Elementi di Linguistica Italiana

July 20, 2017 | Author: Mockingbird YuZa Sakigami | Category: Dialect, Lexicon, Italian Language, Semiotics, Linguistics
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Descripción: domande e risposte di Elementi di Linguistica Italiana, capitoli 1, 2, 3...

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L'ITALIANO CONTEMPORANEO E LE SUE VARIETA' Esercizi L'italiano e la variazione linguistica Quali sono i cinque fondamentali parametri di variazione linguistica? Diamesia → mutamento della lingua secondo il mezzo fisico impiegato; diastratia → la variazione della lingua legata alle condizioni sociali dell'utente; diafasia → la variazione della lingua che dipende dalla situazione comunicativa, funzioni e finalità del messaggio e dal contesto in cui si compie lo scambio linguistico; diacronia → trasformazione della lingua legata alla dimensione cronologica, all'evoluzione della lingua nel tempo; diatopia → variazione della lingua determinata dalla dimensione spaziale. Illustra le principali differenze tra scritto e parlato. Il punto di più ampia divergenza risiede nella pianificazione del discorso: la scrittura consente una progettazione, una possibilità di elaborare il testo, di controllarlo, correggerlo e riformularlo. Anche il parlato ha possibilità di autocorrezione, ma esse non possono cancellare ciò che è stato enunciato in precedenza. L'oralità si avvale dei mezzi prosodici (intonazione, velocità di esecuzione) e dei tratti paralinguistici (gestualità, distanza spaziale fra gli interlocutori); la scrittura può rappresentare i primi attraverso la punteggiatura, ma non riesce a tradurre i secondi se non in forma indiretta, descrivendoli in modo analitico. E' diversa anche la condizione del destinatario: chi ha un testo sotto gli occhi può ripercorrerlo a ritroso, riesaminarlo, approfondire la sua comprensione, mentre il parlato è evanescente, fuggevole: si definisce lineare, nel senso che il fruitore può percepire il messaggio solo nello stesso ordine nel quale viene realizzato. Elenca alcune delle varietà linguistiche intermedie individuate dagli studiosi sull'asse diamesico, illustrandone le principali caratteristiche. Oltre alle etichette di parlato-parlato e scritto-scritto, che designano l'oralità e la scrittura nelle loro forme più genuine, rispettivamente il parlato del libero scambio conversazionale e la scrittura non legata in alcun modo al parlato, esistono altri tipi di comunicazione, definite realizzazioni intermedie della diamesia: il monologo ad esempio, che ha rispetto al dialogo maggiore coerenza tematica; la conferenza, la relazione congressuale, l'oratoria politica o forense, che possono fondarsi solo su uno schema succinto degli argomenti da trattare (la scaletta) o su una stesura più ampia e talvolta completa; i copioni cinematografici (si parla in questo caso di parlato-recitato) redatti come testi scritti, ma destinati a un'esecuzione orale; la lingua della radio e della televisione, che si realizza come oralità, ma a partire da testi prima stesi in forma di scrittura e poi letti (lingua televisiva, definita italiano trasmesso). Quali problematiche pone la classificazione delle varietà diastratiche dell'italiano? E' arduo riconoscere confini precisi fra le classi sociali nell'Italia contemporanea, sia per linguisti che sociologi, poiché non bisogna tenere di conto solo di fattori come il reddito economico o il reddito posseduto, ma anche di fattori economico-culturali come istruzione scolastica, tipo di occupazione o di attività lavorativa (intellettuale o manuale), la consuetudine alla lettura (e la relativa tipologia), le occasioni di contatto attivo e passivo con la lingua scritta.

Si classificano quindi tre classi: alta borghesia (padrona di un italiano formale, diciamo pure lo standard); ceti medi, media e piccola borghesia (varietà vicine allo standard ma interferite da elementi tipici del parlato, popolarismi e tratti di origine dialettale); ceti più bassi (hanno competenza attiva solo dialettale o del cosiddetto italiano popolare). Bisogna poi tenere conto anche della varietà diastratica dell'italiano praticato dal crescente numero di immigrati, e delle variazioni linguistiche legate al sesso e all'età (giovanilese). Definisci i concetti di registro e sottocodice e trova qualche esempio. Lungo l'asse diafasico si distinguono ai due estremi le varietà più formali della lingua e quelle più informali: viene così delineata una scala nella quale trovano posto i diversi registri della lingua, da un massimo a un minimo di elaborazione formale (linguaggio aulico, culto, sostenuto, familiare, colloquiale, confidenziale). I sottocodici sono correlati non al contesto comunicativo ma all'argomento del messaggio (sottocodici tecnico-scientifici, dello sport, della moda, dei mezzi di trasporto). I sottocodici appartengono in qualche misura anche alla dimensione diastratica, nel senso che alcuni argomenti sono appannaggio di strati circoscritti della popolazione, livellati verso le classi più alte. I sottocodici identificano realtà che fanno parte del codice lingua italiana, ma che ne usano in modo privilegiato una sezione particolare. La differenza tra sottocodici e registri sta nel fatto che uno stesso sottocodice può fare uso di registri diversi (differenza della lingua utilizzata da un geologo in una relazione a un congresso di specialisti, in un articolo su un quotidiano o in una voce di un'enciclopedia): il sottocodice è lo stesso, diversi i registri. Le varietà diastratiche sono legate all'utente in modo univoco, ognuno può far uso di una sola varietà diastratica, quella del ceto sociale di appartenenza. Le varietà diafasiche cui possiamo ricorrere sono molteplici, ogni parlante può esprimersi in un ampio ventaglio di registri. Le varietà diastratiche sono quindi legate all'utente, quelle diafasiche all'uso. Quali sono le dimensioni che determinano la variazione diacronica e diatopica? In quali realizzazioni linguistiche si manifestano? Diacronia e diatopia sono determinate rispettivamente dalla dimensione cronologica e spaziale. La prima si realizza sia nell'evoluzione linguistica nel tempo in senso lato che generazionale. Si possono identificare infatti abitudini linguistiche tipiche dei più anziani che tendono verso il declino, come la prostesi di i davanti a s preconsonantica (per iscritto, in Isvizzera) o l'uso di termini desueti (torpedone per 'pullman'). Più peso riveste il linguaggio giovanile (giovanilese), che investe tutti i livelli del codice (grafia, lessico → neologismi). La seconda si realizza nelle differenze fra gli italiani a seconda della provenienza geografica, anche quando si esprimono in lingua: tra i due estremi – dialetti e italiano comune – infatti si individuano dialetti italianizzati e italiano regionale. Lingua, dialetti, italiani regionali Illustra le principali differenze tra lingua e dialetti, con particolare riferimento a fattori storicoculturali che ne hanno determinato l'opposizione in Italia. Da un punto di vista scientifico, interno alla lingua, fra lingue e dialetti non esiste alcuna differenza. I dialetti, al pari della lingua, possiedono un lessico e una grammatica codificabili in vocabolari e trattazioni scientifiche, si prestano a essere usati con alte finalità letterarie e ad assecondare tutte le principali funzioni del linguaggio. Le differenze sono quindi relative a fattori storici, sociali e culturali più che strettamente linguistici. Solitamente un dialetto è usato in un'area più circoscritta, la sua codificazione descrittiva è meno raffinata, la sua terminologia esclude di norma il vocabolario scientifico e intellettuale, o lo mutua dalla lingua nazionale.

Ma i dialetti soprattutto godono presso la comunità dei parlanti di un prestigio inferiore rispetto a quello della lingua: sono vissuti come simboli di arretratezza, un ostacolo all'emancipazione sociale e all'avanzamento economico, e quindi una realtà da superare. E' necessario però ricordare che l'italiano si fonda sul fiorentino antico e scritto dei grandi autori del Trecento e poi fatto proprio e arricchito dai letterati di tutta la nazione e fissato nella norma grammaticale. In altri termini, l'italiano alla sua origine non è altro che uno dei tanti dialetti che affollavano la penisola nel XIII secolo, di diffusione locale e modesto prestigio, almeno fino alla generazione precedente a quella dell'Alighieri. In ultima analisi spesso una lingua non è altro che un dialetto che ha fatto carriera. Qual è la differenza tra italiani regionali e dialetti italianizzati? I dialetti italianizzati sono il risultato dell'influsso dell'italiano sulle parlate locali, in una reazione di superstrato. Si assiste quindi alla nascita di nuove parole, dialettali per i tratti fonetici ma introdotte a partire dalla lingua, per designare nuovi referenti (toscano → autobusse). Tendono anche ad affermarsi parole locali per i tratti fonetici e morfologici, ma più vicine ai modelli offerti dalla lingua comune, a scapito di voci di più antica tradizione dialettale in declino (fallignami/mastro d'ascia ← siciliano; salumir/lardarol ← bolognese). Con il termine italiano regionale intendiamo invece quella varietà di italiano, principalmente parlato, che dimostra a tutti i livelli del codice caratteristiche peculiari di un'area geografica. L'aggettivo regionale può risultare fuorviante, poiché non ci si riferisce ai confini delle regioni amministrative, ma bensì a quelli linguistici. L'italiano regionale consiste in sostanza in una reazione di sostrato, cioè in quel meccanismo per cui la lingua che si afferma in una determinata area geografica (l'italiano standard nella nostra penisola) subisce l'influenza della lingua dominante in precedenza nello stesso territorio, ormai in declino (i dialetti). Elenca i tratti tipici delle varietà regionali settentrionali, centrali e meridionali dell'italiano. Varietà settentrionali: distribuzione dei timbri vocalici di e e o toniche diversa che nello standard, come [o] toniche chiuse in voci come [bosko], [sporko] invece che [bOsko], [spOrko], o aperte in voci come [kOrsa], [fOrma], [vErde]; [e] in sillaba libera e in sillaba chiusa terminante in nasale: [bene], [telefono], [regola], [tempo], [vento] e aperta [E] negli altri tipi di sillaba chiusa → [tEtto], [fElpa], anche nelle parole tronche come [perkE], [mE], [tE], [sE]. Sonorizzazione della fricativa alveolare intervocalica [kaza] e la pronuncia come sonora dell'affricata dentale in posizione iniziale [dzio], [dzucchero]. Assenza del raddoppiamento sintattico [E vero], [a Torino] che ha invece luogo nelle altre regioni [E vvero], [a Ttorino]. Uso del passato prossimo anche per la sfera del passato remoto. Presenza dell'articolo determinativo con i nomi di persona. Lessico: anguria → cocomero; ometto → appendiabiti; ciucca → ubriacatura. Varietà centrali: varietà romana → affricazione della fricativa alveolare [s] > [ts] preceduta da vibrante, nasale o laterale [bortsa], [pentsare], [poltso]; rafforzamento di [b] e [dg] in posizione intervocalica [abbile], [Pariddgi]; l'uso dell'indicativo in dipendenza da verbi che esprimono un'opinione (credo che viene alle otto). Lessico: caciara → chiasso; pupo → bambino; zompare → saltare. Varietà toscana e fiorentina: gorgia [ostaholo] e pronunce [diEsci] e [Paridgi]; monottongazione di uo (le ova); l'esito spegnere > spengere; sistema tripartito dei pronomi e aggettivi dimostrativi, questo, codesto, quello relativi alla prima, seconda e terza persona. Espressione con formula impersonale della prima persona plurale: noi si usava andare in Versilia, noi si parte. Lessico: cencio, mota, rena, sciocco → insipido. Varietà meridionali: timbri delle vocali e o difformi rispetto alla pronuncia tosco-fiorentina; varietà napoletana: e aperta nei suffissati -etto e -mente [kassonEtto], [utilmEnte]. Varietà sicula, calabrese e pugliese-salentina → le vocali intermedie toniche sono sempre aperte e l'opposizione tra timbri è neutralizzata [professOre], [kolOre], [katEna], [pEra].

Sonorizzazione delle occlusive sorde in posizione postnasale → bianco > biango; anche > anghe; contento > condendo. Realizzazione della fricativa alveolare intervocalica come sorda [rOsa], [vaso], in parziale contrasto con le abitudini toscane e centrali, dove sorda e sonora convivono e in alcuni pochi casi servono per differenziare i significati: [peska] – [pEska]; [botte] – [bOtte]. Passato remoto in riferimento a avvenimenti che si riflettono ancora nel presente (mi scusi il ritardo, persi il treno). Posposizione del possessivo (il libro mio) e costruzione del complemento oggetto preceduto da a (chiama a Giovanni, aiuta a mamma). Collocazione del verbo in fondo alla frase (a Roma vado) e della copula dopo il nome del predicato (Vincenzo molto seccato è). Lessico: faticare → lavorare; tenere → avere; imparare → insegnare; stare → essere. Che cosa si intende per reazione di sostrato? E' detta lingua di sostrato quella che, diffusa in un'area geografica prima che ad essa se ne sovrapponesse un'altra (ad esempio quella portata da un popolo conquistatore), abbia in seguito influenzato in vario modo lo sviluppo di quest'ultima e si manifesti in uno o più tratti linguistici peculiari. La lingua che si impone è invece detta di superstrato. L'italiano parlato Quali sono le caratteristiche peculiari del libero parlato conversazionale? Linearità e immediatezza nella produzione e nella ricezione del messaggio; evanescenza del messaggio; uso dei tratti prosodici e di quelli paralinguistici; compresenza di parlante e interlocutore nello stesso spazio; interazione tra parlante e ascoltatore (si scambiano i ruoli con alternanza non programmata, con sovrapposizioni di turno; c'è la possibilità di intervenire in vari modi nel messaggio secondo i meccanismi di retroazione/feedback: autocorrezione, correzione degli errori altrui, interventi sugli enunciati dell'interlocutore, controllo del passaggio dell'informazione). Descrivi i principali tratti di organizzazione testuale e sintattica dell'italiano parlato. Il più ricorrente è la dislocazione a sinistra (il giornale lo compra Mario, con la zia stasera ci mangia Rosanna), si sta parlando di un giornale da comprare e di qualcuno che deve cenare con la zia: l'elemento anticipato e posto in evidenza è integrato sintatticamente nella frase, ripreso da un elemento anaforico (che rinvia cioè a un elemento antecedente, a sinistra), per lo più un pronome personale (lo, ci) e non è separato da pause (su quel divano ci si sta proprio scomodi, alla mamma le ho regalato uno scialle). In assenza di ripresa anaforica l'elemento dislocato a sinistra – sottolineato da un picco intonativo – ha nel parlato invece funzione di rema, veicola cioè una informazione nuova (il giornale compra Mario [e non il pane]: questo costrutto ha il nome di topicalizzazione contrastiva. Tema sospeso/nominativo assoluto: l'elemento dislocato a sinistra è del tutto esterno alla frase, dal punto di vista sia sintattico che intonativo: non è infatti preceduto da preposizione ed è sempre separato da una pausa (rappresentabile da una virgola nella grafia): la mamma, le ho regalato uno scialle (e la ripresa anaforica può essere diversa da un pronome: la mamma, ho regalato uno scialle alla nostra vecchietta). Anacoluto: frattura, deviazione sintattica nella strutturazione della frase, tale da lasciare incompiuto il costrutto di apertura (l'anacoluto è per lo più riconoscibile dal cambiamento del soggetto grammaticale): il più svelto a finire, gli prometto un premio, è molto usato nei proverbi (chi si fa pecora, il lupo se lo mangia). E' usato anche in letteratura, in funzione mimetica dell'oralità, in quanto risponde a un affioramento impulsivo del soggetto logico, posto in primo piano all'esordio del discorso, e a un successivo cambio di progettazione per l'esigenza di dare spazio a un'altra urgenza informativa.

Meno ricorrente è la dislocazione a destra (maggiore informalità diafasica): lo compra Mario, il giornale; l'elemento a destra è sempre già un dato nel discorso (o tema: del giornale si stava già parlando), è anticipato da un pronome cataforico (che rinvia a ciò che segue, a destra) ed è preceduto nella pronuncia da una breve pausa. Frase scissa: l'accentuazione enfatica converge sul rema (è Mario che compra il giornale), si isola a sinistra l'informazione nuova, in una frase costituita dal verbo essere più l'elemento focalizzato (è Mario), seguita da una falsa relativa introdotta per lo più da che (che compra il giornale), deputata a esprimere l'elemento dato. Con questo costrutto si spezza l'informazione in due blocchi distinti, facilitando la ricezione del messaggio. C'è presentativo: c'è di là uno studente che vuole parlarti; c'è Luigi che ti vuole al telefono: in questo caso non ci sono dati già noti all'atto della comunicazione, che è tutta costituita da elementi di novità, rematici. Il fine del costrutto è di spezzare l'informazione in due momenti distinti e più semplici, a vantaggio sia del locutore (che può pianificare meglio il suo enunciato) sia del destinatario (che lo riceve in due frasi distinte: la prima introdotta dal c'è presentativo, la seconda costituita da una pseudorelativa adibita alla seconda informazione). Sintassi del periodo: andamenti coordinativi (c'era la televisione a volume altissimo e non ho sentito il telefono) e giustappositivi, con la successione di periodi monofrastici (di una sola proposizione) e senza alcun legame sintattico, in conseguenza della ridotta possibilità di progettazione del discorso: non l'ho sentito il telefono ... c'era la tele al massimo ... va be', dài, richiameranno. Subordinazione: uso di modi impliciti (vado a fare la spesa; non riesco ad aprire la scatola; cerca di sbrigarti); nelle proposizioni esplicite si avvale di una gamma di congiunzioni più ristretta (siccome, dato che e visto che causali; perché nelle finali: ho dovuto sgridare Luigi, perché la smettesse). Frequentissimo l'uso di subordinate introdotte da che polivalente, cioè non sempre definibile con precisione per categoria grammaticale e valore semantico (vai a letto che è tardi; siamo arrivati che eravamo stanchi morti; passami la caffettiera che la lavo). Che polivalente anche nei registri diafasici meno controllati, in funzione di pronome indeclinato: la pizzeria che siamo andati l'altra sera; il relativo è ripreso volentieri da clitici che – in assenza della preposizione – assumono il compito di esplicitare il caso: un bambino che non gli piace nessuna verdura. Descrivi i tratti caratteristici del parlato relativi all'uso dei verbi. Il parlato, per quanto riguarda la sintassi del verbo, si caratterizza per la presenza di usi che contraddicono l'osservanza del dato temporale, come nell'enunciato avevo l'esame il 18 [e il locutore intende una data posteriore], ma ho accettato una proposta di lavoro e non ce la farò più a prepararlo, del tutto inaccettabile se guardiamo alla logica della cronologia. Forte estensione dell'imperfetto indicativo nell'oralità: imperfetto fantastico: evoca un avvenimento immaginario del passato, una possibilità che non si è poi attuata: 'avremmo potuto far senza timbrare il biglietto!' - 'bravo! poi magari saliva il controllore [che in realtà non è salito] e ci toccava pagare la multa'. imperfetto ipotetico: all'indicativo, sostituisce il congiuntivo imperfetto nella protasi e il condizionale composto nell'apodosi della norma grammaticale: se lo sapevo, non ci venivo (da confrontare con se l'avessi saputo, non ci sarei venuto dello standard). imperfetto potenziale: esprime una forma di supposizione (non capisco cos'è successo, doveva essere qui alle 8). imperfetto ludico: il riferimento al passato è assente, è quello dei giochi infantili (dài, giochiamo: tu eri il capo degli indiani e io ero il capo dei cow-boy). imperfetto di modestia (o di cortesia): rende meno categorico, quasi trasferendolo al passato, il tenore di una richiesta che è invece attuale: volevo un chilo di pere; scusi professore, dovevo concordare l'esame biennale. imperfetto epistemico: si riferisce al futuro, richiamando presupposti o conoscenze o credenze precedenti: partivano stasera, ma gli si è rotta la macchina.

Sostituzione del futuro con il presente: parto domattina alle 8; lunedì mi fermo fuori a mangiare; è un costrutto che si attua anche senza quegli indicatori temporali che assicurano la collocazione nel futuro dell'evento descritto: ti viene un bell'esaurimento, se continui a dormire tre ore per notte. Presente pro futuro: ricorre per lo più in riferimento a eventi di un futuro prossimo e non lontano, a meno che l'accadimento sia previsto con assoluta certezza: nel 2061 si festeggia il secondo centenario dell'unità d'Italia. Perifrasi con valore di futuro: se ne stanno diffondendo molte nel parlato contemporaneo: andare o stare o venire + a + infinito (la canzone che vado a presentarvi; sto a guardare quel che succede, poi decido; vengo a concludere il mio ragionamento); stare per + infinito (sto per uscire), stare + gerundio (Giovanni sta andando al supermercato: hai bisogno di qualcosa?, ove si indica che Giovanni è in procinto di andare al supermercato e non che vi si sta già recando). Sottolineano l'imminenza dell'azione. Futuro epistemico: vale a esprimere congetture in riferimento al presente, con valore modale: 'quanti anni ha Mario?' - 'ma, sarà sui trentacinque'; è lei l'esperto, saprà certo meglio di me se il termostato è da cambiare. La progressiva sostituzione dell'indicativo al congiuntivo: completive oggettive (mi pare che il raffreddore è diminuito), le oggettive, in specie quelle dipendenti da verba putandi (penso che vengono domani; sono convinto che ha sbagliato a rispondergli così), le interrogative indirette (non ho capito bene cosa voleva dire; non sto a chiederti perché hai rinunciato alla festa), le ipotetiche (se volevo, riuscivo a superarti). Descrivi i tratti caratteristici del parlato relativi al sistema pronominale. Peculiare del parlato è l'impiego di lui, lei, loro come pronomi tonici di terza persona con funzione di soggetto (al posto di egli, ella, essi). Uso di gli con valore di dativo ('a loro' o 'loro'): se vengono i ladri gli preparo io una bella sorpresa; ai cani bisogna fargli far la pipì due volte al giorno. Gli per esprimere il dativo singolare femminile (ogni volta che vede una bella ragazza gli fa una strizzatina d'occhio) e te con funzione di soggetto: sei te che hai cominciato a offendere; gli telefoni te per piacere?. I pronomi atoni nel parlato sono molto più fitti che nella scrittura, richiesti dalla necessità di coesione di testi evanescenti, affidati alla sola memoria degli interlocutori. Anche i pronomi tonici ricorrono nel parlato conversazionale con alta frequenza, e con loro i vari indicatori di luogo e tempo (per lo più avverbi); entrambi hanno la capacità di riportare dall'interno dell'enunciato al contesto esterno nel quale si attua lo scambio linguistico, ovvero hanno valore deittico. Quali sono le funzioni tipiche dei segnali discorsivi nel parlato? Sono elementi linguistici che non aggiungono nulla al contenuto delle proposizioni, essendo privi di significato), ma che hanno un ruolo primario nel funzionamento dell'interazione verbale e nell'organizzazione del testo (sono infatti tutti, al tempo stesso, connettivi testuali): cioè, insomma, comunque, diciamo, è vero → hanno uffici essenziali, ci permettono di riprendere e correggere i nostri enunciati, ci accordano lievi pause nelle quali riformulare il messaggio. Nella conversazione i segnali discorsivi mantengono vivo il contatto fra gli interlocutori, assecondano cioè la funzione fatica della lingua, quella che controlla il canale comunicativo, legata al contatto, cioè al canale fisico e alla connessione di tipo psicologico e cognitivo che si instaura tra i due attori dello scambio comunicativo. Per il punto di vista del locutore si possono distinguere elementi che segnalano l'inizio del turno (senti; allora; dunque; ecco; scusa; niente; beh) e quelli che lo chiudono, i quali possono al tempo stesso annunciare la richiesta di un accordo (siamo intesi?; capito?; vero?; chiaro?). Usi allocutivi: elementi linguistici che servono all'atto di rivolgersi al proprio interlocutore (capo;

mister). Per il punto di vista dell'ascoltatore vengono usati segnali di interruzione con i quali ci si può impadronire del turno conversativo (ma; allora; eh no) o confermare l'avvenuta ricezione (sì; perfetto; davvero; d'accordo; assolutamente) o il disaccordo (assolutamente no; per niente; ma va là). Ripetizioni lessicali: possono essere utilizzate per dare enfasi, o per spiegarsi con maggior chiarezza e tener vivo il filo del discorso. Descrivi le principali caratteristiche lessicali del parlato. Il lessico dell'italiano parlato non è diverso per natura da quello dello scritto, dato che attinge le stesse parole allo stesso repertorio. Sono diversi i meccanismi di selezione: il parlato privilegia il lessico dei registri informali e esclude in gran parte quello di sapore più letterario. La lingua parlata fa uso rispetto allo standard di un numero più ristretto di voci, spesso di significato molto generico: roba; affare; cosa; fatto; tipo; in riferimento a persona: tipo; tizio; uno; verbi: dare (non darti delle arie); andare (la lampadina è andata); fare (si è fatto una storia con una ragazzina; faccio fuori gli esami e poi attacco la tesi); verbi pronominali: prendersela (è uno che se la prende per niente); entrarci ('essere pertinente': guardi che la sua risposta non c'entra per niente); volerci (non ci voleva poi molto a farsi vivi); contarci (questa volta sarò puntualissimo, puoi contarci); averci (finalmente anche Mario ci ha un lavoro; ci hai un po' di spiccioli per piacere?; non ci ho proprio voglia di uscire stasera). Forme di diminutivo nate da esigenze di affettività (ci ho fatto su un pensiero; non ringraziarmi neanche, è solo un regalino, una cosina piccola piccola), che spesso rispondono anche alla volontà di rendere un ordine meno perentorio (fermati solo un attimino). Uso di superlativi assoluti enfatici: il suo è stato proprio un esamissimo; per anni sono andati d'accordissimo. Espressioni lessicali di enfasi accrescitiva: tanto di (ha fatto tanti di quei soldi); un sacco di (è uno che racconta un sacco di storie); bello + aggettivo o sostantivo con significato antifrastico (che esprime cioè il contrario: bella figura!); che pronome o aggettivo esclamativo (che brutta faccia hai oggi; ma guarda un po' che cafone). Raddoppiamenti: voglio farmi una vacanza vacanza; cos'è quella faccia nera nera?. Espressioni onomatopeiche: bang; splash; patapum; trac e zac con valore conclusivo. Ampio utilizzo dei suffissati in -ata (calmata; abbuffata; barcata; stupidata). Troncamenti affettivi: filo; prof; retro; disco. Illustra i principali aspetti fonologici del parlato. Fenomeni di metatesi (areoplano; semper > sempre; scambio di due fonemi contigui). Fenomeni di allegro (esecuzioni di pronuncia trascurate o veloci): apocopi postconsonantiche (son venuta presto; riesci a passar di casa oggi?; non far finta di niente) e aferesi sillabica (bastanza per 'abbastanza'; spetta per 'aspetta'; scolta per 'ascolta'; caduta d'una vocale o d'una sillaba all'inizio di parola). Descrivi le caratteristiche salienti dell'italiano trasmesso. La peculiarità più evidente del parlato radiotelevisivo risiede nella sua direzione a senso unico: l'emittente non può adeguare il suo messaggio alle reazioni del destinatario, il quale, a sua volta, è assente dal luogo della produzione linguistica, ha il ruolo del tutto passivo di chi non può interloquire. L'oralità del telefono è imperfetta, in quanto non si realizza la compresenza dei parlanti nello stesso spazio fisico, una delle condizioni della realizzazione orale nella sua forma compiuta (manca del tutto la gestualità). In più, l'uso del telefono quando si interviene in un dibatto radiofonico o

televisivo è diverso da quello del libero scambio conversazionale (implicita diseguaglianza): il canale comunicativo è governato da una delle due parti, che può decidere e decide di fatto a chi dare la voce, quanto tempo destinare al colloquio, quando interromperlo, talvolta troncando di netto la parola all'interlocutore. Talk-shows: hanno le funzioni della cronaca, del commento, dell'intervista, del dibattito a più voci, del documentario, etc. Dovremo collocare quindi l'oralità radiotelevisiva nel settore intermedio della diamesia che corre dallo scritto-scritto al parlato-parlato, nel campo dei testi la cui produzione è scritta, ma che sono destinati a un'esecuzione orale. Italiano trasmesso: partecipa di alcuni caratteri del parlato e di alcuni caratteri della scrittura. Usa la voce, articolata in tutte le sue modulazioni e intonazioni, con le pause, le esitazioni, i segnali discorsivi e (per la televisione) la gestualità: per queste caratteristiche, comunque, l'italiano trasmesso si presenta con uno dei tratti fondamentali del parlato, la fuggevolezza, l'evanescenza nel tempo. Tuttavia può essere accostato alla scrittura in quanto passibile di registrazione, e quindi usufruibile molteplici volte; l'emittente e il destinatario non condividono la stessa situazione spaziale; la comunicazione (a una sola direzione, dall'emittente al destinatario) è rivolta a una pluralità di persone molto alta e che può essere situata a grandissime distanze e avviene principalmente a partire dalla scrittura, cioè attraverso la lettura di testi preconfezionati rispetto al momento dell'enunciazione. Il linguaggio della radio e della televisione si pone quindi molto spesso come espressione scritta nell'atto della produzione, ma orale per il punto di vista della ricezione. La fruizione orale e la destinazione a un pubblico anche basso per collocazione diastratica sono i due fattori che contribuiscono in modo decisivo a dettare alcune caratteristiche dell'italiano trasmesso: chiarezza e capacità di concisione sono due qualità basilari, poiché chi ascolta non può farsi ripetere o spiegare gli enunciati già percepiti, e non può tornare sul testo, a meno che non abbia registrato la trasmissione. Struttura del periodo semplice, paratattica e stile nominale. Ortoepia: correlativo fonetico dell'ortografia. E' una disciplina di taglio normativo che prescrive norme per la pronuncia ritenuta corretta di suoni e parole di una lingua. L'italiano popolare Che cos'è l'italiano popolare? L'italiano popolare è l'espressione linguistica propria degli incolti (o analfabeti) e dei cosiddetti semicolti, ovvero coloro che, pure avendo un'istruzione scolastica di base, non hanno mai acquisito piena competenza della lingua italiana: sostanziale incapacità a comporre ma anche a intendere in modo corretto un testo, pur breve ed elementare, relativo a eventi di pubblico dominio. Orientato verso il parlato in diamesia e nei registri inferiori dell'asse diafasico: spesso coincide, paradossalmente, con il registro alto di chi parla abitualmente il dialetto e si sforza di esprimersi in lingua. Descrivi i principali tratti dell'italiano popolare (grafia, morfologia, sintassi, lessico ecc.) Incertezze grafiche: punteggiatura incoerente o del tutto assente; insicurezza nell'uso delle maiuscole; uso errato di h, di q; segmentazioni erronee (l'aradio; lo rigano). Morfologia: nell'articolo l'estensione delle forme un e il/i (anche nelle preposizioni articolate) davanti a z e s preconsonantica (dai zii non me l'aspettavo; un spazio; i Spagnoli); per quanto riguarda i pronomi l'uso di ci con valore di dativo maschile e femminile, singolare e plurale (ci ho dato un ceffone; a loro ci dico che non vengo; al Centro prevale, con le stesse funzioni, gli); il possessivo suo riferito alla terza persona plurale (i Rossi, per comprare la macchina, hanno speso tutti i suoi risparmi); formazioni irregolari del comparativo e del superlativo (più migliore; più

ottimo; assai bellissimo); per quanto riguarda il verbo si hanno diverse riformulazioni analogiche (potiamo; facete; dicete) e congiuntivi esenti dalla prima coniugazione (vadi; vadino; venghi; venghino); per quanto riguarda la sintassi, sono continue le incertezze nell'uso delle preposizioni (non sono bravo di cucinare; ti insegno io di comportarti bene), l'uso del che polivalente (una bottiglia che c'erano dei vermi dentro), le concordanze a senso (tutto lo stadio lo applaudivano; si salvò solo tre dei condannati), i temi sospesi (la nostra tavola, si sono dimenticati di portare il vino); per quanto riguarda la sintassi è ampio l'uso di voci generiche (roba; cosa; affare), e nella formazone delle parole alcune costanti relative all'uso dei suffissi: molto utilizzato -accio (con valore espressivo: vitaccia; qui non si sta malaccio), lo scambio di suffissi (sollecitudine per sollecitazione) e la loro cancellazione (la dichiara; la spiega). Nei gradini più bassi della diastratia gli studiosi hanno sottolineato l'affioramento dei malapropismi. Che cosa sono i malapropismi? Storpiature erronee di voci che sono ricondotte ad altre più note (eponimo dal nome del protagonista della commedia inglese I Rivali, che parla con continue sgrammaticature): péndice per 'appendice', indotto dal verbo pendere; per accostamento a bimbo, bimboniera; da 'palco' palché, per 'parquet'. Riassumi in sintesi le diverse posizioni degli studiosi emerse nei dibattiti sull'italiano popolare. La nozione di italiano popolare fu introdotta e approfondita, a partire dal 1970, da Tullio De Mauro e Manlio Cortellazzo, che ne hanno asserito la natura panitaliana, la sostanziale indipendenza dai sostrati dialettali. De Mauro la definisce come “il modo di esprimersi di un incolto che, sotto la spinta di comunicare e senza addestramento, maneggia quella che ottimisticamente si chiama la lingua nazionale”. Cortellazzo la definisce come “il tipo di italiano imperfettamente acquisito da chi ha per madrelingua il dialetto”. In queste due formulazioni, in apparenza molto simili, si annidano due diverse concezioni che hanno poi portato altri studiosi a una netta contrapposizione fra due opposte valutazioni dell'italiano popolare: alcuni, a partire dalla convinzione che l'italiano comune (“quella che ottimisticamente si chiama lingua nazionale”) non esiste, hanno colto nell'italiano popolare il patrimonio di classi sociali portatrici di una competenza linguistica subalterna, ma spontanea, genuina, tale da sopperire all'inesistenza di un italiano comune e da prefigurare, addirittura, le linee di tendenza del futuro; altri, descrivendo l'italiano popolare come un fascio di deviazioni rispetto a uno standard ben riconosciuto, ne hanno accentuato la natura di una varietà inferiore, bassa, del tutto marginale nelle dinamiche dell'italiano contemporaneo e che deve essere anzi sradicata e superata in direzione dello standard. L'estensione dell'italiano a gruppi sociali sempre più ampi, disabituati da secoli a usufruire della lingua, deve essere salutata come un processo solo positivo; e si deve riconoscere che in alcuni strati sociali inferiori emergono tendenze vive da sempre nella lingua, tenute a freno da una tradizione grammaticale e retorica spesso troppo formalistica, schifiltosa. Che da queste premesse si possa poi identificare nell'italiano popolare di oggi la forma più avanzata di lingua e addirittura l'italiano del domani pare però azzardato: l'unità dell'italiano popolare è molto precaria, condizionate come sono ancor oggi, le espressioni dei ceti meno elevati, da contrassegni regionali a tutti i livelli; e perché l'evoluzione dell'italiano dipende da fattori che non possono essere circoscritti, in modo circoscritto e venato di populismo, all'affermazione delle classi popolari su quelle colte. Su altro fronte, sembra infine però anche eccessivo l'allarmismo di coloro i quali, bollate come lingua selvaggia le varie fenomenologie dell'italiano popolare del giorno d'oggi, le giudicano un attentato all'integrità della lingua, il segno del suo corrompimento. Esse rappresentano l'inevitabile frutto del tentativo di impadronirsi della lingua standard.

Il gergo Che cosa sono i gerghi e su quale asse di variazione si possono identificare? + Illustra le caratteristiche tipiche dei gerghi storici. Illustra le caratteristiche tipiche dei gerghi transitori. Nell'accezione più stretta (che identifica i gerghi storici) il gergo è la lingua propria di alcuni gruppi di persone ai margini della società, che ne fanno uso all'interno della loro cerchia, con la finalità primaria di promuovere il senso di appartenenza al gruppo, la sua autoidentificazione e coesione interna, e con il risultato di escludere dalla comprensione gli estranei. Il parametro fondamentale per individuare il gergo è quello diastratico, essendo espressione di categorie di bassa estrazione sociale e collocate alla periferia del consorzio civile: un mondo parassitario (mendicanti, vagabondi) o dedito a attività illecite (malviventi, imbonitori) o ad attività di piazza legate all'intrattenimento popolare (cantastorie, giostranti, fieranti) o a forme di commercio e artigianato minore oggi in declino (ombrellai, spazzacamini, arrotini e ambulanti in genere). I tratti più rilevanti dei gerghi storici devono essere ricercati nel lessico, che si forma su basi dialettali e secondo alcuni processi caratteristici: l'uso del suffisso -oso (le fangose 'le scarpe'; la calcosa 'la strada'; la buiosa 'la prigione'), il troncamento di parole comuni, con varie forme di storpiatura (polizia > pula; carabinieri > caramba; morfina > morfa), l'uso di parole che iniziano con n e s per esprimere negazione (nisba; nieti) e affermazione (sèdeci; siena); frequente ricorso alla metafora: bruna 'la notte'; neve 'la cocaina. Accanto a quelli storici si definiscono transitori i gerghi che hanno origine dalla convivenza temporanea in ambienti di segregazione più o meno coatta, come il carcere, il collegio, la caserma. I transitori condividono con gli storici la funzione di rafforzare l'identità del gruppo e possono presentare necessità più stringenti di segretezza, ad esempio tra carcerati. Il gergo transitorio penetra anche nella lingua dei giovani: fortuna dei suffissati in -oso (palloso; pizzoso); allargarsi per 'assumere un atteggiamento di superiorità. Molte voci dei gerganti sono penetrate anche nell'italiano comune, per lo più nei registri bassi o nelle varietà colloquiali, ma non solo: sfottere; sbobba; malloppo; monello. Negli usi correnti, inoltre, al termine gergo si attribuiscono anche due significati estensivi: di 'terminologia specifica di una certa classe o professione' (il gergo degli informatici; il gergo burocratico) e di 'modo di parlare oscuro e allusivo': due concetti che andranno piuttosto ricondotti all'asse della diafasia, alle rispettive categorie dei sottocodici e dei registri, e non a quello diastratico. L'italiano burocratico Elenca i fenomeni lessicali e sintattici tipici dell'italiano burocratico. + A quali precise esigenze comunicative risponde la lingua burocratica? Il linguaggio della burocrazia, che si confeziona negli uffici pubblici è un'espressione volta per istituzione a informare i cittadini in quanto utenti di servizi e a indirizzarne normativamente il comportamento. Carattere costante e tradizionale dell'espressione burocratica è quello di essere un po' intimidatoria, tale da incutere nel destinatario un certo rispetto, uno stato di soggezione che lo induca a ubbidire alle regole e a seguire le prescrizioni che gli sono rivolte. Inclinazione del linguaggio burocratico a tratti formali, in uno sforzo di nobilitazione espressiva che risponde anche ai modelli, che spesso gli sono sottesi, del sottocodice della lingua giuridica.

Lessico: abbonda di sinonimi pretenziosi; frequente è il ricorso al serbatoio del latino: obliterare 'annullare con un timbro' (da cui è stato formato obliteratrice); rinvenire 'trovare'; istanza 'domanda'; locuzioni sovrabbondanti (dare comunicazione; procedere all'arresto; opporre il diniego), tutte sostituibili da sinonimi monorematici (comunicare; arrestare; negare); nella formazione delle parole sono graditi i sostantivi deverbali di grado zero (nomi assunti da basi verbali senza alcun suffisso): inoltro; delega; esproprio; addebito e viceversa (evidenziare; dilazionare); forme antiquate: addì e li nell'indicazione della data, cui si aggiungono il dimostrativo codesto, gli allocutivi elle e Signoria Vostra, e congiunzioni estranee agli usi comuni (onde nelle finali; ove nelle ipotetiche). Sintassi: sequenza cognome nome, che risponde alla necessità di classificazione alfabetica, ed è gradita la posposizione del numerale in espressioni come di anni 35; euro 60; esteso processo di nominalizzazione (in formule del tipo in considerazione di; ai fini di); il ricorso al futuro deontico (che esprime un dovere, un obbligo: la domanda dovrà essere presentata in duplice copia; il modulo andrà compilato in tutte le sue parti); subordinazioni di alta complessità, come conseguenza di un testo che anticipa molto spesso le motivazioni dei provvedimenti, introdotte da subordinate implicite participiali (considerato; visto; ritenuto) per relegare in posizione le decisioni prese di fatto, espresse dalla proposizione principale (si autorizza; si invita; si sollecita); largo uso di aggettivi di sapore antiquato o prezioso: predetto; suddetto; suesposto; suindicato. Questa sequenza logico-semantica accomuna il linguaggio burocratico e quello della giurisprudenza: se non che mentre il discorso giuridico è destinato a specialisti, la lingua degli uffici si rivolge a un pubblico molto più eterogeneo: alcune caratteristiche sono poco funzionali alla trasparenza che dovremmo pretendere in testi di eminente natura regolativa e rivolti a tutti i gradini della scala diastratica. Le lingue speciali Che cosa sono le lingue speciali? Le lingue speciali, o anche linguaggi settoriali, implicano un fascio di realizzazioni linguistiche eterogeneo: nelle lingue speciali si accomunano infatti i linguaggi tecnico-scientifici, quelli delle discipline umanistiche (diritto; sociologia; critica d'arte; linguistica), quelli dei mass media, della pubblicità ed altri ancora. Definisci il concetto di sottocodice. Per sottocodici si intendono le varietà della lingua correlate all'argomento, alla disciplina di cui si tratta, la cui peculiarità è proprio il riferimento a un determinato ambito specialistico (che può essere ad esempio quello della biologia, della chimica, della medicina, ma anche dello sport o dei mezzi di trasporto). In che senso il linguaggio dei mass media, ad esempio quello dei giornali, può essere considerato una lingua speciale? Può essere considerato tale se prendiamo in considerazione il linguaggio giornalistico come sottocodice, che ospita voci specialistiche talora poco conosciute ai 'non addetti ai lavori' (occhiello 'frase posta sopra il titolo, in caratteri di dimensioni inferiori a quelle del titolo stesso'; lead 'brevissimo riassunto, nella prima pagina, di notizie svolte per esteso nelle pagine interne. In contrapposizione alla stessa lingua dei giornali, intesa come caleidoscopica portatrice di informazioni sulla realtà quotidiana (politica; cronaca; sport; spettacoli; economia): in questo caso la caratteristica più pertinente consiste non nel riferimento a un argomento specialistico, ma nella specificità del canale di trasmissione (N.B.: no monosemia; lingua di comunicazione, non speciale).

Perché si parla di tendenza alla monosemia del lessico delle lingue speciali? Perché molte parole dell'italiano dotate di forte polisemia specializzano in più sottocodici alcune delle loro accezioni, ciascuna differente dall'altra ed estranea ai valori correnti (non c'è spostamento metaforico, come potrebbe esserci in paralisi usata con l'accezione di 'arresto temporaneo di un'attività': la paralisi dei commerci, del traffico, dei voli aerei). Ad esempio base riveste un significato diverso a seconda che sia usato nel sottocodice chimico, matematico, geometrico, musicale, linguistico o del baseball. Quale tipo di variazione diafasica e diastratica si osserva per le lingue speciali? L'escursione diafasica delle lingue speciali soffre di limitazioni diverse a seconda che si scenda nella scala dalle scienze più formalizzate agli altri linguaggi: essa è circoscritta verso il basso (l'informalità) per le scienze più sistematiche e codificate e verso l'alto (la formalità) per quelle attività sociali che non cataloghiamo nell'ambito delle discipline scientifiche. La diastratia, per quanto riguarda le lingue speciali, è individuata in base a categorie professionali piuttosto che socio-economiche e di preparazione culturale. E' intuibile che la lingua della fisica nucleare sarà appannaggio quasi esclusivo degli esperti del settore (ai livelli più alti della scala diastratica), ma anche per i linguaggi non scientifici può accadere che l'espressione specialistica non sia alla portata di tutti e sbilanciata, se mai, verso il basso: due manovali che parlano usando il sotto-sotto-codice del calcio possono non essere intesi nelle altre zone della diastratia (fra gli intellettuali per esempio, con ovvie eccezioni, tali nozioni sono spesso del tutto oscure). Peraltro un'ottima padronanza dei sottocodici scientifici e tecnici può verificarsi anche nei ceti socio-culturali inferiori: un elettrauto o un giardiniere saranno portatori di una competenza lessicale particolare e specialistica che potrà essere condivisa non negli strati diastratici contigui – quelli medi – ma in quelli alti, ad esempio dal dirigente di una casa automobilistica o da un docente universitario di botanica. In che modo le lingue speciali obbediscono all'esigenza di denotazione del lessico? Tramite una corrispondenza biunivoca fra parola e significato, nel senso che non solo i significanti delle lingue speciali hanno un solo significato, ma anche che i significati sono rappresentati da uno e da un solo significante. Ciò accade in obbedienza alla necessità della precisione denotativa, di una puntualizzazione semantica per la quale i referenti devono essere individuati in modo esatto, non passibile di ambiguità (tanto maggiore quanto più ci sia avvicina alle scienze di alta formalizzazione). Quali sono le peculiarità di lessico e sintassi delle lingue speciali? Lessico: riluttante alla sinonimia nelle scienze ad alta specializzazione definitoria (etnometodologia; geologia; botanica), meno in lingue come della medicina (febbrifugo; antifebbrile; antipiretico) e dello sport, in cui esistono doppie denominazioni per le discipline (boxe e pugilato; volley e pallavolo; basket e pallacanestro: i sinonimi sono tanto più frequenti quanto più ci si avvicina alla comunicazione divulgativa, verso il basso della diafasia (cefalea/mal di testa; rinite/raffreddore); imponente ricorso ai codici stranieri, soprattutto in discipline quali la biologia, la fisica, la chimica e parte della medicina, a causa della circolazione internazionale degli studi, ma anche a livelli meno specializzati (informatica: computer; hardware; software; hard disk); attinge anche dal latino, soprattutto per quanto riguarda il campo giuridico e medico (ictus; angina pectoris); neologismi tramite suffissati (stampata; tastierino), prefissati (ipotiroideo), composti (videoteca) ed innovazioni semantiche, ovvero l'attribuzione di nuovi significati a voci già presenti in lingua con altri valori; adozione di suffissi dotati di significati specifici e per lo più monosemici nelle singole discipline: -ite 'infiammazione acuta o cronica), -osi un processo degenerativo o un cambiamento

nell'equilibrio fisiologico (dermatite 'risultato di un contatto con una sostanza urticante'; dermatosi ' stato più generale di malattia della pelle'); affermazione di sigle/acronimi in forte espansione: DNA, AIDS, CAB, DOC, SMS, CD-ROM, RAM; uso figurato di alcune sigle (un fiorentino doc 'genuino, autentico'); prefissi d'origine latina e greca (fito-: fitofago 'che si nutre di vegetali'; fitoterapia 'cura basata sull'impiego delle piante officinali'); creazione di voci polirematiche mediante l'accoppiamento di sostantivi (via cavo; ponte radio); presenza di eponimi polirematici (teorema di Pitagora; morbo di Parkinson; leggi di Keplero) e monorematici, soprattutto per quanto riguarda le unità di misura (volt; ohm; ampère; watt); travaso terminologico da un settore all'altro: il trasporto aereo ha mutuato parte del suo lessico da quello della marineria (navigazione aerea; velocità di crociera); in modo analogo nel linguaggio delle cronache calcistiche si trovano espressioni assunte da altri sotto-sotto-codici sportivi (la volata finale per lo scudetto; il KO della Juventus contro l'ultima in classifica). Sintassi: in un testo tecnico-scientifico la frequenza con la quale si ripete uno stesso termine è da 8 a 20 volte superiore che nella lingua comune; trattandosi di una dimensione dimostrativo-esplicativa si ricorre volentieri a espressioni introduttive, premesse, presupposti (dato che; ammesso che; posto che) che costituiscono l'antecedente logico dell'argomentazione, cui segue la deduzione delle conseguenze (ne consegue; si conclude che), che rivestono anche il ruolo di elementi di connessione del testo; processo che porta alla cancellazione del verbo, sostituito con locuzioni preposizionali (processi infiammatori a carico del palato molle in luogo di processi infiammatori che interessano il palato molle) e da sintagmi nominali (composto che presenta un'alta densità molecolare > composto ad alta densità molecolare); prevalenza del tempo presente, il più consono alla descrizione e alla dimostrazione argomentativa, affiancato dal futuro, che ricorre anche nella descrizione degli esperimenti scientifici (il liquido di contrasto, a contatto con l'acido, assumerà allora una colorazione verdastra); modo dominante indicativo, tipico della constatazione, dell'asserzione di verità, anche se il congiuntivo non è infrequente, per esempio nel linguaggio giuridico e amministrativo e nelle dimostrazioni scientifiche, adibito ad affacciare ipotesi o dati di partenza; degno di nota l'uso del condizionale, per avanzare congetture che attendono ancora una conferma o non condivise da tutti gli studiosi; vengono escluse generalmente la prima e la seconda persona singolare e la seconda plurale: frequente è la forma spersonalizzata della terza persona, o della prima plurale, quando l'autore prende la parola direttamente, con un noi di modestia che esprime il parere della comunità scientifica (ovvero con un noi che spesso introduce una descrizione sperimentale e sembra rendere partecipi dell'esperimento anche i destinatari del messaggio) → forte tendenza comunque di forme impersonali, in risposta alle esigenze della neutralità scientifica; analogamente va considerata la propensione delle lingue speciali per le forme passive del verbo, in direzione di una vera e propria cancellazione dell'io: consentono inoltre di mettere il prima sede nell'enunciato il processo o il fatto di cui si è discorso nella frase precedente della trattazione. L'italiano standard Che cos'è l'italiano standard? E' la lingua ereditata dalla tradizione letteraria (il fiorentino scritto del Trecento) , descritta nelle grammatiche e insegnata nelle scuole e agli stranieri. Lingua standard: espressione dotata di una sostanziale stabilità (pur flessibile: non s'intenda una immobile rigidità), garantita dalla codificazione grammaticale, depositata nei vocabolari, capace di piegarsi alla produzione di qualsiasi tipo testuale, anche di alta astrazione. Ha una funzione unificatrice (in essa si riconoscono, all'interno di una comunità, parlanti di differente origine sociale e geografica) e al tempo stesso separatrice, in grado di simboleggiare un'identità nazionale diversa da altre; un'espressione non marcata lungo gli assi della variazione.

Quali sono le peculiarità dell'italiano standard relativamente al parlato? Occorre ammettere che per la grandissima maggioranza degli italiani lo standard, relativamente al parlato, è un'entità del tutto virtuale. Esso è posseduto da un numero di parlanti assai ristretto, un'élite di intellettuali, o meglio ancora, una ristretta cerchia di gruppi professionali specifici (attori di cinema e teatro, doppiatori, annunciatori radiotelevisivi) che abbiano seguito appositi corsi di dizione. Sul piano diamesico del parlato-parlato lo standard, orientato verso il polo alto della diastratia, si notano comunque variazioni diatopiche. Se anche si attribuisce valore di pronuncia standard al cosiddetto fiorentino emendato, infatti, il riferimento sarà sempre in direzione di una varietà locale particolare. Inoltre anche un fiorentino di estrazione sociale alta dovrà sforzarsi di correggere la sua dizione per approdare allo standard, evitando la gorgia (aspirazione delle occlusive intervocaliche: amiho) e la pronuncia delle fricative in [diesci], [oridgini]; se ne deduce, per quanto possa apparire paradossale, che lo standard nel parlato non è patrimonio nativo di alcun cittadino italiano. Si può parlare dell'esistenza di un italiano standard scritto? In quale misura? Altro è il discorso sul fronte opposto dell'asse diamesico, quello della scrittura: la conquista di un italiano standard scritto è conseguita infatti da settori assai più consistenti della popolazione. Nelle scritture di media e alta formalità anche la principale delle variazioni, quella diatopica, appare neutralizzata: prosa della saggistica; manualistica; trattazioni e divulgazioni scientifiche; giornalismo impegnato e letteratura non incline a regionalismi espressionistici. Un italiano comune scritto esiste, sia pur limitato sull'asse diamesico e diastratico e perciò in parziale contraddizione con la definizione di standard. Così identificato, lo standard di pone come modello di riferimento per l'insegnamento scolastico, ma con attenzione pressoché esclusiva alla scrittura: gli insegnanti in tutta la nostra tradizione hanno privilegiato gli aspetti scritti della lingua su quelli orali, come mostrano le assidue cure dedicate all'ortografia e la non considerazione delle norme relative all'ortoepia. In conclusione possiamo dire che l'italiano standard contemporaneo è prerogativa delle classi più istruite, concerne comunicazioni piuttosto formali che trascurate e si manifesta nella varietà scritta e solo presso un'esigua minoranza in quella parlata. Linee di tendenza Quali sono i principali tratti linguistici indicati dagli studiosi come esemplari dell'attuale status della lingua e come segnali di una tendenza in atto verso un nuovo standard? Per quanto riguarda i pronomi: l'uso di lui, lei e loro in funzione di soggetto; di gli come dativo plurale; di cosa e che interrogativi (usi rispettivamente del Settentrione e del Centro-Sud) a scapito di che cosa; i dimostrativi rafforzati con qui e lì (questo ragazzo qui mi preoccupa; quel ragionamento lì non fila), che muovono dagli italiani regionali del Settentrione. Per quanto riguarda la microsintassi: impiego come aggettivi invariabili di voci di altre categorie grammaticali (specialmente avverbi: due biglietti gratis; una giornata no) e giustapposizioni di sostantivi, nei quali il secondo ha funzione aggettivale, e prive di legame preposizionale (cane poliziotto; treno merci). Per quanto riguarda la sintassi della frase e del periodo: imperfetti modali (ipotetico, ludico ecc.); il presente pro futuro; futuro epistemico (supposizione riguardo al presente) e le perifrasi sostitutive del futuro; costrutti della sintassi marcata (dislocazione a sinistra e a destra; frase scissa; tema sospeso; c'è presentativo) e che polivalente. Paratassi e stile nominale più frequenti che nei secoli passati.

Qual è la definizione coniata da Francesco Sabatini per indicare il complesso dei fenomeni evolutivi che riguardano l'italiano? Che cosa la differenzia, dal punto di vista teorico, da quella proposta da Gaetano Berruto? Sabatini li definisce come “Italiano dell'uso medio”, che è diverso dallo dallo standard tradizionale, ma ormai ammissibile nel parlato e negli scritti di media formalità e non interferito da varietà geografiche. Berruto ha invece proposto l'etichetta di 'italiano neo-standard”, intesa a sottolineare la contiguità con lo standard e l'accettabilità nella norma dei fenomeni innovativi della lingua contemporanea: egli sottolinea la priorità degli aspetti morfosintattici e lessicali su quelli della fonetica, settore nel quale la standardizzazione dell'italiano è ancora in fieri (in divenire). Quali sono le posizioni di Maurizio Dardano e di Luca Serianni? Dardano non attribuisce un'identità autonoma al neo-standard, negandone la centralità nelle dinamiche dell'italiano contemporaneo, che si caratterizza piuttosto per la mescolanza delle varietà e delle tipologie testuali, e per la forte incidenze dei mass media. Serianni, al quale siamo debitori della più completa grammatica di riferimento della lingua italiana, ha rivendicato piuttosto la buona salute dello standard tradizionale, l'indispensabile funzione orientatrice della norma, e ha posto l'accento sulla riluttanza della lingua scritta ad accogliere tratti grammaticali neologici che appartengono piuttosto al parlato. Elenca almeno tre fenomeni dell'italiano neo-standard (o dell'uso medio), specificandone i diversi gradi di 'accoglibilità' in relazione agli assi della variazione linguistica.

Analizza e classifica nelle seguenti frasi i tratti dell'italiano neo-standard, valutandone il diverso posizionamento sull'asse della variazione linguistica. – – – – – – – – – –

Lei ha incontrato Chiara e gli ha detto di venire a cena questo venerdì qui. Quando vanno a trovarli gli portano anche il tuo regalo. Valentina ha le idee chiare: lei sì che sa cosa vuole! Questi biscotti qui sono per dei parenti di mia mamma. Che mangiamo stasera? Ci facciamo una pasta con questo sugo qui? Loro stasera vanno a ballare. Andiamo anche noi, che tanto domani si può dormire un po' di più. Se lo sapevo che ti interessava, ti avvisavo. Domani vado a fare la spesa così c'abbiamo la scorta per tutta la settimana. Vent'anni fa questa villa qui è stata completamente ristrutturata, prima era un fienile. Lui è il classico tipo che non gli devi dire cosa fare.

LE STRUTTURE DELL'ITALIANO Esercizi Fonologia e grafia Definisci il concetto di fonema. Un fonema è la minima entità linguistica con valore distintivo, cioè non dotata di significato in sé, ma capace di distinguere due parole dal punto di vista semantico, cioè del significato. Coppie minime: sono formate da due parole che si oppongono per la minima entità linguistica, un fonema appunto. Di che cosa si occupa la fonologia o fonematica? La fonologia tratta dei fonemi, mentre la fonetica tratta dei suoni o foni. Naturalmente il repertorio dei foni è più ampio di quello dei fonemi, in quanto ogni fonema è anche un fono, mentre non tutti i foni sono fonemi, hanno cioè potere distintivo. Di quali elementi si compongono i segni linguistici, secondo la teoria strutturalista di Ferdinand de Saussure? Sia della parola che del morfema sono segni che vanno a comporre il codice della lingua italiana: ogni segno linguistico è composto dal significante, l'immagine acustica, la forma esterna, e dal significato, il contenuto concettuale, che si riferisce all'oggetto reale, chiamato referente. Che cos'è una vocale? Definiamo vocale un fono pronunciato senza che l'aria, uscendo dal canale orale, incontri ostacoli e con la vibrazione delle corde vocali. I foni nella articolazione dei quali le corde vocali entrano in vibrazione si dicono sonori. Quante sono le vocali in posizione tonica e quelle in posizione atona nel sistema fonologico italiano? In posizione tonica, cioè accentata, sono sette: [a] [E] [e] [i] [O] [o] [u]; in posizione atona sono cinque: [a] [e] [i] [o] [u]. Che cos'è una consonante? Definiamo consonante un fono prodotto dal passaggio non libero dell'aria attraverso il canale orale, o nel suo forte restringimento, in modo che si senta il rumore del passaggio forzato dell'aria. Come vengono classificate le consonanti in relazione al modo di articolazione? Relativamente al modo di articolazione, distinguiamo consonanti occlusive, consonanti continue, consonanti affricate (o semiocclusive). Le occlusive, chiamate anche esplosive o momentanee, sono quelle consonanti nella cui articolazione il canale orale è in una prima fase completamente chiuso, aprendosi successivamente per lasciar uscire l'aria: per esempio la [c] di cane, la [b] di bacio, la [t] di topo. Le continue o costrittive sono le consonanti articolate in modo continuo, con la fuoriuscita dell'aria attraverso il canale espiratorio parzialmente ostruito: per esempio la [l] di lato, la [r] di mare, la [s]

di sole, la [f] di fatto, la [n] di cane. Le distinguiamo rispettivamente in laterali, con l'aria che esce lateralmente alla lingua protesa verso il palato; vibranti, articolate facendo vibrare la lingua sul palato; fricative o spiranti, nella cui pronuncia l'aria passa attraverso uno stretto canale, in modo che si determini una specie di fruscio, di frizione, di sibilo; nasali, pronunciate emettendo l'aria dalle fosse nasali. Le affricate o semiocclusive sono quelle consonanti a cui pronuncia inizia con un suono occlusivo, per poi lasciare posto a un suono continuo, articolato nello stesso punto del precedente: per esempio la [Tc] di cena, la [ts] di zio. La loro natura di suono composito è ben evidenziata dai segni che le rappresentano nell'alfabeto fonetico, formati da due grafemi o simboli grafici, cioè un digramma. Come vengono classificate le consonanti in relazione al luogo di articolazione? Relativamente al luogo di articolazione, distinguiamo tra bilabiali, pronunciate unendo le due labbra e poi aprendole, come la [p] in palla, la [b] in roba; labiodentali, quando sono interessati il labbro inferiore e i denti superiori, come la [v] in vero; dentali, con la lingua a contatto con la parte interna dell'arcata dentale superiore, come la [t] in tela, la [d] in cade; alveolari, articolate con a punta della lingua contro gli alveoli degli incisivi superiori, come la [l] in ulivo; velari, pronunciate con chiusura del velo palatino, come la [k] in coda, la [g] in riga; palatali, articolate con la lingua che tocca il palato, come la [gn] in gnocco, la [sc] in scena. Come vengono classificate le consonanti in relazione al grado di articolazione? Relativamente al grado di articolazione, le consonanti possono essere sorde, quando le corde vocali non vibrano, come [s] in sale, [k] in capo, o sonore, quando nella loro pronuncia le corde vocali vibrano, come la [d] in dente. Rispetto alla loro forza articolatoria le consonanti possono essere brevi (anche tenui, o scempie) e lunghe (intense, o doppie): in posizione intervocalica sono sempre lunghe (anche in parole la cui rappresentazione grafica non prevede la doppia), mentre sempre breve è la fricativa sonora [z] (per esempio uso). Che cosa sono le semiconsonanti? Innanzitutto le semiconsonanti sono due: [j], anteriore o palatale, e [w], posteriore o velare. Si tratta di foni vicini alle due vocali corrispondenti, [i] e [u], di durata più breve rispetto ad esse. Le semiconsonanti non possono mai essere accentate e si trovano nei dittonghi ascendenti (la voce aumenta dal primo al secondo elemento), composti da una semiconsonante e da una vocale: ieri, uomo. Se [i] e [u] seguono, invece, una vocale, sono considerate piuttosto come semivocali: il dittongo formato da una vocale seguita dalle semivocali è discendente, come in laico, feudo. Quando si verifica uno iato? Esemplifica almeno cinque parole. Uno iato è un incontro di due vocali che non formano dittongo. Si realizza in assenza di i o u (paese), quando queste sono accentate (spia, paura), dopo il prefisso ri- (riammettere). In che cosa consiste il raddoppiamento fonosintattico? Il raddoppiamento fonosintattico consiste nella pronuncia rafforzata della consonante iniziale di parole, quando questa sia preceduta da determinate parole, terminanti in vocale, che hanno la proprietà di provocare il rafforzamento; le parole che hanno proprietà rafforzativa sono: tutti i monosillabi accentati e numerosi monosillabi non accentati (a, e, che, fra, ma, no, va), tutti i polisillabi tronchi (perché, andò), i nomi delle lettere dell'alfabeto e delle note musicali.

Qual è la differenza tra elisione e troncamento (o apocope)? Elisione: caduta di vocale finale davanti a una parola iniziante per vocale, è rappresentata graficamente con l'apostrofo: sull'uscio, un'anta, d'amore. Troncamento (o apocope): caduta della parte finale di una parola, più spesso di una vocale, sia davanti a vocale sia davanti a consonante; può essere vocalico (andar bene) o sillabico (fra Cristoforo) Che cos'è una sillaba? La sillaba è costituita da un fonema vocalico o da un insieme di fonemi, tra i quali deve necessariamente esservene uno vocalico, pronunciati con un'unica emissione di voce. Si distingue tra sillaba aperta, se finisce con una vocale (ca-sa), e sillaba chiusa, se finisce con una consonante (cas-sa). Quale tipo di accentazione possiede l'italiano? L'accento in italiano è di tipo intensivo, cioè conferisce alla sillaba accentata una maggiore intensità o forza articolatoria. Le sillabe accentate si chiamano toniche, quelle non accentate atone. Come vengono classificate le parole in base alla posizione dell'accento? Piane o parossitone: accentate sulla penultima sillaba (casa, volere); Tronche o ossitone: accentate sull'ultima sillaba (virtù, andò); Sdrucciole o proparossitone: accentate sulla terzultima sillaba (tènebra); Bisdrucciole: accentate sulla quartultima sillaba (scìvolano, càpitano); Trisdrucciole: accentate sulla quintultima sillaba (vìncolameli). Le parole prive di accento proprio sono chiamate clitiche: enclitiche, se si appoggiano alla parola precedente, unendosi anche graficamente ad essa (vistala, dirvi), proclitiche, se si appoggiano alla parole che segue, restandone graficamente separate. Che cosa sono i gruppi tonali? I gruppi tonali possono essere definiti come insiemi di parole, segmenti di un discorso orale tra due pause e caratterizzato da un particolare andamento melodico. Che cos'è la tonìa? La tonìa è l'andamento intonativo di un enunciato, percepibile soprattutto nella sua parte finale. Quali tipi fondamentali di tonìa si possono distinguere? Si possono distinguere tre diverse tonìe: – la tonìa conclusiva, ad andamento discendente (tutto considerato, credo che tu abbia ragione); – la tonìa interrogativa, ad andamento ascendente (vuoi sempre avere ragione tu?); – la tonìa sospensiva (lineare, rapida ascensione e poi discesa: per essere sinceri...).

Morfosintassi Di che cosa si occupa la morfosintassi? La morfosintassi si occupa delle relazioni tra la forma e la funzione, tra la forma e il suo uso in unione con altre parole. Per esempio, nell'ambito dei pronomi personali la forma lui è usata nell'italiano di oggi non solo in funzione di complemento diretto e indiretto (vedo lui, vado da lui), ma anche come soggetto (lui non mi capisce): ecco quindi che, esaminando l'uso di lui come soggetto accanto a egli, ci si occupa di morfosintassi. Quali sono le parti del discorso e secondo quali criteri vengono individuate? Le parti del discorso individuate nella grammatica italiana sono nove: nome, articolo, aggettivo, pronome, verbo, avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione. Sono state classificate secondo vari criteri: – criterio logico-contenutistico o semantico-nozionale, che si basa sul contenuto di ciò che le stesse categorie indicano, cioè per il nome persone, animali, cose, concetti, per il verbo azioni, stati, modi di essere; – criterio funzionale, che si basa sulla funzione esercitata dalla parola, come quella di collegare o congiungere altri elementi, come avviene per la congiunzione; – criterio distribuzionale, che si basa sulla posizione che la parola occupa rispetto ad altre parole nella frase, per esempio l'avverbio che sta vicino al verbo e lo definisce meglio, la preposizione che sta prima di un'altra parola. In relazione al criterio logico-contenutistico si possono distinguere nell'ambito delle parole di una lingua le parole piene, cioè quelle che hanno un contenuto semantico significativo, dalle parole vuote o grammaticali, che hanno debole valore semantico, e che hanno piuttosto un ruolo grammaticale di completamento, collegamento, supporto alle parole piene. E' anche possibile classificare le parole in parole variabili, come verbi, nomi, aggettivi, pronomi, articoli, e parole invariabili, come avverbio, preposizione, congiunzione, interiezione. Quali tipi di pronomi si possono distinguere? E' possibile distinguere diversi tipi di pronome: personale (loro sono parenti), possessivo (prendi il tuo), dimostrativo (quello non va bene), indefinito (alcuni sbagliano), interrogativo (chi è arrivato?), relativo (la casa che ho comprato è piccola). Sintassi Definisci i concetti di frase, proposizione e enunciato. La frase può essere definita l'unità di massima estensione della grammatica, prima del testo, composta di unità inferiori (parole, sintagmi), dotata di senso compiuto e costruita secondo regole sintattiche. La frase semplice è costituita da una singola proposizione, indipendente, mentre la frase complessa o periodo è costituita da due o più proposizioni. La proposizione è definibile come l'unità di base della sintassi, all'interno di un periodo. L'enunciato è l'unità di testo: è il segmento di testo distinto dal resto del testo da pause-silenzio, nel parlato, e da segni di interpunzione forte (punto fermo) nello scritto. Può essere costituito da una singola parola, o da una frase semplice, o da una frase complessa.

Quali sono gli elementi costitutivi della frase semplice? La frase semplice è costituita primariamente da un soggetto, da un predicato, da uno o più complementi. Soggetto: è il primo elemento che completa il significato del verbo, e concorda con esso dal punto di vista grammaticale. Può essere espresso, ma può anche essere sottinteso. E' opportuno distinguere tra soggetto grammaticale (che concorda con il verbo) e soggetto logico. Predicato: è ciò che si dice, si predica, del soggetto, e indica lo stato o l'azione attribuiti ad esso. Può essere distinto in predicato verbale, costituito dai verbi predicativi, che hanno significato compiuto, e in predicato nominale, costituito dai verbi essere, sembrare, parere, riuscire, diventare e simili, seguiti da un nome o da un aggettivo, seguiti da un nome o da un aggettivo in funzione predicativa. Sono detti copulativi perché legano il soggetto a un nome o a un aggettivo. Complemento oggetto: è ciò su cui ricade l'azione compiuta dal soggetto ed espressa dal predicato, ed è a questo legato direttamente, senza preposizione. Può essere presente, ma può anche non esserlo. Complementi indiretti: elementi che completano ulteriormente il significato del predicato verbale, e sono introdotti dalle preposizioni. In che cosa consiste la teoria linguistica elaborata da Lucien Tesnière basata sul principio della valenza? Secondo una prospettiva elaborata dalla linguistica strutturalista, si classificano gli elementi della frase in relazione al rapporto che essi instaurano con il verbo, l'elemento portante della frase, il fulcro attorno al quale ruotano gli altri elementi. Il nucleo della frase è costituito dal verbo e dagli elementi necessari al completamento della frase stessa, detti argomenti, con i quali il verbo stesso si combina secondo il principio, preso a prestito dalla chimica, della valenza. Un verbo impersonale come piove, senza soggetto né oggetto diretto, è zerovalente, il verbo in Luca esce è monovalente (si combina con il soggetto), in Luca mangia una mela è bivalente, e così via. Fanno parte del nucleo quindi, oltre al verbo, il soggetto, il complemento oggetto e i complementi che si legano direttamente al verbo, per completarne il significato (scrivo delle lettere ai miei amici). Oltre al nucleo della frase possono esservi i circostanti del nucleo, elementi aggiuntivi che specificano uno o più costituenti del nucleo (la collana di Maria si è rotta; piove a catinelle), ed espansioni, elementi aggiuntivi che si riferiscono non già a un singolo costituente, ma all'intera frase (sinceramente, non sono d'accordo con te; vado a casa di corsa). Quali sono i principali tipi di frase semplice? Frase verbale: contiene un verbo in funzione di predicato (mio padre lavora all'estero). Frase nominale: priva di verbo in funzione di predicato (folla ieri al mercato; superate tutte le previsioni), da non confondere con la frase ellittica, il cui il verbo è sottinteso in quanto presente in una frase precedente (Giovanni preferisce i fichi, Maria l'uva). La frase può essere ellittica del predicato, ma anche di altri elementi, come il soggetto (i bambini si divertono, giocano). Dal punto di vista contenutistico e logistico distinguiamo i seguenti tipi di frasi. Frasi enunciative o dichiarative; contengono un'enunciazione, una dichiarazione, che può essere affermativa (i ragazzi studiano) o negativa (quel ragazzo non studia); queste ultime si distinguono a loro volta in negative totali (v. esempio precedente), o negative parziali, quando ad essere negato non è l'intera frase, ma uno dei suoi componenti (non tutti i ragazzi studiano). Frasi volitive: possono esprimere un comando o un'esortazione (imperative/esortative: vai a casa!; cercate di non perdervi), un desiderio (desiderative: possiate avere fortuna!), una concessione (concessive; parlate pure liberamente). Frasi interrogative: caratterizzate nel parlato da un'intonazione ascendente e nello scritto dalla presenza del punto interrogativo; possono essere introdotte da un elemento interrogativo (pronome

o aggettivo, avverbio), che più spesso si colloca al primo posto (chi è entrato?; come vi siete trovati in quell'albergo?). Dal punto di vista logico si possono distinguere in interrogative totali, nelle quali l'interrogazione riguarda l'intera frase, e la cui risposta sarà un sì o un no (hai finito il libro?), e interrogative parziali, in cui la domanda riguarda uno degli elementi che compongono la frase, e la risposta sarà costituita dall'elemento di cui ci si aspetta la precisazione (chi è arrivato stamattina?). Distinguiamo inoltre le interrogative disgiunte, se la domanda prevede l'alternativa tra due elementi (hai letto un romanzo o un libro?), e le interrogative retoriche, in cui non c'è una reale richiesta, ma una domanda fittizia, di cui si conosce già la risposta (potrei forse crederti?). Frasi esclamative: caratterizzate nel parlato da un'intonazione discendente, nello scritto dalla presenza del punto esclamativo, esprimono con enfasi entusiasmo, stupore (che bella giornata!; com'è simpatica tua sorella!). Possono essere verbali (come sei cambiata) o nominali (che caldo!). Nella lingua parlata le esclamazioni si caricano spesso di elementi per accentuare l'enfasi (che bella casa che hai!). Quali sono i diversi tipi di coordinazione tra proposizioni? Spesso nella costruzione coordinativa è il ricevente a dover compiere l'inferenza necessaria per l'esatta comprensione del messaggio, mentre nel caso della struttura subordinativa tale inferenza è a carico dell'emittente. La coordinazione può essere di diversi tipi. Innanzitutto, sul piano formale distinguiamo la coordinazione sindetica, cioè con congiunzioni, da quella asindetica, senza congiunzione ma ottenuta con segni di interpunzione, soprattutto la virgola, o anche il punto e virgola e i due punti; polisindetica si definisce la coordinazione con più congiunzioni a separare diverse proposizioni (leggo e scrivo e imparo). La coordinazione asindetica viene anche chiamata giustapposizione, a indicare l'avvicinamento senza collegamento. Coordinazione sindetica: – coordinazione copulativa: indica un semplice affiancamento, e viene realizzata principalmente con e, né. – coordinazione avversativa: stabilisce una contrapposizione tra due azioni, che può essere di due tipi: se il contrasto è parziale, abbiamo propriamente la coordinazione avversativa, espressa con ma, però, tuttavia, invece e simili; se il contrasto è totale in quanto la seconda proposizione esprime un contenuto che nega quello della prima, abbiamo propriamente una coordinazione sostitutiva, introdotta da ma, bensì, invece, anzi (per esempio Giovanna non è giovane, ma anziana). – coordinazione disgiuntiva: pone un'alternativa tra due azioni, e si realizza con o, oppure, ovvero. – coordinazione conclusiva: introdotta da quindi, dunque, perciò, pertanto, aggiunge una proposizione che completa e conclude la precedente. – coordinazione esplicita (o dichiarativa): aggiunge una proposizione che chiarisce o conferma la precedente, e viene introdotta da infatti, cioè. – coordinazione correlativa: consiste nell'avvicinamento di due proposizioni mediante congiunzioni o locuzioni congiuntive correlative, cioè ripetute, come e...e; né...né, o...o, sia...sia, sia...che, oppure mediante pronomi, come chi...chi, alcuni...altri, o avverbi, come ora...ora. Si è molto diffusa in tempi recenti anche quella che potremmo definire una falsa coordinazione, la coordinazione testuale, che consiste nella separazione con il punto fermo della coordinata rispetto alla principale (procedimento fiorente nella scrittura giornalistica). Quali tipi di subordinata si possono individuare secondo il criterio di classificazione logicofunzionale? Secondo il criterio che si basa sulla funzione logica svolta dalla proposizione si individuano le proposizioni soggettive, che svolgono la funzione di soggetto, le oggettive, che svolgono la

funzione di complemento oggetto, le interrogative indirette, da alcuni linguisti riunite nella categoria delle completive. Seguono le relative, che possono essere avvicinate all'attributo e all'apposizione, poi le avverbiali o frasi-complemento, riconducibili ai complementi indiretti: causali, finali, consecutive, ipotetiche, concessive, temporali, modali, comparative, limitative, eccettuative, e altre. Le avverbiali possono, in base al loro contenuto semantico, essere divise in gruppi: un gruppo che esprime in vario modo il rapporto logico di causa-effetto (causali, finali, consecutive, concessive, ipotetiche) ed un gruppo che esprime le modalità delle circostanze materiali nelle quali avviene l'azione (temporali, modali). Quali tipi di subordinata si possono distinguere in base al principio di valenza del verbo? Le argomentali, che costituiscono l'espansione di uno degli argomenti del verbo della frase principale, e comprendono le soggettive, le oggettive, le interrogative indirette. Le avverbiali, che completano quanto espresso nella principale con determinazioni di causa, fine ecc., e comprendono anche le relative. Quali tipi di subordinata vengono individuate in base al criterio di classificazione formale? Si considera la forma dell'elemento introduttore della proposizione subordinata o la forma del suo predicato verbale. Vengono classificate le proposizioni congiuntive, introdotte da una congiunzione subordinante (che, perché ecc.), le interrogative, introdotte da pronomi e congiunzioni interrogativi (chi, quale, se, quando ecc.), le relative, introdotte dai pronomi relativi, e, in relazione al modo del verbo, le participiali, le gerundive, le infinitive. Interpunzione Quali sono le principali funzioni della punteggiatura? Due sono i ruoli fondamentali della punteggiatura: quella di collaborare a chiarire l'articolazione logica del pensiero espresso nella scrittura, e quella di riflettere le pause che nel parlato, al di là delle scansioni logico-sintattiche, e prevalentemente per ragioni espressive e pragmatiche, intervengono a interrompere la catena del discorso. In relazione a questa duplicità di ruolo, le funzioni principali della punteggiatura possono essere così individuate: a) funzione segmentatrice-sintattica: consiste nel segmentare un testo distanziando i diversi componenti di esso e nel segnalare le divisioni e i rapporti sintattici all'interno della frase complessa, cooperando in modo significativo al chiarimento del suo significato: Rinaldo uccise il cavaliere senza armatura. b) funzione enunciativa, legata a fattori espressivi come riflesso del parlato, e a fattori pragmaticotestuali, informativi. Rientra in questa funzione la separazione del tema di una frase, cioè dell'elemento informativo più debole perché noto, rispetto al rema: è tutto meno che eversivo, il progetto su cui stiamo ragionando in queste ore. c) funzione emotivo-intonativa, con la quale alcuni segni di interpunzione danno alla frase una particolare linea intonativa: questa funzione è caratteristica soprattutto del punto esclamativo, del punto interrogativo, dei puntini di sospensione. d) funzione metalinguistica, che consiste nell'uso di determinati segni interpuntori per inserire elementi di spiegazione relativi a parti dell'enunciato: per esempio, le parentesi, le lineette o anche le virgole che racchiudono incisi esplicativi (delle sigle, o anche di qualsiasi espressione che si voglia spiegare meglio).

In base a quali funzioni varia l'uso della punteggiatura nei testi di tipo argomentativo e in quelli letterari o di tipo creativo? Nei testi di tipo argomentativo la punteggiatura deve rispondere esclusivamente alle funzioni segmentatrice-sintattica e metalinguistica, in misura minore a quella emotivo-intonativa. Resta esclusa la funzione enunciativa. Nelle scritture letterarie invece, oltre ad essere presenti, naturalmente, le tre funzioni citate, è anche presente la funzione enunciativa, che in alcuni testi acquista particolare importanza, in relazione al carattere stilistico dell'opera, al periodo in cui è stata scritta, che può determinare una particolare fruizione dell'opera. Possiamo usare come esempio i Promessi sposi del Manzoni, opera scritta, secondo le abitudini del tempo, anche per essere letta a voce alta da un lettore ad ascoltatori non alfabetizzati: in questo romanzo è molto evidente la presenza della funzione enunciativa, legata al parlato, a cui si devono attribuire usi interpuntori non canonici, come la virgola tra soggetto e predicato, tra predicato e complemento oggetto, ecc. Quali sono le principali norme per il corretto impiego della punteggiatura nella scrittura denotativa?

Ordine delle parole Quali sono le principali costruzioni dell'ordine marcato? Fai almeno tre esempi per ogni tipo. Soggetto posposto: rispetto alla posizione normale, prima del predicato, il soggetto è posposto al verbo in determinate situazioni, per espressività, marcatezza, enfatizzazione, contrasto. Dislocazione a sinistra. Tema libero o sospeso. Dislocazione a destra. Frase scissa e c'è presentativo. Lessico Che cosa sono i fenomeni di grammaticalizzazione e lessicalizzazione? Trova almeno due esempi per ciascuno. Grammaticalizzazione: consiste nel passaggio di elementi lessicali al sistema grammaticale (mente, in latino ablativo del sostantivo mens, mentis, unito a un aggettivo come in forte mente = 'con la mente forte', ha dato luogo al suffisso avverbiale -mente, da cui fortemente). Lessicalizzazione: meno frequente, nel passaggio da una lingua a una da essa derivata, o nell'evoluzione di una stessa lingua, è il fenomeno inverso, e consiste nel passaggio di un elemento grammaticale a elemento lessicale (per esempio cantante, participio presente che diventa sostantivo, oppure vaglia, in origine forma verbale valeat, divenuta sostantivo). In quale modo si formano i neologismi combinatori? I neologismi combinatori si formano per derivazione o per composizione: nel primo caso si formano derivando da parole preesistenti nuove parole con elementi aggiunti all'inizio della parola (prefissi), oppure con elementi aggiunti alla fine della parola (suffissi). Prefissi e suffissi costituiscono gli affissi. Nel secondo caso si formano componendo una nuova parola attraverso l'unione di due parole o parti di esse.

Quali altri meccanismi di formazione di neologismi si possono individuare?

Quali differenti tipi di prestito esistono?

Trova almeno dieci esempi di regionalismi accolti nel lessico italiano,

Trova almeno dieci esempi di parole omografe e dieci esempi di parole omofone.

Quali sono i principali tipi di rapporto tra significato tra parole individuati dalla semantica?

Trova almeno dieci esempi di eufemismi di uso comune.

Trova almeno cinque esempi di antonomasia, cinque di metonimia e cinque di metafora.

ELEMENTI DI TESTUALITA' Esercizi Testo e tipologie testuali Che cos'è un testo? + Qual è la differenza tra una semplice successione di frasi e un testo? Una sequenza di frasi non comunica niente oltre il contenuto proposizionale di ciascuna di esse, manca di unità e di coerenza di contenuto. La differenza tra frase e testo non si basa su fatti quantitativi, ma bensì qualitativi. Possiamo definire il testo come l'unità fondamentale dell'attività linguistica, dotata dei caratteri di unità e completezza per rispondere a una precisa volontà comunicativa. Il testo è quindi il frutto di un progetto con precisi obiettivi, è un messaggio che assume senso solo se collocato in una situazione comunicativa. La dimensione del testo è infatti sempre interattiva: da un lato avremo un emittente e dall'altro uno o più destinatari: ciò fa sì che alla sua puntuale definizione e corretta interpretazione siano necessarie precise coordinate extralinguistiche, in quanto il testo non è tale se non inserito in un contesto pragmatico. A quali 'macroatti' linguistici fanno riferimento le prime classificazioni delle tipologie testuali in antichità? Macroatti linguistici della descrizione, della narrazione, dell'esposizione e dell'argomentazione. Qual è la tipologia testuale proposta da E. Werlich? Cinque tipi fondamentali di testi: descrittivo, narrativo, espositivo, argomentativo e regolativo; i macroatti linguistici così etichettati sono intesi come la funzione dominante nei diversi testi. Quali sono le peculiarità del testo narrativo? Esso registra un'azione, o nel caso di soggetto inanimato, un processo nello svolgersi del tempo; è legato alla matrice cognitiva che presiede le percezioni temporali. Gli ambiti del narrativo non includono solo la letteratura (romanzi, racconti, fiabe, novelle), ma anche testi pragmatici: narrazioni possono trovarsi in articoli di giornale, nelle biografie (e autobiografie), in resoconti di viaggi. Il narratore può essere estraneo ai fatti raccontati (narratore esterno), come accade nella cronaca di giornale; oppure può essere qualcuno che partecipa agli eventi (narratore interno). Gli eventi e le trasformazioni raccontati sono disposti in una sequenza che può coincidere con il progressivo svolgersi del tempo. Qual è la differenza tra fabula e intreccio? Per fabula si intende l'ordine naturale degli eventi nella loro successione causale e temporale. Per intreccio (o trama) la reale disposizione degli eventi nel racconto. Con quali procedimenti il narratore può modificare la successione degli avvenimenti? Anticipandone o posticipandone parti, e quindi infrangendo l'ordine causale e temporale. Può fare ciò attraverso un procedimento di 'retrospezione', chiamato analessi (o flashback): l'ordine lineare è

interrotto per raccontare eventi accaduti in precedenza; oppure, attraverso un procedimento di anticipazione chiamato prolessi, può essere interrotto per raccontare fatti successivi. Quali sono le caratteristiche del testo descrittivo? Esso rappresenta persone, oggetti, ambienti in una dimensione spaziale ed è correlato alla matrice cognitiva che consente di cogliere le percezioni relative allo spazio. La descrizione può essere condotta secondo un criterio spaziale (da ciò che è vicino a ciò che è lontano; da destra verso sinistra) o un criterio logico (dal particolare al generale e viceversa) Quali funzioni può avere un testo descrittivo? Il testo descrittivo è per sua natura scarsamente autonomo; lo si trova solitamente all'interno di altri tipi di testo nei quali può assumere funzioni diverse. In un testo di tipo espositivo una descrizione può avere una funzione informativa, aiuta cioè il destinatario nella comprensione di oggetti o fenomeni a lui poco noti; mentre all'interno di un testo volto al sostegno di una teoria o di un'opinione potrà assumere una funzione argomentativa. Quali tipi di descrizione si possono individuare in base al tipo di rapporto tra testo e referente? Due tipi: gli oggetti possono essere distinti in reali o fittivi, con una ulteriore suddivisione per entrambi in oggetti particolari e oggetti generici. Oggetto reale particolare: quello considerato nella sua concretezza e individualità, appartenente alla realtà extralinguistica, come ad esempio 'la mia bicicletta'; oggetto reale generico sarà 'la bicicletta' nelle sue caratteristiche sovraindividuali, proprio di ogni concreta occorrenza dell'oggetto. Oggetto fittivo particolare: ad esempio l'orco Shrek, protagonista eponimo di un film di animazione; oggetto fittivo generico 'l'orco', inteso come insieme di caratteristiche proprie di ogni oggetto che viene così denominato. Quali sono le peculiarità dei testi espositivi? Esso è finalizzato all'organizzazione e alla trasmissione di concetti e conoscenze attraverso procedimenti di analisi e di sintesi. E' collegato alla matrice cognitiva che permette la comprensione di concetti generali e particolari, e consente una corretta analisi dei primi e una corretta sintesi dei secondi. Tra i testi espositivi possiamo ricordare i manuali scolastici, i saggi di divulgazione, le voci enciclopediche. Che cos'è un testo regolativo? Un testo che ha lo scopo di indicare regole, dare istruzioni, in modo tale da indirizzare il comportamento del destinatario. E' correlato alla matrice cognitiva che pianifica il comportamento futuro. Sono testi regolativi: le leggi, i regolamenti le regole dei giochi, le ricette di cucina, le istruzioni per l'uso. Devono essere intesi come provenienti da un'autorità. Quali sono le caratteristiche linguistiche e stilistiche dei testi regolativi? Il registro è formale e impersonale: non ci si rivolge amichevolmente a un lettore , ma si danno regole la cui infrazione verrà sanzionata; l'emittente non è un generico esperto ma un'autorità pubblica. Indicazioni date con precisione, senza lasciare spazio a incertezze.

Quali sono le finalità del testo argomentativo? Esso ha lo scopo di persuadere di qualcosa il destinatario; deve indurre quest'ultimo ad accettare o a valutare positivamente o negativamente determinate idee o convinzioni. E' collegato alla matrice cognitiva relativa al giudizio, alla capacità di istituire relazioni tra concetti, di cui evidenzia le somiglianze e i contrasti e ne coglie le trasformazioni. Sono testi argomentativi i saggi scientifici, nel quale l'autore sostiene, motivandola, la propria interpretazione, le recensioni critiche, i discorsi politici. Quali sono gli elementi costitutivi della struttura di un testo argomentativo? a) un'esposizione del tema rispetto al quale si dichiara b) una tesi; c) gli argomenti in favore della tesi; d) l'antitesi ed e) gli argomenti contro questa; infine f) una conclusione. Su quale principio si fonda la tipologia proposta da Sabatini? Sul principio di rigidità/elasticità del vincolo interpretativo posto da chi produce il testo al destinatario. Il produttore di un testo, nel rivolgersi a un destinatario, è guidato da un parametro fondamentale costituito dalla volontà di regolarne in modo più o meno rigido l'attività interpretativa. Per mezzo di tale parametro si possono individuare tre grandi classi di testi. Quali sono le tre classi fondamentali identificate da Sabatini? Il primo gruppo (A) è costituito da quei testi per i quali il vincolo interpretativo posto dall'emittente al destinatario è massimo. La libertà di interpretazione è esplicitamente regolata se non ristretta al massimo, come avviene ad esempio nei testi di legge, testi 'costrittivi' per eccellenza. Il secondo gruppo (B) è costituito da quei testi per i quali l'emittente tempera la necessità di un'interpretazione aderente alla propria, poiché intende far raggiungere per gradi al destinatario uno stadio di conoscenze o posizioni diverso da quello di partenza; o ancora la necessità di un'interpretazione corretta è mitigata dalla consapevolezza della possibile controvertibilità delle proprie tesi: rientrano in questo gruppo i saggi critici, i testi giornalistici ecc. Il terzo gruppo (C), per i cui testi non vi è da parte dell'emittente una rigida volontà interpretativa; al destinatario, dai contorni difficilmente definibili, viene lasciata ampia libertà. Siamo nell'ambito dei testi letterari, tanto prosastici quanto poetici. Quali classi intermedie vengono distinte da Sabatini in base alle specifiche funzioni? Indica alcuni tratti linguistici che oppongono testi molto vincolanti e poco vincolanti. I testi molto vincolanti sono caratterizzati da un ordine di costruzione rigorosamente impostato ed evidenziato (blocchi di testo abbastanza brevi, per lo più numerati e concatenati da chiari legamenti sintattici); fanno riferimento a precisi principi (postulati o assiomi) che vengono espressi nel testo o in qualche modo richiamati; fanno uso di legamenti semantici solo del tipo “ripetizioni”, o di sostituenti assolutamente univoci (quindi di tipo pronominale o iperonimi; mai sinonimi); hanno una struttura che rispetta sempre la costruzione sintattica (la frase è raramente interrotta da un punto e virgola, mai da un punto fermo). I testi poco vincolanti sono caratterizzati dall'uso di sinonimi; dalla presenza di frasi interrogative ed esclamative; dalla presenza di metafore, metonimie, sineddochi, litoti, ironie; dalla coordinazione per asindeto e per polisindeto; dal ricorso allo stile nominale.

I principi costitutivi di un testo Quali sono i principi costitutivi di un testo? In base a quali parametri vengono individuati? Sette principi costitutivi di un testo, di cui due si distinguono in quanto relativi al materiale testuale, alla veste linguistica (la coesione e la coerenza), mentre gli altri cinque sono pragmatici, relativi cioè al contesto extralinguistico (l'intenzionalità, l'accettabilità, l'informatività, la situazionalità e l'intertestualità. Che cosa si intende per coesione di un testo? La coesione di un testo consiste a un primo livello nel collegamento grammaticale di tutte le sue parti, ovvero nel rispetto dei rapporti di genere e numero e dell'ordine dei costituenti. Vi sono anche altri elementi che contribuiscono a legare tra loro le parti del testo: vengono definiti elementi coesivi e possono essere distinti in due categorie (forme sostituenti e segnali discorsivi). Qual è la funzione delle forme sostituenti? + Definisci i concetti di anafora e catafora. Le forme sostituenti rimandano a espressioni linguistiche precedenti (e si parlerà in questo caso di anafora) o seguenti (e si parlerà in questo caso di catafora) che ne determinano il riferimento, così da indicare la continuità tematica del testo. Ruolo importante rivestito dagli iperonimi, dai sinonimi, dai nomi generali (cosa; roba; affare; fatto), ellissi del soggetto. Maggiore è l'esplicitezza del sostituente, come può essere la ripetizione dello stesso termine, minore è il legame tra l'enunciato che lo contiene e il cotesto (testo in cui si colloca un enunciato o una sua parte); viceversa, a minore esplicitezza corrisponde un maggior grado di dipendenza cotestuale, come accade per l'ellissi. Fai almeno cinque esempi di uso cataforico e di uso anaforico dei sostituenti. Che cosa sono i segnali discorsivi e qual è la loro funzione? I segnali discorsivi sono elementi che appartengono a varie categorie grammatica e che, perdendo parzialmente il loro significato originario, hanno tra le funzioni primarie di indicare l'articolazione del testo, i rapporti tra le sue parti e di collocarlo in una dimensione interpersonale nel caso del parlato, in cui il loro uso è prevalente. Quando sono usati per collegare tra loro parti di testo la loro funzione più specifica è di connettivi testuali, e sono collocati per lo più a inizio enunciato. Possono fare da connettivi testuali molte congiunzioni (e; ma; dunque ecc.: dunque, cosa dobbiamo fare oggi?), le interiezioni (eh, non sono in grado di aiutarti), sintagmi verbali (guarda, quel tuo amico proprio non mi piace), sintagmi preposizionali (in altre parole, non farti più vedere), espressioni frasali (il tuo amico Giovanni è, come dire, una persona un po' distratta), gli avverbi frasali (onestamente, speravo che le cose andassero in un altro modo). In che cosa consiste la coerenza di un testo? La coerenza di un testo consiste nel collegamento logico di tutti i suoi contenuti e nella sua continuità semantica. Se la coesione riguarda l'unità di superficie del testo, la coerenza riguarda il livello profondo, l'unità concettuale. La coerenza, a volte, può intervenire a supplire una scarsa coesione: anche in mancanza di connettivi le singole parti sono coerenti perché i concetti in esse espressi sono posti in relazioni logiche corrette.

Definisci i concetti di tema e rema. Tema: argomento di cui si sta parlando, la parte nota, conosciuta dell'informazione. Rema: ciò che viene detto intorno al tema, la parte nuova. Quali tipi di progressione tematica si possono individuare in un testo? A seconda di come in un testo si alternano tema e rema possiamo distinguere almeno cinque tipi di progressione tematica. 1) progressione lineare: il rema di un enunciato diventa il tema dell'enunciato seguente. 2) progressione a tema costante: in una sequenza di enunciati, il tema del primo rimane invariato nei successivi. 3) progressione a temi derivati da un ipertema o iperrema (cioè da un tema o da un rema più ampi). 4) progressione con sviluppo di un tema o di un rema dissociato: il rema del primo enunciato viene scomposto nei due elementi che lo costituiscono i quali, a loro volta, divengono singolarmente temi degli enunciati seguenti. 5) progressione tematica a salti: ogni enunciato presenta un tema diverso. Trova almeno tre esempi per ciascuna forma di progressione tematica. Che cosa si intende per intenzionalità di un testo? L'intenzionalità riguarda l'atteggiamento del parlante o dello scrivente il quale, nel produrre un testo, vuole che questo risulti tanto coeso e coerente quanto è necessario perché sia adeguato alle proprie intenzioni comunicative. Da un lato ciò significa che l'emittente può volontariamente produrre un testo poco coeso e, almeno in apparenza, di scarsa o nulla coerenza; dall'altro può significare che il testo sia privo dei due requisiti, pur ne venga riconosciuta l'intenzionalità, come succede nei testi orali, in cui l'intenzionalità supplisce la scarsità di coesione, non essendoci incertezze sulla volontà di ottenere una data informazione (allora, dov'è che... in che stazione scendi?). Da che cosa dipende l'accettabilità di un testo? L'accettabilità è la volontà (e la capacità) del destinatario di riconoscere l'atto linguistico del mitente come testo tanto coeso e coerente quanto è necessario per intenderne il contenuto comunicativo. L'accettabilità quindi non dipende solo dal testo ma anche e strettamente dal contesto extralinguistico, sociale e culturale: un testo dotato dei requisiti di coerenza e coesione potrebbe, in determinati contesti, risultare un testo non accettabile, e vice versa: è quanto avviene talvolta nel parlato, in cui il legame con il contesto è strettissimo e che si basa sull'implicito. Da che cosa dipende il grado di informatività di un testo? L'informatività è il grado di informazione veicolata dal testo; ciò che comunica un testo può giungere atteso o inatteso, già conosciuto o ignoto oppure, ancora, incerto. L'informatività riguarda in primo luogo il contenuto del testo, ma ha a che fare anche con i singoli elementi linguistici che lo compongono. Si può dire che a ogni livello della lingua l'informatività è inversamente proporzionale alla probabilità che elementi linguistici si seguano l'un l'altro.

Che cos'è la situazionalità di un testo? La situazionalità è la dipendenza del testo dalla situazione in cui è prodotto: mutando situazione un testo può aumentare o perdere rilievo. La situazione aiuta a chiarire il senso di un testo e a decidere l'uso che dobbiamo farne (esempio: è pericoloso sporgersi). Che cosa si intende per intertestualità? L'intertestualità è il rapporto tra un testo con uno o più testi già conosciuti in precedenza. Spesso l'uso che si deve fare di un testo è determinato da testi precedenti che ne indicano il senso e la rilevanza (esempio: da questo momento è possibile slacciarsi le cinture di sicurezza interpretato solo in relazione a un precedente allacciarsi le cinture di sicurezza). Qual è la differenza tra principi costitutivi e regolativi di un testo? A differenza dei principi costitutivi, i principi regolativi non servono a determinare e produrre i testi, ma esprimono il controllo circa il loro uso. Quali sono i principi regolativi di un testo? 1) efficienza: è il grado di impegno che un testo richiede nell'essere prodotto e correttamente inteso; sarà quindi di maggiore efficienza un testo prodotto con minimo sforzo e interpretato con facilità. 2) efficacia (o effettività): capacità del testo di fissarsi nella memoria del destinatario e creare le condizioni favorevoli al raggiungimento del fine per cui è stato prodotto. Un testo efficace spesso non coincide con un testo efficiente, la sua potenzialità espressiva è infatti a discapito della facilità di creazione e di interpretazione; d'altra parte un testo prevedibile sarà difficilmente memorabile. 3) appropriatezza: accordo tra i contenuti e l'impostazione testuale. E' inappropriato, ad esempio, abusare di termini specialistici rivolgendosi a un interlocutore ignaro di una data materia; come sarebbe inappropriato rivolgersi a un selezionato gruppo di fisici spiegando loro il significato di ogni tecnicismo della fisica. L'appropriatezza ha un ruolo di mediazione tra efficienza ed efficacia, tra un'esigenza di convenzionalità e una di non convenzionalità. La lingua e il contesto extralinguistico Di che cosa si occupa la linguistica pragmatica? La linguistica pragmatica ha come oggetto l'uso del linguaggio all'interno di una data situazione comunicativa, il testo calato in un contesto, senza trascurare le sue relazioni extralinguistiche. Centrale in essa è la concezione che parlare sia agire e che quindi ciascuno di noi nel suo commercio linguistico con gli altri compia degli atti linguistici. Quale filosofo ha posto le basi della teoria degli atti illocutivi? John L. Austin, con la relazione Performativo e constativo (1958) e l'opera postuma Come fare cose con le parole (1962).

Che cosa sono gli enunciati constativi e gli enunciati performativi? Enunciati constativi: cioè enunciati che descrivono un atto e sono sottoponibili ad una valutazione di verità o falsità. Enunciati performativi: il verbo è alla prima persona dell'indicativo presente attivo, attraverso i quali non solo si dice qualcosa, ma si compie un'azione. Fai almeno cinque esempi di enunciati contenenti verbi performativi. 1) 2) 3) 4) 5)

prometto di esserti fedele: promessa giuro di dire la verità: giuramento le ordino di uscire: ordine battezzo questa nave col nome di “Nina”: battesimo ti consiglio di ripensarci: consiglio

Quali diversi tipi di atti sono compresenti all'interno di ogni singolo atto linguistico? Tre tipi diversi: 1) l'atto locutorio: il semplice atto del dire qualcosa. Ogni enunciato linguistico è un atto locutorio in quanto successione di fonemi che formano parole. 2) l'atto illocutorio: l'azione compiuta nel dire qualcosa; Giuseppe ama i suoi libri come figli, può essere inteso come un consiglio a restituire il libro al più presto e in buone condizioni, se rivolto a qualcuno a cui Giuseppe ha prestato un libro. 3) l'atto perlocutorio: l'azione compiuta col dire qualcosa; l'effettiva restituzione in buone condizioni dei libri. Ogni atto illocutorio è dotato di una forza illocutoria, cioè la tensione che chi parla assegna all'enunciato, che può manifestarsi per mezzo di indicatori come l'intonazione e la scelta dei modi verbali: l'intonazione ad esempio ci farà decidere se Vieni da noi è una domanda, un ordine, una richiesta gentile oppure un'esclamazione di stupore. L'uso del condizionale al posto dell'imperativo distinguerà una richiesta cortese da un ordine. Su quali massime si basa la teoria del principio di cooperazione formulata da Grice? Con la sua teoria Grice tenta di offrire una spiegazione complessiva dei casi in cui tra la lettera di un enunciato e suo reale significato non vi sia rispondenza. Egli osservò che la nostra conversazione si svolge normalmente secondo un principio di cooperazione: ogni interlocutore, nello scambio linguistico, dà un contributo adeguato al momento, allo scopo e all'orientamento del discorso. Affinché i risultati siano conformi al principio di cooperazione devono essere rispettate quattro massime: di quantità, di qualità, di relazione e di modo. Quantità: riguarda la quantità di informazione da fornire, e prevede che ci dia un contributo tanto informativo quanto è richiesto e che il contributo non sia più informativo di quanto è richiesto. Qualità: richiede che si tenti di dare un contributo che sia vero, quindi non si dica ciò che si crede esser falso né si dica ciò per cui non si hanno prove adeguate. Relazione: richiede di essere pertinenti. Modo: richiede di evitare l'oscurità di espressione e l'ambiguità, di essere breve (evitare la prolissità non necessaria), di essere ordinato nell'esposizione. Che cos'è un'implicatura conversazionale? Un'implicatura conversazionale è un processo inferenziale che coinvolge il destinatario, portandolo

a comprendere l'implicito dell'enunciato; si attua attraverso la violazione delle massime. Sono frequenti, in quanto a tutti capita continuamente di non rispettare le massime senza che ciò conduca all'incomunicabilità né che si dia l'impressione di non voler più cooperare: a volte è opportuno non essere troppo diretti, in altre l'uso dell'ironia è più incisivo di un'affermazione esplicita: la violazione delle massime si configura come mezzo per graduare la forza illocutoria dei nostri enunciati. Fai almeno cinque esempi di implicature conversazionali. Che cos'è la deissi? La deissi è il fenomeno per il quale alcuni elementi linguistici hanno la proprietà di mettere in relazione l'enunciato con la situazione in cui questo è prodotto. Questi elementi sono detti deittici e la loro corretta interpretazione dipende dalla conoscenza dei partecipanti all'atto comunicativo e della loro collocazione spazio-temporale. Tre tipi principali di deissi: personale, spaziale e temporale. Qual è la funzione dei deittici personali? Per mezzo della deissi personale ci si riferisce a coloro che partecipano alla comunicazione; gli elementi linguistici deittici sono in primo luogo i pronomi personali di prima e seconda persona singolare e plurale: io, tu, noi, voi; io non voglio che tu esca con Giulio: nell'enunciato io e tu indicano l'emittente e il destinatario, ma la loro corretta individuazione è vincolata alla situazione: solo conoscendola siamo in grado di definire, ad esempio, chi sia io, colui che parla, e chi sia tu, chi ascolta. In assenza del pronome la deissi personale può essere espressa anche per mezzo della flessione verbale (andiamo a scuola; prendi la palla). Non sempre invece sono deittici i pronomi personali di terza persona singolare e plurale. Attraverso quali pronomi si realizza la cosiddetta deissi sociale? La deissi sociale si realizza attraverso i pronomi allocutivi, ovvero quei pronomi usati per rivolgere la parola a qualcuno. Allocutivi naturali (o confidenziali): tu (singolare), voi (plurale). Allocutivi reverenziali (o di cortesia): lei, e (singolare), voi e (plurale). Per mezzo di questi pronomi si valuta il rapporto con l'interlocutore, il suo ruolo sociale, il grado di formalità della situazione. Quali sono i deittici che esprimono la collocazione spaziale? Gli avverbi qui, qua, lì, là, i pronomi e gli aggettivi dimostrativi. Che cosa si intende per centro deittico? Il centro deittico è il luogo in cui si trova il parlante, con cui una persona, un oggetto o anche un luogo possono essere collegati tramite i deittici spaziali. Quali sono i deittici temporali? Gli avverbi adesso, ora, allora; alcune espressioni che contengono un sintagma nominale di tempo: quattro giorni fa; tre anni or sono; tra due ore ecc.; i pronomi e gli aggettivi dimostrativi; i morfemi verbali del presente (temo), del passato (temei, temevo), del futuro (temerò).

L'interpretazione di questi deittici è determinata dal momento in cui avviene l'enunciazione, che costituisce il centro deittico. Il tempo da essi indicato potrà essere collegato positivamente (prossimità temporale) o negativamente (distanza temporale) al centro deittico. I dimostrativi sono stati collocati sia tra i deittici spaziali che temporali, l'opzione dipende da due motivi: 1) il tipo di sostantivo a cui il dimostrativo si riferisce: se il sostantivo indica un'unità di tempo (in quell'anno non mi trovavo in Italia) o se è un sostantivo astratto (queste ragioni non sono convincenti) si avrà sempre un'interpretazione temporale. 2) negli altri casi l'interpretazione del dimostrativo è condizionata dal contesto linguistico ed extralinguistico (raccogli quei libri per terra, spaziale; quei libri, di cui ti ho parlato, sono spariti, temporale). Qual è in italiano l'ordine basico dei costituenti di frase? Fai cinque esempi. Con una qualche semplificazione, si può dire che in italiano l'ordine basico dei costituenti sia dato dalla sequenza SVO (soggetto + verbo + oggetto). Quanti e quali tipi di marcatezza può avere una frase? Una frase può essere marcata secondo tre aspetti: 1) sotto il profilo fonologico quando presenta picchi intonativi e non un andamento continuo 2) sotto il profilo sintattico quando l'ordine basico dei costituenti non è rispettato 3) sotto il profilo pragmatico quando alcuni elementi vengono messi in rilievo per determinati fini. Mentre una frase con ordine basico è adatta a un numero potenzialmente infinito di contesti linguistici e di situazioni, così non è delle frasi marcate pragmaticamente. Descrivi le caratteristiche dei costrutti marcati dell'italiano (dislocazione a sinistra e a destra, tema sospeso, topicalizzazione contrastiva e frase scissa). Dislocazione a sinistra: un elemento diverso dal soggetto viene spostato a sinistra dell'enunciato, divenendone il tema-dato, ed è quindi – quasi sempre – ripreso da un clitico nella parte successiva, come ad esempio in la mela la mangia Andrea; in questo caso il costituente dislocato è il complemento oggetto, che viene sottolineato enfaticamente dallo spostamento. Oltre al complemento oggetto, possono essere dislocati anche altri complementi (a Giovanna le ho regalato un libro; della partita te ne ho già raccontato; a Milano ci torno giovedì) o intere proposizioni (quando partirà Luca non lo sappiamo ancora). Non necessariamente il costituente dislocato rimanda a qualcosa realmente nominato in precedenza; con una dislocazione si può aprire un discorso: in tale caso l'emittente presume che il referente dell'elemento dislocato sia in qualche misura presente, 'noto', a chi ascolta. Secondo Gaetano Berruto (1985) la spiegazione del costrutto non consiste tanto nella tematizzazione di un costituente. Facendo ricorso alla categoria pragmatica di 'centro di interesse del parlante', egli spiega la dislocazione a sinistra come un fenomeno per cui chi parla tende ad anticipare l'argomento che maggiormente lo coinvolge emotivamente, il suo centro d'interesse, indipendentemente dal fatto che questo coincida o meno con il tema; si tratterebbe quindi di un fenomeno riconducibile alla “sintassi egocentrica” tipica del parlato. Tema sospeso: costruzione pragmaticamente analoga alla dislocazione a sinistra; non vi è tuttavia accordo grammaticale tra l'elemento dislocato e il clitico di ripresa: Giuseppe, non gli parlo da secoli. Dislocazione a destra: costruzione che consiste nell'isolare a destra dell'enunciato un costituente, che viene anticipato da un pronome clitico. Elementi dislocabili sono il complemento oggetto (la mangia Andrea, la mela), un complemento indiretto (le ho regalato un libro, a Giovanna; ci torno Giovedì, a Milano), un'intera proposizione (non lo sappiamo ancora, quando partirà Luca).

In questo costrutto si possono individuare due diverse funzioni pragmatiche: la prima consiste nella messa in secondo piano del tema 'noto' (l'elemento dislocato), di contro a una messa in rilievo della parte rematica; la seconda si ha invece quando la dislocazione è frutto di un ripensamento: l'elemento dislocato viene aggiunto a completamento dell'enunciato per necessità di chiarezza (il pronome clitico potrebbe infatti rimandare a qualcosa di nominato in precedenza e non più attuale nel discorso. Topicalizzazione contrastiva: un costituente con valore di 'nuovo' viene collocato all'inizio di frase ed è pronunciato con enfasi (LUCA è arrivato; CON GIOVANNI sono uscito; A TORINO sono andato). L'elemento dislocato veicola l'informazione nuova e si pone in contrasto con il contesto o con quanto è possibile inferire dal contesto. Rispetto alla dislocazione a sinistra, la topicalizzazione, che non prevede ripresa con il pronome atono dell'elemento dislocato, serve a mettere in evidenza un elemento nuovo. Frase scissa: pragmaticamente simile ala topicalizzazione, anche in questo caso vi , nell'enunciato, un'enfatizzazione, sia sintattica che intonativa, di un elemento, spesso con valore contrastivo, al quale è affidata la parte nuova dell'informazione. La frase scissa si realizza secondo la struttura: verbo essere + elemento focalizzato + che (con valore intermedio tra pronome relativo e congiunzione) + resto della frase, come ad esempio: è con Luisa che dovete parlare; era lui che doveva telefonarti; l'enunciato risulta così scomposto in due blocchi con diverso statuto informativo: nel primo viene messo in rilievo un elemento inaspettato ('nuovo'), mentre il secondo contiene un'informazione, presupponibile dal discorso precedente, che costituisce il 'dato'. Il valore contrastivo di queste costruzioni sta nel fatto che spesso l'elemento dislocato si oppone a un elemento precedentemente nominato; così i due esempi precedenti possono anche essere intesi come: è con Luisa che dovete parlare [non con Giacomo]; era lui che doveva telefonarti [non io]. Quali usi pragmatici dei verbi italiani si possono individuare? Fai almeno tre esempi per ogni uso. Futuro epistemico: il parlante esprime una deduzione soggettiva, un'ipotesi personale, sulla situazione presente: 'in quanti siamo presenti?' - 'Mah, saremo una ventina'. In questo caso il futuro non esprime l'idea di posteriorità. Uso simile con il futuro anteriore, l'ipotesi in questo caso è relativa a un evento passato: a quest'ora Luisa avrà finito la lezione, penso. Imperfetto epistemico: segnala una supposizione, non realizzata o che non può più realizzarsi, da parte del parlante: dovevo parlarti urgentemente, ora è troppo tardi. Imperfetto irreale: indica la separazione dal mondo reale con la creazione di un universo immaginario; si distingue in imperfetto fantastico, usato nella narrazione di sogni, trame di film o opere letterarie: infine lo sceriffo arrivava in città, scendeva da cavallo ed entrava nel saloon; dopo un po' entravano anche i banditi; lo sceriffo impugnava le pistole e iniziava a sparare...; o anche per evocare un accadimento immaginario del passato, una possibilità che non si è poi attuata: 'avremmo potuto fare senza biglietto' – 'bravo! Poi magari saliva il controllore e ci toccava pagare la multa'; e in imperfetto ludico, tipico del linguaggio infantile, usato nella preparazione dei giochi, nella definizione dei ruoli: adesso facciamo che io ero Pinocchio e tu la fatina. Imperfetto attenuativo o di cortesia: usato per attenuare, per pudore o per rispetto nei confronti dell'interlocutore, la perentorietà di una richiesta: 'in cosa potevo esserle utile?' - 'cercavo un libro sulla flora alpina'. Naturalmente nessuno dei due interlocutori ritiene che la propria intenzione non sia più valida nel momento in cui parla, ma si comporta linguisticamente come se così fosse per non rivolgersi troppo bruscamente all'altro.

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