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Bruno Severi
AI CONFINI DELLA COSCIENZA LA PREISTORIA ESCE DALLA FORESTA AYAHUASCA: LA MEDICINA DELL’ANIMA SCIAMANESIMO E PSICHEDELIA LA "SLEEP PARALYSIS" E GLI ALIENI
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L’autore
Bruno Severi (
[email protected]) è nato a Bologna nel 1946. Laureato in Scienze Biologiche, ha lavorato all'Università di Bologna, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, come Microscopista Elettronico. Direttore scientifico del Centro Studi Parapsicologici di Bologna, è uno dei 5-6 studiosi italiani che fanno parte della Parapsychological Association, la più importante ed esclusiva associazione parapsicologica esistente al mondo. Appassionato da tutto ciò che è inerente, o che trascende, la Natura, si è interessato, oltre che di Parapsicologia, anche di Stati Alterati di Coscienza e di Sciamanesimo. Costante sin dalla prima giovinezza è stata la passione per i viaggi in luoghi remoti ed esotici. Sei volte in Sud America, tre in Africa, quattro in India, cinque in Turchia, tre in Iran, e poi nel Nepal, Tibet, Sri Lanka, Iraq e Afganistan. Tra le tante esperienze fatte, di rilievo le sue avventure in Amazzonia, dove si è recato ben quattro volte, nel cuore della foresta Amazzonica peruviana, presso il confine con il Brasile. Qui, con due amici, è andato alla ricerca degli ultimi sciamani per cercare di cogliere e svelare alcuni degli aspetti più segreti della loro inquietante realtà: è stato da essi iniziato all'Ayahuasca, sostanza psichedelica di origine vegetale che gli sciamani di buona parte dell'Amazzonia consumano per entrare in contatto con il mondo degli Spiriti e per ricevere da essi insegnamenti utili alla loro particolarissima attività. Su queste esperienze, che non è esagerato definire estreme, ha scritto vari articoli ed ha riferito in congressi di Parapsicologia o di Scienze di Frontiera. © 2010 di Bruno Severi. Tutti i diritti riservati. Edizione elettronica in download gratuito dal portale simonebarcelli.org
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Indice
Pag.
PREFAZIONE
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LA PREISTORIA ESCE DALLA FORESTA
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AYAHUASCA: LA MEDICINA DELL’ANIMA
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SCIAMANESIMO E PSICHEDELIA
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LA "SLEEP PARALYSIS" E GLI ALIENI
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Prefazione Gianluca Rampini
Lo sciamanesimo e le sue pratiche sono un argomento con cui inevitabilmente, chi si occupa del “paranormale” per usare un termine omnicomprensivo, dovrà confrontarsi. Dalla notte dei tempi gli sciamani sono il tramite tra la nostra realtà ed una realtà ulteriore. Uso il termine ulteriore non a caso ma con lo scopo di individuare un livello dell’esistenza che non è semplicemente una diversa dimensione, un mondo extraterrestre o una proiezione della nostra mente, ma bensì un ampliamento, una dilatazione delle maglie della nostra realtà attraverso le quali lo sciamano o l’applicante riesce ad infilarsi, prima solo con lo sguardo poi con la sua intera essenza spogliata solamente della propria fisicità. Assumere l’Ayahuasca, o una delle molte altre sostanze proprie di queste pratiche, rappresenta anche un rito di passaggio, un’iniziazione che non spetta a tutti. Allo stesso modo approcciarsi a questi argomenti è una fase cruciale della ricerca, poiché pone di fronte ad interrogativi che sono in grado, con la loro forza, di far progredire chi si sia messo nella condizione di porseli.
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C’è chi sostiene che queste sostanze psicotrope siano la scintilla che ha dato il via alla moderna evoluzione dell’essere umano. Chi sostiene questa tesi individua nel momento dei primi viaggi negli stati alterati della coscienza il confronto con concetti complessi tali da indurre l’uomo primitivo a maturare in un essere più complesso e consapevole della propria interiorità. E’ certamente un’ipotesi azzardata ma i misteri ad essa collegati sono molti. Ad esempio, in taluni casi, non è sufficiente assumere una sostanza allucinogena per incominciare il proprio “viaggio” ma è necessario associarla ad un'altra, in genere un’altra pianta sacra, affinché il nostro metabolismo non la inibisca. Ma come facevano gli uomini primitivi, che di certo non avevano strumenti di analisi, ad avere nozioni di chimica e fisiologia tali da permetter loro di ovviare a questo? Rispondere a questo interrogativo, se ci riusciremo, ci consentirà di formulare ipotesi più valide sulle origini della nostra civiltà ma anche di capire cosa abbiamo colpevolmente dimenticato strada facendo. Ma cosa o chi si incontra una volta levato il velo della tridimensionalità dal proprio sguardo? In molti casi animali, veri o immaginari, ma anche Teriantropi, esseri mezzi animali e mezzi uomini, esseri dal volto di serpente ed anche i propri defunti. Graham Hancock, nel suo “Sciamani”, racconta di aver compiuto un percorso simile a quello di Bruno Severi affidandosi ad uno sciamano per vivere egli stesso la sua esperienza e gli esseri da lui incontrati sono simili agli alieni “grigi” descritti da chi dice di averli incontrati a bordo degli Ufo. Anche Severi, trattando un altro argomento, la “paralisi notturna”, giunge ad una simile conclusione, 5
sostenendo che almeno una parte degli episodi così detti di “rapimento” possano riferirsi ad allucinazioni conseguenti e correlati al fenomeno appunto della paralisi notturna. Verrebbe da chiedersi quanto di ciò che si vede e percepisce durante le esperienze sciamaniche sia già esistente a prescindere dal nostro tentativo di osservarlo o quanto piuttosto sia una emanazione del sé che liberatosi da inibizioni sociali e fisiche respira fino in fondo apparendo come una realtà complessa. Gli esseri che vi abitano potrebbero essere i nostri timori e le nostre speranze, vi potrebbero essere soggetti archetipici che in quanto tali riescono a trasmetterci conoscenze dentro noi nascoste. Ma porsi una simile domanda significa tralasciare il fatto che non vi è una reale discontinuità tra noi e ciò che ci circonda, tra noi ed i vari livelli di realtà, che tutto è uno. Noi influenziamo la realtà con il solo osservarla. Per comprenderne i vari livelli di complessità bisogna usare gli strumenti adatti, bisogna anche rischiare del proprio come in effetti ha fatto Bruno Severi sperimentando in prima persona i poteri psicotropi della Ayahuasca. In questo risiede il grande merito di questo libro, la possibilità che ci viene offerta di sbirciare attraverso i ricordi dell’autore oltre la coltre nebbiosa che ci confina nella nostra quotidianità.
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LA PREISTORIA ESCE DALLA FORESTA Una storia lontana Nel dicembre del 1995, nell'alto fiume Mapuia, in una regione dell'Amazzonia peruviana non lontana dal confine con il Brasile, un gruppo di maderero (tagliaboschi alle dipendenze di grosse industrie di legname) percepì la presenza di qualcuno che li seguiva e li sorvegliava, senza però scoprire alcunché di preciso: solo vaghi rumori, tracce, rami spezzati, etc. Preoccupati da quella presenza misteriosa, fecero dapprima loro stessi delle ricerche e poi, visto che non erano riusciti a concludere niente, assoldarono un gruppo di Ashaninka, vale a dire di uomini appartenenti ad una etnia nota per il profondo e non sopito spirito guerriero. Anche quest'ultimi non ebbero alcun successo. Un giorno, i maderero riuscirono a catturare un bambino indigeno dopo averlo ferito ad una gamba con una fucilata. Sembra che fosse stato sorpreso mentre tentava di rubare qualcosa dal loro accampamento. Erano tutti d'accordo di finirlo con una seconda fucilata al capo quando uno di loro, un certo Raul, li fermò appena in tempo persuadendo i suoi compagni a risparmiare il fanciullo. La motivazione addotta era quella di utilizzare il prigioniero per contattare il resto della sua tribù ed evitare future complicazioni. Seguirono accese discussioni, ma quella di Raul fu la decisione che i maderero alla fine adottarono. 7
Dopo alcuni tentativi, i contatti furono stabiliti. Il quadro che apparve loro fu alquanto tragico. Si trovarono dinanzi un gruppo di alcune decine di indigeni spauriti ed affamati. Essi erano, inoltre, completamente o quasi completamente nudi e portavano con sé pochissime suppellettili oltre ad alcuni archi e frecce la cui punta, anziché di metallo, era fatta con un pezzo di canna opportunamente sagomato. Era anche questa una riprova che erano ancora all'età della pietra. I maderero hanno raccontato di aver donato loro dei viveri e offerto qualche altra forma di assistenza generica. Attraverso alcuni di questi maderero che avevano raggiunto la cittadina di Atalaya per provviste o per altre ragioni, un missionario napoletano, padre Carlo Iadicicco, venne a conoscenza di questa tribù misteriosa emersa dal profondo della foresta amazzonica. Il missionario pregò più volte i maderero, ma sempre invano, di condurlo al luogo dove era accampata questa piccola comunità di primitivi. Alla fine, stanco dei continui rinvii dei maderero, tolto ogni indugio, decise di partire da solo. Con una piccola barca a motore risalì dapprima un tratto del fiume Urubamba, poi deviò per il Rio Inuia, e, infine, percorse un lungo tratto del fiume Mapuia. Arrivato all'imboccatura con il torrente Capirona, il volenteroso e coraggioso missionario napoletano incontrò, finalmente, la piccola tribù non lontano dall'accampamento dei tagliaboschi. Dopo averne conquistato, con notevole difficoltà, la 8
fiducia, lasciò loro dei viveri e ripartì con la promessa di tornare appena possibile. Uno dei maderero, che abitava in un piccolo villaggio di nome Raya posto ad un giorno o due di canoa dall'accampamento degli indigeni, avanzò loro l'offerta di portarli nella sua comunità. Egli era una specie di capovillaggio o, perlomeno, la persona più influente. Accettata la proposta, con alcune canoe fatte scavando tronchi d'albero, il gruppo si trasferì a Raya scendendo il fiume Mapuia. Lo scopo di questo maderero nel volere condurre gli indigeni nel suo villaggio non è mai stato chiarito del tutto. Considerato il suo innato e noto opportunismo, si pensa che egli abbia voluto approfittare degli immancabili aiuti che padre Carlo od altri avrebbero portato agli indigeni per trarne lui stesso un qualche vantaggio personale. Quel che è certo, tuttavia, è che ai nuovi venuti furono assegnate due capanne dove alloggiare e, finite le scorte di viveri di padre Carlo, tutto il villaggio donò loro cibo a sufficienza per sopravvivere. Dopo la partenza di padre Carlo, la situazione degli indigeni subì una tragica svolta. Nel villaggio dove erano ospitati scoppiò un'epidemia di influenza. Non avendo essi mai avuto in precedenza contatti diretti con gente più o meno civilizzata, il loro fisico, temprato a tutte le insidie della foresta, era rimasto tuttavia del tutto indifeso verso le comuni e innocue malattie importate dal mondo occidentale. In altre parole, la semplicissima e banalissima 9
influenza era a loro del tutto sconosciuta e, naturalmente, mancavano di anticorpi che li potessero difendere. Le conseguenze non tardarono a manifestarsi nel modo più tragico. Molti indigeni si ammalarono e non pochi morirono per le complicazioni, specialmente respiratorie, che seguirono. Per evitare l'allargarsi dell'epidemia, una parte di essi fuggì nella foresta per unirsi al resto della tribù che era rimasta, fino a quel momento, al di fuori da tutte queste vicende. Si trattenne nel villaggio soltanto un gruppo di 1820 persone appartenenti a due nuclei familiari distinti. Questo avvenne 3-4 mesi dopo che padre Carlo fece loro visita. Venuto a conoscenza di questa imprevista e penosa situazione, il missionario convinse le autorità di Atalaya, dalla cui giurisdizione dipendeva il territorio in cui si sono svolte queste vicende, ad intervenire. Organizzò una seconda spedizione in compagnia di sua sorella infermiera, del sindaco e del vicesindaco di Atalaya per prendere diretta visione dei fatti sopra riferiti e per portare un primo aiuto sanitario. Arrivati alla comunità di Raya, si cercò con le medicine disponibili di arginare i danni provocati dall'epidemia di influenza, ma i risultati furono modesti. Nella stessa occasione, padre Carlo, grazie ad un abitante del villaggio che parlava una lingua affine (lo Jaminahua) a quella parlata dagli indigeni, riuscì a ricostruire un po' della storia di questa gente 10
primitiva che, all'improvviso, si era trovata a contatto con gli ultimi avamposti del ventesimo secolo. La ricostruzione delle loro vicende sarà ripresa più avanti. La mia esperienza Nel dicembre del 1996 ho preso parte ad una spedizione al villaggio di Raya che univa, oltre all'interesse antropologico e culturale in genere, lo scopo di portare un po' di assistenza sanitaria agli indigeni venuti dalla foresta. La nostra spedizione era composta, oltre che da me, da due miei amici italiani, di cui uno medico, da un antropologo statunitense interessato all' etnobotanica, da padre Carlo, dal vicesindaco di Atalaya e da tre peruviani nativi della foresta amazzonica nelle vesti di guide e di piloti della nostra barca a motore. Con questo mezzo siamo partiti dalla cittadina di Sepahua ed abbiamo impiegato tre giorni per raggiungere Raya. Lungo il viaggio, alla notte abbiamo sostato in due villaggi di contadini indio lungo il fiume. Essendo questa la stagione delle piogge, debbo dire che l'acqua non ci ha affatto risparmiati. Oltre ad una scorta di medicinali, avevamo del cibo da donare sia agli indigeni profughi, sia agli abitanti del villaggio, per non creare tra loro dissidi e recriminazioni. Appena sbarcati al molo del villaggio, abbiamo notato una certa animazione tra alcuni individui che si sono subito allontanati da noi pur continuando a 11
controllarci a distanza. Poco dopo, padre Carlo ci ha spiegato che si trattava degli indigeni venuti dalla foresta che avevano riconosciuto in uno del nostro gruppo un Amahuaca, appartenente cioè ad una etnia tradizionalmente in guerra con la loro. In effetti si trattava di un Amahuaca, però acculturato e che probabilmente non aveva mai partecipato a guerre tribali di alcun genere. Proveniva, inoltre, da una zona distante da quella infestata da questi indigeni. C'è voluto un po' di tempo e di diplomazia perché la loro diffidenza venisse stemperata. Nel villaggio abbiamo trovato 18 indigeni ripartiti in due nuclei familiari. Le loro condizioni di salute sono state valutate ed affrontate dal medico del gruppo che si è subito premurato di curare i casi più gravi e di arginare quelli che ancora non presentavano serie complicazioni. Tutto nell'ambito del possibile, dato che le nostre scorte di medicinali si sono rivelate ben presto insufficienti. Dopo 4 giorni di permanenza nel villaggio di Raya, siamo ripartiti lasciandoci alle spalle una situazione momentaneamente sotto controllo, ma non ancora del tutto tranquilla. Ricadute, complicazioni o nuovi contagi con altri tipi di malattie occidentali non possono essere affatto esclusi. Ma quello che più ci ha preoccupato, e che ancora ci rattrista, è il pensare che il grosso della tribù quasi certamente è stato a sua volta contagiato da quelli che sono fuggiti dal villaggio di Raya e che si sono 12
ad esso ricongiunti. Delle sofferenze, dei più penosi drammi familiari ed umani, delle morti dopo atroci sofferenze che quasi senz'altro avranno avuto luogo là, in mezzo alla foresta più inaccessibile, non ci sarà nessun testimone. Sarà un dramma che si consumerà senza alcun clamore. Potranno morire 100, 200, o più persone senza che nessuno di fuori ne venga a conoscenza o possa o voglia intervenire. La foresta è stato il loro unico mondo sino ad oggi e la foresta custodirà anche il loro destino, qualunque esso sia. Padre Carlo ha l'atroce dubbio di essere stato lui, nel corso della sua prima visita, il vettore dei germi dell'influenza anche se è molto più probabile che la causa sia da riferirsi ai maderero o agli abitanti del villaggio di Raya con cui gli indigeni hanno avuto i primi e i più costanti contatti. L'influenza, almeno nel periodo in cui noi abbiamo fatto la nostra spedizione, era già molto diffusa in un'ampia area di quella regione, tanto che quasi nessuno di noi ne è stato risparmiato. Anche da parte nostra non si può dire che tutto sia tranquillo riguardo le conseguenze del nostro intervento. C'è rimasto il timore che, curando l'influenza e le sue complicazioni, noi stessi non abbiamo lasciato un qualche altro germe di una malattia innocua per noi ma letale per loro. Sembra un terribile ed angosciante circolo vizioso dal quale non si può uscire: o prestare loro aiuto, col rischio di peggiorare le cose, oppure non fare nulla. 13
I Nahua Alle notizie raccolte da padre Carlo nelle sue due precedenti visite si debbono aggiungere anche le informazioni che i miei compagni di viaggio ed io abbiamo potuto ottenere dagli stessi indigeni. Un peruviano del nostro gruppo, Raundi, e Glen, l'antropologo statunitense, ci hanno fatto da interpreti. Ecco che cosa siamo riusciti a ricostruire su questi misteriosi abitanti della foresta. Si tratterebbe (il condizionale è sempre d'obbligo quando si ricevono informazioni da parte di gente primitiva) di una tribù di almeno 400-500 individui che vive abitualmente in una zona che copre il confine tra Perù e Brasile. Per essere più precisi, la zona è compresa tra il fiume Breu ed il fiume Juruà. Viene dato loro il nome di Nahua o di Citonahua per la lingua che parlano che è molto affine, come già detto, allo Jaminahua. Sia la lingua Nahua che lo Jaminahua appartengono ad una diffusa famiglia linguistica conosciuta con il nome di Pano. Essi sono nomadi e non hanno, pertanto, una casa fissa, ma si riparano entro rifugi rudimentali fatti al momento con rami e foglie. Alcuni possiedono un'amaca per dormire fatta di fibre vegetali. Non conoscono l'agricoltura ma traggono di che vivere con la raccolta dei frutti che la foresta offre spontaneamente, oltre che con la caccia e con piccoli furti nei confronti delle fattorie di altri indigeni o 14
degli occasionali accampamenti di tagliaboschi brasiliani che nel loro vagabondare incontrano. Quest'ultima attività, anche se è basata principalmente sul furto di qualche provvista o di qualche utensile di scarso valore (una pentola, un machete, un fucile, etc.), comporta un rischio reale e di non poco conto. I derubati difendono i loro averi sparando senza tanti complimenti contro i colpevoli i quali, per vendicare gli immancabili morti, cercano di rifarsi con gli interessi. Tutto questo ha originato una specie di faida fatta di agguati e di stermini senza fine e non è raro che, per un proprietario di una fattoria o per un tagliaboschi, il solo fatto di incontrare casualmente qualcuno di questi indigeni sia una ragione sufficiente per cercare di ammazzarlo senza neanche chiedersi il perché. E probabilmente è vero anche il contrario. Quando riescono a rubare un fucile, gli indigeni lo usano finché ci sono proiettili, dopo di ché lo buttano via. La loro vita è insidiata anche da un'altra causa, forse ancora più grave. Nell'ampia regione in cui si spostano ci sono, oltre alla loro, altre due tribù. Con una di esse sono in buoni rapporti e attuano lo scambio di povere cose e delle donne. Questo per evitare i matrimoni all'interno della stessa tribù che immancabilmente si risolverebbero tra consanguinei. Con la restante i rapporti non sono buoni, anzi sono pessimi, tanto che è ora in atto una feroce guerra senza esclusione di colpi. 15
Una delle ragioni principali, ma non so se sia l'unica, di questo stato di cose è che entrambe le tribù rivali fanno scorrerie nell' accampamento dell'altra per rapire le donne e cose varie e le vendette sanguinarie si sprecano. Negli ultimissimi tempi la situazione è notevolmente peggiorata per i Nahua che si sono trovati ad essere decimati dalla tribù rivale al punto che, per evitare lo sterminio totale, sono in continua fuga per la foresta. Ma la fuga non permette loro di procurarsi il cibo sufficiente per sfamarsi. Indeboliti per la fame e terrorizzati dai nemici, sono nella disperazione più nera e vagano per la foresta in gruppi ridotti per evitare il massacro. Ed è stata questa disperazione che ha spinto il gruppo di poche decine di persone, di cui ho parlato all'inizio, a uscire dalla regione che storicamente abitano ed a cercare una qualche forma d'aiuto e di protezione presso i maderero che, come si è visto, sono loro tradizionali nemici. Dei due mali hanno scelto quello che hanno ritenuto il minore. Per loro fortuna (ma è poi stata una fortuna?), i maderero, dopo qualche incertezza, hanno deciso di avere con essi rapporti amichevoli. Un vecchietto che era stato in precedenza intervistato da padre Carlo e che ora è morto in seguito all'epidemia di influenza, conosceva alcune parole di portoghese. Ciò ha spinto padre Carlo a farsi raccontare la sua storia che risale probabilmente a 50-60 anni fa. Quando l'intervistato era un fanciullo fu rapito, insieme con altri componenti della sua tribù, dai 16
brasiliani che utilizzavano gli indigeni come schiavi nel lavoro nelle fattorie o nell'estrazione del caucciù. Dopo non si sa quanti anni di prigionia e di lavori forzati, riuscì a fuggire nella foresta dove incontrò una tribù ancora selvaggia e alla quale si unì rimanendo con essa sino alla fine dei suoi giorni. Dagli anni della sua prigionia probabilmente non ha mai più incontrato o avuto rapporti stretti con persone del cosiddetto mondo civile, a parte i maderero che tanto civili non debbono poi essere. Scampoli di vita in comune Tra le varie cose che maggiormente mi hanno colpito in questo straordinario incontro con i Nahua, ricordo in particolare il tentativo che abbiamo fatto di ricostruire la composizione dei loro nuclei familiari. Quelle che inizialmente ci erano sembrate due famiglie tipiche, nascondevano alcune sorprese di non poco conto. Premetto che questi indigeni non conoscevano la loro età e le mie valutazioni sono da considerarsi del tutto indicative. La famiglia che sembrava più semplice da ricostruire, a nostro parere era composta da un adulto di circa 35-40 anni, da sua moglie di una ventina di anni, da una ragazzina di 11-12 anni che aveva un viso imbambolato ed il fisico non ancora entrato nella pubertà, e da due bambini piccoli di cui uno ancora attaccato al seno materno. La sorpresa consisteva nel fatto che la ragazzina, dall'aria e dal fisico per niente maturi, e che chiunque avrebbe identificato come la figlia 17
maggiore, era, niente meno, la seconda moglie dell'uomo adulto. Senz'altro più complessa e foriera di maggiori sorprese era la composizione del secondo gruppo familiare. C'era una ragazzina di forse 11 anni, anch'essa per niente sviluppata, un ragazzo di 14-15 anni, due ragazzi di 16-17, un'altro più anziano di un paio d'anni, una ragazza di pari età e una donna attorno alle 35 primavere. Tralasciamo di elencare i vari bambini in tenera età presenti. Ci è stato spiegato che il ragazzo e la ragazza più maturi erano normalmente sposati tra loro e che la donna più anziana era rimasta vedova e si era successivamente sposata con uno dei ragazzi di 1617 anni. L'altro ragazzo di pari età doveva, di lì a poco, sposarsi con la ragazzina undicenne. Quest'ultima ed il ragazzino di 14-15 anni non ho capito di chi fossero figli. Per quanto riguarda i numerosi bambini, diciamo che appartenevano un po' agli uni e un po' agli altri, ma sul loro conto non ho voluto approfondire le rispettive paternità e maternità per non avere altre sorprese e per non aumentare la confusione. Occorre aggiungere che tutti questi individui passavano la maggior parte del giorno all'interno delle loro capanne, senza quasi mai uscire, non facendo assolutamente niente se non stare sdraiati sull'amaca o a cucinare quel po' di cibo che veniva loro offerto dagli abitanti del villaggio. Non li abbiamo mai visti entrare nella foresta per procurarsi, per proprio conto, quello di cui avevano 18
bisogno anche se, almeno per alcuni, le condizioni fisiche erano sufficientemente passabili per darsi un minimo da fare. Le ragioni di questo comportamento abulico dei Nahua ci sono rimaste oscure. Solo i bambini più piccoli, tra un colpo di tosse e l'altro, scorazzavano allegramente da ogni parte in compagnia dei loro coetanei del villaggio. Un giorno abbiamo organizzato un breve giro nella foresta con la donna trentacinquenne e con il suo giovane marito per vedere il grado di conoscenza che avevano delle piante medicinali. La donna si è subito dimostrata molto ferrata in materia; ogni 40-50 metri si fermava per indicarci una pianta medicinale aggiungendo una descrizione delle patologie verso cui essa trovava impiego. Quasi tutte le piante che ci sono state mostrate erano conosciute, con le stesse proprietà terapeutiche, da Glen, l'antropologo, che si stava specializzando in etnobotanica e che aveva ormai una esperienza della foresta amazzonica di 10 anni. Dopo circa mezz'ora di cammino, avevamo già incontrato più di una decina di piante medicinali diverse. Un improvviso e violento temporale ha interrotto la nostra ricognizione, ma già ci eravamo fatti una chiara idea delle buone conoscenze che questi selvaggi hanno delle risorse medicinali che offre la foresta. Durante questa passeggiata, la donna Nahua ha raccolto un fascio di erbe profumate che, una volta tornata al villaggio, ha legato attorno alle braccia. Alla nostra curiosità è stato risposto che il loro 19
profumo delicato attira gli spiriti benevoli, mentre tiene lontano quelli cattivi che sono invece attratti dagli odori più sgradevoli. Ogni giorno che abbiamo trascorso nel villaggio di Raya iniziava e terminava con una visita medica alle persone ammalate. Oltre all'influenza, che aveva colpito con diversa intensità i Nahua, il nostro medico doveva affrontare anche le sue complicazioni, specialmente respiratorie, sino ad un caso di grave polmonite bilaterale. Altre patologie erano rappresentate da infezioni intestinali indotte da germi o da vermi, da infezioni agli occhi e dagli effetti derivati da carenze alimentari. Sulfamidici ed antibiotici furono i primi medicinali a terminare. Sembravano ghiotti delle medicine, ne avrebbero prese a dosi da cavallo e in ogni ora del giorno e della notte. La ragione, come abbiamo poi scoperto, era duplice. In parte perché si erano convinti della loro efficacia, e in parte per motivi di golosità. Infatti, avevamo deciso di aggiungere dello zucchero alle medicine destinate ai bambini per renderle meno amare. Fu così che scoprirono per la prima volta, diventandone subito avidi, lo zucchero. La somministrazione delle medicine rappresentava un'occasione in più per assaggiarlo e la scorta che avevamo affidato loro per addolcire le medicine dei bambini finì in men che non si dica con il sostanzioso contributo degli adulti. Un altro alimento che li ha ugualmente conquistati, 20
e che prima di allora non conoscevano, è stato il sale. Io ero il responsabile della distribuzione delle caramelle. Con quest'opera il mio prestigio è andato alle stelle. Non facevo a tempo ad estrarre dallo zaino un sacchetto di caramelle, che già ero circondato da una torma di individui di tutte le età che attendevano ansiosi le caramelle che mi accingevo a distribuire. Ai Nahua si sono subito aggiunti i bambini del villaggio di Raya seguiti dai loro genitori e dai loro nonni. Un'altra cosa che ha destato in loro un'estrema curiosità e meraviglia è stato il vedermi scrivere degli appunti su un bloc notes. La cosa si è ulteriormente amplificata quando ho tracciato alcuni semplici disegni che essi, man mano, riconoscevano come oggetti noti: una capanna, un bambino, un arco, un viso, etc. Mi guardavano con lo stesso stupore che si ha nell'assistere ad un miracolo. Sembrava che quei semplici disegni, via via che venivano tracciati ed assumevano una forma sempre più definita, acquistassero, ai loro occhi, come per magia, una realtà oggettiva oltre che rappresentativa. Questi piccoli episodi mi hanno indotto ad alcune considerazioni. In particolare ho pensato che questi stessi indigeni, così indifesi e, in quelle particolari circostanze, così infantili, in altre occasioni non avrebbero esitato un momento a scaricarci le frecce dei loro archi o a farci morire nei modi più crudeli. 21
Ora infondevano un senso di tenerezza mista a pietà. Durante le prime due notti nel villaggio di Raya, ho notato uno degli uomini Nahua agitare il fuoco di una torcia in ogni settore e in ogni angolo delle due capanne da essi abitate. Poco dopo, una o due voci maschili hanno cantato monotone nenie per buona parte della notte, mentre scariche violentissime di tosse facevano da sinistro accompagnamento a questi canti. Probabilmente, con il fuoco intendevano purificare le loro capanne dalle forze ostili causa delle loro malattie, mentre i canti servivano ad attirare magicamente gli spiriti benevoli. Quando abbiamo chiesto perché non hanno continuato queste ritualità anche le notti successive, ci è stato risposto che i canti vengono fatti masticando del tabacco che però era finito alla seconda notte. Il tabacco usato dagli indigeni possiede proprietà allucinogene che favoriscono un più diretto contatto con gli spiriti della foresta ai quali sono soliti chiedere aiuto per risolvere le loro disgrazie esistenziali. Ho visto anche uno di loro fumare la pipa e soffiare ripetutamente il fumo sul corpo delle persone ammalate. Anche questo è un mezzo largamente usato dagli sciamani amazzonici per allontanare gli spiriti che sono ritenuti essere la causa delle malattie. Finale con morale Padre Carlo si sta preoccupando molto del destino 22
di questo sparuto gruppo di Nahua. Vorrebbe, così come rientra nella sua mentalità e nella sua cultura missionaria, integrarli a piccoli passi nel mondo civile. Per far questo è necessario che essi si fermino stabilmente in qualche posto, che siano aiutati ed educati, che sappiano rendersi autosufficienti, eccetera, eccetera. In questo suo progetto sembra avere trovato un valido sostegno nella municipalità di Atalaya che ha promesso di donare ai Nahua un piccolo appezzamento di terra ai margini di quella foresta da cui sono comparsi al nostro mondo. Verrebbe inviata contemporaneamente, e per un periodo di sei mesi, una coppia di indigeni già acculturati per insegnare loro i primi rudimenti dell'agricoltura. Tra le varie cose che dovrebbero imparare a coltivare c'è il cotone che servirà loro per tessere e confezionare stoffe per uso proprio e per fare, eventualmente, un piccolo commercio. Seguirà, a ruota, nei piani di padre Carlo, l'immancabile processo di conversione alla vera religione. Propositi senz'altro nobili negli intenti, ma che mi lasciano ugualmente in un mare di perplessità. Si ripropone l'irrisolto e secolare problema se lasciare, finché si può, i selvaggi alla loro vita, al loro ambiente ed alle loro tradizioni, oppure recuperarli all'istante alla nostra superiore civiltà. Anche se le cose si evolveranno, prima o poi e senza alcun dubbio, nel senso auspicato da padre Carlo, questa prospettiva mi rattrista molto. Avrebbero un prezzo da pagare elevatissimo ed i 23
danni derivati dall'importazione delle nostre malattie, come si è visto, sarebbero un primo e pesantissimo acconto. Dall'arrivo degli europei nel continente sudamericano, si stimano a milioni le vittime di questa sorta di genocidio senza clamore. Un missionario spagnolo di Sepahua, padre Ignacio, ci ha riferito che nel corso di queste epidemie si verificano spesso drammi familiari davvero terrificanti. Come esempio, tra i tantissimi di cui è a conoscenza, ci ha raccontato di un caso avvenuto qualche tempo prima in un punto qualsiasi della sua immensa diocesi amazzonica. L'influenza aveva decimato una tribù di primitivi. Una donna di questa tribù, che aveva già visto morire il marito e forse ella stessa ammalata, non potendo più provvedere ai suoi 4 piccoli bambini, fu presa dalla disperazione più grande che una madre possa avere: li ha uccisi tutti seppellendoli all'interno della propria capanna. Fatto questo, ha atteso il suo turno per morire. Sono tornato in Italia da poche settimane ed una parte di me la sento già lontana mille miglia da questi problemi e da queste esperienze. Un'altra parte di me vi è ancora strettamente legata, ma fino a quando? Tomas, uno degli abitanti del villaggio di Raya che più sinceramente sembra preoccuparsi della sorte dei Nahua, ci ha confidato le sue previsioni. Ritiene che un giorno, un po' prima dell'alba, senza dire nulla a quelli del villaggio, gli indigeni ritorneranno nella foresta, nel loro mondo, forse per sempre. 24
In questo caso, prevedo che passerà un po' di tempo e nessuno si ricorderà più di loro, o li vorrà ricordare. E' anche questo un modo per esorcizzare i nostri turbamenti, le responsabilità che non abbiamo voluto assumerci, le memorie scomode.
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SCIAMANESIMO E PSICHEDELIA Le cosiddette droghe psichedeliche sono state da sempre, in qualche modo, associate alla religione. I funghi psichedelici, in particolare l’Amanita muscaria, sono stati usati dagli sciamani siberiani da alcune migliaia di anni fino ai giorni nostri. Con essi, questi particolarissimi personaggi potevano entrare in uno stato di trance che consentiva loro di intraprendere il cosiddetto volo dell’anima. Durante questo volo, la loro anima abbandonava momentaneamente il corpo e si trasferiva in altre realtà popolate dagli Dei o da varie categorie di spiriti e di anime di defunti. Già 2.500 anni fa gli Sciti impiegavano la marijuana durante le loro cerimonie religiose, così come ne facevano un vasto uso rituale gli antichi Egizi, i Cinesi, gli Indiani e gli Assiri. Anche l’Haoma dell’Avesta iranico ed il Soma, descritto negli antichi inni Vedici dell’Induismo primitivo, sembra derivassero da piante psichedeliche che solo ora gli studiosi sembrano avere identificato. I riti dionisiaci, così come altri culti misterici similari dell’antica Grecia, si ritiene fossero basati sull’assunzione di sostanze estratte da piante psichedeliche (a seconda delle varie interpretazioni, Amanita muscaria, ergot della Claviceps purpurea, vino mescolato a particolari sostanze, ecc.).
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L’impiego del vino nelle cerimonie religiose cristiane potrebbe essere un lontano ricordo di questi riti più antichi. Se passiamo al continente americano, troviamo altre innumerevoli importanti testimonianze dell’impiego sacramentale delle piante contenenti principi attivi psichedelici. Testimonianze che non sono solo un ricordo di un lontano passato, ma che ai nostri giorni trovano ancora ampia diffusione. Le cronache dei Conquistadores spagnoli sono piene di condanne ed accuse da parte dei missionari contro l’uso del peyote, che non è altro che un piccolo ed apparentemente insignificante cactus che contiene, come principio allucinogeno, la mescalina. La fase più spettacolare dell’intossicazione del peyote è rappresentata da visioni ed allucinazioni caleidoscopiche ripiene di forme rapidamente cangianti e dai colori assai vivi. Le popolazioni precolombiane del Messico e dell' America centrale ritenevano che il peyote fosse un messaggero divino in grado di metterci a diretto contatto con gli Dei. Per questa ragione, nei tempi antichi, il peyote era ingerito dai sacerdoti per rivolgere richieste agli Dei o per conoscerne il volere. Un simile impiego avevano dei piccoli fungi del genere psylocibe, considerati dai popoli messicani come funghi sacri. Gli indiani del Nord America, nella seconda metà del diciannovesimo secolo, nelle loro scorrerie nel Messico settentrionale conobbero l’impiego del peyote. 27
Dopo il 1880, venne fondato, all’interno di varie tribù di pellerossa, un culto che era un misto di animismo e di cristianesimo e che vedeva nell’ingestione del peyote l’espressione più alta dei loro riti. Una sorta di sacramento. Questo culto prese il nome di “Native American Church” ed è l’unica confessione religiosa degli Stati Uniti alla quale è consentito dalla legge l’uso di una sostanza psichedelica, altrimenti tassativamente proibita. La stessa sostanza che si trova nel peyote, la mescalina, è presente in notevole quantità in un altro cactus che prospera in Ecuador e nel nord del Perù, il San Pedro (Trichocereus pachanoi). I principi attivi di questa pianta erano e sono ancora utilizzati per mettere in uno stato di trance estatica gli sciamani andini e consentire loro di dialogare con il mondo degli spiriti e delle divinità del loro variegato pantheon religioso. Sempre nei paesi andini, gli antichi Inca usavano le foglie di coca per usi rituali. In quasi tutta l’area amazzonica, si raggiunge il mondo degli spiriti e si dialoga con esso mediante l’assunzione di una miriade di sostanze di origine vegetale tra cui una delle più importanti e diffuse è l’ayahuasca. La pianta del tabacco è ugualmente ritenuta sacra da varie popolazioni sparse in tutto il continente americano. Il tabacco, originario delle Americhe, fu considerato già dagli Aztechi come il corpo della Dea Cihuacohatl e trovò una diffusissima utilizzazione sacramentale da parte degli sciamani sia amerindi che pellerossa, i quali usavano fiutarlo o fumarlo, in 28
quantità anche enormi, allo scopo di indurre trance estatiche o allucinatorie. Psichedelici ed enteogeni Nei non lontani anni settanta, gli studiosi nel campo degli stati alterati di coscienza si resero conto che i vari termini: allucinogeno, psichedelico, psicotomimetico, psicotropo, psicolitico, etc, riferiti a quelle sostanze in grado di alterare il nostro normale stato di coscienza, non erano più sufficienti per coprire tutta la gamma di situazioni e di vissuti interiori che andavano scoprendo. Per questa ragione fu introdotto il termine enteogeno con riferimento a quei principi attivi, in genere derivati dal mondo vegetale, in grado di indurre la profonda sensazione soggettiva di comunione o di stretto rapporto con la divinità o con un principio cosmico trascendente. In definitiva, gli enteogeni sono ritenuti capaci di indurre degli stati di coscienza di tipo misticoestatico. Letteralmente la parola enteogeno deriva dalla somma di tre termini dell’antica lingua greca En=dentro; Theo=Dio, divino; Gen=diventare, ossia “Diventare divini dentro”, nel senso di essere ispirati o posseduti da un Dio. Tra le tante sostanze in grado di modificare in profondità il nostro normale stato di coscienza in senso religioso solo poche sono unicamente enteogene, la maggioranza è sia enteogena, sia allucinogena. Il prevalere dell'una o dell'altra caratteristica dipende, oltre naturalmente dalla composizione 29
chimica della sostanza, da una sequenza di variabili legate principalmente al cosiddetto “set” (stato psicologico ed emozionale del soggetto unitamente alle sue inclinazioni personali ed al suo background culturale) ed al “setting” (il contesto in cui si fa l'esperienza). Comunque, è anche vero che certe piante sono tipicamente considerate come evocatrici di stati psicologici che vengono fatti rientrare nella sfera del transpersonale e del mondo mistico. In contesti rituali, più raramente in situazioni profane, le esperienze che ne derivano possono essere di tipo estatico nel senso più profondo del termine, almeno per chi le vive. Molti resoconti di persone che si sono cimentate con l’LSD, il peyote, l'ayahuasca, la salvia divinorum, l'amanita muscaria, alcuni tipi di tabacco amazzonico ed i vari funghetti allucinogeni del genere psylocibe, etc., evidenziano, con una certa frequenza, vissuti che appaiono assolutamente di tipo mistico ed hanno prodotto, il più delle volte, sostanziali e durature trasformazioni nelle concezioni filosofiche e religiose di chi ha avuto queste esperienze. Molti valori sono cambiati radicalmente e nuovi ideali, mai prima considerati, hanno indirizzato la loro vita sostituendosi a quelli precedenti. Sono stati fatti dei precisi confronti tra le esperienze indotte da sostanze enteogene e le vere estasi mistiche, sia cristiane e non. Spesso non si è colta alcuna differenza tanto che un giudice esterno, davanti a dei resoconti sia di estasi prodotte da sostanze psichedeliche e sia di classiche 30
estasi religiose, non è stato in grado di attribuire un’esperienza né all'uno, né all'altro gruppo. Nelle estasi indotte da enteogeni, sia l'aspetto cognitivo, sia quello più strettamente emozionale, non differiscono in nulla dai racconti fatti dai più famosi mistici dell’antichità sui loro rapimenti estatici avuti in condizioni certamente non favorite dall'assunzione di particolari sostanze. Viaggio a ritroso nella storia dell’uomo La razza umana ha una lunghissima e venerabile storia di rapporti con questo genere di sostanze psicoattive. Il mondo vegetale n’è pieno ed ogni angolo della terra ha il suo corredo di piante dalle quali varie popolazioni hanno estratto principi attivi con proprietà allucinogene o enteogene. Il loro rapporto con le varie religioni o forme di religiosità, sia nello stato embrionale dell'uomo primitivo, sia nelle forme più evolute di successive civiltà, è sempre stato molto stretto e non si è mai totalmente interrotto. Un uomo che assuma una sostanza enteogena, a seconda del suo background religioso, della sua cultura e della sua sensibilità (set), come più sopra accennato, potrà attribuire ad entità spirituali o allo stesso suo Dio le immagini percepite e gli incontri avuti durante l’esperienza. Ma vi sarà anche chi, all’opposto, cercherà di darne una spiegazione laica e materialistica come può essere, ad esempio, quella che si rifà a banali e transitorie allucinazioni o ad altre inconsuete 31
aberrazioni della mente mediate da particolari reazioni chimiche all’interno del cervello. Gli sciamani del periodo preistorico sono stati i primi a raccogliere ed a trasmettere alle successive generazioni i segreti da loro carpiti alla natura. Erano, come ci riferisce il notissimo studioso di storia delle religioni Mircea Eliade, i maestri dell'estasi, estasi che essi raggiungevano sia con mezzi chimici (di derivazione vegetale), sia con altre tecniche della più varia natura (danze, canti, digiuni, isolamento, mortificazioni, ascolto di suoni e ritmi stereotipati, etc.). E non mancano certo gli studiosi (tra i quali spiccano il famoso etnomicologo Gordon Wasson e l’etnobotanico Terence McKenna) che ritengono che la primitiva e rozza religiosità dell'uomo primitivo si sia notevolmente evoluta grazie al casuale incontro con alcune particolari piante (enteogene e psichedeliche) di cui si è cibato. Questo semplice e casuale fatto avrebbe aperto la sua coscienza verso stati mai prima sperimentati mettendolo a confronto con nuove realtà sino ad allora nemmeno immaginate. Secondo quest’ipotesi, con l'assunzione di sostanze psicoattive, ed ancor più di enteogeni, si sarebbe verificato un sostanziale salto di qualità tra gli uomini della preistoria. La loro coscienza, fino a quel punto rudimentale e legata unicamente agli istinti ed agli aspetti pratici della vita, avrebbe subito, con l'uso di quelle piante, uno straordinario ed improvviso balzo evolutivo. Le nuove visioni, che si sono loro inaspettatamente presentate, erano popolate da creature mai incontrate prima, da esseri invisibili al nostro 32
normale stato di coscienza, da forze, energie e rapporti tra le cose e tra gli esseri di questo mondo mai prima avvertite. Le visioni ed i contenuti erano molto più ricchi, oltre che di tipo diverso, rispetto a quanto si presentava sia nel normale stato di veglia, sia nello stato di sogno. Alla loro vecchia e semplice coscienza si andava aggiungendo una nuova consapevolezza: che oltre al mondo visibile, percepibile da tutti, ne esiste un secondo, oscuro o luminoso, pauroso o rassicurante, abitato da divinità o da esseri malefici, esplorabile o del tutto impraticabile a seconda che si riesca o no a trovare la chiave per entrarvi e se ne conoscano nello stesso tempo le regole che lo governano. Chi vi entrava senza alcuna preparazione vi poteva trovare la morte o la pazzia. I primi sciamani Ben presto vennero identificate alcune persone che avevano maggiori capacità delle altre a modificare il loro stato di coscienza e di usare questa nuova condizione per entrare in quel mondo secondo e dialogare con le misteriose presenze che vi abitavano. Con particolari rituali, formule e sacrifici, man mano sempre più elaborati ed efficaci, le terrifiche entità dell'altro mondo potevano essere avvicinate, si poteva anche farsele amiche, alleate. Queste entità avevano spesso le sembianze di animali o di persone defunte. Si scoprì che era possibile chiedere loro consiglio, farsi predire il futuro, ricevere utili informazioni per 33
la caccia e per la guerra, sapere come guarire le ferite e le malattie. Questi uomini speciali (gli sciamani) erano anche in grado, con il permesso e l'aiuto di queste entità, di poter viaggiare nella nuova dimensione, di scoprire le divinità che governavano i regni sotterranei o quelli celesti, incontrare i signori della vita e della morte. Allo stesso modo con cui Dante Alighieri visitò il mondo dell'oltretomba guidato da Virgilio, lo sciamano era accompagnato in quelle lande sconosciute da una o più entità spirituali con le quali aveva fatto amicizia o con la quale aveva instaurato un qualche rapporto di collaborazione. In questi viaggi avventurosi, che potevano costare la vita alla minima imprudenza ed errore, fu scoperto il mondo dei trapassati, il loro rifugio finale. Avendo appreso sia il modo per entrare in questi incredibili stati di coscienza, vissuti come mezzo per accedere a dimensioni ultramondane, sia avendo di queste ultime appreso la topografia, lo sciamano poteva ora divenire l'intermediario tra questo e l'altro mondo, ed in particolare si assumeva il compito di guida dei defunti accompagnandoli, perché non si perdessero, verso il misterioso e oscuro regno delle ombre. Nacque così, e si perpetuò, la funzione di psicopompo dello sciamano della preistoria. I voli estatici in queste dimensioni consentirono anche di conoscere in dettaglio le varie tipologie di entità spirituali che vi abitavano. Vi erano spiriti buoni con i quali era facile prendere rapporto e ricevere aiuto e consigli. 34
Altre entità erano apparentemente pericolose ma, con opportune astuzie e rituali, potevano essere piegate ai propri desideri ed essere mutate in alleati. Infine, non mancavano gli spiriti assolutamente ostili con i quali occorreva combattere per non soccombere e per evitare danni sia allo sciamano, sia alla sua comunità. Contro questa ultima categoria di spiriti lo sciamano con le sole sue forze non poteva alcunché, poteva contrastarli solamente con l'aiuto degli spiriti alleati. In ogni modo, anche se guidato, il suo accesso alle regioni dell'altra dimensione era sempre un'impresa estremamente pericolosa. Non si poteva osare tanto senza un’opportuna selezione e preparazione. L’iniziazione sciamanica Apparve ben presto chiaro che non tutti potevano diventare gli intermediari tra i due mondi, solo pochi eletti, con una speciale predisposizione innata e che erano stati in un qualche modo prescelti dagli spiriti a questa missione, potevano diventare sciamani. Spesso, questa sorta di vocazione o di chiamata all'arte dello sciamano si manifestava nel corso di una grave malattia o di un pericoloso incidente, talora dopo essere stati colpiti dal fulmine, in situazioni dunque nelle quali la persona era giunta veramente ad un passo dalla morte. In questo stato era facile che si presentassero visioni, sogni o allucinazioni popolate da strani 35
esseri che davano al moribondo un segno, indicavano una strada, prospettavano una missione. Molto spesso, in queste visioni la persona assisteva ad una rappresentazione allucinatoria nel corso della quale vedeva, come in preda ad una esperienza extracorporea (OBE), il proprio corpo separato dalla sua coscienza nell’atto di venire fatto a pezzi dagli spiriti, dilaniato nel modo più feroce e minuzioso e buttato da parte. In seguito poteva vedere la ricostruzione del suo corpo con nuove membra, con nuovi organi e con nuovi fluidi ad opera delle stesse entità spirituali. Attraverso questi processi così brutali il futuro sciamano rinasceva simbolicamente ad una nuova vita, molto più ricca ed evoluta di prima, lasciando alle spalle un corpo ed una coscienza ormai inutili. Gli spiriti trasmettevano poi al neofita i loro insegnamenti segreti e specialissimi poteri. Una volta guariti dalla malattia, guai a non seguire quelle indicazioni, a non seguire la strada che in qualche modo era stata indicata. Non c'era possibilità di rifiutare, pena la follia o la morte. Tutto questo rappresentava la prima fase dell'iniziazione sciamanica contraddistinta, come si è visto, da esperienze transpersonali popolate da spiriti e da scene terrificanti, dall’incontro con la morte e da una rinascita e, infine, da un corpo di insegnamenti segreti. Solo morendo alla loro precedente esistenza potevano affacciarsi ad una nuova vita, spiritualmente più evoluta ed arricchita da esperienze ed insegnamenti che mai si sarebbero aspettati. 36
Successivamente dovevano affrontare la parte finale dell'iniziazione, quella tradizionale. Uno o più sciamani anziani trasmettevano al neofita i loro segreti, le loro esperienze e tutte quelle tecniche che permettono di padroneggiare le misteriosi energie dell'altra dimensione. Infine, dopo una difficile prova sul campo per verificare il grado di preparazione raggiunto, si diventava a tutti gli effetti sciamani e ci si metteva al servizio della propria comunità per alleviarne le sofferenze o scioglierne le incertezze. Si diventava gli intermediari tra questo e l'altro mondo, con poteri soprannaturali veramente unici. Grazie all'estasi, che avevano imparato a prodursi ed a padroneggiare, i nuovi sciamani raggiungevano altre dimensioni, viaggiavano ed incontravano gli spiriti, i defunti ed i signori dei regni celesti e degli inferi, ricevevano da loro consigli, nuovi insegnamenti e più penetranti energie. In altre parole, veniva trascesa la condizione umana per entrare nel mondo del mito e del divino. "C'è un mondo al di là di questo, un mondo che è molto lontano ma anche assai vicino, ed invisibile. Ed è là dove vivono gli Dei, dove vivono i morti, gli spiriti ed i santi, un mondo dove ogni cosa è già successa ed ogni cosa è conosciuta. Quel mondo parla. Ha un suo linguaggio particolare. Io riferisco quello che dice. I sacri funghi mi prendono per mano e mi conducono nel mondo dove ogni cosa è conosciuta. Sono essi, i sacri funghi, che parlano in modo che io possa capirli. Io pongo loro delle domande ed essi mi rispondono. 37
Quando ritorno dal viaggio che ho fatto con loro, racconto ciò che mi hanno detto e ciò che mi hanno mostrato".
Questo è quanto ha raccontato, alla metà del secolo scorso, al famoso etnobotanico R.E. Schultes e allo scopritore dell'LSD A. Hofmann, la sciamana mazateca Maria Sabina riguardo alle sue esperienze spirituali a cui accedeva con l'uso di funghi allucinogeni contenenti psilocibina, seguendo una secolare tradizione risalente alla civiltà Azteca. La professione dello sciamano Le funzioni principali degli sciamani sono molteplici. In primo luogo sono i depositari della cultura del loro gruppo che riguarda la cosmogonia, le leggende, le tradizioni, i miti. Altra fondamentale funzione riguarda l’attività come guaritore. A questo proposito occorre precisare che per i popoli primitivi l’origine delle malattie è generalmente dovuto alla perdita dell’anima o al furto di essa da parte di entità spirituali malevole. In questo caso, lo sciamano viene incaricato dai familiari dell’ammalato di ritrovarla. Per far questo, egli attua una seduta cerimoniale nel corso della quale, attraverso tecniche che gli sono proprie, entra in un particolare stato modificato di coscienza (trance estatica) che gli permette di compiere il cosiddetto volo dell’anima. La sua anima esce dal corpo e va alla ricerca di quella della persona ammalata e, se necessario, raggiunge in spirito il regno degli inferi. 38
Non solo gli spiriti possono essere la causa delle paure e delle malattie all’interno di una comunità. Anche gli stessi sciamani, su propria iniziativa o su incarico di altre persone, possono indirizzare un maleficio verso una persona al fine di farla soffrire o di farla morire. In tale evenienza, sarà incaricato un altro sciamano per cercare di neutralizzare l’attacco e di ribattere colpo su colpo alle magie avversarie. Presso molte culture primitive, la mancanza di uno sciamano rappresenta la più grande disgrazia che possa capitare ad una comunità. Questa rimane senza alcuna guida, in totale balia degli spiriti e delle forze della natura. Non sa come reagire e come rapportarsi con essi, non sa interpretare i segni che da essi provengono. Una comunità che si trovi in questa non augurabile situazione, in definitiva, è destinata a disgregarsi, a non avere alcuna possibilità di continuare la propria esistenza. E’ come una nave con il timone rotto in balia della tempesta. Il suo destino è segnato, non c’è alcuna possibilità per fronteggiare le incontenibili forze che incombono su di essa. Da queste considerazioni, appare evidente come un’importantissima ulteriore funzione sciamanica sia quella psicoterapeutica. Ossia, stabilizzare il clima sociale e psicologico della comunità, alleviare o risolvere ogni tipo di tensione e di paura, assumersi in prima persona il compito di acquietare gli spiriti affinché l’intera popolazione non ne debba soffrire la collera. 39
L’esperienza psichedelica Come abbiamo visto, per l’uomo primitivo, ma anche per molti uomini moderni, i mondi che gli enteogeni dischiudono erano e sono popolati da entità ritenute soprannaturali o divine. Intere mitologie e religioni sarebbero state create su queste basi. La nostra cultura occidentale e postmoderna è ancora impregnata da queste arcaiche suggestioni, seppure in modo più o meno velato e latente. Alcuni studiosi degli stati alterati di coscienza hanno cercato di scoprire quale fossero le caratteristiche e le potenzialità di queste esperienze così inconsuete e multiformi. Accanto ad essi si è affiancata una schiera non esigua di psicoterapeuti che cercavano di utilizzare i composti allucinogeni (principalmente quelli enteogeni) per scopi terapeutici. Entrambi i gruppi, oltre alle evidenti differenze tra individuo ed individuo, hanno riconosciuto in modo convincente dei punti in comune tra gli effetti indotti dai derivati allucinogeni. In particolare, essi hanno individuato dei vissuti o tappe che, a grandi linee, sembrano succedersi in modo abbastanza costante durante la seduta psichedelica. La prima tappa (dell’attesa) è quella che segue immediatamente l’ingestione della sostanza. Ci si pone in tranquillità ed in silenzio aspettando che qualcosa avvenga. 40
E’ la fase nella quale ci si predispone ad accogliere un’esperienza che si spera possa essere importante sia per conoscere più a fondo se stessi, sia per tentare di scoprire ed immergersi in nuove realtà. Segue una seconda tappa (delle manifestazioni fisiche) che è spesso caratterizzata da brividi di freddo molto intensi alternati a periodi di eccessivo caldo. Subentra nausea, si può vomitare ed intervengono forti tremori incontrollabili in varie parti del corpo. Essa può perdurare anche nelle fasi successive. A questa fase succede quella allucinatoria, specie di tipo visivo. Dapprima le visioni sono semplici, geometriche, caleidoscopiche e sembrano possedere una loro vita indipendente. Su di esse è difficile esercitare il minimo controllo. Possono, non necessariamente, trasformarsi in visioni più complesse con scene fantastiche, specialmente legate al mondo della foresta se la seduta si svolge in questo ambiente, con comparsa di strani personaggi od animali con i quali si può, a volte, anche dialogare. E’ probabilmente questo uno dei momenti in cui vengono ricevuti, da chissà chi, messaggi ed insegnamenti di vario genere. E’ possibile anche sentirsi trasformare in animali, specialmente uccelli, e volare. Si può avere l’impressione di uscire dal proprio corpo e trasferirsi da altre parti o in altre dimensioni. 41
Alcune volte le visioni possono, invece, essere paurose e minacciose tanto da indurre la persona che le vive a cercare in tutti i modi di venirne fuori. La fase allucinatoria può rappresentare la fine della seduta o, al contrario, essere il preludio ad una fase successiva (della conflittualità) all’interno della quale ci si raffronta con le angosce, le paure ed i conflitti che emergono impietosamente dalle profondità del nostro inconscio. Si sperimentano la sofferenza, la solitudine ed il dolore. Ricordi tristi o scomodi e rimossi possono essere rivissuti con grande intensità e sofferenza. Raramente segue un’ulteriore fase, quella della disgregazione della nostra personalità, del nostro io, nella quale si sperimenta il nulla, il vuoto assoluto, persino la pazzia. E’ una fase strettamente psicotica ma, nello stesso tempo, quella che sembra darci, in una fase successiva, l’illuminazione, la reintegrazione della nostra personalità più profonda, la realizzazione del nostro Sé. In alcuni casi è anche possibile fare un drammatico incontro con la morte, vissuta contemporaneamente sia come da spettatore, sia come da vittima. Se si riesce a superare l’estrema angoscia del momento e ad accettare la possibilità reale di poter morire in quel preciso istante, allora scattano dei meccanismi che portano quella persona ad un sostanziale passo ulteriore. Si raggiunge così la fase tipicamente transpersonale all’interno della quale possiamo sperimentare 42
esaltanti stati mistici o un rapporto molto intimo con una realtà trascendente che le parole non sono in grado di descrivere. Si possono, infine, incontrare entità spirituali che ci parlano e ci danno speciali insegnamenti, o ci introducono e ci fanno sperimentare una vera e completa esperienza di iniziazione. E’ in questo ultimo passaggio che le proprietà enteogene delle sostanze ingerite vengono manifestate al massimo grado facendoci vivere esperienze che possono segnare per sempre la nostra esistenza ed indirizzarla, con rinnovati valori, verso mete mai prima immaginate. Ma sono pochi quelli in grado di arrivare tanto lontano. Per sostanziare ulteriormente le conclusioni che più avanti esporrò vorrei, sia come testimonianza diretta, sia come caso esplicativo di esperienza psichedelica estrema, illustrare nei punti essenziali i profondi e conturbanti vissuti che ho avuto con una di questa sostanze enteogene, l’Ayahuasca. Ho assunto ripetutamente questa sostanza nel corso di cerimonie sciamaniche all’interno della selva amazzonica, in un contesto, pertanto, molto suggestivo, forse il più adatto a vivere con maggiore pienezza un’avventura psichedelica. La presenza dello sciamano mi ha dato sicurezza e mi ha permesso di sciogliere quelle paure e quei freni psicologici che immancabilmente impediscono di vivere in pieno quanto si va sperimentando. In breve, ho avuto visioni fantastiche e indescrivibili, ho fatto l’incontro con la morte, con la 43
pazzia, con i ricordi più scomodi, e perciò rimossi, della mia vita. Ho ricevuto diversi insegnamenti da un’entità che non vedevo e con la quale dialogavo in modo non verbale. Sono arrivato quasi al punto di accettare la disgregazione del mio io perché invitato a farlo innumerevoli volte da quell’entità invisibile. Ho nettissimo il ricordo di essermi sentito trasformare, pezzo per pezzo, in un uccello per poi volare in lande sconosciute. Per un paio di volte ho visto misteriose entità che smembravano il mio corpo per poi ricostruirlo in modo nuovo. Io mi sentivo contemporaneamente vittima impotente e spettatore di questo processo inquietante. Ho provato un intenso senso di comunione con la natura e con la gente che mi stava accanto. Questa breve e succinta elencazione non rende giustizia di tutto quello che ho vissuto in quelle sedute. Essa è solo una pallida ombra del mondo fantastico che l’ayahuasca mi ha fatto incontrare. La sensazione soggettiva che ne ho tratto è stata quella di sentirmi profondamente trasformato, di avere scoperto, pian piano nel tempo, nuovi significati e nuovi valori, di essermi lasciato alle spalle un modo di concepire le cose che ora vedo come limitato e grezzo. Forse tutto questo è solo un’illusione, un grande e conturbante sogno indotto da quella sostanza e che si è protratto, in qualche senso, anche nei giorni, nei mesi e negli anni che sono seguiti. 44
Ciò nonostante, l’esperienza con l’ayahuasca, seppure estremamente sofferta ed ancora in buona parte da decifrare, la considero un punto chiave nella mia vita1. Conclusioni Non mi sembra azzardato riconoscere, almeno in alcune delle tappe sopra descritte, dei precisi punti in comune con alcuni dei vissuti principali dell’esperienza iniziatica degli sciamani. In chi riesce ad arrivare alle fasi più avanzate dell’esperienza psichedelica è come se si innescasse un processo iniziatico non ritualizzato, del tutto privato, vissuto in modo diretto grazie al dispiegarsi di alcune nostre potenzialità innate. Una specie di archetipo che con le droghe enteogene troverebbe, talora, la via per emergere simbolicamente alla superficie e manifestare le sue profonde potenzialità trasformative e realizzative. Anche se soli e senza punti precisi di riferimento, starebbe poi a noi, e solo a noi, dare un significato ed un seguito a quanto nella profondità del nostro essere si è così misteriosamente manifestato. Ma una cosa è certa. Chi è riuscito a raggiungere questo punto estremo dell’esperienza psichedelica non è più la stessa persona di prima, i suoi ideali sono mutati, la sua visione del mondo si apre a nuovi orizzonti, Una estesa trattazione delle mie esperienze con l’ayahuasca è contenuta nel capitolo successivo di questo e-book, comunque già pubblicata nei Quaderni di Parapsicologia, Vol. 27, N. 1, 1996 con il titolo: Ayahuasca: la medicina dell’anima. Viaggio ed esperienze tra gli sciamani Shipibo-Conibo del Perù. 45 1
raggiunge un rapporto di comunione molto intimo con la natura e con gli altri esseri viventi ed il timore della morte è di molto stemperato. Considerati i tanti punti in comune, è forse quella psichedelica una via alternativa per portare a termine un’esperienza iniziatica di tipo sciamanico tradizionale? Inoltre, è solo casuale il fatto che anche le esperienze perimortali (NDE) siano state equiparate, per le tante somiglianze, all’iniziazione sciamanica? Esiste veramente una sorta di archetipo iniziatico che potrebbe essere risvegliato da più di un tipo di esperienza psichica estrema? Infine, è forse l’incontro con la morte, incontro vissuto realmente o anche solo ritualmente, la condizione necessaria per far emergere questo presunto archetipo sia nel caso dell’iniziazione sciamanica, sia nel caso delle NDE, così come nelle fasi più profonde dell’esperienza psichedelica? Io credo di sì. Raggiunta questa meta estrema, sembra che possano manifestarsi certe capacità di tipo paranormale. Agli sciamani sono attribuite varie di queste capacità, prima fra tutte quella di sapere diagnosticare e curare le malattie, di conoscere il presente, il passato ed il futuro, di potere agire fisicamente a distanza su persone e cose. Capacità pranoterapeutiche e psi sono state anche riscontrate in persone che hanno sperimentato una NDE o che hanno vissuto profonde esperienze 46
transpersonali in seguito all’assunzione di sostanze allucinogene. Kenneth Ring, il maggiore studioso delle NDE, nel suo libro “Progetto Omega”, suggerisce la seguente ipotesi: “Come per la NDE, anche i casi di “UFO o alien abduction” hanno la struttura di un viaggio iniziatico, possono cioè rappresentare un particolare ed attuale tipo di viaggio sciamanico adattato alla condizione di alta tecnologia del giorno d’oggi”.
Ricordo in breve che il fenomeno della UFO abduction si basa sul racconto di alcune persone che riferiscono di essere state rapite dagli alieni e di essere state portate nella loro navicella spaziale. Qui, sarebbero state sottoposte ad un intervento chirurgico consistente spesso nell’innesto di un oggetto misterioso nel loro corpo. Segue infine il loro ritorno al luogo d’inizio della loro esperienza con spesso una momentanea amnesia di quanto successo. Se l’ipotesi di Ring è corretta, ma ancor di più se tutta la fenomenologia della UFO abduction troverà un suo giusto collocamento, allora varrebbero le seguenti analogie tra questo tipo di fenomeno e l’iniziazione sciamanica:
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persona rapita = aspirante sciamano alieni = entità spirituali preposte all’iniziazione rapimento e trasporto della persona nella navicella spaziale aliena = viaggio nella dimensione spirituale intervento chirurgico sulla persona da parte degli alieni = smembramento del corpo del futuro sciamano e sua ricostituzione con nuove membra e con peculiari poteri spirituali (riferibili probabilmente al misterioso oggetto innestato) Un simile accostamento, tra “alien abduction ed iniziazione sciamanica” è anche sostenuto da un altro studioso, Simon Harvey Wilson in un articolo sull’Australian Journal of Parapsychology del 2001. L’ipotesi di Kenneth Ring e di Wilson che la alien abduction non sia altro che una moderna espressione di un motivo archetipico ancestrale 48
merita di essere ricordata e, in un certo senso, conforta l’idea di fondo qui rappresentata. Per concludere, ritengo, e non io solo, che alla base delle profondissime analogie all’interno delle esperienze di NDE, di iniziazione sciamanica e di alcune esperienze psichedeliche vi sia un comune denominatore: il trovarsi, o credere di trovarsi, in imminente pericolo di vita. Nel vedere la morte in faccia la nostra reazione può essere duplice: o la si affronta con sgomento e disperazione cercando di aggrapparci con ogni mezzo a quel piccolo residuo di vita che ancora ci resta oppure, grazie ad una nostra maturazione interiore precedente, la si accetta con serenità e senza drammi. In questo caso può, non necessariamente, scattare qualcosa nella nostra psiche (archetipo iniziatico?) che ci libera dai normali condizionamenti e limitazioni della nostra solita vita per aprirci verso una realtà completamente nuova ed innovatrice. Una sorta di illuminazione, di rinascita interiore, di radicale decondizionamento i cui frutti perdureranno per il resto della nostra vita. Ci si potrebbe, infine, chiedere: “Esiste un significato simbolico che alberga dietro questo incontro con la morte?” In linea con certe tradizioni sia occidentali, sia orientali, ritengo che affrontare la morte ed accettarne serenamente la fatalità corrisponda a rinunciare al proprio io, ad abbandonarne gli schemi di riferimento e le lusinghe. Solo dopo avere, nella parte più profonda di noi stessi, rinunciato all’io ed averlo fatto simbolicamente morire, si entra, o si può entrare, in 49
uno stato di consapevolezza nuova dove ci è dato di spaziare all’interno di orizzonti enormemente e fantasticamente più ampi. Non è facile esprimere a parole questa condizione della mente che più che descritta andrebbe provata. Accontentiamoci di quello che affermano i buddisti che dei segreti dell’io erano dei profondissimi e ostinatissimi studiosi: “Con la morte dell’io si trova un nuovo Io, quello vero, e con esso la suprema liberazione”.
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AYAHUASCA: LA MEDICINA DELL'ANIMA Viaggio ed esperienze tra gli sciamani Shipibo-Conibo del Perù I pensieri muoiono nel momento in cui si materializzano in parole (A. Schopenhauer)
Introduzione Questo capitolo vorrebbe rappresentare la continuazione ideale del pregevole lavoro del Dr. Antonio Bianchi, comparso sul secondo volume del 1994 dei Quaderni di Parapsicologia. Per tale ragione non mi soffermo su quegli argomenti che sono già stati trattati dal Dr. Bianchi, alla cui opera rimando il lettore che volesse saperne di più (vedasi bibliografia). Bastino queste poche informazioni preliminari. In quell'articolo il Dr. Bianchi illustrava le singolari proprietà di una droga allucinogena, l'ayahuasca, derivata da una liana diffusa in tutta la foresta amazzonica. Leggendo l'articolo, l'aspetto che mi era parso più rilevante è che l'ayahuasca viene estratta da una pianta considerata una "pianta-maestro". Dietro questa definizione si cela la supposta capacità dello spirito della pianta di dare agli sciamani della foresta insegnamenti di vario genere, da quelli di ordine pratico (come guarire le persone ammalate, come ritrovare oggetti smarriti o rubati, come fare una buona caccia, ecc.), a quelli che 51
permettono allo sciamano ed ai suoi discepoli di ottenere una emancipazione spirituale. Il mio interesse si è subito focalizzato principalmente su due punti: 1) verificare se veramente dietro alla pianta dell' ayahuasca si cela un "maestro", o alcunché di equivalente, e 2) di capire, in caso affermativo del punto precedente, in che modo possano mai gli insegnamenti essere trasmessi ai discepoli. Non restava altro che fare le valige, partire per la foresta amazzonica e bere l'ayahuasca. E così feci. Ho trascorso l'intero mese di ottobre del 1994 a Pucallpa, cittadina nel cuore della foresta amazzonica peruviana, in compagnia del sopracitato Dr. Antonio Bianchi e di altri due amici ugualmente interessati a queste cose: Luigi Vernacchia e Fabio Ravanello. Ci siamo spostati anche lungo il fiume Ucayali sino alla cittadina di Atalaya, visitando diversi villaggi e, quando presenti, contattando gli sciamani e bevendo con essi l'ayahuasca. La conoscenza che il Dr. Bianchi aveva sia della ambiente amazzonico, che di alcuni sciamani che utilizzano l'ayahuasca, ha reso notevolmente più facile affrontare questa difficile esperienza. Esperienza che, tuttavia, non è stata per niente immune da pericoli, fatiche e delusioni di vario genere e sui quali non desidero soffermarmi.
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I preliminari Dopo quasi un mese di permanenza in Perù e dopo almeno 9-10 sedute nel corso delle quali abbiamo bevuto l'ayahuasca, non ero per niente soddisfatto. L'effetto dell'ayahuasca su di me era sempre stato al di sotto delle aspettative e, comunque, decisamente inferiore a quello ottenuto dai miei tre amici. Ci sono state sedute interamente negative, accanto ad altre caratterizzate dalla presenza di visioni più o meno sempre uguali e prive, apparentemente, di qualsiasi significato. Avevo provato già con cinque sciamani diversi senza notare alcuna differenza sostanziale, tranne che in una sola e limitata occasione. Don Pedro (il nome è stato cambiato), lo sciamano Shipibo di Pucallpa col quale avevo avuto precedentemente cinque sedute e che sembrava essersi preso maggiormente a cuore le nostre istanze, si era dimostrato incapace a togliermi quel blocco che lui sosteneva di avere individuato in me (mi ha parlato di un soffio, di una corrente d'aria nel mio corpo, o di uno spirito che impediva alle visioni di raggiungere la testa). Anche il suo comportamento si era fatto estremamente antipatico e deludente. Alla iniziale cortesia e disponibilità, si era sostituito un atteggiamento che non riuscivo ad accettare. Aveva cominciato a chiedere, senza alcuna giustificazione, soldi ed altri regali con una faccia tosta che non ci saremmo aspettati da lui. Per queste ragioni, oltre che per lo sconforto che già avevo, associate al fatto che la nostra permanenza in 53
Perù stava esaurendosi, avevo deciso di troncare definitivamente con lui. Volevo provare, come ultima volta, con un altro sciamano, don Laurencio, che godeva fama di provocare esperienze con l'ayahuasca molto più profonde e decise (forse anche troppo, da quello che ho sentito in giro). "O la va, o la spacca!", come si dice quando si è decisi a tutto. I miei amici mi hanno a fatica persuaso a fare un ultimo tentativo con don Pedro. Ho accettato con tantissime riserve e senza alcun interesse. Quella che segue è la relazione di questa seduta che ho scritto al mio risveglio il mattino seguente. Resoconto Pucallpa, 25 ottobre 1994. Alle ore 20,30, Antonio, Fabio ed io abbiamo raggiunto l'abitazione di don Pedro alla estrema periferia di Yarinacocha, villaggio distante pochi chilometri da Pucallpa. Ci sono, nella veste di curanderos, anche don Emanuel, sciamano probabilmente Muraya (il massimo grado della gerarchia sciamanica), un altro sciamano parente di don Pedro, più un apprendista sciamano. C'è anche una nutrita schiera di pazienti (dalle 20 alle 30 persone) tra indigeni e meticci venuti a farsi diagnosticare i propri malanni e sfortune e a farsi prescrivere la relativa terapia: il tutto viene comunicato agli sciamani dagli spiriti che si rivelano attraverso l'ingestione dell'ayahuasca. 54
Sono infine presenti alcuni bambini ammalati, in genere molto piccoli e per lo più dormienti tra le braccia dei genitori. Don Pedro è già seduto al suo solito posto al centro di uno dei lati maggiori della capanna ed ha accanto a sé gli altri sciamani. Tutti gli altri sono stipati nel rimanente spazio sotto la capanna, ed anche fuori. Questa ha forma rettangolare, di circa 8 metri per 4, ed è formata da un tetto di foglie di palma sostenuto da pali di legno. Non ci sono pareti laterali. E' posta accanto alla abitazione di don Pedro, in uno spiazzo circondato da orti. La gente sta sdraiata o seduta per terra, gomito a gomito. Pian piano i convenuti abbassano il tono della voce e le varie conversazioni si attenuano. Sono circa le ore 21 quando don Pedro inizia il canto (icaro) che serve a richiamare lo spirito della "pianta-madre" dell'ayahuasca. Ad un certo punto mi chiama e mi ordina di soffiare alcune volte all' interno di un bicchiere pieno a metà di ayahuasca e di bere un sorso ma, se volevo, aggiunge, potevo berne di più. Procedura insolita, riservata solo a me ed a Fabio. Bevo a fatica l'intero contenuto dal sapore orrendo ed amarissimo. Dopo di me chiama a bere, uno alla volta, Fabio, Antonio, gli altri sciamani e due o tre pazienti accompagnando la mescita con icari identici. Per ultimo beve lui stesso. La luce viene poi spenta e ciascuno raccoglie in un silenzio interiore i propri pensieri e le proprie 55
speranze: di guarire, di risolvere i più svariati problemi esistenziali, di avere visioni illuminanti, o si pone in semplice attesa che qualcosa di indefinito succeda. Dopo 20-30 minuti, mentre sono sdraiato per terra e con gli occhi chiusi, sento una pressione alla tempia destra oltre ad un senso di freddo che mi sale dai piedi. Queste sensazioni, che anche nelle precedenti sedute hanno preceduto il comparire degli effetti dell'ayahuasca, sono di lì a poco seguite da numerose visioni geometriche, vorticose, intense, sotto forma di onde di tantissimi colori che si sovrappongono o si succedono l'una all'altra come in un caleidoscopio. Mi accorgo che l'intensità delle visioni è accresciuta dagli icari che gli sciamani cantano contemporaneamente e ciascuno per proprio conto. In questa fase questi canti servono a favorire la discesa dello spirito della pianta sul paziente che ciascun sciamano ha fatto sedere davanti a sé. Le visioni arrivano ad ondate e nei momenti di maggiore intensità mi trascinano in uno stato di semincoscienza. Di lì a poco perdo quasi ogni contatto con la realtà circostante e con la cognizione del tempo. Mi sembra di essere al centro di un vortice di onde e di colori che mi trascina vertiginosamente in mille direzioni. Cerco di controllare un fastidioso stimolo a vomitare. Mi si alternano, facendomi soffrire molto, un senso di grande calore e un senso di freddo intenso, per 56
cui mi scopro e mi ricopro in continuazione con il sacco a pelo su cui sono sdraiato. Percepisco dapprima vagamente, in seguito con maggiore e crescente intensità (o intuisco), la presenza di una guida che identifico con, o intuisco essere, don Pedro. Se esprimo un desiderio o un’intenzione, essi falliscono quasi subito. Infatti mi accorgo di essere sempre più, man mano che il tempo passa, in balia della guida che fa di me quello che vuole e mi trascina lentamente da qualche parte o verso qualche esperienza sconosciuta infischiandosene dei miei desideri e timori. Ho paura e cerco di oppormi a farmi trascinare chissà dove, non sono sicuro che finirò bene. Il mio smarrimento e la mia paura ad un certo punto si trasformano in panico vero e proprio, specialmente quando mi sento solo. Infatti, le persone accanto a me sembrano statue morte, incapaci di portarmi aiuto. La percezione della presenza della guida è sempre e solo una impressione, a volte vaga e che talora perdo quando cerco di non abbandonarmi completamente per timore che dietro ad essa non ci sia veramente don Pedro, ma qualche cos’altro che vuole la mia rovina. Se apro gli occhi per prendere maggiore contatto con la realtà normale, vedo solo forme indefinite e scure sovrastate dalle solite visioni colorate in veloce movimento. Il mio senso di solitudine e di paura aumenta in modo vertiginoso e per un po' mi dà sollievo trovare 57
e stringere una funicella del mio zaino che era nei pressi, a portata di mano. E’ l’ultimo punto di contatto con la realtà normale. Ma subito dopo vengo trascinato via e mi perdo di nuovo. Ho momenti di maggiore lucidità alternati a momenti di quasi o totale perdita della normale coscienza. Nei momenti lucidi intuisco che gli icari servono a dirigere la forza della pianta, o quella dello sciamano, dentro di me. La potenziano anche. Ad un punto indefinito di questa situazione intuisco che presto vomiterò. Perciò mi alzo e, barcollando, esco dalla capanna; finisco anche con il piede nudo in un piccolo fosso melmoso. Sento una forza che mi dirige (o trascina) in certe direzioni ed io mi lascio guidare. Non vedo distintamente le cose che mi circondano, però mi sembra di intravedere un albero e intuisco che è proprio lì che debbo vomitare. Mi avvicino e cerco di toccarlo non sicuro che ci sia realmente. Lo sento, mi appoggio con una mano e vomito. Finito questo, mi guardo attorno e sento gli icari provenire da una direzione abbastanza definita. Ma non vedo la capanna. Mi giro verso tutte le direzioni e vedo sempre lo stesso quadro indistinto e scuro. Rimango appoggiato per un po' all'albero (non so quanto).
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Le visioni mi tornano, ho paura, non so dove andare e se sono in grado di muovermi, vorrei aiuto, non so che fare. Sento qualcosa che mi spinge a sedermi per terra. Dopo non so quanto tempo mi sdraio completamente. Ho una paura tremenda di non potere più uscire da quella condizione, di perdermi e di non potere prendere l'aereo per tornare in Italia. Arrivo al punto in cui credo di stare per morire. Infatti le mie forze sono allo stremo e si rivelano impotenti a fronteggiare una situazione così devastante e tragica. La morte, ad un certo punto e all'improvviso, non mi fa più paura, mi sembra una cosa del tutto normale e accetto tranquillamente l'eventualità di morire in quello stesso momento. La vedo accanto a me, posso quasi toccarla tanto la percepisco reale. E non mi sembra così brutta, anzi, nella sua indifferenza di ghiaccio mostra di avere un suo fascino ed una sua logica in rapporto a quel mio momento particolare. Non oppongo resistenza, sono pronto a seguirla. Traggo un insperato sollievo quando Sonia, la nuora di don Pedro ed ella stessa apprendista sciamana, inviata da don Pedro giunge in mio soccorso, mi parla e mi chiede come sto. Rimane in ginocchio accanto a me per non so quanto tempo. Le visioni ed il mio smarrimento a tratti sembrano toccare il limite massimo ma, aprendo gli occhi e vedendo ancora Sonia, mi rincuoro. 59
Per un paio di volte la vedo trasfigurarsi contro lo sfondo scuro della notte in un vecchio sciamano vestito di pelli. Ha il viso incartapecorito e coperto di fango o di cenere ed i capelli sono lunghi ed arruffati. Forse guarda nella mia direzione, ma con distacco e indifferenza. Sembra in meditazione. Arriva anche don Pedro che mi soffia l'Agua Florida (un profumo rituale) sul capo e sulle mani giunte. Sonia mi porge un fiore secco invitandomi ad odorarlo. Ha un profumo molto intenso che mi dà energia. Con il fiore in mano e con l'aiuto di Sonia, barcollando ed inciampando più volte, raggiungo il mio posto nella capanna. Guardo verso don Pedro e vedo tanti don Pedro quante sono le persone presenti alla seduta. In seguito le riconosco una ad una e sento che sono presenze amiche e che anche nel loro silenzio ed immobilità emanano solidarietà per la mia difficile situazione. In questi momenti in particolare sento che l'icaro che sto ascoltando è quanto di più appropriato ci sia a sostenere ed a sviluppare la trasformazione che sento avvenire dentro di me. Mi sembra anche che dietro a tutta questa mia esperienza ci sia sempre don Pedro. La mia coscienza appare ancora abbastanza vigile, anche se talvolta la sento come sospesa a mezz'aria. Ho una gran sete. C'è una borraccia con dell'acqua sul tavolo accanto a me, quasi a portata di mano. 60
Capisco che non riuscirei a prenderla e lascio perdere. Sento che negli icari, tra loro sovrapposti e indirizzati ai pazienti, c'è una componente rivolta a me. Essa mi sembra ricca di insegnamenti e comprendo che mi proviene in un qualche modo da don Pedro. Le visioni sono più controllate, mi sento leggermente meglio, sono più tranquillo e mi abbandono con crescente fiducia alla guida interiore che identifico con quasi assoluta certezza con don Pedro. Le visioni e gli icari mi stanno ora insegnando qualcosa, in modo chiaro, tranquillo. E lo fanno in modo ripetuto, tornando come ad ondate a ripropormi gli stessi tipi di insegnamento. Per prima cosa mi viene insegnato (non chiedetemi come - comunque intuisco, capisco, talvolta mi sembra di vedere) ad eliminare ogni desiderio e volizione. Ogni volta che esprimo un desiderio o l'intenzione di fare o pensare a qualcosa, intuitivamente mi viene fatto notare che il pensiero appena formulato contiene il verbo volere o un altro verbo similare ed io subito cerco di cancellarlo. Mi riesce abbastanza bene, probabilmente perché sono aiutato. Poi mi viene insegnato a concentrarmi e a pormi in una condizione di meditazione. Ma qui i miei ricordi sono vaghi. Segue un'altra fase in cui si cerca di farmi cancellare il senso dell'io. Anche in questo caso, quando formulo dei pensieri personalizzati, vale a dire dei pensieri il cui soggetto 61
sono io o è in qualche misura legato a me, mi viene fatta notare la cosa ed io cerco di rimediare o eliminando l'intero pensiero, o modificando quella parte di esso dove compare la mia presenza. Ad un certo punto capisco, o intuisco, che occorrerebbe far sparire ogni verbo dal linguaggio della mente per raggiungere uno stato di perfetta assenza dell'io che, a tratti, mi sembra di realizzare. Questi processi sono ripetuti più volte ed ogni volta provo meno sforzo e difficoltà ad apprendere quanto mi viene insegnato. Sono processi che sperimento visivamicarente sotto forma di cerchi concentrici che si fanno sempre più piccoli sino a ridursi ad un punto. Quando ho realizzato la cancellazione del mio io, mi sono visto, o ho visto qualche parte di me, non so bene, affondare e sparire in uno stagno di melma scura. C'era anche un caimano che, con la testa che emergeva dalla melma, assisteva indifferente alla scena. Gli icari e le visioni intanto cominciano a veicolare insegnamenti di tipo concettuale. Certe domande che nella giornata o nei giorni precedenti mi ero posto trovano, per intuizione interna, una risposta che si incastra esattamente con la rispettiva domanda. Percepisco per un attimo la risposta, oserei dire che la vedo, e la riconosco come corretta e logica. Subito dopo essa entra in un piccolo scrigno (tipo cofanetto per anelli) incastonato su una parete verticale. Lo scrigno all' improvviso si chiude e io non vedo e non ricordo più il suo contenuto. 62
A questo seguono insegnamenti su argomenti non legati a nessuna mia domanda precedente, ma che sono stati scelti direttamente dalla fonte che me li invia. Anche in questo caso mi rendo conto del loro elevato valore ma, dopo un attimo, spariscono anch'essi nello stesso modo di prima. L'unico insegnamento che mi ricordo è che l'ayahuasca serve anche per ridurre la distanza tra la nostra cultura occidentale e quella indigena al fine che anche noi possiamo cogliere appieno i frutti che gli sciamani ci possono dispensare. Forse serve anche agli stessi Shipibo che si sono allontanati dalle loro tradizioni. Ma probabilmente non si limita solo a questo. Intuisco che gli insegnamenti non sono perduti, ma sono entrati in qualche angolo della mia mente e mi guideranno nei momenti opportuni. Intuisco che in futuro non avrò, ai miei occhi e a quelli degli altri, più potere, sapienza ed altre capacità positive, ma che anche dopo questa esperienza sarò, tutto sommato, quello di prima, ma con un piccolo tesoro nascosto da qualche parte. Esso mi potrà essere utile o mi guiderà senza che io od altri se ne accorga. La cosa mi verrà confermata da Sonia una volta alla fine della seduta. Il mio stato è tale che mi accorgo di non percepire quasi per niente il mio corpo. Mi chiedo più volte se per caso mi sono vomitato addosso o se quello che mi sembra di sentire al tatto sulla mia camicia non sia invece fango. Sarebbe imbarazzante una situazione del genere davanti a tanta gente, ma subito dopo mi viene da 63
pensare e da dire che non me ne frega un… e ci rido sopra. La stessa cosa si ripete con il sospetto di essermela fatta addosso. Dapprima grande imbarazzo ma poi, all’improvviso, qualcosa scatta in me e mi viene da pensare - forse lo dico anche - che non me ne frega assolutamente niente, la cosa mi fa ridere (anzi, rido di gusto) e mi lascia del tutto indifferente, se non soddisfatto. Tanto – penso - sono tra amici (tutti quelli presenti alla seduta, anche quelli che non conosco) che mi capiscono e comprendono il mio difficile momento. Alla fine della seduta tutte queste mie preoccupazioni, apparentemente così banali ed anche un po’ buffe, si sono rivelate infondate. Nulla del genere mi era successo. Tuttavia, ho intuito che anche questo ulteriore piccolo dramma personale faceva parte degli insegnamenti e del programma di ricostruzione del mio io sopra descritti. Durante questa fase finale delle mie allucinazioni, intuisco che tutto quanto è successo in questa mia vacanza così ricca di imprevisti, fatiche e delusioni, comprese la mia sfiducia e la mia irritazione per don Pedro arrivate quel giorno stesso al loro apice, facevano parte di un programma. In altre parole, sono stato ripetutamente messo alla prova prima di essere sottoposto al rito finale di questo che in quel momento ho capito essere un vero e proprio processo di "INIZIAZIONE". Inoltre, mi sono reso conto che don Pedro ha voluto darmi una dimostrazione del fatto che lui non era da meno di don Laurencio (lo sciamano con cui volevo fare l'ultima seduta con l'ayahuasca) e che le stesse 64
cose che si attribuiscono a quest'ultimo, lui le poteva fare anche con maggior forza ed in modo più drammatico, come per volermi punire per la mia mancanza di fiducia. Quando credo di essermi ristabilito a sufficienza, accendo una sigaretta, esco dalla capanna, mi siedo accanto a Sonia che mi rivolge delle domande e mi confida, ma lo sapevo già dal giorno precedente, che era un’apprendista sciamana. Mi spiega anche che il fiore secco e profumato che mi aveva precedentemente dato era un fiore "sagrado" (sacro) avuto in dono da suo marito, sciamano anche lui. Vengo poi chiamato da don Pedro che mi canta un icaro e mi soffia per la seconda volta l'Agua Florida sul capo e sulle mani e mi dice che ora sono forte e posso uscire dalla dieta2. Dice anche che ora ho un arcana (una specie di scudo protettivo) contro i pericoli ed i mali del mondo e che posso andare tranquillo. Parlando con i miei amici ed alcuni altri fra i presenti, mi rendo conto che quella sera la seduta è stata molto forte per tutti coloro che hanno bevuto l'ayahuasca, sia in positivo che, ancor più, in negativo (in diversi hanno vomitato o hanno avuto violenti attacchi di diarrea o, ancora, hanno avuto visioni terrificanti). 2 La dieta è un tipo di regime alimentare e di comportamento richiesto a chi si accinge a fare sedute con l’ayahuasca. In particolare essa è richiesta agli aspiranti sciamani per i quali può durare da alcuni mesi ad un anno o più. Noi stessi dovevamo conformarci ad un regime alimentare piuttosto stretto evitando di mangiare e di bere una ampia varietà di cose. In particolare, il giorno in cui dovevamo bere l'ayahuasca, dovevamo digiunare. 65
Nessuno, però, tra quelli che si sono dichiarati più soddisfatti della loro personale esperienza, ha riferito d'avere avuto alcunché di simile a quello che ho sperimentato io. Alle cinque del mattino faccio ritorno al mio albergo in discrete condizioni di lucidità mentale e di forze. Tipologia delle visioni Le visioni che ho avuto hanno sempre evidenziato la presenza di alcune costanti. Non ho notato sostanziali differenze qualitative delle visioni tra uno sciamano e l' altro ed anche il loro contenuto, pur essendo variato all'interno di una stessa seduta, tendeva a ripetere certi temi e schemi fissi. L’andamento più tipico è così articolato: dopo 20-30 minuti dall' assunzione dell'ayahuasca, periodo durante il quale mi metto in uno stato rilassato e di attesa con gli occhi chiusi, le visioni sono costantemente precedute da alcuni segnali che anticipano di poco il loro arrivo. In particolare avverto una sensazione di freddo che mi parte dai piedi e si diffonde a tutto il corpo. All'improvviso il freddo sparisce per tornare di nuovo nel giro di pochi minuti. Questa sensazione è accompagnata da un senso di pressione alla tempia destra, come se qualcuno vi premesse sopra con un dito. Entrambe le sensazioni inizialmente vanno e vengono e, ad ogni loro ritorno, appaiono più intense delle volte precedenti. La pressione alla tempia può, in alcuni casi, estendersi a più ampie aree della testa. 66
E’ nel corso di questa fase che le visioni arrivano, in modo impetuoso ed improvviso. All'inizio si presentano ad ondate, rimangono un po’ per poi sparire. Nei casi in cui l'effetto dell'ayahuasca è particolarmente intenso, esse possono durare a lungo, anche alcune ore ed hanno come sfondo una rete a maglie piuttosto fini. La loro forza d'impatto e la loro intensità sembrano aumentate notevolmente dagli icari degli sciamani, come se questi fossero in grado di canalizzarle e focalizzarle all'interno della mente dei partecipanti. Di solito sono costituite da immagini geometriche dai mille colori che si trasformano in altre immagini simili ad una velocità vertiginosa. Non sono mai ferme ed è difficile descriverle adeguatamente perché di solito non hanno alcun riscontro con alcunché di reale e di definito (immagini caleidoscopiche). A volte si presentano come una miriade di luci colorate che si accendono e si spengono cambiando di colore. In questo caso mi ricordano quelle di un Luna Park, anzi mi sembra proprio di essere in un Luna Park. Altre volte sembrano animaletti o pupazzi tratti dai cartoni animati per i più piccini. Più spesso mi ricordano motivi decorativi geometrici degli Indiani del Nord e del Sud America, sempre senza una forma ed un significato precisi. Più raramente, insieme ad esse, ho la sensazione di immergermi nella giungla, sommerso dalla sua esuberante vegetazione. In almeno un paio di esperienze ho notato particolari enormemente ingranditi di oggetti 67
comuni (una spalliera di una sedia, una penna biro, parti del corpo di insetti, etc.). In questa nuova prospettiva mi sembrava di entrare in un mondo nuovo, ancora inesplorato, in cui i più minuti particolari si animavano ed acquisivano una ricchezza straordinaria di forme e di colori. Era come se mi fossi trasformato in un microbo così da poter vedere con nuovi occhi una realtà che a noi, esseri macroscopici, è preclusa. Era, in definitiva, come entrare in una nuova dimensione esistenziale. Talvolta i colori apparivano così evidenti da sembrare di possedere una consistenza solida. Ma queste descrizioni colgono solo parzialmente il modo di percepire le visioni. Il vedere era fuso al pensare anzi, ad un modo nuovo di pensare e di vivere le cose che mi comparivano d'innanzi. In definitiva, non erano solo immagini, ma molto di più. In una occasione in particolare (una delle prime volte con don Pedro ma, in misura molto minore, è successo anche con un altro sciamano), le visioni hanno lasciato il posto, o si sono accompagnate, a modificazioni della mia percezione sensoriale. C’è è stato un momento in cui ho sentito una parte di me sollevata di alcuni centimetri dal corpo. Mi sembrava che questa parte corrispondesse alla mia mente, almeno a quella che in qualche misura ragionava e percepiva queste sensazioni. Anche l'intensità delle mie percezioni tattili e dolorifiche oscillavano vistosamente. A tratti mi sentivo leggero o come adagiato su di un comodo materassino che non mi faceva sentire 68
eccessivamente le asperità del terreno su cui ero disteso. Altre volte il mio contatto con il terreno era doloroso, molto più del normale. Sentivo il mio corpo pesantissimo che si schiacciava, sotto il proprio peso, contro il suolo. Se poi tenevo una mano lievemente appoggiata sul collo, all'improvviso ne sentivo forte la pesantezza e quasi si sembrava di soffocare; se invece la mano era appoggiata sul petto, la percepivo pesantissima al punto di provare dolore e di non riuscire a respirare. In altri momenti, se avevo necessità di grattarmi, lo dovevo fare con grande forza, altrimenti non sentivo il contatto e la pressione delle dita. Anche la coperta che mi serviva a proteggermi dai momenti di freddo, talvolta la sentivo pesantissima sul mio corpo ed ero costretto a liberarmene. Mi sono reso conto che, come regola, non dovevo avere nulla che appoggiasse sulla parte del mio corpo al di sopra della cintola. Nella medesima occasione la mia attività mentale ha incontrato un grosso ed inaspettato ostacolo. Nel formulare un pensiero qualsiasi notavo un sensibile ritardo tra la decisione di pensare a qualche cosa e vedere quel qualche cosa che si concretizzava in pensiero. Normalmente i due processi sono pressoché contemporanei, ma in quell'occasione, tra il decidere di pensare a qualche cosa e pensarlo effettivamente, il tempo intercorrente si dilatava in modo innaturale. Questo inconsueto sfasamento mi disorientava e non mi permetteva di dar forma a pensieri anche non particolarmente complessi. 69
Il mio atteggiamento mentale ed emotivo nei confronti delle visioni è stato duplice, probabilmente perché rifletteva la minore o maggiore intensità dell’azione dell'ayahuasca. Spesso mi sentivo come un semplice spettatore che osservava, sempre ad occhi chiusi, le diverse visioni che si succedevano davanti allo schermo della sua mente. Erano percepite, pertanto, come qualcosa prodotto da qualche agente esterno e che non mi riguardavano direttamente. Il mio coinvolgimento emotivo era scarso o nullo, spesso perfino pieno di delusione e di noia per il fatto che non vi riconoscevo alcun significato ed importanza. Non ero quasi mai soddisfatto da questo tipo di visione. In altre circostanze, più rare, le cose erano completamente diverse. Ero come rapito, immerso o trascinato dalle visioni. La mia coscienza spesso veniva quasi annullata, mi sentivo un tutt’uno con le visioni, non più uno spettatore inerte ed indifferente. Non esisteva più nulla al di fuori del connubio fatto da me e dalle visioni, mentre il mondo esterno non esisteva più. La mia coscienza, o quel poco che rimaneva, era leggera e trasparente, impalpabile, a volte inconsistente e seguiva, adeguandosi perfettamente, l'andare e venire ciclico delle visioni. Talvolta, per intuizione (non trovo altra definizione migliore) capisco che le visioni sono in qualche modo l'espressione visiva di un lavoro minuzioso di forgiatura (più volte mi si presenta alla mente 70
questo termine quando cerco di decifrare il senso delle visioni). Forgiatura di qualcosa di interno (l’io?), come se avvenisse dentro di me un modellamento ed una correzione di una struttura che deve essere modificata o ricostruita secondo nuove regole. A volte le visioni quasi si fermano ed entrano in uno stato di intensa e finissima vibrazione accompagnate da una specie di sibilo molto acuto, leggero e penetrante. Capisco che in quei momenti la forgiatura diventa cesello. Sono momenti che percepisco essere molto importanti per la trasformazione profonda e sottile del mio io o di qualcosa di correlabile ad esso. Ogni volta ho percepito questi attimi come quelli rappresentativi della fase più profonda e pregnante dell’esperienza. Spesso, in questi momenti, la rete che costantemente fa da sfondo alle visioni, entra anch'essa in vibrazione, per poi avvicinarsi lentamente a me sino ad avvolgermi. Fabio mi ha detto che anche lui ha vissuto questa situazione ed ha aggiunto che se si riesce a saltare al di là della rete, si entra in un altro livello esperienziale molto più pregnante e ricco di contenuti. Del mio "rapporto" con don Pedro ho già trattato. Alcune volte ho intuito che nelle visioni, o nascosto dietro ad esse, ci fosse qualcosa di vivo ed intelligente, anche se indefinito, con una propria consistenza fisica, che era lì perché aveva un compito da svolgere che forse mi riguardava. 71
Conclusioni Questa è solo una breve relazione di un'esperienza assai complessa durata diverse ore e che, da una grossolana valutazione, credo di ricordare solo per il 20-30 per cento. Vorrei puntualizzare che l’intero processo si può compendiare in alcune significative fasi, di cui le principali sono: quella delle visioni; quella della solitudine; quella della paura che si tramuta in terrore panico; quella dell'incontro con la morte; e quella degli insegnamenti. Nel complesso, l’intero processo sembra corrispondere molto da vicino, se non coincidere, con un vero e completo processo di iniziazione. I significati ed i messaggi contenuti in queste varie fasi sono stati recepiti da me per intuizione (non saprei trovare un termine più adeguato), anche se spesso essi erano accompagnati o completati da una componente visiva molto intensa e vivace. Ho anche intuito, verso il termine della seduta, che tutto quanto era successo era stato voluto e condizionato dallo sciamano che aveva scelto il tempo ed i modi più opportuni per condurmi sino a quel punto, per poi istruirmi secondo un preciso programma. E tutto questo trovò una piena realizzazione proprio quando avevo deciso di abbandonare ogni cosa e tornarmene a casa. Questa esperienza, sia per i contenuti che per le modalità con cui si è svolta, è stata veramente impressionante e complessa e, a mio parere, ben al di là delle mie capacità creative ed immaginative. 72
Non ho mai assunto prima di allora droghe di alcun genere e ritengo di avere sempre dimostrato una condotta sufficientemente critica e razionale. Ora mi accorgo di avere un atteggiamento ambivalente verso il significato di questa mia esperienza. Da una parte sento ancora molto forte il convincimento che don Pedro sia stato la causa ed il regista di tutto. In altre parole, egli avrebbe agito su di me per via forse paranormale sottoponendomi a numerose e difficili prove preliminari prima di permettermi di affrontare la prova finale, quella dell'iniziazione. Infatti, una mia impressione raggiunta durante le fasi finali di quella seduta è stata che queste prove coincidessero con le numerose traversie e delusioni che hanno costantemente caratterizzato la mia permanenza in Perù sino a quel momento oltre, naturalmente, alle difficilissime situazioni che ho dovuto superare durante quell'ultima seduta. Si tratta di un' interpretazione coincidente con la visione sciamanica delle popolazioni amazzoniche e che fa risalire ogni trasformazione interiore a forze e ad entità esterne all'individuo che le vive. Naturalmente, all’interpretazione strettamente sciamanico-iniziatica che si può attribuire a questa mia esperienza, se ne può contrapporre un’altra molto più razionale. Ovvero, che io abbia soggettivamente raggiunto un livello molto profondo e nascosto della mia psiche. Infatti, è opinione largamente diffusa ed accettata che, entro le inesplorate profondità del subconscio, esista un’area di consapevolezza superiore che solo molto di rado raggiunge il livello conscio. 73
Grazie all'effetto dell'ayahuasca ed al particolare contesto rituale in cui mi trovavo, mi è stato possibile rimuovere gli ostacoli tra me e questa misteriosa dimensione e raggiungerne in modo molto selettivo e chiaro i contenuti. In questo caso don Pedro, da vero psicoterapeuta, con un opportuno rituale e tecniche appropriate, avrebbe favorito la mia discesa entro quella inesplorata realtà, senza essere però lui a determinarla concretamente. Solo da quella realtà interiore, e non da don Pedro o dallo spirito dell' ayahuasca, avrei ricevuto gli insegnamenti di cui ho riferito. Infine, ci può essere un'altra logica spiegazione dei fatti: che l’intero processo iniziatico sia derivato interamente da processi legati alla mia mente ed alla mia immaginazione. Una sorta di sogno allucinatorio con caratteri psicotici. La mia immaginazione, per un complesso processo inconscio favorito dalla droga, avrebbe prodotto allucinatoriamente questa iniziazione facendomela apparire come reale. Tutto questo in risposta a mie personali e molto particolari istanze ed aspettative più o meno consapevoli. Quest’ultima interpretazione è quella che sento a me più lontana, in quanto i sentimenti provati durante la seduta mi sembrano completamente estranei ad essa. Ma forse, come mi hanno consigliato alcuni amici, è del tutto inutile volere trovare un'interpretazione ad ogni costo. 74
L'importante, secondo loro, è avere vissuto di persona questa esperienza che è unica e probabilmente fondamentale per quel processo di recupero delle proprie potenzialità che il più delle volte è impossibile realizzare con le nostre sole forze. Ora, dopo diversi mesi da allora, sento di essere sempre lo stesso di prima e che nulla è cambiato in me in maniera evidente. O forse credo che sia così. Mi dispiace che le parole, che così faticosamente riesco a raccogliere per comporre questo racconto, non possano esprimere compiutamente ciò che ricordo di quella seduta. I miei ricordi dei particolari di questa esperienza non sono legati a parole, a discorsi o a fatti consueti facilmente descrivibili con i normali mezzi comunicativi. Essi, al contrario, sono fatti di pensieri che non si possono pensare, di immagini chiare ma fugaci, di sentimenti e di intuizioni mai provati prima. Bisognerebbe inventare un linguaggio nuovo per riferire in modo soddisfacente i contenuti delle esperienze di questo genere. Anche se mi è difficile comunicarlo, ora so, o credo di sapere, come l'ayahuasca opera e come può dispensarci i suoi insegnamenti. Anche se a volte mi viene da pensare di avere vissuto un fantastico sogno che con il tempo lentamente si scolora, un mio intimo sentimento mi suggerisce che, con quell’esperienza, mi è stata indicata una strada e che dipende solo da me se seguirla o meno. 75
Bibliografia Chi desiderasse maggiori informazioni riguardo l'ayahuasca ed il contesto sciamanico in cui viene impiegata, si consigliano le seguenti letture: - Andritzky, W.: (1989) Sociopsychotherapeutic functions of Ayahuasca healing in Amazonia. J.Psychoactive Drugs, 21(1), 77-89. - Bianchi, A.: I mistici del vegetale: Piante psicotrope e stati alterati di coscienza nella selva amazzonica. Quaderni di Parapsicologia, 25, 43-58, 1994. - Bianchi, A. : Gli allievi delle piante maestro. I Fogli di Oriss, n. 3, 81-96, 1995. - Cardenas, C.: Los Unaya y su mundo. CAAP-IIP, 1989. Lima. - Dobkin de Rios, M.: A modern-day shamanistic healer in the Peruvian Amazon: Pharmacopoeia and Trance. J. Psychoactive Drugs, 21, 91-99, 1989. - Harner, M.: La via dello sciamano. Ed. Mediterranee 1995. - McKenna, T.: Il nutrimento degli dei. URRA, Apogeo 1995. Significativi, per alcune strette somiglianze con la mia esperienza, sono i resoconti tratti dai seguenti articoli: - Samorini, G.: L' iniziazione alla religione Buiti. Metapsichica, Numero Unico, 19-25, 1994. - Slotkin, J.S.: La via del peyote. Luce e Ombra, Anno 60, N. 3, 161-168, 1960.
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LA "SLEEP PARALYSIS" E GLI ALIENI3 La "Sleep Paralysis" Il mondo che si cela dietro al sonno ed ai sogni è pieno di misteri ed alcuni misteri sono più inquietanti di altri. Con il progredire della ricerca e della speculazione scientifica molti di questi misteri sono stati risolti, mentre altri stanno in parte per esserlo. Ma tanto rimane ancora da fare e da scoprire. Nel variegato contesto del mondo onirico esistono particolari situazioni attorno alle quali sono nate tante leggende e storie tenebrose che hanno alimentato da sempre il folklore di tutti i popoli. Recentemente si è cercato di far luce su queste peculiari situazioni inquadrandole all'interno di un ben preciso disturbo del sonno. Mi riferisco a quell'entità che dal punto di vista medico è indicata come "sleep paralysis" (SP) o paralisi nel sonno. Esistono due tipi di "sleep paralysis": la SP comune (CSP) e quella con allucinazioni (HSP). La prima si presenta quando il dormiente si sveglia all'improvviso e si accorge che il proprio corpo è completamente paralizzato. Soltanto i suoi organi di senso e la sua coscienza sono in funzione, tutto il resto è penosamente bloccato. Questa condizione dura per un periodo compreso normalmente tra pochi secondi ed un minuto. 3
Quaderni di Parapsicologia, vol.XXVIII, N. 1, 1998. 77
Un sondaggio Gallup del 1992 ha concluso che quasi ogni persona adulta va incontro mediamente ad un episodio di CSP ogni due anni. La CSP non viene considerata una condizione patologica, ma soltanto una isolata e reversibile disfunzione fisiologica di lieve entità. Tuttavia si sta studiando se esiste un rapporto con una situazione molto più grave che è la sindrome della improvvisa morte notturna (inspiegabile). Il secondo tipo di "sleep paralysis" appare ancora più terrificante ed è chiamato paralisi nel sonno con allucinazioni (HSP), o anche paralisi nel sonno ipnagogico e ipnopompico. La definizione "ipnagogico" e "ipnopompico" è legata al fatto che la HSP sembra verificarsi di preferenza in quella fase di passaggio tra la veglia ed il sonno, che viene appunto indicata come fase ipnagogica del sonno, oppure nel momento che precede immediatamente il risveglio (fase ipnopompica). Queste fasi sono piene di strane e realistiche visioni che spesso incutono un profondo terrore in chi le subisce. Esse si possono presentare sotto forma di allucinazioni di tipo tattile, cinestesico, visuale, olfattivo o uditivo. La HSP è senz'altro molto più rara del primo tipo (CSP) e sembra si manifesti talvolta sotto forma di epidemie a ristretta diffusione geografica. Ad esempio, in un paese in cui non se ne è mai sentito parlare, all'improvviso accadono questi fatti con una certa ed inspiegabile frequenza. Si sta cercando di stabilire se la HSP abbia anche un carattere ereditario. 78
Ogni singolo episodio di HSP può persistere per un tempo più lungo rispetto al CSP (si parla sino a 10 minuti) e si presenta con particolari e caratteristiche che il più delle volte procurano un estremo terrore a chi ne è vittima. Terrore legato al fatto che il soggetto, in stato di piena coscienza, si trova nello stesso tempo paralizzato sul letto ed in preda a spaventose e a realistiche allucinazioni, in prevalenza di tipo visivo. Solo di rado le visioni mancano dell'aspetto inquietante e sottintendono invece presenze beatifiche e rassicuranti. La maggior parte delle volte, la persona che ne è involontaria vittima ha la precisa sensazione che nella stanza ci sia una presenza sconosciuta, spesso minacciosa. Altre volte ha l'apparizione di persone, demoni, mostri o spiriti che lo assalgono o cercano di ucciderlo. Oppure ne sente i passi che si avvicinano, ode la loro voce o il respiro, o percepisce degli odori. Può sentire distintamente folate di aria gelida. Il tutto accompagnato da intensa sudorazione, tachicardia, senso di freddo, panico. La respirazione è spesso difficile anche perché la persona sente in genere un peso che gli comprime il petto. L'essere della visione può assalire la persona immobilizzata sul letto comprimendole il petto ed impedendole di respirare o può persino cercare di strangolarla. Alcune volte si instaura un preciso rituale a sfondo sessuale. 79
In casi abbastanza rari lo stato allucinatorio si può accompagnare ad esperienze del tipo "Out of Body Experience" durante le quali, oltre all'uscita dal corpo, si ha la precisa sensazione di abbandonare la stanza in cui ci si trova e di compiere viaggi all'esterno. Abbastanza spesso il soggetto vede luci o nebulosità luminose che si muovono per la stanza. La scena allucinatoria, nella sua essenza, è sempre un misto di irrealtà e di realtà, nel senso che ciò che appare è inserito nell'ambiente nel quale la persona si trova effettivamente in quel momento. Tutto succede e viene percepito nello sfondo di una realtà oggettiva che entra a far parte della scena principale. Ed è appunto questa commistione di elementi allucinatori con elementi reali che rende queste incredibili esperienze così realistiche, anzi più vere della stessa realtà, come alcuni hanno riferito. L'idea di stare sognando o di assistere al manifestarsi di un processo allucinatorio in quel momento non sfiora minimamente le persone coinvolte. La combinazione di queste allucinazioni terrificanti con l'impossibilità di reagire o di invocare aiuto crea una miscela veramente esplosiva per chi si trova a vivere queste situazioni. Moderne indagini hanno stabilito che circa il 15% della popolazione adulta in tutto il mondo subisce queste esperienze almeno una volta nella vita, anche se in genere tutto viene dimenticato. Ad alcuni possono succedere più volte, anche a brevi intervalli. 80
E' stato notato che spesso la HSP si presenta a persone che in quel momento stavano dormendo in posizione supina. Sebbene la CSP e la HSP possono verificarsi a carico di persone fisicamente sane ed apparentemente prive di qualsiasi problema di carattere psicologico o sociale, è stato notato un significativo rapporto con situazioni di stress, di intossicazione alcolica o da droghe, di narcolessia (si tratta di un disturbo del sonno che porta ad addormentarsi in modo frequente, improvviso ed incontrollato), in soggetti che dormono fuori casa ed in luoghi insoliti. E' abbastanza frequente anche presso i divorziati ed i vedovi ( Baker, 1992). Panorama storico Da quanto sopra riportato, appare chiaro perché da sempre l'uomo ha popolato il mondo attorno a sé di demoni, fantasmi, vampiri, lupi mannari, mostri e folletti. E li ha sempre ritenuti reali, talvolta come abitanti di un mondo parallelo al nostro, altre volte come presenze invisibili infestanti certi luoghi particolari o che si manifestano solo in determinate circostanze. Si tratta di un fenomeno universale e la cultura di tutti i popoli è fortemente intessuta da queste strane e paurose presenze. Intere tradizioni, leggende e mitologie, sino a diverse fiabe dei bambini, sono nate su queste basi ed ancora oggi, persino nei paesi più progrediti culturalmente e industrializzati, tali esseri 81
continuano a tormentare e ad impaurire l'umanità, in alcuni casi con virulenza incredibile. Sembrano fare quasi parte del nostro codice genetico o essere i simboli di realtà archetipiche. Anche la religione cattolica ammette l'esistenza di demoni, di forze del male variamente concepite, che spesso tormentano gli uomini o entrano nel loro corpo mentre dormono. Ed allora l'unico rimedio è l'esorcismo. L'iconografia religiosa medievale, ed anche quella posteriore, è ricca di immagini di diavoletti neri con lunghe code lanceolate che, con i loro forconi, affliggono le notti delle loro vittime prescelte. Sembrano volerci dare un'anticipazione di quelle che saranno le future pene dell'inferno. Anche presso numerosi popoli primitivi si ritiene che gli spiriti maligni possono entrare nel corpo della gente durante il sonno e provocare malattie o devastanti fenomeni di possessione. Per quel che riguarda le interpretazioni che gli antichi o la gente di altri lontani paesi danno di questi strani fenomeni, il panorama appare assai vario. Accanto alla diffusissima credenza che prevede una realtà oggettiva per questi strani ospiti dei nostri sogni, si è cercato anche di dare spiegazioni diverse. Per gli antichi greci potevano essere il frutto di una semplice indigestione. Per i romani e gli egiziani si supponeva che fossero la conseguenza di un senso di colpa che ci si trascinava nel sonno. Nell' Europa medievale si colpevolizzavano senza alcun dubbio i demoni detti, rispettivamente, 82
incubus se di sesso maschile e succubus se di sesso femminile. Tra i popoli di etnia araba erano, e sono ancora, i gin, spiritelli del deserto, a produrre questi incubi notturni. Ancora in Europa, ma in un passato a noi abbastanza vicino, si faceva ricadere la colpa ai vampiri o ai cosiddetti lupi mannari. In Irlanda e in Scozia ci si rifaceva ad uno strano personaggio chiamato Old Hag o Old Hat, mentre in varie parti dell'Asia poteva essere una volpe o un gatto malefici oppure gli spiriti degli antenati. Nonostante questa diversità di interpretazione, quel che più colpisce è l'universalità di questo fenomeno e la sua presenza dagli albori della civiltà sino ad ora. Troviamo dei precisi riferimenti alla HSP in importanti autori classici: Orazio, Plutarco, Erodoto, Apuleio e Galeno. Su questi assalti notturni ci viene data anche una autorevole testimonianza da San Agostino e da San Tommaso d'Aquino che vedono in essi un inequivocabile intervento del demonio. Alcuni esempi dalla letteratura Vorrei presentare due esempi tratti dalla letteratura che credo coprano molti dei diversi aspetti con cui si presenta l'HSP. Sono entrambi brani dello stesso racconto, "La Horla", che Guy de Maupassant pubblicò nel 1887. Consideriamoli un buon punto di partenza per entrare nel cuore del problema. 83
L'interprete di La Horla così descrive la sua prima esperienza: "Sono ben sicuro di essere a letto e di dormire… lo sento e lo so… e sento anche che qualcuno si sta avvicinando a me, mi guarda, mi palpa, sale sul mio letto, mette le ginocchia sul mio petto e mi prende il collo tra le sue mani e le stringe, le stringe con tutta la sua forza per strangolarmi. Cerco disperatamente di liberarmi, ma sono incapace del più minimo movimento a causa di quel terrificante sentimento di impotenza che ci paralizza nei nostri sogni. Vorrei gridare ma non posso. Cerco con la forza della disperazione di respirare e faccio sforzi tremendi. Tento di girarmi su di un fianco per togliermi d'addosso quella creatura che mi sta schiacciando e soffocando, ma non posso. Poi, all'improvviso, mi risveglio ancora in preda al panico ed inzuppato di sudore. Accendo una candela. Sono solo".
Il secondo brano è forse ancora più impressionante. "Ieri sera ho sentito che qualcuno era accucciato sul mio corpo, con la sua bocca contro la mia, che succhiava la mia vita attraverso le mie labbra aperte. Sì, veramente sentivo che egli stava aspirando la mia vita attraverso la gola, proprio come quando una sanguisuga succhia il sangue".
Altri famosi scrittori ci hanno lasciato particolareggiate descrizioni di questi strani 84
fenomeni: Edgar Allan Poe, Ernest Hemingway, F. Scott Fitgerald, Stephen King, etc. Una versione moderna: la "Alien abduction" Dagli anni sessanta in poi si è accumulata, specialmente negli Stati Uniti, una vasta casistica riguardante persone che hanno creduto di essere state rapite da extraterrestri e condotte nelle loro astronavi ( "alien abduction") per subire interventi chirurgici, specialmente nella zona addominale e genitale, o per essere sottoposti a pratiche o a violenze sessuali. Sarebbero i cosiddetti incontri ravvicinati del quarto tipo. La maggioranza di queste persone ha dimenticato quanto era loro successo. In questo caso, l'intera vicenda avrebbe tuttavia lasciato uno strascico di ansia inspiegabile, di depressione, di fobie e di ricorrenti incubi notturni che li ha spinti a ricorrere ad uno psicoterapeuta. Una parte di queste persone si è rivolta a psichiatri i quali, mediante la regressione ipnotica, hanno fatto rivivere ai pazienti quella situazione traumatica che non ricordavano di avere subito. Ed i particolari, anche i più minuziosi e raccapriccianti della loro avventura, sono stati riportati alla coscienza. Questa modernissima versione del fenomeno sta trovando numerosi seguaci in tutto il mondo. Essi si sono organizzati attorno a sette o a personaggi carismatici che proclamano sconvolgenti "verità" ricevute dagli alieni stessi. 85
Nuove interpretazioni Sono stati proposti vari modelli interpretativi per spiegare questa complessa fenomenologia. L'uno non esclude gli altri, possono benissimo coesistere ed integrarsi reciprocamente. L'unico che sembra indipendente da tutti gli altri è il modello realistico. Modello realistico Può essere verosimile che le entità che si manifestano nel corso delle esperienze sopra descritte abbiano una qualche forma di realtà oggettiva. Ciò presuppone la possibilità che il nostro mondo sia popolato da esseri invisibili e che solo in determinate circostanze si possono a noi manifestare. In alternativa, potrebbero anche far parte di un'altra dimensione spazio-temporale che mantiene con il nostro mondo solo tenui e sporadici canali di comunicazione. In questo modello realistico occorre fare rientrare anche l'esistenza degli extraterrestri. Modello neurologico E' stato ripetutamente osservato che persone che soffrono di disturbi neurologici, come ad esempio alcune forme di epilessia e di schizofrenia, possono avere frequentemente quadri allucinatori i cui contenuti possono coincidere con quelli della HSP. Appare, comunque, evidente che questa interpretazione può essere adottata solo per un 86
numero limitato di casi, quei casi in cui sia presente una patologia a carico del sistema nervoso. Modello psicodinamico La psicoanalisi e la psicologia del profondo si sono interessate già da tempo a questi fenomeni ricavandone dei modelli interpretativi connessi a traumi del passato, a problematiche di carattere sessuale e a problemi esistenziali di vario genere non risolti. Pertanto, da questo particolare punto di vista, le apparizioni terrificanti non sarebbero altro che allucinazioni dotate di un significato legato alla psiche della persone che le subiscono e che deve essere studiato e rivelato. Infatti, secondo questo modello, l'apparizioneallucinazione non si manifesta in genere con caratteristiche chiare e dirette, ma è necessario scavare nella personalità e nei ricordi del paziente per trovare i giusti rapporti tra il suo mondo psichico e quell'esperienza. L'allucinazione, alla stessa stregua dei sogni, si traveste, si maschera, e va pertanto interpretata. Il suo linguaggio è il simbolo, la metafora e l'allusione. Anche C.G. Jung (1971) ravvisa in questi fenomeni un valore simbolico di un qualcosa che sta dietro ai simboli stessi. E questo qualcosa per Jung è l'archetipo. Aniela Jaffé (1987), una delle principali e più note collaboratrici di Jung, nel suo libro "Sogni, profezie e apparizioni" ci fornisce numerosi esempi e speculazioni a conforto delle intuizioni del suo maestro. 87
Per Nandor Fodor (1959): "…l' incubus, il demone amante delle streghe dei secoli bui, (che compare abbastanza spesso anche nelle esperienze di HSP nell'atto di assalire e di violentare sessualmente le sue vittime impotenti, nota dell'Autore) non è una creazione del Satanismo e un abominio davanti a Dio e agli uomini, ma è una tipica fantasia neurotica che può venire riconosciuta come tale da qualsiasi psicoanalista."
Modello psichedelico E' ormai assodato che il cervello umano è in grado di produrre infinitesime quantità di sostanze che si possono definire "allucinogeni endogeni" (Axelrod, 1961; Barker, 1981; Benington, 1965). Potrebbe accadere che la produzione di queste sostanze, in determinate circostanze, possa aumentare bruscamente facendoci fare un vero e proprio "trip" psichedelico. Chi assume volontariamente gli analoghi sintetici di queste sostanze spesso riferisce di avere fatto, in stato di trance, strani incontri con esseri incredibili: spiriti di defunti, mostri e folletti, demoni, animali mitologici, sino a veri e propri extraterrestri. Si può pertanto ipotizzare che nel sonno, a volte, il nostro tasso di allucinogeni endogeni subisca un brusco rialzo e questo fatto sia sufficiente per farci avere un incontro ravvicinato con una realtà che non sembra appartenere a questo mondo. Questo modello appare molto suggestivo e non esclude la possibilità di potersi combinare con il modello psico-fisiologico che sta per essere descritto. 88
Modello psico-fisiologico. Dal momento che la HSP consta di due componenti, la paralisi motoria ed il vissuto allucinatorio, vediamo di affrontare l'intero problema cercando di spiegare separatamente questi due diversi aspetti della HSP. Partiamo dalla semplice SP supponendo che insorga al momento del risveglio. E' stato verificato che durante la fase REM del sonno, quando appunto si sta sognando, il cervello produce una forte attività inibitoria nei confronti dei principali muscoli motori del dormiente (Dement, 1976). Normalmente questo stato di paralisi cessa con la fine del sogno, o subito prima, in modo che il dormiente possa svegliarsi con la piena padronanza del proprio corpo. Se per una qualsiasi ragione questa inibizione si prolunga oltre il periodo del sogno ed il soggetto si sveglia, egli si troverà nella infelice situazione di essere incapace di compiere il pur minimo movimento. Potrà guardare davanti a sé, sentire i rumori circostanti, avere una coscienza attiva e in grado di valutare la sua situazione, ma la sua voce non potrà essere emessa e non potrà in alcun modo esternare all'esterno i propri timori e la propria disperazione. I muscoli non rispondono, se ne è perso il controllo. Lo scopo dell'inibizione motoria indotta dal cervello sarebbe quella di impedire alla persona che sogna di accompagnare il vissuto onirico con i gesti del corpo. 89
Grazie a questo meccanismo di controllo il sogno si sviluppa come una pura attività mentale, mentre il corpo rimane in una situazione di calma e di immobilità, estraneo a quel che succede interiormente. Passiamo ora alla seconda parte del problema: la parte apparizionale. Secondo Robert A. Baker (1992), esiste una tenuissima linea di confine tra esperienze mentali apparentemente dissimili come i pensieri, le fantasie, i sogni e le allucinazioni; per diverse persone questi diversi tipi di esperienza possono mutare o evolvere facilmente l'uno nell'altro. Così un sogno, al risveglio, può trasformarsi in una allucinazione ipnopompica; oppure un pensiero che si ha prima di addormentarsi può diventare un sogno. Se mentre stiamo sognando ci svegliamo, i circuiti neurali e le aree del cervello che erano attivi nel sogno potrebbero mantenere il loro stato di attivazione ancora per un po'. Noi, essendo ormai svegli, crederemmo che determinati stimoli siano di provenienza esterna anziché originati dall'attività onirica. In altre parole, il sogno continuerebbe anche quando il soggetto è pressoché sveglio o si trova nella fase ipnopompica. In una siffatta situazione, gli stimoli provenienti dall'ambiente si mescolerebbero con gli stimoli o le immagini provenienti dal sogno organizzandosi il tutto in modo tale che il cervello crede di essere pienamente sveglio mentre vive contemporaneamente due diverse realtà: quella del sogno e quella della veglia. 90
La paralisi durante il sogno fornirebbe le caratteristiche fisiologiche della situazione, mentre il sogno, che ugualmente si è prolungato oltre il dovuto, fornirebbe la base del quadro allucinatorio. Infine, per Baker, svegliarsi in uno stato di SP può facilmente indurre una iperventilazione nel soggetto che può spiegare la difficoltà a respirare ed il senso di pressione al petto. L'iperventilazione, sempre secondo Baker, procurando al soggetto un brusco calo dell'apporto di ossigeno al cervello, provocherebbe una iperacusia (suoni del tutto normali o di bassa intensità vengono uditi ad un volume elevatissimo). Questa iperacusia trasformerebbe deboli segnali sonori come fruscii, cigolii, etc. presenti naturalmente nella stanza, in segnali sonori molto distinti che arricchirebbero il contenuto allucinatorio o ne favorirebbero l'insorgenza. Questi rumori amplificati, sempre secondo Baker, potrebbero essere il terreno fertile su cui si sviluppano le allucinazioni di tipo uditivo presenti in certi casi di HSP. Se, infine, l'apporto di ossigeno cala ulteriormente, verranno attivati i centri del piacere sessuale nel cervello, il che spiegherebbe la componente erotica che spesso accompagna tali esperienze. Simile modello interpretativo mi sembra possa spiegare esaurientemente anche un tipo di esperienza allucinatoria leggermente diversa e che appare una semplificazione del processo sopra illustrato. Si tratta di quelle esperienze, molto più frequenti, che sono del tutto simili alle precedenti, ma mancano della paralisi motoria. 91
Vediamo un esempio descritto da A.M.W. Stirling (1958), nel suo libro: "Ghosts Vivisected". Si tratta di una sua esperienza personale. "Mi svegliai con difficoltà da un sonno pesante e vidi molto distintamente, ai piedi del mio letto, una figura umana apparentemente solida ed a contorni netti. Mentre la stavo osservando, con il mio cervello ormai totalmente lucido, la figura si dissolse davanti a me! Conclusi che il mio cervello era stato parzialmente sveglio e che la figura non era altro che un residuo di un sogno. Le mie ore di sonno si erano sovrapposte a quelle di veglia".
Come si è visto, la persona vive l'esperienza in modo simile alla HSP, ma sembra avere conservato la possibilità di reagire e di muoversi. Come la Stirling ha sottolineato, queste allucinazioni sarebbero la continuazione da svegli di un sogno inquietante. Nel caso che le HSP si verifichino all'inizio del sonno, nella fase ipnagogica, è stato suggerito un meccanismo in parte differente. Ne sarebbero vittime delle persone che soffrono di un particolare disturbo del sonno chiamato narcolessia e che spesso appare associarsi alla HSP. Chi ne soffre cade, in qualsiasi momento della giornata, improvvisamente addormentato. Sempre Dement (1976) ha scoperto che i pazienti narcolettici, alcuni attimi prima di addormentarsi e contrariamente a quanto succede normalmente, 92
passano subito nella fase REM del sonno, quella in cui si sogna. Non sono ancora del tutto addormentati, ed hanno pertanto ancora un qualche rapporto col mondo esterno, eppure sognano. Come visto in precedenza, la fase onirica è caratterizzata da paralisi dei principali muscoli motori. Il contenuto dei loro sogni può facilmente riflettere i pensieri che essi avevano qualche istante prima, oppure potrebbero riflettere esperienze avute nel corso della giornata. Ed è su questa base che probabilmente si sviluppa la HSP. I loro sogni si inserirebbero in una coscienza ancora in buona parte desta e che sarà pertanto incapace di riconoscerli come veri sogni. Appariranno più verosimilmente come fatti reali e se il loro contenuto è drammatico, crederanno di trovarsi davanti a vere scene drammatiche. Nello stesso tempo, non avranno la possibilità di reagire essendo paralizzati. Ricordiamo che la narcolessia non è una malattia particolarmente rara. Per quanto riguarda, infine, la "alien abduction" vorrei fare queste considerazioni che anche altri hanno proposto. Diversi studiosi hanno manifestato il forte sospetto che quegli psichiatri che già credevano nella realtà della "alien abduction", abbiano in una certa misura influenzato i loro clienti dando un tono fantascientifico ai ricordi evocati con la regressione ipnotica. 93
Infatti, un soggetto in ipnosi è quanto di più influenzabile possa esistere. Inoltre, se i pazienti hanno sperimentato una HSP, le strane presenze apparse loro allucinatoriamente sarebbero state trasformate in extraterrestri dalle suggestioni più o meno esplicite dei loro terapeuti. Dall'analisi dei fatti, sembra proprio che buona parte dei casi possa rientrare in questa interpretazione. In alternativa, sarebbero stati gli stessi pazienti a dare questi connotati alle loro allucinazioni perché influenzati da film, da libri, riviste e da programmi e dibattiti televisivi su questo tema che sempre più massicciamente vengono presentati al pubblico americano. Mentre all'inizio di questo fenomeno gli alieni venivano descritti dai "rapiti" in modo piuttosto vario, dopo l'uscita del film "Incontri ravvicinati del terzo tipo" gli alieni hanno bruscamente mutato il loro aspetto assumendo le stesse forme degli extraterrestri presenti nel film. Secondo un sondaggio molto discusso e discutibile essendo di parte, nei soli Stati Uniti si è stimato che ci siano quasi 4 milioni di persone che hanno una grossa probabilità di essere stati rapiti dagli alieni. E c'è da aspettarsi che entro breve tempo questa "alien abduction syndrome" dilagherà anche in Italia. Sembra proprio che ci sia un adeguamento ai tempi moderni. Come in passato molti credevano negli spettri, nei demoni, etc, ora ci si conforma a quelli che paiono essere i mostri della nostra era supertecnologica. 94
Sepolti i satanassi ed i vampiri di antica memoria, chi altri, se non gli alieni, potrebbe candidarsi a terrorizzare le nostre notti materializzando le nostre fantasie secondo le suggestioni dei tempi attuali? Conclusioni Giunti a questo punto, credo che non ci sia molto da aggiungere o da concludere. Il problema di questa strana e spesso terrificante fenomenologia appare ancora ampiamente aperto anche se, da vari settori della ricerca scientifica, ci sono già precisi e abbastanza convincenti modelli interpretativi. Personalmente non mi sento di dare alcun credito all'ipotesi che le entità di cui si è parlato abbiano una realtà oggettiva, sia che facciano parte di questo mondo, sia che provengano da altre dimensioni o da altri pianeti dispersi nello spazio siderale. Nei testi sacri della parapsicologia, il fenomeno delle apparizioni è considerato essere assai complesso, anche per le diverse tipologie e situazioni con cui esso si manifesta. Ci sono vari tipi di apparizione e ciascun tipo ha in comune con gli altri sia delle strette somiglianze, sia delle marcate differenze. Questo modo non unitario con cui le apparizioni si presentano fa pensare che molto difficilmente sarà trovata per esse un' unica teoria. Quello su cui tutti sembrano concordi è il fatto che le apparizioni, il più delle volte, si manifestano nel corso di stati modificati di coscienza, il più 95
frequente dei quali è il sonno o il periodo di dormiveglia. Comunque, in situazioni di abbassamento del nostro stato di coscienza. Personalmente, rivolgo la mia preferenza verso il connubio tra il modello psichedelico e quello psicofisiologico. Ma, come detto prima, questa mia preferenza, se dovesse trovare delle sostanziali conferme, probabilmente potrà coprire solo una parte del problema, non tutto. Per finire, permettetemi di lasciarmi andare ad una profezia molto audace: credo che i tempi siano maturi perché gli spiriti di tutti i livelli e censi che presiedono alle sedute spiritiche possano presto essere sostituiti da nuove entità aliene provenienti da lontane galassie. Ma forse questo è già avvenuto, ma non ce ne siamo accorti. Bibliografia - Axelrod, T. (1961) Enzymatic formation of psychotomimetic metabolites from normally occurring compounds. Science, 134, 343. - Baker, R.A. (1992) Alien abduction or alien productions? Some not so unusual personal experiences (http://www.ufobbs.com/ufo). Barker, S.A., et al. (1981) N,NDimethyltryptamine: an endogenous hallucinogen. Int. Rev. Neurobiol., 22, 83-110. - Benington, F., et al. (1965) 5-Methoxy-N,NDimethyltryptamine, a possible endogenous psychotoxin. Ala. J. Med. Sci., 2, 397-403.
96
- Dement, W. (1976) Some must watch while some must sleep: Exploring the world of sleep. W.W. Norton & Co., Inc., New York. - Fodor, N. (1959) The Haunted Mind, pag. 201, Garrett Publications, New York. - Jaffé, A. (1987) Sogni, Profezie e Apparizioni. Ed. Mediterranee, Roma. - Jung, C.G. (1971) Inconscio, occultismo e magia. New Compton Italiana, Roma. - Stirling, A.M.W. (1958) Ghosts vivisected. The Citadel Press, New York.
97
Programma delle attività culturali del Centro Studi Parapsicologici di Bologna http://cspbo.altervista.org/b/ Sede: C/O Famiglia Cassoli Via Valeriani, 39 - 40134 Tel. e FAX: 051/614.31.04 E-mail:
[email protected] Anno sociale 2009-2010
Conferenze ad ingresso libero - 6 Marzo 2010, ore 16.30. "Parliamo di Parapsicologia ed altro..." con un intervento del Prof. Maurizio Deoriti su "La bussola spirituale". Seguiranno altri interventi e discussioni. Presso la Biblioteca Bozzano-De Boni, Via Marconi, 8 (Bo) - 17 Aprile 2010, ore 16,30. Il Dr. Massimo Biondi terrà una conferenza dal titolo: "Osservare i processi della mente: la nuova frontiera della parapsicologia". Presso la Biblioteca Bozzano-De Boni, Via Marconi, 8 (Bo) 98