[eBook - Ita - ECONOMIA] Finanza Aziendale

December 25, 2017 | Author: Giulia Piras | Category: Investing, Board Of Directors, Profit (Economics), Corporate Governance, Companies
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I fondamenti

Ogni decisione che un’impresa prende ha delle implicazioni finanziarie, e ogni decisione che coinvolge la dimensione finanziaria di un’impresa è una decisione di finanza aziendale. In senso lato, tutte le attività svolte da un’impresa rientrano nell’ambito della finanza aziendale. Il termine anglosassone corporate finance potrebbe far credere che questa disciplina riguardi solo le grandi aziende quotate in Borsa (corporation), e non le imprese di minori dimensioni e quelle non quotate. Al contrario, i principi di base della finanza aziendale rimangono gli stessi, sia per le grandi società quotate in Borsa che per le piccole imprese non quotate. Tutte le imprese, infatti, devono affrontare il problema di investire con acume le proprie risorse, determinare la “giusta” composizione delle fonti di finanziamento e restituire il denaro ai proprietari qualora non vi siano valide opportunità d’investimento.

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Principi guida Ogni disciplina ha dei principi guida che la governano. La finanza aziendale si basa su tre principi, che chiameremo il Principio di Investimento, il Principio di Finanziamento e il Principio dei Dividendi. ■ Il Principio di Investimento Investire in attività e progetti con un rendimento atteso superiore a una soglia minima di rendimento. Tale soglia deve essere più elevata per i progetti più rischiosi e riflettere la struttura finanziaria utilizzata, ovvero fondi propri (capitale netto) oppure denaro preso in prestito (capitale di terzi). Il rendimento atteso di un progetto va misurato sulla base dell’ammontare dei flussi di cassa generati e della loro distribuzione nel tempo, tenendo in considerazione anche gli effetti collaterali positivi e negativi del progetto. ■ Il Principio di Finanziamento Scegliere una struttura finanziaria che massimizzi il valore degli investimenti effettuati e sia in linea con il tipo di investimento da finanziare. ■ Il Principio dei Dividendi Restituire il denaro ai proprietari dell’impresa, nel caso in cui non ci fossero opportunità di investimento in grado di generare un rendimento superiore alla soglia minima. Per le società quotate in Borsa, la forma di restituzione — dividendi o riacquisto di azioni proprie — dipenderà dalle caratteristiche degli azionisti. Nel prendere queste decisioni di investimento e di finanziamento, la finanza aziendale tiene sempre ben presente l’obiettivo ultimo, ovvero massimizzare il valore dell’impresa: perciò ogni decisione viene giudicata in base al suo impatto sul valore dell’impresa. Questi principi-guida forniscono le basi sulle quali costruiremo i numerosi modelli e le teorie che costituiscono la finanza aziendale moderna. In realtà, si tratta anche di principi basati sul buon senso. Sarebbe infatti presuntuoso da parte nostra credere che, prima che la finanza aziendale cominciasse a svilupparsi come disciplina coerente e autonoma pochi decenni fa, gli imprenditori gestissero le proprie aziende quasi alla cieca, senza principi che ne governassero l’operato. Gli imprenditori migliori hanno sempre avuto ben presente l’importanza di ottenere un rendimento sul capitale investito superiore al costo di approvvigionamento del capitale stesso. Uno dei paradossi degli ultimi anni è proprio che un gran numero di manager di grandi aziende, presumibilmente sofisticate e con la possibilità di accedere alle più avanzate tecniche di finanza aziendale, abbiano perso di vista questi principi fondamentali.

La funzione obiettivo dell’impr esa dell’impresa Una disciplina non può svilupparsi in modo coerente nel tempo senza una funzione obiettivo unificatrice. Lo sviluppo della teoria della finanza aziendale può essere ricondotto alla scelta di un’unica funzione obiettivo e alla co-

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struzione di modelli intorno a essa. Tale funzione è la massimizzazione del valore dell’impresa. Di conseguenza ogni decisione (di investimento, di finanziamento o relativa ai dividendi) che aumenti il valore dell’impresa è “giusta”, mentre una decisione che ne riduca il valore è “sbagliata”. Se è vero che la scelta di questa funzione obiettivo ha dato alla finanza aziendale un tema unificatore e una coerenza interna, c’è stato un prezzo da pagare. Infatti, finché si accetta tale funzione obiettivo, la maggior parte dei precetti teorici di finanza aziendale hanno senso. Tuttavia, nel momento in cui la funzione obiettivo viene messa in discussione, l’intera impalcatura teorica su di essa costruita rischia di cedere. Molte controversie tra i teorici della finanza aziendale e gli “altri” (sia nel mondo accademico che in quello professionale) possono essere ricondotte a modi fondamentalmente diversi di concepire la funzione obiettivo per l’impresa. Per esempio, alcuni sostengono che le imprese dovrebbero avere molteplici obiettivi, data la molteplicità di interessi da soddisfare (azionisti, lavoratori, clienti), mentre altri ritengono che le imprese dovrebbero focalizzarsi su obiettivi considerati più semplici e diretti, come quota di mercato o redditività. Data l’importanza di questa funzione obiettivo per lo sviluppo e l’applicabilità della teoria della finanza aziendale, è importante esaminarla più da vicino e discutere alcuni problemi che pone e le critiche che le sono state mosse. In particolare, questa funzione obiettivo parte dal presupposto che le scelte che gli azionisti compiono nel proprio interesse siano anche nell’interesse dell’impresa; richiede l’esistenza di mercati efficienti; non tiene in considerazione i costi sociali connessi alla massimizzazione del valore. Nel Capitolo 2 prenderemo in considerazione questi e altri problemi e metteremo a confronto massimizzazione del valore dell’impresa e possibili funzioni obiettivo alternative.

Il Principio di Inv estimento Investimento Le risorse che le imprese hanno a disposizione per svolgere la propria attività sono limitate, e ciò impone delle scelte fra opportunità di utilizzo alternative. La prima e più importante funzione della finanza aziendale in quanto teoria è fornire alle imprese dei criteri per prendere queste decisioni in modo ottimale. Per politiche di investimento intendiamo non solo il tipo di decisioni che generano ricavi e profitti (come l’introduzione di una nuova linea di prodotti), ma anche quelle che permettono di ridurre i costi (come l’organizzazione di un nuovo e più efficiente sistema di distribuzione). Inoltre, riteniamo che anche le decisioni su quante e quali scorte mantenere in magazzino, o sul credito da accordare ai clienti — decisioni spesso classificate come attinenti al capitale circolante – siano, in ultima analisi, decisioni di investimento. All’altro estremo, possono considerarsi decisioni di investimento anche decisioni generali di carattere strategico, quali l’ingresso in nuovi mercati o l’acquisizione di altre società. Secondo i principi della finanza aziendale, per decidere se intraprendere o meno un progetto di investimento, è necessario confrontarne il rendimento

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atteso, opportunamente misurato, con una soglia minima di rendimento. Questa soglia minima di rendimento deve essere direttamente proporzionale alla rischiosità del progetto e deve riflettere la struttura finanziaria utilizzata, vale a dire la combinazione di fondi propri (capitale netto) e denaro preso in prestito (capitale di terzi). Nel Capitolo 3 cominceremo ad analizzare questo processo definendo la nozione di rischio e sviluppando un procedimento per misurarlo. Nel Capitolo 4 descriveremo come convertire la misura del rischio in una soglia minima di rendimento, sia per un’intera impresa, sia per singoli progetti. Una volta stabilita la soglia minima di rendimento, rivolgeremo la nostra attenzione alla misurazione del rendimento di un progetto di investimento. Nel Capitolo 5, valuteremo in particolare tre alternative: tradizionali misure contabili di rendimento, flussi di cassa e flussi di cassa attualizzati (per i quali consideriamo non solo l’ammontare dei flussi di cassa, ma anche la loro distribuzione temporale). Nel Capitolo 6 prenderemo in esame alcuni potenziali costi collaterali che sfuggono a queste misurazioni, come ad esempio i “costi opportunità” che si debbono sostenere qualora nuovi progetti sottraggano risorse agli investimenti in essere. Allo stesso modo, esamineremo pure i possibili benefici indotti di un nuovo investimento, come l’opzione di entrare in un nuovo mercato o di espandersi, e le sinergie, importanti soprattutto quando il nuovo investimento consiste nell’acquisizione di un’altra azienda.

Il Principio di Finanziamento Nel contesto del Principio di Investimento, abbiamo implicitamente assunto l’esistenza di una certa struttura finanziaria, e ne abbiamo esaminato le implicazioni per la determinazione della soglia minima di rendimento. Nella sezione sul Principio di Finanziamento affronteremo la questione di fondo: è la struttura finanziaria esistente quella giusta? Anche se aspetti legali o altri fattori esterni talora possono porre dei limiti alla composizione delle fonti di finanziamento che un’impresa può utilizzare, esiste comunque un ampio spazio di flessibilità e discrezione nelle decisioni di finanziamento. Cominceremo ad analizzare questo problema nel Capitolo 7, passando in rassegna le alternative a disposizione delle imprese quotate e non quotate, in un’ampia gamma che va dal capitale a titolo di proprietà fino al capitale di terzi. Poi passeremo a esaminare se la struttura finanziaria utilizzata da un’impresa sia quella “ottimale” alla luce della nostra funzione obiettivo, ovvero la massimizzazione del valore dell’impresa. Dopo aver individuato a livello qualitativo benefici e costi dell’indebitamento, nel Capitolo 8 prenderemo in considerazione due approcci alla determinazione della struttura finanziaria ottimale. Il primo ci permetterà di individuare in quali circostanze la struttura finanziaria ottimale risulta essere quella che minimizza la soglia minima di rendimento. Il secondo ci consentirà di esaminare gli effetti che si producono sul valore cambiando la struttura finanziaria. Nel Capitolo 9 descriveremo come passare dalla struttura finanziaria esistente a quella ottimale, tenendo presenti le opportunità di

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investimento a disposizione dell’impresa e l’eventuale necessità di agire in tempi brevi, magari perché l’impresa è il target di un tentativo di scalata oppure perché è in grave dissesto finanziario. Una volta individuata la struttura finanziaria ottimale, ci soffermeremo a considerare quale tipo di finanziamento l’impresa dovrebbe utilizzare (a lungo o a breve termine? a tasso fisso o variabile? e se variabile, in funzione di cosa?). Nel Capitolo 9 enunceremo il nostro principio guida: per minimizzare il rischio finanziario e sfruttare al massimo la propria capacità di indebitamento un’impresa deve bilanciare i flussi di cassa in uscita derivanti dal debito con i flussi di cassa in entrata generati dalle attività finanziate. Aggiungeremo quindi alcune considerazioni relative agli aspetti fiscali e al ruolo di controllo (monitoring) svolto da soggetti esterni (analisti finanziari e agenzie di rating), per poi concludere con delle raccomandazioni piuttosto “forti” su quello che riteniamo essere il design ottimale degli strumenti di finanziamento.

Il Principio dei Dividendi Tutte le imprese vorrebbero senza dubbio avere illimitate opportunità di investimento con un tasso di rendimento superiore alla soglia minima accettabile. Molte di esse, tuttavia, crescendo raggiungono uno stadio in cui il flusso di cassa generato dagli investimenti esistenti è maggiore dei fondi richiesti dalle opportunità d’investimento in grado di creare valore (di ottenere cioè un rendimento superiore alla soglia minima). A questo punto, le imprese devono trovare il modo di restituire questa eccedenza di flussi di cassa ai proprietari. Nelle società non quotate, ciò può avvenire tramite il semplice ritiro, da parte dei proprietari, di una parte dei fondi investiti nell’impresa. Nelle società quotate in Borsa, invece, ciò avverrà tramite il pagamento di dividendi o il riacquisto di azioni proprie. Nei Capitoli 10 e 11 introdurremo i criteri sulla base dei quali decidere se tale eccedenza debba rimanere in un’impresa o essere restituita. Per gli azionisti delle società quotate in Borsa, questa decisione dipenderà fondamentalmente dalla fiducia riposta nel management dell’impresa; e tale fiducia, a sua volta, dipenderà in gran parte dal modo in cui il management ha investito i fondi affidatigli in passato. Prenderemo anche in considerazione le diverse modalità di restituzione del denaro ai proprietari — dividendi, riacquisto di azioni propri e spin-off — e vedremo come scegliere tra queste opzioni.

Decisioni di finanza aziendale, valor e valore dell’impr esa e valor e del capitale netto dell’impresa valore Se la funzione obiettivo è la massimizzazione del valore dell’impresa, il valore dell’impresa deve essere in qualche modo legato alle tre grandi decisioni di finanza aziendale che abbiamo descritto — investimento, finanziamento e di-

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videndi. Il legame fra queste decisioni e il valore dell’impresa è dato dal fatto che il valore di un’impresa è il valore attuale dei flussi di cassa attesi, attualizzati a un tasso che rifletta la rischiosità degli investimenti e la struttura finanziaria utilizzata per finanziarli. Gli investitori formano delle aspettative sui flussi di cassa futuri in base all’osservazione dei flussi di cassa correnti e alle previsioni di crescita futura, le quali, a loro volta, dipendono dalla qualità dei progetti dell’impresa (le decisioni di investimento) e dal tasso di reinvestimento degli utili (che dipende dalla politica dei dividendi). Le decisioni di finanziamento influiscono sul valore di un’impresa tramite il tasso di attualizzazione e, potenzialmente, anche tramite i flussi di cassa attesi. Questa chiara definizione di valore viene messa alla prova dalle interazioni fra politica di investimento, politica di finanziamento e politica dei dividendi, nonché dai conflitti di interesse tra azionisti e obbligazionisti da una parte, e tra azionisti e management dall’altra. Introdurremo i modelli base disponibili per la valutazione di un’azienda e del suo capitale netto nel Capitolo 12, mettendoli ancora una volta in relazione con le decisioni manageriali in termini di investimenti, struttura finanziaria e distribuzione dei dividendi. In questo contesto esamineremo i fattori che determinano il valore di un’impresa e i diversi modi in cui le imprese possono accrescere il proprio valore.

Esempi applicativi: obiettivo su aziende r eali reali La sempre maggiore facilità di ottenere informazioni sull’operato di aziende di ogni tipo e dimensione suggerisce che non abbiamo bisogno di utilizzare imprese ipotetiche per illustrare i principi della finanza aziendale. Per questo motivo, nel seguito del libro faremo riferimento a quattro imprese per illustrare le nostre convinzioni in tema di gestione finanziaria aziendale: 1. Disney Corporation La Disney Corporation è una società quotata in Borsa con numerose partecipazioni nel settore dello spettacolo e della comunicazione. Sebbene molti identifichino la Disney con il logo di Mickey Mouse, o con Disney World, o con i classici cartoni animati di Walt Disney, si tratta di un’impresa ben più diversificata. Le partecipazioni della Disney includono proprietà immobiliari (sotto forma di multiproprietà e proprietà da locare in Florida e South Carolina), reti televisive (ABC e ESPN), pubblicazioni, studi cinematografici (Touchstone Pictures) e attività commerciali al dettaglio (ci sono 610 negozi Disney nel mondo). La Disney ci aiuterà a illustrare le scelte che società grandi e diversificate devono compiere nell’affrontare le classiche decisioni di finanza aziendale: dove investire? Come finanziare gli investimenti? Quanto restituire agli azionisti? 2. Bookscape Books Si tratta di un negozio di libri indipendente sito in New York City, uno dei pochi rimasti dopo l’invasione delle catene di librerie

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come Barnes and Noble e Borders Books. Utilizzeremo Bookscape Books per illustrare alcuni problemi che riguardano le imprese non quotate, per le quali vi è una limitata disponibilità di informazioni. 3. Aracruz Cellulose Aracruz Cellulose è un’azienda brasiliana che produce pasta di cellulosa di Eucalyptus (utilizzata per la fabbricazione di carta di alta qualità) e gestisce stabilimenti per la produzione di pasta di legno, impianti elettrochimici e terminal portuali. Noi la utilizzeremo per illustrare problematiche specifiche ad aziende che operano in una economia in transizione e in un contesto caratterizzato da inflazione elevata e instabile. 4. Deutsche Bank La Deutsche Bank è la principale banca commerciale tedesca, e dopo l’acquisizione della banca di investimento inglese Morgan Grenfell svolge anche un ruolo di primo piano nell’attività di collocamento. Useremo la Deutsche Bank per illustrare alcuni problemi che nascono quando un’impresa di servizi finanziari deve prendere decisioni relative a investimenti, finanziamenti e dividendi in un ambiente altamente regolamentato.

Guida alle risorse Per rendere questo libro interattivo e tenerlo aggiornato, utilizzeremo una serie di soluzioni: ■ Questo simbolo precede gli esempi in cui le quattro aziende sopra elencate verranno utilizzate per applicare i principi della finanza aziendale. ■ Questo simbolo indica una serie di spreadsheet, disponibili sul sito Web di supporto al libro, che possono essere adoperati per applicare i modelli descritti (ad esempio, vi sono spreadsheet per la stima della struttura finanziaria ottimale e per la valutazione d’azienda). ■ Questo simbolo indica il riferimento a file di dati, sempre disponibili sul sito Web di supporto al libro, che vengono mantenuti aggiornati e che sono necessari per effettuare le analisi proposte (ad esempio, nel contesto della stima dei parametri di rischio di un’azienda richiameremo l’attenzione su un file di dati contenente valori medi di tali parametri per i diversi settori industriali). ■ Questo simbolo ricorre con una certa regolarità. Infatti, per sottolineare i punti chiave del capitolo, spesso ci fermeremo per chiedere al lettore di rispondere ad alcune domande, ispirate da problemi concreti; le relative risposte sono disponibili sul sito Web di supporto al libro. ■ Questo simbolo, infine, precede momenti di approfondimento, in cui analizziamo alcuni problemi di carattere pratico che possono sorgere nella gestione finanziaria delle aziende e discutiamo le possibili soluzioni.

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Alcuni aspetti fondamentali della finanza aziendale Nel corso del libro, faremo più volte riferimento ad alcune caratteristiche fondamentali della finanza aziendale: 1. La finanza aziendale ha una sua coerenza interna, che le deriva dalla scelta di un’unica funzione obiettivo (la massimizzazione del valore dell’impresa) e da alcune convinzioni forti: il rischio deve essere remunerato; i flussi di casa sono più importanti delle misure contabili; non è facile ingannare i mercati; ogni decisione aziendale ha un impatto sul valore dell’impresa. 2. La finanza aziendale va vista nel suo insieme, piuttosto che come un aggregato di precetti sparsi. Le decisioni di investimento in genere hanno un impatto sulle decisioni di finanziamento (e viceversa), che a loro volta condizionano le politiche dei dividendi (e viceversa). Raramente queste decisioni possono essere considerate indipendenti l’una dall’altra. Per questo motivo è assai improbabile che aziende che considerino queste decisioni come distinte l’una dall’altra possano mai davvero risolvere il problema di fondo. Ad esempio, un’impresa che riducesse il livello dei dividendi, ritenendolo la fonte dei propri problemi, potrebbe risentirne nelle sue politiche di investimento e finanziamento. 3. La finanza aziendale serve a tutti. In ogni decisione presa da un’impresa vi è un aspetto di finanza aziendale e tutti possono trovare utili almeno alcune aree della finanza aziendale. 4. La finanza aziendale è divertimento. Questa può sembrare l’affermazione più sorprendente. Molti associano infatti la finanza aziendale a numeri, bilanci e fredde analisi quantitative. Sebbene la finanza aziendale abbia certo una importante dimensione quantitativa, vi è anche una significativa componente di creatività nell’ideare soluzioni ai problemi finanziari concreti che un’attività di impresa si trova ad affrontare. 5. Il modo migliore per apprendere la finanza aziendale è applicarla concretamente. Il test ultimo della validità di un qualunque modello teorico è la sua applicazione pratica. In questo libro dimostriamo che una gran parte della teoria della finanza aziendale può essere applicata non solo ad astratti esempi, ma anche ai problemi pratici di aziende reali.

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Riepilogo Questo capitolo descrive i principi guida della finanza aziendale: il Principio di Investimento, secondo il quale bisogna investire solo in progetti il cui rendimento superi una certa soglia minima; il Principio di Finanziamento, secondo il quale la struttura finanziaria ottimale è quella che massimizza il valore degli investimenti compiuti; il Principio dei Dividendi, secondo il quale i flussi di cassa “in eccesso” debbono essere restituiti ai proprietari.

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L’obiettivo

Se non sai dove andare, non puoi sapere come arrivarci. Anonimo La forza della finanza aziendale, ma al tempo stesso anche la sua debolezza, sta nel porsi come obiettivo la massimizzazione del valore dell’impresa. Da un lato, infatti, attorno a tale obiettivo essa può costruire un sistema coerente e integrato di modelli e teorie, capace di guidare le decisioni aziendali di investimento e finanziamento; dall’altro, però, i risultati ottenuti hanno valore soltanto nella misura in cui si mantenga questa funzione obiettivo. Nel corso di questo capitolo spiegheremo le ragioni che ci inducono a scegliere la massimizzazione del valore dell’impresa come funzione obiettivo. In particolare, esamineremo sotto quali condizioni essa risulti essere la “giusta” funzione obiettivo, i problemi in cui può incorrere un’azienda nella sua applicazione e alcuni possibili rimedi. Tale analisi ci porterà a concludere che, malgrado tali problemi, la massimizzazione del valore dell’impresa risulta di gran lunga superiore a funzioni obiettivo alternative, se non altro perché intrinsecamente dotata di meccanismi autocorrettivi.

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La funzione obiettivo tr adizionale tradizionale I teorici della finanza aziendale sono in genere concordi nel sostenere che l’obiettivo di un’impresa è la massimizzazione del valore. Più dibattuto è se questo implichi la massimizzazione del patrimonio degli azionisti (stockholder wealth) o dell’intero patrimonio dell’azienda (firm wealth o firm value), che include, oltre agli azionisti, anche altre classi di investitori (obbligazionisti, banche, azionisti di risparmio ecc…). Inoltre, anche coloro che propendono per la massimizzazione del patrimonio degli azionisti non sono concordi sulla questione se questo si traduca o meno nella massimizzazione dei prezzi azionari (stock price). Queste tre funzioni obiettivo sono caratterizzate dalle diverse ipotesi necessarie a giustificarle. Da questo punto di vista, la meno restrittiva fra le tre risulta la massimizzazione del patrimonio aziendale, e la più restrittiva la massimizzazione dei prezzi azionari.

P er ché puntar e alla massimizzazione erché puntare dei pr ezzi azionari? prezzi Ci sono tre motivi per cui la finanza aziendale tradizionale si concentra sulla massimizzazione del prezzo azionario. Innanzitutto il prezzo azionario è un parametro immediatamente e costantemente osservabile per giudicare l’operato di una società quotata in Borsa. A differenza di altri parametri quali utili o fatturato, i prezzi azionari vengono infatti continuamente aggiornati, riflettendo così istantaneamente nuove informazioni circa l’operato di un’azienda. Ciò consente al management di avere un immediato riscontro delle iniziative intraprese. Si prenda ad esempio la reazione dei mercati all’annuncio di un progetto di acquisizione. Nella maggior parte dei casi, sebbene il management decanti le virtù dell’operazione di acquisizione, i prezzi azionari dell’azienda che tenta la scalata scendono notevolmente, a testimonianza del fatto che i mercati sottopongono a vaglio critico le affermazioni del management. Il secondo motivo è che i prezzi azionari, in un mercato razionale, riflettono gli effetti di lungo termine delle politiche aziendali. Diversamente da parametri quali il fatturato o la quota di mercato (market share), che riflettono solo l’effetto immediato dell’operato di un’impresa, il valore di un’azione, per definizione, riflette anche gli effetti di lungo termine e le prospettive future dell’azienda. In un mercato razionale, i prezzi azionari rappresentano il tentativo da parte degli investitori di misurare questo valore. Anche se tale processo è soggetto a un margine di errore, una stima approssimativa del valore di lungo termine di un’azienda va comunque preferita a una stima magari più precisa ma limitata alla capacità reddituale attuale. Infine, scegliere la massimizzazione dei prezzi azionari come funzione obiettivo consente di individuare chiaramente il modo migliore per scegliere i progetti di investimento e le modalità di finanziamento.

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Domanda di verifica 2.1 La funzione obiettivo dell’azienda Quale ritieni debba essere la funzione obiettivo di un’azienda? ■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, senza vin-

coli di alcun tipo. ■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, ma a patto

di comportarsi da buon cittadino nella società. ■ Massimizzare i profitti o la redditività. ■ Massimizzare la quota di mercato. ■ Massimizzare il fatturato. ■ Massimizzare il bene pubblico. ■ Altro.

La classica teoria dell’impr esa dell’impresa Nella tipica società quotata in Borsa, gli azionisti affidano al management il compito di gestire l’azienda per loro conto; il management a sua volta si rivolge alle banche o al mercato obbligazionario per finanziare le operazioni dell’azienda; gli azionisti, tramite l’acquisto e la vendita di azioni, rispondono alle informazioni fornite loro dal management sull’operato dell’azienda; quest’ultima, infine, si muove nel contesto più ampio della società in cui opera. Concentrandosi sulla massimizzazione del patrimonio degli azionisti, la finanza aziendale si espone a diversi rischi. Innanzitutto, i manager incaricati dagli azionisti di gestire l’azienda possono avere interessi personali che divergono dalla massimizzazione del patrimonio degli azionisti. In secondo luogo, il patrimonio degli azionisti può essere incrementato a spese delle altre categorie di investitori (obbligazionisti, banche, creditori ecc.). In terzo luogo, le informazioni che circolano nei mercati finanziari possono essere imprecise o fuorvianti, e/o la reazione dei mercati può rivelarsi sproporzionata. Infine, le aziende che puntano alla massimizzazione del valore possono creare elevati costi sociali di cui non si trova traccia nei bilanci societari. Questi conflitti di interesse diventano ancor più rilevanti se consideriamo anche gli altri portatori di interessi in un’azienda, quali dipendenti e clienti. Infatti i dipendenti possono avere poco o nessun interesse alla massimizzazione del patrimonio degli azionisti, puntando piuttosto all’incremento della propria retribuzione e alla sicurezza del posto di lavoro. In alcuni casi interessi di questo tipo si rivelano in netto contrasto con la massimizzazione del patrimonio degli azionisti. Ai clienti, dal canto loro, probabilmente interesserà che i prodotti e i servizi dell’azienda siano disponibili a un prezzo basso. Anche questo, tuttavia, potrebbe essere in conflitto con gli interessi degli azionisti.

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P otenziali costi collater ali collaterali della massimizzazione del valor e valore L’impresa che sceglie come unico obiettivo la massimizzazione del valore (sia esso inteso come patrimonio dell’azienda o come patrimonio degli azionisti), può generare costi sociali talmente elevati da superare i benefici derivanti da questa funzione obiettivo. In tali casi, la funzione obiettivo può dover essere modificata, anche se, a dire il vero, funzioni obiettivo alternative non sembrano in grado di risolvere completamente questo problema. Porre come obiettivo la massimizzazione del valore può essere problematico anche quando la proprietà dell’impresa è disgiunta dalla gestione (come accade nella maggior parte delle grandi aziende quotate in Borsa), per via del possibile conflitto di interessi fra azionisti/proprietari e management. In numerose situazioni, infatti, l’obiettivo della massimizzazione del valore potrebbe scontrarsi con gli interessi personali del management. Un ulteriore conflitto di interessi, questa volta fra azionisti e obbligazionisti, può sorgere se la funzione obiettivo è la massimizzazione del patrimonio degli azionisti. Dal momento che di solito gli azionisti controllano il processo decisionale e che gli strumenti di tutela a disposizione degli obbligazionisti non sono perfetti, un modo per incrementare il patrimonio degli azionisti è quello di trasferire ricchezza dagli obbligazionisti agli azionisti, anche a costo di ridurre il patrimonio dell’azienda. Infine, quando la funzione obiettivo scelta è la massimizzazione dei prezzi azionari, eventuali inefficienze dei mercati finanziari possono produrre un’errata allocazione delle risorse e indurre decisioni sbagliate. Per esempio, se i prezzi azionari non riflettono le conseguenze di lungo termine delle decisioni aziendali ma soltanto, come alcuni sostengono, gli effetti immediati sui profitti, una decisione che in realtà incrementa il patrimonio degli azionisti, ma nell’immediato fa diminuire i profitti, potrebbe portare a una diminuzione del prezzo dell’azione. Allo stesso modo, una decisione che riduce il patrimonio degli azionisti, ma al contempo genera un incremento immediato dei profitti, potrebbe aumentare il prezzo dell’azione.

In pratica Qual è l’obiettivo per un’impr esa non quotata un’impresa o un’organizzazione non-pr ofit? non-profit? Massimizzare il prezzo azionario può rappresentare la funzione obiettivo soltanto per le aziende quotate in Borsa. Per le aziende non quotate, l’obiettivo rimane la massimizzazione del valore dell’impresa. I principi guida per le politiche di investimento, di finanziamento e dei dividendi che analizzeremo nei capitoli seguenti sono validi sia per le aziende quotate in Borsa che per quelle non quotate, essendo entrambe orientate alla massimizzazione del valore del-

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l’impresa. Tuttavia, dal momento che per le aziende non quotate il valore dell’impresa non è una misura direttamente osservabile e necessita di una stima, a esse mancherà quel riscontro immediato – talvolta indesiderato – disponibile invece alle aziende quotate quando si trovano a dover prendere delle decisioni importanti. Risulta molto più difficile applicare i principi della finanza aziendale alle organizzazioni non-profit, in quanto in genere il loro obiettivo è quello di fornire un servizio nel modo più efficiente possibile, piuttosto che di ottenere profitti. Nel seguito esamineremo alcuni dei fattori che questo tipo di organizzazioni devono tenere in considerazione nel prendere decisioni di investimento e di finanziamento.

Un mondo ideale… È possibile concepire uno scenario in cui la massimizzazione dei prezzi azionari rappresenta la “giusta” funzione obiettivo, senza effetti collaterali negativi né conflitti di interessi. In questo mondo ideale dovrebbero verificarsi, contemporaneamente, tutte le seguenti condizioni: 1. Il management mette in secondo piano i propri interessi dando precedenza a quelli degli azionisti. Questo può verificarsi o perché i manager temono che gli azionisti provvedano a destituirli, o perché detengono un numero rilevante di azioni e dunque la massimizzazione del patrimonio degli azionisti diventa anche il loro obiettivo principale. 2. Coloro che prestano fondi all’azienda sono completamente protetti da tentativi di espropriazione da parte degli azionisti. Questa situazione può verificarsi nel caso in cui gli azionisti vogliano tutelare la propria reputazione sul mercato dei capitali, vale a dire la capacità di ottenere fondi a prestito in futuro sul mercato obbligazionario, e quindi non prenderanno mai provvedimenti tesi a espropriare ricchezza da obbligazionisti e altri investitori; oppure nel caso in cui questi ultimi riescano a proteggersi completamente introducendo nel contratto una serie di clausole che impediscono all’azienda di intraprendere azioni che risultino in una riduzione del loro patrimonio. 3. Il management non cerca di ingannare i mercati finanziari circa le prospettive future dell’azienda; la quantità e qualità delle informazioni disponibili è sufficiente perché i mercati possano valutare gli effetti dell’operato dell’azienda in termini di valore; i mercati sono razionali e ragionevoli nella loro valutazione di tale operato e delle prevedibili conseguenze in termini di valore. 4. Non ci sono costi sociali, nel senso che tutti i costi prodotti dall’azienda nel tentativo di massimizzare il patrimonio degli azionisti possono essere misurati e imputati all’azienda stessa. Qualora si verifichino queste condizioni, la massimizzazione del patrimonio degli azionisti non produce effetti collaterali negativi, e i prezzi azionari riflet-

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tono correttamente il patrimonio degli azionisti. Il management può così concentrarsi su un unico obiettivo: massimizzare i prezzi azionari. Affinché sia valida come funzione obiettivo la massimizzazione del patrimonio dell’azienda non sono necessari come presupposti né l’efficienza del mercato né la protezione degli obbligazionisti; la massimizzazione del patrimonio degli azionisti presuppone invece quest’ultima condizione. I requisiti necessari per mantenere la funzione obiettivo tradizionale sono sintetizzati nella Figura 2.1.

Figura 2.1

La funzione obiettivo tradizionale

I pr oblemi problemi Nel paragrafo precedente abbiamo elencato i requisiti necessari perché la massimizzazione dei prezzi azionari rappresenti l’unica funzione obiettivo. È facile tuttavia constatare che nella realtà questi requisiti non sono sempre soddisfatti. Il management non sempre prende decisioni che vanno incontro agli interessi degli azionisti; gli azionisti a volte prendono iniziative che trasferiscono a essi parte del patrimonio degli obbligazionisti o di altri investitori; l’informazione che circola nei mercati è approssimativa e talora fuorviante; ci sono costi sociali che non possono essere misurati e imputati all’azienda che li ha generati. Nei paragrafi seguenti prenderemo in considerazione alcuni dei modi in cui questi quattro rapporti – azionisti/management, azionisti/obbligazionisti,

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azionisti/mercato e azionisti/società – possono innescare un corto circuito nella funzione obiettivo basata sulla massimizzazione del prezzo azionario.

Azionisti e management In linea teorica, gli azionisti hanno il potere di disciplinare ed eventualmente destituire i manager che non dimostrino di operare nel loro interesse. I due meccanismi a disposizione degli azionisti per l’esercizio di questo potere sono l’assemblea annuale, in seno alla quale è possibile manifestare riserve circa l’operato del management e sostituirlo se necessario, e il consiglio di amministrazione (Board of Directors), il cui compito fiduciario è assicurare che il management agisca nell’interesse degli azionisti. Ma quanto sono efficaci queste istituzioni nel consentire agli azionisti di esercitare un reale potere di controllo sul management? Prendiamo in esame l’assemblea annuale. La maggior parte degli azionisti non partecipano alle assemblee annuali, o perché non ritengono che la loro presenza e il loro voto possano avere un impatto significativo, o perché partecipare sarebbe eccessivamente costoso. Essi possono tuttavia esercitare il diritto di voto per delega1, ma, salvo che ci sia una cosiddetta battaglia di deleghe (proxy fight), il management in carica parte con un netto vantaggio 2. Infatti molti azionisti, soprattutto i piccoli azionisti, non esercitano nemmeno il loro diritto di voto per delega, e anche quando lo esercitano la soluzione più semplice è spesso votare per il management in carica. Anche per gli azionisti con una quota azionaria significativa (investitori istituzionali ecc.), dato che in genere essi detengono partecipazioni azionarie in molte altre società, l’opzione più semplice quando non sono soddisfatti del management in carica è quella di vendere le proprie azioni3. Un atteggiamento meno passivo da parte di questa categoria di azionisti contribuirebbe significativamente a rendere il management più attento e sensibile agli interessi degli azionisti stessi. La recente tendenza a un maggiore attivismo da parte dei maggiori azionisti sarà documentata nei paragrafi seguenti. Anche il potere del consiglio di amministrazione di disciplinare il management e di renderlo responsabile di fronte agli azionisti viene in pratica ridotto da una serie di fattori:

1 La delega autorizza gli azionisti a votare sulla nomina del consiglio di amministrazione e sulle decisioni che sono oggetto di voto in seno all’assemblea. La delega non consente invece di porre domande direttamente al management. 2 Tale vantaggio è maggiore se lo statuto della società in questione consente al management in carica di votare per conto di quegli azionisti che non abbiano inviato le proprie deleghe di voto. Questo equivale a un’elezione in cui il candidato in carica automaticamente riceve i voti di tutti coloro che non si presentano a votare. 3 L’espressione anglosassone in tali casi è “to vote with your feet”; letteralmente “votare con i propri piedi”, ossia andarsene [N.d.C.].

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1. In molti casi, i membri del consiglio di amministrazione (director4) non possono dedicare molto tempo all’espletamento dei loro doveri fiduciari a causa di altri impegni o perché molti di essi fanno parte del consiglio di amministrazione di diverse società. Questo fenomeno è illustrato in modo chiaro in uno studio della società di “cacciatori di teste” Korn-Ferry5, secondo il quale nel 1992, in media, un membro del consiglio di amministrazione dedicava alle riunioni del consiglio complessivamente (durata delle riunioni più preparazione necessaria) 92 ore all’anno, in diminuzione rispetto alle 108 ore del 1988, e veniva pagato6 32.352 dollari, in aumento rispetto ai 19.544 dollari del 1988. 2. Anche gli amministratori che davvero cercano di capire le problematiche dell’azienda sono spesso ostacolati dalla mancanza di competenze specifiche in certe aree, quali ad esempio gli aspetti contabili e alcuni aspetti tecnici delle fusioni e acquisizioni, per le quali si affidano a esperti esterni. 3. Anche quando molti membri del consiglio di amministrazione risultino formalmente esterni all’azienda (outsider), non li si può considerare del tutto indipendenti, dal momento che il CEO (Chief Executive Officer)7 ha spesso l’ultima parola nella loro nomina. Lo studio di Korn-Ferry rivela che, nella ricerca di nuovi membri del consiglio, il 74% delle 426 società prese in esame si affida al presidente del consiglio di amministrazione (Chairman8), mentre soltanto il 16% si affida a società indipendenti specializzate in tale ricerca.

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In Gran Bretagna, il termine director viene invece riservato al management [N.d.C.].

5 Questo studio, riportato in un articolo del Wall Street Journal, analizza la composizione e il funzionamento dei consigli di amministrazione di grandi aziende quotate in Borsa, con particolare attenzione alla retribuzione dei consiglieri e al tempo da essi dedicato all’esercizio dei loro compiti. 6 Queste cifre rappresentano una sottostima in quanto non comprendono indennità e gratifiche come assicurazioni e benefici pensionistici. Una società di ricerca, la Hewitt Associates, rileva che il 67% delle 100 aziende prese in esame offre ai consiglieri di amministrazione programmi di pensionamento. 7

La figura italiana corrispondente è quella dell’Amministratore Delegato [N.d.C.].

8 Negli Stati Uniti, il Chairman è di frequente il CEO della società, soprattutto in piccole aziende. In Italia “i due ruoli di presidente e di amministratore delegato sono separati…” ma “…spesso i presidenti, invece di vigilare, hanno oscillato tra un ruolo puramente di rappresentanza — in totale commistione con il management — e un ruolo operativo, che deresponsabilizza la dirigenza e può creare tremendi disastri” (Corriere della Sera, 31 agosto 1999). La problematica relazione fra le due figure è esemplificata dal conflitto che occorse ai vertici dell’ENI, 1999. La “netta distinzione tra le funzioni del Presidente e quelle dell’Amministrazione Delegato” è enfatizzata nella nuova struttura di corporate governance dell’ENI (http://www.eni.it/italiano/azioni/governance/governance.html) [N.d.C.].

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4. Inoltre, la scelta ricade spesso su individui che ricoprono il ruolo di CEO (o comunque di membri del consiglio di amministrazione9) in altre società, con la conseguente possibilità di conflitti di interesse. 5. La maggior parte dei membri del consiglio di amministrazione detengono soltanto un piccolo numero o un numero simbolico di azioni della società in cui ricoprono tale ruolo, il che rende loro difficile calarsi nei panni degli azionisti quando il prezzo dell’azione scende. Uno studio della società di consulenza ISS (Institutional Shareholder Services), ha rivelato che, fra i membri del consiglio di amministrazione di 275 grandi società quotate in Borsa negli Stati Uniti, ben 27 non possedevano alcuna azione nella società in cui rivestivano tale carica, e il 5% circa possedeva meno di cinque azioni. L’effetto di tutti questi fattori è che spesso il consiglio di amministrazione viene meno al suo compito principale, ovvero proteggere gli interessi degli azionisti. Il CEO stabilisce l’ordine del giorno, presiede l’assemblea e controlla le informazioni. In genere, la ricerca del consenso finisce per soffocare ogni tentativo di confronto. Va anche notato che i recenti movimenti di riforma della corporate governance (documentati in un paragrafo successivo) sono nati grazie all’azione dei grandi investitori istituzionali, non per iniziativa dei consigli di amministrazione. L’incapacità del consiglio di amministrazione nel proteggere efficacemente gli azionisti può essere illustrata con numerosi esempi tratti dall’esperienza statunitense. Ma questo non deve farci perdere di vista un fatto ancora più preoccupante: il potere di controllo sul management da parte degli azionisti è comunque superiore negli Stati Uniti rispetto a qualsiasi altro mercato finanziario. Se infatti l’assemblea annuale e il consiglio di amministrazione sono spesso inefficaci negli Stati Uniti, essi hanno ancor meno potere in Europa e Asia. Alcuni studiosi del modello di corporate governance di Germania e Giappone sostengono che tali sistemi hanno sviluppato altri meccanismi per controllare l’operato del management, ma questa affermazione è difficilmente comprovabile.

9 È il fenomeno delle interlocking directorship. Ad esempio, come condizione per l’approvazione del takeover dell’INA da parte di Assicurazioni Generali, il Commissario per la Concorrenza Monti richiese che i membri del consiglio di amministrazione della Generali non ricoprissero simili cariche in altre società direttamente o indirettamente operanti nel settore delle assicurazioni. Come riportato dall’Economist (22 gennaio 2000) in quel momento “Mr. Lucchini” sedeva nel consiglio di sei grandi società (fra cui Mediobanca e Generali), in tre casi come presidente (fra cui Compart). Compart, Mediobanca e Generali erano i maggiori tre azionisti della società di assicurazioni La Fondiaria. Interlocking directorships sono frequenti in strutture industriali caratterizzate da significative partecipazioni azionarie incrociate (cross-stockholding), come Germania, Giappone e Italia [N.d.C.].

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Esempio applicativo Il caso del consiglio di amministr azione amministrazione della Disney L’analisi della composizione del consiglio di amministrazione della Disney ci permette di fare il punto su molti problemi riguardanti questa istituzione. Nel 1996 il consiglio di amministrazione della Disney era composto dai seguenti 16 membri: Manager ■ Michael D. Eisner, 54 anni: presidente del consiglio di amministrazione e

CEO. ■ Roy E. Disney, 66 anni: vice presidente del consiglio di amministrazione,

responsabile del business Animazione. ■ Sanford M. Litvack, 60 anni: senior executive vice president (VP) e respon-

sabile delle operazioni aziendali. ■ Richard A. Nunis, 64 anni: presidente del consiglio di amministrazione della

Walt Disney Attractions. Ex manager ■ Raymond L. Watson, 70 anni: presidente del consiglio di amministrazione della Disney nel 1983 e 1984. ■ E. Cardon Walker, 80 anni: presidente del consiglio di amministrazione e

CEO della Disney nel periodo 1980-83. Nell’anno fiscale 1996, grazie a un piano di incentivi, ha ricevuto pagamenti per un totale di 609.826 dollari per film in cui aveva investito fra il 1963 e il 1979. ■ Gary L. Wilson, 56 anni: chief financial officer (CFO) della Disney fra il

1985 e il 1989. Outsider (o presunti tali)10 ■ Reveta F. Bowers, 48 anni: direttore della scuola Center for Early Education, dove studiavano i figli di Eisner. ■ Ignacio E. Lozano Jr., 69 anni: presidente della Lozano Enterprises; editore

del quotidiano La Opinion di Los Angeles. ■ George J. Mitchell, 63 anni: procuratore di Washington D.C.; ex senatore

degli Stati Uniti. Il signor Mitchell ha ricevuto 50.000 dollari dalla Disney 10 Questi outside director con relazioni di tipo finanziario o personale con l’azienda vengono spesso indicati con il termine gray director [N.d.C.].

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per la sua consulenza su questioni di commercio internazionale nell’anno fiscale 1996. Inoltre il suo studio legale a Washington D.C. ha ricevuto come compenso addizionale 122.764 dollari. ■ Stanley P. Gold, 54 anni: presidente e CEO della Shamrock Holdings, Inc.,

che gestisce investimenti pari a circa un miliardo di dollari per conto della famiglia Disney. ■ Thomas S. Murphy, 71 anni: ex presidente del consiglio di amministrazione

e CEO della Capital Cities/ABC, Inc. ■ Rev. Leo J. O’Donovan, 62 anni: preside della Georgetown University, in

cui ha studiato uno dei figli di Eisner. Eisner, a sua volta ha fatto parte del consiglio della Georgetown University e ha devoluto più di un milione di dollari all’università. ■ Irwin E. Russell, 70 anni: procuratore di Beverly Hills; fra i suoi clienti figu-

ra anche Mr. Eisner. ■ Sidney Poitier, 69: attore. ■ Robert A. M. Stern, 57 anni: architetto di New York che ha disegnato nume-

rosi progetti per la Disney. Nell’anno fiscale 1996 il signor Stern ha ricevuto 168.278 dollari dalla Disney per le sue prestazioni. Senza voler mettere in dubbio l’onestà di questi individui, è certo interessante notare l’alto numero di insider (vale a dire, manager o ex manager della Disney) nel consiglio di amministrazione, nonché i rapporti fra i membri “esterni” e Eisner. È difficile pensare che essi si opporrebbero alle scelte di quest’ultimo. Nel 1997 il California Public Employees’ Retirement System (CalPERS) ha suggerito una serie di test per valutare l’efficacia di un consiglio di amministrazione di fronte a un potente CEO e li ha quindi applicati alle 500 aziende che costituiscono l’indice S&P 500. L’unica società a fallire in tutti questi test è stata proprio la Disney. Nel 1997, nella classifiche dei consigli di amministrazione aziendali delle maggiori società statunitensi, pubblicate da riviste quali Fortune e Business Week, la Disney risultava all’ultimo posto.

Quando il gatto non c’è, i topi ballano… Se i due meccanismi di corporate governance – l’assemblea annuale e il consiglio di amministrazione – non sono efficaci nel mantenere il management responsabile di fronte agli azionisti, come sostenuto nei paragrafi precedenti, non possiamo aspettarci che il management massimizzi il patrimonio degli azionisti, soprattutto quando i suoi interessi divergono da quelli degli azionisti. Ci sono numerosi esempi in tal senso. Negli anni ’80, il management di molte aziende oggetto di tentativi di scalata ostile (hostile takeover) riuscì a evitare la scalata rilevando le partecipazioni azionarie del candidato acquirente, in genere ad un prezzo di molto superiore a quello pagato da quest’ultimo. Questo processo, chiamato greenmail, produce conseguenze negative sui prezzi

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azionari, ma protegge la posizione del management in carica. Un altro strumento assai diffuso per evitare acquisizioni ostili è il golden parachute (letteralmente paracadute d’oro), una clausola in un contratto di lavoro che assicura al manager il pagamento di una certa somma (una tantum, oppure frazionata nel tempo), qualora il manager perda il proprio lavoro a seguito dell’acquisizione. Anche se alcuni economisti hanno giustificato il pagamento di golden parachute come un modo per ridurre i conflitti fra azionisti e management, risulta tuttavia sconcertante che i manager debbano aver bisogno di un’ulteriore forma di compensazione per fare quello che in realtà è il loro lavoro, cioè massimizzare il patrimonio degli azionisti. Infine, le aziende talvolta emettono dei titoli chiamati poison pills (letteralmente pillole di veleno), i diritti o i flussi di cassa sui quali sono attivati in caso di offerte di acquisto ostili. L’obiettivo è di rendere difficile e costosa l’acquisizione del controllo dell’azienda da parte di terzi. Va notato che i tre meccanismi elencati non richiedono l’approvazione degli azionisti e di solito vengono adottati da consigli di amministrazione accondiscendenti. Gli emendamenti contro le acquisizioni (antitakeover amendment) si prefiggono lo stesso obiettivo di greenmail e poison pill (cioè dissuadere dalle offerte di acquisto ostili), con l’importante differenza che richiedono però il consenso degli azionisti. Vi sono diversi tipi di emendamenti contro le acquisizioni. Citiamo i super-majority requirement (quando l’acquirente deve acquisire più della semplice maggioranza per acquistare l’azienda), i fairprice amendment (quando il prezzo di offerta deve superare un prezzo specificato relativamente ai profitti), e le staggered election del consiglio di amministrazione (elezioni a scaglione, il cui obiettivo è impedire che gli acquirenti prendano il controllo per molti anni). Si può sostenere che un’azienda beneficia da questi emendamenti, in quanto essi aumentano il potere negoziale del management nelle trattative relative all’acquisizione e impediscono le acquisizioni cosiddette two-tier takeover11. Tuttavia, queste motivazioni a favore degli antitakeover amendment sono credibili solo nella misura in cui si assuma che il management agisca negli interessi degli azionisti, il che resta da dimostrare.

Domanda di verifica 2.2 Emendamenti contr o le acquisizioni contro e fiducia nel management Supponi di essere chiamato, in qualità di azionista, a votare per un emendamento dello statuto volto a rendere più difficoltosi tentativi di scalata da parte di terzi e dare al management maggiori poteri. 11 In un two-tier takeover, l’acquirente offre un prezzo maggiore per il primo 51% disponibile a vendere le proprie azioni e un prezzo inferiore per coloro che offrono le proprie azioni successivamente.

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In quali delle seguenti società saresti più propenso a votare a favore di tale emendamento? ■ Società in cui i manager promettono di utilizzare questo potere per strap-

pare il pagamento di una somma maggiore di denaro per gli azionisti nella trattativa di vendita ■ Società che hanno operato male (in termini di profitti e prezzo azionario)

negli ultimi anni ■ Società che hanno operato bene (in termini di profitti e prezzo azionario)

negli ultimi anni ■ Non voterei per un tale emendamento

Ci sono molti modi in cui il management può danneggiare gli azionisti – investendo in cattivi progetti, scegliendo un livello di indebitamento eccessivo o troppo esiguo, o adottando meccanismi di difesa contro offerte d’acquisto che potenzialmente potrebbero aumentare il valore dell’azienda. Ma il modo più veloce e forse più significativo, viste le cifre coinvolte, per impoverire gli azionisti è quello di pagare troppo per l’acquisto di un’altra azienda. Chiaramente il management dell’azienda acquirente non ammetterà mai di offrire una somma eccessiva12, e anzi la giustificherà con un gran numero di motivi, quali l’esistenza di sinergie, questioni di carattere strategico, il fatto che l’azienda target è sottovalutata o mal gestita ecc… Gli azionisti delle aziende acquirenti non sembrano condividere però l’entusiasmo del management in queste acquisizioni, dal momento che spesso i prezzi azionari delle società acquirenti scendono in modo significativo all’annuncio dell’offerta d’acquisto13. Con la nostra trattazione non vogliamo insinuare che il management si comporti in modo venale o egoistico, ma evidenziare un problema ben più rilevante: quando si genera un conflitto di interessi fra azionisti e management, la massimizzazione del patrimonio degli azionisti scende in secondo piano rispetto agli interessi del management.

Azionisti e obbligazionisti In un mondo senza conflitti di interesse fra azionisti e obbligazionisti, questi ultimi non devono preoccuparsi di proteggersi contro possibili tentativi di 12 Una spiegazione del fenomeno degli eccessivi prezzi pagati in fusioni e acquisizioni si trova in Roll (1986), il quale sostiene che è lo hubris (orgoglio) manageriale a guidare il processo. 13 Jarrel, Brickley e Netter (1988) in uno studio dei rendimenti delle aziende acquirenti notano che gli excess return (vale a dire, i rendimenti azionari al netto del rendimento di mercato) di queste aziende all’annuncio di un’offerta d’acquisto sono diminuiti da una media del 4,95% negli anni ’60 a una media del 2% negli anni ’70 fino a una media del 1% negli anni ’80. You, Caves, Smith e Henry (1986) hanno preso in esame 133 fusioni risalenti al periodo fra il 1976 e il 1984 e hanno rilevato che nel 53% dei casi i prezzi azionari delle aziende offerenti subirono una diminuzione.

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espropriazione. Nella realtà, tuttavia, esistono vari modi in cui gli azionisti possono avvantaggiarsi della mancanza di meccanismi protettivi da parte degli obbligazionisti. Ad esempio, gli azionisti possono aumentare l’indice di indebitamento (leverage), o pagare maggiori dividendi.

La r adice del conflitto radice La radice del conflitto di interessi fra azionisti e obbligazionisti sta nella diversa natura dei diritti sui flussi di cassa spettanti ai due gruppi. Gli obbligazionisti in genere hanno priorità di pagamento rispetto agli azionisti, ma ricevono somme fisse, ammesso che l’azienda generi un livello di reddito sufficiente per adempiere ai suoi obblighi finanziari. Gli azionisti hanno invece diritto al pagamento dei flussi di cassa residuali, ma hanno l’opportunità di dichiarare fallimento nel caso in cui l’azienda non abbia i fondi necessari per adempiere ai suoi obblighi finanziari. Di conseguenza, nella scelta dei progetti di investimento e in altre decisioni dell’azienda, gli obbligazionisti valutano il rischio in modo molto più negativo rispetto agli azionisti, dal momento che essi ricevono somme fisse anche se l’investimento si rivela un grande successo, mentre possono sopportare una porzione significativa dei costi nel caso in cui si riveli un fiasco. Di seguito analizzeremo alcune delle situazioni in cui gli interessi di azionisti e obbligazionisti divergono.

Alcuni esempi del conflitto Gli obbligazionisti possono essere danneggiati da un incremento del leverage, soprattutto se di entità tale da interessare il rischio d’inadempienza dell’azienda e se gli obbligazionisti non sono protetti. Questo effetto si verifica in modo drammatico nel caso delle leveraged buy-out (LBO), operazioni di acquisizione finanziate tramite debito, caratterizzate da un notevole incremento dell’indice di indebitamento e dal conseguente calo del rating delle obbligazioni. In tal caso il prezzo delle obbligazioni tende a diminuire, riflettendo il maggior rischio d’inadempienza. La politica dei dividendi rappresenta un’altra fonte di conflitti di interesse fra azionisti e obbligazionisti. L’effetto prodotto da un aumento dei dividendi sui prezzi azionari può essere dibattuto a livello teorico, ma l’evidenza empirica è chiara. Aumenti dei dividendi, in media, sono seguiti da un rialzo del prezzo dell’azione, mentre tagli dei dividendi sono seguiti da una diminuzione del prezzo delle azioni. I prezzi delle obbligazioni, invece, reagiscono in modo negativo agli aumenti dei dividendi e in modo positivo ai tagli.

Conseguenze dei conflitti fr a azionisti e obbligazionisti fra Azionisti e obbligazionisti si prefiggono obiettivi diversi e alcune decisioni possono spostare ricchezza da un gruppo (di solito gli obbligazionisti) all’altro (di solito gli azionisti). Una funzione obiettivo incentrata sulla massimizzazione del patrimonio degli azionisti può indurre gli questi ultimi a prendere

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decisioni che danneggiano l’azienda nel suo complesso, ma che aumentano il loro patrimonio a spese degli obbligazionisti. Forse, però, la nostra enfasi su questa possibilità di espropriazione è esagerata, per due motivi. Gli obbligazionisti sono consapevoli del potere degli azionisti di intraprendere azioni che vadano contro i loro interessi, e normalmente possono proteggersi o inserendo clausole contrattuali volte a limitare il potere degli azionisti, o prendendo una partecipazione azionaria nell’azienda. Inoltre, la consapevolezza di dover ritornare in futuro a finanziarsi sui mercati obbligazionari spinge molte aziende ad agire in modo onesto, dal momento che il guadagno ottenibile a spese degli obbligazionisti con una di queste operazioni è probabilmente inferiore al danno derivante dalla cattiva reputazione che ne conseguirebbe. Problemi di questo tipo saranno analizzati in dettaglio nel paragrafo seguente.

L’azienda e i mer cati finanziari mercati Esiste un vantaggio nel mantenere una funzione obiettivo incentrata sul patrimonio degli azionisti o dell’azienda, piuttosto che sui prezzi azionari, perché in tal caso essa non richiede come presupposto l’efficienza dei mercati finanziari. Il lato negativo è tuttavia che il patrimonio degli azionisti o dell’azienda non può essere misurato facilmente, il che rende difficile stabilire degli standard per valutare il successo o il fallimento di un investimento. È vero che esistono modelli (alcuni dei quali saranno esaminati nel corso di questo manuale) per la misurazione del valore del capitale azionario o del valore dell’impresa, ma essi si basano su un gran numero di dati soggettivi e opinabili. Dal momento che una delle caratteristiche essenziali di una funzione obiettivo valida è che essa abbia un meccanismo di misurazione chiaro, è ovvio che una funzione obiettivo incentrata sui prezzi di mercato è da questo punto di vista superiore alle altre, poiché successi e insuccessi delle politiche aziendali sono rivelati dall’andamento dei prezzi azionari e sono perciò sotto gli occhi di tutti. Il problema dei prezzi di mercato è che, essendo essi stabiliti dai mercati finanziari, rifletteranno un valore reale soltanto in presenza di mercati finanziari efficienti, che utilizzano cioè le informazioni disponibili per ottenere stime precise e obiettive dei flussi di cassa futuri e della loro rischiosità. In tali mercati, sia le aziende che gli investitori accetteranno il prezzo azionario come corretta misura del successo delle decisioni aziendali. In questo contesto, due problemi possono sorgere. Il primo è che, qualora l’informazione risulti incompleta, non aggiornata o fuorviante, i prezzi di mercato devieranno dal valore reale, anche in un mercato altrimenti efficiente. Il secondo è che vi sono molti, sia fra gli accademici sia fra gli operatori professionali, che sostengono che i mercati non sono efficienti, anche quando l’informazione è completamente accessibile. In entrambi i casi, politiche volte a massimizzare i prezzi azionari possono non essere compatibili con la massimizzazione del valore di lungo termine dell’azienda.

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Domanda di verifica 2.3 La cr edibilità delle aziende credibilità nel for nir e informazione fornir nire Credi che l’informazione fornita dalle aziende sul loro operato sia di solito: ■ Onesta e veritiera? ■ Parziale? ■ Disonesta?

Il pr oblema dell’informazione problema I prezzi di mercato si basano sull’informazione, sia pubblica che privata14. Secondo la teoria tradizionale, l’informazione viene trasmessa in modo veloce e veritiero ai mercati finanziari. Nel mondo reale, esistono degli impedimenti a questo processo. Il primo è che l’informazione viene a volte soppressa o ritardata dalle aziende, soprattutto quando essa contiene cattive notizie. Oltre a un’ampia aneddotica su questo fenomeno, la prova più chiara che le aziende fanno operazioni di questo tipo deriva dagli studi su annunci delle aziende relativi agli utili di periodo e ai dividendi. In uno studio del 1987 sugli annunci degli utili di periodo, Penman ha notato che quelli contenenti le notizie peggiori vengono spesso diffusi in ritardo rispetto alla data stabilita. Inoltre, il mio studio su annunci di utili di periodo e dividendi per giorni della settimana alla New York Stock Exchange fra il 1982 e il 1986 rivela che gli annunci fatti il venerdì, soprattutto nelle ore successive alla chiusura dei mercati, contengono notizie più negative rispetto agli altri giorni della settimana. Questo suggerisce che il management, temendo una reazione spropositata dei mercati, cerca di rinviare le cattive notizie ai giorni in cui i mercati sono meno attivi o addirittura chiusi. Il secondo e più serio problema è che alcune aziende, preoccupate di accontentare i loro investitori e far salire il prezzo delle azioni, emettono informazioni volutamente fuorvianti circa la situazione attuale dell’azienda e le sue prospettive future, generando così una discrepanza fra valore e prezzo dell’azione. Prendiamo come esempio la Bre-X, una società canadese attiva nell’industria estrattiva che all’inizio degli anni 90 dichiarò di aver scoperto in Indonesia una delle più grandi miniere d’oro del mondo. La società fu fortemente pubblicizzata da analisti finanziari negli Stati Uniti e in Canada, ma nel 1997, fra la sorpresa di tutti gli analisti, si scoprì che si era trattato di una frode bella e buona, con conseguente crollo del prezzo delle azioni. 14 Con il termine informazione pubblica si intende l’informazione cui hanno accesso tutti gli investitori, mentre il termine informazione privata indica l’informazione ristretta agli insider dell’azienda o a pochi investitori.

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Le implicazioni di tali comportamenti fraudolenti per la finanza aziendale possono essere gravi, dal momento che il management spesso viene valutato e remunerato sulla base dei prezzi azionari. Infatti, grazie a stock option o piani di incentivi legati al prezzo azionario, probabilmente il management della Bre-X aveva già realizzato guadagni notevoli quando la frode venne alla luce.

Domanda di verifica 2.4 Reputazione e accesso al mer cato mercato Quale dei seguenti tipi di aziende più probabilmente proverà a ingannare i mercati? ■ Società che di rado si affidano ai mercati per reperire fondi (in quanto si

finanziano internamente). ■ Società che invece reperiscono fondi sul mercato dei capitali frequente-

mente. Motivare la risposta.

Il pr oblema del mer cato problema mercato Il timore che i mercati, nel formare i prezzi azionari, non riflettano correttamente l’informazione disponibile non è del tutto ingiustificato. Infatti, anche se l’informazione viene trasmessa ai mercati finanziari in modo completo e senza distorsioni, non c’è nessuna garanzia che il prezzo azionario risultante rappresenti una stima oggettiva del valore reale. Infatti, molti sostengono che il problema è ben più profondo e riguarda l’irrazionalità degli investitori, le cui stime sarebbero perciò poco attendibili. Alcune delle critiche che sono state mosse ai mercati finanziari sono legittime, alcune sono esagerate e altre sono infondate, ma tutte meritano di essere prese in considerazione. Non sempre i mercati finanziari valutano in modo ragionevole e razionale gli effetti di nuove informazioni sul prezzo di un’azione. In generale, la volatilità dei mercati finanziari è superiore rispetto alla volatilità dei fondamentali di un’azienda. Ad esempio, talvolta i mercati dimostrano eccessiva volatilità, reagendo anche di fronte a notizie prive di contenuto reale; oppure reagiscono in modo eccessivo, come ben sanno le società che annunciano utili al di sotto delle aspettative degli analisti (la cosiddetta negative surprise). In altri casi, essi guardano agli effetti immediati delle iniziative aziendali trascurando le implicazioni di lungo termine. Infine, vi sono casi in cui è il management stesso della società a “guidare” i mercati.

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Domanda di verifica 2.5 I mer cati sono miopi? mercati “Puntare sui prezzi di mercato spingerà le società a scegliere politiche a breve termine a spese del valore di lungo termine”. ■ Concordo con questa affermazione. ■ Non concordo con questa affermazione.

Motivare la risposta.

In pratica I mer cati sono davv er o miopi? mercati davver ero Molti sostengono che la massimizzazione dei prezzi azionari induce il management ad avere un orientamento di breve periodo (si veda per esempio il notissimo libro di Michael Porter sulle strategie competitive). Secondo questa tesi, i prezzi azionari sono determinati da trader, investitori a breve termine e analisti, vale a dire soggetti che mantengono le azioni per brevi periodi e sono interessati a prevedere gli utili del prossimo trimestre. Un management orientato alla creazione di valore nel lungo termine, piuttosto che ai risultati di breve periodo, sarebbe perciò penalizzato dai mercati. Ma l’evidenza empirica disponibile suggerisce, al contrario, che i mercati valutano le implicazioni di lungo termine più di quanto si creda. 1. Ci sono centinaia di aziende, specialmente quelle piccole o all’inizio della propria attività (startup), che non hanno al momento profitti o flussi di cassa, né prevedono di averne nel futuro immediato, ma che comunque riescono a reperire notevoli finanziamenti sui mercati sulla base delle aspettative di successo future. Se i mercati fossero così miopi come suggerito da alcuni, tali aziende non sarebbero riuscite a finanziarsi e quindi non avrebbero potuto svolgere la propria attività. 2. L’evidenza empirica mostra che semmai i mercati sottovalutano profitti e flussi di cassa attuali e sopravvalutano profitti e flussi di cassa futuri. Ad esempio, alcuni studi suggeriscono che le azioni con un basso rapporto prezzo-utili (e quindi elevati profitti attuali) sono state in genere sottovalutate dai mercati rispetto alle azioni con elevati rapporti prezzo-utili. 3. La reazione del mercato agli annunci di nuovi investimenti (in particolare quelli in ricerca e sviluppo) non è uniformemente negativa, come la tesi dei mercati miopi vorrebbe farci credere. Al contrario, la reazione è moderata, e i prezzi azionari in media salgono all’annuncio di nuovi investimenti.

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Il dilemma: cr eder e nei mer cati, o non cr eder e … creder edere mercati, creder edere L’informazione che arriva ai mercati finanziari è spesso poco aggiornata, imprecisa e fuorviante, e i prezzi che ne derivano rappresentano stime molto approssimative del valore reale. Tuttavia questo non può farci dimenticare il principale contributo dei mercati finanziari, vale a dire la capacità di assimilare e aggregare un’enorme quantità di informazioni circa le condizioni attuali e le prospettive future di un’azienda in un solo parametro, ovvero il prezzo azionario. Non esistono altri parametri in grado di dare una stima così aggiornata o completa della salute di un’azienda. L’importanza di avere un prezzo di mercato balza agli occhi quando si lavora con un’impresa non quotata. Nonostante il management delle aziende quotate si lamenti del continuo gioco delle parti con analisti e investitori, è di estremo valore sapere come gli investitori valutano le azioni intraprese dall’azienda.

L’azienda e la società La maggior parte delle decisioni prese dal management hanno delle implicazioni sociali, un problema di non facile soluzione. Una funzione obiettivo che punta a massimizzare il patrimonio dell’azienda o degli azionisti assume che i costi sociali collaterali siano talmente limitati da poter essere ignorati, oppure che essi possano essere misurati e imputati all’azienda. In molti casi questi assunti non corrispondono alla realtà delle cose. Vi sono infatti casi in cui i costi sociali sono considerevoli ma non possono essere imputati all’azienda. In questi casi, il management, pur consapevole dei costi, può scegliere di ignorarli e di massimizzare il patrimonio dell’azienda. I dilemmi etici che sorgono nel momento in cui un manager è costretto a scegliere fra la propria sopravvivenza in azienda (che può richiedere la massimizzazione del patrimonio degli azionisti) e gli interessi della società in senso ampio possono essere dibattuti a lungo, ma non esiste una soluzione semplice che possa essere offerta in questo libro. Nei casi in cui esistono costi sociali notevoli, di cui le aziende siano consapevoli, un approccio etico al problema sosterrebbe che la massimizzazione del patrimonio deve scendere in secondo piano rispetto agli interessi della società. Ma cosa fare nei casi in cui le aziende creano importanti costi sociali a loro insaputa? La Johns Manville Corporation, per esempio, negli anni 50 e 60 produceva amianto con l’intenzione di ricavarne utili, e non era a conoscenza del fatto che questo materiale potesse provocare il cancro. Trent’anni dopo, le cause intentate dalle persone colpite da cancro a causa dell’amianto hanno portato al fallimento dell’azienda. A dire il vero, i conflitti fra gli interessi dell’azienda e quelli della società vanno oltre la funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti, e possono essere considerati endemici ad un sistema basato sulla libera iniziativa economica privata. Il purista alla ricerca di una perfetta congruenza fra gli interessi della società e gli interessi dell’azienda è destinato a non essere mai del tutto soddisfatto.

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Figura 2.2

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Il mondo reale

Domanda di verifica 2.6 Le leggi possono indurr e le aziende indurre a comportarsi da buoni cittadini? Si è spesso sostenuto che i costi sociali derivano dal fatto che i governi non possiedono leggi adeguate per punire le aziende che creano costi sociali e che l’adozione di tali leggi consentirebbe di eliminare questi costi. Sei d’accordo? Perché?

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Capitolo 2

Il mondo r eale: una r appr esentazione reale: rappr appresentazione Nelle ultime pagine abbiamo elencato i problemi che sorgono nel rapporto fra management e azionisti, fra azionisti e obbligazionisti, fra aziende e mercati finanziari e fra aziende e società. La Figura 2.2 li riassume in forma grafica.

…e allor a? allora? Gli azionisti spesso non hanno un potere effettivo di controllo sul management, che di conseguenza tende a porre i propri interessi al di sopra di quelli degli azionisti. Gli obbligazionisti che non sappiano tutelare i propri interessi finiscono spesso per pagarne il prezzo, allorché le decisioni prese dall’azienda trasferiscono ricchezza agli azionisti. L’informazione è spesso erronea o non viene fornita affatto, e vi possono essere quindi differenze sostanziali fra prezzo e valore dell’azione. Infine, le aziende che massimizzano il patrimonio possono farlo a spese della società in cui operano. Dati questi problemi, possiamo intraprendere due strade. La prima è mantenere la funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti, cercando di limitare i problemi ad essa associati. La seconda è scegliere una funzione obiettivo alternativa.

Massimizzar e il patrimonio Massimizzare degli azionisti: alcuni accorgimenti Non esiste una soluzione complessiva ai problemi discussi nei paragrafi precedenti, ma esistono rimedi parziali che consentono di ridurre i conflitti di interesse fra azionisti, obbligazionisti e management, e dunque di ridurre le divergenze fra prezzi e valore.

Azionisti e management Come osservato in precedenza, i meccanismi tradizionali di controllo (assemblee annuali e consigli di amministrazione) spesso si rivelano inefficaci per risolvere i conflitti di interesse fra azionisti e management. Questo non significa, tuttavia, che il divario fra i due gruppi sia così profondo da non poter essere sanato, riducendo le divergenze di interessi o aumentando il potere degli azionisti sul management.

Allinear e gli inter essi di azionisti e management Allineare interessi Finché il management ha interessi diversi da quelli degli azionisti, esiste un potenziale conflitto. Un modo per ridurre questo conflitto è fornire al management una quota di partecipazione azionaria (tramite azioni o warrant sulle azioni, le stock option). Così facendo, il management beneficia da un aumento

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del prezzo delle azioni dell’azienda, ed è perciò indotto a massimizzare il prezzo azionario. Soluzioni di questo tipo, tuttavia, hanno anche un risvolto negativo. Infatti, se da un lato riducono il conflitto di interesse fra azionisti e management, dall’altro possono esacerbare gli altri conflitti di interesse. Allineare gli interessi del management con quelli degli azionisti può aumentare la possibilità di trasferimenti di ricchezza agli azionisti a danno degli obbligazionisti, come pure la possibilità che ai mercati finanziari venga trasmessa informazione fuorviante.

Domanda di verifica 2.7 Conflitto di inter essi fr a azionisti interessi fra e management: i management buy out (MBO) buyout In un management buyout, il management acquista il controllo del capitale di un’impresa, che si trasforma così da quotata a non quotata. Discutere se questo tipo di operazione consente di ridurre il conflitto di interessi fra azionisti e management.

A umentar e il poter e degli azionisti umentare potere Ci sono molti modi in cui aumentare il potere degli azionisti sul management. Il primo è fornire agli azionisti informazioni migliori e più aggiornate, in modo che essi possano meglio giudicare l’operato del management. Il secondo è includere nel management gli azionisti con una partecipazione significativa, così da assegnare loro un ruolo di primo piano nelle decisioni dell’azienda. Alcuni esempi sono il ruolo di Warren Buffet nel riportare in vita la Salomon Brothers e l’impegno di Larry Tisch in qualità di CEO della CBS, Inc. Entrambe le società, in un periodo di profonda crisi, riflessa nel calo del prezzo azionario, furono salvate dall’intervento di questi azionisti, i quali ridisegnarono le strategie aziendali necessarie per conservare e aumentare il patrimonio degli azionisti15. La terza possibilità è avere un numero maggiore di investitori istituzionali “attivisti”, i quali cioè intervengano in questioni quali la composizione del consiglio di amministrazione, gli emendamenti contro le offerte d’acquisto ostili ecc. Negli ultimi anni, gli investitori istituzionali hanno utilizzato il loro ampio potere per spronare i manager a rendere maggiormente conto delle proprie scelte. Fra gli investitori più intraprendenti citiamo il California Public Employees Retirement System (CalPERS), uno dei maggiori investitori istituzionali negli Stati Uniti. La quarta possibilità, anch’essa sollecitata dall’attivismo degli azionisti, è rendere il consiglio di amministrazione più responsabile di fronte agli azionisti, riducendo il numero di membri interni (inside director) e garantendo quindi una maggiore indipendenza dal CEO. 15

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A onor del vero, va detto che nessuno dei due riuscì interamente nell’impresa.

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Esempio applicativo Gli azionisti della Disney esprimono le lor o riserv e sul management loro riserve In precedenza, abbiamo rilevato la natura “interna” del consiglio di amministrazione della Disney. Nonostante la Disney sia sempre attenta a sottolineare gli ottimi rendimenti azionari ottenuti, i suoi azionisti rimangono sospettosi circa la natura così amichevole del rapporto fra consiglio di amministrazione e CEO. All’inizio del 1997, dopo che la Disney pagò ben 38,8 milioni di dollari all’ex presidente Michael Ovitz perché lasciasse l’azienda, il consiglio di amministrazione rinnovò il contratto del CEO, Michael Eisner, fino al 2006, offrendogli un pacchetto di opzioni estremamente generoso. Nell’assemblea annuale tenuta il 25 febbraio 1997, il 13% degli azionisti della Disney votò contro la rielezione dei membri del consiglio di amministrazione in carica, e l’8,2% votò contro il pacchetto retributivo offerto ad Eisner. Sebbene queste percentuali possano sembrare basse, esse rappresentano il più alto voto “contro” per una grande società statunitense negli ultimi anni (cioè da quando nell’ottobre 1995 nell’assemblea annuale della Archer-Daniels-Midland Co. circa il 20% dei voti andarono contro la rielezione del consiglio di amministrazione in carica16 ).17

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Dati forniti dall’Investor Responsability Research Center di Washington.

17 Da allora, grazie soprattutto a una performance azionaria assai mediocre rispetto al passato, la pressione degli investitori istituzionali ha avuto un certo successo nel migliorare la corporate governance di Disney. Nel 1998 Eisner nominò due (veri) outsider al posto di due insider il cui termine era scaduto e chiese ai membri del consiglio di amministrazione di aumentare la propria partecipazione azionaria in Disney (fino al 1996, alcuni membri non detenevano neanche un’azione di Disney). Nel 1999 eliminò un anti-takeover poison pill dallo statuto, accettò che, a partire dal 2001, i membri del consiglio di aministrazione venissero eletti annualmente e cambiò la composizione di Audit e Compensation Committee per includervi soltanto outsider. Tuttavia, nel gennaio 2000, il consiglio di amministrazione della Disney ancora contava molti “amici” di Eisner fra gli outsider, tanto che la Disney risultò di nuovo all’ultimo posto nella classifica di Business Week. Da allora, altri due nuovi membri sono entrati nel consiglio di amministrazione e la Disney ha eliminato una norma statutaria che consentiva al consiglio di amministrazione di ridurre il prezzo di esercizio delle stock option (il cosiddetto repricing) [N.d.C.].

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Domanda di verifica 2.8 Azionisti inter ni contr o azionisti ester ni interni contro esterni Ci sono società come la Microsoft in cui un grosso azionista (Bill Gates) funge anche da CEO. Ritieni che gli interessi di Bill Gates in qualità di azionistamanager possano essere diversi dagli interessi di un azionista esterno? Se sì, fornisci un esempio di un’azione che può portare giovamento agli azionisti che lavorano nell’azienda ma non a quelli esterni.

La minaccia di una scalata Le numerose operazioni di acquisizione che caratterizzarono il mercato statunitense negli anni ’80, e gli eccessi che secondo molti le caratterizzarono, portarono alla demonizzazione di operazioni di questo tipo. In film e libri, i “predator” finanziari (raider) che ne erano protagonisti vennero dipinti come “barbari”,18 mentre le aziende target venivano raffigurate come vittime innocenti. In realtà, salvo alcune eccezioni, le aziende acquistate meritavano di esserlo. Uno studio di Bhide, per esempio, dimostra che le aziende target di scalate ostili nel 1985 e 1986 avevano avuto una minore profittabilità e peggiori rendimenti azionari rispetto ad aziende concorrenti, e che il management di queste aziende aveva in media minori partecipazioni azionarie rispetto al management di aziende concorrenti. In breve, questo studio rivela che il bersaglio preferito per tentativi di scalata ostile sono imprese mal gestite. Una delle implicazioni di questo fatto è che, penalizzando il cattivo management, le acquisizioni operano come meccanismo di disciplina e tengono quindi il management sotto pressione. Spesso, la semplice minaccia di un’acquisizione è sufficiente perché le aziende ristrutturino le loro attività e diventino maggiormente responsabili di fronte agli azionisti. Non sorprende, perciò, che interventi legislativi volti a regolamentare e limitare i takeover abbiano conseguenze negative sui prezzi azionari. Un buon esempio fu la legge antitakeover emanata in Pennsylvania nel 1989 con lo scopo di proteggere da scalate ostili le società ivi incorporate. Karpoff e Malatesta (1990) esaminarono l’impatto dell’adozione di tale legge sui prezzi azionari delle imprese della Pennsylvania, scoprendo che il 13 ottobre 1989, primo giorno in cui circolarono notizie relative a tale legge, i prezzi azionari di queste aziende, al netto del movimento generale del mercato azionario, subirono un declino in media dell’1,58%. Nel periodo fra tale annuncio e l’introduzione del disegno di legge nella legislatura della Pennsylvania, le aziende in questione ebbero un rendimento azionario, al netto del rendimento del mercato, pari al – 6,90%. La vicenda della Pennsylvania è istruttiva anche per la reazione degli azionisti. Gli investitori istituzionali interessati dal provvedimento fecero infatti di 18 Grande successo ebbe il libro Barbarians at the Gate, che racconta la battaglia per l’acquisizione del controllo della Nabisco nel 1988 [N.d.C.].

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tutto per opporvisi, esprimendo al management il proprio malcontento e minacciando di vendere le proprie partecipazioni azionarie. Tali minacce funzionarono, come attesta il fatto che la maggior parte delle aziende scelsero di optare per il mantenimento del regime legale esistente, a dimostrazione del potere che gli azionisti possono avere quando scelgono di esercitarlo.

Domanda di verifica 2.9 Le acquisizioni ostili: dannose per chi? Sulla base delle informazioni date nel corso di questo capitolo, quali dei seguenti gruppi risulterebbe maggiormente protetto da una legge che bandisca le acquisizioni ostili? ■ Gli azionisti di società target di un tentativo di scalata ■ Management e dipendenti di aziende target ben gestite ■ Management e dipendenti di aziende target mal gestite ■ La società nel suo insieme

Le conseguenze del poter e degli azionisti potere Con gli azionisti che sembrano esercitare più efficacemente il loro potere, il management sta diventando maggiormente responsabile nei loro confronti. Questo aiuta a ridurre, se non eliminare, i problemi associati alla separazione fra proprietà e controllo che abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti.

Esempio applicativo L’alter nativa tedesca e giapponese ’alternativa al poter e degli azionisti potere Nel modello tedesco e giapponese di corporate governance, le aziende detengono partecipazioni in altre aziende, e spesso prendono decisioni nell’interesse del gruppo industriale cui appartengono, piuttosto che nel loro interesse individuale. In tale sistema le aziende si controllerebbero a vicenda, senza perciò bisogno di cedere potere di controllo agli azionisti. Si tratta di un sistema poco democratico – dopo tutto i proprietari dell’azienda sono gli azionisti – che, inoltre, testimonia un profondo scetticismo sul modo in cui gli azionisti potrebbero esercitare il loro potere, ammesso che ne avessero, e sembra decisamente diretto a conservare il potere del management in carica. Forse è vero che tale approccio consente di evitare i costi associati all’attivismo degli azionisti e all’inefficienza dei mercati, ma presenta anche degli svan-

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taggi. I gruppi industriali sono per natura maggiormente conservatori rispetto agli investitori nell’allocazione delle risorse, e difficilmente finanziano investimenti ad alto rischio o nuove iniziative imprenditoriali. Un altro problema è che interi gruppi possono essere coinvolti nella crisi di singole imprese. La Deutsche Bank è un esempio di questo modello alternativo di corporate governance. Il maggiore azionista della Deutsche Bank è la Allianz, una grande compagnia assicurativa tedesca, e la stessa Deutsche Bank è il maggiore azionista dell’azienda automobilistica tedesca Daimler Benz. Attraverso questo complesso sistema di partecipazioni incrociate, queste aziende dovrebbero controllarsi a vicenda; ma questo sistema può fallire in due modi. In primo luogo, dal momento che ciascuna di queste aziende ha interesse a preservare tale sistema, è improbabile che si attivi per rivederlo quando qualcosa non funziona. In secondo luogo, nessuna di queste aziende può essere considerata un puro investitore azionario nell’altra. Per esempio, la Deutsche Bank è anche la banca commerciale principale per la Daimler Benz; di conseguenza è al contempo uno dei principali azionisti e obbligazionisti dell’azienda. Inoltre, essa agisce spesso come investment bank per la Daimler Benz, e i suoi analisti finanziari devono giudicare se la Daimler Benz è valutata correttamente o meno. In breve, non è affatto chiaro che gli interessi della Deutsche Bank coincidano davvero con quelli degli altri azionisti.

Azionisti e obbligazionisti Il conflitto di interessi fra obbligazionisti e azionisti può indurre a compiere azioni che trasferiscono ricchezza dai primi ai secondi – quali l’investimento in progetti rischiosi, il pagamento di maggiori dividendi, e l’aumento del leverage –, senza compensare gli obbligazionisti per le perdite che ne conseguono. Esistono però vari modi in cui gli obbligazionisti possono almeno in parte proteggersi da azioni di questo tipo.

L’impatto delle clausole contr attuali (cov enant) contrattuali (covenant) Il metodo più diretto di proteggersi per gli obbligazionisti è quello di includere nei contratti obbligazionari clausole, dette covenant che proibiscono o limitano azioni che possono risultare in un trasferimento di ricchezza a loro spese. Tali clausole sono volte a: 1. Limitare le politiche di investimento dell’azienda Intraprendere progetti più rischiosi del previsto può comportare un trasferimento di ricchezza dagli obbligazionisti agli azionisti. Alcuni contratti obbligazionari impongono perciò dei limiti in termini di tipologia e rischiosità dei nuovi investimenti, proprio per dare agli obbligazionisti potere di veto su iniziative che non sono nel loro interesse. 2. Limitare le politiche dei dividendi In genere, incrementi dei dividendi sono accompagnati da un aumento del prezzo dell’azione e un calo del prezzo

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delle obbligazioni, perché trasferiscono ricchezza dagli obbligazionisti agli azionisti. Perciò molti contratti obbligazionari limitano la politica dei dividendi, vincolando l’ammontare di dividendi pagabili al livello di profitti realizzati. 3. Limitare le politiche di finanziamento Per tutelare gli interessi degli obbligazionisti forniti di garanzia, alcuni contratti obbligazionari richiedono che le aziende ricevano il consenso degli attuali obbligazionisti prima di emettere nuovo debito garantito. Va infine notato che, se da un lato queste clausole sono efficaci per proteggere gli obbligazionisti contro certi abusi, c’è un costo da sopportare. Le aziende possono infatti trovarsi a dover rinunciare a valide opportunità di investimento a causa di tali clausole e a doverne sostenere (direttamente o indirettamente) i relativi costi legali e di monitoraggio.

Assumer e una quota di partecipazione azionaria Assumere Dal momento che la radice del conflitto fra azionisti e obbligazionisti è la diversa natura dei rispettivi diritti sui flussi di cassa dell’azienda, un altro modo in cui gli obbligazionisti possono ridurre i conflitti di interesse è acquistare una quota di partecipazione azionaria nell’azienda. Questo può essere fatto acquistando azioni dell’azienda contemporaneamente alla sottoscrizione di obbligazioni, o sottoscrivendo obbligazioni fornite di warrant, oppure tramite obbligazioni convertibili in azioni. In questo modo, gli obbligazionisti che ritengono che gli azionisti si siano arricchiti a loro spese, possono diventare azionisti loro stessi e quindi condividerne i guadagni.

Le aziende e i mer cati finanziari mercati L’informazione trasmessa ai mercati finanziari è imprecisa e a volte fuorviante.19 Spesso il prezzo che emerge nei mercati finanziari non è corretto, in parte a causa delle inefficienze dei mercati, e in parte a causa della cattiva qualità dell’informazione. Non esistono rimedi o soluzioni facili a questo tipo di problemi. Tuttavia, nel lungo periodo, esistono azioni in grado di migliorare la qualità dell’informazione, e di ridurre la discrepanza fra prezzo e valore.

Miglior ar e la qualità dell’informazione Migliorar are Nonostante le commissioni regolamentatici, come la statunitense Securities and Exchange Commission, possano richiedere alle aziende una maggiore quantità di informazioni e penalizzare quelle che forniscono informazioni fasulle o fuorvianti, la qualità dell’informazione non può essere migliorata soltanto tramite leggi sulla trasparenza. Le aziende continueranno infatti ad ave19 Il lettore ricorderà il giallo delle cifre sui conti di Telecom Italia nell’ottobre 1998 [N.d.C.].

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re un chiaro incentivo a trasmettere informazioni ai mercati soltanto nella quantità, con la qualità e nei tempi desiderati. Per controbilanciare tale incentivo deve perciò esistere un attivo mercato per l’informazione, in cui analisti esterni alle aziende possano raccogliere e propagare le informazioni. Nonostante tali analisti abbiano la stessa probabilità delle aziende di commettere errori di valutazione, essi hanno comunque maggiori incentivi a scoprire informazioni negative sull’azienda e diffonderle ai loro clienti.

Render e i mer cati più ef ficienti Rendere mercati efficienti Così come una migliore informazione non può essere imposta per legge, anche i mercati non possono essere resi più efficienti semplicemente con un intervento normativo, anche perché vi è grande disaccordo su come rendere i mercati più efficienti. Alcune condizioni necessarie (ma non sufficienti) sono le seguenti: 1. L’attività di trading dovrebbe essere poco costosa e semplice da eseguire. Più alti sono i costi delle transazioni, più difficile è eseguirle, e meno efficienti saranno i mercati. 2. Almeno alcuni degli investitori nel mercato dovrebbero avere accesso all’informazione riguardante le azioni oggetto di compravendita, nonché possedere le risorse necessarie per tradurre questa informazione in operazioni di acquisto o vendita. Ogni tipo di limite imposto all’attività di compravendita, anche se adottato con le migliori intenzioni, spesso conduce a maggiori inefficienze nei mercati. Per esempio, limitare le vendite allo scoperto (short sale) potrebbe sembrare una buona politica pubblica, ma può creare una situazione in cui informazioni negative sulle azioni non vengono riflesse in modo adeguato nel prezzo azionario.

Le aziende e la società Ci saranno sempre dei costi sociali associati alle attività intraprese da aziende che operano nel proprio interesse. Il problema fondamentale è che i costi sociali non possono essere ignorati nel processo decisionale, ma al tempo stesso essi sono troppo nebulosi per essere oggetto di analisi precise. Una possibile soluzione per l’azienda è massimizzare il valore (inteso come patrimonio aziendale o degli azionisti) comportandosi però da “buon cittadino”, vale a dire tentando di ridurre al minimo i costi sociali, anche in assenza di un preciso obbligo legale in tal senso. Il problema in un approccio di questo tipo, chiaramente, è che la definizione di “buon cittadino” varia da azienda ad azienda e da management a management. Vi sono, tuttavia, esempi di aziende che hanno saputo costruirsi una reputazione di buon cittadino traendone notevoli benefici. In definitiva, il modo migliore per rendere le aziende maggiormente responsabili di fronte alla società è far sì che, da un punto di vista economico,

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non creare costi sociali sia nell’interesse delle aziende stesse. Ciò può essere ottenuto in due modi. In primo luogo, le aziende tacciate di comportamenti socialmente irresponsabili possono perdere clienti e profitti. Questo è stato, ad esempio, il fattore che ha indotto un gran numero di catene di vendita al dettaglio, negli Stati Uniti, a prendere le distanze dallo sfruttamento del lavoro minorile che avveniva negli stabilimenti dei Paesi di produzione delle merci da loro messe in vendita. In secondo luogo, gli investitori possono decidere di non comprare azioni in tali aziende. Per esempio, molti fondi pensione universitari e statali negli Stati Uniti hanno cominciato a ridurre o eliminare le loro partecipazioni azionarie in aziende operanti nell’industria del tabacco per esprimere la loro preoccupazione per gli effetti nocivi di questo prodotto. Per riassumere, vi sono chiaramente dei problemi associati all’obiettivo della massimizzazione del valore, ma alcuni di essi possono esser ridotti apportando dei cambiamenti nel modo in cui i manager vengono assunti, compensati e licenziati, nei contratti obbligazionari e nei mercati finanziari. Nella Figura 2.3 vengono sintetizzati alcuni di questi cambiamenti.

Figura 2.3

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Una soluzione parziale

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La scelta di una funzione obiettivo alter nativa alternativa Dati i suoi limiti, la soluzione più semplice sembrerebbe quella di mettere da parte la massimizzazione del valore come funzione obiettivo. Il difficile viene però quando si cerca di rimpiazzarla con un’altra funzione obiettivo. Non che non esistano delle alternative, ma tali alternative hanno anch’esse i loro problemi, e non sembrano affatto superiori, soprattutto se valutate in base ai quattro criteri utilizzati finora per valutare una funzione obiettivo: la soluzione obiettivo è chiara? Può essere utilizzata come misura per valutare prontamente e con facilità la performance di un’azienda? Rischia di creare costi collaterali superiori ai benefici derivanti dalla sua adozione? È compatibile con la massimizzazione del valore dell’azienda nel lungo termine? La maggior parte delle aziende che scelgono di non massimizzare il patrimonio degli azionisti scelgono un obiettivo intermedio quale l’aumento della quota di mercato (market share), degli utili o del tasso di crescita. Questi obiettivi intermedi sono validi nella misura in cui rimane stretto il legame con la creazione di valore dell’azienda, ma possono rivelarsi assai pericolosi nel momento in cui questo legame viene meno. Ad esempio, l’obiettivo di massimizzare la quota di mercato, promosso dagli esperti di strategia aziendale negli anni ’80, sull’onda del successo delle aziende giapponesi, si è poi rivelato un’arma a doppio taglio. Anche aziende che sono riuscite ad aumentare la propria quota di mercato hanno scoperto a loro spese che maggiori quote di mercato non si traducono automaticamente in maggiore potere di prezzo (pricing power) e maggiori profitti nei mercati in cui esse operano. Altre aziende, soprattutto quelle di proprietà pubblica, si pongono come funzione obiettivo il benessere sociale. Per esempio, un’azienda orientata verso l’aumento del livello di occupazione nel territorio in cui opera, prenderà decisioni di un certo tipo, che però possono comprometterne la sopravvivenza nel lungo termine. Un caso meno estremo potrebbe essere un’impresa non-profit, come un ospedale, la cui missione sia quella di fornire un’assistenza sanitaria ragionevole a un costo abbordabile. Ma non è chiaro che cosa si intenda per “ragionevole” e “abbordabile” in questo contesto, soprattutto quando si tratta di allocare risorse limitate fra possibilità di utilizzo alternative.

Una nota: i limiti della finanza aziendale Nell’ultimo decennio la finanza aziendale ha subito molte critiche. Alcuni sostengono che i problemi delle aziende americane sono legati alla loro eccessiva dipendenza dalla finanza aziendale. Alcune critiche sono fondate, e fanno leva sui problemi impliciti nel perseguimento di un unico obiettivo, quale la massimizzazione del patrimonio degli azionisti; ma altre critiche sono dovute al fraintendimento di ciò che la finanza aziendale davvero rappresenta. Più in

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Capitolo 1

generale, la maggior parte di queste critiche sopravvalutano il ruolo che la finanza aziendale gioca nelle più importanti decisioni delle aziende. L’economia una volta fu definita “il vangelo di Mammon”20 per via dell’enfasi che poneva sul denaro. Allo stesso modo, oggi si accusa la finanza aziendale di violare i principi etici, per via dell’enfasi che essa pone su utili e prezzi azionari, talvolta a spese dei dipendenti, che possono perdere il posto di lavoro o vedere i propri salari ridotti. È senz’altro vero che, in caso di ristrutturazioni e liquidazioni aziendali, l’obiettivo della massimizzazione del patrimonio degli azionisti può comportare che a rimetterci siano altri portatori di interessi in azienda, quali clienti e dipendenti. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, le scelte che conducono a un aumento del valore di mercato migliorano anche le condizioni di clienti e dipendenti. Inoltre, se l’azienda si trova veramente in crisi, perché i concorrenti riescono a vendere lo stesso prodotto a prezzi inferiori o a vendere prodotti tecnicamente superiori, la scelta non è fra liquidazione e sopravvivenza, ma fra una soluzione ferma e rapida, che è ciò che la finanza aziendale raccomanda, o una morte lenta, che spesso finisce per costare alla collettività molto di più. Il conflitto fra la massimizzazione del valore dell’azienda e il benessere sociale rappresenta la ragione storica per la crescente attenzione data nelle business school ai problemi di etica negli affari. Non ci saranno mai una funzione obiettivo o delle regole decisionali che tengano conto correttamente e completamente di questi aspetti, per il semplice fatto che la quantificazione di questi problemi è difficile e soggettiva. Perciò si può dire che la teoria della finanza aziendale, in un certo senso, assume implicitamente che le aziende, anche di fronte a prospettive di guadagno notevoli, non prenderanno mai decisioni che possono generare enormi costi sociali. Alla base della teoria della finanza aziendale vi è dunque un’implicita ipotesi di buon comportamento sociale da parte delle aziende. Quando tale ipotesi viene violata, la teoria della finanza aziendale si espone certamente a critiche di tipo etico, anche se le critiche andrebbero più opportunamente mosse ai responsabili dei comportamenti sotto accusa.

Domanda di verifica 2.10 Quale ritieni che debba esser e essere la funzione obiettivo per un’azienda? Ora che conosci i pro e i contro delle diverse funzioni obiettivo, quale ritieni che sia la migliore? ■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, senza limi-

ti di nessun tipo. 20 Termine siriano che significa ricchezza, possedimenti. È venuto poi a indicare il demone del denaro [N.d.C.].

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Introduzione all’Internet marketing

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■ Massimizzare il prezzo azionario o il patrimonio degli azionisti, ma a patto

di comportarsi da buon cittadino nella società. ■ Massimizzare i profitti o la redditività. ■ Massimizzare la quota di mercato. ■ Massimizzare il fatturato. ■ Massimizzare il bene pubblico. ■ Altro.

Riepilogo La teoria della finanza aziendale è costruita attorno alla funzione obiettivo di massimizzare il patrimonio degli azionisti o il patrimonio aziendale nel suo complesso. L’adozione di questa funzione obiettivo può creare significativi costi collaterali, in termini di conflitti fra azionisti e management, fra azionisti e obbligazionisti, e fra impresa e società. Questi costi possono essere ridotti adottando strategie che riducano la probabilità di tali conflitti – aumentare il potere degli azionisti sul management, tutelare gli interessi degli obbligazionisti, promuovere regole di comportamento da “buon cittadino”. Questa potrebbe essere la strategia ottimale da adottare, dal momento che funzioni obiettivo alternative hanno anch’esse dei difetti. Infine, abbiamo mostrato che molte delle critiche mosse alla finanza aziendale sono in realtà critiche alla funzione obiettivo su cui essa si impernia, e che tali critiche però non conducono a soluzioni alternative superiori.

Eser cizi Esercizi 1. La funzione obiettivo in finanza aziendale è b. Massimizzare i flussi di cassa.

d. L’azienda non produca costi che non possano essere misurati e ad essa imputati.

c. Massimizzare la dimensione dell’azienda.

e. Tutte le condizioni di cui sopra si verifichino.

a. Massimizzare i profitti.

d. Massimizzare la quota di mercato. e. Massimizzare il valore dell’impresa/prezzo azionario. 2. Perché la massimizzazione dei prezzi azionari sia l’unica funzione obiettivo e sia desiderabile da un punto di vista sociale è necessario che : a. Il management agisca nell’interesse degli azionisti. b. Non ci siano conflitti di interesse fra azionisti e obbligazionisti.

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c. I mercati finanziari siano efficienti.

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3. Esiste un conflitto di interessi fra azionisti e management. In teoria gli azionisti esercitano potere di controllo sul management per mezzo dell’assemblea annuale o del consiglio di amministrazione. Perché in pratica questi meccanismi possono non funzionare? 4. Gli azionisti possono appropriarsi di parte del patrimonio degli obbligazionisti con vari meccanismi. In che modo le seguenti azioni consentono tale appropriazione?

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Capitolo 1

a. Un aumento dei dividendi b. Un LBO c. Acquistare un business ad alta rischiosità In che modo gli obbligazionisti possono proteggersi contro azioni di questo tipo? 5. “La volatilità dei prezzi nei mercati finanziari è troppo elevata perché si possa credere all’efficienza dei mercati finanziari”. Commentare questa affermazione. 6. “L’obiettivo di massimizzare i prezzi azionari non ha senso perché gli investitori puntano a

risultati immediati e trascurano le implicazioni nel lungo termine”. Commentare. 7. Alcuni propongono strategie che puntano alla massimizzazione della quota di mercato piuttosto che dei prezzi di mercato. Sotto quali condizioni una strategia di questo tipo potrebbe funzionare, e sotto quali fallirebbe? 8. “L’adozione di emendamenti contro i takeover può beneficiare gli azionisti”. Sotto quali condizioni quest’affermazione può essere veritiera?

Live case study Analizzar e la corpor ate gov er nance Analizzare corporate gover ernance Obiettivo Questa sezione è dedicata all’analisi delle divergenze fra i diversi portatori di interessi in un’azienda, e alle conseguenze in termini della funzione obiettivo dell’impresa. Domande chiave ■ Si tratta di una società in cui c’è separazione fra management e proprietari? Se sì, in che misura il management rende conto del proprio operato agli azionisti? ■ Esiste un potenziale conflitto fra azionisti e altri investitori (banche, obbli-

gazionisti ecc.)? Se sì, in che modo viene gestito? ■ In che modo l’azienda interagisce con i mercati finanziari? In che modo i

mercati ottengono informazioni dall’azienda? ■ Qual è la filosofia dell’azienda in termini di responsabilità verso la colletti-

vità? Come gestisce la propria immagine “sociale”? Uno schema per l’analisi 1. Il CEO ■ Chi è? Da quanto tempo è in carica? ■ Se si tratta di un’azienda “familiare”, fa parte della famiglia? In caso nega-

tivo, che tipo di carriera lo ha portato fino all’attuale posizione? (Ha fatto carriera in azienda o è arrivato dall’esterno?) ■ Quante azioni e stock option possiede?

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Introduzione all’Internet marketing

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2. Il consiglio di amministrazione21 ■ Chi sono i membri del consiglio di amministrazione? Da quanto tempo

sono in carica? ■ Quanti sono gli inside director (cioè dipendenti o manager della società)? ■ Quanti hanno rapporti di altro tipo con l’azienda (in qualità di fornitori o

clienti)? ■ Quanti rivestono la carica di CEO in altre aziende? ■ Vi sono membri del consiglio di amministrazione con grosse partecipazio-

ni azionarie proprie o che rappresentano altri che ne hanno? 3. Gli interessi degli obbligazionisti ■ L’azienda ha emesso obbligazioni quotate in Borsa? ■ Che tipo di clausole contrattuali sono contenute in queste obbligazioni?

Quali sono i limiti all’attività aziendale che ne derivano? ■ Vi sono speciali protezioni a tutela degli obbligazionisti?

4. Gli interessi dei mercati finanziari ■ Quanti analisti seguono l’azienda? ■ Qual è il volume di scambi sul titolo azionario?

5. Vincoli sociali ■ L’azienda ha una reputazione particolarmente buona o particolarmente cattiva in qualità di “buon cittadino”? ■ Se sì, in che modo si è fatta questa reputazione? ■ Se l’azienda di recente è stata criticata sotto questo profilo, in che modo si

è difesa?

Informazione online Corpor ate gov er nance Corporate gover ernance Per conoscere la composizione del top management e del Consiglio di Amministrazione di una società, un primo riferimento è l’Annual Report (rendiconto annuale). Il sito www.reportgallery.com contiene gli Annual Report di oltre 21 Nel contesto italiano, va tenuto conto che parte del ruolo degli outsiders nel consiglio di amministrazione è stato svolto (almeno in teoria) dal collegio sindacale “Riprodurre in Italia il modello di un consiglio di amministrazione con membri indipendenti incaricati di controllare il management rende in qualche misura superflua la funzione dei collegi sindacali, un organo inesistente nel mondo anglosassone” (Il Sole-24 Ore, 8 ottobre 1998) [N.d.C.].

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Capitolo 2

2200 società quotate negli Stati Uniti, nonché una sezione internazionale per UK, Giappone, Corea e Sudafrica. Altrimenti, si può provare l’home page delle singole società, che spesso include l’Annual Report. Per le compagnie U.S., tenute a presentare documenti alla Securities Exchange Commission (SEC), maggiori dettagli sui membri del consiglio di amministrazione sono disponibili sul sito www.edgar-online.com/people/. Il sito ufficiale della SEC contiene inoltre informazioni relative a operazioni di insider trading o in generale transazioni azionarie compiute dal top management di una società o da membri del consiglio di amministrazione, www.sec.gov/edgarhp.htm. Un altro sito utile per questo tipo di informazioni è www.freeedgar.com. Per avere un’opinione indipendente sulla capacità del consiglio di amministrazione di esercitare monitoring sull’operato del management, si può sentire cosa ne pensa CalPERs, uno dei maggiori e più attivi investitori istituzionali (azionista in oltre 1600 compagnie statunitensi), www.calpers.org. Ad esempio, ogni anno CalPERS identifica una lista di 10 aziende (Focus List) la cui performance è stata ben al di sotto di quella di altre aziende nello stesso settore (www.calpers.org/about/factglan/corpgov/corpgov.htm). Una simile Focus List è stilata dal Council of Institutional Investors (www.cii.org/focus.htm). Inoltre, come accennato nel testo, ogni anno Business Week presenta una classifica dei peggiori consigli di amministrazione di grandi aziende statunitensi; la più recente è del 24 gennaio 2000, www.businessweek.com. Per un’idea di quanto e come viene pagato il Chief Executive Officer (CEO), possono essere utili le classifiche stilate annualmente per 800 CEO negli Stati Uniti dalla rivista Forbes, www.forbes.com/ceos/. Per le aziende statunitensi, tenute a presentare documenti alla Security Exchange Commission (SEC), maggiori dettagli sono disponibili sul sito www.sec.gov , come pure sul sito www.edgar-online.com/compexpress/ (inserire il ticker). Per conoscere le previsioni degli analisti finanziari sulla performance di azioni quotate negli Stati Uniti, e avere un’idea di quanti analisti seguano una certa azione, potete provare il sito della Zacks Investment Research, www.zacks.com, immettendo il ticker symbol dell’azione e scegliendo Estimates Go! Stime e raccomandazioni degli analisti sono anche disponibili sul sito della Morningstar, www.morningstar.com, immettendo il ticker symbol nella casella Quicktake Reports e cliccando poi su Earnings Estimates. Infine, per avere un’idea delle forme di investimento “socialmente responsabile”, date un’occhiata al sito http://socialinvest.org/areas/sriguide/ index.html . Oppure, visitate il sito di Calvert, uno dei maggiori fondi “socialmente responsabili”, www.calvertgroup.com. Infine, per conoscere il punto di vista delle organizzazioni dei lavoratori, in particolare con riferimento alla compensazione dei CEO, visitate il sito della AFL-CIO, www.aflcio.org, la federazione delle organizzazioni sindacali. WWW Italia Per gli Annual Report di società italiane quotate si può provare la home page delle singole società (reperibile tramite il sito della Borsa italiana, www.

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L’obiettivo

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borsaitalia.it e quello dell’AIAF, www.aiaf.it – fate clic su Incontri Società e poi Links). Per ogni azienda quotata si possono ottenere i nomi dei principali manager e le relative cariche sul sito www.corporateinformation.com, scegliendo Italy nella Country List. Notizie utili su riunioni dei consigli di amministrazione, nuove nomine, nonché cambiamenti nella compagine azionaria sono disponibili sul sito www.ilsole24ore.com (nell’area Finanza, sotto le rubriche C.d.a. e Assemblee, Nomine, Partecipazioni ed Azionariato). Per conoscere le previsioni degli analisti finanziari sulla performance di azioni quotate in Italia, e avere un’idea di quanti analisti seguano una certa azione, andate sul sito http://it.finance.yahoo.com/ e scegliete la sezione Analisi relativa all’azione cui siete interessati. Per conoscere i recenti cambiamenti della normativa sulla corporate governance per l’Italia, consultare lo European Corporate Governance Network www.ecgn.ulb.ac.be/ecgn/ , che nella sezione Codes, per l’Italia contiene il testo della riforma Draghi ed il cosiddetto codice Preda (Codice di Condotta delle Società Quotate). Sullo stesso sito, nella sezione EU Reports, leggete il report “Ownership, Pyramidal Groups and the Separation between Ownership and Control in Italy”. Per uno studio di un fenomeno peculiare dell’Italia, il premio di valutazione delle azioni ordinarie rispetto alle azioni di risparmio, si veda lo studio di Luigi Zingales: “The value of the voting right: a study of the Milan Stock Exchange experience” (Review of Financial Studies, primavera 1994 http://www3.oup.co.uk/revfin/contents/).

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3

La nozione di rischio

Nella nostra cultura la parola “rischio” evoca un concetto negativo: infatti nei dizionari la definizione più comune del verbo rischiare è “esporsi a un pericolo”. Tuttavia l’ideogramma cinese corrispondente ci aiuta a meglio comprendere l’uso che la finanza fa di questo termine:

Il primo simbolo sta per “pericolo” e il secondo per “opportunità”. Il concetto cinese di rischio, dunque, (risulta dall’unione di pericolo e opportunità. Tradotto nel linguaggio della finanza, ciò significa che, per ogni investitore e ogni impresa, esiste un trade-off fra maggiori rendimenti (l’aspetto “opportunità”) e maggiori rischi (l’aspetto “pericolo”). Obiettivo fondamentale in finanza è fare in modo che, quando un investitore sia esposto a un rischio, venga remunerato in modo “appropriato”. In questo capitolo forniremo le basi per l’analisi del rischio, e presenteremo modelli alternativi per misurarlo e convertirlo in una soglia minima di rendimento “accettabile”.

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Requisiti di un modello di rischio e r endimento rendimento Nel corso di questo capitolo presenteremo una serie di modelli per la valutazione del rischio e del rendimento di un investimento. Nel far ciò, è importante ricordare che un buon modello dovrebbe soddisfare i seguenti requisiti: 1. Fornire una misura del rischio che si possa applicare a qualunque tipo di investimento . 2. Indicare chiaramente quali tipi di rischio sono remunerati e quali no, e spiegarne il motivo. 3. Fornire una misura di rischio standardizzata, tale cioè da consentire a un investitore di capire se la rischiosità di un certo investimento è superiore o inferiore alla media. 4. Tradurre la misura del rischio in un “tasso atteso di rendimento”, ovvero la remunerazione che l’investitore richiederà per assumersi tale rischio. 5. Riuscire non solo a spiegare i rendimenti realizzati in passato, ma anche a predire i rendimenti attesi in futuro.

Modelli gener ali di rischio e r endimento generali rendimento La nostra analisi del rischio si svolgerà in tre tappe successive. Innanzi tutto definiremo il rischio in termini di distribuzione dei rendimenti effettivamente realizzati intorno a un certo rendimento atteso. Poi procederemo a una distinzione fra un primo tipo di rischio di rischio, specifico di un investimento (o di un gruppo ristretto di investimenti), e un secondo tipo di rischio, che riguarda invece una ben più ampia classe di investimenti. Noteremo che in un mercato in cui l’investitore marginale detiene un portafoglio diversificato, soltanto il secondo tipo di rischio, detto rischio-mercato, viene remunerato. Infine presenteremo modelli alternativi per misurare il rischio-mercato e il rendimento atteso a esso associato.

La misur azione del rischio misurazione Ogni investimento viene effettuato con l’obiettivo di ricavarne un certo rendimento lungo un determinato orizzonte temporale. Tuttavia il rendimento effettivamente realizzato può risultare ben diverso dal rendimento atteso, ed è qui che entra in gioco la nozione di rischio. Supponiamo che un investitore con un orizzonte temporale di un anno acquisti un Buono del Tesoro con scadenza a un anno e con un rendimento atteso del 5%. Alla fine dell’anno, il rendimento effettivamente realizzato sarà del 5%, pari cioè al rendimento atteso. La Figura 3.1 rappresenta la distribu-

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Figura 3.1

Distribuzione dei rendimenti di un investimento privo di rischio

zione del rendimento per tale investimento: si tratta in questo caso di un investimento privo di rischio, almeno in termini nominali. Supponiamo ora che il nostro investitore decida invece di acquistare le azioni della Disney, dalle quali ritiene di poter ottenere un rendimento pari al 30% (sempre in un anno). Quasi certamente il rendimento effettivo non sarà del 30%, e anzi potrebbe risultare molto maggiore o molto minore. La distribuzione del rendimento di tale investimento è illustrata nella Figura 3.2. Questo esempio indica che un investitore, oltre alla media (rendimento atteso), deve considerare altre caratteristiche della distribuzione: ■ In primo luogo, la dispersione dei rendimenti effettivi attorno al rendimento

atteso, misurata dalla varianza (o dallo scarto quadratico medio) della distribuzione; maggiore è la differenza fra rendimenti effettivi e rendimento atteso, maggiore è la varianza.

Figura 3.2

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Distribuzione di probabilità per investimenti rischiosi

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■ In secondo luogo, il tipo di asimmetria della distribuzione, vale a dire se la

distribuzione “tende” di più verso rendimenti positivi (superiori a quello atteso) (come in Figura 3.2) o verso rendimenti negativi (inferiori a quello atteso) . ■ In terzo luogo, la forma delle “code” della distribuzione, misurata dalla cur-

tosi; più “grasse” sono le code, maggiore è la curtosi. In termini di investimento, una maggiore curtosi indica una maggiore probabilità di rendimenti estremamente alti o estremamente bassi. Nel caso particolare in cui le distribuzioni fossero simmetriche e normali (e quindi con curtosi pari a zero), gli investitori non dovrebbero preoccuparsi dell’asimmetria e della curtosi, e ogni investimento potrebbe essere valutato sulla base del rendimento atteso (la remunerazione) e della varianza nei rendimenti attesi (il rischio). Ad esempio (Figura 3.3), di fronte a due investimenti con lo stesso rendimento atteso ma diversa varianza, un investitore sceglierà sempre quello con varianza minore. Nel caso più generale in cui le distribuzioni non siano simmetriche né normali, teoricamente è ancora possibile che gli investitori scelgano fra diversi investimenti soltanto sulla base del rendimento atteso e della varianza, ma ciò richiede una poco verosimile ipotesi sulla forma della funzione di utilità1 de-

Figura 3.3

Confronto fra distribuzioni di rendimenti

1

La funzione di utilità è un modo per rappresentare e sintetizzare le preferenze di un investitore in una generica misura di utilità o “soddisfazion”. Nel nostro caso, ad esempio, la “soddisfazion” dell’investitore è espressa in funzione della sua ricchezza patrimoniale. Tale rappresentazione consente di rispondere a domande del tipo: quando il patrimonio di un investitore raddoppia, raddoppia anche la soddisfazione che egli ne deriva? Oppure a ogni incremento marginale nel patrimonio corrisponde un incremento di soddisfazione via via minore? La funzione di utilità quadratica è un tipo particolare di funzione di utilità, con la quale la soddisfazione di un investitore può essere interamente espressa in termini di ricchezza attesa e della relativa varianza.

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gli investitori. È molto più probabile che essi preferiscano invece distribuzioni asimmetriche nella direzione di rendimenti positivi e distribuzioni con una minore probabilità di forti oscillazioni (minore curtosi). Vale a dire che ogni scelta fra diversi investimenti comporterà un trade-off fra maggiore rendimento atteso ed un’asimmetria più “positiva”, da un lato, e maggiore varianza e curtosi, dall’altro. Vedremo in seguito che uno dei modelli di rischio e rendimento, il capital asset pricing model (CAPM), ipotizza che ogni investimento sia valutato solo in termini di rendimento atteso e varianza, ignorando così l’esistenza di asimmetria e curtosi. D’altro lato va però detto che l’effettiva importanza di questi due fattori nella determinazione del rendimento atteso non è ancora chiara. Va notato che nella pratica la varianza (come pure gli altri parametri della distribuzione) viene quasi sempre stimata utilizzando la distribuzione dei rendimenti storici piuttosto che quella dei rendimenti futuri attesi, nel presupposto che la prima rappresenti un buon indicatore della seconda. Nel momento in cui questo presupposto viene meno, come nel caso in cui le caratteristiche dell’investimento siano cambiate sostanzialmente nel corso del tempo, una stima storica della varianza non rappresenta più una buona misura della rischiosità di un investimento.

Domanda di verifica 3.1 Un mondo dominato da media e varianza? Supponi di dover scegliere fra due investimenti A e B con lo stesso rendimento atteso, pari al 15%, e lo stesso scarto quadratico medio, pari al 25%. Tuttavia, A offre una piccola probabilità di quadruplicare il patrimonio investito, mentre con l’investimento B il massimo rendimento possibile è del 60%. Come ti comporteresti? ■ Saresti indifferente fra i due investimenti, dal momento che essi hanno lo

stesso rendimento atteso e lo stesso scarto quadratico medio? ■ Preferiresti l’investimento A, per via della (pur piccola) probabilità di un

rendimento molto alto? ■ Preferiresti l’investimento B, perché meno rischioso?

Esempio applicativo 3.1 Calcolo dello scarto quadr atico medio quadratico sulla base dei r endimenti storici: la Disney rendimenti Abbiamo raccolto i dati relativi ai rendimenti mensili delle azioni della Disney per ciascun mese del periodo da gennaio 1992 a dicembre 1996.

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Abbiamo poi calcolato scarto quadratico medio e varianza nei rendimenti mensili: Scarto quadratico medio = 6,14% Varianza = 37,66% Le misure possono essere annualizzate2 in questo modo: Scarto quadratico medio annualizzato = 6,14% × √12 = 21,26% Varianza annualizzata = 37,66% × 12 = 452% Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete lo scarto quadratico medio dei rendimenti di titoli azionari in vari settori industriali del mercato statunitense.

2

Questo procedimento per ottenere il rendimento annualizzato parte dal presupposto che i rendimenti mensili non siano correlati, cioè che non esista una relazione fra il rendimento di un mese e quello del mese successivo.

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Capitolo 3

Domanda di verifica 3.2 Upside risk e downside risk: ovv er o rischio “buono” e rischio “cattivo” ovver ero Immagina di avere a disposizione gli scarti quadratici medi storici relativi a due investimenti negli ultimi cinque anni. Entrambi gli investimenti risultano avere uno scarto quadratico medio pari al 35%, ma uno ha avuto un rendimento complessivo nei cinque anni del –10% e l’altro del +40%. Considereresti i due investimenti di pari rischiosità? Perché in finanza non distinguiamo fra conseguenze positive e conseguenze negative del rischio?

Rischio r emuner ato e non r emuner ato remuner emunerato remuner emunerato Il rischio, secondo la definizione che ne abbiamo dato nel paragrafo precedente, deriva dal fatto che il rendimento effettivo di un investimento può essere diverso dal rendimento atteso; tale differenza può risultare da diverse cause, alcune specifiche di un certo investimento (rischio specifico di un progetto o rischio specifico d’impresa), altre comuni a tutti gli investimenti (rischio-mercato).

Le componenti del rischio Il rischio che un’impresa si trova a dover fronteggiare nell’investire in un nuovo progetto deriva da un gran numero di fattori, fra i quali le caratteristiche del progetto stesso, la concorrenza, i cambiamenti nel settore industriale, questioni di carattere internazionale e variabili macroeconomiche. Tuttavia, quando un’impresa investe in una molteplicità di progetti tale rischio si riduce. Inoltre, chi investe nell’impresa può ulteriormente ridurre il rischio cui è esposto costruendosi un portafoglio diversificato. La prima fonte di rischio è il rischio specifico di un progetto; ogni singolo progetto può produrre maggiori o minori flussi di cassa rispetto alle previsioni, magari perché tali previsioni erano inesatte, oppure a causa di fattori specifici legati al progetto. Gran parte di tale rischio specifico di un progetto viene però ad essere eliminato nel momento in cui le aziende intraprendono un gran numero di progetti simili. Ad esempio quando la Disney progetta di produrre un nuovo film, si espone a una serie di possibili errori di sotto o sopravvalutazione dei costi e tempi di produzione, degli incassi al botteghino e delle vendite di gadget. Dal momento, però, che la Disney produce diversi film all’anno, tali errori tendono a compensarsi e gran parte del rischio specifico viene così eliminato. La seconda fonte di rischio è il rischio-concorrenza: i flussi di cassa generati da un progetto possono essere condizionati, in senso positivo o negativo,

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dalle azioni dei concorrenti. Invero, una buona analisi di capital budgeting dovrebbe già tenere conto delle possibili reazioni dei concorrenti.Tuttavia, le azioni effettivamente intraprese dai concorrenti risultano spesso imprevedibili. In molti casi questa componente del rischio interessa più di un singolo progetto, e risulta più difficile per l’azienda diversificarla nella sua attività ordinaria. La Disney, per esempio, in un’analisi previsionale della profittabilità della Disney Store division può sbagliare nel valutare la forza e le strategie dei suoi concorrenti, come Warner Bros Stores e Toys‘ß’Us. Ma mentre la Disney, pur diversificando, non può far molto per ridurre il rischio-concorrenza,3 i suoi azionisti possono sostanzialmente ridurlo se sono disposti a investire anche nelle aziende concorrenti. La terza fonte di rischio è il rischio-settore, che deriva cioè da fattori che incidono su profitti e flussi di cassa di uno specifico settore industriale. Questa categoria comprende a sua volta tre fonti di rischio: la prima è il rischio-tecnologia, vale a dire la possibilità di significativi cambiamenti tecnologici nel corso del tempo, rispetto al momento in cui il progetto è stato concepito. La seconda fonte è il rischio-leggi, vale a dire la possibilità di cambiamenti in leggi e regolamentazioni. La terza fonte è il rischio-materie prime, vale a dire la possibilità di variazioni nei prezzi delle materie prime e dei servizi prodotti o utilizzati intensamente in quel settore. La Disney, per esempio, nello stimare la profittabilità futura della sua broadcasting division (ABC), si espone a tutti e tre i tipi di rischio: al rischio-tecnologia, dal momento che i confini fra intrattenimento televisivo e Internet vengono continuamente ridefiniti dall’attività di società come la Microsoft; al rischio legale, dal momento che le leggi che regolano le reti televisive possono essere modificate; e al rischio-materie prime, dal momento che i costi di produzione di nuovi programmi televisivi variano nel tempo. Un’impresa non può diversificare il rischio-settore se non diversificando le proprie attività in altri settori industriali (tramite investimenti diretti o acquistando aziende giàoperanti). Gli azionisti di tale impresa, però possono diversificare il rischio-settore includendo nel proprio portafoglio anche titoli azionari di aziende operanti in altri settori industriali. La quarta fonte di rischio è il rischio internazionale. Un’impresa si trova a dover fronteggiare questo tipo di rischio quando la valuta nella quale sono misurati gli utili ed è espresso il prezzo del titolo azionario è diversa dalla valuta dei flussi di cassa del progetto, come accade nel caso di progetti intrapresi al di fuori del mercato nazionale. In tal caso i risultati posso differire dalle previsioni a causa di fluttuazioni nel tasso di cambio o per il cosiddetto rischio politico. Ad esempio, la Disney si è chiaramente esposta a questo tipo di rischio con la sua partecipazione del 33% in EuroDisney, il parco divertimenti da essa creato nei pressi di Parigi. In parte questo tipo di rischio può essere 3

Teoricamente, un’azienda può ridurre il rischio-concorrenza acquistando i propri concorrenti. Azioni di questo tipo tuttavia possono esporla allo scrutinio dell’autorità antitrust, e non eliminerebbero comunque il rischio dell’ingresso di nuovi concorrenti sul mercato.

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diversificato dall’azienda intraprendendo progetti in Paesi diversi, le cui valute non abbiano un andamento correlato. Il rischio derivante dal cambio valutario può essere inoltre ridotto scegliendo una struttura finanziaria in linea con la valuta dei flussi di cassa; ad esempio finanziando in yen giapponesi iniziative d’investimento da realizzare in Giappone. Gli azionisti di un’azienda esposta al rischio internazionale saranno anch’essi esposti al rischio-valuta e/o al rischio politico se, a causa dei costi di transazione o di altri fattori, includono nel proprio portafoglio solo titoli di aziende operanti nel mercato nazionale; ma una politica di diversificazione dei propri investimenti a livello internazionale, può ridurre significativamente il rischio internazionale. L’ultima fonte di rischio è il rischio-mercato, vale a dire l’insieme di variabili macroeconomiche che hanno un impatto su tutte le imprese e tutti i progetti, sebbene in diversa misura. Per esempio i movimenti dei tassi di interesse incidono sul valore dei progetti già intrapresi e su quelli da intraprendere, sia direttamente, attraverso il tasso di attualizzazione, sia indirettamente, attraverso i flussi di cassa. Altre variabili che interessano tutti gli investimenti sono la struttura per scadenza dei tassi di interesse (term structure, la differenza fra tassi di interesse a breve e a lungo termine), la propensione al rischio degli investitori (maggiore è l’avversione al rischio, minore è il valore di investimenti rischiosi), l’inflazione e la crescita economica. Dal momento che i valori attesi di tutte queste variabili sono implicitamente parte di un’analisi di capital budgeting, ogni deviazione da tali valori attesi si ripercuoterà sul valore degli investimenti. Anche diversificando la propria attività, le aziende non sono in grado di ridurre questo tipo di rischio, sebbene in linea teorica alcuni prodotti finanziari derivati potrebbero essere adoperati a tale scopo. Nè possono ridurlo gli investitori diversificando il proprio portafoglio di investimenti rischiosi (quali, ad esempio, i titoli azionari), dal momento che ogni investimento rischioso è esposto almeno in parte al rischio-mercato.

Domanda di verifica 3.3 Il rischio dipende da chi se l’assume “Nel valutare lo stesso progetto, un’impresa non quotata utilizzerà un tasso di attualizzazione maggiore rispetto a un’impresa quotata”. Vero o falso? Perché?

P er ché la div ersificazione riduce erché diversificazione o elimina il rischio specifico d’impr esa? d’impresa? Diversificare consente di ridurre o eliminare il rischio specifico d’impresa per due motivi. Il primo è che ciascun investimento in un portafoglio ben diversificato costituirà solo una piccola percentuale dell’intero portafoglio. In tal modo ogni attività che incrementa o riduce il valore del singolo investimento (o di

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un piccolo gruppo di investimenti) avrà un impatto minimo sull’intero portafoglio. Il secondo motivo è che, in ciascun periodo, le specifiche politiche aziendali avranno effetti talora di segno positivo, talaltra di segno negativo sui prezzi di ciascun titolo. In un portafoglio di una certa dimensione questi effetti tenderanno a cancellarsi a vicenda e il rischio specifico d’impresa non influirà significativamente sul valore complessivo del portafoglio. Invece, gli effetti di oscillazioni in variabili di mercato avranno probabilmente lo stesso segno per la gran parte degli investimenti in un portafoglio, anche se alcuni possono essere più colpiti di altri. Per esempio, a parità di condizioni, un incremento dei tassi di interesse riduce il valore della maggior parte degli investimenti in un portafoglio. Una maggiore diversificazione non elimina il rischio, anche se detenere titoli in diverse classi (titoli azionari, titoli obbligazionari ecc.) può ridurre l’impatto del rischio-mercato. La Tabella 3.1 sintetizza le diverse componenti del rischio e le azioni che aziende e investitori possono intraprendere per ridurlo o eliminarlo.

P er ché si pr esume che l’inv estitor e erché presume l’investitor estitore “marginale” sia div ersificato? diversificato? L’idea che un investitore possa ridurre la propria esposizione al rischio non viene in genere contestata, ma i modelli di rischio e rendimento in finanza vanno oltre. In tali modelli, infatti, si sostiene che l’investitore marginale (cioè colui che determina i prezzi dei titoli) sia ampiamente diversificato. Di conseguenza, l’unico rischio riflesso nel prezzo di un titolo (o, in generale, nella valutazione di un investimento) è il rischio percepito da tale investitore. In realtà il ragionamento sottostante è molto semplice. Supponiamo che vi siano due investitori, uno diversificato e uno non diversificato, i quali concordino sul rendimento atteso di un certo titolo (o sui flussi di cassa attesi da un certo progetto d’investimento). La percezione della rischiosità di tale titolo sarà però maggiore per l’investitore non diversificato rispetto a quello diversificato, dal momento che il secondo, a differenza del primo, non deve preoccuparsi del rischio specifico d’impresa. Perciò l’investitore diversificato sarà disposto a pagare una somma maggiore per quel titolo. Il risultato di questo processo è che, nel tempo, tutti i titoli vengono ad essere detenuti da investitori diversificati. Si potrebbe replicare che questo ragionamento funziona perfettamente per titoli azionari e altri valori mobiliari negoziati in piccole unità ed estremamente liquidi, ma si adatta meno bene ad investimenti illiquidi e con una elevata dimensione minima. In molti Paesi, ad esempio, i beni immobiliari sono posseduti da investitori non diversificati, con gran parte del patrimonio investita in tali beni. Cionondimeno, i benefici derivanti dalla diversificazione sono tali che una serie di titoli, quali i Real Estate Investment Trust (REIT, una sorta di fondi comuni di investimento immobiliare) e le obbligazioni ipotecarie, sono stati creati proprio per permettere ai risparmiatori che investono in beni immobiliari di ottenere comunque un certo livello di diversificazione.

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- Cambiamenti riguardanti tutte le società in un settore

Settore

- Sì, dal momento che i proprietari non sono in genere ben diversificati

- Possono esservi, se l’azienda intraprende pochi progetti

Azienda non quotata

- Oscillazioni dei - Investendo in tassi di cambio diversi Paesi/ - Cambiamenti valute politici

- Oscillazioni dei tassi di interesse - Oscillazioni dell’inflazione - Shock economici

Internazionale

Mercato

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- Sì

- Detenendo un - Sì, dal momento portafoglio diver- che i proprietari sificato a livello non sono in geneinternazionale re ben diversificati

- Diversificandosi - Detenendo un - Sì, dal momento in altri settori portafoglio diverche i proprietari attraverso sificato fra vari non sono in geneacquisizioni/insettori industriali re ben diversificati vestimenti

- Risposte inattese - Acquisendo i o nuovi prodotti/ concorrenti servizi da parte dei concorrenti

Concorrenza

- Investendo in azioni dei concorrenti

- Errori di stima - Intraprendendo - Detenendo più - Errori riguarun ampio nume- di un’azione nel danti il prodotto ro di progetti portafoglio o la localizzazione

del progetto

Specifico

L’investitore può mitigarlo

Esempi

L’azienda può mitigarlo

Un’analisi del rischio

Tipo di rischio

Tabella 3.1

- Sì

- Sì, dal momento che gli investitori non sono diversificati internazionalmente

- No

- No

- No

Azienda quotata con investitori interni

Effetti sull’analisi

- Sì

- No

- No

- No

- No

Azienda quotata con investitori internazionali

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Domanda di verifica 3.4 Qualità del management e rischio “Un’azienda ben gestita è meno rischiosa di un’azienda gestita male”. Vero o falso?

La misur azione del rischio di mer cato misurazione mercato La maggior parte dei modelli di rischio e rendimento in finanza concordano sul fatto che il rischio deriva dalla distribuzione dei rendimenti effettivamente realizzati attorno al rendimento atteso e che deve essere misurato dal punto di vista di un investitore marginale ampiamente diversificato. Ciò che distingue tali modelli è la misurazione del rischio non diversificabile, ovvero il rischiomercato. Nel paragrafo seguente analizzeremo la soluzione proposta da ciascuno dei quattro modelli di base: – il capital asset pricing model (CAPM), l’arbitrage pricing model (APM), il modello multifattoriale e i modelli basati sulla regressione.

Il capital asset pricing model Si tratta del modello di rischio e rendimento di gran lunga più utilizzato in passato e costituisce tuttora il modello standard in molte applicazioni di finanza aziendale. Ipotesi Nonostante la diversificazione consenta di ridurre l’esposizione degli investitori al rischio specifico d’impresa, la maggior parte degli investitori possiede un numero limitato di titoli. Anche i maggiori mutual funds (fondi comuni aperti) sono riluttanti a possedere più di qualche centinaio di azioni, e anzi molti non ne hanno più di una ventina. La ragione di questa riluttanza è che i benefici marginali della diversificazione di un portafoglio diminuiscono all’aumentare della diversificazione: ad esempio, la riduzione del rischio specifico d’impresa ottenuta aggiungendo il ventunesimo titolo è minore rispetto a quella ottenuta precedemente con l’aggiunta di un quinto o un decimo titolo, e potrebbe non essere sufficiente a coprire i costi marginali associati alla diversificazione, quali i costi di transazione d il costo di seguire un titolo in più (monitoring cost). Inoltre, molti investitori (e fondi di investimento) ritengono di saper individuare i titoli sottovalutati e quindi decidono di non detenere quelli (ritenuti) sopravvalutati o correttamente valutati. Il capital asset pricing model ipotizza che non esistano costi di transazione, che tutte le attività (finanziarie e non) siano trattate sul mercato e che gli investimenti siano divisibili all’infinito (cioè che si possa comprare una qualsiasi frazione di un’unità di investimento). Ipotizza inoltre che, non essendoci in-

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formazione privata, gli investitori non possano trovare attività sottovalutate o sopravvalutate sul mercato. L’effetto di tali ipotesi è quello di eliminare quei fattori che spingono gli investitori a limitare il proprio grado di diversificazione. Portando agli estremi la logica della diversificazione, quindi, l’investitore deterrà in portafoglio tutte le attività trattate sul mercato (azioni, obbligazioni e titoli immobiliari inclusi), ciascuna in proporzione al suo valore di mercato4. Il portafoglio composto da ogni attività trattata sul mercato viene chiamato portafoglio di mercato. Le implicazioni per gli investitori Ma se ciascun investitore sceglierà lo stesso identico portafoglio, cioè il portafoglio di mercato, che ruolo gioca la diversa propensione al rischio di ciascun investore nelle scelte di investimento? La diversa propensione al rischio emerge nella decisione di allocazione, vale a dire nella decisione di quanto investire nel titolo privo di rischio e quanto nel portafoglio di mercato. Investitori più avversi al rischio sceglieranno di investire gran parte o la totalità del proprio patrimonio nel titolo privo di rischio, mentre investitori meno avversi al rischio investiranno principalmente o esclusivamente nel portafoglio di mercato. Anzi, potranno investire nel portafoglio di mercato non solo tutto il loro patrimonio, ma anche fondi presi a prestito al tasso del titolo privo di rischio. Questi risultati si basano su due ulteriori ipotesi. La prima è che esista un titolo privo di rischio, ovvero un titolo il cui rendimento atteso sia certo. La seconda è che gli investitori, per ottenere la combinazione ottimale fra titolo privo di rischio e portafoglio di mercato (data la propria propensione al rischio), possano dare e prendere in prestito fondi al tasso privo di rischio. Esistono comunque varianti del CAPM che ottengono risultati fondamentalmente simili senza queste ipotesi addizionali.

Domanda di verifica 3.5 Corr er e un rischio in modo ef ficiente Correr ere efficiente Nel CAPM, il modo più efficiente di assumere molto rischio è: ■ Comprare un portafoglio ben bilanciato dei titoli più rischiosi sul mercato. ■ Comprare titoli rischiosi che siano anche sottovalutati. ■ Prendere in prestito fondi e comprare un portafoglio ben diversificato.

4

Se il “peso” di ciascuna attività nel portafoglio di investimenti non fosse proporzionale al valore di mercato dell’attività stessa, gli investitori perderebbero parte dei benefici della diversificazione. Ma data l’ipotesi di assenza di informazione privata (e quindi l’impossibilità di identificare sistematicamente attività sottovalutate o sopravvalutate), non c’è motivo di rinunciare ai benefici della diversificazione; quindi il peso di ciascuna attività verrà determinato in proporzione al valore di mercato.

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La misurazione del rischio-mercato di una singola attività Il rischio di ciascuna attività per un investitore corrisponde al rischio aggiunto da quell’attività al suo portafoglio. Nel contesto del CAPM, dove tutti gli investitori scelgono di detenere il portafoglio di mercato, il rischio di una singola attività per un investitore corrisponde al rischio che quest’attività aggiunge al portafoglio di mercato. Statisticamente, questo rischio addizionale è misurato dalla covarianza dell’attività con il portafoglio di mercato. Maggiore è la correlazione fra l’andamento di un’attività e l’andamento del portafoglio di mercato, maggiore è il rischio aggiunto da tale attività (dal momento che i movimenti non correlati all’andamento del portafoglio di mercato vengono eliminati quando si aggiunge un’attività al portafoglio). La covarianza, però, è una misura non standardizzata del rischio-mercato; ad esempio, sapere che le azioni Disney hanno una covarianza con il portafoglio di mercato pari al 55% non ci fa capire se hanno una rischiosità superiore o inferiore alla media. Possiamo tuttavia standardizzare la misura del rischio dividendo la covarianza di ciascuna attività con il portafoglio di mercato per la varianza del portafoglio di mercato. Otteniamo in questo modo il cosiddetto beta di un’attività:

Beta di un’attività E =

Covarianza dell’attività E con il portafoglio di mercato Varianza del portafoglio di mercato

Dato che la covarianza del portafoglio di mercato con se stesso non è altro che la varianza del portafoglio di mercato, il beta del portafoglio di mercato (e quindi il beta di una ipotetica attività media) è 1. Quindi le attività più (meno) rischiose della media saranno quelle con un beta superiore (inferiore) ad 1. Il titolo privo di rischio avrà ovviamente un beta pari a zero. Ottenere il rendimento atteso Il fatto che ciascun investitore possieda una combinazione del titolo privo di rischio e del portafoglio di mercato ha un’importante implicazione: il rendimento atteso di un’attività è strettamente correlato al suo beta. In particolare, il rendimento atteso di un’attività sarà una funzione del tasso di rendimento del titolo privo di rischio e del beta dell’attività. Rendimento atteso di un’attività i: E(Ri) = Rf + bi [E(Rm) – Rf] dove: E(Ri) = Rendimento atteso dell’attività i = Tasso di rendimento del titolo privo di rischio Rf = Beta dell’attività i βi E(Rm) = Rendimento atteso del portafoglio di mercato E(Rm) – Rf = Premio di rischio (risk premium)

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Il rendimento atteso di un’attività rischiosa è dato dal rendimento di un titolo privo di rischio maggiorato di un premio di rischio, che sarà più o meno elevato a seconda del rischio aggiunto dall’attività al portafoglio di mercato. Il CAPM in pratica È chiaro quindi che per usare il CAPM sono necessari tre input: ■ Tasso di rendimento del titolo privo di rischio. Per titolo privo di rischio si

intende un titolo il cui rendimento atteso nel periodo di riferimento sia noto all’investitore con certezza. Di conseguenza, il tasso di rendimento di un titolo privo di rischio da utilizzare nel CAPM varierà a seconda che il periodo di riferimento sia 1, 5 o 10 anni. ■ Premio di rischio. Il premio di rischio indica la remunerazione richiesta dai

risparmiatori per investire nel portafoglio di mercato (che comprende tutte le attività rischiose) piuttosto che nel titolo privo di rischio. In pratica, viene spesso stimato sulla base dei rendimenti storici di attività rischiose (di solito titoli azionari) e di titoli privi di rischio. ■ Il beta può essere ottenuto direttamente come coefficiente della regressio-

ne dei rendimenti passati dell’attività contro i rendimenti passati del portafoglio di mercato (di solito approssimato da un indice azionario). In definitiva, nel CAPM l’intero rischio-mercato è sintetizzato dal beta, misurato in relazione al portafoglio di mercato (che, almeno in teoria, include tutte le attività trattate sul mercato, ciascuna detenuta in proporzione al proprio valore di mercato).

Domanda di verifica 3.6 Cosa significa un beta negativo? Nel CAPM è possibile che alcune attività abbiano un beta inferiore a zero. In tal caso, quale affermazione descrive meglio l’investimento in queste attività? ■ “L’ investimento renderà meno di un titolo privo di rischio.” ■ “L’ investimento serve ad assicurare il mio portafoglio diversificatocontro

una parte del rischio di mercato.” ■ “Mantenere quest’investimento ha senso solo se il mio portafoglio è am-

piamente diversificato”. ■ Tutte e tre le affermazioni precedenti.

L’arbitr age pricing model ’arbitrage Le ipotesi piuttosto limitative del CAPM e la sua stretta dipendenza dal portafoglio di mercato hanno creato un certo scetticismo da parte di accademici e

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operatori professionali. Alla fine degli anni ’70, Ross (1976) ha proposto un modello alternativo per la misurazione del rischio: l’arbitrage pricing model. Ipotesi L’arbitrage pricing model (APM) si basa sul semplice presupposto che gli investitori traggono vantaggio dalle opportunità di arbitraggio. In altri termini, se due portafogli hanno la stessa esposizione al rischio ma offrono diversi rendimenti attesi, gli investitori acquisteranno il portafoglio con maggiore rendimento atteso e, così facendo, ne faranno salire il prezzo e quindi diminuire il rendimento atteso, riportandolo perciò in equilibrio con l’altro portafoglio. Come il CAPM, anche l’arbitrage pricing model scompone il rischio in rischio specifico d’impresa e rischio-mercato. Il primo è il rischio che influenza principalmente una singola azienda. Il secondo è il rischio che influenza tutti gli investimenti, e deriva da variazioni impreviste nei tassi di interesse, nell’inflazione, o in altre variabili macroeconomiche. Inseriamo questo concetto nel modello di rendimento: R = E(R) + m + ∈ dove m rappresenta il rischio-mercato (o rischio sistematico), ed ∈ rappresenta il rischio specifico d’impresa. Si noti che questa distinzione è molto simile a quella fra rischio specifico d’impresa e rischio-mercato nell’ambito del CAPM. Le fonti del rischio-mercato Nonostante il CAPM e l’APM facciano entrambi una distinzione fra rischio specifico d’impresa e rischio-mercato, essi si differenziano poi nell’approccio alla misurazione del rischio-mercato. Il CAPM ipotizza che il rischio-mercato sia sintetizzato dal portafoglio di mercato, mentre l’APM ammette molteplici fonti del rischio-mercato, rappresentate da variazioni inattese in variabili macroeconomiche fondamentali dette “fattori” (prodotto interno lordo, tassi di interesse, inflazione ecc.), e misura la sensibilità degli investimenti a ciascuna di tali variazioni con un diverso beta. La componente mercato m del rendimento “imprevisto” (differenza fra rendimento effettivo R e rendimento atteso E(R)) può quindi essere scomposta in una serie di fattori economici: R = E(R) + m + ∈ = E(R) + (β1F1 + β2F2 + … + βnFn) + ∈ dove βj = sensibilità dell’investimento a variazioni inattese nel fattore j (il cosid detto beta-fattore) Fj = variazioni inattese nel fattore j Gli effetti della diversificazione Nel presentare il CAPM, abbiamo elencato i vari benefici della diversificazione. La conclusione fondamentale è stata che la diversificazione degli investi-

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menti in portafoglio elimina il rischio specifico d’impresa. L’arbitrage pricing model parte dalla stessa idea per concludere che il rendimento inatteso di un portafoglio non avrà una componente specifica d’impresa (da noi indicata con ∈). Il rendimento di un portafoglio Rp può essere rappresentato come la somma di due medie ponderate – la media ponderata dei rendimenti attesi delle attività nel portafoglio e la media ponderata dei beta associati a ciascun fattore: Rp = (w1R1 + w2R2 + … +wnRn) + (w1β1,1 +w2+β1,2 + … +wnβ1,n) F1 + (w1β2,1 +w2+β2,2 + … +wnβ2,n) F2 +… dove wj = peso relativo dell’attività j nel portafoglio Rj = rendimento atteso dell’attività j βi,j = beta dell’attività j rispetto al fattore i Rendimenti attesi, beta e fattori Il fatto che il beta di un portafoglio rispetto a ciascun fattore è la media ponderata dei beta di ciascuna attività nel portafoglio rispetto a quel fattore, unitamente alla condizione di assenza di arbitraggio, ha un’importante implicazione: esiste una relazione diretta fra rendimento atteso e beta associati a ciascun fattore. Per capire il motivo, supponiamo che ci sia un solo fattore e che ci siano tre portafogli, con le seguenti caratteristiche. Il portafoglio A ha un beta (rispetto a questo unico fattore) di 2,0 e un rendimento atteso del 20%; il portafoglio B ha un beta di 1,0 e un rendimento atteso del 12%; il portafoglio C ha un beta di 1,5 e un rendimento atteso del 14%. Si noti che investendo la metà del proprio patrimonio nel portafoglio A e la metà nel portafoglio B, si potrebbe ottenere un portafoglio con un beta (sempre rispetto all’unico fattore) pari a 1,5 e un rendimento atteso del 16%. Di conseguenza nessun investitore vorrà investire nel portafoglio C finché non scenderanno i prezzi delle attività in tale portafoglio, portandone così il rendimento atteso al 16%. Questo semplice esempio indica che il rendimento atteso di ciascun portafoglio deve essere una funzione lineare del beta, altrimenti si creeranno opportunità di arbitraggio. Lo stesso ragionamento può essere esteso al caso in cui vi sia più di un fattore, con gli stessi risultati. Perciò il rendimento atteso su un investimento può essere così rappresentato E(R) = Rf + β1 [E(R1) – Rf] + β2 [E(R2) – Rf] … + βn [E(Rn) – Rf] dove = rendimento atteso di un portafoglio con beta uguale a zero Rf E(Rj) = rendimento atteso di un portafoglio con un beta pari a 1 rispetto al fattore j, e pari a zero rispetto a tutti gli altri fattori [E(Rj) – Rf] = premio di rischio associato al fattore j.

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Si noti che il CAPM può essere considerato un caso particolare dell’APM in cui il rendimento di mercato sia determinato da un unico fattore economico, rappresentato dal portafoglio di mercato: E(R) = Rf + βm [E(Rm ) – Rf] L’APM in pratica Oltre al tasso di rendimento di un investimento privo di rischio, l’APM richiede la stima del beta e del premio di rischio per ciascun fattore. In pratica, essi vengono di solito misurati applicando la cosiddetta “analisi fattoriale” ai dati storici relativi ai rendimenti degli investimenti. In sostanza, un’analisi fattoriale esamina i dati storici alla ricerca, appunto, di “fattori” comuni a grandi gruppi di attività (piuttosto che a singole attività o a gruppi di attività concentrati in un settore. L’analisi fattoriale ottiene due risultati: 1. Specifica il numero di fattori comuni che hanno inciso sui dati storici esaminati. 2. Misura il Beta di ciascuna attività rispetto a ciascun fattore comune e fornisce una stima dell’effettivo premio di rischio ottenuto da ciascun fattore. L’analisi fattoriale, tuttavia, non identifica i fattori in termini economici. Ricapitolando, nell’arbitrage pricing model il rischio-mercato viene misurato rispetto a una serie di fattori macroeconomici, non identificati; la sensibilità di ciascun attivitàa ciascun fattore viene misurata dal cosiddetto beta-fattore. Il numero dei fattori, i vari beta-fattore e il premio di rischio associato a ciascun fattore possono essere stimati tramite l’analisi fattoriale.

Modelli multifattoriali di rischio e r endimento rendimento Il fatto che l’APM non identifichi i fattori in modo specifico può rappresentare un vantaggio da un punto di vista statistico, ma è certo una forte limitazione dal punto di vista dell’intuizione economica. La soluzione al problema sembra semplice: sostituire i non meglio identificati fattori statistici con specifici fattori macroeconomici. Costruire un modello multifattoriale In genere, i modelli multifattoriali vengono sostanzialmente costruiti a partire dall’evidenza empirica, piuttosto che sulla base di un modello economico teorico. Infatti, una volta identificato il numero dei fattori nell’APM, l‘analisi dei dati consente di estrapolarne il comportamento nel tempo. Le serie temporali così ricavate vengono poi confrontate con le serie temporali di diverse variabili macroeconomiche al fine di vedere se tali variabili sono correlate, nel tempo, con i fattori identificati. Per esempio, Chen, Roll e Ross (1986) sostengono che le seguenti variabili macroeconomiche sono strettamente correlate con i fattori identificati tramite

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l’analisi fattoriale: produzione industriale, variazioni nel premio d’insolvenza (default premium), cambiamenti nella struttura temporale dei tassi di interesse, l’inflazione non prevista e variazioni nel tasso di rendimento reale. Queste variabili possono poi essere messe in relazione al rendimento per ottenere un modello dei rendimenti attesi, dove, per ogni impresa, un beta viene calcolato rispetto a ciascuna variabile (o fattore): E(R) = Rf + βPIL [E(RPIL) – Rf] + βI [E(RI) – Rf] … +βδ [E(Rδ) –Rf] dove = Beta relativo alle variazioni nel fattore “produzione industriale” βPIL E(RPIL) = Rendimento atteso su un portafoglio con beta pari a 1 sul fattore produzione industriale, e pari a zero su tutti gli altri fattori = Beta relativo alle variazioni nel tasso di inflazione βI E(RI) = Rendimento atteso su un portafoglio con beta pari a 1 sul fattore inflazione, e pari a zero su tutti gli altri fattori Passare dall’arbitrage pricing model a un modello multifattoriale macroeconomico ha un costo: la possibilità di errore nell’identificare i fattori economici rilevanti. Tali fattori, come pure i premi di rischio associati a ciascuno di essi, possono infatti cambiare nel corso del tempo. Per esempio, le oscillazioni del prezzo del petrolio sono state un fattore economico rilevante nel determinare i rendimenti attesi nel corso degli anni ’70, ma non in altri periodi. In un modello multifattoriale, includere fattori irrilevanti o non includere un fattore rilevante può risultare in una stima dei rendimenti attesi poco affidabile. Ricapitolando, il modello multifattoriale, come l’arbitrage pricing model, ipotizza che il rischio-mercato possa essere meglio misurato utilizzando una molteplicità di fattori economici e i beta a essi relativi. A differenza dell’arbitrage pricing model, i modelli multifattoriali cercano di identificare i fattori macroeconomici che generano il rischio-mercato.

Modelli di r egr essione regr egressione I vari modelli fin qui descritti partono dalla intuizione alla base del concetto di rischio-mercato e tentano poi di caratterizzarlo con maggiore precisione attraverso un modello economico i cui parametri sono ottenuti analizzando dati storici. Esiste invece una classe di modelli che parte dai dati storici dei rendimenti per risalire a un modello di rischio e rendimento. In particolare, tali modelli cercano di “spiegare” le differenze nei rendimenti nel corso di lunghi periodi di tempo utilizzando caratteristiche specifiche dell’azienda, quali la dimensione e i multipli del prezzo azionario. Si tratta sostanzialmente di modelli di regressione, dove le caratteristiche aziendali che meglio spiegano le differenze nei rendimenti storici possono essere interpretate come un’approssimazione del rischio-mercato.

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Fama e French, in un importante studio pubblicato all’inizio degli anni ’90, notarono che i rendimenti effettivi di un’azienda nel corso di lunghi periodi di tempo sono altamente correlati al rapporto fra valore di mercato e valore contabile del capitale netto (P/BV = Price/Book Value of Equity per share) e alla capitalizzazione di mercato (MV = Market Value of Equity). Secondo gli autori, tali variabili possono essere utilizzate come approssimazioni per il rischio-mercato, e quindi i coefficienti ottenuti dalla regressione possono essere utilizzati per stimare il rendimento atteso di un investimento. Per esempio, Fama e French riportano il seguente risultato per la regressione di rendimenti mensili di titoli azionari della Borsa di New York lungo il periodo dal 1963 al 1990: Rt = 1,77% – 0,11 ln (MV) + 0,35 ln (BV/MV) dove MV = Valore di mercato del capitale netto (in milioni di dollari) BV/MV = book-to-market-ratio = valore contabile del capitale netto/valore di mercato del capitale netto Per ogni azienda, è sufficiente inserire nella regressione il valore di mercato del capitale netto e l’inverso del rapporto P/BV (ossia il book-to-market-ratio) per ottenere una stima del rendimento atteso mensile. Ricapitolando, i modelli di regressione utilizzano alcune caratteristiche delle aziende come approssimazioni per il rischio-mercato. Le caratteristiche aziendali rilevanti vengono identificate osservando la correlazione fra differenze nei rendimenti di determinati investimenti su lunghi periodi di tempo e caratteristiche di tali investimenti che possano essere osservate.

Analisi compar ata dei modelli comparata di rischio e r endimento rendimento I modelli sviluppati nel corso di questo capitolo hanno alcuni aspetti in comune. Tutti partono infatti dall’assunto che soltanto il rischio-mercato viene remunerato, ed esprimono il rendimento atteso in funzione della misura di tale rischio. Il CAPM ha bisogno di un maggior numero di ipotesi ma risulta essere il modello più semplice, dove è un unico fattore a determinare il rischio e quindi a dover essere stimato. L’APM si basa su un minor numero di ipotesi per giungere però a un modello più complicato, almeno in termini dei parametri che devono essere stimati. Il CAPM può essere considerato un caso speciale dell’APM con un unico fattore perfettamente misurato dall’indice di mercato. In generale, il CAPM ha il vantaggio di essere un modello più semplice da utilizzare; ma l’APM si rivela superiore nel caso in cui l’azienda sia sensibile a fattori economici non adeguatamente rappresentati dall’indice di mercato. Per esempio, il CAPM tende a sottostimare il beta delle compagnie petrolifere, la

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cui rischiosità è principalmente determinata dalle oscillazioni dei prezzi del petrolio. In tali casi, utilizzare l’APM, con uno dei fattori che catturi le oscillazioni dei prezzi del petrolio e di altre materie prime, porterà a una stima più precisa ed affidabile del rischio e del rendimento atteso.5 Il problema fondamentale dell’APM è la sua incapacità di identificare esattamente i fattori economici che determinano il rendimento atteso. Se da una parte ciò conferisce al modello flessibilità e riduce i problemi di carattere statistico nei test empirici, dall’altra rende difficile capire cosa significhino i coefficienti beta per un’azienda e in che modo essi varino via via che l’azienda si trasforma. È il beta una buona approssimazione per il rischio? È effettivamente correlato ai rendimenti attesi? Negli ultimi vent’anni si è lavorato molto per trovare delle risposte a queste domande. I primi test empirici del CAPM indicarono una correlazione positiva fra beta e rendimenti realizzati, sebbene altre misure di rischio (come la varianza) sembrassero comunque continuare a giocare un ruolo significativo. Ciò fu attribuito a problemi di carattere econometrico. Nel 1977, Roll, in una celebre critica sulla testabilità del modello, sostenne che non essendo possibile osservare il “vero” portafoglio di mercato, non è possibile testare il CAPM, nel senso che tutti i test del CAPM sono in realtà un test congiunto di una duplice ipotesi: 1) il CAPM funziona; 2) il portafoglio di mercato utilizzato nel test è una valida approssimazione del “vero” portafoglio di mercato. In altre parole, secondo Roll, un test empirico del CAPM può solo dimostrare se il modello funziona dato l’indice di mercato scelto come approssimazione per il “vero”portafoglio di mercato. Con la stessa logica, quando il test del CAPM fallisce, rimane aperta la possibilità che il problema non sia nel modello ma nel portafoglio scelto come approssimazione del “vero” portafoglio di mercato. Essendo impossibile testare il CAPM, Roll concluse che non esistono basi empiriche per giustificarne l’utilizzo. Un altro durissimo attacco al CAPM venne da Fama e French (1992), i quali, dopo aver esaminato la relazione fra beta e rendimenti azionari fra il 1963 e il 1990, conclusero che la correlazione ipotizzata dal CAPM non è supportata dall’evidenza empirica. Questi risultati sono stati successivamente contestati su due fronti. Amihud, Christensen e Mendelson, utilizzando gli stessi dati di Fama e French, ma diverse tecniche econometriche, hanno concluso che invece esiste una correlazione positiva fra beta e rendimenti azionari. Tale relazione è sostanzialmente riscontrata anche da Chan e Lakonishok (che esaminano il periodo 1926-1991), eccetto per il periodo successivo al 1982, forse a causa della diffusione dell’indexing (indicizzazione),6 che potrebbe aver spin-

5

Weston e Coperland hanno utilizzato entrambi i modelli per misurare il rendimento atteso per le compagnie petrolifere nel 1989; i valori da essi trovati sono stati 14,4% con il CAPM e 19,1% con l’APM.

6

Negli ultimi venti anni è cresciuto notevolmente il numero di fondi che sostanzialmente replicano un indice di mercato (quale appunto l’S&P 500). Di qui il termine indexing [N.d.C.].

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to le azioni delle grandi aziende che compongono l’indice Standard & Poor 500, caratterizzate da un beta abbastanza basso, ad avere rendimenti superiori alle azioni delle aziende più piccole, tipicamente caratterizzate da un beta più elevato. Un altro risultato interessante in Chan e Lakonishok è che i beta sembrano essere un’ottima misura di rischio in condizioni di mercato estreme: infatti, nei 10 mesi “neri” del mercato azionario fra il 1926 e il 1991, le aziende più rischiose (il decile con il beta più elevato) hanno avuto una performance di gran lunga inferiore a quella del mercato (Figura 3.4) I primi test dell’APM e dei modelli multifattoriali hanno avuto risultati molto promettenti. Ma per valutarli correttamente è importante operare una distinzione fra la capacità di questi modelli di spiegare le differenze nei rendimenti effettivamente realizzati in passato e la loro capacità di predire i rendimenti attesi in futuro. È infatti ovvio che questi modelli alternativi siano superiori al CAPM in termini della capacità di spiegare le differenze nei rendimenti storici, dal momento che essi, a differenza del CAPM, non si limitano a considerare un solo fattore. L’utilizzo di più fattori diventa però un problema quando si tratta di stimare i rendimenti attesi in futuro, perché bisogna calcolare il beta e il premio di rischio per ciascuno di questi fattori. Data la volatilità nel premio di rischio e nel beta associati a ciascun fattore, l’errore di stima può eccedere i benefici ottenibili passando dal CAPM a modelli più complessi. I modelli di regressione proposti come alternativa sono ancora più esposti a questo problema, dal momento che le variabili che sembrano essere una valida approssimazione del rischio-mercato in un determinato periodo (come la dimensione dell’azienda) possono non non esserlo più in un altro. In conclusione, possiamo affermare che il CAPM è sopravvissuto come modello base per la stima del rischio e del rendimento atteso, sia per la sua semplicità ed immediatezza, sia perché modelli alternativi non hanno dimostrato di poter fornire misure più precise del rendimento atteso. Riteniamo quindi che un uso oculato del CAPM, che non dia cioè eccessivo rilievo ai dati

Figura 3.4

Cap3.p65

Rendimenti e beta: i dieci mesi peggiori fra il 1926 e il 1991

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Capitolo 3

storici e tenga invece conto delle indicazioni emerse nel contesto di modelli alternativi al CAPM,7 rappresenti ancora oggi il modo migliore per misurare il rischio in finanza aziendale.

Modelli per il rischio di insolv enza insolvenza Quando un investitore presta dei fondi a un individuo o a un’azienda, corre il rischio di non ricevere il rimborso del prestito o il pagamento degli interessi maturati. Questa possibilità di inadempienza è chiamata “rischio di insolvenza” (default risk). In generale, i soggetti con maggiore (minore) rischio di insolvenza debbono fronteggiare maggiori (minori) tassi di interesse quando richiedono un prestito. In questo paragrafo esamineremo come misurare il rischio di insolvenza e la sua relazione con i tassi di interesse sul debito. Nei modelli di rischio e rendimento precedentemente analizzati il rendimento atteso era funzione del rischio-mercato, ma non del rischio specifico d’impresa, eliminato dalla possibilità di diversificazione. I modelli di stima del rischio d’insolvenza esaminano invece proprio gli effetti del rischio specifico d’impresa (quale il rischio di insolvenza) sui rendimenti attesi. Infatti, la diversificazione non elimina il rischio specifico d’impresa quando si tratta di titoli (quali i titoli di debito) la cui opportunità di apprezzamento a seguito di eventi aziendali positivi è assai limitata rispetto alla potenziale perdita di valore a seguito di eventi negativi. Per esempio, i titoli obbligazionari societari traggono limitati benefici da eventi aziendali che aumentano il valore dell’azienda e la rendono meno soggetta al rischio di insolvenza, mentre sono pesantemente esposti al rischio di eventi aziendali che diminuiscono il valore dell’azienda e aumentano la probabilità di insolvenza. Di conseguenza, il rendimento atteso di un titolo obbligazionario societario tende a riflettere il rischio d’insolvenza specifico della società emittente.

Un modello gener ale per il rischio d’insolv enza generale d’insolvenza Il rischio d’insolvenza di un’azienda è funzione di due variabili: la capacità dell’azienda di generare flussi di cassa tramite l’attività operativa, e i suoi impegni finanziari, fra cui il pagamento di interessi e quota capitale sui debiti.8 7

Ad esempio, Barra, un’importante agenzia che fornisce stime dei coefficienti beta, modifica i coefficienti beta ottenuti dalle regressioni di dati storici in modo tale da riflettere alcune caratteristiche fondamentali delle aziende (come la dimensione o il tasso di dividendo). Si tratta proprio di quelle caratteristiche che i modelli di regressione precedentemente descritti hanno identificato come buone approssimazioni per il rischio-mercato.

8

Per impegni finanziari intendiamo ogni pagamento che l’azienda si è contrattualmente impegnata a effettuare, come appunto il pagamento di interessi e quota capitale sui debiti contratti. Tale definizione esclude invece flussi di cassa discrezionali, come il pagamento di dividendi o gli esborsi richiesti da nuovi investimenti, che possono essere rinviati senza conseguenze legali, anche se con possibili conseguenze economiche.

Cap3.p65

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La nozione di rischio

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A parità di condizioni, infatti: ■ Aziende che generano flussi di cassa elevati rispetto ai loro impegni finan-

ziari hanno un rischio d’inadempienza minore. Perciò, aziende con un ammontare significativo di investimenti in essere, e quindi già in grado di generare elevati flussi di cassa, avranno un minore rischio d’inadempienza. ■ Maggiore è la stabilità dei flussi di cassa, minore è il rischio d’inadempien-

za dell’azienda. Le aziende che operano in settori dall’andamento più prevedibile e stabile avranno minore rischio di inadempienza rispetto a quelle che operano in settori più volatili e/o soggetti a fluttuazioni cicliche. La maggior parte dei modelli di stima del rischio d’insolvenza misura la dimensione dei flussi di cassa rispetto agli impegni finanziari attraverso una serie di rapporti finanziari e cerca di tenere conto della variabilità dei flussi di cassa inserendo una variabile che rifletta il settore industriale di appartenenza.

Rating del debito e tassi di inter esse interesse La più utilizzata misura del rischio d’insolvenza di un’azienda è il rating del debito, vale a dire un giudizio complessivo di qualità sulle obbligazioni della società emittente generalmente espresso da un’agenzia di rating indipendente, che utilizza informazione sia pubblica che privata.

Il pr ocesso di r ating processo rating Il processo di rating di un’obbligazione comincia quando la società emittente si rivolge a un’agenzia di rating. L’agenzia raccoglie informazioni da fonti pubblicamente disponibili (bilanci ecc.) e dalla stessa società emittente, e giunge a determinare un certo rating. Se la società non accetta tale valutazione, ha la possibilità di presentare ulteriori informazioni. Questo processo viene rappresentato in modo schematico per un’agenzia di rating, la Standard & Poor’s (S&P), nella Figura 3.5.

Descrizione del r ating del debito rating Le due maggiori agenzie di rating delle obbligazioni societarie sono la Standard & Poor’s (S&P) e la Moody’s. La Tabella 3.2 descrive le sigle con cui le due agenzie sintetizzano il rating assegnato a titoli obbligazionari di diversa qualità. Nei mercati finanziari, obbligazioni con un rating di BBB o superiore (nella classificazione della Standard & Poor’s) sono considerate di “grado investimento” (investment grade).

Determinanti del r ating delle obbligazioni rating Il rating assegnato dalle agenzie specializzate si basa principalmente su informazione pubblicamente disponibile, sebbene anche l’informazione privatatamente fornita dalle àsocietà può avere una certa influenza. In particolare, il

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Capitolo 3

Figura 3.5

Il processo di rating della Standard & Poor’s

rating delle obbligazioni di una società dipende in gran parte dagli indici finanziari, che misurano la capacità della società di far fronte ai debiti e di generare flussi di cassa stabili e prevedibili. Esiste una moltitudine di indici finanziari. La Tabella 3.3 sintetizza alcuni degli indici principali per la misurazione del rischio d’insolvenza. Esiste una stretta correlazione fra il rating che una società riceve e la sua performance in termini di questi indici finanziari. La Tabella 3.4 fornisce un riassunto della mediana di tali indici dal 1993 al 1995 per diverse classi di rating della S&P per imprese industriali. Si noti che l’indice lordo di copertura degli interessi e l’indice di copertura degli interessi EBITDA sono espressi come multipli degli interessi passivi, mentre gli altri indici sono espressi in percentuale.

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La nozione di rischio

Tabella 3.2

Indici del rating delle obbligazioni

Standard & Poor’s AAA

AA

È il rating più elevato che possa essere assegnato. Indica una elevata capacità di ripagare il debito da parte dell’emittente La capacità di pagare è alta e solo leggermente inferiore rispetto ai titoli classificati con AAA

A

Indica solida capacità di pagare gli interessi e rimborsare il capitale. Viene assegnato a società emittenti la cui solvibilità potrebbe risentire di particolari circostanze avverse o di una congiuntura sfavorevole BBB Indica adeguata capacità di pagare gli interessi e rimborsare il capitale. Viene assegnato a società emittenti la cui solvibilità potrebbe peggiorare rapidamente di fronte a particolari circostanze avverse o a una congiuntura sfavorevole. BB,B Debito considerato prevalentemente speculativo; CCC, BB è il debito meno speculativo, e CC il più CC speculativo D

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Debito in stato di insolvenza; i pagamenti per interessi e/o il rimborso del capitale sono in arretrato

Moody’s Aaa

Rating assegnato al debito di qualità maggiore e con un livello minimo di rischio

Aa

Rating assegnato a debito di alta qualità, ma considerato inferiore rispetto ad Aaa perché ha un minore margine di protezione, o per via di altri elementi di rischio di lungo termine Rating assegnato a obbligazioni che hanno le caratteristiche di un buon investimento ma possono essere soggette a rischio in futuro.

A

Baa

Rating assegnato a obbligazioni con un grado di protezione medio ed una adeguata capacità di pagamento degli interessi e rimborso del capitale

Ba B

Rating assegnato a debito con un certo rischio speculativo. In genere assegnato a investimenti non allettanti e con bassa probabilità di pagamento Bassa collocazione, forse in stato di insolvenza Molto speculativo; spesso in stato di insolvenza Altamente speculativo; in stato di insolvenza

Caa Ca C

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i principali indici finanziari per classi di rating negli Stati Uniti per il periodo più recente per il quale i dati sono disponibili.

Non sorprende che ad avere i rating migliori siano aziende con capacità di generare redditi e flussi di cassa superiori agli impegni finanziari, con maggiore redditività e con bassi indici di indebitamento. Cionondimeno vi saranno casi di aziende il cui rating non sembra coerente con gli indici finanziari: questo accade perché nella valutazione complessiva data dalle agenzie di rating giocano un ruolo anche elementi soggettivi. Perciò, un’azienda la cui performance in termini di indici finanziari è stata negativa ma per la quale si prevede un significativo miglioramento nell’immediato futuro, riceverà un rating superiore a quello che deriverebbe da una meccanica applicazione degli indici finanziari. Per la maggior parte delle aziende, tuttavia, gli indici finanziari dovrebbero fornire una base ragionevole per stimare il rating.

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Tabella 3.3

Indici finanziari utilizzati per misurare il rischio di insolvenza

Ratio

Descrizione

Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle imposte basato sul reddito operativo Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle imposte basato sull’EBITDA Rapporto fondi generati dalle operazioni/Debito Totale

(Reddito dalle operazioni permanenti al lordo delle imposte + Interessi passivi)/interessi passivi lordi EBITDA/Interessi passivi lordi

Flussi di cassa operativi disponibili/Debito Totale Rendimento sul capitale permanente al lordo delle imposte

Reddito Operativo/Fatturato

Rapporto Debito a Lungo Termine/Capitale Debito Totale/Capitalizzazione

Tabella 3.4

Indici finanziari per classi di rating obbligazionario (1993-1995)

Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle imposte basato sul reddito operativo Indice di copertura degli oneri finanziari al lordo delle imposte basato sull’EBITDA Rapporto fondi generati dalle operazioni/Debito Totale Flussi di cassa operativi disponibili/Debito Totale Rendimento sul capitale permanente al lordo delle imposte Reddito Operativo/Fatturato Rapporto Debito a Lungo Termine/Capitale Debito Totale/Capitalizzazione

Cap3.p65

(Utile netto dalle operazioni permanenti + Ammortamento)/Debito Totale (Flussi di cassa operativi – Spese in conto capitale – Variazioni nel capitale circolante)/Debito Totale (Reddito dalle operazioni permanenti al lordo delle imposte + Interessi passivi )/(Livello medio nel corso dell’anno di debito a breve termine, debito a medio termine, capitale netto e partecipazioni di minoranza) (Fatturato – Costo del Venduto – Spese di vendita – Spese Amministrative – Spese di Ricera & Sviluppo)/Fatturato Debito a Lungo Termine/(Debito a Lungo Termine + Capitale Netto) Debito Totale/(Debito Totale + Capitale Netto)

76

AAA

AA

A

13,50

9,.67

5,76

17,08

12,80

98,2%

BBB

BR

B

CCC

3,94

2,14

1,51

0,96

8,18

6,00

3,.49

2,45

1,51

69,1%

45,5%

33,3%

17,.7%

11,.2%

6,7%

60,0%

26,8%

20,9%

7,2%

1,4%

1,2%

0,96%

29,3%

21,4%

19,1%

13,9%

12,0%

7,6%

5,2%

22,6% 13,3%

17,8% 21,1%

15,7% 31,6%

13,5% 42,7%

13,5% 55,6%

12,5% 62,2%

12,2% 69,5%

25,9%

33,6%

39,7%

47,8%

59,4%

67,4%

61,1%

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La nozione di rischio

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Rating e tassi di inter esse interesse Il rendimento di un’obbligazione societaria (vale a dire il tasso di interesse richiesto dall’investitore che sottoscrive l’obbligazione) dovrebbe essere una funzione del rischio d’inadempienza della società, misurato tramite il rating. Se il rating rappresenta una valida stima del rischio d’insolvenza, alle obbligazioni con un rating più elevato dovrebbero essere associati minori tassi di interesse rispetto alle obbligazioni con un rating più scadente. In altri termini, il diverso rischio di insolvenza delle società emittenti si rifletterà in diversi tassi di interesse sulle obbligazioni. Questo differenziale per il diverso rischio d’insolvenza (default spread) varierà a seconda della scadenza dell’obbligazione, e può anche cambiare da periodo a periodo, in base alle condizioni economiche. Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i default spread per classi di rating nel periodo più recente.

In pratica Quando il r ating non è disponibile rating Dal punto di vista di un analista, avere il rating di un’azienda costituisce sicuramente una informazione preziosa, poichè il rating rappresenta una stima imparziale e pubblicamente disponibile del rischio d’insolvenza dell’azienda. Per di più, come vedremo successivamente, il default spread può essere utilizzato per stimare il costo del debito per un’azienda, anche quando essa non abbia obbligazioni in circolazione. Tuttavia, molte società, prevalentemente piccole aziende ed imprese non quotate, scelgono di non richiedere un rating. Inoltre, malgrado l’espansione delle agenzie di rating, vi sono ancora alcuni mercati in cui le società non vengono classificate in base al rischio dell’insolvenza. Quando il rating non è disponibile, alcune soluzioni alternative per ottenere una stima del costo del debito sono le seguenti: 1. Stimare un rating “sintetico”. In mercati come gli Stati Uniti, dove a migliaia di aziende viene assegnato un rating e l’informazione finanziaria su tali aziende è pienamente disponibile (come dimostra la Tabella 3.4), l’informazione finanziaria disponibile per un’azienda può essere utilizzata per stimare un “rating” dell’azienda. Per esempio, supponiamo di avere un’azienda non quotata con un indice lordo di copertura degli interessi del 6,15. In base ai dati presentati nella Tabella 3.4, tale azienda dovrebbe avere un rating contrassegnato dalla sigla A. Questo approccio può essere esteso per tenere conto di numerosi indici e delle differenze in termini di capitalizzazione di mercato e volatilità dei profitti.

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Capitolo 3

2. Dati storici. Molte aziende senza rating prendono in prestito fondi dalle banche e dalle altre istituzioni finanziarie. Analizzando i prestiti più recenti ottenuti dall’azienda, ci si può fare un’idea del default spread implicito in tali prestiti e utilizzarlo poi per giungere a una stima del costo del debito. In sostanza, è importante tenere a mente che il rating è soltanto un mezzo volto a un fine, e il fine è la stima del costo del debito.

Riepilogo La nozione che il rischio viene assunto in vista di un rendimento appropriato è chiaramente condivisibile. Tuttavia i modelli per la stima del rischio e del rendimento atteso sono ancora oggetto di dibattito. Per gli investimenti in titoli azionari, i modelli per la valutazione di rischio e rendimento misurano il rischio in termini di rischio non diversificabile: il capital asset pricing model lo misura tramite un unico fattore, “il mercato”, mentre l’arbitrage pricing model e i modelli multifattoriali utilizzano diversi fattori. Per gli investimenti in titoli obbligazionari, per i quali la possibilità di perdite di valore è ben superiore alle opportunità di apprezzamento, per ottenere appropriate stime dei rendimenti attesi si utilizzano modelli di stima del rischio d’insolvenza. Questo capitolo ha posto le fondamenta per comprendere l’intuizione e le ipotesi alla base dei modelli di rischio e rendimento. Nel prossimo capitolo affronteremo questioni di carattere pratico relative a come stimare e utilizzare questi modelli, e a come le decisioni prese dalle aziende si riflettono sui parametri di rischio.

Eser cizi Esercizi 1. Supponiamo di avere tre titoli (A, B, e C) con i seguenti parametri: Parametri

A

B

C

Rendimento atteso Scarto quadratico medio

12% 30%

10% 40%

8% 35%

Quale preferiresti, e perché? 2. Considera i seguenti dati storici sul rendimento dell’azione X negli ultimi dieci anni : Anno 1995 1994 1993

Cap3.p65

Rendimento annuale 42,1% –10,9% 20,4%

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Anno 1992 1991 1990 1989 198 1987 1986

Rendimento annuale 12,5% 10,3% 45,8% –30,5% 11,4% 10,2% –2,2%

a. Calcola il rendimento annuale medio e la scarto quadratico medio. b. Se la società non ha pagato dividendi negli ultimi dieci anni, e il prezzo azionario era $ 25,6 alla fine del 1985, quale sarà il prezzo azionario alla fine del 1995?

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La nozione del rischio

c. Quale sarà il tasso di crescita annuale composto del prezzo azionario in questi 10 anni? È uguale al rendimento medio annuale calcolato nel punto (a)?

c. Quale sarebbe il rendimento atteso di tale portafoglio?

3. Supponi di voler formare un portafoglio usando due titoli con le seguenti caratteristiche:

6. Tre titoli hanno i seguenti parametri:

Parametri

Parametri

A

Rendimento atteso 12% Scarto quadratico medio 25% Coefficiente di correlazione tra A e B

B 18% 40% 0,8

a. Calcola il rendimento atteso e la scarto quadratico medio di un portafoglio formato investendo un uguale amontare in A e in B. b. Sceglieresti di investire in tale portafoglio oppure in un titolo singolo (A o B)? Perché? 4. Supponiamo di avere due titoli con i seguenti parametri: Parametri

A

Rendimento atteso 12% Scarto quadratico medio 25% Coefficiente di correlazione tra A e B

B

–1,0

b. Quale sarà il rendimento atteso di tale portafoglio? c. Se la tua banca ti permettesse di prendere a prestito all’8% e concedere prestiti allo stesso tasso, in che modo potresti disegnare una strategia di investimento che garantisca profitti sicuri (meccanismo di arbitraggio)? 5. Supponiamo di avere due titoli con i seguenti parametri: Parametri

A

B

Rendimento atteso Scarto quadratico medio

15% 40%

5% 0%

a. Quale sarà il coefficiente di correlazione tra A e B?

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A

B

C

Rendimento atteso 15% Scarto quadratico medio 20% Coefficiente di correlazione tra A e B

20% 40%

35% 70%

Parametri

B

A

Coefficiente di correlazione tra A e C Coefficiente di correlazione tra B e C

0,5 C 0,7 0,9

Se investi il 30% del capitale in A, il 40% in B e il 30% in C, quali saranno il rendimento atteso e lo scarto quadratico medio di tale portafoglio? 7. Quale sarà il premio atteso per il rischio di un titolo azionario con un beta di 1,5 se il premio atteso per il rischio-mercato è del 10%?

15% 45%

a. In che modo puoi costruire un portafoglio che sia privo di rischio?

Cap3.p65

b. Per costruire un portafoglio con uno scarto quadratico medio pari al 20%, quali dovrebbero essere i pesi di A e B nel portafoglio?

8. Quale sarà il rendimento atteso di un titolo azionario con un beta pari a 0,9, se storicamente il rendimento medio del mercato azionario è stato del 12,5%, e i Buoni del Tesoro hanno avuto un rendimento medio del 5%? 9. Gli analisti stimano un rendimento atteso del mercato azionario per l’anno prossimo superiore del 2,5% al rendimento medio storico. Di quanto aumenterebbe il rendimento atteso del titolo azionario di cui alla domanda precedente? 10. Un titolo azionario ha un rendimento atteso del 15%, e il mercato azionario ha un rendimento atteso del 12%. Qual è il beta di questo titolo se il rendimento di un titolo privo di rischio è del 5%? 11. Il CAPM viene spesso utilizzato per valutare la performance dei gestori di fondi di investimento. Supponiamo che uno di questi fondi abbia un rendimento annuale medio del 14% per die-

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Capitolo 3

ci anni e un beta pari a 1,4. Nello stesso periodo, l’indice S&P 500 ha reso in media il 12% all’anno, e il rendimento dei Buoni del Tesoro è stato del 5%. Il gestore di questo fondo probabilmente si vanterebbe di aver battuto l’indice di mercato del 2% all’anno. Ammesso che il CAPM rappresenti correttamente la relazione tra rischio e rendimento, è vero che la performance del fondo è stata superiore a quella del mercato? 12. Supponiamo che il rendimento atteso del mercato sia il 12%, e il rendimento di un titolo privo di rischio sia il 5%. Costruiamo un portafoglio con le seguenti caratteristiche:

Coefficiente beta Peso nel portafoglio

A

B

C

1,2 0,4

0,9 0,3

1,8 0,3

Qual è il beta di tale portafoglio? E il rendimento atteso? 13. Una delle più semplici strategie di allocazione del proprio capitale è investire solamente in titoli privi di rischio come i Buoni del Tesoro e in un fondo legato all’indice S&P 500 (e che perciò dovrebbe avere un beta di 1,0). Supponiamo che il rendimento atteso dell’indice S&P 500 sia del 12%, e che il rendimento atteso dei Buoni del Tesoro sia del 5%. a. Per avere un rendimento atteso del 10% all’anno sul tuo investimento, in percentuale quanto dovresti investire nell’indice S&P 500 e quanto nei Buoni del Tesoro? b. Quale sarà il beta del portafoglio così costruito? 14. Tipicamente un fondo comune di investimento azionario ben diversificato investe in centinaia di azioni perché per legge esso non può investire più del 5% del suo patrimonio complessivo in un solo titolo. a. Quale pensi che sarà il beta di un tale fondo? b. Quale pensi che sarà il rendimento annuale medio, al lordo di spese e commissioni, per un fondo comune di investimento, se l’indice S&P 500 ha registrato storicamente un rendimento annuale medio del 12%?

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c. Ti sorprenderebbe scoprire che quando il rendimento annuale medio è calcolato al netto di spese e commissioni (che vanno in genere dall’1% al 3% del patrimonio gestito), risulta che circa l’80% dei gestori di portafoglio ha avuto una performance inferiore a quella dell’indice S&P 500? 15. Supponiamo di essere in presenza di un modello APT con quattro fattori, e di averne stimato i parametri per una particolare società: Rf b1 b2 b3 b4

1,2 0,5 0,8 1,6

E(R1) E(R2) E(R3) E(R4)

5% 6,5% 4,3% 8,0% 7,5%

a. Quale sarà il rendimento atteso di questo titolo azionario? b. Se i parametri effettivamente realizzati risulteranno invece essere (R1) = 7,2% (R2) = 5,2% (R3) = 6,3% (R4) = 10% quale sarà la “sorpresa” in termini di rendimento azionario? 16. Supponi di voler utilizzare l’equazione stimata da Fama e French: R t = 1,77% – 0,11 ln(MV) + 0,35 ln(BV/MV) nelle tue decisioni di portafoglio. A tal fine, dividi tutti i titoli in due gruppi sulla base del rapporto BV/MV. Il primo gruppo ha un BV/MV di 0,3, il secondo un BV/MV di 1,2. Che differenza ti aspetti nel rendimento medio mensile di questi due gruppi di titoli? 17. Supponiamo che le assunzioni alla base del CAPM siano valide. Valuta se le seguenti affermazioni sono vere o false: a. Imprese con varianza più alta avranno un beta maggiore. b. Un portafoglio è efficiente se non ha rischio non sistematico. c. Un’impresa il cui andamento è strettamente correlato a quello del mercato avrà un beta

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La nozione del rischio

maggiore di una il cui andamento è meno correlato.

c. Quali sarebbero rendimento atteso e varianza di un portafoglio composto in pari proporzioni da oro e titoli azionari?

d. Se aumenta la varianza dell’intero mercato, i beta di tutte le imprese diminuiscono.

d. Hai appena appreso che la GPEC (un cartello di paesi produttori di oro) ha intenzione di legare la quantità di oro prodotta all’andamento dei prezzi azionari negli Stati Uniti (più esattamente, meno oro verrà prodotto quando i prezzi azionari sono elevati, e viceversa). Quali effetti avrà una tale politica sul tuo portafoglio? Perché?

e. Un’impresa ben gestita avrà un beta più basso rispetto a una gestita male. f.

Il portafoglio di mercato è efficiente e perciò contiene soltanto i titoli migliori sul mercato.

c. Un investitore propenso al rischio deterrà le azioni più rischiose sul mercato, mentre un investitore avverso al rischio deterrà quelle più sicure. 18. Assumi che esistano soltanto due beni, l’oro e i titoli azionari. Stai considerando di investire il tuo patrimonio in una sola delle due attività, oppura in una combinazione di entrambe. Così raccogli i seguenti dati sui rendimenti delle due attività negli ultimi sei anni:

81

19. Supponiamo che la varianza media del rendimento dei singoli titoli sia 50 e la covarianza media sia 10. Quale sarà la varianza attesa di un portafoglio di 5, 10, 20, 50 e 100 titoli? Quanti titoli è necessario tenere affinché il rischio di un portafoglio sia soltanto 10% più del minimo?

Oro

Mercato azionario

20. Il CAPM è stato criticato per diverse ragioni. Elenca le critiche che sono state mosse e valuta se esse sono più o meno fondate.

Rendimento medio Deviazione standard Correlazione

8% 25%

21. Confronta l’arbitrage pricing model ed il capital asset pricing model.

20% 22% –0,4

a. Se fossi costretto a scegliere solo uno dei due investimenti, quale sceglieresti? b. Secondo un tuo amico, la tua scelta è sbagliata perché non tiene nella dovuta considerazione la possibilità di enormi rendimenti che l’investimento in oro offre. In che modo risponderesti alle sue critiche?

a. Quali sono i punti di contatto fra i due modelli? Quali sono le differenze? b. Se ti trovassi a dover calcolare il rendimento atteso di un’azione usando il CAPM e l’APM, sotto quali condizioni otterresti lo stesso risultato? Nel caso in cui la tua stima risultasse in due diversi rendimenti attesi, come spiegheresti la differenza?

Live Case Study Analisi degli azionisti Obiettivo Capire chi sono gli investitori medi e marginali nell’azienda. Si tratta di una questione importante, dal momento che i modelli di rischio e rendimento in finanza partono dal presupposto che l’investitore marginale sia ben diversificato.

Cap3.p65

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Capitolo 3

Domande chiave ■ Chi è l’investitore medio nell’azione presa in esame? (È un individuo o o un fondo pensioni? È soggetto a tasse o è esentasse? È un investore estero o nazionale? Di che dimensione?) ■ Chi è l’investitore marginale?

Uno schema per l’analisi 1. Chi possiede le azioni di questa società? ■ Quanti sono gli azionisti? ■ Quale percentuale delle azioni è detenuta da investitori istituzionali? ■ È una società quotata anche su mercati esteri? (Se possibile, cerca di otte-

nere la percentuale delle azioni posseduta da investitori esteri) 2. Insider ■ Chi sono gli insider nella società in questione? (Oltre al management e ai membri del consiglio di amministrazione, vengono considerati insider coloro che hanno partecipazioni superiori al 5% nella società.) ■ Che ruolo svolgono nella gestione societaria? ■ Che percentuale delle azioni detengono? ■ Che percentuale delle azioni è complessivamente detenuta dai lavoratori

dipendenti della società (comprese le azioni detenute dai fondi pensione dei lavoratori dipendenti)? ■ Nel corso dell’ultimo anno, gli insider hanno acquistato o venduto azioni

della società?

Informazione online La composizione degli azionisti Per ottenere informazioni sulla percentuale di azioni detenute da insider e investitori istituzionali, esaminate il report Value Line sulla società; vi troverete una tabella nella quale sono elencate le percentuali detenute da ciascun gruppo. Informazioni più aggiornate e dettagliate sono disponibili sul sito della Securities and Exchange Commission (SEC) (www.sec.gov/edgarhp.htm). Dati riassuntivi sulle partecipazioni azionarie di investitori istituzionali e insider, nonché dati sull’attività di compravendita degli insider, sono disponibili su vari siti, fra cui www.dailystocks.com (inserite il ticker e scegliete “Gigablast research”, poi andate alle sezioni institutional ownership, insider ownership e insider trades), www.marketguide.com (inserite il ticker e poi andate alle sezioni insider trading e instit.ownership), http://finance.yahoo.com (inserite il ticker e

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La nozione del rischio

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poi andate alle sezioni Insider, Profile – Top Institutional holders e Profile – Ownership) e www.morningstar.com (inserite il ticker e poi visitate la sezione Ownership). Ulteriori dettagli su attività e identità di insider e investitori istituzionali negli ultimi due anni sono disponibili sul sito www.insidertrader.com, che, inoltre, nella rubrica Insider Weekly Review evidenzia le azioni che hanno registrato di recente una significativa attività degli insider. Nel nostro booksite, abbiamo raccolto dati sulla partecipazione azionaria media di insider ed investitori istituzionali per ciascun settore industriale negli Stati Uniti. Infine, per farvi un’idea di come l’azienda è classificata dal punto di vista della tipologia di investimento (Value o Growth, Large Cap o Small Cap) andate sul sito della Morningstar ( www.morningstar.net - quicktake reports). Una volta ottenuta l’istantanea della società, fate clic su Investment Style. WWW Italia Nel nostro booksite, abbiamo raccolto dati sulla partecipazione azionaria media di investitori istituzionali per le società italiane quotate, che possono così essere comparati con le medie di settore per gli Stati Uniti. Per maggiori dettagli, si può tentare la pagina Web della società cui si è interessati (buona fortuna!). Per le società italiane quotate negli Stati Uniti, infine, si possono utilizzare le fonti menzionate nel paragrafo precedente.

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Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica Nel corso del capitolo precedente abbiamo sostenuto che il rendimento atteso di un investimento deve essere una funzione del “rischio-mercato” connesso all’investimento. Nel presente capitolo vedremo come stimare i parametri del rischio-mercato di un progetto di investimento nell’ambito di ciascuno dei modelli presentati nel Capitolo 3 – il capital asset pricing model (CAPM), l’arbitrage pricing model (APM) e il modello multifattoriale. Presenteremo tre approcci alternativi. Il primo consiste nell’utilizzare dati storici sui prezzi di mercato relativi al progetto in esame o all’impresa che lo sta esaminando. Il secondo consiste nell’utilizzare i parametri individuati per altre aziende che svolgono la stessa attività del progetto preso in esame. Il terzo consiste nell’utilizzare misure contabili (utili o fatturato). Oltre al rischio di mercato, considereremo anche la stima del tasso “privo di rischio” (risk-free rate) e del “premio di rischio” (risk premium) (nel CAPM) o dei diversi “premi di rischio” (nell’APM e nei modelli multifattoriali), che ci consentiranno di convertire la misura di rischio in un rendimento atteso (il cosiddetto costo del capitale netto). Presenteremo poi un metodo per convertire il rischio di insolvenza in una stima del costo del debito. A questo punto, saremo in grado di mostrare come il costo del capitale netto e il costo del debito vanno a comporre il costo del capitale1 , che verrà a rappresentare ciò che abbiamo in precedenza definito la “soglia minima di rendimento accettabile” di un progetto. 1

Il ruolo cruciale del costo del capitale è evidente nel celebre articolo del 1958 di Modigiliani e Miller, inizio dello studio sistematico della finanza aziendale, che si apriva con la domanda: “What is the cost of capital?” [N.d.C]

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Il costo del capitale netto Il costo del capitale netto (cost of equity) è il tasso di rendimento richiesto da coloro che investono nelle azioni di una società. Poiché tutti i modelli di rischio e rendimento descritti nel Capitolo 3 richiedono un tasso privo di rischio e un premio di rischio (nel CAPM) o diversi premi di rischio (nell’APM e nei modelli multifattoriali), cominceremo col discutere questi input, prima di dedicarci alla stima dei parametri di rischio.

Tasso privo di rischio2 Abbiamo definito “investimento privo di rischio” un’attività della quale l’investitore conosce con certezza il rendimenti atteso. Di conseguenza, perché un investimento sia esente da rischio (abbia cioè un rendimento effettivo pari al rendimento atteso), devono verificarsi due condizioni: ■ Non deve esserci rischio di insolvenza (default risk), il che in genere implica

che si tratti di un titolo emesso da uno Stato. ■ Non deve esserci incertezza sui tassi di reinvestimento, il che implica che non

ci siano flussi di cassa intermedi. Il tasso privo di rischio è quindi il tasso di un titolo zero-coupon3 emesso dallo Stato con lo stesso orizzonte temporale del flusso di cassa analizzato. In teoria questo implica l’utilizzo di diversi tassi privi di rischio per ciascun flusso di cassa di un investimento: il tasso di uno zero coupon a un anno per il flusso di cassa del primo anno, il tasso di uno zero coupon a due anni per il flusso di cassa del secondo anno, e così via. Tuttavia, in pratica se i flussi di cassa attesi sono molto incerti, utilizzare tassi privi di rischio che variano nel tempo piuttosto che un unico tasso medio ha in genere un impatto minimo in termini di valore attuale. L’utilizzo del tasso di un titolo di Stato a lungo termine (anche se non zero-coupon) come tasso privo di rischio per tutti i flussi di cassa di un investimento di lungo termine rappresenterà una buona approssimazione del valore reale. Per un investimento di breve termine, sarà invece più appropriato utilizzare il tasso di un titolo di Stato a breve termine.4 2

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo, scritto dall’autore di questo libro, La stima del tasso privo di rischio (Estimating Risk Free Rates), nel quale vengono approfonditi i temi discussi in questo paragrafo. 3 Un titolo zero coupon è un titolo che non paga interessi periodici ed è venduto a un prezzo molto inferiore al suo valore nominale (face value). L’investitore che lo acquista viene remunerato tramite il graduale apprezzamento del titolo, ricevendo poi il valore nominale alla scadenza. [N.d.C.] 4 Per gli Stati Uniti, il titolo di Stato a breve termine è il Treasury Bill (3 mesi, 6 mesi o un anno), il titolo a medio termine è il Treasury Note (da 1 a 10 anni), mentre il titolo a lungo termine è il Treasury Bond (da 10 anni in su, fino a 30 anni) [N.d.C.].

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Capitolo 4

In pratica Che far e in mancanza di un titolo fare privo di rischio di insolv enza? insolvenza? Nella nostra trattazione sui tassi privi di rischio abbiamo ipotizzato implicitamente che lo Stato sia un’entità priva di rischio di insolvenza e che esso emetta obbligazioni a lungo termine. Esistono tuttavia alcune economie nelle quali una o entrambe queste condizioni possono non verificarsi. In alcuni Paesi emergenti, lo Stato in passato non è riuscito ad adempiere ai propri obblighi finanziari e perciò non viene considerato privo di rischio di insolvenza. Esistono inoltre Paesi nei quali lo Stato non emette obbligazioni a lungo termine. Ci sono tre soluzioni a quest’ultimo problema. La prima è ignorarlo completamente, conducendo l’analisi in una valuta diversa (quale il dollaro statunitense) nella quale sia possibile ottenere un tasso privo di rischio. La seconda è individuare il tasso a cui le maggiori e più solide imprese del Paese possono ottenere prestiti a lungo termine nella valuta locale, e sottrarre da tale tasso un piccolo premio per il rischio d’insolvenza (0,2-0,3%), ottenendo così una stima indiretta del tasso privo di rischio a lungo termine. La terza soluzione è possibile soltanto in presenza di un contratto per consegna differita (forward contract) a lungo termine nella valuta locale. Dal momento che i prezzi di tali contratti sono governati dal principio della parità dei tassi di interesse, il tasso di interesse a lungo termine nella valuta locale può essere derivato dal prezzo del contratto per consegna differita e dal tasso di interesse a lungo termine nella valuta estera. Nel processo di stima di un tasso privo di rischio, vi sono anche altre questioni che debbono essere risolte. Ad esempio, il tasso privo di rischio deve sempre essere un tasso su un titolo emesso dal Paese in cui opera l’azienda in esame? Il tasso privo di rischio deve essere nominale o reale? La risposta più semplice a questo tipo di domande è che il tasso privo di rischio deve essere definito negli stessi termini dei flussi di cassa analizzati. In particolare, se l’analisi viene condotta in termini reali, il tasso privo di rischio deve essere un tasso privo di rischio reale. Se invece l’analisi viene condotta in dollari statunitensi e in termini nominali, il tasso privo di rischio deve sempre essere un tasso sui titoli di Stato statunitensi, qualunque sia la locazione geografica dell’azienda che sta valutando l’investimento. A nostro avviso, ciò è vero anche nel caso in cui il Paese in cui opera l’azienda emetta obbligazioni denominate in dollari statunitensi5, che quindi riflettono un premio per il rischio d’insolvenza. Riteniamo infatti più corretto tenere conto del premio per il rischio di insolvenza di un Paese nell’ambito della stima del premio di rischio piuttosto che del tasso privo di rischio. 5

A titolo esempificativo, il Brasile ha delle obbligazioni a lungo termine denominate in dollari chiamate C-bond e che fruttano tassi maggiori rispetto agli analoghi titoli di stato statunitensi.

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In pratica Stima e utilizzo di tassi r eali privi di rischio reali I tassi reali privi di rischio non includono un premio per l’inflazione attesa e devono essere utilizzati se anche i flussi di cassa sono stimati in base a tale premessa. Come regola pratica, è bene non utilizzare flussi di cassa e tassi di attualizzazione espressi in termini nominali quando l’inflazione è a due cifre. Una soluzione è utilizzare un’altra valuta più stabile; ad esempio, in economie a elevata inflazione, molto spesso le analisi e le valutazioni degli investimenti vengono compiute in dollari statunitensi. L’altra soluzione è condurre l’intera analisi (sia i flussi di cassa sia i tassi di attualizzazione) in termini reali. Ottenere tassi privi di rischio in termini reali è estremamente semplice se nel mercato vengono negoziati titoli di Stato con una protezione contro l’inflazione. Per esempio per gli Stati Uniti si può utilizzare come tasso reale privo di rischio il tasso sui titoli indicizzati all’andamento dell’inflazione che furono introdotti nel 1997. Sfortunatamente titoli di questo tipo di solito non esistono laddove sarebbero più utili, cioè in economie a elevata inflazione. In questo tipo di mercati, il tasso reale privo di rischio deve essere stimato in modo indiretto: l’approccio che noi suggeriamo è quello di adoperare come approssimazione il tasso atteso di crescita reale a lungo termine dell’economia in questione. Per gli Stati Uniti questo tasso sarà più o meno del 3%, mentre sarà maggiore per altri Paesi come Brasile e Cina.

Domanda di verifica 4.1 Qual è il “giusto” tasso privo di rischio? Il giusto tasso privo di rischio da utilizzare nel CAPM è: ■ Il tasso sui titoli di Stato a breve termine ■ Il tasso sui titoli di Stato a lungo termine ■ Dipende se l’investimento in esame è a breve o a lungo termine.

Il pr emio di rischio (risk pr emium) 6 premio premium Il premio di rischio è un elemento essenziale nel contesto dei modelli di rischio e rendimento (definiti nel loro insieme asset pricing model). Nel paragrafo seguente esamineremo le determinanti fondamentali del premio di rischio e come stimarlo in pratica. 6

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo, (Estimating Risk Premiums), nel quale vengono approfonditi i temi discussi in questo paragrafo.

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Capitolo 4

Che cosa dovr ebbe misur ar e il pr emio di rischio? dovrebbe misurar are premio Nel CAPM il premio di rischio misura il rendimento addizionale richiesto dagli investitori per spostarsi da un investimento privo di rischio a un investimento di media rischiosità. Ne segue che il premio di rischio dovrebbe essere una funzione di due variabili: 1. L’avversione degli investitori al rischio Maggiore l’avversione al rischio, maggiore il premio richiesto dagli investitori. Tale avversione al rischio è in parte congenita, ma dipende anche dalla situazione economica (in un’economia in crescita, gli investitori saranno più propensi ad assumere rischi) e dalla recente performance del mercato (il premio di rischio tende a salire in seguito a un significativo calo del mercato). 2. La rischiosità dell’investimento rischioso medio Maggiore la rischiosità dell’investimento rischioso medio, maggiore il premio richiesto dagli investitori. Questo dipende dalle caratteristiche delle imprese quotate e dalla loro capacità di gestire il rischio. Per esempio, il premio dovrebbe essere inferiore in mercati dove sono quotate solo le aziende più grandi e stabili. Dal momento che ciascun investitore nel mercato avrà probabilmente una sua valutazione di un premio accettabile, il premio risulterà essere una media ponderata di tali singoli premi, con i pesi proporzionali al patrimonio investito da ciascun individuo. In parole povere, la valutazione del premio di rischio data da Warren Buffett, con il suo patrimonio, avrà un peso ben maggiore di quella data da voi o da me. Allo stesso modo, nell’APM e nei modelli multifattoriali, i premi per il rischio utilizzati per ciascuno dei fattori saranno pari alla media ponderata dei premi richiesti dai singoli investitori per ciascuno dei fattori.

Domanda di verifica 4.2 Qual è il tuo pr emio di rischio? premio Supponiamo che le azioni siano l’unico investimento rischioso, e che ti vengano offerte due possibilità di investimento: 1. Un titolo privo di rischio (ad esempio un titolo di Stato), dal quale puoi ricavare un rendimento del 6,7%. 2. Un fondo comune d’investimento sull’intero mercato azionario il cui rendimento è incerto. Che rendimento atteso richiederesti per investire nel fondo comune piuttosto che nel titolo privo di rischio? ■ Meno del 6,7% ■ Fra il 6,7% e l’8,7%

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■ Fra l’8,7 % e il 10,7% ■ Fra il 10,7% e il 12,7% ■ Fra il 12,7% e il 14,7% ■ Più del 14,7%

La risposta a questa domanda dovrebbe fornirti una misura del tuo premio di rischio. Per esempio se la risposta è l’8,7%, il tuo premio di rischio sarà del 2%.

La stima dei pr emi per il rischio premi Nel contesto del CAPM ci sono tre modi per misurare il premio di rischio: condurre un sondaggio fra i maggiori investitori per capire quali sono le loro aspettative per il futuro; misurare i premi effettivamente ottenuti in passato analizzando dati storici; misurare il premio implicito nei dati correnti di mercato. Nell’APM e nei modelli multifattoriali il premio può essere stimato soltanto sulla base di dati storici. Sondaggi (survey premium) Dal momento che il premio non è altro che la media ponderata dei premi richiesti da singoli investitori, può essere stimato a partire dai rendimenti attesi dagli investitori, attraverso un sondaggio degli investitori di maggiore peso, vale a dire i gestori di fondi. Va però detto che pochissimi nella pratica professionale utilizzano la stima del premio ottenuta tramite questo meccanismo (survey premium), per tre motivi: 1. È un metodo che non impone limiti di buon senso; in teoria, ne potrebbe anche risultare che il rendimento atteso dai gestori di fondi sia inferiore al tasso privo di rischio. 2. Le stime ottenute sono estremamente volatili; i survey premium possono variare in modo significativo, in funzione dei recenti movimenti del mercato. 3. Infine, tendono a essere a breve termine, in quanto tali sondaggi indagano le aspettative di rendimenti nel breve periodo (un anno o meno).

Domanda di verifica 4.3 I pr emi per il rischio variano? premi Nella Domanda 4.2 ti è stato chiesto quale premio richiederesti per investire in un portafoglio azionario, piuttosto che in un’attività non rischiosa. Supponiamo che la stessa domanda ti venga riproposta dopo una settimana in cui il mercato è sceso del 20%. Il tuo premio sarebbe maggiore, minore o lo stesso?

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Capitolo 4

Premi storici Il metodo più comune per stimare il premio(o i premi) di rischio nei modelli di rischio e rendimento è l’estrapolazione da dati storici. Nell’APM e nei modelli multifattoriali, i dati su cui i premi sono basati sono serie temporali di prezzi su lunghissimi archi temporali. Nel CAPM il premio viene di solito definito come la differenza fra rendimenti medi azionari e rendimenti medi su titoli privi di rischio lungo un certo periodo di tempo. Nella maggior parte dei casi, questo tipo di approccio consta di tre tappe successive: 1) definire un arco temporale per la stima; 2) calcolare il rendimenti medio di un indice azionario e il rendimenti medio di un titolo privo di rischio nel periodo in questione; 3) calcolare la differenza fra tali rendimenti e utilizzarla come stima del premio di rischio atteso per il futuro. Così facendo, ipotizziamo implicitamente che: 1. L’avversione al rischio degli investitori non sia cambiata in modo sistematico nel tempo (l’avversione al rischio può variare di anno in anno, ma si muove intorno alla sua media storica). 2. La rischiosità media del portafoglio “rischioso” (l’indice azionario nel nostro caso) non sia cambiata in modo sistematico nel tempo. Nel calcolare la media dei rendimenti storici, si pone un’ulteriore domanda: utilizzare medie aritmetiche o geometriche? La media aritmetica è semplicemente la media dei rendimenti annui per il periodo in questione. La media geometrica è il rendimento annuo composto relativo allo stesso periodo. La differenza fra le due misure può essere illustrata con un esempio su due anni: Anno

Prezzo

0 1 2

50 100 60

Rendimento 100% –40%

In questo caso, il rendimento medio basato sulla media aritmetica nei due anni è 30%, mentre quello basato sulla media geometrica è soltanto 9,54%7. Coloro che utilizzano la media aritmetica sostengono che essa è molto più coerente con i presupposti del CAPM (media-varianza) e fornisce una migliore stima del premio atteso per il periodo immediatamente successivo. In favore della media geometrica viene osservato che essa tiene in considerazione la capitalizzazione dei rendimenti e che fornisce una migliore stima del premio medio atteso nel lungo termine. L’effetto pratico di questa scelta è estremamente significativo, come illustrato nella Tabella 4.1, basata su dati storici di rendimenti azionari e obbligazionari.

7

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(60/50)½ – 1 = 0,0954).

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Tabella 4.1

Premi di rischio storici del mercato statunitense Azioni -Treasury Bill

Periodo storico 1926-1996 1962-1996 1981-1996

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Media aritmetica 8,76% 5,74% 10,34%

Azioni -Treasury Bond

Media geometrica

Media aritmetica

Media geometrica

6,95% 4,63% 9,72%

7,57% 5,16% 9,22%

5,91% 4,46% 8,02%

Come si può vedere, i premi storici possono variare di molto a seconda del periodo di riferimento, del tipo di media utilizzata (aritmetica o geoemtrica) e a seconda che si scelga come tasso privo di rischio il tasso sui titoli di Stato a breve o lungo termine. Anche se non c’è un premio “giusto” e uno “sbagliato”, i nostri suggerimenti sono i seguenti: 1. Privilegiare periodi di tempo più lunghi (per gli Stati Uniti dati sono disponibili a partire dal 1926), dal momento che i rendimenti azionari sono estremamente imprecisi8 e periodi di tempo più brevi possono fornire premi eccessivamente alti o bassi. 2. Utilizzare come tassi privi di rischio i tassi sui titoli di Stato a lungo termine, dal momento che l’orizzonte temporale nell’analisi di finanza aziendale è tipicamente di lungo termine. 3. Calcolare i premi sulla base della media geometrica, dal momento che le medie aritmetiche tendono a fornire stime più elevate del premio, specialmente in mercati che, come quello statunitense, sono riusciti a sopravvivere a periodi di crisi9. La media geometrica di solito porta a stime inferiori del premio rispetto alla media aritmetica. Queste tre scelte ci porterebbe a scegliere per gli Stati Uniti un premio del 5,91%, pari alla media geometrica della differenza fra rendimenti azionari e rendimenti dei Treasury Bond nel periodo fra 1926 e 1996. Di seguito, nella maggior parte degli esempi riguardanti società statunitensi, utilizzeremo un premio di 5,50%. Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i rendimenti storici di azioni, Treasury Bill e Treasury Bond dal 1926 in poi.10 8

In base allo scarto quadratico medio dei prezzi azionari, è stato stimato che per ottenere una buona stima dei premi per il rischio sarebbero necessari dati precisi per almeno 150 anni. 9 Bisogna considerare i mercati come quello statunitense – sopravvissuto per 70 anni sostanzialmente senza subire collassi – delle eccezioni. Per fare un paragone, consideriamo gli altri mercati azionari in cui si poteva investire nel 1926; molti di essi non sono sopravvissuti e chi ha investito in essi ha subito gravi perdite. Un’analisi che non tiene conto di questo aspetto è affetta dalla cosiddetta survivorship bias. 10 I dati sono aggiornati al 2000 [N.d.C].

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I dati storici dei rendimenti azionari per gli Stati Uniti sono facilmente accessibili; i premi per gli altri Paesi sono aggiornati in Ibbotsom e Brinson (1991). Tuttavia i dati storici non sono disponibili per periodi così lunghi come per gli Stati Uniti, come dimostra la Tabella 4.2. Il premio ottenuto dagli investimenti azionari rispetto ai titoli di Stato è stato in genere più basso nei mercati europei (eccetto quello britannico) che negli Stati Uniti o in Giappone. Riteniamo che i recenti cambiamenti in molti di questi mercati e nelle economie alla loro base siano stati così significativi che i premi storici hanno poco valore. Questa considerazione acquista ancora maggiore rilevanza prendendo in considerazione i cosiddetti mercati emergenti (emerging markets). Conoscere il premio che un investitore avrebbe ottenuto nel mercato brasiliano dal 1987 al 1996 non sarebbe di grande aiuto per stimare il premio atteso in futuro, viste le oscillazioni significative dell’economia brasiliana, soprattutto dopo il Real Plan11 del 1994. Tabella 4.2

Premi di rischio nel mondo: 1969-1995 Azioni

Paese Australia Canada Francia Germania Giappone Hong Kong Italia Messico Paesi Bassi Regno Unito Singapore Spagna Stati Uniti Svizzera

Inizio

Fine

100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100 100

898,36 1020,7 1894,26 1800,74 5169,43 14993,06 423,64 2073,65 4870,32 2361,53 4875,91 844,8 1633,36 3046,09

Obbligazioni Rendimento annuale 8,47% 8,98% 11,51% 11,30% 15,73% 20,39% 5,49% 11,88% 15,48% 12,42% 15,48% 8,22% 10,90% 13,49%

Rendimento annuale 6,99% 8,30% 9,17% 12,10% 12,69% 12,66% 7,84% 10,71% 10,83% 7,81% 6,45% 7,91% 7,90% 10,11%

Premio di rischio 1,48% 0,68% 2,34% -0,80% 3,04% 7,73% –2,35% 1,17% 4,65% 4,61% 9,03% 0,31% 3,00% 3,38%

Se per gli altri Paesi non è possibile utilizzare i premi storici, come possiamo ottenere un premio da utilizzare nel CAPM? Ricordiamo che il premio di rischio è funzione della volatilità di un’economia e del rischio politico a essa associato. A parità di condizioni, ci aspetteremmo, soprattutto in prospettiva futura, che mercati più rischiosi rispetto agli Stati Uniti abbiano premi di ri11

Il Real Plan ha ridotto l’inflazione portandola da tre cifre a due cifre, cambiando le carattereristiche sostanziali dell’economia brasiliana.

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schio più elevati. Nonostante non esista una misura diretta di tale rischio, la maggior parte dei Paesi vengono classificati dalle agenzie di rating sulla base, almeno in parte, di questi criteri. Il vantaggio di questo approccio è che consente di associare a ciascun rating un premio per il rischio di insolvenza (default premium) e ottenere così indirettamente una stima del premio di rischio. Per esempio, la tabella seguente raccoglie i premi per il rischio di mercati emergenti in Asia, America Latina e Europa orientale: Paese

Rating

Premio di rischio

Argentina Brasile Cile Cina Colombia Corea Filippine India Indonesia Lituania Malesia Messico Pakistan Paraguay Perù Polonia Repubblica Ceca Romania Russia Slovacchia Slovenia Tailandia Taiwan Turchia Uruguay

BBB BB AA BBB+ A+ AA– BB+ B+ BBB BB+ A+ BBB+ B+ BBB– B AA A BB– BB– BBB– A A AA+ B+ BBB

5,5% + 1,75% = 7,25% 5,5% + 2% = 7,50% 5,5% + 0,75% = 6,25% 5,5% + 1,5% = 7,00% 5,5% + 1,25% = 6,75% 5,5% + 1,00% = 6,50% 5,5% + 2,00% = 7,50% 5,5% + 2,00% = 7,50% 5,5% + 1,75% = 7,25% 5,5% + 2% = 7,50% 5,5% + 1,25% = 6,75% 5,5% + 1,5% = 7,00% 5,5% + 2,75% = 8,25% 5,5% + 1,75% = 7,25% 5,5% + 2,5% = 8,00% 5,5% + 0,75% = 6,25% 5,5% + 1% =6,50% 5,5% + 2,5% = 8,00% 5,5% + 2,5% = 8,00% 5,5% + 1,75% = 7,25% 5,5% + 1% = 6,50% 5,5% + 1% = 6,50% 5,5% + 0,50% = 6,00% 5,5% + 2,75% = 8,25% 5,5% + 1,75% = 7,25%

Il procedimento è il seguente: 1) si prende il rating assegnato (nella valuta locale) dall’agenzia di rating ai titoli di Stato emessi dal Paese (il cosiddetto country bond rating); 2) si calcola la differenza (country bond premium) fra il tasso di interesse su obbligazioni industriali statunitensi con quello stesso rating e il tasso sui Treasury Bond; 3) si aggiunge tale differenza al premio per il rischio degli Stati Uniti.

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Capitolo 4

In sostanza, questo approccio consiste nell’esprimere il rischio dei titoli di Stato emessi da questi Paesi in termini di una “equivalente” obbligazione societaria negli Stati Uniti.12 Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete i rating aggiornati per i vari Paesi e i premi per il rischio associati a ciascuno di essi.

In pratica Stimar e i pr emi per il rischio dei P aesi Stimare premi Paesi Alcuni non sono d’accordo sull’idea di utilizzare il rating assegnato a titoli obbligazionari di un Paese (country bond rating) per stimare il premio per il rischio sull’investimento azionario nello stesso (equity risk premium). Bisogna tuttavia rilevare che esiste una stretta correlazione fra country bond premium e rendimento del mercato azionario di un Paese. Inoltre, molti dei fattori esaminati dalle agenzie di rating nell’analisi del rischio obbligazionario di un Paese sono gli stessi fattori rilevanti per la valutazione del rischio azionario di quel Paese. Nel caso in cui non si voglia utilizzare un rating obbligazionario per stimare il premio di rischio sull’investimento azionario, si possono utilizzare altre misure che riflettono il rischio di un Paese nel suo insieme. The Economist, per esempio, assegna un punteggio numerico a ogni Paese, da 0 (meno rischioso) a 100 (più rischioso). Si potrebbe partire da questi rating e assegnare a ciascuno un differenziale di rischio (risk spread). Un approccio alternativo è quello di utilizzare strumenti derivati che consentono di eliminare l’esposizione al rischio-Paese (contratti a premio, contratti a termine e contratti per consegna differita). Il costo percentuale annuo di tali strumenti, aggiunto al premio di base del proprio Paese (Tabella 4.2), rappresenta una stima del premio di rischio del Paese in esame. Per esempio, supponiamo che di essere un investitore americano, con un premio di base del 5,5% per investimenti nel mercato nazionale, e che possiamo comprare un’assicurazione contro il rischio specifico di un certo Paese pagando il 2% all’anno. Il premio totale utilizzato per quel Paese sarà il 7,5%. Premi azionari impliciti Il terzo approccio per la stima dei premi per il rischio parte dal presupposto che la valutazione del mercato nel suo insieme sia corretta. Consideriamo, per esempio, un semplice modello di valutazione dei titoli azionari, basato sulla formula della rendita perpetua a rendimento crescente (si veda l’Appendice 3 sul valore attuale): 12

In alternativa, si potrebbero utilizzare direttamente i tassi delle obbligazioni emesse dal Paese come premi per il rischio di insolvenza, ma tendono ad essere estremamente volatili.

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Valore =

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Dividendi attesi nel prossimo periodo (Tasso di rendimento atteso sul capitale netto − Tasso di crescita atteso)

Tre dei quattro elementi di questo modello possono essere facilmenti ottenuti: il livello corrente del mercato (valore), i dividendi attesi nel prossimo periodo e il tasso di crescita atteso di utili e dividendi nel lungo termine. Con questi tre input, il modello consente di calcolare il rendimento atteso sul capitale netto, che verrà a rappresentare il rendimento atteso implicito sul mercato azionario. Sottraendo da esso il tasso privo di rischio, otterremo un premio implicito per il rischio azionario. Al fine di illustrare questo metodo, supponiamo che il livello attuale dell’indice S&P 500 sia 900, che il tasso di dividendo atteso sull’indice sia del 2% e che il tasso di crescita atteso degli utili e dei dividendi nel lungo termine sia del 7%; risolvendo per il rendimento atteso sul capitale netto otteniamo: 900 = (0,02 × 900)/(r – 0,07) r = (18 + 63)/900 = 9% Con un tasso privo di rischio del 6%, il premio implicito sarà pari al 3%. Il vantaggio di questo approccio è che si basa solo su valori di mercato correnti e non richiede dati storici. È valido tuttavia soltanto nella misura in cui è valido il modello di valutazione scelto, e il suo utilizzo richiede la disponibilità e l’esattezza degli input necessari. Nell’esempio precedente, alcuni potrebbero essere in disaccordo con l’utilizzo di dividendi e con l’assunto di un tasso di crescita costante. Infine, tale approccio è basato sull’ipotesi che il mercato nel suo insieme sia valutato in modo corretto. Per illustrare la differenza fra premi impliciti e premi storici, si consideri l’evoluzione del premio implicito nei valori dell’indice S&P 500, a partire dal 1960 (Figura 4.1).13 Bisogna infine sottolineare che tale approccio non può essere adottato nel contesto dei modelli con molteplici fattori, poiché esso fornisce soltanto una misura aggregata del premio di rischio, e non singoli premi per ciascuno dei fattori.

Domanda di verifica 4.4 Pr emi impliciti e pr emi storici Premi premi Supponiamo che il premio implicito nel mercato sia in questo momento il 3%, mentre il premio storico è del 7,5%. 13 Il modello di valutazione utilizzato è un modello di attualizzazione dei dividendi a due fasi di crescita (Capitolo 12). Come tassi di crescita attesa, abbiamo utilizzato tassi di crescita passati di utili e dividendi.

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Capitolo 4

Figura 4.1

Premio di rischio implicito: mercato azionario statunitense

Utilizzare il premio storico per valutare azioni ti condurrà probabilmente a: ■ Trovare più azioni sottovalutate che sopravvalutate. ■ Trovare più azioni sopravvalutate che sottovalutate. ■ Trovare più o meno lo stesso numero di azioni sottovalutate e sopravvalutate.

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete: • i dati utilizzati per calcolare il premio azionario in ciascun anno per il mercato statunitense • uno spreadsheet che permette di stimare il premio azionario implicito in un determinato mercato.

Par ametri di rischio14 arametri Gli ultimi dati di cui abbiamo bisogno per mettere in pratica i nostri modelli di rischio e rendimento sono i parametri di rischio per una specifica attività. Nel CAPM il beta di un’attività deve essere stimato rispetto al portafoglio di mer14

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete un articolo dell’autore di questo libro, (Risk Parameter Estimation), nel quale vengono approfonditi i temi discussi in questo paragrafo.

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cato. Nell’APM e nel modello multifattoriale, bisogna misurare i beta di un’attività rispetto a ciascuno dei fattori. Esistono tre approcci per stimare questi parametri: è possibile utilizzare dati storici sui prezzi di mercato di singole attività, stimare il beta a partire dall’analisi fondamentale, oppure utilizzare dati contabili. Di seguito mostreremo tutti e tre gli approcci.

Derivar e il beta da dati storici di mer cato Derivare mercato Si tratta del metodo adottato dalla maggior parte di agenzie e analisti. Anzitutto bisogna calcolare i rendimenti che un investitore avrebbe potuto ottenere dalle azioni di un’azienda per ogni intervallo di tempo (settimana o mese) lungo un certo periodo. Nel contesto del CAPM, il beta viene poi ottenuto esaminando la relazione fra questi rendimenti e i corrispondenti rendimenti di un indice scelto come approssimazione del “vero” portafoglio di mercato. Nel contesto dei modelli multifattoriali, si esamina invece la relazione fra i rendimenti azionari e l’andamento di vari fattori macroeconomici. Infine, nell’APM è l’analisi fattoriale dei rendimenti azionari a fornire i vari beta. Procedure standard per la stima dei parametri del CAPM – Beta e Alfa Il beta di un’attività può essere stimato come coefficiente di una regressione15 dei rendimenti azionari (Rj) sui rendimenti di mercato (Rm). Rj = a + b Rm in cui a = intercetta della retta di regressione b = inclinazione della retta di regressione = covarianza (Rj, Rm) /σ2m L’inclinazione della retta di regressione corrisponde al beta dell’azione e ne misura la rischiosità. L’intercetta della regressione fornisce una semplice misura della performance effettivamente ottenuta nell’arco temporale analizzato rispetto alle previsioni del CAPM. R j = Rf + β (Rm – Rf ) = Rf (1 – β) + β Rm

Relazione fra rendimento dell’azione e rendimento del mercato prevista dal CAPM

R j = a + b Rm

Relazione identificata attraverso l’equazione di regressione

Perciò un confronto fra l’intercetta (a) e Rf (1 – β) dovrebbe fornire una misura della performance effettiva dell’azione rispetto alle previsioni del CAPM.16 15

Vedi Appendice 1. Talvolta la regressione viene calcolata utilizzando come variabili i rendimenti al netto del tasso privo di rischio (sia per l’azione che per il mercato). La relazione prevista dal 16

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Capitolo 4

In particolare: ■ Se a > Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata migliore del

previsto

■ Se a = Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata secondo le

previsioni

■ Se a < Rf (1 – β) la performance nel periodo analizzato è stata peggiore del

previsto

In sostanza, la differenza fra a e Rf (1 – β), nota come alfa di Jensen, indica se la performance dell’azione, tenuto conto del suo profilo di rischio, è stata superiore o inferiore alla performance del mercato azionario nell’arco temporale analizzato. L’altro dato statistico che emerge dalla regressione è l’R quadrato (R2) della regressione. Dal punto di vista statistico l’R quadrato fornisce una misura della capacità della retta di regressione di interpolare i dati. Dal punto di vista finanziario va interpretato come proporzione del rischio complessivo di un’azione (varianza) attribuibile al rischio di mercato; ne segue che la differenza (1 – R2) indica invece la proporzione del rischio complessivo di un’azione attribuibile al rischio specifico d’impresa. Un ultimo dato statistico di interesse è l’errore standard della stima del beta. L’inclinazione della regressione è stimata con un margine di errore, di cui l’errore standard fornisce una misura. L’errore standard può inoltre essere utilizzato per costruire intervalli di confidenza per il “vero” valore del beta attorno al valore stimato attraverso la regressione.

Esempio applicativo 4.1 La stima dei par ametri del CAPM per la Disney parametri Per stimare i parametri di rischio per la Disney, abbiamo anzitutto calcolato i rendimenti dell’azione Disney e di un indice di mercato. In particolare: 1. I rendimenti per un azionista della Disney sono calcolati mensilmente da gennaio 1992 a dicembre 1996. Tali rendimenti comprendono sia i dividendi che il cambiamento nei prezzi e sono definiti come segue: Rendimento azionarioDisney,j = = (Prezzo Disney,j – Prezzo Disney,j-1 + Dividendij )/Prezzo Disney,j-1 CAPM diviene Rj – Rf = β (Rm – Rf) mentre l’equazione di regressione diviene (Rj – Rf) = a + b (Rm – Rf). In tal caso, l’intercetta della regressione sarà zero se il rendimento effettivo pareggia il rendimento previsto dal CAPM, maggiore di zero se la performance dell’azione è stata migliore del previsto e minore in caso contrario.

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in cui Rendimento azionario Disney,j = Rendimento per un azionista Disney nel mese j = Prezzo delle azioni Disney alla fine del Prezzo Disney,j mese j Dividendij = Dividendi sulle azioni Disney nel mese j I dividendi vanno quindi sommati ai rendimenti del mese che comprende il giorno dell’incasso del dividendo (ex dividend day)17. Nel caso in cui nel corso del mese si sia verificato un frazionamento azionario (stock split), i rendimenti devono tenere conto del fattore di frazionamento (split factor), dal quale dipenderà il prezzo azionario.18 Per esempio in un frazionamento due-per-uno, il prezzo azionario scenderà di circa il 50%,19 e, se non se ne tenesse conto, il rendimento di quel mese sembrerebbe quasi certamente negativo. Per neutralizzare l’effetto dei frazionamenti azionari i rendimenti vanno calcolati così: Rendimento Disney,j = (Fattore j ×Prezzo Disney,j – Prezzo Disney,j-1 + + Fattore × Dividendij)/Prezzo Disney,j-1 in cui, a titolo esemplificativo, il fattore sarebbe 2 per un frazionamento due-per-uno e 1,5 per un frazionamento tre-per-due. 2. I rendimenti dell’indice di mercato S&P 500 sono calcolati per ciascun mese dello stesso periodo, utilizzando il livello dell’indice alla fine di ciascun mese, e il tasso di dividendo mensile delle azioni nell’indice: Rendimento di mercatoS&P,j = [(Indice S&P,j – Indice S&P,j-1)/Indice S&P,j-1 ] + + Tasso di dividendoj in cui Indicej è il livello dell’indice alla fine del mese j e Tasso di dividendoj è il tasso di dividendo sull’indice nel mese j. Va ricordato che per quanto l’S&P 500 e l’indice composito NYSE siano gli indici più utilizzati per stimare il beta di azioni statunitensi, essi sono solo approssimazioni del “vero” portafoglio di mercato che, nel CAPM, dovrebbe includere tutti i titoli negoziati. 17

Il giorno dell’incasso del dividendo (ex dividend day) è il giorno entro il quale l’azione deve essere comprata da un investitore perché egli abbia diritto al dividendo. Di solito esso cade qualche settimana dopo la data dell’annuncio. 18 Un frazionamento azionario cambia il numero di azioni in circolazione di una società senza tuttavia cambiare i fondamentali. Ad esempio, supponiamo che vi siano 10 azioni in circolazione, con un prezzo unitario di 90, per un valore del capitale netto pari a 900. Dopo un frazionamento tre-per-due ci saranno il 50% di azioni in più in circolazione (10 × 3/2 = 15), ma dal momento che il valore totale del capitale netto non è cambiato, il prezzo azionario scenderà di un ammontare equivalente (90 × 2/3 = 60). 19 1 – inverso del fattore di frazionamento = 1 – ½ = 50%.

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La Figura 4.2 rappresenta graficamente i rendimenti mensili delle azioni Disney e dell’indice S&P 500 nel periodo gennaio 1992-dicembre 1996. I risultati della regressione per la Disney sono i seguenti20: a. Inclinazione della regressione = 1,40. Questo è il beta della Disney in base ai rendimenti dal 1992 al 1996. L’utilizzo di un periodo diverso o di un diverso intervallo di rendimento (settimanale o giornaliero piuttosto che mensile) per lo stesso periodo può risultare in una stima diversa del beta. b. Intercetta della regressione = – 0,01%. Questo dato, confrontato con Rf (1 – β), fornisce una misura della performance della Disney rispetto alle attese implicite nel CAPM.. Poichè il tasso mensile21 privo di rischio fra il 1992 e il 1996 è stato in media 0,4%, l’alfa di Jensen risulta essere: Rf (1 – β) = 0,4% (1 – 1,40) = – 0,16% Intercetta – Rf(1 – β) = – 0,01% – (– 0,16%) = 0,15% Quest’analisi indica che la Disney ha avuto una performance mensile su-

Figura 4.2

Disney e S&P 500: gennaio 1992-dicembre 1996

20

Per dettagli sulla tecnica di regressione vedi Appendice 1. Facciamo riferimento al tasso mensile poiché i rendimenti utilizzati nella regressione sono mensili. 21

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periore dello 0,15% rispetto ai rendimenti attesi secondo il CAPM fra gennaio 1992 e dicembre 1996, corrispondente a un valore annualizzato di circa 1,81%. “Extra” Rendimento annualizzato = (1 + “Extra” Rendimento mensile)12 – 1 = 1,001512 – 1 = 1,0181 – 1 = 0,0181 = = 1,81% Stando a questa misura, la performance della Disney è stata dunque leggermente migliore del previsto nel periodo analizzato. Bisogna tuttavia notare che questo non implica necessariamente che la Disney rappresenti un buon investimento per il futuro. Inoltre questa misura non rivela quale porzione di questo “extra” rendimento sia attribuibile all’andamento dell’intero settore industriale piuttosto che all’attività specifica della Disney. Per avere questa informazione, bisognerebbe calcolare gli “extra”rendimenti nello stesso periodo per altre aziende operanti nello stesso settore, e poi confrontarli con il rendimento “extra” della Disney. Per esempio, l’extra rendimento medio annualizzato delle altre imprese nel settore dello spettacolo fra il 1992 e il 1996 è stato del 3,5%, il che suggerisce che la porzione di “extra” rendimento attribuibile alla performance specifica della Disney è di fatto del –1,7%. (Alfa di Jensen specifico dell’azienda = 1,8% – 3,5%) c. R quadrato della regressione = 32,41%. Questo dato suggerisce che il 32,41% del rischio complessivo (varianza) nella Disney è riconducibile a componenti di rischio-mercato (rischio dei tassi di interesse, rischio inflazione ecc.), mentre il restante 67,59% del rischio è riconducibile al rischio specifico d’impresa.22 Quest’ultimo tipo di rischio dovrebbe essere diversificabile, e dunque non viene remunerato nel contesto del CAPM. L’R quadrato della Disney è leggermente maggiore della mediana dell’R quadrato di tutte le società quotate alla New York Stock Exchange, che nel 1997 era circa del 25%. d. Errore standard della stima del beta = 0,27. Questo dato implica che il “vero” beta della Disney è compreso fra 1,13 e 1,6723 con una confidenza del 67%, e da 0,86 a 1,9424 con una confidenza del 95%. Anche se questi intervalli sembrano molto ampi, non sono affatto infrequenti per società statunitensi. Questo suggerisce che dobbiamo avere una certa cautela nell’utilizzare le stime del beta ottenute tramite la regressione.

22

Più esattamente, al rischio specifico d’impresa e al rischio-settore [N.d.C.]. I due estremi sono ottenuti sottraendo e aggiungendo un errore standard al beta stimato con la regressione (1,40). 24 I due estremi sono ottenuti sottraendo e aggiungendo due errori standard al beta stimato con la regressione (1,40). 23

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Domanda di verifica 4.5 L’importanza dell’R quadr ato quadrato per un inv estitor e investitor estitore Supponiamo che, sulla base della regressione, sia la Disney che la Amgen, una società di biotecnologia, risultino avere un coefficiente beta pari a 1,40. Tuttavia la Disney ha un R quadrato pari al 32% mentre quello della Amgen è il 15%. Quale dei due investimenti sceglieresti? ■ La Disney, perché un R quadrato più elevato indica minore rischiosità. ■ La Amgen, perché un R quadrato inferiore implica una maggiore possibili-

tà di alti rendimenti. ■ Uno qualsiasi, dal momento che hanno lo stesso beta.

Risponderesti diversamente se fossi il gestore di un fondo ampiamente diversificato?

In pratica Utilizzar e gli alfa Utilizzare Nella pratica professionale, si tende a identificare l’alfa con l’intercetta della regressione e interpretare perciò un’intercetta positiva (negativa) come segno di una performance dell’azione superiore (inferiore) al previsto. Ma questa interpretazione è legittima soltanto se i rendimenti utilizzati nella regressione sono espressi al netto del tasso privo di rischio del mese corrispondente25 (sia per l’azione che per l’indice di mercato). Tale interpretazione è accettabile anche nel caso in cui Rf(1 – β) sia vicino allo zero, ciò che può accadere in due circostanze: ■ il beta è vicino a 1; ■ l’intervallo considerato è molto breve (rendimenti giornalieri o settimana-

li), poichè il tasso privo di rischio su base giornaliera o settimanale è vicino allo zero. La stima del beta fornita dalle agenzie Nella maggior parte dei casi gli analisti che utilizzano i beta li ottengono tramite un’agenzia specializzata nella stima del beta, quali Merrill Lynch, Barra, Value Line, Standard & Poor’s, Morningstar e Bloomberg. Tutte queste agenzie 25

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Il motivo è chiaro dalla nota 16 [N.d.C.].

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partono dal beta stimato attraverso la regressione e lo correggono con l’obiettivo di renderlo una migliore stima del beta per il futuro. I dettagli delle metodologie adottate a tale scopo, in genere, non sono rivelati al pubblico; un’eccezione in tal senso è Bloomberg. Riportiamo qui di seguito la pagina Bloomberg con il calcolo del beta per la Disney, per lo stesso periodo da noi analizzato:

Nonostante il periodo di tempo sia identico, vi sono alcune sottili differenze. In primo luogo Bloomberg calcola i rendimenti (sia per l’azione che per l’indice di mercato) solo sulla base dei prezzi, ignorando i dividendi. Nel caso della Disney non fa una grossa differenza, ma per una società che non paga dividendi o paga dividendi di gran lunga superiori al mercato l’impatto sul beta può essere notevole. In secondo luogo Bloomberg calcola un beta “corretto” (adjusted beta), così ottenuto come media ponderata fra il beta della regression (raw beta) e il beta dell’intero mercato (1): Beta corretto = [(0,67) × Beta da regressione + (0,33) × 1] I pesi adottati (due terzi e un terzo) sono gli stessi per tutte le azioni e hanno l’effetto di avvicinare a 1 tutti i beta ottenuti con la regressione. Gran parte delle agenzie utilizzano procedimenti simili per avvicinare i beta a 1. Ciò viene fatto in quanto vari studi empirici documentano che per la maggior parte delle

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società i beta, nel corso del tempo tendono ad avvicinarsi al beta medio del mercato, che è 1. Questo fenomeno potrebbe essere spiegato dal fatto che le aziende crescendo tendono a diversificare la loro gamma di prodotti e di clienti (e quindi “assomigliano” di più al mercato).

Domanda di verifica 4.6 Tendenza dei beta v erso 1 verso Abbiamo osservato che i beta delle azioni tendono ad avvicinarsi a 1 nel corso del tempo. Consideriamo due società, la Coca Cola, da sempre attiva esclusivamente nella produzione di bibite, e la Pepsico, che ha invece fatto ripetute incursioni in altri settori (per esempio negli anni ’80 acquistò catene di ristoranti). Supponiamo che attualmente entrambe abbiano beta molto lontani da 1, e che ci si aspetta che esse continuino nella loro diversa politica. Per quale di esse il beta si avvicinerà più rapidamente a 1? ■ La Coca Cola, perché si concentra sulla sua attività principale. ■ La Pepsico, perché nel corso del tempo si espanderà in altre attività. ■ Entrambe le società vedranno i loro beta avvicinarsi a 1 alla stessa velocità,

perché entrambe cresceranno nel corso del tempo. Problemi di stima L’analista intenzionato a stimare il beta tramite la regressione deve prendere tre decisioni. La prima riguarda la durata del periodo di stima. La maggior parte delle agenzie di stima utilizzano dati relativi agli ultimi cinque anni, mentre Bloomberg si basa invece su due anni. Il trade-off è semplice: un periodo di stima più lungo ha il vantaggio di utilizzare più dati, ma l’azienda potrebbe aver cambiato il proprio profilo di rischio nel corso di quel periodo. Ad esempio, nel periodo da noi analizzato, la Disney si indebitò notevolmente per acquistare la Capital Cities/ABC, modificando così il proprio profilo di rischio, dal punto di vista sia finanziario che operativo. Il secondo problema di stima riguarda l’intervallo di rendimento. I rendimenti azionari sono disponibili su base annuale, mensile, settimanale, giornaliera o anche infragiornaliera. La scelta di rendimenti giornalieri o infragiornalieri consente di aumentare il numero di osservazioni incluse nella regressione, ma la stima del beta che ne risulta sarà seriamente condizionata dalla cosiddetta nontrading bias26. Per esempio, i beta delle società più piccole, per 26

Con il termine nontrading bias si fa riferimento al fatto che il rendimento di un titolo in un periodo in cui il titolo non è scambiato (nontrading period) è zero, mentre magari nello stesso periodo il mercato subisce grosse oscillazioni. L’inclusione dei rendimenti di periodi nontrading nella regressione riduce la correlazione fra rendimento azionario e rendimento di mercato e quindi anche la stima del beta.

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loro natura più esposte alla nontrading bias, vengono sistematicamente sottostimati se si utilizzano rendimenti giornalieri. L’utilizzo di rendimenti settimanali o mensili può ridurre di molto il problema.27 Nel nostro caso, il beta della Disney stimato utilizzando rendimenti settimanali per 2 anni sarebbe 0,98. Il terzo problema di stima riguarda la scelta dell’indice di mercato da utilizzare nella regressione. Il metodo standard utilizzato da molte agenzie è calcolare il beta rispetto a un indice del mercato in cui il titolo viene negoziato. Così i beta per le azioni tedesche sono stimati in relazione al Frankfurt DAX, per quelle inglesi in relazione al FTSE, per quelle giapponesi in relazione al Nikkei e per quelle statunitensi in relazione all’S&P 500. Tale metodo però fornisce una stima ragionevole del rischio solo dal punto di vista di chi investe esclusivamente in quel mercato, mentre dal punto di vista di un investitore diversificato internazionalmente sarà più appropriato un beta calcolato rispetto a un indice internazionale. Per esempio il beta della Disney fra il 1992 e il 1996 stimato rispetto al Morgan Stanley Capital Index, un indice composto di titoli azionari di diversi mercati, è pari a 1,19.

In pratica P er ché le stime dei beta variano erché da agenzia ad agenzia Capita spesso che, in uno stesso momento, diverse agenzie forniscano stime anche molto lontane fra loro del beta della stessa azienda. Ci sono vari motivi per queste differenze: 1. Diversa durata del periodo di stima. Per esempio, il beta stimato da Value Line e Standard & Poor si basa su cinque anni di dati, quello di Bloomberg su due. 2. Diversi intervalli di rendimento. Bloomberg e Value Line usano rendimenti settimanali, mentre Standard & Poor’s utilizza rendimenti mensili; alcune agenzie utilizzano addirittura rendimenti giornalieri. 3. Diversa tecnica di correzione del beta ottenuto dalla regressione. Mentre Bloomberg avvicina a 1 tutti i beta con lo stesso metodo (descritto in precedenza), Barra corregge i beta utilizzando una grande varietà di informazioni sui fondamentali di ciascuna singola azienda. L’esistenza di tanti diversi beta può far storcere il naso, ma va ricordato che al beta fornito da ciascuna agenzia è associato un errore standard, e probabilmente i beta riportati dalle altre agenzie per la stessa azienda sono compresi nell’intervallo di confidenza. 27 Il problema può anche essere ridotto utilizzando le tecniche statistiche suggerite da Dimson e Scholes-Williams.

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Esempio applicativo 4.2 Altri esempi di stima del beta sulla base della r egr essione regr egressione Ora vedremo come calcolare il beta delle altre tre imprese presentate all’inizio di questo libro: Bookscape Books, Aracruz Cellulose e Deutsche Bank. 1. La stima del beta della Bookscape Books Stimare il beta sulla base di dati storici funziona soltanto con attività quotate e che hanno prezzi di mercato. La Bookscape Books, essendo un’impresa non quotata, non ha un prezzo di mercato. Nella prossima sezione presenteremo un metodo alternativo per stimarne il beta. Va notato che lo stesso problema si pone nella stima del beta di imprese quotate solo recentemente, come pure nella stima del beta di divisioni di imprese quotate che vogliano calcolare il proprio costo del capitale netto. 2. La stima dei beta della Aracruz Cellulose Un analista alle prese col calcolo del beta di società statunitensi ha il privilegio di poter scegliere fra diversi indici di mercato, in cui in genere nessun singolo titolo predomina sugli altri. Lo stesso non può dirsi per l’analista che voglia stimare i beta di società non statunitensi. A pagina seguente presentiamo la stima del beta di Aracruz Cellulose, l’azienda brasiliana che produce carta e pasta di cellulosa, utilizzando come indice il Bovespa, un indice di titoli azionari negoziati alla Borsa di San Paolo, in cui il peso di ciascun titolo nell’indice dipende dal suo volume di negoziazione. Questa regressione presenta due problemi. Il primo è che i dati sono disponibili soltanto per 36 mesi, il che riduce il potere della regressione. L’altro – e più grave – problema è che Bovespa è un indice dominato da un titolo, Telebras, che rappresenta quasi la metà dell’indice. Perciò il beta della Aracruz calcolato rispetto al Bovespa è di fatto il beta di Aracruz rispetto a Telebras. È come se il beta della Disney fosse stato calcolato rispetto alla società AT&T invece che rispetto all’indice di mercato. La conseguenza è che il beta ottenuto in questo modo non può essere utilizzato nel CAPM. Possibili soluzioni, rimanendo nell’ambito del metodo della regressione, sarebbero le seguenti: 1. Sostituire il Bovespa con un altro indice di titoli brasiliani, dove ciascun titolo abbia lo stesso peso, o un peso proporzionale al valore di mercato (come nell’indice Senn, che comprende le 50 maggiori società brasiliane). 2. Considerare un indice che includa non solo i titoli brasiliani ma anche titoli di altri mercati (ad esempio, un indice di titoli dei Paesi latino-americani, o il Morgan Stanley Capital Index).

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3. Calcolare il beta dell’ADR della Aracruz Cellulose,28 quotato alla NYSE, utilizzando come indice l’S&P 500 o l’indice composito NYSE. I beta derivanti da queste regressioni sono indicati nella tabella seguente: Indice

Beta

Brazil I-Senn S&P 500 (con ADR) Morgan Stanley Capital Index (con ADR)

0,69 0,46 0,35

A nostro avviso, nessuno di questi beta è davvero attendibile. Nel prossimo paragrafo presenteremo un altro approccio alla stima del beta più adatto per Aracruz. Nel frattempo, è importante rilevare che non è il profilo del portafoglio di un qualunque investitore a guidare la scelta di un indice, ma il profilo del portafoglio dell’investitore marginale.

28

L’American Depositary Receipt (ADR) è un certificato di deposito azionario (relativo alle azioni di una società estera) trattato sul mercato americano e denominato in dollari statunitensi.

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3. La stima del beta della Deutsche Bank Riportiamo qui di seguito la stima del beta della Deutsche Bank fornita da Bloomberg utilizzando un indice locale, il DAX (un indice di grandi società quotate alla Borsa di Francoforte).

Questa regressione risente del fatto che la Deutsche Bank rappresenta una parte significativa del DAX. Nonostante il beta sembri “ragionevole”, presenteremo in seguito altri metodi utili che ci consentiranno di verificare se lo è davvero.

In pratica Quale indice utilizzar e per la stima del beta? utilizzare Nella maggior parte dei casi, nel calcolare il beta, gli analisti finanziari si trovano a dover scegliere fra una vasta gamma di indici. Alcuni utilizzano soltanto l’indice locale, altri scelgono l’indice più “adatto” all’investitore per il quale stanno valutando il titolo. Ad esempio, se l’analisi viene fatta per un investitore statunitense, verrà utilizzato l’indice S&P. Ma ciò implica che se l’investitore detiene soltanto due titoli, si dovrebbe utilizzare un indice composto soltanto da quei titoli – un approccio chiaramente non corretto. La scelta dell’indice da utilizzare dipende da chi è l’investitore marginale, nel nostro esempio, nella Aracruz: indicazioni in tal senso possono essere tratte

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esaminando quali sono i maggiori azionisti nella società e in quali mercati il volume di negoziazioni del titolo è maggiore. Infatti, se l’investitore marginale è un investitore brasiliano, risulta ragionevole utilizzare un indice brasiliano ben costruito. Se l’investitore marginale è un investitore globale, una misura migliore di rischio sarà ottenuta utilizzando un indice globale. Nel tempo, è plausibile che investitori globali sostituiranno quelli locali come investitori marginali, in quanto meno esposti al rischio e quindi disposti a pagare un prezzo più elevato per uno stesso titolo (Capitolo 3). Di conseguenza, Aracruz risulterà meno rischiosa per un investitore d’oltreoceano che detiene un portafoglio globale, che per un investitore brasiliano che ha investito tutto il suo patrimonio in titoli brasiliani! Procedimenti standard per stimare i parametri di rischio nell’APM e nel modello multifattoriale Come il CAPM, anche l’APM considera solo il rischio non diversificabile; tuttavia, nella misurazione del rischio, a differenza del CAPM, l’APM tiene conto di una molteplicità di fattori economici. Sebbene il processo di stima dei parametri di rischio sia diverso, molti problemi legati alle determinanti del rischio nel CAPM si presentano anche per l’APM. I parametri dell’APM sono stimati tramite un’analisi fattoriale dei rendimenti azionari storici, la quale consente di individuare il numero di fattori economici comuni che determinano tali rendimenti, il premio di rischio per ciascun fattore e il beta relativo a ciascun fattore per ciascuna azienda. Armati dei beta relativi a ogni fattore per ciascuna azienda, e dei premi di rischio per ciascun fattore, si può utilizzare l’APM per stimare il rendimento atteso di un’azione. Costo del capitale netto = R f +

i= k

β j[E(R j ) − R f ] ∑ j 1 =

in cui: Rf = tasso privo di rischio βj = beta specifico al fattore j E(Rj) – Rf = premio di rischio per il fattore j k = numero di fattori In un modello multifattoriale, infine, i beta sono stimati rispetto ai fattori specificati, utilizzando dati storici per ciascuna azienda.

Derivar e il beta dai fondamentali Derivare Se è vero che il beta di un’impresa può essere stimato tramite una regressione, non va dimenticato che esso riflette le politiche aziendali in termini di scelta

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dei settori in cui investire, leva operativa e leva finanziaria. In questo paragrafo prenderemo in esame un approccio alternativo alla stima del beta, in cui si dà minore rilievo alla stima basata su dati storici e maggiore rilievo all’intuizione economica. Determinanti dei beta Il beta di un’impresa dipende da tre variabili: (1) il tipo di attività dell’impresa, (2) il grado di leva operativa (3) il grado di leva finanziaria. Anche se nel paragrafo seguente faremo riferimento soprattutto al CAPM, la stessa analisi può essere applicata ai beta stimati nel contesto dell’APM o dei modelli multifattoriali. 1. Tipo di attività Dal momento che i beta misurano il rischio di un’azienda rispetto a un indice di mercato, più l’attività svolta dall’azienda risente dell’andamento generale del mercato, maggiore sarà il beta. A parità di condizioni, perciò, le cosiddette aziende cicliche, imprese operanti in settori dall’andamento fortemente prociclico, dovrebbero avere un beta più elevato. Per esempio, azende operanti nel settore edilizio e automobilistico, settori tradizionalmente molto sensibili alle oscillazioni dell’economia, dovrebbero avere beta maggiori rispetto a quelle operanti nel settore alimentare o del tabacco, meno condizionati dal ciclo economico. Sviluppando ulteriormente questa idea, è concepibile che il beta dipenda anche da quanto sia “discrezionale” l’acquisto dei prodotti dell’azienda. Ad esempio, il beta di aziende alimentari come la General Foods e la Kellogg’s dovrebbe essere inferiore al beta di rivenditori specializzati, dal momento che i consumatori possono differire l’acquisto dei prodotti del secondo tipo durante periodi economici poco favorevoli.

Domanda di verifica 4.7 Beta e rischio dell’impr esa dell’impresa Polo Ralph Lauren, nota azienda designer di moda, è stata quotata in Borsa nel 1997. Supponiamo di doverne calcolare il beta. In base alle tue conoscenze sui prodotti dell’azienda, pensi che il beta sarà: ■ Maggiore di uno? ■ Circa uno? ■ Minore di uno?

Perché?

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In pratica Str ategia aziendale, mark eting Strategia marketing e rischio finanziario aziendale Le aziende hanno un controllo limitato su quanto sia discrezionale per i loro clienti il prodotto o il servizio che esse forniscono. Ci sono aziende, tuttavia, che hanno utilizzato questo potere, pur limitato, per rendere i propri prodotti meno discrezionali per l’acquirente, diminuendo così la propria rischiosità. Un modo per raggiungere tale obiettivo è rendere il prodotto o servizio parte integrante e necessaria della vita quotidiana del consumatore. Un esempio in tal senso è offerto dai servizi online, come America Online, che hanno spinto la gente a utilizzare la posta elettronica e fare shopping su Internet. Un altro modo consiste nel creare una fedeltà alla marca (brand loyalty) tramite pubblicità e marketing. L’obiettivo della pubblicità – a mio parere – dovrebbe essere proprio quello di far sembrare necessari agli occhi del consumatore prodotti o servizi che necessari non sono. In tal modo, scelte di strategia aziendale, campagne pubblicitarie e politiche di marketing possono avere nel tempo un impatto sul rischio dell’impresa, e quindi sul beta. 2. Intensità della leva operativa L’intensità della leva operativa (operating leverage) è una funzione della struttura dei costi dell’azienda, e di solito viene definita in termini del rapporto fra costi fissi e costi complessivi (fissi e variabili). Un’impresa con un’elevata leva operativa (in cui i costi fissi rappresentano cioè una frazione elevata dei costi complessivi) avrà anche un’elevata variabilità negli utili al lordo di interessi e imposte (Earnings Before Interest and Taxes, EBIT29) rispetto a un’impresa che produce lo stesso tipo di prodotti ma con una leva operativa inferiore. Questo fatto ha delle implicazioni sulle decisioni strategiche che l’impresa prenderà in futuro. Ad esempio, se da un lato l’ammodernamento degli impianti e l’aggiornamento della tecnologia portano indubbiamente benefici a un’impresa, dall’altro possono ridurne la flessibilità durante una fase di contrazione economica, rendendola così più rischiosa. Dunque la leva operativa ha certamente un impatto sul beta; risulta tuttavia difficile, almeno per un osservatore esterno, misurare la leva operativa di un’azienda, in quanto costi fissi e variabili non sono presentati separatamente nei bilanci aziendali. Una misura approssimativa si può ottenere calcolando il rapporto fra variazioni nel reddito operativo e variazioni nel fatturato:

Intensità della leva operativa =

Variazione percentuale Reddito Operativo Variazione percentuale Fatturato

29 Si veda l’Appendice 2 per una descrizione del bilancio secondo i principi contabili americani.

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Per imprese con un’elevata leva operativa, il reddito operativo dovrebbe variare in modo più che proporzionale al variare del fatturato.

Esempio applicativo 4.3 Calcolar e la le va oper ativa per la Disney Calcolare leva operativa Nella tabella seguente stimiamo l’intensità della leva operativa della Disney dal 1987 al 1996: Anno

Vendite nette

1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 Media

2877 3438 4594 5844 6182 7504 8529 10055 12112 18739

Variazione % delle vendite 19,50% 33,62% 27,21% 5,78% 21,38% 13,66% 17,89% 20,46% 54,71% 23,80%

EBIT 756 848 1177 1368 1124 1429 1232 1933 2295 2540

Variazione % dell’EBIT 12,17% 38,80% 16,23% –17,84% 27,14% –13,79% 56,90% 18,73% 10,68% 16,56%

L’intensità della leva operativa cambia significativamente di anno in anno a causa delle oscillazioni del reddito operativo. Possiamo perciò calcolarla utilizzando le variazioni percentuali medie del fatturato e del reddito operativo nel periodo in questione:

Intensità della leva operativa = =

Variazione % Reddito Operativo (EBIT) Variazione % Fatturato 16,56% = 0,70 23,80%

Possiamo fare due considerazioni a riguardo. In primo luogo, la leva operativa della Disney è minore rispetto ad altre imprese che operano nel settore dello spettacolo, la cui leva operativa, in media, secondo le nostre stime è di 1,15: questo dato suggerisce che la Disney ha minori costi fissi rispetto alle sue concorrenti. In secondo luogo, è possibile che la bassa intensità della leva operativa sia in parte dovuta all’acquisizione della Capital Cities nel 1996.

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Infatti, se ricalcoliamo la leva operativa limitatamente al periodo 1987-1995: Intensità della leva operativa1987-95 =

17,29% = 0,87 19,94%

Domanda di verifica 4.8 P olitica sociale e le va oper ativa leva operativa Supponiamo di comparare un’impresa automobilistica europea con una statunitense. Le imprese europee hanno in genere maggiori vincoli nel licenziare i dipendenti in caso di dissesti finanziari. Quali implicazioni avrà questo fatto sui beta, ammesso che essi siano stimati rispetto a uno stesso indice? ■ Le imprese europee avranno beta di molto superiori a quelle statunitensi. ■ Le imprese europee avranno beta simili a quelle statunitensi. ■ Le imprese europee avranno beta di molto inferiori a quelle statunitensi.

In pratica Modificar e la le va oper ativa Modificare leva operativa Le imprese possono modificare la propria leva operativa? Nonostante una parte della struttura dei costi sia determinata dal tipo di attività nella quale l’azienda è impegnata (un’impresa che produce energia deve costruire stabilimenti costosi, le compagnie aeree devono prendere in affitto aerei, e così via), negli Stati Uniti le imprese hanno sviluppato nel tempo diverse strategie per ridurre la componente dei costi complessivi rappresentata da costi fissi. Alcuni esempi sono contratti di lavoro più flessibili, sistemi di remunerazione che consentono di legare il costo del lavoro alla performance aziendale, contratti di joint venture, in cui i costi fissi sono sostenuti da terzi, e subappalti di fasi di lavorazione, che riducono il bisogno di stabilimenti e attrezzature costose. Tali azioni vengono intraprese con l’obiettivo di ottenere vantaggi competitivi e maggiore flessibilità, ma di fatto contribuiscono anche a ridurre la leva operativa dell’azienda e la sua esposizione al rischio-mercato. 3. Intensità della leva finanziaria (financial leverage) Il beta delle attività dell’impresa è la media ponderata del beta del capitale netto (rischio a carico degli azionisti) e del beta del debito (rischio a carico degli obbligazionisti).30 30

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βAttività = βCapitale Netto (Capitale Netto/Passività totali) + βDebito (Debito/Passività totali)

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A parità di condizioni, a un aumento della leva finanziaria (cioè del rapporto d’indebitamento) seguirà un aumento del rischio a carico degli azionisti (e quindi del beta del capitale netto). Infatti i maggiori oneri finanziari, rappresentando un costo fisso, porteranno a un aumento della varianza dell’utile di esercizio (più alto in periodi favorevoli e più basso in periodi di recessione). Se l’intero rischio d’impresa è a carico degli azionisti (nel qual caso il beta del debito è pari a zero)31 e gli oneri finanziari sono fiscalmente deducibili, la relazione fra beta del capitale netto (il cosiddetto equity beta) e rapporto di indebitamento può essere così rappresentata: βL = βu [1+ (1 – t) (D/E)] in cui βL

= Beta “levered” del capitale netto dell’impresa (ossia beta dell’impresa in presenza di debito) β u = Beta “unlevered” dell’impresa (ossia, beta dell’impresa in assenza di debito) t = Aliquota d’imposta per le società D/E = Debt/Equity Ratio = Rapporto debito/capitale netto

Il beta unlevered di un’impresa dipende dal suo business risk, cioè dal rischio inerente all’attività da essa svolta (a sua volta funzione del tipo di attività e della leva operativa). Perciò, il beta levered del capitale netto dipende sia dal rischio operativo (business risk) che dal rischio finanziario (financial risk).

Esempio applicativo 4.4 Ef fetti della le va finanziaria sui beta: Effetti leva la Disney In precedenza abbiamo stimato un beta di 1,40 per la Disney nel periodo 19921996. Per stimare gli effetti della leva finanziaria sulla Disney, anzitutto abbiamo calcolato il rapporto medio debito/capitale netto fra il 1992 e il 1996 (utilizzando valori di mercato sia per il debito che per il capitale netto: Rapporto medio debito/capitale netto fra il 1992 e il 1996 = 14% Utilizzando un’aliquota marginale di imposta per le società del 36%, abbiamo ottenuto la seguente stima per il beta unlevered (il beta della Disney se non avesse debiti): 31

Se il debito ha un rischio di mercato (ossia il suo beta è superiore a zero) questa formula deve essere modificata. Indicando il beta del debito con βD , il beta del capitale netto sarà: βL = βu (1+(1 – t)(D/E)) – βD (1– t)(D/E)

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Tabella 4.3

Leva finanziaria e beta della Disney

Rapporto Debito/ Passività Totali 0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00% 80,00% 90,00%

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Rapporto Debito/ Capitale Netto

Beta

Effetto della leva

0,00% 11,11% 25,00% 42,86% 66,67% 100,00% 150,00% 233,33% 400,00% 900,00%

1,28 1,38 1,49 1,64 1,83 2,11 2,52 3,20 4,57 8,69

0,00 0,09 0,21 0,35 0,55 0,82 1,23 1,92 3,29 7,40

Beta unlevered = Beta attuale/[(1 + (1 – aliquota d’imposta) (Rapporto medio debito/capitale netto)] =1,40/[1 + (1 – 0,36) (0,14)] = 1,2849 A questo punto possiamo stimare l’impatto che diversi livelli di debito avrebbero sul beta levered: Beta levered = Beta unlevered × [1 + (1 – aliquota d’imposta) (Debito/capitale netto)] Per esempio, se il rapporto debito/capitale netto passasse dallo 0% al 10%, il beta del capitale netto diverrebbe Beta levered(10% D/E) = 1,2849 × (1 + (1 – 0,36) (0,10)) = 1,37 Se il rapporto debito/capitale netto salisse al 25%, il beta del capitale netto sarebbe Beta levered (25% D/E) = 1,2849 × (1 + (1 – 0,36) (0,25)) = 1,49 La Tabella 4.3 mostra come il beta della Disney aumenterebbe al crescere della leva finanziaria, da un debito zero a uno pari al 90%. Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, troverete uno spreadsheet che consente di stimare il beta unlevered di un’impresa e calcolare poi il beta levered corrispondente a diversi livelli della leva finanziaria dell’azienda.

Una nota su rischio operativo e leva finanziaria Come abbiamo visto, la leva finanziaria ha l’effetto di moltiplicare il rischio operativo. Ci aspetteremmo perciò che imprese con un alto rischio operativo siano più prudenti nell’indebitarsi, mentre imprese operanti in settori relati-

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vamente stabili siano più propense a utilizzare la leva finanziaria. Un esempio in tal senso sono le imprese di pubblici servizi (utilities), che storicamente hanno avuto elevati rapporti di indebitamento, ma il cui beta è in genere abbastanza basso, per via della stabilità del settore in cui esse operano. La distinzione fra componente operativa e finanziaria del rischio ci aiuta a capire che vi sono due possibili spiegazioni per un beta elevato: 1) l’impresa opera in un settore ad alta rischiosità; 2) l’impresa opera in un settore relativamente stabile ma utilizza un’elevata leva finanziaria.

In pratica Le va finanziaria e beta Leva Per aziende altamente indebitate, il beta del capitale netto stimato attraverso la regressione tende a essere di molto inferiore al beta calcolato inserendo l’attuale rapporto debito/capitale netto nell’equazione per il beta levered riportata nel paragrafo precedente. Questa differenza è attribuibile a uno o più dei seguenti fattori: 1. Se il rapporto di indebitamento è stato modificato di recente, il beta stimato da una regressione dei rendimenti storici di un’azione sui rendimenti di mercato sarà in “ritardo” rispetto al vero beta. Vale a dire che i rendimenti utilizzati nella regressione riflettono la leva finanziaria media nel periodo in questione, piuttosto che la leva finanziaria attuale. La soluzione a questo problema è abbastanza semplice: ottenere il beta unlevered tramite il rapporto medio debito/capitale netto nel periodo della regressione, e poi ricalcolare il beta levered utilizzando il rapporto debito/capitale netto corrente. 2. L’ipotesi che il debito non sia soggetto al rischio di mercato porta a una stima eccessiva del beta del capitale netto rispetto al vero beta. In realtà il debito è soggetto al rischio di mercato, soprattutto nel caso di alti indici di indebitamento. Questo problema può essere risolto stimando il beta del debito e calcolando il beta del capitale netto utilizzando l’equazione così modificata: βL = βu(1+ (1 – t)(D/E)) – βD(1 – t)(D/E) 3. Il CAPM potrebbe non essere il “giusto” modello di rischio e rendimento, nel qual caso il beta stimato potrebbe non riflettere la vera esposizione di un titolo azionario al rischio-mercato. Beta bottom-up La scomposizione del beta nelle tre determinanti (settore di attività, leva operativa e leva finanziaria) suggerisce un metodo di stima alternativo che non

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richiede la disponibilità di prezzi storici relativi all’impresa o all’investimento di cui si vuole stimare il beta. Per spiegare questo approccio alternativo dobbiamo prima introdurre un’altra preziosa caratteristica del beta. Il beta dell’insieme di due attività è la media ponderata del beta di ciascuna attività, con i pesi proporzionali al loro valore di mercato. Di conseguenza, il beta di un’impresa non è altro che la media ponderata dei beta di ciascuna attività da essa svolta. Il beta bottom-up di un’impresa può quindi essere calcolato con questo procedimento: 1. Individuare le varie attività svolte dall’impresa. 2. Stimare il beta unlevered per ciascuna attività. 3. Calcolare il beta unlevered dell’azienda come media ponderata dei beta unlevered delle varie attività, usando come pesi la percentuale del valore di mercato dell’impresa rappresentata da ciascuna attività. Nel caso in cui i valori di mercato non fossero disponibili, si può ricorrere al reddito operativo o al fatturato. 4. Calcolare l’indice di indebitamento dell’azienda, utilizzando i valori di mercato di debito e capitale netto. In mancanza di valori di mercato, si può ricorrere al livello target di indebitamento specificato dal management dell’azienda o all’indice medio di indebitamento del settore industriale in cui opera l’azienda. 5. Stimare il beta levered dell’azienda a partire dal beta unlevered (calcolato al punto 3) e dal livello di indebitamento (punto 4). Chiaramente in questo processo è cruciale la capacità di stimare i beta unlevered delle singole attività. La Tabella 4.4 sintetizza la media di beta, indici di indebitamento e beta unlevered per ciascun settore industriale negli Stati Uniti (dati raccolti nel marzo 1997). Tabella 4.4

Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori industriali negli Stati Uniti: marzo 1997

Settore

Beta

Abbigliamento Acciaio (generico) Acciaio (integrato) Aerospazio/difesa Alluminio Ambiente Arredamento ufficio/casa Articoli per la casa Attività ricreative Autoveicoli Banche (Canada)

0,89 0,83 0,98 0,93 0,99 0,89 0,88 0,97 0,89 0,96 0,77

Rapporto debito/mezzi propri 25,33% 27,09% 544,91% 18,68% 38,16% 37,92% 25,83% 13,90% 22,59% 133,99 % 27,62%

Beta unlevered 0,76 0,70 0,73 0,83 0,80 0,72 0,75 0,89 0,78 0,52 0,66 (continua)

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Capitolo 4

Tabella 4.4

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Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori industriali negli Stati Uniti: marzo 1997 (seguito)

Settore

Beta

Rapporto debito/mezzi propri

Banche (Estero) Banche (USA, Midwest) Banche Bevande (alcolici) Bevande (analcolici) Calzature Carbone/energia alternativa Cementi e aggregati Chimico (di base) Chimico (diversificato) Chimico (specializzato) Computer e unità periferiche Computer software Contenitori Cosmetici Drogheria Editoria (quotidiani) Editoria Elettrodomestici Elettronica Elettronica/spettacolo (estero) Empori Energia (Canada) Energia elettrica (Costa Occidentale) Energia elettrica (Costa Orientale) Energia elettrica (Regione Centrale) Fabbricazione di metalli Farmaceutico Forniture mediche Forniture per la vendita al dettaglio Forniture per ufficio Gas naturale (distribuzione) Gas naturale (diversificato) Giocattoli Gomma e pneumatici

0,78 0,73 0,72 0,71 0,88 1,01 0,87 0,83 0,89 0,85 0,89 1,33 1,30 0,77 1,00 0,78 0,86 0,89 0,90 1,07 0,78 0,84 0,75

48,02% 29,26% 31,59% 21,46% 12,13% 10,93 % 59,10% 18,54% 23,85% 25,76% 16,83% 14,20% 3,96% 42,57% 7,50% 37,97% 26,38% 25,08% 61,05% 14,67% 48,56% 18,46% 43,80%

0,59 0,62 0,60 0,62 0,82 0,94 0,63 0,74 0,78 0,73 0,80 1,22 1,27 0,61 0,95 0,63 0,73 0,77 0,65 0,98 0,59 0,75 0,58

0,73

90,90%

0,46

0,73

80,07%

0,48

0,70 0,81 1,28 1,11

91,49% 16,08% 8,48% 8,92%

0,44 0,73 1,21 1,05

0,98 1,04 0,58 0,82 0,84 1,03

12,33% 34,10% 57,47% 47,99% 10,52 % 18,61 %

0,90 0,85 0,,42 0,62 0,79 0,92

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Beta unlevered

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Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica

Hotel/gioco d’azzardo Impianti di semiconduttori Impianti di telecomunicazioni Impianti elettrici Imprese ferroviarie Imprese marittime Industria edilizia Industria estrattiva oro/argento Informazione sanitaria Ingrosso alimentare Intermediari finanziari Istituzioni di risparmio Lavorazione dei cibi Leasing mezzi di trasporto Macchinari Materiali edilizi Metalli ed attività estrattiva (diversificato) Petrolio (integrati) Petrolio (produzione) Prodotti cartacei Pubblicità R.E.I.T. Rame Ricambi di autoveicoli (originali) Ricambi di autoveicoli (sostitutivi) Ristorazione Semiconduttori Servizi di telecomunicazioni Servizi e impianti petroliferi Servizi finanziari Servizi industriali Servizi medici Servizi pubblici (estero) Società d’assicurazioni (diversificate) Società d’assicurazioni (ramo vita) Società d’investimento (estero) Società d’investimento (USA)

1,07 1,43 1,28 0,98 1,01 0,86 0,87 0,62 1,22 0,77 1,19 0,86 0,74 0,77 0,85 0,89

33,14% 3,95% 6,27% 9,39% 35,06 % 103,19% 104,04% 10,33 % 1,38% 46,13% 502,16% 194,62 23,05% 71,16% 30,25% 26,07%

0,89 1,39 1,23 0,92 0,83 0,52 0,52 0,59 1,21 0,60 0,28 0,38 0,65 0,53 0,71 0,77

0,80 0,72 0,71 0,84 0,85 0,69 0,90

28,59% 19,73 % 35,91% 61,73% 10,74% 109,42 % 48,18%

0,68 0,64 0,58 0,60 0,76 0,40 0,69

1,02

37,22%

0,82

0,80 1,06 1,45 1,08 0,86 1,00 0,86 1,06 1,00

37,88% 18,85 % 4,41 % 341,12% 11,43% 76,02% 26,79% 23,61% 37,16%

0,65 0,95 1,41 0,89 0,80 0,68 0,73 0,92 0,81

0,82

17,16%

0,74

0,86 0,64 0,55

15,86% 8,70% 39,67%

0,78 0,61 0,44 (continua)

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Capitolo 4

Tabella 4.4

Beta, rapporti debito/mezzi propri e beta unlevered per settori industriali negli Stati Uniti: marzo 1997 (seguito)

Settore

Beta

Rapporto debito/mezzi propri

Beta unlevered

Società diversificate Societaàd’assicurazioni (ramo infortuni e patrimonio) Spettacolo Strumenti di precisione Tabacco Telecomunicazioni (estero) Tessile Trasporto aereo Trasporto e distribuzione acqua TV via cavo Vendita al dettaglio (prodotti specializzati) Vendita al dettaglio

0,82

23,77%

0,71

0,80 0,88 0,97 0,99 0,94 0,79 1,20 0,56 1,03

8,62% 43,35 % 11,07% 27,75% 26,35% 70,29% 93,17% 109,80% 125,37%

0,76 0,69 0,91 0,,84 0,80 0,54 0,75 0,33 0,57

1,07 1,00

19,13% 47,93 %

0,95 0,77

Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, continuiamo ad aggiornare i dati della Tabella 4.4 per settore industriale negli Stati Uniti.

Esempio applicativo 4.5 La stima dei beta bottom-up di Disney Disney,, Bookscape, Ar acr uz e Deutsche Bank Aracr acruz I beta delle nostre quattro aziende possono essere stimati con l’approccio bottom-up utilizzando i beta medi dei settori in cui esse operano. 1. Beta bottom-up della Disney La Disney ha operato un cambiamento significativo sia nella struttura finanziaria che in quella operativa nel periodo 19921996. L’acquisizione di Capital Cities/ABC non solo ne ha rafforzato la presenza nel settore televisivo, ma ne ha anche aumentato significativamente la leva finanziaria, essendo stata finanziata prendendo in prestito circa 10 miliardi di dollari. Dal momento che questo è avvenuto tra il 1995 e il 1996, il beta della regressione non riflette completamente gli effetti di questi cambiamenti. Per stimare il beta attuale della Disney, ne suddividiamo l’attività in cinque componenti principali32: 32

Nei propri bilanci la Disney presenta dati dettagliati per tre settori di attività: programmi di intrattenimento (che include la vendita al dettaglio), broadcasting e parchi divertimenti (che include i beni immobili).

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1. Programmi di intrattenimento, ovvero la produzione e acquisizione di pellicole per la distribuzione nei cinema, in televisione e nelle videoteche, e di programmi per il mercato televisivo. 2. Vendita al dettaglio, che include circa 610 Disney Store dove vengono venduti i prodotti Disney. 3. Broadcasting, che comprende le reti radiofoniche e televisive ABC, frutto dell’acquisizione effettuata nel 1995. Inoltre, la Disney gioca un importante ruolo nel settore della TV via cavo attraverso il Disney Channel, A & E e ESPN (le ultime due ottenute con l’acquisizione della ABC). 4. Parchi di divertimento, come Disney World (a Orlando in Florida) e Disney Land (ad Anaheim in California), e le royalties derivanti dalle partecipazioni in Tokio Disneyland e Euro Disney. Gli hotel e ville che si trovano in tali parchi divertimenti ne vengono considerati parte integrante, dal momento che i loro incassi derivano quasi esclusivamente dai turisti che visitano i parchi. 5. Beni immobili, sotto forma di club vacanze Disney (175 unità a Vero Beach in Florida e 102 unità a Hilton Head nel South Carolina). Ciascuna di queste attività ha un profilo di rischio diverso; come stima del beta unlevered di ciascuna abbiamo utilizzato il beta unlevered medio di imprese operanti nello stesso settore. La Tabella 4.5 raccoglie i dati utilizzati a tal fine e il calcolo del beta bottom-up. Il valore delle singole divisioni è stato stimato utilizzando, per ciascuna, un diverso multiplo del reddito operativo, a seconda del tipo di attività.33 A questo punto, abbiamo potuto calcolare il beta unlevered della società Disney nel 1996 come media ponderata dei beta unlevered di ciascuna delle diverse aree di attività, usando come pesi la percentuale del valore complessivo di mercato rappresentata da ciascuna divisione.34 Il beta unlevered della Disney risulta essere 1,0929 (ultima colonna della Tabella 4.5). Il beta del capitale netto può infine essere stimato utilizzando la leva finanziaria attuale della Disney. Dato un valore di mercato del capitale netto pari a circa 50 miliardi di dollari e un valore del debito pari a 11,18 miliardi di dollari, arriviamo al beta attuale della Disney: Beta del capitale netto della Disney = 1,09 [1+(1 – 0,36)(11,18/50)] = 1,25

33 Per ciascun settore industriale corrispondente alle attività svolte dalla Disney abbiamo calcolato il rapporto medio fra valore dell’azienda e reddito operativo (rapporto Valore/EBIT). Tale rapporto è stato poi moltiplicato per il reddito operativo di ciascuna divisione per ottenere una stima del suo valore di mercato. 34 In alternativa all’approccio descritto nella nota precedente, avremmo pouto invece utilizzare come pesi per la media ponderata la percentuale del reddito operativo complessivo rappresentata da ciascuna divisione.

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Capitolo 4

Tabella 4.5

La stima dei beta unlevered della Disney per area d’attività

Attività

Valore stimato (miliardi di $)

Programmi di intrattenimento Vendita al dettaglio

22,167

Broadcasting Parchi divertimenti Beni immobili

18,842 16,625 2,217

Azienda

62,068

2,217

Aziende simili

Beta unlevered

Peso del valore della divisione

Produttrici di film 1,25 e programmi televisivi Rivenditori specializzati 1,5 di prodotti di fascia alta Società televisive 0,9 Parchi divertimenti 1,1 Fondi comuni d’investi- 0,7 mento immobiliare specializzati in hotel e vacanze

Peso × Beta

35,71%

0,4446

3,57%

0,0536

30,36% 26,79% 3,57%

0,2732 0,2946 0,0250

100,00%

1,0929

Il valore ottenuto col metodo bottom-up è inferiore al beta di 1,40 ottenuto dalla regressione e, a nostro parere, riflette in modo più preciso il rischio della Disney. 2. Beta botto-up di Bookscape Books Per la Bookscape Books, la nostra impresa non quotata, non avevamo potuto stimare un beta tramite la regressione dal momento che per essa non sono disponibili prezzi storici. Adesso, possiamo però stimarne il beta utilizzando il procedimento bottom-up. Cominciamo calcolando i beta e i rapporti debito/capitale netto di imprese quotate in Borsa operanti nello stesso settore (Tabella 4.6): Tabella 4.6

Beta e leva finanziaria di catene di librerie quotate

Nome

Beta

Barnes & Noble Books-A-Million Borders group Crown Books Media

1,10 1,30 1,20 0,80 1,10

Rapporto Debito/ Capitale Netto 23,31% 44,35% 2,15% 3,03% 18,21%

Capitalizzazione di mercato (milioni di $) 1416 85 1706 55 816

Notate che i rapporti debito/capitale netto sono basati sui valori di mercato e che le imprese in questione sono molto più grandi di Bookscape Books. La diversa dimensione delle imprese non dovrebbe di per sé avere delle implicazioni dirette sul beta; tuttavia può influenzarli indirettamente, dal momento che le imprese di minori dimensioni tendono in genere ad avere una più elevata leva operativa. Supponendo un’aliquota di imposta marginale del 36%, il beta unlevered di Bookscape Books può essere calcolato come segue: Beta unlevered = 1,10/(1+ (1 – 0,36) (0,1821)) = 0,99

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Notate anche che i rapporti debito/capitale netto delle imprese comparabili individuate sono basati su valori di mercato, mentre l’unico rapporto debito/ capitale netto che possiamo calcolare per la Bookscape è basato sui valori contabili. Per il momento ipotizziamo che la Bookscape rientri nella media del settore industriale in termini di indebitamento e che quindi il suo beta sia pari a 1,10. Torneremo su questo punto successivamente. 3. Beta bottom-up di Aracruz Cellulose Risulta difficile stimare il beta di Aracruz se si rimane entro i confini del mercato brasiliano, per due motivi. In primo luogo esistono relativamente poche aziende all’interno di questo mercato che operano nello stesso settore della Aracruz (cioè la produzione di carta e di pasta di cellulosa). In secondo luogo, sappiamo che i beta di tutte le imprese brasiliane sono comunque inattendibili perché l’indice utilizzato per calcolarli, il Bovespa, è dominato da Telebras. Possiamo tuttavia rimediare in tre modi. Il primo è espandere la lista di aziende comparabili includendo tutte le aziende che operano nel settore della produzione di carta o di prodotti cartacei nell’intera America Latina, e stimare i loro beta medi e il rapporto debito/capitale proprio. Il problema è che così facendo otteniamo si’ un numero più elevato di aziende comparabili, ma i beta stimati per ciascuna di esse rimangono poco attendibili (gli indici di mercato in questi Paesi hanno lo stesso problema del Bovespa). La seconda possibilità è utilizzare società statunitensi che operano nel settore della produzione e lavorazione della carta. In questo modo, oltre ad aumentare il numero di aziende comparabili, otterremo anche beta più affidabili. L’ultima possibilità è prendere in considerazione tutte le aziende produttrici di carta del mondo. Dal momento che i beta sono misure di rischio relativo, a nostro avviso, a parte alcune differenze sostanziali fra i diversi mercati in termini di struttura monopolistica e grado di regolamentazione, risulta ragionevole confrontare i beta fra diversi mercati. Nonostante tale gruppo risulti il più ampio, resta sempre il problema che alcuni beta saranno stimati rispetto a indici locali poco rappresentativi dell’intero mercato nazionale. Aziende comparabili America Latina (5) Stati Uniti (45) Mondo (187)

Beta medio

Rapporto Debito/ Capitale Netto

Beta unlevered

0,70 0,85 0,80

65,00% 35,00% 50,00%

0,49 0,69 0,61

Le aliquote d’imposta utilizzate sono state il 35% per le società dell’America Latina, il 36% per quelle statunitensi e il 40% per quelle globali; il numero fra parentesi si riferisce al numero di aziende. Per Aracruz utilizzeremo come beta unlevered 0,61, vale a dire il beta unlevered medio di aziende produttrici di carta e pasta di cellulosa nel mondo intero.

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Capitolo 4

Prima di stimare il beta levered di Aracruz, un esame delle attività della Aracruaz rivela che, oltre a operare nel settore della produzione della carta, la Aracruz ha avuto nel 1995 un saldo di cassa di 800 milioni di real nel 1995, pari a circa il 20% del valore dell’impresa. Dal momento che questo saldo di cassa è di gran lunga superiore a quello delle aziende comparabili da noi individuate, e dal momento che il beta a esso relativo è zero, il beta unlevered di Aracruz può essere così stimato: Beta unlevered di Aracruz = (0,8) (0,61) + 0,2 (0) = 0,488 A qusto punto possiamo calcoalre il beta levered. La Aracruz nel 1997 aveva un debito di 1,6 miliardi BR e un valore di mercato del capitale netto di 2,4 miliardi di real, per un rapporto debito/capitale netto del 66,67%. Considerando un’aliquota d’imposta del 32%, il beta levered della Aracruz risulta essere: Beta levered di Aracruz = 0,49 (1 + (1 – 0,32) (0,6667)) = 0,71 Calcolare il beta in seguito a ristrutturazioni Il processo bottom-up per la stima del beta è un’ottima soluzione anche nel caso in cui le aziende siano soggette a significative ristrutturazioni, che ne modificano sia la struttura finanziaria che quella operativa. In questi casi il beta ottenuto tramite la regressione, non riflettendo appieno gli effetti di tali cambiamenti, sarebbe fuorviante. Il beta bottom-up della Disney, ad esempio, sarà molto probabilmente più preciso rispetto a quello calcolato tramite la regressione, a causa dell’acquisizione da parte della Disney di Capital Cities e del concomitante incremento della leva finanziaria. Inoltre, utilizzando tale approccio, il beta può essere calcolato anche prima che la ristrutturazione diventi effettiva, per stimarne l’impatto sul rischio. A titolo esemplificativo, nel seguente Esempio applicativo, abbiamo stimato il beta della Disney prima e dopo l’acquisizione di Capital Cities/ABC, tenendo conto così delle variazioni nella leva finanziaria e nella struttura operativa.

In pratica Debito “lor do” o debito “netto”? “lordo” Molti analisti sottraggono dal debito (lordo) le disponibilità liquide dell’azienda ottenendo così un debito “netto”. Concettualmente non vi è nulla di sbagliato, purchè venga poi utilizzato come beta unlevered per l’azienda il beta unlevered delle aziende comparabili, senza tenere conto delle disponibilità liquide. Se usiamo il debito netto, perciò, il beta unlevered per Aracruz sarà il beta unlevered del settore della carta (0,61) e il beta levered sarà stimato a partire dal rapporto debito netto/capitale netto:

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Rapporto debito netto (Debito lordo − disponibilità liquide) = = Capitale netto Valore di mercato del capitale netto =

(1,6 − 0,8) = 33,33% 2,4

Beta levered di Aracruz = 0,61 (1+ (1 – 0,32) (0,3333)) = 0,75 La differenza rispetto al beta levered ottenuto col debito “lordo” (0,71) dipende dal fatto che, nell’utilizzare il debito netto, si ipotizza implicitamente che il beneficio fiscale associato al debito sia interamente neutralizzato dalle imposte da pagare sugli interessi generati dalle disponibilità liquide. Come regola pratica, sconsigliamo l’uso del debito netto se il tasso di interesse ottenuto sulle disponibilità liquide è significativamente diverso da quello pagato sul debito, oppure se il debito è molto rischioso (visto che il processo si basa sull’assunto che tanto il debito quanto le disponibilità liquide siano esenti da rischio). 4. Beta bottom-up della Deutsche Bank In Germania ci sono alcune banche che possono essere considerate concorrenti della Deutsche Bank, sebbene nessuna di esse abbia pari dimensioni e svolga così intensamente attività di investment banking. Anche in questo caso, per stimare i beta, guarderemo a vari mercati. Dal momento che le leggi che regolano l’attività bancaria statunitense sono diverse da quelle di molti paesi dell’Europa occidentale, per stimare il beta della divisione di commercial banking della Deutsche Bank faremo riferimento ai beta di banche dell’Europa occidentale, mentre per stimare il beta della divisione di investment banking (Morgan Grenfell) utilizzeremo i beta di investment bank di Stati Uniti e Regno Unito. I risultati sono presentati di seguito: Aziende comparabili Banche commerciali tedesche Banche di investimento inglesi e statunitensi

Beta medio 0,90 1,30

Notate che non teniamo conto delle differenze nella leva finanziaria, dal momento che vincoli normativi e tipo di attività impongono una leva finanziaria elevata e simile per la maggior parte delle banche commerciali. Il beta della Deutsche Bank può essere calcolato come media ponderata di questi due beta. Assegnando un peso del 90% alla divisione di commercial banking e un peso del 10% alla divisione di investment banking (in base al reddito ottenuto da ciascuna divisione negli ultimi anni), otteniamo un beta del capitale netto della Deutsche Bank pari a:

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Beta della Deutsche Bank = 0,9 (0,9) + (0,1)(1,30) = 0,94 Tale beta cambierà nel tempo in base ai cambiamenti nel peso relativo delle due attività svolte.

Esempio applicativo 4.6 Beta di un’azienda in seguito a un’acquisizione: Disney/Capital Cities Nel 1995 la Disney annunciò l’acquisizione di Capital Cities, proprietaria delle reti televisive e radiofoniche ABC, a un prezzo di circa $ 120 per azione, finanziando l’acquisizione in parte tramite l’emissione di obbligazioni per 10 miliardi di dollari. All’epoca dell’acquisizione, la Disney aveva un valore di mercato del capitale netto di 31,1 miliardi di dollari, un debito di 3,186 miliardi di dollari e un beta di 1,15. La Capital Cities, in base al prezzo di $ 120 per azione offerto da Disney, aveva un valore di mercato del capitale netto di 18,5 miliardi di dollari, un debito di 615 milioni di dollari e un beta di 0,95. Per valutare l’impatto dell’acquisizione sul beta della Disney, divideremo l’analisi in due parti. Esamineremo dapprima gli effetti sul rischio operativo (business risk) dell’azienda risultante dalla fusione, stimando i beta unlevered delle due società e calcolando il beta unlevered della nuova società. Beta unlevered della Disney = 1,15/(1 + 0,64 × 0,10) = 1,08 Beta unlevered di Capital Cities = 0,95/(1 + 0,64 × 0,03) = 0,93 Il beta unlevered dell’azienda risultante dalla fusione può essere calcolato come media ponderata dei due beta unlevered, con pesi basati sui valori di mercato delle due aziende (valore di mercato dell’azienda = valore di mercato del capitale netto + debito): Beta unlevered di Disney/Capital Cities = 1,08 (34286/53401) + + 0,93 (19115/53401) = 1,026 Esaminiamo poi gli effetti del finanziamento dell’acquisizione sul beta, calcolando il rapporto debito/capitale netto per l’azienda risultante dalla fusione, includendo nel debito i 10 miliardi di dollari presi in prestito: Debito = Debito di Capital Cities + Debito della Disney + Nuovo debito = = 615 + 3186 + 10.000 = 13.801 milioni di dollari

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Capitale netto = Capitale netto Disney + Nuovo capitale netto usato per l’acquisizione = 31.100 + 8500 = 39.600 milioni di dollari in cui Nuovo capitale netto = Costo totale dell’acquisizione – Nuovo debito emesso = 18.500 - 10.000 = 8.500 milioni di dollari Il nuovo rapporto debito/capitale netto può essere quindi calcolato come segue: Debt/Equity Ratio = 13.801/39.600 = 34,85% Tale rapporto debito/capitale netto, insieme al nuovo beta unlevered, fornisce un nuovo beta per la Disney post-acquisizione: Nuovo beta = 1,026(1 + (1 – 0,36) (0,3485)) = 1,25 Per pura coincidenza questo beta è esattamente uguale al beta bottom-up stimato in precedenza.

Derivar e il beta dai dati contabili Derivare Un terzo approccio alla stima dei parametri di rischio consiste nell’utilizzare gli utili contabili piuttosto che i prezzi di mercato. In particolare, si può effettuare una regressione delle variazioni negli utili dell’azienda (o di una divisione aziendale), su base annuale o trimestrale, rispetto alle variazioni degli utili del mercato nello stesso arco di tempo, per giungere a una stima del beta da inserire nel CAPM. Tale approccio può essere fuorviante per tre motivi. Innanzitutto i valori contabili tendono a “smorzare” la vera volatilità dei fondamentali dell’azienda, spingendo verso il basso il beta di aziende a elevata rischiosità e verso l’alto quello di aziende a bassa rischiosità. In altri termini, se si utilizza questo approcio, i beta di tutte le aziende vengono spinti verso 1. In secondo luogo, gli utili contabili possono essere influenzati da fattori non operativi, quali variazioni nei metodi contabili relativi ad ammortamento o magazzino e l’allocazione delle spese generali fra le varie divisioni. Infine, dati sugli utili contabili sono disponibili con scadenza trimestrale (o spesso solo annuale). Il basso numero di osservazioni che ne consegue riduce l’attendibilità dei risultati della regressione.

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Esempio applicativo 4.7 La stima dei beta a partir e da dati contabili: partire la Bookscape Books Nonostante si tratti di un’impresa non quotata, la Bookscape Books esiste dal 1980 e dati relativi agli utili contabili sono disponibili a partire da quella data. Nella Tabella 4.7 sono elencati le variazioni percentuali degli utili contabili della Bookscape Books e per la S&P 500 anno per anno a partire dal 1980. Il risultato della regressione delle variazioni dei profitti della Bookscape rispetto a quelli delle aziende S&P 500 è il seguente: Variazione degli utili di Bookscape = 0,09 + 0,8 (Variazione degli utili S&P 500) Secondo questa regressione, il beta (del capitale netto) della Bookscape è 0,8. Per calcolarlo, abbiamo utilizzato gli utili netti di esercizio. Per stimare l’equivalente di un beta unlevered, si dovrebbe invece utilizzare il reddito operativo, sia per Bookscape che per l’S&P 500. Tabella 4.7

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Profitti di Bookscape e di S&P 500

Anno

S&P 500

Bookscape

1980

–2,10%

3,55%

1981

–6,70%

4,05%

1982

–45,50%

–14,33%

1983

37,00%

47,55%

1984

41,80%

65,00%

1985

–11,80%

5,05%

1986

7,00%

8,50%

1987

41,50%

37,00%

1988

41,80%

45,17%

1989

2,60%

3,50%

1990

–18,00%

–10,50%

1991

–47,40%

–32,00%

1992

64,50%

55,00%

1993

20,00%

31,00%

1994

25,30%

21,06%

1995

15,50%

11,55%

1996

24,00%

19,88%

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Perché non calcolare il beta a partire dai dati contabili anche per le altre aziende? Dal punto di vista tecnico, non ci sono motivi per cui non potremmo stimare i beta “contabili” (accounting beta) della Disney, della Aracruz Cellulose e della Deutsche Bank. Invero, per la Disney abbiamo dati trimestrali, il che aumenta il numero delle osservazioni nella regressione. Possiamo anche stimare i beta contabili per ciascuna divisione, dal momento che la Disney riporta l’utile conseguito da ciascuna di esse. Ma preferiamo non farlo per i seguenti motivi: 1. Per ottenere un numero sufficiente di osservazioni da inserire nella regressione, dovremmo andare indietro nel tempo di almeno 10 anni. Ma il processo di trasformazione di un’azienda in 10 anni è tale che il risultato avrebbe scarso significato. 2. Le imprese quotate in Borsa tendono a smorzare gli utili contabili rispetto ai “veri” utili ancor più di quanto non facciano quelle non quotate, spingendo così il beta che ne risulterebbe verso 1. Nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, trovate le variazioni percentuali degli utili dell’S&P 500 su base annuale a partire dal 1960.

In pratica La stima dei beta di settor e utilizzando dati settore non di mer cato mercato I beta unlevered di settore utilizzati in precedenza erano stati stimati prendendo la media dei beta storici delle aziende in ciascun settore, e rendendola “unlevered” (tramite il rapporto medio debito/capitale netto del settore in questione). Poichè tale approccio utilizza prezzi di mercato, esso non fornisce stime attendibili nei mercati in cui l’informazione è insufficiente o molto imprecisa. Un approccio alternativo è quello di stimare il fatturato totale di ciascun settore in ciascun periodo ed effettuare una regressione di questo fatturato di settore rispetto al prodotto interno lordo totale dell’economia nello stesso arco temporale. L’inclinazione della regressione misurerà la sensibilità di ciascun settore alle oscillazioni dell’intera economia. Questo business risk beta potrà poi essere utilizzato per ciascuna società che opera nel settore in questione, insieme ai dati sulla leva finanziaria e operativa, per ottenere una stima del beta del capitale netto della società.

Quale beta utilizzar e? utilizzare? Per la maggior parte delle imprese quotate i beta possono essere stimati utilizzando i dati contabili (accounting beta), i dati di mercato (regression beta) o i fondamentali (bottom-up beta), ottenendo risultati diversi. Come scegliere? Per

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i motivi già descritti, a nostro avviso non si dovrebbero utilizzare mai i beta derivati da dati contabili. Sconsigliamo inoltre di utilizzare il beta della regressione (per una singola azienda) a causa dell’imprecisione della stima, della inadeguatezza di molti indici locali (come nel caso della Aracruz e della Deutsche Bank) e dell’incapacità delle regressioni di riflettere cambiamenti sostanziali nel rischio finanziario e operativo dell’azienda (come nel caso della Disney). Dal nostro punto di vista, i beta bottom-up, stimati a partire dai fondamentali, forniscono la misura più precisa del beta perché: 1. Ci consentono di valutare gli effetti di variazioni nella struttura finanziaria e operativa, anche in via preventiva. 2. Utilizzano beta medi di settore, che tendono a essere più precisi rispetto al beta della regressione per una singola azienda. 3. Ci permettono di individuare i beta per ciascuna area di attività di un’azienda: questo risulta utile sia nell’analisi di un progetto d’investimento in sede di valutazione di aziende o rami d’azienda. Utilizzeremo dunque le seguenti stime fondamentali dei beta del capitale netto: ■ 1,25 per la Disney; ■ 1,10 per la Bookscape Books; ■ 0,71 per la Aracruz Cellulose; ■ 0,94 per la Deutsche Bank.

La stima del costo del capitale netto Una volta stimati il tasso di rendimento di un investimento privo di rischio, il premio o i premi di rischio e il o i beta, possiamo stimare il rendimento atteso di un investimento azionario. Nel contesto del CAPM, il rendimento atteso sarà: Rendimento atteso = Tasso privo di rischio + Beta × Premio di rischio atteso in cui il tasso di rendimento di un investimento privo di rischio è rappresentato da un titolo di Stato a lungo termine, il beta è quello stimato nella sezione precedente e il premio di rischio è il premio storico o quello implicito. Nel contesto dell’APM o del modello multifattoriale, il rendimento atteso sarà: j=n

∑β × Premio di rischio

Rendimento atteso = Tasso privo di rischio +

j

j

j=1

in cui il tasso di rendimento di un investimento privo di rischio è il tasso di un titolo di Stato a lungo termine, βj è il beta dell’investimento relativo al fattore j (stimato utilizzando dati storici o i fondamentali) e Premio di rischioj è il premio di rischio relativo al fattore j (stimato sulla base di dati storici).

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Il rendimento atteso di un investimento nelle azioni di una società, inteso come remunerazione per il rischio, ha delle importanti implicazioni sia per gli azionisti che per il management. Per gli azionisti il rendimento atteso rappresenta il compenso minimo che essi richiedono per assumersi il rischio di mercato (o rischio non diversificabile) investendo nella società. Se analizzando l’investimento essi giungono alla conclusione che esso non produrrà tale rendimento, sceglieranno di non acquistare le azioni della società; se invece penseranno di ricavarne un rendimento più alto, procederanno con l’acquisto. Per il management dell’azienda, il rendimento richiesto dagli investitori come remunerazione per il rischio diventa il rendimento che essi devono cercare di ottenere per soddisfare gli investitori stessi. Perciò, il rendimento atteso diventa per loro il rendimento minimo da ottenere con ciascun progetto d’investimento intrapreso dall’azienda. In altri termini, tale rendimento atteso va a rappresentare il costo del capitale netto (cost of equity) dell’azienda.

Esempio applicativo 4.8 La stima del costo del capitale netto della Disney acr uz Disney,, di Bookscape, di Ar Aracr acruz e della Deutsche Bank. Nell’analisi seguente stimeremo il costo del capitale netto di Disney, Bookscape Books, Aracruz Cellulose e Deutsche Bank utilizzando il CAPM. Per fare questo, useremo i beta bottom-up, dal momento che essi riflettono meglio la vera rischiosità di tali aziende. Per le due aziende impegnate in vari settori (Disney e Deutsche Bank), stimeremo inoltre il costo del capitale netto per ciascuna divisione. Attività

Beta unlevered

Programmi 1,25 di intrattenimento Vendita al dettaglio 1,50 Broadcasting 0,90 Parchi divertimenti 1,10 Beni immobili 0,70 Disney 1,09 Bookscape 0,99 Aracruz 0,488 Banche commerciali Banche di investimento Deutsche Bank

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D/E Ratio

Beta levered

Tasso privo di rischio

Premio di rischio

20,92%

1,42

7,00%

5,50%

14,80%

20,92% 20,92% 20,92% 50,00% 21,97% 18% 67%

1,70 1,02 1,26 0,92 1,25 1,10 0,71 0,90 1,30 0,94

7,00% 7,00% 7,00% 7,00% 7,00% 7,00% 5,00% 7,50% 7,50% 7,50%

5,50% 5,50% 5,50% 5,50% 5,50% 5,50% 7,50% 5,50% 5,50% 5,50%

16,35% 12,61% 13,91% 12,08% 13,85% 13,05% 10,33% 12,45% 14,65% 12,67%

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Costo del capitale netto

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Capitolo 4

Notate che ciascuna divisione della Disney ha un diverso costo del capitale netto, per via dei diversi beta unlevered. Per stimare il beta levered di ciascuna divisione, dal momento che nessuna di esse si accolla direttamente debiti, utilizziamo il rapporto debito/capitale netto (D/E ratio) complessivo della Disney. Unica eccezione la divisione Beni immobili, che invece ha debiti sulle varie proprietà immobiliari, per la quale utilizziamo un rapporto debito/capitale netto a valore di mercato tratto da aziende comparabili. Per stimare il costo del capitale netto, utilizziamo il tasso di un titolo a lungo termine emesso dal governo statunitense per la Disney e per Bookscape (ottenendo un costo del capitale netto in dollari nominali), il tasso di un titolo a lungo termine emesso dal governo tedesco per la Deutsche Bank (ottenendo un costo del capitale netto in marchi tedeschi nominali) e una stima del tasso reale di rendimento di un investimento privo di rischio per la Aracruz (ottenendo un costo del capitale netto in real brasiliani).

I n pratica Rischio, costo del capitale netto e impr ese non quotate imprese Nell’utilizzare il beta come misura di rischio siamo partiti dall’ipotesi che l’investitore marginale detenga un portafoglio ampiamente diversificato. Tale ipotesi è legittima per le imprese quotate, ma non per quelle non quotate. In genere il proprietario di un’impresa non quotata investe in essa la maggioranza o la totalità del proprio patrimonio; di conseguenza, si preoccupa del rischio totale dell’attività, piuttosto che del rischio di mercato. Perciò, per un’impresa come la Bookscape, il beta di 1,10 (e il conseguente costo del capitale netto di 13,05%) sottostimerà il rischio a cui è esposto il proprietario dell’impresa. Tale problema può essere superato in tre modi: 1. Si può supporre che nei piani di breve termine dell’azienda vi sia un’offerta pubblica di acquisto o la possibilità di essere venduta a una grande impresa quotata in Borsa. In tal caso risulta ragionevole utilizzare il beta stimato e il costo del capitale netto a esso relativo. 2. Si può aggiungere un premio al costo del capitale netto per riflettere il maggior rischio dovuto all’impossibilità, da parte del proprietario, di raggiungere una piena diversificazione di portafoglio (questa chiave di lettura aiuta a capire la ragione degli alti rendimenti che i fornitori di venture capital richiedono sul loro investimenti azionario). 3. Si può correggere il beta in modo che esso rifletta il rischio totale piuttosto che solo il rischio di mercato. Tale correzione è abbastanza semplice, dal momento che l’R quadrato della regressione misura la proporzione del rischio rappresentata dal rischio-mercato.

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Beta “totale” = Beta/R quadrato Nell’esempio della Bookscape, in cui il beta è 1,10 e l’R quadrato medio per aziende comparabili quotate in Borsa è 33%, questo porterà a una stima del beta totale di 3,30 e dunque a un costo del capitale netto di 25,05%.

Dal costo del capitale netto al costo del capitale Nonostante il capitale netto rappresenti un ingrediente importante e indispensabile della struttura finanziaria (capital structure), non è l’unico. Infatti molte imprese finanziano la propria attività ricorrendo anche ad altre fonti di finanziamento (quali debito e forme ibride di capitale netto e debito, come le obbligazioni convertibili in azioni). Il costo di tali fonti di finanziamento, in genere molto diverso rispetto al costo del capitale netto, verrà anch’esso riflesso nella soglia di rendimento minimo. Così, il costo del capitale verrà a essere rappresentato dalla media ponderata dei costi delle diverse fonti di finanziamento debito, capitale netto e titoli ibridi - utilizzate dall’azienda per finanziare la propria attività.

Domanda di verifica 4.9 Tassi d’inter esse e costo r elativo di debito d’interesse relativo e capitale netto C’è chi sostiene che il debito risulti una fonte di finanziamento preferibile al capitale netto nel momento in cui i tassi di interesse scendono, e viceversa. È vero? Motivare la risposta.

Il calcolo del costo del debito Il costo del debito (cost of debt) misura il costo che l’azienda deve sostenere al momento per prendere in prestito fondi necessari a finanziare l’attività operativa. In generale, esso dipende dalle seguenti variabili: 1. Il livello attuale dei tassi di interesse: all’aumentare dei tassi di interesse corrisponderà anche un incremento del costo del debito per le aziende. 2. Il rischio di insolvenza della società: all’aumentare del rischio di insolvenza (default risk) dell’azienda corrisponderà anche un incremento dei costi per prendere in prestito fondi. Un metodo per misurare il rischio di insolvenza è quello di ricorrere al rating obbligazionario dell’azienda: un

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Capitolo 4

rating migliore implica un tasso di interesse minore, mentre un rating peggiore implica un tasso di interesse maggiore. Se non è disponibile il rating obbligazionario, come nel caso di molti mercati diversi da quello statunitense, una buona approssimazione del rischio di insolvenza dell’azienda è il tasso recentemente pagato dall’azienda per ottenere fondi in prestito. 3. Il beneficio fiscale associato al debito: dal momento che gli interessi sono deducibili a fini fiscali, il costo del debito al netto delle imposte (after-tax cost of debt) sarà una funzione dell’aliquota d’imposta. Il beneficio fiscale ovviamente rende il costo del debito al netto delle imposte inferiore al costo del debito al lordo delle imposte. Costo del debito al netto di imposte = Costo del debito al lordo di imposte × (1 – aliquota d’imposta)

Domanda di verifica 4.10 Costo del debito e del capitale netto Esiste un momento nel ciclo di vita di un’azienda in cui è concepibile che il costo del capitale netto sia inferiore al costo del debito?

Esempio applicativo 4.9 La stima del costo del debito di Disney Disney,, Bookscape, Ar acr uz e Deutsche Bank Aracr acruz Per stimare il costo del debito delle nostre aziende utilizzeremo diversi metodi: per la Disney e per la Deutsche Bank partiremo dal rating obbligazionario attuale per arrivare a definire un “tasso di interesse di mercato” al quale ciascuna impresa può prendere in prestito fondi; per la Bookscape stimeremo il costo del debito in base al tasso al quale essa può prendere in prestito fondi da una banca locale; infine per la Aracruz utilizzeremo un indice di copertura degli oneri finanziari (interest coverage ratio) per stimare un “rating sintetico” attraverso il quale giungeremo poi a stimare il costo del debito. Il rating attuale della Disney è AA, cui è associato uno scarto di interesse di 50 punti base sul tasso dei Treasury Bond; il rating della Deutsche Bank è AAA, cui è associato uno scarto di interesse di 20 punti base sul tasso dei titoli di Stato emessi dal governo tedesco. La Bookscape deve far fronte a un tasso superiore dell’1% al tasso dei Treasury Bonds (dato ottenuto sulla base dei tassi richiesti dalle banche ad aziende simili a Bookscape in termini di solidità finanziaria). Il rating stimato per la Aracruz in base al suo indice di copertura

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degli oneri finanziari all’inizio del 1996 è AA, corrsipondente a uno scarto di interesse di 50 punti base sul tasso reale privo di rischio. Attività

Programmi di intrattenimneto Vendita al dettaglio Broadcasting Parchi divertimenti Beni immobili Disney Bookscape Aracruz Banche commerciali Banche d’investimento Deutsche Bank

Metodo

Tasso di interese

Aliquota Costo del debito d’imposta al netto delle imposte

Rating obbligazionario

7,50%

36%

4,80%

Rating obbligazionario Rating obbligazionario Rating obbligazionario Rating obbligazionario Rating obbligazionario Prestito recente Rating sintetico Rating obbligazionario Rating obbligazionario

7,50% 7,50% 7,50% 7,50% 7,50% 8,00% 5,50% 7,70% 7,70%

36% 36% 36% 36% 36% 42% 32% 45% 45%

4,80% 4,80% 4,80% 4,80% 4,80% 4,64% 3,74% 4,24% 4,24%

Rating obbligazionario 7,70%

45%

4,24%

Notate che il costo del debito al netto d’imposta è molto più basso rispetto al costo del capitale netto per ciascuna delle società.

Che cosa il costo del debito non compr ende comprende Quando le aziende prendono in prestito denaro, spesso lo fanno a tassi fissi. In particolare, nel caso in cui l’azienda emetta obbligazioni, questo tasso fissato al momento dell’emissione viene chiamato coupon (tasso di interesse nominale). Il costo del debito non corrisponde al tasso di interesse nominale sulle obbligazioni che l’azienda ha in circolazione, nè al tasso cui l’azienda poteva prendere fondi in prestito nel passato. Nonostante questi elementi siano utili se uno vuole stimare gli interessi da pagare nel corso dell’anno, essi non determinano il costo del debito. Perciò una società che riporti nei propri bilanci debiti contratti quando i tassi di interesse erano bassi non può sostenere che essa possiede un basso costo del debito se il livello generale dei tassi di interesse o il suo rischio di insolvenza è nel frattempo aumentato.

Il calcolo del costo delle azioni privilegiate Le azioni privilegiate (preferred stock) condividono alcune caratteristiche del debito (il dividendo pagato sulle azioni privilegiate viene fissato prima dell’emissione e ha precedenza sul dividendo ordinario) e alcune caratteristiche del capitale netto (i pagamenti del dividendo privilegiato non sono deducibili

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a fini fiscali). Assimilando l’azione privilegiata a una rendita perpetua, il costo delle azioni privilegiate può essere così calcolato:

k ps =

Dividendo sull’azione privilegiata Prezzo di mercato dell’azione privilegiata

Questo approccio ipotizza che il dividendo sia costante in termini nominali per sempre e che l’azione privilegiata non abbia caratteristiche particolari (convertibilità, riscattabilità ecc.). Se ve ne fossero, dovranno essere valutate separatamente al fine di ottenere una valida stima del costo dell’azione privilegiata. In termini di rischio, l’azione privilegiata è meno rischiosa rispetto all’azione ordinaria, ma più rischiosa rispetto alle obbligazioni. Di conseguenza, al lordo d’imposta, essa dovrebbe avere un costo maggiore rispetto al debito e minore rispetto al capitale netto.

Domanda di verifica 4.11 Per chè le società emettono azioni privilegiate? erchè Quali delle seguenti sono ragioni valide per emettere azioni privilegiate? ■ Le azioni privilegiate costano meno del capitale netto. ■ Le azioni privilegiate sono trattate alla stregua del capitale netto dalle agen-

zie di rating ■ Le azioni privilegiate costano meno del debito ■ Altro

Motivare la risposta.

Esempio applicativo 4.10 Il calcolo del costo delle azioni privilegiate: Gener al Motors Co. General A marzo del 1995 la società General Motors aveva azioni privilegiate che distribuivano un dividendo di $ 2,28 all’anno e avevano un prezzo di mercato di $ 26,38. Il costo delle azioni privilegiate può essere stimato in questo modo: Costo azioni privilegiate = Dividendo privilegiato/Prezzo azione privilegiata = $ 2,28/$ 26,38 = 8,64%

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Allo stesso tempo, il costo del capitale netto della General Motors, utilizzando il CAPM, era del 13%, il costo del debito al lordo d’imposta dell’8,25% e il costo del debito al netto d’imposta del 5,28%. Non sorprende che le azioni privilegiate fossero meno costose del capitale netto, ma più costose del debito.

Calcolo del costo di altri titoli ibridi In generale, i cosiddetti titoli ibridi (hybrid securities) condividono alcune caratteristiche sia del debito che del capitale netto. Un buon esempio sono le obbligazioni convertibili, una sorta di combinazione di un’obbligazione ordinaria (debito) e di una opzione di conversione (capitale netto). Invece di calcolare direttamente il costo di tali titoli ibridi, conviene suddividerli nelle rispettive componenti di debito e capitale netto e trattarle separatamente.

Esempio applicativo 4.11 Scomposizione di un’obbligazione conv ertibile convertibile nelle componenti di debito e capitale netto: la Unisys Corp. Alla fine del 1992, la società Unisys aveva un’obbligazione convertibile con tasso dell’8,25%, scadenza nel 2000 e un valore di mercato di $ 1400. A quel tempo la Unisys aveva in circolazione anche obbligazioni ordinarie, con identica scadenza, il cui prezzo di mercato nel dicembre 1992 implicava un rendimento (yield) dell’8,4%. L’obbligazione convertibile può essere dunque decomposta nelle componenti di debito (obbligazione ordinaria) e di capitale netto (opzione di conversione): Componente obbligazione ordinaria = Valore di un’obbligazione ordinaria a 8 anni (scadenza 2000), coupon dell’8,25% e rendimento dell’8,40% = $ 991,50 Opzione di conversione = $ 1400 – $ 991,50 = $ 408,50 La componente simile a un’obbligazione ordinaria, pari a 991,50 dollari, può essere trattata come debito, mentre l’opzione di conversione di 408,50 dollari può essere trattata come capitale netto.

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Domanda di verifica 4.12 Incr ementi dei pr ezzi azionari Incrementi prezzi e obbligazioni conv ertibili convertibili All’aumentare dei prezzi azionari, che cosa succede alle obbligazioni convertibili? (puoi scegliere più di una risposta) ■ Il valore dell’obbligazione convertibile aumenterà. ■ Diminuirà il valore della componente obbligazione ordinaria dell’obbliga-

zione convertibile. ■ Aumenterà la percentuale del valore totale dell’obbligazione convertibile

rappresentata dalla componente di capitale netto. ■ Aumenterà la percentuale del valore totale dell’obbligazione convertibile

rappresentata dalla componente obbligazione ordinaria. Motivare la scelta.

Calcolo dei pesi delle componenti debito e capitale netto I pesi assegnati a capitale netto e debito nel calcolo della media ponderata del costo del capitale devono essere basati sul valore di mercato e non su quello contabile. Il motivo è che il costo del capitale misura il costo di emettere titoli (sia azioni che obbligazioni) per finanziare progetti, e che tali titoli vengono emessi al valore di mercato e non a quello contabile. Sono state avanzate tre critiche all’utilizzo del valore di mercato, ma nessuna di esse risulta convincente. La prima afferma che il valore contabile è più affidabile rispetto al valore di mercato perché molto meno volatile. Ma il fatto che il valore di mercato sia più volatile rappresenta semmai un punto a suo favore, dal momento che anche il “vero” valore dell’azienda cambia continuamente nel tempo via via che arrivano nuove informazioni relative all’azienda e al mercato35. In secondo luogo, è stato detto che l’utilizzo del valore contabile rispetto al valore di mercato rappresenta un approccio più conservatore per la stima degli indici di indebitamento. Tale affermazione si basa sull’assunto che gli indici di indebitamento basati sul valore di mercato siano sempre inferiori agli indici di indebitamento basati sul valore contabile, un’ipotesi priva di 35

Alcuni sostengono che i prezzi azionari siano molto più volatili del “vero” valore che dovrebbero riflettere. Anche nel caso in cui tale affermazione fosse vera (il che non è ancora stato provato), il valore di mercato rappresenterà comunque una migliore approssimazione del vero valore di un’azienda rispetto al suo valore contabile.

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riscontro empirico. Inoltre, anche se così fosse, il costo del capitale calcolato utilizzando indici di indebitamento basati sul valore contabile sarà minore del costo del capitale calcolato utilizzando rapporti basati sul valore di mercato; questo implica delle stime meno – e non più – prudenti36. La terza affermazione è che le istituzioni che prestano fondi non lo fanno sulla base del valore di mercato; tuttavia, anche questa affermazione non trova riscontro nei fatti37.

In pratica La stima dei valori di mer cato di debito mercato e capitale netto Il valore di mercato del capitale netto è ottenuto moltiplicando il numero di azioni in circolazione per il prezzo azionario corrente. Se in circolazione ci sono azioni di più di una classe, il capitale netto è dato dalla somma del valore di mercato di tutti questi titoli. Infine, se ci sono titoli azionari di altro tipo, come warrant e opzioni di conversione, essi devono pure essere valutati e inclusi nel valore del capitale netto dell’impresa. Di solito è molto più difficile ottenere direttamente il valore del debito, visto che pochissime aziende hanno tutto il loro debito sotto forma di obbligazioni in circolazione nel mercato. Molte di esse hanno invece debito non negoziato sul mercato, come il debito verso le banche, specificato in termini di valore contabile e non di mercato. Un modo semplice per convertire il debito basato sul valore contabile in debito basato sul valore di mercato consiste nel trattare il debito totale dei libri contabili alla stregua di un’obbligazione con coupon, utilizzando come coupon gli interessi passivi complessivamente pagati sull’intero debito e come scadenza la media ponderata della scadenza dei vari debiti (utilizzando come pesi il valore nominale di ciascuno); a questo punto, si può valutare questa “pseudo” obbligazione al costo attuale del debito per la società. Ad esempio, se il costo del debito attuale è 7,5%, il valore di

36

Per capire questo punto, supponiamo che l’indice di indebitamento basato sul valore di mercato sia 10%, mentre l’indice di indebitamento basato sul valore contabile sia 30%, per un’azienda con costo del capitale netto del 15% e costo del debito al netto d’imposta del 5%. Il costo del capitale sarà calcolato così: Con indici di indebitamento basati sul valore di mercato: 15% (0,9) + 5% (0,1) = 14% Con indici di indebitamneto basati sul valore contabile: 15% (0,7) + 5% (0,3) = 12% 37 Qualsiasi proprietario di un’abitazione che ha messo una seconda ipoteca su una casa il cui valore è aumentato sa bene che coloro che prestano fondi tengono conto del valore di mercato. È vero tuttavia che più il valore di mercato di un’attività è percepito come volatile, minore sarà la sua capacità di fungere da garanzia.

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mercato di un debito di 1 miliardo di dollari, con interessi passivi che ammontano a 60 milioni di dollari e con scadenza di sei anni, sarà:

1  (1  − (1,075)6 Valore di mercato del debito = 60  0,75 

  1000 + = $ 930 milioni  (1,075)6

Esempio applicativo 4.12 Dif fer enza fr a gli indici di indebitamento Differ ferenza fra basati sul valor e di mer cato valore mercato e sul valor e contabile: Disney valore Disney,, Bookscape, Ar acr uz e Deutsche Bank Aracr acruz In questo esempio applicativo compariamo i valori contabili di debito e capitale netto delle nostre quattro aziende con i rispettivi valori di mercato. Per tutte le aziende, tranne che per Bookscape, il valore di mercato del capitale netto è stato stimato utilizzando il prezzo di mercato corrente e il numero di azioni in circolazione. Per ciascuna azienda, il valore di mercato del debito è stato stimato come nell’esempio sopra, a partire dal suo valore contabile, dal suo costo al lordo delle imposte, dalla sua scadenza media e dagli interessi passivi a esso associati. Per la Disney, il valore contabile del debito ammonta a 12.342 milioni di dollari, gli interessi passivi a 479 milioni di dollari, la scadenza media del debito è tre anni e il costo del debito al lordo d’imposta è 7,50%. Il valore di mercato è dunque:

1   (1 − (1,075)3 Stima del valore di mercato del debito Disney = 479  0,75  = $ 11.180 milioni

  12.342 + =  (1,075)3

Il valore di mercato del debito di Aracruz e della Deutsche Bank può essere stimato in modo simile. Nonostante nei libri contabili della Bookscape non figurino debiti, essa ha un impegno finanziario di 500.000 dollari all’anno per i dieci anni a venire in connessione a un leasing operativo. Questo impegno finanziario può essere convertito in un ammontare di debito equivalente attualizzando 500.000 dollari a un tasso pari al costo del debito della Bookscape (8%):

1   (1 − (1,08)10 Stima del valore di mercato del debito Bookscape = 500.000  0,8 

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   = $ 3,36 milioni 

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Nella tabella seguente sono raccolti gli indici di indebitamento basati sul valore contabile e di mercato per le nostre quattro imprese: Valore contabile Debito Disney Bookscape Aracruz Deutsche Bank

12.342 – 1581 110.111

Capitale netto 16.086 6 2284 30.295

Valore di mercato

Debt/ (Debt+Equity) 43,41% 0,00% 40,90% 78,42%

Debito 11.180 3,36 1528 110.111

Capitale netto $50.297 Nd 2001 62.695

Debt/ (Debt+Equity) 18,19% Nd 43,17% 63,72%

Per la Disney e la Deutsche Bank, i cui valori di mercato eccedono di molto i valori contabili, l’indice di indebitamento basato sul valore di mercato è di molto inferiore a quello basato sul valore contabile. Per Aracruz succede esattamente il contrario, dal momento che il valore di mercato del capitale netto è inferiore al valore contabile del capitale netto. Per Bookscape, non essendoci un valore di mercato del capitale netto, utilizzeremo un indice medio di indebitamento basato su altre aziende nello stesso settore, pari al 15,40%.

La stima del costo del capitale Il costo del capitale (cost of capital) è definito come la media ponderata del costo di ciascuna delle tre fonti di finanziamento: il costo del capitale netto (ke), che riflette la rischiosità dell’investimento azionario nell’impresa, il costo del debito al netto d’imposta (kd), che riflette il rischio di insolvenza dell’impresa e i benefici fiscali associati alla deducibilità degli interessi passivi, e il costo delle azioni privilegiate (kps), che ne riflette la rischiosità intermedia fra debito e capitale netto. I pesi di ciascuna componente dovrebbero essere in proporzione al loro valore di mercato, dal momento che queste proporzioni riflettono il modo in cui l’impresa finanzia la propria attività. Perciò se E, D e PS stanno rispettivamente per il valore di mercato del capitale netto, del debito e delle azioni privilegiate, il costo del capitale sarà: Costo del capitale = ke [E/(D + E + PS)] + kd [D/(D + E + PS)] + kps [PS/(D + E +PS)]

L’importanza del costo del capitale Il costo del capitale è una misura composita del costo che l’impresa deve sopportare per raccogliere fondi. Nel valutare un progetto, il costo del capitale rappresenta la soglia minima di rendimento accettabile sull’intero capitale investito nel progetto. In precedenza abbiamo osservato che anche il costo del capitale netto (cost of equity) può essere utilizzato come soglia minima di rendi-

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Capitolo 4

mento. In tal caso, però, esso andrà confrontato con il rendimento atteso sul capitale netto investito nel progetto. Va notato che finora abbiamo calcolato il costo del capitale sulla base della struttura finanziaria in essere. È possibile però che, modificando la struttura finanziaria, un’azienda riesca a far scendere il proprio costo del capitale, con immediati benefici: infatti, non solo verrebbe abbassata la soglia minima di rendimento per i progetti da intraprendere in futuro, ma aumenterebbe anche il valore dei progetti già intrapresi, visto che la differenza fra il loro rendimento attuale e il costo del capitale sarebbe più elevata. Torneremo su questo argomento ampiamente nel corso del Capitolo 8.

Esempio applicativo 4.13 La stima del costo del capitale di Disney Disney,, Bookscape, Ar acr uz e Deutsche Bank Aracr acruz Per terminare l’analisi effettuata in questo capitolo, presentiamo la stima dei costi del capitale per ciascuna divisione della Disney, per Bookscape, per Aracruz Cellulose (in termini reali) e per la Deutsche Bank: Attività

E/(D + E)

Programmi di intrattenimento Vendita al dettaglio Broadcasting Parchi divertimenti Beni immobili Disney Bookscape Aracruz Banche commerciali Banche d’investimento Deutsche Bank

Costo del D/(D + E) capitale netto

Costo del debito al netto d’imposta

Costo del capitale

82,7%

14,80%

17,30%

4,80%

13,07%

82,7% 82,7% 82,7% 66.67% 81,99% 84,60% 56,83% 36,28% 36,28% 36,28%

16,35% 12,61% 13,91% 12,08% 13,85% 13,05% 10,33% 12,45% 14,65% 12,67%

17,30% 17,30% 17,30% 33,33% 18,01% 15,40% 43,17% 63,72% 63,72% 63,72%

4,80% 4,80% 4,80% 4,80% 4,80% 4,64% 3,74% 4,24% 4,24% 4,24%

14,36% 11,26% 12,32% 9,65% 12,22% 11,75% 7,48% 7,22% 8,01% 7,30%

I dati riportati in questa tabella rappresentano le soglie minime di rendimento da utilizzare nell’analisi dei progetti d’investimento. Ad esempio, perché vi sia creazione di valore per la Disney, un progetto cinematografico (che rientra nell’ambito della divisione Programmi di intrattenimento) richiederà un rendimento dell’intero capitale in esso investito pari almeno al 13,07% o, in alternativa, un rendimento del capitale netto in esso investito pari almeno al 14,80%.

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Riepilogo In questo capitolo viene descritto il processo di stima dei tassi di attualizzazione nell’ambito dei modelli di rischio e rendimento descritti nei capitoli precedenti: ■ Il costo del capitale netto può essere stimato utilizzando i modelli di rischio e rendimento: il CAPM, in cui il rischio viene calcolato rispetto a un unico fattore di mercato; l’APM, in cui il costo del capitale netto riflette la sensibilità a molteplici fattori economici non specificati; il modello multifattoriale, in cui come misura del rischio viene utilizzata la sensibilità a variabili macroeconomiche. ■ Sia nel CAPM che nell’APM gli input necessari sono il tasso di rendimento

di un investimento privo di rischio, il premio di rischio e il beta (nel CAPM) o i beta (nell’APM). Il beta viene di solito stimato utilizzando i dati storici relativi ai prezzi; nel caso di imprese non quotate, esso può essere stimato a partire da imprese quotate operanti nello stesso settore. ■ Anche se i beta possono essere calcolati a partire da dati storici non va

dimenticato che essi sono determinati dalle politiche intraprese dall’azienda in termini di struttura finanziaria e operativa. ■ Il costo del capitale è la media ponderata dei costi delle diverse fonti di

finanziamento; i pesi si basano sui valori di mercato di ciascuna componente. Il costo del debito è il tasso di mercato a cui l’impresa può prendere in prestito fondi, corretto per eventuali benefici fiscali. ■ Il costo del capitale è la soglia minima di rendimento accettabile (hurdle

rate) da utilizzare per decidere se investire o meno in un progetto.

Eser cizi Esercizi 1. Hai il compito di stimare il tasso nominale di rendimento di un investimento privo di rischio da inserire nel CAPM per una socieà cilena. Quale dei seguenti tassi è quello più appropriato?

d. Il tasso di crescita reale a lungo termine dell’economia cilena.

a. Il tasso dei titoli di Stato a breve termine emessi dal governo cileno e denominati in dollari statunitensi.

2. Le seguenti domande mirano a illustrare quanto sia importante nella stima del rischio da quale punto di vista lo si consideri:

b. Il tasso dei titoli di Stato a lungo termine emessi dal governo cileno e denominati in dollari statunitensi.

A. Ipotizza di possedere e voler vendere un’azienda non quotata, per la quale vi sono due potenziali acquirenti: un imprenditore privato e una società quotata in Borsa. Chi pensi che finirà per offrirti un prezzo più alto?

c. Il tasso dei titoli di Stato a breve termine emessi dal governo cileno e denominati in pesos cileni.

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e. Il tasso al quale le società cilene più grandi e solide possono prendere in prestito fondi in pesos a lungo termine.

a) L’imprenditore privato

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Capitolo 4

b) La società quotata in Borsa c) L’informazione non è sufficiente B. Dato che un singolo (quale l’imprenditore privato nella domanda A) è di solito meno diversificato degli investitori in società quotate, in quali circostanze egli potrebbe offrire un prezzo più alto per comprare la tua azienda? a. Sotto la sua gestione, l’azienda potrà generare flussi di cassa maggiori che se venisse a far parte di una società quotata. b. In quanto investitore specializzato, possiede un insieme di conoscenze in grado di incrementare i flussi di cassa e ridurre il rischio dell’azienda non disponibile invece a società quotate. c. Vi sono significativi benefici fiscali connessi al fatto di essere un’impresa non quotata. d. Tutte o alcune delle risposte. C. I fornitori di venture capital di solito si concentrano su alcuni settori industriali e non sono diversificati. Alla luce delle tue risposte alle domande A e B, come spiegheresti un simile atteggiamento? a. Non hanno i mezzi per diversificare. b. Poichè per valutare le diverse aziende hanno bisogno di informazione specifica al particolare settore in cui esse operano, una maggiore diversificazione sarebbe difficile e costosa da ottenere, perciò in genere non operano in più di un settore. c. Amano il rischio. d. Essendo coinvolti direttamente e ativamente nella gestione delle imprese in cui investono, non possono farlo con troppe imprese. e. Tutte le risposte precedenti. D. Di recente i fondi comuni di investimento (mutual funds) e le banche hanno cominciato a creare fondi per svolgere l’attività di venture capital. In quali tipi di aziende pensi che tali fondi avranno i maggiori vantaggi rispetto ai fornitori tradizionali di venture capital? a. Aziende che hanno bisogno di molti fondi. b. Aziende con rendimenti molto elevati.

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c. Aziende gestite da un valido management team e per le quali l’informazione rilevante è facilmente accessibile e può essere compresa senza conoscenze specializzate. E. Supponiamo che tu sia titolare di un’impresa non quotata. Punteresti a massimizzare il valore dell’attività per te come investitore individuale o per il potenziale miglior acquirente (che potrebbe essere una società quotata)? a. Per me come investitore individuale. b. Per il potenziale miglior acquirente. c. Dipende se e quando progetto di venderla; se ho intenzione di venderla presto, cercherò di massimizzare il valore per il potenziale miglior acquirente; altrimenti cercherò di massimizzarne il valore per me. F. La proprietà immobiliare rappresenta una classe d’investimento storicamente caratterizzata da investitori specializzati piuttosto che diversificati. In base a quanto detto finora, come spiegheresti tale atteggiamento? a. Gli investitori in beni immobiliari sono più furbi degli altri. b. Gli investitori in beni immobiliari sono più egoisti degli altri. c. Gli investimenti in beni immobiliari richiedono una maggiore informazione specialistica nella fase di valutazione e una presenza più attiva da parte degli investitori nella gestione. G. Come spiegheresti la recente diffusione e crescita dei REIT (fondi comuni di investimento immobiliare)? a. Gli investitori vogliono diversificare il proprio portafoglio investendo nel settore immobiliare. b. Investire nel settore immobiliare è un buon affare. c. Benefici fiscali. d. Il valore della proprietà immobiliare dipende sempre meno da conoscenze specialistiche e sempre più da informazione di tipo generale. 3. Assumi che una regressione dei rendimenti della Nike rispetto a quelli dell’indice S&P 500,

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Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica

utilizzando i rendimenti mensili relativi agli ultimi 5 anni, conduca al seguente risultato:

L’aliquota d’imposta media per queste aziende è il 40%).

RendimentoNike = 0,22% + 1,20 RendimentoS&P 500

Negli ultimi tempi la società che stai analizzando ha ricavato il 70% del proprio reddito operativo dal settore siderurgico e il 30% dal settore dei servizi finanziari. Inoltre, ha avuto un rapporto debito/capitale netto del 150%, e un’aliquota d’imposta del 30%.

(0,38)

R quadrato = 15%

L’errore standard del beta si trova fra parentesi sotto il beta. a. Calcola un intervallo di confidenza per il beta, con una confidenza del 67%. b. Stima il rendimento atteso della Nike se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è oggi del 6%. c. Immagina ora di essere un investitore interessato a comprare azioni della Nike. Supponi che l’azione Nike non paghi dividendi. Il prezzo dell’azione è oggi $ 45 e pensi che potrà arrivare a $ 75 in cinque anni. Sarebbe un buon investimento? d. Immagina ora che la Nike stia valutando se investire o meno in un progetto (nel suo business principale, cioè le scarpe da ginnastica) il cui rendimento atteso è del 14,5%. Secondo te, dovrebbe investire in tale progetto? e. Se il tasso annualizzato privo di rischio negli ultimi 5 anni è stato del 4,8%, valuta se nello stesso periodo la performance della Nike è stata migliore o peggiore delle aspettative e di quanto. f.

Se tu fossi un investitore con un portafoglio non diversificato che acquista azioni Nike, quale percentuale del rischio che ti assumi non sarà remunerata?

4. Hai il compito di stimare il beta di una grande società sudcoreana, con grosse partecipazioni nel settore siderurgico e dei servizi finanziari. La regressione dei rendimenti azionari rispetto all’indice di mercato locale fornisce un beta di 1,10, ma l’azienda rappresenta il 15% dell’indice. Per ciascuno dei due settori in cui opera la società sudcoreana hai raccolto i beta e i rapporti medi debito/capitale netto di compagnie internazionali: Settore

Beta medio

Siderurgico 1,18 Servizi finanziari 1,14

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D/E ratio medio 30% 70%

a. Stima il beta della società. b. Se il tasso nominale sui titoli di Stato a lungo termine in Won (la valuta coreana) è 12% e il rating della Corea è BBB (obbligazioni industriali con tale rating rendono il 2% in più dei titoli di Stato statunitensi a lungo termine), stima il costo del capitale netto della società in Won nominali. c. Se il tasso sui titoli di Stato statunitensi a lungo termine è 6%, stima il costo del capitale azionario della società in dollari statunitensi. 5. Hai inserito in una regressione i rendimenti della Devonex, un’azienda costruttrice di macchine utensili, e dell’indice S&P 500 utilizzando i rendimenti mensili degli ultimi 5 anni e hai ottenuto la seguente relazione: RendimentoDevonex = –0,20% + 1,50 RendimentoS&P 500 Se l’azione aveva un alfa di Jensen di +0,10% (su base mensile) relativo al periodo in questione, stima il tasso mensile privo di rischio relativo agli ultimi 5 anni. 6. Hai il compito di analizzare la società GenCorp, attiva nel settore alimentare e del tabacco. La divisione tabacco è valutata 15 miliardi di dollari, quella alimentare 10 miliardi di dollari. L’azienda ha un rapporto debito/capitale netto di 1,00. Hai inoltre le seguenti informazioni su aziende comparabili: Attività

Beta medio

D/E medio

Alimentari Tabacco

0,92 1,17

25% 50%

Supponendo che tutte le aziende abbiano un’aliquota d’imposta del 40%, se il tasso sui titoli di Stato a lungo termine è attualmente del 6%, qual è il costo del capitale netto per GenCorp?

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Capitolo 4

7. Supponi adesso che GenCorp ceda (in contanti) la divisione alimentare al suo valore stimato di 10 miliardi di dollari. a. Stima il beta di GenCorp se il ricavato della vendita viene impiegato per estinguere parte del debito. b. Stima il beta di GenCorp se invece il ricavato della vendita viene investito in titoli di Stato. c. Infine, stima il beta di GenCorp se il ricavato della vendita viene impiegato per riacquistare azioni proprie (buy back).

11. A dicembre 1995 le azioni di Boise Cascade avevano un beta di 0,95. Il tasso dei titoli di Stato a breve all’epoca era 5,8% mentre il tasso dei titoli di Stato a lungo era 6,4%. a. Stima il rendimento azionario atteso per un investitore a breve termine nella società.

8. Sulla base di una regressione di dati mensili relativi agli ultimi 5 anni, hai ottenuto un beta per la Multi-Brand Corporation di 0,90. Nello stesso periodo, il rapporto medio debito/capitale netto è stato 11,11%, ma l’azienda ha appena preso in prestito 100 milioni di dollari con i quali ha riacquistato azioni proprie. Prima di effettuare questa transazione, il valore di mercato del capitale netto era di 225 milioni di dollari e la società aveva debiti pari a 25 milioni di dollari. Stima il beta che utilizzeresti per questa società per il futuro. La società è soggetta a un’aliquota d’imposta del 40%

12. La Boise Cascade aveva inoltre un debito di 1,7 miliardi di dollari e un valore di mercato del capitale netto di 1,5 miliardi; l’aliquota d’imposta marginale della società era del 36%.

9. La SunCoast Inc. è una importante società produttrice di elettrodomestici che sta pensando di acquistare la MF Capital, un’azienda che fornisce finanziamenti a coloro che comprano elettrodomestici. All’epoca dell’acquisizione

13. Una società di biotecnologia, la Biogen Inc, nel 1995 aveva un beta di 1,70 ed era priva di debiti.





La SunCoast Inc. aveva un debito di 100 milioni di dollari e 10 milioni di azioni in circolazione quotate a 50 dollari l’una. Il beta azionario è 1,2. La MF Capital aveva un debito di 100 milioni di dollari e 5 milioni di azioni in circolazione quotate a 10 dollari l’una. Il beta azionario è 0,9.

La SunCoast intende acquistare la MFC capital attraverso uno stock swap, vale a dire offrendo 1 milione delle sue azioni in cambio di tutte le azioni in circolazione di MF Capital. Stima quale sarebbe il beta della SunCoast Inc. dopo l’acquisizione. La società è soggetta a un’aliquota d’imposta del 40%. 10. Hai il compito di misurare il premio di rischio implicito sulla Borsa di Timbuktu (TSE). L’indi-

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ce è quotato a 1050 con un tasso di dividendo del 3%. Attualmente, il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è del 6,5%, mentre il tasso nominale atteso di crescita a lungo termine dell’economia è del 6%. Stima il premio di rischio implicito per le azioni.

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b. Stima il rendimento azionario atteso per un investitore a lungo termine nella società. c. Stima il costo del capitale netto della società.

a. Supponendo che il beta attuale di 0,95 sia ragionevole, stima il beta unlevered della società. b. Quale percentuale del rischio della società è attribuibile al rischio operativo e quale al rischio finanziario?

a. Stima il costo del capitale netto della Biogen, se il tasso dei titoli di Stato a lungo è del 6,4%. b. Quale effetto produrrà un incremento del tasso dei titoli di Stato a lungo fino al 7,5% sul costo del capitale netto della Biogen? c. Quale percentuale del beta della Biogen è attribuibile al rischio operativo? 14. Genting Berhad è un conglomerato di aziende della Malaysia con partecipazioni in piantagioni e località turistiche. Il beta stimato per l’azienda rispetto alla Borsa della Malaysia è 1,15, e il tasso sui titoli di Stato a lungo termine emessi dalla Malaysia è 11,5%. a. Stima il rendimento azionario atteso. b. Se fossi un investitore internazionale, saresti d’accordo nell’utilizzare il beta stimato rispetto all’indice di Borsa malaysiano o preferiresti un approccio diverso? Quale?

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Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica

15. Hai inserito in una regressione i rendimenti azionari mensili della Heavy Tech Inc., un’azienda produttrice di macchinari pesanti, e i rendimenti di mercato mensili relativi agli ultimi cinque anni ottenendo: RHeavyTech = 0,5% + 1,2RM La varianza delle azioni è 50% mentre la varianza del mercato è 20%. Il tasso attuale sui titoli di Stato a breve è il 3% (un anno fa era il 5%). Le azioni vengono attualmente scambiate a 50 dollari, 4 dollari sotto il prezzo dello scorso anno; inoltre, nel corso dell’anno hanno pagato un dividendo di 2 dollari e l’anno prossimo dovrebbero pagarne uno di 2,50 dollari. L’indice composito NYSE è sceso dell’8% l’anno scorso e ha un tasso di dividendo del 3%. La Heavy Tech Inc. ha un’aliquota d’imposta del 40%. a. Qual è il rendimento atteso della Heavy Tech per il prossimo anno? b. Quale pensi che sarà il prezzo della Heavy Tech da oggi a un anno? c. Che rendimento ti saresti aspettato per le azioni della Heavy durante lo scorso anno? d. Qual è stato il rendimento effettivamente realizzato dalla Heavy Tech l’anno scorso? e. La Heavy Tech ha un capitale netto di 100 milioni di dollari e un debito di 50 milioni. L’azienda progetta di raccogliere sul mercato ulteriori 50 milioni di dollari di capitale netto e, con tali fondi, estinguere completamente il debito. Stima il nuovo beta. 16. La Safecorp, che possiede e gestisce una catena di negozi di drogheria negli Stati Uniti, attualmente ha un debito di 50 milioni di dollari e un capitale netto di 100 milioni. Le sue azioni hanno un beta di 1,2. Sta progettando un leveraged buyout (LBO) attraverso il quale porterà a 8 il rapporto debito/capitale netto. Se l’aliquota d’imposta è il 40%, quale sarà il beta del capitale netto dell’azienda dopo il leveraged buyout? 17. La Novell, con un valore di mercato del capitale netto di 2 miliardi di dollari e un beta di 1,50, ha annunciato l’acquisizione di WordPerfect, con un valore di mercato del capitale netto di 1

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miliardo di dollari e un beta di 1,30. All’epoca dell’acquisizione nessuna delle due aziende aveva debiti. L’aliquota d’imposta per entrambe era del 40%. a. Stima il beta della Novell dopo l’acquisizione, assumendo che l’intera acquisizione sia stata finanziata con capitale netto. b. Supponi che la Novell abbia dovuto prendere in prestito 1 miliardo di dollari per finanziare l’acquisizione di WordPerfect. Stima il beta dopo l’acquisizione. 18. Stai analizzando il beta della Hewlett-Packard e hai suddiviso la società nei quattro settori principali in cui opera, stimano un valore di mercato e un beta per ciascuna divisione (l’aliquota d’imposta è del 36%). Divisione

Valore di mercato del capitale netto (miliardi di dollari)

Mainframe Personal Computer Software Stampanti

2 2 1 3

Beta

1,10 1,50 2,00 1,00

a. Stima il beta della Hewlett-Packard usando il metodo bottom-up. Tale beta sarà uguale a quello stimato con una regressione dei rendimenti storici delle azioni della HewlettPackard contro un indice di mercato? Motiva la tua risposta. b. Se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è il 7,5%, stima il costo del capitale netto della Hewlett-Packard. Stima il costo del capitale netto per ciascuna divisione. Quale costo del capitale netto utilizzeresti per valutare la divisione stampanti? c. Supponi che la Hewlett-Packard ceda la divisione mainframe e con il ricavato paghi un dividendo. Stima il beta della società dopo la cessione (la Hewlett-Packard aveva un debito di un miliardo di dollari). 19. Nella seguente tabella sono riportati le variazioni percentuali del reddito operativo e del fatturato e i beta di quattro aziende farmaceutiche:

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Capitolo 4

Azienda variazione % utile PharmaCorp SynerCorp BioMed Safemed

variazione % reddito operativo Beta

27 25 23 21

25 32 36 40

1,00 1,15 1,30 1,40

a. Calcola l’intensità della leva operativa per ciascuna azienda. b. Spiega la differenza nei beta alla luce della leva operativa. 20. Una famosa agenzia di stima dei beta fissa il beta della Comcast Corporation, una società operante nel settore della TV via cavo, a 1,45. L’agenzia utilizza rendimenti azionari settimanali relativi agli ultimi cinque anni e l’indice composito NYSE come indice di mercato. Attraverso una regressione dei rendimenti settimanali relativi allo stesso periodo, tu stimi invece un beta di 1,60. Come riconcilieresti le due stime? 21. La Battle Mountain è una società mineraria che estrae oro, argento e rame in Sud America, Africa e Australia. Il beta azionario stimato è 0,30. Data la volatilità dei prezzi delle materie prime, come si spiega un beta così basso? 22. Hai raccolto i rendimenti azionari della AnaDone Corporation (AD Corp), una società manifatturiera diversificata, e i rendimenti sull’indice NYSE, per un periodo di cinque anni: Anno

AD Corporation

NYSE

1981 1982 1983 1984 1985

10% 5% -5% 20% –5%

5% 15% 8% 12% –5%

a. Stima l’intercetta (alfa) e l’inclinazione (beta) della regressione. b. Se oggi comprassi azioni della AD Corp., quale rendimento pensi che ti frutterebbero per l’anno prossimo? [Il tasso dei Buoni del Tesoro semestrali è 6%]

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c. Tornando agli ultimi cinque anni, come giudicheresti la performance dell’AD Corp. rispetto al mercato? (Il tasso medio di rendimento di un investimento privo di rischio relativo al periodo in questione è stato del 5%) d. Supponi ora di essere un investitore non diversificato e che tutto il tuo patrimonio sia investito nella AD Corporation. Quale pensi che sia una misura significativa del rischio che ti sei assunto? Quale percentuale del rischio riusciresti a eliminare diversificando? e. La AD sta valutando di cedere una delle sue divisioni. La divisione in questione ha attività che rappresentano metà del valore contabile della AD Corporation e il 20% del suo valore di mercato. Inoltre, il beta di tale divisione è il doppio del beta medio della AD Corp. (prima della cessione). Quale sarà il beta della AD Corporation dopo la cessione di questa divisione? 23. Hai effettuato una regressione dei rendimenti mensili della Mapco Inc., una società produttrice di petrolio e gas, riseptto all’indice S&P 500 ottenendo i seguenti risultati (per il periodo 1991 - 1995): Intercetta della regressione = 0,06% Coefficiente della regressione = 0,46 Errore standard del coefficiente = 0,20 R quadrato = 5% La società ha in circolazione 20 milioni di azioni al prezzo attuale di mercato di 2 dollari l’una. La società ha un debito di 20 milioni di dollari (e un’aliquota d’imposta del 36%). a. Quale rendimento dovrebbe attendersi un investitore nelle azioni della Mapco, se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è il 6%? b. Quale porzione del rischio di questa impresa è diversificabile? c. Immagina ora che la Mapco abbia tre divisioni equivalenti in termini di valore di mercato. La società progetta di cedere una delle divisioni per 20 milioni di dollari, da utilizzare per acquisirne un’altra per 50 milioni (i restanti 30 milioni di dollari saranno presi in prestito). La divisione che intende cedere è in un settore con un beta unlevered medio di 0,20,

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Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica

mentre la divisione che intende acquisire è in un settore con un beta unlevered medio di 0,80. Quale sarà il beta della Mapco dopo l’acquisizione?

schio utilizzato dall’analista per ottenere quel risultato.

24. Hai effettuato una regressione dei rendimenti mensili dell’American Airlines (AMR) rispetto all’S&P 500 per gli ultimi cinque anni. Hai perso alcuni risultati e stai cercando di ricostruirli sulla base della informazione seguente:

d. La società ha un rapporto debito/capitale netto del 3% ed è soggetta a un’aliquota d’imposta del 40%. Ha intenzione di emettere un nuovo debito di 2 miliardi di dollari per acquisire un’altra azienda, con il suo stesso livello di rischio. Quale sarà il beta dopo l’acquisizione?

a. Sai che l’R quadrato della regressione è 0,36 e che le tue azioni hanno una varianza di 67%. La varianza del mercato è il 12%. Qual è il beta della AMR?

26. Hai effettuato una regressione dei rendimenti mensili della MAD Inc., un’impresa editrice di quotidiani e riviste, rispetto ai rendimenti dell’S&P 500:

b. Ti ricordi che la AMR non è stato un buon investimento nel periodo della regressione e che la performance è stata inferiore alle aspettative (tenuto conto del rischio) dello 0,39% al mese per i cinque anni della regressione. Durante questo periodo il tasso medio di rendimento di un investimento privo di rischio era stato del 4,84%. Qual era l’intercetta della regressione? c. Stai confrontando la AMR Inc. con un’altra società che ha lo stesso R quadrato di 0,36. Le due società avranno lo stesso beta? Se no, perché? 25. Hai effettuato una regressione dei rendimenti mensili della Amgen, una grande società di biotecnologia, rispetto ai rendimenti mensili dell’indice S&P 500, ottenendo: Razionario = 3,28% + 1,65 Rdi mercato

a. Qual è il rendimento azionario atteso per l’anno prossimo? b. Questa tua stima cambierebbe se l’obiettivo fosse quello di ottenere un tasso di attualizzazione per analizzare un progetto di capital budgeting della durata di 30 anni? c. Un analista ha stimato, correttamente, che nel periodo della regressione le azioni hanno avuto una performance migliore del 51,10%, su base annuale, rispetto alle aspettative. Cerca di ricavare il tasso annualizzato privo di ri-

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RMAD = 0,05% + 1,20 RS&P La regressione ha un R quadrato pari al 22%. Attualmente, il tasso dei Treausry Bill è del 5,5% e il tasso dei Treasury Bond è del 6,5%. Il tasso privo di rischio nel periodo della regressione è 6%. Rispondi alle seguenti domande sulla regressione: a. In base all’intercetta puoi concludere che la performance delle azioni è stata: •

dello 0,05% peggiore delle aspettative su base mensile durante il periodo della regressione.



dello 0,05% migliore delle aspettative su base mensile durante il periodo della regressione.



dell’ 1,25% peggiore delle aspettative su base mensile durante il periodo della regressione.



dell’ 1,25% migliore delle aspettative su base mensile durante il periodo della regressione



Altro.

R2 = 0,20

Attualmente, il tasso di un titolo di Stato con scadenza a un anno è 4,8%, mentre il tasso di un titolo di Stato con scadenza a 30 anni è 6,4%. La società ha 265 milioni di azioni in circolazione, quotate a 30 dollari.

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b. Ti accorgi che la MAD Inc. ha subito una ristrutturazione alla fine del mese scorso (l’ultimo mese della regressione), con i seguenti cambiamenti: •

La società ha venduto la divisione riviste, che aveva un beta unlevered di 0,6, per 20 milioni di dollari.



Ha preso in prestito altri 20 milioni di dollari e ha ricomprato azioni per un valore di 40 milioni di dollari.

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Capitolo 4

Dopo la cessione della divisione e il riacquisto delle azioni, la MAD Inc. aveva un debito di 40 milioni di dollari e un capitale netto di 120 milioni di dollari. Se l’aliquota d’imposta dell’azienda è 40%, stima di nuovo il beta alla luce di questi cambiamenti.

L’azienda non quotata ha un rapporto debito/ capitale netto del 25% ed è soggetta a un’aliquota d’imposta del 40%. Anche le società quotate sono tutte soggette a un’aliquota d’imposta del 40%.

27. La Time Warner Inc., un conglomerato di aziende che operano nel settore dello spettacolo, ha un beta di 1,61. Un beta così elevato è dovuto in parte al debito insoluto connesso al levereged buyout a opera della Time sulla Warner nel 1989, che nel 1995 ammontava a 10 miliardi. Il valore di mercato del capitale netto della Time Warner nel 1995 era di 10 miliardi di dollari. L’aliquota d’imposta marginale era il 40%.

b. Avresti qualche remora nell’utilizzare i beta di aziende comparabili?

a. Stima l’unlevered beta della Time Warner. b. Stima l’effetto che avrebbe sul beta la riduzione di 10% all’anno dell’indice di indebitamento per i prossimi due anni. 28. La Chrysler, l’azienda automobilistica, nel 1995 aveva un beta di 1,05. Aveva inoltre un debito di 13 miliardi di dollari e 355 milioni di azioni in circolazione quotate a 50 dollari. L’azienda aveva un saldo attivo di cassa di 8 miliardi di dollari a fine 1995. L’aliquota d’imposta marginale era il 36%. a. Stima il beta unlevered dell’azienda. b. Stima l’impatto sul beta unlevered del pagamento di un dividendo speciale di 5 miliardi di dollari . c. Stima il beta della Crysler dopo il pagamento di questo speciale dividendo. 29. Stai stimando il beta di un’impresa non quotata produttrice di elettrodomestici. Sei riuscito a ottenere i beta di aziende quotate produttrici di elettrodomestici.

Cap4.p65

Azienda

Beta

Black & Decker Fedders Corp. Maytag Corp. National Presto Whirlpool

1,40 1,20 1,20 0,70 1,50

Debito Valore di (milioni mercato del di $) capitale netto (milioni di $) 2500 5 540 8 2900

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3000 200 2250 300 4000

a. Stima il beta dell’azienda non quotata.

30. In seguito alle pressioni degli azionisti, la RJR Nabisco sta valutando l’idea di effettuare uno spin off della divisione alimentare. Il tuo compito è di stimare il beta della divisione; per farlo, decidi di utilizzare i beta di società simili quotate. Il beta medio di queste aziende comparabili quotate risulta essere 0,95 e il rapporto medio debito/capitale netto risulta essere del 35%. Si prevede che il rapporto debito/capitale netto della divisione dopo lo spin off sarà del 25%. L’aliquota d’imposta marginale per le società è il 36%. a. Qual è il beta della divisione? b. Le cose cambierebbero se venissi a sapere che la RJR Nabisco ha una leva operativa molto più elevata rispetto alle aziende scelte come comparabili? 31. La Southwestern Bell, una compagnia telefonica, decide di espandersi nel settore dei mass media. Il beta della società alla fine del 1995 era 0,90 e il rapporto debito/capitale netto era 1. Si prevede che la nuova divisione mass media rappresenterà il 30% del valore totale della società nel 1999. Considera che il beta medio di aziende nel settore mass media è 1,20 mentre il rapporto medio debito/capitale netto è 50%. L’aliquota d’imposta marginale è del 35%. a. Stima il beta della Southwestern Bell nel 1999 supponendo che essa mantenga lo stesso rapporto debito/capitale netto. b. Stima il beta della Southwesten Bell nel 1999 supponendo che essa voglia finanziare l’espansione nel settore dei mass media con un rapporto debito/capitale netto del 50%. 32. Il CFO (Chief Financial Officer) di Adobe Systems, un’azienda di software in espansione, ti ha chiesto un parere sul beta della sua società. Ogni anno un’agenzia di stima gli fornisce i beta di Abobe Systems ed egli ha notato che il

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beta è sceso da 2,35 nel 1991 a 1,40 nel 1995. Vorrebbe che tu rispondessi alle seguenti domande su questo calo del beta: a. È inusuale per un’azienda in espansione? b. A che cosa può essere dovuto? c. Continuerà in futuro? 33. Analizzando Tiffany, un rivenditore esclusivo, hai ottenuto un beta di 0,75 (metodo della regressione); l’errore standard della stima del beta è 0,50. Il beta unlevered medio di aziende comparabili è 1,15. a. Se Tiffany ha un rapporto debito/capitale netto del 20%, stima il beta della società sulla base del risultato per le aziende comparabili (l’aliquota d’imposta è 40%). b. Stima un intervallo di confidenza attorno al beta ottenuto dalla regressione. c.

Come concilieresti le due stime? Quale utilizzeresti per l’analisi?

34. Nell’analizzare la valutazione di un’azienda indonesiana, ti accorgi che la valutazione è stata fatta in termini nominali in dollari statunitensi e che il tasso di attualizzazione è stato stimato utilizzando obbligazioni denominate in dollari emesse dal governo indonesiano (ad un tasso del 9% a un tempo in cui il tasso sui Treasury Bonds era del 6%) e un premio di rischio maggiorato per riflettere il rischio addizionale del mercato indonesiano (8,5% invece che il premio del 5,5% calcolato per gli Stati Uniti). a. Pensi che il tasso di attualizzazione sia stato stimato correttamente? Se no, cosa avresti fatto di diverso? b. Dato il modo in cui è stato stimato il tasso di attualizzazione, in quale valuta dovrebbero essere stimati i flussi di cassa attesi? Dovrebbero essere espressi in termini nominali (tenendo cioè conto dell’inflazione attesa) o in termini reali? 35. Per stimare i premi di rischio relativi agli Stati Uniti spesso si utilizzano i premi di rischio storici (i.e. il rendimento addizionale ottenuto investendo in azioni piuttosto che in Treasury Bills o Treasury Bonds). Quali sono le ipotesi implicite in termini di avversione degli investitori al rischio e investimento di media rischiosità?

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36. Considera ora di utilizzare l’approccio dei premi di rischio storici per ottenere il premio di rischio relativo al mercato azionario della Tailandia. Quali sono i problemi in cui incorrerai utilizzando tale approccio? 37. Per stimare il costo del capitale netto in termini reali dobbiamo ricorrere a un tasso privo di rischio espresso in termini reali. Rispondi alle seguenti domande relative al tasso reale privo di rischio: a. Perché i tassi reali privi di rischio sono diversi dai tassi nominali privi di rischio? b. Supponendo un tasso nominale privo di rischio del 7% e un’inflazione attesa del 3%, stima il tasso reale privo di rischio. c. In quali circostanze preferiresti fare un’analisi in termini reali piuttosto che nominali? 38. Hai il compito di stimare il costo del capitale netto di un’impresa di software non quotata. Hai raccolto dati di società di software quotate, ottenendo un beta medio di 1,40; il rapporto medio debito/capitale netto a valori di mercato per queste società è il 15%. L’R quadrato medio è 25%. L’aliquota d’imposta per tutte le società è fissata al 40%. a. Stima il beta dell’impresa di software non quotata, supponendo che essa non abbia debito. b. Come cambierebbe la tua stima se l’impresa decidesse di muovere verso un rapporto debito/capitale netto simile a quello medio nel settore? c. Avendo a disposizione il valore contabile del debito e del capitale netto di questa impresa, utilizzeresti il rapporto contabile debito/capitale netto per stimare il beta? Perché? d. Se il proprietario dell’impresa non quotata avesse investito tutto il proprio patrimonio in quest’attività e non avesse intenzione di vendere l’impresa o di quotarla in Borsa, la tua analisi del rischio sarebbe diversa? e. E come cambierebbe se invece il proprietario dell’impresa ti dicesse che ha intenzione di quotare l’impresa l’anno prossimo? 39. Hai il compito di stimare il costo del capitale della società Allstate Insurance, sulla quale sai quanto segue:

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Capitolo 4



Il beta è 1,20, in base alla regressione dei rendimenti azionari della Allstate rispetto all’indice S&P 500.



Il prezzo della singola azione è 93 dollari e ci sono 430 milioni di azioni in circolazione. La società ha inoltre 2,5 miliardi di dollari di debito (valore contabile e di mercato).



La società ha un rating AAA assegnato dalle agenzie di rating; il differenziale per rischio di insolvenza (default spread) per le obbligazioni AAA rispetto al tasso dei titoli di Stato a lungo termine è 0,20%.



Il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è 6%. a. Stima il costo del capitale netto della Allstate. b. Stima il costo del capitale della Allstate. c. Le tue risposte sarebbero diverse se venissi a sapere che la Allstate non ha avuto debito nell’intero arco temporale della regressione?

40. Stai cercando di stimare il costo del debito di FoodWorld, un negozio di drogheria non quotato. Il negozio non ha rating; hai tuttavia le seguenti informazioni: •

Il debito che figura nei suoi libri contabili è stato contratto tre anni fa a un tasso del 10% e ammonta a 5 milioni di dollari



L’anno scorso il negozio ha avuto un utile al lordo di imposte e interessi (EBIT) pari a 3,5 milioni di dollari.



Nella tabella riportata in questa pagina viene riportata la relazione fra indice di copertura degli oneri finanziari, rating e default spread sul tasso dei titoli di Stato a lungo termine per gli ultimi anni.



L’impresa è soggetta a un’aliquota d’imposta sul reddito del 42%.



Oggi il tasso sui titoli di Stato a lungo termine è del 6% (tre anni fa era l’8%). a. Utilizza la tabella del rating per ottenere il costo del debito dell’impresa. b. Perché il costo del debito è diverso dal tasso d’interesse pagato sul debito che figura nei libri contabili?

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Indice di copertura degli oneri finanziari

Rating

>12,5 9,50-12,50 7,5 -9,5 6,0-7,5 4,5-6,0 3,5-4,5 3,0 - 3,5 2,5- 3,0 2,0-2,5 1,5-2,0 1,25-1,5 0,8-1,25 0,5- 0,8 < 0,5

AAA AA A+ A A– BBB BB B+ B B– CCC CC C D

Spread sui titoli di Stato a lungo termine 0,20% 0,50% 0,80% 1,00% 1,25% 1,50% 2,00% 2,50% 3,25% 4,25% 5,00% 6,00% 7,50% 10,00%

c. Sotto quali condizioni useresti il tasso d’interesse sul debito che figura nei libri contabili come costo del debito? 41. Hai effettuato una regressione dei rendimenti di Sybase rispetto all’indice S&P 500 ottenendo un beta di 1,10 con errore standard di 0,5. Prendendo in considerazione altre 25 aziende simili sei arrivato a un beta medio di 1,50 e un rapporto medio debito/capitale netto del 10%. La Sybase non ha debito. a. Quale beta utilizzeresti per Sybase e perché? b. Se il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è il 6%, qual è la stima del costo del capitale netto? c. Un analista che utilizza il CAPM per arrivare a una stima del costo del capitale netto della Sybase sostiene che il premio di rischio utilizzato nel modello (moltiplicato per il beta) dovrebbe essere maggiore perché la Sybase è rischiosa. Come replicheresti? 42. In un’analisi di Archer Daniels Midland hai notato che la stima del beta per l’azienda è 0,85 e che l’azienda ha un debito di 3,4 miliardi di dollari nei libri contabili. Gli interessi passivi l’anno scorso ammontavano a 225 milioni di dollari e la scadenza media del debito è 4 anni.

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Misura del rischio e soglia minima di rendimento: in pratica

L’azienda ha 532 milioni di azioni in circolazione a un prezzo di mercato di 22 dollari; il patrimonio netto nei libri contabili è 6,05 miliardi di dollari. L’azienda ha un rating AA e le obbligazioni con rating AA sono negoziate con un differenziale di 0,70% rispetto al tasso dei titoli di Stato a lungo termine. Oggi il tasso dei titoli di Stato a lungo termine è del 6%.

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a. Stima il costo del capitale utilizzando il rapporto debito/capitale netto in base al valore contabile. b. Stima il costo del capitale utilizzando il rapporto debito/capitale netto in base al valore di mercato. c. In quali circostanze il primo approccio ti fornirà un costo del capitale più alto?

Live case study Rischio e r endimento rendimento Obiettivo Sviluppare un profilo di rischio per la società; stimare i parametri di rischio e utilizzarli per ottenere il costo del capitale netto e il costo del capitale. Domande chiave ■ Qual è il profilo di rischio della società? Quanto è la sua rischiosità com-

plessiva? Quali sono le fonti di rischio (mercato, impresa, settore industriale, valuta)? Come sta cambiando il profilo di rischio della società? ■ Quali caratteristiche ha la performance di un investimento nella società in

questione? Quale rendimento avresti ottenuto investendovi in passato? Sarebbe stato migliore o peggiore rispetto al mercato? Quale percentuale della performance è attribuibile al management? ■ Quanto è rischioso il capitale netto della società? Perché? Qual è il costo

del capitale netto? ■ Quanto è rischioso il debito della società? Qual è il suo costo del debito? ■ Qual è l’attuale costo del capitale della società?

Uno schema per l’analisi 1. La stima dei parametri di rischio sulla base di dati storici Effettua una regressione dei rendimenti delle azioni della società rispetto ai rendimenti sull’indice di mercato, preferibilmente utilizzando dati mensili e osservazioni relative a 5 anni; oppure, se hai accesso a Bloomberg, cerca la pagina dedicata al calcolo del beta e stampala (dopo aver scelto intervalli di rendimento mensili e un periodo di 5 anni)38. 38

La pagina Bloomberg relativa al calcolo del beta fornisce il beta stimato con rendimenti mensili su due anni rispetto a un indice locale; è possibile però cambiare l’intervallo di rendimento (giornaliero, settimanale, annuale) e scegliere un qualunque periodo e indice di riferimento [N.d.C.].

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■ Qual è l’intercetta della regressione? Cosa ne deduci in termini della per-

formance delle azioni della società nel periodo esaminato? ■ Qual è l’inclinazione della regressione? ■ Come la interpreti in termini di rischiosità delle azioni? ■ Quanto precisa è questa stima del rischio? Costruisci un intervallo di con-

fidenza ■ Quale porzione del rischio dell’azienda è attribuibile a fattori di mercato?

Quale a fattori specifici dell’impresa? Perché è importante saperlo? ■ Quanto del rischio della società rappresenta rischio operativo (business risk)?

Quanto è dovuto invece alla leva finanziaria? 2. Confronto con i beta di settore (beta bottom-up) ■ Suddividi la società nei vari settori in cui opera e stima un beta per ciascu-

na divisione. ■ Assegna un peso appropriato a ciascuna componente e stima il beta unle-

vered della società. ■ Utilizzando la struttura finanziaria attuale, stima il beta levered della società.

3. La scelta fra i beta ■ Quale dei beta che hai stimato per la società è più attendibile? Perché? ■ Utilizzando il beta che hai scelto, misura il rendimento atteso di un investi-

mento in azioni della società per un • investitore a breve termine • investitore a lungo termine • Se facessi parte del management della società, come utilizzeresti questa misura del rendimento atteso? 4. La stima del rischio di insolvenza e del costo del debito ■ Se la società ha un rating

• Qual è il rating più aggiornato? • Qual è il differenziale per il rischio di insolvenza (default spread) e quindi il tasso di interesse a esso associato? • Se la società ha obbligazioni in circolazione, stima il rendimento a scadenza (yield to maturity) di una suaobbligazione a lungo termine. Perché potrebbe risultare diverso dal tasso stimato nel passaggio precedente? • Qual è l’aliquota marginale d’imposta della società? • Se la società non ha un rating

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• Ha di recente preso in prestito fondi? Se sì, quale tasso di interesse ha pagato su di essi? • Riesci a stimare un rating “sintetico”? Se sì, qual’è il tasso di interesse corrispondente? 5. La stima del costo del capitale ■ Pesi per debito e capitale netto

• Qual è il valore di mercato del capitale netto? • Stima un valore di mercato del debito. (Per farlo avrai bisogno di raccogliere informazioni sulla scadenza media del debito, gli interessi passivi pagati di recente e il valore contabile del debito) • Quali sono i pesi di debito e capitale netto? • Qual è il costo del capitale della società?

Informazione online Rischio e r endimento rendimento Se siete in possesso di dati mensili (fino a un massimo di 5 anni) relativi ai prezzi e ai dividendi della società di cui volete stimare il beta con il metodo della regressione, lo spreadsheet disponibile nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, vi consentirà di calcolare beta, alfa e R quadrato (rispetto all’indice S&P 500). In alternativa, potete ottenere il beta delle azioni quotate sui mercati statunitensi sul sito www.dailystocks.com – il beta è calcolato sulla base di una regressione di 3 anni di rendimenti mensili rispetto all’indice S&P 500 (inserite il ticker e poi, nella sezione Beta, fate clic su Stocksheet). Per stimare il beta bottom-up, potete utilizzare i beta unlevered medi per settore industriale negli Stati Uniti raccolti nel booksite. Per ottenere dettagli sul reddito operativo e l’utile generato da un’azienda in ciascun settore in cui è attiva, potete consultare l’Annual Report (www.reportgallery.com) e il 10-K (www.sec.gov/edgarhp.htm) della società. In tali documenti troverete anche il valore di mercato del capitale netto e gli input necessari per stimare il valore di mercato del debito (la scadenza del debito dovrebbe essere fra le note dello stato patrimoniale, nel 10-K). Per trovare il rating della vostra società potete consultare le graduatorie stilate dalla Standard & Poor’s, se puoi accedervi. Puoi anche inviare una richiesta di rating via e-mail alla Standard & Poor’s sul sito www.standardpoor.com/ RatingsActions/ (facendo clic su Ratings Inquiries). Per ottenere il differenziale per rischio di insolvenza (default spread) associato a ciascun rating, potete ricorrere al dataset disponibile sul nostro booksite, nel quale sono riportati i

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default spread (rispetto ai Treasury Bond) per classi di rating. Sempre nel booksite, se volete stimare un rating “sintetico”, potete consultare la tabella nella quale sono riportati i rating corrispondenti a ciascun livello dell’indice di copertura degli oneri finanziari (interest coverage ratio). WWW Italia Per le società italiane, nel nostro booksite, nella sezione a supporto di questo capitolo, trovate i beta calcolati sulla base di rendimenti mensili (per 5 anni) rispetto all’indice Mibtel. Il rating è disponibile sul sito www.borsaitalia.it (fate clic su Ratings nella sezione Intermediari e Investitori), dove troverete anche una descrizione dei criteri adottati dalle diverse agenzie.

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