Elementi Di Armonia e Analisi Musicale

March 9, 2017 | Author: RaffaeleAnile | Category: N/A
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DOMENICO GIANNETTA

ELEMENTI DI ARMONIA E ANALISI MUSICALE

EDIZIONE 2014

SOMMARIO PARTE PRIMA: PRINCIPI FONDAMENTALI DI ARMONIA LEZIONE I – INTERVALLI, SCALE E MODI

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§1.1 Intervalli §1.2 Intervalli consonanti e dissonanti §1.3 Rivolto degli intervalli §1.4 Suoni armonici §1.5 Scale e modi §1.6 Gradi della scala §1.7 Modo maggiore e modo minore §1.8 Scale non diatoniche §1.9 Circolo delle quinte ESERCIZI

LEZIONE II – ACCORDI E MOTO DELLE PARTI

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§2.1 L’accordo §2.2 Triadi sui vari gradi della scala §2.3 Scrittura a quattro parti §2.4 Posizione degli accordi §2.5 Moto delle parti §2.6 Errori di moto retto §2.7 Movimenti melodici vietati ESERCIZI

LEZIONE III – LEGAME ARMONICO

17

§3.1 Collegamento fra due accordi §3.2 Regola del II–V §3.3 Trattamento della sensibile §3.4 Collegamento V–VI §3.5 Le funzioni armoniche ESERCIZI

LEZIONE IV – I RIVOLTI DELLA TRIADE §4.1 Il rivolto di un accordo §4.2 Il primo rivolto §4.3 Uso del primo rivolto §4.4 La triade diminuita di sensibile §4.5 Il secondo rivolto §4.6 Scambio delle parti §4.7 Sincope armonica ESERCIZI

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LEZIONE V – CADENZE

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§5.1 Cadenze di chiusura §5.2 Varianti delle cadenze di chiusura §5.3 Cadenze di sospensione §5.4 Cadenze arcaiche §5.5 Formula di cadenza §5.6 Falsa relazione di tritono §5.7 Cambio di posizione ESERCIZI

LEZIONE VI – ARMONIZZAZIONE CON LE TRIADI

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§6.1 Scegliere l’accordo giusto §6.2 Il I grado §6.3 Il II grado §6.4 Il III grado §6.5 Il IV grado §6.6 Il V grado §6.7 Il VI grado §6.8 Il VII grado §6.9 Collegamento V–VI–VII–I ESERCIZI

PARTE SECONDA: ACCORDI DI SETTIMA E MODULAZIONI LEZIONE VII – ACCORDI DI SETTIMA

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§7.1 Le 7 specie di settima §7.2 La settima di dominante §7.3 I rivolti della settima di dominante §7.4 Collegamento I–II–III e III–II–I §7.5 Settime naturali e settima artificiali §7.6 Accordi autonomi e accordi derivati ESERCIZI

LEZIONE VIII – SETTIME ARTIFICIALI §8.1 La settima di sopratonica maggiore §8.2 I rivolti della settima di sopratonica §8.3 Collegamento I–II–V §8.4 Basso legato che torna al tono §8.5 La settima di sopratonica minore §8.6 Risoluzione sulla quarta e sesta di cadenza §8.7 Vantaggi nell’uso della settima di sopratonica §8.8 Altri accordi di settima artificiale §8.9 L’accordo di sesta aggiunta ESERCIZI

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LEZIONE IX – DOMINANTI SECONDARIE

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§9.1 La dominante della dominante §9.2 Falsa relazione cromatica §9.3 I rivolti della settima di dominante della dominante §9.4 La dominante della dominante nel modo minore §9.5 Le altre dominanti secondarie §9.6 Origine delle dominanti secondarie §9.7 Scala armonizzata (regola dell’ottava) ESERCIZI

LEZIONE X – MODULAZIONE AI TONI VICINI

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§10.1 Modulazione vs tonicizzazione §10.2 Toni vicini §10.3 Suoni differenziali §10.4 Triadi comuni §10.5 Basso legato modulante §10.6 Come individuare una modulazione ESERCIZI

LEZIONE XI – RITARDI

85

§11.1 Formazione di un ritardo §11.2 Ritardi negli accordi in stato fondamentale §11.3 Ritardi nei rivolti §11.4 Ritardi nella cadenza perfetta §11.5 Ritardo che risolve su un accordo differente §11.6 Ritardo al basso §11.7 Ritardo della fondamentale al basso §11.8 Errori di moto retto ESERCIZI

LEZIONE XII – FIORITURE MELODICHE §12.1 Suoni estranei all’armonia §12.2 Note di passaggio §12.3 Note di volta §12.4 Settima di passaggio §12.5 Fioritura dell’unisono §12.6 Interpretazione armonica del basso fiorito §12.7 Errori di moto retto §12.8 Fioritura di un ritardo §12.9 Altre fioriture melodiche §12.10 Appoggiature ESERCIZI

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PARTE TERZA: ARMONIE COMPLESSE LEZIONE XIII – ACCORDI DI NONA

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§13.1 Accordi di cinque suoni §13.2 La nona di dominante maggiore §13.3 La nona di dominante minore §13.4 I rivolti della nona di dominante §13.5 La nona di dominante della dominante §13.6 La nona di sopratonica maggiore §13.7 La nona di sopratonica minore §13.8 Accordi di undicesima e di tredicesima ESERCIZI

LEZIONE XIV – SETTIME DERIVATE

111

§14.1 Accordi di settima derivata §14.2 La settima di sensibile §14.3 I rivolti della settima di sensibile §14.4 La settima diminuita nel modo minore §14.5 La settima diminuita nel modo maggiore §14.6 La settima diminuita sul IV grado alterato §14.7 Settime di sottodominante §14.8 Altre settime derivate §14.9 Settime autonome e settime derivate ESERCIZI

LEZIONE XV – ACCORDI ALTERATI

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§15.1 Alterazione di un suono §15.2 Alterazione della terza §15.3 Accordi minori usati nel modo maggiore §15.4 Triade maggiore con quinta alterata §15.5 Settima di dominante con quinta alterata §15.6 Settime derivate con terza alterata §15.7 Accordi–appoggiatura §15.8 Rivolti degli accordi alterati §15.9 Sesta napoletana §15.10 Pedale ESERCIZI

LEZIONE XVI – SESTE AUMENTATE §16.1 Origine degli accordi di sesta aumentata §16.2 Sesta francese §16.3 Sesta italiana §16.4 Sesta tedesca §16.5 Sesta svizzera §16.6 Altri accordi di sesta aumentata ESERCIZI

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PARTE QUARTA: PROGRESSIONI E IMITAZIONI LEZIONE XVII – PROGRESSIONI FONDAMENTALI

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§17.1 Definizione di progressione §17.2 Progressioni dominantiche §17.3 Progressioni con le settime §17.4 Progressioni plagali §17.5 Progressioni mediantiche §17.6 Progressioni con modello che salta di terza §17.7 Progressioni complesse ESERCIZI

LEZIONE XVIII – PROGRESSIONI DERIVATE

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§18.1 Uso dei rivolti nelle progressioni §18.2 Progressioni dominantiche §18.3 Progressioni plagali §18.4 Progressioni con le settime §18.5 Bassi legati discendenti ESERCIZI

LEZIONE XIX – PROGRESSIONI MODULANTI

153

§19.1 Progressioni monotonali e progressioni modulanti §19.2 Progressione dominantica ascendente §19.3 Progressione dominantica discendente §19.4 Progressione circolare §19.5 Modulare con le progressioni ESERCIZI

LEZIONE XX – IMITAZIONI

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§20.1 Classificazione delle imitazioni §20.2 Progressioni fondamentali con imitazioni §20.3 Progressioni derivate con imitazioni §20.4 Imitazione doppia ESERCIZI

PARTE QUINTA: MODULAZIONI ED ENARMONIA LEZIONE XXI – MODULAZIONE AI TONI LONTANI §21.1 Toni lontani §21.2 Triadi comuni §21.3 Dominanti secondarie §21.4 La sesta napoletana §21.5 Cambio di modo §21.6 Armonie minori usate nel modo maggiore

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§21.7 Moto contrario cromatico §21.8 Movimenti cromatici ESERCIZI

LEZIONE XXII – ENARMONIA

179

§22.1 Trasformazioni enarmoniche §22.2 Enarmonia della settima di dominante §22.3 Enarmonia della triade aumentata §22.4 Enarmonia della settima diminuita §22.5 Il sistema assiale §22.6 Modulazioni nell’asse della tonica §22.7 Modulazioni verso l’asse della dominante §22.8 Modulazioni verso l’asse della sottodominante §22.9 Armonizzazione della scala cromatica ESERCIZI

PARTE SESTA: ANALISI E FORME COMPOSITIVE LEZIONE XXIII – PRINCIPI DI ANALISI MUSICALE

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§23.1 Analogia e contrasto §23.2 I parametri della musica §23.3 Le demarcazioni formali §23.4 La micro–forma §23.5 Periodo binario e periodo ternario §23.6 La piccola forma–Lied §23.7 La macro–forma ESERCIZI

LEZIONE XXIV – FORME COMPOSITIVE §24.1 La suite barocca §24.1.1 Le danze fisse §24.1.2 Le altre danze della suite §24.2 Il preludio, la toccata e l’ouverture §24.3 La sonata barocca §24.4 Il concerto barocco §24.5 La sonata di Scarlatti §24.6 Il tema con variazioni §24.7 Il rondò §24.8 Le grandi forme classiche §24.8.1 Il primo movimento: la forma–sonata §24.8.2 Il movimento lento §24.8.3 Il minuetto o lo scherzo §24.8.4 Il movimento conclusivo: il rondò–sonata §24.9 La fuga ESERCIZI

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LEZIONE XXV – REGIONI TONALI

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§25.1 I livelli armonici §25.2 La polarizzazione tonica/dominante §25.3 Relazioni tonali dirette §25.3.1 Regioni tonali principali §25.3.2 Varianti delle regioni tonali principali §25.3.3 Regioni tonali parallele §25.3.4 Varianti delle regioni tonali parallele §25.4 Il percorso armonico complessivo §25.5 Le regioni tonali più lontane §25.6 Sistemi di regioni tonali §25.7 Grafico delle regioni tonali

LEZIONE XXVI – LA FORMA–SONATA

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§26.1 Introduzione §26.2 Prima area tematica §26.3 Transizione §26.4 Seconda area tematica §26.5 Codette §26.6 Sviluppo §26.7 Ripresa §26.8 Coda

APPENDICI APPENDICE I – REALIZZAZIONE DI UNA MODULAZIONE

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§1 Impostazione di un concatenamento armonico §2 La conferma della tonalità di partenza §3 La modulazione §4 La conferma della tonalità di arrivo §5 Modulare alla tonalità parallela §6 Modulare con il basso legato modulante §7 Altre modulazioni ai toni vicini §8 Fioritura di un concatenamento armonico §9 Modulare ai toni lontani §10 Modulare a tutti i toni

APPENDICE II – BASSI DI RIEPILOGO

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APPENDICE III – LINEE GUIDA PER L’ANALISI

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§1 Un caso concreto di analisi §2 Esame della partitura §3 Lo schema analitico §4 Il percorso armonico complessivo §5 Elaborazione tematico–motivica

PARTE PRIMA PRINCIPI FONDAMENTALI DI ARMONIA

LEZIONE I INTERVALLI, SCALE E MODI

§1.1 Intervalli Lo studio dell’Armonia presuppone la conoscenza approfondita degli intervalli, ovvero della distanza che separa due suoni emessi simultaneamente (intervallo armonico) o successivamente (intervallo melodico). Per identificare un intervallo utilizziamo un codice doppio, composto da: 1) un numero ordinale, espresso al femminile, che indica il numero di linee e spazi che, sul pentagramma, separano i due suoni, contando anche i suoni estremi (possiamo avere quindi, una seconda, una sesta, un’ottava ecc…; due suoni alla medesima altezza si definiscono all’unisono); 2) un termine tecnico che indica il genere dell’intervallo: giusto, maggiore, minore, aumentato, diminuito, più che aumentato o più che diminuito. Gli intervalli si indicano utilizzando il numero arabo corrispondente accompagnato dalla lettera “a” in apice, e seguito da una delle seguenti lettere alfabetiche: G (per indicare un intervallo giusto), M (maggiore), m (minore), A (aumentato), d (diminuito), AA (più che aumentato) e dd (più che diminuito). Ad esempio: 3a M; 5a G; 6a m; 7a d; 2a A ecc… Un sistema pratico per identificare un intervallo consiste nel calcolare mentalmente la scala maggiore (cfr. §1.7) costruita sul suono più grave: se il suono più acuto è compreso in essa, l’intervallo sarà maggiore (se si tratta di una seconda, di una terza, di una sesta, di una settima o di una nona), o giusto (se si tratta di un unisono, di una quarta, di una quinta, o di un’ottava).

Se invece il suono superiore non è compreso tra i suoni della scala maggiore, va calcolato lo scarto (di quanti semitoni si discosta): un suono più grave di un semitono rispetto al previsto trasforma un intervallo maggiore in minore, e un intervallo giusto in diminuito; un suono più acuto di un semitono rende aumentato sia un intervallo maggiore che uno giusto, e così via.

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§1.2 Intervalli consonanti e dissonanti Sono consonanti gli intervalli che producono un effetto sonoro gradevole, e in particolare: -

gli unisoni, le quinte e le ottave giuste (consonanze perfette) le terze e le seste, maggiori e minori (consonanze imperfette)

Sono invece dissonanti: -

le seconde, le settime e le none, maggiori e minori (dissonanze naturali) tutti gli intervalli aumentati, diminuiti, più che aumentati e più che diminuiti (dissonanze artificiali)

La quarta giusta rientra in una categoria a sé, perché da un lato sarebbe una consonanza perfetta (in effetti è consonante dal punto di vista melodico), ma dal punto di vista acustico è considerata dissonante perché non figura nella serie dei suoni armonici (cfr. §1.4).

§1.3 Rivolto degli intervalli Rivoltare un intervallo significa invertire i due suoni portando in posizione acuta il suono che precedentemente si trovava in posizione grave, o viceversa. Il rivolto di un intervallo si calcola nel modo seguente: 1) la somma tra gli indici numerici dell’intervallo originale e di quello rivoltato deve dare come risultato 9, quindi il rivolto di una terza sarà una sesta (3+6=9), il rivolto di una quarta sarà una quinta (4+5= 9) ecc… 2) il genere dell’intervallo si inverte: un intervallo maggiore quando viene rivoltato diventa minore, uno aumentato diventa diminuito, mentre un intervallo giusto rivoltato rimane sempre giusto.

§1.4 Suoni armonici Un qualsiasi suono emesso da uno strumento musicale, o prodotto dalla voce umana, è in realtà il risultato della combinazione acustica di più suoni. Insieme al suono fondamentale (quello che percepiamo con il nostro orecchio, e quello che siamo convinti di produrre quando suoniamo uno strumento), risuonano numerosi altri suoni che hanno una frequenza doppia, tripla, quadrupla ecc. rispetto al primo. Questi suoni, detti suoni armonici, non sono nettamente distinguibili, ma concorrono con il suono fondamentale a formare il colore timbrico di uno strumento, o di una voce. Un suono più ricco di armonici suona come più pieno, più caldo, mentre un suono povero di armonici è freddo, asettico (pensiamo ai suoni midi del PC, totalmente privi di armonici).

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I primi suoni della serie degli armonici sono i più significativi; man mano che si procede verso l’acuto l’incidenza degli armonici diventa sempre più marginale. A titolo di esempio mostriamo la sequenza dei suoni armonici del suono fondamentale do1 (limitiamo l’esempio ai primi 12 suoni):

§1.5 Scale e modi Una scala è una successione ordinata di suoni. In base al numero dei suoni, compresi nell’ambito di un’ottava, che la costituiscono, una scala può essere: 1) 2) 3) 4) 5) 6)

tetrafonica (ad es.: do-re-fa-sol-do) pentafonica (ad es.: do-re-mi-sol-la-do) esafonica (ad es.: do-re-mi-fa#-lab-sib-do) eptafonica (ad es.: do-re-mi-fa-sol-la-si-do) octofonica (ad es.: do-re-mib-fa-solb-lab-la-si-do) dodecafonica (ad es.: do-do#-re-re#-mi-fa-fa#-sol-sol#-la-la#-si-do)

La scala di riferimento della tradizione musicale occidentale è quella eptafonica diatonica, costituita da sette suoni organizzati secondo la successione intervallare TTSTTTS (dove T sta per tono, e S per semitono). Ciascuno dei suoni che costituiscono la scala eptafonica diatonica può assumere un ruolo predominante dal punto di vista gerarchico (finalis), e quindi da essa possiamo ricavare in tutto sette diversi modi diatonici: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7)

modo ionico: do-re-mi-fa-sol-la-si-do modo dorico: re-mi-fa-sol-la-si-do-re modo frigio: mi-fa-sol-la-si-do-re-mi modo lidio: fa-sol-la-si-do-re-mi-fa modo misolidio: sol-la-si-do-re-mi-fa-sol modo eolico: la-si-do-re-mi-fa-sol-la modo locrio: si-do-re-mi-fa-sol-la-si

[T-T-S-T-T-T-S] [T-S-T-T-T-S-T] [S-T-T-T-S-T-T] [T-T-T-S-T-T-S] [T-T-S-T-T-S-T] [T-S-T-T-S-T-T] [S-T-T-S-T-T-T]

Quattro di essi (modi 2–5) corrispondono agli antichi modi ecclesiastici, o modi gregoriani: protus, o dorico; deuterus, o frigio; tritus, o lidio; tetrardus, o misolidio. I modi ionico ed eolico furono introdotti nel XVI secolo da Heinrich Glareanus, e corrispondono di fatto agli odierni modi maggiore e minore naturale. Il settimo modo, locrio, è invece un’astrazione teorica, in quanto è estremamente raro da trovare nella letteratura musicale.

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§1.6 Gradi della scala I suoni che costituiscono una scala vengono chiamati gradi, e sono identificati da numeri romani (dal I al VII nel caso di una scala eptafonica). L’armonia classica si basa sui modi maggiore e minore derivati dalla scala eptafonica diatonica. Ciascuno dei sette gradi che costituiscono questa scala prende anche un nome specifico: 1) I grado = tonica (suono di riferimento); 2) II grado = sopratonica (grado posizionato immediatamente sopra la tonica); 3) III grado = mediante o modale (grado posto a metà strada fra la tonica e la dominante; esso determina inoltre il modo della scala); 4) IV grado = sottodominante (grado posto immediatamente sotto la dominante); 5) V grado = dominante (secondo grado per importanza gerarchica, rappresenta il massimo punto di tensione, e tende a “risolvere” sulla tonica); 6) VI grado = sopradominante (grado posizionato immediatamente sopra la dominante); 7) VII grado = sensibile (solo nel caso in cui si trovi a distanza di semitono dalla tonica posizionata immediatamente sopra di esso, e sulla quale inevitabilmente tende a risolvere, altrimenti si può parlare di sottotonica). §1.7 Modo maggiore e modo minore Il modo maggiore è univocamente determinato, ed è sempre basato sulla successione intervallare TTSTTTS, la quale può essere trasposta su tutti i 12 suoni della scala cromatica dando luogo ad altrettanti modi maggiori (più altri modi omofoni). Il modo minore, invece, può assumere diverse sfumature. Il modo minore naturale deriva anch’esso dalla scala eptafonica diatonica, ma partendo dal sesto suono (nel nostro caso la): la sua successione intervallare è quindi TSTTSTT. Esso viene considerato parallelo, o relativo, del modo maggiore che deriva dalla medesima scala diatonica, la cui finalis è situata una 6a maggiore sotto, o una 3a minore sopra.

Il modo minore naturale è privo della sensibile, in quanto tra il VII grado e la tonica intercorre un intervallo di tono. Per ovviare a questo inconveniente, che riduce le sue potenzialità armoniche, il VII grado può subire un’alterazione cromatica ascendente: si genera così il modo minore armonico, caratterizzato dalla presenza di un intervallo di 2a aumentata tra il VI e il VII grado.

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Per eliminare questo intervallo, di difficile intonazione dal punto di vista melodico, anche il VI grado può subire un’alterazione cromatica ascendente, dando luogo al modo minore melodico. Questa operazione viene effettuata soltanto in senso ascendente, mentre in senso discendente sia il VI che il VII grado ritornano nella posizione di partenza (quella del modo minore naturale).

Una scala minore che mantiene la medesima configurazione intervallare della scala minore melodica anche in senso discendente viene definita scala minore bachiana: essa è del tutto identica alla scala maggiore, con l’unica differenza del III grado, la modale. Per concludere, in modo analogo a quanto avviene nel modo minore armonico, anche nel modo maggiore si può produrre un intervallo di 2a aumentata tra VI e VII grado alterando cromaticamente in senso discendente il VI grado: si ottiene così il modo maggiore armonico.

§1.8 Scale non diatoniche Fra le altre scale non diatoniche che è possibile incontrare con una certa frequenza nella letteratura musicale occidentale possiamo annoverare le seguenti: 1) Scala acustica: i sette suoni che la compongono sono ricavati dai primi 12 suoni armonici di un suono fondamentale dato (cfr. §1.4), ordinati in forma di scala; la successione intervallare è la seguente: TTTSTST; è usata in modo particolare da Béla Bartók. 2) Scala pentafonica anemitonica, o scala pentatonica: è priva di semitoni (anemitonica) ed è molto usata nei repertori di tradizione popolare. 3) Scala esatonale, o scala per toni interi: è costituita da una successione di 6 toni, ed è peculiare della musica di Claude Debussy. 4) Scala octofonica, o scala ottatonica: è basata sull’alternanza regolare di toni e semitoni ed è peculiare della musica slava.

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§1.9 Circolo delle quinte Come abbiamo detto, indipendentemente dal suono che funge da punto di riferimento (finalis, o tonica), un modo maggiore presenta sempre la medesima successione intervallare. Trasportando il modo di do maggiore una 5a G sopra (nuova tonica = sol), fa la sua comparsa un’alterazione ascendente (fa#). Proseguendo in questo senso, man mano che saliamo di 5a i diesis aumentano progressivamente (secondo la successione fa-do-sol-re-la-mi-si), fino al modo di do# maggiore che presenta tutti i 7 suoni diesizzati. In modo analogo, trasportando il modo di do maggiore una 5a G sotto (nuova tonica = fa), appare un suono alterato in senso discendente (sib). Proseguendo con le trasposizioni di 5a inferiore aumenta via via il numero di bemolle in chiave (secondo la successione inversa si-mi-la-re-sol-dofa), e si arriva al modo di dob maggiore che presenta tutti i 7 suoni bemollizzati. Il circolo delle quinte è un efficace sistema grafico che permette di mettere in evidenza il numero di alterazioni presenti nell’armatura di chiave di ciascuna tonalità. Partendo dal centro (do maggiore = nessun suono alterato), e procedendo in senso orario, si va verso le tonalità con i diesis (circolo delle quinte ascendenti), mentre in direzione opposta si procede verso le tonalità con i bemolle (circolo delle quinte discendenti). Nella parte inferiore del grafico sono presenti le tonalità omofone, ovvero quelle enarmonicamente identiche fra di loro (ad es. fa# maggiore = solb maggiore). Nella parte interna del cerchio sono invece indicate in minuscolo le toniche delle tonalità minori parallele, anch’esse in rapporto di 5a fra di loro.

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ESERCIZI 1.1 – Indicare l’ampiezza dei seguenti intervalli, il tipo di consonanza o dissonanza che producono, e calcolarne il rivolto: [§1.1–3]

(ad esempio, per il primo intervallo indicare: 6a M; consonanza imperfetta; 3a m)

1.2 – Scrivere sul pentagramma in chiave di basso il suono corrispondente al grado indicato nelle rispettive tonalità: [§1.6] Do Maggiore – III grado Fa Maggiore – VI grado Mi minore – II grado Re Maggiore – VII grado Sol minore – VI grado La Maggiore – IV grado Sib Maggiore – V grado (ad esempio, per il primo caso indicare:

)

1.3 – Indicare le tonalità maggiori o minori relative (o parallele) rispetto alle seguenti: [§1.7] Re Maggiore – Si minore Sol minore Fa# Maggiore Solb Maggiore Mib Maggiore Fa# minore Sib minore La# minore

1.4 – Indicare quante e quali alterazioni in chiave presentano le seguenti tonalità: [§1.9] Sib Maggiore – 2 bemolle (sib – mib) Fa minore Do# Maggiore Do# minore Mi Maggiore Sol# minore Reb Maggiore Mib minore

LEZIONE II ACCORDI E MOTO DELLE PARTI

§2.1 L’accordo Un accordo è la combinazione simultanea di tre o più suoni fra loro diversi. Nell’armonia classica gli accordi sono ottenuti sovrapponendo suoni a distanza di terza a partire da un suono di riferimento, detto suono fondamentale. Il tipo più semplice di accordo è la triade, o accordo di tre suoni: esso è costituito da un suono fondamentale, da un secondo suono collocato una 3a sopra rispetto al primo, e da un terzo suono situato una 3a sopra rispetto al secondo, e quindi una 5a sopra rispetto al suono fondamentale. Per questo motivo la triade prende anche il nome di accordo di terza e quinta, ed i suoni componenti prendono rispettivamente il nome di suono fondamentale, terza e quinta:

Combinando in vario modo gli intervalli di 3a maggiore e di 3a minore si possono ottenere quattro tipi di triade: 1) Triade perfetta maggiore: 3a M + 3a m = 3a M e 5a G 2) Triade perfetta minore: 3a m + 3a M = 3a m e 5a G 3) Triade diminuita: 3a m + 3a m = 3a m e 5a d 4) Triade aumentata: 3a M + 3a M = 3a M e 5a A

La triade maggiore e quella minore sono considerate perfette perché si tratta degli unici due accordi consonanti: esse sono infatti formate dagli intervalli consonanti di 3a maggiore, 3a minore e 5a giusta. La triade maggiore, in particolare, è ancora più perfetta perché ha una giustificazione di tipo acustico, in quanto è formata dai primi 6 suoni armonici del suono fondamentale (cfr. §1.4). Le triadi diminuita e aumentata, invece, sono accordi dissonanti, perché i due suoni estremi formano un intervallo dissonante (rispettivamente una 5a diminuita e una 5a aumentata).

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§2.2 Triadi sui vari gradi della scala Su ciascun grado della scala maggiore e/o minore è possibile costruire una triade utilizzando i suoni specifici di quella determinata tonalità. Nel modo maggiore le triadi sono le seguenti: triade maggiore sul I, IV e V grado; triade minore sul II, III e VI grado; triade diminuita sul VII grado.

Nel modo minore, invece, la triade sul I grado è sempre minore, mentre le altre cambiano in base al tipo di scala minore utilizzata. Prendendo come punto di riferimento la scala minore armonica, che è poi quella che adopereremo più spesso nei nostri esercizi, abbiamo: triade maggiore sul V e sul VI grado; triade minore sul I e sul IV grado; triade diminuita sul II e sul VII grado; triade aumentata sul III grado.

§2.3 Scrittura a quattro parti L’armonia tradizionale considera particolarmente equilibrata, dal punto di vista sonoro, una scrittura a quattro parti: di conseguenza uno dei tre suoni che compongono la triade deve essere raddoppiato, all’unisono o, più frequentemente, a distanza di ottava. È preferibile raddoppiare sempre il suono fondamentale dell’accordo, anche perché si tratta del suono gerarchicamente più importante. In caso di necessità, tuttavia, si può raddoppiare anche la quinta o, in ultima analisi, la terza. La quinta è invece l’unico suono della triade che può essere eccezionalmente soppresso senza compromettere il senso dell’accordo: sopprimere la terza, infatti, significherebbe renderne incerta la natura modale. I codici numerici, che indicano le distanze intervallari calcolate a partire dal suono più grave dell’accordo, si scrivono e si leggono dal basso verso l’alto e dal numero più piccolo al numero più grande.

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Ciascuno dei quattro suoni che compongono un accordo prende il nome di parte, o voce. Dall’acuto al grave abbiamo: 1) Prima parte, o prima voce, o soprano 2) Seconda parte, o seconda voce, o contralto 3) Terza parte, o terza voce, o tenore 4) Quarta parte, o quarta voce, o basso §2.4 Posizione degli accordi Un accordo può essere scritto in posizione stretta, quando i suoni delle tre voci superiori sono fra loro raggruppati (fra la prima e la terza voce intercorre generalmente un intervallo di 5a o di 6a, e comunque non superiore all’8a), o in posizione lata quando invece le voci sono distribuite in modo uniforme nei due pentagrammi (con una distanza di 5a o di 6a fra ciascuna delle quattro voci).

Il secondo tipo di scrittura è impiegato per la musica corale, perché rispetta il naturale registro delle voci umane, mentre la scrittura a parti strette è più adatta per gli strumenti a tastiera. In base al modo in cui sono disposti i suoni possiamo poi avere tre posizioni: 1) Prima posizione, o posizione d’ottava, quando il suono più acuto è il suono che raddoppia a distanza d’ottava il suono fondamentale; 2) Seconda posizione, o posizione di terza, quando il suono più acuto è la terza; 3) Terza posizione, o posizione di quinta, quando il suono più acuto è la quinta dell’accordo.

La scelta fra una posizione e l’altra può dipendere da varie ragioni, oltre che da motivi contingenti. Per quanto possibile, tuttavia, è preferibile rispettare questo schema, almeno per quanto riguarda il primo accordo di un esercizio: 1) Scegliere la prima posizione, quella più equilibrata in assoluto, per gli esercizi che iniziano con la triade di do, di re o di mi; 2) Scegliere la seconda posizione per gli esercizi che iniziano con la triade di sol, di la o di si; 3) Scegliere la terza posizione, quella che presenta i maggiori problemi (come vedremo più avanti) solo per gli esercizi che iniziano con la triade di fa.

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L’obiettivo è soprattutto quello di occupare in modo uniforme il pentagramma superiore, evitando i tagli addizionali. È buona norma, pur non essendo un obbligo, iniziare e concludere un esercizio nella medesima posizione.

§2.5 Moto delle parti Nel momento in cui gli accordi sono collegati fra di loro, ciascuna delle quattro voci realizza un proprio movimento melodico. Considerate a due a due, le voci possono rapportarsi nei seguenti modi: 1) Moto retto, quando le due voci muovono entrambe in senso ascendente o in senso discendente; se l’intervallo che separa le due voci rimane lo stesso, si può parlare di moto retto parallelo. 2) Moto contrario, quando le due voci procedono in direzione opposta, con un movimento convergente o divergente. 3) Moto obliquo, quando una delle due voci rimane legata alla medesima altezza, mentre l’altra sale o scende.

Poiché lo scopo ultimo dello studio dell’armonia è quello di favorire il più possibile l’indipendenza delle singole voci che compongono gli accordi, si cercherà di privilegiare il moto obliquo e il moto contrario, utilizzando invece con parsimonia il moto retto. In realtà, tuttavia, poiché le voci coinvolte sono quattro, collegando due accordi fra di loro i tre tipi di moto potranno verificarsi contemporaneamente.

§2.6 Errori di moto retto Due voci in rapporto di 5a, di 8a, o di unisono, non possono assolutamente procedere per moto retto parallelo (errori di quinte, ottave o unisoni reali). L’unica eccezione possibile si ha quando un intervallo di 5a procede, preferibilmente in senso discendente, verso una 5a diminuita.

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Inoltre, due voci non possono procedere per moto retto da un qualsiasi intervallo verso una 5a, un’8a o un unisono (errori di quinte, ottave o unisoni nascosti):

In questo secondo caso, tuttavia, esistono numerose eccezioni. Nel caso delle quinte nascoste è sufficiente che una delle due voci coinvolte proceda per grado congiunto per annullare l’errore. Le ottave e gli unisoni nascosti, invece, sono ammessi quando la voce superiore muove per grado congiunto, meglio ancora se per semitono, mentre la voce inferiore procede di salto.

Se le voci coinvolte sono le due estreme (prima e quarta voce) è preferibile che l’intervallo incriminato si formi sul I, sul IV o sul V grado.

§2.7 Movimenti melodici vietati Una singola voce, nel suo procedere melodico (e quindi in senso orizzontale), deve evitare tutti quegli intervalli dissonanti che risultano di difficile intonazione, e specialmente la 2a aumentata (che si incontra nel modo minore armonico tra il VI e il VII grado) e la 4a aumentata (tra il IV e il VII grado del modo maggiore e del modo minore armonico). Un intervallo diminuito, ma soltanto se discendente, è tuttavia tollerato nel caso in cui la parte proceda successivamente con un movimento di semitono ascendente, specialmente nel caso in cui quest’ultimo movimento coinvolga il VII ed il I grado della scala (sensibile-tonica).

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ESERCIZI 2.1 – Esaminare gli intervalli che compongono i seguenti accordi e indicare il tipo di triade: [§2.1]

(ad esempio, per il primo accordo indicare: 3a m e 5a G = triade perfetta minore)

2.2 – Indicare la posizione in cui sono scritti i seguenti accordi: [§2.4]

(ad esempio, per il primo accordo indicare: prima posizione, o posizione d’ottava)

2.3 – Indicare il tipo di moto delle parti che caratterizza i seguenti esempi, se è consentito o meno, ed eventualmente l’errore di moto retto che si viene a formare oppure il motivo che rende consentito un moto retto solitamente proibito: [§2.5–6]

(ad esempio, per il primo caso indicare: moto contrario, consentito)

2.4 – Indicare se i seguenti movimenti melodici sono consentiti o meno, e per quale ragione: [§2.7]

(ad esempio, per il primo caso indicare: consentito, salto di 5a diminuita discendente seguito da semitono ascendente)

LEZIONE III LEGAME ARMONICO

§3.1 Collegamento fra due accordi Quando due accordi consecutivi presentano uno o più suoni in comune, questi suoni devono essere affidati alla medesima voce e legati fra loro (moto obliquo), mentre i suoni restanti devono effettuare il minor spostamento possibile (principio di economia nei movimenti). Se le triadi presentano due suoni fondamentali che distano fra loro di 4a ascendente (o di 5a discendente), vi sarà un suono comune fra i due accordi che deve essere legato, mentre i restanti suoni effettueranno uno spostamento di grado ascendente.

Se il movimento del basso è invece di 5a ascendente (o di 4a discendente), dopo aver legato il suono comune i due restanti suoni dovranno scendere di grado.

Questi due collegamenti armonici sono considerati forti, perché mettono in relazione fra loro i gradi più importanti della scala (il I, il IV e il V). Quando invece le due triadi consecutive presentano suoni fondamentali a distanza di 3a, o di 6a, i suoni in comune saranno due e devono essere entrambi legati, mentre il suono restante si sposta per grado congiunto.

Questi collegamenti sono considerati deboli, perché le due triadi sono molto simili fra di loro (due suoni della seconda triade sono già compresi nella prima).

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Quando infine i suoni fondamentali sono a distanza di tono, non vi sarà alcun suono in comune fra i due accordi: in tal caso sarà indispensabile effettuare il moto contrario di tutte le tre voci superiori rispetto al movimento realizzato dal basso.

§3.2 Regola del II–V Collegando fra loro le triadi poste sul II e sul V grado di una qualsiasi tonalità maggiore o minore, non si deve applicare il principio del legame armonico: di conseguenza, anche se fra i due accordi esiste un suono comune, questo non deve essere legato. Nel caso in cui il basso compia un movimento di 4a ascendente, le tre voci superiori si devono muovere obbligatoriamente per moto contrario rispetto ad esso, e quindi in senso discendente, anche per evitare la falsa relazione di tritono (cfr. §5.6).

Pure nel caso in cui il movimento II–V del basso sia discendente (salto di 5a) è preferibile, ma stavolta non obbligatorio, che le tre voci superiori si muovano in senso discendente: tuttavia, per evitare il formarsi delle quinte nascoste (comunque tollerate da alcuni teorici) si può far salire di grado la terza del primo accordo, anche se in questo caso si ottiene una triade sul V grado priva della quinta (388).

Nel modo minore vi è poi un altro motivo che certifica la necessità di applicare la regola del II–V: in caso contrario, infatti, si formerebbe un movimento melodico vietato di 2a aumentata (cfr. §2.7).

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§3.3 Trattamento della sensibile Il VII grado della scala maggiore e della scala minore armonica, in qualunque voce si trovi, deve sempre procedere tramite un movimento di semitono ascendente verso la tonica. Per questo motivo esso prende il nome di sensibile, e non deve mai essere raddoppiato in un accordo, anche nel caso in cui coincidesse con il suono fondamentale di una triade (cfr. §4.4). Soltanto in via del tutto eccezionale la sensibile può risolvere tramite un salto di 3a discendente (eccezione di Bach), ma a patto che sussistano le seguenti condizioni: 1) che non si trovi in prima voce, dove avrebbe un risalto maggiore; 2) che in una delle voci superiori la sopratonica risolva sulla tonica, meglio ancora se alla stessa altezza di quella che sarebbe dovuta essere la risoluzione normale della sensibile (in questo modo la sensibile risolve in modo apparente sulla tonica).

§3.4 Collegamento V–VI Se applicassimo alla lettera i principi del legame armonico nel collegare fra loro le triadi poste sul V e sul VI grado, dato che non esistono suoni in comune dovremmo muovere tutte le voci per moto contrario rispetto al basso, e quindi in senso discendente. Tuttavia uno dei suoni che compongono il primo accordo (la terza) è la sensibile, la quale deve obbligatoriamente risolvere sulla tonica (cfr. §3.3): di conseguenza questo suono si muoverà normalmente in senso ascendente, mentre i restanti due suoni manterranno l’obbligo del moto contrario rispetto al basso. Il risultato di questa operazione sarà un accordo sul VI grado che avrà il raddoppio della terza (335).

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§3.5 Le funzioni armoniche Il sistema tonale, ovvero ciò che noi normalmente chiamiamo tonalità, si basa su un sistema gerarchico che regola i rapporti fra i diversi gradi della scala. Si possono individuare in particolare tre funzioni armoniche principali: -

la funzione di tonica rappresenta il centro gravitazionale del sistema tonale, ed è il punto di partenza e di arrivo di ogni sequenza armonica dotata di senso compiuto: essa ha quindi un carattere statico, di riposo;

-

la funzione di dominante viene esercitata dall’armonia posta una quinta sopra la tonica (V grado). Poiché la quinta è il primo intervallo, diverso dall’ottava, a fare la sua comparsa nella serie dei suoni armonici (cfr. §1.4), la dominante tende inesorabilmente a ritornare al suono che l’ha generata, ovvero il suono posto una quinta sotto: ecco perché essa è caratterizzata da una forte tensione intrinseca che può essere sciolta unicamente facendola risolvere sulla tonica;

-

la funzione di sottodominante, infine, viene esercitata dall’armonia posta una quinta sotto la tonica, in posizione esattamente speculare rispetto alla dominante: a questo scopo sarebbe forse più corretto parlare di controdominante. La sottodominante ha una funzione di spinta, di antitesi rispetto alla tonica, perché avvia il discorso armonico facendolo uscire dall’orbita della tonica (grazie anche al fatto che il rapporto di quinta esistente fra tonica e sottodominante è analogo a quello esistente fra dominante e tonica, e quindi potenzialmente dotato della medesima spinta gravitazionale).

La sequenza armonica tipo è dunque la seguente: T–S–D–T: la sottodominante “spinge” il discorso armonico fuori dall’orbita della tonica, e prepara il momento di massima tensione (rappresentato dalla dominante) che verrà poi risolto con il ritorno alla tonica. Gran parte della musica prodotta nei secc. XVII–XVIII si basa su questa sequenza armonica fondamentale, che naturalmente viene reiterata più volte nell’ambito di una composizione. Di tanto in tanto potranno apparire sequenze armoniche più semplici (T–D–T, o, più raramente, T–S–T), ma ciò non cambia il senso della questione. In ogni caso è praticamente impossibile riscontrare, in una composizione tonale, una sequenza armonica rovesciata rispetto a quella tipo (ad es. T–D–S–T): la dominante non può mai essere seguita dalla sottodominante!

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Le tre funzioni armoniche principali, comunque, non si identificano unicamente con le triadi poste rispettivamente sul I, sul V e sul IV grado della scala: -

la funzione di tonica è esercitata solitamente dalla triade maggiore o minore posta sul I grado, ma talvolta può essere rappresentata anche dalla triade sul III grado;

-

la funzione di dominante è svolta dalla triade maggiore del V grado, o in alternativa dalla triade diminuita del VII grado (cfr. §4.4), in entrambi i casi grazie alla presenza della sensibile; tuttavia, come vedremo più avanti, la funzione dominantica risulterà rafforzata dall’impiego dell’accordo di settima di dominante (cfr. §7.2);

-

la funzione di sottodominante, infine, è rappresentata dalla triade del IV grado, ma anche da quella del II grado.

Per quanto riguarda il VI grado, infine, la funzione armonica che rappresenta dipende dal contesto in cui viene collocato. Se il VI grado è preceduto dal V (cfr. §3.4 Collegamento V–VI) esso assume una funzione di tonica, anche perché dopo la dominante non si può avere una sottodominante! In tutti gli altri casi, invece, il VI grado svolge una funzione sottodominantica. Naturalmente una specifica funzione armonica può essere rappresentata anche da due o più triadi consecutive (ad es. I–III = T–T, oppure VI–IV–II = S–S–S). Sostituendo una triade con un’altra che svolge la medesima funzione armonica, oppure accostando fra loro due o più triadi che esercitano la medesima funzione, si possono ottenere numerose varianti della sequenza armonica fondamentale, fra cui quelle illustrate nell’esempio seguente:

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ESERCIZI 3.1 – Completare il seguente esercizio indicando dapprima i gradi dei suoni al basso tramite i corrispondenti numeri romani, e quindi collegando gli accordi per mezzo del legame armonico: [§3.1]

3.2 – Armonizzare il basso seguente indicando dapprima i gradi dei suoni al basso con i corrispondenti numeri romani, scegliendo poi la posizione in cui scrivere la prima triade, e collegando infine gli accordi tramite il legame armonico: [§3.1]

3.3 – Armonizzare il basso seguente in modo simile ai precedenti, applicando dove richiesto la regola del II–V: [§3.2]

3.4 – Armonizzare il basso seguente applicando dove richiesto le regole relative al trattamento della sensibile e all’armonizzazione del collegamento V–VI: [§3.3–4]

3.5 – Armonizzare il basso seguente in tonalità minore inserendo di volta in volta l’alterazione ascendente del VII grado per ottenere la sensibile, e indicando le funzioni armoniche dei singoli accordi: [§3.5]

3.6 – Realizzare dei concatenamenti armonici in diverse tonalità che siano coerenti dal punto di vista della sintassi delle funzioni armoniche [§3.5]

LEZIONE IV I RIVOLTI DELLA TRIADE

§4.1 Il rivolto di un accordo Un accordo si definisce in stato fondamentale quando il suono fondamentale è posizionato nella voce più grave: questa è la disposizione standard di un accordo. Tuttavia, in modo analogo a quanto abbiamo visto a proposito degli intervalli (cfr. §1.3), anche la disposizione dei suoni di un accordo può essere invertita dando luogo ad un rivolto. Poiché una triade, a differenza di un semplice intervallo, è costituita da tre suoni, possiamo avere due diversi rivolti. In base al suono collocato nella voce più grave, quindi, essa può presentarsi: -

in stato fondamentale, quando il suono più grave è la fondamentale dell’accordo; in primo rivolto, quando il suono più grave è la terza dell’accordo; in secondo rivolto, quando il suono più grave è la quinta dell’accordo.

I rivolti di una triade, pur avendo caratteristiche loro proprie, mantengono comunque una strettissima affinità con l’accordo fondamentale da cui derivano, del quale rappresentano in fondo soltanto due diverse varianti. §4.2 Il primo rivolto La prima cosa da fare quando ci troviamo di fronte ad un accordo disposto in stato di rivolto è ricostruire mentalmente la disposizione standard individuando il suono fondamentale. Quando una triade è in primo rivolto, il suono fondamentale si trova a distanza di 6a dal suono situato al basso (la terza), mentre la quinta è collocata una 3a sopra il basso: per questo motivo una triade così disposta viene definita anche accordo di terza e sesta. La triade in primo rivolto è meno stabile del corrispondente accordo in stato fondamentale, ma proprio per questo si rivela particolarmente utile per creare varietà nel discorso armonico. Nei secc. XVII–XVIII l’accordo di terza e sesta veniva spesso considerato dai compositori come un accordo a sé, con caratteristiche sue proprie, ma a partire dal periodo classico divenne a tutti gli effetti un sostituto dell’accordo fondamentale corrispondente, da utilizzare per fini espressivi, o per favorire alcuni determinati collegamenti armonici. Il primo rivolto di una triade si identifica con il numero 6, che individua la posizione del suono fondamentale rispetto al basso. Il numero romano indicherà sempre il grado della scala (grado melodico), mentre sotto di esso si potrà posizionare, tra parentesi, il numero romano corrispondente al suono fondamentale dell’accordo (nell’esempio che segue abbiamo anche inserito, tra parentesi, una notina che indica il suono fondamentale):

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Quindi avremo sul III grado il primo rivolto della triade di tonica, sul IV grado il primo rivolto della triade di sopratonica, e così via. Nel precedente esempio, il suono raddoppiato è sempre la sesta, ovvero la fondamentale dell’accordo: questa è solitamente la soluzione migliore, ma, così come avviene per la triade in stato fondamentale, talvolta sarà necessario, o opportuno, raddoppiare la quinta, o persino la terza. Tenendo conto delle distanze intervallari rispetto al suono situato al basso (la terza), i tre tipi di raddoppio saranno indicati con i seguenti codici numerici:

La scelta del suono migliore da raddoppiare, comunque, dipende anche dall’importanza gerarchica dei suoni in seno alla tonalità. Nel caso della triade di tonica, ad esempio, il raddoppio migliore è quello del suono fondamentale (366), anche perché si tratta della tonica, mentre il secondo miglior raddoppio è quello della quinta (336), anche perché si tratta della dominante. Nel caso del primo rivolto della triade di dominante (situato sul VII grado), il raddoppio migliore è quello del suono fondamentale (la dominante), mentre non è assolutamente possibile raddoppiare la terza (che figura al basso) perché si tratta della sensibile (cfr. §3.3).

Veniamo adesso ai due casi più significativi in questo senso. Nel primo rivolto della triade di sopratonica (costruito sul IV grado) il suono migliore da raddoppiare è la terza (il suono posto al basso), perché si tratta della sottodominante, grado gerarchicamente superiore rispetto alla

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sopratonica (che sarebbe invece il suono fondamentale della triade). In modo analogo, nel primo rivolto della triade del VI grado (costruito sul I grado), il raddoppio fortemente consigliato è quello della terza (al basso), perché si tratta della tonica, molto più importante della sopradominante (suono fondamentale):

§4.3 Uso del primo rivolto L’uso del primo rivolto è fortemente consigliato nei seguenti casi: -

sul III grado al posto della triade in stato fondamentale, soluzione che enfatizza il ruolo del III grado come “satellite” della tonica; sul VII grado, al posto della triade diminuita di sensibile (cfr. §4.4), che in modo analogo diventa così un “satellite” della dominante; sul VI grado, ma solo quando svolge una chiara funzione sottodominantica, ovvero in occasione del collegamento VI–V:

Molto frequente è anche l’uso, sul IV grado seguito dal V, del primo rivolto della triade di sopratonica al posto della triade di sottodominante (soluzione che rimane comunque possibile), così da riprodurre in stato di rivolto la concatenazione II–V che risulta più forte, per via del salto di 4a delle fondamentali (cfr. §3.1), rispetto alla successione IV–V: in tal caso occorre tener presente che, nonostante la presenza del suono comune, tutte le voci devono scendere applicando anche in stato di rivolto la regola del II–V (cfr. §3.2).

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Quando un I, un IV, o un VI grado hanno un valore di almeno due movimenti, su di essi si possono collocare, in successione, prima la triade fondamentale, e poi il primo rivolto:

§4.4 La triade diminuita di sensibile Trattiamo solo a questo punto la triade diminuita di sensibile, perché si tratta di un accordo che si può utilmente adoperare unicamente in stato di primo rivolto. Questo accordo presenta due movimenti obbligati: -

il suono fondamentale è la sensibile, e quindi deve necessariamente risolvere sulla tonica; la quinta (diminuita) corrisponderebbe al IV grado della scala, ma quando si trova in combinazione con la sensibile questo grado perde il suo carattere sottodominantico assumendo invece il nome di controsensibile: esso infatti risolve sempre scendendo di grado, con un movimento opposto rispetto a quella della sensibile:

Entrambi i suoni che hanno una risoluzione obbligata non possono essere raddoppiati: ne consegue che in questo accordo l’unico suono che può essere raddoppiato è la terza. In stato fondamentale la triade diminuita di sensibile si rivela assai poco soddisfacente dal punto di vista sonoro, ed inoltre, a causa dei movimenti obbligati, la sua risoluzione genera sempre una triade di tonica priva della quinta. Quando abbiamo il VII grado al basso, quindi, conviene sempre usare il primo rivolto della triade di dominante.

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In primo rivolto, invece, la triade diminuita si rivela molto utile per armonizzare il II grado quando questo procede per grado congiunto (II–I opp. II–III): in tal caso esso perde la sua funzione sottodominantica a vantaggio di quella dominantica. Applicando dove possibile l’eccezione di Bach (cfr. §3.3), si può anche avere una risoluzione sulla triade di tonica completa.

§4.5 Il secondo rivolto Quando il suono al basso è la quinta della triade, si dice che l’accordo è in stato di secondo rivolto. Un accordo così disposto è molto instabile, soprattutto per via dell’intervallo di 4a che si forma tra il basso e il suono fondamentale, intervallo considerato “dissonante” in armonia perché non contenuto nella serie dei suoni armonici (cfr. §1.2). Poiché, come abbiamo detto, il suono fondamentale si trova una 4a sopra il basso, e la terza è situata una 6a sopra il basso, il secondo rivolto prende anche il nome di accordo di quarta e sesta, e si indica con il codice numerico 46. A tal proposito può essere utile ricordare che nelle cifrature numeriche che caratterizzano i rivolti degli accordi, il numero pari più piccolo indica sempre la posizione del suono fondamentale: nel primo rivolto della triade (6) esso è infatti situato una 6a sopra il basso, mentre nel secondo rivolto (46) si trova a distanza di 4a. Anche per indicare il secondo rivolto scriviamo prima di tutto il numero romano corrispondente al grado melodico, posizionando poi eventualmente sotto di esso, tra parentesi, il grado relativo al suono fondamentale. Il raddoppio più comune è sempre quello del suono che sta al basso, ovvero la quinta (468).

Per i motivi espressi sopra, il secondo rivolto va usato con molta parsimonia: i tre accordi dell’esempio precedente (rispettivamente il secondo rivolto delle triadi di tonica, sottodominante e dominante) sono in pratica gli unici che si possono utilizzare, e comunque solo in determinate circostanze.

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I primi due si possono usare come accordi di volta, ovvero quando un V grado, o un I grado, durano almeno tre tempi, ed è quindi possibile alternare sul suono tenuto del basso la triade fondamentale, il secondo rivolto, e di nuovo la triade fondamentale (quarta e sesta di volta).

Il secondo rivolto della triade di dominante, invece, si rivela estremamente utile per armonizzare il collegamento I–II–III (opp. III–II–I), come alternativa, sul II grado, al primo rivolto della triade diminuita di sensibile (cfr. §4.4), rispetto al quale rappresenta una soluzione di gran lunga migliore, grazie anche alla presenza del suono comune che agevola il collegamento degli accordi (si parla in questo caso di quarta e sesta di passaggio).

Va tuttavia osservato che il II grado può essere armonizzato con il secondo rivolto soltanto se è collocato fra il I e il III grado, mentre nel caso delle successioni II–I o II–III che sono precedute da armonie diverse è necessario ricorrere al primo rivolto della triade diminuita di sensibile. L’impiego più frequente della triade in secondo rivolto, comunque, avviene nella cadenza V–I (quarta e sesta di cadenza), come vedremo nella prossima Lezione (cfr. §5.2).

§4.6 Scambio delle parti Spesso al basso figurano in successione due suoni a distanza di 3a che possono essere armonizzati con il medesimo accordo, prima in stato fondamentale e poi in primo rivolto, o viceversa. In tali casi potrà essere utile effettuare uno scambio delle parti, ovvero muovere una delle voci superiori in modo speculare rispetto al basso, per evitare che si produca un raddoppio poco soddisfacente. Nel caso in cui la triade di dominante in stato fondamentale sia seguita dal suo primo rivolto, poi, lo scambio delle parti diventa indispensabile, per evitare che avvenga sul VII grado il raddoppio della sensibile.

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Lo scambio delle parti esaminato nei precedenti esempi propone un movimento perfettamente simmetrico e speculare rispetto al basso. In alcuni casi, tuttavia, quando un accordo in stato fondamentale è seguito dal suo primo rivolto può essere utile raddoppiare sul secondo la quinta (336) invece del suono fondamentale (366), generando uno scambio delle parti asimmetrico per moto parallelo. Nel collegamento I–III–IV, ad esempio, se applicassimo un normale scambio delle parti rischieremmo di produrre un errore di ottave nascoste (cfr. §2.6), a meno che non decidiamo di far scendere le voci, perdendo però una posizione. Se non effettuassimo nessuno scambio delle parti si produrrebbe l’ancor più grave errore di ottave reali. La soluzione ottimale è allora quella di far muovere la terza del primo accordo in modo parallelo al movimento ascendente del basso, andando a raddoppiare la quinta (336) nel secondo accordo.

La medesima soluzione si applica per il collegamento V–VII–I: in questo caso, oltre alle ragioni precedentemente esposte, va aggiunto che è di gran lunga preferibile fare in modo che entrambe le voci che contengono, prima e dopo, la sensibile, risolvano comunque sulla tonica. Nel secondo caso dell’esempio seguente, infatti, la mancata risoluzione della prima sensibile, affidata per giunta alla prima voce, e quindi posta in particolare rilievo, genera un effetto armonico poco soddisfacente.

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§4.7 Sincope armonica Il medesimo accordo non può trovarsi a cavallo di due battute consecutive: in caso contrario si produrrebbe una sincope armonica, così chiamata per la somiglianza con la sincope vera e propria. Essa non è consentita nell’armonia scolastica, soprattutto per evitare che il discorso armonico risulti impoverito dalla ripetizione delle medesime soluzioni accordali. La sincope armonica non viene annullata se cambia il rivolto dell’accordo, e nemmeno se il primo accordo viene presentato sul battere della prima misura e si prolunga poi sul battere della seconda, eliminando quindi la sincope vera e propria. Occorre infine evitare anche la sincope armonica all’interno della medesima battuta, che si può formare quando, nell’ambito di un metro in quattro tempi, l’accordo presentato sul secondo tempo si prolunga sul terzo.

Per evitare di incappare in errori di questo tipo sarà necessario e sufficiente utilizzare due accordi diversi, anche a costo di ricorrere a soluzioni armoniche poco consuete come la triade di sopradominante in primo rivolto sul I grado, o la triade fondamentale del III grado. Nel caso di un I o di un V grado che occupano tre tempi, infine, potrà essere utile avvalersi della quarta e sesta di volta (cfr. §4.5).

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ESERCIZI 4.1 – Scrivere le triadi in primo rivolto con i raddoppi indicati dalla cifratura del basso: [§4.2]

Do M:

IV (II)

VII (V)

III (I)

II (VII)

VI (IV)

III (I)

VII (V)

4.2 – Armonizzare il basso seguente adoperando le triadi in primo rivolto ogni volta che sia necessario: [§4.3]

4.3 – Armonizzare il basso seguente armonizzando il II grado seguito dal I o dal III con il primo rivolto della triade diminuita di sensibile: [§4.4]

4.4 – Armonizzare il basso seguente impiegando le triadi in secondo rivolto nei punti indicati dalla numerica e ogni qual volta si riveli possibile, anche allo scopo di evitare la sincope armonica, e ricorrere allo scambio delle parti ogni volta che se ne presenti l’opportunità: [§4.5–7]

4.5 – Indicare il motivo che rende i seguenti collegamenti armonici non corretti, e provare a proporne una soluzione alternativa corretta:

LEZIONE V CADENZE

§5.1 Cadenze di chiusura Le cadenze sono delle successioni armoniche tipo, e possono a tutti gli effetti essere paragonate ai segni di punteggiatura del discorso verbale: dal loro uso scaturisce la sintassi armonica, che determina la conclusione di una frase, di un periodo (cfr. §23.4), o di un’intera composizione. Sono considerate cadenze di chiusura quelle successioni armoniche che, sfociando sulla tonica, determinano la conclusione di una composizione, o almeno di una parte di essa. -

Cadenza perfetta, o cadenza semplice: è formata dalla successione delle triadi fondamentali del V e del I grado (dominante-tonica). Si tratta della cadenza conclusiva per eccellenza, adatta per condurre a termine una composizione, o una parte importante di essa. Può essere paragonata, come segno di punteggiatura, al punto fermo;

-

Cadenza plagale: è formata dalla successione delle triadi fondamentali del IV e del I grado (sottodominante-tonica). Possiede un carattere meno conclusivo rispetto alla cadenza perfetta, perché manca quel forte senso di tensione che possiede soltanto la dominante (anche grazie alla sensibile). Viene usata, solitamente, alla fine di una composizione per confermare una cadenza perfetta, e quindi per perfezionare una conclusione di fatto già avvenuta. Ha un carattere religioso, dovuto appunto all’assenza di forti tensioni armoniche;

-

Cadenza imperfetta: è simile alla cadenza perfetta, ma uno dei due accordi, solitamente il secondo, viene sostituito dal corrispondente primo rivolto. Questa trasformazione rende più sfumato il carattere conclusivo della cadenza, che si rivela quindi particolarmente adatta per concludere una frase intermedia. Può essere paragonata alla virgola.

§5.2 Varianti delle cadenze di chiusura Le cadenze precedenti possono essere elaborate in forme più complesse. La cadenza perfetta, ad esempio, può essere ampliata tramite l’uso del secondo rivolto della triade di tonica, che può precedere la triade di dominante, o alternarsi con essa.

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Se il secondo caso del precedente esempio lo conosciamo già (quarta e sesta di volta – cfr. §4.5), il primo rappresenta una novità assoluta: per la prima volta il secondo rivolto di una triade viene usato prima dell’accordo fondamentale, dando luogo ad una quarta e sesta di cadenza. Si tratta in assoluto dell’uso più tipico della triade in stato di secondo rivolto, da cui nasce una successione armonica molto frequente definita cadenza composta consonante. La cadenza composta possiede un carattere conclusivo ancora più marcato, ed è quindi naturale completarla con la triade fondamentale di tonica: non è impossibile, tuttavia, che per ragioni varie essa possa dar luogo ad una cadenza imperfetta (V–III), o addirittura ad una cadenza di sospensione (cfr. §5.3). Per concludere, anche la cadenza plagale può essere elaborata facendo seguire alla triade maggiore di sottodominante la triade minore (abbassando quindi la terza), ma ovviamente ciò è possibile solo in tonalità maggiore (nel modo minore la triade del IV grado è già minore: cfr. §2.2): l’abbassamento di un suono si indica ponendo il segno “–” subito dopo il numero corrispondente al suono (cfr. §15.1).

§5.3 Cadenze di sospensione Sono quelle successioni armoniche che, sfociando su un grado diverso dalla tonica, determinano un effetto di sospensione: di solito queste cadenze concludono la prima metà di una frase, o di un periodo, e sono poi seguite da un episodio simile che si completa con una cadenza conclusiva. -

Cadenza d’inganno: è formata dalla successione delle triadi fondamentali del V e del VI grado (dominante-sopradominante). Possiede un forte carattere di sorpresa (può essere paragonata al punto esclamativo), perché la triade del VI grado giunge inaspettatamente proprio quando ci si attenderebbe il I grado, tanto più che la sensibile risolve correttamente sulla tonica. La risoluzione di questa successione armonica è già stata descritta in §3.4 (Collegamento V–VI);

-

Cadenza sospesa: è formata dalla successione di un qualsiasi grado della scala seguito dalla dominante (ad es.: I–V, II–V, IV–V, e così via…). Determina una pausa sospensiva nel discorso musicale (di solito è accompagnata da un punto coronato), che crea un effetto di attesa carico di tensione;

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-

Cadenza evitata: è formata dal collegamento della dominante con qualunque accordo diverso dalla triade di tonica. Anche la cadenza d’inganno è, di fatto, un particolare tipo di cadenza evitata. Si chiama così perché la risoluzione viene appunto evitata, o posticipata, protraendo per più accordi la tensione già accumulata. La cadenza evitata può anche essere usata per modulare, collegando direttamente la triade di dominante con la dominante di un’altra tonalità;

-

Cadenza semiplagale: è l’opposto della cadenza plagale (successione I–IV). In modo simile a quanto avviene per la cadenza sospesa, anche questa cadenza genera un effetto di sospensione, ed è spesso accompagnata da un punto coronato.

§5.4 Cadenze arcaiche Sono successioni armoniche, ormai desuete, che venivano spesso usate nei secoli scorsi per concludere una composizione: -

Cadenza Picarda: nel periodo barocco era tipico concludere un brano in tonalità minore sostituendo senza preavviso la triade di tonica finale con la corrispondente triade maggiore, alterando quindi in senso ascendente la terza (terza di Picardia). Ciò creava un effetto di luminosità in contrasto con il carattere malinconico del modo minore. Prende il nome dalla Picardie, regione del nord della Francia dove questo tipo di cadenza era usato con particolare frequenza;

-

Cadenza frigia: sempre nel periodo barocco era frequente questo tipo di cadenza sospesa, anch’essa possibile solo nel modo minore, che consiste nella successione VI–V con il primo accordo armonizzato come primo rivolto della triade di sottodominante minore. In genere questa cadenza conclude un’introduzione o il movimento lento di una sonata barocca (cfr. §24.3), ed è immediatamente seguita da un brano con andamento mosso. Il suono fondamentale del primo accordo è sempre collocato in prima voce, e risolve ascendendo di grado, creando così un forte senso di attesa. Prende il nome dal modo frigio, il secondo dei modi gregoriani (cfr. §1.5), il cui intervallo di 2a minore fra il I e il II grado ricorda il movimento di semitono del basso fra il VI e il V grado del modo minore;

-

Cadenza di Landino: era usata spessissimo nel XIV secolo (Ars Nova) dal compositore e organista cieco Francesco Landino per concludere una composizione. È caratterizzata, dal punto di vista melodico, dall’inserimento del VI grado fra la sensibile e la tonica, solitamente nella voce più acuta. Nel modo minore, per evitare la 2a aumentata tra VII e VI grado, veniva alterato in senso ascendente il VI (scala minore melodica – cfr. §1.7).

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§5.5 Formula di cadenza Si intende con questo termine una successione di accordi che crea un’unità logica, dal punto di vista della sintassi armonica, per concludersi con una delle cadenze analizzate nei paragrafi precedenti. La formula di cadenza più tipica è la cosiddetta cadenza mista, che consiste nella successione dei più importanti gradi della scala in questo ordine: I–IV–V–I. Questa formula di cadenza, che riproduce esattamente la sequenza armonica tipo (cfr. §3.5) può anche essere vista come la somma delle seguenti cadenze: semiplagale (I–IV) + perfetta (V–I). In genere, in effetti, una formula di cadenza è costituita da una semicadenza, ovvero da una successione armonica che, partendo dalla tonica, conduce ad un accordo con funzione sottodominantica, e da una cadenza vera e propria:

§5.6 Falsa relazione di tritono Fra le cadenze evitate non va annoverata la successione V–IV (con triadi fondamentali): essa è concepibile solo in ambito modale, perché dal punto di vista tonale questa successione si rivela illogica dato che la sottodominante non può mai seguire la dominante, ma solo precederla (cfr. §3.5). Peraltro la concatenazione fra queste due armonie metterebbe in particolare evidenza l’intervallo di 4a aumentata (tritono) che si formerebbe tra la sensibile e il suono fondamentale del secondo accordo, producendo una falsa relazione di tritono: per falsa relazione si intende un rapporto indiretto che riguarda due diverse voci poste in accordi consecutivi. Il tritono, conosciuto nel Medioevo come diabolus in musica, era considerato particolarmente dissonante, e quindi assolutamente da evitare.

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La falsa relazione di tritono sta anche alla base della regola del II–V (cfr. §3.2), che impone a tutte le voci di scendere senza considerare la presenza del suono comune:

§5.7 Cambio di posizione Quando la medesima armonia occupa due o più tempi, l’accordo corrispondente si può disporre successivamente in due diverse posizioni: ciò si rivela particolarmente utile per recuperare una disposizione delle note più centrale rispetto al pentagramma, quando gli eventi precedenti hanno portato le tre voci superiori o troppo in alto o, come accade più spesso, troppo in basso. In genere è preferibile realizzare un cambio di posizione soltanto sull’armonia di tonica in stato fondamentale o in primo rivolto. Anche le successioni I–III o III–I possono, in caso di necessità, essere accompagnate da un cambio di posizione, purché ovviamente sia realizzato in direzione opposta rispetto al movimento del basso per evitare il formarsi di un errore di ottave reali. Gli errori di quinte e ottave nascoste sono invece ammessi quando il basso compie un salto d’ottava.

Bisogna invece fare molta attenzione a non creare errori di quinte e ottave reali tra la posizione iniziale dell’accordo (da cui parte il cambio di posizione) e l’armonia che segue il cambio di posizione stesso: tali errori, infatti, non vengono annullati dalla presenza dell’accordo interposto, visto che quest’ultimo viene percepito a tutti gli effetti soltanto come una diversa disposizione del primo.

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In casi eccezionali è possibile realizzare un cambio di posizione anche sull’armonia di dominante, in stato fondamentale e/o in primo rivolto: in tali casi, però, occorrerà fare molta attenzione affinché la sensibile non sia mai raddoppiata, ed è comunque preferibile che anche la voce che conteneva in un primo momento la sensibile risolva in ogni caso sulla tonica, o almeno che la tonica posta a quella specifica altezza sia affidata ad un’altra voce.

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ESERCIZI 5.1 – Riconoscere le seguenti cadenze: [§5.1–3]

5.2 – Realizzare le cadenze indicate: [§5.1–3] Re Maggiore: cadenza plagale Mi minore: cadenza d’inganno Sol Maggiore: cadenza composta consonante La minore: cadenza imperfetta Fa Maggiore: cadenza evitata La Maggiore: cadenza plagale con inserimento della sottodominante minore 5.3 – Realizzare le seguenti cadenze arcaiche: [§5.4] Mi minore: cadenza frigia Sol Maggiore: cadenza di Landino Re minore: cadenza picarda Si minore: cadenza frigia 5.4 – Realizzare alcune formule di cadenza in 3 diverse tonalità a scelta [§5.5] 5.5 – Armonizzare il basso seguente cercando di effettuare un cambio di posizione in tutti i punti indicati con l’asterisco: [§5.7]

5.6 – Indicare se i seguenti cambi di posizione sono corretti o meno, e segnalare l’eventuale errore: [§5.7]

LEZIONE VI ARMONIZZAZIONE CON LE TRIADI

§6.1 Scegliere l’accordo giusto Armonizzare un basso significa assegnare a ciascun suono l’accordo più appropriato da affidare alle voci superiori scegliendo la disposizione dei suoni sul pentagramma più idonea, in modo tale da rispettare i principi e le regole di armonia esaminati nelle precedenti lezioni ed evitare così la formazione di errori. Ciascuno dei 7 gradi della scala, almeno in teoria, potrebbe essere armonizzato in tre modi, o con una triade in stato fondamentale, o con un primo rivolto, o ancora con un secondo rivolto: in totale, quindi, avremmo a disposizione 21 diverse soluzioni accordali. Nella realtà pratica, tuttavia, non tutte sono possibili nei nostri esercizi di armonizzazione, ed inoltre ciascuno dei 7 gradi andrà armonizzato in un determinato modo in base al contesto armonico in cui è collocato, contesto armonico che dipende in gran parte dall’armonia immediatamente precedente e, soprattutto, da quella immediatamente successiva. Questa lezione sarà dedicata proprio all’individuazione dell’armonia più appropriata da assegnare, di volta in volta, a ciascun grado della scala.

§6.2 Il I grado -

Si armonizza sempre con la triade fondamentale, anche perché si tratta del grado gerarchicamente più importante della tonalità;

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quando il I grado occupa due o più tempi a cavallo di battuta, per evitare la sincope armonica sarà necessario, sul battere della seconda misura, usare il primo rivolto del VI grado (cfr. §4.7);

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il medesimo accorgimento può essere adoperato, indipendentemente dal rischio di incorrere in una sincope armonica, quando il I grado occupa almeno due tempi di battuta, specialmente quando questa soluzione può facilitare il legame armonico fornendo un (ulteriore) suono comune con l’armonia successiva;

-

quando il I grado occupa almeno tre tempi di battuta, si può usare la quarta e sesta di volta con il secondo rivolto del IV grado: questo si rivela molto utile nella fase conclusiva dell’esercizio, al fine di riprodurre, pur se in stato di rivolto, la cadenza plagale I–IV–I.

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§6.3 Il II grado -

Si armonizza con la triade fondamentale ogni qual volta sia seguito da un grado non immediatamente vicino (II–IV, II–V, II–VI o II–VII);

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si armonizza con il primo rivolto della triade diminuita di sensibile, raddoppiando sempre il basso (368), quando è seguito dal I o dal III grado, quest’ultimo armonizzato come primo rivolto del I;

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in alternativa al caso precedente, si può usare il secondo rivolto della triade di dominante (anche in questo caso raddoppiando sempre il basso), ma soltanto se il II è sia preceduto che seguito da un’armonia con funzione di tonica (quarta e sesta di passaggio – cfr. §4.5).

§6.4 Il III grado -

Si armonizza sempre con il primo rivolto della triade di tonica, raddoppiando preferibilmente il suono fondamentale (366);

-

quando è seguito dal IV conviene raddoppiare la quinta (336) per evitare le ottave nascoste con il basso (cfr. collegamento I–III–IV in §4.6): questo vale anche se il IV grado è armonizzato come primo rivolto del II;

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si può eccezionalmente armonizzare in stato fondamentale quando è seguito dal IV o dal VI, ma si tratta di procedimenti che indeboliscono la tonalità perché questo accordo contiene al suo interno tanto la mediante che la sensibile, e questo rende incerta la sua funzione armonica (tonicale o dominantica?).

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§6.5 Il IV grado -

Si armonizza solitamente con la triade fondamentale;

-

quando il IV è seguito dal V, tuttavia, è possibile armonizzarlo come primo rivolto del II grado, raddoppiando solitamente il basso (368), gerarchicamente più importante del suono fondamentale dell’accordo (sopratonica): si viene così a formare un collegamento II–V armonicamente più forte del collegamento IV–V, per via del salto di quarta tra le fondamentali (cfr. §3.1). In questo collegamento va comunque rispettata la regola del II–V (cfr. §3.2), poiché il II è pur sempre il grado fondamentale del primo accordo.

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l’accordo in stato fondamentale e il primo rivolto possono anche essere utilizzati in successione, nel caso in cui il IV grado occupi almeno due tempi di battuta (la soluzione inversa è meno logica dal punto di vista della sintassi armonica).

§6.6 Il V grado -

Si armonizza sempre con la triade fondamentale;

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quando il V grado occupa almeno tre tempi di battuta, si può alternare la triade fondamentale con il secondo rivolto del I grado (quarta e sesta di volta): questo si rivela molto utile per evitare la sincope armonica nel caso in cui il V grado sia posto a cavallo di due battute (non si armonizza mai il V grado con il primo rivolto del III!);

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quando il V grado occupa almeno due tempi di battuta, ed è seguito dal I (cadenza perfetta), ma eventualmente anche dal III (cadenza imperfetta) o dal VI (cadenza d’inganno), lo si può armonizzare prima con il secondo rivolto del I grado, e subito dopo con la triade fondamentale (quarta e sesta di cadenza), dando luogo ad una cadenza composta (cfr. §5.2): nel primo accordo va raddoppiato il basso, e le voci devono sempre procedere in senso discendente producendo la doppia appoggiatura 6–5 e 4–3 (cfr. §11.10).

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§6.7 Il VI grado -

Si armonizza con la triade fondamentale, raddoppiando il suono fondamentale, ogni qual volta sia seguito da un grado non immediatamente vicino (VI–II, VI–III, VI–IV, più raramente VI–I);

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si armonizza con la triade fondamentale, ma raddoppiando la terza (335), quando è preceduto dal V (collegamento V–VI – cfr. §3.4), soluzione che enfatizza la funzione tonicale svolta in questi casi dal VI grado (la terza, raddoppiata, non è altro che la tonica);

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quando il VI grado muove per grado congiunto (VI–V o VI–VII) si armonizza con il primo rivolto della triade del IV grado, in modo da riprodurre in stato di rivolto la successione IV– V (il VI grado svolge quindi una funzione sottodominantica). Nel caso del collegamento VI– V si raddoppia solitamente il suono fondamentale (366), mentre nel collegamento VI–VII si raddoppia la quinta (336) o il suono fondamentale (366) a seconda dei casi, sulla base delle regole del collegamento V–VI–VII–I (cfr. §6.9);

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quando il VI grado è preceduto dal IV e seguito dal I, si armonizza con il primo rivolto della triade del IV grado, anche se di fatto è come se non venisse armonizzato visto che tutti i suoni del precedente accordo rimangono legati: si crea così una particolare forma variata della cadenza plagale IV–I.

§6.8 Il VII grado -

Si armonizza sempre con il primo rivolto della triade del V grado, raddoppiando il suono fondamentale (366) o la quinta (336), e comunque mai il basso (che corrisponde alla sensibile);

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quando è preceduto dal V, e seguito dal I, e quindi nel collegamento V–VII–I, è opportuno raddoppiare la quinta (336), sia per evitare le ottave nascoste con il basso, sia per consentire a tutte le sensibili presenti (prima e dopo) di risolvere correttamente sulla tonica (cfr. §4.6);

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quando è preceduto dal VI, e seguito dal I, si raddoppia la quinta (336) o la fondamentale (366) a seconda dei casi (cfr. §6.9 – collegamento V–VI–VII–I).

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§6.9 Collegamento V–VI–VII–I Per armonizzare la sequenza armonica che, partendo dalla dominante, conduce in senso ascendente alla tonica passando attraverso i gradi intermedi, è necessario procedere per fasi successive. Prima di tutto va detto che entrambi i gradi intermedi (VI e VII) saranno armonizzati come primo rivolto, rispettivamente delle triadi del IV e del V grado: i suoni da raddoppiare ed il moto delle parti dipendono però da una serie di regole ben precise che vanno osservate attentamente. 1) Il primo passo consiste nel far risolvere direttamente la triade del V grado su quella di tonica, senza tener conto degli accordi interposti: in questo modo si determina la posizione dell’accordo di tonica, da cui dipende l’armonizzazione di questa sequenza armonica.

2) Se l’accordo di tonica è scritto in prima posizione, come avviene nell’esempio precedente, sul VI grado si deve raddoppiare la quinta (336), facendo obbligatoriamente salire tutte le tre voci superiori nel collegamento fra V e VI, aggirando per una volta i principi del legame armonico che raccomandano l’uso del moto contrario rispetto al basso quando non vi sia alcun suono in comune fra i due accordi (cfr. §3.1). Inoltre il successivo accordo sul VII si deve armonizzare anch’esso con il raddoppio della quinta (336), facendo in modo che i due suoni all’unisono dell’accordo sul VI grado procedano in direzioni opposte.

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3) Se l’accordo di tonica è scritto in seconda posizione, ci si comporta nello stesso identico modo, con l’unica differenza che sarà possibile, ed anzi di gran lunga consigliabile, raddoppiare la fondamentale sul VII grado (366), sempre facendo in modo che i due suoni posti all’unisono nell’accordo sul VI grado muovano in direzioni opposte.

4) Se l’accordo di tonica è scritto in terza posizione, infine, sul VI grado si deve raddoppiare non più la quinta, ma la fondamentale (366), e non tutte le voci superiori saliranno, ma soltanto due di esse (la prima voce scenderà di grado). Sul VII grado, poi, si raddoppierà la quinta (336), verificando ancora una volta che i due suoni all’unisono nell’accordo sul VI grado muovano in senso divergente:

Il motivo per cui in quest’ultimo caso ci si comporta in maniera differente è molto semplice: se tutte le voci salissero si verrebbe a creare un errore di ottave nascoste tra la prima e la terza voce, moto delle parti che invece era consentito nei due casi precedenti (dove in realtà corrispondeva ad un unisono nascosto) in quanto era la parte superiore a muoversi per semitono ascendente, e non quella inferiore (cfr. §2.6):

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Nel modo minore, per evitare l’intervallo melodico vietato di 2a aumentata che si formerebbe altrimenti fra il VI e il VII grado, il collegamento V–VI–VII–I richiede necessariamente l’uso della scala minore melodica.

Per concludere, anche nel caso in cui si abbia un collegamento armonico che parte dal I grado invece che dal V (I–VI–VII–I), si possono applicare le medesime considerazioni viste in precedenza per mantenere la posizione di partenza.

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ESERCIZI 6.1 – Armonizzare il basso seguente adoperando su ciascun grado della scala l’accordo in stato fondamentale o il rivolto più opportuno in base al contesto: [§6.1–8]

6.2 – Armonizzare il basso seguente applicando dove necessario le regole relative al collegamento V–VI–VII–I: [§6.9]

6.3 – Armonizzare il collegamento V–VI–VII–I in tutte e tre le posizioni nelle seguenti tonalità: [§6.9] Fa Maggiore La minore Re Maggiore Mi minore

PARTE SECONDA ACCORDI DI SETTIMA E MODULAZIONI

LEZIONE VII ACCORDI DI SETTIMA

§7.1 Le 7 specie di settima Se sovrapponiamo ad una triade un’ulteriore 3a otteniamo un accordo di quattro suoni (quadriade), il cui quarto suono prende il nome di settima per via dell’intervallo che forma nei confronti del suono fondamentale. Combinando in vario modo i tre intervalli di 3a che formano una quadriade possiamo ottenere 7 diverse specie di accordi di settima: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7)

Settima di prima specie: Settima di seconda specie: Settima di terza specie: Settima di quarta specie: Settima di quinta specie: Settima di sesta specie: Settima di settima specie:

3a M + 3a m + 3a m = 3a M + 5a G + 7a m 3a m + 3a M + 3a m = 3a m + 5a G + 7a m 3a m + 3a m + 3a M = 3a m + 5a d + 7a m 3a M + 3a m + 3a M = 3a M + 5a G + 7a M 3a m + 3a m + 3a m = 3a m + 5a d + 7a d 3a m + 3a M + 3a M = 3a m + 5a G + 7a M 3a M + 3a M + 3a m = 3a M + 5a A + 7a M

Sui diversi gradi della scala maggiore si possono costruire i seguenti accordi di settima:

Sui corrispondenti gradi della scala minore armonica, invece, abbiamo:

Qualunque sia la specie dell’accordo di settima, in ogni caso, il suono che funge da settima dovrà sempre e comunque risolvere scendendo di grado nell’accordo successivo.

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§7.2 La settima di dominante Come possiamo vedere dai precedenti esempi, l’accordo di settima di prima specie si trova unicamente sul V grado della scala maggiore e di quella minore armonica, per cui questo accordo prende anche il nome di settima di dominante. La risoluzione standard di questo accordo sulla triade di tonica in stato fondamentale rafforza ulteriormente la funzione dominantica del V grado, grazie alla contemporanea presenza della sensibile e della controsensibile (che coincide proprio con la settima). Questi due suoni hanno una risoluzione obbligata (la sensibile deve sempre salire, la settima/controsensibile deve sempre scendere), mentre la quinta è libera di salire o scendere di grado. La fondamentale quando si trova al basso risolve sulla tonica, mentre quando si trova in una delle voci superiori rimane legata (moto obliquo). Può essere utile indicare questo accordo utilizzando il simbolo funzionale D al posto del numero romano V, aggiungendo poi il numero 7, convenzionalmente utilizzato per indicare gli accordi di settima. La risoluzione dell’accordo di settima di dominante in stato fondamentale genera una triade di tonica priva della quinta (388, oppure, facendo salire la quinta, 338), a meno che non si voglia applicare l’eccezione di Bach (cfr. §3.3), laddove ciò sia possibile. Per ottenere una triade di tonica completa, tuttavia, vi è un’ottima soluzione: rendere incompleta la settima di dominante sacrificando la quinta e raddoppiando la fondamentale (si può indicare con 378).

La settima di dominante può essere usata anche per armonizzare il collegamento V–VI (cfr. §3.4), ma solo impiegando la forma completa dell’accordo: usando la forma incompleta 378, infatti, non sapremmo come far risolvere il raddoppio del suono fondamentale. La settima di dominante, infine, non si può mai utilizzare, né in forma completa, né in forma incompleta, per armonizzare la successione V–III, perché il movimento di risoluzione della settima è già sottinteso nel basso.

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§7.3 I rivolti della settima di dominante Poiché i suoni che compongono un accordo di settima sono quattro, possiamo avere, oltre allo stato fondamentale, tre rivolti che presentano rispettivamente al basso: la terza, la quinta e la stessa settima. In genere nei rivolti della settima di dominante si usa sempre l’accordo in forma completa. Il primo rivolto (con la terza al basso) si trova sul VII grado, e rappresenta la soluzione ideale per armonizzare il collegamento VII–I, in alternativa al primo rivolto della triade di dominante. Si indica con il codice numerico 56 (accordo di quinta e sesta).

Il secondo rivolto (con la quinta al basso) si trova sul II grado: poiché nell’accordo in stato fondamentale la quinta poteva risolvere sia salendo che scendendo di grado (cfr. §7.2), questo rivolto si rivela molto utile per armonizzare le successioni II–I e II–III in alternativa alle meno efficaci soluzioni esaminate in precedenza (cfr. §4.4). Si indica con il codice numerico 34 (accordo di terza e quarta).

Il terzo rivolto (con la settima al basso), infine, si trova sul IV grado, ed è ottimo per armonizzare la successione IV–III, con il III inteso sempre come primo rivolto della triade di tonica. Si indica con il codice numerico 24 (accordo di seconda e quarta). Nella successione V–IV–III sarà necessario armonizzare il V grado con la triade, e tenere poi legati tutti i suoni delle voci superiori che automaticamente formeranno sul IV grado il terzo rivolto della settima di dominante che risolverà poi sul III.

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§7.4 Collegamento I–II–III e III–II–I Il secondo rivolto della settima di dominante si rivela particolarmente utile per armonizzare il II grado quando questo è inserito nelle successioni I–II–III e III–II–I, producendo un effetto sonoro decisamente migliore rispetto all’uso del primo rivolto della triade di sensibile (cfr. §4.4) o del secondo rivolto della triade di dominante (cfr. §4.5 – quarta e sesta di passaggio). L’unico piccolo inconveniente, ma solo nella successione I–II–III, è che sarà necessario raddoppiare la terza (al basso) nel primo rivolto della triade di tonica, per via della risoluzione obbligata della settima, ma si tratta di un difetto assolutamente accettabile alla luce degli innegabili vantaggi. Il V grado legato nelle voci superiori agevola ulteriormente la concatenazione fra questi accordi.

§7.5 Settime naturali e settime artificiali Tutti gli accordi di settima, senza distinzione di specie, vanno considerati accordi dissonanti, in quanto l’intervallo di 7a che si forma tra il suono fondamentale e la settima è, a priori, un intervallo dissonante. Non tutte le settime possiedono però il medesimo grado di dissonanza: occorre infatti distinguere fra accordi di settima naturali e artificiali. I primi sono considerati tali perché sono ricavati direttamente dalla serie dei suoni armonici, ed hanno quindi una giustificazione di tipo acustico. La settima di prima specie è l’unica che può fregiarsi a pieno titolo della qualifica di accordo di settima naturale, perché gli intervalli che la costituiscono si possono ricavare dai primi 7 suoni armonici del suono fondamentale: ai primi 6 suoni che danno origine alla triade perfetta maggiore, infatti, si aggiunge il settimo che si trova a distanza di 7a minore dal suono generatore (cfr. §1.4). Ciò conferisce a questo accordo una peculiarità negata agli altri accordi di settima, ovvero quella di poter essere impiegato liberamente senza alcun accorgimento particolare, come se si trattasse di una triade qualsiasi. Le settime artificiali, che studieremo nella prossima Lezione, presentano invece un maggior grado di dissonanza, e possono quindi essere impiegate soltanto ricorrendo alla preparazione della dissonanza: il suono che funge da settima, cioè, deve essere contenuto anche nell’accordo precedente, affidato alla medesima voce e alla medesima altezza. Questo accorgimento permetterà di legare i due suoni, con il risultato di attenuare in parte l’effetto della dissonanza. Per fornire un’adeguata preparazione della dissonanza, tuttavia, è preferibile che il suono che fornisce la preparazione abbia una durata temporale almeno pari a quella della successiva settima, e comunque mai inferiore ad un tempo di battuta.

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§7.6 Accordi autonomi e accordi derivati Secondo un’interpretazione rigorosa, soltanto i gradi su cui è possibile costruire una triade perfetta maggiore o minore possono essere considerati gradi fondamentali. In questo senso il VII grado di entrambi i modi non apparterrebbe alla categoria, e la triade diminuita di sensibile (cfr. §4.4) non andrebbe considerata un accordo vero e proprio (accordo autonomo), quanto piuttosto un accordo derivato: esso può essere infatti ricavato dalla settima di dominante sopprimendo il suono fondamentale (accordo di settima di dominante ridotto). Avevamo detto, in §2.3, che la fondamentale e la terza di una triade non possono mai essere soppresse, per non snaturare l’essenza stessa dell’accordo: tuttavia, come vedremo anche più avanti (cfr. §14.1), negli accordi più complessi la soppressione del suono fondamentale si rivela spesso un sistema molto utile per agevolare la concatenazione armonica e per creare accordi derivati di largo uso nella prassi musicale. La risoluzione dei suoni che compongono la triade diminuita di sensibile è identica ai corrispondenti suoni che formano la settima di dominante, in modo particolare per ciò che riguarda la sensibile e la controsensibile. La terza, invece, corrisponde alla quinta dell’accordo di settima generatore: in quel caso poteva risolvere sia salendo che scendendo di grado, mentre qui, essendo necessariamente raddoppiata, compie entrambi i movimenti simultaneamente.

Nell’ultima battuta dell’esempio precedente la triade di sensibile in primo rivolto (unica forma in cui si usa solitamente questo accordo), che nelle voci superiori risolve nello stesso identico modo della settima di dominante completa, viene considerata a tutti gli effetti un accordo derivato il cui suono fondamentale, pur soppresso, è comunque la dominante: ecco il motivo per cui fra parentesi, sotto al simbolo relativo al grado melodico (II), non figura il VII grado (che è soltanto una fondamentale apparente), ma la D. Il simbolo è barrato per segnalare la soppressione del grado fondamentale o, in questo caso, della funzione corrispondente. Un modo molto semplice per distinguere un accordo autonomo da uno derivato consiste nell’osservare il comportamento del suono fondamentale: negli accordi autonomi esso risolve con un salto di 4a ascendente (o di 5a discendente), come nel caso della settima di dominante (V–I); negli accordi derivati, invece, la fondamentale (apparente), essendo la terza dell’accordo generatore, risolve sempre salendo di grado, come nel caso della triade diminuita di sensibile (VII– I).

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ESERCIZI 7.1 – Analizzare gli intervalli che compongono i seguenti accordi di settima e determinarne la specie: [§7.1]

7.2 – Analizzare i seguenti accordi di settima di dominante, determinarne la tonalità e farli risolvere correttamente: [§7.2]

7.3 – Armonizzare il basso seguente adoperando l’accordo di settima di dominante ovunque sia possibile: [§7.2–4]

7.4 – Armonizzare il basso seguente che richiede 4 diverse armonie per ciascuna battuta: [§7.2–4]

LEZIONE VIII SETTIME ARTIFICIALI

§8.1 La settima di sopratonica maggiore Si tratta del più significativo e comune fra gli accordi di settima artificiale: si costruisce sul II grado della scala maggiore aggiungendo una 7a minore alla triade minore, ed ottenendo così una settima di seconda specie. Si tratta di un accordo autonomo (cfr. §7.6), quindi si può impiegare soltanto quando la fondamentale (il II grado) risolve di salto sulla dominante (II–V). La settima, che essendo una dissonanza artificiale dovrà essere preparata (cfr. §7.5), risolverà come tutte le settime scendendo di grado (ovvero sulla sensibile). A sua volta la quinta, che salendo di grado andrebbe a raddoppiare la suddetta sensibile, è anch’essa costretta a scendere di grado. La terza, invece, a differenza di quanto avveniva nell’accordo di settima di dominante, non presenta vincoli particolari, ed è quindi libera di salire di grado o scendere di 3a, mentre la fondamentale, quando si trova in una delle voci superiori, può rimanere legata. Questo accordo si può usare sia in forma completa che in forma incompleta: in tal caso, una volta soppressa la quinta, si può raddoppiare o la fondamentale (378) o, ancora meglio, la terza (337), visto che questo suono coincide con la sottodominante, grado gerarchicamente superiore rispetto alla sopratonica (cfr. §4.2).

La risoluzione migliore di questo accordo, comunque, è sulla settima di dominante: in questo caso la terza può rimanere legata e trasformarsi direttamente nella settima del secondo accordo. Usando la settima di sopratonica in forma completa sarà inevitabile avere la settima di dominante incompleta (per il moto delle parti, è impossibile collegare fra loro due accordi di settima entrambi in forma completa), mentre usando il primo accordo in forma incompleta, in base al tipo di raddoppio scelto sarà più facile collegarsi alla settima di dominante completa o incompleta. Anzi, spesso conviene scegliere il tipo di raddoppio del primo accordo proprio in funzione della disposizione che vogliamo ottenere per il secondo.

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§8.2 I rivolti della settima di sopratonica Il primo rivolto (56) rappresenta la soluzione migliore, superiore anche a quelle esaminate in precedenza, per armonizzare il collegamento IV–V. Il V si può armonizzare anche con l’accordo di settima, ma solo in forma incompleta, facendo salire di 3a la fondamentale del primo accordo sulla settima del secondo. Inoltre, si può anche risolvere questo rivolto direttamente sul terzo rivolto della settima di dominante, tenendo legato il suono al basso, naturalmente solo quando il IV occupa due tempi ed è seguito poi dal III.

Il secondo rivolto (34) rappresenta un’ottima soluzione per armonizzare il collegamento VI–V, purché ovviamente l’accordo precedente consenta di preparare la settima, cosa che non sempre avviene. Il V grado potrà essere armonizzato anche con la settima di dominante, ma solo in forma completa, essendo troppo artificioso ottenere un concatenamento con la settima di dominante incompleta.

Il terzo rivolto (24), infine, si può impiegare per armonizzare il I grado seguito dal VII, quest’ultimo inteso come primo rivolto della triade o della settima di dominante. Per usare questo rivolto, tuttavia, è indispensabile che si realizzi una particolare figurazione del basso (basso legato che torna al tono) che verrà esaminata più avanti (cfr. §8.4).

§8.3 Collegamento I–II–V Nel collegare la triade di tonica con la settima di sopratonica maggiore in stato fondamentale, e quindi nel contesto della successione I–II–V, si corre il rischio di creare un errore di quinte reali. Per risolvere questo inconveniente è opportuno impiegare questo secondo accordo in forma incompleta, raddoppiando la fondamentale (378) o la terza (337) in base al tipo di accordo che vogliamo poi adoperare sul V grado (rispettivamente settima completa o incompleta).

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Un’altra soluzione possibile, ma solo quando il I grado occupa almeno due tempi di battuta, è quella di usare, subito dopo la triade di tonica, il primo rivolto della triade di sopradominante, ovvero l’accordo di terza e sesta sul I grado (cfr. §6.2): questa armonia interposta, infatti, “anticipa” la quinta della settima di sopratonica, eliminando quindi l’errore.

§8.4 Basso legato che torna al tono Per poter impiegare il terzo rivolto (24) della settima di sopratonica è indispensabile che il I grado occupi almeno due tempi di battuta (non vanno inseriti nel computo eventuali salti d’ottava), in modo tale che sul primo (accordo consonante) si possa avere la preparazione della dissonanza artificiale collocata sul secondo (la settima al basso). Il I grado dovrà poi essere seguito dal VII, per consentire la risoluzione della settima, mentre a sua volta il VII, armonizzato preferibilmente con il primo rivolto della settima di dominante, in quanto sensibile dovrà necessariamente tornare al I. Affinché tutte queste condizioni vengano soddisfatte è quindi necessario che il basso realizzi una particolare figurazione (I–I–VII–I) che prende il nome di basso legato che torna al tono.

Occorre tuttavia osservare che, nel caso in cui la triade di tonica, da cui parte la sequenza precedente, si trovi in terza posizione, diventa concreto il rischio di generare un errore di quinte reali, in modo simile a quanto già esaminato nel collegamento I–II–V (cfr. §8.3), di cui del resto questo collegamento non rappresenta che una variante con l’uso dei rivolti.

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Per evitare il problema si potrebbero far scendere le tre voci superiori, ma questa soluzione comporta la necessità di perdere una posizione. Il compromesso tuttavia esiste, e consiste nell’adoperare anche nel terzo rivolto l’accordo in forma incompleta, sopprimendo la quinta e raddoppiando la terza (244).

§8.5 La settima di sopratonica minore Si costruisce sul II grado della scala minore aggiungendo una 7a minore alla triade diminuita, ottenendo così una settima di terza specie: al di là della differente composizione intervallare, questo accordo presenta numerosi punti in comune con il corrispondente accordo del modo maggiore, fra cui la necessità di avere la dissonanza preparata (accordo di settima artificiale) e la possibilità di impiegarlo soltanto quando il suono fondamentale risolve di salto sulla dominante (II–V). La peculiarità più significativa di questo accordo, comunque, è data dall’intervallo di 5a diminuita esistente fra la quinta e il suono fondamentale. Trattandosi di un intervallo dissonante e molto caratteristico, è preferibile non dovervi rinunciare: a questo proposito, quindi, va scoraggiato l’uso di questo accordo in forma incompleta (378 o 337). Per il resto non si ravvisano sostanziali differenze nell’uso e nella risoluzione di questo accordo rispetto al corrispondente accordo maggiore.

Anche nell’uso dei rivolti vale quanto già visto a proposito della settima di sopratonica maggiore (cfr. §8.2). Per quanto riguarda il collegamento I–II–V, i problemi emersi nel modo maggiore (cfr. §8.3), ovvero la possibile formazione di un errore di quinte reali, non dovranno più preoccuparci, in quanto la quinta dell’accordo, essendo diminuita, annulla l’errore di moto retto (cfr. §2.6).

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Lo stesso ragionamento vale anche per il basso legato che torna al tono, quando la triade di tonica si trovi in terza posizione (cfr. §8.4): l’errore di quinte reali non sussiste perché la seconda 5a è diminuita, quindi non sarà necessario ricorrere alla forma incompleta dell’accordo, che anzi è da sconsigliare per i motivi descritti in precedenza.

§8.6 Risoluzione sulla quarta e sesta di cadenza La settima di sopratonica, in stato fondamentale, ma pure in primo o in secondo rivolto, può risolvere anche sulla cadenza composta, e quindi sulla quarta e sesta di cadenza che sarà poi seguita dalla triade o dalla settima di dominante: in tal caso la settima rimarrà legata, per poi risolvere in un secondo momento.

§8.7 Vantaggi nell’uso della settima di sopratonica Adoperare in modo regolare l’accordo di settima di sopratonica, maggiore o minore che sia, oltre a rendere più interessante il linguaggio armonico, consente spesso di evitare alcuni errori nel moto delle parti che invece possono verificarsi nel caso di un’armonizzazione basata unicamente sulle triadi.

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Nel collegamento IV–V, in particolare, armonizzare il IV grado con il primo rivolto della settima di sopratonica elimina il rischio che si formino errori di quinte e/o ottave reali nei seguenti casi: -

quando il IV è preceduto dal III, con quest’ultimo armonizzato con il raddoppio della terza (368), come avviene necessariamente nell’ambito della successione I–II–III (cfr. §7.4); quando il IV è preceduto dal I grado (e/o dal III) e ci si trovi in terza posizione (riferita alla triade di tonica); quando il IV risolve sulla cadenza composta e ci si trovi in terza posizione (sempre riferita alla triade di tonica).

Nel seguente esempio vediamo gli errori che si formerebbero nei casi precedentemente descritti.

Ed ecco come vengono risolti adoperando sul IV il primo rivolto della settima di sopratonica:

§8.8 Altri accordi di settima artificiale Aggiungendo una 7a ad una qualsiasi triade diversa dal V e dal II grado, si possono ottenere altrettante settime artificiali: pur essendo di uso poco comune, questi accordi si possono adoperare ogni qual volta il suono fondamentale compia quel movimento di 4a ascendente (o di 5a discendente) che è tipico degli accordi autonomi (cfr. §7.6). Secondo Jean-Philippe Rameau tutti gli accordi di settima possiedono un carattere dominantico per via del movimento di risoluzione che riproduce il modello della concatenazione V–I. La settima di sopratonica, esaminata in §8.1, rappresenta il caso più evidente da questo punto di vista: il II grado diventa una sorta di pseudo-dominante del V, sul quale dovrà necessariamente risolvere. Fra gli accordi di settima artificiale possibili nel modo maggiore possiamo annoverare la settima di tonica (settima di quarta specie), la settima di mediante e la settima di sopradominante (entrambe settime di seconda specie): esse si possono adoperare rispettivamente nei collegamenti I–IV, III–VI e VI–II, purché sia possibile preparare la settima.

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In tonalità minore le settime artificiali sono usate molto raramente, e comunque nel caso è preferibile costruirle a partire dalla scala minore naturale. Oltre alla settima di sopratonica minore, già esaminata, si possono incontrare soltanto la settima del I grado che risolve sul IV (settima di seconda specie), e quella del III che risolve sul VI (settima di quarta specie).

§8.9 L’accordo di sesta aggiunta Abbiamo visto in §2.1 che, nell’armonia classica, gli accordi si costruiscono per sovrapposizioni successive di intervalli di 3a, motivo per cui un accordo di terza e sesta va sempre considerato come il primo rivolto della triade la cui fondamentale coincide con la sesta. Tuttavia abbiamo già avuto modo di notare come, talvolta, un simile accordo manifesti la tendenza a conferire un maggior peso tonale proprio al suono collocato al basso (la terza), e ciò accade in particolare quando questo suono coincide con uno dei gradi forti della tonalità, in particolare il I o il IV (è decisamente insolito trovare un accordo di terza e sesta sul V grado). Nei secoli XVII–XVIII era invece consueto considerare un accordo di terza e sesta come un’entità autonoma, in cui il suono al basso era il vero suono fondamentale dell’accordo. Risale a quel periodo anche un particolare accordo che combina insieme le caratteristiche della triade e dell’accordo di terza e sesta: si tratta del cosiddetto accordo di sesta aggiunta, costituito dagli intervalli di terza, di quinta e di sesta sul suono fondamentale. Poiché i due suoni che formano la quinta e la sesta producono fra di loro una dissonanza di seconda maggiore, la risoluzione di questo accordo prevede che tale dissonanza sfoci in una consonanza di terza, tenendo legato uno di due suoni e facendo muovere per grado congiunto l’altro. L’uso tipico di questo accordo avviene sul IV grado (maggiore o minore) che risolve sulla triade di dominante (la quinta scende di grado), oppure sulla cadenza composta (la sesta sale di grado). Rara, ma non impossibile, la risoluzione direttamente sulla triade di tonica.

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L’aspetto più curioso è che, nei primi due casi, questo accordo si rivela del tutto identico al primo rivolto della settima di sopratonica (cfr. §8.2), con l’unica differenza che, non essendo considerato un accordo dissonante (i singoli suoni che lo compongono, infatti, sono consonanti rispetto al suono fondamentale, che corrisponde al IV grado, e non al II), non è necessario effettuare alcuna preparazione. L’accordo di sesta aggiunta combina fra loro le due triadi che svolgono una funzione sottodominantica (la triade del IV grado e quella del II grado), funzione che risulta in questo modo oltremodo rafforzata. Anzi, secondo Jean-Philippe Rameau, padre della moderna scienza dell’armonia, aggiungere una sesta ad una triade conferisce automaticamente un carattere sottodominantico a quella specifica armonia.

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ESERCIZI 8.1 – Analizzare i seguenti accordi di settima di sopratonica maggiore, determinarne la tonalità e farli risolvere correttamente sulla triade o sulla settima di dominante: [§8.1]

8.2 – Armonizzare il basso seguente adoperando l’accordo di settima di sopratonica ovunque sia possibile: [§8.1–4]

8.3 – Armonizzare il basso seguente: [§8.1–4]

8.4 – Analizzare i seguenti accordi di settima artificiale sulla base delle tonalità indicate, e farli risolvere correttamente: [§8.8]

LEZIONE IX DOMINANTI SECONDARIE

§9.1 La dominante della dominante A ben guardare l’unica differenza esistente, dal punto di vista della composizione intervallare, fra i due più comuni accordi di settima, la settima di dominante (prima specie) e quella di sopratonica maggiore (seconda specie), è data dalla posizione della terza, a distanza di 3 a maggiore dal suono fondamentale nel primo caso, e di 3a minore nel secondo caso. Se alteriamo in senso ascendente la terza della settima di sopratonica maggiore, quindi, otteniamo un accordo di settima di prima specie sul II grado, il quale, risolvendo sul V, si comporta a tutti gli effetti come se fosse la dominante di quest’ultimo, rendendo ancora più esplicita la relazione basata sul modello dominante-tonica che si può instaurare fra il II ed il V grado (cfr. §8.8). In questo caso il V subisce una momentanea tonicizzazione, ovvero si comporta, ma solo per un attimo, come una sorta di tonica secondaria (venendo quindi preceduto dalla “sua” dominante), per riprendere subito dopo la funzione originaria di dominante risolvendo sulla tonica vera e propria. Per distinguerla dalla dominante principale della tonalità, chiameremo questa armonia dominante della dominante, e la indicheremo con il simbolo funzionale DD. Trattandosi di una settima di prima specie, e quindi di una dissonanza naturale, la preparazione non sarà necessaria: ne consegue che, ai fini pratici, si potrà far uso di questa armonia quando, volendo comunque armonizzare il collegamento II–V con un accordo di settima, non sarà stato possibile preparare la settima. La risoluzione della settima di dominante della dominante avverrà naturalmente sul V grado: la settima e la quinta devono sempre scendere di grado (se la quinta risolvesse in senso ascendente andrebbe a raddoppiare la sensibile), mentre la terza si comporta in tutto e per tutto come una sensibile, risolvendo quindi in senso ascendente sulla “sua” tonica.

§9.2 Falsa relazione cromatica Nel collegare fra loro accordi che presentano suoni alterati, occorre far attenzione che il suono naturale e quello alterato figurino nella medesima voce realizzando un movimento cromatico ascendente o discendente: in caso contrario viene a formarsi un errore di falsa relazione cromatica. Per questo motivo, nel collegare l’accordo di settima di DD con la settima di dominante, è necessario che la terza del primo accordo (suono alterato), pur essendo di fatto una sensibile, invece di risolvere sulla “sua” tonica scenda eccezionalmente di semitono cromatico trasformandosi nella settima (controsensibile) della dominante.

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§9.3 I rivolti della settima di dominante della dominante Il primo rivolto (56) si viene a formare su un suono che non fa parte della scala della tonalità di riferimento: esso corrisponde di fatto alla sensibile della dominante, e viene solitamente definito IV grado alterato (+IV). Il primo rivolto della DD risolve sempre sul V grado (triade fondamentale), oppure sul terzo rivolto della settima di dominante (quando il basso compie il movimento cromatico discendente +IV–IV–III).

Il secondo rivolto (34) si può utilizzare per armonizzare il collegamento VI–V, ed anzi si rivela estremamente utile per tutti quei casi (tutt’altro che rari) in cui non sia possibile effettuare la preparazione della settima di sopratonica (cfr. §9.7).

Il terzo rivolto (24), infine, si forma sul I grado che scende sul VII nell’ambito di un basso legato che torna al tono (cfr. §8.4). In teoria si potrebbe utilizzare anche su un I grado che occupa un solo tempo di battuta visto che, a differenza della settima di sopratonica, non è necessaria la preparazione della settima al basso: tuttavia, per non indebolire il senso della tonalità, conviene sempre far precedere questo accordo dalla triade di tonica, come accade nelle battute iniziali della Sonata op.53 “Waldstein” di Ludwig van Beethoven.

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§9.4 La dominante della dominante nel modo minore La genesi della settima di dominante della dominante nel modo minore impone una riflessione: se costruiamo infatti una settima di prima specie sul II grado, in modo simile a quanto fatto nel modo maggiore, otteniamo un accordo che presenta ben due suoni estranei rispetto alla scala minore armonica, nostro tradizionale punto di riferimento. Oltre al IV grado alterato, sensibile della dominante, figura infatti anche il VI grado alterato, corrispondente alla quinta dell’accordo (fa# nel seguente esempio): va osservato come questo suono, nonostante coincida con il VI grado della scala melodica ascendente, non possa nemmeno essere interpretato come tale a causa del movimento discendente che la risoluzione dell’accordo impone alla quinta (cfr. §9.1).

§9.5 Le altre dominanti secondarie La dominante della dominante, svolgendo una funzione dominantica riferita ad un grado della scala diverso dal I, viene considerata una dominante secondaria. Ma non si tratta dell’unica dominante secondaria possibile: ciascun grado della scala su cui sia possibile costruire una triade perfetta maggiore o minore può essere momentaneamente tonicizzato, e quindi essere preceduto dalla propria dominante secondaria. Di conseguenza le settime artificiali esaminate in §8.8, che risolvono con un movimento del basso sul modello V–I, possono essere sostituite da altrettante settime di prima specie, che naturalmente non richiedono la preparazione. Le dominanti secondarie si indicano con il simbolo funzionale D posto fra parentesi, da cui si evince che non si tratta della dominante vera e propria, ma della dominante secondaria riferita al grado immediatamente seguente. In alternativa si può utilizzare il simbolo compatto D/x, con x che indica il grado tonicizzato (ad esempio: D/IV = dominante secondaria del IV grado). Poiché l’uso dei rivolti è piuttosto raro, conviene usare genericamente il simbolo della funzione armonica anche per indicare questi ultimi, senza specificare il grado su cui sono effettivamente collocati.

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Nel modo maggiore, oltre al V grado, possono essere tonicizzati il IV, ma anche il II, il III e il VI grado (non il VII, sul quale non si costruisce una triade perfetta, ma diminuita, non idonea quindi ad essere considerata come una tonica secondaria).

Nel modo minore (scala minore naturale) possono essere tonicizzati (oltre al V) il III, il IV e il VI grado (e talvolta il VII grado naturale, sul quale si costruisce una triade maggiore).

Negli esempi precedenti si alternano accordi di settima in forma completa e incompleta al solo scopo di mostrare la varietà delle soluzioni possibili. Va osservato, infine, che talvolta la tonicizzazione si può estendere anche alla precedente armonia sottodominantica, creando una vera e propria formula di cadenza (§5.5) riferita alla tonica secondaria:

§9.6 Origine delle dominanti secondarie I suoni alterati presenti nelle dominanti secondarie non vanno necessariamente interpretati come suoni “estranei” rispetto alla tonalità di riferimento: secondo Arnold Schoenberg essi potrebbero essere giustificati in senso modale, facendoli derivare da uno dei modi ecclesiastici (cfr. §1.5).

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La dominante della dominante, ad esempio, deriverebbe dal modo lidio, che prevede, rispetto al modo maggiore, l’innalzamento cromatico del IV grado: sul II grado di questo modo, quindi, si vengono a formare in maniera naturale una triade maggiore e una settima di prima specie.

In modo speculare, la settima di dominante secondaria riferita al IV grado potrebbe derivare dal modo misolidio, che presenta l’abbassamento cromatico del VII grado rispetto al modo maggiore, per cui sul I grado si genera spontaneamente una settima di prima specie.

§9.7 Scala armonizzata (regola dell’ottava) Per armonizzare una successione di suoni al basso che riproduce per intero, o in parte, una scala ascendente e/o discendente, sarà sufficiente applicare in linea di massima i principi e le regole di armonia studiati fino a questo punto. Per quanto riguarda la scala ascendente, in particolare, si dovrà prima di tutto mettere in pratica quanto detto a proposito del collegamento I–II–III (cfr. §7.4), poi armonizzare il IV che va al V con il primo rivolto della settima di sopratonica (cfr. §8.2), ed infine applicare le regole del collegamento V–VI–VII–I (cfr. §6.9), con l’unica differenza che adesso sarà preferibile impiegare sempre il primo rivolto della settima di dominante sul VII grado (con il vantaggio, peraltro, di non doversi preoccupare della scelta del suono da raddoppiare). Presentiamo nell’esempio seguente la scala armonizzata ascendente sovrapponendo le tre versioni che si ottengono in base alla posizione scelta per la triade di tonica iniziale:

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Nella scala discendente, tuttavia, il discorso si complica un po’. Prima di tutto, poiché il collegamento V–IV non si dimostra armonicamente efficace (dal punto di vista delle funzioni armoniche la sottodominante deve sempre precedere, e non seguire, la dominante), ed inoltre darebbe luogo ad una falsa relazione di tritono (cfr. §5.6), è preferibile armonizzare il IV grado, dato che è seguito dal III, con il terzo rivolto della settima di dominante, soluzione che si ottiene di fatto tenendo legati tutti i suoni delle voci superiori della triade del V grado (cfr. §7.3). Un altro problema si presenta nell’armonizzare il VII grado che, invece di risolvere sulla tonica, scende eccezionalmente sul VI: ovviamente in questi casi non possiamo adoperare la settima di dominante, ed opteremo quindi per la più generica triade del V grado in primo rivolto. Per armonizzare il VI che scende al V, infine, poiché non è presente nell’accordo precedente il suono che ci avrebbe dovuto consentire di preparare la settima di sopratonica, ricorriamo al secondo rivolto della settima di dominante della dominante, alterando in pratica in senso ascendente la terza (cfr. §9.3). In questo modo il collegamento VII–VI–V, decisamente inconsueto dal punto di vista armonico, viene interpretato come se si trattasse della successione III–II–I, riferita però alla tonalità del V grado, dando luogo pertanto ad una tonicizzazione estesa su tre accordi:

I medesimi ragionamenti possono essere applicati anche nel caso dell’armonizzazione della scala minore, con l’unica raccomandazione che però in questo caso sarà necessario adoperare la scala minore melodica per evitare il salto melodico di 2a aumentata fra il VI e il VII grado. In senso ascendente, quindi, il VI grado sarà innalzato di semitono, e il collegamento V–VI–VII–I diventerà del tutto identico a quello ottenuto nel corrispondente modo maggiore (tonalità variante). In senso discendente, invece, l’abbassamento cromatico del VII grado (che per una volta svestirà i panni della sensibile per diventare una semplice sottotonica) si rivelerà tutto sommato utile ai nostri scopi, visto che una sensibile che non sale alla tonica rappresenta pur sempre un’anomalia dal punto di vista armonico.

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ESERCIZI 9.1 – Analizzare i seguenti accordi di settima di dominante della dominante, determinare la tonalità in cui sono collocati, e farli risolvere correttamente sulla triade o sulla settima di dominante corrispondente: [§9.1–4]

9.2 – Armonizzare il basso seguente adoperando la settima di dominante della dominante ovunque sia possibile o necessario farlo: [§9.1–3]

9.3 – Analizzare i seguenti accordi di settima riferiti a dominanti secondarie, determinare sulla base delle tonalità indicate a quale grado della scala si riferiscono, e farli quindi risolvere correttamente: [§9.5]

9.4 – Armonizzare la scala ascendente e discendente di Fa maggiore in tutte e tre le posizioni. [§9.7] 9.5 – Armonizzare la scala ascendente e discendente di La minore in tutte e tre le posizioni. [§9.7]

LEZIONE X MODULAZIONE AI TONI VICINI

§10.1 Modulazione vs tonicizzazione Si verifica una modulazione quando un qualsiasi suono che non sia la tonica sostituisce quest’ultima come punto di riferimento tonale: per parlare di modulazione vera e propria, tuttavia, è necessario che la “nuova” tonica sia confermata, ovvero che seguano una o più formule di cadenza che si concludono su questo grado. Nel caso in cui invece la nuova tonica non venga confermata, e si ritorni quindi immediatamente alla situazione armonica iniziale, è più corretto parlare di tonicizzazione momentanea di un grado della scala, come abbiamo visto a proposito delle dominanti secondarie (cfr. §9.1). Nel primo caso dell’esempio seguente la settima di prima specie sul suono re (batt. 2) si comporta a tutti gli effetti da dominante della nuova tonalità sol maggiore, che viene infatti confermata dalla successiva formula di cadenza IV–V–I. Nel secondo caso, invece, la medesima armonia è seguita da una successione armonica che riconduce immediatamente alla tonica di partenza, ed è quindi più corretto parlare di momentanea tonicizzazione del V grado di do maggiore.

§10.2 Toni vicini Con il termine “toni vicini” si intendono quelle tonalità che, rispetto al tono di partenza, presentano non più di un’alterazione in chiave di differenza, e sono quindi decisamente più semplici da raggiungere in un processo modulativo. Partendo da una qualsiasi tonalità, i toni vicini sono sempre 5: essi corrispondono alla tonalità maggiore o minore parallela (stesso numero di alterazioni in chiave), alle due tonalità parallele poste nel primo circolo delle quinte ascendenti (un diesis in più in chiave o, partendo da una tonalità con i bemolle, un’alterazione in meno nell’armatura di chiave), ed infine alle due tonalità parallele poste nel primo circolo delle quinte discendenti (un bemolle in più in chiave, o un diesis in meno). Per semplificare possiamo dire che si tratta delle tonalità corrispondenti alla dominante e alla sottodominante, e delle rispettive tonalità parallele, oltre alla parallela della tonica (cfr. §25.3.3).

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Il grafico del circolo delle quinte (cfr. §1.9), comunque, si rivela estremamente utile per chiarire il concetto: ecco infatti messi in evidenza i toni vicini rispetto a do maggiore:

§10.3 Suoni differenziali Il modo più semplice per effettuare una modulazione consiste nell’introdurre un suono differenziale, ovvero un suono estraneo alla tonalità di partenza, ma presente nell’impianto armonico della nuova tonalità. Regola n. 1: l’alterazione in senso ascendente di un suono della scala trasforma quest’ultimo nella sensibile della nuova tonalità se esso si comporta come una sensibile (ovvero risolve salendo di semitono sulla “nuova” tonica), a meno che non si tratti del IV grado alterato, o comunque di una tonicizzazione momentanea determinata dalla presenza di una dominante secondaria. Partendo da do maggiore, ad esempio, e alterando in senso ascendente il I, il II, il IV o il VI grado, si può modulare rispettivamente a re minore (tono della parallela minore della sottodominante), a mi minore (tono della parallela minore della dominante), a sol maggiore (tono della dominante) o a la minore (tono della parallela minore della tonalità di partenza):

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In modo del tutto simile, partendo da la minore e alterando in senso ascendente il III, il IV o il VI grado, si può modulare rispettivamente a re minore (tono della sottodominante), a mi minore (tono della dominante) o a sol maggiore (tono della parallela maggiore della dominante). In ogni caso conviene sempre armonizzare il VII grado della nuova tonalità con il primo rivolto della settima di dominante, in quanto la presenza congiunta della sensibile e della controsensibile rafforza il senso della modulazione. Regola n. 2: l’alterazione in senso ascendente di un suono della scala trasforma quest’ultimo nel II grado della nuova tonalità se esso non si comporta come una sensibile, ma prosegue piuttosto con un salto di 4a ascendente (o di 5a discendente) che riproduce la sequenza II–V, oppure scende di grado sulla nuova tonica. Partendo da do maggiore o da la minore, e alterando in senso ascendente il suono fa (IV grado di do maggiore, e VI grado di la minore), si può quindi modulare a mi minore (tono della dominante di la minore, e tono della parallela minore della dominante di do maggiore):

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Regola n. 3: l’alterazione in senso discendente di un suono della scala può trasformare quest’ultimo nel IV grado o nel VI grado della nuova tonalità. Nel primo caso si comporterà come una controsensibile, risolvendo quindi sul III grado, mentre nel secondo caso scenderà di grado sulla dominante per poi risolvere sulla nuova tonica (sequenza VI–V–I). Partendo da do maggiore, e alterando in senso discendente il VII grado, si può modulare a fa maggiore (tono della sottodominante) o a re minore (tono della parallela minore della sottodominante). Si possono raggiungere le medesime tonalità partendo da la minore e alterando in senso discendente il II grado.

Nella modulazione a re minore dell’esempio precedente, il collegamento VI–V è stato armonizzato con il primo rivolto della triade del IV grado, in quanto non era possibile preparare la settima di sopratonica (secondo rivolto): in teoria sarebbe stato possibile ricorrere al secondo rivolto della settima di dominante della dominante (cfr. §9.3), ma per il momento preferiamo non utilizzare le dominanti secondarie, e quindi procedimenti di tonicizzazione, nel già delicato processo di modulazione.

§10.4 Triadi comuni Poiché due toni vicini si differenziano per 1, 2, o al massimo 3 suoni (se inseriamo nel computo anche le sensibili delle tonalità minori, non presenti nell’armatura di chiave), essi possiedono quindi da 4 a 6 suoni in comune: di conseguenza vi saranno diversi accordi di 3 suoni che possono essere riferiti contemporaneamente a più tonalità, pur rivestendo in ciascuna di esse una funzione differente. Queste triadi comuni, tramite una doppia interpretazione armonica, possono essere usate come elemento di commutazione, ovvero come tramite per passare da una tonalità all’altra. Si tratta di un sistema più raffinato e musicalmente efficace di effettuare una modulazione rispetto a quello più brusco ed improvviso esaminato nel paragrafo precedente. Nell’esempio seguente vediamo a quali gradi delle varie tonalità vicine corrispondono le triadi costruite sui 7 gradi della scala di do maggiore, tenendo presente che abbiamo preso in considerazione unicamente le triadi usate più di frequente, escludendo quindi quelle sul III e sul VII grado del nuovo tono: come si può vedere, con la tonalità della dominante e con la parallela minore vi sono ben 4 triadi in comune (più della metà), numero che scende ad 1 nel rapporto fra do maggiore e re minore.

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A questo punto, per effettuare una modulazione è sufficiente introdurre una delle triadi comuni e, cambiandone l’interpretazione armonica, passare quindi alla nuova tonalità. Qualora sia possibile, tuttavia, è consigliabile sfruttare più di una triade comune, per rendere ancora più sfumato ed impercettibile il passaggio da una tonalità all’altra.

§10.5 Basso legato modulante In §8.4 abbiamo visto che l’uso del terzo rivolto della settima di sopratonica può avvenire soltanto nell’ambito di una figurazione che prende il nome di basso legato che torna al tono. Una figurazione molto simile, tuttavia, può essere utilizzata per modulare alla tonalità della dominante: per ottenere ciò è sufficiente che il basso legato non torni al tono di partenza, ma prosegua il suo cammino in senso discendente. Questo disegno prende il nome di basso legato modulante, e la modulazione avviene sempre trasformando il suono legato nel IV grado della nuova tonalità armonizzato con il terzo rivolto della settima di dominante.

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Mettendo a confronto le due versioni del basso legato possiamo osservare quante analogie ci siano fra i due procedimenti. Se poi decidessimo di armonizzare il basso legato che torna al tono con il terzo rivolto della settima di DD, non vi sarebbe alcuna differenza nella parte iniziale dei due esempi, e la modulazione vera e propria verrebbe avvertita soltanto quando ormai il passaggio alla nuova tonalità è già avvenuto.

Nell’armonizzazione del basso legato modulante nell’ambito di una tonalità maggiore, occorre prestare molta attenzione al fatto che, nel caso in cui la triade di partenza si trovi in terza posizione, è indispensabile che le tre voci superiori si muovano in senso discendente, in modo da evitare il formarsi di un errore di quinte reali: in questa circostanza, infatti, risulta impossibile ricorrere al raddoppio della terza (244), soluzione adoperata per il basso legato che torna al tono (cfr. §8.4), in quanto la terza corrisponde alla sensibile della nuova tonalità.

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In modo del tutto simile, nel caso in cui la tonalità di partenza sia minore, a prescindere da quale sia la posizione, è opportuno far scendere tutte le voci per evitare il formarsi di un movimento melodico proibito (intervallo di 2a aumentata).

§10.6 Come individuare una modulazione Individuare il punto esatto in cui avviene una modulazione, ovvero il punto a partire dal quale la precedente tonica non è più il punto di riferimento intorno al quale gravitano le armonie di un brano musicale, o di un esercizio di armonia, non è sempre così semplice e scontato. Il sistema più immediato consiste nell’individuare i suoni differenziali, ma occorre sottolineare che non sempre il passaggio alla nuova tonalità coincide esattamente con il loro apparire, in quanto essi potrebbero sancire una modulazione in realtà già avvenuta nelle battute precedenti. Quando siamo certi, dunque, che una nuova tonica ha preso il posto della precedente, è necessario procedere a ritroso per verificare da che punto in poi è più conveniente, o più opportuno, interpretare le armonie già nel senso della nuova tonalità. Osserviamo ad esempio due casi concreti:

Nel primo esempio risulta evidente come, sulla base delle nostre conoscenze di armonia sviluppate nelle Lezioni precedenti, sia più opportuno considerare la successione al basso sol-la (batt. 1–2) come V–VI di do maggiore, essendo questa un’interpretazione più logica rispetto a quella, pur teoricamente possibile, di inquadrarla già nell’ambito di sol maggiore come I–II. In modo analogo, è preferibile interpretare la successiva sequenza do-re (batt. 2–3) come un IV–V (e quindi in sol maggiore), piuttosto che come I–II di do maggiore. Sommando queste considerazioni emerge che la modulazione si concretizza proprio nel passaggio fra la triade di la (che viene quindi reinterpretata come II grado di sol maggiore) e quella di do (che è inequivocabilmente la sottodominante della nuova tonalità).

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Nel secondo esempio, invece, l’apparire del suono differenziale sib a batt. 3 rende palese la modulazione a fa maggiore, mentre le prime 3 triadi rientrano in una sequenza armonica peculiare di do maggiore (I–VI–IV); a questo punto conviene considerare la triade del II grado di do maggiore, che non si comporta più come tale (ovvero: non risolve sul V grado), l’elemento di commutazione fra le due tonalità. In questo caso, comunque, sarebbe stato anche possibile anticipare la modulazione alla triade precedente, in quanto il collegamento fa-re-sib-do-fa era facilmente ascrivibile nel suo insieme alla nuova tonalità come I–VI–IV–V–I. Una volta scelto il punto esatto da cui far iniziare la modulazione, è sempre opportuno palesare la nuova interpretazione armonica della triade comune, se presente (ad esempio: VI=II, ovvero il VI grado della prima tonalità viene reinterpretato come II grado della nuova tonalità). Altri segnali che identificano il preciso momento in cui avviene una modulazione sono i seguenti: 1. una sensibile che non si comporta più come tale è un indicatore inequivocabile che quel determinato suono non sta più ricoprendo quella funzione, e che quindi un’altra tonica ha preso il posto della precedente; 2. un collegamento armonico insolito, molto diverso da quelli cui siamo ormai abituati (ad esempio: V–IV, con il IV che non prosegue scendendo sul III), potrebbe essere anch’esso un segnale da esaminare con attenzione; 3. un suono tenuto al basso per due o più tempi di battuta, oppure presentato con un salto d’ottava, che non sia né il I, né il V grado (gli unici gradi che solitamente ricevono un simile trattamento), potrebbe quindi essere il I o il V grado della nuova tonalità; 4. un suono, che non sia il IV grado, che sale di grado per poi sfociare in un salto di 5a discendente (o, più raramente, di 4a ascendente) ha un’altissima probabilità di essere il IV grado della nuova tonalità nell’ambito della successione IV–V–I; 5. in modo del tutto simile, un suono, che non sia il II grado, seguito da un salto di 4a ascendente e poi da un salto di 5a discendente (o viceversa, ma è un procedimento molto più raro) può essere interpretato, con tutta probabilità, come il II grado della nuova tonalità nell’ambito della concatenazione II–V–I.

Nell’Appendice posta al termine del presente volume, intitolata Realizzazione di una modulazione, saranno forniti consigli per realizzare una sequenza armonica coerente comprendente una modulazione fra due tonalità.

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ESERCIZI 10.1 – Indicare i suoni differenziali (riferiti alla seconda tonalità) fra le seguenti coppie di tonalità vicine: [§10.3] La minore e Mi minore: fa#, re# e sol naturale Fa Maggiore e Sol minore: Si minore e Sol Maggiore: Mib Maggiore e Sol minore: Sol Maggiore e Si minore: Re Maggiore e Mi minore: La Maggiore e Re Maggiore: Fa# minore e Re Maggiore:

10.2 – Armonizzare il basso seguente evidenziando le modulazioni ai toni vicini realizzate tramite i suoni differenziali: [§10.3]

10.3 – Armonizzare il basso seguente evidenziando le modulazioni ai toni vicini realizzate tramite i suoni differenziali: [§10.3]

10.4 – Individuare tutte le triadi comuni esistenti fra le seguenti coppie di tonalità, indicando i rispettivi gradi: [§10.4]

10.5 – Completare il seguente esercizio realizzando una modulazione a Do maggiore sfruttando le triadi comuni: [§10.4]

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10.6 – Realizzare una modulazione da Fa maggiore a Re minore sfruttando le triadi comuni alle due tonalità: [§10.4] 10.7 – Realizzare altre modulazioni a piacere fra toni vicini sfruttando le corrispondenti triadi comuni [§10.4]

10.8 – Armonizzare il basso seguente evidenziando le modulazioni realizzate con il basso legato modulante: [§10.5]

10.9 – Armonizzare il basso seguente individuando ed evidenziando le modulazioni ai toni vicini: [§10.6]

10.10 – Armonizzare il basso seguente individuando ed evidenziando le modulazioni ai toni vicini: [§10.6]

10.11 – Armonizzare il basso seguente individuando ed evidenziando le modulazioni ai toni vicini: [§10.6]

LEZIONE XI RITARDI

§11.1 Formazione di un ritardo Se in due accordi consecutivi una voce compie un movimento per grado congiunto discendente, come ad esempio il movimento di risoluzione di una settima, questo movimento può essere “ritardato”, ovvero l’arrivo sul secondo suono può essere posticipato sul tempo debole della battuta: in altre parole, uno dei suoni che costituiscono un qualsiasi accordo può essere presentato in ritardo rispetto agli altri, purché esso sia “sostituito” dal suono posto un grado sopra, e purché questo suono sia presente, nella medesima voce e quindi legato ad esso, nell’accordo precedente. Una figurazione di questo tipo nel suo complesso si definisce ritardo, e si compone di 3 momenti: 1. preparazione: il suono che provoca il ritardo deve essere contenuto nell’accordo precedente ed occupare almeno un tempo di battuta (e preferibilmente una durata non inferiore al successivo urto dissonante); 2. urto dissonante: il suono ritardante entra in conflitto armonico con i suoni dell’accordo successivo sul tempo forte della battuta; 3. risoluzione: il suono ritardato fa finalmente la sua comparsa sul tempo debole della battuta (talvolta anche sulla suddivisione), e ristabilisce la situazione armonica prevista.

La figurazione del ritardo presenta numerose analogie con l’impiego degli accordi di settima artificiale (Lezione VIII): anche in quel caso occorre avere la preparazione del suono dissonante (la settima, appunto), il quale entra poi in conflitto armonico con i suoni restanti dell’accordo, per risolvere infine scendendo di grado. La differenza sostanziale fra le due situazioni, tuttavia, consiste nel fatto che la risoluzione di una settima avviene sull’armonia successiva, mentre nel caso del ritardo la risoluzione avviene sul medesimo accordo. §11.2 Ritardi negli accordi in stato fondamentale -

Ritardo della terza (4–3): è il ritardo più comune e di miglior effetto, sia per le triadi che per le settime. Il codice numerico è dovuto al fatto che il suono “ritardante”, essendo posto un grado sopra rispetto alla terza, forma nei confronti del basso un intervallo di 4a. È indispensabile che la quinta sia sempre presente (accordo completo), in modo tale che si formi l’urto dissonante di 2a, e che la terza non sia mai raddoppiata, nemmeno a distanza di ottava.

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Ritardo dell’ottava (9–8): è il ritardo del suono fondamentale raddoppiato all’ottava in una delle voci superiori. È un ritardo di buon effetto soltanto nelle triadi, dove si può usare in alternativa al ritardo della terza. Il suono ritardato può essere raddoppiato solo dal basso:

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Ritardo della quinta (6–5): al contrario del precedente, è un ritardo possibile solo negli accordi di settima, in quanto nelle triadi produrrebbe un accordo di terza e sesta che non è affatto una dissonanza, ma il primo rivolto di un’altra triade (verrebbe cioè a mancare la fase 2 di un ritardo: l’urto dissonante). Nelle settime, invece, il ritardo della quinta provoca un urto dissonante con la settima.

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Ritardo doppio: consiste nel ritardare contemporaneamente due suoni, ad esempio la terza e l’ottava in una triade, oppure la terza e la quinta in un accordo di settima. È comunque di uso piuttosto raro.

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§11.3 Ritardi nei rivolti -

Primo rivolto di triade: l’unico ritardo possibile, ma assai efficace, è quello del suono fondamentale (7–6). La fondamentale non può mai essere raddoppiata in una delle voci superiori, ma solamente, in via del tutto eccezionale, all’ottava sotto (situazione comunque rara, se non impossibile, quando si usa la disposizione delle voci a parti strette).

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Secondo rivolto di triade: il ritardo migliore è quello della terza (7–6), ma si può ritardare anche il suono fondamentale (5–4), o entrambi i suoni (ritardo doppio). È un ritardo che si rivela molto efficace se usato sulla quarta e sesta di cadenza (cfr. §5.2).

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Primo rivolto di settima: l’unico ritardo possibile è quello della quinta (4–3).

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Secondo e terzo rivolto di settima: il ritardo migliore è quello della terza, che nel primo caso si indica con 7–6, mentre nel secondo con 5–4.

§11.4 Ritardi nella cadenza perfetta L’uso dei ritardi nella cadenza perfetta V–I si rivela estremamente efficace, anche perché rafforza ulteriormente il senso conclusivo di una formula di cadenza generando un surplus di tensione che viene infine risolto con l’approdo sulla triade di tonica. Il ritardo della terza nella triade (o nella settima) di dominante, in particolare, genera due nuovi tipi di cadenza composta: -

Cadenza composta dissonante: versione dissonante della cadenza composta consonante (cfr. §5.2), con il ritardo della terza al posto della quarta e sesta di cadenza;

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Cadenza doppia: unione della cadenza composta consonante (ma con la successione dei due accordi invertita) e di quella dissonante.

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§11.5 Ritardo che risolve su un accordo differente La risoluzione del ritardo può avvenire eccezionalmente su un accordo differente rispetto a quello su cui si verifica l’urto dissonante, purché naturalmente il suono ritardato sia compreso fra quelli che fanno parte del nuovo accordo. I casi più tipici si hanno quando il basso compie un salto di 3a ascendente o discendente: nel primo caso (9–6) il ritardo risolverà di fatto sul primo rivolto dello stesso accordo, mentre nel secondo caso (9–3) la risoluzione avverrà su un accordo completamente diverso.

§11.6 Ritardo al basso I ritardi possono interessare anche la quarta voce, ovvero il basso: in tal caso la tipica figurazione del ritardo (preparazione con suono legato, urto dissonante sul tempo forte, e risoluzione con movimento discendente sul tempo debole) dovrà essere prevista dall’esercizio. Per indicare un ritardo al basso si inserisce il numero romano che indica il grado solo sul suono ritardato, facendolo però precedere da una linea continua che parte dal suono che provoca l’urto dissonante. L’armonizzazione andrà fatta senza tenere conto del ritardo, ma disponendo comunque i suoni verticalmente sul suono “ritardante”, e facendo ben attenzione a non raddoppiare mai il suono ritardato, qualunque esso sia, in nessuna delle voci superiori. I ritardi al basso si usano generalmente negli accordi in stato di rivolto, e pertanto il suono ritardato al basso sarà solitamente la terza (primo rivolto) o, ma solo per gli accordi di settima, la quinta (secondo rivolto).

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§11.7 Ritardo della fondamentale al basso Quando il suono ritardato al basso è la fondamentale dell’accordo, occorre fare molta attenzione in quanto, poiché il suono ritardato non può mai essere raddoppiato nelle voci superiori, diventa indispensabile raddoppiare la terza o la quinta. Se poi il suono ritardato è la tonica, si presenta un problema di non poco conto: poiché per ritardare la tonica al basso è necessario il II grado, e poiché questo grado quando precede il I si armonizza sempre con un rivolto (di triade o di settima di dominante) che contiene la sensibile, ne consegue che la sensibile non potrà risolvere sulla tonica, altrimenti si produrrebbe un raddoppio del suono ritardato. In questi casi, e soltanto in questi casi, la sensibile sarà eccezionalmente “costretta” ad effettuare un salto di 4a ascendente risolvendo sulla terza della triade di tonica.

In §12.8 vedremo come rimediare, almeno in parte, a questo salto melodico “anomalo” che impedisce alla sensibile di risolvere sulla tonica. §11.8 Errori di moto retto Se nel collegamento fra due accordi si generano degli errori di quinte e ottave reali, tali errori non vengono affatto annullati con l’uso dei ritardi: pur venendo meno la concomitanza del secondo intervallo vietato, infatti, la sensazione delle quinte e/o delle ottave permane ugualmente, anche perché non si verifica un cambiamento di armonia, ma solo la presentazione posticipata di un suono facente comunque parte dell’accordo. Prima di introdurre un ritardo, quindi, è necessario verificare che non si formino tali errori nella concatenazione armonica.

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ESERCIZI 11.1 – Armonizzare il basso seguente inserendo dei ritardi su tutti i suoni che occupano due tempi di battuta: [§11.2]

11.2 – Armonizzare il basso seguente tenendo conto dei ritardi indicati e inserendone altri ovunque sia possibile, anche nei rivolti: [§11.3–5]

11.3 – Armonizzare il basso seguente con i ritardi al basso che interessano armonie in stato di rivolto: [§11.6]

11.4 – Armonizzare il basso seguente con i ritardi al basso che interessano anche armonie in stato fondamentale: [§11.7]

LEZIONE XII FIORITURE MELODICHE

§12.1 Suoni estranei all’armonia Per rendere più interessante il fluire della musica dal punto di vista melodico, è possibile introdurre di tanto in tanto dei suoni non compresi negli accordi utilizzati. Nella precedente Lezione abbiamo già esaminato i ritardi, che però vanno considerati elaborazioni di tipo armonico, ed in quanto tali possono essere adoperati unicamente tramite la preparazione. Le fioriture melodiche, invece, consistono in suoni inseriti senza preparazione, purché vengano utilizzati nelle suddivisioni o sui tempi deboli della battuta: si tratta pertanto di suoni “estranei” che non alterano la sostanza armonica della successione accordale. §12.2 Note di passaggio Posto che vengono definite note reali quelle che fanno parte di un determinato accordo, sono considerate invece note di passaggio i suoni, estranei all’accordo, inseriti fra due note reali appartenenti al medesimo accordo, oppure poste tra due accordi consecutivi, che vanno a “riempire” un salto di 3a o di 4a con un movimento per gradi congiunti. È indispensabile che le note di passaggio muovano sempre per grado congiunto e che siano collocate, su un tempo debole e/o in una suddivisione, fra due note reali. Nell’esempio seguente proponiamo tre situazioni che possono essere “fiorite” con note di passaggio, e indichiamo queste ultime con la lettera P.

§12.3 Note di volta Sono molto simili alle note di passaggio, con l’unica differenza che sono inserite fra due note reali poste alla medesima altezza. Possono essere superiori o inferiori: queste ultime spesso vengono alterate in senso ascendente per avere una distanza di semitono dalla nota reale. Anch’esse possono essere utilizzate solo sul tempo debole o in suddivisione, e solo per grado congiunto. L’esempio seguente mostra in che modo possono essere “fioriti” dei suoni tenuti, anche se collocati tra due accordi differenti, con note di volta (indicate con la lettera V).

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§12.4 Settima di passaggio La settima di passaggio può essere considerata un particolare tipo di nota di passaggio: si forma quando la settima di un accordo, invece di essere presentata simultaneamente agli altri suoni, viene collocata sul tempo debole o sulla suddivisione, nell’ambito di un movimento per gradi congiunti. Può essere utilizzata sia in alternativa agli accordi di settima che siamo soliti adoperare (di dominante e di sopratonica), sia in qualunque altra circostanza simile. Inoltre, poiché la settima di passaggio, essendo una fioritura melodica, non necessita di preparazione, essa si rivela molto utile in tutti i casi in cui, volendo utilizzare una settima artificiale, non sia possibile avere la preparazione della settima. Nell’esempio seguente presentiamo in sequenza alcune settime di passaggio (indicate con il 7 tra parentesi) che o sostituiscono la settima di dominante, oppure vengono usate al posto delle settime artificiali di sopratonica e di tonica.

§12.5 Fioritura dell’unisono Occorre fare molta attenzione nell’introdurre note di passaggio o di volta che interessano suoni raddoppiati all’unisono: in questi casi si possono usare solo note di passaggio che, partendo dall’unisono, si allontanano da esso (movimento divergente), mentre è da evitare la figurazione opposta (movimento convergente verso l’unisono), come pure l’inserimento di una nota di volta. È opportuno evitare di procedere in modo convergente verso l’unisono anche nel caso in cui l’altra voce si muova in un secondo momento, evitando di fatto la simultaneità dell’unisono.

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§12.6 Interpretazione armonica del basso fiorito Anche il basso può essere interessato dall’uso delle fioriture melodiche: in questi casi diventa di fondamentale importanza effettuare una corretta interpretazione armonica allo scopo di distinguere le note reali, che andranno effettivamente armonizzate, dalle note di passaggio e di volta.

Talvolta possono apparire al basso figurazioni melodiche più complesse, costituite da 4 o più suoni, in cui si combinano fra loro più note reali e fioriture melodiche. Spesso, in questi casi, l’intero raggruppamento di suoni va armonizzato con un unico accordo che comprende sia il primo suono della figurazione, ovviamente, sia tutti gli eventuali altri suoni preceduti o seguiti da un salto melodico, i quali devono sempre essere considerati note reali (indicate con R nell’esempio) dato che le fioriture melodiche, come abbiamo detto, possono muoversi solo per grado congiunto.

§12.7 Errori di moto retto Gli errori di moto retto (quinte e ottave reali) non vengono annullati con l’uso delle fioriture melodiche: anzi, queste ultime sono molto pericolose in questo senso, perché possono trasformare delle quinte e ottave nascoste, comunemente consentite, in errori di moto retto.

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Per evitare questi problemi, frequenti specialmente nel caso in cui il basso presenti numerose fioriture melodiche, è indispensabile effettuare uno scambio delle parti simile a quello già esaminato in §4.6. Al posto dello scambio delle parti asimmetrico si può anche utilizzare una figurazione melodica simile a quella del basso, ma trasposta una 3a sopra, mentre laddove avremmo utilizzato uno scambio delle parti simmetrico e speculare possiamo rispondere con una figurazione melodica che coinvolge le medesime note, ma con gli intervalli invertiti.

§12.8 Fioritura di un ritardo I ritardi si prestano molto bene ad essere fioriti tramite l’inserimento di una nota di volta superiore nella fase dell’urto dissonante, purché la fioritura non vada a “scontrarsi” con un suono tenuto nella voce immediatamente superiore (cfr. §12.5).

È anche possibile risolvere “in anticipo” il ritardo ricorrendo ad una figurazione melodica che si completa con la nota di volta inferiore del suono ritardato.

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Per quanto riguarda il ritardo al basso della tonica (cfr. §11.7), che abbiamo visto richiedere la risoluzione della sensibile con un salto di 4a ascendente, possiamo adesso “riempire” questo salto con delle note di passaggio, che peraltro consentono alla sensibile di risolvere comunque sulla tonica, seppure “in anticipo” rispetto al previsto.

Quando, infine, il basso è interessato da una fioritura melodica, occorre fare molta attenzione nell’inserire un ritardo nelle voci superiori: è preferibile che la risoluzione del ritardo non entri in conflitto con la linea del basso generando un’ulteriore dissonanza. Anche nel caso in cui si voglia “fiorire” il ritardo, inoltre, la figurazione melodica deve “sposarsi” bene con l’eventuale fioritura melodica del basso.

§12.9 Altre fioriture melodiche Esiste poi tutta una serie di fioriture melodiche il cui uso non è normalmente ammesso nell’armonia scolastica, ma che comunque passiamo brevemente in rassegna: 1. nota di sfuggita: è simile ad una nota di volta superiore, con l’unica differenza che il secondo suono reale, quello su cui dovrebbe “ritornare” la nota di volta, viene sostituito con un altro suono in modo tale che la nota di sfuggita prosegua con un salto di 3a discendente; 2. nota di aggancio: viene usata solitamente per fiorire un ritardo e consiste nel far seguire al suono che provoca l’urto dissonante il suono posto una 3a sotto, il quale poi risolverà con un movimento per grado congiunto ascendente verso il suono ritardato; 3. nota cambiata: è, di fatto, una nota di passaggio che prosegue di salto, ma senza cambiare direzione; 4. anticipazione: è una nota, collocata sul tempo debole o sulla suddivisione, che anticipa la nota reale, presentata nella medesima voce, dell’accordo successivo.

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§12.10 Appoggiature A differenza delle precedenti fioriture melodiche, le appoggiature sono suoni estranei all’armonia che vengono sempre collocati sul tempo forte della battuta, e risolvono, per grado congiunto, sulla nota reale posta invece sul tempo debole o sulla suddivisione. Possono essere ascendenti o discendenti: le appoggiature discendenti, molto più frequenti, sono di fatto dei ritardi senza la preparazione, mentre quelle ascendenti di solito vengono alterate in senso cromatico trasformandosi in una sorta di sensibile artificiale del suono su cui risolveranno (in modo simile a quanto avviene per le note di volta inferiori – cfr. §12.3). Normalmente le appoggiature non vengono ammesse nell’armonia scolastica. L’unica significativa eccezione è rappresentata dalla quarta e sesta di cadenza (cadenza composta consonante), la quale, a causa del movimento discendente delle voci, può essere interpretata a tutti gli effetti come una doppia appoggiatura discendente (della terza e della quinta) sulla triade di dominante. Questa lettura, che adotteremo spesso d’ora in poi, si rivela particolarmente appropriata quando la cadenza composta è preceduta dalla dominante della dominante, armonia che dal punto di vista della sintassi armonica è preferibile che risolva direttamente sulla dominante, piuttosto che sulla triade di tonica in secondo rivolto.

Nelle prossime lezioni, tuttavia, vedremo come alcuni procedimenti armonici, regolarmente ammessi nell’armonia scolastica, producano di fatto delle appoggiature, in particolare per quanto riguarda la risoluzione anticipata negli accordi di nona (cfr. §13.2) e nelle settime derivate (cfr. §14.2).

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ESERCIZI 12.1 – Armonizzare il basso seguente inserendo il maggior numero possibile di fioriture melodiche: [§12.2–5]

12.2 – Armonizzare il basso seguente interpretando correttamente le fioriture melodiche del basso: [§12.6]

12.3 – Armonizzare il seguente basso fiorito: [§12.6]

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PARTE TERZA ARMONIE COMPLESSE

LEZIONE XIII ACCORDI DI NONA

§13.1 Accordi di cinque suoni Sovrapponendo una 3a ad un accordo di settima si ottiene un accordo formato da 5 suoni (quintiade): in virtù della distanza intervallare esistente fra il suono aggiunto e il suono fondamentale queste armonie vengono definite accordi di nona. In tutti gli accordi di cinque suoni la nona risolverà sempre scendendo di grado, come la settima, ma è anche indispensabile che si trovi sempre a distanza di 9a dalla fondamentale, e mai sotto di essa: per questo motivo il quarto rivolto, pur essendo teoricamente possibile (con la nona al basso), non è ammesso nell’armonia scolastica. La nona di dominante è senza dubbio l’accordo di nona usato più di frequente: a differenza della settima di dominante, però, che è identica nei due modi (settima di prima specie), occorre distinguere fra nona di dominante maggiore e nona di dominante minore. §13.2 La nona di dominante maggiore La nona di dominante maggiore si ottiene aggiungendo una 3a maggiore alla settima di dominante, in modo tale che la nona si trovi a distanza di 9a maggiore dal suono fondamentale. Questo accordo si può usare soltanto nel modo maggiore, e prevede che sia sempre rispettata, oltre alla distanza obbligatoria di 9a tra la nona e il suono fondamentale, anche la distanza di 7a tra la nona e la terza (sensibile), per evitare il formarsi dell’intervallo dissonante di 2a maggiore. La seconda necessità, in particolare, limita di molto le possibilità di uso pratico di questo accordo, che di fatto si concretizzano soltanto quando è possibile disporre la nona e la settima nelle due voci più acute.

La nona di dominante in stato fondamentale si adopera sul V grado che risolve sul I, in alternativa alla triade o alla settima di dominante. Trattandosi di una dissonanza naturale (cfr. §7.5), la nona, come la settima, non deve essere preparata, ed entrambe risolvono scendendo di grado, mentre la sensibile sale alla tonica. La quinta, infine, è costretta a salire di grado, andando a raddoppiare la terza nella triade di tonica, per evitare il formarsi di un errore di quinte reali con la nona. In alternativa si può anche applicare la risoluzione anticipata (purché si abbiano a disposizione due tempi di battuta), che consiste nel far risolvere in anticipo la nona sul medesimo accordo, che si trasforma di fatto in una settima di dominante: l’interposizione di un intervallo di 4a annulla infatti l’errore di quinte reali, e la quinta dell’accordo può quindi risolvere scendendo di grado.

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È interessante osservare come l’impiego della risoluzione anticipata corrisponda di fatto ad un’appoggiatura superiore dell’ottava (9–8), ed anzi rappresenta uno dei pochi casi in cui una fioritura di questo tipo sia ammessa nell’armonia scolastica (cfr. §12.10). Poiché nei nostri esercizi adoperiamo soltanto 4 voci, per utilizzare un accordo di nona siamo costretti ad omettere un suono, e l’unico suono che può essere omesso è la quinta. In tal modo, tuttavia, anche alla luce delle distanze intervallari da rispettare, l’accordo di nona di dominante maggiore risulterà spezzato in due tronconi, il primo formato dalla fondamentale e dalla terza, il secondo dalla settima e dalla nona. Il vantaggio sarà però dato dal fatto che non avremo più il problema di dover gestire la risoluzione della quinta, anche se questo non impedisce che si possa comunque ricorrere alla risoluzione anticipata della nona che produrrà una settima di dominante in forma incompleta (378).

§13.3 La nona di dominante minore Questo accordo si ottiene aggiungendo una 3a minore alla settima di dominante, in modo tale che la nona si trovi a distanza di 9a minore dal suono fondamentale. La nona di dominante minore si comporta a tutti gli effetti nello stesso identico modo di quella maggiore, con l’unica differenza che non va necessariamente rispettata anche la distanza di 7a fra la nona e la terza dell’accordo, visto che quando questi due suoni si trovano vicini sono comunque situati a distanza di 2a aumentata, intervallo che, pur essendo potenzialmente dissonante, risulta meno fastidioso dal punto di vista armonico (corrisponde infatti enarmonicamente ad una 3a minore) rispetto alla 2a maggiore. In virtù della sua superiore facilità d’impiego, per consuetudine storica questo accordo, pur essendo peculiare del modo minore, dove si forma in modo naturale, si può impiegare anche nel modo maggiore alterando in senso discendente il suono che funge da nona: in questo secondo caso può essere utile esplicitare l’alterazione discendente della nona aggiungendo il segno “–” nella cifratura (cfr. §15.1). Si tratta di uno dei numerosi esempi di armonie del modo minore regolarmente impiegate nel modo maggiore corrispondente (cfr. §15.3).

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Nella risoluzione dell’accordo valgono gli stessi ragionamenti fatti a proposito della nona di dominante maggiore, con l’unica differenza che, essendo adesso possibile affidare la nona anche ad una delle voci intermedie, quando essa è posizionata sotto la quinta sarà possibile far risolvere quest’ultima in senso discendente senza imbattersi nell’errore di quinte reali (in tal caso, infatti, le due voci si troverebbero a distanza di 4a). La risoluzione anticipata resta comunque possibile, sia con l’accordo completo che con quello incompleto.

§13.4 I rivolti della nona di dominante L’uso dei rivolti negli accordi di nona è estremamente raro, anche e soprattutto a causa delle distanze intervallari da rispettare che nei rivolti generano situazioni ancora più vincolanti rispetto a quelle già viste per l’accordo in stato fondamentale. Negli esempi seguenti prenderemo in considerazione direttamente l’accordo in forma incompleta, adatto per la scrittura a 4 parti: oltre al quarto rivolto, che abbiamo già visto non essere ammesso nell’armonia scolastica, anche il secondo rivolto non sarà preso in considerazione perché ipotizziamo che la quinta, che dovrebbe essere collocata al basso, sia stata omessa. Le indicazioni valgono sia per la nona di dominante maggiore che per quella minore (quest’ultima evidenziata sia dal bemolle fra parentesi, che dal segno “–” posto accanto al numero che identifica la posizione della nona rispetto al suono collocato al basso). Il primo rivolto (con la terza al basso) si costruisce sul VII grado che risolve sul I: per mettere in evidenza il fatto che bisogna rispettare le distanze intervallari obbligatorie si ricorre al codice numerico 657 (invece di 567), con il quale si vuole appunto indicare che il suono fondamentale (che corrisponde al numero 6, perché situato a distanza di 6a dal basso) deve trovarsi al di sotto della nona (7), a distanza di 9a da essa, e quindi al di sotto pure della settima (5).

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La risoluzione delle voci è identica a quella dell’accordo in stato fondamentale, con l’unica differenza che il suono fondamentale rimane legato. Anche qui si può applicare la risoluzione anticipata della nona, la quale genera il primo rivolto della settima di dominante.

Il terzo rivolto (con la settima al basso), invece, si forma sul IV grado che scende al III (armonizzato con il primo rivolto), ed è identificato dal codice numerico 243 (anche in questo caso l’ordine non progressivo dei numeri è determinato dalle distanze intervallari da rispettare). L’eventuale risoluzione anticipata della nona produce il terzo rivolto della settima di dominante.

§13.5 La nona di dominante della dominante È un accordo del tutto identico al precedente, con l’unica differenza che rappresenta la dominante secondaria del V grado, e viene quindi costruito aggiungendo una 3a alla settima di dominante della dominante (§9.1). La nona di dominante della dominante può essere maggiore o minore, ma solitamente si adopera la nona minore anche nell’ambito di una tonalità maggiore. Quando questo accordo risolve sulla settima di dominante, la terza scende cromaticamente sulla settima.

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§13.6 La nona di sopratonica maggiore Si ottiene a partire dalla settima di sopratonica maggiore (§8.1) sovrapponendo ad essa una 3a maggiore, la quale formerà un intervallo di 9a maggiore nei confronti del suono fondamentale. Trattandosi di una dissonanza artificiale (§7.5), sia la nona che la settima devono essere preparate: questa necessità limita di molto i possibili impieghi di questa armonia. La nona di sopratonica si usa quasi soltanto in stato fondamentale sul II grado che risolve sul V. La nona e la settima risolvono come sempre scendendo di grado, mentre la quinta è obbligata a scendere perché salendo di grado andrebbe a raddoppiare la sensibile nell’accordo di risoluzione: per questo motivo, allo scopo di evitare l’errore di quinte reali, la risoluzione anticipata della nona diventa obbligatoria. Dato che la nona deve essere preparata, la risoluzione anticipata assume in questo caso il carattere di un ritardo dell’ottava (9–8). Nella scrittura a 4 parti ometteremo come sempre la quinta, risolvendo così a monte il problema delle quinte reali.

§13.7 La nona di sopratonica minore Accordo in tutto e per tutto simile al precedente, con l’unica differenza che è costruito sovrapponendo una 3a minore alla settima di sopratonica minore (§8.5). L’omissione della quinta, necessaria per la scrittura a 4 parti, si rivela meno felice, in quanto verrebbe meno il caratteristico intervallo di 5a diminuita che essa forma con la fondamentale.

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§13.8 Accordi di undicesima e di tredicesima Sono armonie molto complesse che si ottengono sovrapponendo una o due 3e ad un accordo di nona. Questi accordi hanno un senso soltanto se impiegati sulla dominante, ma sono comunque di uso rarissimo, anche perché, nella scrittura a 4 parti, dovremmo omettere 2 o 3 suoni, compromettendo quindi la stessa riconoscibilità dell’accordo in quanto tale. Contrariamente alle settime e alle none, che risolvono sempre scendendo di grado sull’accordo successivo, le undicesime e le tredicesime non si comportano nello stesso modo, ma “risolvono” rimanendo legate, visto che i rispettivi suoni sono contenuti nell’armonia di risoluzione. Poiché accordi così complessi ricorrono spesso alla risoluzione anticipata dei suoni più dissonanti, forse sarebbe più opportuno considerarli come accordi più semplici arricchiti con appoggiature superiori, ed anche per questo motivo non trovano applicazione nell’armonia scolastica. L’undicesima di dominante può anche essere considerata il frutto della sovrapposizione delle triadi di dominante e di sottodominante, con la conseguente ambiguità funzionale che ne deriva. Nella scrittura a 4 parti si omettono solitamente la terza e la nona: la risoluzione anticipata dell’undicesima, quindi, produce di fatto una settima di dominante in forma completa con l’appoggiatura della terza (4–3).

La tredicesima di dominante, nella duplice versione maggiore e minore, è invece un accordo che comprende tutti i 7 suoni della scala di riferimento (totale diatonico). Nella scrittura a 4 parti si omettono solitamente la quinta, la nona e l’undicesima, dando luogo ad un accordo che corrisponde di fatto ad una settima di dominante con la sesta al posto della quinta (è questa la veste in cui l’accordo di tredicesima è spesso utilizzato dai compositori del Primo Romanticismo, soprattutto Robert Schumann). La risoluzione anticipata della tredicesima accresce ulteriormente la legittimità di questa interpretazione, visto che produce di fatto una settima di dominante in forma completa con l’appoggiatura della quinta (6–5).

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ESERCIZI 13.1 – Costruire e far risolvere correttamente la nona di dominante nelle tonalità indicate: [§13.2–3] Sol Maggiore La minore Fa Maggiore Re minore Sib Maggiore Mi minore

ad esempio, per il primo caso indicare:

13.2 – Applicare ai medesimi accordi dell’esercizio precedente la risoluzione anticipata [§13.2–3]

13.3 – Costruire la nona di dominante della dominante in forma incompleta (priva della quinta) nelle tonalità indicate, e farla risolvere correttamente sulla triade o sulla settima di dominante: [§13.5] ad esempio, per il primo caso indicare:

Sol Maggiore Fa Maggiore Re minore Mi minore

13.4 – Analizzare i seguenti accordi di nona, individuarne il tipo e di conseguenza la tonalità in cui si trovano, ed infine farli risolvere correttamente: [§13.2–7]

LEZIONE XIV SETTIME DERIVATE

§14.1 Accordi di settima derivata In §7.6 abbiamo visto che, sopprimendo il suono fondamentale nella settima di dominante, si ottiene un accordo derivato noto come triade diminuita di sensibile (o accordo di settima di dominante ridotto), il cui suono fondamentale, la sensibile appunto, è di fatto soltanto una fondamentale apparente, dato che si comporta a tutti gli effetti come la terza dell’accordo autonomo da cui ha avuto origine. Nello stesso identico modo, dagli accordi di nona esaminati nella precedente lezione (ma non solo da quelli) si possono ricavare altrettanti accordi di settima derivata che hanno come suono fondamentale (apparente) la terza dell’accordo generatore. Indicheremo questi accordi utilizzando un simbolo doppio costituito dal grado della fondamentale apparente e, fra parentesi e barrato, dal simbolo relativo al grado o alla funzione armonica della fondamentale soppressa. Se gli accordi di nona si rivelano piuttosto complicati da gestire, fra distanze intervallari da rispettare, errori di quinte reali da evitare e suoni da omettere per la scrittura a 4 parti, e quindi di uso piuttosto raro, i corrispondenti accordi derivati, al contrario, sono molto comodi da usare e facilitano la concatenazione armonica. Potremmo quindi dire che gli accordi di nona sono armonie significative non tanto in quanto tali, quanto piuttosto come accordi generatori delle settime derivate. Il primo vantaggio nell’uso delle settime derivate sarà dato dal fatto che, essendo stato soppresso il suono fondamentale, viene meno l’obbligo della distanza intervallare di 9a tra la fondamentale e la nona, e di conseguenza il divieto di collocare la nona al basso che impediva la formazione del quarto rivolto. Il secondo vantaggio, invece, è dovuto al fatto che non occorre omettere alcun suono per la scrittura a 4 parti. L’unico inconveniente che non viene risolto rimane quindi quello delle quinte reali, ma vedremo di volta in volta come aggirare il problema. §14.2 La settima di sensibile Sopprimendo il suono fondamentale nella nona di dominante maggiore (§13.2) si ottiene un accordo di settima derivata costruito (apparentemente) sul VII grado della scala maggiore: per questo motivo l’accordo prende il nome di settima di sensibile e si può adoperare solo nel modo maggiore. Come retaggio dell’accordo generatore permane l’obbligo della distanza intervallare di 7a tra la fondamentale apparente (ex terza) e la settima (ex nona). La risoluzione è identica a quella del corrispondente accordo di nona, pertanto la settima (ex nona) e la quinta (ex settima) scendono sempre di grado, mentre la sensibile sale sempre alla tonica. Per quanto riguarda la terza (ex quinta), per evitare la formazione del solito errore di quinte reali essa dovrà per forza salire di grado, andando a raddoppiare la terza nell’accordo di risoluzione, a meno che non si riesca a collocarla sopra la settima (ex nona). In ogni caso si può sempre ricorrere alla risoluzione anticipata della settima, purché si abbiano a disposizione due tempi di battuta, operazione che trasforma questo accordo nel primo rivolto della settima di dominante. La risoluzione anticipata, del resto, può anche essere interpretata come un’appoggiatura della fondamentale (7–6) proprio sul primo rivolto della settima di dominante.

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Dal punto di vista della struttura intervallare, la settima di sensibile va considerata una settima di terza specie (§7.1): a differenza della settima di sopratonica minore (§8.5), però, non è necessario preparare la settima. Si verifica quindi una piccola incongruenza: due accordi identici per struttura intervallare che si comportano in modo completamente diverso. La settima di sensibile, infatti, oltre ad essere una settima derivata (a differenza di quella di sopratonica che è un accordo autonomo, e risolve infatti con il salto di 4a della fondamentale), va considerata una dissonanza naturale (§7.5) in quanto deriva da un accordo naturale (la nona di dominante). Anzi, in un certo senso l’accordo di nona di dominante può essere visto come una sorta di “contenitore” di accordi naturali: è ottenuto, infatti, a partire dalla triade di dominante aggiungendo prima la settima e poi la nona, e da esso si possono ricavare, per omissione di uno o più suoni, la settima di sensibile e la triade diminuita di sensibile.

§14.3 I rivolti della settima di sensibile I rivolti negli accordi di settima derivata non sono di uso molto frequente. Nel caso della settima di sensibile, poi, essi sono condizionati dalla distanza intervallare obbligatoria di 7a tra fondamentale e settima cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. Il primo rivolto si forma sul II grado che sale al III (primo rivolto di tonica), oppure sul II che scende al I, ma in questo secondo caso diventa necessario applicare la risoluzione anticipata della settima per evitare il formarsi dell’errore di quinte reali: con questo procedimento si ottiene il secondo rivolto (34) della settima di dominante. Il codice numerico 65, che contraddistingue questo rivolto, è ottenuto rovesciando l’ordine naturale dei numeri, e sta a indicare che la settima (5) deve sempre trovarsi sopra la fondamentale apparente (6).

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Il secondo rivolto si forma invece sul IV che scende al III: anche in questo caso rovesciamo l’ordine dei numeri, ottenendo il codice 43. Con la risoluzione anticipata della settima si ottiene il terzo rivolto (24) della settima di dominante.

Il terzo rivolto in teoria non potrebbe esistere, corrispondendo infatti al quarto rivolto dell’accordo di nona di dominante, senza dimenticare che persiste l’obbligo della distanza intervallare fra il suono che figurerebbe al basso (la settima) e la fondamentale apparente. Tuttavia per convenzione questo rivolto si può adoperare nel caso in cui il VI grado, su cui viene costruito, sia preparato. Può risolvere in due modi: o tramite la risoluzione anticipata della settima (al basso) sul V grado, che lo trasforma di fatto in un ritardo al basso della fondamentale della settima di dominante, oppure direttamente sul secondo rivolto della triade di tonica (con il raddoppio “atipico” del suono fondamentale: 446), dando quindi luogo ad una cadenza composta.

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Per concludere, possiamo notare che l’applicazione della risoluzione anticipata della settima trasforma ciascun rivolto della settima di sensibile nel rivolto “successivo” della settima di dominante: -

l’accordo in stato fondamentale diventa primo rivolto della settima di dominante; il primo rivolto diventa secondo rivolto della settima di dominante; il secondo rivolto diventa terzo rivolto della settima di dominante; il terzo rivolto, per completare il cerchio, si trasforma nella settima di dominante in stato fondamentale.

§14.4 La settima diminuita nel modo minore Questo importantissimo accordo deriva dalla nona di dominante minore (§13.3), e pertanto viene meno l’obbligo della distanza intervallare di 7a tra la fondamentale apparente e la settima (ex nona minore) che invece condiziona pesantemente la settima di sensibile. Si tratta di un accordo di settima di quinta specie, la cui particolarità consiste nel fatto che è costituito da tre 3e minori sovrapposte. Per la risoluzione vale quanto già detto a proposito della settima di sensibile.

I vantaggi della settima diminuita si vedono soprattutto nell’uso dei rivolti: non esistendo vincoli intervallari, si possono utilizzare i codici numerici “tradizionali”, ed inoltre il terzo rivolto non necessita della preparazione della settima al basso.

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§14.5 La settima diminuita nel modo maggiore Così come avviene per l’accordo generatore, anche la settima diminuita può essere usata nel corrispondente modo maggiore: anzi, ciò si verifica molto spesso, in quanto questo accordo, come abbiamo visto, presenta una facilità d’impiego decisamente superiore rispetto alla più problematica settima di sensibile. In tal caso, tuttavia, sarà utile segnalare l’abbassamento cromatico della settima con il segno “–” posto accanto al numero corrispondente.

La settima diminuita è, di fatto, l’unico accordo di settima derivata in cui anche i rivolti trovano un impiego relativamente frequente. Nel modo maggiore il terzo rivolto si forma su un grado estraneo alla scala di riferimento, che prende il nome di VI grado abbassato (–VI).

§14.6 La settima diminuita sul IV grado alterato Nasce dalla nona di dominante della dominante minore (§13.5): la soppressione del suono fondamentale fa sì che la fondamentale (apparente) di questo accordo derivato sia un suono non contenuto nella scala diatonica della tonalità di riferimento, suono che viene pertanto definito IV grado alterato (+IV) (cfr. §9.3).

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Anche se per analogia con la nona generatrice questo accordo dovrebbe risolvere sulla triade o sulla settima di dominante, per consuetudine la settima diminuita sul IV grado alterato risolve sempre, e con un miglior risultato sonoro, sulla cadenza composta: ciò significa che potremo impiegare questo accordo soltanto quando il successivo V grado occupa almeno due tempi di battuta.

Come si vede nell’esempio precedente, la risoluzione nell’ambito di una tonalità minore non presenta alcun problema: la settima e la quinta, che dovrebbero risolvere scendendo di grado, rimangono inizialmente legate, per poi risolvere correttamente, generando di fatto un doppio ritardo (della terza e della quinta) nella successiva armonia di dominante. Nel modo maggiore, invece, si produce un’anomalia nel moto delle parti: la settima diminuita, invece di scendere di grado, come imporrebbe del resto la sua alterazione cromatica discendente (cfr. §15.1), risolve eccezionalmente salendo di semitono cromatico. Per ovviare a questo inconveniente alcuni teorici preferiscono interpretare enarmonicamente la settima, che diventa così la fondamentale di un altro accordo di settima diminuita, costruito però sul II grado alterato (+II). A stretto rigor di logica, tuttavia, questo accordo non può più essere definito un rappresentante della dominante della dominante, e andrebbe semmai ascritto alla categoria degli accordi–appoggiatura (cfr. §15.7): la sua risoluzione corrisponde infatti ad una tripla appoggiatura sulla triade di tonica maggiore.

Entrambe le interpretazioni presentano solide argomentazioni a proprio favore: la prima è più logica dal punto di vista della sintassi armonica (DDÆDÆI), mentre la seconda privilegia il moto delle parti. Per evitare inutili complicazioni, comunque, l’impiego della settima diminuita sul IV grado alterato nel modo maggiore, e l’atipica risoluzione ascendente della settima, sono comunemente accettati in ambito scolastico anche senza ricorrere alla precedente trasformazione enarmonica, che in ogni caso va implicitamente ipotizzata.

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L’unico rivolto di questo accordo che trova un riscontro pratico è il primo: esso è ottimo per armonizzare il VI grado seguito dal V, purché quest’ultimo abbia a disposizione due tempi per ospitare la cadenza composta.

L’eventuale impiego della risoluzione anticipata della settima, infine, per quanto raro, capovolgerebbe completamente il quadro interpretativo: l’accordo si trasformerebbe in pratica in una settima di dominante della dominante con l’appoggiatura del suono fondamentale. Facendo risolvere in modo cromatico discendente la fondamentale apparente si può anche ottenere una buona concatenazione con la settima di dominante.

§14.7 Settime di sottodominante Sopprimendo il suono fondamentale nella nona di sopratonica, sia nella versione maggiore che in quella minore (§13.6–7), si ottengono altrettante settime derivate che, avendo come fondamentale apparente il IV grado, prendono il nome di settime di sottodominante. La settima di sottodominante maggiore è una settima di quarta specie. Trattandosi di un accordo artificiale, la settima (ex nona) dovrà essere preparata, mentre la quinta (ex settima) non necessita di preparazione visto che forma un intervallo consonante nei confronti della fondamentale apparente. L’accordo si forma sul IV grado che risolve sul V: la settima e la quinta devono sempre scendere di grado, ma anche la terza è costretta a scendere per evitare di raddoppiare la sensibile nell’accordo di risoluzione, pertanto è indispensabile collocarla sopra la settima per evitare l’errore di quinte reali. In alternativa si può ricorrere alla risoluzione anticipata della settima, che tuttavia rende questo accordo più facilmente interpretabile come una settima di sopratonica in primo rivolto con il ritardo della fondamentale.

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La settima di sottodominante minore è una settima di seconda specie, ma per il resto si comporta nello stesso identico modo della corrispondente maggiore. In entrambe le versioni l’uso dei rivolti si rivela estremamente raro.

§14.8 Altre settime derivate In teoria, su ciascun grado della scala potrebbe essere costruito un accordo di nona, e di conseguenza da ciascuno di essi potrebbe essere ricavato un accordo di settima derivata. Fra le tante settime derivate possibili citiamo almeno le seguenti: -

dalla nona di dominante della dominante maggiore (§13.5) si può ottenere la settima sul IV grado alterato maggiore (terza specie) che, in alternativa alla settima diminuita sul +IV (§14.6), risolve sul V grado (anche sulla cadenza composta);

-

dalla nona di tonica maggiore si ottiene la settima di mediante maggiore (seconda specie) che risolve sul IV grado;

-

dalla nona di sottodominante maggiore (accordo generatore di uso rarissimo), infine, si può ricavare la settima di sopradominante maggiore (seconda specie) che risolve sul VII grado armonizzato con la triade diminuita di sensibile.

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§14.9 Settime autonome e settime derivate Nei paragrafi precedenti abbiamo potuto constatare come la semplice classificazione degli accordi di settima in specie, proposta in §7.1, non fornisce alcuna informazione sul comportamento di queste armonie. Abbiamo incontrato infatti: -

settime di seconda specie sia autonome (sopratonica maggiore – §8.1) che derivate (sottodominante minore – §14.7); settime di quarta specie sia autonome (tonica maggiore – §8.7) che derivate (sottodominante maggiore – §14.7); settime di terza specie sia autonome, oltre che artificiali (sopratonica minore – §8.5) che derivate e allo stesso tempo naturali (settima di sensibile – §14.2).

In un certo senso persino la settima di dominante (prima specie), quando risolve sul VI grado (cfr. §7.2), si comporta di fatto come una settima derivata: l’accordo generatore, in questo caso, sarebbe un’ipotetica nona di mediante. In definitiva, comunque, se ci limitiamo a prendere in considerazione non tutti gli scenari teoricamente possibili, ma soltanto le situazioni armoniche più ricorrenti, possiamo dire che gli accordi di settima costruiti sul I, sul II, sul III, sul V e sul VI grado, oltre a tutte le dominanti secondarie, si comportano solitamente come accordi autonomi, risolvendo con la fondamentale che salta di 4a (I–IV, II–V, III–VI, D–I, VI–II, DD–D). Le settime che si formano invece sul VII e sul IV (alterato o meno) sono da considerarsi sempre accordi derivati, e risolvono con la fondamentale apparente che sale di grado (VII–I, IV–V). La settima diminuita sul +IV è l’unica che richiede necessariamente la risoluzione sulla cadenza composta.

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ESERCIZI 14.1 – Analizzare i seguenti accordi di settima derivata sul VII grado (settima di sensibile o settima diminuita), individuare le tonalità corrispondenti, e farli risolvere correttamente sulla tonica, con o senza risoluzione anticipata: [§14.2–5]

14.2 – A partire dagli accordi del precedente esercizio, realizzare per ciascuno di essi un rivolto a scelta, e poi farlo risolvere in modo corretto [§14.2–5]

14.3 – Analizzare i seguenti accordi di settima diminuita sul IV grado alterato, individuare le tonalità corrispondenti, e farli risolvere correttamente: [§14.6]

14.4 – Considerando le tonalità indicate e le note del basso, costruire il tipo di settima derivata più appropriato e farla risolvere in modo opportuno: [§14.2–7]

14.5 – Armonizzare il basso seguente utilizzando le settime derivate dove indicato e in tutte le occasioni in cui ciò sia possibile:

LEZIONE XV ACCORDI ALTERATI

§15.1 Alterazione di un suono Si ottiene un accordo alterato quando uno dei suoni di un qualsiasi accordo viene sostituito dal suono posto un semitono cromatico sopra o sotto: generalmente questo suono risolverà, nell’accordo successivo, proseguendo il movimento nella medesima direzione, per cui un suono alterato in senso ascendente (diesizzato) tenderà a risolvere salendo di semitono diatonico come se fosse una sensibile artificiale, mentre un suono alterato in senso discendente (bemollizzato) proseguirà il suo moto discendente comportandosi come una controsensibile artificiale. Come abbiamo già visto nelle precedenti lezioni, i suoni alterati si indicano aggiungendo il segno “+” o “–” al numero corrispondente. Quando il suono alterato è affidato al basso, il segno “+” o “–” precede, in alto a sinistra, il numero romano corrispondente al grado della scala (ad esempio: +IV = IV grado alterato). Possono essere alterati anche più suoni del medesimo accordo: generalmente, comunque, si preferisce evitare di alterare il suono fondamentale, a meno che non si tratti soltanto di una fondamentale apparente. L’alterazione può essere data sia in modo simultaneo agli altri suoni dell’accordo, sia in un secondo momento (alterazione melodica), facendola precedere dal corrispondente suono non alterato e creando pertanto una figurazione basata su un frammento di scala cromatica che di fatto assume il carattere di una nota di passaggio cromatica.

§15.2 Alterazione della terza Il suono che più facilmente può essere alterato in un accordo è la terza, operazione che consente di trasformare una triade maggiore in minore, e viceversa. L’abbassamento cromatico della terza lo abbiamo già incontrato quando abbiamo parlato della variante della cadenza plagale in tonalità maggiore, con la triade di sottodominante maggiore che veniva seguita da quella minore (§5.2). L’alterazione ascendente della terza, invece, la sperimentiamo ogni volta che facciamo uso di una dominante secondaria: la triade e/o la settima di dominante della dominante, ad esempio, si ottengono innalzando cromaticamente la terza nella triade e/o nella settima di sopratonica. In questi casi, tuttavia, interviene anche un cambiamento di funzione armonica (da S a DD), motivo per cui è più appropriato parlare di un’armonia completamente diversa, piuttosto che di un’alterazione in senso stretto.

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§15.3 Accordi minori usati nel modo maggiore Abbiamo più volte detto che tutte le armonie peculiari del modo minore possono essere utilizzate anche nel corrispondente modo maggiore (ma non viceversa): questa prassi genera una particolare categoria di accordi che risultano alterati solo quando vengono utilizzati in tonalità maggiore. Questi accordi presentano il III o il VI grado (o entrambi) alterati in senso discendente. Fra gli accordi più comuni che, se usati in tonalità maggiore, presentano l’abbassamento del VI grado, abbiamo: la triade di sottodominante minore, la triade diminuita sul II grado, la settima di sopratonica minore, la nona di dominante minore e la settima diminuita sul VII grado. Gli accordi che presentano invece l’abbassamento del III grado sono: la nona di dominante della dominante minore e la settima diminuita sul IV grado alterato. Gli accordi, infine, che presentano entrambi i suoni abbassati sono: la triade maggiore sul VI grado minore, la nona di sopratonica minore e la settima derivata di sottodominante minore.

§15.4 Triade maggiore con quinta alterata L’alterazione in senso ascendente della quinta in una triade maggiore trasforma questo accordo in una triade aumentata. Abbiamo visto in precedenza che un accordo del genere si forma in modo naturale sul III grado della scala minore armonica (cfr. §2.2): si tratta tuttavia di un accordo dall’uso piuttosto raro, che risolve solitamente sulla triade di tonica tramite il solo movimento ascendente della quinta (alterata). La triade aumentata, invece, si utilizza assai più spesso come accordo alterato, e ciò avviene specialmente sul I e sul V grado di tonalità maggiore quando questi accordi risolvono, con un salto di 4a ascendente o di 5a discendente, rispettivamente sul IV e sul I grado: in questi casi la quinta alterata asseconda il suo moto direzionale risolvendo sempre in senso ascendente sulla terza dell’accordo successivo. L’alterazione ascendente della quinta in tonalità minore, invece, è sempre da evitare, in quanto il suono alterato coincide, enarmonicamente, con la terza dell’accordo di risoluzione.

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Viceversa, in entrambe le tonalità, e nei medesimi collegamenti armonici visti in precedenza, si può adoperare l’alterazione discendente della quinta, assecondandone poi il movimento discendente verso la fondamentale della triade successiva. In simili circostanze, così come in tutti i casi simili che individueremo nei prossimi paragrafi, è sempre preferibile evitare che la terza e la quinta abbassata si trovino a distanza di 3a diminuita e che risolvano sull’unisono: è molto più efficace che i due suoni formino un intervallo di 6a aumentata che sfocia nell’ottava.

§15.5 Settima di dominante con quinta alterata Nell’accordo di settima di dominante, la quinta può essere alterata sia in senso ascendente che in senso discendente: nel primo caso proseguirà il suo moto ascendente sulla terza della triade di tonica, che verrà quindi raddoppiata (338), ma ciò può avvenire soltanto in tonalità maggiore (cfr. §15.4); nel secondo caso, invece, la quinta abbassata risolverà scendendo di semitono sulla tonica (in entrambi i modi), ma dovrà essere posizionata a distanza di 6a aumentata dalla sensibile.

Nella settima di dominante della dominante si incontra usualmente soltanto l’alterazione in senso discendente della quinta, ma questa possibilità sarà discussa in modo approfondito nella prossima lezione quando ci occuperemo della sesta aumentata francese (cfr. §16.2).

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§15.6 Settime derivate con terza alterata In modo analogo a quanto visto nel precedente paragrafo, la quinta può essere alterata anche negli accordi di nona di dominante e di dominante della dominante. Poiché nella scrittura a 4 parti, adoperata nei nostri esercizi, omettiamo proprio la quinta, questo tipo di alterazione verrà preso in considerazione soltanto in modo indiretto, per le conseguenze che avrà sugli accordi di settima derivata che si ricavano da questi. La settima diminuita sul VII grado (§14.4–5) può avere l’alterazione ascendente o discendente della terza (ex quinta): nel primo caso viene assecondata la normale risoluzione di questo suono sulla terza della triade di tonica (ma solo in tonalità maggiore: cfr. §15.4), nel secondo caso, invece, per permettere la discesa del suono alterato sulla fondamentale dell’accordo successivo, evitando al contempo la formazione dell’errore di quinte reali, sarà indispensabile collocare la terza sopra la settima (ex nona), oppure ricorrere alla risoluzione anticipata.

Nella settima diminuita sul IV grado alterato (§14.6), infine, si può avere soltanto l’alterazione discendente della terza (ex quinta), ma anche questa possibilità sarà approfondita nella prossima lezione quando ci occuperemo della sesta aumentata tedesca (cfr. §16.4).

§15.7 Accordi–appoggiatura Sono accordi di settima, solitamente di quinta specie (accordi di settima diminuita), che non vanno considerati in quanto tali, ma piuttosto in funzione dell’accordo su cui risolvono: escluso un suono, che solitamente rimane legato, 3 dei 4 suoni di cui sono composti risolvono con un movimento, discendente o ascendente, che ricorda delle appoggiature superiori e/o inferiori. Un accordo di questo genere, pertanto, si comporta di fatto come una tripla appoggiatura dell’accordo successivo. Le appoggiature inferiori, alla luce di quanto abbiamo visto in precedenza (§12.10), solitamente sono alterate in senso ascendente, e si comportano quindi come delle sensibili artificiali del suono su cui risolvono. In modo del tutto simile, anche le appoggiature superiori possono essere rese cromatiche, diventando così delle controsensibili artificiali. Abbiamo già incontrato, in §14.6, la settima diminuita sul II grado alterato (enarmonico della settima diminuita sul IV alterato), valutandola a tutti gli effetti come una tripla appoggiatura sulla triade di tonica maggiore: questo accordo può essere ulteriormente alterato abbassando cromaticamente la quinta per assecondare il movimento discendente di questo suono sulla quinta della triade di tonica (cfr. sesta svizzera – §16.5). Simile alla precedente è la settima diminuita sul VI grado alterato, che risolve in modo simmetrico sul primo rivolto della triade del V grado o, ancora meglio, della settima di dominante: le quinte reali che si formano in quest’ultimo caso sono ammesse (la seconda, infatti, è diminuita: cfr. §2.6).

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§15.8 Rivolti degli accordi alterati Negli esempi precedenti abbiamo preso in considerazione soltanto gli accordi alterati in stato fondamentale: in realtà essi si possono utilizzare anche in forma di rivolto, anche nel caso in cui il suono al basso corrisponda proprio ad un suono alterato. La risoluzione dei singoli suoni rimane praticamente identica a quanto avviene per gli accordi in stato fondamentale. Eccone alcuni esempi:

Una particolare categoria di accordi alterati è quella in cui, in stato di rivolto, si genera un intervallo di 6a aumentata fra il suono collocato al basso e uno dei suoni posti nelle voci superiori: si tratta dei cosiddetti accordi di sesta aumentata che saranno studiati in modo approfondito nella prossima lezione.

§15.9 Sesta napoletana La scala minore napoletana corrisponde al modo frigio (il secondo dei modi gregoriani – cfr. §1.5) con il VII grado solitamente alterato in senso ascendente per ottenere così la sensibile. Essa è quindi del tutto identica alla scala minore armonica, tranne per quanto riguarda il II grado che risulta abbassato di un semitono: questo grado prende il nome di grado napoletano, e si indica con la lettera “N”.

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Su questo grado è possibile costruire una triade maggiore che prende il nome di triade napoletana: questo accordo non si usa quasi mai in stato fondamentale, mentre invece è assai frequente il suo impiego in forma di primo rivolto (ecco perché si chiama sesta napoletana) sul IV grado seguito dal V, preferibilmente in combinazione con la cadenza composta consonante. Talvolta, però, la sesta napoletana può risolvere direttamente sulla dominante, nonostante il salto melodico di 3a diminuita che viene comunque tollerato dalla maggior parte dei teorici.

Poiché si utilizza quasi unicamente in stato di primo rivolto, la sesta napoletana può anche essere interpretata come un accordo di terza e sesta costruito direttamente sul IV grado della scala minore con l’alterazione discendente della sesta. Anche in questo caso la risoluzione più efficace, e più scolasticamente corretta, è quella sulla cadenza composta.

§15.10 Pedale Quando un suono del basso viene tenuto legato per un certo numero di battute (almeno due), si configura un pedale: questo termine nasce dalla pratica di tenere un suono con la pedaliera dell’organo mentre si improvvisa con i manuali superiori. Generalmente gli unici suoni che ricevono questo trattamento sono la tonica e la dominante. La particolarità del pedale è che soltanto il primo e l’ultimo degli accordi costruiti su di esso devono obbligatoriamente essere consonanti rispetto al suono posto al basso, per cui nelle posizioni intermedie si possono utilizzare anche armonie che non hanno niente a che fare (dal punto di vista armonico) con il pedale. Un breve pedale, costituito da 3 armonie, si ha quando il I o il V grado occupano 2 o 3 battute: abbiamo già incontrato casi del genere quando abbiamo parlato della quarta e sesta di volta (cfr. §4.5) e della cadenza doppia (cfr. §11.4). Il tipico pedale di dominante, comunque, oltre a coincidere quasi sempre con il punto di massima tensione armonica di una composizione, inizia solitamente con la quarta e sesta di cadenza (secondo rivolto di tonica) e, dopo diverse armonie, fra le quali possono esserci anche dominanti secondarie e/o accordi alterati, si conclude sulla triade (o settima) di dominante, rappresentando di fatto un’espansione della cadenza composta.

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Il pedale di tonica, invece, solitamente è posto nella parte conclusiva di una composizione, spesso con funzione di coda: esso inizia e finisce con la triade di tonica.

Come si evince dall’esempio precedente, durante un pedale la terza voce (tenore) fa le veci del basso, e quindi si calcolano le varie armonie (e le relative cifrature degli accordi) a partire da essa, come se si trattasse di un’armonizzazione a 3 voci. Il suono posto al basso, invece, viene segnalato tramite la linea tenuta che identifica il pedale. Un pedale può figurare anche in una delle voci superiori, e in tal caso prende il nome di pedale intermedio o, se situato in prima voce, di pedale superiore. In genere, comunque, in questi casi si preferisce fare in modo che il suono pedale sia “contenuto” in tutti gli accordi che si succedono.

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ESERCIZI 15.1 – Sulla base delle indicazioni fornite, costruire i seguenti accordi alterati disponendo i suoni in modo da evitare la distanza intervallare di 3a diminuita fra due voci contigue, e specificare infine le tonalità in cui sono collocati: [§15.2–5]

15.2 – Partendo dalle tonalità indicate, segnare la cifratura e far risolvere correttamente i seguenti accordi alterati: [§15.2–5]

15.3 – Costruire un rivolto a piacere a partire da ciascuno degli accordi del precedente esercizio, disponendo i suoni in modo da evitare la distanza intervallare di 3a diminuita fra due voci contigue, e farli risolvere in modo corretto: [§15.8]

15.4 – Analizzare i seguenti accordi alterati e, sulla base delle tonalità specificate, indicarne la corretta cifratura e farli risolvere in modo appropriato: [§15.6–9]

15.5 – Sulla base delle indicazioni fornite, costruire i seguenti accordi alterati in stato fondamentale o di rivolto, specificare le tonalità in cui sono collocati, ed infine farli risolvere in modo appropriato: [§15.6–9]

LEZIONE XVI SESTE AUMENTATE

§16.1 Origine degli accordi di sesta aumentata In senso lato si può parlare di accordo di sesta aumentata ogni qual volta si viene a formare questo caratteristico intervallo fra il suono posto al basso e uno dei suoni posti nelle voci superiori. Una sesta aumentata, quindi, non va considerata un accordo vero e proprio, suscettibile di assumere diverse configurazioni (stato fondamentale e rivolti), quanto piuttosto uno specifico rivolto di un accordo che solo raramente viene utilizzato in stato fondamentale o in altri rivolti: si tratta di una condizione simile a quella che abbiamo già incontrato occupandoci della sesta napoletana, un accordo di cui usa in pratica soltanto il primo rivolto (§15.9). In senso stretto, tuttavia, gli accordi di sesta aumentata, o almeno i più comuni, sono armonie che rappresentano la funzione di dominante della dominante: nel modo maggiore l’intervallo di 6a aumentata si forma sempre tra il VI grado della scala alterato in senso discendente (VI grado abbassato) e il IV grado alterato (sensibile della dominante), mentre nel modo minore non c’è bisogno di alterare il VI grado che risulta già naturalmente abbassato (prendendo come riferimento il modo minore naturale o quello armonico). Nei prossimi paragrafi saranno esaminati i più significativi accordi di sesta aumentata, ciascuno dei quali identificato tramite una denominazione geografico-culturale ormai di uso comune, che tuttavia non trova sempre un’adeguata corrispondenza nei relativi repertori. Per ciascuno di essi descriveremo la genesi dell’accordo di partenza, anche nel caso in cui l’accordo in stato fondamentale non sia di uso pratico, per poi soffermarci sullo specifico rivolto che produce l’accordo di sesta aumentata vero e proprio.

§16.2 Sesta francese Il punto di partenza per costruire questa sesta aumentata è la settima di dominante della dominante con la quinta alterata in senso discendente (cfr. §15.5): nel modo maggiore il secondo rivolto (34) di questo accordo si forma sul VI grado abbassato (–VI), e prende il nome di sesta aumentata francese, o semplicemente sesta francese (si parla anche di accordo di terza, quarta e sesta aumentata). La risoluzione avviene sul V grado, armonizzato con la triade o con la settima: i due suoni che formano l’intervallo di 6a aumentata proseguono il loro naturale movimento sfociando sull’ottava, tranne nel caso di risoluzione sulla settima di dominante dove il concatenamento armonico impone al suono alterato in senso ascendente di scendere cromaticamente sulla settima. Nel caso di risoluzione sulla cadenza composta, infine, quest’ultima va interpretata più propriamente come una doppia appoggiatura sulla triade di dominante (cfr. §12.10), visto che dal punto di vista della sintassi armonica non sarebbe molto logico collegare la dominante della dominante direttamente con il secondo rivolto della triade di tonica.

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Nel modo minore, invece, il secondo rivolto della settima di dominante della dominante con la quinta abbassata risulterà formarsi sul VI grado naturale della scala: la risoluzione è identica al modo maggiore.

§16.3 Sesta italiana Così come dalla settima di dominante è possibile ricavare, sopprimendo la fondamentale, la triade diminuita di sensibile (§7.6), dalla settima di dominante della dominante possiamo ottenere una triade diminuita costruita sul IV grado alterato (sensibile della dominante).

In modo analogo, partendo dalla settima di dominante della dominante con la quinta abbassata, esaminata nel precedente paragrafo, sopprimendo la fondamentale potremo ottenere una triade diminuita sul IV grado alterato con la terza (ex quinta) alterata in senso discendente.

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Nel primo rivolto di questo accordo l’intervallo di 3a diminuita esistente fra la terza (ex quinta) e la fondamentale apparente (ex terza) si tramuterà in una 6a aumentata, e darà origine alla sesta aumentata italiana, o semplicemente sesta italiana (accordo di terza e sesta aumentata). L’unico suono di questo accordo che può essere raddoppiato è la quinta, nonostante si tratti di fatto della settima dell’accordo generatore! Ciò è dovuto in parte al fatto che esso coincide con la tonica, e quindi con il suono posto al vertice della scala gerarchica, ma soprattutto al fatto che gli altri due suoni sono proprio quelli che formano l’intervallo di 6a aumentata, e che pertanto devono necessariamente risolvere in senso cromatico verso l’ottava: come sappiamo, infatti, quando dei suoni presentano una risoluzione obbligata (sensibili, controsensibili, settime, none o suoni alterati), essi non possono mai essere raddoppiati. La sesta italiana è il meno usato fra i tre principali accordi di sesta aumentata: la risoluzione avviene solitamente sulla triade di dominante. La risoluzione sulla settima di dominante (facendo scendere cromaticamente la fondamentale apparente), per quanto rara, può essere utile quando la disposizione dei suoni ci esporrebbe al rischio di formare un errore di quinte reali. Anche la risoluzione sulla cadenza composta, infine, è poco frequente ma possibile.

Nel modo minore la sesta italiana si forma sul VI grado naturale e risolve in modo simile a quanto visto per il modo maggiore.

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§16.4 Sesta tedesca Si tratta dell’accordo di sesta aumentata di più complessa costruzione. Punto di partenza è la nona di dominante della dominante minore con la quinta alterata in senso discendente. Da questo accordo generatore, sopprimendo la fondamentale, otteniamo la settima diminuita sul IV grado alterato (§14.6) con la terza (ex quinta) abbassata, accordo che presenta tutti gli intervalli diminuiti: 3a diminuita, 5a diminuita e 7a diminuita.

Il primo rivolto (56) di questo accordo, il quale pone in evidenza l’intervallo di 6a aumentata (ottenuto rivoltando i suoni che formano l’intervallo di 3a diminuita, ovvero la fondamentale apparente e la terza), prende il nome di sesta aumentata tedesca, o semplicemente sesta tedesca (accordo di terza, quinta e sesta aumentata), e si forma, come i precedenti, sul VI grado abbassato. La risoluzione standard della sesta tedesca avviene sulla cadenza composta, per analogia con l’accordo di origine. La risoluzione diretta sulla triade o sulla settima di dominante, teoricamente possibile, produce sempre un errore di quinte reali: si tratta delle cosiddette quinte di Mozart, che vengono talvolta tollerate in virtù dell’uso frequente che ne fece il genio salisburghese.

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Del tutto analoghe sono la genesi e la risoluzione della sesta tedesca nel modo minore, con l’unica differenza che essa si forma sul VI grado naturale della scala.

§16.5 Sesta svizzera La risoluzione della sesta tedesca nel modo maggiore riporta alla luce l’inconveniente già evidenziato in §14.6, ovvero l’anomala risoluzione “ascendente” della settima (sulla quarta e sesta di cadenza) nell’accordo di settima diminuita sul IV grado alterato in tonalità maggiore, accordo da cui la sesta tedesca deriva. Così come in quel caso, la soluzione potrebbe essere quella di trasformare enarmonicamente la settima, ottenendo un suono diesizzato che risolve correttamente in senso ascendente: questa operazione produce un nuovo accordo di sesta aumentata, che per quanto enarmonicamente identico alla sesta tedesca, prende il nome di sesta svizzera. Ovviamente la sesta svizzera può esistere soltanto in tonalità maggiore, in quanto nel modo minore non si verificano anomalie nel moto delle parti quando la sesta tedesca risolve sulla cadenza composta (anomalie che invece, paradossalmente, si formerebbero proprio adoperando la sesta svizzera). Secondo una lettura rigorosa, la sesta svizzera dovrebbe essere considerata il secondo rivolto (e non più il primo) della settima diminuita del II grado alterato con la quinta alterata in senso discendente, accordo–appoggiatura già esaminato in §15.7.

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Per semplificare le cose, in ogni caso, molti teorici preferiscono impiegare comunque la sesta tedesca nel modo maggiore, ipotizzando soltanto in modo implicito la trasformazione enarmonica della settima.

§16.6 Altri accordi di sesta aumentata Gli accordi di sesta aumentata presentati nei paragrafi precedenti sono quelli consacrati dalla tradizione. Esistono tuttavia altri accordi alterati che, in un particolare rivolto, producono un intervallo di 6a aumentata fra il basso e uno dei suoni disposti nelle voci superiori, e che quindi possono essere annoverati di diritto fra gli accordi di sesta aumentata. Fra tutti quelli possibili ne esaminiamo due ricavati dall’accordo di settima di dominante con la quinta alterata in senso rispettivamente discendente e ascendente (cfr. §15.5). Nel primo caso la 6a aumentata si forma nel secondo rivolto (34), ovvero quando la quinta (alterata) si trova al basso: questo accordo, costruito sul II grado abbassato, è strutturalmente identico alla sesta francese, con l’unica differenza che svolge una funzione dominantica risolvendo quindi sulla triade di tonica (maggiore o minore).

Nel secondo caso, invece, si produce un accordo di sesta aumentata quando è la settima a trovarsi al basso, e quindi nel terzo rivolto (24): l’accordo è pertanto costruito sul IV grado che risolve sul primo rivolto della triade di tonica con l’inevitabile raddoppio della terza (entrambi i suoni che formano l’intervallo di 6a aumentata, infatti, devono necessariamente risolvere sull’intervallo di 8a più vicino, rappresentato in questo caso dalle due terze dell’accordo di risoluzione).

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Questo accordo di sesta aumentata si può impiegare esclusivamente in tonalità maggiore, perché, come in tutti gli accordi che presentano la quinta alterata in senso ascendente, la risoluzione cromatica del suono alterato sarebbe altrimenti inibita dall’identità enarmonica del suono di risoluzione (cfr. §15.4).

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ESERCIZI 16.1 – Analizzare i seguenti accordi di sesta aumentata, indicare le corrispondenti tonalità e cifrature armoniche, ed infine farli risolvere in modo appropriato: [§16.2–5]

16.2 – Costruire gli accordi di sesta aumentata indicati nelle rispettive tonalità e farli risolvere in modo corretto: [§16.2–5] Sol Maggiore: sesta francese Re minore: sesta tedesca La minore: sesta francese Fa Maggiore: sesta italiana Mi minore: sesta tedesca Sib Maggiore: sesta svizzera Re Maggiore: sesta tedesca Sol minore: sesta francese

16.3 – Armonizzare il basso seguente impiegando gli accordi di sesta aumentata in tutte le occasioni in cui ciò sia possibile: [§16.2–5]

PARTE QUARTA PROGRESSIONI E IMITAZIONI

LEZIONE XVII PROGRESSIONI FONDAMENTALI

§17.1 Definizione di progressione Una progressione consiste nella riproduzione simmetrica, su altri gradi della scala, di una specifica sequenza armonica (modello) composta da 2 o più accordi: affinché si possa parlare di progressione è indispensabile che il modello venga riproposto, almeno una volta, in modo simile all’originale, mantenendo quindi la medesima disposizione degli accordi. Le progressioni si dividono in due grandi categorie: le progressioni ascendenti, nelle quali il modello viene riproposto ogni volta su un grado più in alto, e le progressioni discendenti, nelle quali invece il modello viene ripetuto su gradi via via più gravi. Durante una progressione vengono sospese le normali relazioni armoniche, a vantaggio delle relazioni interne alla progressione stessa: per questo motivo è opportuno non indicare i gradi e/o le funzioni armoniche, preferendo invece adoperare delle parentesi quadre che raggruppano ciascuna delle reiterazioni del modello. La normale “cifratura” degli accordi potrà essere ripristinata sull’ultima ripetizione del modello che, oltre a segnare l’uscita dal meccanismo delle progressione, permette di identificare la categoria alla quale appartiene la progressione stessa. Poiché la perfetta corrispondenza fra il modello e le sue ripetizioni è l’aspetto più importante di una progressione, sono sempre consentiti gli errori di quinte e ottave nascoste (ma non reali!), i raddoppi di sensibile e i salti melodici proibiti che dovessero eventualmente prodursi. §17.2 Progressioni dominantiche Si tratta delle progressioni il cui modello è composto da 2 accordi che riproducono la cadenza perfetta V–I, ovvero un salto di 4a ascendente o di 5a discendente del basso: di solito l’ultima ripetizione del modello corrisponde proprio alla successione dominante-tonica della tonalità su cui è basata la progressione. Nel caso in cui tale modello venga riproposto in senso ascendente si configura una progressione dominantica ascendente:

Come si può vedere nell’esempio precedente, la progressione riproduce la medesima successione sui vari gradi della scala: nel caso in specie il primo accordo del modello è sempre in prima posizione, mentre il secondo è sempre in terza posizione. In virtù del meccanismo della progressione sono ammessi i salti melodici proibiti (cfr. il salto di 4a aumentata del basso a batt. 4), il raddoppio della sensibile (sempre a batt. 4), ed il non rispetto delle normali regole di armonia (a batt. 2 non viene rispettata la regola del II-V).

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Si ha invece una progressione dominantica discendente quando il medesimo modello della progressione precedente viene ripetuto in senso discendente: per evitare gli errori di quinte nascoste, che si formano quando il modello compie un salto di 4a ascendente (come evidenziato nella prima progressione dell’esempio seguente), è preferibile adoperare il modello che salta di 5a discendente, con il quale otteniamo il moto contrario rispetto al basso.

Se la progressione è costruita nell’ambito di una tonalità minore, si preferisce adoperare i suoni della scala minore naturale, utilizzando l’alterazione del VII grado (sensibile) solo per l’ultima ripetizione del modello, quando si sta per uscire dalla progressione e ritornano pertanto in vigore le normali funzioni armoniche:

§17.3 Progressioni con le settime Poiché il primo accordo della sequenza V–I, posta alla base di una progressione dominantica, si può armonizzare anche con un accordo di settima, è possibile adoperare questa soluzione anche per la progressione nel suo insieme: si avrà quindi l’alternanza regolare fra un accordo di settima e una triade, ma ciò sarà possibile solo nel caso di una progressione dominantica discendente:

Nel caso in cui il primo accordo della progressione sia una settima artificiale, sarà necessario preparare la dissonanza tramite l’accordo precedente, mentre le settime successive risulteranno automaticamente preparate dal meccanismo stesso della progressione.

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Nella progressione dominantica ascendente, invece, le settime non risultano automaticamente preparate, come si vede nell’esempio seguente, per cui diventa impossibile armonizzare questa progressione con gli accordi di settima:

Se l’ultima ripetizione del modello coincide con la sequenza II–V della tonalità di riferimento, sarà possibile armonizzare entrambi gli accordi con delle settime, come avviene appunto nella successione sopratonica-dominante: in tal caso avremo l’alternanza regolare di accordi di settima completi e incompleti (per il moto delle parti, infatti, non si possono avere due accordi di settima consecutivi entrambi in forma completa: cfr. §8.1).

Come si può vedere nell’esempio precedente, la terza di ciascun accordo si trasforma nella settima dell’accordo successivo, fornendo così la preparazione necessaria alle settime artificiali. È importante osservare che anche le settime considerate solitamente come accordi derivati (quella del VII grado derivata dalla nona di dominante, e quella del IV grado derivata dalla nona di sopratonica: cfr. Lezione XIV), si comportano in questo caso come accordi autonomi, risolvendo con un salto di 4a ascendente o di 5a discendente. §17.4 Progressioni plagali Sono definite in questo modo le progressioni che riproducono la sequenza armonica IV–I (salto di 5a ascendente o di 4a discendente), peculiare della cadenza plagale. Nella progressione plagale ascendente conviene sempre privilegiare un modello che salta di 5a ascendente, per evitare gli errori di ottave reali che si verificherebbero altrimenti.

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La progressione plagale discendente, invece, non presenta particolari problemi, a prescindere dal modello che decidiamo di adoperare:

§17.5 Progressioni mediantiche Decisamente più rare delle precedenti sono le progressioni il cui modello salta di 3a ascendente, riproducendo quindi la successione armonica I–III o III–V. Anche queste progressioni possono essere ascendenti o discendenti:

Molto simili, ed altrettanto rare, sono le progressioni che reiterano un salto di 3a discendente del basso, sul modello della successione I–VI:

§17.6 Progressioni con modello che salta di terza In particolari circostanze, invece che sui gradi consecutivi della scala, il modello può essere riprodotto una 3a sopra o sotto: ciò non presenta particolari problemi, ma in genere queste progressioni sono molto brevi a causa del notevole spostamento di posizione che ne consegue. Si possono realizzare in questo modo le progressioni dominantiche ascendenti e quelle plagali discendenti:

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§17.7 Progressioni complesse Solitamente il modello di una progressione è formato da 2 soli accordi, come abbiamo visto negli esempi proposti nei paragrafi precedenti. In alcuni casi, tuttavia, si possono riscontrare anche delle progressioni il cui modello è costituito da 3 o più armonie differenti. La progressione seguente, ad esempio, reitera un modello che riproduce la sequenza armonica VI– IV–II (oppure I–VI–IV), ma per il resto non presenta particolari differenze di trattamento rispetto alle progressioni più canoniche:

Un modello costituito da più di 3 armonie, invece, diventa difficile da gestire sia nella realizzazione pratica, e sia perché l’orecchio umano non riesce più a cogliere così bene l’analogia esistente fra il modello e le sue ripetizioni.

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ESERCIZI 17.1 – Completare le seguenti progressioni dominantiche: [§17.2]

17.2 – Completare le seguenti progressioni con le settime: [§17.3]

17.3 – Completare le seguenti progressioni plagali: [§17.4]

17.4 – Armonizzare il basso seguente individuando le progressioni presenti: [§17.2–4]

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LEZIONE XVIII PROGRESSIONI DERIVATE §18.1 Uso dei rivolti nelle progressioni Le progressioni esaminate nella lezione precedente sono formate unicamente da accordi (triadi e/o settime) in stato fondamentale, e pertanto vengono definite progressioni fondamentali. Sostituendo uno o entrambi gli accordi di una progressione fondamentale con le medesime armonie in stato di rivolto, si ottengono le progressioni derivate. Nelle progressioni costituite unicamente da triadi si può usare soltanto il primo rivolto: quando si adopera sul primo accordo del modello si ottiene la prima derivata, mentre se si utilizza sul secondo accordo abbiamo la seconda derivata. È rarissimo l’impiego del primo rivolto su entrambi gli accordi della progressione. Nel caso delle progressioni con le settime, invece, si possono impiegare tutti i rivolti, e anche combinare fra loro due accordi entrambi in stato di rivolto: se il primo accordo è in primo rivolto avremo la prima derivata, se è in secondo rivolto si ottiene la seconda derivata, e infine se è in terzo rivolto si produce la terza derivata. §18.2 Progressioni dominantiche Se la sequenza armonica alla base del modello della progressione dominantica fondamentale era V– I, la prima derivata, che sostituisce il primo accordo con il corrispondente primo rivolto, avrà come modello la sequenza VII6–I, mentre la seconda derivata, che presenta invece il secondo accordo in primo rivolto, si baserà sulla reiterazione della sequenza V–III6. Nel caso della progressione dominantica ascendente, ecco come saranno ottenute le due derivate a partire dalla progressione fondamentale:

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In entrambi i casi il primo rivolto viene armonizzato con il raddoppio della quinta (336): optando infatti per il raddoppio dell’ottava (366) si produrrebbero degli errori di ottave nascoste o di quinte nascoste:

La prima derivata, per il particolare disegno realizzato dal basso, viene anche definita progressione di bassi legati ascendenti, e si rivela particolarmente utile per armonizzare un basso che procede sotto forma di scala ascendente, anche nel caso in cui gli accenti dovessero risultare invertiti rispetto all’esempio precedente:

Possiamo notare, inoltre, che la seconda derivata somiglia tantissimo alla progressione fondamentale: i movimenti del basso, infatti, sono gli stessi (salti di 4a ascendente e di 3a discendente). Per distinguere le due progressioni, pertanto, sarà necessario individuare l’ultima ripetizione del modello: se si tratta di un V–I (o II–V, o simile) armonizzeremo la progressione come fondamentale; se invece corrisponde ad un V–III (o simile) opteremo per la seconda derivata; se, infine, sono possibili entrambe le soluzioni, come avviene nell’esempio seguente, potremo scegliere fra le due possibilità, optando preferibilmente per la soluzione che consente di ottenere la progressione più lunga.

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Per quanto riguarda invece la progressione dominantica discendente, armonizzata con le sole triadi, ecco come si ottengono le due derivate:

§18.3 Progressioni plagali La sequenza armonica alla base delle progressioni plagali corrisponde, appunto, alla cadenza plagale IV–I (cfr. §17.4), successione che tuttavia può essere interpretata anche come I–V. La prima derivata, pertanto, avrà come modello la successione VI6–I o III6–V, mentre la seconda derivata si baserà sulla reiterazione della sequenza IV–III6 o I–VII6. In modo simile a quanto abbiamo visto nel paragrafo precedente, vediamo nel prossimo esempio come ricavare le due progressioni derivate a partire dalle corrispondenti progressioni fondamentali: alla luce del risultato ottenuto possiamo osservare che la prima derivata di entrambe le progressioni presenta un movimento del basso del tutto identico alle progressioni mediantiche (cfr. §17.5), ma occorre notare che l’armonizzazione proposta in questa sede si rivela senza dubbio più appropriata rispetto ad una soluzione con tutti gli accordi in stato fondamentale.

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Per quanto riguarda la progressione plagale discendente, possiamo notare la forte somiglianza esistente tra la progressione fondamentale e la sua prima derivata (nel basso si alternano salti di 4a discendente e di 3a ascendente): tale somiglianza è del tutto simile a quella che abbiamo visto esistere tra la progressione dominantica ascendente fondamentale e la sua seconda derivata (§18.2). Anche in questo caso, pertanto, sarà indispensabile individuare l’ultima ripetizione del modello: se corrisponde ad un IV–I (o I–V, o simile) armonizzeremo l’intera progressione come fondamentale; se invece si tratta di un VI–I (o III–V, o simile) opteremo per la prima derivata; se, infine, entrambe le soluzioni sono possibili, come avviene nell’esempio seguente, sceglieremo il tipo di armonizzazione che consentirà di ottenere la progressione più lunga.

La seconda derivata della progressione plagale discendente, invece, corrisponde a una serie di bassi legati discendenti, e si rivela pertanto utile per armonizzare una scala discendente: va osservato, tuttavia, che per armonizzare una simile configurazione del basso esistono altre soluzioni, decisamente più adeguate, che saranno esaminate nei prossimi paragrafi (cfr. §18.5). §18.4 Progressioni con le settime Abbiamo visto in §17.3 che la progressione dominantica discendente è l’unica che può essere armonizzata adoperando gli accordi di settima. Se il modello alla base della progressione corrisponde alla sequenza D–I, possiamo adoperare la settima solo sul primo dei due accordi, se invece coincide con la successione II–D, possiamo optare per una progressione armonizzata integralmente con accordi di settima. In entrambi i casi possiamo ricavare dalle corrispondenti progressioni fondamentali ben 3 derivate, una per ciascuno dei rivolti di settima che possiamo adoperare sul primo accordo del modello. Nel caso della progressione che alterna settime e triadi (modello D7–I), la prima derivata avrà come modello la successione VII56–I, la seconda derivata si baserà sulla sequenza II34–I (ma è anche possibile la soluzione II34–III6), mentre il modello della terza derivata sarà la sequenza IV24–III6: praticamente esiste una progressione derivata per ciascuna delle possibili risoluzioni dei rivolti dell’accordo di settima di dominante (cfr. §7.3).

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Nel caso della progressione con tutti accordi di settima (modello II7–D7), invece, la prima derivata avrà come modello la successione IV56–IV24 (alternerà, quindi, settime in primo rivolto e in terzo rivolto), la seconda derivata si baserà sulla sequenza VI34–D7 (alternerà settime in secondo rivolto e in stato fondamentale), mentre il modello della terza derivata sarà la sequenza I24–VII56 (alternanza fra terzo rivolto e primo rivolto, esattamente l’opposto della prima derivata). Anche in questo caso, quindi, esiste una progressione derivata per ciascuna delle possibili risoluzioni dei rivolti dell’accordo di settima di sopratonica (cfr.§8.2).

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§18.5 Bassi legati discendenti Gran parte delle progressioni derivate presentate nel paragrafo precedente sono costruite su un basso che forma una scala discendente, in cui ciascun suono della scala viene armonizzato con due diversi accordi. Come distinguere pertanto una progressione derivata dalle altre? Quale soluzione adottare per armonizzare una successione di bassi legati discendenti? Anche in questo sarà indispensabile analizzare l’ultima ripetizione del modello, individuando così la sequenza armonica su cui si basa la progressione, ed applicare infine la medesima armonizzazione a tutta la progressione. Solitamente una progressione di bassi legati discendenti si armonizza con la terza derivata (modello: IV24–III6, oppure I24–VII56), ma, nel caso in cui dovesse essere opportuno concludere con un accordo in stato fondamentale, si opterà per la seconda derivata (modello: II34–I, oppure VI34– D7).

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ESERCIZI 18.1 – Completare le seguenti progressioni dominantiche in prima derivata: [§18.2]

18.2 – Completare le seguenti progressioni dominantiche in seconda derivata: [§18.2]

18.3 – Armonizzare i seguenti bassi legati discendenti: [§18.5]

18.4 – Armonizzare il basso seguente individuando le progressioni derivate presenti: [§18.2–5]

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LEZIONE XIX PROGRESSIONI MODULANTI

§19.1 Progressioni monotonali e progressioni modulanti Le progressioni esaminate nelle precedenti lezioni sono circoscritte nell’ambito dei suoni di una singola tonalità, e pertanto possono essere definite monotonali. Quando, invece, fanno la loro comparsa anche suoni estranei alla tonalità di riferimento, si parla genericamente di progressioni modulanti. In realtà, come vedremo nelle pagine seguenti, esistono diverse tipologie di progressioni modulanti, da quelle modulanti in senso stretto, in cui il modello viene ripetuto ogni volta in una tonalità differente, con il risultato che la tonalità posta alla fine della progressione non coincide con quella iniziale, a quelle pseudo-modulanti, che consistono unicamente nell’inserimento di movimenti cromatici (dovuti, magari, all’impiego delle dominanti secondarie) in una progressione che in realtà inizia e finisce nella medesima tonalità. Le progressioni che meglio si prestano a diventare modulanti sono quelle di tipo dominantico: in questo caso il modello dominante-tonica viene reiterato sui vari gradi della scala in modo tale che il primo dei 2 accordi funga sempre da dominante del secondo. Proprio per questo motivo è possibile armonizzare il primo accordo con la settima che, fra l’altro, essendo sempre di prima specie, non necessita di preparazione, e può essere quindi adoperata anche nella progressione dominantica ascendente (§19.2).

§19.2 Progressione dominantica ascendente È simile alla corrispondente progressione monotonale (cfr. §17.2), con l’unica differenza che nel suo procedere utilizza anche suoni estranei alla tonalità di partenza. Nel caso in cui la tonalità conclusiva coincida con quella iniziale, si configura una progressione di dominanti secondarie, o progressione pseudo-modulante. Questa sensazione risulta ancora più evidente nel caso in cui il primo accordo sia armonizzato con la settima (di prima specie). Le progressioni di questo tipo si riconoscono per il fatto che il modello non viene riprodotto in modo perfettamente simmetrico: nell’esempio seguente, infatti, il secondo accordo del modello corrisponde di volta in volta ad una triade maggiore o minore, e la scelta tra le due possibilità è operata in modo tale da non allontanarsi troppo dalla tonalità di partenza. La simmetria della progressione, inoltre, è parzialmente minata dalla penultima ripetizione del modello, l’unica ad essere realizzata a distanza di semitono dalla precedente: ciò risulta particolarmente evidente esaminando la prima derivata, in cui il basso disegna una scala cromatica ascendente che si interrompe momentaneamente, con un suono ribattuto, proprio all’inizio della quarta battuta.

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Nel caso in cui, invece, il modello venga reiterato in modo assolutamente simmetrico, si ottiene una progressione modulante vera e propria: in tal caso si possono raggiungere facilmente tonalità molto distanti da quella di partenza, e questo diventa un modo per modulare ai toni lontani alternativo rispetto a quelli che verranno esaminati nella Lezione XXI. La progressione modulante seguente, per esempio, tocca nel suo procedere i toni di Fa M, Sol M, La M, Si M, per sfociare infine sulla tonica di Do# M. La prima derivata, in questo caso, dà origine ad un basso che ricalca perfettamente la scala cromatica ascendente, ed anzi fornisce un’ottima soluzione per armonizzare una simile configurazione.

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§19.3 Progressione dominantica discendente Quanto detto nel precedente paragrafo vale anche per la versione discendente della progressione dominantica. Nel caso in cui la progressione non sia perfettamente simmetrica, si avrà la sensazione di una successione di dominanti secondarie: ciò è particolarmente evidente nell’esempio seguente, in cui il secondo accordo del modello corrisponde ad una delle triadi, maggiori o minori, costruite sui vari gradi di Do M, e ciascuna di esse è preceduta dalla propria dominante secondaria. Poiché di fatto non si abbandona mai la tonalità di partenza, è più opportuno parlare in questo caso di progressione pseudo-modulante.

§19.4 Progressione circolare Una progressione dominantica discendente perfettamente simmetrica, invece, prende il nome di progressione circolare, in quanto ciascuna armonia si trasforma automaticamente nella dominante dell’armonia successiva: nel caso in cui si adoperino le settime su entrambi gli accordi, poi, risulta perfino difficile individuare il modello da cui prende origine la progressione, essendo sempre possibili due diverse interpretazioni (specialmente nel caso della progressione fondamentale, come si evince dal seguente esempio). Poiché in questo caso ciascun accordo di settima di dominante risolve in modo eccezionale su un altro accordo del tutto simile, appartenente però ad un’altra tonalità, avremo la sensazione di assistere ad una successione di cadenze evitate (cfr. §5.3).

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La prima e la terza derivata della progressione circolare forniscono inoltre la soluzione per armonizzare la scala cromatica discendente: in tal caso il modello è costituito da una sensibile che risolve in modo eccezionale sulla controsensibile della tonalità successiva, o viceversa. Per distinguere le due derivate, apparentemente identiche, sarà necessario considerare come sempre la conclusione della progressione. In §19.2 avevamo già visto che la scala cromatica ascendente può essere armonizzata con la prima derivata della progressione dominantica ascendente: in quel caso il modello era basato invece sulla successione sensibile-tonica. Esiste comunque un’altra possibilità per armonizzare la scala cromatica, ascendente e/o discendente, ma ce ne occuperemo più avanti, quando esamineremo le straordinarie peculiarità dell’accordo di settima diminuita (cfr. §22.9).

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§19.5 Modulare con le progressioni Come abbiamo visto in §19.2 e in §19.4, le progressioni modulanti in senso stretto consentono di modulare con estrema rapidità verso tonalità molto distanti rispetto a quella iniziale. In senso lato, comunque, anche una progressione monotonale, o una progressione pseudomodulante, che in teoria dovrebbe rimanere circoscritta alla tonalità di partenza, si può talvolta concludere in una tonalità differente: solitamente, in questi casi, si tratta di un tono vicino, e la modulazione sfrutta il fatto che nel corso di una progressione vengono sospese le normali relazioni armoniche (cfr. §17.1), per cui, durante lo svolgimento della stessa, non si ha più la chiara percezione di quale sia la tonalità di riferimento.

Questo principio è spesso utilizzato dai compositori che, specialmente nei secc. XVIII–XIX, ricorrono volentieri alla progressione ogni qual volta abbiano la necessità di spostare il piano tonale da una tonalità all’altra (come nel caso della modulazione alla seconda area tematica nella forma– sonata: cfr. §24.8), oppure quando desiderano creare situazioni armonicamente “vaganti” (come nella sezione di Sviluppo, sempre nell’ambito della forma–sonata).

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ESERCIZI 19.1 – Armonizzare la seguente progressione modulante ascendente: [§19.2]

19.2 – Completare le seguenti progressioni modulanti discendenti: [§19.3]

19.3 – Armonizzare le seguenti progressioni circolari: [§19.4]

19.4 – Armonizzare il basso seguente individuando le progressioni presenti: [§19.2–5]

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LEZIONE XX IMITAZIONI

§20.1 Classificazione delle imitazioni Si genera un’imitazione quando un frammento melodico, esposto da una voce, viene riproposto subito dopo da un’altra voce. La prima esposizione prende il nome di proposta, la seconda di risposta: quando la risposta è del tutto simile alla proposta si parla di imitazione regolare, se invece subentrano delle piccole variazioni (dette mutazioni) nella disposizione degli intervalli, che comunque non ostacolano la riconoscibilità del frammento melodico originale, ci troviamo di fronte ad un’imitazione irregolare. In base alla distanza intervallare che intercorre fra il primo suono della proposta e il primo della risposta possiamo avere un’imitazione all’unisono o all’ottava (in questo caso l’imitazione presenta gli stessi identici suoni del frammento melodico originale), oppure un’imitazione alla quinta, alla quarta e via dicendo (la risposta risulta quindi trasposta per l’intervallo corrispondente). Nelle forme contrappuntistiche più complesse (ad es. nella fuga: cfr. §24.9) si possono incontrare anche imitazioni più elaborate, le quali possono essere usate anche in combinazione fra di loro: -

imitazione per moto contrario (o imitazione inversa): tutti gli intervalli della proposta vengono invertiti (da ascendenti a discendenti, e viceversa) nella risposta, come se il frammento melodico fosse riflesso da uno specchio disposto orizzontalmente; imitazione per moto retrogrado (o imitazione cancrizzante): la risposta inizia dall’ultima nota della proposta, e prosegue quindi retrocedendo verso la prima nota, camminando a ritroso come un granchio; imitazione per aggravamento: i valori di durata della risposta vengono aumentati di valore (di solito raddoppiati) rispetto alla proposta; imitazione per diminuzione: al contrario della precedente, i valori di durata vengono abbreviati (di solito dimezzati) rispetto alla proposta.

L’esempio seguente mostra uno specchietto riassuntivo con tutti i tipi di imitazione descritti:

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Le imitazioni, specialmente quelle regolari, trovano una facile utilizzazione nell’ambito delle progressioni, fondamentali o derivate che siano, mentre risultano di più difficile collocazione al di fuori di esse. Quando si sceglie la voce cui affidare l’imitazione occorre sempre verificare che non si verifichino errori di fioritura dell’unisono (cfr. §12.5). §20.2 Progressioni fondamentali con imitazioni Quando il modello di una progressione fondamentale (costituito quindi da un salto di 4a o di 5a del basso) viene abbellito con l’uso di fioriture melodiche, il frammento melodico che si produce può essere utilizzato come proposta da cui ricavare un’imitazione regolare: essa verrà affidata ad una delle tre voci superiori, e dovrà poi essere reiterata per tutta la durata della progressione. È sempre opportuno armonizzare prima la progressione in modo semplice, e costruire soltanto in un secondo momento l’imitazione, in modo da evitare errori nel moto delle parti. Nel caso della progressione dominantica ascendente è necessario che l’imitazione inizi sempre a partire dalla terza del secondo accordo, così come avviene nel seguente esempio, dove alla proposta che inizia dal suono do (suono fondamentale del primo accordo do-mi-sol) segue una risposta che inizia dal suono la (terza dell’accordo fa-la-do). Se l’imitazione fosse iniziata dal suono fondamentale del secondo accordo (fa), infatti, si sarebbe conclusa sul si (fa-sol-la-si), suono non contenuto nella successiva triade re-fa-la. Lo scambio delle parti svolto dal tenore è indispensabile per evitare il formarsi di un errore di ottave reali con il basso (cfr. §12.7)

Occorre fare molta attenzione alla scelta della voce cui affidare la risposta: non bisogna tenere conto del suono iniziale del disegno, quanto piuttosto del suono finale! Nel precedente esempio, infatti, la risposta la-si-do-re non è stata affidata al contralto (come sarebbe sembrato più naturale fare, visto che nella progressione semplice il suono la del secondo accordo è affidato proprio al contralto), ma al soprano, in quanto il suono re, con cui si conclude il disegno (sul battere della seconda battuta), nella progressione semplice era affidato a questa voce. Se avessimo assegnato la risposta al contralto, invece, ci saremmo imbattuti in un duplice inconveniente: prima di tutto si sarebbe verificato un errore di fioritura dell’unisono (cfr. §12.7: il disegno si sarebbe “scontrato” con il suono do tenuto dal soprano), e poi avremmo avuto uno “scavalcamento” (il contralto si sarebbe trovato più in alto del soprano), cosa da evitare assolutamente nei nostri esercizi d’armonia. La progressione dominantica discendente si comporta nello stesso identico modo di quella ascendente: nonostante in questo caso sia possibile far iniziare l’imitazione anche a partire dal suono fondamentale, farla iniziare comunque dalla terza consente di ottenere un miglior risultato sonoro. Anche in questo caso la risposta è stata affidata al tenore, piuttosto che al contralto, in funzione del suono finale del disegno (re), che nella progressione semplice era assegnato a questa voce.

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Nelle progressioni plagali, al contrario, è sempre meglio far iniziare l’imitazione a partire dal suono fondamentale:

Una progressione fondamentale semplice, inoltre, può essere “abbellita” tramite un’imitazione che interessa 2 delle 3 voci superiori, le quali si imitano fra di loro. Ad esempio, nel caso della progressione dominantica discendente, l’unica che consenta un’armonizzazione con gli accordi di settima (cfr. §17.3), le settime si possono inserire di passaggio, creando quindi un piccolo disegno melodico reiterato per tutta la durata della progressione:

In alternativa si può anche usare un disegno più complesso, come avviene ad esempio nella seguente progressione modulante:

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§20.3 Progressioni derivate con imitazioni È soprattutto nelle progressioni derivate, tuttavia, che le imitazioni trovano larga applicazione: in questi casi è indispensabile che la risposta inizi sempre dal suono esattamente corrispondente a quello del frammento melodico originale, per cui se la proposta inizia dal suono fondamentale, la risposta dovrà iniziare anch’essa dal suono fondamentale, se la proposta inizia dalla terza anche la risposta inizierà dalla terza, e così via… Nel caso della seconda derivata della progressione dominantica discendente (§18.2) si può creare un’imitazione sfruttando le settime di passaggio, come già visto in precedenza: nell’esempio seguente presentiamo due diversi frammenti melodici sottoposti ad imitazione, il primo inserito in una progressione monotonale, il secondo nell’ambito di una progressione modulante.

Un tipo di imitazione molto simile si può applicare anche alla seconda derivata della progressione dominantica ascendente, della quale presentiamo due versioni:

La prima derivata può essere sottoposta ad un trattamento analogo, come si evince dalla seguente progressione dominantica modulante in cui entrambe le armonie del modello vengono sottoposte a fioritura melodica, producendo così un’imitazione ad incastro:

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Molto frequente è anche l’imitazione applicata alla terza derivata della progressione dominantica discendente (bassi legati discendenti: cfr. §18.5), che sfrutta la fioritura della settima al basso:

La stessa imitazione nella corrispondente progressione modulante, nella quale i bassi legati vengono sostituiti da una scala cromatica discendente:

Il frammento melodico su cui si basa l’imitazione può anche far uso di fioriture melodiche cromatiche:

Quando, infine, la proposta, affidata al basso, compie un salto d’ottava, è indispensabile che nella risposta tale figurazione sia sostituita con un suono ribattuto, dato che risulta impossibile inserire un simile disegno evitando scavalcamenti tra le voci superiori:

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§20.4 Imitazione doppia Un particolare artificio contrappuntistico, molto elaborato, consiste nel sovrapporre una seconda imitazione alla prima, affidandola alle 2 voci non interessate dal precedente gioco imitativo. Non sono affatto frequenti le situazioni in cui si può applicare questo procedimento, ma a titolo di esempio presentiamo un caso tipico di imitazione doppia realizzato nell’ambito di una progressione dominantica discendente in terza derivata, nella quale il frammento melodico proposto dal basso viene imitato dal tenore, mentre il soprano e il contralto si imitano fra di loro:

ESERCIZI 20.1 – Armonizzare le seguenti progressioni fondamentali con imitazioni: [§20.2]

20.2 – Armonizzare le seguenti progressioni derivate con imitazioni: [§20.3]

20.3 – Armonizzare il basso seguente: [§20.2–4]

PARTE QUINTA MODULAZIONI ED ENARMONIA

LEZIONE XXI MODULAZIONE AI TONI LONTANI

§21.1 Toni lontani Con la definizione di toni lontani si intendono genericamente tutte le tonalità che si differenziano, rispetto al tono di partenza, per 2 o più alterazioni nell’armatura di chiave. Tuttavia è facile intuire che non tutti i toni lontani sono egualmente lontani: modulare ad una tonalità con 2 alterazioni di differenza non è la stessa cosa che modulare ad una tonalità che presenta 5 o 6 alterazioni in più nell’armatura di chiave. Per calcolare la distanza fra due tonalità si ricorre al circolo delle quinte (cfr. §1.9). Questo schema grafico è simile ad un orologio: a ciascuna “ora” corrisponde una coppia di tonalità parallele che presentano la medesima armatura di chiave. Partendo da “Mezzogiorno” (che corrisponde all’unica coppia di toni senza alterazioni in chiave: Do M e La m), e muovendoci in senso orario, ad ogni “ora” in più corrisponde una coppia di tonalità con un diesis in più (circolo delle quinte ascendenti), mentre procedendo in senso opposto ad ogni “ora” aumenta il numero dei bemolle (circolo delle quinte discendenti). Per modulare da Do M a La M, ad esempio, dovremo spostare in avanti la lancetta del nostro orologio di 3 “ore”, quindi diremo che ci siamo spostati al 3° circolo delle quinte ascendenti (per comodità useremo la sigla: +3). Per modulare da La m a Sol m, invece, dovremo spostare la lancetta indietro di 2 “ore”, giungendo quindi al 2° circolo delle quinte discendenti (sigla: –2). Per specificare che la tonalità di arrivo è quella maggiore o quella minore della coppia che condivide la medesima armatura di chiave, potremo aggiungere alla sigla “M” o “m”, quindi nei casi precedenti avremo rispettivamente [+3M] e [–2m].

Quando la tonalità di partenza non è Do M o La m, dovremo ruotare idealmente il nostro orologio in modo che questa tonalità corrisponda al “Mezzogiorno”, un po’ come avviene con una bussola, quando ruotiamo il quadrante in modo tale che la direzione indicata dalla lancetta corrisponda sempre alla scritta “Nord”, per poter così dedurre la posizione degli altri punti cardinali.

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Così facendo diventa semplicissimo verificare che, partendo da Lab M, per modulare a Mi m dovremo spostare la lancetta in avanti di 5 “ore” (5° circolo delle quinte ascendenti: +5m), mentre per modulare a Si M sarà necessario spostare la lancetta indietro di 3 “ore” (3° circolo delle quinte discendenti: –3M). In quest’ultimo caso è indispensabile anche operare una trasformazione enarmonica, in quanto la tonalità posta al 3° circolo delle quinte discendenti sarebbe in realtà Dob M, che va poi reinterpretata come Si M. La distanza più grande fra due tonalità è quindi di 6 “ore”, ovvero la posizione diametralmente opposta nel quadrante dell’orologio, raggiungibile nello stesso modo in entrambe le direzioni (+6 = –6): oltre le 6 “ore” spesso conviene raggiungere la medesima tonalità in senso opposto, e poi fare la trasformazione enarmonica. Per modulare da Do M a Do# M, ad esempio, invece di far avanzare la lancetta di 7 “ore”, conviene portarla indietro di 5 “ore”, giungendo così a Reb M, e poi trasformare enarmonicamente quest’ultima tonalità in Do# M. Negli esempi proposti nelle prossime pagine, per semplicità di esposizione, prenderemo sempre come tonalità di partenza Do M e La m: tuttavia, specificando ogni volta la “sigla” che indica la distanza fra le due tonalità, sarà poi facile applicare la medesima tecnica di modulazione fra qualunque altra coppia di tonalità che distano fra loro in modo simile. Ad esempio, la distanza fra Do M e Mi M [+4M] è identica alla distanza fra Sib M e Re M, e quindi potremo effettuare questa seconda modulazione nello stesso modo in cui avremo realizzato la prima. Attenzione: partire da Do M o da La m non è la stessa cosa! Alcune modulazioni sono possibili soltanto partendo da una delle due tonalità, altre sono possibili partendo da entrambe, ma cambierà comunque il grado di partenza, e quindi la relazione fra le due tonalità da collegare. Nelle prossime pagine, quindi, distingueremo sempre nettamente le modulazioni che partono dalla tonalità maggiore da quelle che partono dalla tonalità minore parallela.

§21.2 Triadi comuni Sfruttare le triadi comuni alle due tonalità da mettere in relazione è, come abbiamo visto, il sistema migliore per modulare ai toni vicini (cfr. §10.2), ma si può adoperare questo principio anche nella modulazione ai toni lontani. Va considerato, però, che man mano che aumenta il numero delle alterazioni di differenza, si riduce vertiginosamente il numero delle triadi in comune fra le due tonalità, con il risultato che tale tipo di modulazione si può praticamente applicare solamente nella modulazione al 2° circolo (ascendente e/o discendente). Prendiamo ad esempio in considerazione le triadi costruite sui 7 gradi della scala di Do M, e vediamo quali di esse sono in comune con le due tonalità del 2° circolo delle quinte ascendenti [+2]: per fare ciò basta eliminare tutte le triadi che contengono il fa e/o il do, visto che tali suoni risultano diesizzati nelle tonalità di arrivo. Rimangono quindi le triadi del III e del V grado:

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Possiamo quindi utilmente adoperare le due triadi comuni, e specialmente la triade del V grado, per modulare a Re M ed a Si m:

Per quanto riguarda la modulazione al 2° circolo delle quinte discendenti, la triade del IV di Do M corrisponde alla triade di dominante di Sib M [–2M]: sarà sufficiente aggiungere la settima (minore) a questo accordo per modulare agevolmente alla nuova tonalità. Non vi è invece alcuna triade in comune fra Do M e Sol m, la tonalità minore del 2° circolo discendente [–2m].

Partendo invece da La m, l’unica triade comune alle tonalità del 2° circolo è quella del VI grado, che può essere reinterpretata come dominante di Sib M [–2M]:

§21.3 Dominanti secondarie In §9.5 abbiamo visto che ciascun grado della scala può essere preceduto dalla propria dominante secondaria: oltre alle triadi canoniche, quindi, anche queste armonie possono essere adoperate per modulare. Sfruttando inoltre il fatto che una settima di dominante può risolvere indifferentemente sulla tonica maggiore o su quella minore, si apre un significativo ventaglio di possibilità.

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La dominante della dominante di Do M, ad esempio, può trasformarsi nella dominante di Sol M (tono vicino: +1M), ma anche e soprattutto di Sol m, tonalità posta nel 2° circolo delle quinte discendenti [–2m] che non avevamo potuto raggiungere con il precedente sistema (cfr. §21.2). La modulazione risulta ancora più efficace se adoperiamo i rivolti delle medesime armonie, realizzando un movimento per gradi congiunti al basso.

La dominante secondaria del IV grado di Do M (D/IV), invece, può essere interpretata come dominante di Fa M [–1M] o di Fa m [–4m], ma anche come dominante della dominante di Sib M (2° circolo discendente: –2M) o di Sib m (5° circolo discendente: –5m). Anche in questi casi è preferibile utilizzare i rivolti per ottenere un movimento per gradi congiunti al basso:

Partendo da La m, invece, la dominante della dominante può trasformarsi nella dominante di Mi m (tono vicino: +1m) o di Mi M (4° circolo ascendente: +4M). Il movimento per gradi congiunti del basso rimane sempre la soluzione più efficace per realizzare una buona modulazione:

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§21.4 La sesta napoletana Un’altra armonia che è possibile prendere in considerazione per le nostre modulazioni è la sesta napoletana (cfr. §15.9). Essa corrisponde di fatto ad una triade maggiore in stato di primo rivolto: partendo da Do M, quindi, possiamo reinterpretare la triade di tonica in primo rivolto, che si trova sul III grado, come sesta napoletana di Si m [2° circolo ascendente: +2m]. Con l’operazione inversa, poi, si può considerare la sesta napoletana di La m come triade di tonica, in primo rivolto, di Sib M [2° circolo discendente: –2M].

§21.5 Cambio di modo A partire dalle tonalità del 3° circolo, che presentano quindi 3 alterazioni in chiave di differenza rispetto al tono di partenza, non esistono più armonie in comune cui ricorrere per poter realizzare una buona modulazione, salvo rare eccezioni (come abbiamo visto in §21.3). Possiamo però sfruttare, a questo punto, la forte analogia esistente fra due tonalità che condividono la medesima tonica. È sufficiente, infatti, alterare in senso discendente la terza della triade di tonica maggiore per ottenere una triade perfetta minore che è, di fatto, la triade di tonica della tonalità minore corrispondente (variante della tonica). Se partiamo, ad esempio, da Do M, abbassando la terza dell’accordo di tonica otteniamo la triade di tonica di Do m: questo procedimento, quindi, ci consente di fare un salto indietro di 3 “ore” [–3m] nel circolo delle quinte.

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La triade minore così ottenuta ci consente di modulare non tanto a Do m, quanto piuttosto ai toni vicini della variante, ovvero ai toni che contengono questo accordo su uno dei gradi della scala: si tratta in particolare delle tonalità di Mib M [–3M: parallela maggiore di Do m], di Sib M [–2M] e di Sol m [–2m], in cui questo accordo ricopre rispettivamente il ruolo di VI, II e IV grado.

Adoperando il procedimento inverso, partendo quindi dalla triade di tonica minore, possiamo proiettarci immediatamente avanti di 3 “ore” nel circolo delle quinte, ad esempio passando da La m alla sua variante La M [+3M].

Anche in questo caso, considerando la nuova triade maggiore ottenuta come V o come VI grado della nuova tonalità, possiamo raggiungere agevolmente i toni di Re M [+2M] e di Do# m [+4m]. Da questo elenco è escluso Fa# m (tonalità parallela di La M), in quanto la triade in questione corrisponderebbe a quella del III grado della nuova tonalità, troppo debole per poter effettuare una modulazione convincente.

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§21.6 Armonie minori usate nel modo maggiore Abbiamo detto più volte che le armonie peculiari del modo minore possono essere utilizzate anche nella variante maggiore (cfr. §15.3): il caso più tipico è quello della triade di sottodominante minore, che può sostituire in modo molto efficace la triade maggiore corrispondente. Questo ci consente di avere un’arma in più da sfruttare per le nostre modulazioni: a partire da Do M, ad esempio, inserendo la triade di sottodominante minore, ed interpretandola come IV, II o VI grado, possiamo modulare rispettivamente a Do m [–3m], a Mib M [–3M] e a Lab M [–4M]. La modulazione a Mib M si presenta in questo modo assai più efficace rispetto al sistema adoperato e descritto nel precedente paragrafo.

Anche in questo caso si può sfruttare il procedimento inverso, ovvero considerare ciascuna delle tre triadi minori presenti in modo naturale in Do M (quelle sul II, sul VI e sul III grado) come sottodominante minore rispettivamente di La M [+3M], Mi M [+4M] e Si M [+5M]. Nell’esempio seguente, nella seconda modulazione viene sfruttato anche un altro accordo peculiare del modo minore nella variante maggiore: si tratta della settima di sopratonica minore.

In modo del tutto simile, partendo da La m e considerando le triadi minori del I e del IV grado come sottodominante minore della nuova tonalità, possiamo modulare rispettivamente a Mi M [+4M] e a La M [+3M]. Anche in questo caso sfruttiamo, subito dopo la sottodominante, la settima di sopratonica minore usata nel modo maggiore:

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Un effetto molto bello, poi, si ottiene sostituendo, nella cadenza d’inganno del modo maggiore, la triade minore del VI grado con la triade maggiore ricavata dalla tonalità variante, costruita quindi sul VI grado abbassato. Questa triade, a sua volta, può essere interpretata come VI, IV, I o V grado della nuova tonalità, e quindi ci consente di modulare rispettivamente a Do m [–3m], Mib M [–3M], Lab M [–4M] e persino a Reb M [–5M].

Va osservato che, nella modulazione alla tonalità variante [–3m], questo sistema si rivela molto più efficace rispetto a quello descritto in precedenza, in quanto allontana ulteriormente la triade di tonica maggiore iniziale da quella minore conclusiva. 21.7 Moto contrario cromatico Se, partendo da una triade maggiore in stato fondamentale, alteriamo in senso ascendente i suoni posti nelle tre voci superiori, e contemporaneamente facciamo scendere di semitono diatonico il basso, otteniamo il terzo rivolto della settima di dominante di una tonalità lontana: questo procedimento prende il nome di moto contrario cromatico, o ventaglio. In alternativa si possono anche far salire le tre voci superiori di semitono diatonico e alterare in senso discendente il basso: si raggiungerà in questo modo la tonalità omofona della precedente.

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Nel caso in cui l’accordo di partenza sia la tonica di Do M, con il moto contrario cromatico sarà possibile raggiungere Fa# M [+6M] o Fa# m [+3m], ma anche Solb M [–6M], tonalità omofona della prima:

Il moto contrario cromatico si può effettuare anche a partire dalle triadi maggiori di dominante e di sottodominante: nel primo caso si potrà modulare a Do# M [+7M] o Do# m [+4m], ma anche a Reb M [–5M], mentre nel secondo caso sarà possibile raggiungere Si M [+5M] o Si m [+2m], ma anche Dob M [–7M]. Attenzione: la triade iniziale non dovrà mai trovarsi in terza posizione, per evitare il formarsi di un errore di quinte reali tra soprano e tenore.

Partendo da una tonalità minore l’unica triade sfruttabile è quella di dominante: esiste tuttavia la possibilità di applicare questo procedimento anche alla triade di tonica, purché prima si alteri la terza, trasformandola così in un accordo perfetto maggiore (cfr. §21.5). Partendo dalla dominante di La m si potrà modulare a Sib M [–2M] o a Sib m [–5m], oltre che a La# m [+7m], mentre dalla tonica minore alterata si possono raggiungere le tonalità di Mib M [–3M] o Mib m [–6m], ma anche la tonalità omofona di quest’ultima, Re# m [+6m]:

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§21.8 Movimenti cromatici Nel precedente paragrafo abbiamo esaminato un tipo di modulazione ai toni lontani che consente, con una semplicissima operazione, di raggiungere velocemente ed efficacemente delle tonalità molto lontane rispetto a quella di partenza. Ciò che rende possibile una soluzione di questo genere, che sembra essere in contrasto con le raccomandazioni date nei precedenti paragrafi vòlte a rendere il passaggio modulante il più possibile graduale e spontaneo, è essenzialmente il movimento cromatico delle voci. Sfruttando il cromatismo, infatti, è possibile far accettare all’orecchio come naturali ed efficaci anche modulazioni prive di armonie comuni come le seguenti, che interessano tonalità poste una 3a (maggiore o minore) “sotto” rispetto alla triade di partenza:

Un movimento cromatico del basso, inoltre, consente di collegare direttamente fra loro diverse armonie dominantiche (anche dominanti secondarie), che nel secondo caso dell’esempio seguente assumono la forma di una breve progressione circolare (in terza derivata) formata da una successione di cadenze evitate (cfr. §19.4):

Sempre tramite movimenti cromatici, infine, si possono connettere anche armonie piuttosto remote. Vediamo ad esempio come il movimento cromatico re–re# consente di trasformare istantaneamente due armonie peculiari di Do M (si tratta rispettivamente del secondo rivolto della settima di sensibile, cfr. §14.3, e dell’accordo di sesta aggiunta, cfr. §8.9) in altrettanti accordi di sesta aumentata (rispettivamente francese e tedesca, cfr. §16.2 e §16.4) di La M [+3M], che risolvono poi con gli ulteriori movimenti cromatici re#–mi e fa–mi. Per quanto riguarda la settima di sensibile, visto che non è stato possibile rispettare la distanza intervallare obbligatoria (cfr. §14.2), si è optato per la preparazione della settima, come accade nell’uso del terzo rivolto.

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ESERCIZI 21.1 – Calcolare la distanza “in ore” fra le seguenti coppie di tonalità nel circolo delle quinte: [§21.1] La Maggiore e Sib Maggiore: Do minore e Sol Maggiore: Mi Maggiore e Re minore: Do# Maggiore e Re Maggiore: Re minore e Si minore: Mi minore e Sol minore: Sib Maggiore e Do# minore: Fa minore e Mib minore:

–5M

21.2 – Individuare le triadi comuni esistenti fra le seguenti coppie di toni lontani: [§21.2] Fa Maggiore e Sol Maggiore: Fa Maggiore e Mi minore: Si minore e Do Maggiore: Re Maggiore e Do Maggiore:

ad esempio, per il primo caso indicare:

21.3 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle precedenti coppie di tonalità utilizzando le triadi comuni. [§21.2]

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21.4 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle seguenti coppie di tonalità adoperando le dominanti secondarie o la sesta napoletana: [§21.3–4] da Sol Maggiore a Re minore da Fa Maggiore a Mib Maggiore da Fa Maggiore a Mi minore da La Maggiore a Re minore da Si minore a Do Maggiore da Sol minore a Re Maggiore

21.5 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle seguenti coppie di tonalità tramite un cambio di modo: [§21.5] da Fa Maggiore a Do minore da Sol Maggiore a Sib Maggiore da Re minore a Sol Maggiore da La Maggiore a Sol Maggiore

21.6 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle seguenti coppie di tonalità ricorrendo ad armonie peculiari del modo minore corrispondente: [§21.6] da Sol Maggiore a Mib Maggiore da La Maggiore a La minore da Fa Maggiore a La Maggiore da Re Maggiore a Mib Maggiore da Sol Maggiore a Sib Maggiore da Fa Maggiore a Re Maggiore

21.7 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle seguenti coppie di tonalità utilizzando il moto contrario cromatico o ricorrendo a movimenti cromatici: [§21.7–8] da Sol Maggiore a Do# minore da Fa Maggiore a Re Maggiore da Sol Maggiore a La Maggiore da Re Maggiore a Lab Maggiore da Re Maggiore a Do Maggiore da Sib Maggiore a Sol Maggiore

LEZIONE XXII ENARMONIA §22.1 Trasformazioni enarmoniche Si attua una trasformazione enarmonica, o enarmonizzazione, quando si sostituiscono uno o più suoni di un accordo con i rispettivi suoni omofoni, ovvero con suoni che corrispondono alle medesime altezze nella scala temperata equabile (quella del pianoforte, per intenderci) ma che vengono chiamati in modo diverso (ad esempio: lab/sol#). Le trasformazioni enarmoniche sono spesso utilizzate dai compositori per rendere più semplice la leggibilità della musica, agevolando quindi gli esecutori: ad esempio, è più semplice leggere le note in Si Maggiore (con 5 diesis in chiave) piuttosto che nel modo omofono di Dob Maggiore (con 7 bemolle). Per i nostri fini, tuttavia, le enarmonizzazioni si riveleranno utili soprattutto per realizzare delle modulazioni ai toni lontani, consentendo un rapido transito dalle tonalità poste nella parte destra del circolo delle quinte (quelle con i diesis) a quelle poste sul lato sinistro (con i bemolle in chiave), e viceversa. Una trasformazione enarmonica può essere realizzata in modo “esplicito”, rendendo cioè visibile il cambio di nome e di significato armonico di un suono, oppure in modo “implicito”, dando per scontato il procedimento. Talvolta per agevolarne la comprensione si usa una via di mezzo, ovvero si inseriscono delle notine nere senza stanghetta, che non vengono pertanto considerate nel conteggio ritmico della battuta. §22.2 Enarmonia della settima di dominante La trasformazione enarmonica della settima di un accordo di settima di dominante genera un accordo di sesta aumentata tedesca. Partendo dalla settima di dominante di Do M, ad esempio, e trasformando il suono fa in mi#, si ottiene la sesta tedesca di Si M [+5M] o di Si m [+2m]. Con il procedimento opposto, ovvero enarmonizzando tutti i suoni di un accordo di settima di dominante tranne la settima, si possono raggiungere le tonalità omofone delle precedenti [Dob M, –7M]:

Questo secondo procedimento si dimostra utile soprattutto quando la tonalità di partenza presenta molti diesis in chiave, visto che questo tipo di trasformazione enarmonica, al contrario della precedente, ci fa spostare in senso “antiorario” nel circolo delle quinte, e quindi verso le tonalità con i bemolle:

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Negli esempi precedenti le trasformazioni enarmoniche sono rese in forma esplicita, indicando così chiaramente il momento in cui avviene il passaggio da una tonalità all’altra. Poiché l’accordo di settima di dominante è identico nei due modi, le medesime tonalità si possono raggiungere anche partendo da una tonalità minore: da Do m, ad esempio, si può modulare a Si M [+8M] o Dob M [–4M], e a Si m [+5m]. Va osservato, infine, che non è affatto indispensabile che l’accordo di settima di dominante di partenza si trovi in stato fondamentale: è possibile infatti usare il terzo rivolto, il cui suono al basso (il IV grado) si trasforma enarmonicamente nel IV grado alterato della nuova tonalità.

Si noti come, nelle precedenti modulazioni, si faccia grande uso dei movimenti cromatici descritti in §21.8. §22.3 Enarmonia della triade aumentata Come sappiamo, la triade aumentata è composta da due terze maggiori sovrapposte (cfr. §2.1): sovrapponendo un’ulteriore terza maggiore si ottiene il raddoppio all’ottava del suono fondamentale, per cui si può dire che questo accordo divida l’ottava in tre “parti” uguali:

Ciò significa che ciascuno dei tre suoni che lo compongono potrebbe fungere da fondamentale senza che l’accordo cambi: questa peculiare caratteristica della triade aumentata la rende particolarmente adatta alle trasformazioni enarmoniche, tramite le quali diventa possibile effettuare delle modulazioni ai toni lontani.

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Vediamo ad esempio come si può trasformare enarmonicamente una triade aumentata, e come cambia di conseguenza il suono che funge da fondamentale dell’accordo:

Ciò significa che un unico accordo partecipa di almeno 3 tonalità. Considerando poi che la triade aumentata può essere interpretata sia come triade maggiore con la quinta alterata, da usarsi sul I o sul V grado di una tonalità maggiore (cfr. §15.4), sia come accordo costruito sul III grado della scala minore armonica, le possibilità di modulazione aumentano a dismisura:

L’esempio precedente è realizzato mantenendo volutamente le tre voci superiori nella medesima posizione, per evidenziare con maggior chiarezza in quanti modi può essere interpretata questa triade. Per realizzare una modulazione fra una qualsiasi coppia delle precedenti tonalità, quindi, sarà sufficiente introdurre l’accordo nella prima tonalità, trasformarlo enarmonicamente nel modo opportuno, e farlo risolvere infine nell’ambito della nuova tonalità:

I movimenti per grado congiunto del basso, anche sotto forma di fioriture melodiche, rendono ancora più efficaci le modulazioni realizzate con questa tecnica.

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§22.4 Enarmonia della settima diminuita L’accordo di settima diminuita (quinta specie) è una quadriade costituita da una 3a minore, una 5a diminuita e una 7a diminuita: ciò significa che tra ciascuno dei suoni che lo compongono intercorre una distanza di 3a minore. Sovrapponendo un’ulteriore 3a minore alla settima si ottiene il raddoppio all’ottava del suono fondamentale: anche questo accordo, pertanto, divide l’ottava in “parti” uguali.

Tramite le opportune trasformazioni enarmoniche, quindi, ciascuno dei 4 suoni può diventare di volta in volta la fondamentale dell’accordo, anche se l’accordo, di fatto, rimane sempre lo stesso:

Di conseguenza, ciascuno dei suoni dell’accordo può essere interpretato come il VII grado di una diversa tonalità che, armonizzato con l’accordo di settima diminuita (settima derivata ricavata dalla nona di dominante minore), risolve sulla tonica: un unico accordo, quindi, è comune a ben 4 tonalità maggiori e altrettante minori, senza contare le tonalità omofone:

Per realizzare una modulazione fra una qualsiasi coppia delle precedenti tonalità sarà sufficiente, come abbiamo visto prima, introdurre l’accordo nella prima tonalità, trasformarlo enarmonicamente nel modo adeguato, e risolverlo quindi nell’ambito della nuova tonalità, ma di ciò ci occuperemo nei prossimi paragrafi, nei quali verranno esaminate in modo approfondito tutte le straordinarie peculiarità di questo accordo. §22.5 Il sistema assiale La simmetria interna che contraddistingue l’accordo di settima diminuita (cfr. §22.4) fa sì che esistano in tutto soltanto tre versioni di questa armonia: come si evince dal seguente esempio, che riporta le settime diminuite costruite su ciascun grado della scala cromatica, soltanto i primi tre accordi non hanno suoni in comune, mentre il quarto accordo (re#-fa#-la-do) presenta gli stessi identici suoni del primo (do-mib-solb-sibb), il quinto (mi-sol-sib-reb) del secondo (do#-mi-sol-sib), e così via…

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A prescindere da quale sia la tonalità in cui ci troviamo, gli unici tre accordi di settima diminuita possibili corrispondono sempre alla settima diminuita sul VII grado (sensibile), a quella sul IV grado alterato (sensibile della dominante) e a quella sul III grado maggiore (sensibile della sottodominante): si tratta, insomma, delle sensibili delle tre funzioni armoniche principali. Tutti i suoni della scala cromatica sono compresi in questi tre accordi, così come tutti i suoni della scala diatonica erano compresi nelle triadi delle tre funzioni armoniche principali (cfr. §3.5).

Il sistema assiale, teoria elaborata da Ernö Lendvai per analizzare la musica di Béla Bartók, prende spunto proprio dalle peculiarità dell’accordo di settima diminuita: secondo questo approccio teorico, infatti, il circolo delle quinte può essere suddiviso in 3 assi, ciascuno dei quali costituito da 4 coppie di tonalità maggiori e minori parallele. I 3 assi sono fra loro complementari, ovvero non presentano suoni in comune, ed insieme esauriscono il totale cromatico: ciascuno di essi prende il nome dalla funzione armonica principale compresa fra le tonalità che ne fanno parte:

Tutte le tonalità maggiori e minori appartenenti al medesimo asse hanno in comune l’accordo di settima diminuita sul VII grado, nelle sue varie trasformazioni enarmoniche. Ad esempio, l’accordo si-re-fa-lab, costruito sulla sensibile di Do M (o di Do m) è comune alle tonalità appartenenti all’asse della tonica: Do M/m, La M/m, Mib M/m, Fa# M/m, oltre alle tonalità omofone Solb M e Re# m, come avevamo già visto in §22.4.

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Ciò è possibile in quanto, come si può verificare osservando attentamente la figura riportante i 3 assi, le tonalità maggiori/minori appartenenti ad un medesimo asse distano fra loro per intervalli di 3a minore, come avviene per i suoni di un accordo di settima diminuita. Applicando lo stesso ragionamento, l’accordo fa#-la-do-mib, costruito sul IV grado alterato (sensibile della dominante), corrisponde alla settima diminuita sul VII grado delle tonalità appartenenti all’asse della dominante: Sol M/m, Mi M/m, Sib M/m, Do# M/m, oltre alle tonalità omofone Reb M e La# m.

Infine, il terzo ed ultimo accordo di settima diminuita, mi-sol-sib-reb, costruito sul III grado maggiore (sensibile della sottodominante), corrisponde alla settima diminuita sul VII grado delle tonalità appartenenti all’asse della sottodominante: Fa M/m, Re M/m, Lab M/m, Si M/m, oltre alle tonalità omofone Dob M e Sol# m.

Utilizzando nel modo più appropriato i tre accordi di settima diminuita, quindi, diventa possibile raggiungere le tonalità appartenenti a ciascuno dei 3 assi, effettuando così una modulazione verso qualunque tonalità maggiore o minore esistente, come vedremo nei prossimi paragrafi: è questa, in fondo, la più interessante peculiarità di questo straordinario accordo. §22.6 Modulazioni nell’asse della tonica Per verificare che due tonalità appartengano al medesimo asse, è sufficiente costruire gli accordi di settima diminuita sul VII grado di entrambe: se i due accordi sono fra loro identici, fatte salve le opportune trasformazioni enarmoniche, la modulazione avverrà nell’ambito dell’asse della tonica. A questo punto sarà sufficiente introdurre il primo accordo, trasformarlo enarmonicamente nel secondo, e farlo quindi risolvere sulla tonica della nuova tonalità. Il consiglio, come sempre, è quello di fare in modo che il movimento del basso, ma se possibile anche quello delle altre voci, privilegi quanto più possibile gli spostamenti per grado congiunto, meglio ancora se di tipo cromatico (cfr. §21.8), scegliendo quindi il rivolto più idoneo dell’accordo di settima diminuita. Poiché questa armonia, per sua natura, è particolarmente ambigua, si rivela spesso molto efficace applicare la risoluzione anticipata della settima, la quale, trasformando

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l’accordo nella settima di dominante della nuova tonalità, chiarisce in modo inequivocabile la direzione presa dal percorso modulante. Le modulazioni proposte nell’esempio seguente sono così organizzate: dopo la triade di tonica viene indicato l’accordo di settima diminuita riferito alla tonalità di partenza, ma con notine nere che non vengono conteggiate nel computo metrico; quindi è stato inserito lo stesso accordo trasformato enarmonicamente in funzione della tonalità di arrivo; per concludere, si è fatta risolvere in modo anticipato la settima ottenendo così la settima di dominante che risolve infine sulla nuova tonica:

Nella quarta modulazione (da Do M a Do m), ovviamente, non è stato necessario effettuare alcuna trasformazione enarmonica. Osservando le tonalità raggiunte con questo sistema, tutte appartenenti all’asse della tonica, si può notare come esse estendano in modo concatenato il principio delle tonalità parallele e delle tonalità varianti (si parla in questi casi di affinità di terza): Fa# m [+3m], infatti, è la parallela di La M [+3M], la cui variante La m [T.p.] è a sua volta la parallela di Do M, la cui variante Do m [–3m] è la parallela di Mib M [–3M], la cui variante Mib m [–6m] è la parallela di Solb M [–6M], omofona di Fa# M [+6M], la cui variante, infine, è Fa# m [+3m], ovvero la tonalità da cui siamo partiti. Le medesime tonalità, ovviamente, possono essere raggiunte partendo da una qualsiasi di esse, con gli opportuni adeguamenti nel moto delle parti: si configura insomma un circuito chiuso. §22.7 Modulazioni verso l’asse della dominante Quando l’accordo di settima diminuita sul VII grado della tonalità di arrivo coincide, con le opportune trasformazioni enarmoniche, alla settima diminuita sul IV grado alterato della tonalità iniziale, ciò significa che la seconda tonalità è posizionata sull’asse della dominante. Per effettuare la modulazione, quindi, la prima operazione consisterà nell’introdurre la settima diminuita sul IV grado alterato della tonalità iniziale: poiché tra i suoni che costituiscono questo accordo è presente anche la tonica, e poiché lo scopo è sempre quello di favorire un collegamento accordale che privilegi per quanto possibile movimenti per grado congiunto del basso, la soluzione migliore consisterà nell’adoperare il secondo rivolto dell’accordo, legando quindi il basso.

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Le medesime tonalità possono essere raggiunte in modo analogo partendo da una qualsiasi delle tonalità poste sull’asse della tonica. Le tonalità dell’asse della dominante corrispondono sempre alle posizioni +1, +4, –2 e –5 (o +7) nel circolo delle quinte.

§22.8 Modulazioni verso l’asse della sottodominante Quando le comparazioni fra accordi di settima diminuita suggerite all’inizio dei due precedenti paragrafi non danno esito positivo, ciò vuol dire che la seconda tonalità deve essere posta sull’asse della sottodominante. Per averne conferma si può costruire la settima diminuita sul III grado maggiore (sensibile della sottodominante) della tonalità iniziale, e verificare che essa corrisponda enarmonicamente alla settima diminuita sul VII grado del tono di arrivo: l’unico inconveniente è che, se la tonalità di partenza è minore, il III grado maggiore non farà evidentemente parte della scala di riferimento, e dovrebbe quindi essere raggiunto tramite un’alterazione cromatica ascendente.

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Per ovviare a questo problema, che potrebbe rendere meno fluida la modulazione, si può optare per una variante enarmonica della medesima settima diminuita, ovvero la settima diminuita costruita sul I grado alterato (sensibile della sopratonica): la soluzione più naturale consiste nel raggiungere questa armonia tramite un movimento cromatico che parte dalla triade di tonica del tono di partenza.

Le tonalità poste sull’asse della sottodominante corrispondono sempre alle posizioni –1, –4, +2 e +5 (oppure –7) del circolo delle quinte, e possono essere raggiunte in modo analogo partendo da una qualsiasi delle tonalità facenti parte dell’asse della tonica. Qualora non si fosse completamente soddisfatti, ricordiamo che per modulare verso l’asse della sottodominante possiamo sfruttare un altro procedimento che è l’esatto opposto di quello adoperato per modulare ai toni dell’asse della dominante (cfr. §22.7), ovvero introdurre la settima diminuita sul VII grado della tonalità iniziale (con eventuale terza abbassata) e interpretarla, enarmonicamente o meno, come settima diminuita sul IV grado alterato della tonalità di arrivo. Questo metodo è ottimo per raggiungere le tonalità poste sul lato sinistro del circolo delle quinte [nelle posizioni: –1M, –4M/m e –7m], mentre con i toni restanti si rivelerebbe troppo farraginoso:

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§22.9 Armonizzazione della scala cromatica In §19.2 abbiamo visto che la prima derivata della progressione dominantica ascendente, nella sua versione modulante, consentiva di armonizzare una scala cromatica ascendente: era sufficiente interpretare ciascuna ripetizione del modello della progressione come una successione armonica VII–I, e armonizzare il primo accordo con il primo rivolto della settima di dominante che risolve sulla tonica. Tuttavia, poiché il VII grado che risolve sulla tonica si può armonizzare anche con l’accordo di settima diminuita (cfr. §14.4–5), nulla ci impedisce di estendere questa soluzione all’intera progressione:

Ad una più attenta analisi, poi, non sfuggirà che questa progressione si può interpretare come una progressione circolare ascendente, visto che ciascuna sensibile risolve su una tonica che a sua volta può essere interpretata enarmonicamente come la sensibile del suono successivo (ad esempio: lab = sol# = sensibile del la successivo). Da questa considerazione nasce la seguente possibile armonizzazione della scala cromatica ascendente, che fa uso esclusivamente di accordi di settima diminuita che si concatenano fra di loro:

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Una simile soluzione, tuttavia, produce un movimento parallelo di tutte le voci, il quale, pur non generando errori di moto retto (non sono presenti, infatti, intervalli di 8a e/o di 5a giusta, gli unici a rischio da questo punto di vista: cfr. §2.6), non si rivela comunque molto elegante. Per garantire un più appropriato moto delle parti, quindi, è opportuno trasformare enarmonicamente il secondo accordo del modello, sostituendolo con il secondo rivolto di settima diminuita. Dal punto di vista sonoro non cambia nulla, i suoni sono sempre gli stessi, anche se chiamati in un altro modo. Dal punto di vista armonico, invece, si ottiene la reiterazione della sequenza VII7–IV34, e si assiste all’alternanza regolare fra due voci che si muovono per semitono cromatico e altre due che procedono per semitono diatonico:

La medesima soluzione, naturalmente, si può applicare anche alla scala cromatica discendente, rovesciando la sequenza armonica del modello da VII7–IV34 a IV34–VII7: si ottiene così una “variante” della terza derivata della progressione circolare (cfr. §19.4).

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ESERCIZI 22.1 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle seguenti coppie di tonalità trasformando enarmonicamente l’accordo di settima di dominante del tono di partenza: [§22.2] da Sol Maggiore a Fa# minore da Fa Maggiore a Mi Maggiore da Sib Maggiore a La minore da La Maggiore a Lab Maggiore

22.2 – Realizzare due diverse trasformazioni enarmoniche delle seguenti triadi aumentate, e far quindi risolvere l’accordo evidenziando le tonalità in cui può essere collocato: [§22.3]

22.3 – Individuare tutte le possibili trasformazioni enarmoniche del seguente accordo di settima diminuita, e farlo risolvere correttamente nelle tonalità corrispondenti: [§22.4]

22.4 – Rispetto alla tonalità di Sol Maggiore, indicare se le seguenti tonalità appartengono all'asse della tonica (T), della dominante (D) o della sottodominante (S): [§22.5] La Maggiore: Lab Maggiore: Sol minore: Fa# Maggiore: Do minore: Do# minore: Re minore: Si Maggiore: Sib minore:

S

22.5 – Partendo dalla tonalità di Re Maggiore, realizzare una modulazione verso ciascuna delle tonalità poste sull’asse della tonica. [§22.6]

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22.6 – Partendo dalla tonalità di Fa Maggiore, realizzare una modulazione verso ciascuna delle tonalità poste sull’asse della dominante. [§22.7]

22.7 – Partendo dalla tonalità di Sol Maggiore, realizzare una modulazione verso ciascuna delle tonalità poste sull’asse della sottodominante, adoperando di volta in volta la trasformazione enarmonica che si ritiene più appropriata. [§22.8]

22.8 – Realizzare una modulazione tra ciascuna delle seguenti coppie di tonalità lontane scegliendo di volta in volta il sistema di modulazione che si ritiene più appropriato fra tutti quelli studiati: da Sol minore a Si Maggiore da Fa Maggiore a Si minore da Do minore a Si Maggiore da Sol Maggiore a Mib Maggiore da Re minore a Fa# minore da Fa Maggiore a Do# minore da Re Maggiore a Sib minore da Lab Maggiore a Mi minore da Do minore a Sib Maggiore da Re Maggiore a Sol# minore da La minore a Fa minore da Sol Maggiore a La Maggiore

22.9 – Armonizzare le seguenti scale cromatiche con gli accordi di settima diminuita: [§22.9]

PARTE SESTA ANALISI E FORME COMPOSITIVE

LEZIONE XXIII PRINCIPI DI ANALISI MUSICALE

§23.1 Analogia e contrasto Scrivere musica significa essenzialmente giustapporre, mettere insieme, combinare fra loro elementi diversi: ecco perché si dice che l’autore di musica “com-pone”, e viene quindi definito “compositore”. Analizzare un brano musicale rappresenta, per certi versi, l’operazione diametralmente opposta alla composizione: chi fa analisi, infatti, deve letteralmente smontare una composizione, ovvero “scom-porla”. L’obiettivo dell’analisi non è tanto quello di tentare di ricostruire il processo creativo che ha portato l’autore a generare quella determinata composizione, come pure vorrebbero alcuni analisti, quanto piuttosto quello di individuare alcuni precisi elementi che conferiscono un carattere peculiare al brano musicale in questione, e che lo apparentano e/o lo differenziano dal repertorio musicale a cui esso appartiene. L’iter creativo richiede al compositore un’attenta valutazione vòlta a bilanciare due principi opposti e complementari: analogia e contrasto. Il principio di analogia porta l’autore a riproporre un’idea musicale già esposta, sia per conferirle un particolare rilievo, sia per assecondare le aspettative sue e degli ascoltatori, che istintivamente vengono appagati dal senso di sicurezza che dà il riascoltare qualcosa che si è appena ascoltato, soprattutto nel caso in cui si tratti di un’idea particolarmente riuscita e interessante. D’altro canto, tuttavia, per evitare il sorgere di una possibile monotonia è necessario introdurre di tanto in tanto delle idee nuove, e quindi contrastanti con le precedenti. Il bilanciamento fra questi due principi si può riscontrare in tutti i livelli in cui vuole spingersi l’analisi, dal grande al piccolo, e vale sia nel caso in cui rivolgiamo la nostra attenzione ad una breve composizione, o a una piccola parte di una composizione più ampia, sia nel caso in cui l’oggetto della nostra analisi sia un brano di ampio respiro. Non vanno dimenticate, naturalmente, anche le considerazioni di ordine stilistico, per cui la musica barocca tende a privilegiare il principio di analogia molto più di quanto avviene, ad esempio, nella produzione musicale del XX secolo. Il periodo classico, quello posto a cavallo fra XVIII e XIX secolo, e riconducibile alle figure di Haydn, Mozart e Beethoven, è forse l’epoca in cui il bilanciamento fra analogia e contrasto raggiunge l’equilibrio perfetto. §23.2 I parametri della musica La musica è un fenomeno estremamente complesso, prodotto dalla stretta interazione di diversi parametri: nonostante si riveli spesso difficile, se non impossibile, esaminarli separatamente, proprio perché si condizionano a vicenda, in sede analitica ciò diventa indispensabile per poter argomentare in modo sistematico le nostre deduzioni. 1. La melodia è il parametro che interessa la dimensione “orizzontale” del discorso musicale, il suo svolgersi nel tempo, ed è solitamente l’elemento più facilmente riconoscibile, anche al primo ascolto. Il “profilo” di una melodia, ovvero il tracciato che disegna nel continuum temporale, può assumere una delle seguenti forme:

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-

melodia ad arco: si configura un “arco melodico” nello spazio diastematico, consistente in una salita che, dopo aver raggiunto un punto culminante, viene seguita da una discesa più o meno simmetrica; melodia unidirezionata: il profilo assume una direzione esclusivamente ascendente o discendente; melodia sinusoidale: la linea melodica ruota intorno ad un suono centrale, un “perno” sonoro, toccando i suoni immediatamente superiori e inferiori.

Esistono, naturalmente, profili melodici “ibridi”, che però possono essere fatti comunque rientrare, pur con qualche approssimazione e/o compromesso, in una delle tre forme principali. La valutazione, inoltre, dipenderà in misura significativa dalla porzione di brano musicale esaminato, come illustra il seguente esempio in cui una linea melodica complessivamente sinusoidale è in realtà formata dall’accostamento di due profili ad arco:

2. L’armonia è invece il parametro che si occupa della dimensione “verticale” della musica: il suo oggetto di studio sono quindi gli accordi, in quanto combinazioni sincroniche di più suoni. L’analisi armonica, tuttavia, non si limita a prendere in considerazione i singoli accordi come entità indipendenti, ma ne esamina anche la proiezione del tempo: dalla loro successione (cha dà luogo alla sintassi armonica) alla velocità con cui si succedono (il ritmo armonico), dall’articolazione delle cadenze (che attribuisce un valore gerarchico ai singoli accordi) all’eventuale affermazione di un centro tonale alternativo rispetto a quello d’impianto (tramite modulazione e/o tonicizzazione di un grado secondario). 3. Il ritmo è anch’esso un parametro che indaga principalmente la dimensione “orizzontale” del linguaggio musicale, ed è determinato dalla combinazione dei diversi valori di durata. Il ritmo iniziale di una composizione musicale, o di una parte di essa, può essere: -

tetico: il primo suono coincide con l’inizio della battuta (inizio in battere); anacrusico: l’inizio precede il battere della prima battuta (inizio in levare); acefalo: sul battere è collocata una pausa.

Il ritmo conclusivo, a sua volta, può essere: - tronco o maschile: l’ultimo suono coincide con il battere dell’ultima battuta; - piano o femminile: la conclusione avviene a metà battuta.

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Nell’ambito del parametro ritmo intervengono anche considerazioni che riguardano: -

-

il prevalere o meno di un unico valore ritmico (il precedente esempio beethoveniano, ad esempio, è quasi totalmente costituito da semiminime); l’eventuale presenza di una figurazione ritmica ricorrente e caratterizzante; il rapporto tra ritmo e metro, che può essere concordante (nel caso in cui il profilo ritmico superficiale assecondi la griglia metrica sottostante) o discordante (nel caso in cui fossero presenti effetti come la sincope o l’hemìola (cfr. §24.1.1) che tendono a contraddire l’organizzazione metrica); la velocità di scansione del tactus, che determina l’andamento di una composizione, e che può essere eventualmente quantificato dall’indicazione metronomica.

4. Il timbro è determinato dai diversi strumenti musicali impiegati dal compositore: possiamo avere composizioni per strumento solo, per gruppi da camera (duo, trio, quartetto ecc.), per orchestra, per voce, per gruppi di voci, e per voci e strumenti. 5. La texture è il modo in cui è scritta una composizione, ed è determinata a sua volta dalla combinazione dei parametri precedenti: il termine anglofono, infatti, rimanda all’intreccio di eventi orizzontali e verticali che crea qualcosa di paragonabile alla trama di un tessuto. Seguendo un percorso di evoluzione storica possiamo distinguere textures: -

monodiche: è presente una sola linea melodica priva di accompagnamento (come avviene ad esempio nel canto gregoriano); eterofoniche: l’unica linea melodica è eseguita da più musicisti (strumentisti e/o cantanti), ciascuno dei quali può apportare delle varianti più o meno elaborate in base alle proprie capacità esecutive; omofoniche: sono presenti due o più linee melodiche sovrapposte, e più o meno indipendenti, che procedono tutte con la medesima scansione ritmica (come avviene ad esempio nel corale); polifoniche o contrappuntistiche: sono presenti due o più linee melodiche sovrapposte perfettamente indipendenti, sia dal punto di vista melodico che ritmico; melodia accompagnata: una linea melodica opportunamente messa in evidenza viene supportata da un accompagnamento che funge da sfondo.

A sua volta una composizione polifonica può essere basata sul contrappunto imitato, quando i medesimi elementi melodici vengono scambiati fra le diverse voci che compongono la trama musicale (come accade nella fuga), mentre una melodia accompagnata può essere eventualmente supportata da una seconda linea melodica con funzione di controcanto, magari parzialmente nascosta dentro lo stesso accompagnamento. Parametri di secondaria importanza, come la dinamica e il fraseggio, possono altresì essere determinanti per mettere in evidenza alcuni aspetti utili per l’analisi di una specifica composizione.

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§23.3 Le demarcazioni formali L’interazione fra tutti i parametri musicali descritti in §23.2 produce la forma, ovvero la struttura architettonica di una composizione musicale, il modo in cui sono organizzate le idee sull’asse del continuum temporale. Nonostante la forma costituisca spesso il punto di arrivo del processo compositivo, solitamente l’analisi musicale prende le mosse proprio dall’individuazione della struttura formale complessiva di una composizione, per poi scendere man mano nel particolare. Grande importanza rivestono, nella fattispecie, le “cesure”, ovvero quelle interruzioni nel flusso musicale che producono delle demarcazioni utili per “sezionare” la composizione in parti sempre più piccole, risalendo in questo modo dal “tutto” fino alle unità musicali di base. I fattori che possono determinare una cesura sono molteplici, e spesso operano in azione congiunta. Possiamo tentare di stilarne un breve elenco, in funzione dei singoli parametri interessati: -

fattori melodici: la conclusione di una linea melodica, magari evidenziata dal fraseggio; l’apparizione di una nuova idea motivica; uno spostamento di registro (verso l’acuto o verso il grave); fattori armonici: una cadenza; una modulazione, o semplicemente l’affermazione di un centro tonale secondario; un’accelerazione/decelerazione del ritmo armonico; fattori ritmici: l’apparizione di una nuova figurazione ritmica; un cambiamento metrico e/o di andamento; una modificazione dell’agogica (rallentando, stringendo ecc.); fattori timbrico/dinamici: in una composizione per più strumenti, un’alternanza fra timbri o gruppi di timbri; l’apparizione di un’indicazione dinamica contrastante; fattori testurali: un cambiamento di texture; un nuovo tipo di accompagnamento; l’inversione dei ruoli fra mano destra e mano sinistra in una composizione pianistica;

Naturalmente le cesure che determinano le demarcazioni formali principali di una composizione saranno più nette, più drastiche, mentre nelle piccole dimensioni potrà essere sufficiente una modificazione superficiale degli eventi sonori per determinare un effetto degno di nota. §23.4 La micro–forma Il periodo è la più piccola “unità musicale” che abbia un senso compiuto: in genere un periodo corrisponde ad 8 battute, inizia e termina con l’armonia di tonica, ed è a sua volta formato da vari elementi più piccoli combinati insieme, che adesso esamineremo uno ad uno. L’inciso, per iniziare, è la più piccola unità musicale riconoscibile: un inciso corrisponde solitamente ad 1 battuta, ha un profilo ritmico–melodico caratterizzante, ed è il primo “mattone” su cui viene costruito l’edificio musicale. Un inciso, tuttavia, non è autosufficiente, ma si deve associare ad altri incisi per poter produrre un senso. L’unione di 2 incisi genera una semifrase (corrispondente di solito a 2 battute): se fra i 2 incisi prevale il principio di analogia (cfr. §23.1), la semifrase sarà basata sul modello [aa] (se i 2 incisi sono simili, ma non identici, potremmo eventualmente parlare di modello [aa’], ma soltanto se ciò risulta essere significativo ai fini dell’analisi); se invece prevale il principio di contrasto, la semifrase sarà del tipo [ab].

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L’unione di 2 semifrasi, a sua volta, produce una frase, corrispondente solitamente a 4 battute: la frase è la più piccola unità musicale che abbia un senso musicale, anche se da sola non possiede ancora un senso compiuto. Anche in questo caso, naturalmente, agiscono i principi contrapposti di analogia e contrasto: solitamente quando all’interno della prima semifrase prevale l’analogia (ovvero essa è formata da 2 incisi simili), il compositore cercherà di ottenere varietà combinandola con una seconda semifrase contrastante, come avviene nel seguente esempio schumanniano:

Al contrario, se i 2 primi incisi sono differenti (semifrase del tipo [ab]), un ulteriore contrasto potrebbe mettere in crisi la coerenza musicale del brano: in tal caso, quindi, il contrasto sarà compensato con una seconda semifrase che inizia in modo simile alla prima:

In quest’altro caso, invece, il contrasto interno alla prima semifrase [ab] è compensato con una seconda semifrase [b’c] che prende le mosse da un inciso simile all’inciso conclusivo della prima:

Gli esempi precedenti, che si limitano a presentare il profilo melodico principale dei brani interessati, mettono in evidenza il ruolo fondamentale svolto dal fraseggio, almeno nelle “piccole dimensioni”, nel determinare le demarcazioni formali. Dall’esame delle sigle utilizzate, inoltre, si può determinare uno dei capisaldi dell’analisi musicale: ciò che riveste una grande importante nelle piccole dimensioni (come ad esempio l’indicazione [aa’] per identificare con esattezza la struttura interna della prima semifrase di Volkliedchen), può perdere di interesse già al livello di analisi immediatamente superiore (ed infatti nell’esempio la frase è indicata con [aa-bc], senza più tener conto della non perfetta identità fra i primi 2 incisi). Talvolta, ma accade piuttosto di rado, una semifrase può essere composta da 3 incisi, così come una frase può essere costituita da 3 semifrasi: si parlerà in questi casi rispettivamente di semifrase e/o di frase ternaria. Va osservato, infine, che in base all’andamento del brano, le dimensioni delle singole unità possono essere talvolta raddoppiate (incisi di 2 battute, semifrasi di 4 battute ecc.) per compensare la maggior velocità del tactus, o dimezzate (incisi di mezza battuta, semifrasi di 1 battuta ecc.) per l’esigenza opposta.

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§23.5 Periodo binario e periodo ternario Il periodo è il risultato della combinazione di 2 o 3 frasi: parleremo quindi rispettivamente di periodo binario e periodo ternario. Un periodo binario è composto da 2 frasi fra loro molto simili, che si differenziano unicamente per la cadenza conclusiva: la prima frase, definita antecedente, termina con una cadenza aperta, non conclusiva (di solito una cadenza sospesa alla dominante), mentre la seconda frase, definita conseguente, si conclude sull’armonia di tonica con una cadenza perfetta. Notiamo come, giunti a questo livello di analisi, i fattori armonici cominciano a prendere il sopravvento su quelli esclusivamente melodici.

Il periodo binario è quindi basato su relazioni simmetriche fra tutti i livelli, come si evince dal precedente esempio schumanniano: incisi di 1 battuta, semifrasi di 2 battute (1+1), frasi di 4 battute (2+2) e periodo di 8 battute (4+4). Un periodo ternario, invece, è composto da 3 frasi, con la seconda che si pone in modo contrastante rispetto alle altre due, fra loro simili. Nel seguente esempio schumanniano la seconda frase è contrastante sia dal punto di vista melodico che da quello armonico (inizia e finisce con l’armonia di dominante), ed inoltre è composta da 3 semifrasi (per un totale di 6 battute), mentre la frase conclusiva è identica a quella iniziale:

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§23.6 La piccola forma–Lied In teoria una composizione musicale molto breve potrebbe anche essere costituita da un unico periodo. Il Preludio in la maggiore op.28 n.7 di Chopin rappresenta un esempio di questo tipo: il brano consta complessivamente di 16 battute, ma ciò non deve trarre in inganno in quanto si ravvisano chiaramente 2 frasi di 8 battute ciascuna, mentre le unità musicali più piccole, gli incisi, corrispondono ciascuna a 2 battute (e sono messe in rilievo dal fraseggio).

Lo soluzione di gran lunga più frequente, tuttavia, consiste nella combinazione di 2 o più periodi per formare strutture musicali più ampie, corrispondenti ad un’intera composizione relativamente breve (circa 24–32 battute), oppure ad una singola sezione di una composizione più ampia (cfr. §23.7). Quando, dalla combinazione dei diversi periodi, si evince un’organizzazione complessiva articolata in 2 parti, talvolta evidenziata da segnali espliciti (doppia stanghetta, segno di ritornello ecc.), si configura una piccola forma–Lied binaria (detta anche forma–canzone binaria). In questi casi la prima parte è costituita solitamente da un periodo binario (periodo α), formato da antecedente + conseguente [a+a’], che può concludersi alla tonica (ed essere quindi autosufficiente) o alla dominante. La seconda parte, invece, è più complessa, e può essere formata da un solo periodo o da 2 diversi periodi. Anche nel caso in cui non siano presenti gli appositi segni di ritornello, la ripetizione di una o di entrambe le parti può essere scritta per esteso. Nel caso in cui la seconda parte sia costituita da un solo periodo (periodo β), questo sarà formato da una prima frase [b] contrastante (dal punto di vista melodico e, soprattutto, armonico), e da una seconda frase identica, o molto simile, al conseguente del periodo α [a’]. Possiamo parlare in questi casi di piccola forma–Lied binaria a 2 periodi, come evidenziato dallo schema seguente tratto da Stückchen op.68 n.5 di Schumann (gli esempi proposti in questo paragrafo sono tutti ricavati dalla raccolta pianistica Album für die Jugend op.68 di Robert Schumann): prima parte

seconda parte

periodo α [4+4]

periodo β [4+4]

frase a + frase a’

frase b + frase a’

T–T

D–T

È evidente che, nel caso in cui la prima parte si dovesse concludere alla dominante, la cadenza conclusiva del periodo β dovrà essere necessariamente modificata convergendo verso la tonica: è ciò che accade, ad esempio, nella Melodie op.68 n.1, dove fra l’altro si può verificare come la ripetizione completa del periodo β non alteri nella sostanza la piccola struttura formale.

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Quando invece la seconda parte consta di 2 periodi, collegati fra loro senza soluzione di continuità, il primo (periodo β) nel suo insieme si porrà in modo (armonicamente e melodicamente) contrastante rispetto al periodo α della prima parte, mentre il secondo (periodo α’) lo riprenderà in modo più o meno fedele. Si configura quindi una piccola forma–Lied binaria a 3 periodi, ben evidenziata dal brano Soldatenmarsch op. 68 n.2, da cui è ricavato lo schema seguente: prima parte

seconda parte

periodo α [4+4]

periodo β [4+4]

periodo α’ [4+4]

frase a + frase a’

frase b + frase b’

frase a + frase a’

T–D

D–D

T–T

Nel caso in cui l’organizzazione complessiva sia articolata in 3 parti, invece, si può parlare di piccola forma–Lied ternaria, o semplicemente piccola forma ternaria: in queste occasioni il periodo β, armonicamente e melodicamente contrastante, costituisce da solo la seconda parte, ed è seguito dalla riproposizione conclusiva del periodo α, che rappresenta quindi la terza parte. La struttura formale, che si configura pertanto perfettamente equilibrata, è ben rappresentata dallo schema seguente ricavato dal brano Trällerliedchen op.68 n.3: prima parte

seconda parte

terza parte

periodo α [4+4]

periodo β [4+4]

periodo α [4+4]

frase a + frase a’

frase b + frase b’

frase a + frase a’

T–T

D–D

T–T

Non è sempre facile distinguere nettamente una piccola forma–Lied binaria a 3 periodi dalla piccola forma–Lied ternaria, come si può facilmente verificare confrontando i relativi schemi. In linea di massima, per poter parlare di piccola forma ternaria è necessario che sia presente una chiara cesura tra il periodo β e la ripresa del periodo α, che determini quindi una suddivisione complessiva in 3 parti: da questo punto di vista Trällerliedchen lascia qualche piccolo dubbio interpretativo, che invece non si riscontra in brani come Wilder Reiter op.68 n.8 e Volksliedchen op.68 n.9, in cui una doppia stanghetta costituisce una più che eloquente demarcazione formale.

Elementi di armonia e analisi musicale

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§23.7 La macro–forma In composizioni di più ampio respiro una combinazione di 2 o 3 periodi non è più sufficiente a completare la struttura formale dell’intero brano: in questi casi una piccola forma–Lied binaria o ternaria può comunque dar luogo ad una parte di esso, che prende il nome di sezione. Nel Preludio in reb maggiore op.28 n.15 ‘La goccia d’acqua’ di Chopin, ad esempio, possiamo individuare la seguente organizzazione della struttura formale complessiva: -

una prima sezione (bb. 1–27), a sua volta costituita da una piccola forma ternaria (periodo α: bb. 1–8; periodo β: bb. 9–19; periodo α: bb. 20–27); una sezione mediana contrastante (bb. 28–75); la riproposizione conclusiva (e abbreviata) della sezione iniziale (bb. 76–89).

Si ripropone, insomma, ad un livello superiore, la medesima organizzazione basata sul modello ABA che contraddistingue sia il periodo ternario (cfr. §23.5) che la piccola forma–Lied ternaria (cfr. §23.6), e di conseguenza il medesimo equilibrio fra analogia e contrasto che abbiamo visto operare nella micro–forma (cfr. §23.4). In questo contesto, tuttavia, il contrasto dovrà essere molto più evidente rispetto a quello che si può riscontrare fra un periodo e l’altro, ed infatti Chopin coinvolge nell’operazione tutti i parametri: -

melodia: appare una nuova idea tematica; armonia: il tono d’impianto, reb maggiore, viene sostituito dal tono della variante (do# minore, in luogo dell’inesistente reb minore), con tanto di mutazione nell’armatura di chiave; ritmo: il ritmo puntato iniziale cede il passo ad una scansione ritmica uniforme; timbro: il passaggio al registro grave dello strumento crea di fatto un nuovo colore timbrico; texture: il suono ribattuto che funge da ostinato, e che dà origine al titolo del brano, passa alla voce più acuta, mentre la mano sinistra è impegnata in una sequenza omofonica nella quale due voci si muovono in modo semi–parallelo riproducendo di tanto in tanto le cosiddette “quinte dei corni”.

Le composizioni musicali più complesse sono spesso costituite da 2 o più sezioni accostate fra loro: sulla base del loro numero possiamo quindi parlare di forme bipartite, tripartite, o di forme complesse, costituite da più di 3 sezioni, o comunque da sezioni che a loro volta presentano una strutturazione interna articolata (forma–sonata, forma–rondò ecc.). Una forma tripartita articolata sul modello ABA (le sezioni sono sempre identificate da lettere maiuscole), come nel caso del precedente esempio chopiniano, è molto frequente, e può essere definita grande forma ternaria, o anche grande forma–Lied (cfr. §24.8.2): si tratta di una struttura formale che ebbe grande successo in epoca romantica, e venne posta alla base di gran parte dei cosiddetti pezzi caratteristici (come ad esempio i Notturni di Chopin). Come si può constatare, i raggruppamenti binari e ternari sono una costante in tutti i livelli di analisi formale, con i primi che prevalgono nelle piccole dimensioni, e i secondi man mano che ci si spinge verso la macro–forma: essi rispondono all’esigenza di avere una struttura chiara e facilmente percepibile dall’ascoltatore, che permetta un perfetto bilanciamento fra i principi di analogia e contrasto.

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ESERCIZI 23.1 – Analizzare, accordo per accordo, le armonie che si riscontrano nel brano Wilder Reiter dalla raccolta pianistica Album für die Jugend op.68 di Robert Schumann, adoperando i simboli usati per l’armonizzazione del basso, ed evidenziando in particolare le cadenze e le eventuali modulazioni/tonicizzazioni. [§23.2]

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23.2 – Dello stesso brano esaminare il profilo melodico, gli aspetti ritmici e il tipo di texture, e il modo in cui tutti questi fattori concorrono nel produrre le cesure che determinano le demarcazioni formali. [§23.2–3] 23.3 – Esaminare quindi la struttura della micro–forma, in particolare il modo in cui è formato il periodo inziale (fino al segno di ritornello). [§23.4–5] 23.4 – Esaminare infine la struttura formale complessiva del brano, indicando a quale tipologia essa appartiene. [§23.6–7] 23.5 – Ripetere le stesse operazioni analitiche con altri brani appartenenti alla medesima raccolta, e in seguito con altre composizioni anche di più complessa struttura.

LEZIONE XXIV FORME COMPOSITIVE

§24.1 La suite barocca In senso lato una suite non è altro che una successione di brani che, insieme, formano un’unica composizione musicale: può trattarsi tanto di una composizione originale, come ad esempio la Suite Bergamasque per pianoforte di Debussy, oppure di una sequenza di brani tratti da un’opera lirica o da un balletto, come nel caso della Suite op.71a da Lo Schiaccianoci di Ciajkovskij. È nel periodo barocco, tuttavia, che la suite nasce e ha il suo più grande sviluppo: se il padre della suite barocca può essere considerato Johann Jacob Froberger (1616–1667), il primo compositore che pensò di organizzare una serie di danze stilizzate in una sequenza univocamente definita, va detto che già nel secolo precedente vi era l’abitudine di accoppiare danze di carattere contrastante, di solito la prima lenta (pavana o passamezzo) e la seconda veloce (gagliarda, saltarello o giga), mentre all’inizio del XVII secolo la sequenza poteva essere composta anche da 4 danze, scelte però di volta in volta, e unite quindi in modo estemporaneo. La suite (termine che in francese significa semplicemente successione) nelle varie aree geografiche veniva anche definita ordre (in Francia) o partita (in Germania). Fra i maggiori autori di suites barocche, un ruolo di primissimo piano spetta naturalmente a Johann Sebastian Bach (1685–1750), autore di suites per clavicembalo (cfr. le Suites francesi, le Suites inglesi e le Partite), per altri strumenti (le Partite per violino solo, le Suites per violoncello solo, le Suites per liuto, la Partita per flauto solo), ma anche per orchestra (le 4 Suites, dette anche Ouvertures dal titolo del brano introduttivo: cfr. §24.2). La suite barocca è formata da una sequenza di danze stilizzate: la sequenza base è formata dalle 4 danze fisse (allemanda–corrente–sarabanda–giga), ma può essere arricchita con altri brani che non siano necessariamente danze. In ogni caso tutti i brani sono basati sulla medesima tonalità, come avviene ad esempio nella Suite inglese n.2 in la minore di Bach, dalla quale sono tratti la maggior parte degli esempi presentati nei paragrafi seguenti. §24.1.1 Le danze fisse L’allemanda (dal francese allemande) è una danza di origine tedesca in tempo pari (di solito 2/4 o 4/4), con andamento moderatamente lento, e un caratteristico incipit con ritmo anacrusico (di solito una semicroma in levare) realizzato tramite un suono ribattuto.

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La corrente (dal francese courante) è invece una danza di origine francese in tempo ternario (3/4 o 3/2), con andamento moderatamente mosso, un ritmo iniziale spesso anacrusico (una croma in levare) e caratteristici effetti di hemìola (cfr. le bb. 5–6 dell’esempio seguente, in cui il metro apparente si trasforma momentaneamente da 3/2 in 6/4, e quindi da un metro ternario semplice ad un metro binario composto, senza che muti l’indicazione metrica ufficiale).

La sarabanda è una danza di origine spagnola in tempo ternario (3/4 o 3/2), con andamento lento, carattere solenne, quasi ieratico, e ritmo iniziale tetico; peculiare di questa danza è l’accentuazione del secondo tempo di battuta, cui spesso viene associato un suono di durata doppia rispetto all’unità di misura (cfr. ad esempio la b. 2 del seguente esempio). Anche per via del suo andamento lento, la sarabanda si presta molto bene ad essere arricchita con un gran numero di abbellimenti.

La giga, infine, è una danza di origine non ben definita (forse italiana, oppure anglosassone, dalla jig irlandese e scozzese) in tempo composto (6/8, 9/8 o 12/8), con andamento molto vivace, e tipico incipit con ritmo anacrusico. Talvolta può iniziare con un’imitazione come se si trattasse di un canone o di un’invenzione a due voci. Per via del suo carattere brillante la giga si presta molto bene a concludere la suite.

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La struttura formale delle danze fisse può essere schematizzata nel modo seguente:

Si tratta quindi di una forma bipartita (cfr. §23.7), in cui ad una prima sezione che inizia nel tono d’impianto e si conclude cadenzando sulla dominante, segue una seconda sezione, simmetrica alla prima, che inizia nel tono della dominante e ritorna alla tonica. Entrambe le sezioni sono contrassegnate da segni di ritornello. Nel caso in cui il tono d’impianto sia minore, il centro tonale intermedio (la dominante) può essere sostituito dal tono della parallela maggiore (cfr. §25.2). Dal punto di vista motivico, non è ancora possibile riconoscere la presenza di un vero e proprio tema (che apparirà soltanto nel periodo classico), ma si può senz’altro percepire una certa uniformità motivica che rende plausibile identificare le 2 sezioni con la sigla [A–A’], piuttosto che [A–B], e adoperare la definizione di forma monotematica bipartita, o forma di danza della suite. §24.1.2 Le altre danze della suite Tra la sarabanda e la giga, e unicamente fra questi due brani, la suite barocca prevede la possibilità che siano inserite altre danze stilizzate, dette galanteries, scelte fra le seguenti: Il minuetto (dal francese pas menu, piccolo passo) è una danza di origine francese in tempo rigorosamente ternario (3/4 o 3/8) e andamento moderato. La struttura formale è leggermente diversa rispetto a quella delle danze fisse, e corrisponde piuttosto ad una piccola forma–Lied binaria a 3 periodi (cfr. §23.6) che può essere sintetizzata in modo efficace dallo schema seguente:

Il minuetto viene sempre abbinato ad un minuetto II, brano dotato di una struttura formale simile a quella del minuetto I, ma basato su un centro tonale contrastante (solitamente il tono della parallela della tonica, o in alternativa il tono della variante): si tratta dell’unica eccezione al principio della monotonalità che contraddistingue la suite barocca (cfr. §24.1). Alla fine del minuetto II si incontra la dicitura D.C. Minuetto I, che indica appunto l’obbligo di riproporre il primo brano della coppia, solitamente non tenendo più conto dei segni di ritornello: si produce quindi una forma complessiva tripartita, sul modello A–B–A. A

B

A

Minuetto I

Minuetto II

D.C. Minuetto I

tono d’impianto

tono parallelo o variante

tono d’impianto

La bourrée è una danza di origine francese in tempo binario (2/4 o 2/2), con andamento vivace, e ritmo iniziale solitamente anacrusico. La struttura formale è analoga a quella delle danze fisse (cfr. §24.1.1). Anche la bourrée viene sempre accoppiata ad una bourrée II (nel tono della parallela o della variante della tonica), dopo la quale è prevista la ripetizione della bourrée I.

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La gavotta è, invece, una danza di origine francese in tempo pari (4/4 o 2/2), con andamento moderato, e caratterizzata da un tipico incipit anacrusico che occupa metà battuta. La struttura formale rispecchia quella delle danze fisse della suite, e anch’essa viene sempre abbinata ad una gavotta II che, basata sul tono della parallela o della variante della tonica, è tipicamente sviluppata su un lungo pedale di tonica (artificio tipico di un’altra danza, la musetta).

Altre galanteries possono essere: la siciliana, la musetta, la loure, la polonaise, il passepied e la badinerie. Il double, invece, consiste nella variazione ornamentale di una danza eseguita in precedenza. Eccezionalmente vi possono figurare anche brani che non presentano carattere di danza, come ad esempio la celeberrima Aria sulla IV corda nella Suite per orchestra n.3 di Bach. §24.2 Il preludio, la toccata e l’ouverture La danze fisse della suite barocca sono talvolta precedute da un preludio: si tratta di un brano di carattere introduttivo, privo di una struttura formale ben definita. Si parla in questi casi di una forma ad invenzione continua (in tedesco Durchkomponiert), in cui si alternano liberamente diverse idee musicali, quasi come si trattasse di un’improvvisazione scritta. Un preludio, tuttavia, può anche essere adoperato per introdurre una composizione di più alto impegno compositivo (tipico è infatti l’abbinamento Preludio e Fuga), ma per questa specifica funzione può essere sostituito dalla toccata, brano dotato di caratteristiche simili al preludio, ma contraddistinto da un maggior grado di virtuosismo. A partire dal XIX secolo, il preludio si emancipa dalla funzione di brano introduttivo, diventando una composizione autonoma destinata al pianoforte (cfr. ad esempio i Preludi op.28 di Chopin e i due libri di Préludes di Debussy). Nelle Suites per orchestra Bach adopera come brano introduttivo l’ouverture (dal francese apertura, nel senso di brano d’apertura). Nella prassi del tempo, tuttavia, l’ouverture identifica soprattutto il brano sinfonico che, fin dal XVII secolo, introduce l’inizio di un’opera lirica. Jean–Baptiste Lully (1632–1687) è il compositore a cui si deve la codificazione della tipica ouverture alla francese (in suo onore detta anche ouverture alla Lully) composta da 2 tempi: un primo tempo lento, caratterizzato dall’uso di un marcato ritmo puntato, e un secondo tempo veloce, in stile fugato. Il corrispondente italiano dell’ouverture alla francese è dovuto ad Alessandro Scarlatti (1660– 1725), che era solito far precedere le sue opere liriche da un brano sinfonico in 3 tempi (veloce– lento–veloce), da cui avrà poi origine a metà XVIII secolo la sinfonia all’italiana, genere sinfonico molto amato dal giovane Mozart.

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§24.3 La sonata barocca Una sonata è, in senso lato, un brano da suonare, ovvero destinato all’esecuzione strumentale, ma di solito con questo termine si indica una composizione costituita da 3 o 4 movimenti, in cui si alternano tempi veloci e lenti. Nel periodo barocco esistevano due tipi di sonata, la sonata da chiesa e la sonata da camera. La sonata da camera presenta notevolissimi punti di contatto con la suite barocca, dalla quale non è sempre facilmente distinguibile, salvo per la sostituzione dei nomi delle danze con indicazioni più generiche come Allegro, Adagio o Presto. La sonata da chiesa, concepita in genere per due violini e basso continuo (sonata a 3), è invece una forma compositiva a sé stante composta solitamente da 4 movimenti così organizzati: 1. Introduzione lenta, spesso conclusa con una cadenza frigia (cfr. §5.4) che prepara il movimento successivo; 2. Allegro, il brano più complesso dal punto di vista compositivo, scritto in forma fugata con un dialogo serrato fra i due violini; 3. Adagio o Largo, di carattere cantabile ed espressivo; 4. Presto, brano in forma bipartita che presenta notevoli punti di contatto con la giga. All’inizio del XVIII secolo alla sonata a 3 si affianca la sonata per violino e basso continuo, sintomo dell’esigenza provata dai compositori dell’epoca di mettere in maggior evidenza le potenzialità virtuosistiche dello strumento a parziale discapito della complessità contrappuntistica.

§24.4 Il concerto barocco Possiamo distinguere due tipologie di concerto barocco: il concerto grosso e il concerto solistico. Il concerto grosso fu codificato da Arcangelo Corelli (1653–1713), ed è basato sulla contrapposizione fra un piccolo complesso di strumenti (detto concertino), che spesso mantiene l’organico della sonata a 3 (due violini e basso continuo), e un gruppo più numeroso (detto concerto grosso, o ripieno). La successione dei movimenti ricalca quella della sonata da chiesa (cfr. §24.3), ma le maggiori risorse timbriche a disposizione consentono al compositore di creare un continuo gioco di alternanze fra i 2 gruppi strumentali: la struttura formale peculiare di questo genere compositivo è infatti la cosiddetta forma–ritornello, che consiste nella ripetizione della medesima idea affidata al ripieno (il ritornello, appunto), alternata con interventi del concertino sempre diversi che introducono elementi nuovi o rielaborano quelli proposti dal ritornello stesso. Il concerto solistico nasce invece dall’esigenza di dare più spazio al virtuosismo, e ricevette grande impulso dall’opera di Antonio Vivaldi (1678–1741), autore di oltre 400 concerti, di cui 220 per violino solista e orchestra. Prevale un’organizzazione formale basata su 3 movimenti: 1. Allegro, concepito in forma–ritornello (con il solista che, nei diversi episodi, può dare libero sfogo alla sua abilità esecutiva); 2. Adagio, brano espressivo che presenta qualche analogia con le arie d’opera; 3. Presto, movimento brillante conclusivo che presenta una struttura formale simile a quella del primo movimento.

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§24.5 La sonata di Scarlatti Domenico Scarlatti (1685–1757) scrisse oltre 500 sonate per clavicembalo: tali composizioni si differenziano dalla sonata barocca sia perché sono destinate ad un solo strumento, ma soprattutto perché sono costituite da un unico movimento. In alcune sonate ritroviamo la medesima struttura formale delle danze fisse della suite, ovvero la forma monotematica bipartita. Altre, tuttavia, presentano una struttura formale un po’ più complessa, dovuta alla presenza di una seconda idea motivica [B]: non si tratta ancora di un vero e proprio secondo tema, se non altro perché non gode della medesima importanza gerarchica dell’idea principale, ma senza dubbio si tratta di un qualcosa che preannuncia il bitematismo della sonata classica (cfr. §24.8.1). In pratica nella prima sezione della composizione Scarlatti, dopo aver raggiunto la dominante (o la parallela maggiore), non cadenza subito (come avveniva in passato), ma ne approfitta per introdurre una nuova idea, per poi finalmente fermarsi. Nella seconda sezione del brano, che non necessariamente inizia dal medesimo centro tonale con cui si era conclusa la prima, si ritorna poco a poco verso il tono d’impianto tramite un percorso armonico che può toccare anche centri tonali intermedi. L’organizzazione tematica della seconda sezione può assumere una delle forme seguenti: 1. viene mantenuta la medesima successione A–B della prima sezione, fatti salvi gli opportuni adeguamenti al mutato contesto armonico:

2. vengono invertiti i due elementi motivici, con la conseguenza che alla fine A viene riproposto tale e quale sul tono d’impianto:

3. viene presentato inizialmente un materiale motivico non ben definito [C], derivato comunque da quello della prima sezione, su un contesto armonico instabile (questa tecnica anticipa di fatto lo Sviluppo delle grandi forme classiche: cfr. §24.8.1), per poi riproporre, una volta tornati al tono d’impianto, l’idea tematica principale [A] e, talvolta, anche quella secondaria [B], trasposta però alla tonica:

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§24.6 Il tema con variazioni Si tratta di un forma compositiva costituita da un tema, originale o preso a prestito da un altro autore, seguito da una serie di variazioni che, via via, si allontanano sempre di più da esso. In epoca barocca le variazioni si basano sulla presenza di un basso ostinato: questo principio è alla base di generi che ebbero molta fortuna, come la passacaglia e la ciaccona. Nelle Variazioni Goldberg di Bach troviamo ancora la medesima successione armonica perpetuata in tutte le variazioni, ma il carattere delle stesse subisce una profonda mutazione nel corso della composizione, passando dalla grazia delicata dell’aria iniziale (con andamento di sarabanda) al serrato fugato del quodlibet che costituisce la XXX ed ultima variazione. In epoca classica il tema con variazioni vive una seconda giovinezza grazie a Ludwig van Beethoven (1770–1827). Nelle sue variazioni non è più presente la reiterazione del medesimo scheletro armonico: è piuttosto il profilo melodico del tema ad essere sottoposto ad una serie di manipolazioni che agiscono sempre più in profondità, fino a far quasi perdere il ricordo dell’idea originale. Per raggiungere questo scopo Beethoven predilige ricorrere a temi molto semplici, quasi elementari, e quindi più facili da manipolare e trasformare, come accade nel caso delle celeberrime 33 Variazioni su un valzer di Diabelli op.120 per pianoforte. L’eredità di Beethoven sarà raccolta, nella seconda metà del XIX secolo, da Johannes Brahms (1833–1897), autore di diversi cicli di variazioni, fra cui le Variazioni e fuga su un tema di Haendel op.24 per pianoforte e le Variazioni su un tema di Haydn op.56 per orchestra. §24.7 Il rondò I primi esempi di rondò (dal francese rondeau) risalgono all’Ars Nova Francese del XIV secolo, ma si tratta di una forma vocale. Nel XVIII secolo il rondò diventa un genere strumentale, ed è basato sull’alternanza fra un ritornello (refrain) – ripetuto sempre uguale, o con leggere modifiche, nel tono d’impianto –, e vari episodi (couplets), di carattere differente, proposti sui centri tonali vicini. Notevoli sono le analogie con la forma–ritornello già vista nel concerto barocco (cfr. §24.4), con la differenza che in quel caso il ritornello poteva essere esposto anche in toni diversi da quello d’impianto. Se la struttura complessiva può essere sintetizzata dalla sequenza [A–B–A–C–A–D–A…], il tipo di rondò più frequente presenta 2 soli episodi, e genera quindi una struttura formale del tipo [A–B–A– C–A], che di fatto corrisponde ad una doppia forma–tripartita [A–B–A + A–C–A].

§24.8 Le grandi forme classiche Nella seconda metà del XVIII secolo si impone una nuova forma compositiva, la sonata classica: il suo successo è tale che tutti i principali generi tendono ad uniformarsi ad essa, non solo la sonata per strumento solo, o per strumento e pianoforte, ma anche la sinfonia, il quartetto per archi, il trio per violino, violoncello e pianoforte, e via dicendo. La sinfonia classica in 4 movimenti viene codificata dalla Scuola di Mannheim e poi, soprattutto, da Franz Joseph Haydn (1732–1809): essa deriva dalla sinfonia all’italiana in 3 movimenti (cfr. §24.2), a cui viene però aggiunto un minuetto come terzo movimento, ottenendo quindi la seguente successione: Allegro–Adagio–Minuetto–Finale.

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Mozart adotta stabilmente questa soluzione, abbandonando definitivamente il modello italiano, a partire dalla Sinfonia in la maggiore K201, ed essa rimarrà in vigore almeno fino a Brahms, pur con piccole modifiche, attraversando quindi per intero la grande stagione del sinfonismo tedesco. Nelle sonate per strumento solo, o per strumento e pianoforte, tuttavia, spesso il minuetto viene soppresso, ripristinando di fatto la successione di 3 movimenti (veloce–lento–veloce) peculiare della sinfonia all’italiana. Nel concerto per strumento solista e orchestra, invece, il minuetto (che, per il suo carattere, non si adatta alle peculiarità di questo specifico genere compositivo) non trova mai posto, e viene quindi mantenuta la sequenza di movimenti del concerto solistico barocco (cfr. §24.4). Ciascuno dei movimenti delle grandi forme classiche presenta una sua specificità, e adotta di conseguenza una struttura formale ben definita che è necessario descrivere in modo dettagliato. §24.8.1 Il primo movimento: la forma–sonata Salvo rarissime eccezioni, il primo movimento di una sonata, piuttosto che di una sinfonia, è sempre basato sulla cosiddetta forma–sonata, o forma dell’Allegro di sonata: si tratta di una forma bitematica tripartita, costituita da 3 sezioni definite rispettivamente: Esposizione, Sviluppo e Ripresa. Questa struttura formale rappresenta l’evoluzione di quella presente nella sonata di Scarlatti (cfr. §24.5), ma nella seconda metà del XVIII secolo il bitematismo si è ormai pienamente affermato con la seconda idea tematica (B) che ha conquistato la dignità di un vero e proprio tema. Inoltre la sezione di Sviluppo ha acquisito una sua connotazione ben definita che la rende ben distinguibile dalla Ripresa, trasformando la forma complessiva da bipartita in tripartita. Entrando più nel dettaglio, ecco come si configurano generalmente le 3 sezioni della forma–sonata: Esposizione -

presentazione del primo tema [A], o del primo gruppo di temi [A1–2…], nel tono d’impianto; transizione [t], detto anche ponte modulante, tramite la quale si abbandona il tono d’impianto per raggiungere il centro tonale della dominante, o della parallela maggiore, nell’ambito del quale verrà poi presentato il secondo tema; presentazione del secondo tema [B], o del secondo gruppo di temi [B1–2…], nel nuovo contesto tonale; conferma del centro tonale secondario tramite una serie di formule di cadenza definite codette [k], seguita da una cesura evidenziata dal segno di ritornello, retaggio delle strutture formali barocche.

Sviluppo -

-

vengono ripresi ed elaborati alcuni degli elementi motivici (non necessariamente soltanto i temi principali) presentati nell’Esposizione, ma talvolta vengono anche introdotti spunti tematici completamente nuovi (in questo caso il confronto con l’elemento che abbiamo chiamato [C] nella sonata di Scarlatti risulta più evidente); il contesto armonico viene reso instabile dalla presenza di progressioni e dal continuo avvicendarsi di centri tonali che però non vengono mai pienamente stabilizzati; può eventualmente fare la sua comparsa il primo tema, anche in un tono diverso da quello d’impianto, dando luogo ad una falsa ripresa; il percorso armonico approda infine su un pedale (cfr. §15.10) basato sulla dominante del tono d’impianto [P], a partire dal quale ha luogo la riconduzione [R], un breve episodio che ha lo scopo di agevolare il ritorno alla tonica.

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Ripresa -

il primo tema [A] viene presentato tale e quale, o con leggere modifiche, nel tono d’impianto; la transizione [t], questa volta, dà soltanto la sensazione di allontanarsi dal tono d’impianto, ma in realtà si limita a raggiungere la dominante per convergere infine nuovamente sulla tonica; la presentazione del secondo tema [B] avviene adesso nel tono d’impianto; le codette [k] confermano definitivamente la tonica.

Questa è dunque, in estrema sintesi, la struttura della forma–sonata:

Altri elementi formali, non sempre presenti nella forma–sonata, sono: -

-

l’Introduzione: è un breve episodio lento che può essere considerato un retaggio del primo movimento della sonata da chiesa barocca (cfr. §24.3); può anche iniziare nel tono della variante della tonica, e attraversare diverse regioni tonali, ma si conclude quasi sempre con una cadenza sospesa alla dominante, seguita, senza soluzione di continuità, dall’inizio dell’Esposizione. È molto frequente nelle sinfonie classiche, mentre si incontra molto raramente nelle sonate. la Coda: è un episodio posto al termine della Ripresa (subito dopo le codette) con lo scopo di enfatizzare la conclusione del movimento e l’affermazione della tonica; spesso si basa, dal punto di vista tematico, sulla riproposizione del tema principale.

Nel primo movimento del concerto per strumento solista e orchestra la forma–sonata, per salvaguardare la natura virtuosistica di questo specifico genere musicale, subisce alcune mutazioni, la più evidente delle quali è data dalla presenza di una doppia Esposizione. La prima Esposizione è affidata alla sola orchestra, e spesso vede la presentazione di entrambi gli elementi tematici principali nel tono d’impianto. Nella seconda Esposizione fa la sua comparsa il solista, che esegue, eventualmente arricchiti da fioriture, gli elementi tematici principali supportato dall’orchestra, ripristinando al contempo lo spostamento tonale verso la regione della dominante. Al termine della Ripresa, poi, l’orchestra si ferma sulla quarta e sesta di cadenza, e da quel momento inizia un episodio virtuosistico affidato al solista (la Cadenza, appunto), al termine del quale l’orchestra risolve la cadenza composta e termina il movimento. In un primo tempo le Cadenze erano affidate all’improvvisazione dell’interprete, ma, a partire da Concerto per pianoforte e orchestra K595 di Mozart, l’autore determinerà in modo univoco anche questo episodio. L’enorme successo della forma–sonata, che ha consentito a questo modello formale di caratterizzare una lunga fase storica della musica strumentale (almeno fino alla fine del XIX secolo), è dovuto essenzialmente al fatto di essere una struttura estremamente elastica, capace di adattarsi molto facilmente al materiale tematico, piuttosto che costringerlo dentro uno schema troppo vincolante. Per questo la descrizione fornita in questo paragrafo può essere considerata tutt’al più un modello di massima, ravvivato di volta in volta dalla fantasia del compositore. Per questo motivo dedicheremo alla forma–sonata una lezione specifica (la n. XXVI), nella quale, tramite esempi tratti direttamente dalla letteratura pianistica, metteremo in evidenza l’evoluzione che essa ha subìto, specialmente nella produzione di Mozart e Beethoven.

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§24.8.2 Il movimento lento Il secondo movimento rappresenta il culmine espressivo delle grandi forme classiche, ed è costituito solitamente da un Adagio o da un Andante. Quasi sempre questo movimento è basato su una tonalità vicina a quella d’impianto della composizione: spesso si tratta della sottodominante, o comunque di un centro tonale vicino alla sottodominante, visto che la regione della dominante è già stata intensamente sfruttata nel primo movimento. Per quanto riguarda la struttura formale, in letteratura non si riscontra un modello univoco, ma sono possibili diverse soluzioni che prendono genericamente il nome di forme di movimento lento: 1) forma–sonata ‘light’: talvolta anche il secondo movimento è scritto in forma–sonata. Tuttavia, per compensare l’andamento decisamente più sostenuto evitando al contempo di produrre un brano di proporzioni troppo estese, era prassi comune sopprimere alcuni elementi secondari del modello formale, come ad esempio la transizione e/o le codette: in questo modo i due elementi tematici principali si trovano ad essere semplicemente giustapposti. In alcuni casi anche lo Sviluppo viene ridotto ai minimi termini, fino a diventare un semplice episodio di raccordo fra le 2 sezioni estreme. Questo modello formale, che richiama alla mente la struttura bipartita della sonata di Scarlatti, venne utilizzato spesso da Mozart (Sonata K310) e, molto raramente, anche da Beethoven (Sonata op.7):

2) forma–sonata senza sviluppo: questa particolare struttura formale fu usata spesso da Mozart nel secondo movimento delle sue composizioni, per contrapporre alla complessità strutturale dell’Allegro un brano di forma più semplice che non rinunci, tuttavia, alle prerogative dialettiche della forma–sonata. Consiste appunto in una forma–sonata completamente priva della sezione di Sviluppo: la somiglianza con la struttura formale della coeva aria d’opera suggerisce a Charles Rosen di definire questo modello strutturale forma aria–sonata.

3) forme a giustapposizione: si tratta di strutture formali basate sull’accostamento di 3 o più sezioni, le quali si concludono sempre con il ritorno della sezione iniziale. Fra le più ricorrenti nei secondi movimenti delle forme classiche possiamo annoverare le seguenti: -

grande forma–Lied (cfr. §23.7): basata sul modello A–B–A, deriva dalla struttura formale dell’aria col da capo che tanta fortuna ebbe nel repertorio operistico della prima metà del XVIII secolo, e prevede una prima sezione poi ripetuta alla fine, magari con fioriture ed elaborazioni varie, e una sezione centrale di carattere contrastante e basata su un centro tonale diverso rispetto a quello d’impianto;

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forma–rondò (cfr. §24.7): il modello più frequente, nei secondi movimenti delle forme classiche, è quello basato sulla sequenza A–B–A–C–A, con i 2 episodi collocati su centri tonali contrastanti rispetto al tono d’impianto. Per analogia con la grande forma–Lied, di cui rappresenta una sorta di duplicazione [A–B–A + A–C–A], la riproposizione conclusiva del refrain può essere variata e/o fiorita [A–B–A–C–A’], come avviene ad esempio nell’Adagio cantabile della Sonata op.13 ‘Patetica’ di Beethoven;

-

forma rondò–Lied: rappresenta una perfetta sintesi delle due strutture formali precedenti [modello A–B–A–B–A]. Può essere considerata o l’esatta duplicazione della grande forma– Lied, oppure una forma–rondò che prevede la presenza di un unico episodio ripetuto due volte, la prima volta in un tono contrastante, la seconda nel tono d’impianto. Rappresenta una soluzione formale molto amata da Mozart (Sonata K311), ma praticata spesso anche da Beethoven (Sonata op.10 n.1):

4) tema con variazioni: quando un movimento di sonata adotta questa soluzione formale, il compositore, allo scopo di contenerne le dimensioni complessive, riduce notevolmente il numero delle variazioni rispetto alle analoghe composizioni autonome (cfr. §24.6). Nell’Andante della Sonata op.14 n.2 di Beethoven, ad esempio, sono presenti soltanto 3 variazioni; idem nell’Andante con moto della Sonata op.57 ‘Appassionata’. In alcuni casi eccezionali può capitare che persino il primo movimento abbandoni la canonica forma– sonata per sposare il tema con variazioni (Mozart: Sonata K331; Beethoven: Sonata op.26), mentre nel repertorio sinfonico è più frequente che sia il Finale ad optare per questa soluzione (Beethoven: Sinfonia n.3 ‘Eroica’; Brahms: Sinfonia n.4).

§24.8.3 Il minuetto o lo scherzo Dopo la parentesi espressiva dell’Adagio, i classici viennesi pensarono bene di inserire un movimento di carattere interlocutorio, per allentare un po’ la tensione prima del risoluto movimento conclusivo. La scelta cadde sul minuetto, una danza che, pur essendo di origine francese, a metà XVIII scolo era diffusa in tutta Europa. La struttura formale del minuetto è già stata descritta in §24.1.2: l’unica differenza, rispetto al periodo barocco, era dovuta al contrasto anche fonico che si veniva a creare fra Minuetto I e Minuetto II, con il secondo eseguito da un organico ridotto spesso a tre soli strumenti: in virtù di questa prassi il Minuetto II prese il nome di Trio. Nelle sonate per pianoforte Mozart rinuncia sempre al terzo movimento, e quindi al minuetto, che invece viene ripristinato da Beethoven nella Sonata op.2 n.1. A partire dalla Sonata op.2 n.2, e dalla Sinfonia n.2, tuttavia, Beethoven sostituisce il minuetto con lo scherzo, un brano slegato da origini settecentesche, e dotato piuttosto di un piglio brillante e giocoso, che del resto era già ravvisabile nei primi minuetti beethoveniani (cfr. ad esempio il minuetto della Sinfonia n.1). A parte l’andamento e il carattere, lo scherzo mantiene comunque gran parte delle caratteristiche del minuetto, in particolare il tempo ternario (3/4 o 3/8) e la struttura formale complessiva articolata in Scherzo–Trio–Scherzo, con il Trio che altro non è che uno Scherzo II basato su un centro tonale contrastante, di carattere più tranquillo, e solitamente affidato ad un organico ridotto (nelle sinfonie, in genere, nell’organico del Trio vengono escluse le trombe e i timpani). Per quanto riguarda la forma interna dello scherzo, molto spesso il periodo β subisce un’elaborazione più approfondita, che lo rende simile ad una piccola sezione di Sviluppo.

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Nelle composizioni di più ampie proporzioni, il Trio può anche essere ripetuto due volte, ottenendo quindi la successione Scherzo–Trio–Scherzo–Trio–Scherzo (Beethoven: Sinfonia n.7), oppure può essere inserita una Coda conclusiva (Beethoven: Sonata op.2 n.3; Sonata op.14 n.1). Nel periodo romantico si diffonde l’uso di introdurre un Trio II, ottenendo quindi la forma complessiva Scherzo–Trio I–Scherzo–Trio II–Scherzo. §24.8.4 Il movimento conclusivo: il rondò–sonata L’ultimo movimento delle grandi forme classiche è caratterizzato quasi sempre da un andamento piuttosto brillante, che lo rende particolarmente adatto a portare a termine la composizione. La struttura formale di gran lunga preferita da Mozart per il movimento conclusivo delle sue sonate per pianoforte è la forma–sonata (cfr. §24.8.1), in modo tale da creare un percorso circolare con l’Allegro iniziale. Nelle composizioni di carattere più virtuosistico, e in particolare nei concerti, i compositori dell’epoca preferiscono tuttavia adottare la forma–rondò (cfr. §24.7), la cui continua alternanza fra episodi contrastanti meglio si adatta al dialogo serrato fra solista e orchestra. L’esigenza di conciliare una certa quantità di eventi contrastanti, necessaria per compensare la significativa velocità di andamento peculiare dei movimenti conclusivi, con una salda compattezza della struttura formale, che eviti quindi la dispersione tematica tipica dei rondò con più di 2 episodi, fa sì che nel tardo settecento si diffonda una forma “ibrida” di rondò che prende il nome di rondò– sonata. Lo schema di riferimento del rondò–sonata può essere così sintetizzato:

Esposizione -

-

viene presentato il primo tema [A], che funge anche da refrain del rondò, nel tono d’impianto; la transizione [t] conduce al tono della dominante, nell’ambito del quale viene presentato il secondo tema [B] seguito, al posto delle codette, da una breve episodio di riconduzione [R] al tono d’impianto: transizione, secondo tema e riconduzione formano, insieme, il primo couplet del rondò; viene quindi riproposto il primo tema [A], sempre nel tono d’impianto, con funzione di refrain.

Sezione mediana -

al posto dello Sviluppo viene presentato, in una regione tonale solitamente appartenente alla sfera d’influenza della sottodominante, un nuovo elemento tematico [C], che funge da secondo couplet del rondò.

Ripresa -

si torna al tono d’impianto, e ricompare il primo tema [A], ancora con funzione di refrain; la transizione [t] e il successivo secondo tema, questa volta trasposto nel tono d’impianto [B’], costituiscono la riproposizione del primo couplet del rondò; il ritorno conclusivo del primo tema [A], eventualmente elaborato e/o fiorito, e seguito o meno da una Coda, conclude in modo simmetrico la struttura formale.

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Il successo del rondò–sonata è dovuto essenzialmente al fatto di preservare le peculiarità che hanno reso vincente nel periodo classico la forma–sonata – e su tutte la contrapposizione fra le regioni di tonica e dominante dell’Esposizione che viene risolta con l’affermazione della prima nella Ripresa – combinandola con l’esuberanza e la ricchezza tematica del rondò. Questo modello formale, che fa già la sua comparsa in alcune composizioni mozartiane (Sonata K311), diventerà poi la soluzione prediletta da Beethoven per i movimenti conclusivi delle sue grandi forme. Il modello base del rondò–sonata può essere elaborato in vari modi dando luogo a numerose varianti, le più frequenti delle quali sono le seguenti: 1) rondò–sonata con Trio: il secondo couplet [C] è organizzato internamente in modo analogo al Trio di un minuetto o di uno scherzo, con tanto di cambio di armatura di chiave e presenza dei canonici segni di ritornello (Beethoven: Sonata op.2 n.2; Sonata op.14 n.1). Questa soluzione formale rappresenta la sintesi di ben 3 diversi modelli formali: il rondò, la forma–sonata e lo scherzo. 2) rondò–sonata con Sviluppo: il secondo couplet [C] viene sostituito da un vero e proprio Sviluppo che, in un contesto tonalmente instabile, presenta elementi motivici nuovi e/o elabora elementi tematici presentati nell’Esposizione (Beethoven: Sonata op.31 n.1). 3) grande rondò–sonata: il secondo couplet [C] è rappresentato da un episodio con carattere di Trio, con un nuovo elemento tematico e un contesto armonico stabile, seguito però da una fase tonalmente instabile con carattere di Sviluppo, in cui possono fare la loro comparsa elementi tematici ricavati dall’Esposizione (Beethoven: Sonata op.2 n.3). Talvolta la Ripresa può essere arricchita con l’inserimento di un episodio di Sviluppo che, collocato insolitamente al termine della canonica struttura formale, renderà necessaria la presenza di una Coda che concluda il brano riprendendo per l’ultima volta il refrain (Beethoven: Sonata op.2 n.2). In casi eccezionali l’episodio di Sviluppo può persino sostituire completamente la riproposizione del primo couplet nel tono d’impianto (Beethoven: Sonata op.10 n.3).

§24.9 La fuga La fuga è una forma compositiva di tipo polifonico basata su una rigorosa imitazione contrappuntistica: le sue origini risalgono al Mottetto rinascimentale e, soprattutto, al Ricercare. Una fuga può essere destinata tanto ad un organico vocale che strumentale, e può essere scritta per 2, 3, 4 o 5 voci: la forma più ricorrente è quella della fuga a 4 voci, soluzione che consente di ottenere un perfetto equilibrio sonoro. Dal punto di vista formale esistono numerose varianti, ma in genere una fuga si compone di 3 sezioni, definite rispettivamente Esposizione, Elaborazione e Stretti. Esposizione La fuga inizia con la presentazione del tema intorno al quale ruoterà l’intera composizione: esso viene definito soggetto [S], ed è affidato ad una voce singola senza accompagnamento. Al termine del soggetto può essere inserita una breve coda, specialmente nel caso in cui sia necessario raccordare dal punto di vista armonico questo episodio con il successivo. A questo punto entra una seconda voce (o in corrispondenza dell’ultima nota del soggetto, o subito dopo la coda), che imita la prima proponendo il medesimo tema trasposto però nel tono della dominante: per distinguerlo dal soggetto esso viene definito risposta [R].

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Terminata la risposta entrano in scena, una dopo l’altra, le altre voci, che propongono alternativamente il soggetto e la risposta: ciascuna voce, quindi, fa la sua prima apparizione nella composizione presentando il tema principale. Ecco dunque come si presenta, schematicamente, l’Esposizione di una fuga a 4 voci:

Nel caso in cui la risposta sia identica al soggetto, fatta salva la trasposizione alla dominante, si parla di risposta reale, e, di conseguenza, di fuga reale:

Se invece la risposta non è completamente identica, ma presenta alcune mutazioni nel suo profilo melodico, si parla di risposta tonale, e quindi di fuga tonale.

Le mutazioni diventano necessarie quando il soggetto inizia con il suono che corrisponde alla dominante, oppure presenta, nel suo divenire, una deviazione armonica verso il tono della dominante. Per compensare questa tendenza “centrifuga”, che potrebbe mettere in crisi il centro tonale di riferimento già a partire dalla presentazione dell’elemento su cui fonda l’intera composizione, entra in gioco nella risposta una forza di natura opposta che riconduce i punti critici nell’area di influenza del tono d’impianto. L’esempio precedente fornisce un esempio pratico di questo modus operandi: il soggetto, nel tono d’impianto di do minore, inizia con il suono sol, V grado della scala; se la risposta fosse stata reale, e quindi con una trasposizione letterale alla quinta, la risposta sarebbe iniziata dal suono re, che però rappresenta anche la dominante della dominante, situazione armonica che rischierebbe di mettere in crisi la centralità della tonica appena una misura dopo l’inizio del brano. Ecco dunque che Bach sostituisce il suono re con il do, ovvero risponde alla dominante (con cui aveva avuto inizio il soggetto) con la tonica, dando luogo ad una mutazione nel profilo melodico del tema, che inizia infatti non più con un intervallo di 3a M discendente (sol–mib), ma con una 2a M (do–sib).

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Va detto, comunque, che anche nel caso in cui si presentino le condizioni suesposte, il compositore non è obbligato a ricorrere ad una risposta tonale, ma potrà optare per la soluzione che riterrà artisticamente più efficace. Dopo che ciascuna voce ha presentato il soggetto (o la risposta), essa prosegue esponendo il controsoggetto [CS]: si tratta di un elemento tematico melodicamente e ritmicamente complementare rispetto al soggetto, che viene concepito in contrappunto doppio (o rivoltabile) in modo tale che possa fungere da basso per il soggetto e viceversa. Le varie entrate del controsoggetto dovranno naturalmente adeguarsi dal punto di vista armonico al tema cui sono abbinate, per cui il CS sarà alla tonica quando viene presentato insieme al soggetto, e alla dominante quando figura insieme alla risposta. Solitamente il controsoggetto non inizia simultaneamente al tema, ma poco dopo, in modo tale da poter essere percepito in modo distinto dall’ascoltatore, e quindi memorizzato: è lo stesso principio per cui la fuga inizia con il soggetto presentato senza accompagnamento. Ecco quindi, schematicamente, come potrebbe apparire l’Esposizione di una fuga a 4 voci:

In teoria può essere inserito anche un secondo controsoggetto [CS2], presentato la prima volta, dalla voce che ha appena esposto il controsoggetto, in contemporanea alla terza entrata del tema e alla seconda del controsoggetto: in tal caso il secondo controsoggetto dovrà essere scritto in contrappunto triplo. La presenza dei controsoggetti, comunque, non è obbligatoria: nel caso in cui non siano presenti, le voci che hanno già presentato il tema proseguono con delle parti libere, ovvero con delle figurazioni non tematiche (nel senso che non necessariamente verranno riproposte nel seguito della composizione) scritte in contrappunto semplice (non rivoltabile). Le parti libere hanno anche funzione di raccordo, nell’ambito delle singole voci, per collegare la fine del tema con l’inizio del controsoggetto, se presente. Talvolta a metà dell’Esposizione, e quindi tra la seconda e la terza entrata del tema, può essere presente un breve episodio di collegamento, che può assumere anche il carattere di un divertimento (cfr. oltre). Inoltre, nel caso in cui l’Esposizione sia piuttosto breve (ad esempio a causa di un soggetto di poche battute), essa può essere seguita da una Controesposizione, costituita in genere da due sole entrate con l’ordine invertito (prima la risposta, e quindi il soggetto). L’Esposizione e la Controesposizione sono collegate fra loro da un divertimento. Elaborazione Consiste nell’alternanza fra episodi contrappuntistici basati sul principio della progressione, detti divertimenti, e riproposizioni del soggetto (ed eventualmente della risposta) su centri tonali vicini, scelti solitamente fra quelli che afferiscono all’area della sottodominante, visto che la dominante ha già avuto un ruolo da protagonista nell’Esposizione.

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I divertimenti sono in genere basati su un frammento motivico ricavato dall’Esposizione (ad esempio dal soggetto, specialmente dalla sua parte terminale, oppure dal controsoggetto, o dalla coda), che viene sottoposto ad un serrato “gioco imitativo” (da cui il nome) nel contesto di una progressione. I divertimenti hanno essenzialmente lo scopo di spostare il piano tonale dalla tonica verso il centro tonale su cui verrà poi presentato il tema insieme al controsoggetto, se questo è presente, prima che un nuovo divertimento rimetta in moto il meccanismo. Talvolta il soggetto non viene presentato tale e quale, ma è sottoposto ad artifici contrappuntistici (soggetto per aggravamento, o per diminuzione, oppure per moto contrario o retrogrado: cfr. §20.1). Al termine dell’ultimo divertimento può essere presente un pedale di dominante che conclude l’Elaborazione, spesso seguito da una pausa con eventuale punto coronato. Stretti L’ultima parte della fuga consiste negli stretti: si tratta in pratica di una riproposizione dell’Elaborazione, con la differenza però che l’entrata della risposta non avviene alla fine del soggetto, ma poco prima, accavallandosi quindi alla parte terminale del tema. Una dopo l’altra possono essere presentate più combinazioni fra soggetto e risposta, in cui la risposta si sovrappone sempre di più sul soggetto, fino ad arrivare all’ultimo stretto (strettissimo) in cui la risposta entra dopo pochissime note del soggetto, come se si trattasse di un canone. Lo scopo degli stretti è quello di creare un climax di tensione, idoneo a portare a termine la composizione. L’ultimissima parte della fuga può essere basata su un pedale di tonica, sul quale solitamente viene esposto per l’ultima volta il soggetto, ed eventualmente anche la risposta. La struttura formale illustrata in questa sede corrisponde a quella della cosiddetta fuga di scuola: nella realtà pratica, tuttavia, le fughe possono presentare numerose eccezioni rispetto allo schema precedente, fra le quali segnaliamo le seguenti, riscontrabili in molte fughe del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach: • nell’Esposizione l’ordine delle ultime due entrate del tema può essere invertito, dando luogo alla successione S–R–R–S; • nell’Elaborazione, subito dopo il primo divertimento potrebbe essere collocato uno stretto, al posto della semplice riproposizione del soggetto su un centro tonale vicino; • il pedale di dominante, con relativa fermata prima degli stretti, è spesso assente; • gli stretti, oppure i divertimenti, possono essere sostituiti da episodi contrappuntistici basati sulla sovrapposizione del soggetto con il medesimo tema sottoposto ad aggravamento o diminuzione, oppure esposto per moto contrario o retrogrado, e trasposto o meno su altri gradi della scala; • il pedale di tonica conclusivo può essere omesso, e la fuga può pertanto concludersi con l’ultimo stretto, oppure con una cadenza non necessariamente basata sul soggetto. Esistono poi le fughe doppie e le fughe triple, caratterizzate dalla presenza di 2 o 3 soggetti, ciascuno dei quali dà origine ad una diversa Esposizione: in genere viene prima presentato il soggetto principale, quindi uno o più divertimenti conducono ad una seconda Esposizione nella quale viene presentato il secondo soggetto, combinato contrappuntisticamente con il primo (in contrappunto doppio), ed infine, se la fuga è tripla, un altro episodio di raccordo conduce ad una terza Esposizione nella quale viene presentato il terzo soggetto combinato con i primi 2 (in contrappunto triplo). Quindi la fuga procede normalmente con divertimenti, stretti ed eventuale pedale di tonica conclusivo. Un bellissimo esempio di fuga tripla, o fuga a tre soggetti, è la Fuga IV in do# minore dal primo libro del Clavicembalo ben temperato di Bach.

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ESERCIZI 24.1 – Analizzare i brani che compongono la Suite inglese n.3 in sol minore di Johann Sebastian Bach, mettendone in evidenza la struttura formale, il percorso armonico con le cadenze principali, e il carattere delle singole danze. [§24.1] 24.2 – Analizzare il primo movimento, Allegro, della Sonata per pianoforte in sol maggiore K283 di Mozart, individuando i punti chiave della forma–sonata, dal punto di vista sia tematico che tonale. [§24.8] 24.3 – Analizzare il secondo movimento, Adagio, della Sonata per pianoforte in fa maggiore K332 di Mozart, individuandone la struttura formale e l’evoluzione armonica. [§24.8] 24.4 – Analizzare il terzo movimento, Minuetto: Allegretto, della Sonata per pianoforte in fa minore op.2 n.1 di Beethoven, individuando i punti chiave della forma di riferimento. [§24.8] 24.5 – Analizzare il movimento finale, Allegro, della Sonata per pianoforte in do minore op.13 ‘Patetica’ di Beethoven, individuandone la struttura formale e l’evoluzione armonica. [§24.8] 24.6 – Analizzare due fughe a scelta tratte dal Clavicembalo ben temperato di Bach, escluse quelle utilizzate come esempio nel testo, determinando se si tratta di una fuga reale o tonale, e mettendo inoltre in evidenza l’articolazione formale del brano. [§24.9]

LEZIONE XXV REGIONI TONALI

§25.1 I livelli armonici L’armonia può essere considerata un fenomeno stratificato, determinato cioè dalla sovrapposizione di più livelli che agiscono in modo semi-indipendente su diverse dimensioni. Se focalizziamo la nostra attenzione sulla micro–forma (cfr. §23.4), ad esempio, notiamo come qualunque evento armonico che condizioni il regolare flusso del discorso musicale nell’ambito di una frase o di un periodo, come può esserlo una cadenza piuttosto che una dominante secondaria, rivesta in quel contesto un ruolo di primissimo piano, che però è destinato a perdere di importanza man mano che allarghiamo lo sguardo prendendo in considerazione porzioni sempre più ampie di partitura. Per rendere l’idea possiamo constatare come, analizzando un brano ascrivibile alla piccola forma– Lied (cfr. §23.6), i punti chiave del percorso armonico, quelli che è necessario mettere in evidenza, siano sostanzialmente due: la cadenza conclusiva del periodo α e l’inizio del periodo β, mentre gli eventuali eventi armonici interni a ciascuno dei periodi passano già in secondo piano. Se poi esaminiamo un brano ancora più complesso, composto da più sezioni (cfr. §23.7), sarà soprattutto il rapporto che si instaura fra i rispettivi centri tonali a dover destare l’interesse dell’analista, a parziale discapito di considerazioni riguardanti fenomeni di portata più circoscritta. Occupandoci delle dominanti secondarie (cfr. §9.1) abbiamo visto come la presenza di un’armonia apparentemente estranea alla tonalità di riferimento non sia sufficiente a mettere in discussione la tonica, purché questa armonia possa essere riferita ad un grado secondario della scala, che si rende pertanto protagonista di un procedimento di tonicizzazione. Estendendo questo tipo di ragionamento, specialmente nel caso di un brano di ampie proporzioni, anche quella che dovrebbe essere considerata una modulazione, ovvero l’affermazione più o meno stabile (confermata, cioè, da una o più formule di cadenza) di una tonica diversa da quella del tono d’impianto, potrebbe non essere considerata come tale, quanto piuttosto come la stabilizzazione di un centro tonale che afferisce ad un grado secondario della scala, una sorta di tonica secondaria che, in definitiva, rimanda sempre e comunque alla tonica iniziale. In senso lato, quindi, una composizione tonale non modula mai, limitandosi semmai a mettere in evidenza alcune “tappe intermedie” del suo percorso armonico, il quale è comunque destinato a ruotare intorno all’ineludibile tonica di riferimento. §25.2 La polarizzazione tonica/dominante La prima sezione della forma bipartita che contraddistingue le danze fisse della suite barocca (cfr. §24.1) si conclude invariabilmente con una fermata, rappresentata solitamente da una cadenza alla dominante. Che non si tratti di una semplice cadenza sospesa, tuttavia, lo dimostra il fatto che la seconda sezione del brano non riparte dalla tonica, ma proprio dalla dominante, per poi ritornare poco a poco al tono d’impianto. Nella sonata di Scarlatti (cfr. §24.5) la prima sezione si arricchisce di un secondo elemento motivico, un embrione di secondo tema, che di fatto amplifica la portata della fermata mediana alla dominante. Comincia così a prendere corpo una contrapposizione dialettica fra un centro tonale “principale” e uno “secondario”, la quale darà luogo, nella forma–sonata (cfr. §24.8), ad una vera e propria “polarizzazione” fra due regioni tonali, talmente significativa da rendere necessaria la presenza di una sezione intermedia, lo Sviluppo, che risolva la diatriba a favore della prima.

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Non è affatto casuale che la prima scelta sul centro tonale da contrapporre alla tonica sia caduta proprio sulla dominante: si tratta infatti dell’armonia che, dopo la tonica, ricopre il più alto livello gerarchico nell’ambito della tonalità, ed è quindi del tutto naturale che i compositori abbiano pensato di farla assurgere al ruolo di tonica secondaria, oppure di “antagonista della tonica”. Così come l’inizio di una composizione in tonalità maggiore tende a raggiungere il più velocemente possibile l’armonia di dominante, tramite la quale ritornare alla tonica rafforzando così il punto di riferimento del sistema tonale, in modo speculare l’incipit di un brano in tonalità minore viene inesorabilmente attratto dall’armonia corrispondente alla parallela maggiore della tonica. Ancora una volta i fenomeni armonici dimostrano che ciò che vale nelle piccole dimensioni non perde il suo potere nell’ambito di un arco strutturale di più ampia portata: nelle composizioni classiche basate su una tonalità minore, infatti, la polarizzazione avviene in modo preferenziale non con la dominante, ma con il centro tonale corrispondente alla parallela maggiore della tonica. Dopo la polarizzazione tonica maggiore/dominante, o tonica minore/parallela maggiore, che contraddistingue la prima sezione di una struttura formale complessa, è necessario che vengano ristabiliti i ruoli, e che pertanto la tonica venga riaffermata in modo chiaro e inequivocabile. Nelle forme–rondò il problema viene risolto dal ritorno del refrain [A] nel tono d’impianto subito dopo il primo couplet [B]: in questo modo viene prontamente ristabilito il ruolo centrale della tonica. Nella forma–sonata, invece, il ritorno della tonica avverrà soltanto al termine di un lungo e faticoso iter (lo Sviluppo), che vede il percorso armonico attraversare un certo numero di tappe intermedie, prima di giungere nuovamente alla dominante tramite la quale cadenzare definitivamente alla tonica. Occorre a questo punto fare un po’ di chiarezza sui due diversi “ruoli” che possono essere svolti dalla dominante: -

-

quando questa armonia ha lo scopo di ricondurre il percorso armonico alla tonica, facendo leva sulla straordinaria potenza armonica della cadenza perfetta V–I, essa si comporta in tutto e per tutto come il V grado della scala di riferimento: è ciò che avviene, ad esempio, al termine della sezione di Sviluppo della forma–sonata; quando invece la dominante corrisponde ad un centro tonale che viene stabilizzato, e che produce quindi una polarizzazione/opposizione nei confronti del tono d’impianto, si configura una regione tonale nell’ambito della quale il V grado della scala fungerà da tonica (secondaria) di riferimento: è ciò che avviene nell’Esposizione della forma–sonata, subito dopo la transizione verso il secondo tema [B].

Oltre alla regione della dominante, o della parallela maggiore, su cui avviene abitualmente la polarizzazione, le strutture formali più complesse possono prevedere anche la presenza di altre regioni tonali, localizzate ad esempio nella sezione di Sviluppo di una forma–sonata, o nel secondo couplet di una forma–rondò. Prima di addentrarci ulteriormente in simili questioni analitiche, tuttavia, si rende necessario stabilire un vocabolario di simboli utile per identificare i diversi centri tonali: in questa sede useremo, a questo scopo, i simboli coniati dalla teoria funzionale dell’armonia (in grassetto), che presentano l’indiscutibile vantaggio di chiarire immediatamente il tipo di relazione che si instaura fra due armonie o, nel nostro caso, fra due regioni tonali. §25.3 Relazioni tonali dirette I centri tonali che solitamente fungono da “tappe intermedie” nel percorso armonico complessivo (cfr. §25.4) di una composizione tonale sono quelli che si relazionano in modo diretto con il tono d’impianto, ovvero quelli per cui fra la tonica secondaria e la tonica principale di riferimento intercorre una relazione analoga a quella riscontrabile fra due toni vicini, o fra una tonalità e la sua variante.

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§25.3.1 Regioni tonali principali Nell’ambito di una tonalità maggiore, le regioni tonali principali sono quelle corrispondenti ai centri tonali maggiori posti sul V e sul IV grado della scala di riferimento, e saranno identificate rispettivamente con D (tono della dominante) e S (tono della sottodominante), mentre il tono d’impianto sarà identificato dalla T. Se il tono d’impianto è minore, invece, i medesimi centri tonali saranno tutti di modo minore, e saranno pertanto identificati con le lettere minuscole: t (tono d’impianto), d (tono della dominante) e s (tono della sottodominante). §25.3.2 Varianti delle regioni tonali principali Ciascuna delle regioni tonali principali può essere sostituita dal corrispondente centro tonale di modo opposto, detto anche variante: in tal caso si userà il simbolo maiuscolo/minuscolo inverso. Ad esempio, in una composizione in Do M il simbolo s (minuscolo) identificherà la regione tonale corrispondente alla tonalità di fa minore (tono della variante della sottodominante, o semplicemente tono della sottodominante minore), mentre in un brano in Do m si indicherà con D (maiuscolo) la regione tonale corrispondente alla tonalità di sol maggiore (tono della variante della dominante, o semplicemente tono della dominante maggiore). Per chiarezza espositiva, d’ora in poi le regioni principali saranno definite semplicemente come “maggiori” e “minori”: il simbolo maiuscolo identificherà le regioni corrispondenti a centri tonali maggiori, quello minuscolo le regioni corrispondenti a centri tonali minori. Il tutto avverrà indipendentemente dal fatto che il tono d’impianto sia maggiore o minore, trascurando quindi il fatto che si tratti di regioni principali o di varianti delle stesse: questo approccio sottintende, pertanto, una sostanziale reciprocità fra tonalità maggiori e minori basate sulla medesima tonica. Ecco dunque uno specchietto riassuntivo delle regioni tonali principali calcolate a partire dal tono d’impianto di Do M: i numeri romani che identificano i gradi della scala corrispondenti alla toniche secondarie sono segnati in maiuscolo o in minuscolo in analogia a quanto sopra esposto. simbolo

regioni tonali principali

grado M/m della scala

tonalità corrispondente

T D S t d s

tono d’impianto tono della dominante (maggiore) tono della sottodominante (maggiore) tono della variante della tonica tono della dominante minore tono della sottodominante minore

I V IV i v iv

Do M Sol M Fa M do m sol m fa m

§25.3.3 Regioni tonali parallele Una regione tonale parallela corrisponde alla tonalità maggiore o minore parallela rispetto a quella cui fa riferimento la regione tonale in questione: se quest’ultima è “maggiore” (T, D o S), il centro tonale minore parallelo (la cui tonica è collocata una 3a minore sotto) sarà identificato con una p (minuscola) accanto al simbolo principale (Tp, Dp o Sp); se, invece, è “minore” (t, d o s), il centro tonale maggiore parallelo (la cui tonica è collocata una 3a minore sopra) sarà identificato dalla presenza di una P (maiuscola) accanto al simbolo principale (tP, dP o sP). Parleremo quindi, ad esempio, di tono della parallela minore della tonica, o semplicemente di tono della parallela minore (Tp), piuttosto che di tono della parallela maggiore della dominante minore (dP). Ecco uno specchietto riassuntivo delle regioni tonali parallele calcolate sempre a partire da Do M:

228

Domenico Giannetta

simbolo

regioni tonali parallele

grado M/m della scala

tonalità corrispondente

Tp Dp Sp tP dP sP

tono della parallela minore tono della parallela minore della dominante (maggiore) tono della parallela minore della sottodominante (maggiore) tono della parallela maggiore della tonica minore tono della parallela maggiore della dominante minore tono della parallela maggiore della sottodominante minore

VI III II iii vii vi

la m mi m re m Mib M Sib M Lab M

Come si può constatare, i centri tonali basati su gradi secondari della scala “maggiore” (II, III e VI) corrispondono a tonalità “minori” (confermate dalla p minuscola), mentre i centri tonali basati su gradi secondari della scala “minore” (iii, vi e vii) corrispondono a tonalità “maggiori” (confermate dalle P maiuscola). §25.3.4 Varianti delle regioni tonali parallele Ciascuna delle regioni parallele individuate con il sistema precedente può essere infine sostituita dal centro tonale basato sulla medesima tonica secondaria, ma di modo opposto (variante). Le varianti delle regioni tonali che nascono “minori” vedranno la sostituzione del simbolo p (minuscolo) con P (maiuscolo), dando quindi luogo ai simboli: TP, DP e SP. Al contrario, i centri tonali paralleli originariamente “maggiori”, sostituiti dalle rispettive varianti, daranno origine ai simboli: tp, dp e sp. Parleremo quindi di tono della variante maggiore della parallela della tonica, o semplicemente di tono della variante maggiore della parallela (TP), piuttosto che di tono della variante minore della parallela della sottodominante minore (sp). Ecco dunque lo specchietto riassuntivo delle varianti delle regioni tonali parallele calcolate a partire da Do M: i gradi della scala corrispondenti sono seguiti dalla “v” in apice per indicare che la tonalità relativa risulta essere la variante rispetto a quella che nascerebbe in modo naturale sul grado specifico. Simbolo

varianti delle regioni tonali parallele

grado M/m della scala

tonalità corrispondente

TP DP SP

tono della variante maggiore della parallela tono della variante maggiore della parallela della dominante (maggiore) tono della variante maggiore della parallela della sottodominante (maggiore) tono della variante minore della parallela della tonica minore tono della variante minore della parallela della dominante minore tono della variante minore della parallela della sottodominante minore

VIv IIIv IIv

La M Mi M Re M

iiiv viiv viv

mib m sib m lab m

tp dp sp

Per concludere, il seguente specchietto riassuntivo ha lo scopo di fornire un quadro complessivo delle relazioni tonali dirette: partendo dal centro e procedendo verso l’esterno, le varie colonne del grafico contengono rispettivamente le regioni tonali principali (a sinistra quelle maggiori, a destra quelle minori), le corrispondenti regioni parallele, e infine le varianti delle regioni parallele. Å

Å

Å

Æ

Æ

Æ

TP

Tp

T

t

tP

tp

La M

la m (VI)

Do M (I)

do m (i)

Mib M (iii)

mib m

DP

Dp

D

d

dP

dp

Mi M

mi m (III)

Sol M (V)

sol m (v)

Sib M (vii)

sib m

SP

Sp

S

s

sP

sp

Re M

re m (II)

Fa M (IV)

fa m (iv)

Lab M (vi)

lab m

Elementi di armonia e analisi musicale

229

§25.4 Il percorso armonico complessivo Se consideriamo la successione dei centri tonali che si avvicendano in una composizione tonale, si configura quello che può essere definito il percorso armonico complessivo. In un brano dotato di una struttura armonico-formale relativamente semplice, esso può consistere unicamente nella polarizzazione tonica/dominante, e successivo ritorno alla tonica, che abbiamo visto in §25.2 essere alla base delle forme classiche. Nell’Allegro iniziale (in forma–sonata) della Sonata in sol maggiore K283 di Mozart, ad esempio, l’Esposizione presenta la canonica giustapposizione fra le regioni tonali T e D, mentre nello Sviluppo, che inizia a sua volta da D, si assiste semplicemente al ritorno a T, che poi permane stabilmente per tutta la durata della Ripresa. Ecco dunque come può essere schematizzato il percorso armonico complessivo della composizione:

Nel primo movimento della Sonata in do maggiore K545 dello stesso autore, invece, lo Sviluppo inizia nella regione tonale corrispondente alla variante della dominante d, per poi spostarsi alla Sp (b. 33), e approdare infine alla S (b. 42), centro tonale sul quale, eccezionalmente, ha inizio la Ripresa, che presenta poi la seconda area tematica alla T (b. 59). Se consideriamo d e Sp come regioni tonali di secondaria importanza, per via della ridotta porzione di partitura che occupano (e per questo motivo adoperiamo nello schema seguente delle note in corpo più piccolo per identificarle), possiamo osservare come l’intenzione di Mozart sia stata quella di riprodurre nella Ripresa un tipo di polarizzazione, basato sul rapporto di quinta delle rispettive toniche secondarie S e T, analogo a quello già verificatosi nell’Esposizione:

Solitamente, tuttavia, è soltanto nella sezione di Sviluppo di una forma–sonata che possono essere individuate regioni tonali diverse dalle due coinvolte nel procedimento di polarizzazione che contraddistingue l’Esposizione. Nell’Allegro della Sonata in mi maggiore op.14 n.1 di Beethoven, ad esempio, lo Sviluppo inizia nella regione della s (b. 61), per poi spostarsi alla sP (b. 73), ed infine tornare alla T all’inizio della Ripresa (b. 91):

Il pedale di dominante che precede il ritorno della T (bb. 81–90) non può essere considerato una regione tonale vera e propria, perché è evidente il ruolo svolto in questo caso dal suono si come V grado della tonica, piuttosto che come tonica secondaria, e per questo motivo è stato indicato nel grafico precedente con una nota nera e con la D posta fra parentesi.

230

Domenico Giannetta

Nelle composizioni che presentano un tono d’impianto minore, la polarizzazione che contraddistingue l’Esposizione coinvolge solitamente, come abbiamo visto, la parallela della tonica tP, piuttosto che la dominante minore d, e quindi avremo un centro tonale “maggiore” che si contrappone al modo “minore” del tono d’impianto. Ciò non provoca particolari ripercussioni nel percorso armonico delle prime due sezioni della forma–sonata, ma crea una situazione complicata da gestire nella Ripresa: se il secondo tema [B], infatti, venisse esposto tout cour nel tono d’impianto, sarebbe necessario stravolgerne il carattere per trasformarlo da “maggiore” in “minore”. È ciò che avviene, ad esempio, nell’Allegro maestoso della Sonata in la minore K310 di Mozart, oppure nel primo movimento della Sonata in fa minore op.2 n.1 di Beethoven. In altri casi, tuttavia, i compositori optano per soluzioni più raffinate, che consentano di salvaguardare il carattere originario del secondo gruppo tematico. Nella Ripresa dell’Allegro molto e con brio della Sonata in do minore op.10 n.1 di Beethoven, ad esempio, il secondo tema [B] viene esposto inizialmente nel tono della sottodominante maggiore S (b. 215), e soltanto in un secondo momento nel tono d’impianto (b. 233):

La presenza di una terza regione tonale, che rivesta un ruolo di pari importanza rispetto alle prime due, è una delle caratteristiche peculiari della forma–rondò (cfr. §24.7). La necessità, infatti, è quella di far sì che il secondo couplet [C] – che nelle varie forme di rondò–sonata (cfr. §24.8.4) assume un’importanza strutturale spesso persino superiore rispetto al primo – sia, anche dal punto di vista tonale, contrastante rispetto a quanto lo precede. La scelta più consueta, in questi casi, ricade su una regione tonale che afferisca alla sottodominante, come avviene nel rondò–sonata dell’ultimo movimento della Sonata in re maggiore op.28 ‘Pastorale’ di Beethoven, in cui il secondo couplet è basato su S (b. 68), o nel corrispondente movimento della Sonata in re maggiore op.10 n.3 dello stesso autore, in cui il secondo couplet è basato sulla sP (b. 35). Non è infrequente, tuttavia, che il secondo couplet sia affidato a una regione tonale vicina alla tonica, come ad esempio la variante della tonica t (cfr. l’Adagio cantabile in Lab M della Sonata in do minore op.13 di Beethoven, b. 37), oppure la parallela della tonica Tp (cfr. il Poco allegretto della Sonata in mib maggiore op.7, b. 64). Nei movimenti in forma di minuetto o di scherzo (cfr. §24.8.3), infine, quando il tono d’impianto è maggiore, e poiché la polarizzazione tonica/dominante ha già riguardato la struttura interna del brano principale, il Trio privilegerà il tono della variante della tonica t (cfr. Beethoven: Sonata op.2 n.2; Sonata op.7) o quello della parallela della tonica Tp (cfr. Beethoven: Sonata op.2 n.2; Sonata op.28). In alternativa, si può ricorrere alla regione della sottodominante S (cfr. Mozart: Sonata in la maggiore K331; Beethoven: Sonata in re maggiore op.10 n.3). Quando il tono d’impianto è minore, invece, la scelta più consueta è la variante della tonica T (Beethoven: Sonata op.2 n.1), ma in alternativa si può optare per la parallela della sottodominante sP (Beethoven: Sonata op.14 n.1).

Elementi di armonia e analisi musicale

231

§25.5 Le regioni tonali più lontane I centri tonali presentati in §25.3, come dicevamo, sono gli unici che si possono rapportare in modo diretto con la tonica di riferimento, e di conseguenza su di essi si basa solitamente il percorso armonico complessivo di una composizione tonale. Per particolari esigenze, tuttavia, i compositori possono occasionalmente ricorrere a regioni tonali ancora più lontane, le quali non si relazionano direttamente con il tono d’impianto, ma con uno dei centri tonali precedentemente esposti, producendo quindi una relazione indiretta. Sono soprattutto le varianti delle regioni tonali parallele individuate in §25.3.4 che possono fungere a loro volta da punto di partenza da cui ottenere un’ulteriore gruppo di regioni tonali più lontane, collegate alle precedenti tramite il principio dei centri tonali paralleli. Per indicarle sarà sufficiente aggiungere il simbolo p (minuscolo) se il tono che si ottiene è “minore” (e quindi nel caso in cui la regione a partire dalla quale si definisce la relazione è a sua volta “maggiore”), e il simbolo P (maiuscolo) nel caso contrario. Parleremo quindi di tono parallelo (minore) della variante (maggiore) della parallela della tonica (TPp), piuttosto che di tono parallelo (maggiore) della variante (minore) della parallela della sottodominante minore (spP). Nel seguente specchietto, sempre riferito a Do M, i gradi della scala corrispondenti vengono indicati con un simbolo “doppio”, che mette in evidenza la relazione indiretta (calcolata, cioè, a partire da un grado della scala diverso dal I) di questi centri tonali.

simbolo

relazioni tonali indirette

TPp

tono parallelo (minore) della variante (maggiore) della parallela della tonica (maggiore) tono parallelo (minore) della variante (maggiore) della parallela della dominante (maggiore) tono parallelo (minore) della variante (maggiore) della parallela della sottodominante (maggiore) tono parallelo (maggiore) della variante (minore) della parallela della tonica minore tono parallelo (maggiore) della variante (minore) della parallela della dominante minore tono parallelo (maggiore) della variante (minore) della parallela della sottodominante minore

DPp SPp tpP dpP spP

grado M/m della scala

Tonalità corrispondente

VI/VIv

fa# m

VI/IIIv

do# m

VI/IIv

si m

iii/iiiv

Solb M

iii/viiv

Reb M

iii/viv

Dob M

Ciascuno dei precedenti centri tonali, inoltre, può essere ulteriormente sostituito dalla rispettiva variante, che verrà indicata sostituendo la p conclusiva con la P, e viceversa. Parleremo pertanto di tono della variante (maggiore) della parallela della variante (maggiore) della parallela della tonica (TPP), piuttosto che di tono della variante (minore) della parallela della variante (minore) della parallela della sottodominante minore (spp).

simbolo TPP DPP SPP

relazioni tonali indirette tono della variante (maggiore) della parallela della variante (maggiore) della parallela della tonica (maggiore) tono della variante (maggiore) della parallela della variante (maggiore) della parallela della dominante (maggiore) tono della variante (maggiore) della parallela della variante (maggiore) della parallela della sottodominante (maggiore)

grado M/m della scala

Tonalità corrispondente

VIv/VIv

Fa# M

VIv/IIIv

Do# M

VIv/IIv

Si M

232

Domenico Giannetta tono della variante (minore) della parallela della variante (minore) della parallela della tonica minore tono della variante (minore) della parallela della variante (minore) della parallela della dominante minore tono della variante (minore) della parallela della variante (minore) della parallela della sottodominante minore

tpp dpp spp

iiiv/iiiv

solb m

iiiv/viiv

reb m

iiiv/viv

dob m

In funzione di riepilogo, la tabella seguente mette in evidenza come, a partire da ciascuna delle regioni tonali principali, si ottengano in sequenza (cfr. ciascuna colonna del grafico) le regioni parallele, le varianti delle parallele, le parallele a queste ultime, e infine le varianti delle parallele delle varianti delle parallele: T

Tp

TP

TPp

TPP

Do M (I)

la m (VI)

La M

fa# m

Fa# M

D

Dp

DP

DPp

DPP

Sol M (V)

mi m (III)

Mi M

do# m

Do# M

S

Sp

SP

SPp

SPP

Fa M (IV)

re m (II)

Re M

si m

Si M

t

tP

tp

tpP

tpp

Do m (i)

Mib M (iii)

mib m

Solb M

solb m

d

dP

dp

dpP

dpp

sol m (v)

Sib M (vii)

sib m

Reb M

reb m

s

sP

sp

spP

spp

fa m (iv)

Lab M (vi)

lab m

Dob M

dob m

Sommando insieme i centri tonali ottenuti a partire da ciascuna delle regioni tonali principali (T, D e S), e dalle rispettive varianti (t, d e s), si ottengono i tre assi di tonica, dominante e sottodominante già individuati in §22.5. Nel primo movimento, Allegro vivace, della Sonata in la maggiore op.2 n.2 di Beethoven, la seconda area tematica inizia, eccezionalmente, nel tono della dominante minore d (b. 58), seguita poi da brevi tappe intermedie basate sulla dP (b. 62) e sulla dpP (b. 66), prima della comparsa definitiva della dominante maggiore D (b. 84) preceduta dalla sua dominante (b. 76). Il modo in cui si succedono questi centri tonali, tutti appartenenti all’asse della dominante, tramite un procedimento di progressivo allontanamento dal tono d’impianto, rappresenta il classico esempio di come possano essere introdotte regioni tonali così lontane dalla tonica principale. Per concludere, molto significative sono anche le seguenti relazioni di secondo livello, le quali saranno comunque descritte e approfondite nel prossimo paragrafo: simbolo

relazioni tonali indirette

gradi della scala

Tonalità corrispondente

DD

tono della dominante della dominante (maggiore)

V/V

Re M

dd

tono della dominante della dominante minore

v/v

re m

SS

tono della sottodominante della sottodominante (maggiore)

IV/IV

Sib M

ss

tono della sottodominante della sottodominante minore

iv/iv

sib m

Elementi di armonia e analisi musicale

233

§25.6 Sistemi di regioni tonali Ciascuna delle regioni tonali principali (cfr. §25.3.1) può fungere da punto di riferimento su cui costruire un “sistema satellite” di relazioni tonali, in tutto e per tutto analogo a quello principale, in cui il ruolo svolto solitamente dal tono d’impianto viene rappresentato dal centro tonale corrispondente rispettivamente alla D, alla d, alla S o alla s. A partire dalla regione tonale della dominante maggiore D, in particolare, si possono individuare le seguenti relazioni tonali: simbolo

regioni tonali riferite alla D

gradi della scala

tonalità corrispondente

DD

tono della dominante della dominante (maggiore) tono della parallela (minore) della dominante della dominante (maggiore) tono della variante (maggiore) della parallela della dominante della dominante (maggiore)

V/V

Re M

III/V

si m

IIIv/V

Si M

IV/V

Do M

II/V

la m

IIv/V

La M

Dp/D o DDp DP/D o DDP S/D Sp/D SP/D

tono della sottodominante della dominante (maggiore) tono della parallela (minore) della sottodominante della dominante (maggiore) tono della variante (maggiore) della parallela della sottodominante della dominante (maggiore)

Non deve affatto stupire il fatto che queste regioni tonali siano già state classificate in un altro modo in precedenza: tutto dipende dal contesto in cui sono collocate. Il centro tonale corrispondente a Re M, ad esempio, può essere definito DD soltanto se si rapporta direttamente con D, altrimenti è più logico adoperare il simbolo SP (cfr. §25.3.4). Le regioni tonali DDp e DDP, invece, corrispondono alle funzioni tonali “Dg” e “DG” (rispettivamente contraccordo di dominante maggiore e variante di quest’ultimo), mentre la regione SP/D potrebbe essere definita in alternativa DDD (tono della dominante della dominante della dominante). Eclatante infine il caso della regione tonale identificata con la sigla S/D, che di fatto coincide con la tonica principale: essa assume tuttavia un senso nell’ambito di una situazione armonica chiaramente basata sulla dominante, come nel caso della seconda area tematica dell’Esposizione di una forma– sonata. È ciò che avviene, ad esempio, nel primo movimento della Sonata in do maggiore op.2 n.3 di Beethoven, quando un episodio basato sul centro tonale di Do M, corrispondente al tono d’impianto, viene sorprendentemente collocato nel bel mezzo della seconda area tematica (b. 61), che invece dovrebbe contrapporsi tonalmente alla tonica per via del principio di polarizzazione tonica/dominante che contraddistingue le forme classiche. L’anomalia può essere spiegata, tuttavia, ipotizzando che, nell’ambito di un contesto che vede la dominante D come nuovo punto di riferimento, l’episodio in questione sia basato su un centro tonale vicino ad essa, la sottodominante della dominante, appunto, producendo quindi un percorso armonico complessivo di questo genere:

234

Domenico Giannetta

Il grafico precedente, che esclude l’analisi della parte conclusiva del movimento, comprensiva della cadenza e della Coda (bb. 232–257), mette comunque in evidenza la perfetta simmetria esistente fra Esposizione e Ripresa, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione interna della seconda area tematica. Da segnalare poi la falsa ripresa (b. 109) nel tono della SP, e non della DD (cfr. sopra): il contesto armonico precedente, infatti, è centrato sulla sottodominante minore s, mentre il successivo pedale di dominante (b. 131) rappresenta soltanto il V grado del tono d’impianto, e non il tono della dominante D, che sarebbe stato del tutto fuori luogo in questo punto della struttura formale. In modo del tutto analogo possiamo calcolare le relazioni tonali possibili a partire dalla regione tonale della dominante minore d: simbolo d/d o dd s/d sP/d sp/d

gradi della scala

tonalità corrispondente

tono della dominante della dominante minore

v/v

re m

tono della sottodominante della dominante minore tono della parallela (maggiore) della sottodominante della dominante minore tono della variante (minore) della parallela della sottodominante della dominante minore

iv/v

do m

vi/v

Mib M

viv/v

mib m

regioni tonali riferite alla d

Vale quanto detto in precedenza: non sono riportate nel precedente grafico le ipotetiche regioni tonali ddP e ddp (la prima parallela di dd, la seconda variante della prima) in quanto, corrispondendo rispettivamente ai centri tonali di Fa M e fa m, risulta piuttosto improbabile doverle interpretare in senso dominantico. Le regioni sP/d e sp/d, infine, corrispondono alle funzioni tonali “dG” e “dg” (rispettivamente contraccordo di dominante minore e variante di quest’ultimo). Nel caso in cui il punto di riferimento sia invece la regione della sottodominante maggiore S, ecco quali sono relazioni tonali che si possono instaurare: simbolo

regioni tonali riferite alla S

gradi della scala

tonalità corrispondente

S/S o SS

tono della sottodominante della sottodominante (maggiore) tono della parallela (minore) della sottodominante della sottodominante (maggiore)

IV/IV

Sib M

II/IV

sol m

tono della dominante della sottodominante (maggiore) tono della parallela (minore) della dominante della sottodominante (maggiore) tono della variante (maggiore) della parallela della dominante della sottodominante (maggiore)

V/IV

Do M

III/IV

la m

IIIv/IV

La M

Sp/S o SSp D/S Dp/S DP/S

La regione tonale SS corrisponde al centro tonale classificato in §25.3.3 come dP (Sib M), ma anche in questo caso vale quanto già detto in precedenza. Il grafico comprende il tono della SSp, che talvolta può assumere un ruolo sottodominantico, ma non quello della rispettiva variante SSP, che coincide invece con il tono della dominante maggiore D (Sol M), e che pertanto è piuttosto improbabile che possa fare la sua comparsa in un contesto sottodominantico. I centri tonali Dp/S e DP/S, infine, corrispondono alle funzioni tonali “Sg” e “SG” (rispettivamente contraccordo di sottodominante maggiore e variante di quest’ultimo).

Elementi di armonia e analisi musicale

235

Per concludere, infine, presentiamo le relazioni tonali calcolate a partire dalla sottodominante minore s: simbolo

regioni tonali riferite alla s

gradi della scala

tonalità corrispondente

s/s o ss

tono della sottodominante della sottodominante minore tono della parallela (maggiore) della sottodominante della sottodominante minore tono della variante (minore) della parallela della sottodominante della sottodominante minore

iv/iv

sib m

vi/iv [N]

Reb M

viv/iv [n]

reb m

v/iv

do m

vii/iv

Mib M

viiv/iv

mib m

sP/s o ssP sp/s o ssp d/s dP/s dp/s

tono della dominante (minore) della sottodominante minore tono della parallela (maggiore) della dominante della sottodominante minore tono della variante (minore) della parallela della dominante della sottodominante minore

I toni ssP e ssp corrispondono alle funzioni tonali “sG” e “sg” (rispettivamente contraccordo di sottodominante minore e variante di quest’ultimo) e sono basati sul grado napoletano N (II grado abbassato): si tratta di centri tonali che ricoprono spessissimo un ruolo sottodominantico, specialmente nella musica di Beethoven, piuttosto che quello dominantico suggerito dalla loro altra possibile interpretazione come dpP e dpp (cfr. §25.5). Nello Sviluppo del primo movimento della Sonata in do minore op.10 n.1, ad esempio, nell’ambito di un contesto basato sul tono della sottodominante minore s (bb. 118–157), come abbiamo già visto in §25.4, possiamo individuare due tappe intermedie basate rispettivamente sui toni della ss (bb. 126–135) e della ssP (bb. 136–141), le quali rappresentano di fatto il “sistema satellite” della s.

§25.7 Grafico delle regioni tonali La figura nella pagina seguente rappresenta graficamente le più significative relazioni tonali che si possono riscontrare nel repertorio classico. Per ciascuna regione è indicata la tonalità corrispondente, sempre ipotizzando il do come tonica di riferimento, e il grado della scala, laddove ciò sia possibile. Le regioni tonali principali sono inserite in un riquadro dai bordi più spessi, e costituiscono il cuore del sistema e il punto di partenza per tutte le relazioni tonali descritte. I riquadri con sfondo bianco identificano le regioni ricavate a partire dal tono d’impianto maggiore/minore tramite successive applicazioni del principio dei centri tonali paralleli e delle varianti, spostandosi progressivamente dal centro del grafico verso le zone estreme superiore ed inferiore. I riquadri con sfondo grigio chiaro contraddistinguono invece le regioni ricavate dal tono della dominante (maggiore/minore), collocate sul lato destro, e dal tono della sottodominante (maggiore/minore), posizionate sul lato sinistro: anche in questo caso spostandosi dal centro verso la periferia del grafico si giunge a relazioni sempre più lontane, dello stesso tipo di quelle evidenziate nel gruppo precedente. Le relazioni di secondo livello, infine, sono caratterizzate da riquadri con sfondo grigio scuro.

236

Domenico Giannetta

Grafico delle regioni tonali

LEZIONE XXVI LA FORMA–SONATA

§26.1 Introduzione L’Introduzione lenta [I] può, a tutti gli effetti, essere considerata un retaggio del primo movimento (lento) della sonata da chiesa barocca (cfr. §24.3): entrambi, infatti, si concludono solitamente con una “cadenza aperta” che si completa soltanto sul battere del successivo Allegro, ma l’Introduzione non può essere considerata un movimento a sé stante, in quanto risulta incorporata al primo movimento delle forme classiche. L’Introduzione lenta è presente nella gran parte delle sinfonie di Haydn, in molte sinfonie mozartiane, e in parte delle sinfonie di Beethoven (soprattutto le prime), complice la necessità di creare un’articolazione formale più estesa per queste partiture sinfoniche, e preparare al contempo in modo più convincente il terreno per l’esposizione del primo tema. Nel repertorio pianistico, invece, è piuttosto rara da riscontare: non è presente in nessuna delle sonate di Mozart, mentre fra le sonate di Beethoven l’esempio più significativo lo si può trovare nella Sonata in do minore op.13 ‘Patetica’.

Prendiamo proprio questa Introduzione come esempio paradigmatico: il materiale tematicomotivico che la contraddistingue presenta relazioni soltanto indirette con gli elementi tematici presentati nella successiva Esposizione, mentre dal punto di vista armonico si assiste ad una iniziale affermazione del tono d’impianto seguita da un momentaneo approdo alla tonica parallela tP (b. 5), per poi giungere al punto di massimo allontanamento (l’armonia di dominante della dominante di b. 7), seguito infine dalla tipica cadenza sospesa alla dominante (b. 10), con tanto di punto coronato, che precede l’irrompere dell’Allegro molto e con brio:

Ciò che rende “anomala” questa Introduzione è il fatto che Beethoven la riproponga per ben due volte, seppure in forma più abbreviata, alla fine dell’Esposizione e al termine della Ripresa (subito prima della Coda), con lo scopo di creare una demarcazione formale tra le varie sezioni della forma–sonata.

238

Domenico Giannetta

§26.2 Prima area tematica Lo scopo principale del primo tema è sostanzialmente quello di affermare nel modo più chiaro e inequivocabile possibile il tono d’impianto della composizione, tanto più se non è presente un’Introduzione lenta che abbia già svolto questo compito. È questo il motivo per cui molto spesso la prima idea tematica di una composizione del periodo classico è articolata, dal punto di vista melodico, sull’arpeggio della triade di tonica, e dal punto di vista armonico sull’alternanza tra le armonie di tonica e dominante. Vediamo ad esempio l’incipit della Sonata in la minore K310 di Mozart, con il tema basato sull’arpeggio mi-do-la, e l’alternanza degli accordi di tonica e dominante sul pedale di tonica:

Questo modus operandi diventa ancora più abituale nella produzione di Beethoven, come si evince dall’incipit della Sonata in fa minore op.2 n.1:

Nell’esempio beethoveniano possiamo notare come, dopo l’armonia di tonica, anche quella di dominante venga esplicitata tramite l’arpeggio dell’accordo corrispondente. Le peculiarità suesposte fanno sì che molto spesso i temi iniziali delle forme classiche non risultino essere particolarmente originali, né tantomeno “belli” dal punto di vista del profilo melodico: il caso limite è rappresentato da quelle composizioni in cui la funzione di primo tema è svolta da un elemento motivico estremamente conciso, un tema-motto ridotto ai minimi termini ma particolarmente carico di significati e di premesse/promesse compositive. L’esempio più emblematico è rappresentato, naturalmente, dal celeberrimo incipit della Quinta Sinfonia di Beethoven. Se il segmento iniziale dell’Esposizione è saldamente basato sul tono d’impianto, non è comunque detto che esso sia costituito da un unico elemento tematico: per questa ragione non è propriamente corretto parlare tout cour di primo tema, come è invece consueto fare nell’uso comune, quanto piuttosto di primo gruppo tematico, o di prima area tematica [A]. Nel caso in cui gli elementi tematici che svolgono questa funzione siano più di uno, è possibile identificarli con precisione tramite numeri progressivi posti come indice [A1, A2, ecc.], come nel caso della Sonata in fa maggiore op.10 n.2 di Beethoven, in cui sono ravvisabili due diversi elementi motivici che insieme concorrono a formare la prima area tematica:

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Fra gli elementi motivici contenuti nella prima area tematica ve ne possono anche essere alcuni che non possiedono una funzione propriamente tematica, svolgendo piuttosto un mero ruolo di raccordo, di transizione, oppure, al contrario, di fermata, di approdo cadenzale: li potremo identificare usando rispettivamente i simboli [At] e [Ak]. Nel seguente esempio, tratto dalla Sonata in do maggiore op.2 n.3 di Beethoven (bb. 8–13), possiamo notare la presenza di un elemento [Ak] che, pur presentando (al basso) un richiamo alla prima idea tematica [A1], svolge una funzione essenzialmente di chiusa cadenzale, che conferma la tonica da cui ha poi inizio la transizione [t]:

Dal punto di vista del percorso armonico, e indipendentemente dal numero e dalla qualità dei componenti motivici che la costituiscono, la prima area tematica può assumere una delle due seguenti configurazioni, in base alla natura della cadenza conclusiva: -

chiusa: quando termina con una cadenza che ribadisce la tonica (modello TÆT); aperta: quando si conclude approdando alla dominante (modello TÆD) o, più raramente, ad un’altra armonia/tonalità.

In entrambi i casi, poi, la conclusione della prima area tematica può essere nettamente separata dalla successiva transizione tramite una “cesura” (una pausa, o addirittura un punto coronato), oppure, al contrario, potrebbe non esserci alcuna soluzione di continuità fra i due primi segmenti principali dell’Esposizione. Nelle sonate di Mozart predomina la seconda soluzione, con la prima area tematica, sempre “chiusa” dal punto di vista armonico, che nello stesso momento in cui si conclude con la cadenza che segna il ritorno della tonica, contemporaneamente cede il passo alla transizione che inizia dalla medesima armonia, come avviene nella Sonata in do maggiore K330 (bb. 14–17):

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Nelle sonate di Beethoven, invece, si ravvisa molto spesso anche l’altra soluzione, che prevede una cesura fra la prima area tematica e la transizione. Come esempi possiamo citare la Sonata in do minore op.10 n.1, in cui la prima area tematica si conclude con una fermata alla tonica seguita da un’intera battuta di pausa (bb. 30–31), e la Sonata in fa minore op.2 n.1 (nell’esempio) in cui, invece, la prima area tematica (costituita da un unico elemento motivico) termina con una cadenza sospesa alla dominante (modello aperto TÆD) seguita da una pausa con punto coronato:

§26.3 Transizione La transizione [t] ha essenzialmente il compito di “spostare” il piano armonico/tonale dalla tonica verso la regione tonale su cui è impostato il secondo gruppo tematico [B], in modo tale che possa essere realizzata la polarizzazione che contraddistingue l’Esposizione delle forme classiche (cfr. §25.2). Dal punto di vista del linguaggio armonico, lo strumento più adatto per realizzare questo “spostamento” è senza dubbio la progressione, il cui meccanismo, una volta messo in moto, può far perdere all’orecchio i tradizionali punti di riferimento (le funzioni armoniche) rendendolo quindi maggiormente disposto ad accettare un nuovo centro tonale. Quando la transizione si innesta senza soluzione di continuità alla precedente prima area tematica (cfr. §26.2), essa inevitabilmente inizia dal tono d’impianto per allontanarsi poi poco a poco da esso (cfr. ad esempio: Sonata in do maggiore op.2 n.3 di Beethoven, b. 13). Quando invece la transizione è preceduta da una cesura, l’inizio può anche essere collocato, dal punto di vista tonale, su un’armonia o su un centro tonale differente: nella Sonata in fa minore op.2 n.1 di Beethoven, per esempio, la transizione, dopo la precedente cadenza sospesa seguita dal punto coronato, inizia con la variante della dominante d (bb. 8–9: cfr. esempio precedente), mentre nella Sonata in do minore op.10 n.1, dopo la pausa che segue la conclusione della prima area tematica sulla tonica, la transizione inizia con una progressione che punta direttamente alla parallela della sottodominante sP (bb. 32–36):

Per quanto riguarda il collegamento con la successiva seconda area tematica [B], anche in questo caso possiamo avere un innesto diretto, senza soluzione di continuità: la transizione giunge e/o cadenza alla nuova tonica secondaria, e contestualmente ha inizio il successivo segmento della struttura formale dell’Esposizione. È ciò che avviene, ad esempio, nella Sonata in la maggiore op.2 n.2 di Beethoven (bb. 55–60):

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Di solito, però, è presente una cesura tra la fine della transizione e l’inizio della seconda area tematica: la soluzione più ricorrente consiste in una fermata con cadenza sospesa alla dominante della nuova regione tonale. Nella Sonata in fa maggiore K332 di Mozart, per esempio, la seconda area tematica [B], esposta nella regione della dominante D, è preceduta da una cadenza sospesa alla dominante della nuova tonica secondaria (corrispondente all’armonia di dominante della dominante, rispetto al tono d’impianto) che conclude la transizione:

È piuttosto frequente che la transizione, per rendere più convincente la stabilizzazione del nuovo centro tonale D, si spinga fino all’armonia corrispondente alla dominante della dominante, ma in Mozart accade spesso che la transizione si concluda semplicemente con una cadenza sospesa alla dominante, e che dopo una pausa la seconda area tematica prenda il via dalla medesima armonia, reinterpretata però come nuova tonica secondaria, come avviene nella Sonata in do maggiore K330:

Per quanto riguarda l’aspetto tematico, sostanzialmente la transizione può assumere una delle seguenti configurazioni: -

riprendere ed eventualmente elaborare in forma di progressione uno degli elementi tematici della prima area tematica (solitamente il primo); presentare un elemento tematico completamente nuovo, un vero e proprio tema della transizione; essere costituita da elementi a-tematici: arpeggi, scale, o altre figurazioni neutre.

Spesso, tuttavia, la transizione è costituita da più di un elemento. Un buon esempio del modello più ricorrente è offerto dalla Sonata in fa minore op.2 n.1 di Beethoven: la transizione (nel tono della dominante minore d) inizia (b. 9) con un elemento motivico ricavato da [A] – lo possiamo indicare

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con la sigla t(A) – elaborato in forma di progressione, per poi proseguire (b. 15) con un breve frammento a-tematico connotato da uno spiccato carattere cadenzale [tk]. Molto spesso l’elemento [tk] si basa su un breve pedale di dominante. §26.4 Seconda area tematica Il “secondo tema” (definizione sostanzialmente scorretta, ma ormai di uso comune) è solitamente definito il tema cantabile della forma-sonata, in opposizione al carattere più conciso del primo tema. Ciò è dovuto al fatto che il tono su cui esso è impostato è stato raggiunto, e spesso anche già stabilizzato, dalla precedente transizione, motivo per cui il nuovo tema non ha l’assoluta necessità, peculiare invece del primo tema, di affermare e chiarire in modo inequivocabile il tono su cui è impostato: questo gli consente di espandersi in figurazioni molto più interessanti dal punto di vista squisitamente melodico, spesso esplicitate in partitura da indicazioni quali espressivo, cantabile ecc… Ma la netta contrapposizione fra un primo tema “maschile” e un secondo tema “femminile” vale, e non sempre, soltanto per la produzione beethoveniana: nella produzione tardo-settecentesca, invece, non si riesce a ravvisare una simile differenziazione di carattere, tanto più in quei casi, frequentissimi in Haydn, ma non rari nemmeno in Mozart, in cui il secondo tema è identico, o molto simile, al primo, come avviene nella Sonata in sib maggiore K570. Ciò che maggiormente stava a cuore ai compositori dell’epoca, infatti, era fondamentalmente la contrapposizione tonale fra le due aree tematiche, una vera e propria “polarizzazione” fra due regioni armoniche che veniva esaltata dal percorso modulante della transizione: dopo aver raggiunto e stabilizzato il centro tonale secondario, appariva loro del tutto indifferente che il tema presentato in quel contesto fosse diverso dal primo, era sufficiente lo spostamento del piano tonale a creare un senso di novità. Per Beethoven, invece, la possibilità di sfruttare la nuova situazione armonica più stabile per dare sfogo alle proprie esigenze espressive era troppo ghiotta, e non se la lasciò sfuggire. D’altro canto va osservato che i primi temi beethoveniani sono molto più concisi di quelli mozartiani, che invece presentano un grado, seppur minimo, di cantabilità, ed anche per questo motivo in Beethoven si percepisce maggiormente il contrasto nel carattere dei due temi principali. Il paradosso è che Beethoven si sente talmente sicuro della stabilità armonica raggiunta dopo la transizione che, spesso e volentieri, si concede la libertà di far iniziare il “secondo tema” con una situazione armonica tutt’altro che chiara e definita, per poi stabilizzare soltanto nella parte conclusiva dell’Esposizione la regione tonale “corretta” e inizialmente prevista. Nella Sonata in fa minore op.2 n.1, per esempio, la seconda area tematica inizia nel previsto tono della parallela maggiore tP, reso però instabile dalla presenza di un pedale di dominante (D/tP) e dall’abbassamento del VI grado (fab invece di fa):

La soluzione più frequente in Beethoven, tuttavia, è quella di far iniziare la seconda area tematica con la variante minore della tonalità prevista, per poi raggiungere la tonalità “corretta” soltanto in un secondo momento: è ciò che avviene, ad esempio, nella Sonata in la maggiore op.2 n.2, nella Sonata in do maggiore op.2 n.3, e nella Sonata in do minore op.13.

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Per quanto riguarda l’organizzazione interna della seconda area tematica, essa, ancor più spesso di quanto accade nella prima area tematica, è solitamente costituita da elementi eterogenei. Nelle sonate di Mozart, ad un prima fase armonicamente stabile contraddistinta da un carattere tematico vero e proprio [B], segue un episodio più dinamico dal punto di vista armonico [Bt], che approda infine ad un elemento con carattere di “chiusa cadenzale” [Bk] che ha lo scopo di ribadire il nuovo centro tonale, anticipando di fatto la funzione svolta dalle codette. Nelle sonate di Beethoven, invece, la tipica organizzazione interna della seconda area tematica assume la seguente struttura: -

-

una prima idea tematica [B1], melodicamente pregnante ma armonicamente instabile, e spesso, come abbiamo visto, presentata nel tono della variante rispetto alla tonalità prevista, seguita magari da un’elaborazione in forma di progressione; un episodio intermedio ancora più instabile, in cui appare evidente lo spostamento del piano tonale, realizzato magari tramite una progressione più incalzante della precedente, alla ricerca della tonalità “corretta” su cui effettuare la polarizzazione: il carattere di questo elemento, paragonabile a una seconda transizione, rende plausibile l’uso della sigla [Bt]; una seconda idea tematica [B2] molto più stabile, ma meno significativa dal punto di vista melodico, esposta nell’ambito della regione tonale “ufficiale” del secondo tema; una fase conclusiva con spiccato carattere cadenzale [Bk] che ribadisce il centro tonale faticosamente raggiunto, anticipando anche in questo caso la funzione svolta dalle successive codette, dalle quali non è sempre nettamente distinguibile.

L’esempio paradigmatico di una simile composita organizzazione della seconda area tematica è offerto dalla Sonata in la maggiore op.2 n.2: -

-

la prima idea tematica [B1] viene presentata nel tono della variante della dominante d, e da essa scaturisce subito dopo una progressione (bb. 58–69); la progressione subisce un’accelerazione che genera una situazione armonica estremamente dinamica [Bt], la quale sfocia infine su una cadenza sospesa alla dominante della dominante, dopo la quale peraltro Beethoven riprende, eccezionalmente, frammenti ricavati dal tema principale della prima area tematica [A1] (bb. 70–82); una nuova idea tematica [B2], armonicamente statica ma melodicamente più anonima, viene ora presentata nel tono della dominante D, il centro tonale “ufficiale” della seconda area tematica (bb. 83–91); un ultimo elemento con carattere cadenzale [Bk] conclude l’episodio confermando la tonalità secondaria (bb. 92–103).

§26.5 Codette L’Esposizione si conclude con un ultimo episodio avente lo scopo di ribadire in modo definitivo il centro tonale su cui si è basata la “polarizzazione” rispetto al tono d’impianto. Dal punto di vista armonico, quindi, le codette [k] non sono altro che una o più formule di cadenza che si concludono in modo quasi ossessivo sulla “nuova” tonica. Dal punto di vista tematico, invece, le codette possono assumere una delle forme seguenti: -

essere basate su un materiale melodico a-tematico, delle neutre formule di cadenza aventi unicamente lo scopo di concludere la prima sezione della forma-sonata; riprendere, alla lettera o variato, un elemento tematico già presentato in precedenza, ricavato magari dalla prima area tematica, o anche dalla transizione; introdurre un nuovo elemento tematico, che sarà considerato specifico di questo segmento della forma-sonata, e che magari potrà essere oggetto di elaborazione nel successivo Sviluppo.

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La Sonata in la minore K310 di Mozart presenta un esempio del primo tipo di codette:

In questi casi non è sempre agevole intuire esattamente dove finisce la seconda area tematica e iniziano le codette, sia perché solitamente non vi è alcuna cesura tra i due segmenti, sia soprattutto perché la parte conclusiva di [B], come abbiamo visto, assume spesso un carattere cadenzale [Bk] che presenta notevoli analogie con le codette vere e proprie: in questi casi, in fondo, diventa persino superfluo operare una netta distinzione fra [B] e [k]. Quando però le codette appartengono ad uno degli altri due tipi descritti in precedenza, è decisamente più semplice identificarle con chiarezza. La stessa cosa vale per quei casi, non così infrequenti in Beethoven, in cui è presente una cesura alla fine di [B] che permette di isolare il segmento conclusivo dell’Esposizione. La Sonata in mi maggiore op.14 n.1 di Beethoven presenta un classico esempio di codette che riprendono, affidandolo alla mano sinistra, il tema iniziale della prima area tematica [k(A)]:

Questo esempio, inoltre, mostra un caso particolare, ma non raro, di conclusione dell’Esposizione: invece di avere la canonica fermata sulla tonica del nuovo centro tonale, seguita da una pausa più o meno lunga che produce una cesura utile per separare nettamente l’Esposizione dallo Sviluppo, talvolta Beethoven inserisce alla fine delle codette un’improvvisa deviazione che riconduce al tono d’impianto e/o alla regione tonale con cui inizierà poi lo Sviluppo. Nella Sonata in do minore op.13, per esempio, le codette, dopo aver ribadito il tono della parallela maggiore della tonica tP, centro tonale su cui è avvenuta la “polarizzazione”, si concludono convergendo la prima volta verso la dominante, per consentire la ripetizione dell’Esposizione tramite il segno di ritornello, e la seconda volta verso la dominante della dominante, per agevolare la connessione con l’inizio dello Sviluppo impostato nella regione della dominante minore d.

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§26.6 Sviluppo L’inizio dello Sviluppo è caratterizzato solitamente dalla riproposizione e successiva elaborazione del primo tema [A]. Tuttavia Mozart molto spesso preferisce esordire presentando un elemento tematico completamente nuovo [S], mentre Beethoven talvolta inizia questa sezione riproponendo l’ultimo elemento presentato nell’Esposizione, ovvero il motivo delle codette [k]. Anche dal punto di vista tonale i due grandi compositori classici propendono per soluzioni differenti. Mozart sembra quasi voler proseguire il percorso armonico dell’Esposizione, e quindi inizia lo Sviluppo nel tono della dominante, o, in alternativa, nella regione della variante della dominante d, come avviene nella Sonata in re maggiore K284:

Beethoven, invece, predilige iniziare lo Sviluppo in un centro tonale che afferisce all’area della tonica, optando di volta in volta fra la variante della tonica o la parallela della tonica. Nella Sonata in do minore op.10 n.1, ad esempio, lo Sviluppo inizia con la riproposizione di [A1] nel tono della variante della tonica T:

In ogni caso lo Sviluppo prosegue poi con lo spostamento verso altri centri tonali, spesso realizzato tramite progressioni, privilegiando comunque quelli che appartengono all’area della sottodominante, con lo scopo di “compensare” lo sbilanciamento verso la dominante che ha contraddistinto l’Esposizione, e preparare così il terreno per il ripristino del tono d’impianto che si concretizzerà all’inizio della Ripresa. Dal punto di vista tematico, lo Sviluppo mozartiano tende a basarsi principalmente su uno dei due temi principali [A] e [B], ma raramente vengono elaborati entrambi nella medesima sonata. Beethoven, invece, privilegia di gran lunga l’elaborazione del solo primo tema [A], o comunque degli elementi motivici che appartengono alla prima area tematica. Verso la conclusione dello Sviluppo può essere presente una deviazione verso la parallela della tonica Tp, centro tonale ritenuto molto efficace per preparare il ritorno della tonica, e quindi la Ripresa: questo stilema, tipicamente settecentesco, è spesso adoperato da Mozart, ma viene poi poco a poco abbandonato da Beethoven, che invece colloca molto spesso questo centro tonale proprio all’inizio dello Sviluppo. Eccezionalmente nel cuore dello Sviluppo può essere presente una falsa ripresa, ovvero una riproposizione del primo tema [A] collocato però in un centro tonale “sbagliato”: la sensazione che si tratti della Ripresa vera e propria è acuita dal fatto che solitamente la falsa ripresa è caratterizzata

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da una situazione tonale statica, preparata magari da un precedente approdo cadenzale, che si discosta dal percorso armonico in continua evoluzione tipico dello Sviluppo. Tuttavia l’inganno viene ben presto alla luce in quanto, subito dopo la presentazione del tema, il centro tonale che l’ha ospitato viene messo in discussione, e riprende quindi quella spinta motoria che aveva caratterizzato fino a quel punto lo Sviluppo. Ecco, ad esempio, ciò che accade nello Sviluppo della Sonata in do maggiore op.2 n.3 di Beethoven, con l’apparizione del primo tema [A] nel tono della variante della parallela della sottodominante SP, introdotto dalla sua dominante, che immediatamente dopo, però, viene messo in discussione dall’inizio di una progressione che dovrà condurre alla Ripresa vera e propria:

La tipica conclusione dello Sviluppo consiste in un pedale di dominante [P] seguito da un breve elemento melodico con funzione di collegamento/raccordo con la successiva Ripresa che prende il nome di riconduzione [R]. Nelle sonate di Mozart sia il pedale che la riconduzione sono solitamente basati su materiale a-tematico, e non vi è soluzione di continuità fra la conclusione dello Sviluppo e l’inizio della Ripresa, come si evince dalla Sonata in la minore K310:

Beethoven, invece, costruisce molto spesso il pedale di dominante, e talvolta anche la riconduzione, su materiale tematico ricavato solitamente dalla prima area tematica, e la Ripresa è nettamente separata dallo Sviluppo tramite una cesura abbinata magari ad un punto coronato, come avviene nella Sonata in sol maggiore op.14 n.2:

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§26.7 Ripresa La Ripresa ha inizio con la riproposizione della prima area tematica nel tono d’impianto. Nelle sonate di Mozart questo segmento viene mantenuto solitamente identico all’Esposizione, mentre Beethoven, che ha ampiamente sfruttato questo materiale tematico nello Sviluppo (cfr. §26.6), per evitare il prodursi di una certa ridondanza tende ad abbreviarlo nella Ripresa, rinunciando magari a qualche elemento secondario. Molto frequente è la presenza di una successiva deviazione verso il tono della sottodominante, con il duplice scopo di allentare la tensione e di controbilanciare quella tendenza centrifuga che nell’Esposizione aveva condotto alla modulazione al tono della dominante. In casi eccezionali la Ripresa inizia direttamente con il primo tema esposto nel tono della sottodominante, come avviene nella Sonata in do maggiore K545 di Mozart (cfr. §25.4). Lo spostamento verso la regione della sottodominante può essere talvolta associato alla comparsa di un breve episodio che presenta il carattere di uno Sviluppo, e che prende pertanto il nome di Sviluppo Secondario [SS]. È ciò che accade nella Sonata in la maggiore op.2 n.2 di Beethoven, dove un breve Sviluppo Secondario elabora [A2] nel tono della sottodominante minore s prima di tornare al tono d’impianto da cui ha inizio la transizione [t]:

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Se nell’Esposizione la transizione aveva condotto ad una fermata alla dominante, come accade piuttosto di frequente nelle sonate di Mozart, essa potrà rimanere totalmente identica nella Ripresa, con l’unica differenza che la dominante così raggiunta non verrà più reinterpretata come la tonica del nuovo centro tonale [D], come era avvenuto nell’Esposizione, ma semplicemente come il V grado del tono d’impianto verso cui immediatamente ritorna il percorso armonico. Una situazione del genere si concretizza nella Sonata in sol maggiore K283 di Mozart:

Quando invece la transizione nell’Esposizione era approdata ad una fermata sulla dominante della dominante, come accade quasi sempre nelle sonate di Beethoven, nella Ripresa essa dovrà essere totalmente ripensata, sostituendo il suo precedente punto di arrivo con la dominante. Questo risultato potrà essere ottenuto o modificando l’organizzazione delle progressioni, sostituendo magari anche il centro tonale da cui ha inizio la transizione (che spesso viene trasposto una quinta sotto: cfr. ad es. la Sonata in fa minore op.2 n.1), oppure sostituendo o affiancando l’originaria transizione con uno Sviluppo Secondario il quale, deviando magari verso la regione della sottodominante, consente di ottenere lo scopo desiderato. L’episodio conclusivo della transizione [tk], basato sul pedale di dominante, può essere riproposto tale e quale (ovviamente adeguato al nuovo contesto tonale) al termine dello Sviluppo Secondario, come avviene ad esempio nella Sonata in sib maggiore op.22. In altri casi, infine, lo Sviluppo

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Secondario può sostituire sia la parte conclusiva della prima area tematica che l’inizio della transizione, collocandosi pertanto subito dopo la riproposizione del primo tema [A] e precedendo la conclusione della transizione [tk], situazione che si riscontra nella Sonata in mib maggiore op.7. La seconda area tematica, salvo rare eccezioni, viene riproposta tale e quale nella Ripresa, fatta salva naturalmente la sua trasposizione nel tono d’impianto. Ciò è significativo soprattutto nelle sonate di Beethoven, dove al contrario la prima area tematica viene spesso sottoposta ad una profonda revisione tematica e tonale nella Ripresa, ma d’altra parte questo atteggiamento trova una giustificazione nel fatto che gli elementi tematici che contraddistinguono la seconda area tematica molto raramente sono oggetto di elaborazione nel corso dello Sviluppo, motivo per cui la relativa distanza temporale dalla loro prima presentazione suggerisce al compositore di preservare la loro riconoscibilità. Nelle sonate in tonalità minore, tuttavia, Beethoven spesso presenta, almeno inizialmente, il secondo tema [B] nel tono della sottodominante, per approdare soltanto successivamente al tono d’impianto (cfr. §25.4). Le ragioni di un simile comportamento possono rispondere alle seguenti motivazioni: -

-

nella Ripresa della Sonata in do minore op.10 n.1, il secondo tema viene presentato inizialmente nel tono della sottodominante maggiore S, probabilmente allo scopo di preservarne il carattere “maggiore” (nell’Esposizione, infatti, il tema era stato presentato nel tono della parallela della tonica tP) che sarebbe andato perduto nel caso di una trasposizione forzata nel tono d’impianto, che comunque si concretizzerà subito dopo; nella Sonata in do minore op.13, invece, il tema [B1], che nell’Esposizione era stato presentato eccezionalmente nel tono della variante minore della parallela della tonica tp, viene proposto ora nel tono della sottodominante minore s, forse con lo scopo di riproporre quell’effetto “sorpresa” che aveva caratterizzato la collocazione tonale della sua prima apparizione, preservando inoltre il contrasto tonale esistente fra [B1] e [B2].

Per quanto riguarda le codette [k], infine, esse rimangono quasi sempre inalterate nella Ripresa, fatta salva la loro trasposizione nel tono d’impianto, tranne in quei casi in cui esse si collegano direttamente con l’eventuale Coda. §26.8 Coda La presenza di una Coda è un’eventualità piuttosto rara da riscontrare nelle sonate di Mozart, il quale quando desidera enfatizzare la conclusione del movimento si limita al massimo ad allungare un po’ le codette (cfr. Sonata in re maggiore K284). Beethoven, invece, vi ricorre con una certa frequenza, in alcuni casi “accontentandosi” di riproporre per l’ultima volta il primo tema [A] (cfr. Sonata in mi maggiore op.14 n.1), ma in altre occasioni creando un vero e proprio episodio conclusivo costituito a sua volta da più elementi. Nella Sonata in mib maggiore op.7, ad esempio, la Coda inizia con la riproposizione del primo tema [A] nel tono della parallela della tonica Tp, per poi tornare al tono d’impianto nell’ambito del quale viene presentato il tema [B2], seguito da un breve pedale di dominante sul quale ascoltiamo un elemento motivico ricavato dalle codette [k2] prima del definito approdo alla tonica abbinato all’ultima presentazione del primo tema [A]. Ancora più complessa risulta però essere l’organizzazione formale dell’episodio conclusivo del primo movimento della Sonata in do maggiore op.2 n.3. Beethoven dapprima presenta un episodio basato su nuovo materiale motivico nel tono della parallela della sottodominante minore sP, il quale sfocia su una vera e propria Cadenza da concerto (cfr. §24.8.1), seguita dalla riproposizione del primo tema [A] nel tono d’impianto, e da un brevissimo elemento conclusivo ricavato dalle codette [k2].

APPENDICI

APPENDICE I REALIZZAZIONE DI UNA MODULAZIONE

§1 Impostazione di un concatenamento armonico Realizzare per iscritto una modulazione fra 2 tonalità significa concepire un “concatenamento armonico” che si sviluppa attraverso 3 momenti: 1. la conferma della tonalità di partenza, ottenuta attraverso un’appropriata sequenza armonica culminante nella cadenza perfetta V–I; 2. la modulazione vera e propria, da realizzarsi optando di volta in volta per la soluzione che consenta una più facile transizione da una tonalità all’altra; 3. la conferma della tonalità di arrivo, utilizzando magari una sequenza armonica più conclusiva della precedente, privilegiando se possibile la cadenza composta (cfr. §5.2). Ciò che contraddistingue un concatenamento armonico è soprattutto il fatto che si tratta di un esercizio che va impostato da zero, senza avere, come nel basso, la guida di una voce già data per intero. L’armatura di chiave deve sempre essere quella della tonalità di partenza, mentre le alterazioni peculiari della seconda tonalità andranno inserite una ad una. Anche la scelta del metro, in particolare per ciò che concerne l’unità di misura (il denominatore), andrà ponderata con attenzione in funzione degli eventi musicali che si vorranno utilizzare. È opportuno che il basso sia concepito ponendo molta attenzione al suo sviluppo melodico, evitando quindi di farlo procedere tramite continui salti (specie se nella medesima direzione), o movimenti melodici vietati (cfr. §2.7): a questo scopo, ogni qual volta sia necessario, si potranno sostituire i gradi fondamentali con i rispettivi rivolti. §2 La conferma della tonalità di partenza Questa prima fase consiste in un breve collegamento armonico che, partendo dalla triade di tonica, giunge alla dominante per tornare infine al punto di partenza (tramite la cadenza perfetta V–I). Fra la tonica e la dominante si potranno collocare una o più armonie che svolgono una funzione sottodominantica. È preferibile non adoperare dominanti secondarie in questa sede: esse, infatti, renderebbero instabile il senso tonale, soprattutto alla luce della breve durata dell’episodio e dell’imminente modulazione ad un’altra tonalità. Per rafforzare il ruolo centrale della tonica è meglio collocarla sempre sul battere, ovvero sul tempo forte della battuta: in questo modo la dominante si troverà sul levare della penultima battuta, mentre gli spazi rimasti vuoti potranno essere occupati da varie combinazioni di armonie che consentano un efficace concatenamento armonico fra la tonica e la dominante:

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Ecco dunque 3 possibili soluzioni per realizzare questo collegamento armonico:

§3 La modulazione Dopo aver confermato la prima tonalità si procederà alla modulazione vera e propria, applicando il procedimento di modulazione che si ritiene più appropriato. Nel caso in cui si voglia realizzare una modulazione tramite le triadi comuni, ad esempio, è buona norma costruire prima uno “specchietto” che contenga tutti gli accordi comuni alle 2 tonalità, e quindi scegliere fra questi accordi quello più adatto ad essere reinterpretato armonicamente nel nuovo contesto tonale, cercando sempre e comunque di creare un collegamento armonico soddisfacente. Vediamo dunque quali ragionamenti mettere in atto in questi casi illustrando il modo in cui si può realizzare una modulazione da do maggiore a fa maggiore. Prima di tutto selezioniamo le triadi comuni alle 2 tonalità (tutte quelle che non contengono il suono differenziale si/sib), indicando per ciascuna di esse la doppia denominazione dei gradi armonici:

Quindi scegliamo quale delle triadi precedenti utilizzare per effettuare la modulazione, ragionando prevalentemente in funzione della tonalità da raggiungere, piuttosto che di quella che stiamo per abbandonare. A questo proposito, quindi, cominciamo con l’escludere l’ultima triade (la-do-mi), che in Fa M corrisponderebbe alla triade del III grado, accordo piuttosto debole e poco utilizzato. Escludiamo poi la prima triade (do-mi-sol) che, oltre ad essere già presente come accordo conclusivo della sequenza armonica precedente, rimanda troppo esplicitamente alla tonalità di partenza (si tratta, appunto, della tonica di Do M). Per concludere, escludiamo anche la terza triade (fa-la-do), perché corrisponde alla tonica della tonalità da raggiungere, e non è mai efficace raggiungere la nuova tonica in modo troppo diretto. A questo punto non resta che una triade (re-fa-la), la quale si rivela peraltro efficacissima, in quanto coincide con un grado secondario in entrambe le tonalità (II di Do M, e VI di Fa M), e quindi non rimanda in modo evidente a nessuna delle due.

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Torniamo dunque al nostro concatenamento armonico e proviamo ad introdurre la triade in questione: poiché il collegamento diretto I–II non è molto felice, interponiamo fra le due armonie la triade del IV grado:

Il segno “=” esplicita la nuova interpretazione armonica che consente a questo accordo di trasformarsi nel VI grado di Fa M, agevolando quindi l’approdo alla nuova tonalità. Giunti a questo punto, è necessario abbandonare definitivamente la tonalità di partenza ed avviarsi decisamente verso la nuova: il modo più semplice per chiarire il passaggio al nuovo tono è quello di introdurre la dominante, ancora meglio se armonizzata con la settima, visto che la contemporanea presenza della sensibile e della controsensibile chiarisce in modo inequivocabile quale sia la nuova tonica, molto più della triade di tonica stessa. Nell’esempio in questione, poiché il VI grado, armonizzato come triade fondamentale, non si collega molto bene con la settima di dominante, scegliamo di interporre un’altra armonia con funzione sottodominantica. La risoluzione sulla nuova tonica, infine, completa la modulazione vera e propria. Ecco due diverse soluzioni per effettuare il collegamento appena descritto: come si può vedere, tutte le armonie precedentemente descritte possono anche essere rappresentate da rivolti.

§4 La conferma della tonalità di arrivo La nuova tonica è ancora troppo precaria (specialmente se presentata sotto forma di rivolto), e potrebbe quindi essere facilmente scambiata per un grado secondario tonicizzato: è necessario, dunque, che essa venga confermata tramite una sequenza armonica simile (ma, possibilmente, non identica) a quella con cui si era avviato il concatenamento armonico. Al fine di rendere ancora più convincente la stabilità del nuovo centro tonale, è opportuno concludere sempre la sequenza armonica con la cadenza composta. Le seguenti due diverse soluzioni si innestano sulle rispettive sequenze presentate nell’esempio precedente:

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Ecco, dunque, come si presenta il concatenamento armonico completo “montando” insieme tutte le componenti descritte nei paragrafi precedenti: presentiamo sempre due diverse versioni, la prima più semplice, realizzata unicamente con gli accordi in stato fondamentale, la seconda più raffinata, che fa uso anche dei rivolti per ottenere un profilo melodico del basso più interessante.

§5 Modulare alla tonalità parallela La modulazione tramite triadi comuni si rivela molto utile anche per collegare fra loro una tonalità maggiore con la sua parallela minore, e viceversa. Presentiamo a questo scopo lo specchietto con tutte le triadi comuni a do maggiore e la minore (suono differenziale: sol/sol#):

Le triadi migliori su cui imperniare la modulazione sono le prime due: la terza (la-do-mi), infatti, corrisponde alla tonica di La m, mentre l’ultima (si-re-fa) è diminuita, e quindi non facile da gestire (essendo, inoltre, la triade di sensibile di Do M, subentra il problema del divieto di raddoppiare il suono fondamentale).

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Le prime due triadi possono essere usate entrambe, anche in sequenza: in tal caso sarebbe meglio adoperare prima la seconda (fa-la-do), e poi la prima (re-fa-la), per il motivo che due triadi a distanza di terza si collegano meglio in senso discendente (IV–II, o VI–IV) che non ascendente (II– IV, o IV–VI). La triade da reinterpretare armonicamente potrà essere una qualsiasi delle due: ecco dunque come si potrebbe presentare una modulazione da Do M a La m.

Ed ecco, invece, una modulazione in senso opposto:

§6 Modulare con il basso legato modulante Per modulare al tono della dominante si rivela molto utile adoperare il basso legato modulante (cfr. §10.5). In questo caso non esiste una triade comune ad entrambe le tonalità: al massimo si potrebbe intendere come armonia comune la settima di dominante della nuova tonalità (con la quale ha inizio la modulazione), la quale può essere interpretata come dominante della dominante del tono di partenza, almeno fino a quando non viene confermata la nuova tonalità. Ecco un esempio di concatenamento armonico contenente una modulazione da Do M a Sol M realizzata tramite il basso legato modulante:

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§7 Altre modulazioni ai toni vicini La modulazione ai toni vicini più delicata da realizzare è quella verso la parallela minore della sottodominante (ad esempio: da Do M a Re m), e viceversa, in quanto la presenza di 2 suoni differenziali (nella fattispecie: si/sib e do/do#) riduce ad una soltanto il numero delle triadi comuni: re-fa-la, ovvero il II di Do M che corrisponde al I di Re m. Per realizzare la modulazione, pertanto, si dovrà necessariamente sfruttare questa triade, facendola precedere magari da armonie prese dalla scala minore naturale. Ad esempio, per modulare da Do M a Re m si potrà far precedere la triade comune re-fa-la dalla triade del III grado naturale di Re m (fa-la-do), e confermare poi la nuova tonica con una sequenza armonica appropriata:

Senza dubbio la modulazione appare meno spontanea rispetto alle precedenti, se non altro perché la triade comune corrisponde alla tonica della nuova tonalità, che viene così raggiunta troppo presto, ma fra queste due tonalità non si può fare molto di meglio. La modulazione inversa (da Re m a Do M) presenta molti meno problemi, in quanto è molto più semplice e spontaneo trasformare un grado forte (in questo caso il I di Re m) in uno secondario (il II di Do M), che non viceversa:

§8 Fioritura di un concatenamento armonico I concatenamenti armonici presentati nei precedenti paragrafi sono costituiti unicamente da accordi, ma per essere resi musicalmente più vari e interessanti è possibile introdurre fioriture melodiche e ritardi. Le note di passaggio rappresentano un’ottima soluzione quando vengono adoperate per “colmare” i salti di terza, sia nel basso che nelle voci superiori. Spesso, inoltre, potrà essere utile sostituire gli accordi di settima con le rispettive triadi per poi inserire la settima di passaggio, e generare quindi un movimento melodico.

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I ritardi, invece, sono ottimi per creare un effetto di sospensione nei punti di maggior tensione armonica, in particolare nella cadenza finale che, con il ritardo della terza (4–3), assumerà la forma della cadenza composta dissonante (cfr. §11.4).

§9 Modulare ai toni lontani Lo schema su cui si basa un concatenamento armonico contenente una modulazione ai toni vicini può essere utilizzato anche per raggiungere tonalità molto più lontane nel circolo delle quinte: è sufficiente infatti applicare nella seconda fase dell’esercizio (la modulazione vera e propria) uno dei sistemi di modulazione studiati ed analizzati nelle lezioni XXI–XXII. Ad esempio, ecco come realizzare una modulazione da Do M a Mi M [+4M], completo di fioriture melodiche: la modulazione è ottenuta sfruttando la sottodominante minore della nuova tonalità (cfr. §21.6).

Per modulare da Re m a Reb M [–4M], invece, adoperiamo la trasformazione enarmonica dell’accordo di settima di dominante (cfr. §22.2):

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§10 Modulare a tutti i toni Come abbiamo visto in §22.4–8, tramite le diverse interpretazioni enarmoniche degli accordi di settima diminuita è possibile effettuare una modulazione verso qualunque tonalità, maggiore o minore che sia. Per effettuare una qualsiasi modulazione ai toni lontani, pertanto, si potrà seguire questo schema pratico: 1. Costruire l’accordo di settima diminuita sul VII grado della tonalità di partenza e di quella di arrivo: se i due accordi sono enarmonicamente identici, allora vorrà dire che le due tonalità appartengono al medesimo asse (asse della tonica, cfr. §22.6). Ad esempio: modulazione da Sol M a Do# m [+6m]

Dal confronto fra le settime diminuite sul VII grado di entrambe le tonalità emerge che i due accordi si corrispondono enarmonicamente. Per realizzare la modulazione, quindi, sarà sufficiente introdurre il primo accordo e trasformarlo enarmonicamente nel secondo, seguendo i consigli dati in §22.6:

2. Nel caso in cui i due accordi non coincidano, costruire allora l’accordo di settima diminuita sul IV grado alterato (sensibile della dominante: D/V) della prima tonalità: se questo accordo corrisponde enarmonicamente all’accordo di settima diminuita sul VII grado della seconda tonalità, la modulazione avverrà nell’ambito dell’asse della dominante (cfr. §22.7).

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Ad esempio: modulazione da Fa M a La M [+4M]

Per realizzare la modulazione, quindi, sarà sufficiente introdurre l’accordo di settima diminuita sul IV grado alterato della prima tonalità in secondo rivolto (legando al basso la tonica, come abbiamo visto in §22.7) e trasformarlo enarmonicamente nella settima diminuita sul VII grado della seconda tonalità:

3. Se nemmeno la seconda condizione risulta soddisfatta, allora vorrà dire che la seconda tonalità è posta sull’asse della sottodominante (cfr. §22.8): qualora se ne volesse avere la controprova, si può costruire l’accordo di settima diminuita sul I grado alterato (sensibile della sopratonica: D/II) della prima tonalità, e verificare che esso coincida enarmonicamente con la settima diminuita sul VII grado della seconda. Ad esempio: modulazione da Sib M a La M [+5M]

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Per realizzare la modulazione sarà sufficiente introdurre la settima diminuita sul I grado alterato (D/II) tramite un movimento cromatico del basso, e trasformare quindi enarmonicamente questo accordo nella settima diminuita sul VII grado (in primo rivolto) della seconda tonalità:

APPENDICE II BASSI DI RIEPILOGO

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APPENDICE III LINEE GUIDA PER L’ANALISI

§1 Un caso concreto di analisi Nelle prossime pagine verrà proposta l’analisi del primo movimento della Sonata in fa minore op.2 n.1 di Beethoven, in modo tale da fornire all’allievo un modello di riferimento per realizzare l’analisi di un’altra composizione basata sulla forma–sonata appartenente al medesimo repertorio. La prima fase del lavoro analitico consiste nell’esaminare attentamente la partitura, individuando sia le tappe fondamentali del percorso armonico che le principali articolazioni della struttura formale: le prime saranno identificate con i simboli relativi alle regioni tonali descritti nella Lezione XXV, mentre per le seconde si adopererà il vocabolario di simboli utilizzato nella Lezione XXVI. Questi simboli verranno indicati direttamente sulla partitura, e per la precisione i primi verranno collocati in basso, sotto il pentagramma della mano sinistra, mentre i secondi saranno posizionati sopra il pentagramma relativo alla mano destra. Come si potrà verificare, l’organizzazione del materiale tematico e quella del percorso armonico viaggiano su due binari paralleli, e non necessariamente producono esiti perfettamente concordanti: fra di essi si instaura una sorta di dialogo che è necessario interpretare nel modo corretto per comprendere appieno il pensiero dell’autore. Nel brano in questione, ad esempio, l’inizio della transizione [t] che porta alla seconda area tematica [B] non è segnalato dalla contestuale apparizione di una nuova idea motivica (viene anzi riproposto, almeno inizialmente, il tema iniziale), quanto piuttosto dall’abbandono della regione tonale corrispondente al tono d’impianto. Al contrario, il punto di inizio della seconda area tematica va collocato in corrispondenza dell’apparizione di un nuovo elemento tematico chiaramente definito e riconoscibile [B1], nonostante la corrispondente regione tonale non sia ancora perfettamente stabilizzata. Nello Sviluppo la citazione di elementi tematici già presentati nell’Esposizione sarà segnalata utilizzando il simbolo corrispondente posto fra parentesi. Una D fra parentesi identifica invece una dominante che prelude all’approdo di un nuovo centro tonale: essa sarà barrata se l’armonia è priva della fondamentale. Le progressioni sono indicate da una freccia rivolta verso destra, mentre una linea orizzontale segnala la presenza di un pedale: nel caso di un pedale di dominante, la linea sarà preceduta dal simbolo D/x, con x che indica la regione tonale di riferimento.

§2 Esame della partitura Nelle pagine seguenti è presentata la partitura completa dell’Allegro iniziale della Sonata in fa minore op.2 n.1 di Beethoven, corredata dai simboli descritti nel paragrafo precedente. Per agevolare il lettore, sono state rimosse dal testo tutte le indicazioni interpretative (diteggiatura, dinamiche, fraseggio…) ritenute non indispensabili ai fini della comprensione, che avrebbero rischiato di appesantire notevolmente la lettura della partitura, rendendo inoltre non immediatamente percepibili i simboli analitici di nostro interesse.

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Possiamo quindi iniziare a trarre le prime conclusioni: -

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la prima area tematica è basata su un’unica idea tematica [A], e termina con una cadenza sospesa alla dominante seguita da una netta cesura realizzata tramite una pausa con punto coronato; la transizione, nonostante si basi inizialmente sul medesimo materiale tematico di [A], è facilmente identificabile grazie alla presenza di tre fattori: la precedente cesura, che determina una netta demarcazione formale, l’apparizione del nuovo centro tonale d, e soprattutto il successivo apparire di una progressione che palesa l’intenzione di spostare il piano tonale verso un nuovo punto di approdo; la seconda area tematica ha inizio con la presentazione di una nuova idea tematica [B1] su un pedale di dominante che rende estremamente instabile la nuova regione tonale tP, mentre al contrario la successiva idea [B2], più stabile dal punto di vista tonale, non possiede la medesima pregnanza tematica; lo Sviluppo si basa inizialmente sulla riproposizione di [A], ma è dominato nella quasi interessa dall’elaborazione di [B1], fatto piuttosto raro nella produzione beethoveniana; attraverso le regioni tonali s e d, entrambe introdotte da un breve pedale di dominante, il percorso armonico dello Sviluppo approda infine ad un lungo pedale di dominante [P], al termine del quale ha inizio la riconduzione [R] che si basa su una progressione realizzata sfruttando un elemento motivico ricavato da [A]; la Ripresa non presenta significative novità, fatta salva la necessaria trasposizione tonale della seconda area tematica: per raggiungere questo scopo Beethoven fa iniziare la transizione nel tono d’impianto t, invece che nel tono della dominante minore d, e ne modifica radicalmente la parte conclusiva tk; al termine delle codette è presente un’improvvisa deviazione tonale verso la s, seguita da una sbrigativa conclusione realizzata tramite accordi che nell’insieme può essere considerata come una breve Coda.

§3 Lo schema analitico Le precedenti considerazioni trovano un punto di sintesi nello schema analitico presentato nella pagina seguente, che consente di cogliere con un unico sguardo le principali informazioni relative alla struttura formale e tonale del brano analizzato. Il rigo superiore del grafico presenta le articolazioni principali della struttura formale (prima area tematica, transizione, seconda area tematica, e così via…), mentre nel rigo sottostante è evidenziata l’organizzazione interna di ciascuna sezione principale (ad esempio B è formato da B1, B2 e Bk). Il rigo inferiore è invece dedicato alle principali tappe del percorso armonico complessivo (cfr. §25.4), che nel rigo immediatamente superiore vengono analizzate in modo più dettagliato prendendo in considerazione anche le principali cadenze e i pedali. Per facilitare la lettura dello schema, in basso sono indicati anche i suoni corrispondenti alle principali regioni tonali, in maiuscolo quelle corrispondenti a tonalità maggiori, in minuscolo le altre.

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§4 Il percorso armonico complessivo Mutuando le informazioni necessarie dal grafico di §3, presentiamo adesso la rappresentazione sintetica del percorso armonico complessivo, per la cui impostazione si rimanda a §25.4.

Esposizione La prima area tematica si conclude con una cadenza sospesa alla dominante (b. 8). L’improvviso abbassamento della terza (b. 9) ci proietta nel tono della dominante minore d, da cui ha inizio la transizione la quale, tramite una progressione, approda al pedale di D/tP con cui ha inizio la seconda area tematica (b. 20). Sviluppo A partire dalla regione della parallela della tonica tP, con la quale si è conclusa l’Esposizione, ha luogo uno spostamento verso la regione della sottodominante minore s, introdotta però da un pedale di dominante (b. 55). Segue un ulteriore spostamento verso la regione della dominante minore d, anch’essa introdotta da un pedale di dominante (b. 63). Nella restante parte dello Sviluppo compaiono due progressioni discendenti che conducono infine al pedale di dominante [P] (b. 81), al termine del quale si ritorna al tono d’impianto. Ripresa La cadenza sospesa, che anche in questo caso conclude la prima area tematica (b. 108), è seguita stavolta da un regolare ritorno alla tonica t, dalla quale ha inizio la transizione. La progressione sulla quale essa si basa condurrà ad un temporaneo approdo al tono della sottodominante minore s (b. 114), immediatamente seguito da una cadenza che sfocia sul pedale di dominante (b. 119) sul quale ha inizio la presentazione della seconda area tematica.

§5 Elaborazione tematico–motivica L’analisi condotta nelle pagine precedenti ha riguardato gli aspetti che concorrono a determinare la struttura formale di una composizione musicale: ma ciò che rende ciascun brano un unicum, dotato di caratteristiche sue proprie che lo indentificano e lo contraddistinguono, è soprattutto il materiale tematico utilizzato dal compositore, e in particolare il modo in cui esso viene sfruttato ed elaborato. Le peculiarità dell’idea motivica posta all’inizio di una composizione, in particolare, incidono in modo significativo sul trattamento dell’intero materiale tematico del brano: basti pensare, come esempio emblematico, al celeberrimo incipit della Quinta Sinfonia di Beethoven, con tutte le trasformazioni a cui viene sottoposta questa idea melodico–ritmica nel corso dell’intera composizione.

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In linea di massima un tema iniziale abbastanza definito dal punto di vista melodico, come accade spesso nella produzione di Mozart, si presta molto meno ad essere sottoposto ad un profondo lavoro di elaborazione motivica rispetto all’idea apparentemente più anonima, spesso basata su un arpeggio ricavato dalla triade di tonica, che contraddistingue molti incipit di Beethoven, che non a caso si rivela essere un maestro come pochi nell’esplorare le potenzialità più nascoste di un tema per giungere ad elaborazioni tematiche di sconvolgente bellezza e complessità. Un primo punto di partenza per esaminare questo aspetto potrebbe essere quello di mettere a confronto i due temi principali della forma–sonata, quelli che introducono le due aree tematiche, per cercare eventuali punti di contatto. Nel seguente esempio sono illustrati i due temi più significativi presenti nella Sonata per pianoforte in sol maggiore K283 di Mozart: ad un primo sguardo sembrerebbe trattarsi di due idee completamente contrastanti da ogni punto di vista, tanto la prima appare spigolosa, discontinua nel suo profilo melodico (per via dei continui salti), oltre che in quello ritmico (per via delle pause interposte), quanto invece la seconda presenta un’uniformità ritmica e direzionale che, nonostante la reiterazione della sincope, le conferisce un notevole grado di cantabilità. Eppure, andando oltre la lettura superficiale degli eventi musicali, possiamo notare come il livello profondo dei due temi, evidenziato dagli asterischi, si basi in realtà sul medesimo scheletro costituito da una triade arpeggiata discendente seguita da un semitono ancora discendente.

Nella Sonata in fa minore op.2 n.1 di Beethoven, oggetto dell’analisi armonico–formale portata avanti nei precedenti paragrafi, il confronto fra i due temi principali dà luogo ad un risultato ancora più interessante e significativo, perfettamente in linea con quanto espresso in precedenza. L’incipit del primo tema [A], che chiameremo x, è basato infatti su un “banale” arpeggio ascendente costruito sulla triade di tonica, perfettamente mutuato dall’inizio del secondo tema [B1], in cui Beethoven si limita ad elaborare il profilo melodico tramite un procedimento di inversione (I) degli intervalli (da ascendenti a discendenti). La seconda figurazione del tema [A], definita y nell’esempio seguente, è invece sottoposta ad un procedimento di elaborazione più sofisticato: il suo livello profondo, presentato sul lato destro della figura, viene infatti elaborato per retrogradazione (R), ovvero presentato a partire dell’ultimo suono, andando così a costituire l’elemento y’ del tema [B1].

Questo tipo di analisi, come abbiamo visto, va a scavare all’interno dei temi, fino ad individuare quegli elementi sub-tematici, che possiamo indicare con le ultime lettere dell’alfabeto (x, y e z).

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Allargando il campo di indagine all’intero movimento, possiamo notare come anche le altre idee tematiche siano basate sui medesimi elementi x e y individuati in precedenza:

In particolare il tema conclusivo [Bk] si basa esclusivamente sulla reiterazione dell’elemento x, mentre [B2] sottopone ad elaborazione y, presentandolo in forma inversa e con una contrazione dell’intervallo più ampio (da una 4a ad una 3a). Ancora più interessante è la derivazione del tema delle codette [k], il cui livello profondo, evidenziato dagli asterischi, corrisponde all’elemento y nella sua forma originale. Non sempre, tuttavia, il confronto fra le due principali idee tematiche si rivela proficuo per l’individuazione degli elementi sub-tematici: nella sonata in la maggiore op.2 n.2 di Beethoven, ad esempio, i temi che introducono le due aree tematiche non presentano significativi punti di contatto. In questi casi converrà quindi basare la nostra ricerca sul restante materiale tematico, come illustrato nell’esempio seguente in cui vengono messi a confronto i temi [A1], [A2] e [B2], dai quali si ricavano gli elementi sub-tematici x (arpeggio discendente sulla triade di tonica) e y (frammento di scala discendente), con quest’ultimo che si ritroverà anche nella transizione [t] e nelle codette [k].

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