compito dei maestri consacrati della Religione, insieme alla messa in guardia sul fatto che siamo liberi di accogliere la Verità rivelata, del-l’ordine dell’Essere, ma 222
anche di ribellarci innalzando il «diritto umano» alla nostra «libertà» al disopra della verità, seguendo altre idee, indifferenti alla separazione tra bene e male, tra la via del ritorno all’eterno e la fuga prometeica nell’avventura dell’utopia. Per il bene di tutti gli uomini, il Padre volle la Sua Chiesa per formare le coscienze con la viva memoria della Passione e morte di Suo Figlio, con la visione del suo Sacrificio di amore, affinché ognuno riconosca la realtà del male causato dall’abuso dell’umana libertà di fronte alla verità divina; abuso che consiste, nei tempi moderni, nel voler far prevalere il concetto dei diritti umani sui doveri verso Dio come fattore di bene e di pace nel-l’ordinamento umano. A tale pensiero segue la preghiera: “O Dio, che in modo mirabile creasti la nobile natura umana e più mirabilmente ancora l’hai riformata, concedici di diventare, mediante il mistero di quest’acqua e di questo vino, consorti della divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesù Cristo, tuo Figlio, Nostro Signore, che vive e regna Dio con te e con lo Spirito Santo per tutti i secoli”. I pensieri di bene seguono la via naturale per cui i propri diritti e libertà devono essere in funzione del Bene che ci trascende. Ecco il pegno di salvezza per quanti cercano la via alla verità di Dio. La coscienza del rapporto tra dovere e diritti nel pensiero umano, nel senso che i diritti sono in ragione dei doveri e non il contrario, è il punto di discrimine: quello che indica in ogni momento storico lo stato di salute spirituale delle persone e dei popoli. Eppure, nei nostri tempi, è proprio il contrario di tale giusto rapporto, cioè il seguito del «non serviam» originale, che si ripresenta sotto forma di crescente rivendicazione di diritti umani contrapposti e sovrapposti ai doveri verso la Verità, messi nella stessa coscienza. E poiché prevale ovunque tale «nuova pastorale» ovvero quel vacuo chiacchiericcio che pone nelle coscienze delle moltitudini i diritti umani prima dei diritti divini, si vive un tempo di degrado mentale e morale, di ingiustizia e di immoralità infinite. A chi spetta impedire questo stravolgimento delle coscienze in nome di Dio? Ora, se per la coscienza umana la preoccupazione prima deve essere quella dei «doveri verso Dio», che devono imporsi ai «diritti umani», ciò non è specialmente vero per i pastori della Chiesa di Dio, nata proprio per il culto della Sua Volontà di bene e di amore?
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Ciò va detto poiché se questo fondamentale rapporto «pastorale» è stravolto nella Chiesa stessa e proprio in nome della Fede, allora si capisce che il “non serviam” originale, dopo un intero percorso storico, si ripresenta oggi su scala globale, è la trasgressione religiosa dei falsi cristi e dei falsi pastori profetizzata per i tempi finali sotto il segno del massimo inganno e demolizione spirituale. Capire questo tetro «segno dei tempi» è insegnamento del Signore, venuto proprio per redimerci dall’empia trasgressione originale. Le tre fatali «alienazioni» bibliche e storiche (79) Ecco le questioni da considerare anche per riconoscere dove è la vera Chiesa. Ad essa spetta impedire l’azione di iniqua ribellione a Dio e in ciò è riconoscibile. La Religione rivelata da Dio, che si conosce attraverso la Tradizione orale e scritta trasmessa, spiegata e confermata dal Signore, riporta due tremende alienazioni, che sono i principali misteri della storia umana dopo la «alienazione originale» descritta nel libro della Genesi. La storia nell’Antico Testamento culmina con l’alienazione del popolo che, eletto per realizzare il disegno del Padre di formare la famiglia universale unita nella Parola del Figlio, non riconosce la Incarnazione del Verbo, del Messia. Fu così che il «Desiderato dalle nazioni», il cui “regno sarà universale, definitivo e spiritual venne ripudiato: Is. 11, 10; 42, 1-7; Ier. 31, 31-34 = Hb. 8, 8-12; Dn. 7, 14-27; 9, 24; Colui che sarà fonte di benedizioni per tutte le genti si fa crocifiggere (Ez. 34, 26; Gn. 12, 2) (80). Il «popolo teologale» fallì nella comprensione del Volere divino e fu disperso dal tempo del suo rifiuto del Verbo, ma rimase da duemila anni unito dal piano di potere terreno che ora sembra ultimato e proprio, secondo le parole di Gesù sulla Città santa: “…vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani (nazioni) finché i tempi dei pagani (delle nazioni) siano compiuti” (Lc 21, 24). Pagani, gentili, popoli e nazioni, sono i non ebrei, quindi tutte le nazioni dove Gesù Cristo fu accolto, al contrario della vecchia Israele. Si può capire, allora, che questo tempo delle nazioni sarà compiuto alla stessa strega del tempo della visita del Signore alla vecchia Israele: è il 79 - Articoli dell’autore sotto il titolo «alienazione» in Pro Roma Mariana gmail 80 - Dizionario Bíblico, diretto da mons. Francesco Spadafora, Ed. Studium, Roma, III Edizione, 1963, Voce: Messia, p. 413.
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tempo della cristianizzazione, rifiutata dagli ebrei, accolta per due millenni dalle nazioni gentili, tempo compiuto col velato rifiuto ecumenista della «grande apostasia» conciliare. L’alienazione del Verbo da parte degli ebrei e questa, dopo lungo tempo, dei popoli cristiani, fa capire cosa possa significare nelle parole di Gesù e cosa sia questo tempo delle nazioni che si compie. Ci siamo? Tutto indica di sì perché contemporaneamente Gerusalemme torna ad essere dominio degli ebrei. Sarebbe coincidenza non fosse che tutto questo – profetizzato da Gesù – ora svela il suo pieno riscontro storico: è una realtà presente. Si tratta dell’alienazione finale della Parola del Padre e del Sacrificio del Figlio, che fanno capire la fine del tempo delle nazioni cristiane (cf. Lc 21, 24). Oggi, non solo Gerusalemme non è più calpestata dai Gentili, ma si deve riconoscere il dominio della “lobby” ebraica sulla politica americana e perciò mondiale (81). Questa è una realtà nel piano civile e altrettanto nel piano religioso, in speciale nel controllo del Vaticano conciliare.
81 - Maurizio Blondet, «Chi comanda in America», EFFEDIEFFE, Milano, 2002
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La mutazione riguardante il Santo Sacrificio Avendo in mente che tutta la storia si svolge incardinata in tre fatali alienazioni riguardanti la Parola e il Sacrificio di Dio, la terza fase si caratterizza per una mutazione nella Dottrina, ma anche nel Santo Sacrificio che è rinnovato nella Santa Messa cattolica. Gesù rimanda, infatti, alla profezia sulla sospensione del Sacrificio perpetuo vaticinato dal profeta Daniele per la fine dei tempi. Si può negare che nell’Europa e nell’Occidente cristiano oggi si sta compiendo questa generale alienazione del Cristianesimo? E gli allarmi proporzionati alla débâcle, si sentono? O, al contrario, impera quel relativismo religioso ecumenista proprio in Vaticano? È vero o no che il senso del dovere verso Dio è stato stravolto? Prepariamoci, allora perché i segni ci sono e chiari: - gl’inganni dei falsi cristi e dei falsi profeti; - la fine del tempo delle nazioni e del ritorno degli ebrei a Gerusalemme; - l’abominio che riguarda il Santo Sacrificio; e della predica del Vangelo nel mondo ormai compiuta e ora neutralizzata dalla perfidia ecumenista. Ma la Parola di Dio non manca per salvare ancora quanti La onorano al disopra delle doppiezze e iniquità conciliari in piena confusioni mondiale. In rapporto al vero concetto fondamentale per ogni coscienza, ci sono nel mondo odierno essenzialmente quattro posizioni: – crederlo; – negarlo; – disinteressarsi con la pretesa agnostica che ciò non importa per la vita nel mondo; – giustificare e conciliarsi con ogni posizione anti cristiana. La prima posizione è quella del fedele che pone i doveri verso Dio al disopra dei diritti umani. La seconda quella dell’ateo in genere, che pone i diritti umani e la libertà di credere o di non credere come supremi valori universali. La terza quella dell’agnostico che riduce la realtà della vita ai fatti terreni, per cui considera ogni fede un fatto personale. È questa la posizione che oggi prevale ovunque. La quarta è quella del modernismo conciliare, della libertà ecumenista, per cui il piano divino per la Chiesa di oggi sarebbe l’omologazione di ogni posizione in vista del bene più alto, che sarebbe l’utopia di una umanità unita per la pace nell’unione del culto dell’uomo! Tale posizione modernista, a servizio dell’unità sui «diritti umani», collima con quella agnostica su diritti e verità invertiti in un 226
mondo che ripiomba nel paganesimo. Ha, però, l’aggravante di essere professata da chierici in pretesa rappresentanza della Chiesa di Dio. L’operazione dell’errore è in atto: “la cui venuta dell'iniquo avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quanti si perdono perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi” (II Ts. 2, 9-10). Siamo all’operazione ecumenista conciliare che diviene così la ragione stessa della «nuova chiesa», intenta a infondere la sua «nuova coscienza» nel Cattolicesimo stesso. Infatti, la «nuova coscienza», nel piano della «nuova chiesa aggiornata» è ordinata secondo i disegni dei nuovi cristi per un cristianesimo ecumenista riconciliato con le religioni e ideologie. Gli uomini avrebbero, allora, il diritto di trasgredire le norme morali impresse nelle loro coscienze, proprio in nome della «libertà di coscienza», del «diritto» contrario alla coscienza naturale che cerca la pienezza della sua norma nella libertà ordinata da Dio. E tale «diritto» è promulgato da «autorità» che sarebbero preposte a vincolare le coscienze all’ordine non solo naturale ma soprannaturale? Ecco l’inversione di quanto la Chiesa ha sempre insegnato interpretando infallibilmente la Rivelazione divina e quindi il “diritto naturale”. Si può riconoscere così l’obiettivo finale dell’operazione anticristica; tutto in nome dei diritti dell’uomo che lasciano da parte i doveri verso il Padre, con la scusa di favorire in questo modo la pace in terra. Si tratta della falsa norma che suscita nelle coscienze la rottura del vincolo vitale tra verità e libertà e tra legge e libertà; la norma anticristica dell’indipendenza rivoluzionaria del «non serviam». La tentazione della rinnovata Caduta viene da lontano, ma si è ripresentata a causa dell’e-lezione alla Sede della Verità del modernista Roncalli, divenuto Giovanni XXIII. Con lui la «nuova coscienza» fu «battezzata» velatamente nella sua «Pacem in terris». E poi, in forma esplicita nella dottrina del Vaticano II, specialmente con l’apertura a ogni agnosticismo (la religione dell’uo-mo che si fa dio), con il rifiuto della condanna all’ateismo e con l’affer-mazione secondo cui tali negazioni di Dio, dette
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libertà religiose, sarebbero un diritto naturale della persona umana («Dignitatis humanae»). Poiché la Sede romana è legata all’autorità di Dio, se da essa si dichiara il diritto alla libertà dell’umana scelleratezza proprio quando gli uomini abusano della libertà, è chiaro che il potere dell’Anticristo ha varcato la soglia della Chiesa. E poiché era l’autorità della Chiesa, il «katéchon» delle Scritture, a impedire tale «delirio» si capisce il fatto tragico della sua «liquidazione». Dove s’insegnavano i doveri umani verso Dio, lì si è passati a rivendicare il diritto umano di scegliersi la religione secondo cui la dignità e la libertà dell’uomo consistono precisamente nel diritto di scegliere il male anziché il bene, il falso anziché il vero; secondo cui la libertà di cogliere dall’albero del bene e del male è non solo ammessa, ma lodata con immensa simpatia (Paolo VI). Insomma, lo scopo confessato del Vaticano II era proprio di incorporare «i valori di duecento anni dell’Illuminismo» (Ratzinger). Jean Guitton, che non fu soltanto un amico personale di Paolo VI, ma anche uno dei primi laici a partecipare al Vaticano II, sul cui progetto ha fornito delle notizie molto importanti, prima e dopo la sua realizzazione, pubblicò nel 1962 un «Dialogo con i precursori – Giornale ecumenista 1922-1962» (Ed. Montaigne-Paris). In quel libro egli rievoca «i precursori del periodo 1922-1962», svelando come già all’apertura del Vaticano II tutto fosse pronto per il mutamento. Scrive nella prima pagina del libro: “Questo grande assembramento di vescovi è orientato verso l’avvenire. È una presa di coscienza della Chiesa (questa coscienza dell’Umanità) in vista di un nuovo salto verso l’avvenire. Per l’iniziativa di un papa di una semplicità geniale, che se ne ride degli ostacoli, l’avvenimento che durante questi cinquanta ultimi anni tanti spiriti preparavano senza osare sperarlo: un concilio ecumenico trova il suo viso, la sua applicazione, la sua prova. Quanto era nascosto allora nelle case si troverà manifestato sui tetti. La luce brillerà sui candelabri! L’infinito sermone sulla montagna, che è il discorso divino sull’apertura, avrà un seguito. E l’azione del Concilio, qualunque sia, sussisterà.”
Il segno dell’Anticristo è la divisione di quanto è di Cristo. Se oggi non si vede questo segno di «alienazione», pur di fronte alle evidenze elencate, la causa è soltanto nell’obnubilamento del pensiero cattolico, tarlato dal filosofismo storico e ora anche dal devastante modernismo conciliare. Tre grandi «alienazioni» sono nelle Sacre Scritture. Nel «Segreto sul katéchon e la triplice alienazione» dicevo che la parola 228
«alienazione» intesa appunto nel senso che le conferiscono i rivoluzionarî nella lotta contro il pensiero religioso, una volta indicato il suo giusto senso di abbandono o perdita di un valore superiore a favore di uno inferiore, aiuta a decifrare l’intero corso storico della rivoluzione umana, cresciuta e moltiplicatasi nel senso dell’inevitabile rivoluzione finale dell’Anticristo; è il termine che meglio descrive la costante della storia umana, che può far distinguere le tre tappe decisive delle grandi alienazioni nella storia degli uomini: dall’alienante ribellione originale alla Parola di Dio da parte dei primi genitori, alla «alienazione» del Verbo di Dio venuto per redimerla, da parte del Popolo eletto per riceverLo, per, nei nostri tempi, alienare la Fede unica a favore di una «religiosità più universale»! Ciò che era l’obiettivo delle rivoluzioni profane, ora lo è per la velata rivoluzione d’aspetto cristiano. Dietro il motto della necessità di una «nuova coscienza della Chiesa» c’è quello sugli illuministici «diritti umani», tra cui primeggia il diritto alla libertà di coscienza in materia religiosa, il diritto alla scelta di una verità soggettiva, nel senso che ognuno dev’essere libero non solo di professare, ma d’insegnare la religione o l’irreligione, che più aggrada in piena libertà di coscienza. Per opera clericale, la libertà umana è anteposta al Diritto divino; l’ultima iniquità di questi tempi apocalittici. Se non si tratta qui del «non serviam» alla Religione rivelata da Dio, del diritto umano sovrapposto ai doveri verso Dio, proclamato dalla stessa autorità che occupa la Sede istituita per essere sede della verità di Gesù Cristo? In quale modo più compiuto potrebbe il mysterium iniquitatis manifestarsi? Stiamo così vivendo la terza alienazione, che può essere solo finale. Dato, però, che nessuna sconfitta esterna o interna della Chiesa di Dio può avere per causa la forza dei suoi nemici, ma solo l’abbandono delle sue difese divine, la nostra generazione non può essere assolta dalla grave responsabilità di aver taciuto di fronte al Vaticano II e riverito proprio i promotori delle dottrine sulla «nuova coscienza», che si dimostrano con ogni parola e atto a servizio dei diritti umani del nuovo disordine mondiale, escludendo, naturalmente, i doveri verso Dio! L’agere contra, che non dev’essere una controrivoluzione, ma il contrario di una rivoluzione, può solo avere per motto cattolico quanto da sempre insegnato dalla Chiesa e cercato di ricordare dalle due 229
testimonianze episcopali del nostro tempo (82): chi professa l’empia libertà religiosa, contraria ai doveri verso la Religione di Dio, non è cattolico e nessun conclave può dargli autorità nella Chiesa di Gesù Cristo. Il motto oscuro dei vicari dell’Anticristo Poiché lo spirito anticristico ha il potere di sottrarci al Regno di Gesù Cristo per intrupparci nella sua orrida “massa dannata”, come la chiamava Sant’Agostino, urge capire il motto oscuro della sua manovra ribelle. Per abbattere il Cattolicesimo dalle sue radici, non potevano bastare cento riforme protestanti, né due secoli di utopismo illuministico, né decadi di terrore comunista; serviva un esoterico lavaggio gnostico delle coscienze in nome della nuova «coscienza della Chiesa» aperta anche al comunismo (83). Ecco il lungo e profondo lavoro che doveva essere preparato perché alla fine fosse “tolto di mezzo” la personificazione dell’autorità di Dio in terra, il Pontefice romano, insensibilmente “rimpiazzato” da simulacri clericali, consapevoli o meno della loro missione, ma il più verosimili possibili. A ciò concordemente tendevano tutti i piani degli illuminati, della sinarchia, dei massonici, dei teosofisti e antroposofisti di Steiner che annunciò apertamente lo scopo finale: ottenere un papa secondo la nuova cultura religiosa sincretista. Perciò i vicari dello spirito anticristico, dell’“uomo del peccato”, sono fortemente denunciati nelle Sacre Scritture. Il Signore insiste che si 82 - Documenti e manifesti pubblicati dai vescovi Marcel Lefebvre e Antonio de Castro Mayer nel 1983, 1985, 1987.
83 - “Basti considerare che, dopo la promulgazione dell’enciclica «Pacem in terris», in cui Roncalli proclama che «… può e deve esserci cooperazione tra i cattolici e i regimi comunisti sul piano sociale e politico…», nelle elezioni italiane del 28 aprile 1963 i comunisti d’un balzo guadagnarono un milione di voti rispetto alle elezioni politiche di cinque anni prima.” («NichiraRoncalli», p. 14). Quest’apertura politica viene da lontano ed è legata anche alle iniziative di Montini, futuro Paolo VI, di cui si parla (ib., pp. 18, 19) e di cui io pubblicai l’articolo «Patto Montini-Stalin» sul Si si no no, nº… Giovanni XXIII ha ricevuto in Vaticano i comunisti Togliatti (ib., p. 111) e Ajubei diretore dell’Izvestia, inseguito alla sua esortazione al suo suocero: “…Amate Kruscev. Dio lo ama.” (ib. p. 114). Si preparava poi per ricevere lo stesso Kruscev (ib., p. 190).
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stia attenti all’inganno dei falsi cristi. Dopo di Lui gli Apostoli e specialmente San Giovanni e San Paolo, accusarono la presenza tra loro dei messi dello spirito contrario al Vero e negatore di Cristo. Nel nostro tempo vi fu un vescovo che accusò esplicitamente la presenza di anticristi in Vaticano. E si noti che tutti, e non meno Monsignor Lefebvre, parlavano non genericamente di dottrine ma di persone. In quest’ultimo caso di persone investite d’autorità nella stessa Chiesa come Joseph Ratzinger. Ecco il “complotto” finale dello spirito di perdizione. Spetta, quindi, alla fede e alla carità cattoliche approfondire i termini di questo colpo contro la Chiesa che, operato dal suo stesso interno e in nome della sua stessa autorità, mira a sottrarle moltissime anime. Ma come poteva lo spirito che anima questa operazione predatoria essere impersonato da chierici? Solo se costoro si ritenevano veri salvatori, inventando una «nuova coscienza» della Chiesa con la radicale mutazione della Fede, dei Sacramenti, della Santa Messa cattolica, della Dottrina rivelata. Questa non era il loro obiettivo finale, ma la tappa necessaria per la grande riconciliazione della Religione del Dio che si fece Uomo con quella dell’uomo che si vuole dio, come disse Paolo VI alla fine del Vaticano II. Qui s’intende, quindi, approfondire questo grave enigma cercando di rispondere alle seguenti domande: - Quale è il motto finale della «operazione anticristica»? - Quale l’elemento per riconoscere senza confusioni lo «spirito anticristico»? - Quale l’insidia massima che permette di riconoscere quello che è chiamato «uomo del peccato»? L’operazione demolitrice dello spirito anticristico, impersonato da uomini, mira oltre la Santa Messa e la Dottrina cattolica, perché queste mirano al fine supremo della gloria resa dai figli al Padre Eterno. Il motto finale dell’«operazione anticristo» Siamo al fine ultimo della creatura umana, che è il bene che il Creatore suscita nelle coscienze con la fede. Dio, infatti, rivelò di voler la salvezza delle anime, create a Sua immagine e somiglianza, per il Regno dell’immensa famiglia che renderà gloria al Vero, al Bene e al Bello. Quindi, la preghiera del Padre Nostro: Sia santificato il Tuo Nome, venga a noi il Tuo Regno, sia fatta la Tua Volontà. Ecco il “progetto divino” che il Nemico vuole annientare. Dove? 231
Nei cuori, o meglio, nelle coscienze, perché è nella coscienza che l’uomo matura le sue azioni e le sue scelte. Se Dio dunque si rivolge alle coscienze, questo è pure l’obiettivo finale del nemico che vuole strapparle dalla loro vitale attrazione per il piano divino sull’immortale vita soprannaturale degli uomini e sussurrò ad Eva: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo [e sancendo] il bene e il male» (Genesi 3, 5-6). Nella sua coscienza l’uomo è attratto dalla grazia divina al Luogo della Verità, alla Chiesa di Dio, al Culto sostenuto dalla Sua Parola confermata dall’autorità del Suo Vicario e potenziato dai Sacramenti. Chiesa, Culto, Sacramenti, Papa, sono tutti ordinati a imprimere nelle coscienze quel piano di Dio per la conversione delle anime; il loro vero «bene» ultimo. Perché insistere qui sul concetto di coscienza come termine ultimo del piano divino? Perché proprio sulla «nuova coscienza della Chiesa» verte tutta la nuova pastorale conciliare. Dalla lettura di lunghi e approfonditi studi su questa «nuova coscienza» spunta sempre la stessa domanda: la Chiesa e i fedeli devono ancora scoprire il piano di Dio per il quale sono chiamati? Può questo piano cambiare secondo i tempi storici? Non è la «nuova coscienza» proprio il Cavallo di Troia escogitato per introdurre il piano nemico dove c’era il supremo piano di Dio? Solo sollevando il giusto dubbio, si arriva alla giusta risposta. Infatti, la «nuova coscienza», nel piano della «nuova chiesa aggiornata» è quello della grande riconciliazione ecumenista di tutte le religioni e ideologie del mondo – che sarebbero altrettante legittime componenti del nuovo cristianesimo - anticristico. Si può allora rispondere alla prima domanda sulla meta finale della operazione anticristica: arrivare a una «nuova coscienza» caratterizzata da una fede ecumenista, da una speranza rivolta al nuovo ordine dell’ONU, e da una carità divenuta solidarietà nella fratellanza mondialista, che fa a meno del primo comandamento del Padre, oltre a quello di non avere altri dei, altre fedi e altri culti al di fuori del Suo. L’operazione ecumenista non fa proprio ciò? Come se Dio a ogni religione avessi rivelato un diverso credo? E non vuole forse che ciò sia proclamato – come lungamente pianificato – da autorità che 232
vantano in terra proprio la rappresentanza di Dio stesso. Più inganno di così… L’elemento per riconoscere lo «spirito anticristo» A questo punto è chiaro che il primo elemento per arrivare all’identikit dell’anticristo è proprio la capacità d’inganno massimo che lo riveste come pontefice della massima falsità: della «nuova coscienza». È l’inganno che può irretire nelle sue maglie perfino dei fedeli, come profetizzato dal Signore. Qui, però, si fa avanti un gravissimo dubbio: sono questi pontefici del massimo inganno coscienti della loro opera anticristica? Come mai, insieme all’empia dottrina sulla nuova coscienza conciliare della Chiesa, esprimono momenti di tradizionale devozione, perfino secondo la Messa di San Pio V? Occorre infatti considerare che il bene umano nelle coscienze non formate può essere confuso col bene divino. Per questo la Chiesa deve formare le coscienze. Forse che i grandi pensatori e leaders che hanno influito negativamente sui destini del mondo non lo facevano seguendo una loro idea di «bene». Perfino i massacratori, potevano essere convinti che quanto facevano era necessario per un qualche «bene» soggettivo. Il «magistero» conciliare s’impegna per la «nuova coscienza» secondo quanto considera il «bene» per tutti i popoli del mondo. Era così anche per i comunisti: non vi è uomo assolutamente cattivo e irriducibilmente nemico del bene. Il male sta, però, nel voler sostituire il Bene rivelato con la propria idea di bene secondo la propria visione soggettiva di cosa sia il «bene» secondo i tempi storici. Ecco perché il soggettivismo riguardo al bene induce le coscienze a propugnare un «bene» a volte criminale, pericoloso specialmente in materia religiosa perché la persona si sente giustificata «in coscienza» dell’inganno che professa di fronte a Dio stesso. Se ciò riguarda i falsi cristi in Vaticano, potrebbero essi giustificarsi dietro una loro possibile «buona fede»? Si noti, però, che questo è proprio il motto che promuovono: quello del diritto umano a professare in foro esterno la fedeltà alla propria coscienza, anche se questa è nell’errore e demenziale. Come fu allora che passarono a giustificare ogni errore? La missione dei pastori non era proprio di correggere errori e mai giustificarli? Il guaio è che hanno toccato non solo la pastorale, in cui il Papa non 233
è infallibile, ma, con la scusa della pastorale, la dogmatica. Non è questo tradimento quello che nella Bibbia è chiamato adulterio? Se è così, però, costoro si sono lasciati tentare da un vero patto con lo spirito anticristico per divenire «salvatori» con «la propria bontà». Non sono identificabili con questo spirito, ma esso li possiede per operare l’inganno conciliare della «nuova coscienza della Chiesa». In breve, l’Anticristo può non essere la persona di un eresiarca, ma imprime in esso il contrassegno di suo vicario per predare le coscienze con idee che allontanano da Dio. Si arriva a questo con la nuova evangelizzazione conciliare per cui il bene della Chiesa e del Culto di Dio convoca le coscienze all’animazione «spirituale» della democrazia religiosa e mondialista che fa a meno di Dio Uno e Trino nella storia umana. È questa la via per la quale lo spirito anticristico scala il Tempio di Dio sempre di nuovo con l’inganno dell’orgoglio della «bontà» di alcuni, i quali pretendono di superare i mali umani con le «ispirazioni» della propria coscienza, senza accorgersi d’aver preso la via dell’interpellanza di Dio stesso. Di fronte a una disgrazia storica, arrivano a chiedere dove Dio si era nascosto. L’insidia massima che individua l’«uomo del peccato» Quindi, gli elementi più certi per riconoscere lo spirito anticristico sono più nelle opere che nelle persone degli anticristi clericali illusi dalla «propria bontà». Sono comunque personificazione dello «spirito anticristico» e perciò riconoscibili come suoi vicari e affrontati nelle loro false dottrine della «nuova coscienza della Chiesa», come se fossero l’Anticristo stesso. Qui è importante ricordare di nuovo la testimonianza di Mons. Lefebvre, il vescovo che nel nostro tempo parlò apertamente della presenza di anticristi riferendosi a persone nella Sede vaticana. Ad Albano, di ritorno da un incontro con le autorità conciliare, e si trattava proprio del cardinale Ratzinger divenuto poi Benedetto XVI, ci diceva con un’espressione davvero turbata che costoro non avevano alcun senso della verità. In una frase definiva il peggio di chi, non è solo un falso cristiano, ma anche un abusivo giudice della fede cristiana; un gran promotore della nuova coscienza ecumenista, quella per cui le religioni possono equivalersi nell’alleanza del «bene» per l’umanità. Eppure, malgrado ciò, è ritenuto dalle moltitudini del mondo come 234
il Vicario autentico di Cristo! Potrebbe procedere da un vero Vicario di Cristo l’idea che il vero bene per l’umanità sia quello che erige il nuovo «bene» di una «pace» secondo le logge e le sinagoghe del mondo? Mai. Il vero bene dell’uomo può essere legato solo alla sua natura di creatura voluta da Dio per il fine ultimo per cui fu creato; che trascende il tempo, i luoghi e le opinioni. Ciò non è né sarà mai deducibile dalle scienze umane o dalla convenienza dei potenti del mondo. Questo bene può essere vero solo se si rifà a quello rivelato dal Creatore, che si vuole Padre e come Figlio venne a redimerci. Per confermare questa verità nelle coscienze esiste la Chiesa e la sua autorità. Quale insidia massima se essa è penetrata dallo spirito anticristico per imprimere nelle coscienze una nuova verità per la vita terrena, da sovrapporre a quella rivelata dal Padre per la vita eterna? Una falsità che è peccato senza remissione? Se San Paolo ha chiamato «uomo del peccato», chi personifica l’Anticristo, poteva non riferirsi al peccato estremo: quello contro la verità stessa? Questo peccato non è senza remissione perché contro lo Spirito Santo? Il Mistero d’iniquità finale! Si dirà: la Chiesa conciliare non nega la verità della Fede nel Padre e nel Figlio venuto per portarci lo Spirito Santo e redimerci. No? Ma la sua negazione ecumenista non consiste, forse, nel negare che questa sia la verità dell’unica via di salvezza da trasmettere a ogni coscienza, verità che devono confermare e insegnare sempre. Insegnano, invece, il diritto alla libertà di coscienza, che si antepone alla verità della Fede, l’antitesi a questa «tesi», affinché sia l’uomo ad arrivare autonomamente alla «sintesi» di quel che è bene e male. Si ritorna così alla rapina del frutto proibito; come «diritto» delle coscienze; al «non serviam» demoniaco e anticristico, il cui esito fatale oggi è clamoroso: Il «letargo» mortale in cui durante questo lungo interregno l’autorità che conferma la fede cattolica nelle coscienze.
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11 - IL SEGRETO DELL’ATTENTATO ANTICRISTICO La definizione di coscienza del card. Newman può aiutare a illustrare il nostro esempio: “La coscienza è il vero vicario di Cristo per le anime; un profeta per quel che informa; un monarca per il suo potere decisionale; un sacerdote per le sue benedizioni o anatemi, secondo se la ubbidiamo o no”. Infatti, il principio dell’autorità del Papa, Vicario di Cristo, è la conferma e la definizione della Legge che vincola le coscienze. È dovuto a questo principio che Pietro ha ricevuto l’autorità infallibile. Se vogliamo usare un’immagine leggera per rappresentare quanto è avvenuto nel nostro tempo possiamo parlare di Pinocchio che schiaccia il grillo parlante. Esso rappresenta la coscienza e il burattino il mondo moderno che non sopporta più il papa tradizionale; vuole il «buonista»! La ragione dell’autorità pontificale è il vincolo alla Legge; quella dei falsi profeti è l’emancipazione delle coscienze dal vincolo divino. Con questa si arriva a quel che è esecrato da Dio: alla fedeltà della coscienza trasferita a uomini (Sl 146, 3; Is 2, 22; Gr 17, 5). Costoro saranno quei falsi cristi, quei vicari del «altro» a cui si riferì Gesù (Gv 5, 43). Ecco l’uccisione della vera testimonianza pontificale nelle coscienze. Se nell’ora presente pochi capiscono che con lo spirito conciliare del Vaticano II il corso della colpa umana si chiude, è solo perché imperversa proprio la grande apostasia della Verità! Oggi, più che mai, la terza parte del Segreto di Fatima si rivela conferma di un fatto essenziale per la vita del mondo. Non riescono a capirlo in molti, ma farebbero bene a ricredersi, considerando i fatti storici riguardanti oggi la Chiesa. Non lo vogliono capire, però, quelli per i quali non solo i segni dei Cieli, ma anche la presenza dell’autorità di Dio in terra è una leggenda. Per questi, manca non solo l’intelligenza delle parole di Gesù Cristo, ma l’amore per la conferma di queste attraverso il Suo autentico Vicario in terra. Quel che è molto difficile se non impossibile per il cattolico pensare, è, che di fronte a quel massimo inganno che abbiamo fin qui descritto, sia mancato un segno straordinario del Cielo, non per rivelare niente ancora non rivelato, ma per segnalare i temi dei sommi pericoli rivelati. Infatti, questo Terzo Segreto riguardante il Papa, esiste, come quello dato dalla Madonna a La Salette: «Roma perderà la fede e diverrà la sede dell’Anticristo». Quindi, questi interventi divini per mezzo della Santissima Vergine Maria sono riconosciuti dalla Chiesa e le apparizioni sono successe per portare chiaramente dei gravi messaggi. 236
Eppure, la terza parte del messaggio di Fatima è stata censurata. Per oltre cinquant’anni, il più rilevante mistero religioso dei nostri tempi è rimasto nascosto in Vaticano, grazie alle luci di alti prelati che vedevano i segni dei tempi nel progresso dei valori dell’illuminismo, piuttosto che in apparizioni della Madre di Dio! Finalmente pubblicato con un commento studiatamente riduttivo, il «Segreto» sembra aver perso interesse, anche se raffigura il virtuale eccidio del Vicario di Cristo col suo intero seguito. Perciò, perfino per un fedele che non vuol dubitare dell’autenticità di quanto procede dall’attuale gerarchia vaticana, c’è qualcosa che non quadra. Per la decifrazione della visione simbolica di un colpo mortale contro la Chiesa, al più alto livello, si offre una veduta utile solo a un culto personale e poi ci si mette una pietra sopra! Un attentato contro il Vicario di Cristo non sarebbe contro Gesù Cristo stesso e quindi da vedere come un vero attentato dell’Anticristo? Non lo possono negare, ma nell’era di viaggi interplanetari, perché dovrebbero credere alla Vergine e a dei misteri non sono inquadrabili dalle scienze fisiche? Poi questa «mitica» minaccia dell’Anticristo, mentre l’immaginazione della gente si nutre di figure di extraterrestri e di mondo magici. Oggi si sa che anche Roncalli era aggiornato su questi screening di “ufo” e quant’altro. Ma tutto ciò non evoca proprio quanto detto da Gesù: “Perché sentano, ma non capiscano”. Dobbiamo quindi cominciare a parlare del Segreto di Fatima, pregando il Signore che faccia comprendere il senso di questo gravissimo avviso che, portato agli uomini del nostro tempo dalla sua Santa Madre, è, sicuramente, un aiuto inestimabile. Chi può volere che resti una leggenda quanto è riferimento pure di natura storica, un vero segno degli immani pericoli dei tempi vissuti dai figli della Chiesa? Sì perché da almeno tre secoli si parla del «complotto» anticristico per liquidare il Pontefice. A Roma fino a Pio XII c’era chi vigilava sull’integrità della Fede e denunciava le insidie e i pericoli cui era esposta. Perché quando le grave minacce tornano oggetto del Segreto di Fatima, si respinge questa visione profetica come se non avesse alcun senso? La Voce dei Papi fino a Pio XII Parliamo allora della storia del complotto per “liquidare” la Chiesa di Gesù Cristo, usando le Sue stesse parole: “Il servo non è da più del padrone, se hanno perseguitato Me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20). La Chiesa del Crocifisso è perseguitata dal mondo per la sua natura 237
stessa. Già lo diceva Pio IX. È sempre stato così. Per capire l’eliminazione della voce papale che gridava contro la scalata dei nemici della Chiesa al suo interno e nel mondo, basta sentire quanto dicevano i Papi degli ultimi due secoli e non si dice più dopo la morte di Pio XII nel 1958. Nel 1814 il Papa Pio VII manifestava al Re di Francia il suo dolore e i pericoli della nuova Costituzione rivoluzionaria, che era essenzialmente contraria alla Fede della Chiesa. La più pericolosa persecuzione contro la Chiesa di Gesù Cristo, è quella per cui “si permette la libertà di culto e di coscienza...; per ciò stesso si confonde la verità con l’errore, e si pone al pari delle sètte, eretiche, e anche della perfidia giudaica, la Sposa santa e immacolata di Cristo, la Chiesa, fuori della quale non vi è salvezza... Insomma: “Sotto l'uguale protezione di tutti i culti, si nasconde la più pericolosa persecuzione, la più astuta che sia possibile immaginare contro la Chiesa di Gesù Cristo, e, purtroppo, la meglio attrezzata per lanciarvi la confusione e anche distruggerla, se fosse possibile, con il prevalere delle forze dell'inferno contro la Chiesa” (Enciclica Post tam diuturnas, 29.4.1814). Oggi, a mettere tutte le fedi e culti insieme sono gli stessi pastori conciliari, basta pensare alle cerimonie di Assisi, simboli eloquenti e programmatici della neoreligione ecumenista. Papa Gregorio XVI, nell’Enciclica Mirari vos (15.8.1832), contro il delirio della libertà e dell’indifferentismo in materia di religione, scriveva: “Tolto ogni freno che contenga nelle vie della verità gli uomini già volgentisi al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il pozzo dell’abisso dal quale vide S. Giovanni salire tal fumo, che oscurato ne rimase il sole, uscendone innumerabili locuste a disertare la terra”. Oggi, la libertà di scelta in materia di religione è proclamata dagli stessi pastori conciliari, in nome della dichiarazione «Dignitatis humanae» del Vaticano II. La Madonna, a La Salette, aveva affidato ai veggenti un messaggio sul XX secolo che fece trepidare Pio IX: “Si è spenta la vera fede e una falsa luce si è diffusa sul mondo. La Chiesa andrà soggetta a una crisi spaventosa. Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo. La Chiesa sarà eclissata e il mondo sarà nella desolazione”. Papa Pio IX all’epoca del Concilio Vaticano I, aveva visto il pericolo e la natura dell’attentato alla Fede e diceva (27.11.1871): “Oggi non è più 1'eresia, non è più il martirio di sangue che si fa incontro alla Chiesa per combatterla, ma è, dirò così, il martirio intellettuale e morale. Oggi non 238
si fa più guerra a una parte della Chiesa, a un lato della sua fede, a qualcheduno dei suoi dommi... Oggi sta contro la Chiesa 1'Incredulità, l'Ateismo, il Materialismo. Oggi non è più da lottare (giova ripeterlo) con eresie, che non hanno importanza alcuna; ma con l’indifferenza, con l'empietà, che mira a schiantare dal cuore di ogni Cattolico la fede; mira a ruinar dalle fondamenta la Chiesa di Gesù Cristo, e questa Città, fatta preziosa dal sangue di tanti Martiri, a gittar di nuovo nel lezzo dell'antica corruzione, riducendola come sotto i Neroni, o più veramente come sotto i Giuliani Apostati. Sicché Roma, sede venerata della verità, diventerebbe insomma un'altra volta, centro di tutti gli errori”. Si voleva la conciliazione della Chiesa e del Papa con il mondo moderno. Il Sillabo nel suo ultimo articolo condanna l’asserzione: “che il Romano Pontefice possa e debba riconciliarsi e andare d’accordo con il progresso, con il liberalismo e con la civiltà moderna”... Respingere tale conciliazione nella vita civile, espressa dal «non expedit», è questione di fede cattolica. Eppure, oggi sono i pastori conciliari a promuovere con il Vaticano II una dottrina per tale conciliazione con i poteri anticristiani del mondo moderno. Papa Leone XIII sulla Rivoluzione a Roma (15.X.1890): “Il piano delle sette che si svolge ora in Italia, specialmente nella parte che tocca la Chiesa e la religione cattolica, ha come scopo finale e notorio di ridurla, se è possibile, al niente... Questa guerra, al presente, si combatte più che altrove in Italia dove la religione cattolica ha gettato più profonde radici, e soprattutto in Roma, dove è il centro della Cattolica Unità e la Sede del Pastore e Maestro universale della Chiesa”. Perciò quel Papa compilò un esorcismo in cui invocava San Michele Arcangelo e dove c’era questa frase: ... dove fu costituita la sede del beatissimo Pietro e la Cattedra della verità ad illuminare le genti, lì hanno eretto il trono della loro abominazione e scelleratezza affinché colpito il pastore possano disperdere anche il gregge. Oggi, il pastore cattolico appare «tolto di mezzo» e il gregge disperso in un mondo scristianizzato. Papa San Pio X: “L’errore che si vuol diffondere ai nostri dì, è ben più micidiale di quello dei tempi di Lutero, perché arriva direttamente alla distruzione non della Chiesa soltanto, ma del Cristianesimo, per cui in qualche luogo gli stessi protestanti hanno stabilito la Commissione di vigilanza, che ha deposto da poco un Pastore
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convinto di modernismo" (84). La bestialità del modernismo è un dato di ragione anche per i non cattolici. E San Pio X colse nella Pascendi la scusante modernista per tali spropositi: “È da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libertà, quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza, strariperà più potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa." Infatti, oggi i pastori conciliari predicano la santità della libertà democratica anche in materia di religione. Papa Benedetto XV parlò del ripudio rivoluzionario dell’autorità (Lettera Anno jam exeunte, 7.3.1917): “Dopo i primi tre secoli dalle origini della Chiesa, nel corso dei quali il sangue dei cristiani fecondò l'intera terra, si può dire che mai la Chiesa ha corso un tale pericolo come quello che si manifestò alla fine del XVIII secolo. Fu allora, infatti, che una filosofia in delirio, prolungamento dell'eresia e dell'apostasia dei novatori, acquistò sugli spiriti una potenza universale di sedizione e provocò uno sconvolgimento totale con il proposito determinato di rovinare i fondamenti cristiani della società, non solo in Francia, ma, a poco a poco, in tutte le nazioni”. Infatti, in quegli anni scoppiava la rivoluzione del comunismo che Papa Pio XI condannò come intrinsecamente perverso (Enciclica Divini Redemptoris, 1937). L’abissale inimicizia tra lo spirito rivoluzionario e quello cristiano è descritta da Pio XII (Disc. all’ACI, 12.X.52): “Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l'autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un nemico divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un'economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il «nemico» si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra. Esso sta 84 - Lettera all’Arcivescovo di Cremona, (Mons. Geremia Bonomelli) nell’estate del 1907, in seguito alla pubblicazione del decreto Lamentabili (3 luglio 1907)
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corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra”. Papa Pio XII vedeva, già allora, il processo così avanzato da ritenere vano “di andargli incontro per fermarlo e impedirgli di seminare la rovina e la morte”, ma che si doveva “vigilare... affinché il lupo non finisca col penetrare nel ovile per rapire e disperdere il gregge”. Il Papa stesso, però, circondato da falsari clericali d’ogni genere. Come si è visto, chierici modernisti occulti promossi ad alte cariche rendevano allora i fedeli meno capaci d’identificare e pubblicamente affrontare pervertitori della fede. Del resto, già il Cardinale Newman aveva scritto che la vera resistenza veniva da semplici e anche anomali fedeli, come Anthony Burgess, noto scrittore, autore del libro, ma non del film «Arancia Meccanica», che era un uomo del gran mondo dei celebrati personaggi dello spettacolo. Eppure, la sua visione sul roncalpensiero era poggiata sulla dottrina cattolica ed egli non si lasciò imbrogliare dalla «bontà» del profetismo di «venture» di tale eminenza. Si pensi solo alla posizione di Roncalli di fronte al Segreto di Fatima. Già come patriarca di Venezia Roncalli aveva dimostrato l’idea di allineare quel messaggio mariano ad una nuova pentecoste conciliare, svelando la sua avversione al Segreto della Madonna. Infatti, recatosi a Fatima, il 13 maggio 1956, davanti a mezzo milione di fedeli, pronunciò in quell’evento un’omelia in portoghese, “precorritore di una nuova Pentecoste del cui celeste effluvio cominciamo ora a misurare tutta la portata e le misteriose ricchezze”.
Descrisse allora le apparizioni, ma liquidando con poche parole quella del Segreto e dell’Inferno: “Per il 13 luglio qualche incertezza. Ma Giacinta dice chiaramente risolvendo ogni dubbio: «No, il demonio non può essere; il demonio è tanto brutto e sta sottoterra». (Scritti e Discorsi del Patriarca di Venezia, Paoline, 1959, V.2, pp. 423, 425).
Si noti l’ambiguità della frase pronunciata. Nell’apparizione Maria aveva fatto vedere l’Inferno con i suoi demoni ai pastorelli; visione che ha formato la loro coscienza e volontà nel sacrificio per i poveri peccatori. Ma per Roncalli questa visione doveva essere ridotta a una barzelletta! La ragione per cui un chierico oltremodo scaltro, come lui ha deciso di avversare il Segreto di Fatima, affrontando l’impopolarità, era il suo tenore di profezia di sventura, che lui aborriva e contrastava con le idee di conciliazione col mondo moderno e di erezione di un nuovo ordine mondiale religioso, che lui prediligeva. Più tardi non solo censurerà il Segreto, ma perfino l’intervista della Veggente Lucia a Padre Fuentes 241
prima della morte di Pio XII. La deduzione che sia stato lui a imporre a Lucia una ritrattazione attraverso il Vescovo di Coimbra si poggia anche sulle parole registrate dal nuovo ambasciatore del Portogallo presso il Vaticano, Antonio de Farias nel 1961: Il Pontefice “mi ha parlato di Fatima alludendo alla convenienza che non si tentasse di far dire a Suor Lucia più di quanto essa non fosse in condizione di dire (a proposito dei riferimenti fatti alla Russia e la menzione del 1960), materia molto delicata che esige ogni prudenza” (Historia, Lisbona, ott. 2000, p.25). Fatto è che le «profezie di sventura»
disturbano non poco i detrattori di Fatima, il cui messaggio è accolto da tanti pellegrini ancora cattolici. Come si può, però, capire quanto il Segreto svela senza fare attenzione al senso letterale dei suoi termini rivelanti l’atten-tato all’autorità somma della Chiesa, attentato del resto previsto dai Papi, come visto, ma anche dai piani della Massoneria? Se sono, però, proprio i riformatori conciliari a operare, secondo i tempi, il ridimensionamento di quell’autorità cattolica che è virtualmente la vittima della visione del Segreto! Come potevano interpretarla? Se questi operano nel senso di aggiornare i «principi dogmatici» con “affermazioni pastorali rapportate a situazioni storiche… suscettibili di valutazioni perfettibili” (85), non sarà che per loro si deve ignorare il male delle persecuzioni contro la Fede per giungere a compromessi storici sui principi dottrinali? Tra questi non primeggia forse quello tra Antica e Nuova Alleanza, che dovrebbero sussistere e convivere riconciliate? E ciò raggirando la realtà per cui l’ebraismo di oggi non è più quello dell’Antica Alleanza, e il Talmud, come la Cabala, non sono la Bibbia. Non è questo già un letale attentato contro l’identità cristiana, che rende la Chiesa vittima d’immani ambiguità religiose e perfide congiure storiche? Se fanno così coi principi dogmatici, cosa non saranno disposti a fare con le parole date a Fatima, che non intendono certamente prevalere sul Magistero fondato sull’unica Rivelazione? Il problema è che nessun semplice trucco d’aspetto magisteriale, come sia l’insinuazione di una eccessiva devozione a Maria (86), può ottenere l’indifferenza dei fedeli per un messaggio della Madre di Dio. Ma la preoccupazione di natura ecumenistica di ridimensionare la devozione mariana, precede e
85 - Vedi “istruzioni” del Pontificio Consiglio per la Promozione Dell'unità dei Cristiani sul «carattere teologicamente vincolante, per esempio del Decreto sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II "Unitatis redintegratio"».
86 - Vedi: «Lumen gentium» nº 67 e equivalente nel «Catechismo della Chiesa cattolica»; A. Daniele, «L’Eclisse del Pensiero Cattolico», Libreria Europa Editrice, Roma, 1997, pp. 212-214, 216;
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condiziona i documenti conciliari; sono riassunti nella frase del perito Joseph Ratzinger nel Vaticano II: “uno schema sulla Vergine Marie rappresenterebbe un male innimmaginabile per l’ecumenismo” (87). Che dire di una posizione del genere proprio nel tempo in cui la Chiesa riconosceva tante apparizioni di Maria, ma senza che su queste grazie fosse espressa una dottrina speciale? Il noto mariologo P. Gabriele Roschini colloca così la questione di fede: “È discusso se nella mediazione mariana, oltre la causalità morale (quella d’intercessione), sia da ammettere pure la causalità fisica strumentale [quella d’intervenzione?] (Dizionario di Mariologia, Studium, Roma, 1961, p. 349; EC, v. XIII, p. 576). La questione è di enorme importanza in vista delle grandi apparizioni mariane dell’Ottocento fino al nostro tempo. Non riguardavano esse in primis la persona del Vicario di Gesù Cristo? Pertanto gli interventi clericali che ignorano tale questione continuano a stupire, specialmente per l’equivoca posizione di Giovanni XXIII, Paolo VI e successori riguardo all’intervento di Maria Santissima a Fatima. Eppure, la moltitudine dei fedeli serba nell’animo la norma che si debba prima discernere i disegni di Dio che quelli degli uomini, siano essi chierici innalzati alle più alte cattedre (88). Ma allora, per coerenza, si dovrebbe capire che l’avversione al Segreto, rappresentante un disegno divino, indica i tenebrosi propositi «segreti» di sommi sacerdoti. 87 - »Le Rhin se jette dans le Tibre», pg. 90. 88 - Seguono note sulla posizione sospetta di Roncalli divenuto Giovanni XXIII. Nel 1949, Mons. Roncalli dichiarò, tra altre cose sulla Massoneria; "In realtà, cos’è che ci separa? Le nostre idee? A dire il vero è poca cosa". (Barech, "Eglise Catholique e franc-maçonnerie", conclusion). Nel libro del P. Rosario Esposito "Le Grandi Concordanze tra Chiesa e Massoneria", si legge il testo dell’intervista concessa dal barone Yves Maussardon a André Faucher ("Jean XXIII, sur "Le Sel de la terre"…). Vedere Hebblethwaite, Giovanni XXIII, "II Papa Del Concilio", Rusconi, Milano, 1989, pp. 62-65. Gli "Illuminati", con Albert Pike, sono i fondatori del rito palladico luciferiano per il quale il Consiglio dei Tredici, che forma il potere occulto, riceve ordini direttamente da Lucifero. La maggioranza delle istruzioni furono ricevute a Charleston. Gli "illuminati" sono quelli che forse più guidano e controllano la FrancoMassoneria.
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Non siamo forse proprio in presenza di quei pensieri che uccidono la verità nello stesso Luogo santo, manifestando così il mistero d'iniquità profetizzato - segno della fine dei tempi - che saranno svelati proprio dal messaggio della Vergine Maria per il trionfo finale della Fede?
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Dove si manifesta l'iniquità del virtuale eccidio del Papa? È evidente che tale mistero si manifesta dove ha sede colui cui sono affidate le chiavi soprannaturali per serrare le porte della cittadella della fede su cui l’Anticristo preme per prendere il posto di Gesù Cristo. Il venir meno di quel custode è il mistero d’iniquità. La ribellione finale contro l’autorità di Dio si manifesta laddove è costituita l'opera di redenzione dalla prima ribellione: nella Sua Chiesa. Ecco il «mistero dell’iniquità», che era trattenuto dal potere divino del Papato, il Katéchon che aveva il potere per impedirlo, ma è tolto di mezzo (2 Tessalonicesi, 2). Così, l’assenza di chi ha il potere delle chiavi per l’accesso dell'empio Anticristo indica la sua presenza. Infatti, lo spirito umanistico e umanitarista opera oggi nel silenzio dell’apostasia generale poiché procede dal vertice ecclesiale. Dove è ormai il potere delle chiavi che impediva l’iniquità? C’è oggi quel potere? Tutto indica che no, perché è dato da Dio, e Dio non può lasciarlo a chi lo tradisce. Se il potere per impedire l’iniquità è usato per scatenarla, vuol dire che il nemico primordiale ha varcato la soglia della Chiesa e... «dove fu costituita la sede del beatissimo Pietro e la cattedra della verità a illuminare le genti, lì tentano d’erigere il trono della loro abominazione e scelleratezza affinché, colpito il pastore, possano disperdere anche il gregge» (esorcismo di Leone XIII). Ecco il «mistero dell’iniquità», finora trattenuto dal potere divino del Papato. Ma oggi il modernismo, con la sua democrazia clericale, «umanizzando» l'autorità divina della Chiesa, sta rimuovendo la sua suprema difesa. E così, la cattedra che arginava l'iniquità ecumenista, che livella ogni verità religiosa, in verità non è più la Cattedra perché è ormai adoperata per promuovere il diritto alla libertà dell’errore. L’ingannatore primordiale è riuscito a varcare la soglia della Chiesa. E' l’ora culminante della persecuzione contro la Chiesa che Leone XIII vide e mise al centro dell’esorcismo che redasse per invocare l'aiuto dell’Arcangelo san Michele. E il suo successore, San Pio X, nella sua prima allocuzione papale affermò essere lecito pensare che l’Anticristo fosse già tra noi. Esso è riconoscibile dai suoi due obiettivi principali: Roma, «il luogo santo» dove «cambiare i tempi e le leggi» (Dn 7, 25), per essere come Dio, o pure meglio, come sostengono i buonisti fautori del pantheon di tutte le religioni del mondo. 245
I dubbi iniziali sull’eccidio del “Terzo Segreto” È alla luce dell’ecumenismo sinarchico, per realizzare una pace ed una «libera coscienza» autonome da Gesù Cristo, che si vuole interpretare il testo della visione del Terzo Segreto pubblicato nel giugno 2000 dal Vaticano.Poteva non essere stato scritto da Suor Lucia, a dispetto della conferma? Ciò perché la stessa Suora lasciò l’interpretazione del suo significato religioso e storico a Giovanni Paolo II, che se ne appropriò, rimediando alle “difficoltà simboliche” per la comprensione della visione dei pastorelli, applicandola al suo attentato di Piazza San Pietro. Perciò, esso diveniva da allora il “punto culminante della storia”, come ha pronunciato il cardinal Sodano. Ecco come la portata della visione dell’attentato alla Chiesa di Cristo e alla Cristianità, un attentato che essendo contro il Vicario di Cristo è contro Gesù Cristo stesso, un “attentato anticristico” passò a essere ristretto alla propria persona di Karol Wojtyla. Nessun dubbio? Qui la perplessità non va rivolta tanto alla falsa interpretazione vaticana, che era scontata perché ordinata ad assecondare un colossale equivoco, ma alla reazione di quelli che si sono occupati del «Segreto» per lungo tempo e che di fronte a tale sua riduzione hanno preferito pensare che la falsità era da attribuire al testo. Incapaci di riconoscere che era stato manipolato il senso della visione, giunsero a credere e diffondere l’idea che fosse falso o mutilato lo scritto che descrive l’attentato al Papa cattolico col suo seguito fedele. Ma un testo falsificato indica l’opera di contraffattori che lo dicono vero e integro. Quindi, il dilemma, alla luce della logica, offre due soluzioni: - o l’autenticità del testo attribuito a suor Lucia è ingannevole o deformata e chi dichiara lo scritto vero e integro attenta alla verità, - o il testo che descrive la visione simbolica dell’eccidio del Papa col suo seguito è vero e raffigura per i cattolici proprio il colpo contro la Sede che per mandato di Cristo conferma la Verità. C’era da domandarsi riguardo alla terribile visione simbolica dell’attentato: - Si tratta o no di una catastrofe per la Chiesa del nostro tempo? E in tal caso, quando e in quali termini l’attentato anticristico dovrebbe essere inteso? Ora, già il Vangelo insegna che il nemico perenne della Chiesa di Cristo è lo spirito del mondo Nel tentativo di abbattere la Fede esso suscita falsi pastori per rimpiazzare i veri. Essi sono attentatori della purezza ed integrità della Fede che mirano all’occupazione del Luogo Santo per deformare la verità secondo le illuminazioni dei tempi. 246
A questo punto, o si è con Cristo e la sua Chiesa o col mondo contrario a Lui. Parimenti, o si accoglie l’avviso del Cielo che conferma tale lotta, o si oscura il suo intendimento di modo che non ci sia l’azione di difesa della Chiesa. Già l’interpretazione di tale visione definisce due campi opposti: degli amici dello spirito mondano e degli amici della verità. In questa luce, la sospetta interpretazione fornita dai gerarchi vaticani, che hanno tenuto il Segreto censurato dal 1960, è davvero emblematica e il modo di trattare il Segreto doveva sollevare grave sospetto, poiché occultare la visione di quell’attentato già svela un rapporto con esso. Non era forse implicita nella visione di quella “soppressione” del Papa col suo intero seguito, di quel grande martirio, il passaggio dalla presenza di un papa cattolico a uno di altra fede? Non è forse lecito pensare che, proprio perché intuivano tale senso del mistero, che non li disturbava affatto, ma che poteva suscitare dubbi sull’autenticità di un pontificato in rotta coi precedenti, tennero il Segreto sotto chiave così a lungo? Che altra ragione c’era per non pubblicarlo, se era autentico? Quando Giovanni Paolo II ha finalmente tolto il sigillo imposto da Giovanni XXIII, verosimilmente non ha pensato a questo, ma solo che il rischio di svelare il Segreto, a lui ancora poco chiaro, poteva essere compensato dal tornaconto alla sua immagine di martire della pace. E data l’enorme popolarità che aveva raggiunto nel mondo, sarebbe stato in grado di pilotare l’interpretazione del Segreto da impartire ai media, come si è visto nella conferenza vaticana ad hoc condotta dai suoi assistenti. Non contava, però, che la reazione alla lettura del Segreto di Fatima, così interpretato, fosse pesantemente negativa e provocasse un profondo disagio. Per alcuni fu la dimostrazione dell’inautenticità del testo; per altri della vacuità di simili messaggi celesti; per altri, prova che Dio non esiste! (Il Manifesto). Il fatto é che la presentazione vaticana, con le forzate allusioni a Giovanni Paolo II del card. Sodano e rinforzate dalla nota teologica del card. Ratzinger, dimostrò che lo scopo di tale iniziativa era personale: diffondere un’aura di martirio e di approvazione divina su Giovanni Paolo II e il suo «eroismo» ecumenista. Il commento vaticano sulla “psicologia” del Terzo Segreto. La Madonna sarebbe venuta per lodare il capo e l’opera conciliare! Si pretendeva, inoltre, che tale interpretazione mettesse un punto finale sulla questione del Segreto, che sarebbe allora un mistero chiarito. Per i conciliari, non si doveva aver paura delle loro grandi aperture!
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Si può dedurre, quindi, che, sia la censura prima, sia l’apertura dopo del Segreto, miravano a neutralizzare un forte richiamo alla difesa della Chiesa in pericolo. E l’alterazione del suo significato è stata resa possibile dal-l’immenso ritardo nella sua pubblicazione, quarant’anni rispetto alla data prescritta per la conoscenza di tale visione. La visione del Segreto viene ridimensionata a “proiezioni del mondo interiore di bambini, cresciuti in un ambiente di profonda pietà, ma sconvolti dalle bufere che minacciavano il loro tempo”, e perciò, anche se Ratzinger non lo dice esplicitamente, tale segreto sarebbe privo di significati degni di approfondimenti. È davvero sorprendente l’empia superficialità con cui l’autorità conciliare tratta il Messaggio che comunque contraddittoriamente riconosce provenire dal Cielo. L’allora Prefetto per la Fede non nasconde le due indicazioni che segue quando dice: “le linee essenziali si possono trovare nella comunicazione del card. Sodano pronunciata il 13 maggio di quest'anno”. Poi, se c’è una parola d’ordine per l’interpretazione ufficiale del Segreto, essa è nella “teologia” del “teologo fiammingo Edouard Dhanis, eminente conoscitore di questa materia” («Sguardo su Fatima e bilancio di una discussione» in: «La Civiltà Cattolica» 104, 1953) (89). Come mai era citato proprio Dhanis, dimostratosi acerrimo nemico del Messaggio di Fatima? Vista l'impossibilità di negare l'autenticità dell'apparizione e il miracolo del sole, presenziato da decine di migliaia di persone (anche da giornalisti atei) e riconosciuti dalla Chiesa, tale autore elaborò una ‘teologia’ per superare l’enorme ostacolo per l’ecumenismo e per la «teologia» moderna, che è Fatima. L’impegno assunto dal gesuita Dhanis seguì la via di stabilire la distinzione tra la parte riguardante il
89 - È sorprendente notare come il “metodo Dhanis” sia il medesimo già adottato a suo tempo dai nemici del messaggio di La Salette, ovvero “coloro che, di perduti costumi, erano incatenati al carro della setta massonica”, come disse Mons. Cecchini, vescovo di Altamura e Acquaviva, in occasione dei funerali di Mélanie (Osservatore Romano del 25 dicembre 1904, sotto il regnante pontefice Papa San Pio X ). Anche allora c’era La Salette Uno, limitata alla sola apparizione e La Salette Due completa dei relativi messaggi di Melania e Massimino. Ancor oggi i detrattori di La Salette continuano ad usare questa stessa procedura. Apparizione sì, messaggi no: la Madonna può apparire, se proprio ci tiene, ma non ha il permesso di dire nulla di spiacevole. Peccato che, essendo la fonte testimoniale unicamente quella dei veggenti, logica vuole che se si ammette come veridica la prima, si debba ammettere a pari titolo anche il resto. Ma la logica, si sa, non è di casa tra i negatori del vero.
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Messaggio, denominata Fatima Due per distinguerla dalla parte riguardante solo l’Apparizione, Fatima Uno. Solo Fatima Uno sarebbe accettabile . Infatti, per teologi tal fatta un segno celeste significa solo chiamata alla preghiera e penitenza, mai un intervento divino su eventi umani: miracoli ed apparizioni non sarebbero sigilli straordinari del Volere divino, ma segni per animare la religiosità popolare. Dhanis ha fatto carriera sotto Paolo VI sull’onda della presunta inautenticità di «Fatima Due». Qui il card. Ratzinger si rifà a questo “eminente conoscitore della materia”, che è proprio il più infido negatore di quanto l’eminente prefetto per la fede pretende di interpretare! Il teologo Ratzinger si dimostra concorde con i negatori di Fatima Due coll’ignorare, incredibilmente, che ci sono altri aiuti inerenti al Messaggio di Fatima comunicati a Lucia: nel 1925 la devozione dei cinque primi sabati, e nel 1929 la richiesta della consacrazione della Russia, fatta in seguito ad una grandiosa Teofania Trinitaria. Ecco allora che quando il Vaticano attuale dice di aver “preparato un opportuno commento”, si può intravedere in esso solo un disperato tentativo di archiviare la Profezia di Fatima, se non nel suo testo, nella sua comprensione dell’attentato anticristico contro la Chiesa ovvero nel più alto senso del suo avviso. Le evidenti contraddizioni dell’interpretazione di Ratzinger Il Cardinale si domanda: “come dobbiamo intendere la visione, che cosa pensarne?” Riuscirà dall’alto delle sue spiegazioni sulla Rivelazione pubblica e su quelle private e i suoi discorsi sulla “struttura antropologica” (carattere psicologico), a spiegare quanto la Madonna ha voluto far conoscere ai suoi figli attraverso semplici pastorelli analfabeti? Non sembra proprio, perché rimane inspiegato tanto sigillo su una visione così grande come il miracolo del sole, ma che non racchiude “nessun grande mistero, né squarcia alcun futuro”. Rimane che il Segreto fu svelato, non per il suo contenuto, rimasto incomprensibile all’intelligenza clericale e al mondo intellettuale in genere, ma perché adatto all’interpretazione forzata ad uso e consumo dell’attuale vertice vaticano. Il suo senso sarebbe di garantire, ostentando una vaga competenza teologica riguardo a Fatima, una finta continuità cattolica nel testimoniare la fede, fino ai martirizzanti viaggi intorno al mondo. Ora, la visione dell’eliminazione del Papa e dei testimoni fedele che è rivelata simbolicamente nella visione del Terzo Segreto, svela
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proprio un quadro di rottura della continuità cattolica, che quei “pellegrinaggi” collaudarono. Fatto sta che tale pubblicazione rende evidente che il Vaticano attuale non riesce a spiegare il senso del messaggio profetico, né la ragione della sua censura, e si dimostra tanto alieno al suo spirito, che non vuole di meglio che farlo sparire. E si capisce perché: la visione del Terzo Segreto di Fatima sull’eccidio del Papa cattolico, implica domande precise: - chi era il nemico? – a chi giovava quella “eliminazione papale”? – ciò era il segno di apertura della grande apostasia? Era arrivata l’ora dell’Anticristo secondo le parole della Madonna a La Salette: “Roma perderà la fede e diverrà la sede dell’Anticristo? Il naturalismo dello spirito del mondo sembra lo stesso di quello spirito censorio dimostrato dai chierici conciliari che negano l’importanza e l’urgenza dei messaggi mariani che suscitano queste vitali domande nella coscienza di ogni cristiano. La vera “struttura psicologica” del Terzo Segreto. La visione del Segreto per essere autentica dovrebbe essere una “proiezione oggettiva” nell’animo dei pastorelli di Fatima, che perciò avrebbero “visto” la stessa scena, come risulta dal dialogo tra Lucia e Giacinta, registrato nelle memorie di Lucia. Quando si parla di una scena simbolica da realizzarsi nel futuro, si fa riferimento alla rappresentazione di una realtà che si può avverare, non secondo un sogno o impressioni personali, ma secondo la “rivelazione” del Padre che sa come andranno a finire le cose nel mondo e avvisa i suoi figli. Questo è il punto di vista cattolico, che accoglie le profezie divine come proiezione del futuro nel presente con il fine di aiutare gli uomini avviati verso l’abisso. Si tratta quindi di un intervento soprannaturale attraverso l’ingenua sensibilità di bambini educati in una fede semplice ma sana, per imprimere nella loro coscienza il “dogma della fede”; l’essenziale per la salvezza dell’anima propria e degli altri. Quello che la Santissima Madre impresse nella loro coscienza con la visione dell’Inferno e poi dell’eccidio del Vescovo vestito di bianco con i suoi fedeli, fu il senso del Sacrificio redentore sul quale i pastorelli passarono a guidare ogni loro gesto e testimonianza. Era l’essenza di quanto l’uomo deve comprendere, da Adamo ai Santi d’ogni tempo, dai grandi Pontefici ai più umili pastorelli d’ogni terra. Tutto ciò è negato dai modernisti, che non accettano fatti miracolosi per imprimere nelle coscienze visioni divine di vita eterna. Ratzinger vuole 250
spiegare la visione di Fatima in chiave naturalistica: “Proiezioni del mondo interiore di bambini, cresciuti in un ambiente di profonda pietà, ma sconvolti dalle bufere che minacciavano il loro tempo”. Poteva essere vero che questi bambini, di fronte alla Madre di Dio, fossere più sconvolti dai problemi del loro tempo, di cui appena avevano sentito parlare nelle loro colline disabitate, che della visione sconvolgente di quell’ecatombe dei consacrati e fedeli della loro Fede? È vero che la storia del Portogallo registra nel 1908 l’attentato mortale al Re Carlo insieme al principe ereditario e l’avvento di un regime repubblicano ferocemente anticattolico e anticlericale. Ma nella campagna di Fatima i bambini non necessariamente vivevano le conseguenze di tali eventi, perché la loro vita religiosa era regolare. Andavano al catechismo, alle funzioni religiose, ascoltavano il loro parroco, che aveva benefica influenza sulla vita cristiana di quelle popolazioni devote. La persecuzione religiosa della rivoluzione massonica si è fatta sentire in quelle terre solo dopo gli eventi di Fatima. Per questo essi furono anche malvisti dalla gerarchia e da una gran parte del clero portoghese; quell’evento straordinario, invero, sollevava questioni religiose lasciate in letargo tra le popolazioni contadine. La campagna era una riserva di resistenza cattolica che non conveniva a nessun governo toccare. Dunque, la soluzione della visione come reazione infantile a bufere persecutorie è inconsistente. Non vi era nemmeno un ambiente di eccessiva pressione religiosa e mistica da quelle parti. Basta leggere le memorie di Lucia per capire che a Fatima si svolgeva una vita legata alle dure attività di chi vive dei prodotti della terra. Se la Madonna ha voluto far conoscere ai suoi figli un segreto attraverso umili pastorelli analfabeti, era proprio perché sapeva che essi non avrebbero aggiunto niente di proprio. Essi avevano imparato nel catechismo il vero senso della storia cristiana. Ciò pare inspiegabile, però, alla bacata mente modernista, che non riesce a capire se non quanto immagina o inventa alla luce dei tempi e dell’allucinata comunicazione dei tempi moderni. Non c’è dubbio che il modo in cui il Vaticano conciliare trattò il Terzo Segreto di Fatima denota l’avversione ad accettare non solo quanto dicevano i Papi cattolici, ma anche la presenza di un intervento soprannaturale nella storia per aiutare la Chiesa ad affrontare la sua lotta perenne contro lo spirito del mondo nella sua ora più cruciale. La demolizione del senso cristiano della storia 251
Quanto è inerente alla fede cristiana, cioè il fatto che Dio si manifesta nella Storia umana, il cui Evento centrale è l’Incarnazione del Suo Figlio, sembra alieno alla fede conciliare, così come la realtà della lotta perenne tra la Chiesa di Dio e lo spirito del mondo. Infatti, una delle più micidiali azioni del modernismo, nel suo lavorio di demolizione della fede cattolica, è stata quella di insinuare il naturalismo dove c'era il senso soprannaturale della storia. E ciò è riuscito in modo talmente subdolo, sotto l’influsso dello spirito del Vaticano II, che oggi non si capisce nemmeno l’entità di questo danno devastante per il Cristianesimo; esso si è risolto nella restrizione delle umane prospettive dell’esistenza e della storia al solo aspetto sociale. La Religione rivelata è primariamente Storia Sacra. Dal libro della Genesi all’Apocalisse si leggono i disegni divini che riguardano l’essere umano e gli sviluppi di quella perenne lotta del male contro il bene, secondo gli uomini accolgano o rifiutino l’Alleanza offerta dalla Volontà divina, che si manifesta nella stessa storia. (90) Oggi la “lezione d’umanità” impartita dai papi conciliari in giro per il mondo è che le religioni e in modo perticolare il popolo dell’Antica Alleanza, si tengano stretta l’alleanza in cui credono, tanto la Nuova Alleanza sarebbe eterna solo per i cristiani e non pretenderebbe di sostituirne alcuna; l’idea di conversione sarebbe ormai superata! È vero che gli interventi mariani non si sovrappongono alle decisioni dei rappresentanti di Gesù Cristo. Essi, anzi, avvengono per aiutarli nella difesa della Fede in pericolo, perché è scritto che proprio nel Luogo Santo si manifesterà il devastante mistero d’iniquità. La Madre di Dio è partecipe di ogni rifiuto e tormento inflitto al Figlio e alla Sua Chiesa. E Fatima rimane nuovo segno di contraddizione della storia cristiana. Teniamolo presente parlando del Segreto, la cui visione, incentrata sulla Croce di Gesù, si è dimostrata segno di contraddizione di fronte alla mentalità del mondo con cui quello conciliare vuole identificarsi. Perché la Chiesa fosse aperta a tale mondo era necessario eliminare la barriera che lo conteneva, cioè il Vicario di Gesù Cristo, colui che ha per missione preminente quella di confermare i fratelli nella fede della Nuova Alleanza stabilita da Gesù Cristo. La «decapitazione» del Papato predetta dal Signore a Lucia Gesù, il Figlio di Dio Vivo, con la Sua Chiesa, la Nuova Israele. è Chi dà il senso alla storia e ai suoi regni. Perciò le menti cristiane capiscono cosa 90 - Vedi il dotto cardinale Louis Billot s. J. nel suo libro «La Parousie», Paris, 1920.
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rappresenti la morte di un re cristiano. In una comunicazione intima a Lucia nell’agosto 1931 il Signore disse a Lucia: “Fa sapere ai miei ministri che siccome essi hanno seguito l'esempio del Re di Francia nel ritardare l'esecuzione della mia domanda, lo seguiranno nella disgrazia” (Documenti su Fatima di P. Joaquim Alonso). Ora, il primo termine di ogni profezia è la fede nell’intervento di Dio nella storia; intervento che culminò con l’Incarnazione del Suo Figlio nel mondo per salvarci. Il Verbo divino, ci lasciò la Chiesa col Suo Vicario, la cui autorità è ordinata a fermare il potente ispiratore della ribellione personale e della rivoluzione sociale. Perciò l’aiuto per il nostro tempo fu dato a Fatima, nel cui messaggio c’è l’avviso sui mali rivoluzionari, gli errori sparsi dalla Russia, e il mistero dell’iniquità che rovina la Fede. Lo spirito della Rivoluzione vuole dagli uomini non solo la negazione della Fede, ma la sua democratica manomissione fino a invertire la legge divina a uso umano. Esso si manifesta in nome della pace col rifiuto e la manipolazione della Fede nella stessa Chiesa attraverso un nefasto ecumenismo globale che sparge in nome della pace i motti rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fraternità, in opposizione alle verità del Vangelo ricordate dal Segreto. Insomma la Rivoluzione vuole l’uomo libero dall’autorità di Dio rappresentata dal Papa, che predica la conversione. Il Papato, infatti, è il supremo ostacolo da abbattere per ogni rivoluzione; il vero avversario di quella mentita libertà secondo cui gli uomini sarebbero arbitri del bene e del male, e quindi «liberi» nelle proprie scelte religiose e morali. La necessità di questa conversione è scomparsa col Vaticano II. Potrebbe un Papa fermare e convertire il nemico senza ricorrere all’aiuto di Dio? Ma è davvero impossibile se si vuole accordare con esso. L’opposizione assoluta tra il Papa e la Rivoluzione è il causa del Segreto. Ecco le questioni essenziali per capire, sia il corso della lotta che determina la storia, sia il senso della visione simbolica del Segreto di Fatima. Dato che Pio XII è stato l’ultimo papa a invocare la conversione dei popoli alla fede cattolica, si può dire che con lui scadeva anche la richiesta mariana per la conversione della Russia, non ad una vaga pace o ad una caotica democrazia, ma alla Fede dell’unica Chiesa di Cristo, Cattolica, Apostolica e Romana. Oggi, per i capi conciliari, perché mai musulmani ed ebrei dovrebbero convertirsi se abbiamo lo stesso Dio? La Chiesa e il Sommo Pontefice esistono per confermare opportune et importune la Nuova Alleanza dell’eterno Bene. Tale voce oggi è scomparsa, anche se c’è chi si presenta come Vicario di Cristo, scelto per “confermare” il Suo mandato. Il pastore idolo di questa rivoluzione è additato nella frase dello scrittore Louis Veuillot: “Quando l’insolenza 253
dell’uomo, ostinatamente respinge Dio, Dio alla fine dice all’uomo: sia fatta la tua volontà! E l’ultimo flagello si scatena: non è più la fame, la guerra, la peste... è l’uomo! E quando l’uomo è consegnato all’uomo si può capire quel che significa la Collera di Dio!”. Si tratta di quell’uomo elevato dallo spirito del «non serviam» a gran maestro d’umanità!
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L’unione ecumenista uccide la Fede unica della Chiesa cattolica Il Concilio Mondiale delle Chiese, si riunisce sotto ogni sorta d’influenza massonica, liberale, mondialista, conciliare, che esclude solo il vero Papa cattolico. Eppure, è proprio in nome di questo che la Chiesa conciliare è passata a promuovere tale operazione ecumenista come se derivasse da una nuova coscienza cattolica! Quindi rimane chiaro che la “nuova fede” sarebbe per l’unione ecumenista e non questa per la fede apostolica. Per certificarsi dell’origine di quest’operazione ecumenista si veda, per esempio, quanto svela il libro “Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia” di Epiphanius. Lì troverà documentata la parte della “Lucis Trust” in questa operazione, con i nomi dei suoi più noti araldi e sostenitori nel campo “religioso”: Eleanor Roosevelt, Dalai Lama, Albert Schweitzer, Thomas Merton, Athenagora, Giovanni XXIII e Paolo VI. Ma dato che la U.R.I. (Vedi Appendice) per la riunione delle religione fa parte di quel piano luciferino, c'è da registrare anche l'appoggio di Giovanni Paolo II e successore. Parlano tanto di etica, ma quale, quella del nuovo ordine mondiale e dell’ONU? Allora la promozione dell’aborto vi fa parte dato che questi lo promuovono nel mondo, in speciale in quello latinoamericano ed è impossibile che in Vaticano lo ignori. Quindi, la “faccia occulta della storia” riguarda solo il fatto di come sia stata possibile l’elezione di questi alla Sede di Pietro. Dopo di che non vi è più niente di occulto; il Vaticano II fu convocato per tale mutamento ecumenista e ora il suo continuatore opera per l’unione nel nuovo ordine senza veli e ormai mezzo mondo ritenuto cattolico è convinto che la via dell’indifferentismo relativista conciliare sia la buona. Il lungo lavorio rivoluzionario, oggi completato dai papi conciliari, si compie nel ripudio dell’Ordine cristiano; l’appoggio e complicità, anche indiretto, riguardo a “Lucis Trust” è maledettamente intrinseco alla Chiesa conciliare. L’allucinante stranezza è che la maggioranza dei consacrati e dei fedeli ancora non se ne sia accorta. Come ebbe a scrivere l’Abbé Louis Coache oltre trent’anni fa: “Che cosa cercano questi buoni apostoli? Rendere la pastorale più vicina all’uomo, la liturgia più vivente e comprensibile? Comprendere meglio gli uomini e facilitare l’esercizio della carità? Rendere più aperte le istituzioni ecclesiastiche e la Chiesa più simpatica alle masse? Predicare una morale più attraente e facilitare lo sfruttamento delle Verità della Fede? NIENTE AFFATTO! Queste “ricerche” − che già spazzano via 255
l’essenziale, per molti − sono unicamente dei pretesti e degli abominevoli inganni. Essi vogliono abolire tutte le istituzioni ecclesiastiche, distruggere la Chiesa stessa e detronizzare Nostro Signore Gesù Cristo. Infine, dopo aver glorificato il mondo, celebrare Satana. Tutto il resto è inganno per gli occhi e manovra per addormentare e sfruttare i tiepidi, i lassi, i ciechi ed anche le buone volontà. Il rendere tutto insipido non è che una tappa, il lassismo non è che una tappa, la protestantizzazione non è che una tappa, l’adozione di tutti i princìpi e pratiche del mondo (ivi comprese tutte le immoralità) non è e non sarà che una tappa, la marxistizzazione totale non sarà che una tappa… verso l’odio mondiale, dopo l’odio di Dio, e il culto di Lucifero”(91). Oggi vediamo le immagini dei papi conciliari che vanno alle sinagoghe e a Gerusalemme per spiegare che gli ebrei non avevano bisogno della venuta di Gesù. Vanno all’Assemblea dell’ONU per dichiarare che le iniziative interreligiose, con i loro principi massonici e rivoluzionari, sono l’ultima speranza per la pace tra gli uomini. I Papi, fino a Pio XII, in conformità all’insegnamento di San Paolo, avvertivano e operavano contro l’avanzare del mistero d’iniquità – “solamente vi è colui che lo trattiene e lo tratterrà fino a che sia tolto di mezzo -, ecco la sostanza della visione del Terzo Segreto di Fatima. La ragione dell’autorità del Papa, Vicario di Cristo, è la conferma e la definizione della Legge che vincola le coscienze. È per questa ragione che Pietro ha ricevuto il privilegio dell’infallibilità e le chiavi. Lo scopo della sua autorità è il vincolo della Legge; quello dei falsi profeti è l’emancipazione delle coscienze dall’Alleanza divina, che conduce al trasferimento della fedeltà religiosa a un uomo, deviazione esecrata da Dio (Ps 146, 3; Is 2, 22; Ger 17, 5). Non vi è altra via da seguire per interpretare la visione dell’eccidio nel Terzo Segreto di Fatima, che racchiude la profezia portata dalla Madre di Dio per aiutare i suoi figli a capire e finalmente voler superare il male spaventoso della predica anticristica nella stessa Chiesa; la rovina finale del tempo delle nazioni (Lc 21, 24). Il Terzo Segreto tratta, quindi, del disastro di portata storica che stiamo vivendo: l’eccidio della vera testimonianza papale nelle coscienze. 91 - Abbé Louis Coache, En Attendant la Fin, T. 1 - La Perfidie du Modernisme, Editions de Chiré, Vouillé, 1976, pp 23-24 (maiuscolo e corsivo del testo originale).
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Era più chiaro nel 1960, come testimoniò suor Lucia al cardinale Ottaviani, perché in quella data tutti avrebbero potuto constatare quale era il vero disastro, l’immane castigo: l’elezione al soglio papale del modernista e filo massone Angelo Roncalli… di tal modo che oggi si può dire che… dove fu costituita la sede del beatissimo Pietro e la Cattedra della verità ad illuminare le genti, lì hanno eretto il trono della loro abominazione e scelleratezza affinché colpito il pastore possano disperdere anche il gregge (Leone XIII, esorcismo con l’invocazione a San Michele Arcangelo). Chi non vede che oggi il gregge, una volta cattolico, è disperso in tante sètte dette cattoliche in un mondo di devastante scristianizzazione? Ecco il terzo castigo, in tal modo subdolo che era necessario un segno del cielo per farlo capire ad alcuni; una testimonianza che però solo diventerà visibile nel tempo della grande apostasia, quando si svelerà l’aspetto temibile del castigo universale. Sarà necessario arrivare a uno stato d’angoscia estrema perché la gente capisca che, col Cristianesimo, sono state demolite anche le naturali e uniche difese del mondo ordinato alla pace nella giustizia? Che l’Europa, l’America, il mondo, son gravemente mutilati, non da membri e organi ingenerati da un’utopica democrazia mondiale, ma dall’idea stessa della natura dell’uomo, della sua origine, della sua condizione nel mondo, del suo fine ultimo. E poiché tutta la storia umana, dalla caduta originale alla rivoluzione conciliare, è scritta sulla falsariga della «alienazione» dalla Parola divina (92), oggi siamo al frutto terminale di tanto «progresso», ossia ad una umanità mutilata del suo cuore naturalmente cristiano. Finché imperverserà questa nefasta volontà di espianto del cuore umano naturale per sostituirlo con un adulterato cuore umanistico, mondialista e conciliar-ecumenista, che infetta ogni sano pensiero e impulso, l'umanità sarà pervasa da una sorda propensione all’auto sterminio.
92 - Sul tema «alienazione» vedere articoli dell’autore: «L'alienazione americanista che inquina il mondo» (Effedieffe.com, Giornale Online, 11.12.2006); «La grande alienazione ecumenista»; «L’alienazione della memoria cattolica»; «L’alienazione della Sinagoga «negazionista»; La «Giustificazione» secondo Ratzinger e il «Luterano II» (www.agerecontra.it). Tutti gli articoli si trovano sul sito di Pro Roma Mariana.gmail. http://sites.google.com/site/proromariana/ - italian.
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12 - L’ACCUSA CONTRO RONCALLI, ALIAS GIOVANNI XXIII Per definire questa gravissima accusa contro chi occupò il Soglio di San Pietro, prima di tutto si deve conoscere la liceità di farlo secondo la legge confermata nella storia della Chiesa di Cristo. E la prima risposta, come si vedrà, è che, se l’accusa riguarda la Fede trasmessaci pura e integra dal divino Redentore, ragione per cui fu istituita la Chiesa, essa non è solo lecita - è doverosa e santa. Sempre che sorse nella Cristianità un sospetto di eresia o di scisma che potesse rompere la continuità nella trasmissione della Rivelazione del Padre confermata da Gesù attraverso i Suoi Apostoli, i figli della Chiesa reagirono, senza escludere l’accusa allo stesso papa sospetto di permettere, favorire o incorrere in alterazioni ereticali. I Papi rappresentano Gesù Cristo a capo della Chiesa e godono della Sua infallibilità in questioni di fede e di morale. Esse riguardano la vita sociale e politica e richiedono scelte umane in cui la Chiesa e il Papa sono coinvolti per preservare quanto la Tradizione insegna sul fine della vita umana e perciò sul fine della sua società. Questa è la direzione religiosa del vivere secondo il retto pensiero, che dipende dal credere secondo la Verità trasmessa dal Salvatore. Quindi, la Cristologia ortodossa, sulla natura e volontà di Gesù Cristo, trasmessa attraverso la Tradizione orale e scritta è matrice dell’ordine sociale, formato secondo l’esempio divino del Giusto, perfetto Dio e perfetto Uomo, fede che condiziona la validità del Papato e l’opera della Chiesa anche in vista del bene dei popoli. Nella storia si ha l’esempio dell’accusa a Liberio papa accusato dai Santi Padri della Chiesa: “Sanctus Hilarius illi anathema dicit: Anathema tíbi a me dictum, Liberi, et sociis tuis” (D.S. 141). San Girolamo l’ha giudicato “in haeretica pravitate subscribens”, “ad subscriptionem haereseos” (K. 630-633). Anche Sant’ Eusebio: “coepit declarare Liberium haereticum” (Kirch, 1050). L’accusa è stata una forte testimonianza che ha servito alla preservazione della Fede in tempi in cui varie eresie servivano anche a favorire politiche imperiali di segno ariano e ecumenista.
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Nei giorni di Papa Onorio I, il Patriarca Sergio diffondeva l’eresia monotelita dell’unica volontà di Gesù, per cui tutto quanto fece era vincolato in ogni caso alla volontà divina, dunque non poteva fare altrimenti né offrire liberamente il Suo Sacrificio per «fare la Volontà del Padre». Questa falsità favoriva altre eresia in corso allora. Ora, Papa Onorio fu incriminato per il fatto di aver inviato due lettere concilianti al patriarca Sergio di Costantinopoli sulle eresie tra esse collegate del monotelismo e del monoenergismo, credendo in tal modo di mettere fine alle dispute. La formula da lui usata «una voluntas», che traspare dal contesto della prima lettera, potrebbe essere intesa in senso morale e non fisico, come uniformità di volere fra la volontà della incorrotta natura umana assunta da Cristo e la volontà divina. Il problema è che Onorio nella sua lettera a Sergio lasciava intendere ambiguamente ciò, malgrado la vera fede professata e ricordatali da San Sofronio, Patriarca di Gerusalemme, in una lettera di limpida dottrina. L’ambiguità coprì per molto tempo il fatto di Onorio aver favorito l’eresia, per cui solo dopo morto fu condannato da Papa Leone II: "Anatemizziamo Onorio, che non illustrò questa Chiesa Apostolica con la dottrina della Tradizione apostolica, ma permise, con un tradimento sacrilego che fosse macchiata la Fede immacolata (...) ricevuta dai suoi predecessori (...) Non estinse, come conveniva alla sua Autorità Apostolica, la fiamma incipiente dell’eresia, mas la fomentò con la sua negligenza" (Denz.-Sch. 563 e 561). Parimenti, il VI Concilio Ecumenico rigettò in modo assoluto e esecrò come nocive alle anime (sic) le lettere del Papa Onorio, a causa di aver "verificato che esse erano in intero disaccordo" con la Tradizione. Onorio I lottò contro gli intrighi dei giudei con tanto ardore che meritò l’epitaffio: ‘Judaicae gentis sub te est perfidia victa Sic unum Domini reddis ovile pium’. Da parte sua, San Roberto Bellarmino dedica alla difesa di Onorio molte pagine del suo ‘Controversiarum de Summo Pontifice’ (vedi tomo II de l’Opera Omnia, edizioni Vives, in 8º pp. 101ª, 108)». Eppure, lo stesso San Roberto Bellarmino afferma: «L’VIII Concilio Ecumenico per intero era del parere che in caso di eresia il Papa poteva essere giudicato». Infatti, le condanne di Papa Onorio sono pubbliche e sono perfino nel Breviario Romano e vi sono
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rimaste durante almeno duecento anni, tanto il suo delitto - di non aver difeso la Fede integra e pura come Papa - fu da esecrare (93). Nella questione delle “investiture” ecclesiastiche l’imperatore Enrico V, per storcere dal papa Pasquale II concessioni incompatibili con la dottrina della Chiesa, arrestato il Pontefice, che allora cedette. Ma poiché poi esitò lungamente in scomunicare il tiranno, annullando quegli atti fatti sotto coazione, cardinali e vescovi cattolici insorsero minacciando di ritirare l’ubbidienza dovuta al papa. Si tratta dei santi Bruno de Segni, Goffredo de Amiens, Ugo di Grenoble e Guido de Vienne, futuro papa Calisto II. Essi arrivarono a convocare un sinodo senza il papa accusato di allontanare i fedeli dalla comunione dalla sua ubbidienza dato che diveniva complice dei persecutori della Chiesa. Pasquale II cedete ai santi riconoscendo che altrimenti avrebbe perso la carica papale. Sul caso rimane il Decretum di san Ivo di Chartres: “Huius (i.e. papae) culpas istic redarguere praesumit mortalium nullus, quia cunctos ipse iudicaturus a nemine est iudicandus, nisi deprehendatur a fide devius” (Dublanchy, Dictionnaire de théologie catholique). Nessun mortale può giudicare un papa... tranne se questo devia in questioni di fede. Qui si tratta del contrasto presente in cui si proclama il «diritto» alla libertà religiosa, che non esclude le credenze derivate da quelli nefasti errori già condannati. Su tale continuità anche il Concilio Vaticano I chiarisce: «Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di San Pietro affinché questi, sotto l’ispirazione dello stesso Spirito Santo, predicassero una nuova dottrina, ma affinché con la Sua assistenza, conservassero santamente ed esponessero fedelmente il deposito della Fede, ossia, la Rivelazione ricevuta dagli Apostoli» (Denz. Sch. 3070). Il Vaticano II, in evidente rottura col Concilio Vaticano I, dichiara il «diritto» di non
931) - Nel del VI Concilio Ecumenico Papa Onorio fu condannato:
«Quia in omnibus eius mentem secutus est et impia dogmata confirmavit» (DS. 552). Papa San Leone II, sancisce la condanna: «Hanc apostolicam Ecclesiam non apostolicae traditionis doctina lustravit, sed, profana proditione (pro traditione) immaculatam fidem (dari permittendo) subvertere conatus est» (DS 563). E in una lettera diretta ai vescovi spagnoli ribadisce: «Qui flammam haeretici dogmatis non, ut decuit apostolicam auctoritatem, incipientem extinxit, sed negligendo confovit».
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seguire l’unica Legge divina insegnata dalla Chiesa; sentenza deviante mai udita prima, ma seminata da Giovanni XXIII con la sua “autorità”. 1ª conclusione: un papa, se devia dalla Fede, va accusato. L’immunità papale esiste per la difesa del Seggio papale, in qualità di prima Sede di difesa della Fede integra e pura della Chiesa; ha quindi proprio il senso contrario di proteggere chi incorre in eresia. A questo punto, in vista del fatto che la posizione pontificale esiste essenzialmente per la difesa della Fede voluta da Dio, si pone una seconda questione: se l’accusa a un papa in queste condizioni non sia più necessaria dell’accusa a qualsiasi altra persona della Chiesa. Quale cattolico potrebbe credere all’"immunità giudiziaria" di un chierico, pur papa, riguardo alla fede; un’immunità per cambiare o smentire la Parola divina? L’autorità nella Chiesa poggia sull’autorità di Cristo, di cui il Pontefice è Vicario; un’autorità per la conferma della Fede, in rappresentanza di Cristo. A tale somma responsabilità corrisponde il sommo dovere di fedeltà nella continuità; se manca, insorge il sommo pericolo di prendere la parola di un anticristo per quella di Gesù Cristo. Si vedrà che questi problemi per la preservazione della Fede nella sua suprema Cattedra, sono affrontati nel documento pontificale che qui sarà il riferimento riguardo alla legittimità del Vicario di Cristo; quello che appare come più diretto e dirimente in tal senso. Si tratta della Bolla “Cum ex apostolatus” del Papa Paolo IV, che affrontò simile situazione di diffusione eretica e protestante nel seno della Chiesa (94). Si riconosce la natura delle persecuzioni interne, le più letali per la Chiesa, prima di questa finale del Vaticano II, rivedendo gli scopi dei grandi assalti al Cattolicesimo da parte delle rivoluzioni protestanti e liberali. Entrambe s’impegnarono contro il dogma, il Santo Sacrificio della Messa e l’Autorità cattolica, per suscitare una «nuova coscienza» nella stessa Chiesa. All’attacco sono corrisposti documenti pontificali. Per arginare l’attacco protestante operò il Concilio di Trento, che nel campo liturgico, con San Pio V, codificò per sempre il Rito del Santo Sacrificio del Signore, ponendo come modello il Rito Romano. Per quanto riguarda la difesa dell’autorità cattolica nell’empia scalata, abbiamo la Bolla del Papa Paolo IV, Cum ex apostolatus, che porta una definizione apostolica sull’assoluta incompatibilità tra deviazione dalla fede e Autorità cattolica che, in rappresentanza di Dio è di 942) - Vedi articolo “Quando Roma rischiò di svegliarsi protestante” (agerecontra).
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Diritto divino e colonna del Diritto canonico della Chiesa. Perciò è nel Codice di Diritto Canonico voluto da San Pio X e pubblicato nel 1917. La Costituzione Apostolica Cum ex apostolatus officio fu pubblicata nel 1559, ultimo anno di vita di Paolo IV. Dai suoi nemici, fu attribuita a ragioni contro alcuni cardinali di cui non si fidava, come dell’influente Giovanni Morone, che fece arrestare per sospetta eresia. Paolo IV temeva una scalata da parte di cripto-eretici alle posizioni chiave della Chiesa, per questa ragione era lento anche ad assegnare nuovi titolari alle Sedi episcopali rimaste vacanti. Papa Carafa non nascondeva di sentire il dovere di prendere misure draconiane per la situazione molto grave e confusa della sua epoca; ragioni enunciate esplicitamente anche all’origine di diversi altri atti del suo pontificato. Così l’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum) e la Bolla “Cum secundum Apostolum” del 16 dicembre 1558, con pene severissime contro i cardinali incorsi in simonia o intrallazzati con il potere politico per conquistare la tiara. Non meravigliano perciò l’odio e le calunnie suscitate dai nemici della Fede contro il Papa e alcuni dei suoi atti, di cui la Bolla “Cum ex apostolatus officio”, decisiva per evitare che la Roma cattolica prendesse la piega del protestantesimo ecumenista che è arrivata solo con Giovanni XXIII quattro secoli dopo. Allora, s’investigava i sospetti di simpatie di alcuni cardinali verso le nuove idee religiose. Le inchieste sul Cardinale inglese Reginald Pole e sul Cardinal Morone sono due vistosi esempi delle tendenze regnanti. I nemici di Paolo IV lo accusarono anche di aver incriminato e fatto imprigionare il Cardinale Morone senza prove, tant’è vero che, morto Paolo IV, egli fu liberato e partecipò al conclave per l’elezione papale. Esaminiamo i motivi che indussero Papa Carafa ad adottare misure disciplinari nei confronti dei due porporati. Reginald Pole si stabilì nel 1540 a Viterbo, e attorno a lui, Giovanni Morone, Vittoria Colonna e Carnesecchi, già protonotario di Clemente VII, e anche lo spagnolo Juan de Valdez, un “alumbrado”, versione ante litteram dei moderni carismatici, movimento che attrasse pure intellettuali, artisti e dame note quali Giulia e Eleonora, cugina e sorella del Cardinal Gonzaga. Costoro, con fede incerta, accettando il principio luterano della giustificazione per la sola fede, giunsero ad accogliere quella dottrina poi respinta dal Concilio di Trento, della “doppia giustificazione”. 262
Diffusero pure “Il Beneficio di Cristo”, trattatello eretico condannato dal Sant’Uffizio. Il pericolo di queste correnti si rivelò in quegli anni alle autorità ecclesiastiche con l’apostasia di due predicatori: l’austero oratore Occhino, che fu vicario generale dell’Ordine Cappuccino e il canonico Vermigli, anch’esso “maestro”, passati al Protestantesimo. L’accusa a Pole e Morone era di simpatia verso questi, anche se non si poteva provare che avessero aderito all’eresia, ma entrambi, propensi ad aperture dottrinali, furono vicini ad essere eletti al Sommo Pontificato, con enorme pericolo per la Fede. Il Cardinale Pole, attaccato dal Cardinale Carafa, perché incline ad idee di giustificazione protestante, non fu eletto papa nel conclave del 1549 per un solo voto. E Giovanni Morone era ancora una minaccia nel conclave del 1566, per cui il Cardinale Michele Ghislieri, futuro San Pio V, dovette ricordare la nullità dell’elezione di chi era sospetto d’eresia. E, sulle orme del Cardinale Carafa, che si era presentato al conclave precedente con gli incartamenti riguardanti il Cardinale Pole, egli portò quelli concernenti il caso Morone, facendo presente ai membri del Sacro Collegio le direttive enunciate dalla Costituzione Apostolica “Cum ex apostolatus officio” di Paolo IV. San Pio V non mancò di riconfermare detta Costituzione paolina con la Bolla “Inter multiplices” e confessò, asserisce il Von Pastor, storico della Chiesa, di aver accettato la sua elezione a papa “perché altrimenti essa, a svantaggio della Santa Sede, avrebbe potuto cadere sul Cardinale Morone”. Questi santi Papi, hanno difeso la Chiesa, non solo dalle dottrine protestanti che sfidavano apertamente la dottrina cattolica, ma anche dai compromessi striscianti più dannosi, perché travestiti da sentimenti di tolleranza, da ecumenismi di fratellanza, che aprono ai loro fautori la via alla carica di autorità nella Chiesa. In tal caso si tratta di una elezione possibile solo umanamente, perché di fatto nulla, come in qualsiasi tempo è nulla l’elezione di un modernista. Ma il danno incalcolabile deriva dall’interregno sotto una falsa autorità, la cui deviazione è causa di quella generale scristianizzazione, i cui segni sono purtroppo più che evidenti nel mondo contemporaneo. Lo zelo intrepido di Paolo IV per la Chiesa fu ripreso da San Pio V. Egli rinvigorì il Tribunale dell’Inquisizione Romana che rinnovò la condanna del razionalismo di Lelio e Fausto Socini e condannò, come eretici recidivi, Pietro Carnesecchi (del gruppo di Viterbo), l’umanista
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Aonio Paleario e Michele Baio (Michel du Bay), la cui dottrina era un compromesso tra il protestantesimo ed il futuro Giansenismo. Si può pensare che essi, col loro prestigio teologico, sarebbero divenuti gran periti, alla stregua dei Rahner, Schillebeeckz, Hans Kueng, Congar, Ratzinger e compagnia, per un “Trento II”. Contro ogni previsione umana, la Provvidenza ha sempre dato alla Chiesa fedele i papi del suo rinnovamento spirituale. Anche nel secolo scorso, contro ogni calcolo umano e intrigo politico, contro la sua stessa volontà, fu eletto San Pio X. Tutto dipende dallo Spirito Santo che vigila sulla Chiesa per tenerla al riparo dalla perfidia umana, assistendo i papi che devono però governare la Chiesa loro affidata come se la libertà della stessa dipendesse solo dalla loro azione. Essi devono impedire che le porte della Chiesa siano aperte al mondo, che prelati di fede malferma siano promossi, che uomini di ortodossia sospetta siano elevati alla porpora o a qualsiasi dignità ecclesiastica con potere di giurisdizione. Questo è quanto ha cercato di fare Papa Paolo IV, il quale ha insegnato che nel caso sia eletto in un conclave, anche se legittimo e con l’unanimità dei cardinali, un individuo che si rivelerà, poi. deviato nella dottrina, l’assistenza dello Spirito Santo si volge ai figli della Chiesa, affinché riconoscano la nullità della sua elezione, affinché possano resistere e reagire all’opera di distruzione della Chiesa. E qui si vedrà che nessuno, in nessun tempo, s’inquadrò come Roncalli così completamente a quanto stabilisce questa Bolla. La Costituzione Apostolica in forma Bullae “Cum ex Apostolatus officio”, di traduzione difficile a causa dell’estensione dei periodi dell’originale è qui riassunta nel suo contenuto essenziale. Il testo in lingua latina è tratto dal “Bullarium Romanum” edizione pubblicata a Torino nel 1860. Dall’esordio si conosce il suo scopo; impedire il Magistero dell’errore di coloro che insorgono contro la vera ortodossia pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture per mezzo di fittizie invenzioni. Finalità della Costituzione: “Allontanare i lupi dal gregge di Cristo”. “Noi riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla Fede possa essere redarguito (possit a fide devius, redargui), 264
poiché quanto più grande è il pericolo tanto più diligentemente ed in modo completo si deve provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé‚ alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli affidati alle loro cure e governi per le necessità spirituali o temporali; ne accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come ci impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario.” Pene per il delitto di favoreggiamento delle eresie: Incorreranno in sentenza di scomunica «ipso facto», tutti quelli che scientemente (scienter) si assumeranno la responsabilità di accogliere (receptare) e difendere, o favorire (eis favere) coloro che, come già detto, siano colti sul fatto, o confessino o siano convinti in giudizio, oppure diano loro attendibilità (credere) o insegnino i loro dogmi (eorum dogmata dogmatizare); e siano tenuti come infami; ne siano ammessi, ne possano esserlo (nec admitti possint) con voce, sia di persona, sia per scritto o a mezzo delegato o di procuratore per cariche pubbliche o private, consigli, sinodi, Concilio generale o provinciale, né conclave di Cardinali, né congregazione di fedeli od elezione di qualcuno... Inoltre, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro Chiese, anche Cattedrali, Metropolitane, Patriarcali e Primaziali, delle loro dignità, monasteri, benefici e cariche ecclesiastiche in qualsivoglia modo dalle qualifiche ottenute anche regolarmente...” Nullità della Giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici. “Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un Vescovo, anche se agisce in qualità di Arcivescovo o di Patriarca o Primate od un Cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un Legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a Cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla Fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (nulla, irrita et inanis existat), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e 265
l’unanime consenso di tutti i Cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’introniz-zazione o “adoratio” dello stesso Romano Pontefice o per il decorso dell’obbedienza lui prestata da tutti o per qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, ne essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (nullam... facultatem) a tali persone promosse come Vescovi od Arcivescovi o Patriarchi o Primati od assunte come Cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere.” La liceità delle persone subordinate di recedere impunemente dalla ubbidienza alle autorità… deviate dalla Fede. “E sia lecito a tutte e a ciascuna delle persone subordinate a coloro che siano stati in tal modo promossi o elevati, ove precedentemente non abbiano deviato dalla Fede ne siano state eretiche e non siano incorse in uno scisma o questo abbiano provocato o commesso, e tanto ai chierici secolari e regolari così come ai laici (quam etiam laicis) come ai Cardinali, compresi quelli che avessero partecipato all’elezione di un Pontefice che in precedenza aveva deviato dalla Fede o fosse eretico o scismatico o avesse aderito ad altre dottrine, anche se gli avessero prestato obbedienza e lo avessero adorato... anche quelli obbligati e vincolati a coloro così promossi od elevati per vassallaggio o giuramento o per cauzione, sia lecito (liceat) ritenersi in qualsiasi tempo ed impunemente liberati dalle devozione (ab ipsorum obedientia et devotione, impune…) verso quelli in tal modo promossi ed elevati, evitandoli (evitare eos) quali maghi, pagani, pubblicani ed eresiarchi, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza a prestare ai futuri Vescovi, Arcivescovi, Patriarchi, Primati, Cardinali 266
e Romano Pontefice canonicamente subentranti (ai deviati). E a maggior confusione di quelli in tale modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare, né per questo, coloro che si sottraggono alla fedeltà ed all’obbedienza verso quelli nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna censura...” False obiezioni alla Bolla di Papa Paolo IV La risposta che segue è dell’egregio giudice Carlo Alberto Agnoli. « I) La principale tesi che si adduce contro chi invoca la Bolla di Papa Paolo IV è che si tratterebbe di una disposizione a carattere puramente legislativo e non dogmatico e che, di conseguenza, essa, non essendo stata riprodotta nel Codex Juris Canonici del 1917, dovrebbe intendersi decaduta a mente del canone 6 del medesimo Codex. Ora, a parte l'obiezione, pur fondamentale e dirimente, che si tratta invece di una pronuncia a carattere dogmatico come risulta chiaramente sia dalle espressioni tipiche con cui viene formulata "de apostolica potestatis”; plenitudine sancimus, statuimus, decernimus et definimus" - "in perpetuum valitura... " sia dal fatto che essa si riporta, come risulta dai suoi precedenti già citati in questo lavoro, alle parole scritturali e quindi all'insegnamento divino "qui non credit jam judicatus est" (Joan. III), va detto che tale tesi è palesemente infondata anche per i motivi che qui di seguito si espongono: Prima di tutto, non è affatto vero che il Codex non riporti tradotto in termini appunto codicistici il contenuto della bolla. Esso, al contrario, la riproduce integralmente al Canone 188 par. 4, che testualmente recita: "Ogni ufficio rimane vacante per tacita rinuncia 'ipso facto' e senza alcuna dichiarazione se il chierico si sia allontanato dalla fede cattolica pubblicamente ". «Ora, è indubitabile che il Papa ricada nella categoria dei chierici perché il Canone 108 par. 3, definendo tale categoria, espressamente lo ricomprende. Questo richiamo è già sufficiente a stabilire la piena e totale validità e attualità della bolla, anche perché il precedente can. 6, a sproposito invocato per sostenere la tesi contraria, espressamente stabilisce: # 4: "in dubium aliquod canonum praescriptum cum veteri jure discreper, a veteri jure non est recedendum"; e la bolla di Paolo IV faceva parte del 'Corpus Juris Canonici’. Non si deve quindi discostare da tale diritto. 267
«Un altro argomento, pure decisivo, a sostegno del nostro assunto è dato dal fatto che il documento in questione è iscritto tra le fonti del Codex. In questo contesto normativo è evidente che la tesi qui oppugnata è frutto di una scarsa dimestichezza con le regole dell'ermeneutica e con i testi giuridici. «Come ultima e disperata ‘ratio': ci si aggrappa al disposto del canone 2314 che, nello stabilire la scomunica "latae sententiae" a tutti gli eretici e scismatici e quindi anche a chi, appartenendo a una di tali categorie, sedesse sul Soglio di Pietro, statuisce anche che essi vengano deposti dall'ufficio da loro ricoperto se, dopo duplice ammonizione, non si siano ravveduti. Senonché è principio fondamentale di ermeneutica giuridica che non vi può essere contrasto fra due proposizioni di una medesima legge. Ora, l'apparente discrepanza si risolve agevolmente considerando che il can. 188 par.4 si inquadra nella normativa generale del Codex, mentre il can.2314 rientra nella normativa speciale inerente alle sanzioni contro i delitti (pars tertia, titulus IX) e quindi alle modalità di erogazione delle sanzioni, cioè a una fase per così dire procedurale che, come tale, è subordinata a quella sostanziale ad opera se ad in quanto la procedura possa essere seguita. «Ora, è evidente che la procedura di cui al can. 2314 si riferisce alle modalità con cui un organo gerarchicamente superiore giudica e punisce le infrazioni di un inferiore e non sarebbe quindi applicabile a chi, anche solo apparentemente, detenesse nella Chiesa la “plenitudo potestatis" il quale, non potendo essere ammonito da nessuno "ratione jurisdictionis”: lo può essere invece da chiunque "ratione charitatis”: «Si può inoltre argomentare che il can. 2314 è composto da due parti distinte: a) imposizione della pena di scomunica "ipso facto" a tutti i delinquenti in materia di fede; b) distinzione dell'erogazione delle sanzioni secondo la forma del delitto: «1) se non è pubblico, stabilisce le ammonizioni necessarie perché lo diventi e non sia inoltre frutto di ignoranza della dottrina della Chiesa. Se queste ammonizioni non sortono alcun effetto di ravvedimento nel delinquente, viene dichiarata la deposizione dall'ufficio o dal beneficio. «2) se è pubblico ("publice adheserint") mantiene la vacanza ipso facto stabilita dal can. 188 par. 4 ("firme").
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«In ogni caso, l' "occasio legis”: e cioè il timore da parte di Papa Paolo IV che nel conclave convocato successivamente alla sua morte potesse essere eletto il cardinale Morone - sospettato di eresia, ma che mai era stato ufficialmente riconosciuto come eretico - dimostra l'evidenza che la Bolla intendeva colpire chiunque versasse in eresia anche se non in precedenza riconosciuta. «L'interpretazione qui patrocinata del resto (e cioè l'invalidità "ipso jure" dell'elezione a pontefice romano di un eretico o scismatico è pacifica in dottrina, tant'è vero che l'Enchiridion Juris Canonici già citato nelle note afferma: "Eligi potest quolibet masculum, usu rationis pollens, membrum Ecclesiae. Invalide ergo eligerenfur feminae, infantes, hahituali amentia laborantes, non baptizati, haeretici, schismatici" (SIPOS- GALOS, op.cit., p. 187.1) «A conclusione di queste asserzioni, osserviamo "ad abundantiam": 1) che la BoIla di Paolo IV è stata ribadita anche da San Pio V con il Motu proprio "Inter multiplices curas". 2) che il Codex del 1917, lungi dallo svalutarla, ne ha addirittura ampliato la portata chiarendo ciò che in essa era solo implicito, e cioè che anche l'eresia superveniens causa la decadenza del Pontefice Romano come da ogni altro ufficio ecclesiastico. «Tra le obiezioni che vengono ulteriormente sollevate per inficiare la validità della Bolla di Papa Paolo IV, ricorre sovente, quella secondo cui Pio XII con la costituzione "Vacantis Sedis apostolicae" dell' 8 dicembre 1945, ha derogato l'applicazione del documento paolino in oggetto. Pio XII, infatti, ha dichiarato che: "Nessun cardinale può essere escluso dall'elezione attiva e passiva del Sommo Pontefice, con il pretesto o il motivo di non importa quale scomunica, sospensione, interdetto o impedimento ecclesiastico. Queste censure infatti, restano sospese solamente per questa elezione" e conservano "il loro effetto per il resto" (PIO XII, Acta apostolicae sedis, Roma, annata 1945, Titolo II, cap. 1, par. 34). La lettura di questa frase dimostra in modo evidente che l'obiezione è priva di fondamento. «Non si tratta infatti come nella Bolla di Paolo IV di eresia, ma di censure disciplinari. L'eresia come l'apostasia, non si oppongono alla disciplina della Chiesa, bensì alla fede, e non entrano quindi, nella categoria degli "impedimenti ecclesiastici", di cui parla Pio XII nella costituzione sopra citata.
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«Bisogna inoltre ancora ricordare che non è la Chiesa che scaccia dal suo seno gli eretici e gli apostati, come invece accade per coloro che danno pubblicamente scandalo. Sono gli eretici e gli apostati che l'abbandonano e che da allora non gli appartiene più e non a causa delle pene (anatema o scomunica), di cui essa li colpisce a volte ulteriormente, ma per effetto della loro diserzione. La differenza tra la nozione di eretico e quella di scomunicato ci è data a conferma di ciò dal Catechismo del Concilio di Trento (Siena, cap. X, par. 3).» Come si è visto, mai nella Chiesa si esitò a giudicare qualsiasi autorità, pure in veste pontificale, che ponesse in rischio l’integrità della Fede. La questione della legittimità di Giovanni XXIII Il Concilio di Sutri nel 1046 giudicò Benedetto IX e Silvestro III per simonia e nepotismo. L’altro Concilio di Sutri del 1059 giudicò e depose Benedetto X eletto con la forza. Il Concilio di Costanza, dopo quattro secoli, giudicò e depose Giovanni XXIII e Benedetto XIII, che fu accusato non solo di scisma, ma di eresia: "a fide devium", gli stessi termini del Decreto di Graziano (37ª sessione). In questioni riguardanti la Fede nessuno può invocare la “immunità giudiziaria” del papa garantita dal Canone 1556. Sarebbe la difesa di un uomo a scapito della ragione stessa della sua autorità, cioè la Fede. Per questi casi ci sono i canoni: 188, 2314, 2315. Qui si parla del Codice di Diritto Canonico del 1917, precedente a quello voluto da Giovanni XXIII e approvato da Giovanni Paolo II nel 1983, per la ragione che proprio della questione della loro autorità si tratta e perciò riguarda qualsiasi aggiornamento delle dottrine e leggi riferite alla questione di autorità della Chiesa, quindi di Diritto divino che rimanere uguale in qualsiasi nuovo Codice Canonico della Chiesa. Ora Roncalli, divenuto Giovanni XXIII, seguiva principi modernisti proclamati e “insegnati” pubblicamente, pensieri alla radice di eresie raccolte in quel bestiario eretico che è il modernismo. La conferma che Roncalli era modernista e massone, risolve per intero la questione dell’illegittimità della sua elezione pontificale. Esiste questa conferma? Se esiste è razionale e si può riassumerla anche brevemente. 270
Il «fermento» modernista professato da Roncalli Da più di um secolo il Magistero della Chiesa accusa e condanna il modernismo. Mancherebbe il legame certo tra la «fede» di Roncalli e questa eresia? È vero che costui non lo ha confessato pubblicamente, anzi, ha giurato il contrario. Ma il giudizio, anche civile, avviene in vista dei fatti, tralasciando allora la dichiarazione giurata del reo che si dichiara non colpevole. Per Angelo Roncalli conta allora solo quanto ha realizzato per ottenete la modernizzazione ecumenista della Chiesa. Quest’opera è un fatto certo con le aggravanti d’inganno e di spergiuro, della premeditazione e della falsa «ispirazione celeste» per convocare il Vaticano II, ribadita in ogni occasione pure dai suoi successori. Quanto descritto qui serve per vagliare la premeditazione di tutta una vita per far trionfare idee moderniste e massoniche di senso opposto alla Fede cattolica. Se tutto quanto descritto non basta a far capire l’attacco alla Fede, rimane dimostrato un interesse più nella difesa di persone che della Fede. Allora il problema è ben altro; è il legame che manca a molti per un giudizio che spetta a tutti i fedeli, dai consacrati ai laici figli della Chiesa cattolica per la preservazione della sua unica autorità perché conforme all’autorità di Dio. Si crede falsamente che l’autorità della Chiesa, alla pari di quella di governi civili, può essere deviata e fallace come ogni autorità umana; si crede in un’altra chiesa; già non si crede nella Chiesa divina; già non si difende la sua Fede, riconoscendo i suoi nemici; già non si ha la fede cattolica per la distinzione delle sue autorità fedeli; già non si può giudicare sul vero e sul falso religioso. In breve, in tal caso si prospetta l’apostasia che accetta culti protestanti, dottrine sociali moderniste e l’aggiornamento all’illu-minismo ecumenista massone, aggiornato a nuove perversioni. Sunto sulla radice modernista del «roncalpensiero» Nel suo discorso il 15 marzo 1953 nella Basilica di San Marco, il giorno della sua entrata nella diocesi di Venezia, si dice «sempre preoccupato più di ciò che unisce che di quello che separa e suscita contrasti». Idea ecumenista grata ai massoni come il Barone Marsaudon e ripetuta da Roncalli anche in Turchia: «Io sono ottimista. Io cerco in ogni cosa di sviluppare più ciò che unisce, che ciò che divide». È il «principio» ispiratore anche di Paolo VI, nella “Ecclesiam suam”, l’enciclica del dialogo: «Facciamo nostro il principio: mettiamo in 271
evidenza, anzi-tutto, ciò che ci è comune, prima di notare ciò che ci divide». Un «principio» falso per la fede cattolica secondo “Acta Apostolicae Sedis”, (42-0950-142-147): «Si vegli che, sotto il falso pretesto che bisogna considerare di più ciò che unisce che ciò che ci separa, non si alimenti un pericoloso indifferentismo». Si noti che tale «principio» veniva applicato “a gente di religioni e ideologie diverse”: eretici, scismatici, massoni, atei, comunisti, etc. Cosa ci separa? Sì, soltanto la Fede! Ma ciò preparava ben altro: Il Magistero fino a Pio XII era chiaro: “Nella Chiesa sono contati come suoi membri i soli che, avendo ricevuto il Battesimo, professano la vera fede’’(D.S. 3802). In qualsiasi Catechismo è detto chiaramente che la professione di fede è condizione per essere membro del Corpo Mistico di Cristo, la Chiesa cattolica. Ora, come si è visto lo spirito del Vaticano II promosso da Giovanni XXIII voleva che la Chiesa fosse aperta a tutta l’umanità; anche a quanti non credevano. I fatti umani e naturali dovevano unire più che il pensiero soprannaturale. Ciò è alla radice di nuove «teologie», come quella della «liberazione”, aperta alla lotta armata, che porta il prete guerrigliero Camillo Torres: Giovanni XXIII mi autorizza a marciare insieme con i comunisti»! (che condanna la società cristiana). Ma, alla pari del sofisma di tali aperture, Giovanni XXIII parla di una misericordia che si rifiuta di condannare l’errore; sarà allora l’errore a condannare la Fede integra! Roncalli a Parigi si dimostrò d’accordo col cardinale Suhard, capofila del progressismo che scrisse la “Lettera pastorale” “Essor ou déclin de l’Eglise”, per denunciare il male dell’integrismo, “lettera” che era “manifesto della nuova Chiesa emergente” sgradito a Pio XII. Ma Roncalli così descrive i rapporti col Suhard: «Cinque anni di contatti spirituali, tra di noi, avevano suggellato una fraternità di sentimento che nessuna ombra, neppure la più lieve, venne mai a turbare.» (95). Nel febbraio 1949, il card. Suhard pubblicò una dichiarazione in cui annunciava “l’abituale e stretta collaborazione col comunismo”; una collaborazione possibile, mentre Pio XI, nella “Divini Redemptoris”, aveva dichiarato il comunismo intrinsecamente perverso e nessuna collaborazione con esso potrebbe essere permessa. 95) - Cfr. Lettera a Pierre Brot, vescovo ausiliare del card. Suhard, cit. Hebblethwaite, p. 318.
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Roncalli approvava “l’esperimento dei preti operai” nel senso opposto, dicendo: «Noi siamo divisi soltanto dalle opinioni politiche. Non vi sembra che si tratti, tutto sommato, di cose poco importanti?». Roncalli fin dagli anni venti fu sempre “ecumenista” nel senso liberale, poi conciliare, per dire: «la responsabilità della rottura è tutta dei nostri fratelli separati? È in parte, loro, ma, in gran parte, nostra». Lo ripetè nella settimana di studi sull’“Oriente Cristiano”, a Palermo (18 settembre 1957), ignorando che Pio IX condannava la tesi per cui furono gli arbitrii dei Papi a causare lo scisma (96). Il giornalista Wilton Wynn (97) esprime lo stesso concetto del gesuita Martina; come pure l’ex-gesuita Hebblethwaite: «Giovanni XXIII non operava attraverso canali “ufficiali”; preferiva ricorrere a persone più consone alle sue idee, nelle quali riponeva fiducia. Voleva un Concilio nominalmente ecumenico, ma per l’inversione ecumenista! Il giorno prima dell’elezione di Giovanni XXIII, Bea scriveva: «ora, non si può dire nulla sulla riforma. La prima questione è quale atteggiamento assumerà, in proposito, il nuovo Papa. Infatti, non tutti i cardinali erano d’accordo che la riforma si facesse» (98) Mentre moriva Pio XII, Dom Lambert Beauduin, il capofila del movimento ecumenista liturgico, condannato da Pio XI con la sua “Mortalium animos”, diceva a P. Bouyer, nell’abbazia di Chevetogne: «Se eleggessero Roncalli, tutto sarebbe salvo: sarebbe capace di convocare un Concilio e di consacrare l’ecumenismo… Abbiamo la nostra chance; i cardinali, in maggioranza, non sanno quello che devono fare. Sono capaci di votare per lui» (99). Difatti… fu decisa allora la “primavera della Chiesa” e della “nuova Pentecoste” che, invece di disperdere “le tenebre dell’errore”, “si fece un gran buio sulla terra (…) per l’oscurarsi del sole” (Lc. 23, 44-45). Inutile il tentativo della Curia di arginare e frenare quelle direttive! Giovanni XXIII, quando gli presentarono un bilancio del lavoro 96) – Cfr. Lett. Ap. «Ad Apostolicae», 22.08.1851; «Sillabo», Ds
2938. 97) - Cfr. Wilton Wynn, “Custodi del Regno”, Frassinelli 1989, p. 50.
98) - Cfr. Stepan Schmidt, “Agostino Bea, il cardinale dell’unità”, p.
231. 99) - Cfr. L. Bouyer, “Dom Lambert Beauduin, un Homme d’Eglise”, Casterman, 1964, pp. 180-181, citato dall’Abbé Didier Bonneterre, “Le Mouvement litugique”, Fideliter, 1980, p. 112.
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preparatorio, ebbe a dire che “la preparazione del Concilio non sarà l’opera della Curia Romana”, e nell’incontro di Pentecoste del 5 giugno 1960 fece una chiara distinzione tra Curia e Concilio (100). A Giovanni XXIII bastava il parere del suo amico Montini. Infatti, ecco la lettera scritta a Montini il 4 aprile 1961: «Dovrei scrivere a tutti i vescovi, arcivescovi e cardinali del mondo… ma, per intendere tutti, mi accontento di scrivere all’arcivescovo di Milano, perché con lui io li porto tutti nel cuore, così come per me egli tutti rappresenta» (101). Jean Guitton, l’amico di Montini, scrisse: «Pio XII lo sapeva, diceva lui stesso di essere “l’ultimo Papa”, l’ultimo anello di una lunga catena» (102). Negli anni ‘50, la situazione della Chiesa era florida e in espansione. Ma Pio XII sapeva che si stava preparando una crisi inaudita “nel seno stesso e nelle viscere della Chiesa”, come aveva già detto Pio X! Ciò avvenne proprio con l’elezione di Giovanni XXIII. Il suo amico massone, il Barone Marsaudon, scrisse: «Per noi (massoni) era una grande emozione (la sua nomina a papa!), ma, per molti dei nostri amici fu un segno» (103). E la prima idea fu di creare cardinale «Montini, il primo frutto del nostro pontificato»! Anche sul letto di morte, il 31 maggio 1963, Giovanni XXIII raccomanderà Montini: «su di lui dovrebbero convergere i voti del Sacro Collegio» (104). Con l’istituzione del “Segretariato”, Giovanni XXIII, il 5 giugno 1960, approvò il “Movimento ecumenico”, quello condannato da Pio XI! Tale “Movimento ecumenico” nacque sulla fine del secolo scorso, nel-l’ambito delle sètte protestanti, preoccupati dal continuo frantumarsi del loro mondo religioso. Sfociò, poi, con l’adesione degli “Ortodossi”, nel “Consiglio Ecumenico delle Chiese” (CEC), fondato nel 1948 ad Amsterdam da 147 “chiese” (!) cristiane. Tre Decreti del Sant’Uffizio (del 4 luglio 1949 del 5 giugno 1948, del 20 dicembre
100) - Cfr. Caprile G. “Il Concilio Vaticano II. Annuncio e Preparazione”, Roma 1059-60, p. 192. 101) - Cfr. Hebblethwaite, “Giovanni XXIII. Il Papa del Concilio”, pp. 485-486. 102) - Cfr. “30 Giorni”, anno X, n. 11, novembre 1992, p. 70.
103) - Cfr. Yves Marsaudon, “L’Oecumenisme vu par un Francmaçon de tradition”, ed. Vatian, Paris 1964, p. 47. 104) - Cfr. Hebblethwaite, op. cit., p. 385.
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1949) misero il “veto” a chiunque di parteciparvi e la famosa enciclica di Pio XI, “Mortalium animos” (1928) aveva condannato quel “Movimento ecumenico”, detto “pancristiano”. Ma nel Concistoro del 14 dicembre 1959, fu creato cardinale il gesuita Bea, “senza il quale Giovanni XXIII non avrebbe probabilmente avuto il Concilio che voleva”. La “Commissione per promuovere l’unità dei cristiani”, diventerà “Segretariato”, perché - dirà al card. Bea - «Le Commissioni hanno la loro tradizione; chiamiamo il nuovo organismo “Segretariato”, così non siete legati ad alcuna tradizione; siete più liberi!». Il Movimento ecumenico attuò subito “storici incontri” coi vari rappresentanti delle religioni. Per esempio; il 13 giugno 1960, Giovanni XXIII ricevette, segretamente, Jules Marx Isaac, iniziando il dialogo con il giudaismo. Il 2 dicembre, incontrò il Primate anglicano, avviando altri incontri con gli acattolici per averli quali “ospiti” o “osservatori”, da anglicani ad altri protestanti, dai massoni della loggia giudeo-massonica del B’nai B’rith (18 gennaio ‘60) ai scintoisti di Kyoto (30 luglio ‘62), ecc.; incontri che alimentarono la “fiammata ecumenista” perdurante oggi, ma si noti, dall’inizio nutrite solo dalle sciocchezze «teologiche» di Roncalli: è cristiano chi fa “buone azioni”, anche se non crede; non è cristiano chi non è buono, anche se è battezzato e credente. Secondo Roncalli, il cristianesimo è ridotto a un sentimento naturale pareggiato a quello soprannaturale, dove la Fede è un optional! All’ombra di tali idee operava il “Segretariato” di Bea che in due anni preparò lo schema contrario alla dottrina cattolica, da presentare al Vaticano II, sotto la responsabilità di Giovanni XXIII, che professava l’indifferentismo religioso eretico che fa perdere la fede alle anime semplici! Per lui, un musulmano è gradito a Dio come un cristiano. Era l’idea di «cristiano anonimo» del gesuita Rahner, per cui anche chi non crede in Cristo, potrebbe essere cristiano. Idea che sfondò nel Vaticano II all’insegna del «pensiero» di Roncalli. Il massonico «roncalpensiero»: Ci sono serie ragioni, pur se indirette, che permettono di credere all’iniziazione di Roncalli nella Massoneria. Nell’intervista a “L’Italia Settimanale” e poi al mensile ciellino “Trenta Giorni”, Virgilio Gaito, Gran Maestro del Grand’Oriente d’Italia, alla domanda: «Le risulta che ci siano dei sacerdoti nelle logge del Grande Oriente, si dice che qualche cardinale 275
sia stato un fratello…», rispose: «Probabilmente. Io non ne ho notizia. Si dice che Giovanni XXIII sia stato iniziato alla massoneria quando era Nunzio a Parigi. Riferisco quello che mi è stato detto. Del resto, nei suoi messaggi ho colto molti aspetti che sono proprio massonici. Mi ha fatto piacere sentirgli dire che bisogna porre l’accento sull’uomo»! (105). Sulla sua amicizia con il Barone Yves Marie Antoine Marsaudon della Gran Loggia di Francia e, dal 1932, Maestro Venerabile 33° della Loggia “La Repubblica” 7, lo attesta lui stesso nei suoi tre libri. Egli ha scritto: «In occasione dei nostri numerosi incontri… nel silenzio del suo studio, abbiamo potuto avere col Nunzio colloqui sempre più vivi anche delle nostre modeste concezioni sui rapporti tra la Chiesa e la Massoneria… infine, fummo condotti a parlare del riavvicinamento tra le diverse Chiese cristiane… Potemmo toccare questioni assai delicate riguardanti alcune discipline Romane e persino il dogma… e “quelle che sentiva nell’aria”, come, ad esempio, sul dogma mariano dell’Assunzione della santa Vergine al Cielo. Marsaudon domanda: “Eccellenza, che pensare delle voci che corrono sulla promulgazione del nuovo dogma mariano?”, Mons. Roncalli rispose: “Che leggiamo nel Vangelo? La Madre di Gesù passa quasi inavvertita e non sempre trattata bene da suo Figlio. Ricordatevi: ‘Chi è mia Madre e chi sono i miei Fratelli?’... poi, stendendo la mano sui discepoli, disse: ‘Ecco mia Madre ed i miei Fratelli, poiché chiunque fa la volontà del Padre mio, che è nei Cieli, è mio Fratello o mia Sorella, o mia Madre…’; e una dura risposta alle Nozze di Cana: ‘Donna, che vuoi da me?’... Poi, è la Madre dolorosa, ma molto umana, ai piedi della Croce”. Improvvisa-mente, come s’indovinava a Roma, il dogma dell’Assunta fu da Pio XII” promulgato (106). E spiega questo sentire di Roncalli dicendo che egli aveva una “grande prudenza (?) di fronte ad ogni novità dogmatica. Pensava sempre agli altri e all’effetto che poteva produrre, sui Cristiani separati, tale o tal’altra innovazione». Quindi, secondo Marsaudon, Roncalli era contrario al dogma dell’Assunzione per motivi ecumenici, interpretazione confermata da altri episodi 105) - Cfr. “La loggia è una casa di vetro”. Intervista di Fabio
Andriola a Virgilio Gaito pubblicata da “L’Italia settimanale” del 26 gennaio 1994 (n. 3), p. 74. 106) - Cfr. Yves Marsaudon, “L’Oecumenisme vu par un Franc-Maçon de Tradition”, Ed. Vitiano, Paris 1964, p. 45-46.
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analogo. Da Patriarca di Venezia, con una lettera del 1954, si rifiutò di sottoscrivere una petizione per istituire la festa di Maria Regina, per gli stessi motivi ecumenici esposti prima. I rapporti tra Marsaudon e Roncalli continuarono stretti. Da Nunzio a Parigi, appoggiò la nomina di Marsaudon a Ministro dell’Ordine di Malta, e quando costui manifestò al Nunzio la sua perplessità ad accettare, perché apparteneva alla Massoneria, il Nunzio gli consigliò di accettare, pur restando nella Massoneria. Infatti, fu Giovanni XXIII, il 24 giugno 1961, festa di S. Giovanni Battista, patrono dell’Ordine, ricevendo in Vaticano i Cavalieri dell’Ordine, a rendere loro noto il suo “Breve”, con il quale sopprimeva la Commissione cardinalizia voluta da Pio XII, ed approvava le nuove costituzioni dell’Ordine, autorizzandolo ad eleggersi ancora un Gran Maestro, che Pio XII, invece, aveva rigorosamente proibito! Un gesto che dava via libera all’infiltrazione massonica e non soltanto nell’Ordine di Malta. Ricevendo poi Marsaudon a Castel Gandolfo, lo incoraggiò all’opera di riavvicinamento tra le Chiese, come tra la Chiesa e la Massoneria. Il Gran Maestro del Gran Loggia di Francia, Dupey, ha dichiarato che «Giovanni XXIII e il Vaticano II hanno dato un impulso formidabile al lavoro di chiarificazione e di disarmo reciproco nei rapporti tra Chiesa e Massoneria». Pure il Gran Maestro della Massoneria, Salvini, nel 1970 dichiarò: «Giovanni XXIII ha recentemente pubblicato un documento che si avvicina molto su questo tema al nostro comportamento (ossia: nel non domandare ai fratelli di che religione essi siano); infatti, la “Mater et Magistra” e la “Pacem in terris” offrono spunti molto suggestivi sull’avvicinamento umano, anche là dove esistono differenze ideologiche» (107). Alec Mellor scrive: «L’ultima fase doveva essere preparata dall’aggiornamento voluto da Giovanni XXIII e poi da Paolo VI» (108). E Roberto Fabiani scrive: «Fu Giovanni XXIII a rompere il ghiaccio con un provvedimento passato sotto completo silenzio: autorizzò i protestanti, convertiti al cattolicesimo e iscritti alla Massoneria, a restarsene tranquilli nelle logge. D’allora i segnali di contatti si moltiplicarono…» (109). 107) - Cfr. Hebblethwaite, op. cit., pp. 455-456. 108) - Cfr. Alec Mellor, “Dictionnaire de la Franc-Maçonnerie et Franc-Maçon”, Belfond, Parigi, 1971-1979, p. 79. 109) - Cfr. R. Fabiani, “I Massoni in Italia”, L’Espresso 1970, Farigliano, p. 85.
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Il Padre gesuita José Antonio Ferrer Benimelli, conferma la posizione possibilista di Roncalli sulla doppia appartenenza. Così la Chiesa fu aperta alla Massoneria, per cui lo scrittore Léon de Poncins scrisse che «con l’elezione di Giovanni XXIII… si ebbe nettamente l’impressione di una campagna internazionale, metodicamente organizzata» (110). Non è questa, allora, la rivoluzione voluta da Giovanni XXIII, quella della “libertà di coscienza”? La sua “tolleranza” (complicità) verso la Massoneria, che pur vuole l’abolizione di tutti i dogmi, doveva portare, anche e necessariamente alla “liquidazione” della Chiesa dogmatica di Roma. Come interpretare, infatti, quel primo clamoroso gesto di Giovanni XXIII, in materia di ecumenismo, che riguardava proprio un massone, e cioè il Primate anglicano Geoffrey F. Fischer, “arcivescovo” di Canterbury, ricevuto in Vaticano il 2 dicembre 1960?.. Infatti, il Fischer fu iniziato nel 1916 alla Loggia “Old Reptonian” n. 3725 della Gran Loggia d’Inghilterra,. Nel 1939, presso questa Gran Loggia-Madre del mondo, ricoprì la carica di Gran Cappellano, che, nelle logge latino-cattoliche, viene indicata col termine di “Grande Oratore” (111). Ebbene, il “dialogo Roma-Londra” partì proprio da Fischer. Certo, stupisce l’incontro di “due Papi e due Gerarchi iniziati” (Giovanni XXIII e Fischer; Paolo VI e Atenagora, ma l’iniziazione delle gerarchie anglicane alla Massoneria è una prassi collaudata (112). A questo punto, c’è da chiedersi: ma allora, qual era anche il rapporto di Papa Giovanni XXIII con gli Ebrei, essendo essi i fautori di ogni attacco alla Chiesa cattolica per demolirla o meglio alterarla? La risposta è di P. Luigi Villa («Anche Giovanni XXIII “beato”?») (113). “Sia pure in rapida sintesi anche qui, inizio col ricordare quest’altro suo atteggiamento. Ad Algeri, nel marzo 1950, Mons.
110) - Cfr. Léon de Poncins, “Infiltrations ennemies dans l’Eglise”. “Documents et témoignages”, Paris 1970, pp. 85-88. 111) - Cfr. Giordano Gamberini (ex Gran Maestro) “Mille volti di massoni”, Roma, Erasmo, 1975, p. 229, cit. da R. Esposito, “Santi e massoni”, p. 214. 112) - Cfr. Esposito cita degli studi secondo i quali, nel 1955, vi erano ben “17 Vescovi” e “500 Prelati anglicani” nei più alti gradi massonici! 113) - Sac. Luigi Villa, «Anche Giovanni XXIII “beato”?» Ed. Civiltà – Brescia, 2000, pp. 64-69).
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Roncalli «parlò ancora degli ebrei come dei figli della promessa (Rom. 1X, 8)…», come il fondamento di un dialogo teologico serio e la contemplazione del popolo d’Israele «nella luce di Abramo, il grande patriarca di tutti i credenti» (114), certo dimenticando che, oggi, gli Ebrei non sono più credenti, ma increduli, e che non sono più gli “eredi della Promessa”! Per Roncalli, invece, essi farebbero parte del Corpo Mistico di Cristo (benché non credano!), ossia la Chiesa. Difatti, a Parigi, vedendo pro-iettato un film in cui si mostrava gli orrori di Buchenald e Auschwitz, gridò: «Come mai?.. Il Corpo Mistico di Cristo!..», in cui si ricordava che il Corpo Mistico di Cristo coincideva con la (sola) Chiesa Cattolica! Perciò, è bene ricordare che l’ebreo Jules Marx Isaac ebbe da Giovanni XXIII la promessa di una revisione della dottrina cristiana sui rapporti tra Chiesa e giudaismo. Difatti, il 18 gennaio 1960, al “Congresso Mondiale Ebraico” e all’Associazione statunitense “United Jewish Appeal (115),” il 17 ottobre dello stesso anno, tenne due Allocuzioni. Ebbene, in quella seconda, si possono rivelare anche degli errori dottrinali!” Un altro gesto di apertura al Giudaismo, fatta da Giovanni XXIII, fu nella riforma liturgica, sopprimendo, nel rito del Battesimo, le formule che contenevano l’incre-dulità giudaica e l’ebraica superstizione (116). Giovanni XXIII scrisse anche una “lettera segreta” al Superiore del convento di Wilten, per sopprimere il culto del Beato Andrea da Rinn, in Tirolo, martirizzato nel 1462 da parte degli ebrei e beatificato da Benedetto XIV nel 1755. Ecco che il Rabbino-capo Toaff dichiarò che con la Chiesa c’è ora un’intesa come mai prima e “il merito” va a Giovanni XXIII». Quale “Chiesa”? Poiché il principio della Chiesa Cattolica ha il senso della conversione delle coscienze a Gesù Cristo, Giovanni XXIII e successori hanno demolito il suo principio per, col plauso del mondo, insegnare un’altro senso, invertito, a detrimento anche degli ebrei. Possono i cattolici riconoscere la sua autorità per predicarlo? Il conformismo all’errore, sotto la copertura di fedeltà e ubbidienza a chi falsa la dottrina è in verità indifferentismo davanti alla fede che,
114) - 22 115) - 23
Cfr. Hebblethwaite, op. cit. pp. 328-329. Cfr. “L’Osservatore Romano” del 19 ottobre 1960.
116) - 25 Cfr. Decreto della Sacra Congregazione dei Riti sul nuovo rituale del battesimo degli adulti: AAS, 54, 1962, pp. 315-338.
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aggravata dalla passività davanti al diffondersi dell’iniquità dell’errore, non libera da perdersi nella falsa fede come insegna San Paolo: “Nessuno v’inganni in alcun modo! Prima dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio... la venuta dell'iniquo, la cui avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri, e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi. Per questo Dio invia loro un potere d'inganno perché essi credano alla menzogna e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità” (II Ts, 2, 3-12). Si faccia attenzione, la condanna attuale porta oltre che su Roncalli e successori conciliari, condannati da se stessi quando, già da giovani, scelsero di abbracciare dottrine condannate da inoculare nella Chiesa, a quanti rimasti inerti davanti allo scempio di tale segno anticristico. Oggi è normale che un alto prelato predichi che tutte le religioni hanno "la stessa dignità e importanza"; che "la Chiesa Cattolica non fa distinzioni tra religioni di prima e di seconda classe". Tale deviazione dall’unica Fede a livello papale è solo possibile a causa dell’apostasia delle moltitudini di coscienze: il rifiuto d’affrontare i corruttori della Fede, evitandoli quali maghi, pagani e eresiarchi di un’antichiesa. L’anti-Chiesa secondo mons. Antonio de Castro Mayer Quando furono distribuiti tra i Padri Conciliari i primi schemi del II Concilio del Vaticano, m’interpellarono: - che ne pensa; sarebbe necessario riunire un Concilio per giungere a ciò? La ragione della domanda è che gli schemi non presentavano alcuna novità. Infatti, la realtà del II Concilio del Vaticano non era quel che appariva. Era sì, nei suoi sotterranei. Sotto l’apparenza tradizionale, assicurata dalla presenza dei signori Cardinali Ottaviani, Bacci, Ruffini, Braum e altri, operava il Cardinal Bea, portavoce del Bnai-Brith giudaico e altre entità massoniche, convinti che era arrivato il momento de compiere l’opera di demolizione
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della Chiesa Cattolica, facendola implodere su sé stessa. Si concepì, quindi, un Concilio "sui-generis", senza discussioni: gli oratori si succedevano ininterrottamente, uni agli altri, versando sull’assemblea quanto nutriva il loro spiriti. Non vi era nesso tra i vari interventi. Chi le volesse contestare, doveva scriversi nell’elenco dei postulanti della parola e attendere il suo turno, che poteva accadere vari giorni dopo. Di modo che, nel II Concilio del Vaticano, le commissioni regolavano tutto; subito all’inizio, il tavolo della presidenza eliminò gli schemi proposti dalla commissione preparatoria, che risulta autorizzata dalla Santa Sede, ossia dal Papa, a chi del resto spetta, come capo supremo della Chiesa e Vicario di Gesù Cristo, il diritto di proporre la materia da svolgere nei concili e il modo come farlo. Ecco che il II Concilio del Vaticano si costituì come un’antichiesa. Dogma fondamentale della Chiesa Cattolica è la sua necessità per la salvezza. Agli uomini non è data la libertà di scelta della propria religione e Chiesa, secondo piaccia o siano persuasi. Sotto pena di condanna eterna, devono entrare nella Chiesa Cattolica Romana. - Ora, il Vaticano II, a riguardo, fissa, come dottrina incontestabile, precisamente il contrario: ogni uomo ha la libertà “viscerale” di aderire alla religione della sua preferenza. Vista quest’antitese, in questo punto basilare, necessariamente, su di esso si costruiscono edifici antitetici. Per ciò diciamo che il Vaticano II s’è costituito come l’antichiesa. Per conseguenza: chi aderisce al Vaticano II, senza restrizioni, per questo solo fatto, si stacca della vera Chiesa di Cristo. Nessuno può, allo stesso tempo essere cattolico e sottoscrivere tutto quanto stabilì il Vaticano II. Possiamo dire che il modo più completo per abbandonare la Chiesa di Cristo, Cattolica Apostolica Romana, sta nell’accettare senza riserve quanto insegnato e proposto dal Vaticano II. Esso è l’antichiesa. (da "Heri et Hodie" – pubblicato dai Padri di Campos - nº 33)
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13 – LA VISIONE CATTOLICA SULL’«ENIGMA DEL NOSTRO TEMPO» La persecuzione finale è rivestita da inganni fatali Non avvertivano una persecuzione finale gli stessi Papi degli ultimi tempi? Perché stupirsi se il Segreto di Fatima raffigura l’ora della persecuzione estrema: l’eccidio del Papa cattolico col suo intero seguito fedele in un preciso momento storico, che sarebbe stato più chiaro nel 1960? Il fatto è che tale persecuzione finale è avvolta da somme falsità, al punto da sembrare che siamo ad un dilemma senza uscita; al punto di ingannare gli eletti stessi, come profetizzato da Gesù stesso (Mt 24, Mc 13, Lc 21). L’esito della rivoluzione religiosa sotto il nome di aggiornamento della coscienza della Chiesa pare oggi quasi impercettibile nel presente mondo scristianizzato. Ma è clamorosa nella sfera spirituale l’inversione della coscienza umana in rapporto a Dio. Prima l’essere umano cercava il vero, il bene nella presenza divina della coscienza, sapendo che queste verità non potevano raggiungerle da sé. Oggi l’uomo si sente libero e capace di giudicare Dio anche di fronte a eventi funesti riconducibili proprio a secolari azioni di allontanamento dalla fede nel disegno di redenzione divina. Mai prima si avrebbe potuto immaginare un chierico in veste papale redarguire il Signore come ha fatto Benedetto XVI visitando Auschwitz. “Dove era nascosto Dio di fronte a tanti orrori?”. Questi chierici ora si vergognano e chiedono scusa per il culto di Dio che inviò Suo Figlio in sacrificio per redimere il mondo crudele, che in alcune versioni gnostiche, sarebbe stato da Lui stesso creato per una rovina in mezzo a orrori! Così si ribalta il Cristianesimo a favore di un «eros» represso iniquamente da tanti secoli, secondo lo gnosticismo! Idee che sono una vera e propria inversione della fede ad opera di quanti si presentano come suoi custodi. Costoro sono, invece, dei prevaricatori decaduti dalla vera Fede che, nel suo stesso nome, hanno inquinato il mondo con mitologie «pancristiane». Non vi è oggi la voce pontificale che accusa i mali contrari alla fede cattolica, né quelli “sparsi dalla Russia”: il comunismo e derivati. (117) 117 - La continuità del silenzio sul comunismo da Giovanni XXIII e a Benedetto XVI si conosce dalla testimonianza di Armando Valadares che oggi ancora esprime con forza il suo stupore di cattolico cubano exprigioniero politico per la politica di simpatia del Vaticano verso il regime
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La Chiesa della Nuova Alleanza tradita e umiliata Che cosa resta della prima visione cattolica oggi che la «protesta» diventa esistenziale e parte della «fede conciliare», la cui autorità protesta a Dio secondo la visione gnostica di un’umanità, non più decaduta ma «vittima»? Si può allora capire che è in atto un inganno talmente subdolo che, per svelarne la portata a cattolici incapaci di affrontare il dubbio sulla legittimità della gerarchia attuale, era necessario un segno del cielo, viviamo un’ora che, a dispetto della piatta indifferenza generale, è di ordine apocalittico (118); momento amarissimo e spaventoso per la Fede. Dichiarare «diritto» avversare o ignorare il Verbo di Dio è l’iniquità dei nemici della Chiesa; oggi essi sono al suo interno per denaturare la Fede. All’inizio del Messale Romano della Santa Messa cattolica si trova quel Salmo per tutti i tempi: "Fammi giustizia, o Dio, difendi la causa mia
contro gente spietata; liberami dall'uomo iniquo e ingannatore. Poiché sei il Dio della mia fortezza, perché mi respingi, e perché triste vado oppresso dal nemico?" (Ps. 42, 1, 2). Il «mistero dell’iniquità» si manifesta nella Chiesa. Nei nostri tempi, questo Salmo messo all’inizio della Messa, dovrebbe significare molto per i fedeli umiliati proprio a causa della loro fedeltà cattolica al Canone perpetuo per celebrare il Santo Sacrificio. Questo è stato mutato, come tutto nella Chiesa conciliare. Sussiste, invece nel nuovo rito la preghiera che, se una volta chiedeva al Signore di accettare i santi e illibati sacrifici nell’unione con chi li difende… “insieme col tuo servo il nostro papa e il nostro vescovo e con tutti gli ortodossi zelatori della cattolica e apostolica fede”... ora serve ad affermare l’«una cum» della fedeltà e comunione con chi demolisce la Chiesa. Il nome del contraffattore della Fede integra e pura è nel culto nuovo per celebrare il Mistero nel Luogo santo, mentre ogni avviso sui falsi cristi e falsi profeti, sui pastori mercenari e su quell’idolo è ignorato! cubano. Confessa che il suo dolore spirituale supera le torture fisiche di 22 anni nelle carcere di Castro. (Valadares su «Midia sem Máscara», del 14.1.2010. 118 - La sequenza apocalittica per i tempi finali è espressa anche dal dotto cardinale Billot nel suo libro «Parousie». E da Tomás Tello «Cercanía de la catástrofe final, según datos bíblicos», Vulcano, Madrid, 2005.
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Lo spettro del XXI (17) Salmo, “Concilium malignantium obsedit me” a nessuno richiama più quel XXI “Concilio ecumenico Vaticano II”? Come sarà possibile difendere la Fede celebrando il suo demolitore e la sua successione?
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Ciò è solo comprensibile alla luce sì del mistero, ma quello dell’iniquità e della grande apostasia. Tale mistero si attua attraverso la gestione degli opposti che è la contraffazione di portata devastante che relativizza l’assoluto disegno divino esaltando la libertà dei propri giudizi, come se fossero da dèi. Ciò preclude il vero e il bene e promuove il falso e il male, preparando l’ora dell’uomo idolo, l’iniquo “che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che è detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, presentandosi come se fosse Dio” (II Ts 2, 4). Può sembrare che tale iniquità sia riferita a una persona singola che, alla fine dei tempi, conculcherà apertamente la verità e l’intangibilità della Rivelazione. In verità le Sacre Scritture e San Paolo ci dicono che dai primi tempi sono presenti tali iniqui: “Non ricordate che venivo dicendo queste cose?... Il mistero d'iniquità è già in atto...” (ib.). L’iniquo finale è al vertice dell’enorme piramide d’iniquità soprattutto dottrinale che pochi captano, altrimenti dove poggerebbe il suo potere? Può sembrare che l’iniquo per eccellenza si presenterà come un feroce nemico pubblico della Chiesa. Ma allora solo con la violenza potrebbe esso sedersi nel tempio di Dio; solo sotto le armi sarebbe venerato. In verità il male peggiore è tortuoso, si annida in uno d’aspetto simile all’Agnello; al «buono» che ostenta pietà religiosa; altrimenti come potrebbe ingannare? Potrebbe il linguaggio dell’iniquo essere pieno di turpi bestemmie? No. Invece la sua è “la potenza di Satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri”, poiché il campo fu aperto dalla decadenza generale della fede: “la grande apostasia”, come avvertirono le Sacre Scritture e San Paolo. L’abbandono della fede lo precede con “un potere d’inganno perché essi credano alla menzogna...”. Non vi è quindi violenza materiale, ma complicità di “quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi..., ma hanno acconsentito all'iniquità.” Allucinante stranezza è che la maggioranza dei consacrati e dei fedeli ancora non si sia accorta dell’inganno. Viviamo in tempi apocalittici e poiché crediamo che ogni parola e segno divino è dato per la nostra salvezza, vediamo la «Grande Apostasia» come la defezione delle nazioni nella fine dei tempi storici descritti nel libro dell’Apocalisse. Nella lettera alla chiesa di Filadelfia, che per certi studiosi corrisponde ai nostri tempi pre-finali, del piccolo gregge (cf. I Cr. 1, 26-28), è detto:
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«Così parla il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre» (3, 7). Chi capisce che nell’Abisso era stato rinchiuso Satana, perché con le sue operazioni d’inganno «non seducesse le nazioni», può anche capire che l’apertura di tale abisso con la chiave data a Pietro (Mt. 16, 19), non poteva avvenire in nome del Verace, di Cristo, ma di un chierico divenuto falso cristo a servizio di un nuovo ordine mondiale per ergere una chiesa più universale che superasse l’Ordine cristiano del Regno di Dio, e questo piano fosse inserito in una «nuova coscienza della Chiesa». Se a qualcuno sembra che rimane l’enigma su chi ha dato la chiave a tale «astro», si faccia attenzione alle parole dell’Apocalisse testimoniate da San Giovanni: «vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell'Abisso; egli aprì il pozzo dell'Abisso e salì dal pozzo un fumo come di una grande fornace, che oscurò il sole e l'aria». La chiave non gli fu data in cielo, ma in terra. Chi ha potere in essa se non il principe di questo mondo (Gv. 12, 31; 14, 30; 16, 11) sempre alla ricerca di stringere patti di perdizioni con chi mira al potere nel mondo? Quale patto più completo che quello con chi mira alla Sede suprema? E fu subito fumo che oscurò il sole della Fede e il profumo del culto divino. Allora, tanto orrida e d’apparenza insolubile è la demolizione della Chiesa per opera di questi chierici invasati d’illuminismo luciferino, tanto più è chiara la sua soluzione. Sì perché il Signore da sempre determinò, di fronte all’evento di una defezione generale, l’azione risolutrice attraverso i Suoi ultimi devoti e fedeli testimoni. Attraverso questi allora agirà. Dobbiamo, quindi, più che mai diffondere nel mondo rimasto cattolico, l’unione nella fedeltà alla Tradizione presente nella santa Liturgia e nella Legge immutabile della Chiesa. E quest’unione si può esplicitare nella intenzione della preghiera del Santo Rosario, testimoniando dai tetti la supplica necessaria affinché il Signore susciti un vero Papa che bandisca dalla Chiesa tutti i malefici fumi conciliari, cancellando gli effetti del Vaticano II che ha inquinato la terra con l’infezione ecumenista; un papa che guidi il mondo cattolico alla preghiera unita per ottenere il trionfale intervento di Dio nella conversione della Russia e del mondo, attraverso l’Immacolato Cuore di Maria. Allora, tanto fatale appare la devastazione della vigna del Signore, tanto più splendida sarà la sua divina restaurazione nel Regno di Dio per mezzo di Maria. AMDG VM
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Léon de Poncins, “Infiltrations ennemies dans l’Eglise”. “Documents et témoignages”, Paris 1970. Léon Joseph Suenens, “Ricordi e speranze”, ed. Paoline 1993. Lett. Ap. “Ad Apostolicae”, 22 agosto 1851; Poliglotta Vaticana. Melloni A., in AA.VV. “Papa Giovanni”, a cura di G. Alberigo, Laterza ed. Bari 1987, p. 31. Mola, Aldo Alessandro, “Storia della Massoneria italiana dell’Unità alla Repubblica”, Bompiani, Milano 1976. Fray C. Sante, “De Don Miguel Matèu Pla al cisma, pasando por el Nuncio Roncalli”, in “Que Pasa” n. 459, del 14 ottobre 1972. Marsaudon Yves, “L’Oecumenisme vu par un FrancMaçon de Tradi tion” Ed. Vitiano, Paris 1965.* Mons. Delassus Henry, “Il problema dell’ora presente”, ristampa anastatica dell’edizione 1907, Ed. Cristianità, Piacenza 1977, vol. 1. Mons. Maccari Carlo, “Memoriale” al card. Ratzinger del 27 novembre 1990. Cfr. anche “L’Europeo”, n° 1-2, 3 e 10 gennaio 1992. Pagnossin, “Il Calvario di Padre Pio”, vol. 2. Paolo Tanzella, s.c.j., “Papa Giovanni”, Ed. Dehoniane, Andria 1973. Pier Carpi, “Le profezie di Papa Giovanni”. La storia dell’umanità dal 1935 al 2033, Roma 1976. “Pope John XXIII, an Astute Pastoral Leader”, Alba House, New York 1979, del diplomatico americano Bernard R. Bonnot.
289
Renzo Allegri, “Il Papa che ha cambiato il mondo”, Reverdito editore, Gardolo di Trento 1988. S. Schimdt, “Agostino Bea Il Cardinale dell’unità”, Città Nuova Editrice, Roma 1987. “Scritti e Discorsi del Card. Angelo Roncalli”, Paoline, Roma 1959-63. “Sillabo” 8 dicembre 1864, prop. 38, Ds 2938. Tipografia Poliglotta Vaticana. Tomás Tello Corraliza, “Sombras y penumbras de la figura Roncalli (alias Juan XXIII)”, presso l’Autore Wilton Wynn, “Custodi del Regno”, Frassinelli 1989. Periodici “30 Giorni” (n. 5, maggio 1992, p. 54. È una “dichiarazione” del card. Silvio Oddi, al quale la confidò lo stesso Giovanni XXIII. Da notare che questa “dichiarazione”, la Rivista lo scrive in un articolo dedicato a interferenze settarie nel Concilio! Lettera da Roncalli spedita, il 13 gennaio 1959, a don Angelo Pedrinelli, parroco di Carvico, che, come lui, era stato professore in seminario di Bergamo, e che fu destituito dalla sua carica da Mons. Rafini, perché modernista - (Vedi: Hebbllethwaite, op. cit. p. 464) Così, Roncalli riabilitò mons. Lanzoni agiografo modernista. Erano pure note le sue relazioni col capofila del modernismo lombardo, Gallarati Scotti, anche per iscritto. Anche l’introduzione del processo di beatificazione del card. Ferrari, da lui voluta, (10 febbraio 1963), fu una specie di “scanonizzazione” di san Pio X, il quale aveva disapprovato la condotta pastorale del Ferrari verso il modernismo (Cfr. “L’Osservatore Romano” del 23 maggio 1984).
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“Itinéraires”, novembre 1980, pp. 152-153, che la riporta da: E. Pezet Chétiens au service de la Cité, de Léon XIII au Sillon et au MRP-Ed. NEL 1965, e dalla rivista “L’âme poppulaire, anno 60, N°. 571, settembre 1980. Questo termine “pancristiano” viene attriubuito al pastore valdese Ugo Janni, direttore della Rivista ecumenica “Fede e vita”. “Profezie di Papa Giovanni” sono state stampate dalle “Edizioni mediterranee”, assai vicine alla Massoneria! “Processo” n. 832, 12 ottobre 1992, citato da C. D. L. Reporter, maggio 1995, n. 179, p. 14: «Era a Parigi quando i non iniziati Angelo Roncalli e Giovanni Montini furono iniziati, lo stesso giorno, agli augusti misteri della fratellanza. Perciò, non è strano che molte cose che sono state realizzate, nel Secondo Concilio Vaticano, da Giovanni XXIII, siano basate sui principii e postulati massonici». * “L’Oecumenisme vu par un Franc-Maçon de Tradition”, Vitiano, Parigi, 1964 (con dedica “alla memoria di Angelo Roncalli…” Al Padre di tutti i Cristiani, all’Amico di tutti gli Uomini. Al suo Augusto continuatore, S. S. Papa Paolo VI); “Giovanni XXIII”, nel ricordo di mons. Loris F. Capovilla. Intervista di Marco Roncalli, con documenti inediti. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1994, pp. 87 e 117.
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