Elettrotecnica Repetto polito

September 21, 2017 | Author: Federico Cerruti | Category: Capacitor, Electric Current, Inductor, Electric Field, Voltage
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Elettrotecnica

1.1

M. Repetto

Capitolo 1 Modello circuitale dei fenomeni elettromagnetici Questo capitolo introduce il modello a parametri concentrati o modello circuitale di un fenomeno fisico. Il concetto principale di questo approccio allo studio dei fenomeni fisici, non solo elettrici, e’ l’eliminazione delle variabili spaziali dalla trattazione matematica in modo da ottenere equazioni dipendenti solo dal tempo. Cominciando da un modello di un fenomeno meccanico di facile comprensione, la trattazione si sposta al modello dei fenomeni elettromagnetici. Vengono quindi introdotti i principali tipi di componenti elettrici circuitali e le loro equazioni costitutive, ovvero le equazioni che ne definiscono il comportamento.

1.1 Modello a parametri concentrati I fenomeni fisici possono essere descritti mediante modelli matematici il cui livello di accuratezza puo’ essere diverso in funzione del risultato che si vuole ottenere. Ad esempio, in un modello del sistema solare in cui si vuole descrivere il moto dei pianeti, il pianeta Terra puo’ essere considerato come una particella puntiforme, al contrario, se si vogliono studiare le maree dovute all’interazione Terra-Luna, l’estensione spaziale della Terra andra’ tenuta in conto. I modelli, entrambi corretti nei loro limiti di applicazione, danno luogo a diverse complessita’ di calcolo. In generale qualsiasi sistema dinamico dovra’ essere analizzato in termini di 3 coordinate spaziali (x, y, z) e di una coordinata temporale t. In funzione di queste variabili indipendenti, saranno espresse le grandezze proprie del problema, ad esempio forze, pressioni temperature etc., per ogni punto dello spazio e del tempo potranno essere definite le opportune grandezze scalari o vettoriali. Le eventuali equazioni differenziali che descrivono il fenomeno conterranno quindi le derivate parziali delle grandezze rispetto alle 4 variabili indipendenti Per alcune applicazioni e’ possibile ottenere una semplificazione nelle equazioni del modello attraverso opportune operazioni di integrazione spaziale. Ad esempio il moto di un fluido in un condotto puo’ essere descritto in funzione del suo campo r r vettoriale di velocita’ v = v ( x, y, z, t ) , oppure, per certe applicazioni, dove non e’ necessaria una conoscenza cosi’ dettagliata, dal flusso del fluido in una determinata sezione S, r r Φ(t ) = ∫ v ( x, y, z, t ) ⋅ ds . Come risulta evidente, l’operazione di integrazione spaziale sulla S

superficie definita S, elimina dalla variabile Φ la dipendenza dalle variabili (x, y, z) lasciando solo quella dal tempo t. Una trattazione matematica del flusso Φ richiede quindi la soluzione di equazioni differenziali dove l’unica variabile indipendente e’ il tempo, quindi le equazioni si trasformano da equazioni differenziali alle derivate parziali a equazioni differenziali ordinarie con una notevole semplificazione nella loro trattazione analitica e nella loro soluzione. Questo processo di semplificazione comporta la determinazione di un modello in cui le variabili spaziali sono assenti e come tale viene detto modello a parametri concentrati (come la massa della Terra concentrata in un punto). Nella trattazione dei fenomeni elettrici questo modello viene detto anche modello circuitale. 1.2 Modello a parametri concentrati di un fenomeno meccanico Un’analisi semplificata del comportamento dinamico di un sistema di sospensione di un veicolo automobilistico presuppone di descrivere mediante un sistema di equazioni dinamiche un sistema i cui componenti principali sono: - ruota composta da cerchio e pneumatico; - semiasse; - sistema elastico per l’assorbimento degli urti; - sistema di smorzamento delle oscillazioni. Il sistema e’ molto complesso ed esteso nello spazio, le masse sono distribuite su tutti i componenti che sono di materiali e densita’ diverse, le stesse considerazioni valgono per altre proprieta’ fisiche come l’elasticita’ etc.. Nonostante sia geometricamente e strutturalmente complesso, i fenomeni

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1.2

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fisici presenti all’interno del sistema sono facilmente individuabili: in seguito ad una forza applicata sul pneumatico (sobbalzo della strada) il sistema, che ha una certa inerzia, accumulera’ una parte dell’azione in energia elastica come in energia cinetica. La presenza di elementi dissipativi rendera’ le oscillazioni smorzate nel tempo. Se si suppone che il comportamento dinamico venga misurato dallo spostamento della posizione del mozzo della ruota rispetto al telaio indicato dalla coordinata x (Fig. 1), si vuole ottenere una risposta allo spostamento x in funzione della forza applicata.

smorzatore

x x=x(F(t),t)

molla

ruota+pneumatico

F Fig. 1.1 Sistema meccanico di sospensione Lo studio della dinamica porta ad evidenziare come i parametri importanti nel sistema siano: la massa distribuita nei vari componenti, responsabile dell’inerzia, il comportamento elastico responsabile delle oscillazioni ed i termini viscoso-dissipativi. Lo studio completo e rigoroso della risposta dinamica del sistema richiede un modello numerico ad esempio attraverso il metodo degli elementi finiti. Un modello semplificato puo’ pero’ essere sviluppato a patto di ricorrere ad alcune semplificazioni. Un modello a parametri concentrati richiede di individuare le principali azioni dinamiche e ‘concentrarle’ in parametri senza dimensione geometrica. Si suppone per semplicita’ di trascurare la rotazione del sistema. Parametro massa: la massa del sistema e’ distribuita nei suoi vari componenti (cerchio, pneumatico, semiasse etc.) ma con una certa approssimazione si puo’ assumere che questa sia concentrata prevalentemente nella ruota. Assumendo quindi che l’inerzia del sistema dipenda dalla massa della ruota si puo’ misurarla ed assumerla pari a M.

d 2x F=M 2 dt

(1.1) Parametro elasticita’: anche in questo caso l’elasticita’ e’ distribuita nel sistema (comportamento elastico del pneumatico, elasticita’ a flessione dell’asse) ma nuovamente si puo’ considerare prevalente quella della molla di collegamento con il telaio. In questo caso il parametro da determinare sara’ la costante elastica kel da inserire nella legge di Hooke.

F = k el ( x − x0 )

(1.2) Parametro attrito (elemento dissipativo): diversi sono i fenomeni irreversibili presenti (deformazione plastica del pneumatico etc.) ma quello quantitativamente piu’ importante e’ rappresentato dall’elemento smorzatore oleo-pneumatico. In questo caso la costante di attrito viscoso dello smorzatore kv dovra’ essere determinata.

⎛ dx ⎞ F = kv ⎜ ⎟ ⎝ dt ⎠

2

(1.3)

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1.3

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Considerando le ipotesi, fatte l’equazione che descrive il comportamento del sistema e’ data da:

d 2x ⎛ dx ⎞ F (t ) = M 2 + k el ( x − x0 ) + k v ⎜ ⎟ dt ⎝ dt ⎠

2

(1.4) L’equazione che descrive il comportamento dinamico del sistema e’ quindi una equazione differenziale ordinaria in cui l’unica variabile indipendente e’ il tempo. Nonostante l’equazione sia 2

⎛ dx ⎞ nonlineare per la presenza del termine ⎜ ⎟ , la sua soluzione e’ molto piu’ semplice rispetto al ⎝ dt ⎠ modello completo del sistema. Il modello si comporta quindi come un blocco od un componente concentrato di cui e’ nota l’equazione costitutiva (1.4). Le variabili F(t) ed x(t) sono quindi le uniche variabili descrittive del sistema. x(t)

F (t ) = M

d 2x ⎛ dx ⎞ + kel ( x − x0 ) + kv ⎜ ⎟ dt 2 ⎝ dt ⎠

2

F(t)

Fig. 1.2 Componente dinamico

1.3 Vantaggi e svantaggi del modello Il modello a parametri concentrati richiede di determinare solo 3 parametri dal sistema M, kel, kv e consente di ottenere la risposta del sistema attraverso l’integrazione di un’equazione differenziale ordinaria nella variabile t. A fronte di questi indubbi vantaggi si hanno alcuni lati negativi del modello. Il sistema e’ descritto dalle sole variabili esterne x(t) ed F(t), mentre viene persa ogni nozione delle variabili interne al sistema, ad esempio la flessione dell’asse, la deformazione del pneumatico, gli sforzi meccanici etc.. Questo limite impedisce ad esempio di verificare se ad esempio nel funzionamento vengono superati alcuni limiti interni al sistema, ad esempio una eccessiva flessione che porta ad una rottura dell’asse. Questi limiti intrinseci del modello vanno quindi verificati a posteriori una volta ottenuta la risposta dinamica. 1.4 Modello circuitale dei fenomeni elettromagnetici L’analisi del campo elettromagnetico comporta la soluzione delle equazioni di Maxwell (Teorema di Gauss, Circuitazione di Ampere, Legge dell’induzione elettromagnetica) le quali sono equazioni differenziali alle derivate parziali e forniscono come soluzione gli andamenti dei campi vettoriali campo elettrico e magnetico, induzione elettrica e magnetica in funzione delle sorgenti: cariche elettriche e densita’ di corrente. La soluzione ricercata quindi in questo caso e’ un campo vettoriale con 3 componenti spaziali ciascuna delle quali funzione di (x, y, z, t). Esattamente come nel caso precedente una operazione di integrazione spaziale puo’ rendere piu’ semplice la soluzione, ovviamente in questo caso le variabili integrali saranno legate ai fenomeni elettrici e magnetici. Nel caso elettromagnetico le variabili che vengono utilizzate per una trattazione a parametri concentrati sono le correnti elettriche nei conduttori e le tensioni elettriche ovvero le differenze di potenziale elettrico tra due punti, entrambe queste grandezze sono funzione della sola variabile t. Il metodo circuitale elettrico ha molte analogie con il metodo a parametri concentrati utilizzato in idraulica dove alla corrente elettrica corrisponde la portata di fluido in un condotto e alla tensione corrisponde la caduta di pressione o perdita di carico tra due sezioni del condotto. Esattamente come nel caso del fenomeno meccanico della sezione precedente, le variabili ai morsetti tensione e corrente saranno legate tra di loro da un’equazione differenziale che esprime la

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1.4

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natura del fenomeno elettromagnetico in questione. Questa relazione viene detta equazione costitutiva o equazione ai morsetti. Anche in questo caso si parla di componente ogniqualvolta un fenomeno elettromagnetico e’ descritto dalla sua equazione costitutiva. 1.5 Componente a parametri concentrati Una caratteristica che differenzia i fenomeni elettromagnetici dagli altri fenomeni fisici e’ la loro estensione spaziale anche in regioni molto distanti dalle sorgenti. Prima di poter affrontare lo studio di un fenomeno elettromagnetico mediante la tecnica dei parametri concentrati e’ necessario delimitarne l’estensione spaziale. Si definisce come fenomeno elettromagnetico confinato un fenomeno elettromagnetico in cui i r r r r vettori dei campi elettrici e magnetici E , D, H , B sono racchiusi all'interno di una superficie limite. Il fenomeno elettromagnetico racchiuso entro la superficie limite puo’ scambiare energia e potenza con l’esterno solo in un numero limitato di connessioni elettriche dette morsetti. Attraverso queste connessioni e’ possibile scambiare correnti elettriche o interagire con tensioni elettriche. La situazione e’ rappresentata in Fig. 3. superficie limite

E, D H, B

morsetto

Fig. 1.3 Fenomeno elettromagnetico confinato Le interazioni del fenomeno con l’esterno attraverso i morsetti sono quantificabili e misurabili. Le grandezze corrente e tensione sono grandezze scalari e nel sistema di misura internazionale (SI) si misurano rispettivamente in Ampere [A] e Volt [V]. Il componente piu’ semplice in termini di numero di morsetti e’ il dipolo caratterizzato da due morsetti. In genere il componente viene rappresentato graficamente dalle sue connessioni esterne e da un blocco che rappresenta la superficie limite del componente, come in Fig. 4.

Fig. 1.4 Componente dipolo Per il componente dipolare e’ possibile definire un valore di corrente che lo attraversa ed un valore di tensione, essendo la tensione la differenza di potenziale tra i due morsetti. In generale i fenomeni elettromagnetici possono essere espressi da modelli piu’ complessi dove le interazioni con l’esterno sono definite attraverso un numero n di morsetti. Si parla in questo caso di componente n-polare. Nuovamente le tensioni saranno definibili dalla differenza di potenziale tra i morsetti. In generale si prendera’ un morsetto come riferimento, denominato solitamente 0, e sara’ possibile definire n-1 valori di tensione e di corrente, come in Fig. 5. 2 1 i1 i2

v1

v2

0 Fig. 1.5 Componente tri-polare 1.6 Grandezze ai morsetti

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1.5

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Come definito in precedenza, le grandezze ai morsetti, tensione e corrente, sono grandezze scalari, rappresentate quindi da numeri reali che possono pero’ avere un segno. Indipendentemente dalle considerazioni fisiche, relative ad esempio al segno dei portatori di carica che attraversano una determinata sezione, il segno da attribuire alle grandezze ai morsetti puo’ essere definito arbitrariamente. In sede di risoluzione del circuito la corrente o la tensione potranno risultare positive o negative se sono rispettivamente concordi o discordi con il verso assegnato. Graficamente il segno di una grandezza ai morsetti e’ indicato con una freccia che punta verso la direzione positiva. Nel caso della tensione si puo’ utilizzare anche il segno + o – per indicare la polarita’. Alcune possibili segni grafici sono riportati in Fig. 6.

i(t)

v(t)

+ + v(t)

v(t)

-

-

Fig. 1.6 Segni grafici per indicare le grandezze ai morsetti Le grandezze ai morsetti i(t) e v(t) sono poi legate da un’equazione costitutiva che e’ caratteristica del fenomeno elettromagnetico contenuto nel componente. Le equazioni costitutive sono in generale date da equazioni differenziali ordinarie e possono essere espresse come:

i = i ( v, t )

(1.5)

oppure come

v = v (i , t )

(1.6) nel primo caso la variabile indipendente e’ la tensione v, mentre nel secondo caso e’ la corrente i. In funzione del fenomeno elettromagnetico, alcuni componenti potranno essere descritti meglio dalla forma (1.5) o (1.6), come verra’ visto in seguito.

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2.1

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Capitolo 2 Componenti circuitali In questo capitolo si introdurranno le principali tipologie di componenti dei circuiti elettrici. Verranno definite diverse classificazioni dei componenti e se ne scriveranno le equazioni costitutive che legano le variabili tensione e corrente. Si descriveranno le principali caratteristiche dei componenti resistore, condensatore, induttore e dei componenti generatori.

2.1 Classificazione dei componenti I componenti a parametri concentrati sono modelli matematici di fenomeni fisici. Ogni fenomeno fisico reale ha pero’ una risposta che dipende da piu’ fenomeni agenti contemporaneamente. Nel caso del sistema di sospensione dell’autoveicolo, accennato nel capitolo precedente, interagivano contemporaneamente l’inerzia, l’elasticita’ e l’attrito. Questo ha portato alla scrittura di un’equazione differenziale molto complessa. Riuscendo ad enucleare un solo un tipo di fenomeno fisico (ad esempio la molla) si riesce a ridurre la complessita’ dell’equazione costitutiva. Una classificazione dei componenti circuitali deve quindi passare prima per la definizione dei fenomeni fisici elementari che si vogliono descrivere e poi per la loro descrizione matematica. I componenti elementari che sono di seguito considerati sono dipolari cioe’ caratterizzati da una sola coppia di valori tensione-corrente. Alcuni componenti elettronici sono invece intrinsecamente tripolari, come ad esempio il transistor, ma non vengono qui presi in considerazione. 2.1.1 Componenti reali e ideali Una prima classificazione e’ gia’ stata introdotta e puo’ essere fatta tra componenti reali ed i loro modelli matematici che contengono un certo grado di astrazione. Una molla realmente costruita avra’ una sua elasticita’ e rispondera’ alla legge di Hooke ma, essendo fisicamente esistente, non potra’ essere priva di massa e quindi avra’ una risposta dinamica in cui il termine di inerzia e’ presente. D’altro canto la molla teorica che viene utilizzata in fisica si puo’ supporre sia priva di massa e quindi si costruisce la molla ideale il cui comportamento e’ approssimato dalle molle vere. Al fine di costruire un modello matematico, e’ conveniente lavorare con componenti idealizzati, la cui risposta dipende solo da un fenomeno. Gli altri fenomeni presenti nei componenti realmente costruiti vengono solitamente chiamati effetti parassiti. D’ora in poi, salvo diverso avviso, i componenti considerati saranno ideali. Si vedra’ in seguito come il comportamento di un componente reale potra’ essere approssimato da un insieme di componenti ideali collegati insieme. 2.1.2 Componenti utilizzatori e generatori Una classificazione dei componenti puo’ essere effettuata in base al loro comportamento energetico. Si puo’ facilmente intuire come alcuni dispositivi siano passivi, cioe’ non in grado di avere un comportamento dinamico se non sono attivati, almeno in una fase iniziale, da un apporto energetico esterno. Ad esempio il sistema di sospensione visto in precedenza, puo’ dare luogo ad oscillazioni, ma deve essere attivato da una forza esterna che lo sposta dalla sua posizione di equilibrio. Nella terminologia elettrica, i componenti passivi sono chiamati componenti utilizzatori mentre i componenti attivi, cioe’ in grado di fornire potenza ad altri componenti ad essi collegati, vengono chiamati generatori. Come si vedra’ nel seguito, nei fenomeni elettrici alcuni componenti potranno comportarsi in entrambi i modi, si pensi ad esempio alla batteria dell’automobile che eroga potenza nella fase di avviamento ma viene caricata, ovvero assorbe potenza, durante la marcia normale del veicolo. 2.2 Convenzioni tensione-corrente

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2.2

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Come si e’ visto, la differenza tra componenti utilizzatori e generatori sta nel loro comportamento energetico. Come si vedra’ in seguito, la potenza e l’energia che interessano un componente dipendono dai valori delle sue grandezze ai morsetti. Questo porta a definire un diverso legame tra i versi positivi delle grandezze a i morsetti. In pratica, pur essendo i versi delle due grandezze corrente e tensione arbitrari, saranno tra loro collegati come nelle figure 1 e 2. Per ogni componente ci sara’ solo un grado di arbitrarieta’, fissato, ad esempio, il verso positivo della corrente quello della tensione si ricavera’ dalla natura del componente.

i(t) v(t)

Fig. 2.1 Convenzione utilizzatori: la corrente entra nel morsetto positivo

i(t) v(t)

Fig. 2.2 Convenzione generatori: la corrente esce dal morsetto positivo 2.3 Componenti utilizzatori I componenti utilizzatori si possono a loro volta suddividere in diversi componenti in funzione dei fenomeni fisici elementari che descrivono. In maniera deduttiva si possono definire tre classi di componenti utilizzatori. Queste tre classi sono sostanzialmente in grado di descrivere tutte le tipologie di fenomeni elettrici, eventuali sistemi piu’ complessi potranno essere descritti da piu’ componenti collegati insieme. Queste tre classi sono state storicamente derivate dall’osservazione dei fenomeni fisici, ma hanno ottenuto una legittimazione matematica che li rende in grado di descrivere fenomeni anche diversi da quelli da cui sono stati ricavati. Tra i diversi fenomeni elettromagnetici, si possono isolare alcuni fenomeni base classificabili in base al loro comportamento energetico, analogamente a quanto fatto per i fenomeni meccanici - componenti in grado di trasformare energia di tipo elettrico in un'altra forma di energia, questa energia lascia il componente e quindi per il fenomeno elettrico e’ persa o dissipata; - componenti in grado di immagazzinare energia nel campo elettrico, l’energia viene immagazzinata, quindi rimane nel componente e puo’ essere rilasciata in un secondo tempo; - componenti in grado di immagazzinare energia nel campo magnetico. 2.4 Componente resistore

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2.3

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Il componente resistore e’ il rappresentante della prima classe di componenti utilizzatori, cioe’ in grado di trasformare energia di tipo elettrico in un'altra forma di energia. Il fenomeno Joule per cui un conduttore percorso da corrente dissipa potenza sotto forma di potenza termica, e’ stata la base di partenza per questo tipo di componenti che vengono comunemente utilizzati, si pensi per esempio ad una lampadina ad incandescenza o ad una stufetta elettrica. La caratteristica principale di questo componente e’ la assenza di comportamenti dinamici (componente adinamico), ovvero la sua risposta dipende solo dai valori di tensione o di corrente in un istante ma non dalle loro velocita’ di variazione. La adinamicita’ del componente puo’ essere utilizzata per modellizzare fenomeni anche diversi dai conduttori, ad esempio alcuni componenti elettronici. Questa caratteristica e’ molto importante perche’ permette di definire il legame tra tensione e corrente mediante un’equazione algebrica. Questa equazione e’ detta prima legge di Ohm ed esprime un legame di tipo algebrico tra i valori istantanei di tensione e corrente ai capi del componente:

v (t ) = Ri (t )

(2.1) la quantita’ R che lega i valori istantanei di tensione e corrente e’ detta resistenza ed il componente resistore e’ rappresentato graficamente dal seguente simbolo

i(t) v(t)

R

Fig. 2.3 Componente resistore Nel sistema di misura SI l’unita’ di misura della resistenza si ricava da quelle di tensione e corrente, e viene chiamata Ohm, simbolo Ω. Il parametro resistenza si puo’ ricavare, in casi semplici, dalle proprieta’ elettriche del materiale e dalle sue dimensioni geometriche. Nel caso di conduttore rettilineo a sezione costante la resistenza puo’ essere ottenuta dalla seconda Legge di Ohm, si ottiene quindi: l S

ρ

Fig. 2.4 Conduttore rettilineo a sezione costante

R=ρ

l S

(2.2)

dove ρ e’ la resistivita’ elettrica del materiale, l e’ la lunghezza del conduttore ed S la sua sezione trasversale. a) Resistore Lineare Tempo Invariante Nel caso del conduttore percorso da corrente, il valore del parametro resistenza non dipende dai valori di tensione e corrente applicati, Quando il parametro R e' una costante indipendente sia dalla corrente i sia dal tempo t, si parla di resistore Lineare Tempo Invariante (LTI). In caso di resistore

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2.4

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LTI, il tempo t diventa un parametro ininfluente sull'equazione costitutiva e quindi una efficiente rappresentazione grafica e' data dalla caratteristica nel piano v-i, come riportato nella figura.

v v=Ri

α, tgα = R i Fig. 2.5 Caratteristica del resistore LTI nel piano v-i Il parametro R lega tra loro in maniera lineare i valori di tensione e corrente, quindi in un piano cartesiano dove si riportano sulle ascisse i valori di corrente ed in ordinata quelli di tensione, l’equazione costitutiva si traduce graficamente in una retta uscente dall’origine la cui pendenza dipende dal valore di R. b) Resistore nonlineare Tempo Invariante Non necessariamente il parametro resistenza deve essere indipendente dai valori di tensione e corrente applicati, ma potrebbe essere esso stesso una funzione ad esempio della corrente i. Pur lasciando inalterata l’appartenenza del componente alla classe dei resistori, la sua caratteristica rimane infatti sempre adinamica, la sua rappresentazione nel piano v-i non e’ piu’ una retta ma una curva definita da un’equazione, come in figura. Rimane pero’ il vincolo sulla passivita’ del componente, ovvero la caratteristica deve passare per l’origine.

v v=R(i)i

i Fig. 2.6 Caratteristica di un resistore nonlineare tempo invariante c) Resistore generico In generale la caratteristica che lega tensione e corrente puo’ essere anche dipendente dal tempo t, cioe’ per ogni istante la caratteristica dell’equazione cambia. Questo puo’ succedere ad esempio per un intervento esterno, come nel caso di una resistenza che regola il volume di un sistema audio. In questo caso la caratteristica grafica puo’ ancora essere tracciata nel piano v-i ma non e’ piu’ una curva bensi’ una famiglia di curve in funzione del parametro t. d) Conduttanza

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2.5

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La relazione costitutiva del componente resistore e’ un’equazione algebrica ed e’ quindi, salvo il caso di caratteristiche polidrome, invertibile. E’ infatti possibile scrivere l’equazione costitutiva come:

1 v (t ) = Gv (t ) R

i (t ) =

(2.3) dove il parametro G viene detto conduttanza del componente. La conduttanza si misura in Siemens, simbolo S. 2.5 Componente Condensatore Il componente condensatore appartiene alla seconda classe dei componenti utilizzatori ed e’ quindi in grado di accumulare energia nel campo elettrico. Come e’ ben noto dalla fisica, per creare un campo elettrico in una regione dello spazio e’ necessario avvicinare almeno due masse conduttrici, dette elettrodi o armature, isolate e sottoposte ad una differenza di potenziale. In questa maniera si inducono sugli elettrodi cariche elettriche di segno opposto il cui valore assoluto e’ pero’ uguale, come evidenziato in figura.

-

+ + + + E +Q +

-

- -Q -

- v

+

Fig. 2.7 Esempio di condensatore La quantita’ di carica accumulata sulle armature dipende dalla tensione applicata, da fattori geometrici e dalle caratteristiche dei materiali. Questi fattori sono quantitativamente espressi dal parametro capacita’ che lega la tensione alla carica:

Q = Cv

(2.4) dove C e’ la capacita’ che nel sistema di misura SI si esprime in Farad, simbolo F. L’unita’ Farad e’ molto grande rispetto ai valori di capacita’ tecnicamente realizzati, solitamente se ne usano quindi sottomultipli come il μF o nF. A titolo di esempio, in un condensatore a facce piane parallele il valore di capacita’ e’ dato dalla formula:

C =ε

S d

(2.5)

dove ε e’ la costante dielettrica del mezzo interposto tra le armature, S e’ l’area della superficie affacciata e d e’ la distanza tra le armature. Il simbolo grafico del componente condensatore richiama questa natura con due segmenti ravvicinati, come in figura.

C v Fig. 2.8 Simbolo grafico del componente condensatore

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2.6

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La relazione tra la carica e tensione applicata non e' direttamente utilizzabile come equazione costitutiva in quanto non compare in essa la corrente. Considerando che la corrente e' un flusso di carica e quindi esprime una variazione della carica immagazzinata nel condensatore, nell'ipotesi di capacita' costante si ottiene, derivando rispetto al tempo l’equazione (2.4):

Q = Cv ⇒ i (t ) =

dv dv dQ =C ⇒ i (t ) = C dt dt dt

(2.6) In questo caso la relazione ai morsetti non lega tra di loro i valori istantanei di tensione e corrente, come nel caso del resistore, ma lega il valore di corrente alla derivata temporale della tensione applicata. Non si ha in questo caso un’equazione costitutiva algebrica bensi’ un’equazione differenziale. Il componente viene quindi ad assumere una natura dinamica in quanto la sua risposta dipende dalla velocita’ di variazione della tensione applicata. L’equazione costitutiva, e’ stata scritta con la tensione come variabile indipendente. In caso si volesse invertire relazione si dovra’ ricorrere all’operatore differenziale inverso, ovvero ad una integrazione nel tempo.

i (t ) = C

t 1 dv ⇒ v (t ) = ∫ i (t ' )dt ' − ∞ dt C

(2.7) il dominio di integrazione puo’ essere scomposto in due tratti: uno che va da -∝ ad un istante generico in cui la tensione e’ nota ad esempio 0 ed uno che va da 0 all’istante t. Si ottiene quindi: t 1 1 i (t ' )dt ' + ∫ i (t ' )dt ' = 0C −∞ C t 1 = v (0) + ∫ i (t ' )dt ' 0C

v (t ) = ∫

0

(2.8) Nella pratica spesso il condensatore ha un valore di capacita’ costante, indipendente dalla tensione applicata. 2.6 Componente induttore Il componente induttore e' in grado di accumulare energia nel campo magnetico ed appartiene alla terza classe dei componenti utilizzatori. Questo tipo di componente viene di solito realizzato mediante avvolgimenti percorsi da corrente. Infatti, un avvolgimento percorso da corrente crea nella regione di spazio circostante un flusso di induzione magnetica che si concatena con l'avvolgimento stesso, come descritto in figura.

Φ i

Fig. 2.9 Avvolgimento e flusso magnetico concatenato

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2.7

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Il simbolo grafico dell’induttore richiama questa natura, come si puo’ vedere in Figura.

i v

L

Fig. 2.10 Simbolo grafico del componente induttore La relazione che lega tra loro la corrente nelle spire ed il flusso magnetico concatenato e’ data da:

Φ = Li

(2.9) dove Φ e’ il flusso magnetico concatenato misurato in Weber, simbolo Wb, ed L e’ il coefficiente di induttanza dell’avvolgimento che si misura in Henry, simbolo H. Anche in questo caso il valore del parametro L dipende dalla geometria e dalle caratteristiche dei materiali. Anche per il componente induttore, come prima per il condensatore, la relazione flusso-corrente non e' un'equazione costitutiva, in quanto non compare in essa la tensione. Facendo ricorso alla legge dell'induzione elettromagnetica, si puo’ esprimere la derivata del flusso come una tensione, derivando quindi l’equazione (2.9) rispetto al tempo, nell’ipotesi di L costante, si ottiene:

v (t ) =

dΦ di di = L ⇒ v (t ) = L dt dt dt

(2.10) anche in questo caso l’equazione costitutiva e’ di tipo differenziale ed il componente ha quindi caratteristiche dinamiche. Nel caso si voglia ottenere la relazione inversa, esprimendo la corrente in funzione della tensione, si deve ricorrere ad un’operazione di integrazione nel tempo come nel caso dell’equazione (2.8): t 1 0 1 1 i (t ) = ∫ v(t ' )dt ' = ∫ v(t ' )dt ' + ∫ v(t ' )dt ' = 0 L −∞ L −∞ L t 1 = v(0) + ∫ v(t ' )dt ' 0 L t

(2.11)

Dall’esame delle equazioni (2.7) e (2.10) si puo’ notare che la forma delle equazioni dei componenti C ed L e’ uguale sostituendo opportunamente la tensione al posto della corrente e viceversa. Questo particolare legame tra i due componenti viene definito dualita’. a) induttori accoppiati Se il flusso magnetico creato da un avvolgimento interessa una regione di spazio dove e' presente un'altra bobina, i due circuiti risultano essere accoppiati magneticamente anche se fisicamente ed elettricamente sono disgiunti come si puo’ vedere in figura.

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2.8

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i2 i1

Fig. 2.11 Induttori accoppiati A seguito di questa interazione, il flusso concatenato con una bobina puo’ essere diverso da zero anche quando in questa bobina non circola corrente. Questa situazione viene descritta dal sistema di equazioni:

⎧ Φ1 = L1i1 + M 21i2 ⎨ ⎩Φ 2 = L2i2 + M 12i1

(2.12) dove Φ1 e Φ2 sono i flussi concatenati con le due bobine, L1 ed L2 sono detti coefficienti di autoinduttanza delle due bobine ed M12 e M21 sono i coefficienti di mutua induttanza che dipendono dalla interazione magnetica tra i due avvolgimenti. Fisicamente si dimostra che il fenomeno e’ reciproco, cioe’ i due coefficienti di mutua induttanza hanno in realta’ lo stesso valore e quindi M12=M21=M. Derivando rispetto al tempo le (2.12) si puo’ ottenere l’equazione costitutiva del componente a 4 morsetti come:

di1 di2 ⎧ v t L M ( ) = + 1 ⎪ 1 dt dt ⎨ di di ⎪v2 (t ) = L2 2 + M 1 dt dt ⎩

(2.13)

2.7 Componenti generatori I componenti generatori sono in grado di fornire potenza ad un circuito, permettendo ad esempio ai componenti utilizzatori ad essi collegati di funzionare. L’energia fornita dal componente generatore e’ ovviamente trasferita al circuito a spese di trasformazioni energetiche presenti al suo interno, ad esempio le trasformazioni elettrochimiche presenti all’interno di una batteria o le trasformazioni elettromeccaniche che avvengono in una macchina elettrica, dalla semplice dinamo della bicicletta all’alternatore delle centrali elettriche. Queste trasformazioni di energia differenziano profondamente il comportamento dei generatori reali da quelli ideali. Come si vedra’ in seguito, infatti, i generatori ideali saranno in grado di erogare potenze infinite al circuito. Questo ovviamente, per i limiti fisici insiti in tutte le trasformazioni energetiche reali, non e’ possibile nei componenti reali che quindi potranno solo approssimare il comportamento dei generatori ideali. 2.8 Generatore ideale di tensione Il generatore ideale di tensione e' un dipolo in grado di mantenere ai suoi morsetti una tensione e(t), indipendentemente dalla corrente che lo attraversa.

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2.9

M. Repetto

v (t ) = e(t ), ∀i(t)

(2.14) Nel generatore ideale di tensione la corrente non e’ quindi vincolata dalla equazione costitutiva, ma deve essere ricavata dalla caratteristica del circuito esterno a cui il generatore e’ connesso. Il generatore ideale di tensione deve essere descritto con la convenzione dei generatori (corrente uscente dal morsetto positivo) ed il simbolo grafico che lo rappresenta e’ riportato in figura.

i + e(t) Fig. 2.12 Simbolo del generatore ideale di tensione Un caso particolare di generatore ideale di tensione e’ il generatore di tensione costante che e' in grado di mantenere ai suoi morsetti una tensione E indipendentemente dal valore della corrente i, la sua caratteristica in un piano v-i e’ presentata in figura.

v v=E

i Fig. 2.13 Caratteristica grafica del generatore di tensione costante Il generatore di tensione costante con tensione v=0, ovvero di tensione nulla, e’ un caso particolare del componente generatore che coincide, come comportamento ai morsetti, a quello di un resistore LTI con resistenza R=0. Questo componente particolare che presenta tensione nulla ai morsetti qualunque corrente lo attraversi viene detto corto-circuito ed e’ rappresentato come in figura.

i v=0 Fig. 2.14 Componente corto-circuito Il legame tra il generatore ideale di tensione ed il corto-circuito e’ evidenziato dal segmento continuo presente nel simbolo del generatore. 2.9 Generatore ideale di corrente

Elettrotecnica

2.10

M. Repetto

Il generatore ideale di corrente e' un dipolo in grado di mantenere ai suoi morsetti una corrente a(t), indipendentemente dalla tensione applicata ai morsetti.

i (t ) = a (t ), ∀v(t)

(2.15) Anche in questo caso la tensione ai morsetti di un generatore ideale di tensione non e’ specificata dalla sua equazione costitutiva, bensi’ dal circuito esterno. Il simbolo del generatore ideale di corrente e’ riportato in figura.

v

a(t)

Fig. 2.14 Simbolo del generatore ideale di corrente Anche in questo caso, se a(t)=A costante si ottiene un generatore la cui caratteristica puo’ essere riportata nel piano v-i, come in figura.

v

i=A i Fig. 2.15 Caratteristica grafica del generatore di corrente costante Nuovamente un caso particolare si ottiene se A=0, la caratteristica coincide in questo caso con l’asse delle ordinate e quindi con la caratteristica di un resistore con resistenza tendente ad ∝. Questa volta il componente e’ in grado di mantenere a 0 la corrente qualsiasi sia la tensione applicata, si parla in questo caso di circuito aperto, come riportato in figura.

i=0

v

Fig. 2.16 Componente circuito aperto Il caso particolare viene anche qui ricordato nel simbolo grafico del generatore che presenta un segmento spezzato. 2.10 Generatori pilotati I generatori ideali visti in precedenza hanno le caratteristiche in tensione o corrente determinate dalle funzioni arbitrarie e(t) o a(t). In alcuni casi e’ possibile che queste funzioni non siano imposte dall’esterno ma siano funzione di alcune variabili circuitali. Ad esempio e(t)=kvj(t) dove k e’ una costante adimensionale e vj(t) e’ una tensione nel circuito e viene detta grandezza pilota. Il

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2.11

M. Repetto

generatore pilotato e' quindi a rigore un quadrupolo, dato che la sua caratteristica dipende dalla grandezza pilota. In figura sono riportati i simboli grafici dei generatori pilotati e le possibile casistiche.

+

e(t)=αvp

vp

vp

+

ip

ip

e(t)=krip

a(t)=kgvp

a(t)=βip

Fig. 2.17 Casistiche di generatori pilotati 2.11 Componenti reali I componenti elettrici reali hanno caratteristiche che possono solo approssimare quelle dei componenti ideali, sia per limiti costruttivi legati al costo del componente sia per limiti fisici intrinseci nei fenomeni reali. Le principali cause di non idealita’ dei componenti reali sono legate ai limiti fisici a cui devono sottostare le variabili v ed i, ovvero a dei limiti di funzionamento, ed a effetti parassiti, ovvero la compresenza all’interno del componente di piu’ fenomeni. Fortunatamente, molto spesso il comportamento dei componenti reali puo' essere espresso da una combinazione di componenti ideali. a) Limiti di funzionamento Nei componenti reali le tensioni e correnti non possono raggiungere qualsiasi valore ma sono vincolate a rimanere entro limiti specificati sul prodotto. I valori di tensione sono limitati dalla capacita’ di isolamento del componente mentre i valori di corrente sono limitati dal riscaldamento causato dall’effetto Joule. Il superamento di questi limiti puo’ creare danni al componente o comprometterne il funzionamento. In figura e’ riportata la caratteristica di un resistore LTI reale.

Vmax v

− Imax ≤ i ≤ Imax v=Ri

-Imax

Imax

− Vmax ≤ v ≤ Vmax i

-Vmax Fig. 2.18 Caratteristica di un resistore reale con limiti imposti sulle grandezze ai morsetti

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2.12

M. Repetto

Un altro esempio di scostamento tra il comportamento dei componenti reali da quelli ideali dovuto ai valori di tensione e correnti nel componente, si evidenzia nei generatori. Ad esempio un generatore di tensione reale presentera’ una diminuzione della tensione ai morsetti all’aumentare della corrente erogata. Facendo riferimento alla figura 2.13 dove e’ riportata la caratteristica del generatore ideale di tensione costante, la caratteristica reale se ne discosta come in figura.

v

generatore ideale

E

generatore reale i Fig. 2.19 Caratteristiche di generatori ideali e reali di tensione costante Per simulare questo comportamento il cui modello e’ molto complesso si dovrebbe tener conto del particolare generatore reale (elettrochimico, elettromeccanico etc.). Un modello piu’ semplice prevede di approssimare il comportamento ai morsetti mediante uno sviluppo in serie di Taylor arrestato al primo ordine. Considerando solo il tratto con corrente positiva si ottiene:

v (i ) = v (0) +

dv di

i = v (0) + Rint i i =0

(2.16) Il parametro dv/di e' negativo perche’ la tensione scende per i crescente e viene moltiplicato per una corrente e quindi dimensionalmente e' una resistenza e viene assunto come resistenza interna del generatore reale, il cui modello e’ riportato in figura.

E

Ri i(t)

v(t) Fig. 2.20 Modello del generatore reale Il valore del parametro Ri puo’ essere ricavato anche sperimentalmente da misure effettuate sul generatore reale.

b) effetti parassiti Gli effetti parassiti sono legati alla costruzione del componente con materiali reali e necessariamente imperfetti. Ad esempio si puo’ prendere un induttore reale costruito con un avvolgimento di filo conduttore che presenta una certa resistivita’ elettrica per quanto bassa. Quando viene percorso da corrente, la risposta ai morsetti del componente e’ ovviamente legata alla

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2.13

M. Repetto

equazione costitutiva dell’induttore ideale anche se non si puo’ prescindere da una caduta di tensione resistiva legata al valore della corrente. La tensione ai morsetti e’ data quindi dalla somma delle due risposte induttiva e resistiva. Un modello equivalente del componente reale puo’ fortunatamente essere ricavato collegando insieme piu’ componenti ideali. In figura e’ riportato il modello circuitale di un induttore reale, la presenza di L ed R simula la risposta del componente reale.

L

Rp

i(t) v(t) Fig. 2.21 Modello equivalente di un induttore reale

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3.1

M. Repetto

Capitolo 3 Leggi fondamentali dei circuiti elettrici In questo capitolo si sviluppano le leggi che regolano l’interazione dei componenti all’interno di un circuito elettrico. Queste leggi sono formulate in maniera generale e valgono per tutti i tipi di circuito. Si introduce anche l’ipotesi di validita’ delle leggi dei circuiti che sara’ poi alla base del modello circuitale. Dopo la definizione delle leggi, si analizzano alcuni dei collegamenti piu’ semplici dei componenti.

3.1 Topologia del circuito Le equazioni costitutive stabiliscono il legame tensione corrente ai capi di ogni componente, ma non possono definire quale sia il comportamento di piu’ componenti collegati a formare un circuito. Per questo e’ necessario prima stabilire quali sono i modi di collegamento tra diversi componenti e poi quali saranno le leggi di interazione. I modi di collegamento tra componenti vanno sotto il nome di topologia del circuito e definiscono ad esempio le vie di scambio delle correnti e le relazioni tra le tensioni. Si parla di topologia e non di geometria del circuito perche’ il modello circuitale elimina le coordinate spaziali e quindi nei collegamenti si deve stabilire “chi e’ collegato con che cosa” e non “quanto sono lunghi i collegamenti”. Ad esempio i due circuiti riportati in figura sono geometricamente diversi ma topologicamente uguali, infatti la corrente che esce dal morsetto A entra nel morsetto C in entrambi i casi.

A

B

i

C

A

D

B

i

D

C

Fig. 3.1 Esempio di due collegamenti geometricamente diversi ma topologicamente uguali. Per definire i collegamenti circuitali si devono mettere in evidenza alcune entita’ topologiche che si ritrovano poi nelle leggi dei circuiti. a) nodo Si definisce nodo il punto di collegamento tra piu’ vie di passaggio per la corrente. Il nodo sara’ poi il punto di interazione delle correnti nel circuito.

i1

i2

i4 i3 3.2 Nodo in un circuito b) lato Si definisce lato un insieme di componenti collegati senza nodi intermedi, come riportato in figura. Per ogni lato si puo’ definire un valore di corrente ed un valore di tensione ai suoi estremi. In questa maniera il lato puo’ assumere un’equazione costitutiva che dipende da quelle dei componenti in esso collegati.

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3.2

M. Repetto

Fig. 3.3 Lato in un circuito c) maglia Si definisce maglia un insieme di lati in un circuito che formano un percorso chiuso. Una maglia puo’ contenere al suo interno altre maglie. In certi casi e’ utile definire il concetto di maglia generalizzata che costituisce un percorso aperto lungo i lati ma chiuso su di una variabile di rete.

maglia

Fig. 3.4 Esempi di maglie in un circuito

v

Fig. 3.5 Esempio di maglia generalizzata chiusa sulla variabile v 3.2 Leggi di Kirchhoff Le leggi di Kirchhoff sono relazioni generali che definiscono le interazioni tra le tensioni e le correnti in un circuito. Sono relazioni generali che non dipendono dal tipo di componenti presenti nel circuito bensi’ dalla topologia. La loro validita’ e’ limitata solo dalla velocita’ di propagazione dei segnali elettrici come sara’ spiegato nel prossimo paragrafo. Le equazioni di Kirchhoff sono particolari espressioni circuitali delle equazioni generali dei campi elettromagnetici e da esse possono essere ricavate (ad esempio dalla solenoidalita’ della corrente o dalla irrotazionalita’ del campo elettrico). In questo caso pero’ esse saranno assunte in modo assiomatico. a) Legge di Kirchhoff delle Correnti (LKC) La LKC si applica a ciascun nodo presente in un circuito. L’ipotesi della LKC e’ che valga la propagazione istantanea dei segnali elettrici. “In ogni istante la somma algebrica delle correnti afferenti ad un nodo e' nulla” l’aggettivo algebrico significa che vengono prese con segno diverso le correnti entranti e uscenti dal nodo, come evidenziato nell’esempio in figura.

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3.3

i1

i2

M. Repetto

i1(t)+i2(t)-i3(t)-i4(t)=0 ∀t

i4 i3 Fig. 3.6 Legge di Kirchhoff delle correnti in un nodo Dato che l'equazione e' omogenea e' del tutto arbitrario assegnare il segno positivo alle correnti entranti o uscenti. La LKC esprime una conservazione istantanea del flusso di cariche che afferiscono al nodo. In ogni istante il flusso delle cariche in arrivo al nodo deve essere bilanciato dal flusso delle correnti uscenti. Questa situazione, come si vedra’ nel prossimo paragrafo, e’ sempre verificata nelle ipotesi della LKC. Un’analogia si puo’ trovare con l’equazione di bilancio delle portate di un fluido incomprimibile, ad esempio acqua, in un nodo di condutture. Dato che l’acqua e’ incomprimibile in ogni istante la portata in ingresso al nodo deve essere uguale a quella in uscita, in caso contrario si arriva ad una rottura delle tubazioni. b) Legge di Kirchhoff delle Tensioni (LKT) La LKT esprime la interazione delle tensioni in un percorso chiuso o maglia. L’ipotesi della LKT e’ che valga la propagazione istantanea dei segnali elettrici. “In ogni istante la somma algebrica delle tensioni di lato in una maglia e' nulla” Anche in questo caso, l‘aggettivo algebrico significa che vengono prese con segno diverso le tensioni con percorrenza diversa all'interno della maglia, come evidenziato in figura.

v3

v2 v1(t)+v2(t)-v3(t)-v4(t)-v5(t)=0 ∀t

v4

verso di percorrenza

v1

v5 Fig. 3.7 Legge di Kirchhoff delle tensioni in una maglia Come si vede dalla figura, le tensioni concordi con il verso di percorrenza della maglia sono prese con segno positivo, le altre con segno negativo. Nuovamente l’equazione e’ omogenea, percio’ e’ arbitrario il verso di percorrenza assunto per la maglia. Cambiando il verso di percorrenza, tutti i segni positivi si tramutano in negativi e vice-versa lasciando immutata l’equazione. c) Ipotesi delle Leggi di Kirchhoff Come evidenziato nel loro enunciato, le leggi di Kirchhoff devono essere valide in qualsiasi istante di funzionamento del circuito. A causa della natura dei fenomeni elettromagnetici, che si propagano a velocita’ pari a quelle della luce, questo puo’ non essere sempre verificato se i nodi di un circuito

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3.4

M. Repetto

sono sufficientemente distanti, tali cioe’ da introdurre un tempo di ritardo ad esempio tra l’iniezione di corrente in un lato e il suo arrivo all’altro estremo. Questo ritardo puo’ essere piu’ o meno trascurabile in funzione della scala temporale dei fenomeni che si stanno considerando. Si prenda ad esempio il componente riportato in figura.

1m Fig. 3.8 Componente dipolare con distanza pari a 1 m tra i morsetti Considerando che il segnale elettrico si propaghi nel componente con velocita’ pari a quella della luce, c≈1*108 m/s, una corrente iniettata in un morsetto arrivera’ al morsetto opposto dopo:

τ=

l 1 = ≈ 0.3 * 10−8 s = 3ns 8 c 3 * 10

(3.1) questo tempo di ritardo puo’ essere o meno trascurabile a seconda del fenomeno in esame. Ad esempio per una corrente sinusoidale alla frequenza di 50 Hz, che ha un periodo T=1/f=20 ms, il tempo di ritardo τ e' trascurabile. Vice-versa, per una corrente sinusoidale alla frequenza di 100 MHz, che ha un periodo T=1/f=1/108=10 ns, il tempo di ritardo τ ed il periodo T sono confrontabili. In quest’ultimo caso percio’ non si puo’ considerare istantanea la propagazione. Questo significa che, applicando la legge di Kirchhoff delle correnti ad un nodo, questa sara' verificata istantaneamente nel caso dei 50 Hz, solo dopo un certo tempo nel caso a 100 MHz. Si parla in questo caso di diversa scala temporale dei fenomeni. L’ipotesi di propagazione istantanea e' ben verificata se la dimensione geometrica L del circuito e' molto inferiore alla lunghezza d'onda associata al fenomeno e definita come:

λ = cT

(3.2) dove λ e’ la lunghezza d’onda e T il periodo della funzione considerata. Come si puo' immaginare il limite e' attivo per fenomeni a frequenza elevata, mentre per fenomeni a frequenza industriale f=50Hz, questo limite e' quasi ininfluente essendo λ=6000 km circa uguale al raggio terrestre. 3.3 Collegamento dei componenti Le leggi di Kirchhoff costituiranno, insieme alle equazioni costitutive, l’insieme di vincoli necessari a ottenere le tensioni e le correnti in tutti i lati del circuito. In prima battuta possono pero’ essere utilizzate per combinare tra loro le equazioni di piu’ componenti. Questo permette di ottenere espressioni semplici per collegamenti canonici che si riscontrano spesso nella pratica. Si affronta il caso dei componenti resistori perche’ in questo modo si trattano equazioni algebriche e non differenziali. a) Dipolo equivalente Le formule che saranno ricavate, permetteranno di ottenere il valore di un dipolo equivalente ad un circuito. Il concetto di equivalenza e’ molto importante nei circuiti elettrici perche’ verra’ utilizzato frequentemente al fine di semplificare la soluzione dei circuiti. Due dipoli si dicono equivalenti se

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3.5

M. Repetto

presentano le stesse equazioni costitutive, ovvero se sostituiti in un circuito ne lasciano invariato il funzionamento. b) Collegamento serie Due o piu’ componenti si dicono collegati in serie se sono percorsi dalla stessa corrente, come avviene, per esempio, in un lato. Le equazioni di Kirchhoff permettono di scrivere le grandezze ai morsetti del collegamento in funzione delle singole equazioni costitutive.

A i vAB

i1

v1

R1

i2 v2

B

R2

Fig. 3.9 Collegamento serie di resistori Prendendo il caso di due resistori collegati in serie come in figura si ottiene:

⎧ v1 = R1i1 ⎨ ⎩v 2 = R2i 2 ⎧ i = i1 = i 2 ⎨ ⎩v AB − v1 − v 2 = 0

(3.3) la prima coppia di equazioni contiene le equazioni costitutive dei due componenti, mentre la seconda coppia contiene le leggi di Kirchhoff applicate alle correnti ed alle tensioni. Il circuito non contiene nodi e quindi la LKC impone l’uguaglianza della corrente in tutti i componenti. La LKT e’ applicata ad una maglia generalizzata. Combinando le equazioni, si ottiene:

v AB = v1 + v 2 = R1i + R2i = (R1 + R2 )i = Req i

(3.4) dove si ottiene che l’equazione complessiva del circuito e’ l’equazione costititutiva di un resistore equivalente con resistenza pari alla somma delle due resistenze. La stessa relazione vale anche nel caso di N resistori, in questo caso compare la sommatoria di tutte le resistenze. c) Collegamento parallelo Due o piu’ componenti si dicono collegati in parallelo se tutti sono sottoposti alla stessa tensione. In figura e’ riportato un esempio di due resistori collegati in parallelo.

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3.6

M. Repetto

A i vAB

i1 v1

B

i2 v2

R1

R2

Fig. 3.10 Collegamento in parallelo di due resistori applicando e equazioni a disposizione, si ottiene:

⎧ v1 = R1i1 ⎨ ⎩v 2 = R2i 2 ⎧ i = i1 + i 2 ⎨ ⎩v AB = v1 = v 2

(3.5)

nuovamente, combinando insieme le equazioni si ottiene:

i = i1 + i 2 =

v AB v AB + = R1 R2

⎛ 1 v 1 ⎞ ⎟⎟v AB = AB = ⎜⎜ + Req ⎝ R1 R2 ⎠

(3.6) da cui una nuova equazione del componente equivalente (valida solo per due resistori in parallelo):

Req =

R1R2 R1 + R2

(3.7) Dalla espressione ottenuta e’ evidente che nel caso di collegamento parallelo e’ piu’ efficiente utilizzare le conduttanze, infatti dalla eq. 3.6 si ottiene:

1 1 1 = + ⇒ Geq = G1 + G2 Req R1 R2

(3.8)

in caso di n componenti in parallelo si ottiene: n

Geq = ∑ Gk k =1

(3.9) Dal punto di vista tecnico, quasi tutti gli utilizzatori elettrici vengono collegati in parallelo ai generatori di tensione, in questa maniera tutti i carichi vedono la stessa tensione ed assorbono corrente il cui valore dipende dalla propria equazione costitutiva mentre e’ sostanzialmente indipendente dagli altri carichi. d) Collegamento stella triangolo

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3.7

M. Repetto

Nella pratica si ritrovano spesso collegamenti circuitali che non ricadono nei due precedenti. Nel collegamento di resistori a tre poli, si possono definire due tipologie tipo: a stella e a triangolo, come evidenziato in figura.

A A

RA RB

RC

RCA

RAB

C

B

B

C

RBC

a) b) Fig. 3.11 Collegamento di resistori con 3 morsetti esterni: a) configurazione a stella, b) configurazione a triangolo In questo caso, con opportuni passaggi algebrici che qui non vengono riportati, si possono definire le formule di trasformazione di 3 resistori collegati a stella in 3 resistori equivalenti collegati a triangolo e vice-versa. Nella trasformazione stella→triangolo, si suppongono noti i valori delle 3 resistenze RA, RB e RC, e si determinano i valori del triangolo equivalente.

R AB =

R AR B RBRC ; RBC = ⎛ 1 ⎛ 1 1 1 ⎞ 1 1 ⎞ ⎜⎜ ⎟⎟ ⎜⎜ ⎟⎟ + + + + ⎝ R A RB RC ⎠ ⎝ RA RB RC ⎠ RC R A RCA = ⎛ 1 1 1 ⎞ ⎜⎜ ⎟⎟ + + ⎝ R A RB RC ⎠

(3.10)

Nella trasformazione triangolo→stella, si suppongono noti i valori delle 3 resistenze RAB, RBC e RCA, e si determinano i valori della stella equivalente.

RA =

RBC R AB R ABR CA ; RB = (R AB + RBC + RCA ) (R AB + RBC + RCA ) RC =

RCAR BC (R AB + RBC + RCA )

(3.11)

Le due relazioni precedenti si semplificano in caso di stella o triangolo equilibrati, formati cioe’ da resistori che hanno tutti lo stesso valore di resistenza. RA = RB = RC = RY ⇒ R AB = RBC = RCA = RΔ = 3RY (3.12) 1 R AB = RBC = RCA = R Δ ⇒ R A = RB = RC = RY = R Δ 3 (3.13) In questo caso si e’ utilizzato il pedice y per la stella e il Δ per il triangolo.

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4.1

M. Repetto

Capitolo 4 Metodi di soluzione dei circuiti elettrici In questo capitolo si affronta la soluzione dei circuiti, ovvero la definizione di un procedimento analitico che consente di calcolare le tensioni e le correnti di una rete data la topologia e le equazioni dei componenti. Il procedimento ottenuto non dipende dal particolare tipo di circuito ma e’ generale ed applicabile a qualsiasi tipo di topologia e componenti.

4.1 Variabili di rete Come si e’ visto nei capitoli scorsi, il lato di un circuito e’ caratterizzato da un valore di corrente e da uno di tensione. Si intende per soluzione del circuito il procedimento che prevede di calcolare questi valori circuitali per ogni lato del circuito. Nel procedimento di soluzione quindi le incognite sono le tensioni e le correnti di lato che vengono dette variabili di rete. In un circuito contenente L lati, dovranno quindi essere determinati L valori di tensione ed L di corrente, ci saranno quindi 2L incognite da determinare. In un procedimento algebrico, la determinazione di 2L variabili passa attraverso la definizione di un pari numero di vincoli significativi, cioe’ indipendenti tra loro. Questi vincoli vanno ricavati dall’imposizione delle leggi del circuito: da un lato le equazioni dei componenti e dall’altro le equazioni topologiche. 4.2 Metodo grafico Il metodo grafico e’ un metodo di soluzione dei circuiti che si puo’ applicare a reti di topologia semplice. Ha comunque una validita’ legata al fatto che le equazioni costitutive dei componenti possono essere definite anche in maniera non analitica, ad esempio attraverso una caratteristica tensione-corrente data per punti. Dato il circuito in figura, costituito da una sola maglia, si vogliono determinare i valori di tutte la variabili di rete.

vi A E +

i

Ri

i vAB

ve

Re

B Fig. 4.1 Circuito con una sola maglia Per utilizzare il metodo grafico si suddivide il circuito in due sezioni congiunte attraverso i morsetti A e B. La sezione di sinistra e’ composta dalla serie di un generatore ideale di tensione costante e da un resistore, costituisce quindi il modello di un generatore reale. La sezione di destra e’ composta da un singolo resistore. Le due parti devono poi avere lo stesso valore delle variabili comuni vAB ed i.

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4.2

M. Repetto

vi A

E

i

Ri

+

vAB

B Fig. 4.2 Sezione del circuito contenente il generatore La soluzione della parte di sinistra, riportata in figura, e’ data da:

v AB + v i − E = 0 → v AB = E − Ri i

(4.1)

La parte di sinistra ha un’equazione piu’ semplice essendo composta da un solo componente:

v AB − v e = 0 → v AB = Re i

(4.2) Ovviamente la soluzione del circuito dovra’ soddisfare contemporaneamente le due caratteristiche e quindi, riportando su di un piano cartesiano con i in ascissa e vAB in ordinata, si puo’ ottenere il punto di lavoro del circuito dall’intersezione delle due rette, come riportato in figura.

vAB E

vAB=Rei

vAB' vAB=E-Rii i'

E/Ri i

Fig. 4.3 Caratteristiche grafiche delle due sezioni del circuito e punto di lavoro Il metodo grafico puo’ essere applicato solo a circuiti di topologia semplice, ma ha una certa importanza nelle soluzione di circuiti non-lineari, dato che la il punto di lavoro puo’ essere ottenuto dall’intersezione grafica delle caratteristiche.

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4.3

M. Repetto

vAB E

vAB=f(i)

vAB' vAB=E-Rii E/Ri i

i'

Fig. 4.4 Esempio di metodo grafico applicato alla soluzione di un circuito non lineare 4.3 Metodo algebrico Il metodo di soluzione grafico puo’ essere utilizzato solo in reti molto semplici, e’ quindi necessario un metodo per la soluzione dei circuiti piu’ complessi. Nuovamente, si considerano in prima battuta solo circuiti resistivi al fine di trattare equazioni algebriche. Il metodo sviluppato vale comunque per qualsiasi circuito. Per definire il procedimento di soluzione si deve definire la topologia del circuito, che si suppone abbia N nodi e L lati. Il numero di nodi e di lati in un circuito sono variabili indipendenti, cioe’ essi non sono definiti a priori ma dipendono dai collegamenti della rete, come si puo’ notare in figura dove due circuiti con lo stesso numero di nodi hanno un diverso numero di lati.

L=5, N=3

L=5, N=2

Fig. 4.5 Circuiti con stesso numero di lati ma numero di nodi diversi Come accennato nel primo paragrafo, il procedimento di soluzione deve calcolare 2L variabili di rete. Si devono percio’ scrivere 2L equazioni di vincolo. Per poter risolvere il circuito si devono conoscere tutte le equazioni costitutive dei lati.

+

Ek

ik

Rk

vk Fig. 4.6 Lato k-esimo di un circuito

Considerando un lato composto, ad esempio, dalla serie di un generatore ideale di tensione e di un resistore si ottiene, applicando la LKT ai suoi morsetti:

v k = Ek − Rk i k

(4.3)

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4.4

M. Repetto

Dati L lati, si possono scrivere L equazioni come la (4.3), tutte indipendenti in quanto, in assenza di componenti accoppiati o generatori pilotati, ogni equazione contiene solo le variabili del lato in questione. Il bilancio incognite-equazioni lascia ancora 2L-L=L variabili libere. Le L equazioni rimanenti vanno quindi ricercate nelle equazioni topologiche non ancora sfruttate. In questo caso si dovra’ prestare attenzione alla possibile dipendenza lineare dei vincoli. Cominciando dalle equazioni LKC, in un circuito con N nodi sarebbe, in linea di principio, possibile scrivere N equazioni LKC, ovvero una per ogni nodo. In realta’ questo non e’ possibile, come si puo’ mettere in evidenza con un semplice esempio.

i4

i1

A

B i5

i3

i2

C Fig. 4.7 Circuito con N=3 Dato il circuito in figura, si possono scrivere le 3 equazioni LKC:

LKC A→ -i1-i3-i4=0 LKC B→ +i1-i2-i5=0 LKC C→ +i2+i3+i4+i5=0

(4.4) come si puo’ notare dalle equazioni, -(LKC A)-(LKC B)=(LKC C), ovvero la terza equazione e' linearmente dipendente dalle prime due. Questo fatto e’ legato ad una equazione che, anche se non e’ stata scritta esplicitamente, e’ presente nel fenomeno, ovvero la conservazione della carica elettrica. A seguito di questo fatto in un circuito con N nodi si potranno scrivere N-1 equazioni LKC linearmente indipendenti. A questo punto, facendo nuovamente il bilancio incognite-equazioni, rimangono L-N+1 incognite da vincolare.

2L incognite -L equazioni costitutive= L incognite non vincolate -(N-1) LKC= L-N+1 incognite non vincolate Fig. 4.8 Bilancio delle incognite e delle equazioni circuitali Queste ultime variabili libere vanno vincolate con le equazioni LKT, le ultime non ancora utilizzate. In generale si potra’ scrivere un numero di equazioni LKT superiore al necessario, ma anche in questo caso si deve prestare attenzione alla dipendenza lineare.

Elettrotecnica

4.5

M. Repetto

maglia 3 maglia 1

maglia 2

v2

v1

v3

Fig. 4.9 Circuito con 3 maglie Dato il circuito in figura, si possono scrivere 3 equazioni LKT:

LKT 1 v1-v2=0 LKT 2 v2-v3=0 LKT 3 v1-v3=0

(4.6) come si puo’ notare (LKT 1)+(LKT 2)=(LKT 3), in questo caso la dipendenza dell’equazione LKT3 dalle altre dipende dal fatto che la maglia 3 contiene completamente le altre 2. Si puo’ dimostrare, in base a teoremi di topologia, che e’ sempre possibile determinare un numero sufficiente di maglie le cui equazioni sono linearmente indipendenti. La determinazione di un sistema di 2L equazioni in 2L incognite linearmente indipendenti, garantisce la possibilita' di risolvere il circuito. La natura del sistema risolutivo dipende dal tipo componenti coinvolti (sistema algebrico, lineare, nonlineare, di equazioni differenziali etc.). 4.2 Esempio di soluzione con metodo algebrico Il circuito in figura e’ costituito da resistori e generatori ideali di tensione ed ha 3 lati e 2 nodi.

i1

E1

+

v1

v2

A i3

R1 maglia1

v3

R3

i2

R2 maglia2

E2

B Fig. 4.10 Circuito con N=2, L=3 Considerando come variabili di rete le tensioni ai capi dei resistori, a cui possono essere aggiunte quelle note dei generatori, sono presenti 6 incognite: 3 tensioni v1, v2, v3, e 3 correnti i1, i2, i3. Seguendo l’algoritmo proposto nel paragrafo precedente si possono scrive 6 equazioni. Equazioni dei componenti:

v1=R1i1 v2=R2i2 v3=R3i3 Equazioni topologiche:

(4.9)

Elettrotecnica

4.6

LKC A → i1+i2-i3=0 LKT 1 → E1-v1-v3=0 LKT 2 → E1-v2-v3=0

M. Repetto

(4.8)

dato che il circuito e’ composto da componenti resistori LTI, cioe’ con resistenze costanti, il sistema di 6 equazioni in 6 incognite e’ algebrico e lineare e puo’ essere risolto con il metodo di sostituzione. Supponendo di essere interessati principalmente al valore della corrente i3 si possono eliminare progressivamente le altre incognite.

⎧ i1 + i 2 − i 3 = 0 ⎪ ⎨ E1 − R1i1 − R3 i 3 = 0 ⎪E − R i − R i = 0 2 2 3 3 ⎩ 2

i1 =

E1 − R3i 3 R1

i2 =

E2 − R3i 3 R2

(4.9)

E1 − R3 i 3 E 2 − R3 i 3 + − i3 = 0 R1 R2

i 3 (R1R2 + R1R3 + R 2R3 ) = R2 E1 + R1E 2 si ottiene quindi la formula risolutiva per la variabile i3

i3 =

R 2 E1 + R1E 2 (R1R2 + R1R3 + R2R3 )

(4.10) una volta calcolato il valore di i3 sostituendo i valori numerici dei componenti, si possono ottenere, attraverso una sostituzione all’indietro, i valori di tutte le altre variabili di rete.

Elettrotecnica

5.1

M. Repetto

Capitolo 5 Teoremi di rete In questo capitolo si affronta lo studio di alcune proprieta’ generali dei circuiti che ne aiutano la soluzione. All’interno delle ipotesi che saranno specificate, queste caratteristiche valgono per qualsiasi circuito e vengono quindi definite teoremi circuitali.

5.1 Linearita’ Come si e’ visto nel capitolo precedente, la soluzione di un circuito di L lati passa attraverso la definizione di un sistema risolutivo di dimensione 2L. Come si puo’ facilmente intuire, se L supera qualche unita’ la soluzione del sistema diventa estremamente onerosa soprattutto se deve essere affrontata in maniera analitica. Per superare questa difficolta’ sono state sviluppate alcune regole che consentono, sotto certe ipotesi, di semplificare la soluzione del circuito. Una delle ipotesi a cui si fa spesso riferimento nelle ipotesi dei teoremi e’ la linearita’ del circuito. La definizione di linearita’ di una funzione matematica f(x) e’ data da due proprieta’ la additivita’:

y1=f(x1), y2=f(x2) → y1+y2=f(x1+x2)

(5.1)

e la omogeneita’:

y1=f(x1), a costante reale→ ay1=f(ax1)

(5.2) se la funzione f esprime la risposta di un qualsiasi sistema fisico, la linearita’ di f implica la ben nota proprieta’ di sovrapposizione degli effetti. In un circuito la generica funzione f puo’ esprimere la relazione che lega un qualsiasi effetto, cioe’ una variabile di rete, tensione o corrente, alle cause, ovvero ai generatori agenti nel circuito. Un esempio di questa relazione e’ la equazione (4.10) che viene qui riportata:

i3 =

R 2 E1 + R1E 2 (R1R2 + R1R3 + R2R3 )

(4.10) che lega la variabile i3 ai generatori E1 ed E2 attraverso una serie di coefficienti rappresentati dai valori dei parametri circuitali. Come si puo’ vedere, l’equazione (4.10) esprime una relazione lineare tra le cause E1 ed E2 e la variabile i3 questa proprieta’ discende dal fatto che tutti i parametri del circuito sono a parametri costanti, ovvero LTI. In generale si dimostra che se un circuito e' realizzato con componenti R, L, C a parametri costanti e da generatori ideali, la sua risposta e' lineare. 5.2 Passivazione dei generatori Un altro concetto che ricorre frequentemente nei teoremi di rete e’ la passivazione dei generatori ovvero la rimozione del contributo di un generatore dal circuito. Come si puo’ vedere dall’esempio in figura, la semplice disconnessione dei morsetti del generatore puo’ essere non corretta in quanto oltre ad eliminare il generatore cambia anche la topologia del circuito.

E1 +

E2 Fig. 5.1 Esempio incorretto di passivazione dei generatori

E2

Elettrotecnica

5.2

M. Repetto

Come si puo’ vedere infatti, la eliminazione del generatore E1 cambia la topologia del circuito in quanto impedisce al generatore E2 di far circolare corrente. In maniera corretta, invece, la passivazione del generatore deve azzerare il suo apporto al circuito, questa operazione si puo’ effettuare portando a zero la caratteristica e(t) di un generatore di tensione o la a(t) di un generatore di corrente. Come si e’ visto nel capitolo 2 questo equivale a sostituire ad un generatore di tensione un corto circuito e ad un generatore di corrente un circuito aperto. In figura sono esemplificati i due casi.

Generatore + ideale di e(t) tensione

e(t)=0

Corto circuito

Generatore ideale di a(t) corrente

a(t)=0

Circuito aperto

Fig. 5.2 Passivazione dei generatori ideali di tensione e di corrente 5.3 Teorema di sovrapposizione Il teorema di sovrapposizione traduce in termini circuitali il ben noto principio di sovrapposizione degli effetti utilizzato in fisica nei sistemi lineari e consente di semplificare la soluzione dei circuiti lineari con piu’ di un generatore. Ipotesi: circuito lineare Enunciato: in un circuito con n generatori l'andamento di ogni variabile di rete con gli n generatori attivi e' pari alla somma delle risposte ottenute facendo agire un solo generatore alla volta e passivando gli altri n-1. Il teorema non viene dimostrato ma si applica al medesimo circuito risolto nel capitolo precedente.

i1

E1

+

v1

v2

A i3

R1 maglia1

v3

R3

i2

R2 maglia2

E2

B Fig. 5.3 Circuito con 2 generatori Nel circuito agiscono contemporaneamente due generatori e si e’ visto in precedenza come la corrente i3 dipenda da entrambi. L’enunciato del teorema prevede che sia possibile trovare il valore della corrente i3 come somma di due contributi:

i 3 = i 3 ' (E 1 ) + i 3 " ( E 2 )

(5.3) dove il contributo i3’ e’ calcolato lasciando attivo il generatore E1 e passivando E2, vice-versa per i3”.

Elettrotecnica

5.3

M. Repetto

a) calcolo di i3’ Per il calcolo di i3’ e’ necessario passivare il generatore E2, il circuito diventa percio’ come in figura.

v'1

i'1

E1

v'2

A i'3

R1

+

maglia1

v'3

R3

i'2

R2 maglia2

B Fig. 5.4 Circuito con il generatore E2 passivato A questo punto, la presenza di un solo generatore consente di utilizzare le regole dei collegamenti equivalenti sostituendo ad esempio ai resistori R2 ed R3 il loro equivalente parallelo e successivamente di collegare questo componente in serie ad R1. Si ottiene quindi la corrente che circola nel generatore come:

i1 ' =

E1 E1(R2 + R3 ) = RR R1R2 + R1R3 + R2R3 R1 + 2 3 R2 + R3

(5.4)

Una volta ricavata la corrente i1’ si puo’ utilizzare la formula del partitore di corrente per calcolare la corrente i3’:

i 3 ' = i1 ' =

R2 E1 (R2 + R3 ) R2 = = R2 + R3 R1R2 + R1R3 + R2R3 (R2 + R3 )

E1R2 R1R2 + R1R3 + R2R3

(5.5)

b) calcolo di i3” In maniera analoga a quanto fatto per i3’ si puo’ determinare il contributo i3” passivando il generatore E1, il circuito modificato e’ riportato in figura.

i"1

v"1

v"2

A i"3

R1 maglia1

v"3

R3

R2

i"2 +

E2

maglia2

B Fig. 5.5 Circuito con il generatore E1 passivato

Elettrotecnica

5.4

M. Repetto

la corrente i2” si puo calcolare come:

i2 " =

E2 E2 (R1 + R3 ) = R1R3 R1R2 + R1R3 + R2R3 R2 + R1 + R3

(5.6)

applicando nuovamente il partitore di corrente si ottiene il termine i3”

i3 " = i2 " =

R1 E2 (R1 + R3 ) R1 = = R1 + R3 R1R2 + R1R3 + R2R3 (R1 + R3 )

E2R1 R1R2 + R1R3 + R2R3

(5.7)

Il valore della corrente nel resistore R3 e’ data dalla somma dei due contributi:

i 3 = i 3 '+ i 3 " = =

E1R2 E2R1 + = R1R2 + R1R3 + R2R3 R1R2 + R1R3 + R2R3

E1R2 + E2R1 R1R2 + R1R3 + R2R3

(5.8)

come si puo’ notare, il risultato coincide con quello ottenuto applicando al circuito l’algoritmo di soluzione canonico ottenuto nel precedente capitolo. L’applicazione del teorema di sovrapposizione ha quindi permesso di ottenere la soluzione del circuito attraverso l’analisi di due circuiti piu’ semplici dove, grazie alla presenza di un solo generatore, e’ stato possibile trarre vantaggio dalle formule dei collegamenti serie e parallelo. 5.4 Teorema di Thevenin Il teorema di Thevenin o del circuito equivalente di Thevenin, rappresenta uno degli strumenti piu’ potenti per la soluzione dei circuiti lineari. Essenzialmente esso permette di rappresentare una qualsiasi rete lineare comunque complessa con un circuito equivalente simile al modello di un generatore reale di tensione. Questo permette di vedere una rete comunque complessa in maniera modulare e studiarne quindi i componenti ad essa collegati in maniera semplificata. Nel caso di reti lineari sara’ quindi sempre utile trasformare una rete con il suo equivalente di Thevenin per limitare il numero di calcoli da effettuare. Il circuito equivalente di Thevenin si applica ad una rete comunque complessa di cui siano messi in evidenza due morsetti. A questa coppia di morsetti si puo’ collegare un dipolo esterno, come indicato in figura.

A rete lineare B Fig. 5.6 Rete a cui applicare il teorema di Thevenin

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5.5

M. Repetto

L’enunciato viene formulato per reti composte da soli resistori in modo da semplificare le equazioni risultanti ma il teorema e’ comunque valido per qualsiasi tipo di rete corrispondente alle ipotesi. Ipotesi: la rete di cui sono messi in evidenza i morsetti A e B e’ lineare, cioe’ composta da componenti R, L, C a parametri costanti e da generatori ideali. Non si formulano ipotesi per il dipolo esterno che puo’ essere qualsiasi ma non puo’ essere accoppiato ne’ magneticamente ne’ attraverso generatori pilotati con i componenti interni. Enunciato: la rete lineare puo’ essere sostituita da una rete equivalente costituita dalla serie di un generatore ideale di tensione e da un resistore. La tensione del generatore e’ data dalla tensione ai capi A e B della rete lasciati aperti, la resistenza del resistore e’ la resistenza della rete passivata vista dai morsetti A e B.

A +

Req

Eeq B Fig. 5.7 Circuito equivalente di Thevenin di una rete composta da soli resistori

A rete lineare

Eeq B

Fig. 5.8 Tensione del generatore equivalente di Thevenin

A rete lineare passivata

Req B

Fig. 5.9 Resistenza equivalente di Thevenin a) esempio di circuito risolto con equivalente di Thevenin Si prende in considerazione lo stesso circuito gia’ affrontato in precedenza (Fig. 5.3) ed anche in questo caso si vuole determinare la corrente i3. Il teorema di Thevenin si puo’ quindi applicare considerando che il dipolo esterno sia il resistore R3 e che la rete lineare sia tutto il resto del circuito. Il circuito puo’ essere ridisegnato per mettere in evidenza questa suddivisione.

Elettrotecnica

5.6

M. Repetto

A

R1 R2 E1 +

R3

E2 B

Fig. 5.10 Circuito di figura 5.3 con evidenziati i morsetti A e B A questo punto per esprimere la rete lineare a sinistra dei morsetti A e B mediante il circuito equivalente di Thevenin e’ necessario calcolare la tensione del generatore e la resistenza serie. Per il calcolo del generatore di tensione si deve analizzare il circuito con i morsetti A e B lasciati aperti, come indicato in figura.

v1 A i

R1 v2

E1

R2

+

Eeq

E2 B

Fig. 5.11 Circuito per il calcolo del generatore equivalente di Thevenin La tensione puo’ essere calcolata determinando prima la corrente i che circola nella maglia di sinistra, applicando la LKT si ottiene: E1 − R1i − R2i − E2 = 0 (5.9) da cui si ricava la corrente:

i=

E1 − E2 R1 + R2

(5.10)

applicando nuovamente la LKT alla maglia generalizzata di destra, si ottiene:

Eeq + R1i − E1 = 0

(5.11)

da cui si ricava:

Eeq = E1 − R1 =

E1 − E2 = R1 + R2

E1R1 + E1R2 − E1R1 + E2R1 E1R2 + E2R1 = R1 + R2 R1 + R2

(5.12)

Elettrotecnica

5.7

M. Repetto

Per il calcolo della resistenza equivalente si devono passivare tutti i generatori del circuito e calcolare la resistenza ai morsetti A e B.

A

R1 R2

Req

B Fig. 5.12 Circuito passivato per il calcolo della resistenza equivalente Il circuito vede le due resistenze in parallelo e quindi la resistenza ai morsetti diventa:

Req =

R1R2 R1 + R2

(5.13) Una volta calcolati i parametri del circuito di Thevenin, il calcolo della corrente i3’ si conduce alla soluzione del circuito semplificato riportato in figura.

Req

A i3

Eeq

+

R3 B

Fig. 5.13 Circuito di figura 5.10 semplificato con Thevenin A questo punto la soluzione e’ immediata, dalla equazione di maglia si ottiene:

Eeq = Req i 3 + R3i 3

(5.14)

da cui sostituendo le espressioni ottenute nelle eqq. 5.12 e 5.13 si ha:

E1R2 + E2R1 E1R2 + E2R1 R1 + R2 = i3 = R1R2 + R3 R1R2 + R1R3 + R2R3 R1 + R2

(5.15)

che ovviamente coincide con il risultato gia’ ottenuto in precedenza. 5.5 Circuito equivalente di Norton Lo stesso concetto di rete equivalente espresso dal teorema di Thevenin, puo’ essere applicato ad una topologia diversa di circuito equivalente detto circuito equivalente di Norton. In questo caso, nelle stesse ipotesi gia’ espresse per il teorema di Thevenin, al posto della serie del generatore

Elettrotecnica

5.8

M. Repetto

ideale di tensione e del resistore, vengono usati un generatore ideale di corrente in parallelo ad un resistore.

A +

Aeq

Req B

Fig. 5.14 Circuito equivalente di Norton Anche in questo caso vengono definite le regole per calcolare i valori dei componenti equivalenti. Il generatore ideale di corrente eroga la corrente che si ha ai morsetti A e B della rete lineare chiusi su un corto circuito. La definizione del resistore equivalente coincide invece con quella del circuito equivalente di Thevenin. 5.6 Teorema di Millmann Il teorema di Millmann permette di ottenere in forma chiusa la soluzione di circuiti di topologia fissata. A causa di cio’ il teorema di Millmann ha uno spazio di applicazione piu’ limitato dei precedenti teoremi di rete. Ipotesi: rete lineare costituita da lati in parallelo tra due nodi Enunciato: la tensione tra i due nodi e’ pari al rapporto di due termini: a numeratore compare la somma algebrica di tutti i generatori di tensione dei lati divisi per le resistenze serie e di tutti i generatori di corrente, a denominatore compare la somma delle resistenze serie di tutti i lati salvo quelli che contengono generatori di corrente. L’enunciato e’ piu’ facilmente espresso da un esempio in cui compaiono tutte le tipologie di lati, come in figura.

A i1

i2

R1

R2

R3

E1 +

E2

A3

i4

+

R4

VAB

B

Fig. 5.15 Circuito risolubile mediante teorema di Millmann Dato che il circuito ha 2 nodi e’ possibile scrivere una equazione LKC, ad esempio al nodo A, a cui convergono le correnti di tutti i rami in parallelo. Le correnti di lato possono essere scritte in

Elettrotecnica

5.9

M. Repetto

funzione della tensione tra i nodi A e B. Per il lato 1, applicando la LKT alla maglia generalizzata, si ottiene:

VAB + R1i1 − E1 = 0

(5.16)

da cui la corrente:

i1 =

E1 − VAB R1

(5.17) Per il lato 2 l’equazione di maglia e’ analoga cambiando pero’ opportunamente la polarita’ del generatore che questa volta ha verso opposto a quello della VAB. Si ottiene quindi:

VAB − R2i 2 + E2 = 0 i2 =

(5.18)

E2 + VAB R2

(5.19) Per il terzo ramo la corrente e’ imposta dal generatore di corrente e quindi non e’ necessario nessun calcolo. L’ultimo lato si differenzia dai primi perche’ non contiene generatori, in questo caso la corrente e’ direttamente ottenuta dalla tensione tra A e B:

i4 =

VAB R4

(5.20)

Scrivendo a questo punto la LKC al nodo A si ottiene:

i1 − i 2 + A3 − i 4 = 0

(5.21) sostituendo le espressioni 5.17, 5.19 e 5.20 si scrive un’equazione in cui l’unica incognita e’ VAB.

E1 − VAB E2 + VAB V − + A3 − AB = 0 R1 R2 R4

(5.22)

ricavando l’incognita si ottiene:

VAB

E1 E2 − + A3 R1 R2 = 1 1 1 + + R1 R2 R4

(5.23)

che costituisce l’enunciato del teorema di Millmann. Come esempio di applicazione del teorema di Millmann si puo’ studiare nuovamente il circuito di figura 5.3. In questo caso i 3 lati sono collegati in parallelo tra i morsetti A e B come evidenziato in figura. La tensione tra i 2 morsettipuo’ dunque essere calcolata applicando la 5.23:

VAB

E1R2 + E2R1 E1 E2 + R3 (E1R2 + E2R1 ) R1R2 R1 R2 = = = 1 1 1 R1R2 + R1R3 + R2R3 R1R2 + R1R3 + R2R3 + + R1R2R3 R1 R2 R3

(5.24)

la corrente i3 si ricava quindi in maniera semplice come:

i3 =

E1R2 + E2R1 VAB R3 (E1R2 + E2R1 ) 1 = = R3 R1R2 + R1R3 + R2R3 R3 R1R2 + R1R3 + R2R3

che nuovamente coincide con il risultato ottenuto in precedenza.

(5.25)

Elettrotecnica

6.1

M. Repetto

Capitolo 6 Potenza ed energia nei circuiti In questo capitolo si studiano i fenomeni energetici caratteristici dei componenti elettrici. Si ricavano le espressioni che forniscono la potenza e l’energia per ogni tipo di componente. I fenomeni energetici sono determinanti per la definizione dei componenti e per l’uso che ne viene fatto all’interno dei circuiti.

6.1 Potenza istantanea nei componenti I componenti costituiscono una modellizzazione dei fenomeni fisici e come tali rappresentano il fenomeno sotto diversi aspetti. Oltre alle caratteristiche circuitali legate a tensioni e correnti, ulteriori grandezze fisiche possono essere calcolate a partire queste. Ogni componente percorso da corrente e sottoposto ad una tensione e’ sede di una potenza elettrica. La potenza elettrica che istante per istante interessa il componente e’ espressa da:

p(t ) = v (t )i (t )

(6.1) la potenza si misura in Watt e quindi, nel sistema SI, il prodotto di Volt per Ampere e’ dimensionalmente una potenza. Come si vede dalla struttura della formula (6.1), la potenza non e’ una funzione lineare di tensione e corrente in quanto e’ il prodotto delle due. Questo implica che, anche in circuiti lineari, non vale per le potenze la sovrapposizione degli effetti. La formula (6.1) puo’ essere ricavata dalle equazioni dei campi elettromagnetici. Anche se non in maniera rigorosa, la si puo’ spiegare considerando la natura fisica di tensione e corrente. La tensione, come dalla definizione dell’elettromagnetismo, e’ un’energia potenziale specifica, cioe’ un’energia per unita’ di carica. Ogni carica Δq, passando attraverso un componente, cambia il suo stato energetico della quantita’ ΔW=Δq(v2-v1), dove (v2-v1) e’ la differenza di potenziale ai morsetti del componente. Il prodotto carica per tensione e’ quindi dimensionalmente un’energia. Un flusso di cariche che attraversa il componente in un intervallo di tempo Δt, crea una corrente data da Δq i (t ) = e da luogo ad una variazione di energia per unita’ di tempo data da: Δt ΔW Δq (v 2 − v1 ) = i (t )v (t ) = p(t ) = Δt Δt (6.2)

infatti la energia per unita’ di tempo e’ la potenza richiesta per fare effettuare alle cariche il salto energetico. 6.2 Energia Avendo definito la potenza che interessa un determinato componente, e’ possibile calcolare anche la energia che questo componente scambia in un certo intervallo di tempo. E’ infatti possibile sfruttare la relazione fondamentale che lega potenza ed energia ed ottenere quindi:

W (t1,t 2 ) =



t2

t1

p(t )dt

(6.3) Come si vedra’ in seguito, la formula fondamentale dell’energia assume forme particolari nei diversi componenti.

6.3 Convenzioni utilizzatori/generatori Il segno della potenza istantanea p(t) dipende, come imposto dalla (6.1) dai segni delle tensioni e delle correnti. Il segno della potenza e’ legato al significato fisico che la potenza ha per il

Elettrotecnica

6.2

M. Repetto

particolare componente. Ad esempio, una lampadina che ha una potenza di 100 W implicitamente assorbe 100 W dal circuito, vice-versa, un generatore da 100 W solitamente eroga questa potenza al circuito. Non sempre pero’ i ruoli dei componenti sono ben definiti dal punto di vista energetico. Ad esempio una potenza di 100 W per una batteria elettrochimica puo’ significare che la batteria sta erogando 100 W ad un circuito ovvero che la batteria, in fase di carica, assorbe la potenza da un circuito esterno che la sta caricando. Si decide quindi di assegnare al segno della potenza il significato di assorbimento/cessione da e verso l’esterno. Questo segno pero’ puo’ essere diverso a seconda del tipo di componente che si sta utilizzando. Per evitare confusioni e incongruenze, ad esempio avere una lampadina che assorbe una potenza di –100 W, il segno della potenza viene cambiato convenzionalmente a seconda del tipo di componente. Per un componente generatore si assegna il segno positivo alla potenza ceduta all’esterno, per un componente utilizzatore si assegna il segno positivo alle potenze assorbite. Queste assunzioni sono convenzionali e, ad esempio, non tutti i trattati di elettrotecnica le utilizzano, ma sono particolarmente utili nella pratica. Esse si traducono nelle convenzioni tensione-corrente viste nel primo capitolo e riportate in figura.

i(t) v(t)

Convenzione utilizzatori p>0→assorbita p0→ceduta p 0 ovvero negativo se priori. Con tensione positiva infatti, la potenza ha segno positivo se dt dv < 0 . Il componente condensatore, descritto dalla convenzione degli utilizzatori, nel primo caso dt assorbira’ potenza dall’esterno mentre nel secondo caso la cedera’ al circuito. Il fatto che il componente condensatore possa cedere potenza all’esterno e’ congruente con quanto espresso nella sua definizione di componente in grado di accumulare energia nel campo elettrico. Esprimendo infatti la variazione di energia nel componente in una trasformazione di durata infinitesima dt, si ottiene infatti, a meno di infinitesimi di ordine superiore: dv 1 dw = pdt = Cv dt = Cvdv = d ( Cv 2 ) dt 2 (6.8) L’espressione dell’energia nel componente ha la forma di un differenziale esatto, ed esprime quindi la reversibilita’ delle trasformazioni energetiche nel componente. Integrando nel tempo la (6.8) si ottiene la formula dell’energia immagazzinata nel condensatore: 1 W = Cv 2 2 (6.9) L’energia immagazzinata nel condensatore dipende quindi dal valore di tensione istantaneo a cui esso e’ sottoposto. Si conferma quindi quanto espresso nella definizione del condensatore come componente in grado di immagazzinare energia nel campo elettrico: l’energia contenuta nel condensatore carico ad un certo livello di tensione e’ interamente rilasciata all’esterno, senza perdite, dal componente quando esso viene scaricato. 6.6 Componente induttore Il componente induttore ha un comportamento analogo a quello del condensatore in quanto anch’esso e’ in grado di immagazzinare energia anche se in modo diverso. Come nel caso precedente, l’applicazione della (6.1) all’induttore assume la forma:

p(t ) = v (t )i (t ) = L

di i dt

In maniera analoga a quanto fatto nella (6.8), per una trasformazione infinitesima si ottiene: di ⎛1 ⎞ dw = pdt = Li dt = Lidi = d ⎜ Li 2 ⎟ dt ⎝2 ⎠

(6.10)

(6.11)

Elettrotecnica

6.4

M. Repetto

integrando nel tempo il differenziale dell’energia si ottiene:

W =

1 2 Li 2

(6.12) espressione analoga alla (6.9) che conferma la dualita’ dei componenti condensatore e induttore, gia’ introdotta nel secondo capitolo. 6.7 Variabili di stato Sia nel caso del condensatore che in quello dell’induttore, l’energia immagazzinata dipende dal valore di una variabile di rete: la tensione nel caso del condensatore e la corrente in quello dell’induttore. Questo fatto rende questa particolare variabile piu’ rilevante nella trattazione del componente. Ad esempio nel caso del condensatore, la conoscenza della tensione ai morsetti consente di capire se il condensatore e’ carico o no e quanta energia e’ in esso immagazzinata. La conoscenza della corrente invece non consente di ottenere alcuna informazione sull’energia immagazzinata. Infatti il valore di corrente dipende dalla derivata della tensione e non dal suo valore assoluto, si puo’ ad esempio avere una corrente di 1 A in un condensatore sia quando questo e’ scarico che quando questo ha la tensione di 100 V. La conoscenza della tensione ai morsetti del condensatore consente quindi di conoscere lo stato del componente e quindi la tensione viene detta variabile di stato del condensatore. Per la gia’ ricordata proprieta’ di dualita’, nell’induttore le stesse considerazioni possono essere fatte per la corrente. La conoscenza della variabile di stato e’ importante anche per una fondamentale proprieta’ che si rivelera’ determinante nella descrizione dei fenomeni tempovarianti, questo fatto puo’ essere messo in evidenza con un semplice esempio. Considerando il caso del condensatore, si puo’ vedere come il procedimento di carica e’ accompaganto dall’assorbimento di corrente. Ad esempio, considerando una variazione lineare nel tempo tra gli istanti t1 e t2 della tensione ai capi del condensatore tra due valori V1 e V2, come esemplificato in figura, la corrente assorbita sara’ data da: v − v1 dv =C 2 i (t ) = C dt t 2 − t1 (6.13) conseguentemente la potenza, calcolata attraverso la (6.7), sara’: v − v1 dv = Cv (t ) 2 p(t ) = Cv dt t 2 − t1 (6.14) il segno positivo della potenza, nel caso di tensione V2> V1, indica che la potenza e’ assorbita dal componente. Dato che sia la corrente e la potenza dipendono dalle derivate della tensione, se la tensione e’ costante al di fuori dell’intervallo t1 e t2 sia corrente che potenza assorbite sono nulle. L’energia, integrale temporale della potenza, avra’ un andamento parabolico tra i valori iniziale 1 1 CV12 e finale CV22 . 2 2

Elettrotecnica

6.5

v v1

M. Repetto

v2 t1

i

t2

t

p w Fig. 6.3 Tensione, corrente, potenza ed energia ai capi di un condensatore Come si puo’ ottenere dalla (6.14), a parita’ di differenza tra i valori iniziali e finali di tensione, i valori di corrente e di potenza assorbita dipendono dalla rapidita’ della carica. In un fenomeno teorico sarebbe possibile variare istantaneamente il valore di tensione fornendo al condensatore potenza infinita. Nella realta’ fisica dei fenomeni pero’ nessun componente e’ in grado di fornire potenza infinita e percio’ il valore di tensione in un condensatore non puo’ variare istantaneamente, ovvero avere un andamento a gradino. Le stesse considerazioni valide per la tensione ai capi di un condensatore sono valide per dualita’ per la corrente in un induttore. 6.8 Conservazione dell’energia o teorema di Tellegen Il modello circuitale dei fenomeni elettromagnetici deve soddisfare le basilari leggi della fisica, tra queste il principio di conservazione dell’energia nei sistemi isolati. Nei circuiti, come si e’ visto in precedenza, potenza ed energia sono funzioni nonlineari delle variabili di rete tensione e corrente. La conservazione dell’energia in un sistema fisico puo’ essere espressa, istante per istante, dalla conservazione o bilancio delle potenze che impone che le potenze prodotte da qualche fenomeno nel sistema siano assorbite da qualche altro. In caso contrario, integrando nel tempo le potenze, se queste non fossero a somma nulla, si otterrebbe una variazione del valore assoluto di energia del sistema isolato e quindi una violazione del principio di conservazione. Nei circuiti questo bilancio istantaneo tra le potenze prodotte e assorbite va sotto il nome di teorema di Tellegen. Considerando un circuito contenente Ngen componenti generatori descritti dalla loro convenzione e Nutl componenti utilizzatori anch’essi congruentemente descritti dalla convenzione degli utilizzatori, il teorema di Tellegen afferma che la somma delle potenze istantanee dei generatori e’ uguale alla somma delle potenze degli utilizzatori, ovvero: N gen

N utl

k =1

j =1

∑ pk (t ) =∑ p j (t ) ∀t (6.15)

esprimendo le potenze istantanee in funzione delle variabili di rete si ottiene: N gen

∑v k =1

N utl

k

6.9 Teorema di Tellegen e circuiti reali

(t )i k (t ) =∑ v j (t )i j (t ) ∀t j =1

(6.16)

Elettrotecnica

6.6

M. Repetto

Nei casi reali la conservazione istantanea delle potenze nel circuito va ovviamente collegata alle potenze erogate da sorgenti esterne ai generatori, ad esempio la potenza erogata da una reazione elettrochimica in una batteria o quella di un motore a combustione interna in un gruppo elettrogeno. In questo caso i generatori di tensione nel sistema non sono ideali ma reali. Considerando il sistema “circuito + fonte di alimentazione esterna” come isolato, si puo’ vedere come la conservazione delle potenze abbia ricadute sul sistema. Si consideri per esempio il caso di un generatore reale di tensione che alimenta un resistore, come riportato in figura.

I

A V

Pgen

R

P B

Fig. 6.4 Generatore reale di tensione e sua sorgente di potenza Supponendo, per esempio, che il generatore alimenti il resistore con un valore di tensione continua pari a 20 V ed il resistore in queste condizioni assorba la potenza di 100 W, si puo’ calcolare il valore di corrente assorbita dal resistore come:

I=

P 100 = = 5A 20 V

(6.17)

e si puo’ anche ottenere il valore della resistenza come:

R=

20 V = = 4Ω I 5

(6.18) Affinche’ il sistema soddisfi il bilancio delle potenze, assumendo un rendimento unitario cioe’ che tutta la potenza fornita dalla fonte primaria di energia sia convertita in potenza elettrica, il generatore reale deve assorbire dall’esterno una potenza da una fonte primaria pari a 100 W. Se, a questo punto, in parallelo a R viene inserito un resistore uguale lasciando costante la potenza fornita dalla fonte primaria Pgen=100 W, si ha che necessariamente, per non violare il bilancio delle potenze, la potenza fornita dal generatore ed assorbita dai resistori deve essere di 100 W. Il valore di resistenza visto dal generatore e’ dato da: RR R R' = = (6.19) R+R 2

I'

Pgen

A

V'

P'

R

R

B Fig. 6.5 Generatore reale che alimenta un parallelo di 2 resistori Per il bilancio delle potenze, si deve avere:

Elettrotecnica

6.7

Pgen = P ⇒ Pgen =

M. Repetto

R 2 I ' = 100W 2

(6.20)

da cui il valore di corrente che e’ diverso dal precedente: 2Pgen 2 * 100 I' = = = 7.07 A R 4

(6.21) Per mantenere quindi soddisfatto il bilancio delle potenze, il valore di tensione visto dai resistori e’ diverso che nel caso precedente, infatti:

V'=

R I ' = 2 * 7.07 = 14.14V < V = 20V 2

(6.22) quindi il sistema per mantenere il bilancio delle potenze e’ costretto a diminuire il valore di tensione sui carichi. Se non si vuole incorrere in questo fenomeno, si deve aumentare la potenza fornita dal motore primo. Infatti raddoppiando la potenza fornita al generatore si ottiene: Pgen ' = 200W , I 'new =

2Pgen = 10 A R

(6.23)

e di conseguenza: V ' new =

R I ' new = 2 * 10 = 20V 2

(6.24)

e si ritorna quindi al caso precedente. Questo tipo di fenomeno e’ molto importante nella gestione dei sistemi elettrici, dove si vuole mantenere il piu’ possibile costante la tensione ai capi dei carichi, questo costringe ad inseguire con la potenza fornita ai generatori la potenza richiesta dai carichi, in caso contrario il sistema e’ soggetto a variazioni dei livelli di tensione e di corrente.

Elettrotecnica

7.1

M. Repetto

Capitolo 7 Evoluzione dei circuiti nel tempo In questo capitolo, dopo l’introduzione del metodo circuitale fatto nei capitoli precedenti considerando solo circuiti resistivi, si comincia lo studio della variazione delle grandezze circuitali nel tempo. A questo scopo, si richiameranno brevemente alcuni concetti del procedimento di soluzione delle equazioni differenziali e poi si studiera’ l’evoluzione temporale di alcuni circuiti semplici.

7.1 Circuiti ed equazioni differenziali Le variabili di rete, tensioni e correnti, sono funzioni del tempo. Nei circuiti composti da soli generatori e resistori, studiati finora, questa dipendenza non e’ stata messa in risalto perche’ in questi circuiti il tempo costituisce un parametro ininfluente. Ad esempio, dato un certo valore di tensione ad un certo istante t fornito da un generatore, il circuito resistivo istantaneamente risponde con valori di tensione e corrente. La eventuale velocita’ di variazione della tensione del generatore non da luogo a cambiamenti nel funzionamento del circuito che, istante per istante, dipende solo dal valore della sua tensione. Nel caso di circuiti contenenti componenti condensatori e induttori questo fatto non e’ piu’ vero. Come si e’ visto ad esempio la corrente in un condensatore e’ tanto piu’ elevata quanto e’ elevato il gradiente di tensione applicato. In questo caso il funzionamento del circuito dipende dalla forma d’onda dei generatori. Questo comportamento e’ dovuto alle equazioni che regolano il funzionamento del circuito, nel caso di circuiti resistivi queste equazioni sono algebriche, mentre se sono presenti componenti L e C queste diventano equazioni differenziali. L’algoritmo di soluzione del circuito introdotto nel capitolo 4 rimane immutato, le equazioni utilizzate per la soluzione saranno sempre le equazioni topologiche e quelle dei componenti, in questo caso pero’ le formule risolutive non saranno piu’ algebriche bensi’ differenziali. Data questa particolarita’, si richiamano qui le principali proprieta’ delle equazioni differenziali e i loro metodi di soluzione. 7.2 Equazioni differenziali ordinarie Mentre la soluzione delle equazioni algebriche fornisce il valore di una quantita’, la soluzione delle equazioni differenziali fornisce una funzione che ne rappresenta l’andamento temporale. In generale il procedimento di soluzione delle equazioni differenziale ordinarie e’ molto complicato ed affrontabile solo con metodi numerici. Esistono pero’ alcuni casi particolari di equazioni differenziali la cui struttura permette la soluzione con metodi analitici. Uno di questi casi e’ rappresentato dalle equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti. Questo caso e’ particolarmente importante perche’, come si vedra’ in seguito, la soluzione di circuiti lineari tempoinvarianti porta proprio a questo tipo di equazioni. Nel seguito verranno richiamati i principali concetti legati alla soluzione di queste equazioni ed alle principali forme d’onda dei generatori utilizzati. a) metodo di soluzione Le equazioni differenziali ordinarie lineari a coefficienti costanti possiedono un metodo di soluzione che ne consente una risoluzione analitica. Questo metodo, sfruttando la linearita’ dell’equazione, divide la soluzione in due contributi: un contributo che dipende dalla soluzione della equazione omogenea, detta soluzione dell’omogenea associata, cioe’ con termine noto nullo, ed una soluzione particolare, detta integrale particolare, che dipende al termine noto detto anche termine forzante dell’equazione. La soluzione dell’omogenea associata e’ data da funzioni note, ad esempio esponenziali o sinusoidali. Queste funzioni sono note a priori e compito della soluzione e’ solo la determinazione

Elettrotecnica

7.2

M. Repetto

di alcuni loro coefficienti numerici quali ampiezza, frequenza etc.. Come e’ noto dai corsi di analisi matematica, la determinazione di questi coefficienti e’ data dalla soluzione di opportune equazioni algebriche dette polinomio caratteristico. Questa risposta dipende solo dalle caratteristiche del sistema in studio e non dall’ingresso applicato, pertanto questa soluzione viene solitamente detta anche risposta libera del sistema lasciato evolvere senza ingressi applicati Diverso e’ invece l’integrale particolare che dipende strettamente dalla funzione forzante. In un sistema lineare si puo’ affermare che la funzione di ingresso non viene alterata dal sistema e quindi l’integrale particolare in qualche modo “assomiglia” ovvero appartiene alla stessa classe della funzione forzante. Ad esempio, un ingresso costante dara’ luogo ad un integrale particolare costante, un ingresso sinusoidale ad uno sinusoidale e cosi’ via. Anche in questo caso, determinata la classe della funzione ricercata, andranno calcolati i valori delle sue costanti caratteristiche ottenuti imponendo che questa soddisfi l’equazione differenziale. Questo procedimento e’ ovviamente diverso da funzione a funzione e verra’ in questo capitolo introdotto per gli ingressi costanti, nel prossimo capitolo si vedra’ invece il caso degli ingressi sinusoidali. Il procedimento di soluzione consente di trovare le classi di funzioni che soddisfano l’equazione differenziale. Una soluzione univoca dell’equazione richiede la determinazione di un certo numero di valori istantanei della funzione o delle sue derivate. Dato che questi valori sono solitamente noti nell’istante in cui l’evoluzione temporale ha inizio, vengono detti condizioni iniziali. Il numero di condizioni iniziali sufficienti a determinare univocamente la soluzione e’ uguale al grado dell’equazione differenziale, ovvero dall’ordine di derivata massimo che compare nell’equazione. b) funzione esponenziale Nella soluzione dell’omogenea associata di un’equazione differenziale ordinaria del primo ordine compare la ben nota funzione esponenziale. Nel caso dell’analisi circuitale, la funzione esponenziale viene espressa in modo particolare al fine di metterne in evidenza due fattori fondamentali: t f (t ) = Ae τ −

t>0

(7.1) dove A e’ l’ampiezza della funzione esponenziale e τ viene detta costante di tempo. La funzione viene considerata con esponente negativo nel semiasse positivo dei tempi, questo e’ fisicamente legato al fatto che, a parte rare e solitamente distruttive eccezioni, i fenomeni fisici hanno andamento esponenziale decrescente. L’andamento della funzione esponenziale puo’ essere efficientemente rappresentato normalizzando l’asse dei tempi secondo la costante di tempo. Infatti, in corrispondenza degli istanti corrispondenti alla costante di tempo o ai suoi multipli, la funzione esponenziale assume valori notevoli, riportati in tabella. t 0 τ 2τ 3τ 4τ 5τ

f(t) A Ae Ae Ae Ae Ae



t

τ



2t



3t



4t



5t

τ τ τ τ

= Ae −1

A 0.36*A

= Ae − 2

0.13*A

= Ae − 3

0.05*A

= Ae − 4

0.02*A

= Ae − 5

0 che dava luogo a corrente nulla. Il sistema risolutivo e’ dunque: E ⎧ di R ⎪ + i= ⎨ dt L L ⎪⎩ i (0) = 0 (7.20) La soluzione dell’omogenea associata passa per la scrittura del polinomio caratteristico:

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7.8

s+

M. Repetto

R =0 L

(7.21)

la cui soluzione fornisce la costante di tempo: R L 1 s1 = − ⇒ τ = = L s1 R

(7.22)

e la associata funzione esponenziale: t L / R iOA (t ) = Ke −

(7.23)

L’integrale particolare, ricercato nella classe delle funzioni costanti da luogo a: i p (t ) = costante imponendo che la costante soddisfi l’equazione differenziale: di p R E E + ip = ⇒ ip = dt L L R sovrapponendo le due soluzioni si ottiene:

(7.24) (7.25)

t L / R +E i (t ) = iOA (t ) + i P (t ) = Ke −

R

(7.26)

imponendo la condizione iniziale: 0 E E i (0) = Ke L / R + = 0 ⇒ K = − −

R

R

(7.27)

da cui si ottiene la soluzione definitiva: t t ⎛ − E −L /R E E ⎜ i (t ) = − e + = ⎜1 − e L / R R R R⎜ ⎝

⎞ ⎟ ⎟ ⎟ ⎠

anche questa valida dopo la chiusura del tasto e percio’ per t>0.

i E/R

0





t

Fig. 7.8 Andamento della corrente nel circuito RL 7.5 Evoluzione libera del circuito

(7.28)

Elettrotecnica

7.9

M. Repetto

Un circuito puo' evolvere nel tempo anche in assenza di generatori applicati ad esso a patto che in alcuni componenti (L o C) sia inizialmente immagazzinata una certa energia. Il circuito in figura, nonostante non contenga generatori, puo’ dare luogo ad un’evoluzione delle variabili di rete se il tasto si chiude con il condensatore carico. Infatti con il tasto aperto la carica sul condensatore puo’ perdurare indefinitamente dato che non puo’ circolare corrente che scarica le armature del condensatore.

t=0 v

+ -

iC

R

C

vR

7.9 Circuito in evoluzione libera Se all'istante t=0 il condensatore e' carico alla tensione V0 in esso e' immagazzinata la energia: 1 W0 = CV02 2 (7.29) all’atto della chiusura del tasto la tensione sul condensatore fa circolare corrente. Imponendo che la corrente iC circoli nella maglia e settando di conseguenza le tensioni sui componenti con la convenzione degli utilizzatori, dall’equazione di maglia si ha: v + vR = 0 (7.30) sostituendo le equazioni dei componenti: dv v + RiC = 0 ⇒ v + RC =0 dt (7.31) dato che alla chiusura del tasto il condensatore e’ carico alla tensione V0, e sfruttando il fattoc he la tensione e’ continua si ha che il sistema risolutivo e’ dato da: dv ⎧ ⎪v + RC =0 ⎨ dt ⎪⎩ v (0) = V0 (7.32) La soluzione della (7.32) procede dal fatto che non ci sono generatori applicati al circuito e quindi l'integrale particolare e' nullo e resta solo l'integrale dell'omogenea associata. L’integrale dell’omogenea associata diventa quindi:

vOA (t ) = Ke



t RC

(7.33)

imponendo la condizione iniziale si ottiene che: 0 v (0) = Ke RC = V0 ⇒ K = V0 −

(7.34)

e la soluzione finale quindi diventa: 0 v (t ) = V0e RC −

(7.35)

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7.10

M. Repetto

L’evoluzione del circuito quindi dipende dal fatto che l’energia inizialmente immagazzinata nel condensatore viene progressivamente dissipata sul resistore. L’andamento della potenza si puo’ ricavare calcolando la corrente di maglia derivando rispetto al tempo la (7.35): 2

t ⎞⎤ ⎡ ⎛ 2 − 2t − V V ⎜ ⎟ ⎛ dv ⎞ 2 0 0 p(t ) = Ri = R ⎜ C e RC ⎟⎥ = e RC ⎟ = R ⎢C ⎜ − ⎢ ⎥ dt RC R ⎝ ⎠ ⎜ ⎟ ⎢⎣ ⎝ ⎠⎥⎦ 2

(7.36) integrando la potenza nel tempo dall’istante di chiusura del tasto fino all’infinito si ricava che l’energia dissipata sul resistore durante il processo vale: +∞

+∞

0

0

WR = ∫ p(t )dt = ∫

2t 2t V02 − RC RC V02 − RC e dt = − e R 2 R

+∞

0

1 = CV02 2

(7.37)

che coincide con l’energia inizialmente immagazzinata nel condensatore come espresso dalla (7.29). 7.6 Transitorio e regime Dai risultati ottenuti nelle analisi dei circuiti lineari che evolvono nel tempo, si puo’ evincere una proprieta’ generale che e’ molto importante nel funzionamento di molti circuiti reali. Infatti la sovrapposizione delle due soluzioni, omogenea associata e integrale particolare, si traduce in un comportamento fisico del circuito. Il funzionamento del circuito e’ dato da due termini: - un termine che dipende dalla risposta libera del circuito e che si esaurisce in circa quattro costanti di tempo; - un termine permanente nel circuito, funzione sia delle caratteristiche del circuito che di quelle dei generatori. Questo termine permane nel circuito fino a che siano mantenuti attivi i generatori. Nella prima fase di funzionamento del circuito, entrambi i termini sono presenti, dopo l’esaurimento della risposta libera permane nel circuito solo il termine dipendente dai generatori. Alla prima fase di funzionamento viene dato il nome di transitorio, nome dovuto proprio alla sua durata limitata, alla seconda fase viene dato il nome di regime. E’ importante notare che queste due fasi di funzionamento sono proprie dei circuiti lineari e sono dovute alla struttura delle equazioni risolutive. In generale circuiti con elementi nonlineari possono non presentare le due fasi di funzionamento.

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8.1

M. Repetto

Capitolo 8 Ingresso sinusoidale In questo capitolo, a partire dalle considerazioni di transitorio e regime effettuate nel capitolo precedente, si inizia ad analizzare il comportamento dei circuiti lineari sottoposti a generatori di forma d’onda sinusoidale. Questo tipo di forma d’onda e’ molto importante nella tecnica e percio’ la soluzione dei circuiti in regime sinusoidale e’ stata sviluppata con un formalismo particolare basato sui numeri complessi.

8.1 Funzioni periodiche Volendo studiare l’evoluzione di circuiti sottoposti ad ingresso sinusoidale e’ conveniente richiamare alcune definizioni e proprieta’ generali delle funzioni periodiche nel tempo. Una funzione a(t) si dice periodica di periodo T se esiste un valore finito T per cui vale che:

a(t + T ) = a(t ) ∀t

(8.1) ovviamente l’uguaglianza deve valere per ogni istante di tempo t. Le caratteristiche della funzione periodica sono il periodo T, gia’ richiamato nella definizione, e la frequenza ovvero il numero di periodi, o cicli, nell’unita’ di tempo. La frequenza vale percio’: 1 f = T (8.2) nel sistema SI la frequenza si misura in Hertz, ovvero cicli al secondo. Associato ad una funzione periodica e’ il concetto di valor medio, definito come: 1 t +T A = ∫ 0 a(t )dt ∀t 0 T t0

(8.3) oltre al valor medio, si puo’ definire anche il valore quadratico medio, o valore efficace della funzione periodica, definito come: 1 t 0 +T 2 A= a (t )dt ∀t 0 T ∫t 0 (8.4) Dalla definizione di valor medio, discende una prima sottoclasse delle funzioni periodiche, quella delle funzioni alternate, definite come funzioni periodiche a valor medio nullo. Per queste funzioni quindi l’integrale esteso al periodo completo o ad un numero intero di periodi e’ sempre nullo. a) funzioni sinusoidali Tra le funzioni alternate, particolare importanza rivestono le funzioni sinusoidali. Le funzioni sinusoidali sono funzioni trigonometriche e quindi sono funzioni con argomento espresso in radianti, nei circuiti pero’ interessano le funzioni sinusoidali nel tempo la cui espressione puo’ essere data da: a(t ) = Ax sin(ωt + ϕ) (8.5) b(t ) = Bx cos(ωt + ϕ) (8.6) dove le grandezze caratteristiche sono: l’ampiezza Ax o Bx, la pulsazione ω espressa in rad/s e la fase ϕ espressa in rad. La pulsazione, o frequenza angolare, lega il periodo temporale T al periodo fondamentale della funzione pari a 2π ed e’ quindi definita come:

ωT = 2π ⇒ ω =

2π = 2πf T

(8.7) Ad esempio alla frequenza industriale di 50 Hz corrisponde la pulsazione di 2π * 50 = 314 rad/s. La fase e’ invece la posizione angolare all’istante t=0.

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8.2

M. Repetto

Le funzioni sinusoidali possono essere indifferentemente espresse in funzione della funzione seno o coseno, in realta’ le funzioni sono identiche e differiscono solo per il valore della fase. Ricordando la relazione trigonometrica:

π cos α = sin(α + ) 2

(8.9) la funzione coseno puo’ essere espressa attraverso la funzione seno aggiungendo un angolo di π/2 alla fase. Per questo motivo d’ora in avanti si considereranno solo le funzioni in seno. b) valore efficace Applicando la definizione di valore efficace (8.4) ad una funzione sinusoidale, si ottiene:

A=

1 t0 +T 1 t0 +T Ax2 2 ( ) (1 − cos(2ωt + ϕ))dt = ( ) ω + ϕ = A sin t dt x 2 T ∫t0 T ∫t0 =

Ax2 t0 +T dt = 2T ∫t0

Ax2 A T = x 2T 2

(8.10) il termine in cos(2ωt) non da contributo all’integrale perche’ essendo integrato su di un intervallo pari a due periodi da contributo nullo per la definizione di funzione alternata. Nelle funzioni sinusoidali quindi il valore efficace e’ sempre 1/ 2 volte minore del valore massimo. Nell’analisi circuitale il valore efficace puo’ esprimere in maniera semplice i fenomeni energetici. Considerando ad esempio un resistore R percorso da una corrente sinusoidale, da luogo ad una dissipazione funzione del valore efficace della corrente: t +T

Wc = ∫ 0 t0

R (I x sin(ωt + ϕ))2 dt = RI 2T (8.11)

8.2 Metodo simbolico La trattazione dei circuiti alimentati in sinusoidale e’ di estrema importanza tecnica perche’, come si motivera’ in seguito, la maggior parte dei circuiti sono alimentati in questo modo. Risulta quindi estremamente importante disporre di uno strumento di calcolo semplice per determinare l’andamento delle grandezze circuitali in queste condizioni. L’ipotesi che sta alla base di questo metodo e’ che il circuito in esame sia lineare. In queste condizioni, come si e’ messo in evidenza nel capitolo precedente, la risposta forzata del circuito, o integrale particolare, appartiene alla stessa classe della funzione forzante e quindi un circuito lineare alimentato mediante un generatore sinusoidale da luogo ad una risposta di regime sinusoidale. Va messo in evidenza come nei circuiti di interesse tecnico, specialmente nel caso di componenti di potenza, risulta particolarmente importante la determinazione della risposta di regime piuttosto che di quella transitoria. Il metodo simbolico attraverso un’analogia con i numeri complessi fornisce lo strumento piu’ efficiente per questo scopo. a) numeri complessi Come ben noto dai corsi di matematica, i numeri complessi sono punti di uno spazio bidimensionale solitamente avente l’asse reale sulle ascisse e l’asse immaginario sulle ordinate. L’asse immaginario ha come versore l’unita’ immaginaria definita come j = − 1 . Ogni punto di

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8.3

M. Repetto

questo piano, detto piano di Gauss, risulta avere due componenti lungo questi assi ortogonali. I numeri complessi, indicati con il simbolo soprallineato, possono essere indicati come una coppia cartesiana (a, b) dove a e’ la componente lungo l’asse reale o parte reale del numero complesso e b quella lungo l’asse immaginario o parte immaginaria. Molto piu’ spesso sono indicati come somma di due termini:

z = a + jb

(8.12) questa forma di espressione del numero complesso viene definita binomia. Come riportato in figura, la forma cartesiana non e’ l’unica espressione dei punti di un piano. Lo stesso punto, o numero complesso puo’ essere espresso in forma polare come:

z = z e jϑ

(8.13) dove z e’ il modulo del numero complesso, espresso anche come z cioe’ senza soprallineatura, ovvero la lunghezza del raggio vettore rispetto all’origine e θ l’angolo formato con il semiasse reale positivo.

Im b

z

j = −1

j

ϑ = ∠z

a

Re

Fig. 8.1 Piano di Gauss Ovviamente le due forme dei numeri complessi sono legate da formule di conversione da cartesiano a polare e vice-versa:

z = a2 + b 2 ϑ = ∠z = tan −1

(8.14)

b a

⎧a = z cos ϑ ⎨ ⎩ b = z sinϑ

(8.15)

(8.16)

Le formule di conversione sono riassunte nella formula di Eulero:

z = z e jϑ = z (cos ϑ + jsinϑ)

(8.17) Nel seguito saranno particolarmente importanti due operatori che hanno come argomento un numero complesso, l’operatore parte reale e parte immaginaria, definiti come segue:

a = Re[z ] b = Im[z ] b) relazione tra funzioni sinusoidali e numeri complessi

(8.18)

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8.4

M. Repetto

Nella formula di Eulero compaiono le funzioni sinusoidali come tramite per legare la forma polare a quella binomia. Proprio su questa particolarita’ e’ basato il metodo simbolico. Si consideri infatti un particolare numero complesso funzione del tempo, dato da:

z (t ) = z e j (ωt +ϕ )

(8.19) questa funzione esprime la posizione di un numero complesso che ha distanza costante dall’origine, mentre la sua posizione angolare varia in modo lineare secondo la relazione ϑ (t ) = ωt + ϕ . Il numero complesso percorre quindi con velocita’ uniforme un’orbita circolare intorno all’origine. Applicando la formula di Eulero alla (8.19) si ottiene: z (t ) = z (cos(ωt + ϕ ) + j sin(ωt + ϕ ) ) (8.20)

gli operatori parte reale e parte immaginaria applicati al numero complesso forniscono: Re[z (t )] = Re ze j (ωt +ϕ ) = z cos(ωt + ϕ ) = b(t ) (8.21) j ( ωt +ϕ ) Im[z (t )] = Im ze = z sin(ωt + ϕ ) = a(t ) (8.22) Gli operatori forniscono quindi due funzioni sinusoidali, dato che si e’ privilegiata la funzione seno si utilizzera’ l’operatore parte immaginaria. La (8.22) stabilisce quindi una corrispondenza tra la funzione sinusoidale: a(t ) = Ax sin(ωt + ϕ) (8.23) e il numero complesso:

[ [

] ]

z (t ) = Ax e j (ωt + ϕ )

(8.24) Questa corrispondenza non lega pero’ soltanto tra loro le funzioni bensi’ anche le loro derivate. Derivando infatti la funzione sinusoidale si ottiene: π da = ωAx cos(ωt + ϕ) = ωAx sin(ωt + ϕ + ) 2 dt (8.25) applicando l’operatore derivata al numero complesso e sfruttando l’identita’ j = 1e π



j

π 2

si ottiene:

π⎞

j ⎜ ωt + ϕ+ ⎟ j dz 2⎠ = jωAx e j (ωt + ϕ ) = e 2 ωAx e j (ωt + ϕ ) = ωAx e ⎝ dt

(8.26) Applicando l’operatore parte immaginaria alla (8.26) si ottiene l’uguaglianza con la (8.25), ovvero: π⎞ ⎛ ⎡ j ⎜ ωt +ϕ + ⎟ ⎤ ⎡ ⎛ ⎛ π⎞ π ⎞ ⎞⎤ π⎞ ⎛ ⎛ 2⎠ ⎝ Im ⎢ωAxe ⎥ = Im ⎢ωAx ⎜⎜ cos⎜ ωt + ϕ + ⎟ + j sin⎜ ωt + ϕ + ⎟ ⎟⎟⎥ = ωAx sin⎜ ωt + ϕ + ⎟ (8.27) 2⎠ 2 ⎠ ⎠⎦ 2⎠ ⎝ ⎝ ⎝ ⎝ ⎢⎣ ⎥⎦ ⎣ da ⎡ dz ⎤ a(t ) = Im[z (t )]⇒ = Im⎢ ⎥ dt ⎣ dt ⎦ (8.28) la corrispondenza quindi tra funzioni sinusoidali e numeri complessi vale anche per le derivate. Questa proprieta’ e’ molto importante perche’ risulta evidente che il calcolo delle derivate e’ molto piu’ semplice nel caso delle funzioni esponenziali che in quelle trigonometriche. c) fasore

Come si e’ visto e’ possibile stabilire una relazione biunivoca tra una funzione sinusoidale, definita da valore massimo, pulsazione e fase, ed un numero complesso funzione del tempo. Rinunciando ad uno dei dati caratteristici della funzione, la pulsazione, e’ possibile rendere ancora piu’ efficiente la corrispondenza. Mettendo in evidenza il valore efficace della funzione a(t) si puo’ scrivere:

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8.5

M. Repetto

a(t ) = 2 Asin(ωt + ϕ) = Im[z (t )] = Im[ 2 Ae j (ωt +ϕ )]= = Im[ 2 Ae jϕe jωt]= Im[ 2 A e jωt]

(8.29) tralasciando la pulsazione ω le due caratteristiche della funzione a(t), valore efficace e fase sono contenute nel numero complesso A che viene detto fasore della funzione a(t):

A = Ae jϕ

(8.30) Il fasore A puo’ essere rappresentato nel piano complesso come un vettore che ha come modulo il valore efficace della funzione sinusoidale e la stessa fase.

Im

A ϕ Re

Fig. 8.2 Fasore nel piano complesso L’utilizzo del fasore per rappresentare la funzione sinusoidale risulta importante nell’applicazione della regola di derivazione. Infatti, applicando le stesse regole della (8.29) per mettere in evidenza valore efficace e fase isolando il termine tempovariante si ottiene:

]

[

da π = 2ωAsin(ωt + ϕ + ) = Im 2 jωAe j (ωt +ϕ) dt 2

[

][

]

= Im 2 jωAe jϕe jωt = Im 2 jωA e jωt

(8.31)

il fasore associato alla funzione derivata diventa percio’:

A ' = jωA =

⎛ π⎞ j ⎜ ϕ+ ⎟ ωAe ⎝ 2 ⎠

il fasore della funzione derivata ha quindi modulo pari a ωA e fase pari a ϕ +

π

(8.32)

, riportandolo nel 2 piano di Gauss risulta quindi ruotato di π/2 in senso antiorario rispetto al fasore della funzione, come riportato in figura.

Im A'

A

ϕ Re Fig. 8.3 Fasore della funzione sinusoidale e della sua derivata d) fasori e integrale particolare

Elettrotecnica

8.6

M. Repetto

L’utilizzo del formalismo che associa ad una funzione sinusoidale un numero complesso, risulta particolarmente efficiente nella determinazione dell’integrale particolare di un sistema sottoposto ad un ingresso sinusoidale. Come si e’ gia’ messo in evidenza, un sistema lineare sottoposto ad un ingresso sinusoidale ha come integrale particolare una funzione sinusoidale. L’integrale particolare e’ quindi dato da una funzione sinusoidale incognita. I parametri che definiscono in maniera univoca una funzione sinusoidale sono tre: ampiezza o valore efficace, pulsazione e fase, la determinazione dell’integrale particolare si riduce quindi al calcolo di questi tre parametri. y p = 2Yp sin(ωt + ψ) (8.33) In realta’ dei tre parametri uno e’ noto a priori, infatti derivando una funzione sinusoidale di pulsazione ω si ottiene una nuova funzione sinusoidale che cambia il valore efficace e la fase, ma mantiene inalterato il valore di pulsazione, come ad esempio si puo’ vedere nella (8.31). Quindi il calcolo dell’integrale particolare si riconduce alla definizione del valore efficace e della fase della funzione incognita. Questi due parametri sono contenuti proprio nel fasore della funzione incognita.

Yp = Yp e jψ

(8.34)

8.3 Soluzione di un circuito con il metodo simbolico Per spiegare l’utilizzo del metodo simbolico nella soluzione di un problema circuitale con ingresso sinusoidale si utilizza lo stesso circuito RC visto nel capitolo precedente ma considerando che qui il generatore non abbia un valore costante bensi’ una forma d’onda sinusoidale.

iR

a(t)

t=0

iC v

R

C

Fig. 8.4 Circuito con generatore sinusoidale

a(t ) = 2 Asinωt

(8.35) la forma d’onda del generatore ha fase nulla, ovvero il generatore viene preso come riferimento di fase assumendo che l’origine dell’asse dei tempi (t=0) coincida con un passaggio della corrente crescente del generatore per lo zero. Si sono gia’ scritte nel capitolo 7 le equazioni del circuito (7.7) che vengono riportate, con l’unica differenza del generatore: ⎧ dv v ⎪C + = 2 Asinωt ⎨ dt R ⎪⎩ v (0) = 0 (8.36) ovviamente non c’e’ differenza nella risposta dell’omogenea associata che non dipende dal generatore:

vOA (t ) = Ke



t RC

(8.37) Per quanto riguarda l’integrale particolare questo va ricercato nelle funzioni sinusoidali di pulsazione ω:

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8.7

M. Repetto

v p (t ) = 2Vsin (ωt + ϕ )

(8.38)

e i valori incogniti da determinare sono il valore efficace V e la fase ϕ. Esattamente come nel caso del generatore costante visto nel capitolo precedente, i valori incogniti vanno determinati imponendo che la funzione v p (t ) soddisfi l’equazione differenziale, ovvero

sostituendo la funzione e le sue derivate nell’equazione differenziale:

C

d dt

( 2Vsin(ωt + ϕ))+ R1

2Vsin(ωt + ϕ ) = 2 Asinωt

(8.39) la soluzione dell’equazione (8.39) permette di ricavare le due incognite attraverso la soluzione di un’equazione trigonometrica, cioe’ non algebrica. L’utilizzo dei fasori permette invece di ricondurre la soluzione a quella di un’equazione algebrica a valori complessi. Il fasore della funzione incognita e’:

[

]

v p (t ) = 2Vsin(ωt + ϕ ) = Im 2Ve jϕe jωt

(8.40) sostituendo il numero complesso al posto di v p (t ) nell’equazione (8.39) e calcolando le derivate come nella (8.31) si ottiene:

[

] R1 Im[ 2Ve

C Im 2 jωVe jϕe jωt +

]= Im[ 2Ae

jϕ jωt

e

]

j 0 jωt

e

(8.41)

si puo’ notare a questo punto che: - il termine 2 compare in tutti i termini e puo’ essere eliminato; - il termine e jωt compare in tutti i termini, nonostante sia una funzione, anche questo puo’ essere eliminato perche’ la v p (t ) deve soddisfare l’equazione differenziale per ogni istante di tempo t. Si ottiene quindi:

1 ⎡ ⎤ Im⎢ jωCVe jϕ + Ve jϕ ⎥ = Im Ae j 0 R ⎣ ⎦

[ ]

(8.42) Imponendo che i due membri dell’equazione siano uguali non solo nelle parti immaginarie, si ricava un’equazione a valori complessi: 1 jωCVe jϕ + Ve jϕ = Ae j 0 R (8.43) mettendo in evidenza il fasore della funzione incognita V = Ve jϕ si ha: 1 jωCV + V = A R

(8.44) L’equazione (8.44) e’ un’equazione algebrica a valori complessi, la cui soluzione consente di terminare il modulo e la fase di V , la sua soluzione ovviamente deve utilizzare le regole dell’algebra dei numeri complessi, come nel seguito: ⎞ ⎛1 ⎞ ⎛1 A ⎜ − jωC ⎟ A ⎜ − jωC ⎟ A R ⎠ ⎠ ⎝R V = = ⎝ = 1 1 1 + jωC ⎛⎜ + jωC ⎞⎟⎛⎜ − jωC ⎞⎟ ⎛⎜ 1 +(ωC)2 ⎞⎟ R ⎠ ⎝ R2 ⎠⎝ R ⎝R ⎠ (8.45) dall’espressione (8.45) si possono ricavare il modulo e la fase del fasore come:

Elettrotecnica

8.8

M. Repetto

[]2 + Im[V]2 =

V = Re V

A 1 R

∠V = tan−1

2

+ (ωC )2 (8.46)

[] []

Im V = tan −1(− ωRC ) Re V

(8.47) Come si e’ visto, con semplici operazioni di algebra complessa e’ stato possibile ricavare le grandezze volute. Ad esempio sostituendo valori numerici ai parametri circuitali: f=50 Hz, ω=314 rad/s R=40 kΩ, C=0.159 μF, A=10 mA si ottiene: 0.01 = 133.5V V = 2 1 + 314 * 0.159 * 10 −6 2 4 * 10 4 (8.48)

(

)

)

(

)

(

∠V = tan −1 − 314 * 2 * 10 4 * 0.159 * 10 − 6 = 1.1rad = 63o (8.49) Una volta che sia stato determinato l'integrale particolare si puo' ottenere la risposta complessiva del circuito: t RC v (t ) = vOA + v p = Ke + −

2 * 133.5sin(314t + 1.1)

(8.50)

da cui imponendo la condizione iniziale i ricava la costante incognita K:

v (0) = K + 2 * 133.5sin(1.1) = 0 ⇒ K = 168.2V considerando che la costante di tempo del circuito vale:

τ = RC = 4 * 10 4 * 0.159 * 10 −6 = 6.36ms la risposta del circuito e’ completamente determinata, come riportato in figura.

integrale particolare soluzione complessiva omogenea associata Fig. 8.5 Andamento della tensione sul condensatore

(8.51)

Elettrotecnica

9.1

M. Repetto

Capitolo 9 Metodo simbolico Dopo aver visti i vantaggi della trattazione delle funzioni sinusoidali mediante i numeri complessi, in questo capitolo si riscrivono le equazioni topologiche e dei componenti direttamente in termini di fasori delle grandezze di rete, ottenendo un metodo per la soluzione delle reti in regime sinusoidale.

9.1 Metodo simbolico Il metodo simbolico, ovvero la rappresentazione delle funzioni sinusoidali mediante numeri complessi, e’ stato utilizzato per la determinazione dell’integrale particolare di un circuito lineare sottoposto ad un ingresso sinusoidale. Come si e’ gia’ accennato in precedenza, in molti circuiti di interesse tecnico la determinazione della risposta di regime e’ di gran lunga piu’ importante rispetto alla risposta transitoria. Questo perche’, date le costanti di tempo tipiche dei circuiti elettrici, il periodo transitorio puo’ essere molto breve rispetto al tempo di funzionamento medio di un dispositivo. Se si vuole calcolare solo la risposta di regime, ovvero la risposta del circuito a transitorio estinto, e’ possibile evitare di scrivere la equazione differenziale del circuito e, nell’ipotesi che tutte le variabili di rete siano funzioni sinusoidali isofrequenziali, calcolare direttamente la risposta del circuito. L’ipotesi che sta alla base di tutto quanto verra’ detto in seguito e’ che il circuito sia lineare e che quindi si possano applicare ad esso i concetti sulle equazioni differenziali esposti nel capitolo 7. Per risolvere un circuito direttamente in termini dei fasori, e’ necessario scrivere le equazioni topologiche e le equazioni dei componenti in funzione dei fasori delle variabili di rete. 9.2 Leggi di Kirchhoff in termini di fasori Le leggi di Kirchhoff esprimono dei legami istantanei tra le variabili di rete. Ad esempio, la legge di Kirchhoff delle correnti applicata ad un nodo arbitrario si puo’ scrivere come: i1(t ) + i 2 (t ) − i 3 (t ) = 0 ∀t (9.1) nell’ipotesi che il circuito in studio sia in regime sinusoidale, le tre correnti saranno date da: i1(t ) = 2I1sin(ωt + ϕ1)

i 2 (t ) = 2I 2sin(ωt + ϕ 2 ) i 3 (t ) = 2I3 sin(ωt + ϕ3 )

(9.2) dove i valori efficaci e le fasi sono arbitrarie mentre la pulsazione e’ imposta dalla funzione forzante del circuito. La LKC dell’equazione (9.1) diventa percio’: 2I1sin(ωt + ϕ1) + 2I 2sin(ωt + ϕ 2 ) − 2I3 sin(ωt + ϕ3 ) = 0 (9.3) Sfruttando l’espressione delle tre funzioni sinusoidali in funzione dei numeri complessi, la stessa LKC puo’ essere scritta come: jϕ Im[ 2I1e jϕ1 e jωt ] + Im[ 2I2e jϕ2 e jωt ] − Im[ 2I3e 3 e jωt ] = 0

(9.4) come gia’ visto nel capitolo 8, l’equazione contiene molti termini comuni che possono essere semplificati: 2 compare in tutti i termini; − jωt − e compare in tutti i termini e puo’ essere eliminato perche’ la (9.4) deve essere soddisfatta ∀t − l’operatore parte immaginaria puo’ essere eliminato imponendo l’annullamento di tutto il numero complesso

Elettrotecnica

9.2

M. Repetto

si ottiene quindi che:

I1e jϕ1 + I 2e jϕ2 − I3e jϕ3 = 0 ovvero, richiamando la definizione di fasore: I1 + I 2 − I3 = 0

(9.5)

(9.6) L’equazione ottenuta e’ equivalente all’equazione nel tempo (9.3) e quindi impone che i legami topologici espressi dalle equazioni di nodo possono essere scritti in funzione dei fasori delle grandezze di rete. Lo stesso ragionamento si puo’ ovviamente applicare alle LKT e quindi si ricava che i legami topologici possono essere formulati direttamente in termini di fasori. 9.3 Equazioni dei componenti in forma fasoriale Le equazioni costitutive esprimono un legame tra tensione e corrente ai capi di un componente. Facendo nuovamente l’ipotesi che tensioni e correnti siano funzioni sinusoidali si possono ricavare nuove relazioni espresse in termini dei fasori delle grandezze ai morsetti. a) componente resistore Considerando un componente resistore lineare, l’equazione ai morsetti e’ data da:

v (t ) = Ri (t )

(9.7)

se la corrente e’ una funzione sinusoidale: i (t ) = 2Isin(ωt + ϕ I )

(9.8)

la sua espressione complessa diventa:

i (t ) = Im[ 2Ie jϕ I e jωt ] = Im[ 2I e jωt ]

(9.9)

sostituendo la (9.9) nella (9.7) si ottiene:

v (t ) = R * Im[ 2Ie jϕ I e jωt ] = Im[ 2RI e jωt ] il fasore della tensione diventa percio’, eliminando i fattori

2 ee

jωt

(9.10)

:

V = RI

(9.11)

le caratteristiche del fasore di tensione sono pertanto:

⎧ V = RI V = RI ⇒ Ve jϕV = RIe jϕ I ⇒ ⎨ ⎩ϕV = ϕ I

(9.12) Riportando i fasori di tensione e corrente nel piano complesso si ottiene il diagramma riportato in figura. Va messo in evidenza come i due fasori sono sicuramente paralleli dato che gli angoli di fase sono gli stessi. Non si puo’ dire nulla invece riguardo alle ampiezze che vanno misurate su due scale diverse, in Volt per la tensione ed in Ampere per la corrente, le ampiezze relative sono quindi indicative.

ϕI=ϕV Fig. 9.1 Diagramma dei fasori ai capi di un resistore nel piano complesso

Elettrotecnica

9.3

M. Repetto

v(t) i(t)

Fig. 9.2 Andamento temporale di tensione e corrente ai capi di un resistore Come si puo’ notare dall’esame della figura (9.2), il fatto che le due forme d’onda abbiano lo stesso valore di angolo di fase si traduce in un passaggio sincrono per lo zero. La tensione e la corrente si dicono in fase. b) componente condensatore Il componente condensatore ha un’equazione costitutiva di tipo differenziale:

i (t ) = C

dv dt

(9.13)

anche in questo caso, facendo l’ipotesi che la tensione sia sinusoidale, si ottiene: v (t ) = 2Vsin(ωt + ϕV )

(9.14)

esprimendo la tensione in funzione dei numeri complessi:

v (t ) = Im[ 2Ve jϕV e jωt ] = Im[ 2V e jωt ] la derivata della tensione riguarda solo il termine e moltiplicare per il termine jω:

jωt

(9.15) per cui l’operazione di derivata equivale a

i (t ) = C * Im[ 2 jωVe jϕV e jωt ] = Im[ 2 jωCV e jωt ]

(9.16)

da cui si ricava che il fasore della corrente vale:

I = jωCV ⇒ Ie

jϕ I

=

π j (ϕV + ) 2 ωCVe

⎧⎪ I = ωCV π ⇒⎨ ϕI = ϕV + ⎪⎩ 2

(9.17) come si vede dall’equazione il fasore della corrente e della tensione in questo caso non sono paralleli ma sfasati di novanta gradi. Questo fatto e’ una conseguenza dell’operazione di derivata presente nella (9.13).

Elettrotecnica

9.4

M. Repetto

ϕV Fig. 9.3 Diagramma vettoriale dei fasori di tensione e corrente in un condensatore

i(t) v(t)

Fig. 9.4 Andamento temporale di tensione e corrente ai capi di un condensatore Le due forme d’onda sono in questo caso sfasate di π/2 e vengono per questo dette in quadratura, come si vede dal diagramma vettoriale. Dato che solitamente nei circuiti la tensione viene assunta come riferimento di fase, in questo caso si dice che la corrente e’ in anticipo rispetto alla tensione. c) componente induttore Per il componente induttore valgono considerazioni duali rispetto a quelle fatte per il condensatore, in questo caso, infatti, e’ la corrente a comparire derivata nell’equazione costitutiva: di v (t ) = L dt (9.18) assumendo una corrente sinusoidale: i (t ) = 2Isin(ωt + ϕ I ) (9.19) la tensione diventa:

v (t ) = L * Im[ 2 jωIe jϕI e jωt ] = Im[ 2 jωLIe jϕI e jωt ] da cui il fasore della tensione si ricava essere:

(9.20)

Elettrotecnica

9.5

V = jωLI ⇒ Ve

jϕV

=

π j ( ϕI + ) 2 ωLIe

M. Repetto

⎧⎪ V = ωLI π ⇒⎨ ϕ = ϕI + ⎪⎩ V 2

(9.21) anche in questo caso, come nel precedente, i due fasori sono sfasati di π/2, questa volta e’ la tensione a precedere la corrente. Come pero’ si e’ gia’ accennato in precedenza, la tensione viene assunta come riferimento di fase e quindi in questo caso la corrente si dice in ritardo sulla tensione.

ϕI Fig. 9.5 Diagramma vettoriale dei fasori di tensione e corrente in un induttore

v(t)

i(t)

Fig. 9.6 Andamento temporale di tensione e corrente ai capi di un induttore d) equazioni ai morsetti Riassumendo i risultati ottenuti nel caso di componenti R, C e L, si vede come il legame tra i fasori di tensione e corrente sia in ogni caso un legame algebrico a valori complessi. Componente per componente cambiano i coefficienti della relazione ma la forma resta identica. In figura sono riportati in maniera sintetica i risultati ottenuti.

R

V = RI L

V = jωLI

Elettrotecnica

9.6

M. Repetto

I = jωCV ⇒ V =

C

I −j = I jωC ωC

Fig. 9.7 Relazioni tra i fasori delle grandezze ai morsetti dei componenti 9.3 Impedenza La struttura delle equazioni ai morsetti dei componenti trovate permette di dire che esiste una legge, simile alla legge di Ohm per i componenti resistori, che lega le grandezze ai morsetti dei componenti in regime sinusoidale. Questa legge, detta legge di Ohm in forma simbolica, puo’ essere scritta come:

V = ZI

(9.22) dove il parametro complesso Z viene detto impedenza del dipolo. L’impedenza assume valori diversi in funzione del componente e, viste le relazioni riassunte in Fig. 9.7, vale nel resistore:

Z =R

(9.23)

nel condensatore:

Z =

−j ωC

(9.24)

nell’induttore:

Z = jωL

(9.25) Il numero complesso Z nei componenti fondamentali R, L, C puo avere solo parte reale o solo parte immaginaria, come si vedra’ in seguito sara’ pero’ possibile avere componenti dipolari con impedenza generica. In questo caso, indipendentemente dalla natura del componente si potra’ scrivere: Zeq = R + jX (9.26) dove il parametro R, parte reale dell’impedenza, viene detto resistenza, mentre il parametro X, parte immaginaria dell’impedenza viene detto reattanza. L’impedenza e’ legata ai fasori di tensione e corrente, il suo modulo e la sua fase sono quindi dati da:

Z = Ze jϑ =

V Ve jϕV V j (ϕV −ϕI ) = = e jϕ I I I Ie

(9.27) Il modulo dell’impedenza, che come si vede dalla (9.27) e’ il rapporto tra il valore efficace della tensione e quello della corrente, si misura in Ω. L’angolo θ di fase dell’impedenza esprime la differenza angolare che e’ presente tra il fasore della tensione e quello della corrente. Le fasi di tensione possono quindi essere messe in relazione attraverso l’angolo di fase dell’impedenza, come risulta da:

ϑ = ϕV − ϕI 9.4 Collegamento dei componenti



ϕI = ϕV − ϑ

(9.28)

Elettrotecnica

9.7

M. Repetto

La struttura della legge di Ohm in forma simbolica riconduce l’analisi di qualsiasi circuito in regime sinusoidale ad un circuito retto da equazioni algebriche a valori complessi. Una delle prime conseguenze di questo fatto e’ che si possono collegare in serie o in parallelo componenti anche diversi tra loro. Ad esempio il collegamento in serie di due impedenze da luogo ad una formula simile a quella del collegamento di resistori.

Z2

Z1

Fig. 9.8 Collegamento serie di due impedenze La LKT in forma simbolica applicata al collegamento serie fornisce:

(

)

V = V1 + V2 = Z1I + Z 2I = Z1 + Z 2 I

(9.29)

da cui si ricava l’impedenza equivalente serie data da:

Zeq = Z1 + Z 2

(9.30)

Ad esempio, dato il collegamento dei due dipoli in figura

Z1 = R Z 2 = jωL Fig.9.9 Collegamento serie di due impedenze si ottiene l’impedenza equivalente:

Zeq = R + jωL

(9.31) l’impedenza serie espressa in forma binomia, puo’ essere espressa in forma esponenziale attraverso la trasformazione:

⎧Z = R 2 + (ωL)2 ⎪ eq ⎨ −1 ωL ⎪ ϑ = tan ⎩ R Considerazioni analoghe si possono fare per il collegamento parallelo di impedenze.

Z1

Z2

Fig. 9.10 Collegamento parallelo impedenze

(9.32)

Elettrotecnica

9.8

M. Repetto

Dalla LKC in forma simbolica si ottiene:

I = I1 + I 2 =

⎛ 1 1 ⎞ V V ⎟V + = ⎜⎜ + Z1 Z 2 ⎝ Z1 Z 2 ⎟⎠

(9.33) anche in questo caso, come nel parallelo dei resistori, e’ conveniente introdurre l’inverso dell’impedenza: 1 Y = Z (9.34) la grandezza Y e’ detta ammettenza del dipolo. Nel caso del collegamento parallelo si ha quindi:

Yeq = Y1 + Y2 ⇒

ZZ 1 1 1 = + ⇒ Zeq = 1 2 Zeq Z1 Z 2 Z1 + Z 2

R

(9.35)

−j ωC

Fig. 9.11 Collegamento parallelo di due impedenze Ad esempio, nel caso di parallelo di due impedenze resistiva e capacitiva, si ottiene: Yeq =

=

1 1 R + jωC ⇒ Zeq = = = 1 1 + jωCR R + jωC R R (1 − jωCR ) R − jωCR 2 = (1 + jωCR )(1 − jωCR ) 1 + (ωCR )2

(9.36)

9.5 Diagrammi vettoriali Le grandezze fasoriali sono vettori nel piano complesso, questo implica che per essi le regole di somma e differenza seguono le regole dell’algebra vettoriale e quindi nella somma, ad esempio, si applica la regola del parallelogramma. La somma di due fasori V1 e V2 puo’ essere rappresentata nel piano complesso come:

Fig. 9.11 Somma vettoriale di due fasori

9.6 Soluzione di circuiti con il metodo simbolico Il metodo simbolico si propone come tecnica per ottenere direttamente la risposta di regime di un circuito alimentato da generatori isofrequenziali. Come si e’ gia affermato, la tecnica per la

Elettrotecnica

9.9

M. Repetto

soluzione del circuito rimane la stessa vista nel capitolo 4. La particolarita’ principale in questo caso pero’ e’ legata all’uso dei numeri complessi e alle loro regole di composizione. a) Circuito ohmico-induttivo Va sotto il nome di circuito ohmico-induttivo un circuito composto da impedenze resistive e induttori.

Z1 = R

+ E

Z 2 = jωL Fig. 9.12 Esempio di circuito ohmico-induttivo Nel circuito in figura si considerano noti: i valori R e L dei componenti, il valore efficace della tensione del generatore e la sua pulsazione e si vuole determinare il fasore della corrente che circola nella maglia. Va messo in evidenza come del generatore non sia stata specificata la fase, questo consente ad esempio di fissare arbitrariamente questa a zero, ovvero di assumere che il fasore della tensione del generatore sia diretto lungo l’asse reale. Questa operazione puo’ essere fatta arbitrariamente per una variabile di rete nel circuito e questa assunzione equivale ad agganciare l’istante t=0 al passaggio della tensione per lo zero. Ovviamente tutte le altre varabili di rete verranno ad assumere un valore di angolo di fase riferito a questa. Assumendo quindi la tensione del generatore come riferimento di fase il fasore diventa:

E = Ee j 0

(9.37)

E = (R + jωL)I

(9.38)

l’equazione di maglia diventa: da cui il fasore di corrente:

I =

E R + jωL

(9.39) l’equazione algebrica a valori complessi e’ a questo punto risolta, rimangono da effettuare alcune operazioni per determinare le grandezze di interesse: modulo e fase di I . Elaborando la (9.39) si ottiene:

I =

E E (R − jωL ) E (R − jωL ) = = R + jωL (R + jωL )(R − jωL ) R 2 + (ωL )2

(9.40)

da cui il modulo di I :

I= e la sua fase:

E R 2 + (ωL )2

R 2 + (ωL) 2 =

E R 2 + (ωL)2

(9.41)

Elettrotecnica

9.10

M. Repetto

⎛ − ωL ⎞ ϕI = ϕ E + tan −1⎜ ⎟ ⎝ R ⎠

(9.42) come si puo’ vedere la fase della corrente e’ negativa e quindi e’ in ritardo rispetto alla tensione. Una volta ricavato il fasore della corrente si possono calcolare i fasori delle tensioni ai capi del resistore e dell’induttore:

VR = RI = RIe jϕI

(9.43)

π j ( ϕI + ) 2 VL = jωLI = ωLIe

(9.44) e si puo’ quindi disegnare il diagramma vettoriale delle grandezze del circuito, dove si nota come la corrente sia sfasata in ritardo rispetto alla tensione.

ϕI

Fig. 9.13 Diagramma vettoriale del circuito ohmico-induttivo b) Circuito ohmico-capacitivo Una soluzione con procedimento analogo puo’ essere effettuata per un circuito costituito dalla serie di un resistore e di un condensatore.

R

+ E −

j ωC

Fig. 9.14 Circuito ohmico-capacitivo Anche in questo caso si puo’ prendere il fasore del generatore come riferimento di fase e scrivere l’equazione di maglia in termini di fasori come:

E = (R −

j )I ωC

(9.45)

il fasore della corrente diventa percio’:

I =

E R−

j ωC

(9.46) dall’espressione di I si puo’ arrivare al suo modulo e fase attraverso qualche passaggio algebrico:

Elettrotecnica

9.11

I =

E R−

j ωC

=

M. Repetto

ωCE (ωCR + j ) ωCE (ωCR + j ) = (ωCR − j )(ωCR + j ) (ωCR )2 + 1 (9.47)

da cui il modulo risulta essere:

I=

ωCE 2

(ωCR ) + 1

(ωCR ) 2 + 1 =

ωCE (ωCR )2 + 1

(9.48)

e la fase:

ϕI = ϕ E + tan −1

1 ωCR

(9.49) in questo caso, contrariamente a quanto ottenuto per il circuito ohmico-capacitivo, l'angolo di fase della corrente e' positivo e quindi la corrente e' sfasata in anticipo rispetto al fasore della tensione. Nuovamente, una volta ottenuto modulo e fase della corrente si possono ricavare i valori delle tensioni sui componenti:

VR = RI = RIe jϕI

(9.50) π

j ( ϕI − ) −j I 2 e I = VC = ωC ωC

(9.51)

da cui si puo’ disegnare il diagramma vettoriale dei fasori.

ϕI Fig. 9.15 Diagramma vettoriale del circuito ohmico-capacitivo c) Linea di trasmissione Come esempio di utilizzo del metodo simbolico per la soluzione di circuiti in regime sinusoidale, si prende in considerazione un caso di interesse ingegneristico. Nella pratica, i generatori sono collegati ai carichi mediante linee di trasmissione. In teoria si vorrebbe che queste linee di collegamento fossero dei corto-circuiti, componenti quindi ininfluenti sul circuito. In realta’ le linee presentato una certa impedenza al passaggio della corrente tra i generatori e i carichi. Questa impedenza dipende sia dalla resistenza ohmica della linea che da impedenze legate ai campi elettrici e magnetici che circondano la linea. Su linee abbastanza corte, il termine prevalente di impedenza e’ legato a termini induttivi cioe’ dovuti al fatto che la linea percorsa da corrente produce un flusso magnetico. In pratica il collegamento dei generatori e dei carichi con una linea di trasmissione e’ disegnato in figura.

Elettrotecnica

9.12

Rl

M. Repetto

Xl

Fig. 9.16 Linea di trasmissione interposta tra generatori e carichi Quando la linea e’ percorsa da corrente la sua impedenza fa si che la tensione sui carichi sia diversa da quella dei generatori. Dal punto di vista impiantistico e’ importante calcolare questa differenza di tensione tra i carichi ed i generatori perche’ si vuole garantire al carico una tensione il piu’ possibile costante e pari al livello nominale imposto dal contatto di fornitura dell’energia elettrica, ad esempio per un’utenza domestica il valore efficace nominale di 230 V.

Rl

Xl

+

Fig. 9.17 Circuito utilizzato per il calcolo della caduta di tensione Il calcolo dell’impianto puo’ essere impostato considerando che la tensione sul carico VU sia, in valore efficace, pari a quello nominale. In questo modo, nota l’impedenza del carico si puo’ conoscere la corrente assorbita come si e’ fatto nei paragrafi precedenti, l’impedenza di un carico industriale o domestico e’ di tipo ohmico-induttivo e quindi la corrente sara’ sfasata in ritardo rispetto alla tensione VU che si puo’ prendere come riferimento di fase. Una volta noto il fasore della corrente, come ad esempio nella (9.39), si puo’ calcolare il contributo dei termini di linea utilizzando l’equazione LKT della maglia riportata in figura: VG = VU + Rl I + jX l I (9.52) I fasori delle tensioni ai capi dell’impedenza di linea sono uno in fase con la corrente ed uno in quadratura. Concatenando questi contributi con il fasore noto VU , si ottiene il fasore incognito VG , come dal diagramma vettoriale in figura.

ϕI Fig. 9.18 Diagramma vettoriale della linea di trasmissione

Elettrotecnica

9.13

M. Repetto

Una volta determinato il fasore della tensione VG , si puo’ calcolare la caduta di tensione relativa tra generatore e carico, data da: VG − VU ΔV = (9.53) VG Non sempre questa caduta di tensione e’ positiva, infatti in caso di carico capacitivo in fondo alla linea si puo’ avere un aumento di tensione. Si puo’ verificare subito costruendo il diagramma vettorial e considerando che la corrente assorbita dal condensatore e’ sfasata di π/2 in anticipo rispetto alla tensione VU , come si ottiene dalla: π I = jωCVU = ωCVU e 2 j

(9.54) Il diagramma vettoriale, costruito in maniera analoga a quello precedente cambiando opportunamente le direzioni dei fasori, consente di trovare la nuova ampiezza delle tesnioni sui componenti.

ϕI

VG < VU

Fig. 9.19 Diagramma vettoriale della linea di trasmissione con carico capacitivo

Elettrotecnica

10.1

M. Repetto

Capitolo 10 Risposta in frequenza In questo capitolo vengono studiati alcuni semplici circuiti in regime sinusoidale il cui comportamento cambia in funzione della pulsazione dei generatori applicati. Questi comportamenti possono essere utilmente sfruttati nell’elaborazione dei segnali.

10.1 Risposta in frequenza I circuiti lineari presentano valori di impedenza che dipendono dal valore di pulsazione applicata. Si puo’ vedere ad esempio che il modulo dell’impedenza del condensatore:

ZC =

−j ωC

(10.1)

diminuisce all’aumentare di ω, mentre per l’induttore:

Z L = jωL

(10.2)

aumenta al crescere di ω. Queste variazioni di impedenza possono dare luogo a diversi comportamenti rispetto ad alimentazioni con valori diversi di pulsazione. Si intende quindi con risposta in frequenza lo studio dell’andamento della variabili di rete in un circuito in funzione della frequenza del segnale in ingresso. Si considera sempre la risposta di regime alle diverse pulsazioni tralasciando ogni fenomeno transitorio. La risposta in frequenza e’ molto importante per l’analisi di segnali che contengono piu’ pulsazioni ad esempio costituiti da una sommatoria di segnali sinusoidali:

f (t ) =

N



k =1

2 Ak sin(kωt + ϕ k )

(10.3) questa forma di segnale puo’ ad esempio essere ottenuta da una espansione in serie di Fourier di un segnale periodico. Dato che i circuiti in studio sono lineari, la sommatoria di ingressi, grazie al teorema di sovrapposizione, puo’ essere ottenuta sovrapponendo le risposte ai singoli ingressi sinusoidali. Nel seguito si analizzeranno le risposte di alcuni circuiti semplici. 10.2 Filtro RC passa-basso Si consideri il circuito in figura, composto da un resistore e da un condensatore alimentato da un segnale di tensione a pulsazione variabile di fasore Vi .

R

C

Fig. 10.1 Circuito filtro passa-basso Si vuole determinare l’ampiezza della tensione ai capi del condensatore Vo al variare del parametro ω. Per determinare la risposta si puo’ scrivere il fasore della tensione Vo lasciando indicata la ω. La risposta si puo’ ottenere utilizzando il partitore di tensione tra l’impedenza resistiva e quella capacitiva.

Elettrotecnica

10.2

−j − j (ωRC + j )Vi (1 − jωRC )Vi −j Vo = ωC Vi = Vi = = −j ωRC − j (ωRC − j )(ωRC + j ) 1 + (ωRC ) 2 R− ωC

M. Repetto

(10.4)

elaborando la (10.4) si puo’ facilmente ottenere il rapporto tra i moduli delle tensioni:

1 + (ωRC ) 2 Vo 1 = = Vi 1 + (ωRC ) 2 1 + (ωRC ) 2

(10.5)

e la differenza di fase tra le due tensioni:

ϑ = tan −1( −ωRC )

(10.6) Come si puo’ vedere dall’esame della (10.5) il rapporto diminuisce all’aumentare di ω, mentre la fase aumenta, tendendo a π/2 per ω→∞. Per mettere in evidenza quantitativamente la differenza di risposta del circuito si puo’ esaminare un esempio numerico. Si consideri che i valori dei parametri del circuito siano: R=1kΩ, C=1 μF e che la tensione in ingresso sia data dalla somma di due funzioni sinusoidali:

f (t ) = 2 Asin(2π * 250t ) + 2 Asin(2π * 2000t )

(10.7)

sostituendo i valori numerici nelle risposte trovate in precedenza si ottiene che:

Vo 1 = = 0.537 3 −6 2 Vi f =250 1 + (2π250 * 10 * 10 )

(10.8)

ϑ f =250 = tan −1( −2π250 * 103 * 10 −6 ) = 1.00rad

(10.9)

Vo 1 = = 0.039 3 −6 2 Vi f = 2000 1 + (2π2000 * 10 * 10 )

(10.10)

ϑ f = 2000 = tan −1(−2π2000 * 103 * 10 −6 ) = 1.53rad

(10.11) In figura sono riportate in un grafico le forme d’onda della tensione in ingresso v i (t ) e della tensione in uscita v o (t ) .

Elettrotecnica

10.3

M. Repetto

Vi Vo

Fig. 10.2 Forme d’onda delle tensioni di ingresso e di uscita dela passa-basso Come si puo’ vedere nella forma d’onda della tensione di ingresso, le ampiezze delle due sinusoidi sono uguali, mentre nella forma d’onda in uscita, grazie alla maggiore impedenza mostrata dal dipolo, la forma d’onda a pulsazione piu’ elevata e’ fortemente attenuata, come si ricava dalla (10.10). Il comportamento del circuito quindi viene detto passa-basso grazie alla sua proprieta’ di lasciare praticamente inalterati i segnali a frequenza piu’ bassa attenuando invece fortemente le componenti a frequenza elevata. Questo comportamento puo’ essere spiegato fisicamente con la diminuzione dell’impedenza del condensatore a frequenze alte, come evidenziato nella (10.1), che riduce la caduta di tensione ai suoi morsetti. 10.3 Filtro RC passa-alto Un comportamento duale del circuito precedente si ottiene con lo schema in figura.

C R Fig. 10.3 Circuito RC passa-alto In questo caso il segnale di uscita viene prelevato ai capi del resistore. Applicando nuovamente il partitore di tensione, si puo’ calcolare il rapporto tra i fasori: ωRC(ωRC + j )Vi ωRC (ωRC + j )Vi ωRC R = Vo = Vi = Vi = −j ωRC − j (ωRC − j )(ωRC + j ) 1 + (ωRC )2 R− ωC (10.12) da cui il rapporto tra i moduli:

Vo ωRC 1 + (ωRC ) 2 ωRC = = 2 Vi 1 + (ωRC ) 1 + (ωRC )2 e lo sfasamento:

(10.13)

Elettrotecnica

10.4

ϑ = tan −1(

M. Repetto

1 ) ωRC

(10.14) Utilizzando un esempio numerico con: R=1kΩ, C=1 μF e considerando che la tensione in ingresso sia data dalla funzione:

f (t ) = 2 Asin(2π * 25t ) + 2 Asin(2π * 500t )

(10.15)

Vo 2π25 * 103 * 10 −6 = = 0.156 3 −6 2 Vi f = 25 1 + (2π25 * 10 * 10 )

(10.16)

Vo 2π500 * 103 * 10 −6 = = 0.951 3 −6 2 Vi f =500 1 + (2π500 * 10 * 10 )

(10.17)

ϑ f =25 = tan −1( −2π25 * 103 * 10 −6 ) −1 = 1.41rad

(10.18)

ϑ f =500 = tan−1( −2π500 * 103 * 10 −6 ) −1 = 0.31rad

(10.19)

si ricava che:

Il grafico delle forme d’onda diventa pertanto:

Vo Vi

Fig. 10.3 Forme d’onda delle tensioni di ingresso e di uscita del passa-alto Come si vede, questa volta ad essere attenuata e’ la forma d’onda a frequenza inferiore mentre risulta abbastanza invariata quella a frequenza maggiore. 10.4 Risonanza Il fenomeno della risonanza si verifica nei circuiti in cui sono contemporaneamente presenti termini capacitivi ed induttivi, come ad esempio nel circuito in figura.

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10.5

M. Repetto

L

R

C Fig. 10.4 Circuito risonante serie Il comportamento del circuito, puo’ essere descritto dalla sua impedenza ai morsetti:

Z = R + jωL −

j =R+ ωC

1 ⎞ ⎛ j ⎜ ωL − ⎟ ωC ⎠ ⎝

(10.20) come si puo’ notare, mentre la parte reale dell’impedenza in questo caso non varia con ω, la reattanza e’ funzione della pulsazione attraverso la somma algebrica di due termini di andamento contrastante, uno induttivo crescente con ω ed uno capacitivo di andamento opposto. Ad un particolare valore di pulsazione i due termini si elidono:

1 ⎞ ⎛ 2 ⎜ ωL − ⎟ = 0 ⇒ ω LC − 1 = 0 ⇒ ω = ωC ⎠ ⎝

1 LC

(10.21)

questo valore di pulsazione viene detto pulsazione di risonanza ω0 = 1/ LC . Come si puo’ facilmente notare, alla pulsazione di risonanza, l’impedenza del dipolo coincide con la sua resistenza, dato che la reattanza e’ nulla. Per valori di pulsazione diversi da ω0 il circuito ha comportamenti diversi. Si esaminano i casi limite: − ω→0 il termine 1/ω diverge portando a ∞ il modulo di Z − ω→∝ il termine ω diverge portando a ∝ il modulo di Z per valori intermedi il dipolo presenta un modulo di impedenza compreso tra ∝ e R. L’andamento del modulo dell’impedenza nel caso di un circuito con parametri: R=100 Ω, L=0.1 H, C=1 μF, si ha:

ω0 =

1 1 = = 3162rad / s → f0 = 503Hz −1 −6 LC 10 * 10

(10.22) il modulo dell’impedenza, riportato in scala semi-logaritmica per poter apprezzare le variazioni alle impedenze basse, diventa:

10000 8000 6000 4000 2000 0 1000 10000 100000 Pulsazione [rad/s] Fig. 10.5 Andamento del modulo dell’impedenza in scala semilogaritmica

Elettrotecnica

10.6

M. Repetto

10.5 Antirisonanza

R

L

C

Fig. 10.6 Circuito antirisonante Il circuito serie RLC assume un minimo di impedenza in prossimita’ della pulsazione di risonanza. Il circuito RLC parallelo invece assume in corrispondenza dello stesso valore un minimo di ammettenza e quindi un massimo di impedenza, come si puo’ calcolare attraverso la:

Y =

j 1 1 1 1 1 ⎞ ⎛ + + jωC = − + jωC = + j ⎜ ωC − ⎟ R jωL R ωL R ωL ⎠ ⎝

(10.23) come si puo’ vedere la parte immaginaria dell’ammettenza si annulla, come nel caso precedente, per un valore di pulsazione pari a: 1 ω0 = LC (10.24) detto anche in questo caso pulsazione di risonanza.

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11.1

M. Repetto

Capitolo 11 Potenza in regime sinusoidale Lo studio dei circuiti in regime sinusoidale e’ molto importante per le applicazioni industriali di potenza elevata. Per questo risulta basilare esprimere le potenze e le energie di questi sistemi in maniera efficiente. Si definiscono quindi alcune formule ricavate dalla definizione di potenza nell’ipotesi di regime sinusoidale e se ne investigano le ricadute pratiche.

11.1 Potenza in regime sinusoidale La formula della potenza in un dipolo, ricavata nel capitolo 6:

p(t ) = v (t )i (t )

(10.1) e’ valida anche nel regime sinusoidale. Se la corrente e la tensione sono espresse da funzioni sinusoidali si puo’ ottenere dalla (10.1) una espressione semplificata. In regime sinusoidale la tensione e la corrente ai capi di un dipolo sono date da:

v (t ) = 2V sin(ωt + ϕV )

i (t ) = 2I sin( ωt + ϕI )

(10.2)

il loro prodotto e’ dato da:

p(t ) = v (t )i (t ) = 2V sin(ωt + ϕV ) 2I sin( ωt + ϕI ) = = 2VI sin(ωt + ϕV ) sin(ωt + ϕI )

(10.3) questa ultima formula puo’ essere elaborata tenendo conto delle formule di prostaferesi che impongono:

sin α sin β = 21 (cos( α − β) − cos( α + β))

(10.4)

assumendo che nella (10.3) valga:

α = ωt + ϕV

β = ωt + ϕI

(10.5)

si ottiene:

p(t ) = 2VI

1 2

[cos(ϕV − ϕI ) − cos(2ωt + ϕV + ϕI )]

(10.6) la (10.6) contiene termini costanti e termini dipendenti dal tempo. Il parametro piu’ importante della (10.6) e’ costituito dalla differenza degli angoli di fase di tensione e corrente, definito come angolo di sfasamento:

ϕ = ϕV − ϕI

(10.7)

sostituendo l’angolo ϕ nella (10.6) si ottiene:

p(t ) = VI [cos ϕ − cos(2ωt + ϕV + ϕI )]

(10.8) Vale la pena di notare che lo sfasamento definito nella (10.7) coincide con l’angolo di fase dell’impedenza del dipolo data dalla (9.28). Il termine cosϕ viene solitamente detto fattore di potenza dell’impedenza. Dato che l’angolo ϕ e’ fisicamente legato alla natura del dipolo, si vuole farlo comparire anche nel secondo termine. Questo si puo’ fare ricorrendo ad una manipolazione dell’argomento del coseno:

2ωt + ϕV + ϕI = 2ωt + ϕV + (ϕI − ϕI ) + ϕI = 2ωt + ϕ + 2ϕI

(10.9)

da cui sostituendo si ottiene:

p(t ) = VI [cos ϕ − cos(2ωt + ϕ + 2ϕI )]

(10.10) Il secondo termine della parentesi puo’ essere ulteriormente scomposto utilizzando la regola per la somma degli angoli:

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11.2

M. Repetto

cos(α + β) = cos α cos β − sin α sin β

(10.11)

in questo caso si puo’ assumere:

α = ϕ, β = 2(ωt + ϕI )

(10.12)

per cui la (10.11) diventa:

p(t ) = VI cos ϕ − VI cos ϕ cos 2(ωt + ϕI ) + VI sin ϕ sin 2(ωt + ϕI )

(10.13) raccogliendo i termini in cosϕ e senϕ, si arriva finalmente ad un’espressione molto compatta:

p(t ) = VI cos ϕ[1 − cos 2(ωt + ϕI )]+ VI sin ϕ sin 2(ωt + ϕI )

(10.14)

Nell’espressione compaiono due termini dipendenti dall’angolo di sfasamento ϕ. La (10.14) puo’ essere riscritta come la somma di due termini: p(t ) = pa (t ) + pr (t )

(10.15)

dove:

⎧ pa (t ) = VI cos ϕ[1 − cos 2(ωt + ϕI )] ⎨ ⎩ pr (t ) = VI sin ϕ sin 2(ωt + ϕI )

(10.16) la pa (t ) viene detta componente attiva della potenza istantanea, mentre la pr (t ) componente reattiva della potenza istantanea. Nei componenti fondamentali, le componenti vengono ad assumere valori particolari grazie al fatto che gli angoli di fase dell’impedenza valgono 0 o π/2. Nel resistore infatti:

Z =R

(10.17) l’angolo di fase dell’impedenza, e quindi ϕ, vale 0, da cui si vede che la componente reattiva della potenza, che dipende da sinϕ, e’ nulla. Le cose vanno in maniera opposta nei componenti C ed L, dove l’angolo dell’impedenza vale ±π/2. Segnatamente nel condensatore:

Z =

−j ωC

e l’angolo di fase vale ϕ=-π/2, la componente attiva si annulla mentre sinϕ=-1. Nell’induttore:

Z = jωL l’angolo di fase, in questo caso, vale ϕ=π/2, la componente attiva si annulla mentre sinϕ=+1.

(10.18)

(10.19)

a) componente resistore Nel componente resistore, essendo ϕ=0, la potenza diventa:

p(t ) = pa (t ) = VI [1 − cos 2(ωt + ϕI )]

(10.20) assumendo arbitrariamente che la corrente sia presa come riferimento di fase e percio’ valga ϕ i = 0 , si possono riportare in un grafico gli andamenti della variabili di rete ai morsetti del resistore.

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11.3

M. Repetto

p(t) i(t) VI

v(t)

Fig. 10.1 Andamento di tensione, corrente e potenza in un resistore Dall’esame del grafico di figura 10.1 si puo’ notare che: - la potenza e’ sempre positiva, il fatto non stupisce perche’, come si e’ messo in evidenza nel capitolo 6, la potenza in un resistore deve sempre essere maggiore di 0. Questo, in un componente descritto dalla convenzione degli utilizzatori equivale ad una potenza sempre assorbita; - la potenza non e’ costante ma oscilla con pulsazione 2ω attorno ad un valor medio dato dal prodotto dei valori efficaci di tensione e corrente VI . Nota la potenza assorbita dal resistore si puo’, integrando nel tempo, ottenere l’energia assorbita dal resistore. sin 2ωt ) w (t ) = ∫ pa (t ' )dt ' = ∫ VI (1 − cos 2ωt ' )dt ' = VI (t − 2ω (10.21) L’integrale della (10.20) da quindi luogo ad un termine lineare, integrale del termine costante, e ad un termine oscillante a valor medio nullo.

tempo Fig. 10.2 Andamento temporale dell’energia assorbita dal resistore Come si puo’ vedere dall’esame della figura, il termine oscillante crea delle differenze rispetto al termine medio che si annullano 4 volte in un periodo. Queste differenze sono trascurabili, se

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11.4

M. Repetto

rapportate al valore dell’energia data dall’integrale del termine costante. Solitamente, dal punto di vista ingegneristico si trascura la parte oscillante e si considera:

w (t ) = ∫ pa (t ' )dt ' ≈ ∫ VIdt ' = VIt

(10.22)

b) componente induttore Nel caso dell’induttore si ottiene:

ZL = jωL = ωLe

j

π 2

=

π V ⇒ = ϕV − ϕI = ϕ I 2

(10.23)

le potenze diventano percio’:

pa (t ) = 0, pr (t ) = VI sin ϕ sin 2(ωt + ϕI ) = VI sin 2ωt

(10.24) da cui, prendendo nuovamente la corrente come riferimento di fase, si puo’ ricavare il grafico.

v(t) i(t)

p(t)

Fig. 10.3 Andamento di tensione, corrente e potenza in un induttore Dall’esame della figura si ottiene che: - il valor medio della potenza e’ nullo, questo e’ comprensibile se si considera la natura reversibile del componente che non consuma potenza ma assorbe e cede energia in funzione della corrente che lo attraversa; - ad ogni quarto di periodo il componente cambia segno della potenza che significa che il componente per un quarto di periodo si carica assorbendo potenza dall’esterno (la corrente cresce in valore assolto), mentre nel quarto successivo si scarica cedendo potenza all’esterno; - il termine sinϕ e’ positivo e questo implica che, assumendo la corrente come riferimento di fase, la potenza sia assorbita nel primo quarto di periodo. c) componente condensatore Nel condensatore si ripropongono le stesse considerazioni fatte per l’induttore con la differenza che questa volta ϕ=-π/2, percio’ si ha che:

pa (t ) = 0, pr (t ) = VI sin ϕ sin 2(ωt + ϕI ) =−VI sin 2ωt

(10.25)

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11.5

i(t)

v(t)

M. Repetto

p(t)

Fig. 10.4 Andamento di tensione, corrente e potenza in un condensatore Si puo’ notare che: - anche qui, come nell’induttore, il valore medio della potenza e’ nullo; - il termine sinϕ e’ negativo e questo implica che, assumendo la corrente come riferimento di fase, la potenza sia ceduta nel primo quarto di periodo. 11.2 Potenza attiva Come si e’ visto dall’analisi dettagliata dei fenomeni energetici in regime sinusoidale, la potenza istantanea si divide in due componenti. Solo una, la pa (t ) ha valor medio diverso da zero e quindi puo’ dare luogo ad un trasferimento non nullo di energia dai generatori ai componenti. Si e’ anche visto che il termine medio di questa componente e’ responsabile del valore netto di energia trasferita, mentre il termine oscillante da luogo a termini trascurabili. Dal punto di vista tecnico, questo fatto viene tenuto in conto eliminando il termine oscillante dalla espressione dell’energia (10.21) ed assumendo che la potenza assorbita sia pari al suo valor medio:

W (t1, t 2 ) =



t2

t1

pa (t )dt = VI cos ϕ(t 2 − t1 ) = P (t 2 − t1 )

(10.26)

il valor medio viene chiamato potenza attiva, ed e’ dato da:

P = pa (t ) = VI cos ϕ

(10.27)

la potenza attiva P, responsabile del trasferimento di potenza al dipolo si misura in Watt. 11.3 Potenza reattiva Mentre la componente attiva della potenza istantanea e’ responsabile del trasferimento di energia, la componente reattiva tiene conto degli scambi reversibili di energia tra i componenti L e C ed i generatori. Questo termine di potenza non da luogo a trasferimento di energia al componente. Ciononostante, gli scambi di potenza legati alla pr (t ) sono presenti nel circuito e, come si vedra’ in seguito, non possono essere trascurati. Per questo si introduce una nuova grandezza detta potenza reattiva pari all’ampiezza del termine sinusoidale di pulsazione 2ω della (10.16).

Q = VI sin ϕ

(10.28)

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11.6

M. Repetto

Anche se la Q ha le dimensioni fisiche di una potenza, come si e’ gia’ affermato, essa non e’ legata ad un trasferimento netto di energia dai generatori ai carichi. Per mettere in evidenza questo fatto, la Q non viene misurata in Watt, bensi’ in VoltAmpere reattivi (Var). 11.4 Potenza in un’impedenza La potenza in un’impedenza e’ stata ricavata partendo dalle forme d’onda di tensione e corrente nel tempo. In realta’ essa puo’ essere ricavata anche dai loro fasori. Considerando un’impedenza il cui fasore di tensione valga:

V = Ve jϕV

(10.29)

e quello di corrente valga:

I = Ie jϕI

(10.30) si vuole ricavare un’espressione della potenza. Si puo’ vedere che nell’espressione (10.16) compare lo sfasamento tra tensione e corrente. Per ottenere questo valore si puo’ considerare il fasore coniugato della corrente dato da:

I * = Ie − jϕI

(10.31)

moltiplicando il fasore della tensione per il fasore coniugato della corrente, si ottiene:

V I * = Ve jϕV Ie − jϕI = VIe j (ϕV − ϕI ) = VIe jϕ

(10.32)

applicando la formula di Eulero si ottiene:

V I * = VIe jϕ = VI (cos ϕ + jsinϕ) = VI cos ϕ + jVIsinϕ = P + jQ

(10.33) come si vede, nella (10.33) compaiono contemporaneamente la potenza attiva P e quella reattiva Q. La quantita’ della (10.33) viene detta potenza complessa ed ha come parte reale la potenza attiva e come parte immaginaria quella reattiva.

S = V I * = P + jQ

(10.34)

il modulo della potenza complessa viene detto potenza apparente:

S=S =

(VI cos ϕ)2 + (VIsinϕ)2

= VI

(10.35) Dalla (10.33) si puo’ ottenere, data un’impedenza generica Z = R + jX , l’espressione della potenza complessa assorbita attraverso la:

V I * = Z I I * = Z I 2 = (R + jX )I 2 = RI 2 + jXI 2 = P + jQ

(10.36)

⎧⎪P = RI 2 ⎨ ⎪⎩Q = XI 2

(10.37)

da cui:

oppure, in funzione della tensione:

S = Z I 2 = (R + jX ) da cui:

V2 Z2

=

V 2 ⎛ R + jX ⎞ V 2 (cos ϕ + jsinϕ) ⎜ ⎟= Z ⎝ Z ⎠ Z

(10.38)

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11.7

⎧ V2 cos ϕ ⎪⎪P = Z ⎨ 2 ⎪ Q = V sinϕ ⎪⎩ Z

M. Repetto

(10.39)

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12.1

M. Repetto

Capitolo 12 Teorema di Boucherot e rifasamento In questo capitolo, partendo dalle nozioni di potenza in regime sinusoidale ricavate nel capitolo precedente, si presenta un teorema di conservazione delle potenze simile al teorema di Tellegen, e a partire da questo si affronta la soluzione di alcuni problemi di interesse tecnico nei circuiti di potenza.

12.1 Teorema di Boucherot Le definizioni di potenza attiva e reattiva, ottenute nel capitolo precedente, sono di interesse pratico, ad esempio per la contabilizzazione delle energie assorbite da un utente alimentato in regime sinusoidale. La loro definizione pero’ assume un significato piu’ importante se si considera che queste potenze rispettano un’equazione di bilancio del tutto equivalente a quella stabilita dal teorema di Tellegen. In questa maniera, le potenze attive e reattive potranno diventare uno strumento utile anche per la soluzione dei circuiti come si vedra’ nel seguito. Il teorema di Boucherot esprime la conservazione delle potenze complesse in un circuito. Dato un circuito con Ngen generatori descritti dalla convenzione dei generatori e Nutl utilizzatori descritti dalla convenzione degli utilizzatori, il teorema di Boucherot afferma che: Ngen

Nutl

k =1

n =1

∑ Sk = ∑ Sn (12.1)

sostituendo alla potenza complessa la sua forma binomia, si ottiene: Ngen

Nutl

k =1

n =1

∑ Pk + jQk =

∑ Pn + jQn

(12.2) il vincolo di uguaglianza tra numeri complessi espresso dalla (12.1) si traduce in due vincoli di uguaglianza a valori reali, uno sulle parti reali ed uno su quelle immaginarie, ovvero: Nutl ⎧ Ngen ⎪ ∑ Pk = ∑ Pn ⎪ k =1 n =1 ⎨Ngen Nutl ⎪ Q = ⎪ ∑ k ∑ Qn n =1 ⎩ k =1

(12.3) che esprime l’uguaglianza tra le potenze attive dei generatori e quelle dei carichi e lo stesso bilancio per quelle reattive. Va messo in evidenza che nel termine relativo alle potenze reattive dei carichi, possono comparire termini di segno diverso, infatti va ricordato che le capacita’ danno luogo a potenze reattive negative mentre le induttanze a potenze reattive positive. Il teorema di Boucherot puo’ diventare un utile strumento per la soluzione di circuiti di topologia semplice, come di solito si trovano nei circuiti industriali. a) identificazione dei carichi Nei sistemi di interesse tecnico molto spesso i carichi non vengono definiti sulla base delle loro impedenze ma attraverso i dati ai morsetti. Infatti frequentemente il gestore del sistema puo’ non conoscere la natura del carico alimentato da una linea, ma puo’ sicuramente misurarne, ad esempio, la tensione applicata e la potenza assorbita. Le quantita’ misurabili ai morsetti di un carico sono generalmente cinque: - il valore efficace di tensione applicata V ; - il valore efficace di corrente assorbita I; - la potenza attiva P; - la potenza reattiva Q; - il fattore di potenza cosϕ

Elettrotecnica

12.2

M. Repetto

Non tutte queste quantita’ sono pero’ indipendenti, infatti esistono dei vincoli che le legano, ad esempio: P = VI cos ϕ (12.4) lega tra loro la potenza, tensione, corrente e fattore di potenza. In maniera analoga: Q VI sin ϕ = = tan ϕ (12.5) P VI cos ϕ lega l’angolo di sfasamento a potenza attiva e reattiva. In generale su cinque variabili del carico solo tre sono indipendenti, le altre possono essere ricavate di conseguenza dalle formule, come verra’ esemplificato in seguito.

b) esempio di circuito risolto con Boucherot

Si suppone dato un circuito con un carico connesso al fondo di una linea di cui si conosce la tensione di alimentazione, la potenza attiva e reattiva, si vuole conoscere la tensione in partenza alla linea. Questo problema e’ identico a quanto visto nel capitolo 9 per la linea di trasmissione, in questo caso pero’ verra’ risolto in maniera diversa non facendo ricorso ai calcoli con i numeri complessi.

Z l = Rl + jX l + PG, QG

P,Q PU , Q U

Dati del problema V = 230V , Z l = 0.15 + j 0.2Ω P = 10kW ,Q = 10kVAr

Fig. 12.1 Circuito con carico a fondo linea Il teorema di Boucherot impone l’uguaglianza tra la potenza complessa assorbita dai carichi e quella ceduta dai generatori. Le potenze dei carichi si possono ottenere sommando le potenze richieste dal carico a fondo linea e dalla impedenza di linea Zl . Per ricavare quest’ultima si deve ottenere la corrente che scorre nella linea. Questa si puo’ ricavare dai dati del carico, infatti note la P e la Q del carico si ottiene: P = VI cos ϕ Q ⇒ tan ϕ = P Q = VIsinϕ (12.6) sostituendo i valori numerici:

tan ϕ =

Q 10000 2 = = 1 ⇒ cos ϕ = P 10000 2

(12.7) noto il fattore di potenza, si puo’ ricavare il valore efficace della corrente assorbita dal carico come: P 10000 = = 61.5 A P = VI cos ϕ ⇒ I = V cos ϕ 230 * 2 2 (12.8) Questa corrente attraversa l’impedenza di linea che quindi, secondo la (10.37), assorbira’ le potenze:

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12.3

M. Repetto

Pl = Rl I 2 = 0.15 * 61.5 2 = 567W Ql = X l I 2 = 0.2 * 61.5 2 = 756VAr

(12.9) A questo punto, nota dai dati la potenza del carico e calcolata quella della linea, si puo’ ricavare la potenza totale richiesta dai carichi:

PU = P + Pl = 10000 + 576 = 10576W QU = Q + Ql = 10000 + 756 = 10756VAr

(12.10)

per il teorema di Boucherot, queste potenze sono bilanciate da quelle dei generatori: PG = PU , QG = QU

(12.11) Il generatore eroga quindi le potenze della (12.10) ed e’ attraversato dalla corrente di maglia calcolata nella (12.8). Si puo’ quindi ricavarne il fattore di potenza come: Q 10756 = 1.017 ⇒ cos ϕ = 0.701 tan ϕG = G = PG 10576 (12.12) e il suo valore efficace attraverso la: PG 10576 PG = EI cos ϕG ⇒ E = = = 245.3V I cos ϕG 61.5 * 0.701 (12.13) Utilizzando quindi solo equazioni bilancio delle potenze e’ stato possibile ricavare la tensione del generatore senza effettuare alcun calcolo con i numeri complessi. c) rendimento di trasmissione

La linea di trasmissione considerata nell’esempio precedente e’ un componente che trasporta la potenza dal generatore al carico. Come tale e’ soggetta ad un rendimento energetico dovuto al fatto che una quota parte della potenza in transito viene dissipata sulla resistenza di linea.

Z l = Rl + jX l PIN

POUT

Fig. 12.2 Linea di trasmissione Il rendimento della linea di trasmissione, o rendimento di trasmissione, viene definito come la potenza in uscita dalla linea divisa quella in ingresso. Sfruttando il teorema di Boucherot si puo’ far comparire esplicitamente nella formula la potenza dissipata nella linea: P POUT ηt = OUT = PIN POUT + Pl (12.14) nel caso dell’esercizio precedente, ad esempio, il rendimento vale:

ηt =

POUT 10000 = = 0.945 POUT + Pl 10000 + 576

(12.15)

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12.4

M. Repetto

rendimenti cosi’ elevati non devono stupire. Risiede infatti nella facilita’ di trasporto della potenza il successo dei sistemi elettrici che, grazie a questo fatto, permettono di disaccoppiare il luogo di produzione dell’energia dal suo posto di utilizzo. 12.2 Importanza tecnica della potenza reattiva Come si e’ visto nel capitolo precedente, la potenza reattiva e’ un indicatore dei flussi di potenza che vengono reversibilmente scambiati tra i generatori ed i condensatori ed induttori. La reversibilita’ di questi scambi potrebbe erroneamente portare a dire che questi fenomeni, dato che non producono potenza utile per un utente, non hanno influenza sul sistema. Purtroppo, la presenza di elementi dissipativi nel sistema rende questi flussi di potenza non solo inutili ma anche dannosi per il suo rendimento globale. Questo concetto puo’ essere messo in evidenza con un’analogia meccanica. Si consideri un profilo su cui puo’ scorrere, senza attrito, una massa, come riportato in figura.

h

Fig. 12.3 Profilo senza attrito su cui puo’ scorrere la massa Lasciata cadere la massa da un’altezza h sul fondo della buca, questa converte la sua iniziale 1 energia potenziale gravitazionale Mgh in energia cinetica Mv 2 , nell’istante di passaggio sul 2 fondo della buca l’energia cinetica sara’ massima. Risalendo il profilo dopo il punto piu’ basso nuovamente l’energia cinetica viene convertita in energia potenziale e la massa si riporta ad un’altezza h identica a quella di partenza. Il fenomeno, lasciato evolvere, assume un andamento periodico con continui pendolamenti tra energia potenziale e cinetica. Il fenomeno e’ simile a quello che avviene in un circuito dove un generatore sinusoidale alimenta un induttore ideale.

E

L

Fig. 12.4 Circuito con generatore ed induttore ideale A regime il sistema pendola tra due istanti: un istante in cui la corrente e’ massima e quindi 1 2 l’induttore ha la massima energia magnetica immagazzinata Li max ed uno in cui la corrente e’ 2 nulla e l’induttore ha restituito tutta l’energia al generatore. Anche in questo caso il sistema evolve tra due stati indefinitamente senza che il generatore debba fornire potenza durante un periodo. A fronte di questo caso ideale, nella realta’ le cose vanno diversamente. Un profilo reale presenta comunque un certo coefficiente di attrito per cui nel movimento il corpo dissipa energia. Come risultato si ha che lasciato cadere il grave da un’altezza h questo raggiunge dalla parte opposta un’altezza h’
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