Dzogchen Ponlop Rinpoche - Giocare d'Azzardo Con Il Signore Della Morte
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Giocare d’azzardo con il Signore della morte Dzogchen Ponlop Rinpoche Sebbene conosciamo i fatti concreti della vita e l'inevitabilità della morte, assai di rado affrontiamo apertamente questa realtà. Quando lo facciamo, il nostro istinto è di voltarci dall'altra parte. Sebbene non vogliamo confrontarci con la morte e con la paura che essa ci incute, scappare da questa scomoda verità non ci sarà di aiuto. Alla line la realtà ci raggiungerà. Se per tutta la vita abbiamo ignorato la morte, essa ci coglierà di sorpresa. Sul letto di morte non ci sarà tempo per imparare a gestire la situazione, né vi sarà tempo per sviluppare la saggezza e la compassione che possono guidarci abilmente attraverso il territorio della morte. Lì, dovremo affrontare come meglio possiamo qualsiasi cosa incontreremo: un vero gioco d'azzardo. Perché correre un rischio del genere? Abbiamo davanti a noi una scelta: prepararci ad affrontare il momento più spiacevole della nostra vita, oppure arrivare a quel momento impreparati. Se scegliamo di guardare la morte dritta in faccia, allora possiamo essere certi che trasformeremo quell’incontro in una profonda esperienza che arrecherà un incalcolabile beneficio al nostro cammino spirituale. Se scegliamo la negazione, allora, incontrando il Signore della morte, saremo come un giovane ingenuo che entra a tarda notte in una bisca con il portafoglio pieno di denaro. Quante probabilità avremo al mattino successivo di uscire da lì più ricchi e felici? Preparati o no, tutti incontreremo il Signore della morte. Chi è questo grande Signore e quale potere ha su di noi? Questa figura leggendaria che ispira tanta paura è semplicemente la personificazione dell’impermanenza e della legge di causa ed effetto, o karma. Nella letteratura buddhista, questo 'Signore' è invincibile, nessuno può batterlo al suo gioco, eccetto un vero detentore della conoscenza. È la saggezza che uccide l'assassino, che sbanca il tavolo da gioco e si porta via la vincita. Dai tempi antichi fino a oggi in molte culture si è sviluppata una letteratura, sia orale sia scritta, ricca di insegnamenti tradizionali sulla morte ed il morire. Molte tradizioni sapienziali del mondo hanno affrontato la questione di come si possa rendere l'esperienza del morire un momento significativo e potente, durante il quale entrare in contatto con la propria natura più profonda o più alta. Negli ultimi anni il tema della morte e del morire è divenuto un argomento appassionante e lo stesso termine 'morte' è oggi in voga. Ma sebbene alcune persone desiderino parlarne, nessuno vuole veramente affrontare la morte o trovarsi alla sua presenza. Come dice Woody Allen: "Non è che ho paura di morire; semplicemente non voglio
essere lì quando succederà". È un atteggiamento diffuso tra la gente del ventunesimo secolo. In realta cerchiamo di evitare del tutto la morte. Abbiamo timore di sentirne parlare o di vederla, figuriamoci poi di farne diretta esperienza, perché ne abbiamo creato un'immagine culturale negativa e paurosa. Crediamo che la morte sia la fine di tutto ciò che siamo, la perdita di tutto ciò che abbiamo di più caro. Ma la paura ci impedisce di conoscere la nostra storia, che fondamentalmente è una storia di rinnovamento e liberazione. Secondo gli insegnamenti buddhisti, la realtà è che la morte e la nascita accadono continuamente. Questa comprensione è presente anche negli insegnamenti cristiani, come in san Paolo, che dice:”Io muoio ogni giorno”. Il punto è imparare che il morire è parte del processo del vivere; accade in ogni momento, non solo alla fine della vita. Come possiamo imparare a riconoscere nella nostra vita questa sensazione di una morte che accade di momento in momento? Per trascendere le nozioni astratte sulla morte, dobbiamo guardare a fondo nella nostra mente e nel nostro cuore. Questo viaggio ci chiede di contemplare che cosa significa per noi la morte, dal punto di vista personale, non dal punto di vista medico o tecnico (come la cessazione del respiro o del battito cardiaco), né dal punto di vista delle nostre tradizioni religiose o culturali. Al contrario, dobbiamo chiederci: "Cosa significa la morte per me, da un punto di vista personale, in base alla mia esperienza di vita? Qual’è la mia sensazione più fondamentale, più viscerale, nei riguardi di ciò che è la morte?". È una domanda importante, perché il modo in cui definiamo la morte influenza largamente il modo in cui ne faremo noi stessi esperienza. Questa domanda diviene anche la nostra guida per morire bene. Secondo l'intuizione spirituale del buddhismo, per morire bene si deve vivere bene. Si può riuscire a morire bene solamente quando sappiamo vivere bene. Sarà forse perché non sappiamo vivere pienamente, o vivere bene, che abbiamo paura di morire? Per trasformare la paura della morte e superarla, dobbiamo entrare in contano con la morte piuttosto che negarla. Dobbiamo connetterci alla morte attraverso un'onesta riflessione. Dobbiamo contemplarne l'immagine con una mente calma e chiara, non semplicemente attraverso l'immagine della morte creata dai nostri pensieri sulla base della superstizione e del sentito dire. Dobbiamo invece vedere e sentire quello stato con nuda semplicità. Per incontrare la morte pienamente è necessario morire ogni giorno, ogni momento, a ogni cosa; morire ai nostri pensieri, al nostro dolore, alle nostre emozioni, alle nostre relazioni d’amore, anche alla nostra gioia. Non possiamo incontrare la morte se non moriamo ogni giorno!
Secondo la prospettiva buddhista, la morte non significa soltanto arrivare a una fine, significa anche arrivare a un inizio. La morte è un processo di cambiamento. La fine di per sé non è né positiva né negativa, è semplicemente la realtà. La morte faceva parte dell'accordo al momento in cui abbiamo accettato l'idea della nascita. Il nostro ingresso nel mondo prevedeva la clausola di lasciarlo. Dunque, sia se sospiriamo di sollievo al termine di un momento doloroso, o se desideriamo disperatamente che un istante simile a un film hollywoodiano possa durare per sempre, ogni momento giunge alla fine. Ogni storia si conclude, che sia o no a lieto fine. E quando un momento o una vita ha termine, non possiamo sollevare discussioni o cercare compromessi. Dobbiamo riconoscere questa realta per entrare in contatto con la morte nella vita di ogni giorno. In ultima analisi, ciò che chiamiamo “vita” è solo l’illusione della continuità, una successione di momenti, un flusso di pensieri, emozioni e ricordi che sentiamo di possedere. In conseguenza di ciò, anche noi prendiamo vita come i possessori di questa continuità. Ma, dopo averla investigata, scopriamo che essa è simile a un sogno, illusoria: non e una realtà costante e sostanziale, ma consiste in singoli momenti che sorgono, si dissolvono e sorgono di nuovo, come le onde del mare. Perciò anche questo “io” sorge e si dissolve in ogni momento, senza rimanere uguale da un momento al successivo. L’”io” di un momento si dissolve ed è ormai passato, e l’”io” del momento successivo sorge di nuovo Non si può dire che questi due “io” siano uguali o differenti, eppure la mente concettuale li identifica come un sé unico e durevole: “Si, questo sono io!”. In questo flusso possiamo chiaramente vedere il processo della morte: la dissoluzione di pensieri passeggeri, lo svanire di vivaci emozioni, il veloce alternarsi delle nostre percezioni, come un suono o un’impressione tattile, che sono lì e poi passano. Ma nello stesso istante in cui sperimentiamo la fine di un momento, sperimentiamo anche il processo della nascita: un mondo nuovo nasce non appena vi è la nascita di nuovi pensieri e vivide emozioni in risposta alle più diverse percezioni. Perciò la fine di un momento è anche un rinnovamento, poiché solo con la morte può nascere una cosa nuova. Terrorizzati dalla morte, non vediamo ciò che è evidente: quel che ha la forza di rinnovarsi è eterno, mentre quel che possiede una continuità non ha potere creativo. Senza il gioco di nascita e morte il mondo sarebbe stagnante, come la scena di un film d’arte indipendente ripresa con la macchina fissa. Il mondo così inquadrato è reso statico e privo di movimento, nulla cambia per molto, molto tempo. Senza il continuo gioco di morte e rinascita, la nostra vita sarebbe altrettanto statica e priva di senso, ma le conseguenze sarebbero dolorose: niente cambierebbe. Quanto è piacevole e meraviglioso al
confronto avere questi continui cambiamenti, essere benedetti dall’impermanenza!. Se fossimo immutabili, immuni dal cambiamento e dalla morte, sarebbe insensato cercare qualcosa oltre o fuori di noi: comunque lo definiamo (il reale, lo stato creativo, il mistero divino, la sfera del sacro, la grazia di dio) non potremmo mai trovarlo; troveremmo solo le nostre proiezioni mentali. Solo morendo ogni giorno possiamo essere davvero in contatto con la vita. Se pensiamo di poter trovare una significativa connessione tra vita e morte rimanendo ancora attaccati alla nostra credenza nella continuità dell’esistenza, viviamo in un mondo immaginario creato da noi. Quando cessa l’illusione della continuità, anche se per un istante, abbiamo la possibilità di gettare uno sguardo sulla realtà più profonda che ne è il fondamento. Questa è la vera e fondamentale natura della mente, inseparabile dalla mente e dalla realizzazione di Padmasambhava. È la consapevolezza primordiale, la saggezza luminosa, da cui tutti i fenomeni sorgono spontaneamente. Tale saggezza non è conoscibile in senso ordinario, poiché trascende ogni concetto, e per questo trascende anche il tempo. Viene chiamata "senza nascita e senza morte". Se riusciamo a entrare in contatto con quella esperienza, il passato e il futuro sono trascesi, e ci risvegliamo naturalmente a un mondo vasto e luminoso. Quando riconosciamo che in ogni fine vi è anche un rinnovamento, iniziamo a rilassarci. La nostra mente si apre al processo del cambiamento. Sentiamo di poter toccare davvero la realtà e non abbiamo paura della morte. Possiamo imparare a vivere bene e pienamente ora, con la comprensione che la morte non è qualcosa di separato dalla vita. Secondo la prospettiva buddhista possiamo fare una scelta: essere i registi della nostra storia di vita e morte qui e ora, oppure aspettare, chiudendo gli occhi di fronte al messaggio dell'impermanenza, finché la morte stessa non ci costringerà ad aprirli. Poiché preferiamo tutti un lieto fine, perché giocare d'azzardo con il Signore della morte?
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