Elementi Di Topografia

November 14, 2017 | Author: jebs89 | Category: Angle, Topography, Cartesian Coordinate System, Earth, Geometry
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Ottimo per il ripasso base per il corso di topografia...

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Tomei Giacomo

LA GEODESIA

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LA GEODESIA

1.1

PREMESSA

La geodesia è una scienza che studia la forma, le dimensioni della terra e il suo campo gravitazionale. La geodesia si può dividere in: 1. geodesia teorica che studia la forma e la dimensione della terra, compreso il campo gravitazionale; 2. geodesia operativa che mette in pratica la teoria con dei procedimenti per risolvere i problemi relativi alla superficie terrestre. La topografia è un parte della geodesia operativa che si occupa soprattutto del rilievo. Rilevare una superficie terrestre significa determinare la posizione di un numero sufficiente di punti appartenenti a questa superficie terrestre. 2.1

IL SISTEMA DI RIFERIMENTO, LE SUPERFICI DI RIFERIMENTO, I SISTEMI DI COORDINATE

Per definire la posizione dei punti, occorre definire un sistema di riferimento e anche una superficie di riferimento che possa approssimare la superficie della terra e che possa permettere di svolgere i calcoli in modo semplice. Può essere anche necessario definire un sistema di coordinate, cioè un modo che permetta di collocare in modo corretto i punti del rilievo nel sistema di riferimento e nella superficie di riferimento. 2.1.1

I SISTEMI DI RIFERIMENTO

Per sistema di riferimento si intende una terna cartesiana che bisogna saper collocare nel modo migliore nello spazio. I sistemi di riferimento si possono dividere in: 1. sistemi di riferimento globali; 2. sistemi di riferimento locali. 2.1.1.1

I SISTEMI DI RIFERIMENTO GLOBALI

Sono definiti da della convenzioni e sono volti a collocare il risultato del rilievo sulla terra. Un sistema di riferimento globale deve essere realizzato considerando diversi parametri tra cui: 1. la forma irregolare della terra; 2. i moti di rotazione e rivoluzione. Solitamente un sistema globale comune è il sistema geocentrico che si presenta come una terna cartesiana con l’origine nel centro della massa terrestre e l’asse z coincidente con l’asse di rotazione terrestre.

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2.1.1.2

I SISTEMI DI RIFERIMENTO LOCALI

I sistemi di riferimento locali vengono scelti di volta in volta dal soggetto che svolge il rilievo, inoltre lo stesso soggetto ha la possibilità di scegliere l’origine della terna cartesiana. 2.1.2

LE SUPERFICI DI RIFERIMENTO

Una superficie di riferimento è la superficie su cui viene sviluppato il rilievo della superficie fisica reale e deve avere due caratteristiche: 1. la superficie deve essere definita da un’espressione analitica, la più semplice possibile (cioè in forma canonica), in modo da darle una geometria; 2. la forma e la dimensione della superficie devono approssimare al meglio la superficie reale del nostro pianeta. 2.1.2.1

LE SUPERFICI EQUIPOTENZIALI

Si sa che il campo gravitazionale ammette un potenziale, quindi esisteranno delle superfici equipotenziali del campo gravitazionale. Nella superficie di riferimento si possono definire: 1. un verticale n, cioè il versore ortogonale alla superficie equipotenziale (cioè al geoide) in un punto; 2. un normale n’, cioè il versore ortogonale ad una superficie di riferimento (cioè all’ellissoide). Se consideriamo il geoide, cioè la superficie equipotenziale passante per il livello medio dei mari, allora si può pensare che questa sia la superficie equipotenziale più adatta per essere considerata come superficie di riferimento terrestre; questa superficie risulta però troppo complessa per poter essere espressa in forma analitica. Si è quindi passati dal geoide ad una superficie approssimata di esso, ovvero un ellissoide di rotazione. Se è vero che al geoide verrà corrisposto un unico ellissoide, il quale costituirà la migliore approssimazione in termini globali, è altrettanto vero che, considerando solo parti del geoide, sarà possibile determinare superfici approssimative (cioè ellissoidi) che approssimeranno meglio il geoide in quella determinata area; si può parlare quindi anche di superfici di riferimento approssimate locali e globali. x2 + y2 z2 L’equazione dell’ellissoide è + 2 = 1. a2 b 2.1.2.2

IL GEOIDE

Si sa però che le acque marine non sono in equilibrio dinamico, infatti sono perturbate dai movimenti dovuti ai venti, dalle differenze di concentrazioni saline, dalle correnti e dalle maree, le quali dipendono principalmente dall’azione attrattiva del sole e della luna. Osservando i livelli della superficie del mare si nota che essi raggiungono variazioni anche dell’ordine di 20 m in un giorno.

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LA GEODESIA

Tuttavia è possibile determinare, in base ad un lungo periodo di osservazione, il livello medio del mare in ogni punto grazie a degli strumenti fissi detti mareografi che, automaticamente, descrivono le oscillazioni dell’acqua al variare del tempo. Se consideriamo un punto P di massa unitaria legato alla terra, esso risente di due forze, cioè della ρ ⋅ dm forza gravitazionale F = G ∫ e della forza centrifuga f = m ⋅ ω 2 ⋅ p , dove 2 terra r

(

p = x2 + y2

)

1 2

. La risultante di queste due forze è la forza di gravità g.

Entrambi i vettori ammettono un potenziale che per la forza gravitazionale è V = ∫ G r

la

forza

centrifuga

ω

V1 =

2

2

(x

2

)

+ y2 ;

quindi

il

potenziale

1 dm e per r

totale

sarà

1 ω2 W = V + V1 = ∫ G dm + ⋅ x2 + y2 . r 2 r Cercando il luogo dei punti che presentano lo stesso valore di W si ottengono le superfici equipotenziali. Le superfici equipotenziali sono più ravvicinate dove l’accelerazione di gravità è maggiore, quindi in prossimità dei poli; inoltre le superfici equipotenziali non sono parallele tra loro, lo sarebbero se l’accelerazione di gravità fosse costante.

(

)

Superfici equipotenziali terrestri, rappresentazione della verticale come ortogonale alla superficie equipotenziale o tangente alla linea di forza in quel punto.

Per ogni punto P della terra passa una sola superficie equipotenziale ed una sola linea verticale detta verticale locale. L’ellissoide è un’approssimazione del geoide e quindi il geoide è un ellissoide al quale, punto per punto, verrà aggiunta una correzione. Lo scostamento tra ellissoide e geoide viene chiamato ondulazione del geoide e prende il nome di N. 2.1.2.3

GLI ELLISSOIDI DI RIFERIMENTO

Definita una opportuna terna cartesiana si può rappresentare l’ellissoide; questa superficie è ottenuta da una rotazione di un ellissi di semiassi a e b attorno all’asse z; l’intersezione della superficie con l’asse z positivo prende il nome di Polo Nord Geografico, mentre l’altra intersezione prende il nome di Polo Sud Geografico. 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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LA GEODESIA

L’equazione di una superficie in coordinate cartesiane z = f (x, y) mostra come, definite due coordinate, la terza derivi direttamente dalla funzione che descrive la superficie, quindi, per definire la posizione di un punto sulla superficie, saranno sufficienti due parametri, cioè due coordinate. Ora consideriamo un punto A qualsiasi sull’ellissoide e sia n il versore (cioè il vettore di dimensione unitaria) normale alla superficie di riferimento in quel punto. I due angoli riferiti al versore rispetto al sistema di riferimento prendono il nome di latitudine ellissoidica e longitudine ellissoidica di quel punto, le quali costituiscono le cosiddette coordinate geografiche del punto. Si definiscono i piani meridiani ed i meridiani in base ai quali si definisce la longitudine: il piano meridiano è un qualsiasi piano contente l’asse z, mentre il meridiano è l’intersezione tra l’ellissoide e il piano meridiano; i meridiani sono ellissi tutte della stessa dimensione. Per definire la longitudine ellissoidica consideriamo un piano meridiano di riferimento passante per l’asse x ed un piano meridiano contenente un punto A; l’angolo orizzontale formato dai due piani meridiani costituisce la longitudine del punto A; la longitudine si misura in gradi e si misura in gradi da 0° a +180° procedendo verso ovest e da 0° a –180° procedendo verso est. Si definiscono i paralleli in base ai quali si definisce la latitudine: il parallelo è il luogo dei punti che hanno la stessa latitudine; è l’intersezione tra l’ellissoide e un piano qualsiasi parallelo al piano xy; i paralleli sono cerchi concentrici e il cerchio con raggio massimo è chiamato equatore; Per definire la latitudine ellissoidica consideriamo un punto A sull’ellissoide e la proiezione del punto A sul piano xy A’; considerando la normale all’ellissoide passante per A (cioè la linea obliqua che parte da A e arriva a toccare in un punto non determinato l’asse OA’), si definisce la latitudine ellissoidica del punto A l’angolo che la normale dello stesso punto A forma con la retta orizzontale OA’; la latitudine si misura in gradi da 0° a +90° verso il Polo Nord e da 0° a –90° verso il Polo Sud (quindi la latitudine è positiva per l’emisfero Nord e negativa per l’emisfero Sud). I meridiani e i paralleli presentano la proprietà di essere tra loro ortogonali. Azimut α o anomalia θ (theta): sia P un punto sull’ellissoide e supponiamo che per quel punto passi una linea generica s appartenente alla superficie (cioè all’ellissoide); definiamo azimut della linea in quel punto l’angolo α formato dalla tangente x alla linea s e il meridiano passante per lo stesso punto. Sezione normale: consideriamo un punto A sulla superficie ellissoidica e consideriamo il fascio di piani che contengono la retta 4

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ortogonale alla superficie passante per A; l’intersezione tra uno qualsiasi dei piani e la superficie ellissoidica prende il nome di sezione normale passante per A.

È possibile scrivere la relazione matematica di un ellissoide di rotazione, la quale è

r2 z2 + =1 a2 b2

a2 − b2 . a2 Con alcuni passaggi algebrici è possibile definire il raggio di curvatura del parallelo che è a ⋅ cos ϕ da cui è possibile definire le coordinate cartesiane di un punto sulla r= 1 − e 2 ⋅ sen 2ϕ superficie ellissoidica in funzione della latitudine e della longitudine tramite le seguenti relazioni: a ⋅ cos ϕ ⋅ cos ω a ⋅ cos ϕ ⋅ cos ω a ⋅ senϕ ⋅ (1 − e 2 ) x = r ⋅ cos ω = y = r ⋅ senω = z = 1 − e 2 ⋅ sen 2ϕ 1 − e 2 ⋅ sen 2ϕ 1 − e 2 ⋅ sen 2ϕ Consideriamo ora un punto P nuovamente sulla superficie ellissoidica e per la definizione di sezione normale possiamo affermare che per quel punto passano infinite sezioni normali. Tali curve presenteranno un proprio raggio di curvatura che sarà in funzione della posizione del punto P sull’ellissoide e della direzione della sezione normale considerata. Possiamo definire le sezioni normali principali le due sezioni che avranno raggi di curvatura massimi N e minimi ρ. Una proprietà di queste sezioni normali è che sono tra loro sempre ortogonali e, se la superficie di riferimento è l’ellissoide di rotazione, allora una di queste due sezioni coincide con il meridiano

con r 2 = x 2 + y 2 . È possibile anche definire l’eccentricità che è e 2 =

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LA GEODESIA

e il raggio di curvatura del meridiano è ρ =

(

)

(1 − e

2

a 1 − e2

)

3 2

; l’altra sezione principale

⋅ sen ϕ prende il nome di Gran Normale N e si ottiene dall’intersezione tra l’ellissoide e il piano tangente al parallelo in quel punto. Il raggio di curvatura della Gran Normale è r a . Definito N possiamo riscrivere in forma semplificata le equazioni N= = 2 cos ϕ 1 − e ⋅ sen 2ϕ delle coordinate geocentriche rispetto alle coordinate geografiche: x = N ⋅ cos ϕ ⋅ cos ω y = N ⋅ cos ϕ ⋅ senω z = N ⋅ senϕ ⋅ 1 − e 2 Essendo i punti riferiti sulla superficie terrestre e non sulla superficie di riferimento, risulta chiaro che le relazioni precedenti hanno dei limiti. Dobbiamo quindi considerare l’altezza h e perciò possiamo definire la posizione del punto in coordinate geocentriche rispetto alle coordinate geografiche e h mediante queste relazioni: x = ( N + h ) ⋅ cos ϕ ⋅ cos ω y = ( N + h ) ⋅ cos ϕ ⋅ senω z = N ⋅ 1 − e 2 + h ⋅ senϕ Grazie al teorema di Eulero è possibile definire anche il raggio di curvatura di una sezione 1 cos 2 a sen 2 a e per finire normale qualunque che forma con il meridiano che è = + Rα ρ N

(

2

)

(

[ (

)

) ]

a 1 − e2 possiamo definire il raggio di curvatura medio m = ρN = . 1 − e 2 ⋅ sen 2ϕ Definita in generale la geometria dell’ellissoide di rotazione, diventa quindi importante poter applicare queste formule all’ellissoide più prossimo alla superficie terrestre. Fino ad oggi sono state eseguite una ventina di prove per determinare i parametri ellissoidici, come quello stabilito nel 1984:

Nome ellissoide a e2 α WGS84 (1984) 6'378'137 m 1:298,3 6,673321·10–3 Con il passare del tempo c’è stata una ricerca sempre più raffinata per determinare quale fosse il migliore ellissoide che rappresentasse la forma della terra. Anche se l’approssimazione della terra è un ellissoide, facendo un confronto più specifico ci si rende conto come anche l’ultima determinazione dell’ellissoide WGS84 aderisca bene in alcune aree del pianeta, mentre in altre aree l’aderenza non è corretta benissimo. Per applicazioni o rilievi in scala globale l’ellissoide WGS84 è il migliore supporto, ma per le aree più circoscritte, come i Continenti, gli Stati o le Regioni, possono esistere ellissoidi (probabilmente orientati anche in modo diverso) che aderiscono meglio al geoide locale e che quindi costituiscono una superficie di riferimento più adatta. Questo ragionamento porta alla possibilità di avere, per un’area, più ellissoidi possibili, cioè uno globale, uno continentale e uno nazionale, ciascuno orientato in modo diverso dall’altro. È possibile perciò definire il Datum geodetico, cioè l’insieme dei parametri volti a definire le dimensioni e l’orientamento dell’ellissoide rispetto al geoide. Si sceglie un punto nel quale si impone che la normale all’ellissoide (cioè il versore ortogonale ad una superficie di riferimento, cioè all’ellissoide) coincida con la verticale (cioè il versore ortogonale alla superficie equipotenziale, cioè al geoide, in un punto); in pratica si assume nulla la deviazione della verticale in quel punto, intesa come l’angolo tra normale e verticale in quel punto. Si definisce prima la direzione della normale in un punto; l’ellissoide non è fissato nello spazio, quindi, per bloccare la posizione dell’ellissoide rispetto al geoide, occorre definire anche il valore di una direzione, dal punto origine ad un altro punto vicino, definendo il valore dell’azimut ellissoidico della direzione.

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LA GEODESIA

L’italia ha definito nel 1940 il Sistema Geodetico Nazionale, scegliendo come ellissoide di riferimento quello di Hayford: Nome ellissoide a e2 α Hayford (1909) 6'378'388 m 1:297,0 6,722670·10–3 Nel Sistema Nazionale le longitudini sono contate a partire dal meridiano fondamentale di Roma Monte Mario, con indicazione del verso (est e ovest) per evitare segni negativi. Se però il territorio è vasto, l’orientamento dell’ellissoide di riferimento su di un punto può determinare degli elevati scostamenti in altre parti del territorio. Per ridurre l’entità dello scostamento tra le due superfici, l’orientamento dell’ellissoide può essere effettuato considerando più punti del territorio, facendo si che in quei punti siano minime le deviazioni della verticale (ad esempio secondo il criterio dei minimi quadrati). In questo modo si ha una migliore distribuzione tra il geoide e l’ellissoide. Si sceglie poi un punto di riferimento sul quale si definisce la direzione della normale, definendo una deviazione nota e non più nulla come nel caso dell’orientamento su un singolo punto; un orientamento medio di questo tipo è stato utilizzato per definire il Sistema Geodetico Europeo per la necessità di avere una cartografia unificata per i paesi europei. Il punto di emanazione della rete europea, avente deviazione della verticale non nulla ma nota, è un vertice in Germania. Con lo sviluppo dei sistemi satellitari, il rilievo viene inteso in senso tridimensionale e questi sistemi globali sono detti sistemi globali geocentrici, in quanto l’origine della terna cartesiana con gli assi dell’ellissoide viene fatta coincidere con il baricentro terrestre. I parametri della terna cartesiana per il Sistema Geodetico sono: 1. l’origine nel baricentro terrestre; 2. l’asse z lungo l’asse di rotazione; 3. il piano xz coincidente con un piano meridiano di riferimento. Chi esegue un nuovo rilievo, quindi chi deve inserire nuovi punti, si deve basare sulle coordinate dei punti già noti nel Sistema Geodetico per ricavare le coordinate dei punti di nuova istituzione, i quali, di conseguenza, vengono inseriti nel Sistema stesso. In Italia l’ente preposto alla realizzazione e alla manutenzione migliorativa della rete trigonometrica è l’Istituto Geografico Militare IGM. 2.1.2.4

LE GEODETICHE: LE MISURE DI ANGOLI E LE DISTANZE SULLA SUPERFICIE DI RIFERIMENTO

Abbiamo detto che l’ellissoide di rotazione costituisce la superficie approssimata che consente un adattamento al geoide. Su questa superficie è possibile introdurre le coordinate geografiche (in relazione poi con le coordinate cartesiane) e si è definita la geometria definendo anche elementi come le sezioni normali. Un qualsiasi punto sulla superficie terrestre sarà posizionato sulla superficie di riferimento, quindi su questa 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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LA GEODESIA

superficie deve essere possibile eseguire le operazioni di rilievo come la misurazione degli angoli e delle distanze tra punti relativi al rilievo. Bisogna introdurre quindi il concetto di distanza e di angolo. Tra tutte le linee possibili che uniscono due punti A e B, appartenenti alla superficie di riferimento, indichiamo con distanza la linea più corta; questa linea prende il nome di linea geodetica. Le sue proprietà principali sono che la linea geodetica sia gobba e che si possano individuare le normali. Nella figura della pagina precedente si possono notare: 1. la sezione normale di A passante per B; 2. la sezione normale di B passante per A; Curva sulla superficie rappresentata dal sistema di 3. la geodetica tra A e B. equazioni in funzione di s. Sia F = ( x, y, z ) = 0 l’equazione di una superficie qualsiasi e consideriamo una curva sulla superficie. Consideriamo poi una curva sulla superficie che si può rappresentare dal sistema di equazioni parametriche x = x (s), y = y (s) e z = z (s). Il parametro s in questo caso rappresenta la lunghezza della linea a partire da un’origine scelta. Considerando la relazione F ( x, y, z , C1 , C 2 ) = 0 è possibile notare che ci sono due costanti. Occorre quindi definire le condizioni al contorno per ottenere l’equazione della geodetica. Teorema di Clairaut: in ogni punto di una geodetica su una superficie di rotazione è costante il prodotto del raggio del parallelo per il seno dell’azimut nel punto considerato, quindi r ⋅ senα = C1 . 2.1.2.4.1

GLI SCOSTAMENTI TRA LE SEZIONI NORMALI E LE GEODETICHE

Solitamente le operazioni di misura di angoli e distanze avvengono considerando (obbligatoriamente) le sezioni normali, mentre invece dovrebbero considerare le linee geodetiche. Se è vero che solitamente, considerando una superficie qualunque, sezioni normali e geodetiche tra due punti non coincidono, quanto valgono gli scostamenti tra queste grandezze? Possono essere trascurati? Consideriamo quindi le seguenti grandezze: 1. azimut di sezioni normali d di geodetiche; 2. lunghezze di archi di sezioni normali e di geodetiche Prima però è necessario introdurre la formula matematica che definisce l’equazione di una geodetica.

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LA GEODESIA

Per semplicità di calcolo ci poniamo in un sistema di riferimento definito come terna euleriana. Tale terna è costituita dall’origine nel punto O, l’asse z ortogonale alla superficie in O e con verso positivo entrante, l’asse x tangente al meridiano e l’asse y tangente al parallelo per O (tutti gli assi sono ortogonali tra loro). Consideriamo quindi la geodetica di cui si vuole definire l’espressione che si può rappresentare dal sistema di equazioni parametriche x = x(s) , y = y (s ) e z = z (s) , dove il parametro s, anche in questo caso, rappresenta la lunghezza della linea a partire da un’origine scelta. Sviluppando le equazioni si arriva alla seguente espressione: s 3 ⋅ cos a s 3 ⋅ sena s2 + ... y = s ⋅ senα − + ... z = + ... x = s ⋅ cos α − 6 ρRα 6 NRα 2 Rα dove ρ ed N sono rispettivamente il raggio del meridiano e il raggio della Gran Normale nel punto di origine della geodetica, Rα il raggio di curvatura della geodetica uscente dall’origine con azimut α, s lunghezza della geodetica a partire dall’origine. Tali equazioni prendono il nome di Sviluppi di Puiseux–Weingarten. Si può trattare in modo più completo gli scostamenti tra geodetiche e sezioni normali. Poniamoci quindi sempre in una terna euleriana e consideriamo due punti O e P sull’ellissoide, dove α e s sono rispettivamente l’azimut e la lunghezza della linea geodetica che unisce O a P, mentre A e σ sono rispettivamente l’azimut e la lunghezza della sezione normale di O che contiene P. Risulta semplice quindi intuire come le coordinate di P a partire da O, conoscendo l’azimut e la lunghezza della geodetica, siano calcolabili utilizzando gli Sviluppi di Puiseux–Weingarten. y L’angolo A invece è derivabile dalle formule di trigonometria e cioè tan A = P sostituendo a yP e xP xP gli Sviluppi di Puiseux–Weingarten. Questa relazione mette già in luce la differenza tra l’azimut della geodetica e quello della sezione normale. Nella teoria esiste una differenza sostanziale tra angoli ottenuti tra sezioni normali e angoli tra geodetiche, ma in realtà nelle applicazioni pratiche queste differenze si confondono con gli errori di misura e quindi sono del tutto trascurabili. 2.1.2.5

I TEOREMI DELLA GEODESIA OPERATIVA

Vengono definiti i teoremi della geodesia operativa: 1. fino a lunghezze di archi di una geodetica dell’ordine di 100 km; gli angoli misurati tra le sezioni normali dell’ellissoide possono essere considerati uguali agli angoli misurati tra le corrispondenti geodetiche; 2. la differenza di lunghezza tra un arco di una sezione normale e il corrispondente arco di una geodetica è sempre trascurabile per qualsiasi valore della lunghezza dell’arco. 2.1.2.5.1

LE QUOTE E LE DIFFERENZE DI QUOTA

Fino ad ora si è sempre considerato il problema di riferire la posizione di un punto sulla superficie terrestre alla superficie di riferimento (cioè al geoide, all’ellissoide, ecc); in realtà con questa operazione non si da la totalità delle caratteristiche geometriche del punto sulla superficie fisica, ma soltanto le caratteristiche planimetriche (sul piano della superficie di riferimento).

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Esiste infatti una terza grandezza (oltre alla latitudine e la longitudine) che completa la posizione del punto, tale grandezza prende il nome di quota. È ovvio il concetto di quota, ossia è ovvio indicare se un punto è più o meno alto di un altro punto. Per capire meglio questo concetto consideriamo un piano che unisce un punto A e un punto B ad una quota diversa rispetto al punto A; lasciamo cadere su questo piano inclinato alcune gocce d’acqua a metà tra A e B; se non c’è movimento delle gocce d’acqua (e quindi le gocce rimangono nella posizione dove era state versate) allora A e B sono alla stessa quota; bisogna poi considerare che la fisica ci dice che un fluido posto in un campo gravitazionale (cioè un fluido che ammette un potenziale) tende a muoversi verso le zone a potenziale maggiore, cioè verso le zone più basse; si può affermare quindi che: 1. se A e B hanno lo stesso potenziale (ossia sono appartenenti alla stessa superficie equipotenziale) sono alla stessa quota; 2. se A si trova ad un potenziale maggiore di B, allora A è più in basso di B. Dato che la quota è legata quindi al potenziale, Quota ortometrica, geoide e superfici equipotenziali. si può definire il numero geopotenziale che esprime la quota geopotenziale. Il potenziale di riferimento è quello del geoide, cioè la superficie equipotenziale del geoide è la superficie di riferimento per la quota. Nasce così il concetto di concetto di quota ortometrica (o geoidica) H, definita come la distanza del punto dalla superficie geoidica. Come per il concetto della quota ortometrica si può definire anche la quota ellissoidica h, solo che in questo caso la superficie di riferimento è l’ellissoide. Dato che l’ellissoide è una forma approssimata Quota ellissoidica. del geoide, allora possiamo anche pensare di passare dalla quote ellissoidiche alle quote ortometriche mediante l’ondulazione del geoide N. La relazione che lega le quote ortometriche alle quote ellissoidiche è h = H + N . 2.1.2.5.2

LE SUPERFICI DI RIFERIMENTO APPROSSIMATE

L’utilizzo dell’ellissoide di riferimento come superficie di riferimento è sempre necessaria o in alcuni casi è possibile utilizzare superfici di riferimento approssimate per sviluppare i calcoli di un rilievo? Attualmente esistono due superfici più semplici dell’ellissoide di riferimento: il piano e la sfera, o meglio il campo piano (o campo topografico) e il campo sferico (o campo geodetico). IL CAMPO PIANO (O CAMPO TOPOGRAFICO) Consideriamo un piano xy tangente all’ellissoide in un punto ad esempio O, l’origine. Sia la curva OP la geodetica sull’ellissoide e invece OP1 un segmento sul piano xy di lunghezza s come la geodetica. Il punto P1 avrà coordinate x P1 = s ⋅ cos α ,

y P1 = s ⋅ sin α e z = 0 . Dagli Sviluppi di Puiseux–Weingarten, una geodetica uscente dall’origine con azimut α e 10

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LA GEODESIA

lunghezza s avrà altre coordinate che indicheremo con x, y e z e la differenza tra le coordinate sarà indicata con ∆x, ∆y e ∆z. Nella tabella seguente possiamo vedere come cambia ∆x al variare della lunghezza della geodetica: s km 1 10 15 30 50 0,004 4 14 112 519 ∆x mm ∆x/s 0,004·10–6 0,4·10–6 0,9·10–6 3,7·10–6 10,4·10–6 in cui si possono vedere i valori differenti a seconda che io utilizzi la superficie ellissoidica o la superficie approssimata piana per fare i rilievi planimetrici. Dalla tabella si può osservare come fino a distanze di 15 km dall’origine la differenza tra le coordinate xp e yp del punto P1 sul piano tangente e quelle x e y del punto P sull’ellissoide è inferiore al valore di 10–6. La porzione dell’ellissoide entro il quale questa approssimazione è lecita si indica con il nome di campo piano o campo topografico. Questa approssimazione non va bene però per la quota; si può riportare infatti una tabella analoga alla precedente per la componente z ottenendo: s km 0,1 0,5 1 10 15 ∆z mm 0,8 20 79 7’892 17’757 in cui si possono vedere i valori differenti a seconda che io utilizzi la superficie ellissoidica o la superficie approssimata piana per fare i rilievi altimetrici. Quindi è possibile approssimare nel campo piano (o topografico) fino a 15 km per la planimetria e fino a 100 m per la quota. IL CAMPO SFERICO (O CAMPO GEODETICO) Esiste anche una superficie non così semplice come il piano, ma sempre più semplice dell’ellissoide e cioè la sfera. Consideriamo quindi una sfera di un certo raggio, tangente all’ellissoide nel punto di origine O; ad un certo azimut fissiamo un punto P1 sulla superficie della sfera formando con O l’arco OP1 che ha lunghezza s come quella dell’arco della geodetica OP. Proiettiamo il punto P1 sul piano xy e sull’asse z, ottenendo le due proiezioni P1’ e P1’’; possiamo scrivere quindi:

x s = OP1 '⋅ cos α y s = OP1 '⋅ sin α z s = P1 P1 ' = OP1 ' ' = CO − CP1 ' ' e la differenza tra le coordinate sarà indicata con ∆x, ∆y e ∆z. Come per il campo piano (o topografico) anche in questo caso analizziamo separatamente la planimetria e l’altimetria: s km 50 100 150 200 3,47 27,74 93,62 224,35 ∆x mm ∆x/s 0,07·10–6 0,28·10–6 0,62·10–6 1,13·10–6 in cui si possono vedere i valori differenti a seconda che io utilizzi la superficie ellissoidica o la superficie approssimata sferica per fare i rilievi planimetrici. s km 1 10 20 50 100 ∆z mm 0,3 26,6 106,3 664,3 2'657,2 in cui si possono vedere i valori differenti a seconda che io utilizzi la superficie ellissoidica o la superficie approssimata sferica per fare i rilievi altimetrici.

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LA GEODESIA

Come si può notare dalla tabella ancora precedente, a distanza di 100 km gli scostamenti sono minimi, mentre, per quanto riguarda l’aspetto altimetrico in base ai valori ottenuti, è ragionevole fissare i limiti di validità a 20 km di distanza dal punto di origine. Detto ciò è possibile fare la seguente considerazione: se per comodità sono stati riportati alcuni limiti di validità riguardanti l’aspetto planimetrico e altimetrico (come i valori delle tabelle), ciò non toglie all’operatore la possibilità di individuare e scegliere quale, tra le superfici di riferimento approssimate, sia quella migliore. Si può concludere definendo come campo topografico una superficie piana e come campo geodetico una superficie sferica, entrambi tangenti all’ellissoide nel punto di origine del rilievo; possiamo affermare che, per l’aspetto planimetrico entro un raggio di 15 km, è possibile approssimare l’ellissoide con un piano, utilizzando quindi il campo topografico; rimanendo nell’ambito planimetrico possiamo affermare che, quando l’area del rilievo è superiore ai 15 km e inferiore ai 100 km, il campo geodetico è la superficie di riferimento approssimata più adatta. Se invece ci riferiamo all’aspetto altimetrico, allora i limiti di validità sono di 100 m per il campo topografico e 20 km per il campo geodetico. Riportiamo i valori in una tabella: Rilievo planimetrico Rilievo altimetrico Campo topografico Raggio ≤ 15 km < 100 km Campo geodetico 15 km < Area < 100 km 100 m < x < 20 km Ellissoide di riferimento > 100 km > 20 km 2.1.2.6

I SISTEMI DI COORDINATE

È importante anche definire il sistema di coordinate di un punto considerato e considerare come due cose ben distinte il sistema di riferimento e il sistema di coordinate (sullo stesso sistema di riferimento cartesiano ortogonale, la posizione di un punto può essere espressa sia con la coppia ordinata x e y, sia con la coppia r e θ in coordinate polari). Una distinzione che esiste è quella delle coordinate che stanno sulla superficie (coordinate curvilinee). I sistemi di coordinate curvilinee sono: 1. i sistemi generali che considerano la posizione del punto sulla superficie di riferimento i quali vengono utilizzati per rilievi di grandi dimensioni; 2. i sistemi locali che si riferiscono a delle zone più ristrette. I sistemi locali più usati sono: 1. coordinate geodetiche polari; 2. coordinate geodetiche ortogonali. 2.1.2.6.1

LE COORDINATE GEODETICHE POLARI

Come si può vedere dalla figura, le coordinate del punto P vengono definite da due parametri s e α, dove s è la lunghezza del geodetica tra O e P e α è l’azimut della geodetica rispetto al meridiano. Questo sistema di coordinate però non consente di individuare la posizione assoluta dei punti sull’ellissoide. 2.1.2.6.2

LE COORDINATE GEODETICHE ORTOGONALI

Come si può vedere dalla figura, le coordinate del punto P vengono definite da due parametri x e y, dove x è l’arco del meridiano OP’ e y è la lunghezza della geodetica tra P e il meridiano passante per O.

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17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

LA TEORIA DELLA COMPENSAZIONE

2

LA TEORIA DELLA COMPENSAZIONE

2.1

IL TRATTAMENTO DELLE MISURE

Se devo calcolare quanto vale F = m ⋅ a conoscendo sia m che a, allora avrò un valore di F assoluto; se invece m ed a li devo misurare usando una bilancia di grande precisione avrò, ogni volta che faccio la misura, dei valori diversi. In questo caso si parla di fenomeni aleatori, dal risultato casuale e quindi non esattamente prevedibile. È possibile però fare delle considerazioni sui fenomeni aleatori: se lancio un dado si sa a priori che il risultato sarà un numero tra 1 e 6, senza privilegiare nessuno dei 6 possibili risultati; quindi anche i fenomeni aleatori possono essere trattati matematicamente e la disciplina che se ne occupa è la statistica. 2.1.1

GLI ERRORI DI MISURA

Quando si effettua una misura ci si aspetta di osservare una quantità l risultante dalla combinazione del valore vero L e di un errore e dovuto all’operazione di misura e cioè l = L + e . Gli errori possono essere divisi in: 1. errori grossolani: sono quegli errori che stravolgono completamente il risultato; sono dovuti a veri e propri sbagli dell’operatore o da disfunzioni dello strumento; 2. errori sistematici: si hanno quando si sposta sempre in una certa direzione il valore della misura; per esempio la misura di una lunghezza con un metro starato, diviso in 100 parti, ma lungo in realtà 99 cm, darà sempre misure più grandi del reale; 3. errori casuali: sono dovuti ad una serie di cause incontrollabili (ad esempio gli effetti dell’ambiente) che influiscono sulla misura introducendo un errore non eliminabile e non valutabile. Questi valori sono sempre presenti in tutte le misure. 2.2

LA COMPENSAZIONE DELLE MISURE

Si considera un insieme di punti da rilevare contemporaneamente come ad esempio una rete. È possibile che vengano però fatti degli errori e l’esecuzione di un numero sovrabbondante di misure ha essenzialmente lo scopo di: 1. ridurre l’effetto degli errori in quanto più numerose sono le osservazioni più gli errori tendono a compensarsi a vicenda; 2. consentire di controllare le misure fatte che permette di individuare l’errore; 3. permettere di valutare la precisione raggiunta nella determinazione delle coordinate. Si consideri una rete semplice costituita da tre punti dei quali due, A e B, sono noti in un certo sistema di riferimento e si pone il problema della determinazione della posizione del terzo punto P rispetto ad essi. Il rilievo può essere eseguito facendo stazione sui punti A e B e misurando i due soli angoli α e β: queste misure sono strettamente sufficienti a determinare le due coordinate piane del punto P. Se si volesse ad esempio misurare tutti e tre gli angoli α, β e γ, la stessa misura non risulterà pari ad un angolo piatto per la presenza di inevitabili errori di misura. La quantità di cui la somma degli angoli si discosta dal valore teorico, w = α + β + γ – π, è detta errore di chiusura del triangolo. Le incognite del problema sono due, cioè x e y del punto P e sono sufficienti due misure per calcolarle: si possono utilizzare i due angoli α e β o gli angoli α e γ (intersezione laterale) o le due distanze (intersezione in avanti con le distanze) o un angolo e una distanza α e b oppure a e β (rilievo per polari). 17363 - ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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LA TEORIA DELLA COMPENSAZIONE

Le coordinate calcolate con i diversi metodi ed elementi risulteranno ovviamente diverse tra loro a causa degli errori di misura. Si pone quindi il problema di decidere quali sono i valori più plausibili delle coordinate sulla base di tutte le misure effettuate. Interessa quindi un procedimento di calcolo che consenta di utilizzare contemporaneamente tutte le misure e questo procedimento prende il nome di compensazione delle osservazioni. Compensare significa determinare le correzioni da dare alle misure; con questa procedura si passa ~ ~ dal valore misurato l della grandezza osservata L, al valore compensato lˆ = l + v che è la stima del valore della grandezza misurata. Quindi ai valori misurati devono essere apportate le correzioni vα , v β , vγ , v a , v b , tali che la somma dei valori compensati degli angoli risulti π e che contemporaneamente siano tali che vα , v β , v a , v b ~ (a~ + v a ) (b + v b ) soddisfino anche il teorema dei seni, cioè . = ~ sin(α~ + v ) sin( β + v ) a

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b

17363 - ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

3

IL RILIEVO

Per determinare una zona di terreno occorre determinare la posizione di un numero sufficiente di punti opportunamente distribuiti nella zona stessa, in modo che tali punti possano dare una rappresentazione adeguata ai fini che il rilievo si prefigge. In generale il rilievo viene diviso in due parti, cioè il rilievo planimetrico e il rilievo altimetrico. Questi due tipi di rilievo implicano diversi procedimenti e modi delle misure e pertanto si possono trattare separatamente. Questa impostazione “classica” non è più valida nel rilievo con ricevitori GPS che determinano le relazioni di posizione in uno spazio tridimensionale. 3.1

IL RILIEVO PLANIMETRICO

3.1.1

LE RETI TRIGONOMETRICHE

La superficie di riferimento, se il rilievo è contenuto nell’ambito del cosiddetto campo topografico (o campo piano), cioè in una zona di circa 15 km di raggio, può essere fornita dal piano tangente all’ellissoide nel punto centrale della zona da rilevare. Se invece siamo nel campo geodetico (o campo sferico), cioè in una zona approssimativamente di 100 km di raggio, l’ipotesi piana non è più adeguata ai limiti di precisione che vogliamo conseguire e allora dovremo assumere come superficie di riferimento la sfera locale, cioè quella sfera che ha come raggio di curvatura il raggio medio e cioè la radice del prodotto dei due raggi di curvatura principali dell’ellissoide calcolati nel punto centrale della zona, quindi R = ρ ⋅ N . Per rilievi di maggiore estensione la superficie di riferimento è evidentemente l’ellissoide internazionale. Vediamo come si procede per eseguire un rilievo planimetrico. Innanzitutto si segue il criterio di passare dal generale al particolare. In altre parole si stabilisce la posizione di un numero di punti e questi punti, detti punti del I ordine, servono di appoggio per la determinazione di altri punti, i quali, per il fatto di essere appoggiati ad altri punti già addetti da un certo errore, avranno già un errore superiore, quindi sono chiamati punti del II ordine. Successivamente ci si appoggia a questi punti per determinare una serie di punti del III ordine e così via, fino ad avere una certa densità di punti sufficiente perché ci si possa appoggiare direttamente ad essi per effettuare finalmente il rilievo di dettaglio. Generalmente quasi tutti i rilievi hanno come fine ultima la redazione di una carta e la precisione dei punti di dettaglio del rilievo deve essere sempre proporzionata alla scala della carta. In Italia sono due i documenti cartografici ufficiali, cioè la carta dell’Istituto Geografico Militare IGM, la cui scala massima è 1:25'000, e le mappe catastali, generalmente in scala 1:2'000. Vediamo dunque con quale procedimento si determinano i punti di I ordine ai quali appoggiare successivamente tutti gli altri punti. Tale procedimento è detto triangolazione: esso determina la posizione di un certo numero di punti, deve essere nota la lunghezza di almeno un lato della rete e deve essere effettuata la misura di un numero sufficiente di angoli. Si ricorre allo schema della triangolazione perché con esso si riesce ad evitare il più possibile la misura di distanze, mentre si sviluppano al massimo le misure angolari; le misure angolari, infatti, richiedono un impegno di lavoro molto minore rispetto alle misure di distanza, le quali poi diventano praticamente impossibili quando le distanze in gioco sono elevate, specialmente se il

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL RILIEVO

terreno è accidentato; tutto questo è vero se ci si riferisce agli apparati in uso all’epoca dell’esecuzione della rete trigonometrica italiana. Oggi il discorso va modificato radicalmente, essendo ormai diventati di uso comune gli apparati elettronici per la misura delle distanze che permettono misure notevolmente rapide e precise anche a grandi distanze; la trilaterazione può quindi vantaggiosamente sostituire la triangolazione. Meglio ancora sono le reti miste, in cui si misurano sia angoli che distanze. Ora comunque consideriamo le triangolazioni. La triangolazione, come la trilaterazione, non serve solo per disegnare le carte, ma anche per il tracciamento di gallerie e strade, il controllo degli spostamenti elastici delle dighe e dei porti. Facciamo ora riferimento allo schema adottato dall’IGM solo per comodità. Tale ente ha stabilito una rete di triangoli di 4 ordini: quelli del I ordine hanno vertici posti ad una distanza media di 50 ÷ 60 km l’uno dall’altro. Successivamente è stata infittita la rete di triangolazione del I ordine costituendo una di II ordine mediante l’individuazione di altri vertici posti prossimamente nel baricentro dei triangoli della rete di I ordine e collegati sia ai tre vertici del rispettivo triangolo sia ai vertici contigui del II ordine. Infine si sono ottenuti raffittimenti della rete mediante vertici del III ordine e del IV ordine (appoggiati ai vertici del I e del II ordine. Alla fine di queste operazioni, l’IGM ha avuto a disposizione un numero di vertici con una densità tale per cui le distanze reciproche tra vertici di qualsiasi ordine sono prossimamente dell’ordine di 5 km e tale densità è sufficiente per una scala 1:25'000. Il Catasto, per fare le mappe a 1:2'000, ha bisogno di una densità maggiore di punti di appoggio e di una precisione maggiore di questi. Quindi il Catasto ha ignorato i vertici del IV ordine dell’IGM e si è appoggiato soltanto ai vertici del I, II e III ordine della triangolazione dell’IGM e li ha raffittiti ulteriormente con precisione opportuna, fino ad arrivare ad una distanza media dei vertici di 2 km. Le fasi successive della triangolazione sono: 1. il progetto della rete; 2. l’individuazione e la scelta dei vertici; 3. la segnalizzazione dei vertici; 4. l’esecuzione delle misure lineari e angolari; 5. il calcolo e la compensazione della rete. 3.1.1.1

IL PROGETTO DELLA RETE

Per quanto riguarda il primo punto, c’è un criterio che nasce dalla teoria degli errori e che ci consente di ottimizzare il problema, cioè di individuare la conformazione geometrica che rende minimo l’errore sulle grandezza da determinare. Supponiamo ad esempio di avere un triangolo di cui abbiamo misurato il lato c ed i tre angoli α, β e γ. Vogliamo ricavare attraverso questi dati il valore del lato a. Per il teorema dei seni avremo c a c ⋅ sin α = ⇒a= . Proponiamoci di determinare la propagazione dell’errore sin γ sin α sin γ commesso nelle misure angolari, supponendo c privo di errore. L’errore su a sarà quindi dovuto solo agli errori di misura di α e γ. Applicando la legge di propagazione degli errori avremo

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17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO 2

2

σ

2

σ

2

a

 c ⋅ sin α   c ⋅ cos α  2  σ α +  =  ⋅ cos γ  σ 2 γ , 2  sin γ   sin γ  2

lo

a

 sin α ⋅ cos γ  cos α  2 = a ⋅  σ α +  a ⋅  sin α   sin α ⋅ sin γ stesso valore e cioè

ma

se

c a = sin γ sin α

allora

si

ha

che

2

 2  σ γ e semplificando supponendo che σ α e σ γ abbiano  che tutte e due valgano σ, avremo

2

2

 cos α  2  cos γ  2 2 2  σ ⇒ σ 2 a = (a ⋅ cot α ) σ 2 + (a ⋅ cot γ ) σ 2 ⇒ σ a = a ⋅  σ +  a ⋅  sin α   sin γ  ⇒ σ 2 a = a 2 ⋅ cot 2 α ⋅ σ 2 + a 2 ⋅ cot 2 γ ⋅ σ 2 ⇒ σ 2 a = a 2 ⋅ σ 2 cot 2 α + cot 2 γ ⇒ e analogamente 2

(

)

(

)

⇒ σ a = a 2 ⋅ σ 2 cot 2 α + cot 2 γ ⇒ σ a = a ⋅ σ cot 2 α + cot 2 γ per il lato b σ b = b ⋅ σ cot 2 β + cot 2 γ . Dalle relazioni precedenti risulta subito che l’errore su un lato è proporzionale alla lunghezza del lato stesso e dipende dagli errori sugli angoli, ma soprattutto è interessante rilevare che esso dipende dalla cotangente dei due angoli α e γ o β e γ, e noi sappiamo che la cotangente di un angolo piccolo è molto grande e se l’angolo che tendo a 0 essa tende all’∞. Quindi se vogliamo che l’influenza degli errori commessi negli angoli sia piccola, dobbiamo fare si che i triangoli non presentino degli angoli troppo piccoli; in definitiva la conformazione dei triangoli più adatta a limitare gli errori è quella del triangolo equilatero. Una volta definita l’ubicazione dei vertici e scelti gli strumenti di misura da impiegare, occorre redigere un progetto esecutivo delle misure da compiere. 3.1.1.2

L’INDIVIDUAZIONE E LA SCELTA DEI VERTICI

Per quanto riguarda il secondo punto, cioè la scelta dei vertici della rete di triangolazione, dobbiamo attenerci ad alcuni criteri, ad esempio i vertici devono essere visibili e quindi situati in punti elevati naturalmente, se siamo in zone di pianura. La scelta di manufatti sopraelevati (torri, campanili) è necessaria, ma presenta degli inconvenienti, quali il pericolo che questi vadano perduti per avvenimenti di carattere eccezionale come guerre o terremoti. 3.1.1.3

LA SEGNALIZZAZIONE DEI VERTICI

Il terzo punto consiste nel segnalizzare i vertici scelti nella fase precedente, cioè renderli concretamente visibili e ritrovabili in qualunque momento. Se ad esempio il vertice non cade su un manufatto, ma sul terreno, occorre lasciare un certo “testimone” del nostro vertice. Si deve inoltre prevedere la possibilità di un facile ripristino del vertice stesso nel caso che questo vada distrutto. Per fare questo in genere si procede in questo modo: 1. si fa uno scavo nel terreno e si getta una fondazione in calcestruzzo nella quale si annega in cilindretto metallico sulla cui faccia circolare superiore sono riportate due tracce ortogonali, il cui punto di incontro individua il vertice trigonometrico; questo è il segnale di fondo; 2. ora sul getto di fondazione si mette uno strato di ghiaia sul quale si getta una nuova soletta di fondazione in calcestruzzo con un piastrino, nel quale si annega un secondo cilindretto fatto come il precedente sulla verticale passante per il centro del primo cilindretto; questo individua il vero vertice trigonometrico alla superficie del terreno. Il ripristino di tali punti del I e del II ordine, nel caso che essi cadano distrutti, è assicurato dal segnale di fondo che difficilmente viene rimosso. 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL RILIEVO

Se comunque andasse perduto anche il segnale di fondo, per i vertici del I e del II ordine, l’IGM ha sistemato nei pressi di questi vertici dei segnali ausiliari legati al principale da misure dirette di distanza che permettono il ripristino di tale vertice. Se il vertice è costituito da un manufatto, il segnale sarà costituito da una linea verticale bene individuabile appartenente al manufatto stesso. Qualora invece il vertice sia posto sul terreno, è evidente che il piastrino non è assolutamente collimabile da lunghe distanze e quindi occorre mettere su di esso una mira di forma opportuna che consenta una facile collimazione da lunghe distanze. Esistono quindi mire fisse e mire mobili. Le mire fisse usate dall’IGM consistono in tralicci metallici alla cui sommità sono fissate lamiere dipinte in bianco e nero e disposte a croce di S. Andrea. Dove non siano predisposte mire fisse si può ricorrere a una mira mobile costituita da una piramide a base quadrata, verniciata in bianco e nero, che deve essere posta in opera con l’asse verticale e passante per il vertice. Questo tipo di mira è però caratterizzato da un notevole errore dovuto alla differente illuminazione delle facce. Tornando allo schema della triangolazione è evidente che non sono sufficienti le sole misure angolari, ma occorre anche misurare di almeno un lato della rete per poterne determinare le dimensioni. Con gli strumenti attualmente disponibili è possibile in una rete misurare sia gli angoli che le distanze. Tuttavia rimane ancora problematica la misura delle distanze con apparati elettronici quando le distanze in gioco sono dell’ordine di 50 ÷ 60 km. Quindi in definitiva avremo delle reti miste, cioè di triangolazioni e trilaterazioni, nelle quali si misureranno il maggior numero possibile di angoli e di lati. 3.1.2

LA MISURA DEGLI ANGOLI

Passiamo ora ad esaminare i problemi relativi alla misura degli angoli in una triangolazione. A questo scopo osserviamo che gli errori accidentali nella misura degli angoli orizzontali sono sostanzialmente: 1. errori accidentali di natura strumentale (errori di collimazione ed errore di lettura dei cerchi); 2. errori accidentali di centramento (dello strumento sul punto di stazione). L’influenza degli errori di natura strumentale non dipende evidentemente dalla distanza, mentre quella degli errori di centramento è inversamente proporzionale alla distanza di collimazione. Per renderci conto di questo fatto supponiamo per esempio di commettere un errore accidentale di centramento di eccentricità e = 5 mm nella direzione più sfavorevole, cioè normale (perpendicolare) alla linea di collimazione. L’errore nella misura di un qualsiasi angolo orizzontale dalla linea di collimazione vale, ponendo tg ε ≈ ε, ε = e / D. Ad esempio se D = 50 m si ottiene ε = 20’’, mentre se D = 5 km risulta ε = 0.2’’. Nel primo caso sarebbe inutile usare un teodolite al secondo perché l’errore dovuto all’eccentricità del segnale è superiore all’approssimazione dello strumento, nel senso che non c’è bisogno di usare uno strumento di così alta precisione per effettuare la misurazione. Nel secondo caso invece, in cui le distanze sono sempre dell’ordine dei km, è evidente la necessità di utilizzare un teodolite, cioè uno strumento che assicuri un’elevata precisione nella lettura ai cerchi dell’ordine almeno del secondo. L’IGM ha fissato delle norme precise per la triangolazione fondamentale italiana. Queste norme stabiliscono che, per i vertici del I e del II ordine, si impieghino dei teodoliti della categoria del Wild T3. Con questo si vuol dire che si devono utilizzare degli strumenti che abbiano le caratteristiche e che forniscano precisioni paragonabili a quelle del Wild modello T3, cioè con micrometro ottico e con dispositivi/sistemi ottici per riportare le due zone diametralmente 18

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IL RILIEVO

opposte del cerchio graduato in coincidenza l’una con l’altra. Sempre l’IGM prescrive che, per i vertici di III e IV ordine, si debba impiegare un teodolite che presenti le caratteristiche di precisione del tipo Wild T2, che è un teodolite immediatamente inferiore come categoria al Wild T3 nella scala dei goniometri di precisione. Dovremo eseguire le letture agli indici opposti per eliminare l’influenza dell’eccentricità dell’alidada; questo negli strumenti moderni si realizza automaticamente perché sono dotati di sistemi ottici che riportano le due osservazioni diametralmente opposte del cerchio graduato. Le letture non vengono fatte in una sola posizione del cerchio orizzontale, ma reiterate volte in varie posizioni sulla semicirconferenza per attenuare l’influenza, sulla misura dell’angolo, degli errori di graduazione del cerchio. Se facessimo una misura dell’angolo in varie posizione del cerchio e assumessimo come valore dell’angolo stesso la media dei valori reiterati, questa media risentirebbe meno degli errori di graduazione e tanto meno ne risentirebbe quanto più elevato è il numero di reiterazioni che noi facciamo. Le norme dell’IGM stabiliscono il numero di reiterazioni in questo modo: 1. per i vertici della rete di sviluppo 36 reiterazioni: questo significa che sono necessarie 36 letture con il cerchio verticale a destra e 36 letture con il cerchio verticale a sinistra per ogni direzione; 2. per i vertici del I ordine 24 reiterazioni; 3. per i vertici del II ordine 12 reiterazioni; 4. per i vertici del III ordine 9 reiterazioni; 5. per i vertici del IV ordine 3 reiterazioni. Esaminiamo ora altre due cause che possono indurre ad errori sistematici 1 nella misura di un angolo e che sono di carattere ambientale. Questi due errori si indicano generalmente con il nome di errore di fase ed errore di rifrazione laterale. Consideriamo ora l’errore di fase. Immaginiamo di collimare ad un segnale reale che potrà essere un traliccio, un campanile, ecc. Se ci riferiamo al campanile, la collimazione si fa portando il filo verticale del reticolo del nostro strumento a coincidere con l’asse di simmetria del campanile. Perché la collimazione avvenga nelle migliori condizioni occorre che il segnale sia illuminato uniformemente; nel caso contrario l’operatore, istintivamente, tende a dare un peso maggiore alla parte illuminata rispetto alla parte in ombra e quindi tende a spostare la collimazione verso la parte illuminata. È evidente quindi che eseguendo le misure ad una determinata ora, ed in particolari condizioni di illuminazione, si ha un errore sistematico sulla misura dell’angolo. Il secondo errore di cui bisogna tener conto nelle misure angolari di alta precisione è la rifrazione laterale. La linea di mira che va da un punto A ad un punto B non coincide con il segmento di retta AB a causa della rifrazione atmosferica. La linea di collimazione attraversa strati d’aria a diversa densità e quindi a diverso indice di rifrazione, e di conseguenza subisce una serie di rifrazioni successive. Si forma perciò una linea curva che non coincide affatto con la congiungente rettilinea dei due punti. Per eliminare o almeno ridurre al minimo l’influenza della rifrazione laterale, che provoca un errore sistematico nella misura dell’angolo, si dovrà cercare di eseguire le misure in condizioni di cielo coperto, in cui l’effetto di rifrazione laterale sarà senz’altro minore.

1

Si hanno quando si sposta sempre in una certa direzione il valore della misura; per esempio la misura di una lunghezza con un metro starato, diviso in 100 parti, ma lungo in realtà 99 cm, darà sempre misure più grandi del reale.

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL RILIEVO

3.1.2.1

IL METODO OPERATIVO PER LA MISURA DI ANGOLI: IL METODO A STRATI

Facendo stazione in S, si collima al primo punto P1 e si legge; poi si collimano successivamente tutti i punti del giro d’orizzonte P2, P3, …, Pr e si eseguono le relative letture. Terminata la lettura sull’ultimo punto Pr, si inverte il cannocchiale, si ruota di 180°, si ricollima a Pr e si legge; si torna quindi indietro, ricollimando tutti i punti precedenti fino a P1. A questo punto abbiamo esaurito il primo strato. Se si vuole reiterare n volte, si eseguono con le stesse modalità n strati e si ottengono n valori delle direzioni relative ai vertici del giro d’orizzonte. Questo metodo è più rapido dei precedenti però è meno preciso perché ovviamente, durante tutto uno strato, non si può intervenire per correggere l’assetto dello strumento per cui, se questo va fuori rettifica (e succede abbastanza facilmente perché per terminare uno strato occorre molto tempo se le direzioni sono molte) si deve interrompere e ricominciare da capo. In conclusione i primi due metodi saranno usati per i vertici di I e II ordine, mentre il metodo degli strati sarà riservato ai vertici di III e IV ordine, soprattutto quando non è troppo elevato il numero dei punti del giro d’orizzonte. C’è anche da osservare che, con il metodo degli strati, i vertici devono essere sempre tutti visibili da S e questo sarebbe comunque problematico per i vertici delle reti di I e II ordine, mentre lo è assai meno per quelli delle reti inferiori, dove le distanze in gioco sono sensibilmente più corte. 3.1.3

LE TRIANGOLAZIONI DI CARATTERE TECNICO

Finora si è parlato delle triangolazioni con particolare riferimento alle reti dell’IGM e del Catasto, cioè a grandi reti di triangolazioni che coprono praticamente tutto il territorio nazionale. Quando si è alle prese con una zona di terreno non così vasta, ma comunque abbastanza estesa perché non possa essere rilevata mediante una poligonale, occorre senz’altro fare una triangolazione di appoggio. Infatti una poligonale non può svilupparsi con sufficiente precisione per distanze superiori ai 2 km. In queste triangolazioni di carattere tecnico valgono i criteri che abbiamo già visto per l’esecuzione delle reti nazionali di triangolazioni. È molto importante ricordare che ciò che condiziona la precisione dei punti di appoggio è la scala della carta. Tanto più la scala della carta che si vuol costruire è grande, tanto maggiore deve essere la precisione dei punti di appoggio. Si era detto che l’eccentricità accidentale dello strumento sul punto di stazione e del segnale sul punto a cui si collima avevano scarsa influenza sugli errori angolari quando si consideravano molto grandi le distanze di collimazione2; nel caso di piccole reti di triangolazione per scopi speciali in cui i lati abbiano una lunghezza dell’ordine del km il discorso evidentemente non vale più. In tal caso ci dobbiamo quindi preoccupare di un preciso centramento dello strumento sul punto di stazione e del segnale sul punto a cui si collima. Al fine di realizzare un preciso centramento dei segnali e dello strumento sui punti non si può più ricorrere ai metodi tradizionali di centramento (ad esempio il filo a piombo), ma bisogna ricorrere ai sistemi di centramento forzato. Questi sistemi sono numerosi, ma ne ricordiamo uno: consiste in un cilindro cavo che viene annegato nel piastrino che materializza il vertice; tale cilindro è destinato ad accogliere una sfera calibrata con cui terminano sia l’asse generale dello strumento sia l’asse dei segnali. In questo modo abbiamo la possibilità di un centramento dello 2

L’influenza degli errori di natura strumentale non dipende evidentemente dalla distanza, mentre quella degli errori di centramento è inversamente proporzionale alla distanza di collimazione. 20

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

strumento sui punti di stazione e dei segnali sui punti a cui si collima con un errore dell’ordine di qualche centesimo di mm: tale errore non produce alcun effetto sensibile sulla misura degli angoli orizzontali, anche a piccole distanze di collimazione. 3.1.4

I METODI DI RIATTACCO

Prima di parlare in maniera dettagliata dei metodi di riattacco, conviene richiamare la successione delle operazioni che si devono compiere per un rilievo planimetrico. Consideriamo una certa rete di triangolazione che sia già stata calcolata; di tutti i vertici della rete conosciamo le coordinate (geografiche e gaussiane nel caso di vertici dell’IGM, geodetiche ortogonali e gaussiane nel caso di vertici del Catasto). Procediamo ora al rilievo di dettaglio della zona che ci interessa. Già è stato detto che la densità dei punti di appoggio e la loro precisione sono funzione della scala della carta; in altre parole le triangolazioni del I, II, III e IV ordine dell’IGM hanno la precisione e la densità sufficiente perché si possa fare il rilievo di dettaglio della scala 1:25'000. Se invece il nostro scopo è quello di effettuare un rilievo in scala maggiore, evidentemente aumenta la densità dei punti di appoggio necessari e la loro precisione. Occorre quindi procedere ad un raffittimento dei vertici della rete e questo raffittimento si attua mediante i metodi di riattacco: partendo dalla posizione considerata priva di errore dei vertici della triangolazione, si determina (con i procedimenti dell’intersezione in avanti, laterale e indietro) la posizione di altri punti che costituiscono un primo raffittimento della nostra triangolazione. Un raffittimento di questo genere può essere sufficiente per costituire l’appoggio per il rilievo di dettaglio relativo alla costruzione di una carta in scala 1:10'000; se invece lo scopo è quello di redigere delle carte a scala maggiore si ricorre ad un altro metodo: tra i vertici si fanno correre delle poligonali. Passiamo ora ad esaminare i metodi di riattacco. Tutte le volte che dobbiamo determinare la posizione di un punto rispetto ad altri noti dobbiamo procurarci le coordinate dei punti di appoggio attraverso le monografie dell’IGM o del Catasto. Nelle operazioni di riattacco è opportuno lavorare con le coordinate cartesiane piane. Se abbiamo come punti d’appoggio dei vertici del Catasto, di questi abbiamo le coordinate geodetiche ortogonali, che possiamo considerare come coordinate cartesiane piane se la zona è contenuta nel campo topografico. Se invece i punti di appoggio sono vertici dell’IGM abbiamo a disposizione le coordinate geografiche; allora facciamo una trasformazione di coordinate dalle geografiche alle geodetiche ortogonali con le formule di trasformazione viste all’inizio; le geodetiche ortogonali possono poi essere considerate come cartesiane piane. Poiché i vertici sia dell’IGM che del Catasto sono individuati anche dalle coordinate gaussiane, è possibile utilizzare anche queste coordinate che sono cartesiane piane. Per quanto riguarda la scelta tra i vari metodi di riattacco (intersezione in avanti, laterale, ecc), questa dipende dalle condizioni morfologiche del terreno, dalla facilità di accesso o di stazione sui vertici. Vediamo dunque questi vari metodi, supponendo di lavorare con le coordinate gaussiane. 3.1.4.1

L’INTERSEZIONE IN AVANTI

Facendo stazione con il teodolite sui punti noti A (xA, yA) e B (xB, yB) e si vuole determinare la posizione del punto incognito P (xp, yp) x P = x A + b ⋅ sin θ AP e y P = y A + b ⋅ cos θ AP per mezzo delle misure degli angoli α e β. Si deve impiegare un teodolite e non un tacheometro perché le distanze sono sempre dell’ordine dei km. La distanza c è nota perché può essere determinata per mezzo delle coordinate note dei punti A e B grazie al teorema di Pitagora c = ( x B − x A ) 2 + ( y B − y A ) 2 , oppure secondo la 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL RILIEVO

x − xA Cateto opposto a θ AB , oppure secondo la formula ⇒c= B sin θ AB sin θ AB y − yA Cateto adiacente a θ AB . c= ⇒c= B cos θ AB cos θ AB Le due misure sono in numero strettamente sufficiente a determinare le incognite e non abbiamo quindi misure sovrabbondanti. Una volta eseguite le misure abbiamo a disposizione gli elementi per risolvere il nostro problema, il quale è un problema di trigonometria piana perché lavoriamo sul piano della rappresentazione di b c b c c ⋅ sin β = ⇒ = ⇒b= Gauss. Avremo perciò e sapendo che sin β sin[180 − (α + β )] sin β sin γ sin γ θ AP = θ AB − α possiamo calcolare le coordinate di P x P = x A + b ⋅ sin θ AP e y P = y A + b ⋅ cos θ AP . Lo stesso calcolo può essere fatto usando il lato a invece del lato b e il risultato deve essere uguale; se i risultati sono differenti significa che abbiamo commesso degli errori di calcolo ed è quindi utile eseguire il calcolo seguendo le due vie, ma solamente per mettere in luce eventuali errori di calcolo. Per finire dobbiamo fare un importante osservazione. Se, come abbiamo detto, supponiamo di lavorare con le coordinate gaussiane, dobbiamo tenere presente che: 1. gli angoli misurati sulla superficie fisica sono angoli tra sezioni normali; 2. questi angoli possono essere considerati come angoli tra geodetiche; 3. questi angoli a loro volta, essendo la proiezione di Gauss, sono uguali agli angoli tra le trasformate piane delle geodetiche. In altre parole gli angoli misurati α e β appartengono ad un triangolo piano a lati curvilinei. Quindi per la risoluzione si procede in questo modo: 1. si risolve in prima approssimazione il triangolo delle corde, considerando gli angoli misurati come angoli tra le corde (si calcolano cioè, nel modo già visto, le coordinate xp e yp che sono da considerarsi come coordinate di prima approssimazione); 2. possiamo quindi calcolare le riduzioni alle corde εAP, εAB, εBA e εBP in funzione delle coordinate note di A e B e delle coordinate approssimate di P ed infine apportare queste riduzioni agli angoli α e β misurati, ottenendo gli effettivi angoli relativi al triangolo delle corde; 3. risolviamo in seconda approssimazione il triangolo delle corde, sempre sul piano, ed otteniamo le coordinate gaussiane definitive del punto P. L’utilizzo delle coordinate gaussiane per la risoluzione di questi problemi ci consente di prescindere da qualsiasi considerazione sull’estensione della zona da rilevare; cioè non ci sono ipotesi da formulare intorno al campo topografico o al campo geodetico, ma c’è da fare semplicemente un calcolo in prima e in seconda approssimazione; l’utilizzo delle coordinate gaussiane è quindi vantaggiosa nei confronti delle geodetiche ortogonali che possono essere considerate come cartesiane piane solo all’interno del campo topografico, per cui se il problema di riattacco eccede da tale campo dobbiamo risolvere i triangoli sulla sfera.

formula

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c=

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

3.1.4.2

L’INTERSEZIONE LATERALE

Il problema è sostanzialmente identico al precedente; l’unica differenza è che, invece di fare stazione sui due punti noti A e B, si fa stazione su un punto noto, per esempio A, e sul punto incognito P e il problema si risolve in maniera del tutto analoga al precedente.

3.1.4.3

L’INTERSEZIONE INDIETRO

Si realizza facendo stazione con il teodolite nel punto incognito P di cui si vuole determinare x P = x A + d ⋅ sin θ AP e y P = y A + d ⋅ cos θ AP e misurando i due angoli α e β definiti dalle tre direzioni che dal punto P vanno ai tre vertici noti A, B e C. Questo metodo presenta dei vantaggi rispetto ai due precedenti: innanzitutto si fa stazione su un solo punto; in secondo luogo si fa stazione sul punto incognito che è un punto generalmente scelto da noi e non sui punti noti (campanile, ecc) sui quali molto spesso è difficile fare stazione. Come inconveniente vi è solo la necessità di avere tre punti noti invece di due, ma questo non rappresenta un problema. Prima di vedere come si risolve questa intersezione è opportuno mettere in evidenza un caso particolare in cui il problema risulta indeterminato: se la posizione del punto P rispetto ai tre punti noti deve essere individuata dai due angoli α e β, è necessario che il punto P non appartenga alla circonferenza definita dai tre punti noti, perché in tal caso qualsiasi punto P appartenente alla circonferenza vedrebbe i tre punti noti sotto gli stessi angoli α e β; bisogna evitare anche conformazioni prossime a quella indeterminata. Innanzitutto conoscendo θAB e θBC si può ricavare γ = 180 − θ AB + θ BC . x − x B yC − y B x − xA yB − y A Inoltre a = B e b= C = . = sin θ AB cos θ AB sin θ AB cos θ AB A questo punto è necessario determinare gli angoli φ e ψ, quindi dobbiamo scrivere due equazioni nelle due incognite φ e ψ. La prima è α + β + γ + ϕ + ψ = 360° e la seconda equazione si ottiene ricavando, con il teorema dei seni, il c a a ⋅ sin ϕ lato c dai due triangoli = ⇒c= e sin ϕ sin α sin α c b b ⋅ sinψ = ⇒c= . Uguagliando le due espressioni ottengo la seconda equazione sinψ sin β sin β sin ϕ b sin α a ⋅ sin ϕ b ⋅ sinψ = ⇒ = ⋅ = K , dove K è una quantità nota. sin α sin β sinψ a sin β

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL RILIEVO

Per risolvere il sistema scriviamo la prima equazione in questa forma α + β + γ + ϕ + ψ 360° ϕ + ψ α + β + γ α + β + γ + ϕ + ψ = 360° ⇒ = ⇒ + = 180° ⇒ 2 2 2 2 ϕ +ψ α + β +γ ϕ +ψ ⇒ = 180° − =M ⇒ =M 2 2 2 Applichiamo alla seconda equazione la regola del comporre e dello scomporre sin ϕ − sinψ K − 1 e con la seconda formula di Prostaferesi si ottiene = sin ϕ + sinψ K + 1 ϕ +ψ ϕ −ψ ϕ +ψ ϕ −ψ ϕ −ψ ϕ +ψ ⋅ sin sin sin cos sin 2 ⋅ cos − − − K K K 1 1 1 2 ⇒ 2 = 2 ⋅ 2 = 2 2 = ⇒ ⇒ ⋅ ϕ +ψ ϕ −ψ K + 1 ϕ +ψ ϕ −ψ K + 1 ϕ −ψ K + 1 ϕ +ψ ⋅ cos cos cos sin cos 2 ⋅ sin 2 2 2 2 2 2 ϕ −ψ K − 1 ϕ +ψ ϕ −ψ K − 1 ϕ −ψ  K −1  ⇒ tan = ⋅ tan ⇒ tan = ⋅ tan M ⇒ = arctan ⋅ tan M  = N ⇒ 2 2 2 2 K +1 K +1  K +1  ϕ −ψ ⇒ =N 2 Quindi il nostro sistema si riduce a ϕ + ψ ϕ = 2 M − ψ /  2 = M / /   ⇒  2M − ψ − ψ ⇒  2 M 2ψ ⇒ ⇒ ⇒  =N − =N M − ψ = N − ψ = N − M  ϕ − ψ = N  2 2  2  2 ϕ = 2 M − (M − N ) ϕ = 2 M − M + N ϕ = M + N ⇒ ⇒ ⇒ ψ = M − N ψ = M − N ψ = M − N Determinati φ e ψ, possiamo ricavare il lato d d a d a a ⋅ sin ρ = ⇒ = ⇒d = sin (180 − α − ϕ ) sin α sin ρ sin α sin α e l’angolo di direzione θ AP = θ AB − ϕ . Per cui le coordinate di P sono x P = x A + d ⋅ sin θ AP e y P = y A + d ⋅ cos θ AP .

3.1.4.4

L’IRRADIAMENTO

Consiste nel far stazione su di un punto noto, orientarsi su un altro punto anch’esso noto ed eseguire la misura dell’angolo per determinare le coordinate del punto P x P = x A + d ⋅ sin θ AP e y P = y A + d ⋅ cos θ AP . Il metodo di rilievo per irradiamento è diventato molto pratico con la diffusione dei distanziometri ad onde. permette di eseguire una sola stazione ed è quindi operativamente più economico delle intersezioni in avanti e laterali. x − xA e θ AP = θ AB + α − 2π . θ AB = arctan B yB − y A 24

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

Le misure sono in numero strettamente sufficienti a determinare le incognite e non consente quindi di alcun controllo. 3.1.4.5

LA STAZIONE FUORI CENTRO

Spesso c’è difficoltà nel fare stazione sui vertici trigonometrici e l’intersezione indietro è preferibile all’intersezione in avanti o laterale proprio perché si evita di fare stazione sui vertici noti. Quando non è possibile fare una stazione sul vertice bisogna fare una stazione fuori centro, cioè su un punto prossimo. Invece di fare stazione sul vertice S facciamo stazione sul punti S1, per cui, invece di misurare l’angolo α, misuriamo l’angolo α1. Si ha quindi che α = α1 + ε + ε ' . Determiniamo ε e in maniera del tutto analoga si potrà determinare anche ε’. Dobbiamo risolvere il triangolo SS1P, per questo abbiamo bisogno di conoscere l’eccentricità r del punto S1 che si misura, l’angolo β si misura e la distanza D si ottiene facendo D tan β = ⇒ D = SS1 ⋅ tan β . Applicando il teorema dei seni, ponendo SS1 r ⋅ sin β ε sin β sen ε = ε, ho = . Il problema è così risolto. Quando è possibile, però, le ⇒ε = r D D stazioni fuori centro sono da evitare, soprattutto quando le distanze sono piccole perchè in tal caso risulta estremamente difficile determinare l’eccentricità r con la precisione necessaria. 3.1.4.6

LE POLIGONALI

Quando occorre avere una serie di punti ben distribuiti e a piccola distanza in tutta la zona da rilevare, occorre fare una poligonale, cioè delle spezzate i cui vertici saranno i punti che ci serviranno per il successivo rilievo di dettaglio. Tali poligonali vengono rilevate misurando le lunghezze dei lati e gli angoli che i lati formano fra loro. Si possono distinguere in poligonali aperte e poligonali chiuse. Quelle aperte si usano per il suddetto raffittimento dei vertici della triangolazione e quindi in generale per un rilievo da inserire in un sistema di riferimento preesistente; come vedremo devono essere appoggiate ad un certo numero di vertici di coordinate note, sia per il calcolo che per il controllo e la compensazione delle misure. Le poligonali chiuse invece servono per rilievi fini a se stessi; hanno in se stesse gli elementi per il controllo e la compensazione delle misure e non sono riferite ad un rilievo preesistente. 3.1.4.6.1

LA POLIGONALE APERTA

La poligonale deve essere generalmente inquadrata in un più largo rilievo preesistente ed i suoi vertici devono quindi essere collegati a un sistema di punti di coordinate note. Per il calcolo della poligonale sono necessari e sufficienti due punti noti, ma in generale, per avere elementi di controllo e di compensazione delle misure, ci si collega a quattro punti di coordinate note. I lati si aggirano sui 100 ÷ 200 m e la poligonale si sviluppa per un massimo di 2 ÷ 3 km. Sia A1 un punto di coordinate note assunto come punto di partenza della 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL RILIEVO

poligonale e da esso si possa collimare ad un altro punto S pure di coordinate note; siano inoltre A2, A3, …, An–1 i vertici della poligonale di cui si devono determinare le coordinate, come ad esempio le coordinate del punto A2 che sono x2 = x1 + 112 ⋅ sin θ12 e y2 = y1 + 112 ⋅ cos θ12 ; il punto di arrivo della poligonale sia il punto An di coordinate note e da esso si possa collimare ad un altro punto T pure di coordinate note. Stabilito il senso di percorrenza A1 → An si misurano gli angoli che ciascun lato deve compiere in senso orario per sovrapporsi al successivo. Il primo angolo che si misura è quello tra la direzione A1S e il primo lato della poligonale e cioè θ12, l’ultimo è quello tra l’ultimo lato e la direzione AnT. Indicheremo tali angoli con α1, α2, …, αn e le lunghezze dei lati con 11–2, 12–3, …, 14–n. Esaurite le misure si passa al calcolo della poligonale, cioè alla determinazione delle coordinate dei vertici A2, A3, …, An–1. Evidentemente per tale calcolo occorre conoscere l’angolo di direzione θ dei successivi lati, cioè l’angolo che tali lati formano con la parallela all’asse y. Dalle coordinante note di A1 ed S si ricava immediatamente x − x1 e quindi l’angolo di direzione del primo tan θ1S = S y S − y1 lato θ12 = θ1S + α1 . Si ricavano poi gli angoli di direzione di tutti i lati θ 23 = θ12 + α 2 − 180° , θ 34 = θ 23 + α 3 − 180° , … L’ultimo angolo di direzione che si calcola in questo modo è θ nT , ma di questo si può ottenere un valore anche dalle coordinate note di An e di T e tale valore, che consideriamo privo di errore, ci serve come controllo delle misure angolari. Sia infatti θ nT il valore trovato attraverso il calcolo x − xn successivo degli angoli di direzione e θnT quello ottenuto da tan θ nt = t . La differenza yt − y n

ε = θ nt − θ nt si chiama errore di chiusura angolare e dipende evidentemente dagli errori commessi nelle misure degli angoli. Dovremo dapprima stabilire se tale errore è accettabile, cioè se rientra nei limiti di tolleranza, nel qual caso si potrà passare alla fase successiva della compensazione delle misure angolari e del calcolo delle coordinate, altrimenti si dovranno rifiutare le misure fatte e ripeterle. Per determinare tale tolleranza ricordiamo che θ nt è funzione di n angoli α misurati e quindi, se chiamiamo con σα l’errore di un angolo α, per la legge di propagazione degli errori l’errore σθ dell’angolo θ nt risulta σ θ = σ α n . Si assume come tolleranza il doppio dell’errore medio perché esiste una probabilità molto piccola di superare il doppio dell’errore medio e quindi, se si supera, è molto probabile che siano intervenuti, nella misura degli angoli, degli errori grossolani o sistematici, per cui le misure sono da rifare. Constatato che l’errore sia accettabile passiamo alla compensazione angolare della poligonale. Possiamo seguire due vie: o compensare gli α e cioè distribuire l’errore ε in parti uguali

ε

sugli n angoli misurati α (essendo ε imputabile in ugual misura a tutti gli α) e ricalcolare poi tutti i θ, oppure più semplicemente compensare direttamente i θ. La correzione da apportare ai vari angoli di direzione si determina immediatamente se consideriamo che il primo θ dipende da un solo angolo α ( θ12 = θ1S + α1 ), il secondo θ da due angoli α ( θ 23 = θ12 + α 2 − 180° = θ1S + α1 + α 2 − 180° ), il

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IL RILIEVO

terzo θ da tre angoli α ( θ 34 = θ 23 + α 3 − 180° = θ1S + α1 + α 2 + α 3 − 360° ) e così via, per cui 1 2 correggeremo il primo θ di ⋅ ε , il secondo θ di ⋅ ε , … e l’ultimo θ di ε. n n Compensati così gli angoli, si passa al calcolo delle coordinate dei vertici.  x 2 = x1 + 112 ⋅ sin θ12   y 2 = y1 + 112 ⋅ cos θ12  x3 = x 2 + 123 ⋅ sin θ 23 = x1 + 112 ⋅ sin θ12 + 123 ⋅ sin θ 23   y 3 = y 2 + 123 ⋅ cos θ 23 = y1 + 112 ⋅ cos θ12 + 123 ⋅ cos θ 23

... Possiamo così calcolare anche le coordinate dell’ultimo vertice An: dette x n , y n le coordinate così calcolate e xn e yn quelle note, da considerarsi prive di errore, ci sarà certamente una differenza tra le coordinate a causa degli errori nelle misure, si troverà cioè ∆x = xn − xn e ∆y = yn − yn . La quantità ∆ = ∆x 2 + ∆y 2 prende il nome di errore di chiusura lineare. Anche qui, come per gli angoli, occorre verificare se tale errore è accettabile, cioè stabilire una tolleranza. Se le misure sono accettabili passiamo alla compensazione lineare della poligonale. A tale scopo adottiamo un metodo empirico, ma sufficientemente valido, per determinare le correzioni da apportare alle coordinate parziali in modo che la somma delle correzioni parziali porti alla fine a far coincidere x n e y n con xn e yn. Indicando con L = ∑ l la lunghezza totale della poligonale, le correzioni delle coordinate parziali saranno δ ( xi − xi −1 ) =

δ ( yi − yi −1 ) =

1i −1,i L

⋅ ∆x e

1i −1,i

⋅ ∆y . L Se vogliamo invece determinare le correzioni da apportare alle coordinate totali xn e y n ,

essendo queste la somma delle precedenti coordinate parziali, cioè x n = x1 + x 2 + ... + x n −1 e y n = y1 + y 2 + ... + y n −1 , le correzioni delle coordinate totali saranno la somma delle correzioni delle coordinate parziali e cioè 1 + 1 + ...1n −1,n 112 + 123 + ...1n −1,n δx n = 12 23 ⋅ ∆x e δy n = ⋅ ∆y . L L 3.1.4.6.2

LA POLIGONALE CHIUSA

Le poligonali chiuse non hanno niente di diverso da quelle aperte, se non il fatto che sono autocompensabili, cioè non presuppongono la conoscenza di nessun vertice trigonometrico noto. Si usano quando il rilievo è fine a se stesso, cioè non deve essere inserito in un rilievo preesistente. Si può quindi assumere un sistema di riferimento arbitrario: in generale si fa un orientamento sull’ultimo lato, cioè si sceglie come asse delle y la direzione dell’ultimo lato. La prima compensazione sarà quella angolare, cioè la somma degli α dovrà essere uguale a 180° · (n – 2). A causa degli errori di misura ci sarà una certa discordanza tra il valore teorico e quello misurato: questa differenza ε dovrà rientrare nei limiti di tolleranza già fissati per la poligonale aperta. Per la compensazione si potranno correggere direttamente gli angoli misurati α, ad ognuno

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IL RILIEVO

1 dell’errore di chiusura ε = θ n − θ n . n Compensati così gli angoli α si passa a calcolare gli angoli θ, per cui è possibile notare che il primo θ coincide con il primo α, quindi θ12 = α1 . Per gli altri θ si procede come per la poligonale aperta, quindi θ 23 = θ12 + α 2 − 180° = α 1 + α 2 − 180° , θ 34 = θ 23 + α 3 + 180° = α 1 + α 2 + α 3 , … L’ultimo angolo di direzione θn1 dovrà risultare uguale a 180°, essendo già stati compensati gli angoli α. Calcolati i θ, si calcolano le coordinate dei vertici con le solite formule tenendo presente che, per il sistema di riferimento assunto, risulta x1 = 0 e y1 = 0 . Si otterrà per i vari vertici  x 2 = 112 ⋅ sin θ12   y 2 = 112 ⋅ cos θ12 dei quali sarà da apportare una correzione pari a

 x3 = x 2 + 123 ⋅ sin θ 23 = 112 ⋅ sin nθ12 + 123 ⋅ sin θ 23   y 3 = y 2 + 123 ⋅ cos θ 23 = 112 ⋅ cos θ12 + 123 ⋅ cos θ 23 ... Chiudendo il giro, arriviamo a calcolare le coordinate del punto A1 che, a causa degli errori di misura, non risulteranno uguali a 0 come dovrebbe essere, ma a certe quantità ∆x e ∆y diverse da 0. L’errore di chiusura lineare ∆ = ∆x 2 + ∆y 2 dovrà essere inferiore ai limiti di tolleranza già fissati per la poligonale aperta. Anche la compensazione lineare si esegue con il metodo empirico già visto per la poligonale aperta. 3.1.4.6.3

GLI SCHEMI MODERNI DI RILIEVO

Fino ad ora abbiamo sostanzialmente esposto i metodi tradizionali di rilievo, abbiamo però osservato che, con l’introduzione degli apparati elettronici per la misura delle distanze, tali metodi sono stati profondamente modificati. Abbiamo visto come la triangolazione possa essere sostituita dalla trilaterazioni, ma può anche essere sostituita dalle cosiddette poligonali geodetiche, che hanno lati di parecchi km e uno sviluppo che può superare qualche centinaio di km; queste poligonali possono quindi costituire reti trigonometriche di qualsiasi ordine. I lati delle poligonali geodetiche si misurano con distanziometri a onde di lunga portata e gli angoli con teodoliti di alta precisione. Le poligonali topografiche invece hanno lati compresi tra qualche centinaio di m e un paio di km, con uno sviluppo di qualche decina di km. Si rilevano misurando i lati con distanziometri a onde di portata ridotta e gli angoli con teodoliti al secondo. Le poligonali topografiche possono costituire reti trigonometriche di ordine inferiore; da queste poligonali si può passare direttamente al rilievo di dettaglio che dovrà essere attuato con distanziometro elettronico e teodolite, essendo in gioco distanze dell’ordine del km. Le poligonali destinate a costituire le reti di appoggio per il rilievo di dettaglio tradizionale, ossia quelle che abbiamo esaminato nelle pagine precedenti, con i lati dell’ordine di 100 ÷ 200 m con distanziometri ad onde, possono essere indicate come poligonali geodimetriche. Le poligonali ordinarie di precisione hanno lati di 50 ÷ 60 m e limitata lunghezza; si usano per piccoli rilievi a grande scala (1:500) o per rilievi particolari in cui sia richiesta un’elevata precisione. A causa delle piccole distanze, sono fortemente da temere le eccentricità; poiché non si può pensare di costruire piastrini per questo scopo, allora si adottano particolari strumentazioni a centramento forzati, centrate sul punto a terra per mezzo di piombino ottico. Qualunque sia lo schema (trilaterazione, poligonale geodimetrica o riattacco) in cui si eseguono misure a distanza, bisogna tenere presente che: 1. le distanze misurate sulla superficie fisica devono essere ridotte alla superficie di riferimento (eventualmente con formule semplificative) ed è quindi necessaria la conoscenza delle quote 28

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IL RILIEVO

(che possono essere determinate con il metodo della livellazione trigonometrica di cui parleremo più avanti); 2. se le figure sono risolte sul piano della rappresentazione di Gauss, le distanze misurate e ridotte alla superficie di riferimento (geodetiche) devono essere moltiplicate per il modulo di deformazione lineare per ottenere le lunghezze delle trasformate piane e quindi anche delle corde che hanno praticamente uguale lunghezza sul piano di Gauss (così come per gli angoli dobbiamo tenere conto delle riduzioni alle corde); la deformazione lineare potrà essere trascurata per piccole distanze. Vediamo più in particolare il problema della riduzione alla superficie di riferimento. Un geodimetro misura la lunghezza del percorso compiuto dall’onda elettromagnetica emessa che è stata riflessa dal prisma retroriflettente e rientra nello strumento. Tale percorso, per effetto della rifrazione, è un arco, ma su può dimostrare che la sua lunghezza è uguale a quella della propria corda per distanze inferiori ai 20 km circa, entro i limiti della massima precisione dello strumento. Il valore indicato dal geodimetro è la misura del segmento che congiunge il centro del distanziometro ed il centro del prisma. La distanza tra due punti A e B è invece, in geodesia, la lunghezza dell’arco di geodetica che congiunge le proiezioni A0 e B0 dei punti sulla superficie di riferimento. Occorre quindi tenere conto tanto dell’inclinazione della linea di mira quanto della quota alla quale si trovano i punti collegati e passare dal valore della lunghezza del segmento ottenuta con il geodimetro, alla distanza vera e propria da utilizzare nei calcoli planoaltimetrici. L’elemento che dobbiamo trovare è S0 che è dato dalla formula S 0 = R ⋅ ω , di cui bisogna quindi determinare l’angolo ω considerando tan ω = ω .

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IL RILIEVO

tan ω =

d i ⋅ sin ξ AB ⇒ tan ω = R + Q A + hstr + d i ⋅ cos ξ AB

d i ⋅ sin θ AB ⇒  Q A + hstr + d i ⋅ cos ξ AB  R 1 +  R  

d ⋅ sin ξ AB  Q A + hstr + d i ⋅ cos ξ AB   Q A + hstr + d i ⋅ cos ξ AB  ⇒ S0 ≈ R ⋅ i 1 −  1 −  R R R      Q + hstr + d i ⋅ cos ξ AB  quindi S 0 ≈ d i ⋅ sin ξ AB 1 − A  . Bisogno però considerare anche l’effetto della R   α S S rifrazione ε: ξ AB = Z AB + ε , ε = e se S = r ⋅ α ⇒ α = , quindi ε = . Se però so che 2 r 2r K ⋅ di R R K ⋅S K = ⇒ r = , allora ε = . Considerando S ≈ d i si ottiene che ε = . r K 2R 2R ⇒ω ≈

3.2

d i ⋅ sin ξ AB R

IL RILIEVO ALTIMETRICO

Per altezza o quota di un punto della superficie fisica sul geoide, si intende il segmento di linea del campo della gravità passante per tale punto e compreso tra esso e il geoide; per la piccola curvatura della linea di forza, si può anche dire che la quota è rappresentata dalla distanza del punto dal geoide, misurata secondo la verticale per il punto stesso. Il complesso di operazioni volto alla determinazione delle quote dei punti, o più spesso della differenza di quota tra i punto, prende il nome di livellazione. Prima di esaminare in dettaglio i vari tipi di livellazione, è opportuno fare un cenno a come si possa determinare un punto a quota zero, appartenente cioè al geoide, da assumere come riferimento per tutte le quote. Diciamo subito che tale problema è molto complicato e che non esiste una unificazione generale dei punto di riferimento, tanto che praticamente ogni Stato assume un suo punto di derivazione delle quote. Tale punto, per i paesi che si affacciano sul mare, è normalmente un punto del mare medio. Gli strumenti che servono a determinare il livello medio del mare sono i mareografi. Schematicamente un mareografo è costituito da una penna scrivente collegata ad un galleggiante, che pesca in un pozzetto verticale in comunicazione con il mare attraverso un condotto orizzontale. La penna scrivente collegata al galleggiante traccerà quindi su una striscia di carta un diagramma che descriverà le variazioni del livello del mare. La quota mareografica è poi riferita ad un caposaldo, detto caposaldo fondamentale, da cui prendono origine le linee di livellazione. Per l’Italia il caposaldo fondamentale è quello collegato al mareografo di Genova. Detto in questi termini il problema di determinare un punto di quota zero sembra abbastanza semplice, invece nella realtà è praticamente impossibile. In primo luogo perché i mari non hanno tutti lo stesso livello medio. Per chiarire meglio il problema, ricordiamo che il geoide può essere definito come la superficie equipotenziale del campo della gravità che meglio approssima il mare medio. In pratica, per la difficoltà di realizzare tale definizione, si definisce geoide la superficie equipotenziale passante per un determinato punto del mare medio (cioè coincidente con il mare medio in un determinato

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IL RILIEVO

luogo). È evidente allora che il mare medio, all’infuori di quel punto, non coincide con il geoide, se non in maniera approssimata (gli scostamenti possono anche superare il metro). Il fatto tuttavia che i mari non hanno tutti lo stesso livello medio non rappresenta un grosso problema, perché a noi basta fissare un punto e poi riferiamo a questo tutte le quote. La determinazione della quota assoluta di un punto è cosa praticamente impossibile; tutto quello che si può fare è assumere, come origine delle quote, il livello medio del mare in un determinato punto e in un determinato istante. Se è quasi impossibile determinare la quota assoluta di un punto, è invece abbastanza semplice determinare la quota relativa, cioè la differenza di quota tra due punti, con precisione anche elevata. L’operazione che serve a misurare le differenze di quota, o le quote assolute dei punti, è come abbiamo detto la livellazione. Esistono vari tipi di livellazione che differiscono per gli strumenti usati, per le modalità operative, per le grandezze che si misurano e per la precisione che si può conseguire. I principali tipi sono la livellazione trigonometrica e la livellazione geometrica (normale e di precisione). 3.2.1 3.2.1.1

LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA CON MISURA DELLE DISTANZE ZENITALI RECIPROCHE

La differenza di quota tra due punti A e B reciprocamente visibile, di cui è nota anche la distanza S, si può ricavare indirettamente dalla misura delle distanze zenitali reciproche ZA e ZB. Naturalmente si può eseguire una livellazione trigonometrica anche quando la distanza è nota per altra via, per esempio misurata con un distanziometro a onde. Poiché la distanza tra A e B non supera in genere una decina di chilometri, le formule che permettono di dedurre il dislivello (note le distanze zenitali ZA e ZB e la distanza S) possono essere ricavate assumendo come superficie di riferimento la sfera locale di raggio R = ρ ⋅ N . Con riferimento alla figura, supponendo per il momento che le traiettorie luminose siano rettilinee (per cui facendo stazione con un teodolite nei punti A e B si possono ottenere le vere distanze zenitali ZA e ZB) e applicando successivamente il teorema dei seni, la proprietà del comporre e dello scomporre e le formule di prostaferesi, si deduce che R + H B sin (π − Z A ) sin Z A sin Z A sin π − sin Z A 0 − sin Z A sin Z A = = = = 1. , dove deriva da ; R + H A sin (π − Z B ) sin Z B sin Z B sin π − sin Z B 0 − sin Z b sin Z B R + H B − R − H A sin Z A − sin Z B = 2. , in cui il numeratore del primo membro si è ottenuto da R + H B + R + H A sin Z A − sin Z B R + H B − (R + H A ) = R + H B − R − H A e semplificando si ha che HB + HA sin Z A − sin Z B sin Z A − sin Z B = ⇒ H B + H A = (2 R + H B + H A ) ⋅ ; 2 R + H B + H A sin Z A − sin Z B sin Z A − sin Z B

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31

IL RILIEVO

ZA − ZB Z + ZB ⋅ cos A 2 2 ⇒ H B − H A = (2 R + H A + H B ) ⋅ ZA + ZB ZA − ZB ⋅ cos 2 ⋅ sin 3. 2 2 Z − ZB Z + ZB  H + HB  ⋅ cot A ⇒ H B − H A = 2 R 1 + A  ⋅ tan A 2R  2 2  Osservando dalla figura che Z A + ZB = π + ω , si può scrivere che Z + ZB π +ω ω π ω  = cot = cot +  = − tan usando le formule per la trasformazione della cot A 2 2 2 2 2 tangente e della cotangente (in questo caso useremo la formula per trasformare la cotangente in tangente): 1 1 π  π  cot + α  = = − tan α = tan (− α ) e tan − α  = = cot α = − cot (− α ) . 2  tan π + α  2  tan α   2  Essendo ω un angolo molto piccolo possiamo confondere la tangente con l’angolo, quindi Z + ZB S ω ω ω ω S − tan = − . Ricordando che S 0 = R ⋅ ω ⇒ ω = , allora cot A . = − tan = − = − 2 2 2 2R 2 2 R Indicando con Hm la quota media dei due punti e ricordando che tan x = − tan (− x ) ⇒ tan Z A − Z B = − tan Z B − Z A , l’espressione del dislivello in funzione delle due distanze zenitali reciproche diventa Z − ZA   S   H + HB   H B − H A = 2 R 1 + A  ⋅  − tan B ⋅− ⇒ 2R   2    2R  Z − ZA   H + HB   ⇒ H B − H A = 1 + A  ⋅  − tan B  ⋅ (− S ) ⇒ 2R   2   2 ⋅ sin

Z − ZA  H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan B [1] 2 R  

HA + HB . Per determinare Hm si può fare un calcolo in prima e seconda 2 approssimazione, cioè porre prima Hm = HA, calcolare un valore approssimato di HB quindi H + HB Hm = A . Infatti l’approssimazione richiesta per Hm è molto scarsa, perché Hm / R è una 2 quantità molto piccola rispetto all’unità. dove H m =

3.2.1.2

LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA CON MISURA DI UNA SOLA DISTANZA ZENITALE

È frequente il caso in cui la livellazione si esegue misurando una sola distanza zenitale. Ricordando S che Z A + Z B = π + ω ⇒ Z B = π + ω − Z A e S = R ⋅ ω ⇒ ω = , la R Z − ZA  H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan B [1] diventa: 2 R    H   H   π ω 2Z A   (π + ω − Z A ) − Z A  H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan  ⇒ H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan + − ⇒  R  2 R  2  2 2    

 H  π ω  ⇒ H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan + − Z A  R  2 2   32

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

e sapendo che per la formula della trasformazione dalla tangente alla cotangente si ha ω 1 π ω  = − cot , allora si ha che tan +  = 2  2 2  tan − ω     2 H   H    ω   ω  H B − H A = S 1 + m  ⋅ − cot − Z A  ⇒ H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot − + Z A  ⇒ R   R   2   2    S   H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot − + Z A  [2] R   2R   che fornisce il dislivello in funzione della sola distanza zenitale misurata in A. 3.2.1.2.1

L’INFLUENZA DELLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA

La densità dell’aria diminuisce all’aumentare della quota e di conseguenza diminuisce l’indice di rifrazione; i raggi luminosi che si propagano in un mezzo avente un indice di rifrazione variabile subiscono delle rifrazioni e le traiettorie si incurvano. In condizioni normali, cioè quando la densità diminuisce all’aumentare della quota, le traiettorie luminose volgono la concavità verso il basso. Per semplificare le cose si suppone che tali traiettorie siano archi di circonferenza di raggio r, pertanto gli scostamenti angolari tra traiettoria e corda in A e B sono uguali, quindi εA = εB = ε . Osserviamo subito che r è mediamente circa 7 ÷ 8 volte maggiore di R, quindi ε è un angolo molto piccolo. Per valutare

ε,

che

risulta

espresso

da

ε=

δ

2

dove

S S , si ottiene che ε = e introducendo il r 2r R R K ⋅S coefficiente di rifrazione, definito da K = ⇒ r = , si ottiene ε = . r K 2R Z − ZA  H  Ciò premesso, vediamo come si modificano le formule H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan B [1] e 2 R    S   H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot − + Z A  [2], tenendo conto che le vere distanze zenitali ZA e ZB si R    2R  ottengono sommando alle distanze zenitali apparenti φA e φB (quelle effettivamente misurate) l’angolo di rifrazione ε: Z A = ϕ A + ε e Z B = ϕ B + ε . Per la [1] si ottiene subito ϕ −ϕA  H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan B [1’] R  2  ϕ −ϕA Z − ZA ϕ + ε − (ϕ A + ε ) ϕ + ε −ϕA − ε ϕ −ϕA dove tan B è data da tan B = tan B = tan B = tan B . 2 2 2 2 2 Questo procedimento è il più preciso perché non richiede la valutazione di ε, cioè di K. Tuttavia l’approssimazione risente ovviamente dell’ipotesi semplificativa ε A = ε B , ipotesi che cade maggiormente in difetto quando le quote di A e B sono molto diverse e quando i punti sono molto lontani. S = r ⋅δ ⇒ δ =

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

33

IL RILIEVO

 S   H  Misurando una sola distanza zenitale, dalla H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot − + Z A  [2] si ha R   2R   K ⋅S S   H   H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot ϕ A + ε − , ottengo, raccogliendo S,  e quindi, essendo ε = 2R 2R  R    H  Hm   1  K ⋅S S     K  − ⇒ H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot ϕ A + −  ⋅ cot ϕ A + S   ⇒  ⇒ H B − H A = S 1 + 2R 2R  R  R   2 R 2 R      H     − 1 + K  ⇒ H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot ϕ A + S   ⇒ R   2 R   

1− K   H   H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot ϕ A − S  [2’] 2R  R    1− K Per brevi distanze la correzione angolare x = S è sufficientemente piccola per poterne 2R trascurare i quadrati e le potenze superiori, per cui si può assumere (sviluppo in serie di Taylor x 1− K 1 = cot ϕ A + arrestato al termine di primo ordine) cot (ϕ A − x ) = cot ϕ A + S⋅ 2 . 2 2R sin ϕ A sin ϕ A Di solito la distanza zenitale è prossima a π/2 per cui si può porre sin 2 ϕ A = 1 . Trascurando poi 1− K   S  . Introducendo l’angolo di Hm/R rispetto all’unità si ottiene H B − H A = S  cot ϕ A + 2R   inclinazione αA, o semplicemente α con la formula α =

π

2

− ϕ A , si può ricavare ϕ A =

π

2

−α e

π  calcolare così, nella formula precedente, cot ϕ A = cot − α  = tan α . Indicando con a e b 2  rispettivamente l’altezza dello strumento sul punto di stazione e l’altezza del segnale sul punto collimato, si ottiene infine 1− K 2 H B − H A = S ⋅ tan α + S +a−b ⇒ 2R S2 K ⋅S2 H B − H A = S ⋅ tan α + − + a − b [2’’] 2R 2R formula semplificativa valida per brevi distanze (fino a 1 ÷ 2 km) e dislivelli non troppo elevati. Osserviamo che il termine S tan α rappresenta il dislivello con superficie di riferimento piana e assenza di rifrazione; il S2 termine tiene conto in misura 2R approssimata della curvatura; il termine K ⋅S2 − tiene conto in misura approssimata 2R dell’influenza della rifrazione.

34

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

3.2.1.2.2

LA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE

Mediamente di giorno si ha che K ≈ 0,12 ÷ 0,16; i valori di K ricavati dai grafici o dalle tabelle non sono sufficientemente precisi quando le distanze sono elevate: per distanze superiori ai 4 ÷ 5 km è opportuno determinare sperimentalmente il valore del coefficiente di rifrazione K. Se è noto il dislivello tra i punti A e B (per esempio per aver eseguito una livellazione geometrica che vedremo nei prossimi paragrafi) e misurando la distanza zenitale φA, dalla 1− K   H   H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot ϕ A − S  [2’] può essere ricavato K. 2R  R    Se non è noto il dislivello, si ricorre al metodo delle misure contemporanee di distanze zenitali S reciproche; abbiamo visto infatti che se Z A + Z B = π + ω e S = R ⋅ ω ⇒ ω = , allora ottengo R S K ⋅S , allora posso andare Z A + Z B = π + ; se poi so anche che Z A = ϕ A + ε , Z B = ϕ B + ε e ε = R 2R a sostituire ottenendo K ⋅S K ⋅S S K ⋅S S S  R ϕA + + ϕB + = π + ⇒ 2/ ⋅ = π + − ϕ A − ϕ B ⇒ K = π + − ϕ A − ϕ B  ⇒ R R R 2R 2R 2/ R  S e R R R ⇒ K = π ⋅ +1− ϕ A ⋅ − ϕB ⋅ S S S R R raccogliendo − ottengo che K = 1 − (ϕ A + ϕ B − π ) . S S Il valore di K così determinato può essere utilizzato per misurare anche dislivelli con una sola distanza zenitale, quindi K può essere utilizzato nella formula 1− K    H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ cot ϕ A − S  [2’]. 2R  R    È meglio però, quando le distanze sono elevate, ricorrere direttamente al metodo delle distanze zenitali reciproche e contemporanee, cioè è meglio usare la formula ϕ −ϕA  H  H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan B [1’]. R  2  3.2.1.2.3 Per

la

LA PRECISIONE DELLA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA

valutazione

dell’errore possiamo fare riferimento alla formula semplificata S2 K ⋅S2 S2 K ⋅S2 ∆ = H A − H B = S ⋅ tan α + − derivante dalla H B − H A = S ⋅ tan α + − +a−b 2R 2R 2R 2R [2’’]. Per distanze non troppo elevate (comunque inferiori a 2 ÷ 3 km), il termine che tiene conto S2 K ⋅S2 − della curvatura della superficie di riferimento e della rifrazione, cioè , è piccolo, quindi 2R 2R è piccolo anche il suo apporto all’errore sul dislivello. Con questa ipotesi possiamo limitarci a considerare solo l’errore dovuto al primo termine e quindi a S ⋅ tan α . Per la legge di S2 2 2 2 2 propagazione degli errori accidentali si ha σ ∆ = tan α ⋅ σ S + ⋅ σ α . L’errore assoluto 4 cos α sulla distanza σS può essere espresso in funzione dell’errore relativo σr e cioè σ S = σ r ⋅ S ; si ha quindi

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

35

IL RILIEVO

σ ∆ 2 = tan 2 α ⋅ σ S 2 +

(

)

S2 S2 2 2 2 2 2 2 tan S σ σ α σ ⋅ ⇒ = ⋅ ⋅ + ⋅σ α ⇒ α ∆ r 4 4 cos α cos α

⇒ σ ∆ = tan 2 α ⋅ σ r ⋅ S 2 + S 2 ⋅ 2

1 1  2 2 2 ⋅ σ α ⇒ σ ∆ = S 2  tan 2 α ⋅ σ r + ⋅σ α  ⇒ 4 4 cos α cos α  

1 2 ⋅σ α 4 cos α Per σr e σS si possono assumere mediamente i valori σr = 10–5 (cioè 1 cm / km) e σS = 2’’ = 10–5. Vediamo che cosa si ottiene per alcuni valori di α: 1 1 2 2 2 2 α = 0° → σ ∆ = S tan 2 α ⋅ σ r 2 + ⋅σ α ⇒ σ ∆ = S 0 ⋅σ r + ⋅σ α ⇒ σ ∆ = S σ α ⇒ 4 1. 1 cos α

σ ∆ = S tan 2 α ⋅ σ r 2 +

⇒ σ ∆ = S ⋅ σ α ⇒ 10 −5 ⋅ S 2. α = 10° → σ ∆ = S 0,03 ⋅ σ r + 1,06 ⋅ σ α ⇒ 1,04 ⋅ 10 −5 ⋅ S 2

2

3. α = 20° → σ ∆ = S 0,13 ⋅ σ r + 1,28 ⋅ σ α ⇒ 1,19 ⋅ 10 −5 ⋅ S 2

2

4. α = 30° → σ ∆ = S 0,33 ⋅ σ r + 1,78 ⋅ σ α ⇒ 1,45 ⋅ 10 −5 ⋅ S Si può osservare che la quantità sotto radice varia entro limiti abbastanza ristretti, per cui si può affermare che l’errore sul dislivello è praticamente proporzionale alla distanza. Mediamente si può assumere σ∆ = 1,2 · 10–5 · S (cioè 1,2 cm / km). Osservando poi i valori sotto radice, si vede che l’influenza dell’errore su α è tanto più quanto è piccola l’inclinazione della linea di mira e quindi è evidente che la misura della distanza zenitale deve essere eseguita con un teodolite, possibilmente di precisione. Per distanze superiori a 2 ÷ 3 km, occorre valutare anche l’errore dovuto al termine correttivo S2 K ⋅S2 − . Si può verificare che gli errori che si possono commettere nella determinazione di S e 2R 2R di R non influiscono in maniera apprezzabile sul dislivello. Resta quindi da verificare soltanto l’influenza dell’errore su K e cioè di σK. Innanzitutto quanto può valere σK? Se K viene desunto da grafici e tabelle, come è conveniente fare per distanze inferiori a 4 ÷ 5 km, si può fissare K = ± 0,03; se invece K viene determinato sperimentalmente, come è opportuno fare per distanze superiori a R 4 ÷ 5 km dalla relazione K = 1 − (ϕ A + ϕ B − π ) considerando che φA e φB siano affetti da un S errore medio di 2’’, si ottiene per esempio σK = 0,02 per S = 5 km e σK = 0,01 per S = 10 km. Poiché le condizioni atmosferiche al momento della misura, benché simili, non saranno esattamente le stesse di quando è stata fatta la determinazione, conviene assumere in ogni caso σK = 0,02. In conclusione l’errore sul dislivello σ∆ dovuto al termine correttivo K, che risulta espresso da S2 σ∆ = ⋅ σ K , assume per σK = 0,02 i seguenti valori: 2R per S = 1 km σ∆ = 0,16 cm per S = 3 km σ∆ = 1,41 cm per S = 10 km σ∆ = 15,7 cm per S = 30 km σ∆ = 141 cm Si vede che per S = 3 km l’influenza dell’errore su K non è più trascurabile e per S = 10 km diventa predominante rispetto all’influenza dell’errore su S · tanα, che per tale distanza risulta mediamente uguale a ± 12 cm. Si conclude quindi che per S > 10 km, l’errore sul dislivello non si può più ritenere proporzionale alla distanza, ma proporzionale al quadrato della distanza (se fosse stato proporzionale alla distanza non elevata al quadrato sarebbe venuto σ∆ = 4,38 cm per S = 10 km, il che non è vero perché deve venire σ∆ = 15,7 cm per S = 10 km) e raggiunge rapidamente valori dell’ordine del metro. 2

36

2

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

ϕ −ϕA  H  Utilizzare la formula H B − H A = S 1 + m  ⋅ tan B [1’] che non richiede la determinazione di R  2  K, è certamente preferibile, ma non migliora molto le cose perché l’ipotesi εA = εB deve essere fatta comunque e comporta un’approssimazione non molto diversa da quella prima stimata per effetto dell’errore su K. È pertanto sconsigliabile effettuare misure di dislivelli tra punti distanti più di 10 km (tra l’altro anche l’ipotesi sferica non è più tanto accettabile oltre tale distanza). Dovendo collegare altimetricamente punti distanti più di 10 km, conviene ottenere il dislivello totale come somma di dislivelli parziali, per esempio, invece di collegare vertici di I ordine, si preferisce passare attraverso misure di dislivelli tra vertici di ordine inferiore, posti a distanze molto minori. 3.2.2

LA LIVELLAZIONE GEOMETRICA

3.2.2.1

SCHEMA DEL METODO

Non prendiamo in considerazione la livellazione da un estremo che, tra gli altri inconvenienti, necessita della misura dell’altezza dello strumento. Facciamo quindi riferimento soltanto alla livellazione dal mezzo, che presenta diversi vantaggi: 1. innanzitutto elimina l’influenza dell’errore residuo di orizzontalità della linea di mira; 2. elimina il piccolo effetto della rifrazione atmosferica, supposta simmetrica rispetto al punto di stazione; 3. consente di non fare alcuna ipotesi sulla superficie di riferimento, se non che sia simmetrica rispetto al punto di stazione. Vediamo dunque come si realizza lo schema della livellazione dal mezzo. Supponiamo di dover misurare il dislivello tra due punti A e B distanti non più di 100 m. Mettiamo in stazione un livello (cioè uno strumento in grado di darci una linea di mira orizzontale) a uguale distanza d dai due punti e su questi mettiamo due stadie (rese verticali con l’ausilio delle livelle sferiche di cui sono dotate). Dopo aver reso orizzontale l’asse di collimazione, facciamo la lettura li (lettura indietro) sulla stadia posta in A e la lettura la (lettura avanti) sulla stadia posta in B. La differenza ∆AB = li – la fornisce evidentemente la differenza di quota tra i due punti rispetto alla superficie equipotenziale (superficie di livello) del campo della gravità passante per il centro dello strumento, a condizione che sia simmetrica rispetto a tale punto, per cui si possano considerare uguali i due trattini a e b. È evidente che a 50 m la dissimmetria, che pure certamente esiste, non è tale da essere apprezzata: infatti a 50 m i due trattini valgono circa 0,2 mm e quindi l’errore che si commette nella misura del dislivello in presenza di una dissimmetria della superficie equipotenziale è una piccolissima frazione di tale quantità. Si può dunque concludere che, qualunque sia la forma delle superfici equipotenziali del campo della gravità (forma sulla quale in questo caso non dobbiamo fare alcuna ipotesi) la differenza tra battuta indietro e battuta avanti, operando con livellazione geometrica dal mezzo, fornisce la differenza di quota tra i due punti rispetto alla superficie equipotenziale passante per il centro dello strumento. Anche l’effetto della rifrazione, che è comunque piccolo perché vale circa 0,03 mm a 50 m, viene completamente eliminato se la rifrazione è simmetrica rispetto al punto di stazione, ed influisce per una piccola frazione del suo valore globale; quindi è una quantità generalmente trascurabile anche se la rifrazione non è simmetrica. Se la distanza tra i due punti A e B supera i 100 m, occorre suddividere la linea in tratti parziali inferiori a 100 m, per ognuno dei quali vale 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

37

IL RILIEVO

quanto detto in precedenza. Occorre però sottolineare che, affinché abbia un senso definire il dislivello tra A e B in tale situazione, si deve fare l’ipotesi che le superfici equipotenziali siano tra loro parallele (faremo più avanti alcune importanti osservazioni al riguardo). Con tale ipotesi il dislivello può essere riferito ad una qualunque delle superfici equipotenziali passanti per i successivi centri dello strumento. È evidente che il dislivello totale sarà dato dalla somma dei dislivelli parziali e quindi ∆AB = ∑ li – la. 3.2.2.2

LA LIVELLAZIONE GEOMETRICA DI PRECISIONE

Operando secondo lo schema descritto è possibile determinare il dislivello tra punti distanti anche centinaia o migliaia di km, con precisione anche molto elevata (la massima possibile) qualora si adottino particolari accorgimenti e si impieghino strumenti di precisione. La livellazione geometrica di precisione viene pertanto impiegata per determinare le quote di punti fondamentali distribuiti su un vasto territorio da rilevare. È un’operazione con cui si collega altimetricamente il punto di derivazione delle quote (mareografo fondamentale) a punti distribuiti sul territorio. Caposaldo orizzontale di ceramica in apposita fondazione, Data l’elevata precisione che caratterizza la protetto da chiusino in ghisa (piano orizzontale di livellazione geometrica, i punti tra i quali viene riferimento definito da una superficie sferica). misurato il dislivello non possono essere dei punti naturali del terreno, i quali non danno in generale garanzia di stabilità, né permettono di individuare con precisione la posizione altimetrica dei punti. Si devono pertanto materializzare dei punti adatti allo scopo, detti caposaldi, tra i quali si esegue la livellazione. I caposaldi vengono materializzati vincolando a una struttura preesistente (generalmente un edificio) che dia garanzie di stabilità, oppure ad un apposito getto di fondazione, un manufatto di forma opportuna, realizzato in ghisa, bronzo, acciaio inossidabile o ceramica, su cui è definito con esattezza il piano orizzontale di riferimento della quota. I caposaldi riportati in figura costituiscono esempi di caposaldi orizzontali, che sono in sostanza i veri e propri caposaldi, sui quali viene direttamente appoggiata la stadia. La livellazione di ogni tronco tra due caposaldi successivi deve essere sempre fatta due volte, una in andata e l’altra in ritorno (possibilmente da operatori diversi, con strumenti diversi e in ore del giorno diverse) per avere un controllo delle misure e poter calcolare l’errore medio chilometrico della livellazione. La distanza tra due caposaldi successivi è mediamente di 1 km, questo soprattutto per scopi pratici, perché è la distanza che mediamente si può percorrere, in andata e ritorno, in mezza giornata di lavoro. Nei punti intermedi, la stadia viene appoggiata su una apposita piastra preventivamente battuta sul terreno; nel passaggio da una stazione alla successiva, la stadia viene fatta ruotare delicatamente su se stessa, in modo da evitare colpi alla piastra che ne provocherebbero l’affondamento, per cui si avrebbe un errore sistematico nella successiva battuta. Una livellazione si dice di precisione quando il suo errore medio chilometrico è inferiore al millimetro. Lo schema della livellazione è sempre quello dal mezzo (per le ragioni note) con distanze di battuta non troppo elevate (30 ÷ 40 m). L’altezza di battuta alla stadia non deve essere inferiore a 50 cm (in vicinanza del suolo si possono avere delle sensibili variazioni della rifrazione) e non deve essere nemmeno troppo elevata (per limitare l’influenza dell’errore di verticalità della stadia). Lo strumento deve essere sempre tenuto in ombra a causa della grande influenza che l’irraggiamento solare e gli sbalzi di temperatura hanno sui livelli. 38

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL RILIEVO

3.2.2.2.1

LA DETERMINAZIONE DELL’ERRORE MEDIO A PRIORI

Se il dislivello può essere determinato con una sola stazione di livellazione ∆AB = li –la, allora l’errore sul dislivello sarà dato da σ2∆ = σ2li + σ2la; ma non c’è nessuna ragione per ritenere che gli errori di li ed la siano diversi: queste infatti sono letture fatte a stadie poste a uguale distanza, con il medesimo strumento, dal medesimo operatore e in tempi immediatamente successivi. Possiamo quindi porre σli + σla = σ, e quindi σ 2 ∆ = σ 21 + σ 21 ⇒ σ ∆ = σ 21 + σ 21 ⇒ σ ∆ = 2σ 21 ⇒

σ ∆ = σ1 2 . Se i punti A e B sono distanti più di 100 m dobbiamo fare un certo numero n di stazioni e il dislivello n

sarà dato da ∆ AB = ∑ j ⋅(li − la )l , quindi l’errore risulta essere σ∆ = σ1 √2 √n, questo nel caso che, 1

in tutte le letture, si possa assumere un uguale errore µ1, ipotesi ragionevole se supponiamo che le distanze di battuta siano tutte uguali a d (questo non è sempre possibile, ma quando si può è opportuno tenere le distanze di battuta circa uguali in tutte le stazioni). Indicando con D la lunghezza complessiva del tratto AB, il numero n di stazioni che dobbiamo fare è dato da n = D / 2d e quindi, sostituendo questo valore nell’espressione precedente, si ottiene

σ ∆ = σ1 ⋅ 2 ⋅

D D D D ⇒ σ ∆ = σ1 ⋅ 2 ⋅ ⇒ σ ∆ = σ1 ⋅ 2 ⋅ ⇒ σ ∆ = σ1 ⋅ ⇒ 2d 2d 2⋅ d d

D . d Se volessimo fare una valutazione numerica di σ1 dovremmo effettuare un certo numero di collimazioni e letture, calcolarne il valore medio e determinare l’errore di collimazione e lettura in funzione degli scarti della media.

σ ∆ = σ1

3.2.2.2.2

LE QUOTE ORTOMETRICHE, DINAMICHE E GEOPOTENZIALI

Abbiamo già detto nella pagina precedente che, affinché il dislivello tra due punti A e B misurato con livellazione geometrica possa essere definito da ∆AB = ∑li – ∑la, occorre fare l’ipotesi che le superfici equipotenziali della gravità siano parallele. In realtà le superfici equipotenziali non sono parallele: questo dipende dal fatto che tali superfici non sono equigravitazionali, cioè l’accelerazione di gravità non è costante sulle superfici equipotenziali. Consideriamo infatti quella particolare superficie equipotenziale che è il geoide (superficie equipotenziale che meglio approssima il mare medio): l’accelerazione di gravità sul geoide varia con una legge molto complessa (non esprimibile con una espressione analitica chiusa) legata alla distribuzione della densità; se ci limitiamo a considerare la parte principale della variazione, cioè ammettiamo che la variazione di gravità sia dovuta soltanto alla variazione di latitudine (la cosiddetta gravità normale), si può esprimere la variazione del modulo della gravità sul geoide con la seguente formula  g p − ge  ⋅ sin 2 ϕ  (1) g = g e 1 + ge   dove gp e ge rappresentano la gravità al polo e all’equatore; la costante β = variazione relativa della gravità tra il polo e l’equatore e vale circa 5 / 1'000.

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

g p − ge ge

rappresenta la

39

IL RILIEVO

Per un punto a latitudine φ e altezza h sul geoide si deve  g p − ge  ⋅ sin 2 ϕ  aggiungere, al valore fornito dalla g = g e 1 + ge   h (1), il termine correttivo − 2 ⋅ g ⋅ . Dal fatto che sulle R superfici equipotenziali la gravità non è costante, si deduce che tali superfici non sono parallele. Siano infatti P1 e P2 due punti su una superficie equipotenziale di potenziale W; se g1 e g2 sono i valori della gravità in P1 e P2 e dh1 e dh2 sono gli archi infinitesimi delle linee di forza passanti per questi punti, compresi tra la superficie equipotenziale di potenziale W e quella infinitamente vicina di potenziale W – dW, si ha che dW = g1 ⋅ dh1 = g 2 ⋅ dh2 (2) e quindi se g1 ≠ g2, allora sarà anche dh1 ≠ dh2, cioè le due superfici equipotenziali non sono parallele. Dalla dW = g1 ⋅ dh1 = g 2 ⋅ dh2 (2) si può anche dedurre che dh2 − dh1 g1 − g 2 = (3). dh1 g2 La gravità aumenta dall’equatore al polo, di conseguenza la distanza delle superfici equipotenziali del campo della gravità normale diminuisce dall’equatore al polo. Per dare un’idea dell’entità della variazione, si può notare che la variazione relativa di gravità tra dh − dh1 g1 − g 2 l’equatore e il polo, che per la 2 = (3) è anche uguale dh1 g2 alla variazione relativa di distanza tra due superfici equipotenziali, è espressa dal coefficiente β ≈ 0,005; pertanto una superficie di livello a quota 1'000 m all’equatore, risulta a quota 995 m al polo. Per la penisola italiana, compresa all’incirca tra le latitudini φ = 37° e   g p − ge φ = 47°, si può calcolare per mezzo della g = g e 1 + ⋅ sin 2 ϕ  (1) la variazione relativa di ge  

g 47 − g 37 ≅ 0,001 ; pertanto una differenza di quota di 1'000 m tra due superfici di livello in g 37 Sicilia diventa, tra le stesse superfici, di 999 m in Alto Adige. È da notare però che queste considerazioni hanno fondamentale importanza soltanto per le grandi linee di livellazione. Per le grandi linee di livellazione il problema però si pone e deve essere risolto. Vediamo in che modo. Supponiamo di voler determinare la differenza di quota tra P1 e P2; supponiamo inoltre che P1 sia il caposaldo fondamentale (mareografo). In tal caso è evidente che la differenza di quota tra P1 e P2 non è altro che la quota di P2; questa, per definizione di quota, è il segmento di linea di forza compreso tra il punto P2 e il geoide, che nell’ipotesi fatta è la superficie equipotenziale passante per P1; quindi la quota P2 è h2. Una quota (o differenza di quota) così definita viene indicata come quota (o differenza di quota) ortometrica. Un’operazione di livellazione geometrica tra due punti non dà mai la differenza di quota ortometrica, inoltre il risultato della misura dipende dal percorso seguito. In pratica la livellazione seguirà un percorso intermedio s e si otterrà un risultato intermedio tra h1 e h2, dipendente dal cammino percorso. Più in particolare lungo il percorso s determineremo un certo numero di differenze di quota ∆r tra un caposaldo e il successivo. Indicando con gr il valore gravità

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IL RILIEVO

medio dell’accelerazione di gravità in corrispondenza del tratto r–esimo, si ha ∑ gr · ∆r = W1 – W2. Il problema di determinare un valore univoco che possa rappresentare il dislivello tra i punti P1 e P2 sarebbe quindi risolto accoppiando, alle operazioni di livellazione geometrica, delle misure di gravità per mezzo di appositi strumenti detti gravimetri. Tuttavia W1 – W2 è una differenza di potenziale, cioè un lavoro (che è dato dal vettore forza per il vettore spostamento, quindi G G L = F ⋅ s ) su unità di massa, quindi per ridurlo alle dimensioni di una lunghezza, in quanto la differenza di quota è una lunghezza, bisogna dividerlo per una accelerazione. Il lavoro si misura in 2 [J ] =  kg ⋅2m  = [N ⋅ m] = [W ⋅ s ] e dividendo il lavoro per l’unità di massa ottengo che  s 

 m2   s2   2   2   kg ⋅ m 2 1   m 2    = m ⋅ s = [m] , ; dividendo per un’accelerazione, ottengo che ⋅ =      2   2 kg   s   m   s2   m   s  s 2  quindi ottengo l’unità di misura per la quota. Per ottenere valori abbastanza prossimi ai valori delle quote ortometriche, si divide la differenza di potenziale per un valore medio della gravità; come valore medio della gravità si può assumere la gravità normale a 45°, la quale vale 980 gal; si ∑ g r ⋅ ∆ r . In congressi scientifici ottengono in tal modo le cosiddette quote dinamiche 980 gal internazionali si è deciso però di dividere le differenze di potenziale per 1'000 gal, ottenendo le ∑ gr ⋅ ∆r . cosiddette quote geopotenziali 1'000 gal Se volessimo determinare le quote ortometriche, dovremmo fare delle ipotesi sulla variazione delle gravità all’interno della terra: infatti la quota ortometrica di P2 è g ⋅∆ h2 = ∑ ∆’r ed essendo gr · ∆r = g’r · ∆’r allora ∆' r = r r si g 'r g ⋅∆ può scrivere h2 = ∑ ∆' r ⇒ h2 = ∑ r r . Le grandezze g 'r che possiamo misurare sono gr e ∆r; per g’r possiamo fare soltanto delle ipotesi. In pratica è impossibile determinare con esattezza la quota ortometrica; si può determinare soltanto un valore approssimato, che dipende dalle ipotesi che si fanno sulla variazione della gravità all’interno della terra.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

Se per molti anni gli strumenti di rilievo topografico e geodetico erano costituiti da apparati esclusivamente ottico meccanici, oggigiorno le tecnologie elettroniche sono massicciamente impiegate anche in tali strumentazioni, rendendo il compito dell'operatore decisamente più rapido e semplice. Gli strumenti attualmente più produttivi ed economicamente convenienti sono quelli a più forte componente elettronica; restano però ancora molto diffusi gli strumenti ottico meccanici, per cui anche questi vengono presentati nel seguito. Tutte le operazioni topografiche hanno come scopo la misura di classi di grandezze. Gli strumenti adottati per queste operazioni sono: 1. i livelli per la misura delle differenze di quota; 2. i goniometri (teodolite o tacheometro) per la misura di angoli azimutali e zenitali; 3. i distanziometri elettronici per la misura diretta delle distanze. Il teodolite e il livello potranno essere inoltre usati anche per la misura indiretta di distanze brevi (< 100 m) che devono essere determinate con scarsa precisione (10–3). Livello.

4.1

Tacheometro.

Teodolite.

Treppiedi.

I LIVELLI

I livelli sono strumenti topografici che individuano una direzione orizzontale (cioè una direzione normale alla linea di forza del campo gravitazionale passante per il centro ottico strumentale, o tangente alla superficie equipotenziale passante per quel punto) mediante un asse visuale chiamato anche linea di mira o asse di collimazione. Tali strumenti permettono di misurare differenze di livello (o dislivelli) con il metodo della livellazione geometrica (normale o di precisione) attraverso la lettura alla stadia. I livelli si dividono in: 1. autolivelli; 2. livelli digitali. 42

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

Entrambi rendono la linea di mira orizzontale automaticamente. Gli elementi caratterizzanti gli autolivelli sono sostanzialmente: 1. la livella; 2. il cannocchiale collimatore; 3. il compensatore; 4. il sistema di lettura. 4.1.1

LE LIVELLE

La livella in particolare può: 1. rendere orizzontale un asse o un piano; 2. rendere verticale un asse; 3. misurare piccoli angoli di inclinazione di un asse; 4. misurare piccoli angoli zenitali di un asse. La livella viene impiegata anche nei goniometri, nei teodoliti e in altri strumenti. In generale è formata da un recipiente chiuso, riempito nella quasi totalità di un liquido e si può dividere in: 1. livella sferica; 2. livella torica. In ogni caso, lo spazio non occupato dal liquido (per effetto della gravità che agisce su di esso) si dispone nella parte più alta del recipiente chiuso, e prende il nome di bolla o bolla d'aria. 4.1.1.1

LA LIVELLA TORICA

La livella torica è costituita da una fiala di vetro, la cui parte interna è lavorata secondo una porzione di superficie torica. Sulla fiala è incisa una graduazione che normalmente ha un intervallo di 2 mm, la cui origine può trovarsi ad un estremo oppure nel centro. La tangente alla circonferenza direttrice nel punto di mezzo della graduazione si chiama linea di fede della livella; poiché è evidente che la tangente alla direttrice nel punto di mezzo della bolla sia orizzontale, è altrettanto ovvio che, quando la bolla è centrata, la linea di fede è orizzontale. Centrare la bolla significa appunto ruotare la livella fino a che il punto centrale della bolla coincida con il centro della graduazione, in modo che la linea di fede risulti orizzontale. Visto che il punto centrale della bolla non è individuabile con precisione, è più corretto dire che le due estremità della bolla devono essere simmetriche rispetto al centro della graduazione. Negli strumenti topografici si usano livelle aventi sensibilità compresa generalmente a 1’ e 1’’. Si può aumentare la precisione della livella (senza aumentare la sensibilità) rendendo più preciso il centramento, e a questo scopo è stata ideata la livella a coincidenza: essa è una normale livella torica priva però di graduazione, in cui un opportuno sistema di prismi fa apparire affiancate le semi immagini delle due estremità della bolla. La livella è centrata quando le due semi immagini si raccordano. Il sistema a coincidenza consente una precisione di centramento molto maggiore di quella ottenibile con le livelle a graduazione.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.1.1.1.1

LA VERIFICA E LA RETTIFICA DELLA LIVELLA TORICA

La fiala è racchiusa in un cilindro metallico, a sua volta vincolato ad un supporto con delle viti di rettifica che consentono di far variare l'assetto della fiala rispetto alla retta d'appoggio. A tale scopo bisogna realizzare il parallelismo tra la linea di fede e la retta di appoggio in modo che, quando la bolla è centrata, ossia quando la linea di fede è orizzontale, anche la retta di appoggio risulta orizzontale. La livella si dice appunto rettificata quando la linea di fede è parallela alla retta di appoggio. Riassumendo: si corregge lo spostamento della bolla metà con le viti di rettifica della livella, e metà con le viti che muovono la retta di appoggio, ottenendo così il duplice scopo di rettificare la livella e di rendere orizzontale la retta di appoggio. 4.1.1.2

LA LIVELLA SFERICA

La livella sferica è costituita da una fiala di vetro, riempita parzialmente del solito liquido e avente la superficie interna a forma di calotta sferica. È evidente che il piano tangente alla sfera nel centro della bolla è orizzontale. Per piano di fede si intende il piano tangente alla sfera nel centro di un circoletto inciso sulla fiala e quando la bolla è centrata, allora il piano di fede è orizzontale. Anche la livella sferica è collegata ad un piano di appoggio tramite un supporto munito di viti di rettifica: la livella è rettificata quando il piano di fede è parallelo al piano di appoggio. La sensibilità delle livelle sferiche è in genere molto bassa; sono però molto usate negli strumenti topografici perché permettono orientamenti rapidi, anche se poco precisi. 4.1.2

IL CANNOCCHIALE COLLIMATORE

Il mezzo migliore per realizzare un asse di collimazione è un cannocchiale fornito di reticolo. Il cannocchiale astronomico collimatore è costituito da due lenti: l'obiettivo e l'oculare. Il reticolo è costituito da un vetrino con delle linee incise che individuano un punto centrale chiamato centro del reticolo.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

Tutti gli strumenti topografici sono dotati di cannocchiale. Il cannocchiale è composto da: 1. un corpo metallico tubolare; 2. una lente obiettiva L1, che è in genere una lente convergente; 3. una lente interna L2, che è in genere una lente divergente; 4. un reticolo R che è una lastrina di vetro con sopra incisa una crocetta; 5. una lente oculare L3, che è in genere una lente convergente. Le lenti L1 e L2 sono delimitate da superfici sferiche i cui centri Ci devono essere tutti allineati su una retta. Questa retta si chiama asse ottico del cannocchiale. Si chiama invece asse di collimazione la retta che congiunge il centro della lente obiettiva L1 con il centro del reticolo R. Nel cannocchiale l'asse ottico e l'asse di collimazione devono essere coincidenti. La distanza tra la lente L1 e la lente L2 è variabile perché la lente L2 può essere traslata lungo l'asse ottico ruotando il bottone M esterno al cannocchiale. Ruotando il bottone M si fa ruotare il pignoncino p, il quale fa traslare la cremagliera t, il quale è un unico pezzo con il collare K in cui è inserita la lente L2. Il puntamento viene effettuato in modo che l'immagine del punto P si formi sul reticolo, proprio in coincidenza dell'incrocio dei due tratti che formano il reticolo stesso.

4.1.3

IL COMPENSATORE

Gli elementi del compensatore sono: 1. il sistema di prismi per controllare il percorso ottico della linea di mira; 2. il sistema pendolare; 3. lo smorzatore di oscillazioni. Il compensatore ha una sensibilità di 0,2’’ ÷ 0,5’’ e un campo di applicazione di ±15’’. In un autolivello, l'orizzontalità dell'asse di collimazione viene realizzata automaticamente, senza cioè dover compiere alcuna manovra, questo non appena l'asse generale sia stato posto sufficientemente prossimo alla verticale mediante l'uso delle tre viti calanti; ciò è possibile grazie al compensatore.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.1.4

LE STADIE

Per le livellazioni di modesta precisione si usano generalmente comuni stadie di legno lunghe 3 m, provviste di livella sferica e terminanti, all'estremità di appoggio, con una piastra di acciaio. Per le stadie da cantiere di bassa precisione, la graduazione è costituita da tratti alternati bianchi e neri dello spessore di 1 cm. La graduazione è inoltre rovesciata perché generalmente i piccoli livelli non hanno il raddrizzamento dell'immagine. Per le livellazioni di alta precisione si devono invece impiegare speciali stadie, consistenti in un'armatura di legno o metallica a cui è opportunamente fissato un nastro di invar: il fissaggio è realizzato in modo tale che l’armatura possa dilatarsi senza interferire con il nastro di invar. Su queste stadie sono tracciate due graduazioni con tratti di spessore non superiore a 1 mm; i tratti sono tracciati con grande cura in modo che gli errori di graduazione siano inferiori a pochi centesimi di millimetro. Le stadie di precisione devono essere naturalmente provviste di livella sferica e spesso anche di zampe per il sostegno. 4.1.5

GLI ERRORI DI RETTIFICA

Un livello è rettificato se l'asse di collimazione si dispone orizzontale quando il compensatore è libero di funzionare. L'errore residuo di rettifica di un livello è l'angolo ε che l’asse di collimazione forma con l'orizzontale quando lo strumento è nelle corrette condizioni operative, ossia quando il compensatore è libero di funzionare. Anche eseguendo con estrema accuratezza la rettifica di un livello, un errore residuo di rettifica permane sempre. L'errore residuo di rettifica è un errore sistematico e quindi, facendo stazione dal mezzo, la sua influenza viene eliminata: infatti l'errore di lettura che si commette sulle due stadie, pari a d · tan ε, è uguale in valore e segno, per cui la differenza delle letture lA – lB è uguale alla differenza l’A – l’B delle letture che si sarebbero fatte in assenza di errore di rettifica. 4.1.5.1

LA VERIFICA E LA RETTIFICA

La verifica la si può effettuare con il metodo kukkamaki, il quale consiste nel: 1. posizionare le due stadie a circa 20 m (in A e in B); 2. fare la misura dalla stazione dal mezzo, ottenendo quindi il primo ∆1; 3. ripetere la lettura spostandosi dal mezzo e occupando la posizione S ad una distanza d da una stadia e D dall'altra stadia, ottenendo quindi il secondo ∆2. Se ∆1 = ∆2, allora il livello è rettificato; se invece ∆1 ≠ ∆2, allora si procede alla rettifica. La procedura di rettifica consiste nell’agire sulle viti di calibrazione fino a quando sulla stadia B non si legge il valore lb = l’b – ε · D. 46

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.1.6

GLI AUTOLIVELLI

Le caratteristiche principali di un autolivello sono: 1. l'ingrandimento del cannocchiale; 2. il diametro dell'obiettivo; 3. la sensibilità del compensatore. Tutti e tre questi elementi sono determinanti ai fini della precisione di una battuta di livellazione. Dall'ingrandimento del cannocchiale dipende la grandezza apparente dell'immagine della graduazione della stadia, e quindi la possibilità di misurare frazioni più piccole degli intervalli. Tuttavia, l'ingrandimento da solo non è sufficiente per fare delle letture precise se non è congiunto dal diametro dell'obiettivo. Nei più modesti livelli da cantiere si hanno da 15 a 20 ingrandimenti con diametri dell'obiettivo di circa 20 mm; nei livelli di alta precisione invece si hanno da 40 a 60 ingrandimenti con diametri di obiettivo di 50 mm e oltre.

Le letture sulle stadie vengono effettuate con un sistema micrometrico; la precisione può raggiungere 0,1 mm. Il micrometro più diffuso consiste in una lamina piano parallela posta davanti all'obiettivo e girevole intorno ad un asse orizzontale, normale all'asse di collimazione. La rotazione della lamina sposta, in un piano verticale, l'asse di collimazione di una quantità praticamente proporzionale alla rotazione della lamina stessa; la lamina viene fatta ruotare fino a collimare una divisione della stadia; in una scaletta visibile nel campo dell'oculare, si leggono le frazioni di intervallo; l'unità dell'intervallo del micrometro vale di solito 0,1 mm. 4.1.7

I LIVELLI DIGITALI

Come in quasi tutti gli strumenti di misura, l'evoluzione tecnologica negli ultimi 10 anni si è tradotta nell'inserimento di componenti elettroniche decisamente meno onerose e allo stesso tempo più vantaggiose in termini di velocità di esecuzione delle misure. Si è quindi passati dall’autolivello al cosiddetto livello digitale. Sostanzialmente le modifiche sono avvenute sulla parte di lettura alla stadia e nella possibilità di poter memorizzare le letture alla stadia su memorie rigide. Nei livelli digitali, la stadia viene codificata con un codice a barre non interpretabile dall'operatore.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.2

I GONIOMETRI

4.2.1

LA DEFINIZIONE DI ANGOLO AZIMUTALE E DI ANGOLO ZENITALE

Consideriamo tre punti sul terreno A, B e C dove V è la verticale passante per A; πB è il piano definito dalla verticale V e dalla congiungente AB; πC è il piano definito dalla verticale V e dalla congiungente AC; chiamiamo angolo azimutale l'angolo diedro definito dai due piani πB e πC e che ha per spigolo la verticale V. I cerchi azimutali hanno generalmente una graduazione centesimale o graduazione sessagesimale che si sviluppa in senso orario. La misura di un angolo AOB è data dalla formula α = L B -L A dove LB ed LA sono letture delle direzioni OA e OB. Nel caso che le direzioni lette siano a cavallo dello zero si avrà α = LB - (L A - 2π) . Ad esempio α = 5 - 355 - ( 2 ⋅ 200 )  = 5 - [355 - 400 ] = 5 - [-5] = 5+ 5 =10 .

Dato invece un punto A e un punto B, l'angolo zenitale è l'angolo formato dalla verticale per il punto A e la congiungente dei punti A e B. Genericamente uno strumento goniometrico atto a misurare angoli azimutali e zenitali prende il nome di teodolite; tale nome, un tempo, era riservato solo ai goniometri fini (cioè con una lettura angolare al secondo), mentre per i goniometri meno fini (cioè con una lettura angolare a 30’’) si usava il nome di tacheometro. 4.2.2

GLI ASSI DEL GONIOMETRO

Per poter dare al cannocchiale delle rotazioni azimutali e zenitali, nei tre tipi di strumenti topografici che prendiamo in considerazione (livelli, goniometri e distanziometri), esso sarà montato su un asse rotante m, sostenuto da un supporto U che è a sua volta sorretto da un basamento B; il supporto U può ruotare intorno ad un asse r.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

L'asse di rotazione r è detto asse primario, mentre l'asse m è detto asse secondario. L'asse m e l'asse r dovranno essere complanari ed ortogonali e il cannocchiale dovrà essere montato nello strumento in modo che l'asse di collimazione passi per il punto C, il quale dà l’intersezione dei due assi m ed r, e viene detto centro dello strumento. Gli assi principali di un goniometro quindi sono tre: 1. a1, cioè l’asse generale (intorno a cui ruota l'alidada); 2. a2, cioè l’asse di rotazione del cannocchiale; 3. a3, cioè l’asse di collimazione (che come già detto è definito come congiungente del centro del reticolo con il centro ottico della lente obiettiva). Ricapitolando, gli assi principali devono soddisfare le seguenti condizioni al momento della lettura: 1. l'asse generale a1 deve essere verticale; 2. l'asse di rotazione del cannocchiale a2 deve essere orizzontale; 3. l'asse di collimazione a3 deve essere normale all'asse di rotazione a2 del cannocchiale. I tre assi a1, a2, e a3 si devono incontrare in un punto C detto centro dello strumento. Se ciò non si verifica, si hanno diversi errori nella misura sia degli angoli azimutali che degli angoli zenitali. In particolare se l'asse di collimazione a3 non interseca l'asse generale a1 sì ha la cosiddetta eccentricità dell'asse di collimazione. Per quanto riguarda l'eccentricità dell'asse di collimazione e l’eccentricità dell'alidada, si vedrà più avanti che, con opportuni procedimenti operativi (come ad esempio le letture coniugate e le letture agli indici opposti) si riesce ad eliminare la loro influenza nella misura degli angoli. 4.2.3

LE PARTI FONDAMENTALI DEL GONIOMETRO

Le parti fondamentali di un goniometro sono: 1. la base, solidale al terreno attraverso un treppiedi o un apposito pilastrino. 2. il cerchio orizzontale (o azimutale), che porta incisa una graduazione per la lettura degli angoli orizzontali; 3. l’alidada, girevole intorno all'asse generale passante per il centro del cerchio orizzontale (l’alidada serve di appoggio al cannocchiale); 4. il cannocchiale imperniato sull’alidada; 5. il cerchio verticale (o zenitale), fissato sull'asse di rotazione del cannocchiale; 6. due livelle, di cui una di tipo torica fissata sull’alidada, mentre l'altra di tipo sferica fissata alla base; 7. il compensatore collegato all'indice del cerchio verticale. 4.2.4

IL FUNZIONAMENTO DEL GONIOMETRO

Le misure degli angoli vengono effettuate mediante la lettura sui cerchi graduati dopo aver posto in stazione lo strumento, ossia dopo aver reso verticale l'asse generale a1. Ciò si ottiene con l'ausilio delle viti di base e della livella principale. In tale condizione, il cerchio per la lettura degli angoli azimutali, il quale è normale all'asse a1, risulta orizzontale, mentre il cerchio per la misura degli angoli zenitali, il quale è normale all'asse a2, risulta verticale. Il cerchio orizzontale resta solidale alla base durante la misura di un angolo, mentre l'indice di lettura è fissato sul alidada che ruota; il cerchio verticale invece è di solito fissato sull'asse a2 e ruota insieme al cannocchiale quando l'asse di collimazione si muove. 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

Ne deriva che, stazionando su O e dirigendo l'asse di collimazione prima verso il punto A e poi verso il punto C, ed eseguendo sul cerchio orizzontale le rispettive letture lA ed lB, la differenza lB – lA è uguale all'angolo azimutale AOC. Per misurare un angolo zenitale invece si parte dallo zenit, si ruota l'asse di collimazione a3 intorno all'asse a2 nel piano verticale contenente il punto A fino ad incontrare il punto A stesso, e si esegue sul cerchio verticale la lettura lA corrispondenza alla distanza zenitale ZOA. A titolo orientativo, si può dire che i teodoliti hanno una precisione strumentale variabile da 0’’,1 a 5’’ (generalmente 1’’). La precisione conseguibile nelle misure è inferiore rispetto alla precisione strumentale, poiché entrano in gioco cause di errore estranee allo strumento, quali possono essere la rifrazione atmosferica, le condizioni di visibilità dei segnali, ecc. 4.2.5

IL CANNOCCHIALE

Abbiamo già parlato del cannocchiale collimatore a proposito dei livelli; ricordiamo che gli elementi fondamentali che costituiscono un cannocchiale collimatore sono: 1. l'obiettivo; 2. l'oculare; 3. il reticolo; 4. la lenta anallattica. 4.2.6

I MEZZI E I SISTEMI DI LETTURA AI CERCHI

Bisogna poter disporre di appropriati mezzi di lettura per valutare con notevole precisione le frazioni di intervallo. I cerchi sono quasi sempre costruiti in vetro ottico: la graduazione (che è finissima) viene direttamente incisa con una macchina a dividere o riportata con procedimento fotografico. Si tratta comunque di un’operazione delicatissima, perché nell’incisione si deve raggiungere sempre una precisione molto elevata, anche se il cerchio è destinato ad uno strumento di precisione modesta. Nei teodoliti tradizionali, per eliminare l'errore di eccentricità dell'alidada, si devono eseguire le cosiddette letture agli indici opposti, cioè si deve leggere il cerchio in due posizioni diametralmente opposte. Nel teodolite si ottiene una media delle letture agli indici opposti con una sola lettura: ciò è possibile perché tramite opportuni veicoli ottici, le due immagini diametralmente opposte del cerchio vengono riportate entrambe nel campo del microscopio di lettura. Questo dispositivo, che prende il nome di microscopio a coincidenza di immagini, elimina quindi l'effetto dell'errore di eccentricità dell'alidada. L'operatore quindi, dopo aver collimato il punto, deve spostarsi sulla finestra di lettura dove compare la doppia gradazione (cioè dove compaiono le due immagini diametralmente opposte del cerchio di lettura) e una scala graduata con il relativo indice di lettura. Agendo su un'apposita vite, muove una delle due immagini rispetto all'altra fino a far coincidere le due gradazioni. I teodoliti si distinguono dai tacheometri perché, mentre nei teodoliti esistono due indici di lettura (esiste cioè la possibilità di eseguire la lettura simultanea alle parti opposte del cerchio). nei tacheometri si può fare una sola lettura che risulta quindi affetta dall'errore di eccentricità.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.2.7

I SEGNALI DI COLLIMAZIONE

Per collimare dei punti molto distanti, può essere vantaggiosamente impiegato un elioscopio, cioè un dispositivo a specchi che permette di dirigere, stando sul punto da collimare, un fascio di raggi solari verso l'osservatore, a cui il punto appare come una stella. Molto spesso i punti da collimare devono a loro volta essere utilizzati come punti di stazione del goniometro per collimare ad altri punti: occorre quindi che siano materializzati con dei centrini adeguatamente cementati nel terreno o sulla testa di un pilastrino. Per effettuare la collimazione, si dirige dapprima il cannocchiale sul punto mediante un mirino ottico esterno. Con le viti di bloccaggio si fissano l'alidada alla base ed il cannocchiale all'alidada. Dopo tale operazione il punto risulta collimato in modo grossolano, cioè appare nel campo dell'oculare, ma non nel centro delle reticolo. Per il puntamento fine si usano allora le viti di piccoli movimenti, azimutale e zenitale. 4.2.8

LA MESSA IN STAZIONE DEL GONIOMETRO

La messa in stazione del goniometro consiste nel rendere verticale l'asse generale, facendolo passare al tempo stesso per il punto di stazione che sarà materializzato da un centrino. Analogamente ai segnali da collimare, anche i punti di stazione devono essere definiti con una precisione adeguata a quella della misura. Il modo più preciso per realizzare il punto di stazione (che può anche diventare un punto da collimare) consiste nel costruire un pilastrino di cemento armato con una piastra a centramento forzato; sotto la base del teodolite, esattamente centrato sull'asse generale, deve essere montato un piccolo accessorio a forma sferica, che si centra nell'apposita sede ricavata nella piastra. L'errore di centramento è inferiore a 1/10 di millimetro, ma è bene osservare che una tale precisione ha importanza solo per i lati corti. Se il goniometro è montato su un treppiede, allora sorge il problema di centrare l'asse generale sul punto di stazione materializzato sul terreno. A questo scopo il dispositivo usato è il piombino ottico: esso consiste in un cannocchialetto con asse di collimazione spezzato in modo che l'asse stesso possa trovarsi sul prolungamento dell'asse generale del goniometro, e quindi si possa collimare al centro sul terreno. 4.2.9

LE VERIFICHE E LE RETTIFICHE DI UN GONIOMETRO

Con il termine verifiche e rettifiche di un goniometro si intendono quelle operazioni che ci permettono di verificare se gli assi principali del goniometro soddisfano le tre condizioni di rettifica e, qualora ciò non avvenga, ci permettono di rendere soddisfatte tali condizioni. Ricapitolando, le tre condizioni da verificare ed eventualmente rettificare sono: 1. l'asse generale a1 verticale; 2. l'asse di rotazione a2 orizzontale; 3. l'asse di collimazione a3 perpendicolare all'asse di rotazione a2.

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.2.9.1

L'ASSE GENERALE VERTICALE

Si dispone la livella torica parallela a due viti di base e, con una rotazione simultanea inversa delle viti, si centra la bolla. Si ruota poi l'alidada di 180° in modo che la livella torica sia ancora parallela alle stesse due viti di base; l'eventuale spostamento della bolla deve essere corretto metà con le viti di base e metà con le viti di rettifica della livella. Si ruota infine l'alidada di 90° e l'eventuale spostamento della bolla deve essere corretto tutto con la terza vite di base. Con questa operazione, oltre a rendere verticale l'asse principale, si è rettificata la livella torica. Questi due risultati, cioè la verticalizzazione dell'asse principale e la rettifica della livella torica, riescono tanto più precise quanto più la posizione di partenza dell'asse è prossima alla verticale. 4.2.9.2

L'ASSE DI COLLIMAZIONE

È vantaggioso lavorare prima sull’asse di collimazione che sull’asse orizzontale. Non sapendo quindi se l'asse di rotazione è orizzontale, si pone orizzontale l'asse di collimazione collimando ad un punto sull'orizzonte (tale orizzontalità non deve essere rigorosa e basta una valutazione ad occhio). Geometricamente sia C il cerchio orizzontale, cc’ la proiezione dell'asse di collimazione (diretto verso un certo punto P) ed RR’ la proiezione dell'asse di rotazione. Questi due assi dovrebbero essere ortogonali. Si supponga invece che formino un angolo di 90° + ε. Se ora si capovolge il cannocchiale, per riportare la linea di collimazione nella direzione del punto P si dovrà ruotare l'alidada di 180° + 2ε. Allora in definitiva per la verifica si procede in questo modo: si collima al punto e si fa la lettura l1 al cerchio; si capovolge il cannocchiale, si ricollima al punto P e si fa una seconda lettura l2 al cerchio; se l1 – l2 = 180°, allora gli assi sono ortogonali, se invece l1 – l2 = 180° + 2ε, allora esiste un errore di perpendicolarità pari a + ε. Allora per la rettifica si opera in questo modo: si ruota l'alidada di – ε imponendo la lettura l2 – ε; il punto non sarà più collimato, anche se cadrà nel campo del cannocchiale; quindi lo si ricollima spostando il centro del reticolo con le viti di rettifica. In tal modo si avrà il punto collimato e l'asse di collimazione perpendicolare all'asse di rotazione. 4.2.9.3

L'ASSE DI ROTAZIONE ORIZZONTALE

Per questa verifica e rettifica si possono usare vari metodi; il più intuitivo è basato sul fatto che, una volta accertato che esiste la perpendicolarità tra asse di rotazione e asse di collimazione, quest'ultimo (cioè l’asse di collimazione) descriverà un piano verticale quando l'asse di rotazione sia orizzontale, altrimenti descriverà un piano inclinato. Allora per la verifica si può agire così: si collima prima un punto alto P e, abbassando poi il cannocchiale fino all'orizzonte, si collima ad una stadia orizzontale facendo una lettura l’(1); si capovolge poi il cannocchiale, si ricollima a P e si abbassa di nuovo la linea di mira fino a fare sulla stadia una lettura l’’(2); se l’ = l’’ allora l'asse di rotazione è orizzontale, altrimenti esiste un errore di orizzontalità. l' +l'' ; il punto P non sarà collimato e Per la rettifica si ruota l'alidada fino a raggiungere sulla stadia 2 lo si porta quindi in collimazione alzando o abbassando uno degli appoggi del cannocchiale. Si osservi che tutte queste verifiche e rettifiche vanno normalmente seguite in laboratorio secondo l'ordine detto e all'inizio di ogni campagna di misure. In campagna invece ci si limita normalmente a mettere in stazione lo strumento che significa, come già detto, rendere verticale l'asse generale facendolo contemporaneamente passare per il punto di stazione.

52

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.2.10

GLI ERRORI RESIDUI

Nonostante la cura che si pone nelle rettifiche, le condizioni di verticalità dell'asse generale, l'orizzontalità dell'asse di rotazione e la perpendicolarità tra asse di collimazione e asse di rotazione, saranno sempre soddisfatte a meno degli errori che si commettono nelle rettifiche stesse. Esisteranno quindi sempre degli errori, chiamati errori residui, che influiscono sulla misura degli angoli e sono: 1. l'errore residuo di verticalità dell'asse generale v; 2. l'errore residuo di inclinazione dell'asse di rotazione i; 3. l'errore residuo di collimazione c. Questi errori coesistono tutti e tre contemporaneamente. Supponendo però di aver posto particolari cure alle rettifiche, si devono pensare come errori piccoli. Allora se indichiamo con L il valore vero dell'angolo (ci riferiamo sempre ad angoli azimutali) e con L’ quello affetto da errori, si può dire che L – L’ = f (v, i, c); risulta allora che l'errore sull'angolo è una funzione lineare dei tre errori e quindi possiamo studiare gli errori separatamente. Questo principio si chiama principio di indipendenza dei piccoli errori. Ora bisogna vedere l'influenza di ogni errore sulla misura di un angolo e se tale influenza può essere eliminata. 4.2.11

GLI ERRORI STRUMENTALI

Sono errori di costruzione e i principali errori di questo tipo sono: 1. l'eccentricità del alidada; 2. l'eccentricità dell'asse di collimazione (o del cannocchiale). Esiste anche un errore dovuto alla non ortogonalità dell'asse generale con il piano del cerchio orizzontale, ma la sua influenza è generalmente trascurabile. Gli errori strumentali (dovuti alle srettifiche di costruzione) si possono eliminare seguendo la metodologia di Bessel che è così schematizzabile: 1. si collima il punto in esame (supponiamo che durante questa operazione il cerchio verticale dello strumento sia sulla destra dell'operatore); 2. si esegue la lettura simultanea alle parti opposte del cerchio e si ottiene un valore LD; 3. si ruota quindi l'alidada e si ricollima il punto (il cerchio verticale sarà ora sulla sinistra dell'operatore); 4. si riesegue la lettura simultanea alle parti opposte del cerchio e si ottiene un valore LS. Se si assume come valore della misura la media di LD ed LS, allora si elimina l'influenza che sulla lettura hanno tutte le srettifiche dello strumento. Tali srettifiche infatti causano, nelle due diverse condizioni di cerchio verticale a sinistra e cerchio verticale a destra, degli errori di segno opposto che sommati si eliminano. 4.2.11.1

L'ECCENTRICITÀ DELL'ALIDADA

Perché l'alidada abbia la possibilità di ruotare, è indispensabile che ci sia un certo gioco che determina la non coincidenza tra il centro del cerchio graduato e la traccia dell'asse verticale sul piano del cerchio. Quando in un teodolite, o in un altro goniometro, l'asse generale intorno a cui ruota l'alidada non passa esattamente per il centro C del cerchio graduato, ma per un punto C’ leggermente spostato da C, si ha la cosiddetta eccentricità dell'alidada, la quale influisce nella misura degli angoli azimutali. Quindi l'asse generale a1 deve essere normale al cerchio orizzontale e deve passare per il centro del cerchio orizzontale, altrimenti si ha questo tipo di errore.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

Vediamo come l'eccentricità dell'alidada influenza le misure. Supponiamo di collimare il punto B avendo L0. Collimando ora il punto D e leggendo L1, determineremo (per differenza) un angolo a’ = L1 – L0 che differisce dal valore effettivo dell'angolo di ε = e / r, dove e è l’eccentricità, e cioè il lato opposto all’angolo ε, mentre r è il raggio del cerchio graduato. Se il raggio del cerchio graduato è di 6 cm (60.000 µm) e l'eccentricità è di 6 µm, allora avremo: 6 1 1 ε= ⋅ radianti ⇒ ε = ⋅ 200'000 = 20'' . È necessario a questo punto operare una = 60'000 10'000 10'000 distinzione tra i diversi tipi di teodolite in base alla precisione. Si definiscono quindi: 1. i teodoliti, cioè gli strumenti che consentono di eseguire misure con e.q.m. di ± 1"; 2. i tacheometri, cioè gli strumenti che consentono di eseguire misure con e.q.m. di ± 20". In base a questa distinzione, poiché nei tacheometri l'errore dovuto all'eccentricità è dello stesso ordine di grandezza della precisione che si vuol conseguire nella misura, in tale tipo di strumenti l'errore di eccentricità potrà essere trascurato. Ciò non sarà invece possibile nei teodoliti. Nella parte ottica dei teodoliti, infatti, si riesce ad ottenere una precisione anche di 0,5" e un errore quindi di 20" non è assolutamente tollerabile. Tuttavia l'influenza dell'errore dovuto all'eccentricità dell'alidada si e fra elimina completamente soltanto con il procedimento di lettura simultanea alle parti opposte del cerchio. Come si vede infatti in figura, siano L1 ed L2 i valori letti alle parti opposte del cerchio quando si collima il punto A. Tali valori saranno l'uno maggiore, l'altro minore rispetto ai valori che si avrebbero in condizioni ideali di centramento (cioè L e L + π): assumendo pertanto la media dei valori L1 ed L2, si elimina l'influenza del decentramento. Come già detto, i teodoliti si distinguono quindi dai tacheometri perché, mentre nei teodoliti esistono due indici di lettura (esiste cioè la possibilità di eseguire la lettura simultanea alle parti opposte del cerchio), nei tacheometri si può fare una sola lettura che risulta quindi affetta dall'errore di eccentricità. 4.2.11.2

L'ECCENTRICITÀ DELL'ASSE DI COLLIMAZIONE

Se si collima a un punto P, si dovrebbe leggere un angolo α; se invece lo strumento non è corretto, si leggerà un angolo α’ = α + ε. Se ora si capovolge il cannocchiale e si ricollima a P dovremmo α ' + α '' -180° leggeremo un angolo α‘’ = α‘ – ε +180°. Poiché risulta che α = , si conclude che 2 l'influenza dell’eccentricità dell'asse di collimazione sulla misura di un angolo orizzontale si elimina eseguendo le letture coniugate. Ricapitolando, gli errori residui v, i, c e gli errori strumentali influiscono sulla misura di un angolo orizzontale; tale influenza può essere eliminata con: 1. la lettura agli indici opposti (eccentricità dell'alidada); 2. le letture coniugate (i, c, eccentricità dell'asse di collimazione). Resta soltanto v (l’errore di verticalità); nelle operazioni di maggior importanza il suo apporto è piuttosto piccolo, date le grandi distanze in gioco.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.2.12

GLI ERRORI DI GRADUAZIONE

Tra gli errori strumentali possono essere compresi anche gli errori di graduazione, dovuti a imperfette incisione dei cerchi graduati. Come già in precedenza osservato, l'incisione dei cerchi richiede una precisione molto elevata che non è facile da ottenere, e quindi ci saranno sempre degli errori di graduazione, nel in senso che le suddivisioni del cerchio non risulteranno tutte equidistanti. Vedremo in seguito che gli strumenti digitali eseguono automaticamente le letture, esplorando il cerchio orizzontale in tutte le sue parti. 4.2.13

I TEODOLITI ELETTRONICI

Dai teodoliti ottico meccanici si è passati agli attuali teodoliti elettronici. Questi strumenti danno la misura degli angoli orizzontali e verticali su un display, senza bisogno di microscopi di lettura. Le misure effettuate possono essere registrate e successivamente, attraverso l'uso di un software di scarico dati di solito fornito con lo strumento, possono essere memorizzate su un disco rigido di un computer. Prima di effettuare le misure di angoli sia orizzontali che verticali, i cerchi devono essere inizializzati, che significa azzerare su una direzione prestabilita i cerchi di lettura. Essenzialmente le innovazioni realizzate mediante opportune componenti elettroniche riguardano: 1. la misura degli angoli di direzione; 2. La messa in stazione; 3. la registrazione di risultati delle misure; 4. l'inserimento di un microprocessore in modo da poter eseguire elaborazioni delle misure anche durante il rilievo. Il cannocchiale non ha subito sostanziali modifiche; la struttura di questi strumenti è del tutto simile a quella dei teodoliti tradizionali, costituita dal cannocchiale, dall’alidada, dalla base e dalle viti calanti. 4.2.13.1

LA MISURA ELETTRONICA DELLE DIREZIONI

La misura può essere statica o dinamica: nel primo caso il cerchio è fisso al basamento, invece nel secondo caso il cerchio viene fatto ruotare mediante un motore elettrico. In tutti e due i casi, la misura avviene per passi successivi: 1. mediante una lettura al cerchio si ottiene una misura grossolana dell'angolo, approssimata al valore di gradazione al cerchio; 2. successivo affinamento della misura attraverso metodi di interpolazione. Ricordiamo che nei teodoliti classici la metodologia di lettura e la stessa. La precisione di questi strumenti va da qualche milligon a meno di 0,1 milligon. 4.2.13.1.1

LA MISURA ASSOLUTA

Il dispositivo di lettura deve interpretare un cerchio codificato; ad ogni traccia (cioè ad ogni intervallo di gradazione) è associato un codice binario. Esistono dispositivi di lettura di tipo meccanico è di tipo ottico elettronico: nel dispositivo ottico elettronico, il cerchio viene esplorato mediante un diodo luminescente e da un fotodiodo; essi hanno un segnale ben preciso per ogni posizione del cerchio.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.2.13.2

LA MESSA IN STAZIONE

Ricordiamo che la messa in stazione consiste nel rendere verticale l'asse generale dello strumento, provvedendo a farlo passare per il punto materializzato a terra. Questa operazione si effettua con le stesse modalità dei teodoliti classici. La novità è la presenza di un sistema biassiale costituito da due livelle toriche ortogonali, che permette di determinare le componenti dell'errore di verticalità. In questi strumenti quindi si può eliminare l'influenza dell'errore di verticalità v. 4.2.13.3

LA MODALITÀ OPERATIVA PER L’EFFETTUAZIONE DELLA MISURA

I teodoliti elettronici, come quelli tradizionali, prima di una campagna di misura, devono essere rettificati. Gli errori residui di rettifica vanno eliminati con le stesse procedure operative già vista per gli strumenti classici (cioè con il metodo delle letture coniugate). 4.3

I DISTANZIOMETRI

Gli strumenti dedicati alla misura delle distanze prendono il nome di distanziometri e generalmente si suddividono in due categorie: 1. i distanziometri ad onde; 2. i distanziometri a impulsi. 4.3.1

I DISTANZIOMETRI AD ONDE

Nei distanziometri ad onde, la misura della distanza si effettua usando un distanziometro accoppiato ad un prisma retroriflettente. La distanza è misurata tra il centro dello strumento e il centro del prisma, e quindi in generale risulta inclinata; lo strumento esegue una misura di fase tra il segnale in uscita e il segnale in arrivo. Oggigiorno comunque esistono anche distanziometri che non hanno bisogno del prisma, in questo caso l'onda viene riflessa dall'oggetto colpito, e la misura della distanza non è altro che una misura di tempo (differenza tra istante in arrivo e istante d'uscita dell'onda stessa). 4.3.1.1

IL PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO

La distanza si calcola con la λ formula D = n ⋅ +L , dove n sarà 2

il numero intero di lunghezze d'onda contenute nella distanza da misurare, mentre L sarà la frazione di lunghezza d'onda rimanente. Quindi la misura della distanza è nota se si misurano n ed L.

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GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI

4.3.1.2

LA MISURA DI L

La misura di L si traduce come misura del tempo, e dipende dalla lunghezza d'onda usata; i distanziometri con misuratori di tempo sono molto costosi, essendo piccolissimi gli intervalli di tempo intercorso (gli strumenti misuratori di tempo sono ad esempio i distanziometri senza prisma riflettente). 4.3.1.3

LA STIMA DI N

È opportuno puntualizzare che la misura del tempo impiegato dalla onde in andata e ritorno, permette solo di valutare quella porzione di L di distanza che eccede il numero intero; invece il numero intero n lo si può valutare con modalità diverse. La precisione della misura dipende dalla precisione con cui si misura l'eccedenza L e dalla precisione con cui si realizza la lunghezza d'onda λ. 4.3.1.4

I RIFLETTORI

I prismi retroriflettenti sono costituiti da più prismi trirettangoli; il percorso della luce all'interno del prisma, fa sì che la distanza misurata sia generalmente maggiore di quella effettiva. Possiamo dire che globalmente la precisione di un distanziometro è caratterizzata da una struttura lineare, cioè σD = a + b · D, dove possiamo dire che la prima costante a tiene conto della capacità del discriminatore di fase, mentre la seconda parte b · D è dipendente dalla distanza, dovuta all'incertezza della lunghezza d'onda. 4.3.2

I DISTANZIOMETRI A IMPULSI

Se è vero che i distanziometri ad onde sono probabilmente gli strumenti più diffusi, è anche vero che tali strumenti necessitano di un prisma o più in generale di una mira. Esistono particolari applicazioni che però non consentono la collocazione di prismi nell'area da rilevare. Per tali applicazioni si possono utilizzare distanziometri detti distanziometri ad impulsi. Il principio di funzionamento di tali strumenti consiste nella misura del tempo che impiega un impulso a percorrere il percorso di andata e di ritorno che si vuole misurare. La precisione del metodo è quindi dipendente dalla capacità, da parte dello strumento, di rilevare in modo efficace il tempo di ritorno. La distanza (nell'ipotesi che non vi siano effetti di ritardo dovuti a effetti atmosferici) si v⋅t ricava semplicemente dalla relazione D = , dove con v si intende la velocità di propagazione 2 dell'impulso, e con t il tempo di andata e ritorno. Per ottenere distanze con precisione del millimetro, è necessario misurare il tempo con una precisione di 10–12 secondi. Gli impulsi utilizzati vengono emessi da un diodo laser, e il tempo impiegato dall'impulso è ottenuto dal numero di periodi interi trascorsi e dei tempi residui compresi tra lo start, lo stop e la prima oscillazione di riferimento immediatamente successiva, arrivando così ad avere Tm = NT + ta – tb, dove ta e tb prendono il nome di tempi residui.

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IL GPS

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IL GPS

Il sistema GPS è in grado di fornire il posizionamento tridimensionale in tempo reali di oggetti anche in rapido movimento, ed è basato sulla ricezione a terra di segnali radio emessi da satelliti artificiali posti su orbite quasi circolari con raggio di circa 26'500 km (i satelliti sono inoltre a circa 10'200 km di altezza rispetto alla superficie terrestre). I satelliti GPS non sono geostazionari e la loro posizione, rispetto ad un punto solidale sulla terra, cambia nel tempo. La trasmissione dei segnali da parte dei satelliti è in “sola andata”, con una strategia di modulazione di codici binari simile a quella adottata nelle trasmissioni dati nei programmi radio–televisivi (televideo e canali digitali), pertanto il numero dei ricevitori GPS, e quindi degli utilizzatori, può essere teoricamente illimitato. Il GPS ha portato ad una vera e propria rivoluzione anche nel campo del rilievo geodetico e topografico ed ha trovato impiego anche in Italia, prima all’interno di enti di ricerca, poi gradualmente presso i professionisti. Le principali applicazioni GPS in topografia riguardano il rilievo di reti geodetiche aventi finalità molto diversi, come ad esempio l’inquadramento cartografico, il controllo delle deformazioni, l’appoggio fotogrammetrico ecc; ora, grazie alle modalità di osservazione cinematiche in tempo reale RTK (Real Time Kinematic), il GPS si presta anche per le operazioni di tracciamento (ad esempio di opere viarie) con precisioni che possono arrivare a pochi centimetri. 5.1

GLI ELEMENTI DEL SISTEMA GPS

Il sistema GPS viene comunemente suddiviso in tre segmenti: spaziale, di controllo e di utilizzo.

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IL GPS

5.1.1

IL SEGMENTO SPAZIALE

Il segmento spaziale è costituito dalla costellazione satellitare che, nella sua configurazione finale, presenta 24 satelliti posti su sei piani orbitali. Essi sono distanti dalla superficie terrestre circa 20'200 km e il loro periodo di rivoluzione è di 11 ore e 58 minuti. Ogni satellite trasmette segnali di navigazione modulati in fasi su due portanti chiamate L1 e L2, entrambe multiple della frequenza fondamentale f0 = 10,23 MHz degli oscillatori atomici di bordo. I satelliti GPS sono divisi in cinque gruppi chiamati rispettivamente Blocco I, Blocco II, Blocco IIA–Advanced, Blocco IIR–Replacement, Blocco IIF–Follow on. 5.1.2

IL SEGMENTO DI CONTROLLO

Il segmento di controllo è attualmente costituito da cinque stazioni: Hawaii, Colorado Springs, Ascension, Diego Garcia e Kwajalen e sono disposte in una fascia equatoriale. Le stazioni di controllo effettuano un monitoraggio continuo della costellazione GPS. I dati raccolti nella settimana dalle stazioni di controllo vengono elaborati in modo da effettuare una prima stima delle cosiddette effemeridi di riferimento aventi una scarsa precisione (dell’ordine dei 100 m); poi, attraverso una procedura basata sulle osservazioni delle ultime 12 ÷ 24 h, si determinano delle correzioni da applicare agli elementi orbitali e agli orologi. Vengono in questo modo ottenute le effemeridi predette (o Broadcast). 5.1.3

IL SEGMENTO DI UTILIZZO

Tale segmento è costituito da tutti gli utenti che, equipaggiati di un ricevitore GPS, possono acquisire i segnali provenienti dai satelliti. Il posizionamento ottenuto con misure GPS è riconducibile alla posizione del centro di fase dell’antenna del ricevitore che deve essere considerato, in termini topografici, l’equivalente del centro strumentale (la posizione del centro di fase inoltre varia in base alla frequenza delle portanti L1 e L2). Dovrà essere fatta quindi molta attenzione nelle procedure di rilevamento GPS per fini topografici, perciò dovrà essere fatta molta attenzione nella misurazione dell’altezza strumentale (cioè l’altezza tra il riferimento altimetrico dell’antenna e il centrino materializzato al suolo). 5.2

I SISTEMI DI RIFERIMENTO

Come detto in precedenza, il sistema GPS è in grado di fornire la posizione del centro di fase dell’antenna ricevente e tale posizione è riferita rispetto ad una terna cartesiana geocentrica. Vediamo quindi quali sono i sistemi di riferimento da considerare nelle applicazioni GPS. Innanzitutto si deve distinguere tra sistemi di riferimento spaziali solidali, cioè con le cosiddette “stelle fisse”, e i sistemi terrestri solidali, cioè a punti appartenenti alla superficie della terra. Si deve inoltre tenere conto dell’oscillazione dell’asse di rotazione terrestre, indotta principalmente dalla forza gravitazionale generata dal sole e dalla luna. L’oscillazione dell’asse di rotazione rispetto al sistema terrestre si definisce come il moto del polo. Il moto del polo può essere sommariamente descritto attraverso due componenti: la prima (di Chandler) avente un periodo di 430 giorni e caratterizzata da una escursione di circa di 12 m, la seconda avente una oscillazione giornaliera con delle variazioni dell’ordine del metro. Fissando la posizione media dell’oscillazione dell’asse polare Z in una origine convenzionale O e l’asse X in direzione del meridiano di Greenwich, si viene a definire un sistema di riferimento di tipo terrestre denominato TRF (Terrestial Reference Frame).

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IL GPS

Uno di questi sistemi è il WGS84 (World Geodetic System 1984) e si tratta di un sistema di riferimento geocentrico. La precisione massima raggiungibile nella posizione assoluta di un punto, utilizzando tale sistema di riferimento, è dell’ordine di 1 ÷ 2 m. Le effemeridi dei satelliti GPS sono riferite al WGS84. L’operatore però può decidere di visualizzare i dati di navigazione in altri sistemi, nazionali o locali, utilizzando parametri speditivi di trasformazione. La necessità di utilizzo di differenti sistemi di riferimento rispetto al WGS84 è dettata dal fatto che tale sistema non è in grado di garantire elevate precisioni. I sistemi ITRF possono essere considerati coincidenti con il WGS84 solo in prima approssimazione e hanno in realtà caratteristiche proprie, che devono essere considerate qualora il rilievo sia caratterizzato da un’elevata precisione (nel seguito vengono pertanto descritti alcuni dei sistemi di riferimento più frequentemente utilizzati nelle operazioni di rilevamento GPS aventi finalità geodetiche). Il sistema di riferimento ITRF non è statico, ma viene rideterminato periodicamente. Per tale motivo alla sigla ITRF seguono due o quattro cifre, in modo da identificare in modo univoco il riferimento adottato (ad esempio ITRF97). Attualmente viene utilizzato l’ITRF2000. L’ITRF è caratterizzato da una precisione centimetrica nella determinazione della posizione delle stazioni di riferimento e pertanto può garantire l’elevato grado di affidabilità necessario per le osservazioni geodetiche di precisione. È possibile riferire le misure GPS all’ITRF. Tra il sistema WGS84 e ITRF esistono differenti parametri e una delle differenze più significative è quella relativa alla costante gravitazionale, molto importante nella determinazione delle orbite dei satelliti, cioè du = uWGS – uITRF = 0.582.108 [m3 / s2]. Al fine di ridurre tale differenza, che poteva portare ad una notevole confusione tra le coordinate fornite dai diversi enti, la DMA ha cambiato, nel 1994, il valore di u caratteristico del WGS84. In tale operazione di aggiornamento del WGS84 sono state determinate con maggiore precisione anche le coordinate delle stazioni fisse di riferimento. Questo aggiornamento ha portato ad un nuovo e più preciso sistema di riferimento globale denominato WGS84–G730; inoltre è possibile passare anche da ITRF a WGS84. La massima precisione raggiungibile per le coordinate assolute definite (o da definirsi) nel WGS84– G730 è dell’ordine del decimetro. Un’ulteriore breve considerazione deve essere fatta circa i riferimenti altimetrici. Come è noto per quota ortometrica si intende la distanza lungo la linea di forza del campo gravitazionale tra il punto considerato e la superficie geoidica. Vista la modesta curvatura di tale congiungente in prima approssimazione, si considera come quota ortometrica la congiungente tra il punto considerato e il geoide, calcolata secondo la verticale passante per il punto. La componente altimetrica misurata attraverso osservazioni GPS risulta vincolata Superficie di riferimento per l’altimetria. non più dalla superficie geoidica, ma a quella puramente geometrica definita dall’ellissoide di riferimento. Considerando H la quota ortometrica e h l’altezza ellissoidica, i due valori saranno legati tra loro dalla relazione h = H + N, nella quale N rappresenta l’ondulazione geoidica (cioè lo scostamento tra geoide ed ellissoide di riferimento nel punto considerato). 60

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL GPS

5.3

IL SEGNALE GPS

Ogni satellite trasmette un segnale abbastanza complesso costituito da diverse componenti, ma generate tutte dalla stessa frequenza fondamentale f0 = 10,23 MHz. Le diverse componenti del segnale sono: 1. due portanti L1 e L2: sono due onde con frequenza rispettivamente di 154 e 120 volte f0 e lunghezza d’onda rispettivamente di 19 e 24 cm; 2. codici, C/A, P, W e Y: sono sequenze binarie che si ripetono dopo un certo intervallo di tempo; 3. messaggio D: attraverso questo messaggio si informa l’utente sullo stato di “salute” dei satelliti; in pratica qualche satellite, pur essendo attivo, potrebbe non essere utilizzabile, ad esempio perché impegnato in correzione d’orbita o in una calibrazione degli strumenti, ecc; vengono inoltre spedite, sempre attraverso questo messaggio con una trasmissione organizzata in pagine successive, anche le derive degli orologi di boro, le effemeridi dei satelliti, ecc. Nella tabella seguente sono riportati le componenti principali del segnale GPS: Componenti Frequenza MHz Frequenza fondamentale f0 = 10,23 Frequenza portante L1 154 f0 = 1’575,42 (λ = 19,0 cm) Frequenza portante L2 120 f0 = 1’227,60 (λ = 24,4 cm) Codice P f0 = 10,23 Codice C/A 0,1 f0 = 1,023 Codice W 0,2 f0 = 0,5115 Messaggio di navigazione D(t) f0 / 204'600 = 50 · 10–6 In pratica il segnale GPS risulta contenere più informazioni che vengono modulate sulle portanti come indicato nella figura. Risulta che per poter accedere ad esempio alla misura della fase della portante (cioè l’osservabile utilizzato per le applicazioni che necessitano di precisione centimetriche), dovranno essere demodulate dal segnale ricevuto tutte le altre componenti. 5.4

L’UTILIZZO DELLE OSSERVABILI GPS

Il segnale radio emesso dal satellite viene captato dall’antenna GPS del ricevitore; il ricevitore poi identifica il segnale trasmesso dai vari satelliti. Per le sue caratteristiche, un ricevitore GPS geodetico è in grado di effettuare due tipi diversi di misura su di una o su entrambe le portanti: 1. le misure di codice o pseudo–range; 2. le misure di fase (delle portanti). 5.4.1

LE MISURE PSEUDO–RANGE (MISURE DI CODICE)

All’interno del ricevitore è possibile effettuare un confronto tra il segnale di codice ricevuto dal satellite ed una replica dello stesso generata dal ricevitore. Qualora gli orologi posti a bordo del satellite e quello contenuto all’interno del ricevitore fossero perfettamente sincronizzati, dalla 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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IL GPS

misura del disallineamento dei codici si otterrebbe l’intervallo di tempo impiegato dal segnale per raggiungere il ricevitore. Il ricevitore misura in pratica lo sfasamento temporale tra il codice ricevuto e quello generato e lo moltiplica per la velocità della luce, ottenendo in questo modo una pseudo–distanza satellite–ricevitore rij (approssimata a causa della mancata sincronizzazione temporale ricevitore–satellite e per effetto degli errori indotti dalla propagazione del segnale in un mezzo diverso dal vuoto). È possibile esprimere l’equazione di osservazione, denominata come pseudo–range, più o meno nel seguente modo: G G 2 2 2 ri j = ρ − R = X j − X i + Y j − Yi + Z j − Z i + δt i j

(

) (

) (

)

dove: G G 1. ρ − R è la distanza geometrica dal satellite al ricevitore; 2. Xj, Yj e Zj sono le coordinate geocentriche del satellite j all’istante della misura; 3. Xi, Yi e Zi sono le coordinate geocentriche del centro di fase dell’antenna ricevente; 4. δti j è l’errore di sincronizzazione tra gli orologi. Quindi considerando note le coordinate dei satelliti attraverso le effemeridi, le incognite da risolvere restano quattro e cioè Xi, Yi, Zi e δti j . Teoricamente per poter risolvere il seguente sistema occorrono quattro equazioni di osservazione, cioè per poter effettuare il posizionamento in tempo reale occorre la contemporanea visibilità di almeno quattro satelliti. Nel caso in cui siano visibili contemporaneamente più di quattro satelliti è possibile migliorare la precisione effettuando una compensazione ai minimi quadrati. 5.4.2

LE MISURE DI FASE (DELLE PORTANTI)

L’osservazione di fase è ottenuta misurando lo sfasamento tra il segnale della portante proveniente dal satellite, demodulata dagli altri segnali sovrapposti, e la replica della stessa generata dal ricevitore. Considerando il satellite j e il ricevitore i, l’osservabile fase Øij è definita come la differenza tra la fase del segnale del ricevitore Øi all’istante t, e la fase del segnale del satellite Øj all’istante di partenza. All’interno del ricevitore si ottiene una misura frazionaria della differenza di fase, più una parte intera (o delle parti intere) relativa al numero di lunghezza d’onda; resta quindi incognito il numero di lunghezze d’onda intere relativo al momento di inizio delle osservazioni chiamato ambiguità iniziale di fase Nij (diverso per ogni portante di ogni satellite). La portante assoluta del punto però non può essere ottenuta direttamente a causa delle ambiguità iniziali di fase che sono incognite e possono essere risolte, allo stato attuale di precisione dei codici, solo attraverso l’elaborazione di osservazioni simultanee da parte di più ricevitori (come si vedrà nel prossimo 1 j j j j paragrafo). Praticamente l’osservabile di fase è dato da φ j = ⋅ ρ + f δt - f δt + N dove: i i i i i λj i 1 j 1. ⋅ ρ è la distanza satellite–ricevitore diviso la frequenza; i j λ i 2. f jδt j è l’errore dell’orologio del satellite; 3. fi δt i è l’errore dell’orologio del ricevitore; 4. N j è l’ambiguità. i

62

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL GPS

Comunque, nonostante la complicazione indotta dalle ambiguità iniziali, le misure di fase sono molto più accurate delle misure di pseudo–range; inoltre sono l’osservabile GPS maggiormente utilizzato nell’ambito della geodesia. 5.5

LE COMBINAZIONI DI OSSERVABILI

La metodologia maggiormente usata per l’elaborazione delle osservazioni simultanee di più ricevitori, si basa sulla differenziazione delle omologhe osservazioni di fase, cioè le differenze singole, doppie e triple, e sulla combinazione lineare di portanti differenti L1 e L2 (che non tratteremo), cioè widelane, narrow–lane e iono–free. 5.5.1

LE EQUAZIONI ALLE DIFFERENZE SINGOLE Differenza singola.

Dati due ricevitori e un satellite, per un qualsiasi istante di osservazione, si ha la differenza di due 1 equazioni relative al ricevitore 1 e 2 e al satellite j, cioè φ1j (t ) = ρ1j (t ) + fδt j − fδt1 + N 1j e

λ

φ 2j (t ) =

1

λ

ρ 2j (t ) + fδt j − fδt 2 + N 2j . Facendo la differenza tra le due equazioni si ottiene:

1 1 φ2j ( t ) - φ1j ( t ) =  ρ2j ( t ) + fδt j - fδt 2 + N 2j  -  ρ1j ( t ) + fδt j - fδt1 + N1j  ⇒ λ  λ  j j 1 j 1 ρ ( t ) + fδt - fδt 2 + N j - ρ j ( t ) - fδt + fδt1 - N j ⇒ ⇒ φ j (t) - φ j (t) = 2 1 2 λ 1 1 λ 2 1  j ⇒ φ j (t) - φ j (t) = ρ - ρ j  - fδt 2 + fδt1 + N j - N j  2 1 1 2 1 λ  2 Come si può osservare scompare il termine relativo agli errori dell’orologio del satellite. Sinteticamente l’osservabile differenza singola di fase viene scritta nel seguente modo: 1 DS = φ12j (t ) = ρ12j (t ) − fδt12 + N12j [1]

λ

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

63

IL GPS

5.5.2

LE DIFFERENZE DOPPIE Differenza doppia.

Dati due ricevitori 1 e 2 e due satelliti j e k, per ogni epoca di osservazione si possono scrivere due equazioni alle differenze singole, una per il satellite j e l’altra per il satellite k e cioè, partendo 1 1 dalla DS = φ12j (t ) = ρ12j (t ) − fδt12 + N12j [1], si ottengono φ12j (t ) = ρ12j (t ) − fδt12 + N 12j e

λ

φ12k (t ) =

1

λ

λ

ρ12k (t ) − fδt12 + N12k . Facendo la differenza si ottiene: 1

1

k (t ) − φ j (t ) =  ρ k (t ) − f δ t + N k  −  ρ j (t ) − f δ t + N j  ⇒ φ12  λ 12 12 12   λ 1 12 12 12  j ⇒ k (t ) − φ j (t ) = 1 ρ k (t ) − f δ t k − 1 ρ j (t ) + f δ t ⇒ φ12 + N12 − N12 12 12 12 λ 12 λ 1 k (t ) − φ j (t ) = 1  ρ k (t ) − ρ j (t )  + N k − N j ⇒ φ12 12 12 1 12  λ  12 e come si può vedere, in questo caso si elimina anche l’errore degli orologi dei ricevitori. L’osservabile differenza doppia è solitamente indicato nella forma seguente: 1 DD = φ12jk (t ) = ρ12jk (t ) + N 12jk [2]

λ

64

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

IL GPS

5.5.3

LE DIFFERENZE TRIPLE Differenza tripla.

Dati due ricevitori 1 e 2, due satelliti j e k e due epoche di misura successive t1 e t2 è possibile scrivere per le due epoche le seguenti differenze doppie e cioè, partendo dalla 1 1 1 DD = φ12jk (t ) = ρ12jk (t ) + N 12jk [2], si ottengono φ12jk (t1 ) = ρ12jk (t1 ) + N12jk e φ12jk (t 2 ) = ρ12jk (t 2 ) + N12jk

λ

λ

λ

ed effettuandone la differenza si ottiene: jk t − φ jk t =  1 ρ jk t + N jk  −  1 ρ jk t + N jk  ⇒ φ12  λ 12 2 2 12 1 12   λ 12 1 12  jk t − φ jk t = 1 ρ jk t + N jk − 1 ρ jk t − N jk ⇒ ⇒ φ12 2 12 1 12 12 λ 12 2 λ 12 1 jk t − φ jk t = 1  ρ jk t − ρ jk t  ⇒ φ12 2 12 1 12 1  λ  12 2 dove si elimina il termine relativo all’ambiguità. L’osservabile differenza tripla può essere scritta nel seguente modo: 1 DT = φ12jk (t12 ) = ρ12jk (t12 ) [3]

( )

( ) ( )

( )

( ) ( )

( )

( )

( ) ( )

( )

( )

λ

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

65

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

6

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

6.1

LA MEDIA ARITMETICA COME VALORE DI SINTESI DI UNA SERIE DI N MISURE

Fatte n misure di una quantità di grandezza che abbiano prodotto i valori O1, O2, …,Oi,…On, il valore da assumere come valore finale della serie di misure è dato dalla media aritmetica M dei valori ottenuti e cioè: O + O2 + ... + Oi + ... + On [1] M= 1 n Una delle proprietà della media aritmetica è quella di rendere nulla la somma delle differenze tra gli n valori Oi e la media stessa: si ricava dalla [1] che O1 + O2 + ... + Oi + ... + On = nM ottenendo

O1 + O2 + ... + Oi + ... + On - nM = 0 , quindi si ha ( O1 -M ) + ( O2 -M ) + ... + ( Oi -M ) + ... + ( On -M ) = 0 e indicando il generico scarto con vi = Oi – M si ha v1 + v2 + … + vi + … + vn = 0. Se una persona esegue n misure di una quantità di grandezza e ne fa la media, ottiene un certo valore; se un’altra persona ripete le misure n volte ne ottiene, con molta probabilità, un altro valore. Quindi siamo ancora in presenza di valori non univoci. La risposta che dà la teoria delle misure è questa: se si vuole che una serie di misure dia un valore univoco (cioè uguale) indipendentemente da chi la esegue, occorre fare infinite misure. Il valore che si otterrebbe facendo infinite misure è quello che la teoria delle misure definisce valore vero della misura. Poiché nessuno è in grado di fare infinite misure di una quantità di grandezza, è chiaro che il valore vero della misura di una quantità di grandezza non sarà mai noto. L’operazione di misura di una quantità di grandezza ci porterà quindi a conoscere solo una stima empirica del valore vero; in altre parole sia una generica misura di una serie di n misure, sia la media aritmetica della serie di misure, sono delle stime empiriche della misura vera. La media aritmetica viene assunta come valore più rappresentativo della misura vera (ricavabile dalla serie di misure fatte) perché essa ha la maggior probabilità di essere più vicina al valore vero di quella che ha una generica misura della serie. La differenza tra un generico valore di misura di una quantità di grandezza e il valore vero si chiama errore. Da quanto detto, e cioè che il valore vero non lo conosceremo mai, ne deriva che non conosceremo mai neanche l’errore di una misura; sappiamo solo che l’errore c’è! Vedremo tra poco come valutare un valore medio di questo errore. 6.2

LA VALUTAZIONE DELL’ERRORE QUADRATICO MEDIO DI UNA SERIE DI N MISURE

Abbiamo detto che se facciamo una serie di n misure di una quantità di grandezza, ciascuna misura sarà affetta da un errore che però non ci è possibile conoscere perché non conosciamo il valore della misura vera. Se è vero che non potremo mai in alcun modo conoscere l’errore di una misura, la teoria degli errori ci insegna come fare (quando abbiamo fatto n misure di una quantità di grandezza) a calcolare un parametro che ci dice quanto ciascuna delle n misure si discosta mediamente dal valore vero. Questo parametro si chiama errore quadratico medio e.q.m della serie di misure, il quale è dato dalla radice quadrata della somma degli scarti al quadrato divisa per n – 1:

( O1 -M) + ( O2 - M) 2

m= ± o, più sinteticamente: 66

2

+ ... + ( Oi -M ) + ... + ( On -M ) 2

2

n -1

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

m=±

∑v

2 i

n -1 Se i valori numerici di una serie di misure di una stessa quantità di grandezza sono molto simili, ciò è indice di misure fatte bene, mentre valori molto dispersi sono un indice di misure fatte meno bene. Ora: più i valori sono dispersi e più grandi saranno le differenze tra i valori di misura e la loro media, cioè maggiori saranno gli scarti delle misure; quindi c’è proporzionalità tra errore medio e scarti. Il fatto che nella formula ci sia al denominatore n – 1 anziché n, deriva dallo sviluppo rigoroso della teoria degli errori, ma può essere giustificato in maniera logica dicendo che se si fa una sola misura di una quantità di grandezza, allora il suo e.q.m è infinito, poiché non possiamo neanche accorgerci di aver fatto, ad esempio, un clamoroso errore grossolano, in quanto non abbiamo alcun altro valore di confronto. Il significato dell’e.q.m è molto importante: la teoria degli errori dimostra infatti che una generica misura della serie di misure da cui l’e.q.m deriva, ha il 67% di probabilità di differire al massimo del valore dell’e.q.m dal valore vero. Con un linguaggio molto grossolano potremmo dire che l’e.q.m rende meglio l’idea della precisione di una misura.

6.3

LA VALUTAZIONE DELL’ERRORE QUADRATICO MEDIO DELLA MEDIA DI UNA SERIE DI N MISURE

Al paragrafo precedente abbiamo visto come si calcola l’attendibilità di una misura che faccia parte di una serie di n misure. Il valore che però noi assumiamo come valore finale per la serie delle n misure è la sua media aritmetica, cioè un valore di sintesi che tiene conto di tutte le misure fatte; il grado di attendibilità della media aritmetica è quindi più alto di quello di una misura singolarmente presa. La teoria degli errori dimostra infatti che l’errore quadratico medio della media di n misure è dato dall’errore quadratico medio della serie delle misure diviso la radice quadrata del numero delle misure fatte e cioè: m mM = n quindi l’e.q.m della media diminuisce non proporzionalmente al numero delle misure fatte, bensì proporzionalmente alla radice quadrata delle misure fatte; questo significa che l’aumento dell’affidabilità lo paghiamo caro. In altre parole, e facendo un esempio: se con una serie di n misure otteniamo un risultato che ha un e.q.m. di 1 cm e vogliamo invece avere un risultato che abbia un e.q.m di 1 mm, dobbiamo fare una serie di r misure con r = n · 100. Analogamente a quanto detto per l’e.q.m di una generica misura di una serie n di misure, la teoria degli errori dimostra che la media M di una serie di n misure ha il 67% di probabilità di differire al massimo del valore dell’e.q.m dal valore vero. 6.4

LA RAPPRESENTAZIONE SINTETICA DI UNA SERIE DI N MISURE

In base a quanto esposto ai precedenti punti ci chiediamo: una volta che si siano fatte n misure di una quantità di grandezza, come si esprime il risultato finale? La risposta è: il risultato finale e sintetico della serie delle n misure è dato dalla media aritmetica più o meno l’e.q.m della medesima e cioè: M ± mM Anche se il valore della media potrebbe differire anche di tre volte il suo e.q.m dal valore vero, si ritiene che sia più corretto associare (come parametro di affidabilità) al valore della media aritmetica M il suo e.q.m, poiché la media M ha il 67% di probabilità di differire al massimo del 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

67

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

valore dell’e.q.m dal valore vero. Sarebbe troppo severo infatti associare alla media M (come grado di affidabilità) il valore massimo di differenza dal valore vero che è dato da tre volte l’e.q.m, poiché c’è solo il 33% di probabilità che il valore della media differisca, dal valore vero, di una quantità comprese tra l’e.q.m e il triplo dell’e.q.m. 6.5

UN ESEMPIO PRATICO

Supponiamo che io debba misurare la larghezza di una cornice nella quale inserire un vetro (tutto quello che diremo per la larghezza varrà anche per l’altezza, della quale non ci occuperemo). Supponiamo che io abbia a disposizione per effettuare la misura una riga graduata in centimetri. Lo strumento di misura avrà quindi la sensibilità del centimetro e la precisione di 10–2 (cioè 1 centimetro diviso 100 centimetri). Quindi uno strumento di precisione molto bassa. Misuro con questo metro per sei volte la larghezza della cornice in cui devo inserire il vetro e ottengo questi sei valori espressi in cm: 47,1 47,1 47,8 47,6 47,2 47,9 I valori decimali rappresentano i millimetri che ho di volta in volta stimato nelle sei operazioni di misura. In base a quanto detto assumerò come valore finale della serie di misure la loro media aritmetica, che è M = 47,5 cm Per valutare il grado di affidabilità con il quale ho fatto le misure calcolo l’errore quadratico medio delle serie delle misure con la formula

( O1 - M) + ( O2 -M) 2

m=±

2

+ ... + ( Oi -M ) + ... + ( On - M ) 2

2

⇒m=±

∑v

2 i

n -1 Calcolo gli scarti: v1 = 47,4 – 47,5 = –0,1

n -1

v2 = 47,1 – 47,5 = –0,4

v3 = 47,8 – 47,5 = +0,3

v4 = 47,6 – 47,5 = +0,1

v5 = 47,2 – 47,5 = –0,3

v6 = 47,9 – 47,5 = +0,4

Calcolo la somma degli scarti al quadrato: ∑vi2 = 0,01 + 0,16 + 0,09 + 0,01 + 0,09 + 0,16 = 0,52. Divido per n – 1, cioè per 5, e ottengo 0,104. Infine estraggo la radice quadrata e ottengo: m = ± 0,32 cm Dire che una qualsiasi delle misure che ho fatto ha un errore quadratico medio di ± 0,32 cm, significa che una qualsiasi delle sei misure ha il 67% di probabilità di differire al massimo dal valore vero della larghezza della cornice di ± 0,32 cm. La media dei sei valori ha invece un errore quadratico medio di: ±0,32 = ±0,13 cm mM = 6 Quindi il risultato finale della misura lo esprimo così: 47,5 cm ± 0,13 cm Questo risultato significa che con il 67% di probabilità, il valore vero della larghezza della cornice è compreso tra 47.5 – 0,13 e 47,5 + 0,13 e cioè tra 47,37 cm e 47,63 cm. Però c’è un residuo 33% di probabilità che il valore vero della larghezza della cornice sia compreso in un intervallo di più o meno tre volte l’e.q.m nell’intorno della media M e cioè tra 47,5 – 0,39 e 47,5 + 0,39 e quindi tra 47,11 cm e 47,89 cm. Quindi (supponendo che il vetraio tagli il vetro con una larghezza esattamente uguale a quella che gli chiedo) se io voglio essere certo che il vetro che ordino entri poi in larghezza nella cornice devo dire al vetraio di tagliarlo con una larghezza di 47,11 cm, cioè in pratica di 47 cm. Naturalmente ordinando il vetro di larghezza di 47 cm, il vetro potrebbe poi risultare più stretto di 89 mm rispetto alla cornice, poiché la larghezza della cornice potrebbe anche avere il valore estremo positivo di 47,89 cm. Però potrebbe anche capitare che la cornice sia, in realtà, larga solo 68

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

47,11 cm come si spera e in questo caso il vetro entrerà nella cornice lasciando solo un spazio di 0,11 cm, cioè ci entrerà per pochissimo. Se non sono soddisfatto di queste possibili eventualità devo migliorare l’affidabilità della misura. Posso ottenere questo miglioramento in due modi: o procurandomi uno strumento di misura di maggiore sensibilità e precisione o aumentando il numero delle misure. Se ad esempio mi potessi procurare un metro graduato in millimetri anziché in centimetri, cioè uno strumento di precisione di 10–3, dovrei stimare non i millimetri, ma eventualmente solo il mezzo millimetro, e quindi otterrei una misura con un e.q.m. molto inferiore. Se non mi è possibile procurarmi uno strumento di misura migliore, posso ripetere le misure un maggior numero di volte. Abbiamo detto infatti detto che, se m è l’e.q.m di una serie di misure, l’e.q.m della loro media M (e cioè mM) è di n volte più piccolo. Quindi supponendo che l’e.q.m delle misure che faccio rimanga di m = ± 0,32 cm, ma che io esegua non sei ma ad esempio 15 misure, l’e.q.m mM della media M delle 15 misure sarà uguale a mM = ±0,32 15 , cioè uguale a ± 0,08 cm. 6.6

LA PROPAGAZIONE DELLA VARIANZA

6.6.1

FUNZIONI DI UNA SOLA VARIABILE CASUALE

La formula da utilizzare in questo caso è: 2

dg  2  σx  dx  µ

σ y 2 ≈ 

Questa espressione è quella che si considera per la propagazione della varianza per funzioni non lineari di una variabile casuale. 6.6.1.1

ESERCIZIO

Assegnata la latitudine geografica φ di un punto della superficie fisica della terra e sapendo che essa è caratterizzata da un errore quadratico medio pari a σø, calcolare l’errore quadratico medio associato al a ⋅ cos φ raggio di curvatura del parallelo r = passante per tale punto (si assumano a ed e costanti 1 − e2 ⋅ sin2 φ nel calcolo). 2 a ⋅ cos φ f dg La formula da utilizzare è σ y 2 ≈   σ x 2 . Posso scrivere r = = , per cui si possono 2 2 dx  µ 1 − e ⋅ sin φ g

ricavare le derivate 1.

df dg e : dφ dφ

df = 0 ⋅ cos φ + a ⋅ − sin φ = −a ⋅ sin φ con la formula del prodotto f '( x ) ⋅ g ( x ) + f ( x ) ⋅ g '( x ) ; dφ 1 2

2. la funzione g può anche essere scritta come g = 1 − e ⋅ sin φ = (1 − e ⋅ sin φ ) , quindi 2

dg 1 = 1 − e2 ⋅ sin2 φ dφ 2

(

1 2

) ⋅ ( −e −

2

)

⋅ 2 ⋅ sin φ ⋅ cos φ = −

formula delle derivate n f ( x ) 

n −1

2

2 ⋅ e 2 ⋅ sin φ ⋅ cos φ 2 1 − e 2 ⋅ sin2 φ

2

=−

2

e 2 ⋅ sin φ ⋅ cos φ 1 − e2 ⋅ sin2 φ

,

usando

la

⋅ f '( x ) .

Ora si può calcolare la derivata di r rispetto a ø con la formula delle derivate

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

f '( x ) ⋅ g ( x ) − f ( x ) ⋅ g '( x )  g( x )   

2

:

69

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

  e 2 ⋅ sin φ ⋅ cos φ    −a ⋅ sin φ ⋅ 1 − e 2 ⋅ sin2 φ −  a ⋅ cos φ  − 2 2    e − ⋅ φ 1 sin dr    = 2 2 dφ 1 − e ⋅ sin φ a ⋅ cos2 φ ⋅ e2 ⋅ sin φ −a ⋅ sin φ ⋅ 1 − e 2 ⋅ sin2 φ + 1 − e 2 ⋅ sin2 φ dr = dφ 1 − e 2 ⋅ sin2 φ dr −a ⋅ sin φ ⋅ 1 − e 2 ⋅ sin2 φ a ⋅ cos2 φ ⋅ e 2 ⋅ sin φ = + dφ 1 − e2 ⋅ sin2 φ 1 − e2 ⋅ sin2 φ ⋅1 − e2 ⋅ sin2 φ

(

1 2

1 2

) ⋅ (1 − e ⋅ sin φ ) + a ⋅ cos dr = dφ (1 − e ⋅ sin φ ) ⋅ (1 − e ⋅ sin φ ) dr −a ⋅ sin φ ⋅ (1 − e ⋅ sin φ ) + a ⋅ cos φ ⋅ e ⋅ sin φ = dφ (1 − e ⋅ sin φ ) a ( e − 1) sin φ dr = dφ (1 − e ⋅ sin φ ) −a ⋅ sin φ ⋅ 1 − e2 ⋅ sin2 φ

2

2

2

1 2

2

2

2

2

2

2

2

2

φ ⋅ e2 ⋅ sin φ

2

2

3 2

2

2

2

2

 dr  2  ⋅ σφ d φ  

σ r2 = 

3 2

 2  a e − 1 sin φ = 3  1 − e 2 ⋅ sin2 φ 2 

(

)

(

)

2

 2 a2 e 2 − 1 sin2 φ  2 2 ⋅ σφ 2 ⇒  σφ ⇒ σ r = 3 2 2 1 − e ⋅ sin φ  

(

σr =

6.6.2

(

(

)

)

2

a2 e 2 − 1 sin2 φ

(1 − e

2

)

⋅ sin φ 2

)

3

⋅ σφ 2

FUNZIONI CON PIÙ DI UNA VARIABILE CASUALE

La formula da utilizzare in questo caso è: σY

2

2

n  δg  2  δ g  δ g ≈   σi +    i =1  δ x i  i , j =1  δ x1   δ x j n



∑ i≠ j

La parte costituita da

  σ ij  

 δ g  δ g   σ ij è da usare solo quando si stabiliranno delle particolari  1  j  i , j =1 n

∑  δ x   δ x i≠ j

condizioni riguardanti le variabili; se non ci sono particolari condizioni si usa la formula: σY

2

2

 δg  2 ≈   σi i =1  δ x i  n



Questa espressione considera, come si può vedere dalla simbologia usata nella formula, le derivate parziali.

70

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

6.6.2.1

ESERCIZIO

La nostra funzione non è più r come prima ma è y = a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 φ . δy δy δy δy , , e per poi Quindi ho a, α, b, e β, da cui devo ricavare le quattro derivate parziali δ a δα δ b δβ utilizzare la formula σ Y

2

2

 δg  2 ≈   σi . i =1  δ x i  n



δy 1 2 ⋅ a ⋅ cos2 α a ⋅ cos2 α = ⋅ 2a ⋅ cos2 α = = . δ a 2 a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 2 a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β a 2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β δy 1 −a2 ⋅ 2 ⋅ sin α ⋅ cos α −a2 ⋅ sin α ⋅ cos α = ⋅ a 2 ( −2 ⋅ sin α ⋅ cos α ) = = δα 2 a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β a 2 ⋅ cos2 α + b 2 ⋅ sin2 β 2 a 2 ⋅ cos2 α + b 2 ⋅ sin2 β

δy 1 2 ⋅ b ⋅ sin2 β b ⋅ sin2 β = ⋅ 2b ⋅ sin2 β = = δ b 2 a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 2 a2 ⋅ cos2 α + b 2 ⋅ sin2 β a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β b2 ⋅ sin β ⋅ cos β δy 1 2 ⋅ b2 ⋅ sin β ⋅ cos β = ⋅ b 2 ⋅ 2 ⋅ sin β ⋅ cos β = = δβ 2 a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β a2 ⋅ cos2 α + b 2 ⋅ sin2 β 2 a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 2

2 a ⋅ cos2 α  δ y  =     2  δ a   a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β

 a2 ⋅ cos 4 α  = 2  a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 

2 −a2 ⋅ sin α ⋅ cos α  δ y  =     2  δα   a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β

 a 4 ⋅ sin2 α ⋅ cos2 α  = 2  a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 

2 b ⋅ sin2 β  δ y  =     2  δ b   a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β

 b2 ⋅ sin4 β  = 2  a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 

2 δy   b 2 ⋅ sin α ⋅ cos α  =    δβ   a2 ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β

 b 4 ⋅ sin2 β ⋅ cos2 β  = 2  a ⋅ cos2 α + b2 ⋅ sin2 β 

σY

2

2

2

2

2

2

 δ g  2  δ y 2 2  δ y 2 2  δ y 2 2  δ y  2 ≈   σi =   σa +   σα +   σ b +   σβ δ δ δα δ δβ x a b         i  i =1  n





  a 4 ⋅ sin2 α ⋅ cos2 α     b 4 ⋅ sin2 β ⋅ cos2 β  a2 ⋅ cos 4 α b2 ⋅ sin4 β ⋅ σ a2  +  2 ⋅ σα 2  +  2 ⋅ σ b2  +  2 ⋅σβ2  2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 a cos α b sin β a cos α b sin β a cos α b sin β a cos α b sin β ⋅ + ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ + ⋅        

σY 2 = 

2



  a 4 ⋅ sin2 α ⋅ cos2 α     b 4 ⋅ sin2 β ⋅ cos2 β  a2 ⋅ cos4 α b2 ⋅ sin4 β ⋅ σ a2  +  2 ⋅ σα 2  +  2 ⋅ σ b2  +  2 ⋅σβ2  2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 ⋅ + ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ + ⋅ ⋅ + ⋅ a cos α b sin β a cos α b sin β a cos α b sin β a cos α b sin β        

σY = 

2

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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LA CARTOGRAFIA

7

LA CARTOGRAFIA

7.1

LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ELLISSOIDE SUL PIANO

Si considera sulla superficie di un cilindro un triangolo ABC i cui lati a, b e c siano archi di geodetiche; i corrispondenti angoli α, β e γ saranno gli angoli formati dalle tangenti alle geodetiche.

Se ora tagliamo il cilindro secondo una generatrice (cioè la linea tratteggiata verticale sulla superficie del cilindro) e lo distendiamo sul piano, noteremo che il triangolo geodetico si deforma, nel senso che da figura spaziale diviene piana; i lati però, anche trasformandosi da archi di geodetiche a segmenti di retta (segmento chiamato geodetica del piano), mantengono la stessa lunghezza e l’analogo discorso vale anche per gli angoli che mantengono inalterato il loro valore. L’ellissoide invece (o nel caso più semplice la sfera) non è una superficie sviluppabile sul piano, nel senso che non è possibile distenderla sul piano senza che gli angoli e i lati subiscano delle deformazioni. Di conseguenza qualsiasi rappresentazione dell’ellissoide sul piano, cioè una carta, risulta deformata. Le deformazioni che devono essere apportate all’ellissoide per estenderlo su di un piano variano in infiniti modi e quindi si possono ottenere varie rappresentazioni in funzione degli stiramenti o contrazioni che saranno applicati; inoltre queste deformazioni non risulteranno uguali per tutta la superficie, nel senso che una figura ellissoidica identica, ma posta in due posizioni diverse, risulterà diversamente deformata sulla carta. Per poter disegnare su una carta la rappresentazione dell’ellissoide, dovremo opportunamente rimpicciolire le lunghezze di un coefficiente n, il cui inverso 1 / n viene indicato come scala della carta. Per definire le deformazioni in un punto della rappresentazione si prendono in considerazione separatamente tre tipi di deformazioni: lineare, areale e angolare. 7.1.1

IL MODULO DI DEFORMAZIONE LINEARE

Se indichiamo con dse un archetto infinitesimo di geodetica sull’ellissoide e con dsr il corrispondente nella rappresentazione nella figura, il ds rapporto m1 = r dicesi modulo di dse deformazione lineare.

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17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

LA CARTOGRAFIA

7.1.2

IL MODULO DI DEFORMAZIONE SUPERFICIALE

Se indichiamo con dσe un elemento di area infinitesimo sull’ellissoide e con dσr il corrispondente elemento sulla rappresentazione, si dice modulo di deformazione superficiale il dσ rapporto mσ = r . dσ e 7.1.3

LA DEFORMAZIONE ANGOLARE

Se consideriamo un meridiano sull’ellissoide e la linea che gli corrisponde nella rappresentazione (linea chiamata trasformata del meridiano) e consideriamo inoltre l’azimut α‘ della corrispondente linea sulla rappresentazione, la differenza δ = α‘ – α si chiama deformazione angolare. 7.1.4

I DIVERSI TIPI DI RAPPRESENTAZIONI

La rappresentazione piana dell’ellissoide comporta sempre delle deformazioni definite dai tre parametri descritti prima. La teoria delle carte studia diversi sistemi per la formazione di rappresentazioni che approssimino il meglio possibile la planimetria del terreno sull’ellissoide. Tra tutte queste rappresentazioni, se ne possono definire alcune chiamate isogone o conformi che mantengono l’uguaglianza tra gli angoli, nelle quali cioè la deformazione angolare è nulla (δ α = 0). Analogamente si possono definire rappresentazioni che risultino equivalenti, cioè mantengano inalterato il rapporto tra elementi areolari corrispondenti; in tali rappresentazioni il modulo di deformazione areale risulta uguale all’unità (mα = 1). Non si possono avere invece rappresentazioni equidistanti, cioè con modulo di deformazione lineare uguale all’unità, in quanto ciò implicherebbe la realizzazione di rappresentazioni senza deformazioni. Le rappresentazioni che invece presentano tutte le deformazioni, ognuna delle quali però mantenuta nel limite più ristretto possibile, si indicano con il nome di afilattiche. Tutti questi tipi di rappresentazioni presentano ciascuna dei vantaggi per specifici usi: per esempio una rappresentazione conforme è particolarmente utile per la navigazione, una rappresentazione equivalente per gli usi catastali, ecc. 7.1.5

LA DEFINIZIONE ANALITICA DI UNA RAPPRESENTAZIONE

Per stabilire la rappresentazione dell’ellissoide sul piano è quindi necessario definire: 1. le due funzioni che esprimono la corrispondenza biunivoca tra la posizione di un punto P sull’ellissoide (data dalle coordinate geografiche φ ed λ) e la posizione del corrispondente punto P’ sul piano (data dalle coordinate piane ortogonali N ed E; nel sistema cartografico si usa indicare con N l’asse delle ordinate e con E l’asse delle ascisse, ossia con le iniziali dei punti cardinali Nord ed Est cui sono orientati i versi positivi di tali assi rispettivamente) dette equazioni della carta o equazioni di corrispondenza, cioè 17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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LA CARTOGRAFIA

N = N (φ , λ ) E=E(φ,λ) e le relative funzioni inverse φ = φ (N, E) λ = λ (N, E) 2. i moduli di deformazione in funzione di φ e λ, o meglio in funzione di N ed E; 3. il reticolato geografico, ovvero la determinazione delle linee che sulla rappresentazione indicano le trasformate dei meridiani e dei paralleli. 7.2

I SISTEMI DI RAPPRESENTAZIONE CARTOGRAFICA

Il termine rappresentazione viene usato in cartografia per indicare corrispondenze per via analitica, in alternativa a corrisponde ottenute per via puramente geometrica. 7.2.1

LA RAPPRESENTAZIONE CONFORME DI GAUSS

Una rappresentazione attualmente molto usata è dovuta a Gauss, formulata nel 1820 con l’assunto che fossero rispettate le seguenti condizioni: 1. la carta doveva essere conforme; 2. le immagini di un meridiano, detto meridiano centrale, e dell’equatore fossero rette (assi N ed E della rappresentazione); 3. la rappresentazione fosse equidistante sul meridiano centrale. Le trasformate dei meridiani e dei paralleli sono curve alquanto complesse; le prima volgono la concavità verso il meridiano centrale e sono simmetriche rispetto allo stesso; le seconde sono molto prossime ad archi di parabola con la convessità verso l’equatore ed anch’esse simmetriche rispetto ad esso.

Nella figura sopra è riportato il reticolato geografico relativo al semiellissoide compreso tra le longitudini –90° e +90°, considerando come meridiano centrale quello di Greenwich dove si possono notare le notevoli deformazioni che subiscono i meridiani e i paralleli allontanandosi dal meridiano centrale e dall’equatore; si noti che i meridiani alle latitudini –90° e +90° si scindono in due semirette parallele all’asse E. 74

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

LA CARTOGRAFIA

Per rappresentare vaste zone si avranno più fusi, per ognuno dei quali si assume un diverso meridiano di riferimento. 7.3

LE NOZIONI DI BASE SULLE CARTE

Una carta è una rappresentazione sul piano della crosta terrestre secondo norme e segni convenzionali assegnati; per tutti gli usi cui è destinata ogni carta deve contenere la possibilità di misurare, entro tolleranze stabilite, distanze, angoli e dislivelli tra due punti qualunque in essa rappresentati. Una carta può essere formata da un unico elemento (cioè da un unico foglio) o più elementi; è ovvio che ciò dipende dalla scala che si adotta per rappresentare la superficie terrestre: una scala piccolissima permette la rappresentazione di tutta la terra in un unico foglio, mentre scale grandi necessitano di molto fogli per rappresentare tutto il territorio. 7.3.1

L’ALLESTIMENTO DELLE CARTE

L’allestimento di una carta deriva da una serie di rilevamenti in campagna eseguiti nel passato dal topografo, oggi più speditamente con metodi fotogrammetrici; tali rilevamenti hanno lo scopo di dare una rappresentazione del terreno sia planimetrica che altimetrica che porterà alla costruzione di una carta topografica ad una determinata scala. In tale procedimento è implicito il problema che la precisione del rilievo è direttamente dipendente dalla scala della carta che si vuole ottenere: in una scala grande si dovranno rilevare molto più particolari e con più elevata precisione rispetto ad una scala molto piccola. Tutti gli elementi osservati e rilevati sul terreno saranno riportati in carta secondo segni convenzionali in genere indicati su ogni foglio, ampiamente assistiti da toponimi e quote scritti per esteso. Le carte così ottenute prendono il nome di carte rilevate. Da tali carte si possono ottenere, riducendo opportunamente la scala e spogliandole di molti particolari, carte a scala più piccola dette carte derivate. In generale le carte si distinguono in due grandi categorie: 1. carte generali che hanno lo scopo di dare una rappresentazione del terreno completa di tutti i particolari di interesse generale per tutti i possibili utilizzatori delle carte: quindi orografia, morfologia, idrografia, gli elementi antropici, vegetazione, ecc; 2. carte tematiche che sono allestite per particolari scopi: in linea di massima sono ottenute dalle carte generali, opportunamente spogliate di particolari non necessari, in cui vengono introdotti i tematismi che interessano rilevati sul terreno; si hanno così carte geologiche, magnetiche, podologiche, statistiche, amministrative, stradali, forestali, archeologiche, turistiche, ecc. 7.3.2

LA DENOMINAZIONE DELLE CARTE

In termini generali le carte assumono nomi specifici in funzione della scala; si hanno così: 1. carte geografiche per scale da 1:1'000'000 in giù; 2. carte corografiche per scale da 1:1'000'000 fino a scale minori di 1:100'000; 3. carte topografiche distinte in carte a piccola scala (da 1:50'000 a 1:100'000), a media scala (da 1:10'000 a 1:25'000) e a grande scala (da 1:5'000 a 1:10'000); 4. mappe per scale da 1:5'000 fino a scale minori di 1:1'000; 5. piani per scale maggiori di 1:1'000.

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

75

LA CARTOGRAFIA

7.3.3

LE CARTE REGOLARI, LA PRECISIONE DI UNA CARTA E L’ERRORE DI GRAFICISMO

Una carte si dice carta regolare quando contiene: 1. tutti i particolari del terreno che la scala consente di inserire; 2. il reticolato geografico e/o la quadrettatura del sistema di coordinate piane adottato; 3. quando rispetta geometricamente delle tolleranze assegnate. Per indicare la precisione di una carta in generale ci si riferisce a due coefficienti, cioè mp detto errore medio planimetrico ed ma detto errore medio altimetrico, i quali indicano gli errori medi nella posizione di un punto della carta ricavato da una copia stampata della stessa.; tali errori medi vengono stabiliti dagli enti che sovrintendono alle cartografie dei vari Stati o dai capitolati di particolari rilevamenti e sono ovviamente dipendenti dalla scala della carta. In linea generale l’errore medio planimetrico mp viene stabilito in un valore compreso tra ± 0,2 ÷ ± 0,4 mm alla scala della carta: per esempio in una carta in scala 1:25'000 risulterebbe ± 5,0 ÷ ± 10 m, mentre in una carta in scala 1:1'000 si avrebbe ± 0,2 ÷ ± 0,4 m (cioè se ho una scala 1:25'000 devo fare 25 · 20% = 500 / 100 = 5,0 m, mentre se ho una scala a 1:1'000 devo fare 1 · 20% = 20 / 100 = 0,2 m); ciò significa che qualunque punto tracciato dal disegnatore sulla carta non sarà mai nella sua posizione vera, ma sarà contenuto in un cerchio del diametro di 0,4 mm. L’errore medio altimetrico ma viene fissato in un valore compreso tra ± 0,02 ÷ ± 0,2 mm alla scala della carta per le quote numeriche scritte per esteso sulla carta rilevata in corrispondenza di particolari del terreno (cioè alla scala 1:25'000 si ha ± 0,5 ÷ ± 5,0 m, mentre alla scala 1:1'000 si ha ± 0,02 ÷ ± 0,2 m); per le quote ricavate dalle curve di livello invece viene fissato un valore compreso tra ± 0,1 ÷ ± 0,5 mm sempre alla scala della carta (alla scala 1:25'000 si ha ± 2,5 ÷ ± 12,5 m, mentre alla scala 1:1'000 si ha ± 0,1 ÷ ± 0,5 m). Stabiliti gli errori medi si individuano le tolleranze delle carte tramite le seguenti relazioni: 1. tp = 2 mp, cioè la tolleranza planimetrica; 2. ta = 2 ma, cioè la tolleranza altimetrica. Le tolleranze indicano i valori che non devono mai essere superati. 7.4

LA CARTOGRAFIA UFFICIALE ITALIANA

7.4.1

LA PRIMA CARTOGRAFIA: LA PROIEZIONE DI SANSON–FLAMSTEED

La prima cartografia ufficiale dello Stato italiano, affidata per legge nel 1878 all’IGM, è stata elaborata utilizzando la proiezione (proiezione sarebbe un termine improprio) di Sanson– Flamsteed. Si tratta di una carta ottenuta per via analitica imponendo l’equidistanza sia lungo un meridiano scelto al centro della zona da rappresentare che lungo tutti i paralleli; essa risulta quindi praticamente equivalente.

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17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

LA CARTOGRAFIA

La sua genesi la dovrebbe porre tra le rappresentazioni, ma viene comunemente indicata con il nome di proiezione in quanto può ritenersi ottenuta con il seguente procedimento: 1. si inscrive l’ellissoide in un poliedro le cui facce, a forma di trapezio isoscele, gli sono tangenti in punti distribuiti ad intervalli regolari di latitudine e longitudine; 2. si proiettano i punti dell’ellissoide su tali facce dal suo centro (questa proiezione si chiama proiezione centrografica). Ogni faccia rappresenta quindi una carta a se stante con un proprio centro C (chiamato punto di tangenza) diverso da quello delle altre carte del sistema e per tale motivo la proiezione viene detta proiezione policentrica. L’asse N corrisponde al meridiano centrale e l’asse E al parallelo per C. I pregi di questa proiezione derivano dal fatto che essa, oltre che equivalente, risulta anche praticamente equidistante e quindi anche praticamente conforme nell’ambito di ogni carta. L’inconveniente principale consiste nel fatto che i sistemi di coordinate piane N ed E sono diversi da carta a carta, pertanto se si vuol calcolare la distanza tra due punti appartenenti a carte diverse, anche contigue, bisogna ricorrere alle loro coordinate geografiche. Per la cartografia italiana gli intervalli di longitudine e latitudine sono stati fissati in 30’ e 20’ rispettivamente; in tal modo si sono ottenuti i 284 fogli che coprono tutto il territorio italiano. I fogli poi sono divisi in quattro parti denominate quadranti e i quadranti a loro volta sono divisi in quattro parti denominate tavolette. L’origine delle longitudini, che determina il taglio geografico delle carte, è il meridiano astronomico di Roma Monte Mario, mentre l’origine delle latitudini è stato assunto dall’equatore. Come ellissoide di riferimento fu assunto l’ellissoide di Bessel orientato in un punto situato presso l’osservatorio di Genova. 7.4.2

LA CARTOGRAFIA UNIVERSALE UTM E UPS

Durante l’ultima guerra mondiale si decise di istituire una cartografia di base per tutta la terra adottando la rappresentazione conforme di Gauss tra –80° e +80° di latitudine e la proiezione stereografica polare per le calotte polari e adottando come ellissoide di riferimento l’ellissoide di Hayford, da allora indicato come ellissoide internazionale. I sistemi cartografici ottenuti vengono denominati rispettivamente UTM (Universal Transverse Mercator) e UPS (Universal Polar Stereografic).

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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LA CARTOGRAFIA

Nel sistema UTM la terra è divisa in 60 fusi di 6° di longitudine, numerati da 1 a 60 procedendo da ovest verso est in senso antiorario e dando il numero 01 al fuso compreso tra 180° e 174° ovest da Greenwich; con tale numerazione il fuso 31 è compreso tra 0° e 6° est di Greenwich, il 32 tra 6° e 12° e il 33 tra 12° e 18° (questi due ultimi sono quelli interessanti l’Italia). Per identificare in modo rapido un punto sulla superficie terrestre si è seguita la seguente procedura: 1. ogni fuso è stato suddiviso in 20 zone di 8° di latitudine ciascuna, individuabile da una lettera maiuscola (l’Italia fa parte delle zone S e T tratteggiate in figura); 2. ciascuna zona è stata suddivisa in quadranti di 100 km di lato con rette parallele agli assi N ed E individuati da due lettere maiuscole. Un punto viene identificato dal numero del fuso, dalla lettera della zona, dalla coppia di lettere del quadrato ed infine dalle sue coordinate piane.

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17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

LA CARTOGRAFIA

Ricordiamo che nella rappresentazione di Gauss le coordinate piane di un punto sono individuate con riferimento ai due assi N ed E in cui l’asse N è individuato dal meridiano centrale di ciascun fuso, mentre l’asse E è individuato dall’equatore. Nella cartografia UTM la coordinata N ha origine dall’equatore, mentre alla coordinata E si aggiunge sempre la quantità di 500 km esatti per renderla positiva comunque; in pratica ciò equivale a far corrispondere al meridiano centrale la coordinata E0 = 500 km o, come si dice, ad avere un falso est pari a 500 km (500'000 m). Nella rappresentazione di Gauss, il modulo di deformazione lineare è uguale ad 1 sul meridiano centrale e cresce rapidamente con l’allontanarsi dall’asse N; per limitare le fortissime deformazioni si limita la zona da cartografare ad un fuso di ampiezza pari a 6°. Con tale limitazione, alle nostre latitudini (cioè alle latitudini italiane) si ottiene una deformazione massima (quindi una dilatazione) delle distanze ai bordi del fuso pari a 80 cm / km (lo 0,8 per mille); ricordando che le tolleranze grafiche ammissibili su una tavoletta in scala 1:25'000 sono pari a 5 m e che su tale carta, per l’Italia, si possono misurare distanze massime di 14 km, si può notare che la deformazione massima, pari a circa 11 m (infatti 80 cm : 1 km = x : 14 km quindi x = 1’120 cm = 11,2 m ≈ 11 m), è notevolmente superiore alla tolleranza. Per ridurre tale problema, nella cartografia UTM viene applicata una contrazione a tutto il piano della rappresentazione, ottenuta moltiplicando tutte le coordinate per la costante 0,9996, detta coefficiente di contrazione; in tal modo le deformazioni lineari, invece di essere sempre dilatazioni comprese tra 0 sul meridiano centrale e lo 0,8 per mille al margine del fuso, risultano sempre comprese tra –0,4 per mille (contrazione massima sul meridiano centrale) e +0,4 per mille (dilatazione massima al margine del fuso) e quindi sempre assorbite dal graficismo (la deformazione massima risulta di 5,6 m su una tavoletta). Con tale artifizio, il modulo di deformazione lineare (compreso tra i limiti 0,9996 e 1,0004 all’interno di un fuso) all’interno di ogni tavoletta ha delle variazioni talmente piccole da poterle considerare nulle e quindi tale da poter considerare la carta, all’interno di ogni tavoletta, praticamente equidistante. Un’altra caratteristica fondamentale della cartografia UTM è la presenza su ogni carta di un reticolo a maglie quadrate di 1 km di lato sul terreno (detto reticolato chilometrico); le rette che formano questo reticolato sono tracciate parallelamente agli assi N ed E. Ricordando come si deformano i meridiani e i paralleli nella rappresentazione di Gauss rispetto al meridiano di tangenza (vedi in figura), ne risulta che il reticolato chilometrico è disorientato rispetto al reticolato geografico e tale disorientamento tende ad aumentare allontanandosi dal meridiano centrale (nella figura è stato indicato solo in parte il reticolato chilometrico sovrapposto al reticolato geografico e lo schema ha solo una funzione didattica per chiarire l’andamento dei due reticolati). Il reticolato chilometrico consente di ricavare le coordinate N ed E di ogni punto misurando semplicemente l’ascissa e l’ordinata all’interno del quadrato in cui si trova il punto e sommando, o sottraendo, questi valori (dopo averli moltiplicati per la scala della carta) alle coordinate chilometriche del reticolato (vedremo nella prossima pagina il calcolo da effettuare).

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LA CARTOGRAFIA

La distanza D tra due punti P1 e P2 della carta può calcolarsi dalle loro coordinate N1, E1, N2 ed E2. Naturalmente la distanza così ottenuta non rappresenta la distanza effettiva sul terreno: per ottenerla si dovrà dividere tale valore per il modulo di deformazione lineare medio tra i moduli nei due punti. Il risultato ovviamente è sempre e comunque affetto dall’errore dovuto alla determinazione grafica dei due punti. Nella figura è riportata una tavoletta in scala 1:25'000 della cartografia italiana dove si notano: 1. il reticolato geografico indicato solo sui bordi con tratti bianche e neri dell’ampiezza di 1’; 2. il reticolato chilometrico tracciato per esteso con indicata la coordinata corrispondente a ciascun tratto in chilometri; si noti a tale proposito che la coordinata è riportata solo con le ultime due cifre significative, mentre le altre cifre sono solo indicate saltuariamente per non appesantire la carta. Nell’esempio è evidenziato chiaramente il disorientamento tra il reticolo chilometrico e quello geografico rappresentato dai bordi della carta che, ricordiamo, è tagliata secondo i meridiani e paralleli. Volendo determinare le coordinate del punto P indicato, si misurano le distanze dai più vicini tratti del reticolo; si trasformano poi tali distanze in metri–terreno tramite la scala della carta e si aggiungono o sottraggono alle coordinate di ciascun tratto. Nell’esempio della figura, essendo la tavoletta in scala 1:25'000, si avrà: N = 4'299'000 – (1,2 · 250) = 4'298'700 m E = 603'000 – (1,7 · 250) = 602'575 m 7.4.3

LA CARTOGRAFIA ITALIANA IN PROIEZIONE DI GAUSS

Nel 1942, in concomitanza con l’adozione dell’ellissoide internazione e della rappresentazione di Gauss, anche in Italia si decise di abbandonare la proiezione policentrica e l’ellissoide di Bessel per adeguarsi alla nuova realtà. La cartografia prodotta è stata impostata secondo i seguenti criteri: 1. il taglio è rimasto identico a quello in vigore, cioè secondo meridiani e paralleli intervallati rispettivamente di 30’ e 20’ denominati fogli, a loro volta suddivisi in quadranti e suddivisi ancora in tavolette; 2. l’origine delle longitudini si è conservata sul meridiano di Monte Mario (Roma) la cui longitudine da Greenwich è stata fissata in 12° 27’ 08’’,40; 3. per la rappresentazione si sono adottati due fusi, detti fuso ovest o primo fuso e fuso est o secondo fuso, corrispondente con in fusi 32 e 33 dell’UTM: l’ampiezza del primo fuso è stata incrementata di 30’ passando da 6° a 6° 30’ per creare una zona di sovrapposizione con il secondo fuso e ridurre in parte l’inconveniente derivante dal passaggio tra i sistemi di coordinate dei due fusi (nelle zone cartografate ricadenti nella zona di sovrapposizione vengono inseriti sulle carte entrambi i reticolati). L’ampiezza del secondo fuso è stata 80

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LA CARTOGRAFIA

4.

5.

6. 7. 8.

anch’essa incrementata di 30’ per includervi la penisola salentina che altrimenti cadrebbe nel fuso 34; ai meridiani centrali dei due fusi (ogni meridiano centrale ha come asse l’asse N) sono state attribuite rispettivamente le coordinate E di 1'500 km e 2'520 km (anziché 500 km come nell’UTM): in tal modo la prima cifra esprime inequivocabilmente l’appartenenza del punto al primo fuso o al secondo fuso e la cifra delle decine evita possibili errori grossolani dovuti a scambi delle coordinate E di uno stesso punto nella zona di sovrapposizione; il reticolato chilometrico relativo alla cartografia italiana (adesso reticolato Gauss–Boaga) non è mai tracciato per esteso, ma solo indicato sui bordi con dei simboli diversi per i due fusi; per utilizzarlo si rende necessario il suo tracciamento congiungendo con una riga i riferimenti corrispondenti destra–sinistra e alto–basso. Le coordinate di ciascun riferimento, espresse in un numero interno di km, vengono ricavate consultando le coordinate chilometriche dei quattro vertici della carta indicate in uno specchietto posto fuori margine o in alto a destra o in basso a sinistra ed espresse in metri; come ellissoide di riferimento è stato assunto l’ellissoide internazionale (cioè l’ellissoide di Hayford) orientato a Monte Mario; a tutto il piano della rappresentazione è stata applicata la contrazione ottenuta moltiplicando le coordinate di tutti i punto per la costante 0,9996 come nell’UTM; la carta rilevata (la tavoletta) viene prodotta con l’utilizzo di cinque colori secondo il seguente utilizzo: 1. il verde per la vegetazione; 2. il nero per tutti i manufatti; 3. l’azzurro per l’idrografia; 4. il seppia per l’altimetria (curve di livello); 5. il rosso per la viabilità statale.

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LA CARTOGRAFIA

7.4.4

GLI ESEMPI DI TAVOLETTE

Nella figura è riportato un esempio di tavoletta edita dall’IGM in cui sono stati evidenziati: 1. il reticolato dell’UTM in colore viola tracciato per esteso; 2. il reticolato Gauss–Boaga indicato solo sui bordi con il segno convenzionale relativo al fuso ovest Quindi se si vogliono determinare le coordinate Gauus–Boaga di un punto P è necessario, tramite un righello, tracciare il relativo reticolato e misurare le distanze del punto dalle linee più prossime; tali distanze, moltiplicate per la scala della carta, vanno poi sommate, o sottratte, alle coordinate dei contrassegni presenti sui bordi. Nella tavoletta in figura, in corrispondenza del vertice NE possiamo leggere nella tabella le seguenti coordinate: E = 1’453’880 m N = 4’529’730 m

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LA CARTOGRAFIA

per cui il primo contrassegno Gauss–boaga che incontriamo nella direzione delle E avrà coordinata 1'453 km e disterà quindi dal vertice 730 m. Tutti gli altri contrassegni si determineranno per conseguenza sapendo che distano tra di loro 1 km. Si noti che i due contrassegni del reticolato Gauss–Boaga hanno le stesse coordinate chilometriche dei contrassegni del reticolato UTM immediatamente vicini (ovviamente per la E ciò vale a meno di 1'000 km in quanto all’origine è stata data una coordinata di 1'500 km contro i 500 km dell’UTM). Lo sfasamento esistente tra i due reticolati deriva, come già detto, dal diverso orientamento dell’ellissoide e quindi la stessa coordinata descrive punti diversi. Sui vertici sono indicate per esteso le relative coordinate geografiche: la latitudine a partire dall’equatore, la longitudine da Monte Mario.

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LA CARTOGRAFIA

7.4.5

LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ALTIMETRIA

Un esempio di rappresentazione dell’altimetria è quello in figura, in cui sono state evidenziate tre giaciture di curve fondamentali che sono poste ogni 25 m di dislivello, due giaciture di curve direttrici poste ogni 10 m di dislivello e due giaciture di curve ausiliarie poste ogni 5 m di dislivello.

Si noti che nelle tavolette non è mai indicata la quota relativa a ciascuna curva di livello, mentre sono indicate le quote di una serie di punti particolari del terreno (cime di montagne, incroci, zone caratteristiche, ecc); tali punti, denominati punti quotati (PQ in sintesi), sempre distribuiti con notevole densità, sono di ausilio per determinare le quote delle curve di livello: per esempio la curva fondamentale evidenziata a sinistra nella figura, posta sopra il toponimo “Serra de Mesu”, avrà quota di 75 m in quanto rappresenta il multiplo di 25 più prossimo a 93 che rappresenta la quota della cima della collinetta. 7.4.6

L’ULTIMA CARTOGRAFIA PRODOTTA DALL’IGMI

La nuova cartografia dell’Italia prodotta dall’IGMI, l’unica oggi in commercio, ha introdotto notevoli variazioni rispetto alla cartografia descritta nei paragrafi precedenti che, per chi si trova ad operare con entrambe le edizioni, può ingenerare sostanziali errori interpretativi. 7.4.6.1

IL TAGLIO DELLE CARTE

Il taglio viene sempre effettuato secondo il reticolato geografico, meridiani e paralleli, però dell’UTM, vale a dire che non si usano più le coordinate geografiche di Gauss–Boaga con origine delle longitudini a Monte Mario (orientamento dell’ellissoide Roma40), ma le coordinate UTM (orientamento dell’ellissoide ED50) con origine delle longitudini a Greenwich: ciò signfica che un punto rilevato nelle vecchie tavolette in coordinate geografiche (Gauss–Boaga) non corrisponde ad un punto sulle nuove che abbia le stesse coordinate geografiche. 7.4.6.2

LA SUDDIVISIONE E LA SCALA DELLE CARTE PRODOTTE

Si è abbandonata la suddivisione dei fogli in 30’ di longitudine e 20’ di latitudine, cartografati in scala 1:100'000, e si è adottata la suddivisione in 20’ di longitudine e 12’ di latitudine con produzione di una carta che ha sempre mantenuto la denominazione di foglio, ma in scala 1:50'000, 84

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LA CARTOGRAFIA

sempre indicato con un numero arabo ed anche con il toponimo della località più rappresentativa della zona. La suddivisione del foglio in quattro parti da luogo alle sezioni indicate con un numero romano a partire dall’orientamento NE e con il toponimo più caratteristico della zona; le sezioni coprono un intervallo di longitudine di 10’ e di latitudine di 6’ e sono prodotte in scala 1:25'000. Il reticolato Gauss–Boaga viene mantenuto sui bordi con la stessa simbologia delle vecchie carte e la relativa tabella sul lato destro con indicate le coordinate dei vertici espresse in metri. Si notino che le coordinate di Roma Monte Mario riportate, per essere riferite all’orientamento medio europeo (ED50), differiscono dalle precedenti riportate nelle vecchie tavolette, in particolare la longitudine risulta di 12° 27’ 10’’,93 diversa da quella indicata precedentemente e pari a 12° 27’ 08’’,40.

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CENNI DI TRIGONOMETRIA

8

CENNI DI TRIGONOMETRIA

1. c = ( x B − x A ) 2 + ( y B − y A ) 2 (teorema di Pitagora); x − xA Cateto opposto a θ AB ; ⇒c= B sin θ AB sin θ AB y − yA Cateto adiacente a θ AB ; c= ⇒c= B cos θ AB cos θ AB x B − x A = Ipotenusa ⋅ sin θ AB = c ⋅ sin θ AB ; y B − y A = Ipotenusa ⋅ cos θ AB = c ⋅ cos θ AB ; b c b c c ⋅ sin β = ⇒ = ⇒b= sin β sin[180 − (α + β )] sin β sin γ sin γ (teorema dei seni); x P = x A + b ⋅ sin θ AP e y P = y A + b ⋅ cos θ AP (coordinate di P); Cateto opposto a θ i x − xA x − xA ; tan θ i = ⇒ tan θ AB = B ⇒ θ AB = arctan B Cateto adiacente a θ i yB − y A yB − y A

2. c = 3. 4. 5. 6. 7. 8.

9. α = 139°58 ' 40 '' = 139° +

58 40 + = 139° + 0, 967° + 0, 011° = 139°, 978 . 60 3600

8.1 1. 3.

LE FORMULE DI PROSTAFERESI

sin α + sin β = 2 ⋅ sin

α +β

⋅ cos

α −β

2 2 α + β α -β ⋅ cos cosα + cosβ = 2 ⋅ cos 2 2

8.1.1

sin α − sin β = 2 ⋅ cos

2.

α +β

⋅ sin

α −β

2 2 α + β α -β ⋅ sin cosα - cosβ = -2 ⋅ sin 2 2

4.

DIMOSTRAZIONE DELLA SECONDA FORMULA

sin α − sin β = 2 ⋅ cos

α +β 2

⋅ sin

α −β 2

α + β α − β   β +α β −α  + + La formula di partenza può essere riscritta come sin   − sin   , da 2  2   2  2 cui, utilizzando la formula di addizione per il seno sin (α + β ) = sin α ⋅ cos β + cos α ⋅ sin β , si ottiene α −β α +β α − β   β +α β −α β +α β −α   α +β ⋅ cos + cos ⋅ sin ⋅ cos + cos ⋅ sin  sin  −  sin  2 2 2 2   2 2 2 2   da cui, utilizzando le relazioni che legano le funzioni trigonometriche di angoli opposti, si ottiene α +β α -β α +β α - β  α +β α -β α +β α - β  ⋅ cos ⋅ sin ⋅ cos ⋅ sin + cos - cos  sin  -  sin 2 2 2 2 2 2 2 2    

e semplificando e raccogliendo si ottiene

α + β α - β α + β α - β α + β α -β α +β α -β + cos ⋅ cos ⋅ sin − sin ⋅ cos + cos ⋅ sin ⇒ 2 2 2 2 2 2 2 2 α +β α -β ⇒ 2 ⋅ cos ⋅ sin 2 2 sin

86

17363 - ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

9

QUESITI D’ESAME

9.1

ESAME 1

9.1.1

QUESITO 1

È stata eseguita una poligonale chiusa di nove lati l1, l2, l3, …, l9. Gli angoli misurati sono i seguenti: α1 = 140° 00’ 00’’ α2 = 140° 00’ 30’’ α3 = 139° 58’ 40’’ α4 = 141° 00’ 00’’ α5 = 139° 01’ 00’’ α6 = 140° 00’ 10’’ α7 = 139° 59’ 30’’ α8 = 140° 00’ 30’’ α9 = 140° 00’ 30’’ 1. Quale è l’errore di chiusura angolare e quanto valgono gli angoli da utilizzare nel calcolo? 2. Quali sono le formule che consentono il calcolo delle coordinate dei punti? 3. Se lo strumento presenta una precisione dell’angolo azimutale di σ = 10’’, quanto vale l’errore quadratico medio sull’ultima anomalia θ9,0? 4. Fissato un intervallo di confidenza pari al 90% (z = 1,645), l’errore di chiusura angolare è ripartibile sugli angoli azimutali? 9.1.2

QUESITO 2

Cosa intendo per quota ortometrica e quota ellissoidica? 9.1.3

QUESITO 3

Nei sistemi GPS con posizionamento in pseudo–range, quale è il numero minimo di satelliti che devono essere visibili contemporaneamente ad ogni epoca? 9.1.4

QUESITO 4

Nei distanziometri ad onde, l’errore quadratico medio segue la legge: a. σd = K; b. σd = a · distanza; c. σd = a + b · distanza; d. σd = a + b · distanza 2. 1. Perché? 2. Quale precisione è ragionevole per un distanziometro di buona qualità? 9.1.5

QUESITO 5

Rispetto a quale sistema di riferimento si esprimono gli sviluppi di Poiseux–Weingarten: a. sistema geocentrico; b. sistema cartografico UTM; c. sistema geodetico locale; d. terna euleriana. 1. Cosa esprimono esattamente? 2. Perché sono importanti?

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

87

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

9.1.6

QUESITO 6

 N = 4'750'255 m Si assegnano le seguenti coordinate cartografiche piane in Gauss–Boaga P :  .  E = 2'318'000 m 1. Indicare in quale fuso è collocato il punto P e giustificarne la risposta. 2. Determinare la distanza del punto P dalla trasformata piana del meridiano centrale del fuso ed indicare se il punto in questione si trova ad est o ad ovest rispetto al meridiano centrale del fuso. 9.2

ESAME 2 – COMPITO B

9.1.1

QUESITO 1

1. Quali sono i limiti di validità delle superfici di riferimento approssimate. 2. Quale procedimento si sceglie per giustificare tali limiti. Spiegare in termini discorsivi ed eventualmente in termini matematici. 3. Questi limiti sono gli stessi per tutti i punti della superficie terrestre oppure hanno una variabilità? (Giustificare la risposta data) 9.1.2

QUESITO 2

Indicare con quali strumenti topografici si opera una livellazione trigonometria reciproca tra due estremi: a. un accoppiamento tra autolivello di elevata precisione e stadie poste sui punti tra i quali si determina il dislivello. b. un accoppiamento tra GPS posto nel mezzo tra i due punti e stadie. c. con una total station e prismi collocati su tre piedi posti in corrispondenza di punti. 1. Quali sono le ipotesi che è necessario formulare per procedere al calcolo del dislivello con un tale approccio? 9.1.3

QUESITO 3

Nel rilievo di una poligonale quali sono le osservabili che occorre misurare in ogni punto di stazione: a. dislivelli; b. inclinazioni; c. angoli zenitali e angoli azimutali; d. angoli zenitali e distanze inclinate; e. angoli zenitali, angoli azimutali e dislivelli; f. angoli zenitali, angoli azimutali e distanze inclinate; g. altro. 1. Perché? Ossia, come utilizziamo le varie misure? 9.1.4

QUESITO 4

In quali sistemi geodetici è possibile determinare le coordinate su una tavoletta 1: 25.000 della serie (25 V).

88

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ

9.1.5

QUESITO 5

Assegnata la latitudine geografica φ di un punto sulla superficie fisica della terra e sapendo che essa è caratterizzata da un errore quadratico medio pari a rispettivamente σφ, calcolare l'errore quadratico medio associato al raggio di curvatura del parallelo r passante per tale punto (si assumano ed e costanti nel calcolo). a ⋅ cos φ r= 1 − e 2 ⋅ sin2 φ

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

89

ALLEGATO 1

ALLEGATO 1 L’ORIENTAMENTO DELL'ELLISSOIDE La superficie terrestre viene rappresentata tramite una superficie matematica (ellissoide di rotazione) che meglio approssima il geoide. Le due superfici (cioè il geoide e l’ellissoide) vengono rese tangenti in un punto; i limiti da non superare per restare all'interno delle precisioni delle misure non devono superare un raggio di 500 ÷ 600 km dal punto di tangenza. Nella costruzione della cartografia UTM per rappresentare tutta l'Europa è stato scelto un orientamento medio posto nelle vicinanze di Bonn in Germania; in tale punto l'ellissoide viene orientato sul geoide, cioè si fanno coincidere la verticale (cioè la normale al geoide) e la normale all'ellissoide ed un azimut su una direzione prefissata. A tale punto sono collegate le coordinate di tutti i punti di inquadramento delle varie reti locali (quella italiana inclusa). Tale orientamento noto con la sigla E.D.50 (European datum 1950), reso valido per tutta l'Europa, supera di molto i limiti suddetti in particolare per tutta l'Italia meridionale (la zona estrema della Sicilia dista da Bonn circa 1’700 km), per cui l'Italia, nell'eseguire la sua cartografia, ha preferito orientare l'ellissoide a M. Mario (Roma) ed a tale punto ha collegato tutti i vertici di inquadramento del primo ordine: l'orientamento a M. Mario è noto con la sigla Roma40. Da tale differenziazione nell'orientamento dell'ellissoide, ne deriva che il reticolato chilometrico dell'UTM risulta sfalsato rispetto a quello italiano o, a dir meglio, che uno stesso punto della rete italiana ha coordinate diverse nei due sistemi, pur se derivanti dalla stessa rappresentazione; e ciò vale sia per le coordinate N ed E che per le coordinate geografiche latitudine e longitudine. In sintesi si può dire che uno stesso punto del terreno è indicato da coppie di coordinate diverse nei due sistemi o che le stesse coordinate indicano punti diversi.

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

ALLEGATO 2

ALLEGATO 2 LA VARIANZA RELATIVA ALLA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA CON MISURA DELLE DISTANZE ZENITALE RECIPROCHE Dalla teoria so che: Z A + ZB = π + ω Quindi:

S = R ⋅ω

S = R ⋅ ( Z A + ZB − π ) S = R ⋅ Z A + R ⋅ ZB − R ⋅ π

ω = Z A + ZB − π Devo considerare la formula:

∂S ∂S ∂S = + ∂ω ∂Z A ∂Z B

per determinare:

2  ∂S 2  2  ∂S  2 2 σ S =   ⋅σ ZA +   ⋅ σ ZB  σ Z  ∂Z A    ∂Z B  Quindi calcolo le derivate parziali: ∂S ∂S =R =R ∂Z B ∂Z A Supponendo σ Z A = σ Z B = σ Z e andando a sostituire i valori ricavati ottengo: 2

σ S2 = R2 ⋅ σ Z 2 + R2 ⋅ σ Z 2 σ S 2 = 2R 2 ⋅ σ Z 2 Sapendo che R = 6 ' 400 km e σ Z = 2 '' ottengo: σ S = 6 ' 400 ⋅ 2 ''⋅ 2

σ S = 2R 2 ⋅ σ Z 2 σS = R ⋅σ Z ⋅ 2

In conclusione, volendo calcolare l’arco di circonferenza compreso dall’angolo 2’’, faccio la seguente proporzione per trovare l’arco di circonferenza x: 2π R : 360° = x : 2 '' x

2"

360°

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

INDICE

1 1.1 2.1 2.1.1 2.1.1.1 2.1.1.2 2.1.2 2.1.2.1 2.1.2.2 2.1.2.3 2.1.2.4 2.1.2.4.1 2.1.2.5 2.1.2.5.1 2.1.2.5.2 2.1.2.6 2.1.2.6.1 2.1.2.6.2 2 2.1 2.1.1 2.2 3 3.1 3.1.1 3.1.1.1 3.1.1.2 3.1.1.3 3.1.2 3.1.2.1 3.1.3 3.1.4 3.1.4.1 3.1.4.2 3.1.4.3 3.1.4.4 3.1.4.5 3.1.4.6 3.1.4.6.1 3.1.4.6.2 3.1.4.6.3 3.2 3.2.1 3.2.1.1 3.2.1.2

LA GEODESIA PREMESSA IL SISTEMA DI RIFERIMENTO, LE SUPERFICI DI RIFERIMENTO, I SISTEMI DI COORDINATE I SISTEMI DI RIFERIMENTO I SISTEMI DI RIFERIMENTO GLOBALI I SISTEMI DI RIFERIMENTO LOCALI LE SUPERFICI DI RIFERIMENTO LE SUPERFICI EQUIPOTENZIALI IL GEOIDE GLI ELLISSOIDI DI RIFERIMENTO LE GEODETICHE: LE MISURE DI ANGOLI E LE DISTANZE SULLA SUPERFICIE DI RIFERIMENTO GLI SCOSTAMENTI TRA LE SEZIONI NORMALI E LE GEODETICHE I TEOREMI DELLA GEODESIA OPERATIVA LE QUOTE E LE DIFFERENZE DI QUOTA LE SUPERFICI DI RIFERIMENTO APPROSSIMATE I SISTEMI DI COORDINATE LE COORDINATE GEODETICHE POLARI LE COORDINATE GEODETICHE ORTOGONALI LA TEORIA DELLA COMPENSAZIONE IL TRATTAMENTO DELLE MISURE GLI ERRORI DI MISURA LA COMPENSAZIONE DELLE MISURE IL RILIEVO IL RILIEVO PLANIMETRICO LE RETI TRIGONOMETRICHE IL PROGETTO DELLA RETE L’INDIVIDUAZIONE E LA SCELTA DEI VERTICI LA SEGNALIZZAZIONE DEI VERTICI LA MISURA DEGLI ANGOLI IL METODO OPERATIVO PER LA MISURA DI ANGOLI: IL METODO A STRATI LE TRIANGOLAZIONI DI CARATTERE TECNICO I METODI DI RIATTACCO L’INTERSEZIONE IN AVANTI L’INTERSEZIONE LATERALE L’INTERSEZIONE INDIETRO L’IRRADIAMENTO LA STAZIONE FUORI CENTRO LE POLIGONALI LA POLIGONALE APERTA LA POLIGONALE CHIUSA GLI SCHEMI MODERNI DI RILIEVO IL RILIEVO ALTIMETRICO LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA CON MISURA DELLE DISTANZE ZENITALI RECIPROCHE LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA CON MISURA DI UNA SOLA DISTANZA ZENITALE

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

1 1 1 1 1 2 2 2 2 3 7 8 9 9 10 12 12 12 13 13 13 13 15 15 15 16 17 17 18 20 20 21 21 23 23 24 25 25 25 27 28 30 31 31 32

INDICE

3.2.1.2.1 3.2.1.2.2 3.2.1.2.3 3.2.2 3.2.2.1 3.2.2.2 3.2.2.2.1 3.2.2.2.2 4 4.1 4.1.1 4.1.1.1 4.1.1.1.1 4.1.1.2 4.1.2 4.1.3 4.1.4 4.1.5 4.1.5.1 4.1.6 4.1.7 4.2 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.2.4 4.2.5 4.2.6 4.2.7 4.2.8 4.2.9 4.2.9.1 4.2.9.2 4.2.9.3 4.2.10 4.2.11 4.2.11.1 4.2.11.2 4.2.12 4.2.13 4.2.13.1 4.2.13.1.1 4.2.13.2 4.2.13.3 4.3 4.3.1 4.3.1.1 4.3.1.2 4.3.1.3 4.3.1.4

L’INFLUENZA DELLA RIFRAZIONE ATMOSFERICA LA DETERMINAZIONE DEL COEFFICIENTE DI RIFRAZIONE LA PRECISIONE DELLA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA LA LIVELLAZIONE GEOMETRICA SCHEMA DEL METODO LA LIVELLAZIONE GEOMETRICA DI PRECISIONE LA DETERMINAZIONE DELL’ERRORE MEDIO A PRIORI LE QUOTE ORTOMETRICHE, DINAMICHE E GEOPOTENZIALI GLI STRUMENTI TOPOGRAFICI I LIVELLI LE LIVELLE LA LIVELLA TORICA LA VERIFICA E LA RETTIFICA DELLA LIVELLA TORICA LA LIVELLA SFERICA IL CANNOCCHIALE COLLIMATORE IL COMPENSATORE LE STADIE GLI ERRORI DI RETTIFICA LA VERIFICA E LA RETTIFICA GLI AUTOLIVELLI I LIVELLI DIGITALI I GONIOMETRI LA DEFINIZIONE DI ANGOLO AZIMUTALE E DI ANGOLO ZENITALE GLI ASSI DEL GONIOMETRO LE PARTI FONDAMENTALI DEL GONIOMETRO IL FUNZIONAMENTO DEL GONIOMETRO IL CANNOCCHIALE I MEZZI E I SISTEMI DI LETTURA AI CERCHI I SEGNALI DI COLLIMAZIONE LA MESSA IN STAZIONE DEL GONIOMETRO LE VERIFICHE E LE RETTIFICHE DI UN GONIOMETRO L'ASSE GENERALE VERTICALE L'ASSE DI COLLIMAZIONE L'ASSE DI ROTAZIONE ORIZZONTALE GLI ERRORI RESIDUI GLI ERRORI STRUMENTALI L'ECCENTRICITÀ DELL'ALIDADA L'ECCENTRICITÀ DELL'ASSE DI COLLIMAZIONE GLI ERRORI DI GRADUAZIONE I TEODOLITI ELETTRONICI LA MISURA ELETTRONICA DELLE DIREZIONI LA MISURA ASSOLUTA LA MESSA IN STAZIONE LA MODALITÀ OPERATIVA PER L’EFFETTUAZIONE DELLA MISURA I DISTANZIOMETRI I DISTANZIOMETRI AD ONDE IL PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO LA MISURA DI L LA STIMA DI N I RIFLETTORI

33 35 35 37 37 38 39 39 42 42 43 43 44 44 44 45 46 46 46 47 47 48 48 48 49 49 50 50 51 51 51 52 52 52 53 53 53 54 55 55 55 55 56 56 56 56 56 57 57 57

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

INDICE

4.3.2 5 5.1 5.1.1 5.1.2 5.1.3 5.2 5.3 5.4 5.4.1 5.4.2 5.5 5.5.1 5.5.2 5.5.3 6 6.1 6.2 6.3 6.4 6.5 6.6 6.6.1 6.6.1.1 6.6.2 6.6.2.1 7 7.1 7.1.1 7.1.2 7.1.3 7.1.4 7.1.5 7.2 7.2.1 7.3 7.3.1 7.3.2 7.3.3 7.4 7.4.1 7.4.2 7.4.3 7.4.4 7.4.5 7.4.6

I DISTANZIOMETRI A IMPULSI IL GPS GLI ELEMENTI DEL SISTEMA GPS IL SEGMENTO SPAZIALE IL SEGMENTO DI CONTROLLO IL SEGMENTO DI UTILIZZO I SISTEMI DI RIFERIMENTO IL SEGNALE GPS L’UTILIZZO DELLE OSSERVABILI GPS LE MISURE PSEUDO–RANGE (MISURE DI CODICE) LE MISURE DI FASE (DELLE PORTANTI) LE COMBINAZIONI DI OSSERVABILI LE EQUAZIONI ALLE DIFFERENZE SINGOLE LE DIFFERENZE DOPPIE LE DIFFERENZE TRIPLE CENNI DI TEORIA DELLA PROBABILITÀ LA MEDIA ARITMETICA COME VALORE DI SINTESI DI UNA SERIE DI N MISURE LA VALUTAZIONE DELL’ERRORE QUADRATICO MEDIO DI UNA SERIE DI N MISURE LA VALUTAZIONE DELL’ERRORE QUADRATICO MEDIO DELLA MEDIA DI UNA SERIE DI N MISURE LA RAPPRESENTAZIONE SINTETICA DI UNA SERIE DI N MISURE UN ESEMPIO PRATICO LA PROPAGAZIONE DELLA VARIANZA FUNZIONI DI UNA SOLA VARIABILE CASUALE ESERCIZIO FUNZIONI CON PIÙ DI UNA VARIABILE CASUALE ESERCIZIO LA CARTOGRAFIA LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ELLISSOIDE SUL PIANO IL MODULO DI DEFORMAZIONE LINEARE IL MODULO DI DEFORMAZIONE SUPERFICIALE LA DEFORMAZIONE ANGOLARE I DIVERSI TIPI DI RAPPRESENTAZIONI LA DEFINIZIONE ANALITICA DI UNA RAPPRESENTAZIONE I SISTEMI DI RAPPRESENTAZIONE CARTOGRAFICA LA RAPPRESENTAZIONE CONFORME DI GAUSS LE NOZIONI DI BASE SULLE CARTE L’ALLESTIMENTO DELLE CARTE LA DENOMINAZIONE DELLE CARTE LE CARTE REGOLARI, LA PRECISIONE DI UNA CARTA E L’ERRORE DI GRAFICISMO LA CARTOGRAFIA UFFICIALE ITALIANA LA PRIMA CARTOGRAFIA: LA PROIEZIONE DI SANSON–FLAMSTEED LA CARTOGRAFIA UNIVERSALE UTM E UPS LA CARTOGRAFIA ITALIANA IN PROIEZIONE DI GAUSS GLI ESEMPI DI TAVOLETTE LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ALTIMETRIA L’ULTIMA CARTOGRAFIA PRODOTTA DALL’IGMI

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

57 58 58 59 59 59 59 61 61 61 62 63 63 64 65 66 66 66 67 67 68 69 69 69 70 71 72 72 72 73 73 73 73 74 74 75 75 75 76 76 76 77 80 82 84 84

INDICE

7.4.6.1 7.4.6.2 8 9 9.1 9.1.1 9.1.2 9.1.3 9.1.4 9.1.5 9.1.6 9.2 9.1.1 9.1.2 9.1.3 9.1.4 9.1.5

IL TAGLIO DELLE CARTE LA SUDDIVISIONE E LA SCALA DELLE CARTE PRODOTTE CENNI DI TRIGONOMETRIA QUESITI D’ESAME ESAME 1 QUESITO 1 QUESITO 2 QUESITO 3 QUESITO 4 QUESITO 5 QUESITO 6 ESAME 2 – COMPITO B QUESITO 1 QUESITO 2 QUESITO 3 QUESITO 4 QUESITO 5

84 84 86 87 87 87 87 87 87 87 88 88 88 88 88 88 89

17363 – ELEMENTI DI TOPOGRAFIA L

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