Elementi Di Analisi Matematica 1 - Marcellini Sbordone.pdf
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Paolo Marcellini - Carlo Sbordone
Elementi di Analisi Matematica uno Versione semplificata per i nuovi corsi di laurea
Liguori Editore
6
Iudice 24. 25.
.' . t One SUCcesslanimona
Il numero e .._ _._.._ _
_.._ _._._ _..__._.._ _.._ _._ _ __._._ _._._ _ _
_ pago 78 . .. 79
Appendice al capitolo 3 26. Infiniti di ordine crescente _ _ __ _ __ _ _ .._._.. 27. Successioni estratte. Il teorema di Bolzano-Weierstrass . 28. Successioni di Cauchy._ _.. ._.._ _ _ __ _ _ _
Capitolo 4 29. 30. 31. -32. 33. 34. 35.
PremeSSIl _. ._ _._. ..__._.__._ __ __.._ _ __. . __..__.__ __._ __._._ _ __ __.. Definizioni Legal;De tra limiti di funzioni e limiti di successioni _ .. Esempi e proprietà dei limiti di fum:ioni _...._._._ _ __.. Funzioni continue -- -----..--.-..- --.-.-.--.- - - . Discootinui tà .__ .._ _ _ _ _ _ Alcuni teoremi sulle funzioni continue _.. ._ _ .
39. 40. 41. 42. 43. 44.
46. 47.
.
85
.. .. ..
91 94 97
..
98
87
.. 101 ... 103 .. 106
" 112 "
114
" 115
DERIVATE
Tasso di accrescimento. Significato meccanico della _ __ _._ _ _ _.._._. __._ _._ _ deriva ta __ Defmizione di derivata _ .._ _._ __ _ _._....._._ _ __.... Operazioni con le derivatc. __ _ _.__..__._ __. . Derivate delle funzioni composte e delle funzioni inverse Derivate delle funzioni elementari __ __ _ __ _ Significato geometrico della derivata. Retta tangente _
Appendice al capilolo 5 45. Le funzioni trigonometriche inverse Capitolo 6 -
84
LI1\fiTI DI FUNZIONI. FUNZIONI CONTINUE
Appendice al capitolo 4 36. Metodo di bisezione per il calcola delle radici di UDa equaZIone _ _ _._._.._ _._ _.__..__ . 37. Dimostrazione del teOl:ema di Weierstrass._......_..__....._ . 38. Continuità delle funzioni monotòne e delle funzioni in.. v eTse._ __ __.._ _ _ _ _ _ _ _. _.._ Capitolo 5 -
.."
.__ _
_.........
., " " " " ..
119 120 123 125 128 131
"
137
APPLICAZIONI DELLE DERIVATE. STUDIO DI FUNZIONI Massimi e minimi relativi. Teorema di Fermat.. I teoremi di Rolle e di Lagrange __.._ _ _ _
_._ ..
" 141 " 144
Indice
48.
49.
7
crescenti e pago 146
Funzioni convesse e concave li teorema di L'H6pital Srudio del grafico di una funzione La formula di Taytor. prime proprietà
.. .. .. ..
148 152 155 158
Appendice al capitolo 6 53. Ill:eorema di Cauchy. TI teorema di L'HOpital nel caso generale._. . . ..
163
SO. 5!. 52.
Capitolo 7 54. 55. 56. 57. 58. 59.
FUNZIONI DI PIÙ V ARIABIDI Funziolli di due variabili: dominio; rappresentazione caTtesiana._.. ._.__. .__._. . .. Limiti e continuità __" Derivate parziali. Gradiente._ __" Derivate successive. Teorema di Schwarz " Massimi e minimi relativi_ l.. Funziolli di tre o più variabili reali___ "
169 178 180 184 187 193
.
196
__...__....._...._ ..._._.__ " __.__._._.__.... ___" ..
199 203 208 211
Appendiu al capitolo 7 60. Differenziabilità
Capitolo 8 61. 62. 63. 64.
_
INTEGRALI DEFINID TI metodo dì esaustione._.....__ Definizioni e notazioni_._..__._ Proprietà degli integrali definiti _ Il teorema deUa media
Appendice al capitolo 8 65. Uniforme continuità. Teorema di Cantor. Funzioni lipschitziane _ 66. IntegrabilitA delle funzioni continue _
Capilolo 9 67. 68. 69. 70. 71.
.. ..
213 216
Il teorema fondamentale del calcolo integrale...._.__. ." Primitive. Fonnula fondamentale del calcolo integrale .__" L'integrale indefinito _ ..__ __._._._..__.__._.._.___.. Integrazione per decomposizione in somma_.__. .. Integrazione delle funzioni razionali ______..
217 218 221 223 225
lNTEGRALl INDEFINITI
8
illdice
72. 13. 74.
Integrazione per parti Integrazione per sostituzione Calcolo di aree di figure piane
.
._ pago 230 ..
._.__ . ___"
232 236
.. ntegra l.. l lmpropn. _ _._ _ _ _._ _._._ _ __ __.. " 751 76. Definizione di logaritmo, esponenziale, "
238 241
Appendice al capitolo 9
Caplia/o 10 -
FORMULA DI TAYLOR
" "
245 250 253 254
..._"
255
Serie numeriche _. .. Serie a termini Don negalivi ._ _.__ .. 84. La serie geometriea _ __.._..__. .._.._ ._ _ " DI:I
tp vlUOJSSI
auo.lloft.lJ
or
12
Capitolo l.
tiva. Nel paragrafo successivo è riportato un elenco delle proprietà che assumiamo valere per assioma. Dividiamo tali proprietà in tre gruppi: quelle relative alle operazioni, le proprietà relative all'ordinamento, e l'assioma di completezza.
2. Gli assiomi dei numeri reali Assiomi relativi alle operazioni. SODO definite le operaziOJ;li di addizione (+) e moltiplicazione (.) tra'coppie dì numeri reali, con le seguenti proprietà (8 b, c indicano numeri reali generici): (2.1)
Proprietà associativa: (a + b) + c = a + Cb + c),
(a· b) . c = a . Cb . c).
(2.3)
Proprietà commutativa: a + b = b + a, a· b = b . a. Proprietà .distributiva: a . (b + c) = a . b + a . c.
(2.4)
Esistenza degli elementi neutri: esistono ill R due numeri distinti O, 1, tali
(2.2)
che a+0=8,
a·1=a.
(2.5)
Esistenza degli opposti: per oglli numero reale a esiste un numero reale, indicato ,con. - a, tale che a + (- a) :: O.
(2.6)
Esistenza degli inversi: per ogni numero reale a Indicato COli a-I, tale che a· (a-I) = 1.
* O esiste
u.n numero,
Assiomi relativi all'ordinamento. È definita la rela2ione di minore o uguale tra coppie di numeri reali con le seguenti proprietà: (2.7)
Dic%rJzia: per ogni coppia di rltimeri reali a, b si ha li [; b oppure b
(2.8)
Proprietà asimmetrica.. se valgono contemportUleamente le relazioni a 5 b, b 5 a, aUo'/'a a = b.
(2.9)
Se a 5 b allora vale anche a
(2.10)
Se 0.$ a e O 5.h allora valgono anche O :5 a + h, O:f a . b.
-t--
li.
c 5 b + c.
Assioma di completeiza (2.11)
Siano A e B due insiemi non viloti di Ilwneri reali con la proprietà che a:5 b; comunque sLscelgano a elemento di A e b elemento di B. Allora esiste almeno un numero reale c mie che a:5 c:5 b, qualu.nqliesiano a in A e b in B.
l 11//IIII:ri
3. Alcune
e
le ftm:tioni reali
13
degli assiomi dei numeri reali
Nel paragrafo precedente sono state elencate le pwprietà dei numeri reali che vengono assunte come assiomi. Tutte le altre propl;età e teoremi esposti in que;sto libro discendono dagli assiomi. Sono conseguenze degli assiomi anche quelle proprietà elementari che in genere fanno parte del «bagaglio matematico» di ogni come ad esempio il fatto che un prodotto è nullo quando almeno Imo dei due fattori è nuUo, oppure quella regola dei segni per il prodotto (che, dagli studenti deHe scuole elementari. talvolta è accettata come imposizione, perché incompresa) che rnr;nte si enuncia: meno per meno fa più; oppure la norma di frequente applicazione nel risolvere disequazioni: moltiplicando entrambi i membri per una quantità negativa. il verso della disequazione cambia. Di seguito esaminiamo alcune proprietà, come quelle sopra enunciate. che sono conseguenza degli assiomi dei numeri reali. (3.1)
Vale la regola di semplificazione rispetto al/a somma: se a + b allora b = c.
=
a + c,
Utilizziamo gli assiomi (2.4) e (2.5). di esistenza dello zero c dell"opposto - a. e le proprielà commutativa e associativa: b '" O + b '" [a + a)] + b '"
[(- a) + al + b '" a) + (a + h)
essendo a + b = a
+ c,
si ottiene
b '" (- a) + (a + h) '" (- a) +
i.--
+ c) '" [(- a) + al + c",
= [a + (- a)] + c = O + c = c + O = c.
(3.2)
Vale la semplificazione rispetto al prodotto: se allora b = c.
a· b = a· c
e se
a"#. O,
Si può procedere come nella dimostrazione della proprietà precedente scambinndo In l somma con il prodotto e avendo faccortezz8 di ricordare che l'inverso a- di un numero reale a esiste purché sia a O. In tal caso, nella linea deLla dimostrazione di (3.1). si ha: b
= b . 1 = 1 . b = (a . a-I)
.b
= (a-I.
a) . b
= a-l. (a . b) = a-l. (a . c) '" (a-I. a) . c = = (a . a-I) . c = 1 . c = c . 1 = c.
=
CopÉJo'/o J
14
(3.3)
Il prodotto a·b è nullo se e soltanto se almeno
tinO
dei due fattori è nullo.
Proviamo preliminarmente l'implicazione con il "se"; proviamo che a·O = O per ogni numero reeJe a. Ricordiamo ehe lo per l'us;oma (2.4), l'elemento neutro rispetto alla somma; cioè hlle che a .+ O = a per .agoi reale a; ricordi:lmo IU1(:!le che l, elemento neutro rispetlo al prodollo, per l'assiOftlB (1.4) soddisfa la relazione"a·l _ a per ogni reale a. In base alla proprietli R5'"Yiativl abbinmo allora io
+ a . O .. a . l + a . O "" I . (l + O) = a . 1 = Il '" a + O
da cui, .semplificando entrnmlli i membri in base alla proprietà. (3.1), oUeniamo .-0 O. Proviamo ort l'implicazione con il -solo se.; a tale scopo lupponiamo che a·b - O; se a .. O la lesi rnggiunta; altrimenti, .se a>!D, esiste l'imeno a-I e -si ba b = b . I
=b
• (a • a-l)
= a-l.
(•. b)
= a-l.
O .. O.
Si noti cile, nell'ultimo passaggio, abbiamo utilin.,to qualHo aill. provato nelllll prima parte della dimostrazione.
La precedente proposizione (33) spiega nell'ambito dei numeri reali non sia possibile la divisione per zero, cioè perché neU'llS5ioma (2.6) di esistenza dell'inverso a-l si richieda che Infatti, se a = O allora a·b = O,b = O ogni numero b e percib non esiste un numero reale 0-1 tale che ().lr = 1.
rer
(3.4)
l:opposto di un. numero reale è un.ico.
In base all'assioma (U), per ogni numero reale a esiste l'opposto di ., indk:ato con - a, tale che a + (- a) - O. Se suppOlliamo che risulti anche a + b = O, allora, per la legge di semplificazione (3.1) si ba - 11 • b; quindi "opposto t. unico.
(3.5)
L'ùtverso di
W'I
Stessa dimostrazione
(3.6)
numero rl!.Q./e non nulla
del CIISO
unir;o.
precedente.
Per ogni reale a vale la proprietb - (- a) = a.
li numero - (- a) è, pcr definizione, l'opposto di - aj ma essendo
a + (- a) = (- Il) + a ... O. risultlll che è: l'opposto di - a, cioll.a _ - (- a), in base alla proprietà (3.4) chc l'opposto di un numero reale è unico.
(3.7)
Per ogni coppia di numeri reali a, b risulta (- alb = - a·b.
/ tlWllui e le flUlzioni reoli
15
Per la proprietà distributiva si ha che
(- a) . b ...
1'1 •
b .. [(- a) ... al . b = O . b = o,
da cui a·h è l'oppOllto di (- a)·b, c;QA - a·b .. (- a)·b.
(3.8)
Per ogni coppia di numeri reali a, b risulta (- a)(- h) = a·b.
Come conseguenza della precedente proprietà (3.7) e delJa proprietà commutlltiva (2.2) abbiamo.
(- 'l . (- b)
- [a . (- b)i = - [(-
b) . al •
- - (- (b .•)] = - [- (•. b)]; la conclusione se&ue infine dalla (3.6), essendo - [- (a·b)} = a·b.
Gli assiomi del paragrafo 2, relativi all'ordinamento, si riferiscono aUa relazione di minon od uguale (s:) tra le coppie di numeri reali. La relazione di maggiore od uguale è ricondotta a quella di minore od uguale diante la definizione:
(II simbolo sta per ...). Pertanto la relazione di > gode di proprietà analoghe a quelle di s. Infine le relazioni di minore «) e di maggiore (», dette anche relazioni di minore stretto e, rispettivamente, di· maggiore stretto, sono definite da:
(3.9)
La re/azione a S; b è. equivalente alla relazione b - a
o.
IDratll, se a S b, allora per la (2.9):
a-bsb-b",O. Viceversa. se b - a si ha:
O, sempre per la (2.9) e per la proprietà associlltiva dell'addizione
a '" O ... a S (b - a) ... a .. b + [(- a) ... aJ '" b _
(3.10)
Propriefà transitiva deU'ordintlmento: se a S b e b S c nllora a s c.
16
Capilolo I
Supponiamo che a :s bob s: c: per La precedente proprietl (3.9) risulta OS b - a, OS c-b. Dalla (2..10) si oniene poi o S (b - B.) + (c - h) :: c - a che.
l1DCOl"lI
(3.11)
per la. (3.9). eqninle ad a
s: c.
Risulta a ;=: O se e soltanto se - a
s: O.
Infatti. per la (2:9); se O S n -allora O + (- a) S a + (- a), c.ioa - a :S O. Viceversa, se - a
(3.12)
s: O"
allora a + (- a) S' a.
O s: a.
Se a S b e c;=: O allora a . c S b . c.
Inf/ltli, se a S b allora. per la (3.9) t anche O .lO b - a dll- cIIi, per in (2.10) e. per la proprieta distributiva (2.1);
o S (b
ancora per la (3.9),
Se a S b
c
(3.13)
e
a) . c .. b .
c - a . Co
c S b . C. $
O
a{ibra
a· c
Per le ipote::si e per la (3.11) s.i ba O .lO b - a. - c
o S (b -
b . c.
O. Dalla (2.10) si ottiene
a) . (- c) = - b . c + a
c,
da cui, per la (3.9), b . c !> a . c
L'assioma di completezza (2.11) a prima vista può sembrare ovvio: «se tutti i numeri dell'insieme A sono mioOli od uguali a rutti i numeri dell'insieme B, allora esisterà certamente un numero c intennedio fra A e B, cioè (aIe che a c b per ogni elemento a di A e per ogni elemento b di B; basterà infatti scegJiere come numero c il più grande elemento di A, oppure il più piccolo elemento di B». Ebbene, la frase scritta precedentemente fra virgolel1l! è sbagliata! Infatti non tutti gli insiemi numerici hanno il pil1 grande o il più piccolo elemento (rimandiamo al paragrafo 12 per un approfondimento di questo punto): ad esempio, l'insieme
B {l.
,
I Ilumrri e le funzit:mi
17
che, rappresentato sulla reUa dà luogo ad uno schema come quello in figura l.I, ha il più grande elemento, che uguale ad l, ma non ha il più piccolo elemento; potrenuno essere tentati di dire che lo zero è il più. piccolo elemento di B, ma lo zero nO'1 è pn elemento di BI Infatti lo zero è diverso da 1/0 qualunque sia n (una frazione è nulla se e soltanto se il numeratore della frazione è nullo).
,
o
.e. 1
o
•
1 1 ......•...$" 4
o
o
o
1 3·
1
1
7
•
figura 1.1
L'assioma di complete7.74 è, in effetti, un assioma molto più protondo di quanto poss't sembrare a prima vista, Come mostreremo nel paragrafo S, tramite l'assioma di completezza è possibile distinguere l'.insieme dei numeri rappresentabili sonp forma di frazione, insieme detto dei numeri raz.ionali, dall'insieme dei numeri reali.
4. Cenni di teoria degli insiemi Introduciamo alcune notazioni e definizioni traUe dalla teoria degli insiemi. Sia S un insieme di natura qualsiasi. Per indicare che x è un elemento di S scriveremo: x e S
(x appartiene a S).
Per indicare, invece, che y non è un elemento di S, scriveremo:
Y' S
(y non appartiene a S).
Se A è un insieme i cui elementi sono anche elementi di S, diremo che A è un sottoinsieme o parte di S. Tra i so«oinsiemi di S si suole considerare anchç l'insieme vuoto, cioè l'insieme privo di elemepti, che si indica con q,. Se A e B sono due sottoinsiemi di S, l'inler.It:lione A n B .di A e B è "insieme degli elementi di S che sono comuni ad A e B (figura 1.2): (4.1)
A n 8 = {x eS: x
E
A
e
" E
BI.
L'unione A u B di A e B è l'insieme costiruìto dagli elemc:nti di S che appartengono ad almeno uno dei due insiemi A e B (figura lo3):
18
Capi/olo l
(4.2) A u B = Ix ES: X E A oppure x E B}. Diremo che A è contenuto in B (A &: B) se ogni elemento di A è anche elemento dì B:
•
Figura 1.2
(43)
(a e A
(A '" B)
a
E
B)
Si conviene che l'insieme vuoto sia contenuto in ogni sottoinsieme di S. Se A è contenuto in B ed è diverso da B. si dice che A è una parte propria di B. li simbolo si legge e solo se» o, come già detto, «equivale» ed il simbolo ::;. si legge «implica...
.
• I a •
Figura 1..3
Se A e B sono due sottoinsiemi dell'insieme S. il complemento A - B di B rispetto ad A è l'insieme degli elementi di A che non appartengono a B (figura 1.4),
I numeri e
(4.4)
funzioni reali
19
A - B = {x ES: x E A e.x é BI.
In particolare, per A = S. l'insieme S _ a, complemento di B rispetto a S, si chiama anche complementare di B e si indica con ,Bc oppure con - B. Evidentemente si ha BCç;AC .
AcB
(4.5)
L'insieme di tutti i sottoinsiemi di S si. suole indicare con P(S) e chiama insieme delle parti di S.
SI
A
••• •• •
.
••••
•• 8
M
.J
A
\\ Figura lA
Siano A e B due insiemi. Si chiama prodotto cartesiano di A e B e si indica con A x B l'insieme di tutte le coppie ordinate (S., b) con la prima coordinaUl a appartenente ad A e la seconda coordinata b appartenente a B. Le coppie ordinate sono caratterizzate dalla seguente proprietà: (a, b) = (a', b')
(4.6)
se e solo se
a=a',b=b'
Nel caso particolare in cui sia A = B, un sottoinsieme di A x A si chiama re/azione binaria in A. Una relazione binaria 9t in A si chiama relazione di equivalenza, se gode delle seguenti proprietà:
1) riflessiva: per ogni a.E A si ha (a, a) E ':X 2) simmetrica: (a, b) E 9t implica (b, a) E 9t 3) transitiva: se (a, b) E 'n e (b, c) 91, allora (a, c)
e
Se (a, b)
E
E
9t
9t si scrive a - b e si dice che a e b sono equivalentl.
20
Capitolo 1
Indichiamo con [alla classe di equivaLenza di a E A, cioè ('insieme degli elementi equivalenti ad 8. Si prova facilmente che due classi di equivalenza, o coincidono o SODO prive di elementi comuni. L'insieme delle classi di equivalenza di elementi di A rispetto alla rela· rione 9t si chiama insieme e si indica con il simbolo Afl., cioè AJ'Jt = l[aJ' a e AI.
(4.7)
Una relazione binaria 9{ su A si chiama relazwne d'ordine. se gode delle seguenti proprietà: 1) riflessiva 2) transitiva 3) asimmetrica: se (a, b) La relazione di minore
ç=.
c;'J{
e (b, a)
E
$R. allora a = b.
o uguale tra coppie di numeri reali considerata
nei paragrafi 2 e 3 del presente capitolo è una relazione d'ordine.
5. NUI:neri naturali, interi, razionali Abbiamo visto come tra gli assiomi dei Dumeri reali ci sia l'esistenza degli elementi neutri O e 1. Quindi apparteITan..Do ad R (come già detto, indichiamo COD R l'insieme dei numeri realO anche i risultati delle operazioni eseguite a partire da O e 1. In particolare sono numeri reali: 1 + 1 = 2, (l + 1) + 1 = 3, ... Tale sottoinsieme di R. che si chiama insieme dei numeri naturali, si indica con N = {l. 2. 3•...• n •.•• 1.
(5.1)
Nel paragrafo 11 sono studiate alcune proprietà dell'insieme N dei numeri naturali. Analogamente indichiamo con Z il sottoinsieme di R costituito dagli elementi di N, dai loro opposti, e dallo O. Cioè l'insieme dei numeri interi (o interi relalìvi) si indica con
(52)
Z
= IO.
+ 1.
± 2•... J
= [D{
v
I± n , n e N).
I risultati della divisione mln (che, con la terminologia introdotta dagli assiomi, significa m·n-I ) con m, n e Z, n O, si chiamano numeri razioMli e si indicano con
'*
l lIumeri , le fimd()jfi. reali
(5.3)
Q =
21
{l: :m, n EZ, n a} . "F-
Risulta N Z l:; Q ç; R. Naturalmente, essendo N, Z, Q souoinsierrq di R. su di essi sono definite le operazioni di addizione e di moltiplicazione e l'ordinamento indotti da R. Però essi Don soddisfano tutti gli assiomi dei numeri reali. Ad esempio, N non soddisfa (2.5): nell'ambito di soli numeri naturali non esiste l'opposto di alcun numero. Z non soddisfa (2.6): tutti i numeri interi, escluso l, hanno per iI1verso un nwnero reale che non è intero; in altre parole, non esiste l'inverso neU'ambito dei numeri interi. Si può verificare che invece Q soddisfa tUtte le proprietà aigebricbe alle operazioni e all'ordine. L'unico assioma Don soddisfatto da Q è l'assioma di completezza (2.11). Per dimostrare ciò, premettiamo la seguente PROPOSIZIONE. -. Non eruu alcun numero r-ationale c tale che
c!
= 2.
2 Dimostrazione: sia pe"r assurdo c un numero razionare posilivo tale che c '" 2. In base alla (S3) esiStono m, n numeri interi, che suppc;rre entrambi posilivi. lidi che c : mio: Se necessari':) pc>$!liamo -.semplificare. la frazione min. oUenendc.. "' e n non entrambi 2 2 pari. R,isulta (mln) _ c a 2. ciot 201 '" mI. Essendo il primo membro 2n un numero intero pari, anche mI deve essère pari;. ma allora anche m deve pari (se m fosse dispari. 1 ancbe m Sarebbe dispari); quindi m = 21t, con k inte:'O. Ne segue che
doe Ripetendo il ragionamento. risulta che anche n deve essere un numero pari, cibo che contrasta con l'Ipotesi che m ed n si'no numeri Interi non entrambi pari. eonsideriamo ora: gli insiemi A = [a.E Q : a S
01
u
la
&
Q: a
,
:>
O
,l < 21,
8",(be Q:b>O,b :>21. Tutti i numeri di A sano minori di tutti i numeri di B. Inollre, la propo.sizione precedente, risulta AvB '" Q e AnB = fI. Se esislesse un numero razionale c con la proprie Il che a S c S b. per ogni a e A. b e B, tale numero dovrebbe appartenere ad A oppure a 8. Sltpponiamo c c A. Non polendo essere c S O, ne segue che Cl
t(x,) I(x,).
< '" ='> t(x,) < I(x,),
o::::
t(x,).
Una funzione che- verifi-;a la (7.4), oppure la (7.6), si dice sirettamimie moriotÒno.
Ad esempio, la funzione (6.1) è streHamerite crescente su R; la funzione (6.2) è strettamente decreseente, separat3'merit6 negli ìn'siemi (x > DJ e Ix .e DI, La funzione (63) è strettamente crescente. La mnzione (6.4) non è'
mvnotòna su R. Ci sarà utile 11...1 seguito un criterio per riconoscere- se una data funzione è invertibile. Rimandando al criterio di invert1òilità del paragrafo 35 per una visione più. c'ompleta dell'argomento, supponiamo che· la corrispondenza
26
Copitolo l
tranùte una funzione f tra due insiemi A e B sia tale che ad ogni Y E B corrisponde almeno un x E A. Se f è strettamente monotòna al/ora è anche invertibi/e. Infatti, ad ogni y eB corrisponde un solo x E A per cui C(x) = y; perché, se ne esistessero due distinti Xl 'f;; xz, i corrispondenn valori f(x l ), C(X2) .dovrebbero essere diversi fra loro a causa deUa stretta monotonia. Concludiamo il paragrafo con alcune utili definizioni e notazioni. Sia f: A B una funzione da A verso B. Se X è. un sottoinsieme di A. l'immagine di X mediante f, indicata coli t(X), è il sottoinsieme di B definito da (7.8)
f(X)
{y
E
B :3 x
E
X:·y
f(x)}
(il simbolo 3 si legge esi.!te). L'insieme t(A), cioè l'immagine di A mediante t, si chiama codominio di f. Evidentemente, la funzione f è da A verso B se e solo se il suo codominio coincide con B.. Se Y è un sottoinsieme c;li B, l'immagine inversa di Y mediante f, indicata con r-1(y) è il sottoinsieme di A definito da (7.9)
r'(Y)
= {x
E
A : f(x)
E
Y}.
Diamo infine la definizione di funzione composta mediante due fun· zioni. Siano X, Y, Z tre insiemi e siano g : X Y e f : Y -+ Z due funzioni, tali che l'insieme Y contenente i valori deUa prima coincida con il dominio della seconda. Allora si PI,lÒ considerare la funzione composta h : X ; Z. definita da b(x) == f(g(x») per x E X. In tal caso si usa la notazione h == fog; in altre parole, si pone fg(x) f(g(x» per ogni x E X. ::E
8. Funzioni lineari. Funzione valore assoluto Si chiama funzione lineare (o funzione affine) una funzione del tipo (8.1)
y=mx+q
ave m, q sono numeri reali fissati. Si verifica facilmente che il grafico di una tale funzione è una retta, di cui il parametro m è detto coefficiente angolare. Ogni funzione lineare è monotOna su R, anzi, stretfamente monotòna se m 'i": o. Infatti, basta considerare Xl < x2 e t(x) = mx + q. da cui (8.2)
J nllmt!ri e le ftll1r.iolli reali
27
se il coefficiente angolare m è positivo, allora, essendo XI < X'2 risulta anche InXl < mx2 e quindi f(xI) < f(X2) ; in 'questo';caso 'f(x) risulta strettamente crescente su R. Se invece m è negativo, allora da Xl < segue mX l > nlX2 e quindi f(xl) > f(xz) ; perciò, se m < O,la funzione lineare f(x) è strettamente decrescente. Infine, se m = O, allora risulta t(x) = q = costante; essendo f(x l ) = f(x'2) per ogni coppia,di valori XI. Xl, la funzione f(x) è contemporaneamente crescente e decrescente su R; si dice brevemente che la funzione è costante su'R. D grafico di f(x) in questo caso è una retta parallela all'asse Xi, costituita dai punti (x, y) con ascissa arbitraria e ordinata costante uguale a q. Ricordiamo il criterio esposto nel paragrafo criterio in base al quale una funzione strettamente monotOna su un insieme è anche invertibile,su tale insieme. N"eJ caso in considerazione la funzione f(x) = mx + q è strettamente monotOna su R Se m "" Oe quindi è anche invertibile se m fio o. Tale fotto è di semplice verifICa çj.iretta: infatti, se m "" O. Ville l'equivalenza: (8.3)
y=mx+q
O
={ -xx
se
x < O.
II grafico del1a funzione valore assoluto f(x) = Ixl è composto da due semirette per l'origine, di equazione rispettivamente y = x e y = - X, come nella figura 1.10.
;•
y
I-
1
FIgura 1.10
Più precisamente il grafico ìn figura 1.10 della: funzione valore assoluto è unione della semireUa di eqtHizione lineare y = x, con x O. è della semiretta ,/=-x,ooox O) :
(9.4)
xml' = x'" •
x-n'n = 11 qx lll
,
A questo punto è stato definito il significato di ab, con a numero reale positivo e b'numero razionale. Utilizzando l'assioma di completezza è possibile estendere la definizione di ab anche se l'esponente b è un numero reale Don razionale. come vedremo nel paragrafo 12_ Un'altra definiZione equivalente è proposta nel paragrafo Elenchiamo alcune proprietà:
(9.5)
ab _ ae = ab
(9.6)
ab > O.
(9.7)
a < b,
+ c: ;
c> O
32
CupilOIQ 1
(9.8)
a < b,
0 1,
b < c
(9.10)
a < 1,
b bç
=> =>
•
ab < ae .
ab :> a'" •
Dall'espressione ab derivano çlue diversi tipj di funzione, a seconda si faccia variare la base a o l'esponente b. Nel primo caso consideriamo la funzione potenza f(x) = x b • con bER fissato. seco.qdo caso abbiamo funzione esponenziale f(x) = al[ • con a numero reale positivo fissato. Casi particolari della funzione potenza f(x} = xb sono queUi con b = n e N, oppure 1:1 = lIn, già esaminati in precedenza, La funzione potenu. per x >. O. in base aUa (9.6), è positiva. Inoltre xb è una ftmzione strettamentt;: cresante se b > O e strettamente decrescente se b < O. in base alle (9.7), (9.8). Esempi di. grafici nei vari casi sono riportati in figura 1.13.
y
y
y
1
1
1
"....!. 2
1 lCb con b>1
X
1
)(b con O1
•
O O)
•
Se la è maggiore di l, come nel caso (9.12), il logarilmO è una funz.ione strettamente crescente. o
J
1
l'
\,
Iog.x conOO;
V
x >
O;
V X >
O.
Dimoslrazione: per provare la (9.14) poniamo
19.1') in' base alla definizione (9.11) risulta (9.19)
Pertanto (920)
che, di nuovo in base alla definizione (9.11), equivule o. (921)
Ricordando i simboli introdotti all'inizio in (9.18), la (9.21) equivale alla tesi (9.14). Le altre retazioni (9.15), (9.16) e (9.17) si dimostrano in modo onalogo (ed illeltore invilato ad e2guire i c:elcoli espticilamente).
10. Le funzioni trigonometriche Riportiamo in questo paragrafo un breve riassunto di nozioni di trigonometria, in genere già note allettare. 11 lettore sa misurare gli angoli in gradi; ad esempio un angolo retto
I numeri
l!
le fiJl1ziOlli retlli
35
misura 90°, U11 angolo piatto 1800 , un angolo giro 3600 • Per studiare le funzioni trigonometriche è opportuno adottare una diversa unità di misura per gli angoli. Definiamo la misura di lUl angolo'piano espressa ID rildianti. Essa"è data dalla lunghezza dell'arco di circonferenz.a di raggio 1 e centro nel vertice dell'angolo intercettato dalle due semirette individuanti l'llngolo (si veda la figura 1.16).
"n,{
/
.
/
./
./
•
cos x
sen
,
,
••
i't
cosx
Figura 1.16
Si conviene di denotare COll.:n (pi greco) la lunghezza di unasemicircollferenza di raggio 1. Ciò significa che, espresso in radianti, uri angolo piatto misura :re, un angolo retto misura :re/Z, mentre un angolo giro misura 2n: (la lunghezza di una circonferenza di raggio 1 è 27l). Come tutti sanno, un valore numerico approssimato di :rt è 1f = 3.14... Analogamente a quanto si fa per l'ascissa su di una retta, si definisce un'origine ed un' verso di rotazione positivo (si suole scegliere il verso antiorario a partire dall'asse delle x) e si considerano in modo naturale anche angoli maggiori di 2n' radianti, o angoli minori di zero. Così l'angolo x geometricamente corrisponde all'angolo x + 2n' ed anche all'angolo x + 4n, oppure all'angolo x - 2.rr, o in generale all'angolo x + 21m, per ogni k E Z. Le funzioni sen x, cos x si definiscono rispettivamente collie ('ordinata e l'ascissa del punto che si trova sulla circonferenza di centro l'origine e raggio 1 e che sottende un angolo orientato di lunghezza x, a partire dal\'assé delle ascisse (figura 1.16). Le funzioni sen x, cos x sono definite per ogni x E R, mentre l'immagine delle due funzioni è compresa tra - 1 ed 1, cioè:
36
Cllpit%
(10.1)
J
vx e
- l 5 sen x S l, - l S cos x S l,
R.
Il grafico delle due funzioni è riportato "in figura 1.17. Nel paragrafo 49 sarà. indicato come ottenere il grafico; per ora il leUore controlli sul grafico il segno delle due funzioni in base alla definizione. Le funzioni sen X e cos x Don sono monotòne su R. .
•, •
I ,,
,
-
2.
--',,-_/
"
Figura 1.17
Delle numerose relazioni tra queste due funzioni, la più importante è senza dubbio quella che segue dal teorema di Pitagora sui triangoli rettangoli. l:; utile ricordare come si olliene una dimostfllzione del tcorem.ll di Pitagofll per un triangolo TCttangolo con caleti lunghi a, b e ipolellusa lung' c. Si veda In figura. 1.18. Il triangolo rettangolo ripetuto pill volte in figura 1.1S ha cateti lunghi a, b e angoli Cl, fJ. oltre all'angolo retto. Evidentemente o + fJ ::: 1ffl (perché la somma degli 'lngoli inlerni del triangolo vale H): ne segue che anche l'angoto 'Y in figura 1.18 è ugualé li Jtf2. Perciò il rombo di lato c: rappresentato nella partc destra della figura 1.18 è in rcaltà un quadrato..
•
• Figura J .18
/ mUlU1ri e le fiin'lioni reali
37
L'area del più grande, di lato a ... b. v.le (11 + b)l. Tale area si può ottenere sommando l.e !lree delle figure eomponeqti (quattro lriangoli reltangoli di l:31eLi a, b, ed un quad'.1to di Jato cl. cioè 4(ob/2) ... c'l . Pen:;iò
da cui il ftoremIJ di Piragom:
(10.2)
Applicando il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo di cateti lsen xl e lcos xl e ipotenusa uguale 8 1. si trova la relazione fondamentale (10.3)
'VxeR.
Sono anche importanti le formule di addizione: (10.4) (10.5)
XI
Se nelle identità sopra scritte scegliamo il segno + e pomsrno = Xz = x • otteniamo le formule di dupli.cazione:
(10.6)
sen2x=2senxcosx. I
I I
I
-t
I I
I
I
I
I
I xl
I
I I
,I I
Y
.r
I
/
I
l-t I
I I
I
I •
,
I
I
3. Una disposizione di n elementi tra gli n dati (k = n) si chiama pennuta· zione degli n elementi. Ponendo le = n nella proposizione precedente, si ottiene che il numero delle permptazioni· di n elementi è: (13.4)
nl = n : (n - 1) . (n - 2) ....2 . l ;
il simbolo DJ, che indica il prodotto dei primi n numeri naturali, si legge «n fattoria/e.". Tenendo conto del simbolo di fattoriale sopra introdotto, si riconosce che il numero di disposizioni di k elementi tra n dati si può anche scrivere: (13.5)
nl n(n -·l)... (n·- k + 1) = (n _ k)1
Una combinazione di k (S n) elementi tra n dati è un sottoinsieme (non ordinato) di k elementi: -consideriamo uguil1i due combinazioni che hanno gli stessi elementi, indipendentemente dall'ordine. NUMERO DI COMBINAZIONI. elementi tra n dari è
1/ numuo delle combinazioni di le
(kn) = (n - nlk)1 kl
(13.6)
Prima di passare alla dimostrazione osserviamo che il simboJo a primo membro della (13.6) si legge «Il su b, ed è chiamato cotifficiente binomiale. È utile dare un significato a tali espressioni anche per k = O e k = n nel modo seguente: (13.7)
.-
O, - l
.
(D) _ (n) _ ni _ 1 to - n ,- nl 01 - .
ili numeri reali
51
Direttamente delle definizioni (13.6), (13.7) segue l'identità
V n E N, V k E IO, l, ... , nl .
(13.8)
Ritornando' all'esempio di U11 insieme COll 3 elementi I al , 8 2 hanno 3!1(1! 2!) "" 3 combinazioni con due elementi, che sono:
, 33
J ,3J
I '1 ' a, ); l " ' .] ); [ a, , .. I·
(13.9)
La proposizione precedente si dimostra osservando che il numero delle combinazioni è inferiore (se k > 1) al numero delle disposizioni. e che ad ogni combinazione con k elem-e.ç.ti corrispondono tutte le disposizioni che si ottengono penntitando tra loro i k elementi. Quindi ad ogni combinazione corrispondono kl disposizioni. TI numero totale delle combinazioni è ottenuto dal numero (132), oppure da (13.5), che esprime il numero di disposizioni di k elementi tra n dati, diviso per k!.
14. Il binomio di Newton Una importante applicazione (che peraltro è anche conseguenza del principio di induzione, come mostrato neUa seconda parte del paragrafo) dei risultati. del paragrafo precedente è costituita dalla Per ogni coppia di
FORMULA DEL BINOMIO (DI NEWI'ON). reali a, b vak ['jtkntità
(a +
=
a ft +
al>-I b +
art-2 bl + ...
(14.1)
InfllUi. immaginiamo di eseguire il seguente prodo.lto di n fattOri: (14.2)
(D -+- b)" = (a + b) . (a + b)
...
(a + b) ;
il' ris·ultato del" prodotto si scrive come !omma algebriCa di moiti addendi. Fissiamo la nOSlra
attenzione sull'addendo dellipo a"-'b • Eseguendo la indicata, si ottiene talll addendo tante volte quante possibile scegliere k fattori ugu.l!.1i 8 b dagli n dati. Cioè n su k. t
52
Cap;/olo 2
La formula del binomio (14.J) in particolare fornisce dei risuilali di 'acile verifica pec: I :: 2 e n .. 3: infatti. per toli valori di -n si ottengono le ben note relazioni; (143)
da cui (a + b)2
da cui
=:
al + 2ab + ;
(a +. h)' = a 3 + 3 a 2 b + 38 hl + b"1 .
Le considerazioni che seguono sono utili per sviluppare esplicitamente il secondo membro della formula del binomio (14.1) per valori di n più grandi di 3: LEMMA. -
Per ogni coppia di numeri naturali n. k vak la formula
(n-i)_(n) (n-i) k-l+ k -k'
(i4.5)
Infatti, dalla definizione (13.6) otleniamo; O-l) (O-l) (o-l)! (o-l)! ( le -1 + k = (k - l)! (n - k)! + k! (n - k - I)'·" a
(k
(14.6)
=
=:
(1 .1)_
(n-I)! 1)1 (n - k - l)! n
k
k
(n-l)!
n
{k 1)1 (n - k - l)l
k{n - k)
O,
•
(O)
k! (n - k)! = k .
La proplietà (14.5) del lemma precedente permette di scrivere il seguente triangolo di T(Jrtaglia (noto anche come triangolo di Pascal). dove ogni coefficiente è uguale alla somma dei coefficienti più vicini del/a riga precedente:
ComplelllerUi ai Ilumeri renlì
l
l
l
m= l
m=2 3 G)= 3
l
4
(i)
ro)= l
6
5 lO m= ................................................................................ _._
l
53
l
1
4
(:)
lO
5
-..-
1
m=_ l
.
Quindi ad esempio risulta (14.7)
Di seguito esponiamo un'ulteriore dimostrazione della formula del binomio con il metodo di induzione. Dimosfrazione per induzione della (14.1): cominciamo con l'osservare che la formula dc:! binomio (14-1) verificata per n '" 1; infatti:
(14.8)
(a + b
)1 '"
a +
C)
b
'= El
+ b.
Secon-do'I'ipotesi di induzione supponiamo vera la (14.1) per un indice n e N e dimo· striamo. l'a validità della fonnula analoga con n + l al posto di n; a tal fine moltiplichiamo entrambi i membri della (14.1) per (a + b). ottenendo (a + b
)'1+1
= an+l
+
a- b.+ ... +
a---+ I b-
+ ... +
ab" '"
(L4.9)
•.. i-
" )11 [1 + ( n_IU
8
. bO
+
"8",' +
[(n)1+ (")11 oUa"b + ...
54
CApitolo 2
tenendo conto che, per la (14.5). r[5u[ta VkeI1.2, .... nl,
(14.10)
51 ouiene infine la conclusione (a+ b ,.•• (14.11)
(a +O ') •
0,0
+
(a +I l) Il"b + ...
(a l) . . . . bt + - ' +(nn+ ') 8 b" +(nn+ -')+b-ol '
+ ···+t'
1
Appendice aI capitolo 2
15. I numeri complessi Consideriamo una generica equazione di secondo grado neU'incognita z: (15.1)
ar+bz+c=O,
che ha come soluzioni (reali, se b'2 - 4ac 2:: O):
(15.2)
z
,
2a
2a
I coefficienti a, b, c sono legati alle soluzioni Zio relazioni, che si verificano immediatamente: (153)
ZI .
Z:z
Z2;
anche diille semplici
C :=. -
a
•
Proviamo a scrivere tali relazioni nel caso dell'equazione: (15.4) in tal caso le (15.3) (15.5)
diventano Zt+Zz=O;
Comp/I!mrllli oi nUnlui renli
SS
Le re.lazioni (15.5), anche se formalmente ben definite, non banno alcun senso nell'ambito dei numeri reali, perché non esistono Zj, Zz soluzioni reali della equazione (15.4). Questo esempio mostra come tavolta sia utile pensare che qualsiasi equazione di secondo grado ammetta soluzione. Dato che ciò Don vale nell'ambito dei numeri reali R, si estende R introducendo il campo C dei nwneri complessi. Cc;msideriamo ancora l'esempio (15.4). Formalmente l'equazione (15.4)
ha soluzioni (15.6)
Definiamo il Dumero complesso ì = naria. Risulta per definilione:
n. Si dice che i è l'unità immagi-
(15.7)
L'insieme dei nwneri complessi si rappresenta in forma algebrica (15.8)
c
= (z =x + iy:
x, y eRI.
Si dice che x è la parte reale ed y è il coefficiente della parte immaginaria del numero complesso z. Le operazioni sui numeri complessi ·si eseguono con le stesse regole dei numeri reali, tenendo anche conto della (15.7). Quindi: (x + iy) + (x' + iy') = (x + x') + i(y + y') ;
(15.9)
(x + iy) . (x' + iy') = xx' + ixy' + ix' Y + i' yy' = (15.10)
= (xx' - yy') + i(xy' + x'y).
z
li numero complesso = x - iy si chiama complesso coniugalo del numero z: : : ; x + iy. Dato che risulta (15.11)
z . z = (x + iy) (x - iy) = x' +
y' ,
il coniugato è particolarmente utile nel calcolo del1quoziente di due l1umeri complessi; infatti:
56
Copùolo 2
(15.12)
x' + il" x + lY
-
(X: + iy')(x - iy) (X: + iy')(x - iy) = (x + iy)(x - iy)
r+f
xX + yy'
r+y'
.X:y-xy'
- 1
x'+y'
Come si vede dal conto precedente, la divisione tra due numeri plessi è possibile purché il denominatore z = z + iy sia diverso da zero, cioè purché non risulti contemporaneamente x = O, y = o. È utile la rappresentazione cartesiana dei numeri complessi, che si ottiene facendo corrispondere ad ogni numero complesso z = le: + iy il punto P di coordinate (x, y), come ID figura 23. Un punto P del piano può' essere individuato anche dalla distanza: Q dal centro O degli assi, e dall'angolo -a che il segmento OP forma con l'asse delle x, come in figura 2.3. Dal teorema di Pitagora si deduce che (15.13)
l'angolo {)- è legato alla parte reale x ed al coefficiente dell'immaginario Y.. dalle formul:e
P I
•
I
I
I
x
o Figura 2.3
(15.14)
x
cos'6'=-
Q
.,
Si dice che Q è il modulo del numero complesso z :: X + iy, mentre 1'1, misurato in radianti, è l'argomento. Naturalmente a è definito a meno dì multipli di 23t. Tenendo conto' delle relazioni tra e, a e x, y, possiamo scrivere il numero complesso z = x + iy in forma trigonometrica (15.15)
Z
=
Q (005
ti- + i sen a).
Compltlmenti ai lIunuri reali
57
E particolarmente semplice scrivere il prodotto ed il qUCTLiente di due numeri complessi espressi in forma trigonometrica. A tale scopo, riarno numeri complessi Z, z' nella forma:
Z = Q (cos il + i seD il);
(lH6)
z: =
Q' (cos iY + i seD iY).
Tenendo conto delle fomule di addizione (10.4). (10.5) si ottiene:
z . z' = Q(COS
a+ i
seo ofr) . Q' {cos {}' + i seo
a') =
(15.17) =
QQ'
I(coo il cos iY - seD il seD iJ') + i(seD il cos il' + seo iY ces =
=
QQ'
{cos(il + il') + i S.D(il + lYl).
il prodotto tra due numeri complessi ba per modulo il prodotto dei
moduli. e per argomento la somma degli argomenti. Per il quoziente Si ottiene la formula analoga:
7/z' = Q(cos il + i sen {f)/{Q' (cos iY + i sen {f,)J =
=
(15.1'8)
Q (cos il + i sen il)(cos li' - i sen il') Q' (cos iY + i seD iY )(cos iY - i sen il') Q (cas -fr
= Q'
C'OS'
fi' + sen fr scO' iY)
coSt ofr -
+ i(sen: {} cos W - seo {}' c.os {}) il
sén2 a
= Q, (cos (il - il') + i sen ({f - il'}l· Q
Dalla fannula (15.17) per il prodotto. si deduce la forma trlgon'ometrica della potenza z" COD esponente- n E N (15.19)
UD' numero complesso z è la radice di z se- risulta (z')R :: Z. Quindi se z. z' sono rappresentati in forma trigonometrica dalla (15.16)
58
Capitolo 2
come in precedenz.a, deve risultare (z')"
(15.20)
=
Z
(o')" (cos(niY) +
1
sen(nil'») -
= Q{cos {} ... i sen ") =
= O (cos(iI + 21m) + i sen(iI + 21m)}, qualunque sia k (15.21)
E
Z. Otteniamo quindi:
o' =
'iii;
il' = (il + 2k,,)/n, . k
E
Z.
In particolare il modulo di una radice n-sLma è uguale alla radice n-sima del modulo. Si riconosce anche che la (15.21) fornisce n valori distinti dell'argomento i)'. Quindi se z #. O, esistono n radici n-esime d.istinte del nwnero complesso z.. Ad esempio. calcoliamo le radici quadrate del numero comple5.!io Z - i. In forma trigonometrica i ha uguale ad 1. ed argomeoto uguale a nfl. Quindi in base alla (15.21), le due nuiici quadrate di z .. i hanno modulo uguale ad l. ed argomento uguale a (15.22)
iY,
.
"" 4; =2=
In corrispondenza si ottiene; (15.23)
':, - I
(=
i
, O, in corrispondenza esiste un indice v con
a-, I a,
"
a,
"
i,
I
I
a,
a.
I
I
a,
" ,
I
a,
a,
a,
Illlilr
I
a,
I
.
I
I
a,
I
63
a
I
" , "
I \I III
aI
I [I
I
..
,
I
(a + E
I
a+.e:....... v-5
•"
••," j
v-7•
•
v-100•
Figurll 3.2
L'intervallo (a - E. a + E) considerato fonnula, da (16.4)
li
precedenza e definito,
Ul
(a - t. a + e) = Ix e R: a - t < x < a + tI.
è deuo intorno del numero a, di Taggio &. Nel paragrafo seguente diamo la definizione di limite di successione e consideriamo alcuni esempi.
17. Definizioni e prime proprietà Una successione è una legge che ad ogni numero naturale n fa corrispondere uno ed un solo numero reale a n • Ricordando la defurizione di funzione (paragrafo 6) si può dire che una successione è una funzione da N in R Indichiamo una successione con il simbolo (a..). o piì:l semplicemente con 8.". o per esteso con (17.1)
al •
, al •
a.c •.." a.,. •.•.
Parleremo allo stesso modo di successione. anche se non sono definiti i termini a n per i primi indici n, cioè per un numero finito di indici n. come nel caso considerato nel paragrafo precedente, dove era n 3. Esempi di SUCceSS10nI sono:
(17.2)
.
1 n
1 1 1 1 1, 2 • 3 ' 4 ,... n····
64
Capi/Dio 3
(173)
n-I n
(17.5)
(- l)' a.= n a. = (- I)'
(17.6)
!in =
(17.4)
0
O I
2
3
.' ...
'2'3'4
I
- 1. 2 .
n .. n
- 3'4 -I -I
,....
j r ••
(- I)' n
••••
- I, I. - I, 1 ,"', (- I)' '"
2
1. 4, Q, 16 •...• n2
••••
DEFINIZIONE - Un numuo reale a è il limite della successione a. (si tlice ancM cm a.. totde o converge ad a), e 3/ scrive .
(oppl,4re
(17.7)
se, qualunque 5/0. v.
E>
u, esiste Ull numero 'V 1qle che a -
a. E
a),
-t
< an < a +
< a + e si può anche scrivere equivale a (proprietà (8.12): La relazione a -
E
< an
(17.8)
la. -
E
Iim a, = a
=
agili n >
< aA a <
E,.
e ciò
al < e.
Quindi possiamo ripetere la definizione precedente legge esiste):
(17.9)
E per
1n
simboli (3 si
Ve> O. 3 v: la. - al < e V'n > v.
Osserviamo. pecc.hé ci sarà utile nel seguito, che la (17.9) è equivalente
a
(17.10)
infatti
lim ,->
a.
= a
3c > O: 'ttE. > O, 3v: lan - al < ce. V'n > v ;
(11.10)·si riotticnc la (17.9) cambiando
Usando la defini:t.ioue, verifichillJTlo che
(17.11)
.
lim
1
-=0.
......._ 0
E
con ele.
Limili di $j/cce.r.rioni
65
Risulla la. - "I : 11/01 • 11n.. Dato che (Jn J'e,l.. :scegliere v '" 11E. Qoè abbiamo verificato che per oglÙ r: > O esiste v '" 1J1!: per cui la" - al '" 11n < E per ogni n > v. Verifichiamo ora che
(17.12)
n-I
lim
"-t..-
n
'" l.
Risulta (17.13)
1"'-81'""
I
nn
1
-l
LI I' I'""I;; ""o
.•
in qUC:'lto esempio si vede l'importanUl di considerare il valore assoluto di an - aj si trova
la" - al "" lln e poi si procede come uel caso precedente. Naturalmellte non abbiamo scelto a caso i valori, a = O e a "" l nei due esempi precedenti. Proviamo a veckre che succede le invece tentassimo di dimostrate che
.
.--+_
(17.14)
lim
1 -l n
Avrenuno
1
- '" l n
I
1 =l--l-(. n n
Questa non crea problemi se E è grande, ad esempio se lE: .. 1 verificata da ogni n e N. Ma se e è pià piccolo, ad IIl&Cmpio se e • 112, allora 110 > 1/2 è verificata solo sc n < 2. Ciel: soto al verifICa la relazione data, c noo a" con n> v. Cib prova che a "" l non è il limitc dcila SUOCCSSiOIlC l/n..
Con un argomento simile verifichiamo la ,
UNICITA DEL LIMITE. -
Una succe$Sione
non può avere due
limiti distinti. Dim05truione; supponiamo per tlSliurdo che esista,no due limiti distinti, cioè supponiamo che 8" -t a, a" -+ b, con a b. Poniamo lE: _ la - blfl (? O). Si ha
*'
(17.15)' Ponendo v c mBX IV1 , 'Y21 • l.e relazioni sopra sailte valgono contemporaneamente e si ha (utilizzando la triangolare Ix, + S Ixll + Ixtl del paragrafo 8)
66
Copitalo J
la
bl"l(a.- a,J + (a. - b)l S
(17.16)
::: la. -
al + 11,,- bI O) tale che
'O'n e N.
(19.8) DaU'ipbtesi (19.4), per ogni n ::> v = max· (VI' vll si ottiene
(19.9)
= la"(b,, - b) + b{a" - a)[ $ la" llb. - bI + Iblla" - al < < Me + Ibl
E
=- (M
+ Ibl) e.
La prova che il limite dì un quoziente è uguale al quoziente dei limiti è simile alla prova della relazione per il limite di un. prodotto. Esaminiamo due esempi di applicazione deUc: oper.li2ioni con i limiti. Avendo già vluificalo che la 5UI;I;cssiOnc 11n converge Il zero per n -++-, dal limite del prodotto (19.2) con a. = ba = l/n si deduce che
(19.10)
Hm
1
--o
n'
e, iterando il procedimento,
(19.11)
VbeN.
Mediante le operazioni con i limiti si calcola, ad esempio, il seguente limite, dividendo
70
CJpilOlo 3
numeratort e denomioalore per
02:
0 2 +511-4 l + Sin - 41n2 ., lim . _ 3D 2 + l ,.,_ 3 "1" l/n2
lim
(19.12)
-l
3
20. Forme indeterminate Si prova che valgono le operazioni con limiti infiniti nei casi seguenti (a e R),
(20.1) (20.2)
3 .. - t + - ,
(20.3)
(20.4)
=>
la.. b,,1
Ib" / allI
lan
----J
+ _
(20.5) (20.6) (20.7)
a..-ta:;t!O,
/
+ _
b.. l-+ +-
Risultano esclusi dalla tabella alcuni casi che schematizziamo nelle forUle seguènti, dette forme ini:J.eterminate:
---
(20.8)
,
o· - ,
_/00,
%.
Altre forme indeterminate sono date neUa (25.9). Dire che un limite è una forma indeterminata non significa diIe che i1 limite non esiste, ma significa semplicemente che occorre preliminarmente eseguire noni, o semplificazioni, per togliere, se possibile, l'indeterminazione. Ad cscl"pio, le successioni seguenti csprimono forme iudeterminale: (20.9)
(o ...
lY -
(o _ 1)2 ;
1
• - l
Un'
•
n
Un
l ' (o + l);
Lo prima di tali successioni una forma +- - -. Però svolgendo i quadrati si trova che la ."'X'cssione vale 40 e quindi leode a .... La scromla successione è UllB forma O, _, ma si può anche scrivere 1/n + Un'l, che tende a zero. La lena suc:cessione è una forma -J-, ma già sappiamo che tcmde a 1. La quarta successione del tipoOJO. ma semplificando si trova lln -J O.
Limili di slIcce.uioni
71
21. Teoremi di confronto Studiamo in questI:? paragrafo alcune relazioni tra limiti e ordinamento. TEOREMA DELLA PERMANENZA DEI:. SEGNO. - Se lim esiste un numero v tale cM " .. > O per ogni
D
>
"" a > O ,
Y.
Prima di propone la dirnostnlzione de.! teorema della. permanenza del segno sottolineiamo che, se una successione a.. converge ad un numero reale positivo a, non si può affumare in generale che rum i termini della suc:oessione a. sono positivi. Ad esempio, in analogia con la (17.3).13 s'leeess\ooc a. '= (n -7)Jn converge al numero 1 per n -+ + _, però i primi termini della successione (ah 32' ..."lino.ad aM sono negativi; il numero v, nella tesi del teorema della permanenza dcI segno. in questo caso uguale a 7. Dimostrazione.: dalo che 8 > O, pO$$lamO scegliere t ". aIL Esiste quindi un numero v per cui I.. - al < aI2 per ogni D > v. Ciò equivale a - an. < a. - 8 < an... In particolare 8bbiamo
• •
(21.1 )
a >a--_"":>O .. 2 2 '
.
COROLLARIO. - Se lim
8 10
c a , e se a"
'v'n> v.
O per ogni n. allora anche a
O•
Dimostrazione: se per ilS5UrdO fosse a < 0, il teorema della permanenza del segno, applicato alla sulXC:S5ione - a ... comporterebbe che !l.. < O per n uande.
COROLLARIO. allora a :?: b.
Se 1im 3 n = a. lim bn = b , e se 3 n •-+..-+
bn per ogni n •
Per ottenere la dimost:nnione di quest'ultimo corollario, basta appljcare il corollario precedente alla su=ssione a n - b n.
Possiamo schematizzare i risultati ottenuti nel modo seguente (si noti la differenza tra i segni > e (21.2)
8>0
(21.3) (21.4)
=>
3v:a,.>O, 'v'neN
8 n ---t
a,
=>
'v'n > v;
72
CtJpitoio 3
TEOREMA DEI CARABINIERI_ -
Siano
8,.. bn ,
(21.5)
sltccessioni lali che
Vn e N.
.-
Hm a,.::< lim b. - a • allora
O
(21.6)
Ricordiamo c:he le disuguaglianze con il vàJore assoluto fi.j possono anche scrivere.
(21. 7)
8-toO,3"V:
Dato che
Ib,,1 ;: 118,,11 ;: la,
(22.2)
la- (22.1J è' equivalenle alla convergenza a l':ero della
'In e N, tl n
Si noti che. nella proposizione precedente, è importante considerare non solo successiorii convergenti, ma più in particolare successioni convergenti a zero. Ad esempio. se a o ,. (- 1)0 , allora a n non è convergente. mentre bo '= è la successione costanle bo = I, Vii E N , che ovviamente converge ad L
Ricordiamo che una successione a" è limitata se esisle un numero M ;;. O tale che
1",,1
(223)
M.
I::IneN.
Ricordiamo inoltre che una successione che converge a zero si dice infinite· Slnlli.
TEOREMA DEL LIMITE DEL PRODOTto DI UNA SUCCESSIONE Lnvl:ITATA PER UNA INFINITESIMA. - Se a" è una sJccessione limitata e bo è lina successione che converge a zero; allora fa sur.tessione prodotto aD·b o converge n' zero. Dimostrazione: (prùno murnio) per ripotcsl (12'.3) si ha (22.4)
Vn
E
N,
V'n
E
N.
che, po-:r la proprietà (8:.11), del valore assoluto, equivale à (22.5)
Dato che per ipofesi: b" converge a zt:ro. Per il
--t
O; per r8 propoSì21onc precedente anche la successione Ibnl d'ci carahinieri, dalla (22:5)' si d"educe lnfine che tl n . b n --t O.
74
CojJilolo 3
DimO!>trazione (s'coI/do merodo): per la definizione di llmile si ha: 'lin > v.
(22.6)
Dall'ipolesi di limitatezza (22.3) si ottiene. poi (22.7)
"In > "'.
che equivale (si veda la (17.10» al fatto che la successione prodotto a n . b n converge a zero. A titolo di esempio verifichiamo che
(n.•) infatti si tratta del limite del prodotto della succefiSione limitala sione infinitesiml
a... _ (-
I)D per la succes-
1
n+5 1/n+5'n b• - 301 +1 - 3+ l1n1 .
(22.9)
Cnme ulteriore esempio verifichia.mo che (22.10)
(il lettore non confonda questo Umile con quello proposto in (23.17), uguale a l: nel limite in (23.17) la suCQ"ssione conv.erge I zero. mentre la successione in considerazione in (22.10) l; sen ar/a n• coo a. = n -+ + _). Il limite in (22.10) l!l zero perché limite del prodotto della successione limitati 8. = seo n (la.l" Iseo 01 Si: l, 'r;/ n E N) per (a successione infinitesima bll _ lIn.
23. Alcuni limiti notevoli lo questo paragrafo esaminiamo alcuni esempi di limiti particolarmente
importanti. Cominciamo con (a
E
.... (23.1)
Se a
lim
Ii-+_
:>
l
a' =
1 O
non esiste
R fissato): se
se se se
a> 1 a = 1 -1 1, il secondo membro tende a + - se n - t + ...: per il teorema di confronto (21.9) anche 0." -+ + _. I casi ti - 1 e a .. Osono ovvi. Se Il diverso da zero e compreso tra _ I, I (0.< lal < I). risulta 1IIai > l, e quindi dal caso già ttaltato alleniamo: (23.3)
Se a '" - 1 si riouiene illimile (11.18). Se infine Il < - 1, si vede che la successione con ' csponenh. pan"2k a ; + _ .. mentre l a sua:eU\ooe con e5p0nentl. d"\.Span. aì-h-. ; - ... per k --t + .... Percib non esilte illimite-pcr n --t + - di al. Si noti che invece esiste, ed è uguale Il + .... il limite di la-I, se Il: < - I; infiltti si ottiene la successione lanl. che ha per. base lal > 1.
Proviamo ora che, se a è un numero reale positivo, risulta I
(23.4)
lim
a--t+-
'fa=lim 0"-1. n-t_
Notiamo preliminarmente come sia facile ricordare il limite (23.4) per mezzo d el· passaggi:· · C "Va = a IIn -7 a o = 1 . DimostlllZione della (23.4): nel caso ti I si ha I e quindi. per quanto gil dimostrato, (23.7)
«. •.,;" ; lI/a
Se O < a
v (v eSlste per. la !:
Limili di
definizionç di lirnilE.'.. ùato che"3. n.--lo O}. Pl:r tali valori di n risuila
lln
O e q4indi
'::05 a n = .... a" .
(23.16)
Aye.lI.do gii prcwato che sen a n conseguenza dil,l I"alto che
-./b..
-t
{ì
TI terzo limite di funzione zione è:
77
'\in >. V.
O.ne segue che b n '" I - .senI al! -} 1; la tesi è infine = l .
che prendiamo
ID
cODsidera-
(23.17) Nòuami{clìb. dalo che COl1!inciamo 001.
-+ O. (scn' Dn)/a" è una forma.' indeterminata. che
. n
O
l l - > ::-''-.,n u + l
a...-\
1I+1>n
e l'ultima disuguaglianzp è velificatl\. per ogni n E N. Invece se
'
(24.6)
..
"- l
"
allora (24.7)
li -
l
u
<
e anche questa volta l'ultima disuguaglianza
n n+1
,
=
verificata per ogni D E N.
Umili di successioni
79
Il risullato seguente è di fondamentale importanza. TEOREMA SULLE SUCCESSIONI MONOTÒNE. -
Oglli successione mOilO/Ò/ilI ammette limite. fil particolare, ogni s/lccessione monotòna e fimiram è
collvergt/l/e, cioè ammet/e limite finito. La successione (17.4) a,. '" {- I)-In non è monotOna: in!"atti i termini di posto pari sono positivi, menl.-e queUi di posto dispari sono negativi: i termini della successione oscillano intorno allo !.eTC. La successiooe a_ == {- l)"/n è quindi un esempio di successione conVt!rgenIe, pur non essendo mono/lmo (osservinmo che ciO non conhaddice illeorema; infatti nel teorema nOLI si afferma che ogni successione convergenle è rnonolònal). La successione non regolare (17.5) Il. '" (- l)D non è monolòna: ciò è in !accordo con il teorema sulle successioni monotòne, perché se la successione (17.5) fosse monolòna dovrebbe avere limite.
Dimostnlzione del teorema .!Iulle successioni monotòne: consideriamo il caso di una successione II n crescente e limitalll_ PO!iIQ r .. sUPn El•• [issato t! :> O, per le proprietà del\"estremo superiore lparagralo 12) esiste v E N tale che (24.8)
Per n > v risulta
S Il" e dunque
r-
('2'.')
E
<
'yS
a. sr< r+
1;,
da cui lil11 B. = ( .
Consideriamo ora il caso di una successione an crescente e non limitata (superiormente). fiSSlllo M > O esiste v E N tale che n.. > M. D.to che II n è crescente, ogni Il :> v risulla (24.10)
da cui tim a. = + ..... d_
In modo analogo si trattano i casi relativi a succcuioni dtlcrescenti.
Ricordando che una successione si dice regolare se essa ammette limite (finito o infinito), il precedente teorema afferma che ogni successione monotòna è regolare.
25. TI numero e Il teorema sulle successioni monotòne è utile per definire il numero di Nepero e come limite di una particolare successione monotòna e limitata.
BO
Capitolo 3
Infatti, introduciamo tale numero mediante il limite: (25.1)
COfl
La (25.1) è la definizipne del nUlnl!ro di Nepero e. Tale definizione giustificata dal fatto che, come provato aUa fme del paragrafo, La successione a" = (1 + lIn)R è (strettamente) crescente e limita/a; quindi esiste, ed è un numero reale, il limite per n + 00 di an0 Nel paragrafo 81 indicheremo il metodo per calcolare espressioni decimali approssimate del numero e, del tipo •
(252)
2.71828182845904523536... ;
qui riportiamo aLcuni valori nwnerici approssimati di 8 11 che, essendo ali una successione strettamente crescente, sono approssimazioni per difetto del numero e; n
1
10
50
100
500
1000
10'
(1 + l/ot
2
2.5937
2.6915
2.7048
2.7155
2.7169
2.7182
appUcazioni sono utili anche della definizione (25.1):
l
limiti seguenti. generalizzazioni
( l+
(25.3)
1 ) ••
àn
(25.4) DimostrariGne della (25.3): indichiamo con [an]' come nella (23.11), la parte incen di 8 11, cioè il piil: gnmde intero minore od ad An. Risulla I a. ] S a" < ( ... } + 1 • e quindi
(45.5)
(
1 )'., ( I)" ( l )'.,.,
l+[]. a.+1
E
N:
peTl:ib la iuc=s:sione a" risulto limitata, come si voleVB dimootrare. RimBne dB verificare che b n l!: uni successione strel!amcnle decrescente: a tale 5alpo pnxedi:lnlo come nella dimostrazione della (25.11): la telii l!:
+-
(25.22)
n
\t'n
•
2.
equivalentemente
>
(25.23)
n+ 1 n
Come nella dimostTttione precedente isoliamo l come addendo:
( 'l"
(25.24)
l ...
l n - 1
La disuguaglianl:.a di Bernoulli (25.17), con x
(25.25)
( 'l" 1+
l n-l
Ò!;I+
>1+-. I n
=:
1/( n1 -
t) , dA la conclusione 'fn 2: 2
ln >1+1 n-l n
(nell'ultimo passaggio si e utiliZZOla la disuguaglianza n/( n2 - 1) > 1/n , che è vcm equivale il n1 > n1 - I).
Un'osservazione a proposito deUa stima (25.21): desiderando una stima più precisa si può otilizzare la relazione (25.26)
V'n.
che vale perché, posto k = max {n,
mI.
ID
e N.
risulta
(25.27)
Per m = 1 si ottiene la limitazione 3 n < bi = 4; aumentando il valore numerico di m si ottengono stime più precise; ad esempio. per ID = 5 si ha (25.28)
a..
< bs =
Gr : :
2.98...•
'v'n e N.
S4
Capitolo J
In particolare si può affermare cbe·2 S an < 2.98 ." < 3 per ogni n e N e quindi anche il numero e. limite della successione crescente ano verifica le limitazioni 2 < e < 3.
Appendice al capitolo 3
26. Infiniti di ordine crescente Con lo stesso metodo utiljzzato per studiare le successioni definite per ricorrenza dimosniamo il seguente: CRITERIO DEL RAPPORTO (PER LE SUCCESSiONI). - Sia a" una a positivi.. b" = a.,.., , a•. la s"ucctnioTU! b. converge ad un limite b < l, allora la successiom: a. a zero. Dimostrazione: per Il teorllma delll permanenza del segllO del pamgrafo 21 (applicato. lilla successione I - b n>, esiste Un indice v per cui b. < 1 per ogni n :> v. Quindi a..1 , a,. < l, ciot &.., < a. per ogni n :> v. 11 teorema sulle suCcessioni monotòQe assicura l'esistenn del limite a, che i!: un numero reale non negativo, dato che la successione i!: decrescente. Supponendo per assurdo Il .. O e passando al limite per Il -t+- nella relazione b• • 1 .. 1'1 •• si ottiene b = ali:: " in contrasto con l'ipotesi b < I. Pertanto risulta a = O.
Applichiamo il criterio del rapporto al confronto delle successioni: (26.1)
log n;
n' .o
,". n" o
n" .
'0
Abbiamo scelto b > 0, a > 1. n simbolo n! (o [attoriale) significa il prodotto dei primi n numeri naturali: (262)
nJ = 1 . 2 . 3 ..... (n - 1) . n.
Per.n ...... + - le cinque sucx:ossioni (26.1) teodono tutte a + _. Possiamo perO dire che sono iIlfinjii in ordille crescente, nel senso che i limiti dei rapporti valgono
(263)
log: n Il'' •• DI Hm _ - = lim - _ fun - : : lim -=0. ........- n' .-..- a" .-._ nl ......._ II·
lo studio del primo dei tre limiti.
Rimandiamo al paragrafo 33 (si veda la (33.9) Riguardo al secondo, poniamo
(26.4)
b. '" &..1 _, ""
(n ')' n
1
,
--t-
V.
88
Cnpitofo 3
Dalla disuguaglianza triangolare segue allora, per h, k > v.
(28.3)
a,,1 s
Ill t -
, , al + la -lIt.! < 2" +2"=
L
Per dimostrare che, viceversa, ogni successione di Cauchy è convergente, premettiamo alcuni lemmi.
Il Dimostrazione: sia
E =:
l; per ipotesi esiste v e N lale che
la t
(28.4)
-
a,,1
'r/h.k>v.
< I,
Fissiamo un indice ho > v. Allora, dalla (28.4). per le propriet! del valore assoluto, segue
(285)
alt" -
'f/k>v.
l < fl t < 01\, + 1.
PostQ
A = min la, •...• ak
•
a"" - 11.
B
=:
max la l
••••• tl.t •
alt" + li.
evidentemente risulta
A.s:a...s:B,
(28.6)
V k
E
N.
c pcreib la 1''CCHSione è limitata.
LEMMA 2. - Se una successione di Cauchy a.. contiene un'estratta conW!rgente lIU30 r, aUoTa anche ali ver30 [.
fissato
€
> O sia v El M tnle che
(2&.1) IOk - ahI < ffl.. Sia inoltre te > v tale che
(28.8)
(28.')
a...
lo... - rl < eI2. si h,a: 0r.:.?: ko > y (si veda la (21.4)), per ogni n > v risulta
, ,
la,. - 'rl s I a" - a••.1 + la..... - r\ < 2" + 2 ;;::
E.
CAPITOLO 4 LIMrI1 DI FUNZIONI. FUNZIONI CONIlNUE
29. Premessa Consideriamo la funzione
l(x) ; s.n x •
(29.1)
x
che è definita per ogni x E R - IO}. Allo scopo di disegnarne il grafico, osserviamo preliminarmente che -1 sen x.s l per ogni x E R; dividendo tutti i membri per x otteniamo l
1
- - ,; l(x) ,; - • x x
(29.2)
y
'r:;J
x > O.
•E "
I
i••
I \Y=
\
\ \
,
....... -
/21l:
.èr.
4"
_+__"'-, O h---:-!
-" /
>.------
I
I
,
1
/y=-X Figura 4.1
x
92
Capitolo"
< U si ottiene la situazione analoga 11x SO f(x} SO - 11x; comunque, e$sendo f(x) una funzione pori (cioè f(- x) = f(x) per" ogni x E R -IOJ), è sufficiente studi&11le le proprietà per x > O, ripor"llI.ndo poi il disegno andJe per x < O, per simmetria rispello all'asse y. li:
I....e funzioni y = -. Ux e y = l/x, che appaiono nella stima (29.2), hauuo per grafico dei rami di iperbole, come in figura 4.1. Tenendo conlo del segno di f(x), che per x > O è lo stesso segno di sen x, si ottiene per f(x) un grafico come quello disegnato con tralto continuo in figura 4.1. n disegno è significativo per x sufficientemente grande; è invece indetenninato per x è "vicino" a zero. Ricofdiamo cbe la funzione t(x) ip (29.1) non è per Ko '" O, cioè non t,calcolabile ({O). Invece t possibile r::alcolare valori di C(x) per x "vicino" a zero; ad vale la tabeUa
• t(x)
nl3
n/'
nl6
Or '" 0.82...
2i' .. 0.90...
- • 0.95...
nfl
•
313
- '" 0.63... n
n
3
•
e, con l'uso di una calcolatrice, si ottiene (ad esempio) ['ulteriore tavola di valori
C(x)
-+__0.::,000='=-_1
0_.'
0_.01
0.9983341...
0.9999833...
___ x
Nelln Ulbefln prccerknu IOnO slori
0_._,,0.,,00,,1_._ •.
0.9999999...
,
sujficiulJenun1c vJci,,1 D Xo • O? Uno, Jtue, tre o otto valori di x non sono _ in assolu!Q - cl! vicini nl!: loclani da zero. CeTllUJlentc, :sulla base delle pTecedenti tabelle s.i pub intuire che t(x), per x vicino a zero, assuma valori vicini al numero l (f(x) assume valori del tipo 1 - L, con e > O "piCcolo"). NOQ pero possibile escludere che, pcT x ancor:a pii). vicino a XQ = O rispeno a&li ono valori &ii considerati, f(x) cambi comportamento. 'l'Dlori di
li:
Una (onnulazione rigorosa del ct>mportamento di f(x) per x "vicino" ad x" si ottiene nel modo seguente: si considera una tabella ide31e, illimitata a destra, del tipo
x
X,
t(x)
Y, '" C(x,)
"
x,
Y2 '" C(xt>
Yl '" l(x)
... ...
...
...
Cioè, si considera una generica successione X n che converge ad Xo (xn è "vicino" ad Xo se n "grande") e la corrispondente successione Yn. costituita
Limiti di fttflz:iani. F/.lnz:ioni continue
93
dai valori assunti dalla funzione f(x) (y" = f(x..). \j n E N). Se .y" converge ad un numero ree se il numero rnon cambia qualunque sia la successione x., che converge ad Xo) allora si dice che la funzione t(x) ammette uguale ad r, per x
--io X().
Torniamo all'esempio deJla funzione ((1:) in (29.1); si è già verifieato (si veda il limite
(23.17» che (29.3)
*
qualunque sia la lucc:essione x.:- cllc converge a XcI _ a (con x. o, V n e N). 111 accordo con quanrci detto $Opra. in termlai di limiti di funzioni la (293) equivale a dire" cile C(x) ba limite r - 1 per x .... O; in simboli Iim" [(x) :: lim !en x
(29.4)
.-HI
.-i'O
1.
X
In figura 42 riportalo il grafico della funziooe x)/x; la funzione non definila per O (nel graf'lCO C!Ò stato evidenziato con Wl "tendino" vuoto); perb la funzk)ne hA un comportamentO regolare anche nelle vicinanze di Xo _ O ed i valori y 1l5sunti da'f(x) sono vicini ad , - l quando li: t vicino Xv - O.
re. -
•,, f(x)
x
-./
\ y-+ •
1 7r 2
/-
, I
/
--
-q-
_-
---
----
Figura 4.2 Viceversa, anche se la struttura analitica pub sembrare a prima visla s.imile, il (29..5)
. l ,uus.en-
non
x
(si veda la (325)). In figura 43 riportato il gnfico, eseguito al computer. delh.. funzione sen(1Jx). Si noti in particolare il componamento caotico della funzione nelle vicinanz.e di Xo _ O.
94
Capi/ClIo 4
y
x
figura 43 - Y • sen (Ux)
Nel paragrafo che segue formalizziamo la definizione di limite di funzione secondo le idee sopra esposte.
30. Definizioni ,Si definilll:e il limite di una fun2:ione [(x), per x che lendl:: ad xQ fiO R, nl::l caso in cui xo risulti un punto di accumulazione per il dominio di f(x). In generule uo numero reale Xo si dice punto di accumula.zione per un insieme A c R se in ogni mtorllo di xo. in ogni insieme Ix e R : XcI - 6 < x < XcI + 61. COIl 6 > O, cade almeno un punto di A distinto da X(). Nel prO$ieguo del capitolo vengono prese in considerazione soltanto funzioni il cui dominio A cO$titui!O da un intcrvallo (o dall'unione finita di intervalli) e Jro, punlo prescelto per il calcolo dci limite, appartiene ad A od un punlo di frontiel'l per il dominio A (ad esempio XcI un estremo dell'intervallo A nel caso in cui A appunto, un intervallo di numeri reali); in entJllmbi i casi Xo risulta punto di accumuJazione per l'insieme A.
Se a, b sono due mimerì reali (con a < b), per indicare un intervallo di estremi a, b si usano le notazioni:
(30.1)
[a, bl
(30.2)
(a, bl = Ix e R: a < x < bi;
(30.3)
[a, bl - Ix e R: a
(3Q.4)
(a, bI
{x e R: a < x < bi;
x < bi;
{x e R: a < x
bi.
Limiti di fundonì. FWI;{wllì contimU!
9S
L'intervallo [a, bl si dice chiuso, mentre (a, b) detto aperto. Inoltre [a, b) è detto chiuso a sinisrra e aperto a destra (analogamente per (a, bl); gli intervalli sopra scritti si dicono limitati. Si considerano anche gli intervalli illimitati: (30.5)
[a, +00)
= Ix E R: x > al;
(30.6)
(a, _)
Ix
E·
R: x > al;
(30.7)
(- -, bl
-
Ix
E
R:x"b];
(30.8)
(- -, b) -
Ix
E
R: x < bJ;
(30.9)
(-
R.
-,
+ -)
Come già detto. i nwneri a, b sono detti dell'intervallo (anche nel caso in cui tali numeri non fanno parte dell'intervallo). Un intorno di un punto Xc è un intervallo aperto contenente xo. ad esempio un intervallo del tipo (xo - 6, Xo + (j) (più generalmente, viene considerato intorno di un punto Xo ogni insieme contenente un intervallo aperto contenente Xo). Nelle definizioni che seguono consideriamo funzioni f(x) il cui dominio A Ul1 intervallo, o è unione finita di intervalli, e Xo appamene, od è estremo, ad uno di tali intervalli. Ad esempio, se f(x) è definita neU'iJuieme A '" R -101. allora risulla A ,., (- -, O) u (O, + -); in Iai caso XQ. punto prescelto per il calcolo dellilllite, può appartenere ad uno dei due intervalli (- _. O), (O. + -) oppure può essere uguale all'estremo O. In definitiva, in questo esempio. Xo pu() essere un qualunque numero .reale.
Si diu che f(x) ha limite uguale ad r (tende o converge ad per x che tende ad Xo s(!, qualunque sia la successione x,. Xo, con x,. E A e ,X. DEFINIZIONE. XI)
per ogni
n.
risulta f(x.,)
-t
r.
11
*"
Secondo questa definizione la relazione (23.17), come già detto nel paragrafo precedente, diventa: l · seo" =. (30.10) l 1m HO
X
Co,l pure le relazioni (23.13), (23.14) diventano' (30.11)
lim scn ,;.
x = O;
Liro cos x = 1.
,.....
96
CUpilQ{D 4
Possiamo formuJare la definjzione di limite direttamente per mezzo di disuguaglianze. come già fatto per le successioni, usando i simboli E,. v. I siInboli usati classicamente per i limiti di funz.ioni SODO e, i5 (delta) nel modo seguente: TEOREMA. -Si ha
....
lini f(x) = l' se esolcanto se, qllillunqwsi/l e > 0, esiste un
ruunero 6>0 taki:he l'-e O: f(x) > M, "'xe A
.-
(30.14) lim f(x)
.-
t
(30.15) lim f(x) = + -
'v'E'> O, 3 k: If(x) - rl
< E, 'v' x E A: x > k.
... X, -++ -. x" e A, "'n e N=> l(x,.)
I l •• ;
'v'M >·0, 3k: f(x) > M, 'v'x e A: x.> k.
n
lettore, tenendo conto della definizione (1721) relativa alle successioni che tendono a formuli i casi corrispondenti con al posto di + -. È utile considerare anche i cosiddetti limite destrfJ (x -+ xet) e limite sinistro (x X()-), quando ci si avvicina al punto Xo per valori eli x E A rispettivamente solo maggiori di "o. o solo minori. Consideriamo per brevità solo i casi di limite r finito (illettoce formuli i casi con limite infinito): 00,
00
Limiti di /ull[ioni. Fltllziorli toritinlle
(30.16) tirn f(x) =
,,-. .:
r
=
'V x" .... "o, x" E A e x" > "o 'V n E N.=> f(x,,) .... 1;
=
'Ve > O, 36 > O; If(x) - rl < e,
97
'Vxe A:.Xo "'; inoltre. essendo ;1[" "" K(). in definitiva si ·ba
98
Capitolo 4
(3L3)
Vn;> v.
Per l'ipotesi (31.2) segue allora Vn ;>
(31.4)
'V,
che, in base alla definizione di limite di successione, significa che f(x lI ) -> r per Il --l + -. Proviamo om, per Il8surdo, che (31.1) implica (31.2); contraddire la (31.2) equivale ad aflelmare cbe; (3l.S)
3
e.1
Poniamo 6 ,. l/n, con n dipendenza da II = 1/n: (31.6)
o:
;> E
V5 ;> O, 3x
E
A:, O '# Ix - X!J I v. Perciò, per ogni n :> v risulta unche g(x n) "Yll' Dato che Yn - g(x,,) è una Slla:essìòne contenuta in Y che converge Il Yu ed è bile che y,,;o' Yo per Il :> v, ollora f{YIl) -t Cioè f(g(x,,» -t r, come si voleva dimostrare.
33. Funzioni continue
Come nel paragrafo precedente, consideriamo funzioni f(x) definite in un dominio A costituito da Wl intervallo, o dall'unione finita di intervalli, con Xo punto di A o punto estremo ad uno degli, intervalli costituenti A. Abbiamo introdotto i limiti di funzioni per descrivere il comportamento di funzioni nelle vicinanze di loro pq.nti singolari. Naturalmene possiamo calcolare il limite, per x -+ Xjj. anche se la funzione non presenta alcuna singolarità in Xo. Ad esempio abbiamQ già calcolatò in (30.11) i limiti (33.1)
lirnsenx=O=senO;
HO
limcosx:=l:=cosO; HO
il valore limite, per x --) O, è uguale al valore che si ottiene calcolando la funzione per x := O. Si dice che le funzioni sen X, cos x sono coniim,e per x = . . O (ed in realtà sano continue per ogni Xo E R) in accordo con la: DEFINIZIONE. (33.2)
Una funzione f(x) è continlla in un punto Xo se
lim f(x) = f(xo)
.-t••
Unafunr.ione è continua in un intervallo (a, bl se èconfinud in ogni punto Xo E [a, b] (se Xo = a si considera in (33.2) ilsoJo limite destro x -t a+, mentre se Xo = b si considera il limite sinistro x , b-).
Capitolo 4
102
Dato che il limite di somma, differenza. prodotto è uguale rispettivamente alla somma, differenza, prodotto dei limiti, risulta che la somma, la differenta, il prodotto di funtioni continue è una funzione continua. Anche il quozienle di fu.nzioni continUI! è una funzione continua, ma come al solito occorre fare attenzione ai punti dove il denominatore si annulla. Utilizzando la proprietà relativa ai limiti di funzioni composte (si veda il paragrafo precedente) S1 verifica che la funzione composta mediante funlioni conCinue è cOI.tdnuo. L'importanza delle funzioni continue è anche nel fatto che molte lioni elementari sono continue nel/oro insieme di definiz.ione: poteI12e y = xb , esponenziali y = a"\ logaritmi y = log. x, funzioni trigonometriche y = sen x, y == cos x, y = tg x, valore assoluto y == Ixl_ La condnuilà ed altre proprietà delle potenu. esponenziali e logaritmi verrà esaminala nel parugrafo 76. La continuitl della f(x) = Ileo" nel punto Xo E R si esprime con la
relll7.iOne di limite
.
lim seD x = seo Xci •
o, e:quivalc:ntemenle, con la relaxione di limite
.
lim seo (lCo + h) = sen "o •
(33A)
che è consegueD%ll della formula di addizione per il seoo e dei limiti in (33.1); infatti: lim sen{Xo + b) • lim (seo Xo oos h + C08 Xo sen hl =
11-+0
11_
(33.5) '" seo "ti. Hm cos Il + cos "Il" Iim sen h '" sell Xo •
Il lettore provi in modo analogo che, qualunque sia Io l;: R, cos:.: converge a c:os XC per I .... XQ. La c:ootinuili della Nm:ione f{x) _ tg x _ un xleos:c.. per x 1tI1. + bi; (k E Z), discende dalla_ conliliuilll delle funzioni.sen x. cos li: e dalla fonnula per il limile del quoziente. l;a continuilà della funzione f(x) _ 1:.:1 su R segue dalla disuguaglianza: (33.6)
IIxl - Ixoll s Ix -
basla infatti porre ti = E oeUII relazione di limite (30.12): se 1f(1) - '" Il:.:! - \lrJ1 <
Ix - xoI <
s allora anche
Mostriamo Con d\le esempi l'importanza del concetto di continuità per
eseguire calcoli di limiti. Usiamo III. continuità dellll. funzione polenn x b per calcolare, a partire dalI. (32.8), il se&tJellle limite nolevole {poniamo y = {bX,-1 e coasideriamp il caso b :> O: se invece b < O
Limiti di funzioni. Funzioni
l03
oecolTe cambiare il segno:!: con il scgno ::0::; infine se b - O il risultato è ovvio): (33.7)
Utiliniamo ora la rontiuuitl della funzione log x per:ll '" l, (23.8), il limite nOlevole: log n n
Hm
(33.8)
..-.-
- :
ottenere, a partire dalla
-
!im
.....
Per comprendere la prima uguaglianza, si riveda la proprielà (9.16) dei logaritmi. Analogamente al limite precedente, dato che log n • (1Jb) log nb, si ottiene
, l1m
(33.9)
..-.-
log n
n
Vb> O.
34. Discontinuità La funzione
se x > O
(34.1)
se x < O
*
centinua per x O, ma non è continua se x = O. li grafico di questa funzione presenta per x = O·un salto, appunto una discontinuità (figura 4.4).
I.'K 0, esiste un numero & > O con ia proprietà che f(x) > O per ogni x E (Xo b, Xo + b).
La dimostrazione si fa come nel paragrafo 21: dato che f(1I0) > O. possiamo scegliere t: '" f(Xij)IZ; esiste quindi un numtlw O > Oper t;Ui lf(x) - f(xll)1 O e f(b) < O; cioè il teorema dell'esistenza degli zeri vale supponendo che i valori t(a), t(b) siano di segno discorde. La dimostraziorie del teorema è riportata nel paragrafo 36 che segue.
Limiti di funzioni. FUlliioni continue
107
Per mostrare la portata del teorema., consideriamo come_esempio le seguenti due equazioni neUa incognita x
135.2)
r+x-l=O.
(35.3) che non mulTano tra le equaziOfli algebriche di primo e secondo grado di cui facile ricordare la lonnu1a risolutiva. La prilna delle due equazioni una rqutJt.lonr olgrbriar. di terzo grado. mentre la seconda l un'rquazione lTtJSct!ndenu. Procediamo per tentativi. assegnando ad li: alcuni valori:
x
-2
l(x)_xJ+x_l
-11
• f(x)::e+x
• -> -2
•
-I
O
1
2
-3
- l
1
9
1
• +l
. -,
-
1
,
e. +- 2
Nel caso I(x) = xJ +- x - l, abbiamo 1(0) c:: C. t{l) :> O. In b8Sc al teorema dell'esistenz8 degli zeri, esiste un numero :\:0 nell'intervallo (O, I) tale che f(XO} = O; Xo è una soluzione deH'equ!lzione (35.2). Nel paragrafo 36 vecUemo come, call:olare numericamente tale radice, e troveremo che Xo - 0,682327... Nel 5Ccondo esso f(x) = e" + x, risulta f( - l) = lìe - l O. Quindi esiste neU'interValio (-l, O) una radice Xo dell'equazione (7.3). Nel paragrafo 36 troveremo che :: - 0.567143... Notiamo che esiste una fommla risolutiva per le equazioni di teno pdo. che dà come sohni.one reale dell'equazione (352) il numero (35.4)
x,
+
+
-
= 0682327.
Viceversa. non è nota alcuna fOJ'Dluta risolutiva per l'equazione (3.5.3).
Appli.l:hiamo ancora una volti il teorema deU'esistenza degli zeri per dimostrare una proprietà utilinatn nel paragrafo 9: per ogni )lo O 6iste Wl ruUtluo retJk XcI, O ckU'rquazione
135.5)
x" ::
.
Ricordiamo che, essendo la fuluione f(x) '" x" streUamente crescente per x :> O, un tal numero ltO l unico, e to abbiamo chiamalo rlldice n-esima di 1'/0' Dimostriamo ehe l'equazione (35.5) ha solutione: se)/o" C naturalmente è Xo - O. Se Yo:> O poniamo t(x) 'If!' - Yo; risulta f(O) ,. - Yo c:: O; rimane da trovare un punto dove la funzione f è positiva. Se Yo < 1, allora f(l) = 1 - Yo > O e quindi esiste UDa rndice Xo nell'inlerval1o (O, 1). Se invece Yo :> l. allora f( Yg ) "" Yo - Yo '" Yo ( }'Q-l - l) :> O; quindi in questo caso esiste una radice nell'intervallo (O, yo). [nfine se )/0 .. l basta prendere Xo • 1.
108
CapilOlo 4
(pRIMO) TEOREMA DELL'ESISTENZA DEI VALORI lNTERMEDLUntJ fun{.wne conlmWJ in tU1 inurvallo [a. hl tw'wne tulli i valori comprt!.Si tra f(a) "(b). Dimostrazione: per semplificare nolazioni consideriamo il C8SQ in cui {(a) S; f(b). La tesi nel provare che, qUlIlunqull: iin YIl E [f(a). esiste Xo li [li, bl lale che f(Xnl •
,.
Se Yo = f(a) $1 pub porTe Ilo - a; anaJolDmente se Yo = f(b), alk>n basta prendere Xo = b.
Uer trattare il caso fO e «(a). f(b)} consideriamo 18 funzione (35.6)
'r:f
g{x) = f{x) - Ya •
lt
eri. bi;
eiSCndo f(a) < fO < f(b). risulta
g{A) = {(a) - Yll < O,
(35.7)
Per il teorema dell'esistenze degli f(Xn) - Yo·
g(b)
= f(b)
- Yo
;> Q.
esiste un numero xn e (a. b) tale che I(X(!) = O, cio!.
TEOREMA DI WEIERSTRASS. - SiCJ l(x) wuz jiul7:kml: cotttlnlU! in. un interval/Q chiu30 l: lim1l/1to [a, b). Allor.a f(x) anumc rrnusimo c minimo in (a, bl, esistono in [a, bl xl> Xz tali che
v
l(x,) S l(x) S l(x,),
X E
[a.
bl
I Dumeri Xl. OODO detti rispettivamente punJi (li m!nimo e di massima peT f(x) nell'intervallo [a,b]; i corrispondenti valori m = f(XI) e M = ((xi) sono detti minima e massimo di f(x) in [a., h] (si veda la figura 4.6).
f (x)
M
----------
I I I
I m
I
--l-
I
•
I
I
I
,
x, Figura 4.6
•• • i
I
•
I I I
I I I
b
x
Limiti di fumioni. FIUI::ioni coruirule
109
Il teorema di Weierstrass è dimostrato nel paragrafo 37: in questa sede ci limitiamo a mettere in luce con degli esempi l'importanza delle ipotesi (funzione continua definita in un intervallo chiuso e limitato) che garanti· scano l'esistenza del massimo e del minimo. Consideriamo per x > O la funzione I f(x} = - ;
,
(35.9)
f(x) !lO/l a:mlme mo.ssimo nell'intervallo aperto a sinistra (O, l]; infatti non !.imitata supe· rionnente in tale intervallo: 't;f M > O risulta r(x) > M se ll. E (O. 11M) (si veda la figura 4.7). La funzione !lOti assume minimo nell'intervallo iUimitato (l, +""); la 'funzione è limitata in tale interVallo percM risulta (si veda anche la figUl1l 4.8): I
,
v x 1;
O O;
per il teorema dell'esistenza degli zeri esiste un numero "1fo appartenenle all'intervallo aperto di estremi XI, X2. tale che g(Xo) = O, cio!. tale che f(xlI) '" Y&
Chiudiamo il paragrafo precisando un criterio, introdotto nel paragrafo 7, per riconoscere se una data funzione invertibile. La continuità della fuItzione inversa è invece studiata net paragrafo 38. CRITERIO DI INVERTIBll.ITÀ. - Una funzione continua e: strettamente monotòna in Wl intervallo [a, b] è invertibile: in tale intervallo.
la.
Proponiamo la dimostrazione nel caso in cui la funzione f lio strettamente crescente in b]: risulta
(35,15)
t(a) < r(x) < f(b),
'ti x e (a, b);
quindi t(a)!. il minimo della (in [a, bI. l(b) il massimo. Inoltre si verifica come nel teorema precedente che (usume tutti i valori compresi tra rea) ed f(b). Ciel:, per ogni y e (f(a), f(b)], esiste Il.lmeno un x c;; [a, b] per cui f(x) = y. Tale X è unico: infatti. se esistessero due valori XI< X2 distinti tra loro. diciamo Xl < x2. per cui Y = t(XI) "" {(xv. allora dovrebbe risultare anche f(XI) < f(xv. dato che f!. strettamente: crescente. Quindi f;(a. bI"'" (f(a), f(b)] !. invertibile.
Appendice al capitolo 4 36. Metodo di bisezione per il calcolo delle rndici di una equazione In questo paragrafo dimostriamo il teorema dell'esistenza degli zeri, enunciato aU'inizio del paragrafo precedente. Utilizziamo nella dimostrazione il metodo di bisi!zione; si lTatta di un procedioiento costruttivo che, oltre 8 dimostrare l'esistenza di una soluzione di una equazione data, for· nisce anche un metodo per calcolarla. Prendiamo in considerazione equaz.ioni del tipo
(36.1)
l(x) = O,
con funz,ione definita in un intervallo [a, hl Risolvere l'equazione significa determinare tutti i numeri -reali Xo E [a, bl per cui (xo) = O; tali numeri si dicono soluzioni dell'cquaziòne (36.1), od anche zeri della funzione f(x). Se la funzione f(x) è un polinomio, si dice che (36.1) è ull'equazione algebrica. Se f(x) è una funzione trascendente (ad esempio composta tramite le funzioni et, log x, sen x, cos x) allora la (36.1) prende il nome di trascendente. Dna soluzione di un'equazione algebrica si dice anche radice dell'equazione. Per estensione, si usa il termine di radici anche per le soluzioni di eqlla1ioni trascendenti. Ricordiamo le ipotesi det teorema dell'esistenza degli zeri: f(x) una funzione continua in (a, b) e
rea) < O,
(362)
r(b) > O.
Consideriamo il numero c, punto di mezzo dell'intervallo {a, bl, c .. (a + b)/l. Se r(c):>: O abbiamo trovato una radice. Altrimenti consideriamo i due casi (c) :> O, r(c) O, ·la funzione l assume valori di segno discorde agli estremi ddl'intervailo (a, cl, mentre se f(c) < O, (e, bl è l'intervallo dove f cambia segno. Indichiamo con [al blll'intervallo da considerare, cioè definiamo;
(36.3)
f" \"
CCC) :> O
r{C) :> G. Definiamo CI = [al + bl)n e ripetiamo il ragionamento.
Limiti di Olleniamo tre successioni :t n. bll • Cn che per
(315.4)
I
se f(c,.) > O
f(cll) < O
Il
O esiste Xl e [a,:co) tale che. (38.5) Pcr x > Xl risulla f(ic) 2 f(XI) e dunqùe (38.6)
da cui (38.7)
....Hm.; f(x) -
l'.
Si procede in modo analogo per il limite per x -. con xo e (OlI. b). Osserviamo che, se t(x)! erc.scente in [a, bl. i limiti (38.1), (382) si possono ordinare nel modo seguente; t(a) :S lim f(x) S; Hm f(x):S
&-...
(38.8) S;
fun t(x)
E-+':
...-f'; S;
lim t(:c):s I(b), o-.\>-
v :co e
(a., b).
CRITERIO 01 CONTINUITÀ PER LE F1JNZIONI MONafÒNE. - SiJJ. f(x) una fun:rionc monotbnn neU'intervaUo chiuso e limitato [a, b). Allora f(x) continua in [a, b) se c solo se l'immagine di (x) è turto l'intervallo di esiremi f(a), '(b). DimOSlruione: se f(x) è continua in [a. b] nUora. indipendentemente dalla monotonia, aSSUme tutti i valori compresi tra f(n) e f(b) (si veda il teorema dell'esislenza dei valori intermedi del pllragrllfo 35). Viceversa, se f(x) ! crescenle in [n, b] mlt non continua in "o Iii (a, b), per il teorema precedente ammette in ll{l una disconlinuilll di prima specie e si ha (38.9)
lim f(x) = r. < r1
.-..;
:::
lim C(x) &4':
120
Capitolo 5
membro della (39.4) tende a 2t per h O. Quindi il tasso di accresciment3 vl1le 2t Ciò gignifica çhe, al crescere del tempo t (:> O), l\Oll sollnnto il peso cresce come t , ma anche il cambiamento di peso per unità di tempo aumenta (nel caso in collSideraziolle, in modo proporzionale al tempo). Proponiamo un esempio numerico: secondo·la legge p(t) = t2 , al tempo t = 10 il peso risulta essere uguale a pelO) = 100. Il tasso di llCCJ:escimento, uguale il 2t, aL tempo t = lO vale 20. Ciò significa che, dopo una unità di tempo, il peso del corpo aumeota di circa 20 unità; quindi p(ll) vale all'incirca 120. Si noti che effettivamente il valore trovato 120 noo dift'erisce di molto da p(l1) = 11 2 = 121; approfondiremo questo nei panlgrafi 44 e 81, nello studio della formula di Taylor. Abbiamo già detto che "velocità di accrescimento" è sinonimo di "tasso di accrescjmento"; cib deriva Jial UDII velocità si definisce in modo analogo a quanto fatlo sopro, Consideriamo a,cl esempio un'automobile che percorre una strada, ed indichiamo con :;(t) lo spazio percorso in funzione del tempo t. La velocità media deU'automobile nell'intervallo di tempo [t, t + hl uguale al rapporto tra lo spazio percorso s(t + h) - s(t) ed iI tempo h impiegllto a fare il percorso. La veloci/li istantallea (quella indicata daL tachimetro sul cru· scotto dell'auto, se s(t) è espresso il1 chilometii e t in ore),. è iL limite,. per n, -t O, del!a ve:Iocità· medi n; quindi (39.5)
. --,(,,'-.:+_""')'-.----=:'("'.) Velocità istantanea = lun
."""'"
"
È chiaro che nei due esempi precedenti lo scbema matematico è identico. In entrambi gl,i esempi occorre calcolare il limile di Un rclpporto incremelltale, cosi chiamato percM a
denominatore c'è l'incremento h della variabile indipendente, mentre a numentare l'incremento variabile dipendente. OCcorre calcolare il limite del rapporto incrementale anche in molte altre situazioni, analoghe Il q]JelJe dei due esempi esposti Ad esempio, ,e si considera la densità di un fluido O" di una pppol8%tOlle, o l'accelef8%ione dì un corpo che si muove di moto r.ettilineo. Un altro esempio, di tipo geometrico, è studiato nel paragrafo 44. Inttodurremo nel 'prossimo paragrafo la derivata come limite del rappOl10 incrementale, quando l'incremento lende a zero.
40. Definizione di derivata Sia f(x) definita nell'intervalJo aperto (a, b) e sia x un punto di (a, b); si dice che la funzione f è derivabile nel punto x se esiste finito il limite del rapporto incrementale (40.1)
Hm f(x + h) - f(x) b-tO
h
Tale limite è la deriVll10 di f, e si indica con una delle seguenti notazioni, fra loro equivalenti:
Derillate
(40.2)
di
f(x),
dx
,
Df(x),
y',
dy dx
121
Dy.
Si dice che f è derivabile nell'intervalLo aperto (a, b) se è derivabile in ogni punto x e (a, b). In aLcuni casi utile considerare al posto della definizione (40.1), invece del limite completo per b O, soltanto il limite destro per h -+ 0+, oppure il limite per h -+ 0- . Nel Ptiroo caso si parla di derivata destra, nel secondo caso si parla di derivata sinistra. Se f(x) è definita in [3, bl, si dice che f è derivabile nell'intervallo chiuso la, bl se è derivabile in ogIJ.i punto x E (8, b) e inoltre se t ammette derivata destra nel punto x = a e derivata sinistra nel punto x = b. Consideriamo alcuni esempi. Iniziamo dalla funzione cos tante f(x) - q, per ogni x e R., e proviamo l:he tale funzione è derivabile su !Imo R c che la derillatll identicamente OI.ù1a; infatti il rl!lPporlo incremenlale vale costantemente zefO, qualunque sia l'incremento h -;. O (si veda la figlU'a 5.1); l(x.+ h) - C(x) ". q - q = = O h h h
('03)
e quindi ancbc i1limile del rapporto incrementale, per b -.--} O. vale zero (il lellore non cada nell'errore di considenuc il limite pct h O di (40.3) una forma indetcnninata 010). PiO: generalmente verifichiamo che la derivata della funzione f(x) : mx +- q, con m e q costanti (il eui grafico una identicamente UJUllle ad m; inraJti il rapporto mcrcmeQtaJc vale costlultemcnte m. qualunque sia b O: (40.4)
f(x + h) ... f(x) [m(x + h) + q] - [mx + q] b: h .. m.
L f(x)=f(x+hh
.,.-_ _.,..-_--'-' •, ,,
,,
,,,,
,
, l
I
,.h
Figur.a 5.1
122
Capitolo 5
i.
Abbiamo già calcolato nel paragnfo precedente la derivata della funvone [(x) .. IfO'Yando ((x) :: 2L Verifichiamo invece che la funzione (I) .. IJtt non derivabile per I = O. Infatti se h ?' O si h.
i(O ... h) - [(O) lO ... hl -101 Ihl = =b 11 b
(40.5)
Abbiamo già incontrato questa funzione nelta (34.1). inctementa1e non esiste, percht ri&ulta: hm
lim Ibl,. l'
(40.6)
.......,.,. b
•
n limite per
h -f O del rapporto
-Ibl __ l.
10-+ r
h
Quindi (x) '" Ixl non derivabile per x _ O; mentre esistono Ic dcrivate dcstra e sinistra, uguali rispettivamente a + 1 c-l.
Confrontiamo la nozione di derivabilità con queUa di continuità. Ricordiamo che una funzione f continua in un punto x se (riprendiamo la definizione (33.2) cambiando Xo con X. e x con x + h): (40.7)
,Iim ..... f(x + h)
f(x).
L'esempio precedente, con f(x) == Ixl. mostra che una funzione continua può non essere derivabile. Invece, ogni funzione derivabile in x è continua in x; infatti: (40.8)
lim f(x + h)
f(x) + lim [f(x + b) - f(x)] =
h-f{)
'h-+Q
f(x) + Iim t(x + b) - f(x) h-fO
lim b
h
h--+O
f(x) + r(x) . O = t(x).
Se una funzione è derivabile in tutti i punti di un intervaUo (a,b), allora la sua derivata f"(x) è una funzione definita su (a,b). Se questa funzione è a sua voÌta derivabile, diremo che la sua derivata (f')' la derivata seconda della'funzione f, ed indicheremo tale derivata con uno dei simboli: (40.9)
1",
'l',
d' Y
è cosI via. Useremo, il simbolo t O, a derivazione delle funzioni composte:
":F-
1, facendo uso del teorema di
= e:l 101" D(x 10g a) = a" 10g a. Analogamente si calcola la derivata della funzione potenza xb , con esponente b reale
(43.10)
= eb
lop
b
D(b Jog x) = 7!J • _ = b
Xb-l
X
La {onnula precedente è molto utile. È utilizzata ad esempio nei casi b '" 112 (in questo caso si riottiene (42.12» cb", - 1:
.•
(43.11)
(43.12)
D
(D= DX"' =(-
l)
x-t =
Calcoliamo ora le derivate delle funzioni trigonometriche seo x, COS x, tg x. Cominciamo con (43.13)
Dsenx=casx;
Dcosx=-senx.
Dimostriamo la prioia delle due: facciamo uso delle formule di addiz.ione (10.4) e dei limiti Ilotevoli (30.LO), (32.10):
. sen(x + h) - seo x
hm
(43.14)
= lim
sen
h
X COI Il
......
=senx·
[im
+scn
h
'"'
cos x -sen
h
cosh-l
+CQdX'
h
Allo stesso modo si calcola la derivata di cos li:
lim .-)0
sellh h
X
=
=cosx.
Dèrivntr . cos (x + hl 11m h (43.15)
COS li;
131
._
. C08Kcosh-stnxsenh-çosx .. ,1m .• Il scosx·
lim
COlli-I h
It-M
senh
lim _h
=-senx.
La derivata della funzione tg x si calcola con la regola. di derivazione del
rapporto: D tg x
=D
(43.16)
(sen
lCos =
X) = Descn x) cos x -
sen x D(cos x) =
X
X
cos2
cos2 x + sen2 x
1
cos2 x
=cos2 x·
Riassumiamo in una tabella le principali formule di derivazione trovate in questo paragrafo:
J(x)
l'(x)
x' lol'!
b
.'
X
seo x co, x tg x
Xb-I
1/x e' cos x - sen x 1Jcoi! x
44. Significato geometrico della derivata. 'Retta tangente Sia f(x) una funzione definita in un intorno di un punto XcI e si consideri nel piano x. y il grafico della funzione, come in figura 53. a proponiamo di determinare l'equazione della retta r passante per il punto Pa di coordinate (Xo, f(Xo» e tangente al grafico della funzione f. Ciò che preliminarmente è più opportuno fare, è deteI1Ilinare l'equazione di una retta r' secante il grafico della funzione f nei punti 'Pa li!ii(Xo , f(Xo» e P i i ("o + h, f(Xo + h». L'equazione-di una generica retta non verticale è y = mx + q; determiniamo i parametri m, q imponendo che la retta passi per i punti dati:
132
Capicolo 5
,
y
p
f (xo)
I
='0'!" Po
I
/1
I
r-
I
l
I I
I I
I I
:
I I
x
Figura 5..3
(44.1)
f(xo) = m Xo + q { f(xo + h) = mCxo + h) + q
(passaggio per P o) (passaggio per P).
Abbiamo un sistema in due equazioni nelle due incognite ID, q. che si può risolvere per sostituzione, oppure sottraendo la prima equazione dalla conda. Si ottiene m = [f(xo + h) - f(xo)]!h e poi si ricava q dalla prima equazione. L'equazione della retta secante risulta es.sere: (44.2)
f(xo + h) - f(xo) Y = f(xo) + h (x - ",,).
L'equazione della retta tangente, quando esiste, è il limite per h --+ O dell'equazione della-retta secante. Si può passare al limite nella (44.2) se e solo se f è derivabile in xQ. Quindi, se f è derivabile in XQ, si ottiene l'eqUl1zione della retta tangente in (xo, f(Xc)) al grafico della funzione f: (44.3) Quanto. stabilito fornisce il significato geometIico della derivata. Dato che nell'equazione della retta tangente il coefficiente della x è uguale a m = f("o), si dice chela derivata di una funzione f in un punto Xc è il coefficiente angolare della retta tangente al grafico della funzione nel punto ("o, f(xo))· La derivata è quindi una misura della pendenza del grafico della funzione.
./)eri"l'Dre
l33
Diamo un esempio numerico di utilizzazione dell'equllzione della retta tangente. esaminando un problema di calcolo approssiwato dei valori di una funzione. NOrlni:llmente non è immediato il calcolo del valore numerico di unii. funzione in un punto. Ad esempio, è facile oppure seo x, solo per panicoluli valori caicolare a mente i valori numerici delle funzioni della x. Al r.:ontrario, è sempre elementare calcolare i valori numerici delle funzioni y '" mx + q, che barino per grafico una retta. L'idea è quella di "sostituire" UOD funzione data con l'equazione della sua retta tangente in un punto di ascissa K{), con Xo vicino DI punto x in cui si vuole clÙcolare la fun:tione; Dalla figura SA è irituitivamente chiaro che l'errore che si commette è lanto più pir.:r.:olo, quanto più x è vicino 1l1l'IlSCLssa de] punto dì tllllgenzlI xoCioè la quantità f(xJ + f'(xo)(x - xu) Cllppresenta unII approssimazione di t(x), tanto migliore quanto più x è vicino ad Xo; scriveremo:
\Ix '
(44.4) Il puntI:! lr(I va
(se x è "l'ici/IO ad Xo).
t(x) e: t(xo.l + f("o) (x - Xo)
in modo cbe sia semplice calcolare f(X(}} e t'(xQ). Si può dare un significato rigoroso alla scrittura (44.4) usando i limiti. La (44.4) significa che, non solo la differenza tra primo e secondo membro tende a zero quando x -t Xo. ma anche che tende a zero più rapidamente della quanlità x - Xo. cioè cbe:
(44.5)
"l(:;:')_---"If(:::',,,)_+--'r,,(,,"ol"'(:::x_---'' ' ' ')] = O.
lim
x-
l (x)
f-._- -
- -
-
Xo
--7f ----."L
- --
f(Xo)+r (xcJ(x-xo) - - - - - - - - - - -
I
..,..-
I
I I
I
I I
:
: Figura SA
La verifIca della relazione sopra scritta è immediata; infatti, dato che f è derivabile in possiamo riscrivere il limite precedente nella fonna:
(44.6)
x-t
Ad esempio, se f(x) '"
=--'=f(x) - f(Xo)
lim x"
..JX , la
X - Xo
f'(xJ '" l."(xlI)
(44.4) diventa
-
f"(Xu) = O.
xo.
134
Capitolo 5
(44.7)
(se
Volendo esprimCJ·c io forma decimale
.J8O , scogliendo Xa -
..rso Il 9 + -2 l. 9 (- 1) ;; 9 -
(4'U)
X
XcJ.
81 ouenillmo
1 - '" 8.9444.18
480 •
(il valore esatto 8.9442 ..). Qualcuno forse avrà che il conto stato poKibile sohan,to perché 80 il vicino 111 quadrato perfetto 81. Proviamo CQn ..fi : si pub allcolare..fiOO ' e poi dividere jJ risultato per lO. H quadrato più. vicino I 200 !: 196 '" 141; ai ha quindi:
=
(44.9)
'ID.A.I S 14
+
l . 4 ;; 14 + -l .. 14.1428.•• 2 . 14 7
Pucib ..fi ;; 1.41428 (il valan eutto di è 1.41421_.). l eonli fatti dovrebbero avu dalO Do'idea dell'utilità delle derivate nella tabuhwonc delle funzioni clementarL Torneremo nel paragrafo 81 in modo pitl completo su questo intereSSante aspetto: del calcolo differenziale.
UtiliZ2ando fra l'altro il significato geometrico della derivata, studiamo la continuità e la derivabilità, nel punto Xc = O, delta funzione f.,,(x) (n = O. l, 2) definita su R dalla formula 1
(44.10)
f, (x) =x"sen-
x
s.
Per-n. 1.2, f",(x) è definit" rìspettivamcD.te da
(44.11)
[I{X);;
lOx sen-l
tI!. X
=O
,
SI!.
x;; O
•
mentre pcr n ;; O si ottiene ia funziooe SI!.
X:O
(44.12)
che Ilon è continua nel punto Xo • O. ma presenta UWl di&conlinuit! di seconda specie (infatti come risulta dalla (32.5), non esiste il limite per x ..... O di !v{x»; inoltre fo. non essendo continua in Xl). O, non è.neanc(;e derivabile in tale punto. La fumione f,{x), prodotto del faUore infinitesimo x per il fattore limitato c:onver&e a zero per x -+ O; essendo {1(O) = O, la funzione continua (anche) in Xi). O; però
Dt!rillate
135
non risulta derivabile in tale punto perche nOH esiste il limite {si veda lo. (32.5)} del rapporto incrementale:
(44.13) La funzione f2{x) Il derivabile (e quindi ancbe continua) ancbe per
vale
r :!(O)
""
o: infatti:
xo "" O e
lo. derivala
(44.14) l risultati trovati lono riassunti nello. seguente tabella:
funziooe
continua inXO=O
derivabile in xo·= D
Coex)
nn
no
ft(x)
.1
no
fl(x)
,1
,1
NeUe figure .s.5, 5.6. sono rappre5entati i grafici delle funzioni f t e (2 eseguiti al COIUPUler, la conlinuiti di fio [2 Del PUtlto Xo "" O corrisponde a grafici "vicini" all'origine delle coordinale quando l'ascis5a li Il "vicina" ad Xo = O (si noti che tale proprietà non Il verificata per il grafico della l'umione Co in figufll 4.3).
/ ,
Figura 5..5 -
Y:2 fl(x)
136
Ctlpitolo 5
y
.•• r
v
,
'V
V'
v Figura 5.6 -
y ...
(x)
Invece la deriYabiJitl di f"l e la (100 derivabiliLl di [1 corrispondono ai fatw che il gJlIficO di f2 in figura '.6 ammette rerta tangente ancbe nel punto:a:o" O (dato c:he f2(0) := f2(0) := O, l'equa2ione (44.3) della relta tangente!: y := O) mentre il gelifico di f l in figura 5.5 non ba retta tangenre nell'origine degli assi {le rette y := X, y .. -1, con coefficienti angolari +- l e-l. danno un'idea dell'oscillazione della rena tangente in un generico punto (x. f 2(x», con x che "si aniOna" li. Xo _ O). Tali pwprietlsono evidenziate in figurR 5.7. dove sono rappresentati in un imoTDO di XCI := O i grafici delle funzioni f t • [2. con particolare enfasi alle limituiooi:
y
y
,
Figura S.7
Derivote
137
R;
(44.15)
'tIx
(44.16)
'tIl( e R.
E
Appendice al capitolo 5
45. Le funzioni trigonometriche inverse Le funzioni trigonometriche seo x, cos x, tg X, Don sono monotòne su tutto R e non esistono le loro funzioni inverse su R. Però possiamo restrin· gere ad un intervallo limitato l'insieme in cui prendere in considerazione tali funzioni, in modo che risultino monotòoe nell'insieme considerato. Cominciamo con la funzione seo x. È una funzione strettamente ere· sceote neU'intervallo {- n/2, .nI2}. Consideriamo quindi (x) :;: seo x, con f: (- xJ2, n:f2] (- 1, 1]. La funzione f è continua e quindi assume tutti i valori compresi tra il suo minimo (.= -1) ed il massimo (= 1). Essendo stret· tamente monotòna. anche invertibile. Pertanto esiste la funzione inversa f'l: {-l, 1] (- n/2,1tI2], che viene indicata con rl(x) = arcsen x (arcoseno di x). Il nome deriva dal fatto che, se y = aresen x, vUoI dire che y uguale alla misura dell'arco, o angolo, il cui seno x (seo y = x). II grafico dell'arcoseno si ottiene immediatamente dal grafico della funzione seno, come nella figura 5.8. y
, .Il '"
sen y
- O. perché la sua derivata D log x _ l/x è Cosl pure la funzione arctg X è crescente su tulto R, perché D(an:tg x) _ 11(1 + '11 > O. La funrione x2 ha derivata uguale a b, che positiva per x > O, negativa per x < O; quindi la funzione ..? decresoeote per x < O e crescente per x > O;_x _ O percib un punto dì minimo. La Cun:.ciooe C(x) ". ,,3 _ 3'1 ha come derivata r "" 3{x'! - l), cbe si annulla per x = ± l, positivo. a\l'esterno dell'inlervallo [- 1, 1), ed negativa aD'interno. Quindi la funzione f crescente per x > l e x < -1, ed decrescente per -1 < x < 1. D punto x = - 1 di massimo relaUvo, mentre il punlo X" l è di minimo. Queste sole considerazioni, unitamente ad alcuni valori della funzione (per x = O, x = ± 1, x = + ..[3 ) facilmente calcolabili, pennettono di disegnare il grafico della funzione f(x) _ xJ _ 3x come in figura 6.4. In generale, si tenga conto che il segno delta derivaUl prima c.:ostituiscc: una delle principali informazioni per disegnare il grafico di una funzione.
AppliCU'l,ioni. dllUe derivatt. Smdio tli flm'l,ioni
"
I
I
-- 2
I I
-43
147
!
1
-1
l
I
I
I
l,
-21---Figura 6.4
Conseguenza del criterio di monotonia è la CARATTERIZZAZIONE DELLE FUNZIONI COSTANTI IN UN INTERVALLO. - UM funzione è coslante in un inrervoito [a. bl se e solo se è derivabile in (a, bl e la derivara è ovunque nulla. Dimostrazione: come in (40.3) si prova che la derivata di una fum:ione COllante in
la. bl
è nulla per o!Jli x e (a. bi. Viceversa. se (x) è derivabile in [a. bi e r(x) = O per ogni x E {a. bI. per i criteri di
monotonia (48.1). (48.2). (x) è crescente e decrescente in [a. bJ; pcn::ii'l, per ogni x E (n. bJ (essendo x> a) risulta allo stesso tempo f(x) f(a) e f{x):ii: fCa); doè ({x) è identicamente uguale ad. (a).
Combinando il criterio di monotonia e il teorema di caratterizzazione delle funzioni costanti in un intervallo si giunge facilmente al CRITERJO DI STR.EiTA MONOTONIA [a, b] e (Ùrivabile in (a, b). Allora (485)
f(x) :2: 0, 'Ix G (a, h); f non si annulla identicamente in alcun. inlervaito contenuto in (a,b)
(48.6)
f"{x) SO, 'Ix e (a, b); r non si annulla identicamente in alcun inlervaflo contenuto in (a.b)
Sia f una funzione conliru.ta in
}= )=
.1tretlamente cnscente in [a, b);
f
f è in [s,
bI.
dec;re.rcente
148
CiJpiJolo 6
Dimostrazione: proviamo !'implicazione in essendo F{x) O per x E (B. b), per il criterio di monotonia (48.1) t(x) eJescrotlre in (a, bI. Se non tosse strettamente crescente. esislerebbero xI. x2 e (a. b) co.n xl < x2 tali che: C(lf.I) _ C(Xl): ma all()l'1l. dalo che C(XI) S C(x) S [(xv se x, < x < x1;, f(x) sarebbe costante: nell'inte'rvallo LXI. xLI e r(x) - O pc:r.ogni x 6: {Xl' xl1. contrllriamente all'ipotesi. Proviamo ora l'implicazione: (::: in (48.5); dato che'f è crescenle in [a.• b), per il criterio di mOnotonia (48.1) r(x) 2: O per ogni x lo (Il, b); inoltre r(A") non può annullarsi idcnlicamelllc in un intervallo (x,. XlI s:: (a. b) percht altrimenti in Inle inler.vallo f(x) sarebbe lXI5tllnle, contTllfiamenle all'ipotesi di stretta monvtonia.
y
1 -1
,
••,
-7: 1
-_._-
I ,
-1
Figura 6..5 Osserviamo che una funzione strettamente .cn:scc:nte e: derivabile: in un inlerv8JIo può avere derivata nulla in qualdre punto (il criterio (48..5) C5dude cbe la derivata si annulli tdt:miam1enu in un i.nteJ;'Vallo). Ad esempio. la funzione f(x) = rappresentata in figura 6.5. strettamente crescente su R, perché: (48.7) 2 la derivaI&. r(x) ., 3. è positiva su R - 101, ma si annulla per x "" Q.
49. Fnnzioni convesse e concave lntrodu,cjamo una nuova definizione utile per studiare il grafico di una funzione. Si dice che Una funzione è convessa in un intervallo [a, bl, se per ogni punto Xl) E [s, bl il grafica della funzione in [a, bl è al di sopra della retta tangente al grafico della funzione nel punto di coordinate ("o. f(Xo)). Analoga-
AppliclIlioni delle ,luil/(ulII. SlI O; il punto x :.. O è dì lIesso per la (unzione aretg x. La funzione xl è oonvessa su tutto R. 3 La funziOlle (x) ::< x - 3x, considerata iD precedenza. ha come derivate sueees.sive: r = 3x1 _ 3, r = 6x. Quindi t(x) è oonve.ssa per x > O ed è l;oncava per x < O. Sì confronti ron il grafico in figura 6.4.
f(x) = senx
,
2n
3/2x
x
n/2 -1
-Figura 6.7
Le proprietà stabilite in questi ultimi due paragrafi ci consentono di motivare il grafico deUe funzioni trigonometriche scn x, COlI x. Consideriamo ad esempio la funzione C(x) :: SCU x, limitatamente all'intervallo [O, 2rr l. Calcoliamo il 5C1tll0 deUe derivate r "" C06 X, f' .. - sen le
•
0 O e migarlva per x O. Quindi la derivata prima è positiva se (1 - lIx) > O. cioè se x > 1 Oppure x I. nbbi.3mo nuenulo una nuova (orma 00. Dopo aver ilpplic&l\) in IOlale Il volla Il teorema di L·li6pital. abbiamo: purché il
(S7.14)
lim .-+..
f'l")(xJ
-
.
01
Quest'ultimo limite l: uro, percht rD)(:ll) l: continua in Jlo. Perciò la tesi (52.11) è dimo!>lTata.
. III. di Taylor alcun.e elcrcotari. Se ;: multa (x) = e per ogru n. QUllldl, ponendo xo = O. SI ba t" )(0) '" e : 1 per ogm n. PerCIÒ otteniamo
r
(52.15)
.,
i' x" • 1 .. x .. -2 + ..... - .. R.,,(x).
Analogamente. Scegliendo Xo ;; O. si ottiene (52.16)
log(1 + x)
(52.17)
. r sen· '" li: - -
(52.18)
cos
z: li: -
..
y
3 2
31
-
x' x" + - - ... + (- 1)"'1 - + R.(x):
2 3 .
r + -sr
x?'
)I; . .
i'
.•.
r-o-
l
• (-I)' (2n + 1)l •
xl"
·1 - -2 + -41 - ... + (- 1)- -+ (20)1
•
/
13
",('l·'
nt-
'
21
l
•
23.
-3·
3
11
15
ren,
"
Figura 6.9 Allo scopo di yerificarc graficamente i risultati ottenuti, abbiamo riportato cella .figura 6.9 i grafici dei polincmi di grado: primo. terzo, quinto..... dle si ricavano dallo sviluppo in
Capitolo 6
162
formula di Taylor per la funzione sen x. Tenendo conto della (52.17), abbiamo posto:
(52.19)
Il disegno della figura 6.9 è stato eseguito con l'ausilio di un computer. Si nota chiara
che j polinomi f2lt +- t (k "" O, l, 2,...} di Taylor banno un grafico per più simile al grafico della funzione sen x, quanto più k è grande.
Il"
vicino a zero, [Dnto
Per mezzo della formula di Taylor è possibile generalizzare il criterio
(49.11), (49.12) nel modo seguente: CRITERIO PER I PUNTI DI MASSIMO O DI MINIMO. - Se esistOIlO le derivate sottoindicate della ftmtione f(x) nel punto xo. vaLe il seguente schema: f'(x,) > O
minimo relativo in
X
o
massimo relativo in Xo
«"C x,) " O né massimo, né minimo in Xo {
=
O:
minimo relativo iII
Xo
massimo relativo (n Xn
Dimostmzione: lJna situazione generica nello schema sopra proposto è quella in cui f(x) è deriliabile n volte in Xjl per qualche n ·2. e risulta (52.20)
Consideriamo il caso in cui > O (1a trattazione del caso < O è analog.ll). Per l'annullarsi delle derivate, la formula di Taylor (52.7) diviene (5221)
Applicozioni
SlUdio (Ii. fllnzioni
163
c. per la (5U): lim
..-t...
f{i) - f(xJ
(Jt - XII)·
=
(52.22)
Per il teorema della permanenza del segno. esiste Ò > O tale che
(52.23)
Se n è pari il denominatore (x - xn)n è positivo per ogni :t lI(J; perciÒ risulta C(x) > f(XO) per ogni x li (xu - 6. Xn + 6) - [xul e quindi l!ll è un punto di minimo relativo per f{x). Se Invece n è dispari. dato che il denominatore della frazione (51..23) cambin segno per x mnggiore o minore di Xc" risulta che f(x) > f(xn). oppure f(x) < f(xo). rispettivamente per x > Xn. oppure x < Xo- Perciò la funzione f(x) non ha nf massimo né minimo in Xi..
A titolo di esempio oSserviamo che per la funzione l(x) = x· risulta (52.24)
F(O)
1'"(0) - 1"'(0) = O,
= 41 = 24
e pertanto. in bue al criterio precedente, l(x) ammette minimo nel punto Xc = O; la verifica dirella di tale proprietà è irnrnediataj infatti l(x) ... x· O! O = I{O) per ogni X· E R. Invece, per la funzione' g(x) _ x s; ho: (52.25)
g'(O)
= g"(O)
= O,
g(J)(O}
= 31.
per cui, in '" O. g(x) non assume massimo nt minimo. In realtllia funzione g(x), nppresco· tata ia figura 6.5, ba un flesso io X(J = O. Ossecviamo che tale propriell vale in generale: SI! in un punto lJJ primD. t1erillOtQ non nullo. di ordine dispari (nwg'giore.od ugwJu Q J) alloro lo
funzioM presento un flesso nel pumo.
Appendice al capitolo 6 53. n teorema di_ Cauchy. n teorema di L'Hopital oel caso generale Allo scopo di dimostrare il teorema di L'HOpital nel caso generale, è utile il seguente
TEOREMA DI CAUCHY. - Siano f(x), g(x) due funz.ioni continue in (a, b] e derivabili in (a, b). Se gl(X) per cui
;.t
O per ogni x E (a. b). esiste lIn punto
E (a, b)
164
COJ)'fro!o 6
I
r("o) &'("0)
(5-H)
-
l(b) - 1(.) g(b)
g(o)'
Dimostrazione: si procede come per III prova,del leoremll di Lagninge (parograCo 47). utilizzllndo la funzione (b) -
(53.2)
eta)
h(x) ., C(x) - [ C(a) + (g{x) - g{a» S{b) - g(a)
]
,
cfle ben definita in [a. bI perché g(b) - g(a) *- D(inCalli. se fosse g(a) _ g(b), per illearema di Rolle esisteret>be an punto Xu e (a: b) per cui g'(x4l) '" O. contrariamente all'ipotesi g'(x) *- O per ogni x E (I; La funzione h(x) è continun in la, bl e verificll le condizioni h(o) .. h(ti) • Cl: inoltre è derivabile in (A, ti) e la derivntD vale
li».
(53.3)
.
h'(x) '" r(lI) -
Per il teorema di Rolle esiste XU alin lesi (53.1),
II;;
C(b) - (a)
g(b) - &(a)
. &'(x).
(a, bi per cui h'(Xo) '" O che. essendo g' ti' O. equivale
Se nel teotema di Calichy (coine pure oel teorema di Lagrange) si suppone· anche che fra) '" f(b), dalla tesi (J3.1) si ottiene ('esistenza di un punto Xo E (a, h) per cui r(xo) '" O; cioè lIi riottiene il i:earema di Rolle. che a sLiò volta è alla base delle dimostrazioni proposte pcr ì di LoRrange e di Cauchy. Pertanto, le Comiulazioni dei teoTctni di Rolle, Lagrange, Cauchy, sono da considerarsi fra- toro equivalenti.
Siamo ora in grado di enunciare e dimostrare il teorema di L'Hopital (già introdottò nel paragrafo SO) in ipoteSi generali. Siano {(x),. g(x} due fiinzioni duivabilì Ui
TEOREMA DI L'HÒPITAL. [a, b] - {XoI e tali che (53.4)
Se ((x)
lim ((x) = lim g(x) = O.
,,-).. ti'
O per oglli
"-h"
x e (a, h] - lXcI e se esiste il limite rex) ',,-+.... ,.m = g (•
(53.5)
allora esiste anche il limite per x
4
Xu dal Tappono f(x)'g(x) e si ha
Applìc:t1ZiOIlI dtllt dtr/\1fJ/c. Sludio di fili/t/DIIi
.-
(53.6)
Um
'(xl (x) .
f(x) "" lim g(x) ,,-i...
Inoltre il teorema lIau- anche in ognuno del/e.
L65
situazioni:
(53.7)
si considerano limiti destri (x -. Xo1 o s.inistri (x
(53.8)
in luogo dell'ipotesi (53.4) si SIIplJol1e che
-i
Xo j;
limf(x) = liing(x) "" + _, "-i",
lt-i",
pppun - .... sufficiente diverga a +- o a - _); (53.9)
per
li: - .
Xo. in sola {unziane gex)
t(x), g(x) SO/l.O. tkrillabili in intervalli ilIimi/ali e si cotlSidera illimi!e per x -. + _, oppure per x --) - _.
Dimostrazione: utilizzando !'ipotesi (53.4), estendiamo per continuità f(x), g(x) net punto xn con il v!ilore O; poniamQ cioè f(O) = geO} = O (con abuso di notazione usiamo lo stesso simbolQ per le funziQni (x), g(x), a priori·defintte soltanto in fa, bl - IXo}, e per. le loro estensioni continue in tutto [al DJ)- Così definite t(x) e g(x) risultano continue negli fnlerva-lli [a, lCo], [Xo, bl (se a Xu ;#:. h) e derivabili in (a, XII)' ("o, b).
Osser.viamo preliminarmenle che anc!Je la (uOl:iooe gCx). ollre cht: l'(''l, 1lQl'J si in (a. bI-lleol; infaui, se un PUlllp Xl El (a, b)-IXg) pc.T cui g(XI) '" O, per illeorema di Rplle applicalO ulla tunUQnc g(x) di estremi :li» Xl> esisterebbe un punto Xl e (a. bI - {Xg) per qJi g'(Xl) '" O. ConsicleTiamo una lI"n coi'!veTgente a" Xg lllfe che ll:n e [a. b] -lx,,1. \in Ei N. Per il teorema di Cauchy oppliCilto all"intervollo di estremi XiI e "Il' pt:l-ogni n esiste uil punto lI"'n inlerno a tale inlervllilQ per I:ui
t(x lI )
t(x.) - [(x,,)
g(lI"J - g(x.J
-=
-
f'(x'.)
Dato che x'n è. per pgni n lO: N. interpo all'intervallo di estremi "II e Xn, la sua:cs.sione x'. rollvt:rgc ad xo per n + .P.ercib
(53.11)
. hm
.-h _
f(x.) . '" 11m
.-h _
f'(x'.) _ -
g'(x'.l
I·'m r(x) .
.--)... g'(x) .
l'ultimo pllssaggio vale perché il limite (53.5) esiste per ipotesi. Pertanto il limi le a primo membro della (53.11) è indipclldclllC dalla !iuccessionc x. -i xo: per [a dei limiti di funzioni medillnte successiorli (paragrllfo 31). ne segue che esiste il limite di funzione a primo mt:mbro della relazione CQnclusiva: .
166
Capitolo 6
(53.12)
. f(x) . f(x,,) . r(x) 1101-= hm - = hm-o .. g(x) n-tto:' g(x,,) $--+"" g'(x)
Dimoslrazione del teorema di L'Hòpital nell'ipotesi (53.7): si procede esattamente come nel caso sopra consideralo. Ad esempio, per illimile destro x --+ si suppOne ovviamente che Xl!;oI b e si prende in considerazione una generica successione x" convergente ad XJI, con l'n E (Xl), hl, V'n E N. Dimostrazione del teorema di L·HOpill:ll (53.N): dimostrilllllo la tesi (53.6) per il limite sinistro x --+ Xo (supponendo XII ;> a). Dalo che III dimostrazione per il caso x --+ x"" è analoga, combinando i due risultati si ottiene la tesi per il limite complelo x --+ XII' Indichiamo con r il limite per x --+ "ti del rapporto r(x)/g'(x), esistente per ipotesi. Consideriamo, per fissare le idee. l'e R (In' dimostrazione nei casi r= + _ e 1'=-_ è analoga): per ogni E > O esisle bi ;>·0 (con a S Xo - 01) tale che r(X) g'(x) < (' + e,
(53.13)
L'ipo\esi «x) O in [a. XII) equivllle (come si pub dimostrare) a supporre g'(lI) di segno costante in tale intervallo, diciamo g'(x) ;> O in [a. X!)). Dalla (53.13) scguc allora (53.14)
f'(x) - (l' + e) g'(x) < O..
Definiamo ncll'intervallo (xu - bI, xu) le funzioni (53.15)
hj(x) "" f(x) - (f + E) g(x), hz(x)
=<
f(x) - (I" + 21;;) g(x);
essendo g'(x);> O, per la (53.14) risulta h'l (x) < O, h'l(x) < Oin (Xli - 01. XiI): quindi h I(xl. hl(x) sono funzioni strettamente decrescenti in tale intervallo (ed in pnrticolare ammettono limite per li --+ XII). Per X - t xìi due funzioni hl(x), hz(x) non possono convergere contemporaneamente a limiti finiti, perché la, differenza hl(x) - h2(X) _ I>g(x) diverge aJrinfinito. Supponiamo quindi. ad esempio. che per x - t Xji hl(x) diverga: trattandosi di una funzione decrescente. divergerà a - -. Esisterà quindi b1 S bi tale che h,(x) < O per ogni x E (xn - bz, xo): cioè (53.16)
f(xl - (l' + E) g(x) < O.
O:1to che g{x) > O. g(x) diverge positivamente per x -lo Xu : perciò esiste 53 ;> O tale che g(x) > Cl per x E (Xli - b3' Xli)' Posto 6 = min ne segue infine
App/icaz.icmi f(x) < g(x}
(53.11)
dl'rivate. Studio di ftUl7.ioni
r.
v
E.
In modo analogo si ottiene la disuguaglianza r(x)lg(x» (- E; per la il rapporto r(x)lg(x) ha quindi limite uguale ad r per x -+ Xii .
X li
167
(xn - 6, xo).
di
Dimostrazione del teOI'em8 di L'HOpilal nell'ipotesi (53.9); supponiamo che f{x). g{x) sinno derivabili neU'intervallo la. + _), ton ti > O e con g'(x) OlI; O per ogni x O! a. Definiamo nell'intervnllo (O, Ifa) le funzioni (53,18)
T(t)
g(t) "" g(l/l), Vt e (O, Ila)
t(l/t),
e
(notiamo che. se l E (O. Ilal, allora ben definite). Risulta poi
III e [a, + _l; quindi le espressioni f(I/I), g(lIt) sono
li: '"
lim T(t) '" lim f(lIl) = lim f(x): 1-+11" I-+U' .-+_ (53.19)
lim &(I) '" lim g( 111) '" 1-+'-'
.......-+o"
Hm g(x): E-+-
quindi, se f(x), g(z) sono i'.innilesime o infinite per z -+ • _, allon f(t), alt) sooo rispettiva. mente infinitesime o infinite per I ....., O... Applicando il teorema di L'HOpital al limite del rapporto delle Cunzioni 1(t), g(l) per I -+ O'" (che un CBSO già trattato) si o'lliene . T(t) . T'(I) Illn '" hm •. g{l) 1-+tI" g'(I) (53,20)
.
r(lIt)· "" I-w" g'(lIt) . ( Il Il)
DC(lfl)
.
'" 11m = . _ ' 0&(111)
11m
.
f'(lh)
= lim
g'(III) •
purché l'ultimo limile esista. M.Il, con il c8mbio di variltbile IIt '" x. l'ultimo limite è uguale a (.53.21)
lim 1'(111) = lim '(x) • 8'(111) s--+_ g'(x)
che esiste per ipotesi; pertanto l'uguag.lianza dei limiti in (53.20) è giustificata. Le (53.20). (53.21) forniscono iii conclusione: ,
f(x)
g(x)
hm - - '"
.
C( l1t)
1-+1'"
g( 1ft)
hm
•
(53,22) =
. f( t) hm- • .-+W g(t)
x ), re .-+_ g'(x) lim
CAPITOLO 7 FUNZIONI DI PIÙ VARIAllll.J
In questo capitolo diamo alcuni cenni di un argom.ento - quello delle funzioni di più variabili reali - che in genere viene ripreso e approfondilo in un corso di Analisi Matematica di secondo anno.
54. Funzioni di due variabili: dominio; rappresentazione cartesiana In.dichiamo con R 2 l'insieme delle coppie ordinate di numeri reali
(54.1)
R' = (x, Y): x E R, Y ERI·
Siap un sonoinsierne di R 2 • Un'applicazione fche ad ogni elemento di D fa corrispondere uno ed un solo elemento di R.è detta una funzione di due variabili; come .nel paragrafo 6, è denotata con il simoolo f:D -7 R. oppure, per mettere in evidenza il fatto che D !;;; R 2, con il simbolo
(54.2)
•
t(x, y),
(x, Y)
E
D,
oppure semplie.cmentc con il simbol() f(x. y). L'insieme D si dice il dominio della funzione f, o anche l'insieme definizione di f. Per rappresentare graficamente-una funzione di due variabili z = f(x, y). spesso si utilizza un r.i(erimenlo cartesiano ortegonale, di assi x, y, Z; $i considera un generico punto (x, y) e D nel piano di bas.e x, y (figura 7.1) ed il corrispondente (x, y,z) a z, con z = l(x, Y) (figura 7.2). Si ottiene cosi, nello spazio tridimensionale di coprdinate (x, y, z), una
superficie, che
detta grafico della funzione t(x, y).
Consideriamo alcuni esempi.
Cominciamo oon la funtione
(54.3)
y) =
x' -
y' ,
17Q
Capil%
7
•""" •
..
'"
"
z =f(x,y)
", "
y•
D
x Figura 7.1
Figura 7.2
che è ilefinita per ogni (x. y) E R 2. Si comprcnde il comportamento della funzione .fissando una delle due variabili indipendenti x, y. Per y fissalo si ottengono delle parabole convesse di equazione z = xl - costante 7.3), mentre per x fissato si hanno dellc parabole conC(lve di equazione z '" costunte - y (figura 7.4).
,
,
/
z=l_ y Z
/ y
y
Figura 7.3
Figura 7.4
Il grafico della funzione (54.3), eseguito al computer è rappresentato in figura 7.5 limitatamente ai pUliti (x, y) del dominio a (orma qUlldrala: (54.4)
D '" l(x, Y) E al:
- 1 :Si: le :Si: l,
tale grafico prende il nome di parabòloide iperboUco.
-l:sySll;
FUllzioni di piti l'Clriabili rt!u/i
171
.,
•
!
•,l
Fit,WlI 7.5 -
{(x. y) .. xl_l
AnaJogamente, scambiando il ruolo delle variabili
(545)
X,
y. si ottiene il grafico della funzione
,
f(x, y) '" y - x-'
.'i.•, •.'
Figura 7.6 -
,
(Cx. y) • y - x-'
172
CapilDio 7
i
! •
y
Figura 1.1 in figura 1.6, dC'llCfiUo da parabole concave di equazioDe 'Z:::: costante parabole convesse di equazione 'Z _ yl - costante, se x fissato. La Cunrione (54.6)
i
se 'J fissato, e da.
f(x, y) = y(r + x)
ha, per y :> O fissat9, il com(?Ortam.!nto di un.a parabola convCS\Ia del tipo z::=.j + x, mentre se 'J un numeco negativo fissato, il-comportamento t quello di uoa parabob. amava del tipo Z = -.lo - J: (si v:eda la figura 7.7). In\!ece per x fissato la fuwone (54-.6) ha un comportamento liDeare: si tratta di una retta dì equazione 'Z:= costante· y. Pertanto il grafico della fulttiQne f(x, y), rappresentato in figura 7.8, è unione di una famiglia di rette; per tale morivo si dicecbe il grafico è una superficie rigata. La funzione (54.1)
t(x. ,) •
= 0, ntppresenta un-. circonferenza di eentro l'origine e raggio t, come iD figura 7.9; in figura 7.10 invece rappresentata la funzione .
,
La funzione f(x '1) in (54.7) è costante (ciot llSllume lo stesso valore) In tutti i punti d.ella 1 circonferenza + Yi = t2, con t fissato, ed il valore è appunto uguale a 1; _ cos t • Il grafico di f(x, y) si ottiene facendo cuotare intorno all'asse :.l: il profilo disegnato in figura 7.10; si alla superficie ntppresenlala in flgun 7.11. Si dice che l(x, y) in (54.7) è in'llariance per rowLioni.
i
rimdoni di più v"riabili
Figura 7.8 -1(lI, y) = y(:.?
173
+ 11)
Invece in figura 1.12 è nippreseotato il grafico della funzione di due variabili
y ):2+ y 2=t 2
-- , --"• •
•
1
x
t
V
Figurn 7.9
•
z= CDS t 2
o
••
t
--"--• o
Figura 1.10
174
Capifu/o 7
1
f(x, y) = cos(x +
Figura" 7.11 (54.9)
f(x. y) = sell
che è costante suUc ipcrboli del piano COUle la fWlZione (54.7), anche (54.10)
'l.
l)
"y.
y di equazione x . y = t, con t fissato in R.
r(x, y) = log(x1 +
'i)
'.
Figutll 7.12 -
[(x, y) :, scn xy
è in'lariante per rotazioni; oon è però definita per x
1
+ l = o, cioè nel punto O). 11 grafico
si ottiene facendo n\Olilre intorno àll'assè z il profilo della funzione z "" log t ::> 0, come in figurll 7.13. Sono invarianti per rotazioni anche le seguenti funzioni (54.11) (54:12)
fo(x, y) ""
l - ..}Xl
+
•
t
= 2 log t, con
FUllzioni di pill variabili reuli
Figura 7.13 -
,
175
,
f(x, y) '" log(x- + Y ')
(54.13) i cui grafici sono rappresentati rispelliv9mente nelle figure 7.lA, 7.15, 7.16. La funzione
lo,
definita su tuno R1., ha per y = O un pronto descritto dall'equazione
z:::: 1
(54.14)
--,f;i
&
1 - Ix!;
3nalogameole, per x ... O risulta fo{O, y) = 1 - Iyl; si noti il punto angoloso, dovuto al valore assoluto, in figura 7.14 in corrisppndell:l8 al pWlto (x, y) = (O, O). La funzione Il definita se 'A,z + l, cDe corrisponde all'esterno del cefChio dcI piano x, y di centro ['origine c raggio 1. Aoalogamente, la. funzione f2 definita all'esterno del cerchio di centro l'origine e raggio
l2
-J2 .
, f2,
•-•• , .
•
Figura 7.l4 -
2 = 1- -./1/.1
+';
176
Capitolo 7
.. _-,
.'
FigliTa 7.15 -
% •
1 -
+ .; - 1
•
"
i ...
,."":",' ".,
'. , '.'.
..
.. .
.
figul"8. 7.16 -
z: • 1 -
R + y- - 2
Come le funzioni in (54.12), (54.13), anche
z (l-f)
(5U" (54.16)
non sono definite
Z •
IU
+
f - xl - {2> x' - fl
rutto R 2. La (54.15) 'definita quando
(54.17)
(l-x')-(l-f).o,
ciof: quando i fattori l _ x1. e 1 - .; hanno lo stesso segno, e cii) accade nell'insieme tratteggiato in figura 7.17. La (54,16) definita quando ]'argoimmto dello. ra.dice qUlldrata maggiore od uguale a
zero. Ricordiamo che l'equazione (54.18)
177
Flll/zioni di pui Yl1rinbiJj relJ/i
•
•
y
"
!• 2
x
Figura 7.18
Figura 7.17
rappresenta una circonren:.nza del piano x, y di centro nel punto di coordinalc (In, O) c raggio 112; analogamcnte l'cquazione (54.19)
r + yl _ 21:." (x .... l)l i"
Figurll 7.19 -
z '"
.1 - -
r -1=O
l?) . (l
- y!)
rappresenla una circonfcrenza di centro (l,O) e raggio l. Si vede allora che la funzionc (S4.16) e definita aU'inte-rno della circonCC>
..
x-o Figura 7.23
In particolare f è definita, oltre che in (x, y), anche in (x + h, y), qualunque sia h tale che jhl < 5. La derivata parziale di f rispetto a4 x nel punto (x., y) è, per definizione, n·limite
llin f(x + h, y) - i(x, y)
(56.1)
h
h-+O
'
se tale limite esiste ed è rmito (si noti che si tratta del limite di una funzione di und. variabiù reale. dato che y è fissato e gioca il ruoio di parametro); se esisie là derivata parziale rispetto ad x si denota con uno dei simboli
(56.2)
f,.;
f. (x, y);
-'
ax'
D:I f.
Analogamente, la derivata parliale di f rispetto ad y nel punto (x, y) è, pet definizione, il limite
(56.3)
. f(x, y + k) - f(x, y) llin k ' ,-00
purché tale limite esista e sia finito, e si denota con uno dei simboli
(56.4)
f, (x, y);
aE
ay ,
A seguito deUa defini21one, le derivate parziali di una funzione di due
182
CJpitolo 7
variabili si calcolano con le stesse regole di derivazione per le funzioni di una variabile, considerando l'altra variabile costante, con il ruolo di parametro. Come primo esempio, calcoliamo le derivate parziali deUa. fun:cione
(565)
f(x,y)a7!+x,/,
l
Nd d'-rivare rispeuo ad x si considen y ooatante (come $l!; fosse, ad esempio = 9 e si 2 dovesse derivare la funzione li: -+ x + 9x)j si ottiene la derivata parziale lispetto ad x:
(56.6) e, analogamente, la derivata rispetto ad y:
(56.7)
(x, y)
'Jxy.
lA funzione
(56.8)
f(x, Y) .. sco xy,
(x,Y)ER,
il cui grafico è rappresentato in figura 1.12, ammelte le seguenti derivate J)M'Ziali: (56.9)
er-ycosxy,
." li: COI
"1,
'1(x, y)
E
R2
•
E
R2
_
Come ultimo esempio consideriamo la fum.ione (56.10)
e- ;
f(x, y) ".
si tratta di una funzione costanle rispetto ad y e le sue derivale parziali valgono: (56.11)
_ O,
'1(x, y)
Se la funzione f ammette derivate parziali t., f T in un pWlto (x, y), in tale punto si definisce il gradiente di f. indicato con grad f, oppure con Df. come il vettore di R:l avente per componenti le derivate parziali di f; in simboli: (56.12)
gr.cl f
DI
(l, , l,).
Si dimostra che, se non è nuUo, il vettore gradiente indica Ja direzione di massima pendenza del grafico deUa funzione. Ad esempio, la funzione (56.13)
(x, y)
&
X
+ 2y,
(x, Y)
E
a2.
FIIIU:ivlIl IU può .'ar;abili ,.,lIli
,
l',
l83
z;t(x.y)cax+by+c
I I
I I
I
I
I
1----'
II
fs
fy
r--Ir' ==:;..,- - - , -Y'-.,./
,
/ ,
,....
,
. .---- D F18UQI. 7.24
ammette derivate parzinli f1 vellore di R 2
'"
l, - 2 costanti su R 2 . il gradienltl di f per definizione il
(56.14)
grOO f '" (l, 2)
ed esprime 111 direzione ed il verso nel piano di base x, y in cui cocviene muoversi per oltenere il mllS$imo incremento della funzione f (a parità di percorso nel piano Jt, y). GeneraJinando l'esempio (56.13). in figura 7.24 stato rappresentato il grafico di una generica jum.ioM linbtre di due variabili, dì equazione
(56.15)
z == f(x, y) '" ax + by + c.
con e D. dove come dominio D stato scelto un cerchio del piano X. y. li grafico di y). con (x. y) e D. è una porzione di un piano dello spazio tridimensionale di assi X. y, z. Il gradiente di y):
(56.16)
gnd
r=
• l,l = ( •• b)
rappresentato in figura 7.24 da un vettore giacente (nel piano x, y) nel cerchio D; nella direzione del &J"Ddieote, in corrispondenza. la fuozione (x.. y) ha la massima pendenza.
184
Capitolo 7
57. Ilerivate successive. Teorema di Scbwarz Sia f una funzione di due variabili definita in un intorno circolare 111 di un punto di R:l e supponiamo che in tutti i punti di III f ammetta derivate pamalì
(57.1)
f, (x. y).
I. (x. y).
(x. Y)
E
16 ,
Se a loro volta le funzioni f.o:. f y ammettbno derivate parziali
a
il il, f, •
(57.2)
ay
fJ'
I
quest'ultime si chiamano derivate parziali seconde della funzione f e si indicano rispettivamente con i si"",boli.
(57.3)
1" • r,..
In.
f".
oppure con i simboli
(SH)
a' l ax"
d'l dx
ay
•
a' I
dy dx •
d'l il
'1"
In particolare fil)" fy. vengono dette derivate seconde miste, mentre fu• .fyy vengono dette derivale seconde pure. Ad esempio. la funzione (57.5)
f(x. y) = xJ
V(x, y)
,
lEi
D
"2
(x. y) e R 2 ; x > 01
per y fisstlto una potenza. mentre per :t fmato un esponenziale che, ai fini della deriva· zione rispetto ad y, è opportuno rappresentaTe nella fonoa f(x, y) = e. rtoP . Le derivate parziali prime di f(x, y) valgollo t,,_yxr- l
(57.6)
f,=x J ·logx.
•
Le derivate seconde pure sono date d.
(57.7)
fII ...
y(y - 1) "r-2
•
f)'J = x' . (Iog X)2 ;
per ottenere fil)' deriviamo f" in (57.6) rispetto ad Y COD la regola di deriva7.ione del prodotto;
(57.8)
f.r = J[r-l + y xr-I
.
log x ..
xr-I (1 + Y log x);
FIIII(,ioni di più wWltJbili re.di
la derivata fyx è ottenuta derivando ri:lpeno ad JC
r,., = Y
(51.9)
X,..I .
185
(57.6):
I 108 x + x' . - = x'-' (y log x + 1).
,
Il lettore che ba seguito il calcolo di fll)" e fyx avrà notaIo che, con pllssaggi intermedi differenti nei due casi, si è ottenuto lo StessO risultato finale. Ciò Don t casuale ed il: formalizzato nell'importante teorema che segue.
TEOREMA DI SCHW ARZ. - Se WIQ f entrombe le derivare fll)"' f)'. e se tali derivate seconde sono continue in (xo. Yo). allora t., O.
Nelle ipofesi precedenti, se
t,{x.,,yol = O f,,Cx.,,yol > O
l \lO
CDpitolo 7
allora (XooYo) è un punto di minimo pu f(x,y).
C,("",y.,)
(58.10)
invece riJultQ
0,
{ HI("",y,) > 0,
t,.("",y.,) <
°
allora (Xo, Yo) è un punlo di massimo rtiatillo per f(x,y). lnfim, risulta
(58.11)
lH(XooYo) < O,
allora il punto (Xo. ya) non né di m4SSim0, n.é di minimo per f(x. y) (cd in tal caso si dice anche che (Xo. Yo) è un punto a se/ID per f{x, y».
Pertanto un punto critico (xo. Yo) risulta di massimo o di minimo relativo per una funzione f(x, y) se Hf(Xo, Yo) > O; se invece Hf(xo, Yo) < O allora il punto (Xo, Yo) non è né di massimo né di minimo. Il caso Hf(Xo, Yo) = O non è contemplato nell'enunciato del teorema. potend05i verificare sia che (Xoo Yo) è di massimo o di minimo, sia il caso contrario. Non diamo la dimostrazione della condizione sufficiente sopra enuo· cista, ma illustriamo alcuni esempi. La funzione (58.12)
(x.
y) :: xl + .;
ammette derivate parziali fil ., h, fy" 2y che si annullano nel punto di coordinate (O, O). U determinante He!lSiano vale
2 (58.13)
o
O =4
2
ed è quindi positivo. Essendo fu O, iLpunto (O, O), in base alla (58.9), è di minimo rdativo per la funrione. Si verifica anc:be direttamente che (O, O) risulta punto di minimo 2 RlMIUIO per f(x, y) su R , pucht
f(O, O>' .. O s xl +
(58.14)
'I = {(x, y),
V(x, y)
&:
R.
Anche la funzione
C(.,y)=1'-'"
(58.15)
ha derivate parziali
[I:: -
2x, f," 2y che si annullano io (O, O). Però, essendo il determinante
Fun:tioni di più. ",arÌiJbi/j rudi
191
Hasiano
H-
(58.l6)
1
2
O
negativo, in base alla (S8.11), (O, O) Iln punto a sella per la fùnzione; tale punto a sella beo riconoscibile nel grafico della funzione in figura 7.6La funzione
C(x, y} .. r - 6y(x + y)
(58.17)
definita nel dominio D costituito da rutto lo spazio
a 2.
Il gradiente di cOJrispondenza ai punti di coordinate (x, y), soluzioni del sistema
r si
annulla in
r.::: 3r - 6Y.0 ((,=-6X:-12y=O'
(58.18)
12l-
dalla secoada equazione si ricava l!:::: - 2y, che,llOlltituito nella prima. di luogo a 6y = O. y = O, oppure y s 1/2.; in corrispondenza è l!: "" O, oppure l!: '" - 1. Perciò i punti di coordinate (O, D), (- l, lfl) sono critici per la funziol).e C in (58.l1). Il determinnnte Hessiano di f vale
H(x, y} =
(58.19)
-6
- 61 '" - 144x - 36. - 12
In particolare per (x, y) .; (O, O) si troYa H(O, O) - - 36; siamo quindi nella condizione (58.11) del teorema e (O, O) 6 un pWlfO a sella per l(x, y). lovece, per (l!:, y) "" (-1,112) si trova H(- l, 112) o::: 108 > O; essendO Y-l, 112) = - 12
f differenzwbile in D
=>
fE
CO (D).
CAPITOLO 8 INTEGRAIJ DEFINITI
61. Il metodo di esaustione Con l'espressione «metodo di esaustione» si fa riferimento ad un metodo per calcolare le aree ed i volumi di figure cwvilinee, usato da Archimede nel ID secolo a.C., ma risalente. secondo lo stesso Archimede, ed Eudosso di Coido, vissuto nel IV secolo a.C. Abbiamo già descritto nel paragrafo 16 il metodo che Archimede utilizzava per calcolare l'area di IID. cerchio, tale area con le aree di.poligoni regolari di n lati inscrittì (o circoscritti). Riferendoci a questo esempio, con la parola cesaustione» si vuole significare che un cerchio viene riempito, o «esaurito», inscrivendo in esso poligoni regolari di n lati, e facendo poi tendere n all'infinito. Descriviamo in questo paragrafo il metodo di esaustione con il linguaggio moderno, facendo uso della teoria dei limiti. in modo da facilitare la comprensione del metodo generale che introdurremo nel paragrafo succeSSIVO.
Calcoliamo con il metodo di esaustione l'area di un settore di parabola, l'area della regione S che nel piano cartesiano x, y è compresa tra l'asse delle :le. il grafico della funzione f(x) = neU'intervallo [0, bl. e la retta verticale di equazione x =: b (b > O), come in figura 8.1. Dividiamo l'intervallo [O. bl in n E N intervalli, [Xt _ h xkl. ciascuno di ampiezza bln, ponendo:
r
(61.1)
y--O . ,,-.
1
x1 --b -' D
2
Xz = - b•...• D
k
Xt;=-b•...• D
xn=b.
Calcoliamo l'area della regione tratteggiata nella figura 8.2. La regione tratteggiata è unione di rettangoli. n generico rettangolo ba per base l'inter-
vallo (X'_h x,l, di lunghezza uguale a blu, ed ha per altezza il valore della funzione in Xt_h cioè f(Xt_l) = L'area totaJe è data dalla somma de.Ue aree dei rettangoli componenti, cioè (il simbolo di sommatoria è stato
/ml!grali defilliti
201
P"r fnc-ilimre il osservialllf) che la (61.2) si puO ri.scrivere senza l'usu O esistono P e Q parlizioni di [a, bl tali che (63.5)
S(P, Q - s(P, Q
E
che da Xo-
0, supponiamo che 6 :> O.
(65.1)
Posto x - Xo + 11, pur di prendere Ihl < 6. si ha 'V Xo
(65.2) Ma cib
(65.3)
assurdo in quanto, per ogni h
lim
;.I-
li
R.
0, risulta
12Iloh+b2-I=+-.
È OpportunO introdurre la DEElN'lZIONE QI F'tThfZIONE UNIFORMEMENTE CONTINUA. - S; djce ck fI -+ R è wufOfmO!lblU!. contimm neJl'inJuvallo I di R se, per ogni e > O. o ;:; 6(!ò) > O ttJle c"e, per ogni x. x' E J. (65.4)
Ix-x'I O:
(65.S)
x.. • x'. i corrispondenti punti di [a, b] per cui
V n e N,
Ix. - x'J
l '" O,
'-fl-
che contrasta con il tatto che
(65.11)
lf(x..,'> -
t(x' .,)1
"'o '
V k e N.
A conclusione del paragrafo introduciamo una notevole classe di funtioni unifonnemente continue.
Integrali dtfiniri
215
Si dice che f(x) una funzione lipschitz,iana nell'intervallo I di R se esiste una costante L > Oper cui
(65.12)
I/(x) - I()()I < L Ix - )(1
VX,x!eI.
Una tale funzione· anche uniformemente continua in I, in quanto, fissato e. > O e posto 6. = elL, risulta If(x) - f(x')1 < E per ogni coppia, x, x' di punti di I tali che Ix - x'l < d •.
-Ii per x e
1 "" (O) J ! uoiformemente continua in 1 per il leorema di Cantar. Essa Don! Iipsehitziana in (0,1) per il seguente risultato. La funzione f(x) =
CARATTERIZZAZIONE DELLE FUNZIONI DERIVABILI E LIPSCHITZIANE. - Sia f(x) una, funz,ione nell'intervallo I. Allora f(x) i. lipschitziano. in I con L. e solo se lf'(x)l L per ogni x e 1. Dirnostra:tiooc: Se Ir(x)l s: L, "Ix e I, applicando il teorema di Lagrange alla funzione f nell'intervallo di estremi x, x' E l., ,.. e I per cui (65.13)
If(x) - t(x')1 '" Ir(",,) (x - x')1
Viceversa, se f ! lipschitziana in (65.14)
r,
s: L
Ix - ::c'l.
per x e I e x' '" x + h
lf(x) - t(x + h)1 '" If(x + h) - t(x)1
dividendo ambo i membri per Ihl e passando al limite per b
li
I (con b 'P O) si ba
s: L
-J
Ibl;
O, si ottiene l({x)I
S;
L
Utilizzando la proposizione prea:dente si. ricava subito cbc la f{x) '" seo x lipschitiziana in R. in quanto lf{x)1 = Icos xl :S l, per ogni x e R. Proponiamo comunque una ulteriore dimostrazione della lipsch.itzianità di t(x) : I seD x. Utilizzando la formula di prostaferesi (65.15)
scDx-senx=2sen
x-x'
2
cos
x+x'
2
dalo che Iseo ti s; Iti per ogni t e R, OUeoiamo (65.16)
Iseo x -seo Xl s:2
Fn ;1 x
s; lx-x'!.
Per concludere osserviamo che la funzione t(x) '" Ixl lipschitziana in a, ma non verifica le ipote3i della proposizione precedente. Sussiste infatti la disuguaglianza: (65.17)
Ihd - Ix'l S Ix - x1.
216
Capilolo 8
66. Inlegrabitilà deDe funzioni continue Dimostriamo il seguente teorema di •
INTEGRABJLITA DEI FUNZIONI CONTINUE. - Sia I(x) unaii..'iu". ,concirlua in [B, bl. Al/ora f(x) è inregr(lbile (secondo Riemann) in [a, hl
Il
Dimostrazione: per il teorema 4i Cantar r(lt) è unifonnemente conlinua e percib, fisslltP > O, esiste: ::>: O tale. che
•
- 1(> I Ito .. Xl "'''' It" I, con K(J= a. XII = b. tale che IXk - Xt_tl < per ogni k = 1.... ,1'1, allora, posto '" =
i,l (f(.); x e["., . eJJ..
(66.2)
chI: sono rispettivamente minimo e massimo, risulra per la (66.1);
"ik=l•... ,p. e perciò
S(P) - ,(Pl (66.3)
dal teorema di
ì:• (M, -
h'
",)1" - ",.,) <
del paragrafo 62 segue l'asserto.
CAPITOLO 9 INTEGRAli INDEFINITI
67. D teorema fondamentale del calcolo integrale Ci proponiamo di mettere in evidenza una importante relazione tra integrali e derivate, che ha notevoli applicazioni in tutto il calcolo Sia f una funzione continua nell'intervallo [a, hl, Per ogni x e [a, hl consideriamo definito
(67.1)
P(x) =
r
t(l) dt
•
Notiamo che abbiamo rappresentato l'integrale definito usando la variabile di integrazione t. invece che [a X, con un puro scambio di simboli. Invece abbiamo denotato con x il secondo estremo di integrazione. Pcr ogni x è determinato l'integrale definito nell'intervallo (a, xl della fUnzione f; pertanto il risultato multa una funzione di x. Ciò spiega il simbolo di funzione F(x) a primo membro della (67.1); tale funzione si chiama funzione inlegrale. Ad esempio, con il calcolo del .settore di parabola (si veda la (61.11» si e otrequ(o
i,
F(x)s
In questo esempio la fun2.ionc illtegpale vale F!x) '" xJfJ; la sua derivata, a F'(x) '" anche uguale alla funzione integranda 1(1) '" t per t '" x. Tale proprietà vale in geuerale; infatti,. risulta in generale che F(x) '" f(x), secondo il
teorema che segue.
'TEOREMA FONDAMENTALE DI'L CALCOW INTEGRALE. -S;a t una funzione COnlinl{/l nf!U'interval/o (a, p]. La fUJ1zione integrole F{x), definita in (67.1), è derivabUe e l.a derivara vale .
218'
Il
Capitolo 9
P(x) • I(x),
(67.3)
"Ix
E
[a,
bll
Oimostrnione: OCCOlTe calcolare illimile del rapporto incrementale della funzione F(x) qunndb ['incremento'tende a zero. Cominciamo con il rapporto incremcnlale
.F,,(,,,.,,":; O •.
e"dx==e"+c;
cosxdx=senx+c;
(69.11)
x'
dx=arcsenx+c;
l' .,----0.-"'2 dx == arclg x + c.
1 +X
A proposito dell'integrale (69.7), notiamo che risulta
/ntl!gm/i indefuliii
l
Dlogixl=-, x
(69.14)
inlatti, se I > O la relazione preced,c.nte ben oota... Invece, se derivazione:: delle funzioni composte, risulla
D log
(69.15)
Ixl '" D log(- I) '" -
1
(69.16)
I
< O. per la regola di
l
- x
La (69.14), in termini di integrali indefiniti,
(x < O).
. (- l) = -
x
equivalente a
Ji=loglxl+c.
intendendo che l'ìntegrale io (69.16) X ""
223
caosiderato in un intervallo non contenenle il punto
O.
In molte situazioni ci si riconduce ad integraJi immediati del tipo sopra indicato, utilizzando la loromla di derivazione delle funzioni composte. Cost ad esempio la formula (69.6) si generalizza nel modo seguente: si parte dalla formula di derivuionc, valida per una funzione f(x) positiva e derivabile D [f(x)t· b+1
(69.17) In (69.18)
f
l
= (f(x»)" . r(x)
(b .. -"1).
si otticne la formula di inlcgrazione indeftnita
[t(x)]" r(x) dx '"
l
b+ l
[t(x)1"·
I
+c
(b "" - 1).
Come esempio consideriamo;
(69.19)
f
tg
x dx -
f
"n x COl; ;:Il;
dx
= - log lcos
xl .. c ;
abbiamo calcolato una primitiva dopo aver riconosciuto che a numeratore della funzione intcgrand. c'è, a meno del segno, la derivata del denominatore.
70. Integrazione per decomposizione io somma In molti casi il calcolo dell'integrale indefinito di una funzione si può ricondurre al calcolo di integrali già noti, o di tipo più semplice. Un metodo particolarmente frequente l.:onsiste nel decomporre la funzione integranda nella somma di due o più funzioni, applicando poi la proprietà di linearità (69.4). Dlustriamo ciò con alcuni esempi.
224
CapiJoio 9
Calcolilllno il seguenlc integrale indefinilO
J
x dx; x + l
(70.1)
sommando e sottraendo 1 ai nunicratore della funzione inlegranda otteniamo
(702)
::-,,-X","dX.JIC+1-1 I )dX= dX =J(I- x+1 x+1 J x+l
-Jldx-J
dx
x + l
_x_loglx+ll+e.
Calcoliamo l'iDlegrllle indefihito
(703)
ftgiXdx. i
ricordllodo \11 deficiuone delill funzione tallgente. abbiamo
pet deeomposizione io somma otteniamo
(70.5)
-J
dx casl X
-JdÌl:=r&X-x+c.
Calcoliamo l'mlcgrale indefinilo
J
(70.6)
dx
50n X COI X •
anche in questo caso SQ'IVlamo il Di.uncratore della funzione integranda in modo che sia
possibile sciodere la frazione nella somma di due tnuiooi
1 scol x + r::ctI- x • = seu x cos x sen x cos x (70.7)
•::::::,:=-=... sco l X sco x COli x
cos l . X sco X cos li: = !en x C05 x cos x + sen x •
integrando entrambi i membri otteniamo
(70.8).
dX,=-= = J""X d x + · xdx= J=7 scn x coS x cos x 1Ien x .. - 108
1005 xl
... log lsen xl ... c .
lnregmli indtfiniti
225
Calooliamo l'integrale indefinito
Jsen
(70.9)
2
x
dJt ;
ricordiamo la formula (10.7) di duplicazione c:os 21 '" cas2 x-sen 2 x '" 1-2aenJ
(70.10)
da cui si deduce che sen2
I
('70.11)
(1 - C05
li: _
'I
1eQ2 X dx =-
2xV2.
li: ,
Otteniamo
(l-cos2x) dx =-x --sen 2x + c; l l
2 2 .
nell'ultimo pauaggio si è tenuto cotllO che D sen 2x a 2 CO! 2.. Se lo si preferisce, si può scrivere il riSUitlliO ulilizzando la formula di duplicazione (10.6) per la funzione seno, nel modo seguente:
I
(70.12)
DaJ risultato ottenuto
senI
(x -SCO xcos x) + c.
facile dedurre il valore dell"inlegrale
J
=x-
f
(70.13)
sell
J
(1-sen2 x) dJr: =
2
xdx=4
(x+,seo xcos x) +c.
7L Integrazione delle funzioni razionali È sempre possibile, in linea di principio, calcolare per decomposirione in somma l'integrale indefinito delle funzioni razionali, cioè delle funzioni che sono il rapporto di due polinomi f(x), g(x}: (71.1)
f(x)
llm x"' + a m_1 xm- I +
g(x)
b n x· + b n _ I
X-l
+
+ al x + ao + bi x + bo '
m, n
E
N.
Nella (71.1) è una funzione razionale ottenuta come rapporlo tra un polinomio f(x). di grado m, ed un polinomio g(x), di grado D. Se m n, cioè se il grado del numeratore è maggiore od uguale al grado del denominatore, si esegue la divisione tra i polinomi f(x) e g(x). Se lndichiamo con r(x), q(x) rispettivamente il resto ed il della sìone, possiamo scrivere la scomposizione
(71.2)
C(x) = g(x) q(x) + r(x) ;
226
Capilolo 9
cioè: moltiplicando il. quoziente q(x) per il divisore g(x), ed aggiungendo il resto, si ottiene il dividendo f(x). La stessa relazione si pnò scrivere mettendo in luce il rapporto f1g nel modo seguente:
f(x) g(x)
(71.3)
(x) + r(x) _ q g(x)
Ricordiamo che il resto è un polinomio di grado inferiore al grado n del divisore g(x). Per l'integrale della funzione razionale f(x)/g(x) si ottiene
f
(71.4)
f(x) g(x) dx =
f
q(x) dx +
f
r(x) g(x) dx -
Dato che q(x) è un polinomio, il suo integrale indefinito è immediato. Ci siamo quindi ricondotti a Calcolare l'integrale della funzione razionale r(x)/g(x), che ha la proprietà che il grado del polinomio a numeratore è inferiore al grado del polinomio a denominatore. Prima di proseguire ad integrare r(x)/g(x), ricordiamo con 1lf) esempio come si esegue la dil/isiOfle fra poliflomi. Consideriamo la funzione razionale
(71.5) procediamo nella divisione in modo analogo al modo in ·cui si effettua la divisione tra due numeri naturali, seCOndo il seguente schema: (71.6)
.
_ 3x4 +
x'
,
O·x +0·
,
x +
x+
3
x +
3
x +
3
-x' _ 3x4 + _ 3x4 +
x' +
,
x -
x'
+3x'
3i +
,
-3x +
x
2x+
3
+
3
- 3x-,
2x
3X1 +X-3
J/ltf!grufl Indefiniti
127
3 Il resto r(x) ed il quoziente q(x) valgono rispettivamente: r(x}::: 7x. q(x):::lt x - 3x1 + x - 3. In questo caso la scom(X»izione (71.3) còrrisponde a (71.7)
Ora si ottiene facibnente l'integrale indefinito
(71.8)
f
r - 3X(+X+3 r-l dx=
f
x'
Ir - 11 + c .
- "4 - r
+
x' "2 -
3x + log
(r-3XJ+x-3)d.x+
f r_l 2x
dx =
Ritorniamo al calcoLo dell'integrale della funzione razionale r(x)/g(x), dove r(x) è un polinomio di grado inferiore al grado del polinomio g(x). Per semplicità ci limitiamo a considenue il caso io cl).i g(x) sia un polinomio di secondo grado. In tali condizioni, il grado di r(x) è minore di due. Quindi ri· sulla
(71.9)
g(x)
ax' + bx + c
(a" O);
r(x) = dx + e.
Per calcoLare l'integrale indefinito di r(x)/g(x) è:opportuno distinguere i tre casi, io cui l'equazione g(x) = O abbia 2 radici reali distinte, oppure 2 radici coincidenti, oppure nessuna radice reale. Consideriamo tre esempi in cui si verificano queste situazioni. II caso bI -4ac > o si Irana come nell'esempio seguente: dopo aver trovato le radici del denominatore (XI'" - l, Xl = 2), scomponiamo la frazione
x+7 A B = + x' - x 2 x+l x-2'
(71.10)
con A, B numeri reali da determinare. Sviluppando il secondo membro otteniamo
(71.11)
A
B
x+1+ x - 2 -
Ax-2A+8x+B (A+B)x-2A+B = • (x + l)(x 2) x _ 2
r
affinchl! valga l'uguaglianza (71.10) per ogni x, delle risultare
l
A+ B=l
(71.12)
-2A+B=7
Si risolve il sistema per sostituzione, oppure sottraendo le due equazioni membro a
228
Capitolo 9
sc:omposit.ione (71.10), si calrola l'integrale definito
(71.13)
I
I-
---=-.X.:,.:7,-;; O,
"In e N.
Dalla stessa definizione segue che F(l) = O. Verifichiamo ora che F(e) = 1, con e numero di Nepero definito ne) paragrafo 25 come risultato dcI limite
(76.6)
e=limxR
,
inregrali inde/ùliti
243
Per la proprietà (76.5) e dato che F(l) = O, abbiamo
(76.7)
F(l + 1/n) - F(l) . 110 ' nell'ultimo membro compare il rapporto incrementale della fun'7.ione F nel punto x = 1, con incremento h = 1/n. Per n -' + otteniamo 00
(76.8)
F(e) = lim F(x,,) = tim F(l + 1/n) - F(l) = F(l) ; n-H_ n-+t_ 1/n
dato che F(x) = llx, risulta V(l) = 1 e quindi
F(e) = 1.
(76.9)
La funzione F(x) ha derivata (= l/x}'positiva per ogni x > O; perciò è una funzione continua e strettamente crescente per x > O. In base. al criterio di invertibilità del paragrafo 35, F è invertibile, cioè esiste la funzione inversa di F, che indichiamo con VI e che è dermita da
(76.10)
F-'(y) = x
F(x) = y.
Fissato a > 0, scriviamo la relazione precedente COD x = a n • Dato che y = F(x) = F(a") = nF(a), abbiamn (76.11)
a" = x = F' (y) = F' (nF(.)).
La relazione precedente giustifica la seguente DEFINIZIONE. - Se a, x sono numeri reali, con a > O. definiamo l'espressione ...a elevato ad x... · nel modo seguente:
(76.12)
""
p-l (x F(a»).
In particolare, ponendo a = e, dato che F(e) = 1, abbiamo la funzione
esponenziale: (76.13)
= p-l (x).
CAPITOW 10
FORMULA DI TAYLOR
La formula di Taylor (con il resto di Peano) è stata già introdotta nel paragrafo 52 e ne sono state esaminate le prime proprietà e conseguenze, come ad esempio il criterio per stabilire se un punto è di massimo O di minjmo relativo, in base all'annullarsi, o meno, delle derivate successive alla poma. In questo capitolo riprendiamo la formula di Taylor in ipotesi generali e ne esaminarno ulteriori proprietà.
77. Resto di Peano Consideriamo un polinomio p(x) di grado n a coefficienti reali
(77.1) La funzione p(x) è indefinitamente derivabile in R e le sue derivate di ordine maggiore di n sono tutte nulle. Inoltre è facile verificare che
(77.2)
p(O) = ., •
per ogni k < o. Ricavando i valori dei coefficienti polinomio (77.1) nella forma seguente:
(77.3)
a.c. possiamo riscrivere il
'(O) '(O) ('l(O) (x) = p(O) + p x + p x' + __ + p x' _ P I! 2! . n!
In altre parole un polinomio di grado n noto una volta che siano noti il suo valore e quelli delle sue derivate nello zero. Sostituendo il ruolo dello zero con quello di un qualunque punto XI) e R si perviene analogamente ad un'espressione del polino mio p(x) in cui inter· vengonb solo il suo valore e quelli delle sùe derivate in xo:
246
Capitolo lO
p(x) - p(",) +
p'(x,,) lf
p'(xo) (x - x,,) + 21 (x - ",)' +
(77.4)
+ ... +
p"'(",) (x-Xo>n. nl
Dalla (77.4) segue in particolare che un polinomìo di grado n è univoca· mente detenninato una volta che siano notLi valori che esso e le sue prime: n derivate assumono in xo. Sia ora t(x) una funzione d.erivabile n volte in un punto Xo e cerchia.m.e di determinare un polinomio Pn(x) di grado minore o uguale a n che verifichi le uguaglianu (77.5)
P.(x,,) f(",),
p'.(",) = re",). ...•
..)
Tale polinomio deve avere, per la (77.4),l'espressione f(",) P.(x) = 1(",) + 11 (x - x,,) +
(77.6)
1"(",) , • + 2! (x - "o) + ... + nl (x - Xo) •
Le condwoni (77.5) sono verificate da p... Perciò il polinomio di grado minore od uguale ad n che verifica le uguaglianze (77.5) esiste, è unico, ed è rappresentato in (77.6); tale polinomio prende il nome di polinomio di Taylor. di ordine n e centro "o, della funzione t(x). Definiamo la funzione resto:
(77.7)
R.(x)
l(x) - P.(x).
La funzione Ra(x) (resco della formula di Taylor di f) rappresenta ['errore che si commette quando. in x si sostituisce a f(x) il suo polinomio di Taylor di centro Xo e ordine n. FORMULA DI TAYLOR CON IL RESTO DI PEANO. - Se f è derivabile n volte in Xo. il resro Rn(x) è un infinitesimo in Xo di ordine superiore a (x - xot. ossia
(77.8)
Formula di Taylor
247
La dimostrazione. che segue si differenzia da quellaproposla nel paragrafo 52 per il fatto che, in questa sede, non si suppone la continuità della derivata n-simu nel punto Jlo.
DimoSlrazione: tenendo la defini2ione (71..7 ) di Rn(ll). la tesi do dimoslrare la seguente: lim
(77.9) .
= hm
f(x) -{r(x.J + r(xn)(:< - "IJ + ... + - "II)" In!]
•-+..
(x
XD)n
Applicando n - I volte il teorema di L'HOpital (il limite (77,9) 0/0) si perviene a ,
.
1m .-+""
una forma indeterminata
fln-ll(x) _ [fln-ll(".) + rnl(x)(x - Xc)] Q I n!(x
Xli)
O.
=
(nIO)
DEFINIZIONE DI 'ln.
b•• ( O
'.
Serie
TEOREMA DEL RESTO. - S. ,. mi, fo
Del/a R n la .sua somm.a, cioè po.sto
(8222)
i '. , ,"""'.'n" ."d n. Pertanto In serie di termine generule bI;.. - a" c convergente. Tale risultn allortl. in base alla l, Ilnche la serie dì Il:rmine generale bIt = (llj( - .1,,) + R". l,.a (82.2 l .
Serie
Fissato x < l, calcoliamo la somma parziale (11.7), abbiamo
265
Ricordandp la fonnula
(84.3) In accordo con la relazione di \i.mjte (23.1), per n --') + =,' X"l tende a zero se x E ( - 1, 1), mentre non ha limite se x < - 1. In corrispondenza otteniamo tim
(84.4)
11---++000
1 - x"+1 = {l/(l - x)'.
1- x
non esiste,
se
- 1 < x.< 1
se
x l, indeterminata se.x < - 1. Risulta inoltre:
(84.5)
-L x'
,
Ixl
1
se
=:;---
1- x •
k=O
< 1, tlivergente se
-l + quindi anche la su"cceSsione s, tende a + Cioè /o. serie armo'nica (85.1) è divergente. Dato l'importanza della divergenza della serie armonica. senza far uso del calcolo Integrale.' . A tale scopo ricordiamo. (p:aragrnro 25) che 1)'. ' a,,'=l+k: (
(85.6)
e una
successione cresç:ente. convergente al numero di Nepero e per k---J· + quindi ' (85.7)
e
(l +
=
..
l =- log e
log
(1
+
ir
= k log
abbiamo '9'k E N.
Dato che In funzione log x è crescente in (O. + tende a zero. Quinòi la successieme sn+l (che·ha "limite perché la serie è a termini ·positivi) è convergente.
Sel'ie
269
Riassumendo. abbiamo dimostrato che la serie armonica-generalizzata è convergente se p > l ed è divergente se O < p < 1. Naturalmente la serie (85.11) è divergente anche se p < O, in quanto il suo termine n-simo non tende a zero.
86. Criteri di convergenza
.' Non sempre è semplice calcolare esplicitamente la somma 'di una serie (per questo spesso si ricorre a metodi numerici). È più facile ed è sempre
interessante poter stabilire a priori il caratter!;: di una serie, cioè
se
una data serie è convergente oppure no. Coosidereremo sempre in questo paragrafo serie a termini Don negativi. CRJTERlO DEL CONFRONTO. $; b n per ogni n. Si ha:
-:L
(86.1)
b, <
Siano
.., -
L-
ali;
=+
bn due successioni tali che 0.$ a n
-
a, < Lk·1
k=l
(86.2) .
ano
-
-
L-
b, =
+
,
'
• •
.·1
Diinostrozlone: indichloino con Sn. ln le ridotte f1-sime delle due serie: relative rispeuivn alle successiOni ano bn. Per le ipotesi (ane risulta Sn"S ln per ogni n. inoltre le due ridotte sn. 1n hanno limite per n-t + DO. dato che le serie date sono a tennini non Perciò, se il limite di t n è finito anche il limite di So è fjnito. cioè vale la (86. I). Analogamente, se il limite di SII è + ..... anche t n li + -, vale In (86.2.).
Osserviamo esplicitamente che, nelle ipotesi del lemema di confronto, è sufficiente assumere che a n :;;; b n per n gtande, cioè per ogni h > v, con v fissato.
CRITERIO DEGLI INFtNITESIML - Sia a n una successione a termini non negativi. Supponiamo che. fissato un numero reale P. esista il limite: (86.3) Si ha:
(86.4)
r;l: +
"
oo,
p > 1
-
270
Capitolo Il
(86.5)
f ..
I
-
O. p" 1
Dimostrazione: nella condizione
con il limi le r finilo. per la definizione di limite d
successione (con E = l). esiste un indice v tale che . (86.6)
"V'n> v
n P a,,
(86.7)
'tn > v
l'(l.
Procedendo in modo analogo a come fatto in precedenza otteniamo la (86.5). A titolo di esempio, possiamo affermare che la serie (86.8)
i:
i
2k+1
,I
è convergente. Ciò segue dal criterio (86.4) con p = 4; infatti risulta
20 + l lirn n = 2.. n-+_ + 40 +,3 •
(86.9)
•
AUo modo, applicando il criterio (86.4) con p = 2, si verifica che la serie seguente è convergente: (86.10)
'.
I I
CRITERIO DEL RAPPORTO. Supponia,mo che esista il li'7Jite (86.11). 'i ;'
Sia a n una successione a termini positivi.
a.
Serie
Allora si ha:.
271
. •.1.
r< 1
(86.12)
,
;
-
r> 1
(86.13)
v.
'.
Quindi la successione an è strettamente crescente per n > v, e perciò non può coml.ergere a zero; in base alla condizione necessaria del paragrafo 82,la serie data è divergente (essendo a termini positivi). Come esempio consideriamo la serie esponenz.iale (86.17)
.
il
xo'
Xl
l+x+-+-+ 2 3! ... -+-+ . n! ...•
con x numero reale fissalo. Ponendo a o = x"/n!, se x > O si trova (86.18)
.
--=
xP+t
(n + l)!
,
a!
"- =
x·
"
.
i""
n
+ 1
.;
"
la quantità no + t/au tende a zero per ,n CIC!;' in ,base'. al criterio del, rapporto, la serie esponenziale è convergente per x > O. DimostreremQ,'nel paragrafo 89 la serle esponenziale è convergente per ogni x, e che la somma della serie vaie e 1t •
272
Capitolo 11
Talvolta è utile anche il criterio seguente, detto della radice, che si dimostra confrontando la serie data con la serie geometrica, analogamente a quanto è stato fatto per dimostrare il criterio del rapporto. CRITERIO DELLA RADICE. - Sia a n una successione a termini non negativi. Supponiamo che esista il limite (86.19)
valgono le stesse "conclusioni (86.12), (86.13) del criterio precedente.
Dimostrazione: neU'ipotesi r < 1. sia E > O .tale che l' t- E < i. Per definizione di iimite. esiste v e N tale che O. Proveremo, ad esempio, che la serie armonica alternata
(87.2)
1-
1 1 1 . + - +",+ (- 1)"-1 !. + 2 3 4 n
è convergente. Vale il seguente CRITERIO DI CONVERGENZA PER LA SERIE ALTERNATE. O una successione 'decrescente ed infinitesima. Allora la convergente. detta s la somma, sn1a ridotta n-sima. si ha
;?:
'n
Sia (87.1) è
S!:rie
273
Il (M7.=3)======ls"=sl=
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