Dispensa Impianti 1

February 19, 2019 | Author: Luca Ing Presello | Category: Temperature, Flux, Convection, Glasses, Drag (Physics)
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Appunti dalle lezioni di IMPIANTI TECNICI / TERMOTECNICI Onorio SARO e Marco MANZAN 25 gennaio 2010

1 Abstract INFORMAZIONI GENERALI: La presente dispensa, scritta per il corso di impianti tecnici / termotecnici, tratta i seguenti argomenti: Primo modulo: • Potenze disperse

• Impianti di riscaldamento • Fabbisogni di energia

• Verifiche termoigrometriche Secondo modulo: • Benessere termoigrometrico • Carichi termici estivi

• Impianti di raffrescamento estivi • Elementi di illuminotecnica

• Normativa sugli impianti elettrici di corredo.

TESTO CONSIGLIATO: Progettazione di impianti tecnici G. Moncada Lo Giudice - L. De Santoli Masson Editore Milano ALTRI TESTI:

Progettazione di impianti tecnici E. Bettanini - P. Brunello CLEUP Padova

RIVISTE: • La termotecnica • Condizionamento dell’aria. . . (CDA) • Heating, piping, air conditioning (HPAC) Siti di interesse termotecnico: • http://www.cti2000.it Comitato termotecnico italiano • http://www.ashrae.com American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers (associazione di ingegneri termotecnici statunitensi, conta soci in tutto il mondo) • http://www.aicarr.it Associazione italiana condizionamento dell’aria, riscaldamento, refrigerazione (collabora con l’ASHRAE) • http://www.rehva.com REHVA Federation of European Heating and Air Conditioning Associations

2 • http://www.caleffi.it Caleffi s.p.a. (idronica) • http://www.isover.it Saint-Gobain Isover Italia s.p.a. (materiali isolanti) • http://www.riello.it Riello s.p.a. (caldaie e altro) • http://www.rhoss.it Rhoss s.p.a. (climatizzazione) • http://www.irsap.it IRSAP s.p.a. (radiatori) • http://www.delonghi.it De’ Longhi S.p.A. (radiatori e altro) • —— altri Si sottolinea che a causa del carattere della pubblicazione numerosi possono essere gli errori e le imprecisioni nelle citazioni di Leggi e di Norme alle quali si rimanda per una lettura autentica. La simbologia adottata nella presente dispensa e´ quella utilizzata nelle pi`u recenti norme tecniche UNI ed EN anche se alcuni parametri sono calcolati con riferimento a norme precedenti che adottano spesso una simbologia diversa.

Capitolo 1 POTENZE DISPERSE 1.1 Premessa sul benessere termoigrometrico Gli impianti di riscaldamento e di condizionamento hanno lo scopo di mantenere un determinato microclima all’interno dell’edificio, con caratteristiche termoigrometriche ben definite. Le prestazioni delle persone che svolgono una attivit`a in modo continuativo, all’interno di un ambiente confinato moderato, come nel caso delle abitazioni e negli uffici, dove si fa riferimento al benessere delle persone, dipendono dalle condizioni termoigrometriche mantenute nell’ambiente. L’accettazione dell’ambiente e` massima quando le condizioni assumono particolari valori che dipendono dalla attivit`a svolta, dal vestiario e dalle condizioni soggettive1. L’attivit`a svolta dalle persone viene caratterizzata mediante la potenza termica prodotta detta potenza metabolica M che se e´ riferita all’unit`a di superficie corporea si esprime di solito mediante una unit`a di misura incoerente, il “met” che corrisponde alla potenza metabolica relativa ad una persona distesa a riposo: 1met = 50kCal/hm2 = 58, 2W/m2 Nella Tabella 1.1 sono riportati i valori di potenza metabolica per alcune attivit`a. Tabella 1.1: Potenze metaboliche corrispondenti ad alcune attivit`a Attivit`a Potenza metabolica (met) (W/m2 ) Disteso 0,8 46 Seduto rilassato 1,0 58 Attivit`a sedentaria (ufficio, casa, scuola, laboratorio) 1,2 70 Attivit`a leggera in piedi (compere, laboratorio, industria leggera) 1,6 93 Attivit`a media in piedi (commesso, lavori domestici, ecc.) 2,0 116 Camminare a 2 km/h 1,9 110 Camminare a 3 km/h 2,4 140 Camminare a 4 km/h 2,8 165 Camminare a 5 km/h 3,4 200

Un individuo standard (70 kg di massa e 1,70 m di altezza) ha una superficie corporea di 1,8 m , seduto produce dunque circa 100 W.2 La progettazione dell’ambiente termico interno dovrebbe 2

1 2

Se nell’ambiente si svolge una attivit`a lavorativa, in tali condizioni anche la produttivit`a diventa massima. La superficie corporea Ab pu`o essere calcolata con la legge di Du Bois per la quale si rimanda al Capitolo 5.

3

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

4

basarsi sulla EN ISO 7730, dove la qualit`a dell’ambiente termico e` espressa dal voto medio previsto PMV (predcted mean vote) e dalla percentuale prevista di insoddisfatti PPD (predicted percentage of disatisfied)3 . Il tipo di abbigliamento indossato dalle persone viene caratterizzato mediante l’indice di resistenza termica degli abiti che viene espresso di solito mediante una unit`a di misura incoerente: il “clo” che corrisponde alla resistenza termica di un abito maschile invernale; si ha 1 clo = 0,155 m2 K/W, mentre un abito maschile estivo ha un indice di resistenza termica di 0,5 clo. Gli scambi termici tra gli individui e l’ambiente avvengono prevalentemente per convezione con l’aria alla temperatura θa e per irraggiamento con le k superfici dell’ambiente alle temperature θk . Lo scambio termico per irraggiamento tra individuo e ambiente, e` espresso nel modo seguente: ! X X X  Fpk Tk4 Fpk − Ap εp σFpk Tp4 − Tk4 = Ap εp σ Tp4 Φr = siccome

k

k

k

k

P

Fpk = 1 per la definizione dei fattori di vista, si ha: Φr = Ap εp σ Tp4 −

X

Fpk Tk4

k

!

che viene sinteticamente espresso come: 4 Φr = Ap εp σ Tp4 − Tmr

dove Tmr =

sX 4



Fpk Tk4

k

e` la temperatura assoluta media radiante. Se, come succede negli ambienti moderati, le temperature delle superfici dell’ambiente non sono molto diverse tra loro4 la temperatura media radiante si pu`o assumere come temperatura media pesata delle temperature superficiali: P Ak θk θmr ≃ Pk k Ak

dove, ovviamente, θ mr = Tmr − 273, 15 e` espressa in ◦ C. Introducendo il coefficiente di scambio termico per irraggiamento 2 hr = εp σ(Tp + Tmr )(Tp2 + Tmr )

o se Tp e Tmr non sono molto diverse tra loro hr ≃ 4εp σTm3 con Tm =

Tp + Tmr 2

si pu`o scrivere: Φr = hr Ap (θp − θmr ) 3

Per i dettagli si rimanda al Capitolo 5. E sufficiente che |Tk − Tj | < 0, 2 min {Tk } (cio`e che la massima differenza tra le temperature superficiali sia inferiore al 20% della minima temperatura assoluta) affinch´e l’errore sia inferiore al 5%. 4´

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

5

mentre il flusso scambiato per convezione e` : Φc = hc Ap (θp − θa ) Globalmente il flusso scambiato da una persona pu`o essere espresso come segue: Φp = Φc + Φr = (hc + hr )Ap (θ p − θo ) dove θo e` la temperatura operante che e` una media pesata della temperatura dell’aria e della temperatura media radiante; cio`e θo = Bθa + (1 − B)θmr Per basse velocit`a dell’aria ambiente, come in assenza di impianti ad aria, va ≤ 0, 2 → B = 0, 5 ed in tal caso la temperatura operante θo e` la media aritmetica tra la temperatura dell’aria e la temperatura media radiante. La ”temperatura operante” e` cos`ı il parametro che caratterizza l’ambiente dal punto di vista termico per quanto riguarda le condizioni di benessere delle persone. Per una percentuale di insoddisfatti PPD< 10%5 le condizioni ottimali di temperatura operante al variare dell’abbigliamento e dell’attivit`a svolta sono rappresentate in Figura 1.1, per altre percentuali di insoddisfatti .

Figura 1.1: Andamenti della temperatura operante ottimale (isoterme di neutralit`a)in funzione dell’abbigliamento e dell’attivit`a, curve A; sono riportate le fasce ammissibili di variazione B in cui valgono gli scostamenti ammissibili (riportati negli ovali) della temperatura operante dell’ambiente rispetto a quella ottimale per mantenere la percentuale di insoddisfatti al di sotto del 10%. X e K rappresentano la resistenza termica degli abiti espressa rispettivamente in “clo” e in m2K/W; Y e Z rappresentano il metabolismo espresso rispettivamente in “met” e in W/m2 . La conoscenza degli scambi termici tra l’edificio e l’ambiente esterno e´ fondamentale per il calcolo delle potenze massime necessarie a garantire il benessere interno al variare delle condizioni climatiche e per il calcolo del fabbisogno di energia per la climatizzazione sia nella stagione invernale che 5

Dalle indagini statistiche si rileva che la percentuale di insoddisfatti non scende mai sotto il 5%.

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

6

in quella estiva. Un edificio scambia calore con l’esterno attraverso le strutture che costituiscono l’involucro e mediante i flussi d’aria dovuti a infiltrazioni e rinnovi controllati. Nel calcolo degli scambi attraverso le strutture si deve tener conto dell’effetto dell’irraggiamento solare entrante attraverso le strutture finestrate e nel calcolo dei flussi d’aria si deve tener conto dell’azione del vento.

1.2 Potenze massime disperse nel periodo invernale Gli impianti devono essere dimensionati in modo tale che la loro massima potenza permetta di far fronte alle condizioni pi`u gravose prevedibili in base alla conoscenza della storia climatica della localit`a in cui e` realizzato l’edificio ed in base all’utilizzo al quale e` destinato. Affinch´e si possa svolgere con continuit`a l’attivit`a desiderata all’interno di un edificio ci si prefigge di mantenere le condizioni termiche e igrometriche interne costanti mentre le condizioni esterne sono variabili nel tempo. In inverno, in particolare nei periodi pi´u rigidi quando le dispersioni sono massime, la temperatura interna viene mantenuta quasi costante mentre la temperatura esterna oscilla poco attorno a valori medi sensibilmente inferiori alla temperatura interna. Pertanto, per il calcolo delle potenze disperse massime e´ universalmente accettato un calcolo in regime stazionario. Per il calcolo della massima potenza di riscaldamento si considera la situazione pi´u gravosa per l’impianto e quindi assenza di irraggiamento solare e di apporti interni(condizioni di progetto). Per il dimensionamento dell’impianto di riscaldamento si procede al calcolo del carico termico per ogni singolo vano. Per un predimensionamento di massima dell’impianto, talvolta, si procede per un insieme di vani (al limite tutto l’edificio) come un singolo vano e poi si suddivide la potenza sui singoli vani. 6 Le dispersioni complessive di progetto dell’i−esimo vano riscaldato si calcolano con la seguente equazione, Φi = ΦT,i + ΦV,i (1.1) in cui ΦT,i sono le dispersioni di progetto per trasmissione e ΦV,i sono le dispersioni di progetto per ventilazione. La potenza dispersa per trasmissione attraverso l’involucro ΦT viene rappresentata come somma di diversi contributi a seconda delle caratteristiche e delle condizioni al contorno degli elementi che costituiscono l’involucro dell’edificio (pareti verso l’esterno, pareti verso ambienti non riscaldati, pareti e pavimenti a contatto col terreno, finestre). Per il singolo vano abbiamo: ΦT,i = (HT,ie + HT,iue + HT,ig + HT,ij ) (θint,i − θe )

(1.2)

dove: HT,ie coefficiente di dispersione termica per trasmissione dallo spazio riscaldato (i) verso l’esterno (e) attraverso l’involucro dell’edificio; HT,iue coefficiente di dispersione termica per trasmissione dallo spazio riscaldato (i) verso l’esterno (e) attraverso lo spazio non riscaldato (u); HT,ig coefficiente di dispersione termica per trasmissione verso il terreno, in condizioni di regime permanente, dallo spazio riscaldato (i) verso il terreno (g); 6

La Norma UNI EN 12831 IMPIANTI DI RISCALDAMENTO NEGLI EDIFICI METODO DI CALCOLO DEL CARICO TERMICO DI PROGETTO prevede il calcolo per singolo vano e solo successivamente il calcolo per l’intero edificio o unit`a immobiliare come somma degli scambi termici dei singoli vani al netto degli scambi interni tra vani riscaldati a temperature diverse.

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

7

HT,ij coefficiente di dispersione termica per trasmissione dallo spazio riscaldato (i) a uno spazio adiacente (j) riscaldato ad una temperatura significativamente diversa, per esempio uno spazio riscaldato adiacente all’interno della porzione entit`a di edificio o uno spazio riscaldato di una porzione entit`a di edificio adiacente; θint,i temperatura interna di progetto dello spazio riscaldato (i); θe

temperatura esterna di progetto.

I valori della temperatura esterna di progetto θe sono fissati dalla Legge (D.M.10/03/1977 e successive modifiche), in funzione della provincia e del comune di appartenenza dell’edificio; tali valori sono riportati in una tabella nell’allegato NA della Norma UNI EN 12831 e vanno corretti secondo modalit`a fissate nello stesso decreto e nella Norma UNI 10349 per tener conto della variazione della 1 ∆θ ≃ − 200 K/m, dell’esposizione ai venti che vale temperatura con la quota secondo un gradiente di ∆z -0,5÷ -1 K per edifici in piccoli agglomerati e −1 ÷ −2 K per edifici isolati; ulteriore correzione di −1 ÷ −2 K e` prevista per edifici pi`u alti di quelli adiacenti (solo per i piani sporgenti).

1.2.1 Dispersioni termiche direttamente verso l’esterno Il flusso termico disperso attraverso le pareti rivolte all’esterno viene tradizionalmente espresso come prodotto tra un coefficiente di scambio termico globale (trasmittanza o trasmittanza equivalente) U, un area caratteristica della parete, una differenza di temperatura ed un coefficiente di maggiorazione in funzione della esposizione della parete; a questo flusso termico si aggiunge quello dovuto ai ponti termici lineari. Pertanto il coefficiente di dispersione termica di progetto per trasmissione diretta verso l’esterno viene calcolato nel seguente modo: HT,ie =

p X

Aj Uj ej +

j=1

pt X

Ψk Lk ek

(1.3)

k=1

dove: p

numero di pareti rivolte verso l’esterno

Aj

area della j-esima parete

Uj

trasmittanza della j-esima parete 7

ej

coefficiente di esposizione della j-esima parete

ek

coefficiente di esposizione del k-esimo ponte termico

pt

numero di ponti termici rivolti verso l’esterno

Ψk

coefficiente di dispersione del k-esimo ponte termico (trasmittanza lineica) 8 ;

Lk

lunghezza del k-esimo ponte termico

Il primo termine della (1.3) rappresenta lo scambio termico tra l’ambiente interno e l’ambiente esterno, per unit`a di salto termico, nell’ipotesi di flusso termico monodimensionale e regime stazionario. La seconda sommatoria della (1.3) tiene conto delle disomogeneit`a presenti nelle pareti, e della NON monodimensionalit`a del flusso termico introducendo i ponti termici: percorsi preferenziali per 7

Per il calcolo delle trasmittanze fare riferimento alla Norma UNI EN 6946 Per il calcolo semplificato delle trasmittanze lineiche fare riferimento alla Norma UNI EN ISO 14683 mentre per il calcolo dettagliato mediante metodi numerici fare riferimento alla Norma UNI EN ISO 10211 8

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

8

il flusso termico. Il coefficiente ΨL viene detto anche trasmittanza lineica, e si misura in W/(m K). Per il calcolo dei ponti termici si rimanda al paragrafo 1.2.4. I coefficienti di esposizione ej ed ek per la norma europea EN 12831 sono pari all’unit`a mentre nella versione italiana UNI EN 12831:2006 in cui e` aggiunto un allegato nazionale NA sono maggiori dell’unit`a, come retaggio della vecchia normativa 9 .

N

1,20

1,15

1,20

1,15

1,10

1,05

1,10

1,00

Figura 1.2: Coefficienti di esposizione secondo la norma UNI EN 12831:2006 Allegato NA

1.2.2 Trasmittanza di una parete La trasmittanza o anche coefficiente di scambio termico globale per una parete piana risulta: 1

U= Rsi +

ns X j=1

n

sj X Rk + Rse + λj k=1

dove: Rsi Resistenza termica superficiale interna pari al reciproco di hi coefficiente di scambio superficiale (coefficiente o adduttanza liminare) interno; si

spessore dello strato generico [m]

λj

conduttivit`a termica dello strato [W/(m K)] , e` specificata nella norma UNI 10351, oppure certificato dal produttore del materiale assume valori compresi tra 3 e 0,03 W/(m K) per la pietra e per isolanti asciutti, rispettivamente.

Rk

resistenza termica per unit`a di superficie degli strati non omogenei [m2 K / W], e` specificata nella norma UNI 10355 per i diversi tipi di materiale da costruzione non omogeneo (es. strati di parete in laterizi e malta).

Rse Resistenza termica superficiale esterna pari al reciproco di he coefficiente di scambio superficiale (coefficiente o adduttanza liminare) esterno;

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

9

hi

he

Figura 1.3: Parete piana multistrato Nella tabella 1.2 sono riportati i valori della resistenza superficiale interna Rsi = h1i ed esterna Rse = h1e come fissati nella Norma UNI EN ISO 6946. I coefficienti superficiali sono la somma del coefficiente convettivo hc e del coefficiente radiativo hr . Quello interno dipende dalla direzione del flusso termico che influenza la componente dello scambio termico dovuta alla convezione naturale che in presenza di flusso termico discendente produce stratificazione e quindi coefficienti di scambio minori. D’altro canto, la componente convettiva sulle superfici esterne e` dovuta prevalentemente al vento e quindi corrisponde ad una convezione forzata che e` indipendente dalla direzione del flusso. Si pu`o definire la trasmittanza anche per pareti con strati non omogenei, non piane e anche a spessori variabili; per un calcolo dettagliato delle trasmittanze di elementi opachi si rimanda alla UNI EN 694610 . Tabella 1.2: Resistenze termiche superficiali (in m2 K/W) Direzione del flusso termico Ascendente Orizzontale Discendente Rsi 0,10 0,13 0,17 Rse 0,04 0,04 0,04

Nelle pareti sono abbastanza comuni le intercapedini d’aria che sono strati dal comportamento particolare per la presenza dell’irraggiamento tra le superfici affacciate, la conduzione termica nello strato d’aria e la componente convettiva che aumenta all’aumentare dello spessore. Nella tabella 1.3 ripresa dalla Norma UNI EN ISO 6946 sono riportati i valori della resistenza termica di intercapedini d’aria le cui superfici sono ad elevata emissivit´a. Si ricorda che, nelle ristrutturazioni di edifici esistenti con superficie utile non superiore a 1000 m2 i valori della trasmittanza degli elementi costituenti l’involucro sono limitati per legge; si faccia riferimento al al D.P.R. n.59/2009, art. 4 ed al Decreto Legislativo 311/2006 (modifica del D.l. 192/2005), in particolare all’Articolo 3 per individuare il caso in cui si ricade ed all’Allegato C per i valori di riferimento ai quali rimanda il gi`a citato D.P.R. 59/2009. Allo scopo di facilitare la scelta 9

Secondo l’allegato NA alla UNI EN 12831 i coefficienti per le diverse esposizioni prevedono aumenti delle dispersioni che ‘’tengono conto dell’insolazione normale, del diverso grado di umidit`a delle pareti, della diversa velocit`a e temperatura dei venti”. Valori limite: e = 1 per parete esposta a SUD, e = 1, 2 per parete esposta a NORD o a NORD-EST mentre non e` previsto nessun aumento delle dispersioni per le coperture che nella realt`a sono tra le pareti pi`u esposte, soprattutto a causa dell’elevato reirraggiamento verso la volta celeste nelle notti con cielo limpido. 10 Nel rispetto di questa Norma, nei calcoli bisogna utilizzare valori di trasmittanza e di resistenza termica con tre cifre significative ed i risultati vanno presentati con due cifre decimali in (W/m2 K) per le trasmittanze ed in (m2 K/W) per le resistenze termiche

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

10

Tabella 1.3: Resistenze termiche (in m2 K/W) di intercapedini d’aria non ventilate con superfici ad alta emissivit´a Spessore Direzione del flusso termico dell’intercapedine mm Ascendente Orizzontale Discendente 0 0,00 0,00 0,00 5 0,11 0,11 0,11 7 0,13 0,13 0,13 10 0,15 0,15 0,15 15 0,16 0,17 0,17 25 0,16 0,18 0,19 50 0,16 0,18 0,21 100 0,16 0,18 0,22 300 0,16 0,18 0,23

delle pareti, per i casi pi`u comuni, si riportano le tabelle di trasmittanze limite dell’Allegato C del D.L. 311/200611. Inoltre, per tutti gli edifici nelle zone climatiche C, D, E ed F, (nuovi o in ristrutturazione) non industriali, le trasmittanze delle strutture di separazione da altri edifici o altre unit`a abitative sono limitate per legge a 0,8 W/(m2 K). Il medesimo limite deve essere rispettato per le strutture opache (verticali, orizzontali o inclinate) che delimitano verso l’esterno gli ambienti non dotati di impianto di riscaldamento. Tabella 1.4: Valori limite della trasmittanza termica U in W/(m2 K) per le strutture opache rivolte all’esterno o verso vani non riscaldati, di ampliamenti inferiori al 20% e per la ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie utile non superiore a 1000 m2 Valori limite della trasmittanza termica U delle strutture opache verticali Zona climatica pareti verticali coperture pavimenti verso l’esterno orizzontali verso l’esterno o verso vani non riscaldati o inclinate o verso vani non riscaldati A 0,62 0,38 0,65 B 0,48 0,38 0,49 C 0,40 0,38 0,42 D 0,36 0,32 0,36 E 0,34 0,30 0,33 F 0,33 0,29 0,32

Per gli edifici pubblici i valori di trasmittanza limite sono diminuiti del 10% rispetto a quelli presenti in Tabella 1.4.

1.2.3 Calcolo delle dispersioni degli elementi finestrati Le dispersioni attraverso i componenti finestrati possono essere espresse in forma analoga alla (??) 11

Nelle tabelle i limiti sono riportati per Zona climatica. Per la definizione delle zone climatiche si rimanda al capitolo sul Fabbisogno di energia

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

11

Φw = Uw Aw ∆θ dove Uw rappresenta la trasmittanza dell’elemento ed Aw l’area lorda del foro che contiene l’elemento finestrato. Un metodo per il calcolo dettagliato della trasmittanza delle strutture finestrate e` presentato nella norma UNI EN ISO 10077, dove, nel caso di serramento semplice, la trasmittanza risulta essere una media pesata della trasmittanza del vetro, del telaio e del ponte termico tra di essi come segue: Uw =

Ag Ug + Af Uf + Ψlg Lg Ag + Af

dove: Ag

area netta della parte vetrata,

Ug

trasmittanza della parte vetrata,

Af

proiezione sul piano della finestra della superficie del telaio,

Uf

trasmittanza del telaio della finestra,

Ψlg trasmittanza lineica del ponte termico tra le lastre di vetro ed il telaio, Lg

lunghezza del ponte termico tra le lastre di vetro ed il telaio.

Nel calcolo della trasmittanza Ug della parte trasparente, in assenza di informazioni, si assume per il vetro una conduttivit`a termica λg = 1, 0 W/(m K). Nel caso di serramenti con pannelli opachi (di solito le porte) la trasmittanza si calcola, in modo analogo, come media pesata della parte trasparente, dei pannelli opachi e del telaio. Indicando con UD la trasmittanza di questi elementi, si ricava: UD =

Ag Ug + Ap Up + Af Uf + Ψlg Lg + Ψlp Lp Ag + Ap + Af

dove, in aggiunta alle definizioni precedenti: Ap

area netta dei pannelli opachi,

Up

trasmittanza dei pannelli opachi,

Ψlp trasmittanza lineica del ponte termico tra i pannelli opachi ed il telaio, Lp

lunghezza del ponte termico tra i pannelli opachi ed il telaio.

Nella Tabella 1.5 sono riportati i valori di trasmittanza della parte vetrata per finestre a doppio vetro, mentre nella Tabella 1.6 sono riportati i valori di trasmittanza della parte vetrata per finestre a triplo vetro. Le trasmittanze riportate nelle tabelle 1.5 e 1.6 sono state calcolate secondo la Norma EN 673 con riferimento ai dati di emissivit`a, spessori e concentrazioni di gas come indicato. Le intercapedini sono ermetiche e riempite con aria o gas senza vapore acqueo che altrimenti condenserebbe nelle giornate fredde. Si ricordi che l’emissivit`a e le concentrazioni di gas nelle intercapedini possono cambiare nel tempo, inoltre pu`o penetrare vapore acqueo. A tale riguardo esistono Norme europee che consentono di valutare l’effetto dell’invecchiamento sulle propriet`a termiche dei sistemi vetrati (PrEN 1279-1 ed EN 1279-3). Nella Figura 1.4 sono riportati gli andamenti delle trasmittanze di telai in legno al variare dello spessore del telaio.

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

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Tabella 1.5: Trasmittanza termica Ug in W/(m2 K) per sistemi a doppi vetri riempiti con gas diversi Sistema vetrato tipo vetro Uncoated glass (normal glass) One pane coated glass

One pane coated glass

One pane coated glass

One pane coated glass

emissivit`a in direzione normale

0,89

≤ 0,4

≤0,2

≤0,1

≤0,05

spessori (mm) 4-6-4 4-9-4 4-12-4 4-15-4 4-20-4 4-6-4 4-9-4 4-12-4 4-15-4 4-20-4 4-6-4 4-9-4 4-12-4 4-15-4 4-20-4 4-6-4 4-9-4 4-12-4 4-15-4 4-20-4 4-6-4 4-9-4 4-12-4 4-15-4 4-20-4

Tipo di gas nelle intercapedini Concentrazione del gas ≥ 90% Aria Argon Krypton SF6 3,3 3,0 2,9 2,7 2,7 2,9 2,6 2,4 2,2 2,2 2,7 2,3 1,9 1,8 1,8 2,6 2,1 1,8 1,6 1,6 2,5 2,0 1,7 1,5 1,5

3,0 2,8 2,7 2,6 2,6 2,6 2,3 2,1 2,0 2,0 2,3 2,0 1,7 1,6 1,7 2,2 1,7 1,5 1,4 1,4 2,1 1,6 1,3 1,2 1,2

2,8 2,6 2,6 2,6 2,6 2,2 2,0 2,0 2,0 2,0 1,9 1,6 1,5 1,6 1,6 1,7 1,3 1,3 1,3 1,3 1,5 1,3 1,1 1,1 1,2

3,0 3,1 3,1 3,1 3,1 2,6 2,7 2,7 2,7 2,7 2,3 2,4 2,4 2,5 2,5 2,1 2,2 2,3 2,3 2,3 2,0 2,1 2,2 2,2 2,2

Nella Tabella 1.7 sono riportati i valori da adottare per le trasmittanze lineari dei ponti termici, che si hanno nel caso di doppi o tripli vetri, in corrispondenza del collegamento sistema vetrato–telaio. Per disporre di valori di Trasmittanza termica di finestre per un utilizzo immediato si pu`o fare riferimento alla Tabella 1.8 per finestre a vetro singolo ed alla tabella 1.9 per finestre a doppi e tripli vetri. Si rimanda al testo della norma per i dati di dettaglio: trasmittanze della parte vetrata con lastre di spessori diversi, trasmittanze di telai metallici con e senza taglio termico e per casi pi`u complicati, come i doppi serramenti o i serramenti composti, che sullo stesso telaio presentano due ante, una apribile verso l’interno ed una verso l’esterno. Si ricorda che, come per le strutture opache, nelle ristrutturazioni di edifici esistenti con superficie utile non superiore a 1000 m2 i valori della trasmittanza delle strutture trasparenti, costituenti l’involucro sono limitati per legge; si faccia riferimento al al D.P.R. n.59/2009, art. 4 ed al Decreto Legislativo 311/2006 (modifica del D.l. 192/2005), in particolare all’Articolo 3 per individuare il caso in cui si ricade ed all’Allegato C per i valori di riferimento ai quali rimanda il gi`a citato D.P.R. 59/2009. Nella Tabella 1.10 sono riportati i valori limite della trasmittanza delle strutture trasparenti ed e` la copia della Tabella 4a dell’Allegato C al D.L. 311/2006.

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

13

Tabella 1.6: Trasmittanza termica Ug in W/(m2 K) per sistemi a tripli vetri riempiti con gas diversi Sistema vetrato tipo vetro Uncoated (normal) glass Two panes coated Two panes coated Two panes coated Two panes coated

emissivit`a in direzione normale 0,89

≤ 0,4 ≤0,2 ≤0,1 ≤0,05

spessori (mm) 4-6-4-6-4 4-9-4-9-4 4-12-4-12-4 4-6-4-6-4 4-9-4-9-4 4-12-4-12-4 4-6-4-6-4 4-9-4-9-4 4-12-4-12-4 4-6-4-6-4 4-9-4-9-4 4-12-4-12-4 4-6-4-6-4 4-9-4-9-4 4-12-4-12-4

Tipo di gas nelle intercapedini Concentrazione del gas ≥ 90% Aria Argon Krypton SF6 2,3 2,0 1,9 2,0 1,7 1,5 1,8 1,4 1,2 1,7 1,3 1,1 1,6 1,2 1,0

2,1 1,9 1,8 1,7 1,5 1,3 1,5 1,2 1,0 1,3 1,0 0,9 1,3 0,9 0,8

1,8 1,7 1,6 1,4 1,2 1,1 1,1 0,9 0,8 1,0 0,8 0,6 0,9 0,7 0,5

2,0 2,0 2,0 1,6 1,6 1,6 1,3 1,3 1,4 1,2 1,2 1,2 1,1 1,1 1,1

Tabella 1.7: Trasmittanza termica lineare Ψg in W/(m K) per distanziatori tra le lastre con prestazioni termiche migliorate Tipo di sistema vetrato Tipo di telaio Doppio o triplo Doppio o triplo vetro uncoated vetro bassoemissivo con aria o gas una lastra trattata per i doppi vetri due lastre trattate per i tripli vetri con aria o gas in legno o PVC 0,05 0,06 metallico con taglio termico 0,06 0,08 metallico senza taglio termico 0,01 0,04

1.2.4 Calcolo dei ponti termici L’approssimazione di flusso termico monodimensionale e` accettabile per la zona centrale di pareti piane, costituite da strati piani e omogenei, caratterizzate da un rapporto tra spessore ed altre dimensioni minore di 1/10. In prossimit`a dei bordi, ad esempio all’unione tra due pareti ad angolo ecc., o in presenza di disomogeneit`a degli strati, il flusso termico e` distorto, risultando NON monodimensionale. Come esempio importante di disomogeneit`a degli strati si consideri la presenza di un pilastro in c.a. intermedio. In corrispondenza del pilastro la conduttanza termica e` maggiore, con conseguente aumento del flusso termico nella zona del pilastro. In queste ed altre situazioni il flusso termico e` maggiore rispetto a quello calcolato con l’ipotesi di strati omogenei e di flussi monodimensionali, si e` in presenza di vie preferenziali per lo scambio termico chiamate ponti termici. Per quanto riguarda le potenze disperse, i ponti termici che rivestono maggiore importanza hanno solitamente uno svi-

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

14

Figura 1.4: Trasmittanza Uf di telai in legno ed in legno con protezione metallica in funzione dello spessore del telaio valutato in direzione perpendicolare al piano della finestra, per legno di tipo pesante e leggero (da ISO/DIS 10077-1). Tabella 1.8: Trasmittanza termica Uw in W/(m2 K) per finestre a vetro singolo con una percentuale di area frontale di telaio del 20% al variare della trasmittanza del telaio Ug Uf 2 W/(m K) W/(m2 K) con 20% di area di telaio 0,8 1,0 1,2 1,4 1,6 1,8 2,0 2,2 2,6 3,0 3,4 3,8 7,0 5,7 4,7 4,8 4,8 4,8 4,9 4,9 5,0 5,0 5,1 5,2 5,2 5,3 6,0

luppo lineare12 . Le dispersioni attraverso i ponti termici vengono calcolate mediante un coefficiente che tiene conto delle disomogeneit`a presenti nelle pareti, e della NON monodimensionalit`a del flusso termico attraverso di esse. Il coefficiente di ponte termico Ψl viene detto anche trasmittanza lineica, e si misura in W/(m K). Nella norma UNI EN ISO 14683:2001 sono presentati valori di Ψl precalcolati per le strutture pi`u comuni13 , in alternativa, nella stessa norma si rimanda a calcoli semplificati 12

I ponti termici puntuali, che interessano zone limitate per i quali la zona pi`u critica e` individuabile da un punto sulla superficie della parete, hanno una scarsa influenza sul flusso termico totale scambiato dalla parete, mentre hanno una notevole importanza per i valori minimi di temperatura superficiale interna e rappresentano punti in cui aumenta molto il rischio di condensa 13 Nella UNI EN ISO 14683 sono presenti tre valori di Ψl per ogni tipologia di ponte termico: Ψe sono per le dispersioni della parete calcolate con riferimento alle superfici esterne, Ψi per le dispersioni riferite alle superfici interne e Ψoi sono per le dispersioni riferite alle superfici interne lorde, cio`e calcolate ignorando l’ingombro delle pareti interne. Inoltre, va tenuto presente che i coefficienti Ψl presenti nella norma europea fanno riferimento al giunto nel suo complesso, pertanto se si vuole riferire il ponte termico alla parete, nel caso di ponti termici d’angolo come quelli che si hanno tra due pareti esterne o tra una parete esterna ed un solaio o una copertura, il coefficiente va conteggiato met`a per una struttura e met`a per l’altra.

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

15

Tabella 1.9: Trasmittanza termica Uw in W/(m2 K) per finestre a vetro doppio e triplo, con distanziatori tra le lastre con prestazioni termiche migliorate, con una percentuale di area frontale di telaio del 20%, al variare della trasmittanza del telaio e del sistema vetrato Ug W/(m2 K)

3,3 3,2 3,1 3,0 2,9 2,8 2,7 2,6 2,5 2,4 2,3 2,2 2,1 2,0 1,9 1,8 1,7 1,6 1,5 1,4 1,3 1,2 1,1 1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5

0,8 2,9 2,9 2,8 2,7 2,6 2,5 2,5 2,4 2,3 2,2 2,1 2,1 2,0 1,9 1,8 1,8 1,7 1,6 1,5 1,4 1,4 1,3 1,2 1,1 1,0 1,0 0,9 0,8 0,7

1,0 3,0 2,9 2,8 2,7 2,7 2,6 2,5 2,4 2,3 2,3 2,2 2,1 2,0 2,0 1,9 1,8 1,7 1,6 1,6 1,5 1,4 1,3 1,2 1,2 1,1 1,0 0,9 0,8 0,8

1,2 3,0 2,9 2,9 2,8 2,7 2,6 2,5 2,5 2,4 2,3 2,2 2,1 2,1 2,0 1,9 1,8 1,8 1,7 1,6 1,5 1,4 1,4 1,3 1,2 1,1 1,0 1,0 0,9 0,8

1,4 3,1 3,0 2,9 2,8 2,7 2,7 2,6 2,5 2,4 2,3 2,3 2,2 2,1 2,0 2,0 1,9 1,8 1,7 1,6 1,6 1,5 1,4 1,3 1,2 1,2 1,1 1,0 0,9 0,8

Uf W/(m2 K) con 20% di area di telaio 1,6 1,8 2,0 2,2 2,6 3,1 3,1 3,2 3,2 3,3 3,0 3,1 3,1 3,2 3,2 2,9 3,0 3,0 3,1 3,2 2,9 2,9 2,9 3,0 3,1 2,8 2,8 2,9 2,9 3,0 2,7 2,7 2,8 2,8 2,9 2,6 2,7 2,7 2,8 2,8 2,5 2,6 2,6 2,7 2,6 2,5 2,5 2,5 2,6 2,5 2,4 2,4 2,5 2,5 2,4 2,3 2,3 2,4 2,4 2,4 2,2 2,3 2,3 2,4 2,3 2,1 2,2 2,2 2,3 2,2 2,1 2,1 2,2 2,3 2,3 2,0 2,0 2,1 2,2 2,3 1,9 2,0 2,0 2,1 2,2 1,8 1,9 1,9 2,0 2,1 1,8 1,8 1,8 1,9 2,0 1,7 1,7 1,8 1,9 1,9 1,6 1,6 1,7 1,8 1,9 1,5 1,6 1,6 1,7 1,8 1,4 1,5 1,5 1,6 1,7 1,4 1,4 1,4 1,5 1,6 1,3 1,3 1,4 1,5 1,5 1,2 1,2 1,3 1,4 1,5 1,1 1,2 1,2 1,3 1,4 1,0 1,1 1,1 1,2 1,3 1,0 1,0 1,0 1,1 1,2 0,9 0,9 1,0 1,1 1,1

3,0 3,4 3,3 3,2 3,2 3,1 3,0 2,9 2,8 2,8 2,7 2,6 2,5 2,4 2,4 2,3 2,3 2,2 2,1 2,0 1,9 1,9 1,8 1,7 1,6 1,5 1,5 1,4 1,3 1,2

3,4 3,5 3,4 3,3 3,2 3,2 3,1 3,0 2,9 2,8 2,8 2,7 2,6 2,5 2,5 2,5 2,3 2,3 2,2 2,1 2,0 1,9 1,9 1,8 1,7 1,6 1,5 1,5 1,4 1,3

3,8 3,6 3,5 3,4 3,3 3,2 3,2 3,1 3,0 2,9 2,8 2,8 2,7 2,6 2,6 2,5 2,4 2,3 2,3 2,2 2,1 2,0 1,9 1,9 1,8 1,7 1,6 1,5 1,5 1,4

7,0 4,1 4,0 3,9 3,8 3,7 3,7 3,6 3,5 3,4 3,3 3,3 3,2 3,1 3,1 3,0 2,9 2,9 2,8 2,7 2,6 2,5 2,5 2,4 2,3 2,2 2,1 2,1 2,0 1,9

Tabella 1.10: Valori limite della trasmittanza termica Uw in W/(m2 K), per le chiusure trasparenti comprensive degli infissi, per ampliamenti inferiori al 20% e per la ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie utile non superiore a 1000 m2 Valori limite della trasmittanza termica U delle chiusure trasparenti Zona climatica dall’1 gennaio 2008 dall’1 gennaio 2010 A 5,0 4,6 B 3,6 3,0 C 3,0 2,6 D 2,8 2,4 E 2,4 2,2 F 2,2 2,0

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

16

(mediante formule) 14 , ad altri abachi di ponti termici precalcolati oppure si rimanda alla la UNI EN ISO 10211 (calcolo dettagliato dei ponti termici mediante simulazioni numeriche)15 . L’influenza globale dei ponti termici sulle dispersioni si aggira attorno al 10 ÷ 15% e, ovviamente, aumenta al diminuire delle altre dispersioni. L’importanza dei ponti termici e` data dal prodotto lunghezza · trasmittanza lineica pertanto i pi`u importanti, per trasmittanza o per lunghezza, di solito sono i giunti orizzontali tra solai e pareti, i giunti verticali tra pareti esterne portanti ed i giunti tra telai delle finestre e pareti. I ponti termici sono dannosi anche perch`e in corrispondenza ad essi si manifesta un abbassamento della temperatura superficiale interna con conseguente aumento del rischio di condensa superficiale e della formazione di muffe (umidit`a relativa locale superiore all’80%); questo avviene anche per ponti termici di estensione trascurabile (ad esempio la giunzione tra tre pareti: due verticali ed una orizzontale). Pertanto, e` consigliabile adottare delle tecniche costruttive tali da evitare i ponti termici, ad esempio con isolamenti aggiuntivi in corrispondenza dei giunti tra pareti ed in corrispondenza di cordoli e pilastri.

1.3 Calcolo della dispersione per strutture a contatto col terreno A differenza di quanto succede per le pareti rivolte verso l’esterno, per calcolare correttamente gli scambi termici attraverso il terreno non si pu´o considerare il fenomeno stazionario, in particolare per le variazioni di temperatura esterna nell’arco dell’anno. Infatti, la profondit`a di penetrazione16 della oscillazione giornaliera e` di pochi centimetri mentre quella annuale e` dell’ordine dei metri. Ad esempio, considerando un terreno costituito da ghiaia, le cui propriet`a termofisiche sono riportate nella Tabella 1.11 si ha che la profondit`a di penetrazione giornaliera (con periodo τ 0 = 86400 secondi) risulta: s r τ 0λ 2, 0 · 86400 δ= = = 0, 166 m πρc 3, 1416 · 2, 0 · 106 mentre la profondit`a di penetrazione annuale (τ 0 = 86400 · 365 secondi) e` : √ δ = 0, 166 · 365 = 3, 17 m Per quanto riguarda questo tipo di strutture la norma di riferimento e` la UNI EN ISO 13370. In essa il flusso termico e` calcolato sommando tre contributi: quello stazionario, quello dovuto alla variazione periodica della temperatura interna e quello dovuto alla variazione periodica della temperatura esterna. In generale, quindi, il flusso attraverso il terreno, da intendersi come valore medio mensile, si esprime come segue:     m−τ −β m−τ +α b ¯ ¯ b + Hpe θe cos 2π (1.4) ΦG = Hg (θi − θe ) + Hpiθ i cos 2π 12 12 dove: 14

Nel foglio aggiuntivo 3 (FA3) della Norma UNI 7357:1976 erano presenti formule per il calcolo semplificato dei ponti termici ma tale Norma ed il foglio aggiuntivo corrispondente sono stati ritirati e pertanto non sono pi`u utilizzabili. 15 Esistono numerosi programmi per la simulazione numerica della conduzione del calore in 2D e 3D; tra questi si segnala il software libero THERM specializzato per il calcolo 2D dei ponti termici, anche nei serramenti; THERM e` scaricabile, assieme ad altri programmi, dal sito http://windows.lbl.gov/ nella sezione software. 16 La profondit`a di penetrazione di un’onda termica e` la profondit`a alla quale l’ampiezza dell’oscillazione di temperatura e` e−1 volte l’ampiezza in superficie; tale parametro e` un indice di quanto l’onda termica si smorza all’interno del materiale (nel nostro caso nel terreno).

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

17

Hg coefficiente di dispersione attraverso il terreno in regime stazionario; ¯θ temperature medie annuali; Hpi coefficiente di dispersione termica periodica per le variazioni di temperatura interna; b θi

ampiezza di oscillazione della temperatura interna;

Hpe coefficiente di dispersione termica periodica per le variazioni di temperatura esterna;

b θe

ampiezza della variazione della temperatura media mensile dell’aria esterna rispetto al valore medio annuale: tale ampiezza e` definita come la met`a della differenza tra i valori massimo e minimo delle temperature medie mensili;17

m

numero del mese (1 per gennaio, 12 per dicembre);

τ

numero del mese in cui si verifica il minimo della temperatura esterna;

α

mesi di anticipo tra il ciclo del flusso termico e il ciclo della temperatura interna (solitamente α = 0);

β

mesi di ritardo tra il ciclo del flusso termico e il ciclo della temperatura esterna (solitamente β = 1);

Per la valutazione del flusso massimo nella 1.4 si pu`o prescindere dal contributo dovuto alla oscillazione della temperatura interna e pertanto si ha: ΦG,max = Hg (¯θi − ¯θe ) + Hpeb θe

(1.5)

La trasmittanza termica delle strutture a contatto col terreno e` definita solo per il regime stazionario, con riferimento all’area della superficie orizzontale e tiene conto della presenza del terreno. Si tratta pertanto di una trasmittanza equivalente18. E´ evidente che il flusso e` espresso pi`u correttamente con la 1.4 che mediante la sola Ueq . Il coefficiente di dispersione attraverso il terreno in regime stazionario Hg oltre alla dispersione attraverso l’area del pavimento deve tener conto anche della dispersione perimetrale attraverso il ponte termico parete–pavimento: Hg = AUeq + P Ψg (1.6) dove Ψg rappresenta la trasmittanza lineare del ponte termico parete–pavimento. Per la determinazione dei parametri Hg , Hpi ed Hpe la norma prende in esame tre diversi schemi di riferimento ai quali si devono ricondurre eventuali altri casi: • pavimento appoggiato sul terreno; • pavimento su spazio aerato; • pavimento e pareti di vano interrato. Per schematizzare il problema viene introdotta la dimensione caratteristica del pavimento definita come B ′ = 2A/P dove P rappresenta il perimetro del pavimento ed A l’area. Inoltre, viene definito uno spessore equivalente di terreno che rappresenta lo spessore di terreno che manifesta la stessa resistenza termica delle resistenze che il flusso termico incontra in aggiunta rispetto al caso ideale in 17 18

Le temperature medie mensili si ricavano dalla UNI 10349. Nella Norma UNI EN ISO 13370 questa trasmittanza equivalente e` indicata col semplice simbolo U .

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

18

cui le temperature sono imposte sulle superfici e il pavimento e` a contatto diretto con l’esterno Figura 1.5: dt = w + λ(Rsi + Rf + Rse ) dove: w

spessore delle pareti verticali,

λ

conduttivit`a termica del terreno,

Rsi = Rf

1 hi

resistenza termica specifica sulla superficie interna,

resistenza termica specifica del componente che costituisce il pavimento (floor), essa comprende la resistenza termica di ogni strato uniforme di isolamento sopra, sotto o interno alla soletta del pavimento, e quella di eventuali rivestimenti. La resistenza termica di solette di calcestruzzo pesante e di rivestimenti sottili pu`o essere trascurata;

Rse =

1 he

resistenza termica specifica sulla superficie esterna;

un alto valore di dt corrisponde a un’elevata resistenza termica tra interno ed esterno. Le formule da applicare sono differenti per pavimenti non isolati o poco isolati (con dt < B ′ ) e quelli bene isolati (con dt ≥ B ′ ). Per i valori della conducibilit`a termica λ e della capacit`a termica per unit`a di volume del terreno ρc si possono assumere i valori riportati in tabella 1.11. w

R si

R se Rw

111111111111 000000000000 000000000000 111111111111 000000000000 111111111111 Rf

Figura 1.5: Pavimento appoggiato sul terreno, resistenze termiche

Tabella 1.11: Propriet`a termofisiche del terreno, valori della conducibilit`a termica λ e della capacit`a termica ρc per unit`a di volume Descrizione λ ρc [W/(m · K)] [J/(m3· K)] argilla o limo 1,5 3,0 ·106 sabbia o ghiaia 2,0 2,0 ·106 roccia omogenea 3,5 2,0 ·106

1.3.1 Pavimento a livello del terreno esterno E` il caso in cui la struttura del pavimento e` posata allo stesso livello del terreno, senza interramenti o sopraelevazioni. Sono considerati pavimenti controterra i pavimenti costituiti da una lastra a contatto

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

19

con il terreno su tutta la sua superficie, siano essi sostenuti o meno dal terreno su tutta la loro area, situati allo stesso livello, o in prossimit`a, del livello della superficie del terreno esterno (Figura 1.6). Tali pavimenti possono essere privi di isolamento o uniformemente isolati (sopra, sotto o internamente alla soletta) su tutta la loro area.

est.

int. w

Linee di flusso

Figura 1.6: Schema di riferimento per i pavimenti a livello del terreno esterno Nel caso di pavimenti non isolati o moderatamente isolati (con dt < B ′ ) si ha:   2λ π B′ Ueq = U0 = ln +1 π B ′ + dt dt mentre nel caso di pavimenti bene isolati (con dt ≥ B ′ ) l’espressione della trasmittanza si semplifica come segue: Ueq = U0 =

λ 0, 457 B ′ + dt

In localit`a dal clima particolarmente rigido talvolta si adottano isolamenti aggiuntivi perimetrali in tal caso le espressioni precedenti diventano. Ueq = U0 +

∆Ψ ∆Ψ P = U0 + 2 ′ A B

Dove ∆Ψ e` il coefficiente che tiene conto dell’isolamento aggiuntivo sul perimetro (tipico di edifici costruiti nei climi nordici). Notare che ∆Ψ e` negativo perch`e l’isolamento aggiuntivo riduce il flusso termico disperso verso l’esterno. 19 19

Nel caso in cui l’isolamento aggiuntivo sia disposto orizzontalmente (Figura 1.7 a) si ha:      λ D D ∆Ψ = − ln + 1 − ln + 1 π dt dt + R′ λ

dove: R′ e` la resistenza dovuta allo strato di isolante aggiuntivo R′ =

dis dis − λis λ

Nel caso in cui l’isolamento aggiuntivo sia disposto verticalmente a ridosso della fondazione (Figura 1.7 b) si ha:      2D 2D λ ln + 1 − ln + 1 ∆Ψ = − π dt dt + R′ λ

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

a)

11111 00000 D

20

b)

d is

11 00 00 11 00 11 00 11 00 11 00 11

D

Figura 1.7: Schema di riferimento per l’isolamento aggiuntivo: a) orizzontale, b) verticale Per il caso di pavimento a livello del terreno, ai fini del calcolo dei flussi, il coefficiente di dispersione termica in regime stazionario e` : Hg = AUeq + P Ψg = AU0 + P (Ψg + ∆Ψ) mentre il coefficiente di accoppiamento termico periodico esterno (per le variazioni annuali di temperatura esterna), in assenza di isolamento perimetrale aggiuntivo, e` : Hpe = 0, 37P λ ln(

δ + 1) dt

dove δ e` la profondit`a di penetrazione dell’onda termica annuale i cui valori, per i tipi di terreno considerati, sono riportati nella Tabella 1.12. Per l’espressione di Lpe in presenza di isolamento perimetrale aggiuntivo, trattandosi di caso poco comune per i nostri climi, si rimanda alla Norma UNI EN 13370. Tabella 1.12: Profondit`a di penetrazione della componente periodica annuale Tipo di terreno δ (m) argilla o limo 2,2 sabbia o ghiaia 3,2 roccia omogenea 4,2

1.3.2 Pavimento su spazio aerato (intercapedine ventilata) Sono considerati pavimenti su spazio aerato o intercapedine i pavimenti che si trovano sollevati dal terreno e staccati da questo mediante una cavit`a, per esempio un assito o un pavimento in laterocemento con un vuoto sanitario o un vano sottopavimento (Figura 1.8). Questo punto fa riferimento a pavimenti su intercapedine di tipo convenzionale in cui lo spazio aerato sotto il pavimento e` ventilato naturalmente con aria esterna. Per il caso in cui la ventilazione dello spazio sottopavimento sia meccanica, o vi sia una portata nota, si rimanda alla norma. L’aria sottostante viene considerata come un’intercapedine ventilata. Si definisce la trasmittanza dovuta al contributo del solaio unito a quello dello spazio areato: 1 1 1 = + Ueq Uf Ug + Ux dove:

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

21

1111 0000 000 111 0000 1111 000 111 0000 1111 000 111 0000 1111 000 111 0000 1111 000 111 est. 1111 int. 0000 000 111 0000 1111 000 111 000000000000000 111111111111111 0000 1111 000 000000000000000111 111111111111111 0000 1111 000 000000000000000111 111111111111111 0000 1111 000 111 0000 1111 000 111 z 0000 1111 000 0000 ventilazione 111 1111 000 111 0000 1111 000 111 0000 1111 000 111 00000000000000000000000000 11111111111111111111111111 00000000000000000000000000 11111111111111111111111111 00000000000000000000000000 11111111111111111111111111 Figura 1.8: Schema di riferimento per pavimenti su spazio aerato o intercapedine Uf

e` la trasmittanza termica della parte sospesa del pavimento, (tra l’ambiente interno e lo spazio sottopavimento);

Ug

e` la trasmittanza attraverso il terreno per il fondo del vano aerato (analoga ad U0 nel caso di pavimento a livello del terreno;

Ux

e` la trasmittanza termica equivalente che tiene conto dello scambio termico attraverso le pareti dell’intercapedine e dell’effetto della ventilazione dello stesso spazio aerato.

La trasmittanza Ug si calcola come: 2λ ln Ug = π B ′ + dt



π B′ +1 dt



mentre il coefficiente Ux si ottiene dalla seguente relazione: Ux =

fv 2zUw + 1450ǫ v ′ ′ B B

dove: Uw trasmittanza delle pareti verticali ǫ

area delle aperture di ventilazione per metro lineare di perimetro [m2 /m]

z

altezza del pavimento

v

velocit`a media del vento alla quota di 10 m, da UNI 10349

fv

coefficiente di protezione al vento (dalla norma): fv = 0, 02 in centri abitati, fv = 0, 05 in periferia, fv = 0, 10 in zone rurali.

1450 fattore numerico che tiene conto della capacit`a termica dell’aria per unit`a di volume quando la trasmittanza e` espressa in W/(m2 K). Per il calcolo dei flussi, il coefficiente di accoppiamento termico in regime stazionario si ricava con la ?? : Hg = AUeq + P Ψg mentre il coefficiente di accoppiamento termico periodico esterno e` : Hpe = Uf

0, 37P λ ln(δ/dt + 1) + Ux A λ/δ + Ux + Uf

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

22

1.3.3 Piano interrato Qui si fa riferimento al calcolo delle dispersioni per un edificio che abbia dei locali che siano completamente o parzialmente a livello inferiore a quello del terreno esterno (Figura 1.9). I concetti di base sono analoghi a quelli introdotti per i pavimenti controterra, ma si tiene conto della: - profondit`a z del pavimento del piano interrato rispetto al livello del terreno; - possibilit`a di diversi livelli di isolamento applicati alle pareti e al pavimento del piano interrato. Se z varia lungo il perimetro dell’edificio, per il calcolo si deve assumere un valore medio. La trasmittanza equivalente si calcola come: Ueq =

AUbf + zP Ubw A + zP

Il primo contributo per vani interrati con pavimenti non isolati o poco isolati (dt +z/2 < B ′ ) si calcola come:   2λ π B′ Ubf = ln +1 π B ′ + dt + z/2 dt + z/2 mentre per pavimenti ben isolati (con dt + z/2 ≥ B ′ ) si ha Ubf =

0, 457

B′

λ + dt + z/2

di fatto sono le stesse formule viste in precedenza per il pavimento a livello del terreno in cui dt e` sostituito da dt + z/2. Il secondo contributo, che tiene conto delle pareti verticali, e` pari a:     dt /2 z 2λ 1+ ln +1 Ubw = πz dt + z dw con dw = λ(Rsi + Rw + Rse ) spessore equivalente di terreno per le resistenze termiche corrispondenti alle pareti verticali. Nella espressione di Ubw compaiono sia dt che dw e solitamente si ha dw ≥ dt . Se tuttavia risulta dw < dt nella precedente formula si deve sostituire dt con dw .

z

00 11 1 0 00 11 0 1 00 11 0 1 00 11 111111111 0000000000 1 00 11

Figura 1.9: Pavimento interrato, geometria e grandezze caratteristiche Per il calcolo dei flussi, il coefficiente di accoppiamento termico in regime stazionario e` : Hg = AUbf + zP Ubw

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

23

mentre il coefficiente di accoppiamento termico periodico esterno e` :      δ δ −z/δ −z/δ +1 +e ln +1 Hpe = 0, 37P λ 2(1 − e ) ln dw dt Si ricorda che le parti di pareti verticali sporgenti dal terreno si trattano come pareti rivolte direttamente all’esterno.

1.3.4 Flussi termici attraverso il terreno per singoli vani Il flusso termico ΦG ricavato nei paragrafi precedenti e` relativo a tutta la superficie del pavimento, spesso per`o e` necessario calcolare il flusso termico disperso da ogni singolo vano, ad esempio per dimensionare i singoli terminali di erogazione dell’energia temica. La norma UNI EN ISO 13370 a differenza della UNI 10346 contempla una procedura per la suddivisione del flusso totale Φt in due contributi, perimetrale Φe e centrale Φm relativi rispettivamente agli ambienti con e senza parte del perimetro sul bordo esterno dell’edificio. Φt = Φe + Φm

(1.7)

il flusso perimetrale si ricava come: Φe = Φt

Ae b + dt + Ae Am 0, 5B ′ + dt

dove: Ae

e` la superficie totale del pavimento dei vani in corrispondenza del perimetro dell’ edificio;

Am e` la superficie totale del pavimento dei vani centrali dell edificio; b

e` la larghezza media dei vani perimetrali dell’edificio;

B′

e` la dimensione caratteristica dell’intero pavimento

Il flusso centrale si ottiene quindi dalla (1.7) Φm = Φt − Φe pertanto qe = Φe /Ae qm = Φm /Am dove: qe

e` la densit`a del flusso termico per vani in corrispondenza del perimetro dell edificio;

qm

e` la densit`a di flusso termico per vani centrali dell edificio;

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

24

1.4 Calcolo della dispersione attraverso vani non riscaldati Analogamente a quanto fatto in precedenza, nel caso delle dispersioni attraverso vani non riscaldati si definisce un coefficiente di dispersione Hu che ha le dimensioni di una potenza per unit`a di salto termico tale che, detta Φu la potenza dispersa attraverso i vani non riscaldati, risulta: Φu = Hu ∆θ

(1.8)

dove Hu e` il coefficiente di dispersione tra interno ed esterno, attraverso il vano non riscaldato (potenza per unit`a di salto termico), calcolata con l’analogia elettrica come presentato in figura 1.10. Con riferimento alla figura ed all’analogia elettrica si pu`o evidenziare il significato del coefficiente di dispersione Hu , infatti: Ru = Riu + Rue dove il pedice iu si riferisce ai termini relativi agli scambi tra ambiente interno e vano non riscaldato ed il pedice ue si riferisce ai termini relativi agli scambi tra vano non riscaldato e ambiente esterno. Pertanto, Riu e` la resistenza tra interno e vano non riscaldato, Rue e` la resistenza tra vano non riscaldato ed esterno. La resistenza totale sar`a Ru = Riu + Rue e quindi: Hu =

Hiu =

1 Rie

1 1 ; Hue = Riu Rue

Hu =

Hiu Hue Hiu + Hue

Separando i termini di trasmissione HT,iu e HT,ue da quelli di ventilazione HV,iu e HV,ue , si pu`o scrivere: Hiu = HT,iu + HV,iu Hue = HT,ue + HV,ue Dal calcolo dei coefficienti di dispersione H, eguagliando il flusso che dall’interno viene ceduto al vano non riscaldato e da questo all’esterno, si pu`o anche determinare il valore della temperatura del vano non riscaldato, che diviene:

Interno θi R iu

111 000 000 111 000 111 000 111 000 111 θu 000 111 000 111 000 111 000 111 000 111 000 111 000 Locale non 111

Esterno θe R ue

riscaldato

Figura 1.10: scambi termici con ambienti non riscaldati, rete resistiva equivalente

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

25

θu = θi −

Hu (θi − θe ) Hiu

E` questo un modo mediante il quale si pu`o valutare la frazione della dispersione attraverso il locale non riscaldato che compete ad una parte dell’edificio (es. un appartamento che disperde verso un vano scale condominiale), cos`ı indicando col pedice aggiuntivo j la frazione che si vuole calcolare, si avr`a: Φuj = (Uj Aj + m ˙ uj cpa )(θi − θu ) = Hiuj (θi − θu ) dove m ˙ uj rappresenta la portata d’aria scambiata tra la j−esima porzione dell’edificio ed il vano non riscaldato, cpa il calore specifico a pressione costante dell’aria mentre gli altri simboli hanno il solito significato. Nella fase di calcolo delle potenze disperse per il dimensionamento dei corpi scaldanti e` bene tener conto anche delle dispersioni verso ambienti appartenenti ad altre unit`a abitative o comunque riscaldati ma non sotto il controllo della stessa utenza della quale si sta valutando la potenza. Questo e` necessario perch´e le altre utenze potrebbero essere spente (appartamenti sfitti, uffici vuoti, ecc.). Questa situazione andrebbe affrontata considerando i locali adiacenti come vani non riscaldati, ma l’onere di calcolo aumenta considerevolmente. La norma europea UNI EN 12831 consiglia di considerarli come vani a temperatura fissa. Per i dettagli fare riferimento al paragrafo successivo.

1.5 Calcolo della dispersione verso vani a temperatura fissata Analogamente a quanto fatto in precedenza, nel caso delle dispersioni verso vani a temperatura fissata, si definisce un coefficiente di dispersione HT,ij = HA che ha le dimensioni di una potenza per unit`a di salto termico tale che, detta φA la potenza dispersa verso tali ambienti risulta: ΦA = HA (θi − θA )

(1.9)

dove HA e` il coefficiente di dispersione tra interno e vano a temperatura fissata, (potenza per unit`a di salto termico), θi e` la temperatura del vano di cui si sta calcolando il carico e θA e` la temperatura del vano adiacente. Un caso comune di scambio termico tra vani a temperatura diversa e controllata e` , ad esempio, quello tra i bagni, le stanze adiacenti e viceversa (per i bagni si assume θi = 24◦ C). In fase progettuale le potenze provenienti dai bagni si possono trascurare in quanto entranti, mentre nel dimensionamento dei corpi scaldanti dei bagni e` bene tener conto, almeno in modo approssimato, delle potenze disperse verso i locali riscaldati ma a temperatura inferiore. Un altro caso ricorrente di vano adiacente che, secondo la UNI EN 12831 pu`o essere considerato a temperatura fissata e` quello di vani adiacenti appartenenti ad altra unit`a abitativa. L’approccio adottato nella Norma e` riassunto nella Tabella 1.13. In pratica la temperatura del vano adiacente si ottiene da un calcolo solo nel caso in cui il vano di riferimento ed il vano adiacente appartengano ad unit`a immobiliari diverse ma dello stesso edificio. Per il calcolo si distinguono due casi: a)

case destinate ad occupazione prevalentemente continua;

b)

case destinate ad occupazione saltuaria (per esempio case per vacanza).

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

26

Tabella 1.13: Valori di temperatura dei vani adiacenti Calore scambiato tra il vano oggetto di calcolo e un locale adiacente all’interno della stessa appartenente ad un’altra appartenente ad un altro unit`a immobiliare unit`a immobiliare edificio dello stesso edificio θA deve essere specificata: Ove non stabilito contrattualmente –ad esempio bagni o depositi θA si calcola come temperatura esterna media annuale –influenza del gradiente di di seguito specificato θA = θ me temperatura verticale

Nel caso (a) si ipotizza che tutte le unit`a immobiliari dell’edificio siano riscaldate tranne quella in cui e` situato il vano adiacente. Nel caso (b) si ipotizza che l’unica unit`a immobiliare riscaldata dell’edificio sia quella in cui e` situato il vano riscaldato. In entrambi i casi si dovrebbe poi procedere come per gli scambi attraverso vani non riscaldati ma escludendo il contributo della ventilazione (anche dai vani non riscaldati verso l’esterno), determinando la temperatura del vano adiacente. Nel caso (a) si pu`o esprimere la temperatura del vano adiacente nel modo seguente: θ A,a = θi − ba (θi − θe ) con

dove

P

Se Ue P i Si Ui + e Se Ue

ba = P

e

Se

sono le superfici del locale adiacente appartenente ad un’altra unit`a immobiliare, rivolte verso l’esterno;

Ue

sono le trasmittanze delle pareti di superficie Se ;

Si

sono le superfici del locale adiacente appartenente ad un’altra unit`a immobiliare, rivolte verso unit`a immobiliari riscaldate;

Ue

sono le trasmittanze delle pareti divisorie di superficie Si .

Per gli edifici di cui al caso (b) l’ipotesi convenzionale ai fini del calcolo e` che l’unit`a immobiliare di cui si effettua il calcolo delle dispersioni sia l’unica riscaldata, per cui la temperatura delle unit`a immobiliari adiacenti e` : θA,b = θi − bb (θi − θe ) con

dove SE

P

SE UE P AR SAR UAR + E SE UE

bb = P

E

sono le superfici della parte non riscaldata dell’edificio (escluse quindi quelle dell’unit`a immobiliare riscaldata) rivolte verso l’esterno;

UE sono le trasmittanze delle pareti di superficie SE ;

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

27

SAR sono le superfici dell’unit`a immobiliare riscaldata, adiacenti ad altre unit`a immobiliari ritenute non riscaldate; UAR sono le trasmittanze delle pareti divisorie di superficie SAR . Il limite inferiore di θA,b , quindi nel caso di edifici destinati ad occupazione saltuaria, e` la temperatura antigelo di 4◦ C, che il progettista dovr`a garantire, con sistemi automatici, nelle unit`a immobiliari non riscaldate. Fortunatamente, in alternativa a questa procedura onerosa, la Norma UNI EN 12831 non esclude l’uso di un metodo semplificato per la determinazione dei coefficienti b, avvalendosi di un prospetto presentato nella Norma e qui riportato in Tabella 1.14. Il prospetto fornisce i coefficienti ba in funzione della percentuale di superficie dell’unit`a immobiliare adiacente rivolta verso l’esterno e del rapporto fra le trasmittanze delle pareti interne ed esterne ed i coefficienti bb esclusivamente nella riga relativa alla percentuale P pari all’80%.

P (%) 10 20 30 40 50 60 70 80 90

Tabella 1.14: Coefficiente di posizione b Coefficiente di posizione b R = Ui,m /Ue,m < 2 2 ≤ R = Ui,m /Ue,m ≤ 3 R = Ui,m /Ue,m > 3 (poco isolato) (isolato) (molto isolato) 0,08 0,05 0,03 0,15 0,10 0,05 0,22 0,16 0,11 0,30 0,22 0,16 0,40 0,28 0,22 0,50 0,40 0,30 0,60 0,50 0,40 0,74 0,63 0,53 0,86 0,78 0,72

1.6 Potenza dispersa per ventilazione Per il calcolo delle potenze disperse da un vano, si deve tener conto della potenza dispersa per ventilazione come indicato dal termine ΦV,i nell’equazione 1.1. Tale potenza e` costituita dalla differenza tra i flussi di entalpia associati alla portata d’aria che esce dal locale alla temperatura θi ed entra alla temperatura θe . Per il singolo vano, omettendo il pedice i, abbiamo: ΦV = mc ˙ pa (θi − θe ) = ρV˙ cpa (θ i − θe ) con l’ipotesi di poter scrivere la differenza di entalpia specifica dell’aria come hi − he = cpa (θi − θe ). La portata volumica V˙ si pu`o esprimere come: V˙ = n · V con V volume netto del locale, ed n tasso di rinnovo dell’aria che esprime il numero di ricambi/ora, cio`e il numero di volte che in un’ora si rinnova l’aria del locale.

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

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Inserendo nell’espressione precedente i valori numerici cpa = 1006 J/kgK e ρa = 1, 2 kg/m3 si ottiene ΦV = 0, 34nV (θi − θe ) [W ] (1.10)

Evidentemente nella 1.10 il volume netto deve essere espresso in m3 . Anche in questo caso si pu`o introdurre un coefficiente di dispersione per ventilazione HV ΦV = HV (θi − θe ) dalla (1.10) si ottiene infine: HV = 0, 34 n V

[W/K]

(1.11)

Per gli edifici civili si assume convenzionalmente un numero di ricambi minimo pari a nmin = 0, 5. Per il dimensionamento dei terminali di impianto, in alcuni vani con destinazioni d’uso particolari il numero di ricambi d’aria pu`o essere maggiore. Come riferimento si possono assumere i valori riportati nella Tabella 1.15 tratta dall’Allegato nazionale del gi`a citato progetto di norma prEN 12831.

Tabella 1.15: Tasso minimo di rinnovo d’aria esterna per edifici residenziali, nmin Tipo di locale n (h−1 ) Locali di abitazione (default) 0,5 Cucine 1,5 Bagni 2,0

Per altre destinazioni d’uso, vedi norma UNI 10379. In realt`a n dipende dalle caratteristiche di permeabilit`a all’aria dell’edificio e dal comportamento delle persone (vedi UNI 10379-2005). La permeabilit`a all’aria dell’edificio pu`o essere valutata in funzione della portata d’aria misurata sperimentalmente imponendo un salto noto di pressione tra interno ed esterno, mediante un ventilatore; il salto di pressione imposto e` di solito pari a 50 pascal ed il corrispondente ricambio d’aria misurato viene indicato con il simbolo n50 . Il rinnovo dell’aria negli ambienti frequentati dalle persone, pur essendo fonte di dispersioni, va garantito ad un livello sufficiente a fornire l’ossigeno per il metabolismo, funzione anche dell’attivit`a che vi si svolge. Negli edifici per la cui conformazione l’aria che si infiltra naturalmente dall’esterno ha difficolt`a a raggiungere in quantit`a sufficiente tutti gli ambienti interni20 e` necessario predisporre dei sistemi di ventilazione forzata (canalizzazioni e ventilatori) che garantiscano una portata adeguata d’aria esterna. In tal caso la portata d’aria da considerare per il calcolo delle dispersioni e` : V˙ = V˙ mec + V˙ inf dove V˙ mec rappresenta la portata garantita dal sistema meccanico di ventilazione forzata e V˙ inf e` la portata d’aria dovuta alle infiltrazioni che si sovrappone a quella forzata; quest’ultima pu`o essere spesso considerata nulla. Per ridurre le potenze disperse, l’impianto di ventilazione forzata pu`o essere dotato di un recuperatore21 . I recuperatori per gli impianti di ventilazione sono, di solito, scambiatori di calore a flussi 20

Sono di solito edifici caratterizzati da grandi dimensioni in pianta con destinati ad uso uffici o ad uso commerciale. Come si vedr`a pi`u avanti nel capitolo relativo ai consumi, in presenza di un sistema di ventilazione forzata con grosse portate d’aria e per climi rigidi l’installazione del recuperatore e` obbligatoria per legge. 21

CAPITOLO 1. POTENZE DISPERSE

29

incrociati. La capacit`a di recupero e` rappresentata dalla efficienza ηV definita come rapporto tra il calore recuperato Φr ed il massimo calore recuperabile Φr, max. Con riferimento allo schema di Fig. 1.11, tenuto conto che la portata espulsa e quella introdotta sono praticamente uguali, possiamo scrivere: ηV =

Φr Φr,max

=

θim − θ e θi − θe

Pertanto il flusso disperso per ventilazione risulta: ΦV = mc ˙ pa (θi − θim ) = 0, 34nV (1 − η V )( [W] In pratica e` come se i ricambi d’aria fossero ridotti a n(1 − η V ). . m θe

. m

θim

θi

Figura 1.11: Schema di recuperatore a flussi incrociati

1.7 Considerazioni finali Per ragioni legate a esigenze di predimensionamento della caldaia oppure di stime di massima delle potenze in gioco, l’equazione 1.1 e` spesso applicata ad una intera unit`a abitativa o addirittura ad un intero edificio. In questo caso la potenza di riscaldamento da attribuire ad ogni singola stanza si pu`o ottenere approssimativamente con una ridistribuzione dei carichi. Ad esempio, con riferimento all’insieme dei locali riscaldati da un unico impianto di riscaldamento, si pu`o risalire alla potenza necessaria alla singola i−esima stanza rapportandosi alla superficie disperdente ed al volume di quest’ultima: • ΦT va diviso per i m2 di superficie totale disperdente, ottenendo un indice superficiale della potenza dispersa. • ΦV va diviso per i m3 di volume totale dell’edificio, ottenendo un indice volumico della potenza scambiata per ventilazione. Si ottiene

Si Vi ) + ΦV ( ) Stot Vtot A questo punto e` possibile dimensionare in maniera opportuna i terminali. Φi = ΦT,i + ΦV,i = ΦT (

Capitolo 2 IMPIANTI DI RISCALDAMENTO Dal calcolo delle dispersioni si e` ottenuta la potenza necessaria per il riscaldamento dei singoli locali: Φ = ΦT + ΦV Tale potenza e` ricavata in regime stazionario, senza tener conto del funzionamento dei corpi scaldanti e delle modalit`a di controllo della temperatura ambiente. Ogni tipologia di terminale dell’impianto trasferisce calore all’ambiente secondo modalit`a che, per mantenere la temperatura interna al valore di progetto, richiedono una potenza maggiore di quella calcolata idealmente secondo l’espressione precedente. Ad esempio, un radiatore posto in corrispondenza di una parete esterna scalda la parete posteriore ad una temperatura maggiore di quella che si avrebbe se la parete scambiasse calore con l’aria ambiente e per irraggiamento con le altre pareti; questo comporta una maggior dispersione rispetto ai valori calcolati. Anche il sistema di regolazione e controllo della temperatura interna degli ambienti pu`o dare luogo a disuniformit`a di temperatura che comportano maggiori dispersioni. Le inefficienze legate allo scambio termico tra i terminali e l’ambiente vengono valutate mediante un coefficiente η e < 1 detto rendimento di emissione, le inefficienze dovute al sistema di regolazione e controllo vengono valutate mediante un coefficiente η c < 1 detto rendimento di regolazione. A queste considerazioni si deve aggiungere che i calcoli possono contenere errori o anche le condizioni in opera possono non corrispondere a quelle di calcolo, ad esempio possono mancare parti di isolante nelle pareti. Per ovviare a ci`o si consiglia di aumentare ulteriormente la potenza con un coefficiente di sicurezza Cs ≃ 1, 20. Inoltre, si deve prevedere che i locali possano essere riscaldati a partire da condizioni di temperatura interna sensibilmente inferiore di quella di progetto, ad esempio a causa della intermittenza o attenuazione del funzionamento durante la notte o i fine settimana. Affinch´e la temperatura interna possa raggiungere il valore di progetto (di benessere)in tempi accettabili la potenza da fornire deve essere superiore a quella calcolata tramite la 1.1, secondo la Norma UNI EN 12831, alla potenza calcolata in regime stazionario rappresentata dalla 1.1 si somma una potenza di ripresa ΦRH ottenuta da potenze specifiche fornite dalla Norma. In Tabella 2.1 sono riportati i valori di fRH per gli edifici residenziali. La maggiorazione per il preriscaldamento deve essere tanto pi`u grande quanto pi`u elevata e` l’inerzia termica interna dell’ambiente e quanto minore e` il tempo richiesto per il raggiungimento della temperatura di progetto1 . Perci`o, la potenza che il corpo scaldante deve fornire al locale si pu`o esprimere come: Φcs =

Φ + ΦRH ηe η c

1

Secondo la normativa UNI EN 12828:2005 (Impianti di riscaldamento negli edifici – Progettazione dei sistemi di riscaldamento ad acqua), la maggiorazione si fa mediante un fattore di progetto per il carico termico fHL maggiore dell’unit`a

30

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

31

dove: Φcs potenza del corpo scaldante Φ

potenza ideale richiesta dall’ambiente

ηe

rendimento di emissione

ηc

rendimento di regolazione

Ci

coefficiente di intermittenza

Cs

coefficiente di sicurezza

ΦRH potenza di ripresa La potenza di ripresa viene espressa come: ΦRH = fRH · Ap dove Ap e` l’area di pavimento del locale da riscaldare. I corpi scaldanti sono collegati al sistema di generazione della potenza termica (caldaie, pompe di calore o altri sistemi) mediante una rete di distribuzione del fluido termovettore (acqua o aria) di solito organizzata per zone termiche. Le reti di distribuzione pur essendo obbligatoriamente coibentate hanno delle dispersioni verso l’esterno che dipendono anche dalle caratteristiche delle zone termiche e possono essere consistenti. Di questa inefficienza si tiene conto mediante un rendimento di distribuzione ηd < 12 . La potenza termica da fornire alla singola zona termica si pu`o esprimere come: ncs X Φz = Φcs,j j=1

dove ncs e` il numero di corpi scaldanti della zona. E’ possibile cos`ı risalire alla potenza della caldaia (del sistema di generazione) Φg . nz X Φz,k Φg ≥ η k=1 d,k dove

nz

numero di zone servite dall’impianto;

Φz,k potenza termica della k−esima zona; η d,k rendimento di distribuzione della k−esima zona. La potenza del sistema di generazione calcolata in questo modo pu`o risultare eccessivamente sovrastimata soprattutto se si tratta di un impianto centralizzato con numerose utenze. Ad esempio, una sovrastima pu`o derivare dal calcolo delle dispersioni se si sono previste dispersioni tra i locali di una utenza e quella di un’altra adiacente, supposta spenta; nel caso qualche utenza sia spenta, la potenza non utilizzata da queste resta a disposizione per il riscaldamento delle utenze collegate e attive, senza necessit`a di incrementi. Pertanto per il calcolo della potenza del generatore queste dispersioni e tutte le altre tra vani riscaldati, serviti dallo stesso impianto, non sano da considerare. Nel seguito si studiano i diversi tipi di terminali d’impianto e le differenze che comportano sull’impianto. Per cominciare si studiano gli impianti a radiatori che rappresentano il caso pi`u comune. 2

I valori da utilizzare per i rendimenti di emissione, regolazione e distribuzione sono riportati nella Norma UNI/TS 11300-2.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

32

Tabella 2.1: Fattori di ripresa fRH per edifici residenziali - Abbassamento notturno massimo di 8 ore Tempo di ripresa fRH (W/m2 ) (h) Caduta di temperatura impostata per l’attenuazione (K)1 1 2 3 massa dell’edificio massa dell’edificio massa dell’edificio alta alta alta 1 11 22 45 2 6 11 22 3 4 9 16 4 2 7 13 1) Negli edifici ben isolati e a buona tenuta all’aria e` molto improbabile che la temperatura ambiente discenda durante l’abbassamento notturno di oltre 2 K o 3 K. La discesa dipender`a comunque dalle condizioni climatiche e dalla massa termica dell’edificio.

Sezione radiatore

Figura 2.1: tipica sezione di radiatore

2.1 Impianto a RADIATORI I radiatori sono i corpi scaldanti pi`u diffusi, sono realizzati in lamiera d’acciaio stampata oppure in ghisa o in alluminio pressofuso, quelli ottenuti da fusione o pressofusione sono modulari. Il radiatore, a dispetto del nome, e` un terminale d’impianto che scambia calore prevalentemente per convezione, mentre scambia per irraggiamento meno del 20% della potenza totale. La superficie utile all’irraggiamento e` solo la frontale, mentre per la convezione conta la superficie totale del radiatore che nei moderni modelli in commercio supera di molto quella frontale come si pu`o intuire dalla Fig. 2.1. Attualmente il dimensionamento del corpo scaldante non viene pi`u effettuato in funzione della superficie frontale, come in passato, bens`ı in funzione della resa termica del radiatore, cio`e della potenza nominale Φn , usualmente indicata dal produttore sui cataloghi. Tale valore e` ottenuto da prove di laboratorio secondo procedure normalizzate ed e` espressa in funzione della differenza tra la temperatura media dell’acqua e la temperatura dell’ambiente La normativa attuale prevede che le prove siano condotte con l’acqua in mandata alla temperatura θ m = 75oC e acqua al ritorno alla temperatura θ r = 65o C ed una temperatura dell’ambiente di prova θ a = 20o C. Questo porta ad una differenza di temperatura tra la temperatura media dell’acqua e l’ambiente ∆θ n pari a: (θm + θr )n ∆θ n = − θa = 50K 2 La temperatura θ a e` la stessa per l’aria e per le pareti della camera di prova3. In ogni caso le norme prevedono che la resa termica dei radiatori in condizioni operative diverse da quelle di prova si possano determinare secondo una relazione del tipo: La precedente normativa invece prevedeva θm = 85o C e ∆θ n = 60K con l’ambiente sempre a θa = 20o C. Talvolta si possono trovare ancora cataloghi di radiatori basati sulla precedente normativa. 3

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Φ = C(∆θ)n dove C e´ un coefficiente caratteristico di ciascun radiatore; n e` un esponente che viene determinato durante le prove di laboratorio e che viene riportato nei cataloghi; ∆θ e´ la differenza di temperatura tra il radiatore e l’ambiente (temperatura operante): θm + θr − θa. 2 Applicando la relazione precedente anche alle condizioni di prova si pu`o eliminare il coefficiente C e ottenere:  n ∆θ Φ = Φn ∆θ n ∆θ =

Nei cataloghi sono riportati i valori di Φn e dell’esponente n, oltre alle condizioni di temperatura utilizzate per valutare la resa.

2.1.1 Osservazioni sul valore dell’esponente n L’esponente n risulta approssimativamente compreso tra 5/4 e 4/3 in quanto la resa dipende prevalentemente dallo scambio per convezione naturale. A seconda della conformazione del radiatore e soprattutto dell’altezza, la convezione tender`a al regime laminare piuttosto che a quello turbolento. Infatti, a parit`a delle altre condizioni, i radiatori di altezza maggiore hanno potenze rese maggiori, poich´e la superficie di convezione e´ piu’ alta e si ha una superficie pi`u ampia su cui si pu`o sviluppare il regime di moto turbolento. Nello scambio convettivo infatti si ha: Nu λ H con h coefficiente di scambio convettivo, H altezza di riferimento. Inoltre, nella convezione naturale si ha:  p = 1/4 se Ra < 109 regime di moto laminare p p Nu = c (Gr · Pr) = Ra con p = 1/3 se Ra > 109 regime di moto turbolento h=

dove gβ∆θH 3 ν · ν2 a con a diffusivit`a termica e ν viscosit`a cinematica. Pertanto, per il flusso termico convettivo Φc avremo:  ∝ ∆θ(5/4) in regime di moto laminare (p+1) Φc = hAc ∆θ ∝ ∆θ = ∝ ∆θ(4/3) in regime di moto turbolento Ra = Gr · Pr =

dove Ac rappresenta l’area di scambio convettivo. Ovviamente a questo flusso si aggiunge la componente radiante che resta praticamente costante e influisce leggermente sul valore finale dell’esponente n.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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2.1.2 Portata di fluido nei radiatori I radiatori sono alimentati ad acqua allo stato liquido4, eventualmente addizionata di glicole per abbassarne il punto di congelamento qualora si prevedano fermi prolungati dell’impianto durante l’inverno. Il valore della temperatura di mandata θm e del salto termico tra mandata e ritorno dell’acqua corrispondono a scelte progettuali; la tendenza attuale comunque e´ quella di porre θm = 75o C mantenendo il salto θm − θr al valore tipico di 10 K. Il valore della temperatura ambiente θ a dipende prevalentemente dalla destinazione d’uso dei locali, ad esempio, θ a = 20o C per edifici ad uso civile (esclusi i bagni) e θa = 18o C per edifici ad uso industriale. Se i valori di θm , θr e θa non coincidono con quelle di riferimento per i dati del catalogo che si ha a disposizione, si deve determinare la potenza resa dal radiatore con l’espressione presentata in precedenza. In ogni caso, per ogni locale, la potenza del radiatore, nelle condizioni operative scelte, deve superare la potenza del corpo scaldante calcolata come indicato in precedenza. Ovviamente la potenza da fornire al locale pu`o essere frazionata su pi`u terminali. Scelta la tipologia di radiatore (solitamente in base a criteri estetici), si valuta la resa singola, per poi arrivare al calcolo della portata di fluido necessaria ad avere la potenza desiderata: n  ∆θ = m ˙ w cw ∆θ w Φ = Φn ∆θ n con m ˙ w =portata di fluido (acqua normalmente). cw = calore specifico del fluido (4,187 kJ/kgK per l’acqua) ∆θ w = θm − θr = 10K tipicamente. Fissato il salto termico tra mandata e ritorno del fluido la portata di fluido resta determinata: Φ cw (θm − θ r ) In base alla portata di fluido si dimensionano le tubazioni, le valvole, etc. . . , in pratica la rete di distribuzione. Da notare che se viene aumentato il salto di temperatura ∆θw , per ottenere la stessa potenza termica sar`a sufficiente una minore portata di fluido ai terminali, ma l’impianto si adeguer`a piu’ lentamente alle variazioni di carico, ed in particolare si allungher`a il transitorio per portarlo a regime. Se il salto termico o le condizioni operative non coincidono con quelle della prova di laboratorio con cui si e` determinata la resa nominale dei radiatori si deve procedere a ritroso e ricavare la Φn di catalogo per fornire la Φcs nelle condizioni reali come segue:  n ∆θ n Φn = Φcs ∆θ w m ˙w=

Nei radiatori modulari, che sono sempre pi`u diffusi, si calcola invece la resa di un modulo a partire dalla resa nominale:  n ∆θw Φ1 = Φn,1 ∆θn dove Φ1 rappresenta la resa di un singolo modulo. Poi si ottiene il numero di moduli: Φcs m≥ Φ1 4

Sopravvivono pochi vecchi impianti alimentati a vapore d’acqua, soprattutto nei paesi nordici, in vecchi edifici molto disperdenti in quanto un fluido pi`u caldo permette dimensioni minori dei corpi scaldanti a parit`a di potenza fornita

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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2.1.3 Collocamento ideale dei radiatori I radiatori ben collocati sono posti di solito in una rientranza della parete, o sotto una piccola mensola, in modo che la turbolenza dell’aria venga aumentata nella zona sopra al radiatore stesso, aumentando cosi’ lo scambio termico, e le linee di flusso vengano piegate verso il centro della stanza. Il radiatore sotto la finestra inoltre irradia verso il centro della stanza e la parete opposta, e produce un circolo d’aria benefico. vedere anche fotocopie

14

25

Soluzione migliore 32

21

32

15

Soluzione peggiore: piedi piu’ freddi.

18

14

Radiatore

2.1.4 Altri tipi di corpi scaldanti con disposizione simile Esistono, oltre ai radiatori, anche altri tipi di corpi scaldanti di dimensioni simili ai radiatori, il cui dimensionamento e disposizione in ambiente risulta molto simile a quello visto in precedenza per i radiatori: In particolare • piastre radianti: molto simili ai radiatori, ma presentano una maggiore emissione di calore per irraggiamento, dell’ordine del 30/35 %.

000 111 0 1 000 111 0 1 1111111 0000000 000 111 0 1 0000000 1111111 000 111 0 1 000 111 000 111 0 1 000 111 0 Sconsigliabile: 1 000 111 0 1 000 111 0 1 000 111 il pannello blocca 0 1 000 111 0 1 000 111 0 il flusso radiativo 1 000 111 0 1 000 111 0 1 000 111 0 1 000 111 000 111 000 111 000000000000 111111111111 000 111 000000000000 000111111111111 111 • ventilconvettori: lo scambio termico e` garantito da una ventilazione forzata dell’aria su una batteria alettata in cui circola il fluido. • termoconvettori: simili ai precedenti, ma senza ventilatore: lo scambio ternico e` dovuto alla convezione naturale su batterie alettate, collocate spesso “a zoccolo, ovvero a livello del battiscopa sul pavimento. Sono utilizzati negli USA, e da noi nelle ristrutturazioni o al disotto di grandi vetrate. Presentano lo svantaggio di favorire il moto delle polveri.

2.2 Calcolo delle perdite di carico Le reti di distribuzione del fluido termovettore, essendo a tutti gli effetti circuiti idraulici, sono soggetti a delle perdite di carico, che devono essere determinate per il corretto dimensionamento dei tubi e

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la scelta delle pompe di circolazione. Le resistenze al moto si manifestano sia lungo le tubazioni e sono proporzionali alla lunghezza del percorso e sia in corrispondenza a variazioni brusche di sezione o deviazioni del flusso. Pertanto, le perdite di carico5 possono essere considerate di 2 tipi, distribuite ∆pd e localizzate o concentrate ∆pc . Di conseguenza, esprimiamo le perdite di carico complessive in un ramo di un circuito idraulico nel seguente modo: ∆p = ∆pd + ∆pc Con riferimento al Sistema Internazionale di unit`a di misura (SI) r si esprime in pascal (Pa) o suoi multipli (kPa o bar). Dividendo l’espressione di r per la densit`a dell’acqua ρ e per l’accelerazione di gravit`a g il salto di pressione viene espresso come altezza di colonna d’acqua, metri di colonna d’acqua (m c.a.) o col suo sottomultiplo pi`u utilizzato, il millimetro di colonna d’acqua (mm c.a.) e la perdita di carico per unit`a di lunghezza sar`a espressa rispettivamente in (m c.a./m) e (mm c.a./m). Osservazione: Per la valutazione delle pressioni sono in uso numerose unit`a di misura di tipo tecnico. In particolare, nei circuiti idraulici e` diffusa la misura in termini di altezza di colonna d’acqua espressa in millimetri (mm c.a.) o metri (m c.a.). Per passare facilmente da pascal a mm c.a. si consideri che una colonna d’acqua alta un metro (1000 mm c.a.) produce alla base, a causa del suo peso, una pressione: 1000 · 9, 81 · 1 N ρgz = = 9810 2 ≈ 10000Pa p= A 1 m Pertanto, in ambito tecnico si assume normalmente 1 mc.a. ≈ 10 kPa ; 1 mmc.a. ≈ 10 Pa Per le perdite di carico espresse in metri o millimetri di colonna d’acqua useremo nel seguito il simbolo ∆z. Nella fase di progettazione si cerca di limitare le perdite di carico e le velocit`a del fluido entro valori accettabili. Tipicamente, si fa in modo di restare entro i seguenti valori: 0, 5 < w < 2, 5 m/s per la velocit`a del fluido nei tubi; < 30 mm c.a./m per la perdita di carico specifica per metro di tubazione. 10 < ∆z L Per quanto riguarda i valori della velocit`a del fluido, valori elevati di w comportano diametri minori delle tubazioni con conseguenti minori ingombri e costi di impianto, parallelamente si hanno maggior usura delle tubazioni, maggior rumore e maggiori perdite di carico con necessit`a di pompe pi`u potenti e maggiori costi di esercizio.

2.2.1 Calcolo delle perdite di carico distribuite Le perdite distribuite sono funzione della scabrezza del diametro e della lunghezza dei condotti, e sono proporzionali al quadrato della velocit`a. Per le tubazioni (a sezione costante) e´ conveniente fare riferimento alle perdite per unit`a di lunghezza: 1 w2 r = fa ρ D 2 con: r perdita di carico per unit`a di lunghezza; D diametro del condotto 5

Le perdite di carico sono comunemente espresse in termini di differenze di pressione, trascurando le differenze di energia cinetica del fluido in diversi punti del circuito.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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ρ densit`a del fluido w velocit`a del fluido fa fattore di attrito (adimensionale) In regime laminare il fattore d’attrito risulta: 64 Re Per il regime turbolento il fattore d’attrito si pu`o ricavare dal diagramma di Moody o si pu`o calcolare per iterazioni successive con la relazione di Colebrook:   1 ε 2, 51 √ = −2 log + √ 3, 7D Re fa fa fa =

ε = scabrezza del condotto Re = numero di Reynolds, ρwD wD = µ ν con µ viscosit`a statica e ν viscosit`a cinematica del fluido. In alternativa si pu`o usare la formula di Altshul che ha il pregio di essere esplicita: 0,25  68 ε ′ + f = 0, 11 D Re Re =

con fa = f ′ se f ′ ≥ 0, 018 oppure fa = 0, 85f ′ + 0, 0028 se f ′ < 0, 018. Le perdite di carico sono influenzate dalla scabrezza o rugosit`a dei tubi. I tubi con minor scabrezza sono quelli in rame e quelli in materiale plastico quale polietilene normale, telato o ad alta densit`a (PE, PEX, PEAD), polipropilene (PP), polivinil-cloruro (PVC) che si usano sempre pi`u frequentemente anche per gli impianti ad acqua calda. I tubi in acciaio infine sono considerati di scabrezza media e sono utilizzati sia senza trattamento superficiale (acciaio nero) oppure trattati per la resistenza alla corrosione (acciaio zincato). A seconda del livello di scabrezza, esistono delle formule semplificate per il calcolo di fa 6 : • bassa scabrezza: 2µm < ε < 7µm (Cu, PE) fa = 0, 316 Re−0,25 • media scabrezza: 20µm < ε < 90µm (acciaio) fa = 0, 07 Re−0,13 D −0,14 • alta scabrezza: 0, 2mm < ε < 1mm tubi incrostati o corrosi. Le perdite di carico per i tubi di diversi materiali si trovano comunque anche diagrammate. Si hanno diagrammi del tipo schematizzato nella figura seguente diversi per materiale del tubo, e temperatura dell’acqua. Si entra nel diagramma con la portata e la perdita di carico unitaria desiderate, e si trova il diametro commerciale che le soddisfa. Per temperature diverse i valori di perdita di carico vanno corretti opportunamente7 a causa della variazione delle propriet`a termofisiche del fluido: soprattutto la viscosit`a. 6 7

Vedere anche il Quaderno CALEFFI: Reti di distribuzione. Vedi il materiale distribuito a lezione

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

10000000000000000000 111111111111111111 1010 1010 Diametro 101010 10111111111111111111 000000000000000000 10111111111111111111 10101010 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 1010 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 0 1 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 101010 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 10101010 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 10101010 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 10101010 000000000000000000 000000 111111 10111111111111111111 000000000000000000 1010 1010 10000000000000000000 10 111111111111111111 11111111111 00000000000

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Portata

Perdite di carico specifiche

Ad esempio, per lo stesso materiale esistono 3 diversi diagrammi, a seconda della temperatura dell’acqua: 10o /50o /80oC. Infatti al variare della temperatura la viscosita’ del fluido cambia sensibilmente e di conseguenza anche le perdite, che sono maggiori alle temperature basse; a parit`a di portata un impianto funzionante in raffrescamento con acqua ad una temperatura media di 10o C e` caratterizzato da perdite di carico maggiori di circa il 30% rispetto al funzionamento, in riscaldamento, con acqua ad una temperatura media di 80oC.

2.2.2 Calcolo delle perdite di carico localizzate Come perdite di carico localizzate si considerano quelle dissipazioni di energia che si manifestano per brevi tratti delle condutture, in corrispondenza a deviazioni brusche del moto del fluido, con insorgenza di fenomeni vorticosi dissipativi (in aggiunta a quelli che si hanno nei tratti rettilinei). Le brusche deviazioni del moto si possono individuare in presenza di curve a piccolo raggio, raccordi, variazioni di sezione, valvole, etc. . . , e vanno sommate alle perdite distribuite. Esistono due diversi metodi per la determinazione di tali perdite: Metodo diretto: e` il pi´u preciso dei due, e calcola direttamente la perdita in ogni discontinuit´a: w2 2 con ξ coefficiente di perdita localizzata, che di solito viene fornito per ogni tipo di “disturbo” che pu´o essere presente nel circuito. La perdita totale, per un tratto di tubo a diametro costante, risulta w2 X ∆z = L r + ρ ξ 2 ∆z = ξρ

Metodo delle lunghezze equivalenti: ad ogni elemento di disturbo viene associata una perdita aggiuntiva da sommare alle distribuite. Dimensionalmente sono lunghezze. In pratica si determina una lunghezza “virtuale” del tubo maggiore della reale, cos`ı le perdite totali vengono calcolate come sole perdite distribuite su tale lunghezza fittizia. Si avr`a: X Ltot = L + Leq

dove Ltot e` la lunghezza fittizia da usare nei calcoli, L la lunghezza effettiva della tubazione, Leq le lunghezze equivalenti delle diverse discontinuit`a. La perdita di carico totale sar´a: ∆z = r · Ltot

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Una volta determinate le perdite di carico per ogni tratto, si deve operare il bilanciamento idraulico dell’impianto.

2.3 Tipologie di distribuzione: Esistono diversi modi di collegare i terminali tra lora ed alla caldaia: per gli edifici ad uso civile principalmente vengono utilizzati 3 tipi di distribuzione diversa: • monotubo • a 2 tubi • a collettore, di solito complanare.

2.3.1 Distribuzione monotubo Si tratta di una distribuzione ad anello sul perimetro dell’ambiente da scaldare in cui i corpi scaldanti sono posti in serie. In passato veniva utilizzato specialmente nell’edilizia a basso costo, in quanto consente risparmi sul costo delle tubazioni. Caldaia

Terminali in serie

• pregi: basso costo di installazione e di tubazioni • difetti: se si chiude un radiatore si blocca il flusso anche agli altri, essendo posti in serie. Questo problema viene risolto con un by-pass per ogni terminale. Inoltre il salto termico avviene non in ogni terminale, che quindi scambia poco calore, ma in tutto l’anello, costringendo ad alzare le portate e di conseguenza le perdite di carico. Attualmente questo sistema viene utilizzato dove gli altri riultano troppo costosi,ad esempio per riscaldare locali molto ampi.

2.3.2 Calcolo nella distribuzione monotubo Si possono distinguere 3 diverse sottotipologie a seconda di come si garantisce il passaggio della portata scaldante di progetto nel radiatore o altro tipo di terminale. • valvola a 4 vie: garantisce un rapporto costante tra la portata nel corpo scaldante e quella nell’anello.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Radiatore Valvola

Mand.

Rit.

In pratica, e` un dispositivo di regolazione con 4 bocche che realizzano 2 percorsi, uno attraverso il radiatore e l’altro di by-pass. • tubo venturi: il rapporto tra le portate non e` pi`u costante, dipende dalle condizioni di funzionamento. • collegamento “normale” con detentore, ovvero valvola a perdita di carico variabile.

Per il dimensionamento, vengono date solo indicazioni di massima, per uno studio particolareggiato si faccia riferimento ai manuali dei produttori. Indipendentemente dal numero di anelli, si procede con un anello per volta, procedendo come segue: 1. Si calcola la potenza ΦA da fornire a tutto l’anello. Se ci sono n corpi scaldanti in un anello, la ΦA e` la somma delle potenze termiche ΦT di ogni terminale. X ΦA = ΦT

2. Si sceglie la ∆tA , salto termico nell’anello. Di solito si prende un valore compreso tra 10 e 15 K. 3. Si calcola la portata nell’anello, GA : GA =

ΦA c ∆tA

4. in base a tale portata ed alla perdita di carico unitaria desiderata, si trova il diametro del tubo grazie agli appositi grafici.

Diametro

Portata

Velocita’ nei tubi Perdite di carico specifiche

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Bisogna tener presente che i tubi in acciaio zincato sono pi`u costosi di quelli non zincati, ma piu’ economici del rame. Il Cu per`o e` flessibile (mentre l’acciaio costringe a fare solo curve a gomito), ed a sua volta pu`o essere ricotto, per migliorare ancora la flessibilit`a e diminuire dunque il raggio delle curve fattibili. il costo del Cu e` circa una volta e mezza quello dell’acciaio, ed e` meglio tenersi al disotto di 18/20 mm di diametro, per evitare prezzi degli acessori troppo alti. Se le portate risultassero in questo caso troppo elevate, la soluzione e` quella di suddividere l’anello in due. 5. Nel caso di collegamento con tubo venturi,

Radiatore Valvola

Ga

gi

Ga

Ga−gi

si possono operare sul singolo terminale i bilanci di energia e delle forze: • Bilancio di ENERGIA (o di potenze termiche): GA c(te,i − te,i+1 ) = Φt,i e si ricavano cos`ı le temperature di entrata nei diversi terminali te,i. • Bilancio di FORZE (o di pressioni): si hanno 2 rami con 2 nodi in comune, e quindi per l’equilibrio si deve avere lo stesso salto di pressione: ∆PA (GA − Gi ) = ∆Pi (Gi ) scegliendo il diametro di Gi e regolando la valvola si impone una certa pardita di pressione tra i 2 nodi. 6. Una volta dimensionato l’anello, si trova la perdita di carico globale: X ∆PA = ∆PAi + rA LA = rA Leq Leq = LA + dove

P

∆PAi rA

∆PA perdita di carico globale sull’anello ∆PAi perdita di carico sul singolo terminale rA perdita di carico per unit`a di lunghezza nel tubo principale dell’anello

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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LA Lunghezza di tale tubo. Leq Lunghezza equivalente di tale tubo, che considera anche le perdite concentrate. In presenza di pi`u anelli esistono perdite diverse per ogni anello: si tratta di introdurre una caduta di pressione ∆PV negli anelli che hanno perdite minori della massima, in modo da bilanciare l’impianto: per ogni anello con perdita ∆PA risulter`a ∆PV = ∆PA,max − ∆PA Se non si introducessero tali cadute di pressione, negli anelli con perdita minore della massima si avrebbe un aumento della portata fino ad avere un bilanciamento “spontane`o’ dell’impianto, con portata totale pi`u grande di quella di progetto, e potenza maggiore da fornire alle pompe. Per valutare di quanto aumentano le portate, si fanno due considerazioni: • la velocit`a aumenta linearmente con la portata

• Le perdite aumentano con il quadrato della velocit`a. Si pu`o calcolare la nuova portata, passando per la lunghezza equivalente: ′ ∆PA,max = Leq rA ′ con rA perdita concentrata con la nuova portata ′ rA =

∆PA,max Leq

′ Una volta noto rA , dal diagramma delle perdite si ricava la nuova portata G′A , che comunque deve soddisfare: G′A − GA < 10% GA

2.3.3 Distribuzione a 2 tubi E` il tipo di distribuzione che consente minor impiego di tubazioni senza precludere la possibilit`a di regolare il singolo terminale, come avviene nella monotubo. Consiste nel servire in serie e parallelo con due tubi i diversi terminali , che prendono il fluido dal tubo di mandata e lo scaricano su quello di ritorno. Il ritorno di un terminale NON va quindi a quelli successivi, come nel monotubo. Il collegamento pu`o esser fatto in due modi diversi, a seconda della lunghezza dell’impianto: ritorno semplice , usato per gli impianti piccoli la distribuzione E¨ presentata in figura 2.2 Si noti che le portate sono diverse nelle diverse zone di distribuzione, infatti ad ogni uscita verso un terminale la portata cala nel tubo di mandata, che verr`a quindi dimensionato con diametri decrescenti, per avere perdita di carico costante per unit`a di lunghezza.

Diametro inferiore Mand. Rit.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Caldaia

Ritorno semplice

Figura 2.2: circuito a ritorno semplice Caldaia

Ritorno inverso

Figura 2.3: circuito a ritorno inverso Per quanto riguarda le perdite di carico, l’ultimo terminale servito sar`a soggetto a perdite molto pi`u alte del primo, per la maggior lunghezza dei tubi di mandata e ritorno. Per mantenere le portate di progetto, si agisce sulle valvole dei diversi terminali. Se per`o l’impianto e` molto lungo, occorre pessare all’altra disposizione: ritorno inverso , in questo caso tutti i terminali sono soggetti a perdite simili figura 2.3, anche se si deve utilizzare un tubo di ritorno pi`u lungo: Per il dimensionamento delle reti a 2 tubi, si parte scegliendo una perdita unitaria (e dunque il diametro adatto alla nostra portata iniziale), e si dimensionano i vari tratti dei tubi cercando di mantenere costante tale perdita, pur con variazioni di portata. Per determinare le portate, si parte dalla potenza dei vari terminali: gi =

Φi c∆t

con ∆t = 10K, valore tipico, uguale per tutti i terminali. L aportata globale sar`a X G= gi

Per mantenere costanti le perdite di carico unitarie nei 2 tubi, ogni terminale dovr`a avere un suo diametro di mandata e di ritorno.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Caldaia

Pianta edificio

La disposizione a 2 tubi si presta all’utilizzo di tubi in acciaio, poiche`le curve sono di solito solo a gomito. attualmente per`o si preferisce il rame, che consente collegamenti a freddo e senza filettatura, grazie alla tecnologia “ a pressare”, o “press fitting”. Ad esempio, per il collegamento di 2 tubi in Cu di diverso diametro,

Azione pinze a freddo

Figura 2.4: raccordo a freddo si usa, come raffigurato in fig 2.3.3, un raccordo con due anelli di tenuta in gomma e pinze che garantiscono la tenuta, pur operando a freddo e senza filettature.

2.3.4

Distribuzione a collettore complanare

E` un sistema molto diffuso, e va molto bene per gli impianti nuovi in edifici di nuova costruzione, non si usa nelle ristrutturazioni. Prevede una distribuzione a livello locale, cio`e di unit`a abitativa, a partire da due collettori, uno di mandata e uno di ritorno giacenti sullo stesso piano che costituiscono un unico componente, a cui sono collegati in parallelo tutti i terminali. Il collettore, di solito d’ottone e di spessore di poco superiore al diametro esterno dei tubi di collegamento alla rete di distribuzione, viene posizionato in una nicchia ricavata in una parete anche sottile, in posizione il pi`u possibile baricentrica rispetto ai corpi scaldanti, per minimizzare la quantit`a di tubo utilizzato e le perdite di carico; la nicchia e` di solito coperta da una lamiera metallica o una piastra in materiale plastico. I tubi di collegamento, di solito in rame ricotto o in materiale plastico, si staccano dal collettore, scendono verticalmente fino al pavimento in cui scorrono in orizzontale e contribuiscono,anche se in piccola parte, al riscaldamento dei locali8 fino ai radiatori; in corrispondenza dei radiatori i tubi vengono piegati e fatti risalire nella parete e fatti fuoriuscire dalla parete in corrispondenza dell’attacco dei 8

Si vedano le fotocopie allegate

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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corpi scaldanti ai quali vengono collegati mediante la valvola ed il detentore. Il posizionamento dei tubi nel pavimento avviene prima del getto di allettamento e della finitura del pavimento. Per quanto riguarda il dimensionamento, le relazioni da utilizzare sono le stesse della distribuzione a due tubi. Da notare per`o che in questo caso ogni terminale e` collegato ai collettori con due tubi di lunghezza anche elevata, che quindi vanno scelti in modo da ottenere perdite di carico accettabili (pur restando preferibilmente sotto i 14 mm di diametro interno se si utilizza il rame, che oltre diventa molto costoso). Ogni terminale avr`a quindi la sua lunghezza equivalente ed il suo diametro, che porta ad una perdita totale che, in generale, e` diversa per ognuno di essi. Si vuole per`o che con le portate di progetto le cadute di pressione siano uguali in tutti i rami, poich`e questi sono collegati in parallelo nei collettori: altrimenti la portata nei rami meno sfavoriti aumenterebbe eccessivamente rispetto a quella di progetto. Il sistema va dunque bilanciato idraulicamente. Per ottenere ci`o si usano delle valvole di regolazione, in modo da ottenere la stessa perdita del ramo pi`u sfavorito anche sugli altri rami. Per la regolazione si pu`o intervenire anche sui detentori dei corpi scaldanti. Infine, si dovr`a garantire ai collettori una differenza di pressione pari alla perdita di carico del ramo pi`u sfavorito.

2.4 Pannelli radianti Sono terminali che scambiano calore gran parte per irraggiamento. Si distinguono 3 diversi tipi: 1. Pannelli ad elevata temperatura, θs > 680o C, destinati ad ambienti industriali, sono applicati sospesi per non essere raggiungibili dalle persone e staccati dalle strutture, date le alte temperature. Alcune tipologie realizzano la combustione sul supporto ceramico che costituisce l’elemento radiante, in tal caso, siccome i prodotti della combustione vengono immessi nei locali da riscaldare il loro uso e` limitato a locali aperti o semi aperti. In altre tipologie il fluido termovettore e` costituito da acqua calda pressurizzata, vapore o gas di scarico di un sistema di combustione. 2. Pannelli a media temperatura, 80÷200oC, anche questi sono destinati ad ambienti industriali, magazzini, ecc. e sono applicati sospesi e staccati dalle strutture. Il fluido termovettore e` acqua calda o gas di scarico di un sistema di combustione. Questo tipo ed i precedenti si usano in particolare quando la zona da riscaldare e` relativamente piccola rispetto all’intero locale. Presentano comunque degli scambi termici per convezione che scaldando l’aria al di sopra delle zone occupate sono da considerarsi come perdite.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Zona di lavoro 3. Pannelli a bassa temperatura, 25÷45o C, sono usati per impianti di riscaldamento, ma ultimamente anche per il raffrescamento estivo, facendo circolare nello stesso impianto acqua fredda (a temperature di circa 18o C). Questi ultimi possono essere: • a pavimento: buone prestazioni sia per riscaldamento che per il raffrescamento. Sono i pi`u utilizzati. • a parete: efficienti per riscaldamento e raffrescamento. • a soffitto: efficienti soprattutto per il raffrescamento

Lo scambio termico si realizza per convezione naturale con l’aria ambiente e in modo significativo anche per irraggiamento. Per i pannelli orizzontali, lo scambio termico e` pi`u efficace con flusso termico ascendente. Perci`o, per il riscaldamento sono migliori i pannelli a pavimento, mentre per il raffrescamento estivo la resa migliore si ha con i pannelli a soffitto, che per`o sono meno efficienti nella stagione invernale perch`e producono stratificazione dell’aria. Lo stesso varrebbe per il raffrescamento a pavimento, se non ci fosse una condizione favorevole: la radiazione solare di solito entra dall’alto verso il basso e colpisce il pavimento freddo che raccoglie cos`ı subito una parte del carico termico da asportare. Rimane comunque la limitazione sulla convezione. Da notare che la presenza di mobili sul pavimento di solito limita poco la diffusione del calore, mentre bisogna tener conto dei carichi che devono essere sopportati. l’impianto deve quindi essere robusto, di solito si hanno tubi annegati in profondit`a nel massetto di calcestruzzo che deve avere spessore maggiore di 45 mm. Questo problema non si pone per i pannelli a parete o a soffitto, che quindi possono essere molto pi`u prossimi alla superficie, ricoperti dall’intonaco o solo dalla tinteggiatura.

2.4.1 Riscaldamento a pavimento E` un tipo di impianto molto diffuso nei paesi dell’Europa centrale che si sta diffondendo sempre di pi`u anche in Italia. La sua realizzazione non richiede tecnologie particolari e pu`o portare a risparmi

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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energetici soprattutto in abbinamento con caldaie a condensazione. Viene trattato nella norma UNI EN 1264 (suddivisa in 4 parti). La prima parte e` riservata a definizioni e simbologia, la seconda alla determinazione della potenza emessa (utile ai produttori), la terza al dimensionamento (utile ai progettisti) e la quarta riguarda prescrizioni per l’installazione (utile ai progettisti, direttori dei lavori e installatori).

Finitura

Massetto con tubi Vengono chiamati pannelli radianti in quanto buona parte dello scambio termico avviene per irraggiamento.

Irraggiamento e convezione I pannelli sono realizzati disponendo nel massetto del pavimento, prima del getto, un tubo a spirale o a serpentina. E` consigliabile per il massetto l’utilizzo di materiali con buona resistenza meccanica ed alta conduttivit`a termica, come ad esempio il calcestruzzo (cls). L’obiettivo, nella realizzazione del pavimento contenente i pannelli, e` quello di favorire lo scambio termico verso l’alto e di limitarlo verso il basso, utilizzando uno strato compatto di isolante (va bene il polistirolo o il poliuretano espanso, non la lana di vetro o simili).

Finitura

Massetto con tubi Isolante Sopra il solaio portante si dispone lo strato di isolante, i cui spessori devono rispettare i valori di resistenza minima previsti nella UNI EN 1264-4 e riportati nella Tabella 2.4.1. L’isolante e` poi protetto

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

48

con un foglio di polietilene o equivalente. Al di sopra si posa solitamente una rete metallica che serve sia a evitare crepe nel massetto che per l’ancoraggio dei tubi mediante ganci. I tubi sono raramente di rame, di solito sono di materiale plastico quale polietilene (PE) o polipropilene (PP) con una guaina per bloccare la diffusione dell’ossigeno che trasportato poi dall’acqua andrebbe ad intaccare le parti ossidabili dell’impianto. I tubi vengono posati sopra la rete metallica con un passo stabilito in fase di progettazione 9 . Tabella 2.2: Resistenza termica minima degli strati di isolamento sottostanti l’impianto di riscaldamento a pavimento Resistenza termica minima (m2 K/W) Pavimento verso Ambiente sottostante Ambiente sottostante riscaldato non riscaldato o Ambiente esterno riscaldato in modo non continuativo o Temperatura esterna di progetto direttamente sul terreno (*) θe ≥ 0o C −5 ≤ θe ≤ 0o C −15 ≤ θe ≤ −5o C 0,75 1,25 1,25 1,50 2,00 (*) Con un livello di falda freatica ≤ 5m il valore dovrebbe essere aumentato

Tubo

Pianta

Sezione

Esempi di posa:

9

Una soluzione alternativa alla rete metallica e` costituita da pannelli isolanti con delle sporgenze cilindriche che hanno lo scopo di trattenere i tubi in modo da rispettare il passo previsto. In questo caso il passo tra i tubi pu`o variare solamente ad intervalli discreti corrispondenti al passo tra le sporgenze.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Infittimento nel lato freddo della stanza

Per riscaldare un edificio si hanno pi`u circuiti che fanno capo ad un unico collettore, posto di solito in una nicchia in una parete verticale non necessariamente in posizione baricentrica in quanto la lunghezza dei tubi dipende meno dalla posizione dei collettori. I tubi di norma hanno tutti lo stesso diametro, e le perdite dei diversi circuiti dipendono quindi solo dalle diverse lunghezze. Essendo i circuiti in parallelo nel collettore, per avere le portate di progetto si deve procedere al bilanciamento idraulico dell’impianto, tramite opportune valvole regolabili posizionate sul collettore. I collettori di mandata e ritorno per i pannelli radianti non sono complanari e neppure collegati rigidamente e solitamente sono pi`u ingombranti di quelli per impianti a collettori, anche per la presenza delle valvole di regolazione. Le norme prendono in considerazione diverse configurazioni (tipi) di pannelli: Tipo A Finitura superficiale

Massetto Isolante con tubi Protezione Struttura isolante portante

Dall’alto verso il basso: rivestimento finale massetto contenente i tubi in cui fluisce il fluido caldo strato di protezione ed isolante struttura portante Tipo B

Finitura

Tubi disposti nell'isolante

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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I tubi sono disposti sullo strato pi`u superficiale dell’isolante con delle sottili lamelle che permettono miglior distribuzione orizzontale del flusso termico. Tipo C si ha un pannello prefabbricato contenente al suo interno tubi gi`a predisposti, collocati sopre l’isolante. Poich`e lo scambio termico avviene principalmente per irraggiamento, oltre alla temperatura dell’aria, assume particolare importanza la temperatura delle superfici interne delle pareti. E’ opportuno perci`o fare riferimento alla temperatura operante θo dell’ambiente che e` una media pesata tra la temperatura dell’aria θa e la temperatura media radiante θmr delle superfici interne: θo = Aθa + (1 − A)θmr dove A e` il coefficiente di pesata (ovviamente A < 1). Per velocit`a dell’aria basse si pu`o assumere A = 0, 5 e pertanto: θa + θmr θo = 2 La temperatura media radiante delle pareti θmr e` la temperatura uniforme che le pareti dovrebbero avere per scambiare per irraggiamento lo stesso calore, l’esatto valore di θmr si ottiene pesando con i fattori di vista e con l’area il valore della temperatura assoluta delle diverse pareti: θmr = Tmr − 273, 15 dove Tmr

v uX u n 4 t (θsj + 273)Fj = j=1

ed inoltre n

numero di pareti

θsj

temperatura della j-esima parete

Fj

fattore di vista della j-esima parete

Quando le pareti hanno temperature superficiali poco diverse tra loro (∆θ < 5K si pu`o assumere: Pn j=1 θ sj Aj θmr ≈ Pn j=1 Aj

con Aj area della j-esima parete. Nella norma UNI EN 1264-2 e` fornita un’espressione per il calcolo della potenza termica per unit`a di superficie che il pannello pu`o fornire in funzione delle temperature in gioco: Y q = B (ai )mi ∆θH (2.1) dove q

flusso termico per unit`a di superficie fornito dal pannello

B = coefficiente caratteristico dell’impianto

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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ai , mi coefficienti caratteristici del pavimento ∆θH differenza di temperatura media logaritmica tra l’acqua nei tubi e l’ambiente. La differenza di temperatura media logaritmica e` data dalla seguente relazione: ∆θH =

θV − θR −θ i ) ln( θθVR −θ i

con θV

temperatura di mandata dell’acqua

θR

temperatura di ritorno dell’acqua

θi

temperatura dell’ambiente

Ci sono diversi fattori che influenzano la potenza scambiata e di cui si tiene conto mediante i i termini am i : • Il passo tra i tubi, T ; • Lo spessore del supporto, su . Normalmente il supporto e` il massetto in CLS. • La conduttivit`a termica del supporto, λE ; • La resistenza termica del rivestimento, RλB ; • Il diametro esterno dei tubi, D, che solitamente sono rivestiti da una barriera alla migrazione di O2 : • elementi conduttivi addizionali, KW L ; • Il contatto tra i tubi e il pavimento. In realt`a la potenza scambiata dovrebbe essere q = f (∆θnH ) con 1, 00 ≤ n ≤ 1, 05, ma di fatto si usa sempre n = 1. Mediante la formula 2.1 il produttore del pannello (o il progettista) al variare dei parametri costruttivi determina le curve caratteristiche del pannello in funzione di ∆θH in particolare, per i valori del passo T che si intendono utilizzare, sono utili le curve ottenute con resistenze del rivestimento Rλ,B = 0, 0 ed Rλ,B = 0, 1 m2 K/W. Sui diagrammi che rappresentano le curve caratteristiche sono riportate anche le curve che rappresentano le massime potenze ottenibili qG , al variare di ∆θH , per una temperatura massima superficiale di 29o C (zona calpestabile) e 35o C (zona perimetrale)10 . L’emissione massima qG per per un salto termico θF,max − θi = 9 K (curva limite inferiore si ottiene dalla seguente relazione: qG = BG (∆θ H )nG 10

Le curve limite inferiore e superiore valgono per differenze tra la massima temperatura del pavimento e l’ambiente di 9 K e 15 K rispettivamente. In particolare la curva limite inferiore si pu`o utilizzare anche per i bagni dove e` prevista una temperatura superficiale massima di 33o C per una temperatura ambiente di 24o C, associate a Rλ,B = 0, 0.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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mentre l’emissione massima qG per per un salto termico θF,max − θi = 15 K (curva limite superiore si ottiene dalla analoga relazione:  1,1(1−nG ) 15 (∆θH )nG qG = BG 9 dove BG ed nG sono riportati in prospetti nella Norma UNI EN 1264-2 in funzione del passo tra i tubi T e dello spessore su e conduttivit`a termica λE dello strato di supporto. Dalla uguaglianza tra queste espressioni di qG e la resa del pannello fornita dalla 2.1 si ottiene il valore di ∆θH,G salto di temperatura medio logaritmico in corrispondenza della intersezione tra le curve caratteristiche e le curve limite11. Per i limiti sulla temperatura massima del pavimento a 29o C nella zona calpestabile un pannello ha una emissione massima di circa 100 W/m2 in tale zona. Mentre ai bordi dei locali, dove si ha maggiore dispersione e dove e` concessa una temperatura massima di 35o C il limite di emissione raggiunge dirca 175 W/m2 . Valori tipici di emissione in fase di progetto per la zona calpestabile sono q = 80/90 W/m2 .

2.4.2 Prestazioni e dimensionamento dei pannelli a pavimento Il dimensionamento dei pannelli a pavimento per i diversi ambienti viene effettuato utilizzando un diagramma, su cui sono riportate le curve caratteristiche, calcolate con la formula 2.1, che in ascissa presenta la differenza di temperatura media logaritmica ∆θ H tra ambiente e l’acqua nei tubi, mentre in ordinata il flusso termico specifico q per diversi valori del passo T e della resistenza del rivestimento q''

Grafico bilogaritmico

θ ι − θ fm Rλ,B vedi figura 2.5. Per il dimensionamento dell’impianto il punto di partenza e` sempre la potenza da fornire ad ogni singolo locale, indicata nella Norma come QN,f che deve essere depurata della dispersione dal pavimento verso il basso12 in quanto questa viene compensata da una maggior portata d’acqua, senza influire sulla temperatura della superficie superiore. Si valuta poi, per ogni stanza, la richiesta di potenza per unit`a di superficie utile di pavimento: QN,f,j qj = (2.2) AF,j dove AF,j rappresenta l’area utilizzabile per disporre i tubi del pannello nella j-esima stanza. Si individua la stanza pi`u sfavorita, che e` quella che richiede la massima emissione:

qmax = max {qj } 11

Per i dettagli vedere la Norma UNI EN 1264-2. Nella determinazione delle curve caratteristiche, quando si valuta la prestazione del pannello, la dispersione verso il basso viene assunta pari al 10% di quella verso l’alto. 12

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

53 R

q'' 175

Limite alto θpavim. 100 Limite basso θpavim. ∆θ h

Figura 2.5: Esempio di diagramma con le curve caratteristiche e le curve limite

da questo calcolo sono esclusi i bagni, che vengono considerati con θi = 24oC e quindi con un

Area perimetrale

Area calpestabile

0, 1 bisogna utilizzare le curve caratteristiche valutate per la resistenza effettiva del rivestimento.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

54 R λB

q'' R λB = 0

∆θ h

Figura 2.7: Curve caratteristiche di un pannello a pavimento per diversi valori della resistenza del rivestimento

per le zone perimetrali, con θF,max − θi = 15K. si tratta dunque di trovare sul diagramma, in funzione della qmax , il passo dei tubi e la resistenza del pavimento (anche se la finitura e` scelta a priori dal committente). Naturalmente, minore e` il passo, maggiore e` l’emissione a parit`a di massima temperatura del pavimento in quanto si ha maggiore uniformit`a della temperatura superficiale. Praticamente, si entra nel diagramma sulle ordinate col valore di qmax e muovendosi in orizzontale si individuano le intersezioni tra il valore di qmax e le curve caratteristiche per i diversi passi. Le intersezioni al di sotto della curva limite inferiore individuano tutte dei passi utilizzabili. Se non ci sono intersezioni al di sotto della curva limite inferiore si procede a suddividere il pavimento in zona perimetrale e zona calpestabile14 . Individuata la fascia che si vuole utilizzare come perimetrale, con larghezza massima di 1 metro, se ne calcola l’area AR alla quale competer`a un flusso specifico qR scelto tra quelli ottenibili dal pannello al di sotto della curva limite superiore. Scelto il passo TR , che fornisce qR , si calcola la potenza termica residua da soddisfare con il pannello nella zona occupata (calpestabile) di area AA = AF − AR come: QA = QN,f − qR AR Quindi, l’emissione richiesta su tale area e` : qA =

QA AA

Se questo qA non e` pi`u il qmax si ripete il procedimento a ripartire dalla stanza con qj = qmax. Riassumendo, l’emissione nella zona calpestabile deve star sotto la curva limite inferiore, nella zona perimetrale sotto quella superiore. Se nemmeno cos`ısi riesce a soddisfare QN,f , tenuto conto che la fascia perimetrale non pu`o essere pi`u larga di 1m, si inserisce nell’ambiente un terminale di altro tipo, tipicamente un ventilconvettore che funziona con temperature simili a quelle dei pannelli radianti oppure un radiatore o uno scalda salviette (nei bagni). In questo caso il contributo del terminale va sottratto al QN,f . Le zone periferiche che hanno temperature superficiali pi`u elevate (fino a 35o C sono generalmente situate lungo le pareti esterne dell’ambiente, in corrispondenza quindi delle zone a maggior dispersione. 14

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Temperatura di mandata dell’acqua in condizioni di progetto Poich`e il q viene fornito tramite itacqua calda, il passo successivo e` la valutazione della temperatura di mandata dell’acqua: La temperatura superficiale del pavimento non e` uniforme ma e` maggiore in corrispondenza dei tubi e massima in corrispondenza del primo tubo del circuito dove l’acqua e` alla temperatura di mandata θV . In pratica, la limitazione sulla temperatura superficiale si traduce in un limite sulla temperatura di mandata dell’acqua. La formula 2.1 permette di determinare la resa in funzione della differenza di temperatura media logaritmica tra l’acqua e l’ambiente ∆θ H ma da questa non e` direttamente esplicitabile la temperatura di mandata dell’acqua che costituisce un parametro progettuale fondamentale. ∆θH =

θV − θR −θ i ) ln( θθVR −θ i

(2.3)

L’acqua subisce dunque un salto termico tra la temperatura di mandata θV e quella di ritorno θR : σ = θV − θR

(2.4)

θ V e` la stessa per tutti i circuiti che confluiscono allo stesso collettore di zona. Per gli impianti semplici e` preferibile che θV sia la stessa per tutti i circuiti anche per un impianto con pi`u zone controllate separatamente. Oltre al passo tra i tubi, la temperatura di mandata dell’acqua rappresenta l’altra incognita da determinare nella fase di progettazione. Si definisce temperatura di mandata di progetto θV,des , quella calcolata partendo dal locale pi`u sfavorito, cio`e quello con flusso termico specifico pi`u alto. La differenza tra questo valore e la temperatura dell’ambiente viene definita come: ∆θ V,des = θV,des − θi Per il locale pi`u sfavorito si fissa come riferimento σ ≤ 5 K. La ∆θ V,des pu`o essere ricavata direttamente dalla espressione di ∆θ H,des 15 , infatti dalle equazioni 2.3 e 2.4 si ottiene: σ ∆θH = ∆θ V ln( ∆θV −σ ) da questa, passando dal logaritmo agli esponenziali si esplicita rispetto a ∆θV e si ottiene: ∆θV =

σ

(2.5)

− ∆θσ

1−e

H

La stessa equazione 2.5 si pu`o usare per il valore di progetto ∆θV,des , e` sufficiente sostituire ∆θ H con ∆θ H,des . In alternativa alla 2.5, la norma propone due espressioni approssimate per ∆θV a seconda del valore del rapportoσ/∆θH , i due casi sono: σ/∆θH ≤ 0, 5 oppure σ/∆θH > 0, 5 Nel primo caso, se si assume σ = 5 K allora ∆θH ≥ 10 K e si ha: ∆θ V,des ≤ ∆θ H,des + 15

il pedice des indica il valore assunto in condizioni progetto

σ 2

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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σ/∆θH > 0, 5, e quindi se σ = 5 K ∆θH ≤ 10 K, si ha: ∆θV,des ≤ ∆θ H,des +

σ2 σ + 2 12∆θH,des

Nelle precedenti equazioni la norma permette di utilizzare al posto della differenza ∆θ H,des corrispondente alla emissione in condizioni di progetto qdes la differenza ∆θH,G corrispondente alla emissione limite qG per lo stesso passo, con la limitazione: ∆θV,des ≤ ∆θ H,G +

σ 2

con σ ≤ 5 K. Dal diagramma si ottengono la ∆θ H,des a partire da qmax e dalla curva caratteristica del pannello scelto per il locale e la ∆θH,G in corrispondenza della intersezione tra la stessa curva caratteristica e la curva limite inferiore, come rappresentato nella figura 2.8 Se l’ambiente e` previsto

Figura 2.8: Uso del diagramma per la scelta della temperatura di mandata dell’acqua

con la zona periferica a temperatura pi`u elevata la scelta della temperatura di mandata acqua pu`o essere fatta con riferimento alla curva limite superiore se il circuito della zona periferica e` separato da quello della zona occupata ed e` alimentato con un controllo separato della temperatura dell’acqua, oppure anche nel caso in cui il circuito sia in serie, a monte di quello della zona calpestabile, purch´e il salto termico sul circuito della zona periferica sia calcolato in modo che la temperatura dell’acqua all’ingresso della zona occupata non violi il limite imposto dalla curva limite inferiore, per la curva caratteristica corrispondente al passo scelto per la zona occupata.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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R finitura scelta

q''

R finitura scelta

q''

q max. σ/2

q max.

∆θ h, des

∆θ h

∆θ ∆θh, des

∆θ h h, G

∆θ v, des

Salto termico per l’acqua negli altri ambienti Per gli altri ambienti alimentati con la stessa temperatura di mandata e quindi con lo stesso ∆θV,des , il valore della differenza di temperatura media logaritmica acqua-ambiente ∆θ H,j si ricava dal diagramma delle curve caratteristiche in corrispondenza della emissione qj richiesta per il locale j−esimo. Si calcola il salto termico sull’acqua: σ j = 2(∆θV,des − ∆θH,j ) tale valore e` accettabile se soddisfa la limitazione (σ j /∆θH,j ) < 0, 5 altrimenti deve essere calcolato con la seguente formula: " # 1 3 ∆θV,des − ∆θH,j 2 σ j = 3∆θH,j 1+ −1 4 ∆θH,j Portata d’acqua nei circuiti Fissato il salto termico ∆θ V,des tra acqua e ambiente ed il salto termico sull’acqua σ j resta da determinare la portata d’acqua nei circuiti. Ogni circuito deve fornire una potenza termica QN f,j verso l’alto al locale da riscaldare ma contemporaneamente disperde verso il basso una potenza termica Qu,j in funzione della condizione al contorno inferiore e della resistenza termica della struttura al disotto dei tubi. Quindi, per il j-esimo locale, la totale potenza che l’acqua deve fornire e` : Qw,j = QN f,j + Qu,j = m ˙ H,j cw (θV − θ R )j = m ˙ H,j cw σ j dove: m ˙ H,j portata di fluido nel j-esimo circuito; cw

= 4190 J/(kg K) calore specifico dell’acqua;

Qu,j perdita dal pannello verso il basso.

(2.6)

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

58

Con riferimento alla unit`a di superficie di pannello, la potenza che l’acqua deve fornire pu`o essere espressa come: Qw,j = qJ + qu,j AF,j dove: qu,j perdita dal pannello verso il basso, per unit`a di superficie AF,j area del pavimento Tralasciando per brevit`a il pedice j, con riferimento alla figura 2.9, indicando con qo = qj il flusso termico da fornire verso l’alto e con θw la temperatura dell’acqua in un generico punto del circuito, si possono fare le seguenti considerazioni: Finitura superficiale

Ti Ro Tw

Isolante Ru

Supporto Tu

Figura 2.9: Schema di riferimento per la determinazione della portata d’acqua

Flusso termico specifico verso l’alto: qo =

θw − θi Ro

dove con Ro si e` indicata la resistenza termica per unit`a di superficie tra i tubi e l’ambiente superiore, ottenuta come somma delle resistenze dei singoli strati di materiale e della resistenza superficiale superiore: 1 su Ro = + Rλ,B + hi λu 1 hi

= 0, 093 (m2 K)/W dove: 1 hi

= 0, 093 (m2 K)/W e` la resistenza superficiale superiore

Rλ,B e` la resistenza conduttiva del rivestimento, su

e` lo spessore dello strato di supporto,

λu

e` la conduttivit`a termica dello strato di supporto.

Flusso termico specifico verso il basso: qu =

θw − θu Ru

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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dove con Ro si e` indicata la resistenza termica per unit`a di superficie tra i tubi e l’ambiente inferiore, ottenuta come somma delle resistenze dei singoli strati di materiale e della resistenza superficiale inferiore: 1 Ru = Rλ,ins + Rλ,sol + Rλ,int + hu dove: Rλ,ins e` la resistenza conduttiva dell’isolante, Rλ,sol e` la resistenza conduttiva della soletta, Rλ,int e` la resistenza conduttiva dell’intonaco, 1 hu

= 0, 017 (m2 K)/W e` la resistenza superficiale inferiore.

Somma dei due contributi:

θw − θi θw − θu + Ro Ru si aggiunga e si sottragga θi al numeratore della seconda frazione del membro di destra, si ottiene: qo + qu =

qo + qu = infine:

e poich`e

θw − θi θw − θi θi − θu + + Ro Ru Ru

θw − θi qo + qu = Ro

  Ro Ro θi − θu 1+ + Ru Ru θw − θ i

qo = qj = si ha:

θw − θi Ro

  Ro θi − θu qo + qu = qj 1 + + Ru qj Ru

Cos`ı, moltiplicando per l’area del pavimento, la potenza totale da fornire al locale j-esimo risulta:   Ro θi − θu Qw,j = (qj + qu,j )AF,j = AF,j qj 1 + + Ru qj Ru dalla equazione 2.6 per il locale j-esimo si ha la seguente portata d’acqua:   AF,j qj Ro θ i − θu Qw,j = 1+ + m ˙ H,j = cw σ j cw σ j Ru qj Ru Nel caso in cui si abbia θu = θi , ovvero l’ambiente sottostante sia riscaldato, la formula si semplifica come segue:   AF,j qj Ro m ˙ H,j == 1+ cw σ j Ru

Il qu (calore ceduto verso il basso) e` equivalente al calore di un pannello radiante a soffitto per il vano inferiore, e bisogna tenerne conto.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Lunghezza dei circuiti La lunghezza dei circuiti pu`o essere valutata con buona approssimazione, trascurando il contributo delle curve, nel modo seguente: AF L= T dove AF e` l’area del pavimento, e T il passo tra i tubi. E’ preferibile che la lunghezza dei circuiti cada nel seguente intervallo: 30 < L < 100 m In quanto percorsi molto lunghi hanno perdite di carico elevate, gravando troppo sulla pompa di circolazione, la cui prevalenza dipende direttamente dalla lunghezza del circuito pi`u sfavorito. Da tale prevalenza e dalla portata totale dipende poi la potenza ed il consumo di energia della pompa. Se dal calcolo risultano valori di L troppo elevati, occorre spezzare il circuito in 2 o pi`u rami, ridistribuendo la portata a parit`a di salto termico sull’acqua cos`ı si riducono di molto le perdite di carico. Questo e` consigliato nel caso ci sia un circuito molto pi`u lungo degli altri, che condiziona tutto l’impianto.

Stanza 1

Stanza 2

Nella posa in opera ci sono dei locali (di solito i corridoi) in cui passano i tubi di diversi circuiti ed il passo pu`o essere troppo stretto per il rispetto della temperatura massima del pavimento, in tal caso si provvede ad isolare alcuni tratti di tubo per evitare surriscaldamento. Tale isolamento protegge anche dalla formazione di condensa superficiale nel caso i pannelli vengano usati anche per il raffrescamento estivo. Per concludere, si sottolinea che gli impianti di riscaldamento in cui il fluido termovettore e` a bassa temperatura come per i pannelli radianti e spesso per i ventilconvettori si possono utilizzare efficacemente le caldaie a condensazione che in questi casi funzionano in condizioni ottimali.

2.5 Confronto tra caldaie tradizionali ed a condensazione Nelle caldaie tradizionali i fumi vengono espulsi a temperature tali da evitare la formazione di condense nel condotto dei fumi: per le caldaie a gasolio, a nafta o ad olio pesante, a causa della presenza dello zolfo nei fumi i valori tipici sono attorno ai 120/140oC per evitare la condensa acida dei composti dello zolfo. Per le caldaie a gas la temperatura dei fumi pu`o scendere a valori molto pi`u bassi fino a circa 80o C. Nelle caldaie a condensazione invece, gli scambiatori fumi-acqua sono fatti in

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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modo da tollerare la condensazione del vapor d’acqua presente nei fumi e di sfruttarne cos`ı il calore di cambiamento di fase r che per i livelli di temperatura in gioco vale circa 2500 kJ/kg. Il metano (CH4 ), combustibile utilizzato in queste caldaie, tra gli idrocarburi e` quello che presenta il maggior rapporto H/C, che si traduce nella maggior in una maggior quantit`a di acqua nei fumi ed una maggior differenza tra il potere calorifico inferiore e quello superiore (circa il 10%). Potere calorifico a 25o C

Combustibile

[kJ/kg] [kJ/m3n] inferiore superiore inferiore superiore Idrogeno Metano Propano

120000 50050 46350

141900 55550 50400

10800 35890 93630

12770 39830 101800

Densit`a normale [kg/m3n] 0,090 0,717 2,020

Tabella 2.3: Poteri calorifici per alcuni combustibili gassosi Da qui la convenienza nel far condensare il vapore presente nei fumi, che normalmente contengono acqua CO2 , N2 e tracce di altri composti trascurabili dal punto di vista energetico. La temperatura di rugiada del vapore contenuto nei fumi di una combustione stechiometrica di metano e` di circa 59o C 16 . Raffreddando i fumi sotto tale vapore si ha dunque formazione di condensa. Pi`u fredda e` l’acqua di ritorno dall’impianto, pi`u bassa pu`o essere la temperatura dei fumi in uscita, maggiore sar`a la quantit`a di vapore condensato, e dunque il calore latente recuperato. Le caldaie a condensazione si accoppiano quindi perfettamente con gli impianti a pannelli radianti a pavimento, che hanno temperature del fluido circolante molto pi`u basse di quelle dei radiatori. La temperatura superficiale del pavimento deve infatti restare al disotto dei 29o C, che corrisponde ad una temp. di mandata attorno a 40 ÷ 50oC. Altro buon accoppiamento e` quello con i ventilconvettori, che per evitare un eccessivo riscaldamento dell’aria vengono fatti funzionare con una termperatura dell’acqua dell’ordine di 45 ÷ 50o C. Si noti che le temperature di ritorno sono minori, tipicamente di 10K, rispetto a quelle di mandata, e risulta quindi molto semplice far condensare il vapore nei fumi. Comunque, non si realizza mai la condensazione di tutto il vapore presente nei fumi in quanto man mano che questi si seccano diminuisce la pressione di vapore e la temperatura di rugiada. Per aumentare le prestazioni di queste caldaie esse sono di solito accoppiate ad una sonda climatica esterna17 e ad una centralina elettronica che regola la temperatura di mandata dell’acqua all’impianto facendola diminuire all’aumentare della temperatura esterna18 . Una caldaia a condensazione provvista di sonda climatica esterna e centralina di controllo pu`o risultare vantaggiosa anche su un impianto a radiatori, in quanto ai carichi parziali le temperature di ritorno possono scendere al disotto del valore critico. Una caldaia a condensazione che lavori a temperature sufficientemente basse arriva ad avere rendimenti superiori del 10/15% rispetto ad una tradizionale. • caldaia tradizionale a CH4 ad alto rendimento ha: Φu η t100 = ≈ 91% m ˙ c Hi + R 16 La combustione avviene sempre con un eccesso d’aria ed il valore della temperatura di rugiada diminuisce all’aumentare dell’eccesso d’aria nella combustione a causa della diluizione dei fumi ed una minore pressione parziale del vapor d’acqua. 17 Sonda che misura la temperatura dell’aria esterna 18 La regolazione si basa sulla dipendenza quasi lineare tra il carico sull’impianto e la differenza di temperatura tra gli ambienti riscaldati e l’esterno

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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dove η t100 = rendimento a massimo carico riferito ad Hi Hi = potere calorifico inferiore R = potenza del ventilatore del bruciatore (trascurabile) Si vede che la massima potenza ottenibile e` forzatamente legata all’Hi, non avendosi condensazione. • caldaia a condensazione a CH4 :

Acqua di ritorno

Condensa

η=

Φu, cond ≈ 90/92% m ˙ c Hs

η t100 = 98/102% dove η rendimento a massimo carico riferito ad Hs Hs potere calorifico superiore Si noti che il valore di η t100 pu`o superare l’unit`a in quanto e` riferito al potere calorifico inferiore. Come si pu`o notare, il rendimento effettivo di una caldaia a condensazione pu`o essere nettamente superiore, anche se bisogna controllare con continuit`a la temperatura dell’acqua per garantire la condensazione in tutte le situazioni in cui e` possibile. In definitiva, una caldaia a condensazione rispetto ad una normale comporta: - minori spese di combustibile maggiori spese di acquisto e manutenzione.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

63

2.6 Locali caldaie e sicurezza La caldaia e` un sistema che trasforma l’energia chimica di una portata di combustibile, m ˙ c , in energia termica, trasportata poi all’edificio con una linea di distribuzione del fluido caldo. La portata di fluido in uscita e` garantita da una pompa, e poch`e il circuito e` chiuso e il regime stazionario ci sar`a un ritorno con la stessa portata. Si rendono necessari dispositivi di controllo e sicurezza:

MANOMETRO POMPA SFIATO VASO ESPANSIONE

MANDATA

TRM RM VS(RM) TRM REG

VAC

RITORNO

TRM CD PRST RM

• TRM RM= termostato di sicurezza a riarmo manuale: si interviene manualmente per riattivare il sistema. Scatta quando la temperatura supera quella di regolazione. • TRM REG= termostato di regolazione, spegne la caldaia quando si raggiunge la temperatura dell’acqua voluta. • VAC= valvola di controllo del combustibile, che pu`o essere chiusa da un dispositivo di sicurezza attiva quando si raggiungono temperature troppo elevate. • TRM CAL= tremometro caldaia, senza funzioni di sicurezza. • TRM MA= termometro sulla tubazione di mandata • MAN= manometro per controllare la pressione • PRS RM= pressostato a riarmo manuale, scatta al superamento di una pressione ritenuta pericolosa • SFT= sfiato, che sfiata i gas presenti nella caldaia • VS RM= valvola di sicurezza, la cui apertura e` controllata da una molla, quando scatta si ha uno scarico di parte del fluido contenuto nel generatore. anche questa e` a riarmo manuale, ed e` sensibile alla pressione nel fluido. • VE= vaso di espansione, che compensa le dilatazioni del fluido alle diverse temperature.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

64

2.6.1 Vasi di espansione Il fluido che riempie tutti i componenti dell’impianto e tutti i tubi, durante il funzionamento dell’impianto subisce delle variazioni di temperatura cicliche (cicli giornalieri, settimanali, stagionali). Le maggiori variazioni si hanno tra i lunghi periodi di spegnimento ed i periodi di pieno regime. A causa delle variazioni di temperatura il fluido e` soggetto a variazioni di volume per effetto della dilatazione termica. Per impianti a liquido, la variazione di volume tra impianto freddo e impianto caldo (espansione) si valuta in funzione del contenuto di fluido19 e delle sue caratteristiche, come segue: E = Vl α(θ)(θmax − θmin ) con: E

variazione di volume del liquido dell’impianto;

Vl

volume di liquido contenuto nell’impianto;

α(θ) coefficiente di dilatazione volumica del liquido20; θmax massima temperatura prevista per il funzionamento normale dell’impianto; θmin minima temperatura prevista per il liquido dell’impianto. Per gli impianti di riscaldamento ad acqua, assumendo normalmente: θmax = 80o C θmin = 10o C tenuto conto della dipendenza di α dalla temperatura si pu`o assumere: α(θ max − θmin ) = 0, 03 In pratica la variazione di volume del liquido risulta pari al 3% del volume iniziale. Per gli impianti a radiatori il volume d’acqua Vl contenuto nell’impianto e` proporzionale alla potenza dell’impianto e vale circa 15÷20 l/kW. La variazione di volume del fluido, durante l’esercizio normale dell’impianto, e` compensata mediante dei dispositivi detti vasi di espansione21 . I vasi di espansione sono collegati al generatore mediante dei tubi detti tubi di sicurezza che devono rispettare particolari disposizioni dimensionali e di collegamento riportate nella Norma gi`a citata UNI 10412. I vasi di espansione possono essere di due tipi, aperti o chiusi. Vasi aperti: Presenti solo nei vecchi impianti e negli impianti con generatore di calore a combustibile solido non polverizzato, sono posti al di sopra del punto pi`u alto dell’impianto e sono collegati a questo punto mediante un tubo detto tubo di sicurezza. Sono costituiti da una vaschetta con coperchio e di solito sono muniti di galleggiante per il controllo del livello minimo. All’interno della vaschetta il liquido pu`o oscillare tra il livello minimo, controllato dal galleggiante, ed un livello massimo, determinato da un tubo di troppo pieno che scarica il liquido in eccesso in una tubazione o canale di scarico. Le oscillazioni del liquido all’interno del vaso devono compensare le variazioni di volume del liquido 19

Il progettista ha l’obbligo di dichiarare il volume di fluido contenuto nell’impianto Il coefficiente di dilatazione volumica e` una propriet`a che dipende sensibilmente dalla temperatura 21 La norma di riferimento per i vasi di espansione e gli altri dispositivi di sicurezza sugli impianti ad acqua calda e` la UNI 10412. 20

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

65

nell’impianto che passando da impianto freddo a impianto caldo subisce una dilatazione. Pertanto il volume compreso tra il livello dell’acqua a impianto inattivo (punto di chiusura del galleggiante) ed il livello dell’acqua in corrispondenza al bordo inferiore del tubo di troppo pieno deve essere non inferiore all’espansione E del fluido. Oltre al troppo pieno il vaso aperto deve essere dotato di un tubo di sfogo comunicante con l’atmosfera. Il tubo di troppo pieno e quello di sfogo devono essere indipendenti e senza valvole di intercettazione. I vasi di espansione, i tubi di sicurezza e i tubi di troppo pieno devono essere protetti dal gelo. canale di sfogo

E

troppo pieno

tubo di sicurezza

Figura 2.10: Schema di un vaso di espansione aperto

Vasi chiusi: Si possono classificare nel modo seguente: autopressurizzati senza diaframma o membrana; prepressurizzati senza membrana o con membrana; a pressione costante senza membrana; a pressione e volume costanti costituiti da due serbatoi senza membrana. Vengono collegati alla tubazione di mandata, al di sotto della flangia oppure al ritorno in prossimit`a della caldaia; i primi due tipi si evita di collegarli a valle della pompa di circolazione per non assoggettarli alla prevalenza della pompa. I vasi di espansione chiusi senza membrana, vedi Figura 2.12, quando vengono collegati all’impianto sono pieni di gas (solitamente aria o azoto), a pressione atmosferica po se auto pressurizzati o alla pressione di precarica pp se prepressurizzati. Il collegamento e` fatto in modo che l’ingresso dell’acqua sia rivolto verso il basso in modo da non lasciare uscire l’aria o il gas. Durante il caricamento dell’acqua nell’impianto il vaso si riempie parzialmente d’acqua e la pressione interna si porta alla pressione dell’impianto spento pi o di inizio esercizio (pressione idrostatica

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

66

Schema di impianto con tubo di sicurezza e tubo di carico Legenda 1 Tubo di sfiato 2 Tubo di troppo pieno 3 Tubo di caricamento 4 Andata 5 Ritorno 6 Generatore di calore 7 Tubo di sicurezza 8 Vaso d’espansione aperto

Figura 2.11: Schema di impianto con vaso aperto

in corrispondenza del vaso)22 . Nei vasi autopressurizzati la pressione di inizio carica e` pari alla pressione atmosferica po . Durante l’esercizio, a causa della dilatazione dell’acqua contenuta nell’impianto, dell’acqua entra nel vaso, ne occupa una parte e comprime il gas contenuto in esso. Alla temperatura massima di esercizio la pressione pf all’interno del vaso non deve determinare in altre parti dell’impianto il superamento del valore della pressione massima di esercizio dei componenti dell’impianto alla quale sono tarati i dispositivi di sicurezza quali ad es. le valvole di sicurezza. La pressione assoluta massima pf viene posta pari alla pressione di taratura della valvola di sicurezza diminuita di una quantit`a corrispondente al dislivello di quota esistente tra il vaso di espansione se quest’ultima e` posta pi`u in basso ovvero aumentata se posta pi`u in alto. Per calcolare il volume del vaso Vv si ipotizza che le trasformazioni, prima descritte, di compressione del gas all’interno del vaso siano isoterme e che il gas abbia comportamento ideale. Pertanto, l’espansione del liquido E e` compensata dalla diminuzione di volume del gas contenuto nel vaso compresso dalla pressione assoluta iniziale d’esercizio pi alla pressione assoluta massima d’esercizio pf 23 . Cos`ı si pu`o scrivere: E = Vi − Vf

(2.7)

con: Vi

volume occupato dal gas a impianto fermo;

Vf

volume occupato dal gas alla pressione massima di esercizio;

22

Nei calcoli del volume del vaso il valore della pressione assoluta iniziale pi viene aumentato di una quantit`a stabilita dal progettista comunque non minore di 15 kPa. 23 Con riferimento alla pressione massima d’esercizio, gli impianti si distinguono in impianti con pressione di esercizio minore o maggiore di 5 bar (0,5 MPa).

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

67

Vf

pf

E

Vi pi

Figura 2.12: Schema di un vaso di espansione chiuso senza membrana

Per la compressione isoterma di gas ideale si ha: po V o = pi V i = pf V f dove Vo = Vv e` pari al volume occupato dal gas alla pressione atmosferica po . Si possono esprimere Vi e Vf in funzione di Vv come: Vi = Vv

po pi

e

Vf = Vv





po pf

sostituendo nella equazione 2.7 si ottiene: E = Vv

po po − pi pf

ed infine: Vv =

po pi

E −

po pf

(2.8)

Sul valore di Vv e` accettabile una tolleranza del ± 10% Nei vasi prepressurizzati (con o senza membrana) la pressione iniziale pp (pressione di precarica) nel vaso e` superiore alla pressione atmosferica po . Nei vasi senza membrana questa pressione deve essere inferiore alla pressione minima di esercizio pi per evitare la fuoriuscita del gas a impianto freddo mentre in quelli con membrana o diaframma, in cui il gas e` trattenuto dalla membrana, deve essere superiore a tale valore per sfruttare tutta la capacit`a del vaso. In tal caso (vasi con membrana), vedi Figura 2.13, il volume massimo Vi occupato dal gas a impianto fermo coincide col volume del Vv del vaso. L’equazione 2.7 diventa: E = Vv − Vf Mentre, sempre nell’ipotesi di trasformazione isoterma si ha: pp V v = pf V f

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

68

membrana

acqua

Vi pi gas

Vf

gas

pf

Figura 2.13: Schema di un vaso di espansione chiuso con membrana

si espliciti rispetto a Vf e si sostituisca nella precedente e si ottiene: Vv =

E 1 − ppfp

(2.9)

I diaframmi o membrane di separazione dei vasi chiusi devono essere fabbricati con materiali resistenti alla massima pressione e temperatura di esercizio prevista per l’impianto. Per i vasi prepressurizzati senza membrana si potrebbe utilizzare l’equazione 2.8 usando la pressione di precarica pp al posto della pressione atmosferica po . La Norma UNI 10412, invece, impone di utilizzare l’equazione 2.9 per calcolare Vi e poi di aggiungere a questo il volume di liquido presente nel vaso a impianto freddo24 . A parit`a di variazioni di volume da compensare e di pressioni minima e massima d’esercizio, i vasi d’espansione chiusi prepressurizzati senza membrana risultano pi`u piccoli di quelli autopressurizzati e quelli con membrana risultano minori di quelli senza membrana prepressurizzati. I vasi di espansione privi di diaframma o membrana di separazione tra l’acqua e il gas in pressione devono essere muniti di un mezzo per accertare il livello dell’acqua all’interno del vaso stesso 25 . I vasi di espansione a pressione costante sono dei serbatoi chiusi, all’interno dei quali viene mantenuta la pressione minima possibile nell’impianto, pari a quella idrostatica di carica dell’impianto, grazie ad un cuscino d’aria, vedi la figura 2.14. Il livello di liquido nel vaso deve poter variare per una variazione di volume pari alla espansione E. In pratica il vaso a pressione costante e` come un vaso aperto che invece di lavorare a pressione atmosferica lavora alla pressione pi . La pressione nel vaso viene mantenuta costante mediante una valvola che scarica aria all’esterno quando nel vaso entra del liquido a causa dell’aumento di temperatura nell’impianto e mediante un compressore che introdu24

Questo e` probabilmente voluto per cautelarsi dalla incertezza che ci pu`o essere sul valore di pp per i vasi senza membrana. 25 Ad esempio un tubicino che collega la parte inferiore del vaso, in cui c’`e il liquido, con la parte superiore, in cui c’`e il gas, ed avente un tratto trasparente in corrispondenza della variazione di livello prevista.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

69

ce aria nel vaso quando questo si svuota di liquido durante le fasi di raffreddamento dell’impianto. Questo tipo di vaso ha i seguenti vantaggi: • ha le dimensioni minime possibili, infatti il suo volume e` di poco maggiore dell’espansione E; • non produrre aumenti di pressione nell’impianto per compensare le dilazioni del liquido e` quindi adatto per i grandi impianti e per quegli impianti che sono gi`a soggetti a impianto freddo a pressioni prossime a quelle massime accettabili per qualche componente dell’impianto. Ovviamente la presenza del compressore aumento sensibilmente il costo del sistema di compensazione delle dilatazioni del liquido.

Vf

E

pi

Vi

Figura 2.14: Schema del vaso di espansione a pressione costante Per i grossi impianti in cui il contenuto di liquido e` elevato anche il volume dell’espansione E e` grande. Per non utilizzare un serbatoio di grande diametro a elevata pressione 26 pu`o essere conveniente adottare vasi di espansione a pressione e volume costanti. Essi sono costituiti da due serbatoi: uno di dimensioni minori operante alla pressione pi ed uno di dimensioni maggiori operante alla pressione atmosferica po , vedi la figura 2.15. Il serbatoio di piccole dimensioni deve consentire le minime oscillazioni di livello del liquido che gli strumenti devono percepire per far intervenire i dispositivi di carica o svuotamento mentre il serbatoio di elevate dimensioni serve alla compensazione della dilatazione. A impianto freddo il liquido nel serbatoio pi`u grande e` al livello minimo; durante il riscaldamento, mentre il liquido nell’impianto si dilata, il livello nel serbatoio piccolo si alza, i sensori percepiscono la variazione di livello e fanno aprire la valvola di scarico verso il serbatoio di dimensioni maggiori, questo fino al raggiungimento della temperatura di esercizio. Durante il raffreddamento dell’impianto il liquido nell’impianto si contrae e richiama liquido dal serbatoio pi`u piccolo nel quale il livello diminuisce e gli strumenti fanno intervenire la pompa per trasferire liquido dal serbatoio maggiore, alla pressione po a quello minore, alla pressione pi . Evidentemente il serbatoio va dimensionato per un volume maggiore di E, mentre il serbatoio minore va dimensionato per le oscillazioni consentite dagli strumenti di controllo. 26

A parit`a di pressione e di materiale per la resistenza meccanica lo spessore della lamiera di cui e` costituito il serbatoio aumenta proporzionalmente al diametro del serbatoio.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

70

Vf

E

po

pi Vi

Figura 2.15: Schema del sistema a pressione e volume costanti per la compensazione dell’espansione

Se si vuol fare una modifica sostanziale all’impianto (es. ristrutturazioni) inserendo un nuovo circuito, si deve cambiare il vaso di espansione. Talvolta si inseriscono vasi di espansione anche sui circuiti secondari.

2.6.2 Dimensionamento delle valvole di sicurezza La valvola di sicurezza e` un dispositivo sensibile alla pressione nell’impianto. La valvola di sicurezza e` dimensionata in funzione della potenza utile della caldaia27 . Dal punto di vista della sicurezza, gli impianti termici vengono classificati a seconda che la loro potenza termica sia inferiore o superiore a 350 kW. La valvola di sicurezza deve intervenire quanto la pressione nel generatore supera la pressione di taratura che non deve mai superare la massima ammessa per il generatore. Quando la valvola di sicurezza interviene (a meno che non ci sia un guasto nel vaso di espansione) le condizioni dell’acqua sono tali per cui espandendo dalla pressione nell’impianto alla pressione atmosferica passa allo stato di vapore. Pertanto si vuole che la portata di vapore in uscita equilibri la potenza termica utile della caldaia m ˙ v r = Φu dove m ˙ v e` la portata di vapore, ed r e` il calore di vaporizzazione (circa 2500 kJ/kg). Dimensionare la valvola significa scegliere la sezione di scarico: Φu = m ˙ vr =

V˙ wmax r= Ar vv vv

dove wmax velocita’ massima del vapore sulla valvola; vv 27

volume specifico del vapore

Ogni generatore di calore deve essere dotato di valvola di sicurezza.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO A

71

area della valvola

Si ottiene A = Φu

vv

wmax r si vede che attraverso la potenza del generatore e la velocit`a massima del vapore si determina subito la sezione di scarico della valvola. Nella Norma UNI 10412 la sezione di scarico della valvola si calcola con la seguente formula: A = 0, 005m ˙v

M 0, 9K

con: A

area minima netta dell’orifizio della valvola, in centimetri quadrati;

m ˙ v portata di vapore della valvola di sicurezza, in kilogrammi ora; M

fattore della valvola, da ricavare da tabella;

K

coefficiente di portata della valvola.

Il termine M/(0, 9K) presente nella precedente formula viene riportato in una tabella della norma per le valvole di sicurezza ordinarie28 .

2.6.3 Valvola di scarico termico Le valvole di scarico termico sono dispositivi azionati da elementi sensibili alla temperatura nel generatore di calore. Devono intervenire in modo da evitare che la temperatura dell’acqua nel generatore superi la temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica. Le valvole di scarico termico scaricano acqua dal generatore che viene reintegrata con acqua dalla rete idrica; devono assicurare un trasferimento all’esterno di una quantit`a di potenza termica non inferiore alla potenza termica utile del generatore e devono anche essere dotati di un dispositivo per l’intercettazione dell’alimentazione del combustibile o dell’aria comburente nel caso di generatori a combustibile solido non polverizzato.

2.6.4 Locale caldaia e camino Il locale caldaia o centrale termica, deve soddisfare determinati requisiti di sicurezza: • le dimensioni devono sottostare a vincoli di norma • devono essreci aperture per l’ingresso dell’aria comburente, e per lo sfogo del combustibile nel caso ci fosse una perdita: in alto per il metano (piu’ leggero dell’aria) ed in basso per il GPL (piu’ pesante). • se il combustibile e` GPL, la centrale deve essere completamente fuori terra. • il canale di fumo deve essere a pendenza sempre positiva • il camino deve garantire l’evacuazione dei fumi per tiraggio naturale, garantito dalla differenza di densita’ tra i fumi caldi e l’aria fredda esterna. Nel camino si prevede uno sportello di ispezione per la rimozione del materiale accumulato. 28

Le valvole di sicurezza ordinarie sono quelle per le quali non viene effettuata alcuna determinazione sperimentale, per tali valvole si deve assumere K = 0, 05.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

72

Aria CH 4

H

Aria GPL

si pu`o tracciare un andamento delle pressioni nelle caldaie atmosferiche (ovvero senza ventilatore) e pressurizzate: • Caldaia atmosferica:

Entra aria a P atmosferica

H

Sbocco

Patm

∆P tiraggio

∆P = gH(ρA − ρF ) con H altezza del camino, ρA densita’ dell’aria fredda in ingresso, ρF densita’ dei fumi. Si ha che ρA > ρF • Caldaia pressurizzata:

H Ventilatore

Patm

Sbocco ∆P tiraggio

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

73

Il canale da fumo ed il camino devono comunque essere in depressione rispetto all’ambiente, per evitare la fuoriuscita di fumi nel tragitto. Quindi, anche nella caldaia pressurizzata, l’espulsione dei fumi deve essere dovuta al tiraggio del camino, che comunque e` limitato per la presenza del ventilatore che favorisce il moto del fluido in caldaia. Per il dimensionamento dei camini le norme di riferimento sono le UNI 7129 e la UNI10641, che regolano anche lo sbocco: esso deve essere piu’ alto del tetto, in modo da evitare la zona di ricircolazione ed arresto. Zone di ricircolazione e di arresto causa del vento

Tetto

2.7 Schemi e funzionamento di diverse tipologie di impianti Verranno trattate diverse tipologie di impianti, seplici e complessi, a seconda delle esigenze, con o senza circuiti secondari.

2.7.1 Impianto di riscaldamento monofamiliare piccolo E’ servito da una caldaia che possiede gia’ al suo interno tutti i sistemi di sicurezza e la pompa di circolazione. Viene realizzato di solito a collettori complanari, il cui collegamento alla caldaia e` diretto con tubi di acciaio. Dai collettori ai terminali si usano invece tubi in rame. Caldaia Termostato ambiente T

Collettore caldo

Collettore freddo

Radiatori

La regolazione avviene attraverso il termostato ambiente che interviene sulla pompa e sul bruciatore, regola anche gli orari di accensione. Si possono installare anche delle valvole termostatiche, collocate nei terminali, che regolano la differenza di temperatura acqua-ambiente, e sono regolate dalla temperatura ambiente stessa. Queste non vanno poste nello stesso locale del termostato ambiente.

2.7.2 Impianto di riscaldamento monofamiliare grande L’impianto, piu’ grande del precedente, viene diviso in piu’ zone, di solito zona notte e zona giorno, per permettere il funzionamento in dorari differenti.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

74

Zona 1

Zona 2

Secondari Caldaia

Primario Collettori

Si noti che la soluzione prevede secondari senza pompe, e regolazione trmite valvole a ter vie , B A

A+B

che regolano la temperatura dell’acqua di mandata e sono controllate dai termostati ambiente delle rispettive zone. La valvola funziona con A chiuso e B aperto, o viceversa, ma senza posizioni intermedie, e sono attuate da motori elettrici od elettrocalamite. Gli impianti visti finora presentano una sola pompa di circolazione sul primario. In realta’ si possono avere anche varie pompe sui circuiti secondari, ed in questo caso non si fanno distinzioni tra impianti piccoli e grandi.

2.7.3 Impianto di riscaldamento a MISCELAZIONE Sono impianti molto diffusi, meno complessi e costosi di quelli ad iniezione. Carico zona 1 ms

ms−mp

Zona 2

Caldaia

mp

Primario

Si vede che, rispetto agli impianti ad iniezione: mancano le valvole di taratura la valvola a 3 vie e` posta sulla mandata del secondario, anziche’ sul ritorno. Questo perche’ la valvola a 3 vie funziona meglio come miscelatrice, che come deviatrice. i due collettori sul primario sono collegati, e non c’`e dunque differenza di pressione. Naturalmente, si ha: m ˙s > m ˙p a meno che non si chiuda il ricircolo. Anche qui si effettua una regolazione della temperatura di mandata al secondario, per`o si pu`o variare anche la portata.

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

75

2.7.4 Impianto di riscaldamento a MISCELAZIONE senza pompa sul primario Carico zona 1 ms

ms−mp

Zona 2

Caldaia

mp

Primario

hh In questa tipologia di impianto e` assente la pompa sul primario, e non c’`e collegamento tra i due collettori. se l’impianto e` molto grande e` prevista una piccola pompa di ricircolo presso la caldaia, per mantenere la temperatura di ritorno ad un valore abbastanza elevato da evitare la formazione di condensa all’interno della caldaia stessa. Questo perche’ il contatto tra i fumi caldi ed un tubo troppo freddo (sotto la temperatura di rugiada dei fumi stessi) porta alla formazione di conensa che pu`o corrodere gli scambiatori. Questo tipo di impianto pu`o essere utilizzato anche con sistemi a bassa temperatura (pannelli a pavimento), come nello schema seguente: Carico zona 1 ms

Zona 2

Caldaia

mp

Primario

viene garantita una portata di ricircolo che limita la temperatura di mandata del secondario al valore massimo previsto per non avere pavimenti troppo caldi.

2.7.5 Analisi degli impianti a MISCELAZIONE serve a determinare le portate nei rami della rete e dei rapporti fra di esse per la regolazione con la valvola miscelatrice a 3 vie. Carico zona 1 ms, tms

trs

ms-mp trs

Caldaia

mp

Primario

hh

Zona 2

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

76

L’impianto pu`o essere considerato come diviso in 2 maglie diverse: 1 2

3 4

I rami 1 e 2 sono in parallelo, cosi’ come i rami 3 e 4. Nella condizione di carico massimo dell’impianto, si ha: A+B

A

B

la valvola a 3 vie presenta A completamente chiuso: le portate su perimario e secondario coincidono, e quindi anche le temperature: m ˙s=m ˙p θs = θ p m ˙s−m ˙p=0

qmax = m ˙ s cw (θms − θrs )max

qmax = m ˙ p cw (θ mp − θ rs )max

con θms = θmp e θrs = θrp , e dunque per il carico massimo occorre la portata seguente: m ˙s=

qmax cw (θ ms − θrs )max

Poiche’ il carico non e` quasi mai al massimo, e` molto importante anche il funzionamento a carico parziale: la valvola A e` aperta, e si ha: q < qmax q=m ˙ s cw (θms − θrs )

q=m ˙ p cw (θmp − θrs ) La regolazione modifica la portata al secondario: θ ms − θrs m ˙p = m ˙s θmp − θrs si vede che il rapporto delle portate e` legato al rapporto delle temperature, e si pu`o scrivere anche: m ˙p q = (θmp − θrs ) m ˙ s cw m ˙s

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

77

m ˙p q = [(θmp − θamb ) − (θrs − θamb )] m ˙ s cw m ˙s inoltre

q qmax

(θms − θrs )max =

da cui, si ha:

m ˙p q [(θmp − θ amb ) − (θ rs − θamb )max ] m ˙s qmax

q (θms − θ rs )max qmax m ˙p = q m ˙s (θmp − θamb ) − (θrs − θ amb )max qmax

Un termostato sulla mandata del primario e uno sul secondario regolano il rapporto tra le portate.

2.7.6 Impianti con un unico circuito:

mc, tc

AB

B

ms, tms

A ms-mc ms, trs

mc, trs

Anche in questo caso si ha regolazione con valvola miscelatrice: entra m ˙ c a θc , esce m ˙ c a θrs . il bilancio di entalpie e` il seguente: q=m ˙ c c (θc − θrs ) q=m ˙ s c (θ ms − θ rs )

m ˙c θms − θrs = m ˙s θc − θrs Nelle condizioni di carico massimo qmax si avra’ il massimo salto di temperatura sul secondario: qmax = m ˙ s c (θms − θrs )max m ˙c m ˙c q = (θ c − θamb ) = [(θc − θ amb ) − (θ rs − θamb )] m ˙sc m ˙s m ˙s q q = (θms − θcs )max m ˙sc qmax q m ˙c q [(θc − θamb ) − (θrs − θ amb )max ] = m ˙sc m ˙s qmax dove (θrs − θamb ) = e dunque

(θrs − θamb )max (θrs − θamb ) (θrs − θamb )max

q ∝ (θrs − θamb ) qmax ∝ (θrs − θamb )max

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO da cui

78

q (θms − θrs )max qmax m ˙c = q m ˙s (θc − θamb ) − (θrs − θamb )max qmax

e si vede che il rapporto tra le portate e` funzione delle temperature controllate θc e θamb .

2.7.7 Impianto di riscaldamento a INIEZIONE Carico zona 1 ms

Secondari ms−mi

mi

Caldaia

mp−mi

mp

Zona 2

Primario Collettori

Si vede che sono presenti due circuiti distinti, primario e secondario, ognuno con la propria pompa. Le valvole di taratura garantiscono una portata costante, e si indicano come segue: Oppure

In particolare, m ˙ i e` la portata di iniezione, m ˙ s la portata sul secondario e m ˙ p quella sul primario. Il by-pass permette un ricircolo parziale della portata del secondario. Da notare che: - i collettori sono a pressioni diverse le due pompe (sul primario e sul secondario) lavorano a portata costante, e lo si vede dal fatto che il circuito che chiude la pompa non ha regolazioni. - grazie alla valvola di taratura si ha portata sul secondario costante, pur variando la portata di inezione d dunque la temperatura. La regolazione serve a mantenere al secondario una opportuna temperatura per quegli impianti che non possono funzionare alla temperatura massima della caldaia che circola nel primario. Tipico utilizzo, per i pannelli radianti a pavimento). In definitiva, questo impianto lavora a portata costante al secondario, e permette di variare la temperatura di mandata. Questo avviene grazie alla portata di iniezione, che ha la temperatura che arriva dalla caldaia, ed e` regolata dalla valvola a tre vie. Diminuendo la m ˙ i e grazie al ricircolo, la temperatura di mandata del secondario si mantiene sufficientemente bassa. q (fornitura calore)

ms, hms

ms, hrs

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

79

q=m ˙ s (hms − hrs ) = m ˙ s cw (θms − θ rs ) con hms e hrs entalpie di mandata e di ritorno sul secondario; θ(m ˙ i ) > θ(m ˙ s) grazie al ricircolo si mantiene una differenza di temperatura tra i due circuiti di almeno 10 K. Da notare infine che la pompa sul primario e` necessaria per garantire la circolazione in questo circuito, che non ci sarebbe con la sola pompa sul secondario per la presenza del by-pass. Osservazione: le valvole a 3 vie possono essere utilizzate come miscelatrici, con 2 entrate ed 1 uscita, o come deviatrici, con 1 entrata e 2 uscite.

2.7.8 Scelta delle valvole di regolazione: Si scelgono in funzione delle perdite di carico a cavallo della valvola. Per una valvola di regolazione a tre vie, ad esempio: la valvola introduce una perdita di carico nel

AB

B

Funzionamento a miscelazione

A

circuito, che va sommarsi a tutte le altre presenti.

AB

B

∆Pv A

∆Pc

Nella condizione di valvola aperta, si deve soddisfare la condizione seguente: ∆pv ≈ ∆pc dove ∆pv sono le perdite della valvola, e ∆pc quelle del circuito. La valvola opera su di un circuito in cui le perdite sono dovute anche alla valvola stessa: tale circuito funziona bene se la perdita dovuta alla valvola e` elevata, in quanto il comportamento risulta poco influenzato dalle variazioni di ∆pv

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

80

e∆pc introdote dalla regolazione. I costruttori caratterizzano le valvole con un coefficiente della valvola KV : V˙ KV = √ ∆pv In pratica KV e` la portata volumetrica corrispondente ad un salto ∆pv = 1 bar, ossia una perdita di carico unitaria. Ora, posta la condizione ∆pv = ∆pc e dato il valore della portata V˙ , si trova il valore del KV s di scelta: KV s = √

V˙ ∆pc

da cui si sceglie la valvola dai cataloghi in modo da avere KV < KV s ed un diametro adeguato al diametro dei tubi. Da notare che il KV di una valvola e` calcolato dal produttore misurando la portata che provoca un ∆pv = 1 bar, mentre il KV s e` ricavato dal progettista in funzione dell’impianto, determinando la perdita di carico effettiva sulla valvola.

2.7.9 Scelta delle pompe di circolazione: La pompa deve vincere una determinata perdita di carico ∆p in un circuito con portata assegnata V˙ . Sui cataloghi sono forniti i diagrammi di funzionamento prevalenza/portata alle diverse velocita’ di rotazione delle varie pompe: Le pompe di circolazione di piccola potenza sono di solito a rotore bagnato (chiamate circolatori), questa soluzione costruttiva consente di alleggerire il carico assiale sui cuscinetti. Nella Figura 2.18 e` riportata una sezione di un circolatore a rotore bagnato. Una stessa pompa pu`o essere predisposta per lavorare a diverse velocit`a di rotazione ottenibili agendo opportunamente sul motore elettrico. Sui cataloghi sono forniti i diagrammi di funzionamento prevalenza/portata (curve caratteristiche) alle diverse velocita’ di rotazione delle varie pompe. La curva caratteristica pu`o essere pi`u o meno inclinata, si pu`o parlare di caratteristiche piatte oppure ripide per variabilit`a rispettivamente ridotta o elevata della prevalenza in funzione della portata. Nella Figura 2.19 sono riportate qualitativamente una caratteristica piatta ed una ripida. La curva caratteristica della pompa e la sua pendenza sono elementi determinanti ai fini delle valutazioni tecniche e del comportamento dell’impianto. L’aspetto si evidenzia negli impianti di riscaldamento degli edifici civili, in particolare dove sono installate valvole termostatiche sui corpi riscaldanti; queste provocano punti di lavoro variabili connessi alla variazione di portata che determinano. In questi casi la pompa e` scelta per portata utile al trasporto della massima quantit`a di calore richiesto, e quindi per la copertura del massimo fabbisogno termico. Le valvole termostatiche controllano la portata che scorre nei corpi riscaldanti strozzando il passaggio. Conseguente a questa variazione s’instaura un nuovo punto di lavoro sulla curva caratteristica della pompa corrispondente ad una maggiore prevalenza. Le ripercussioni dovute alle differenti pendenze della curva caratteristica della pompa, riferita alla caratteristica dell’impianto, sono rappresentate in Figura ??

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

81

Figura 2.16: Esempio da catalogo di famiglie di pompe per impianti

Figura 2.17: Simbolo grafico per una pompa in un impianto

Curva caratteristica piatta Con andamento piatto della curva si possono verificare anche notevoli variazioni della portata, senza che questo provochi rilevanti variazioni della prevalenza. Grazie a tale caratteristica della curva si ottengono i seguenti vantaggi: Non sono generati rumori fastidiosi. Il comportamento della regolazione non e` influenzato. Le pompe con curva caratteristica piatta assicurano che, con la chiusura dei corpi scaldanti, la portata del fluido in circolazione diminuisce senza provocare inaccettabili aumenti della prevalenza. Curva caratteristica ripida Con l’andamento della curva ripida, gi`a con modeste variazioni della portata, si verificano rilevanti e non trascurabili variazioni della prevalenza. Le ripercussioni negative sul funzionamento delle valvole termostatiche sono ottenute con l’impiego di regolazioni delle prestazioni della pompa. L’impiego delle elettropompe con inverter impedisce, in modo automatico, l’aumento della prevalenza al diminuire della prevalenza. Per gli impianti dove non si hanno ripercussioni dovute alla presenza di

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Figura 2.18: Sezione di un circolatore

valvole termostatiche, si possono adottare vantaggiosamente pompe con curva caratteristica ripida, per esempio impianti a panelli radianti o monotubo, o in tutti quei casi dove per ragione di sicurezza, in fase di progetto, sono ipotizzate perdite di carico maggiori rispetto a quelle reali. L’esperienza pratica insegna che spesso, le perdite di carico reali dell’impianto sono inferiori a quelle calcolate, pertanto risulta che la curva caratteristica e` pi`u piatta. Nella circostanza la curva ripida della pompa offre il vantaggio che il punto di lavoro, (punto d’intersezione fra curva dell’impianto e della pompa), non si scosta troppo verso destra, provocando un aumento di portata inferiore a quello di una curva piatta. Si evita l’instaurarsi di rumori fastidiosi, causati dall’eccessiva portata lungo le tubazioni. H (prevalenza)

Curve di funzionamento

Velocita' di rotazione

Q (portata)

Il calcolo sul circuito fornir`a i due valori, corrispondenti ad un punto sul diagramma, che in genere non appartiene ad una curva caratteristica di una pompa in commercio: la scelta di solito e` quella di

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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Figura 2.19: Esempi di curva caratteristica piatta e ripida di una pompa

una macchina con la caratteristica pi`u vicina che passa al di sopra del punto stesso. In realt`a anche una pompa con curva caratteristica che incroci la caratteristica dell’impianto al di sotto del punto di funzionamento nominale pu`o essere una buona scelta. Infatti, soprattutto negli impianti a radiatori, in quanto la resa dei radiatori in funzione della portata, a portate prossime a quella nominale, varia poco al variare della portata. In pratica, per questi impianti si pu`o tollerare una variazione sulla portata dell’ordine del ±10% del valore nominale senza compromettere minimamente il funzionamento dell’impianto.

H

curve caratteristiche delle pompe curva dell'impianto modificata

curva caratteristica dell'impianto

. V

CAPITOLO 2. IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

84

La curva caratteristica dll’impianto e` praticamente parabolica perch´e le perdite sono proporzionali a v 2 e quindi a V˙ 2 . Le pompe dei grandi impianti sono di solito gemellate, dotate di sistemi automatici che ne regolano il funzionamento alternato, in modo da garantire sempre il funzionamento dell’impianto, anche in caso di guasto ad una pompa.

La curva caratteristica di un sistema gemellato in cui le pompe funzionano in parallelo e` uguale a quella della singola pompa, solo che risulta allargata, avendo il doppio della portata a parita’ di prevalenza. Si usano, ovviamente, per impianti con grosse portate e basse prevalenze.

H Pompa singola 2 pompe gemellate

Q

Capitolo 3 FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO 3.0.10 Premessa sul quadro normativo In Italia, fin dall’emanazione della L.10/91 e del D.P.R.412/93, attuativo di una parte della stessa legge, nel caso di interventi sugli involucri degli edifici e/o sugli impianti di riscaldamento devono essere rispettati alcuni requisiti minimi per quanto riguarda le prestazioni energetiche dei sistemi edificio– impianto. All’atto della denuncia dell’inizio lavori, e` previsto il deposito presso gli uffici comunali di una relazione tecnica che illustri l’intervento1. Nel caso di nuovi edifici e di nuovi impianti nella relazione tecnica devono essere riportati i valori calcolati di alcuni parametri tra cui il fabbisogno di energia per il riscaldamento2. In seguito e` stata emanata una direttiva C.E.E. sulla certificazione energetica degli edifici3 e per il suo recepimento sono stati emanati due Decreti Legge (il D.L.192 del 19/08/2005 ed il D.L. 311 del 29/12/2006 che modifica il precedente). In questi Decreti e` prevista l’emanazione di ulteriori Decreti contenenti delle linee guida per le nuove modalit`a di calcolo del fabbisogno energetico. Successivamente e` stato emanato il D.L. 115 del 30/05/2008 che, oltre a definire meglio la figura professionale del certificatore, richiede che la valutazione dei fabbisogni di energia siano valutati secondo le specifiche tecniche UNI TS 11300 (completate e pubblicate solo parzialmente) e rimanda ulteriormente alle linee guida ancora da emanare. Nell’attesa dell’emanazione di queste linee guida ci si trova ad operare in un regime normativo transitorio definito negli allegati al D.L .311/2006 e nel D.L. 115/2008. In particolare, per tutti i nuovi edifici, per tutti gli edifici esistenti in cui viene installato un nuovo impianto e per gli edifici in ristrutturazione con una superficie utile di pavimento Ap superiore a 1000 m2 e` reso obbligatorio il calcolo del Fabbisogno di energia per il riscaldamento ed il rispetto di valori massimi di trasmittanza termica degli elementi costruttivi costituenti l’involucro edilizio. Per la ristrutturazione di edifici con Ap non superiore a 1000 m2 non e` richiesto il calcolo del Fabbisogno di energia ma solamente il rispetto di limiti (pi`u restrittivi dei precedenti) sulla trasmittanza termica degli elementi costituenti l’involucro edilizio 4 . 1

La relazione tecnica va attualmente redatta secondo l’allegato E del DL 311/06. Per i dettagli sui casi previsti dalla legge e le modalit`a di applicazione si rimanda al testo del DL 311/2006 che regola attualmente la materia 3 DIRETTIVA 2002/91/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 16 dicembre 2002 sul rendimento energetico nell’edilizia. L’aspetto interessante e` che il certificato energetico dell’edificio gradualmente diventer`a un documento da allegare obbligatoriamente agli atti di compravendita di immobili (secondo l’articolo 6 del DL 311/2006 dal 01 luglio 2009 anche gli atti di compravendita delle singole unit`a abitative dovranno essere accompagnati da un documento che abbia la valenza di un certificato energetico. 4 Vedere l’Articolo 3 e l’Allegato C del D.L.311/06 (e successive eventuali modifiche). 2

85

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

86

Comunque, il fabbisogno di energia va valutato in termini di energia primaria, cio`e di energia associata al combustibile consumato per produrre l’energia necessaria, compresa quella elettrica per il funzionamento di tutti i componenti dell’impianto5. Nell’ottica della certificazione energetica degli edifici il calcolo del fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento degli edifici risulta un passaggio determinante. Il fabbisogno di energia primaria calcolato in modo convenzionale e` soggetto a restrizioni che la legge fissa in dipendenza del clima cui e` soggetto l’edificio, attraverso il parametro gradi giorno GG (vedere nota ?? a pagina ??), ed alle sue caratteristiche geometriche, attraverso il rapporto di forma (S/V )6 . Siccome il DL 311/06 nell’Allegato M riporta una lista di Norme tecniche (UNI e CTI) da utilizzare per i calcoli, nel seguito si far´a riferimento alla procedura illustrata in queste normative che consentono un calcolo del fabbisogno energetico in forma semplificata. Il fabbisogno cos´ı calcolato e´ pertanto convenzionale ma risulta abbastanza prossimo a quello reale con scostamenti dell’ordine del 20% ; lo scostamento sar´a tanto pi`u elevato quanto pi`u le condizioni climatiche e di utilizzo dell’edificio saranno diverse da quelle assunte nella procedura.

3.1 Calcolo del Fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento 7

Il fabbisogno di energia primaria per il riscaldamento Q e` il parametro che serve a valutare l’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale EPi (nel seguito brevemente EP ) introdotto nel D.L.311/2006. L’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale e` definito in modo diverso per le abitazioni rispetto agli altri edifici8 . Per gli edifici residenziali e assimilabili (categoria E.19 ) con alcune esclusioni, si fa riferimento all’area calpestabile e si ha: Q EP = (3.1) Ap dove: Q

fabbisogno di energia primaria necessaria al riscaldamento durante tutta la stagione

Ap

superficie utile calpestabile

Per tutti gli altri edifici si fa riferimento al volume lordo riscaldato: EP =

Q V

(3.2)

L’indice EP rappresenta cos`ı una energia media per unit`a di superficie (o di volume). Risulta quindi un parametro che consente di confrontare gli edifici dal punto di vista del consumo per il 5

In realt`a la Direttiva CE fa riferimento anche alla energia per la produzione dell’acqua calda sanitaria, per l’illuminazione e anche il fabbisogno per il raffrescamento estivo, queste parti saranno regolamentate nelle linee guida. 6 Nel rapporto di forma S/V come definito nell’Allegato C del D.L. 311/06 S e` la superficie, espressa in m2 , che delimita verso l’esterno (ovvero verso ambienti non dotati di impianto di riscaldamento), il volume riscaldato V che e` il volume lordo, espresso in metri cubi, delle parti di edificio riscaldate, definito dalle superfici che lo delimitano . 7 Nel seguito si fa riferimento prevalentemente alle Specifiche tecniche UNI TS 11300 parti 1 e 2 anche se talvolta la simbologia adottata non corrisponder`a perfettamente anche a causa di alcune disuniformit`a nella simbologia delle stesse Specifiche tecniche. 8 Vedere l’allegato A del DL 311/06. 9 Nel DL 311/06 per le categorie degli edifici si fa riferimento alle definizioni riportate nell’Art.3 del D.P.R. 412/1993

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

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riscaldamento, a parit`a di condizioni climatiche. Il fabbisogno cos`ı definito e` un parametro che fa parte dei dati che il progettista deve dichiarare nella relazione da depositare presso l’Ufficio tecnico del Comune dove sar`a realizzato l’edificio. La relazione di deposito sar`a il punto di partenza per la certificazione energetica dell’edificio che e` in corso di definizione a livello ministeriale. La relazione tecnica di deposito deve essere accompagnata da una dichiarazione di rispondenza fatta dal progettista in cui si attesta di aver proceduto nei calcoli secondo quanto previsto dal Decreto e dalle norme tecniche. Inoltre, alla fine dei lavori, anche il Direttore dei lavori dovr`a asseverare che gli stessi sono stati realizzati nel rispetto di quanto previsto nel progetto e nelle varianti depositate. Il D.L.311/2006 (Allegato M) ed il D.L. 115/2008 che chiarisce quali norme tecniche devono essere seguite nella redazione del calcolo10 . La norma UNI 10379:2005, invece che al EP fa riferimento ad un diverso parametro: il F EN (Fabbisogno Energetico Normalizzato). Pur essendo comunque possibile passare agilmente dal F EN 11 all’indice EP e viceversa, basta usare le norme tecniche per arrivare al calcolo di Q e far riferimento al DL 311/06 per l’indice di prestazione energetica, ignorando il punto 4 della UNI 10379:200512. Le norme tecniche a cui si fa riferimento permettono un calcolo del fabbisogno per il riscaldamento come somma di contributi mensili calcolati separatamente oppure come una valutazione stagionale complessiva. • METODO MENSILE: semistazionario: l’energia necessaria risulta come somma dei contributi mensili in ipotesi di stazionariet`a delle condizioni nell’arco dei singoli mesi ⇒ regime stazionario nel mese e variabile da mese a mese durante la stagione di riscaldamento. • METODO STAGIONALE: stazionario: il fabbisogno e` ottenuto in base a condizioni climatiche medie stagionali. Nel seguito si far`a riferimento al metodo mensile che risulta pi`u accurato soprattutto per i climi temperati. L’energia primaria Q per il riscaldamento e` l’energia relativa a tutti i consumi di combustibile necessari al riscaldamento nell’arco di un anno (medio dal punto di vista climatico): Q = Qc +

Qaux ηsen

dove Qc

energia primaria associata al combustibile bruciato localmente in caldaia

Qaux energia elettrica per gli ausiliari (pompe e ventilatori)13; 10 In particolare per il calcolo del fabbisogno di energia primaria il Decreto prevede l’utilizzo della UNI 10379:2005, della UNI EN 832 e della UNI EN ISO 13790 senza specificare quale seguire per le parti in sovrapposizione; si consiglia di seguire la UNI 10379, che rimanda alle procedure presenti nella UNI EN 832, con qualche modifica e con qualche dato precalcolato. 11 Il Fabbisogno Energetico Normalizzato F EN introdotto nel D.P.R. 412/93 e ridefinito nella norma UNI 10379. 12 Per effettuare il calcolo, la Norma UNI 10379:2005 fa riferimento esplicito alla UNI EN 832: Calcolo del fabbisogno di energia per il riscaldamento. Edifici residenziali anche per edifici non residenziali, mentre il Decreto cita anche la UNI EN ISO 13790 Prestazione termica degli edifici - Calcolo del fabbisogno di energia per il riscaldamento che a differenza della precedente e` applicabile non solo agli edifici residenziali ma a tutti i tipi di edifici. Le due norme, di derivazione europea differiscono leggermente in alcuni punti, in particolare nel modo in cui permettono di calcolare il regime di funzionamento non continuo. 13 Qaux e´ molto piccola: per impianti a radiatori e a pannelli radianti 1 ÷ 2% di Qc mentre pu´o essere significativa per impianti a ventilconvettori e per impianti di riscaldamento ad aria.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

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η sen rendimento del servizio elettrico nazionale, e` il parametro per la conversione da energia del combustibile ad energia elettrica; corrisponde a 0,40 in quanto il DL 311/06 fissa la conversione da energia elettrica in energia primaria come 1 kWhe = 9 MJ. Il rapporto Qη aux rappresenta l’energia primaria consumata per produrre l’energia elettrica utilizzata sen dagli ausiliari. Qc e´ l’energia consumata in caldaia, e pu`o essere ricavata effettuando un bilancio di energie sul generatore di calore, infatti sequendo lo schema di figura 3.1 si ottiene: Qc = Qu + Qf + Qd + Qf bs Qu = Qp − Qpo η po

(3.3) (3.4)

dove: Qd

dispersioni di energia attraverso il mantello della caldaia;

Qf

perdite ai fumi (o al camino) a fiamma accesa;

Qf bs perdite ai fumi (o al camino) a bruciatore spento14; Qpo energia elettrica fornita alla pompa; η po frazione dell’energia elettrica della pompa trasferita al fluido; Qu energia utile, fornita dalla caldaia; Qp

energia prodotta in base alle richieste dell’impianto, compreso il contributo della pompa15 . Qf Qd Qpo Qc Qu

Qp

Figura 3.1: Bilancio di energia al generatore di calore Per risolvere il precedente bilancio e` necessario determinare Qp . Tale termine si calcola, come illustrato di seguito, a partire dalle richieste di energia delle utenze (edificio) in condizioni di funzionamento ideale dell’impianto, tenendo poi conto di tutte le inefficienze dell’impianto nel trasferire l’energia dal generatore agli ambienti da riscaldare. Il fabbisogno ideale dell’edificio viene indicato col simbolo Qh se valutato con riferimento a un funzionamento dell’impianto senza interruzione e con temperatura interna sempre pari a quella di riferimento, mentre viene indicato col simbolo Qhvs se valutato con riferimento a un funzionamento dell’impianto con intermittenza (giornaliera e/o settimanale) oppure con periodi di attenuazione della temperatura interna (di almeno 4 K). Per il calcolo dell’indice EP la Legge prescrive il calcolo in regime di funzionamento continuo. 14

Durante il funzionamento dell’impianto il bruciatore della caldaia non e` sempre acceso. Negli intervalli di tempo in cui e` spento ci sono delle perdite al camino dovute al tiraggio anche in assenza di fiamma, inoltre prima di ogni riaccensione del bruciatore c’`e una fase di lavaggio della camera di combustione durante la quale viene soffiata aria che contribuisce a raffreddare la caldaia; Qf bs tiene conto di entrambi questi contributi. 15 Negli impianti ad acqua l’energia prodotta Qp solitamente e` poco diversa da Qu in quanto Qpo e` di solito inferiore all’1% di Qu ed η po assume valori inferiori a 0,9. Negli impianti ad aria, invece, l’energia fornita dai ventilatori

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

89

3.1.1 Calcolo del fabbisogno ideale di energia Qh Per il calcolo del fabbisogno di energia gli ambienti vengono raggruppati in funzione delle modalit`a di riscaldamento e pertanto si definiscono: • ZONA TERMICA: parte dell’edificio in cui si ha uniformit`a di temperatura interna, di apporti gratuiti e di tutti i parametri che entrano in gioco nel calcolo del fabbisogno ideale di energia per il riscaldamento (vedi in seguito). • EDIFICIO: insieme di tutte le zone termiche da riscaldare con un unico impianto di riscaldamento. Spesso l’edificio non corrisponde al FABBRICATO come nel caso frequente di un appartamento riscaldato autonomamente in un condominio, oppure, meno frequentemente pi`u corpi di fabbrica serviti da una stessa centrale termica come nel teleriscaldamento. Il fabbisogno di energia ideale per il riscaldamento Qh e` calcolato separatamente per ciascuna zona termica servita dallo stesso impianto. Il fabbisogno dell’edificio si calcola come somma dei contributi delle singole zone 16 . All’impianto di riscaldamento viene richiesto di mantenere, nelle ore di accensione, le condizioni interne costanti, al variare di quelle esterne, che raggiungono quelle di progetto solo per brevi periodi. Le ore giornaliere di funzionamento a regime sono limitate per legge (tranne nelle localit`a con pi`u di 3000 gradi-giorno, zona F); nelle ore rimanenti l’impianto deve essere spento (intermittenza) o funzionare garantendo una temperatura interna inferiore di almeno 4 K rispetto a quella di regime (funzionamento in attenuazione). I fabbisogni ideali vengono stimati per ogni singola zona termica come la differenza tra le energie disperse e le energie rese disponibili da fonti diverse dall’impianto per altri scopi (gratuite ai fini del riscaldamento). Il fabbisogno ideale si ricava da un bilancio di energia sulla zona termica come rappresentato in figura 3.2:

1111 0000 0000 1111 0000 1111 0000 1111

Qsi

Qhvs

QL Qse

Qi

Locale caldaia

Figura 3.2: Schema di riferimento per il calcolo del fabbisogno di energia 16

Spesso e´ possibile semplicemente far coincidere la zona termica con tutto l’edificio (uniformit´a di esposizione climatica, di destinazione d’uso e di tipologia di rete di distribuzione dell’energia).

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO Qh = (QL − Qse ) − ηu (Qi + Qsi )

90 (3.5)

dove i termini rilevanti sono QL energie disperse dall’edificio verso l’esterno; Qse apporti gratuiti solari sulle superfici esterne delle murature opache; Qsi apporti gratuiti solari, disponibili all’interno del locale, entrati attraverso le finestre; Qi

apporti gratuiti interni (persone, elettrodomestici, macchine d’ufficio, etc..);

ηu

fattore di utilizzazione degli apporti gratuiti. Tiene conto delle possibili situazioni in cui il termine dovuto agli apporti gratuiti supera le perdite, portando ad un surriscaldamento (inutile!) dei locali. Perci´o si penalizzano gli apporti gratuiti con il fattore di utilizzazione, tipicamente < 1.

L’equazione (3.5) e` valida per regime di funzionamento continuo, tipicamente per`o gli impianti funzionano con periodi di spegnimento temporaneo (intermittenza) oppure di attenuazione dell’impianto (abbassamento di almeno 4 K della temperatura interna). Per la valutazione del fabbisogno in regime non continuo la (3.5) viene pertanto modificata (nella UNI 10379) introducendo i coefficienti k; Fil ; Fig , si ottiene quindi il fabbisogno energetico utile in regime non continuo Qhvs Qhvs = k[Fil (QL − Qse ) − η u Fig (Qsi + Qi )]

(3.6)

dove: k

coefficiente per modalit´a di funzionamento: intermittenza k = 1, attenuazione k > 1;

Fil

≤ 1 fattore di riduzione delle dispersioni;

Fig ≤ 1 fattore di riduzione degli apporti gratuiti; questi coefficienti si ricavano in funzione dei seguenti parametri: tc

costante di tempo dell’edificio, che serve anche nella determinazione di η u , in quanto anche in questo caso sono influenti le caratteristiche dinamiche dell’edificio stesso;

nag numero di ore di spegnimento o attenuazione notturne (dalle 16,00 alle 8,00), nell’arco di una giornata; ndg numero di ore di spegnimento o attenuazione diurne (dalle 8,00 alle 16,00)17 ; ∆θsb differenza tra la temperatura interna prefissata e la temperatura limite di attenuazione; ∆θ = θi − θem differenza tra la temperatura interna e la temperatura esterna media del periodo.

3.1.2 Nota sul calcolo dell’indice EP e del rendimento globale stagionale η g Il calcolo del Fabbisogno di Energia Primaria si effettua considerando costante la temperatura interna per tutta la stagione di riscaldamento, quindi non si considera l’effetto dell’attenuazione o dello spegnimento, pertanto k = Fil = Fig = 1 ed il fabbisogno di energia primaria Q mese per mese deve essere calcolato utilizzando la (3.5), va fatto notare che questo e` un calcolo convenzionale. Per una stima del fabbisogno energetico effettivo degli edifici va invece utilizzata la (3.6) che tiene conto della 17

L’eventuale intermittenza settimanale (negozi, uffici) viene considerata ampliando proporzionalmente l’intermittenza giornaliera (UNI 10379:2500)

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

91

non stazionariet`a della temperatura interna. I due calcoli coincidono nella zona climatica E dove e` previsto il funzionamento continuo dell’impianto. Il calcolo in regime intermittente o attenuato era previsto nelle procedure precedenti al DL 311/06 per la verifica del rendimento globale medio stagionale ηg quale rapporto tra il fabbisogno di energia termica utile per la climatizzazione invernale e l’energia primaria delle fonti energetiche, ivi compresa l’energia elettrica dei dispositivi ausiliari. Questa verifica e` prevista anche nel D.L. 311/2006 ma, mentre per il calcolo di EP il decreto fa riferimento esplicito al calcolo in regime continuo, per il rendimento globale medio stagionale non viene specificata la modalit`a di calcolo delle energie. La Norma UNI 10379:2500 per la determinazione di η g prevede il calcolo in regime intermittente o attenuato che fornisce fabbisogni inferiori e valori di η g migliori (pi`u alti). Pertanto, possiamo definire il rendimento globale medio stagionale con riferimento al regime continuo nel modo seguente: ηg =

Qh Q

(3.7)

Qhvs QR

(3.8)

oppure con riferimento al regime non continuo: ηg =

nella equazione 3.8 il fabbisogno di energia primaria Q ed il fabbisogno di energia termica utile Qhvs sono da calcolare come somme dei corrispondenti valori mensili, ovviamente i valori mensili di QR 18 devono essere calcolati a partire dai valori mensili di Qhvs e non di Qh .

3.2 Calcolo dei termini di Qh e Qhvs Il calcolo dei termini energetici che compaiono nella (3.6) o nella (3.5) viene fatto mese per mese se si utilizza il metodo mensile, mentre viene fatto in una unica soluzione per tutta la stagione nel caso del metodo stagionale, nel seguito si indicher`a con ∆τ il periodo corrispondente in secondi: ∆τ = 86400 · N

(3.9)

dove 86400 = 24 · 3600 sono i secondi in un giorno ed N rappresenta il numero di giorni corrispondenti al periodo considerato.

3.2.1 Calcolo dell’energia termica dispersa per trasmissione e ventilazione QL Questi termini si possono ricavare in modo analogo a quanto fatto per i termini di potenza nel paragrafo 1.2, considerando per`o coefficienti di esposizione e pari all’unit`a, differenze di temperatura medie mensili o stagionali tra l’interno e l’esterno. Le potenze medie cos`ı calcolate si moltiplicano per il corrispondente tempo di riferimento ∆τ . Formalizzando quanto esposto si ha: QL = (QT + QG + QU + QA ) + QV QT energia trasmessa direttamente verso l’esterno da pareti, finestre, porte. QG energia trasmessa passando attraverso il terreno QU energia trasmessa attraverso i vani non riscaldati 18

Vedere punto 8 della UNI 10379:2005

(3.10)

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

92

QA energia trasmessa attraverso i vani a temperatura costante diversa da quella interna (es. cella frigorifera) QV energia scambiata per ventilazione. Nel seguito si analizzer`a ogni singolo termine che compare nella (3.10) energia trasmessa direttamente verso l’esterno da pareti, finestre, porte QT = HT ∆θ ∆τ HT coefficiente di dispersione (potenza dispersa per unit`a di salto termico) vedi (1.3) a pg. 7 ∆θ salto termico ∆θ = θi − θem

θem temperatura esterna media nel periodo considerato

energia trasmessa attraverso il terreno QG = HG ∆θ ∆τ HG coefficiente di dispersione attraverso il terreno (potenza dispersa per unit`a di salto termico), trattato nella UNI EN 13370, vedi (1.6) a pag. 17; ∆θ salto termico ∆θ = θi − θem

θem temperatura esterna media nel periodo considerato;

energia trasmessa attraverso i vani non riscaldati QU = Hu ∆θ ∆τ Hu coefficiente di dispersione tra interno ed esterno (potenza per unit`a di salto termico) calcolata con analogia elettrica, vedi (1.8) a pag. 24; ∆θ salto termico ∆θ = θi − θem

θem temperatura esterna media nel periodo considerato;

energia trasmessa attraverso i vani a temperatura costante diversa da quella interna QA = HA ∆θ A ∆τ HA (potenza per salto termico), e` la somma dei termini di trasmissione e ventilazione: HA = HT,A + HV,A ; ∆θA =θi − θ A

θA

temperatura del locale a temperatura fissa.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

93

energia scambiata per ventilazione QV = HV ∆θ ∆τ HV coefficiente di dispersione per ventilazione, vedi (1.11) a pg. 28; ∆θ salto termico, ∆θ = θi − θe ; θe

temperatura esterna media nel periodo considerato.

In pratica si ha: HV = 0, 34nV espresso in [W/K] con: n

numero di ricambi d’aria orari19 fissato convenzionalmente pari a 0,5 per gli edifici di civile abitazione20 ;

V

volume netto della zona termica;

3.2.2 Calcolo dei termini relativi agli apporti dovuti alla radiazione solare Gli apporti gratuiti dovuti alla radiazione solare sono di due tipi e sono dovuti rispettivamente alla radiazione solare incidente sulle superfici opache esterne Qse e parzialmente assorbita, ed alla radiazione solare incidente su superfici trasparenti Qsi , parzialmente trasmessa all’interno dove viene assorbita. I due contributi hanno un effetto diverso: mentre Qse riduce le dispersioni aumentando la temperatura superficiale esterna delle pareti, il termine Qsi aumenta la temperatura delle superfici interne. In ogni caso, con riferimento al contributo mensile, si pu`o scrivere: ! e v X X Qs = ∆τ Is,j · Aei (3.11) j=1

i=1

e

numero di esposizioni (orientamento delle pareti);

v

numero di superfici per esposizione;

∆τ intervallo di tempo del periodo considerato; Ae

area equivalente della superficie;

Is

irradianza globale per unit`a di tempo, mediata sul mense, incidente sulla parete

Tenuto conto che l’irradianza Is e` riportata nella UNI 10349 (col simbolo H) in MJ/(m2 giorno) e` conveniente esprime l’intervallo di tempo come numero di giorni nel mese N per avere Qs in MJ al mese. I contributi dovuti alla radiazione solare su superficie opaca o trasparente si differenziano considerando diverse metodologie di calcolo per l’area equivalente Ae 19 20

Per i valori da utilizzare ai fini delle verifiche di legge fare riferimento alla UNI 10379:2005 Categoria E.1(1) del D.P.R. 412/93

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

11 00 00 11

qs

int.

parete

qs

est.

R"e = 1/ he

94

R"

α U / he

R"i = 1/ hi

Figura 3.3: Radiazione solare incidente su una superficie opaca Superfici opache In questo caso l’area equivalente viene calcolata come: Ae = Fs Fer A α Fs

U he

Fattore di schermatura legato alle ostruzioni;

Fer Fattore di riduzione per tener conto del re–irraggiamento verso la volta celeste; A

Area della superficie;

α

coefficiente di assorbimento della radiazione solare;

U

trasmittanza della parete;

he

coefficiente di scambio superficiale esterno.

pu`o accadere che le pareti esterne opache siano ombreggiate da ostacoli (alberi, altri edifici, etc. . .): si introduce quindi il fattore di schermatura, Fs . Inoltre si corregge l’apporto radiativo solare per tener conto dello scambio per re-irraggiamento verso la volta celeste mediante il coefficiente Fer . Il termine α U / he rappresenta invece la frazione della radiazione solare che, assorbita, attraversa la parete verso l’interno, infatti una parte della radiazione incidente viene riflessa, (1 − α) · Is , mentre della quantit`a assorbita α · Is solo una parte attraversa la parete mentre la restante viene ceduta all’ambiente esterno, come rappresentato in figura 3.3. Il flusso termico dovuto all’assorbimento della radiazione solare si ripartisce, tra interno ed esterno secondo la regola della leva, con le resistenze termiche al posto delle distanze. Il termine hUe e` in relazione con le resistenze termiche della parete, infatti: Re′′ U = ′′ he Rtot si vede quindi che l’importanza dei contributi Qse diminuisce all’aumentare dell’isolamento termico delle pareti e viceversa come succede nei climi pi`u temperati dove gli edifici di solito sono meno coibentati e, inoltre, la radiazione solare e` pi`u intensa.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

95

Superfici finestrate L’area equivalente viene espressa come: Aej = Fsj Fcj Ffj g Aj dove Fsj fattore di riduzione per gli schermi esterni non appartenenti all’edificio Fcj fattore di riduzione per gli schermi esterni (aggetti, terrazze) ed interni (tende) Ffj fattore per la riduzione dell’area trasparente dovuta al telaio g

trasmittanza solare totale dell’elemento.

A

area del foro della finestra; Finestra

qs

parte efficace

parte riflessa

nei climi settentrionali, Qse < 10% di Qsi . Qsi rimane comunque elevato, ed il contributo e` tanto pi`u importante quanto pi`u isolate sono le pareti dell’edificio, cio`e quanto pi`u piccolo e` il termine QL .

3.2.3 Contributi gratuiti interni Qi Questo termine deriva dal contributo di energia termica dovuto all’illuminazione, alle persone, agli elettrodomestici, alle macchine per ufficio, etc.., quindi da tutte le sorgenti che producono calore all’interno dell’edificio. Il valore e` praticamente pari alla potenza di targa di ogni apparecchio per il tempo di utilizzo. X Qij Qi = j

Se il valore non e´ quantificabile, la norma impone di assumere valori convenzionali limite, per esempio per edifici adibiti a residenza (E.1)(1) si pu`o assumere un apporto gratuito pari a 4 Apavimento [W].

3.2.4 Calcolo di η u, fattore di utilizzo degli apporti gratuiti E’ un coefficiente riduttivo degli apporti gratuiti, gi`a introdotto nella (3.6), si calcola come 1 − γτ 1 − γ τ +1 τ ηu = τ +1

ηu =

dove: γ=

se

γ 6= 1

se

γ=1

Qsi + Qi guadagni = dispersioni QL − Qse

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO τ =1+

96

tc 16

tc

costante di tempo del’edificio espressa in ore, ovvero prodotto della costante termica dell’edificio per la resistenza termica. C tc = HK 3600

C

capacit`a termica dell’edificio; C=

X

Aj mj cj

j=1

Aj

area della parete;

mj massa termica areica (ovvero la parte della massa della parete che accumula energia nell’arco della giornata, calcolata p come prodotto della densit`a per la profondit`a di penetrazione dell’onda termica d = 3, 71 λ/ρ per pareti non isolate.

cj

calore specifico del materiale della parete;

HK coefficiente di dispersione globale dell’edificio, ricavato dall’energia dispersa QL : HK =

QL ∆θ ∆τ

3.2.5 Nota sul calcolo della capacit`a termica C La Norma UNI 10379:2005 fornisce una tabella di valori di capacit`a termica per unit`a di volume dell’edificio che e` sufficiente moltiplicare per il volume lordo V dell’edificio per ottenere la capacit`a termica. Una procedura pi`u corretta per il calcolo della capacit`a termica dell’edificio e` riportata nella Norma UNI EN 13790: np ns X X Aj ρk,j ck,j sk,j (3.12) C= j=1

k=1

con:

np

numero di pareti dell’edificio;

Aj

area dellaj-esima parete che partecipa all’accumulo (superfici rivolte verso l’ambiente in cui si manifestano gli apporti gratuiti);

ns

numero di strati della j-esima parete contati dall’interno fino all’isolante;

ρk,j densit`a dello strato k della parete j; ck,j calore specifico dello strato k della parete j; sk,j spessore dello strato k della parete j; La sommatoria interna P della equazione 3.12 va effettuata per gli strati interni allo strato di isolante oppure fino a che k sk ≤ δ in cui δ rappresenta la profondit`a di penetrazione dell’onda termica

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

97

all’interno delle pareti. La profondit`a di penetrazione e` definita come la profondit`a alla quale l’ampiezza dell’onda termica e` pari a e− 1 volte l’ampiezza in superficie21 . Dalla trattazione teorica della conduzione termica si ottiene: s τo λ δ= π ρc con τo

periodo di oscillazione dell’onda termica (24 ore);

λ, ρ, c propriet`a termofisiche dello strato di materiale di spessore maggiore compreso in δ. Se il lato interno dello strato di isolante cade all’interno di δ valutata secondo la precedente formula, δ viene posta pari alla posizione dello strato di isolante a causa della elevata attenuazione introdotta da questo.

3.2.6 Calcolo dell’energia primaria consumata in caldaia Qc Noto il valore del fabbisogno di energia in condizioni ideali per una zona termica, per mantenere le condizioni interne desiderate, in regime continuo Qh o in regime attenuato Qhvs , si risale all’energia che deve essere fornita dalla caldaia Qp , per poi arrivare all’energia primaria consumata dalla caldaia stessa, Qc . Nel seguito, per brevit`a, si fa riferimento solamente a Qh vs e ci si limiter`a a mettere in evidenza le differenze per il caso in regime continuo essendo la procedura la medesima. Il primo passo si compie tenendo conto delle inefficienze del sistema di trasferimento dell’energia dai terminali di erogazione all’ambiente: Qr =

Qhvs η e ηc

con Qr

l’energia da fornire alla zona termica in condizioni reali;

ηe

rendimento di emissione;

ηc

rendimento di regolazione o controllo.

Il rendimento di emissione η e , tiene conto delle inefficienze nel trasferimento dell’energia dal terminale d’impianto all’ambiente (es. aumento delle dispersioni a causa dell’innalzamento della temperatura della parete posteriore dei radiatori, irraggiamento diretto da un radiatore verso una finestra ad esso affacciata, ecc.). Il valore di η e varia da 0,95 (per pannelli radianti in strutture poco isolate) a 0,99 (per i termoconvettori). Il rendimento di regolazione o controllo, ηc , tiene conto delle caratteristiche del sistema di regolazione, anche in dipendenza della tipologia dei terminali di impianto, che possono portare la temperatura interna a valori superiori a quelli di riferimento nel calcolo con conseguenti maggiori dispersioni (es. isteresi del termostato ed anche disuniformit`a di temperatura tra i locali termostatati e gli altri, oppure assenza del termostato come nei vecchi impianti centralizzati dotati solamente di sonda climatica esterna, inerzia termica dell’impianto, ecc.). Il valore di questo rendimento varia in funzione del sistema di regolazione e del tipo di impianto, ad es. per i radiatori e ventilconvettori non e` mai inferiore a 0,93. 21

Per i dettagli si consiglia di consultare un teso di Trasmissione del calore nella parte che tratta la conduzione monodimensionale in regime periodico.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

98

Come secondo passo si tiene conto delle perdite lungo la rete di distribuzione dalla centrale termica fino alle singole zone termiche e si calcola l’energia prodotta (uscente dalla centrale) come somma dei contributi delle diverse nz zone termiche servite, divisa per l’efficienza della rete di distribuzione:

Qp =

nz X

Qr,j

j=1

ηd

con ηd , rendimento di distribuzione, funzione delle dispersioni dovute alla distribuzione, si attesta attorno a 0,9. I metodi di calcolo ed i valori consigliati dei rendimenti di regolazione, emissione e distribuzione sono riportati nella Norma UNI 10348.22 Dall’energia prodotta Qp si risale all’energia utile Qu , al netto del contributo della pompa (figura 3.1): Qu = Qp − Qpo η po

η po rendimento della pompa, indica la frazione di energia che dalla pompa viene trasferita al fluido. La differenza tra Qp e Qu risulta di solito molto piccola, dell’ordine del 1% . Dall’energia utile Qu si ricava infine l’energia primaria consumata, Qc : Qc =

Qu Qhvs ≈ ηtu ηtu η e ηc η d

con ηtu , rendimento termico utile della caldaia, rappresenta il rendimento medio del generatore nel periodo considerato (mese o stagione), esso dipende dalla tipologia della caldaia stessa, in particolare dalle perdite al mantello Qd e ai fumi Qf e Qf bs , e da come essa viene utilizzata, cio`e dal livello di potenza richiesta rispetto alla potenza nominale del generatore.23 . Infine , noto il valore di Qc , si ricava il fabbisogno di energia primaria necessaria al riscaldamento Q durante il periodo di riferimento: Q = Qc +

Qaux Qpo + Qbruc = Qc + η sen η sen

Se il periodo di riferimento e` mensile, i valori stagionali di Qhvs e di Q si ricavano banalmente come somma dei valori calcolati mensilmente.

3.3 Calcolo del rendimento della caldaia Per il calcolo del rendimento termico utile ηtu dei generatori a combustione si fa riferimento alla norma UNI 10348, la formula del rendimento si ottiene da un bilancio sulla caldaia come rappresentato in figura3.1.   C) Pf + FPCd + Pf bs (1−F FC (3.13) η tu = 1 + Fbr − 100 dove: 22

Si fa notare che a questo punto del calcolo, per poter scegliere correttamente questi rendimenti bisogna aver scelto la tipologia dei terminali di impianto e le caratteristiche del sistema di regolazione. 23 La norma UNI 10348 prende in considerazione come generatori di calore le pompe di calore oltre alle caldaie. Questi sistemi, che trasferiscono energia termica da un ambiente pi`u freddo a un fluido o ambiente pi`u caldo grazie alla spesa di lavoro meccanico di un motore elettrico, vanno considerati separatamente e le loro prestazioni vengono tenute in conto attraverso il coefficiente di effetto utile o COP (coefficient of performance).

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

99

Pf perdite ai fumi [%]; Pd perdite al mantello della caldaia [%]; Pf bs perdite ai fumi a bruciatore spento [%]; F C fattore di carico al focolare, < 1; Fbr frazione di energia che il bruciatore trasferisce al fluido (trascurabile). Il denominatore 100 serve a riferire all’unit`a le predite percentuali. Il fattore di carico al focolare F C e` definito come Qc (3.14) FC = Qcn dove; Qc

energia primaria richiesta dal generatore nel periodo considerato;

Qcn energia primaria richiesta dal generatore funzionante a massimo carico in regime continuo. Esso si pu`o intendere come il rapporto tra la somma dei tempi in cui avviene la combustione nel generatore ed il tempo totale di disponibilit`a del generatore, cio`e tempo in cui l’acqua in caldaia e` mantenuta al valore nominale. L’equazione 3.13 si ricava a partire da un bilancio di energie sul generatore funzionante a pieno carico e da un bilancio a carico parziale nel modo illustrato nel seguito. Bilancio sul generatore a pieno carico Durante il funzionamento a pieno carico il generatore non ha perdite a bruciatore spento. Pertanto, sempre con riferimento alla figura 3.1 si ha: Qcn + η br Qbr = Qun + Qf n + Qdn

(3.15)

dove il pedice n sta ad indicare la condizione di pieno carico (nominale) e: Qbr e` l’energia assorbita dal bruciatore; ηbr rappresenta la frazione di energia trasferita dal bruciatore all’aria comburente per ogni unit`a di energia assorbita. Si dividano i termini dell’equazione 3.15 per Qcn , energia prodotta dalla combustione in condizioni nominali: η Qbr Qun Qf n Qdn 1 + br = + + Qcn Qcn Qcn Qcn in questa equazione si possono riconoscere i seguenti termini: ηbr Qbr Qcn

= Fbr vedi definizione precedente;

Qf n Qcn

= Pf perdite ai fumi a bruciatore acceso, riferite all’unit`a;

Qdn Qcn

= Pd perdite al mantello, riferite all’unit`a;

si espliciti rispetto a

Qun Qcn

e si ottiene: Qun = 1 + Fbr − Pf − Pd Qcn

(3.16)

dove, come anche nel seguito, per brevit`a, a differenza della Norma i simboli Pd e Pf non sono espressi in percentuale, ma sono riferite all’unit`a.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

100

Bilancio sul generatore a carico parziale La Norma UNI 10348 fa riferimento a caldaie con regolazione ON-OFF e temperatura dell’acqua costante durante i periodi di disponibilit`a del generatore, questo comporta che il bruciatore sta per parte del tempo acceso al massimo con perdite ai fumi pari a quelle nominali e per l’altra parte spento con perdite ai fumi corrispondenti e che le perdite al mantello si mantengono sempre pari a quelle nominali a causa della temperatura costante dell’acqua in caldaia. Cos`ı, il bilancio di energia per un intervallo di tempo in cui si susseguono fasi di accensione e fasi di spegnimento del bruciatore si pu`o scrivere come: Qc + η br Qbr = Qu + Qd + Qf + Qf bs

(3.17)

Si dividano i termini dell’equazione 3.17 per Qcn , energia prodotta dalla combustione in condizioni nominali: Qc η Qbr Qu Qf Qd + br = + + Qcn Qcn Qcn Qcn Qcn in questa equazione si possono riconoscere i seguenti termini: Qc Qcn

= F C vedi definizione precedente;

ηbr Qbr Qcn Qf Qcn

= Fbr F C in quanto il bruciatore e` acceso per una frazione F C del tempo totale;

= Pf F C per la stessa ragione del caso precedente;

Qf bs Qcn

= Pf bs (1 − F C) in quanto il bruciatore e` spento per una frazione (1 − F C) del tempo totale; Qd Qcn

= Pd in quanto la caldaia e` a temperatura pari a quella a pieno carico;

u pu`o essere trattato nel modo seguente: Il termine QQcn

Qu Qu Qun Qun = = CP Qcn Qcn Qun Qcn u dove CP = QQun e` detto fattore di carico utile e rappresenta il rapporto tra l’energia richiesta dall’impianto e l’energia che il generatore darebbe all’impianto se funzionasse sempre a pieno carico. In particolare si ha: Qun = Φun ta

dove con Φun si e` indicata la potenza utile nominale della caldaia (ricavabile da catalogo) e con ta si e` indicato il tempo di disponibilit`a del generatore nel periodo di riferimento; cio`e, ad esempio, nel caso di funzionamento continuo o attenuato (disponibilit`a 24 ore su 24) ta = N · 24 · 3600 secondi, mentre nel caso di funzionamento intermittente con disponibilit`a di 14 ore al giorno (zona climatica E) si ha ta = N · 14 · 3600 secondi. Il fattore di carico utile CP e` sempre minore del fattore di carico al focolare F C perch´e il bruciatore funziona non solo per fornire Qu all’impianto, ma anche per mantenere l’acqua in caldaia alla temperatura di funzionamento. Si sottolinea che il fattore di carico utile CP e` un parametro calcolabile quando e` nota l’energia Qu richiesta dall’impianto nel periodo, la potenza nominale della caldaia Φn ed il tempo di attivazione ta 24 mentre il fattore di carico al focolare e` calcolato come specificato di seguito. Si sostituiscano i vari termini come ora definiti nell’equazione precedente, si raccolgano F C e CP , si ottiene: F C(1 + Fbr − Pf + Pf bs ) = CP (1 + Fbr − Pd − Pf ) + Pd + Pf bs 24

I tempi di attivazione massimi sono fissati per le diverse zone climatiche dall’art.9 del D.P.R.412/93.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

101

si espliciti rispetto a F C e si ha: FC =

Pd + Pf bs + CP (1 + Fbr − Pf − Pd ) 1 + Fbr − Pf + Pf bs

(3.18)

A questo punto, si pu`o ricavare l’espressione di Qu dalla equazione 3.17: Qu = Qc + η br Qbr − Qd − Qf − Qf bs Allora il rendimento termico utile del sistema di generazione diventa: ηtu =

Qc + ηbr Qbr − Qd − Qf − Qf bs Qu = Qc Qc

in questa equazione si possono riconoscere i seguenti termini: (η Qbr )n η br Qbr = br = Fbr Qc Qcn in quanto il contributo del bruciatore si ha quando il bruciatore e` acceso e quindi proporzionalmente all’energia consumata Qc ; Qd Qc Pd Qd = = Qc Qcn Qcn FC Qf Qf n = = Pf Qc Qcn   Qf bs Qcn 1 1 − FC Qf bs Ppf bs = = (1 − F C)Pf bs = Qc Qcn Qc FC FC Infine si ottiene:

Pd (1 − F C) − Pf bs (3.19) FC FC L’equazione 3.19 e` analoga alla 3.13 a parte le perite che sono unitarie invece che percentuali. Tenuto conto che i produttori di generatori di calore sono tenuti a fornire nei cataloghi diversi parametri tra cui: η tu = 1 + Fbr − Pf −

un rendimento termico a pieno carico; η100 = Q Qcn un η30 = Q rendimento termico al 30% del carico (CP = 0, 30); Qcn

Φcn =m ˙ c Hi potenza termica al focolare, detta anche portata termica; Φf c =Φcn (1 − Pf ) = Φcn · (η 100 + Pd ) potenza termica convenzionale; Φun =Φcn (1 − Pd − Pf ) = Φcn · η 100 potenza utile nominale;

Si possono ottenere le seguenti espressioni pi`u sintetiche: η tu =

Qu Qcn Qun CP Qu = = ·η Qc Qun Qc Qcn F C 100

questa espressione e` utilizzabile appena calcolati CP ed F C.

(3.20)

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

102

Se i termini Pf , Pd e Pf bs non sono forniti dalla documentazione del generatore di calore possono essere ricavati dalle potenze prima elencate Φcn , Φf c e Φun nel modo seguente: Per le perdite al camino Pf : Φcn − Φf n Φf c = = 1 − Pf Φcn Φcn dove Φf n rappresenta la potenza persa ai fumi in condizioni di pieno carico, quando la caldaia lavora in condizioni nominali; pertanto: Φf c Pf = 1 − Φcn Per le perdite al mantello: Φun = η100 = 1 − Pf − Pd Φcn e quindi: Pd = 1 − Pf − η 100 Il termine di perdite al camino a bruciatore spento Pf bs se non disponibile pu`o essere ricavato dalla tabella 3.1. In alternativa all’uso della tabella 3.1 le perdite a bruciatore spento Pf bs si possono ricavare, con una buona approssimazione25, ponendo CP = 0, 30 e calcolando il valore corrispondente di F C, nel modo seguente: Si consideri: η 100 = η tu (CP = 1) ed η 30 = η tu (0, 30) dalla equazione 3.20 si ottiene: η 30 =

0, 30 η F C(0, 30) 100

dalla equazione 3.16 η 100 =

Qun = 1 + Fbr − Pf − Pd Qcn

25

L’approssimazione consiste nel fatto che η 30 e` ottenuto in laboratorio con temperatura media dell’acqua in caldaia di 50 C e non di 70o C come viene fatto per η 100 o

Tipo di generatore a combustibile liquido o gas con bruciatore ad aria soffiata con serranda sull’aspirazione dell’aria comburente

Pf bs (%) 0,1

a combustibile liquido o a gas con bruciatore ad aria soffiata senza serranda sull’aspirazione dell’aria comburente: con camino fino a 10 m con camino oltre 10 m

0,6 0,8

a gas con bruciatore atmosferico e rompitiraggio

0,6

Tabella 3.1: Valori delle perdite al camino a bruciatore spento

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO cos`ı si ottiene: F C(0, 30) = 0, 30

103

η100 η 30

ed anche, manipolando algebricamente l’equazione 3.18: Pf bs = η 100

F C − 0, 30 − Pd 1 − FC

Nella figura 3.4 viene riportato l’andamento qualitativo del rendimento termico utile ηtu ricavato con l’equazione 3.13 al variare del fattore di carico utile CP . Si fa notare che molte caldaie moderne, con bruciatore modulante, hanno un comportamento che non e` correttamente rappresentato dalla (3.13), infatti in questo caso si nota che il rendimento ha un andamento decisamente pi`u favorevole al diminuire di CP . η tu 1

Pd+Pf

η 100

η 30 caldaia modulante caldaia tradizionale

0

0,3

1

CP

Figura 3.4: Andamento del rendimento ηtu di una caldaia al variare del fattore di carico utile CP . Le perdite Pd , Pf e Pf bs sono misurate in laboratorio in condizioni di prova corrispondenti ad una temperatura media dell’acqua in caldaia di 70oC ed una temperatura ambiente di 20o C con una corrispondente differenza di temperatura tra acqua e aria pari a: ∆θn = (70 − 20) = 50K Qualora la differenza di temperatura ∆θ tra acqua e aria sia diversa da ∆θn , la Norma UNI 10348 prevede che nelle precedenti formule le perdite Pd , Pf e Pf bs vengano sostituite con le perdite corrette nel modo seguente:  0,02 ∆θ ′ Pf = Pf ∆θ n   ∆θ ′ Pd = Pd ∆θ n   ∆θ ′ Pf bs = Pf bs ∆θ n

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

104

FEP

lim

GG

0,2

0,9 S/V

Figura 3.5: andamento del EPlim al variare del rapporto S/V e dei gradi giorno

3.4 Calcolo di EP limite e sua verifica L’indice di prestazione energetica EP va calcolato a partire dal valore di Q stagionale espressa in kWh utilizzando la formula 3.1. Come previsto dal pi`u volte citato D.L.311/2006 l’indice di prestazione energetica per il riscaldamento deve essere inferiore al limite previsto dal Decreto all’Allegato C. La Tabella 1 relativa ai limiti per gli edifici di categoria E.1 e` riportata di seguito nella Tabella 3.4. La Legge (Art.2 del D.P.R.412/93) considera le localit`a appartenenti a zone climatiche in funzione dei gradi giorno, da A (pi`u calda, GG ≤ 600) ad F (pi`u fredda, GG > 3000). Per ciascuna zona si hanno due valori di EPlim , rispettivamente uno per S/V = 0, 2 ed uno per S/V = 0, 9, come riportato in tabella 3.4. Si deve avere: EP ≤ EPlim

Il limite imposto EPlim varia in funzione dei gradi giorno GG del comune26 in cui e` situato l’edificio e del Rapporto di forma S/V dell’edificio. Il limite di Legge, espresso in kWh/m2 di area utile calpestabile va calcolato nel modo seguente. Il primo passo per determinare l’EPlim dello specifico edificio e` quello di interpolare linearmente in funzione dei GG (ricavati dall’allegato A al D.P.R.412/93 e successive modifiche27 ) del Comune di appartenenza dell’edificio tra i valori estremi per la fascia climatica in corrispondenza di Sd /Vl =0,2 e poi in corrispondenza di Sd /Vl =0,9. Si ottengono cos`ı i valori estremi dell’EPlim0,2 e EPlim0,9 per il Comune28 . A questo punto, se l’edificio ha un rapporto Sd /Vl ≤ 0, 2 oppure Sd /Vl ≥ 0, 9 il F EPlim sar`a pari a F EPlim0,2 o EPlim0,9 rispettivamente. Altrimenti (con 0, 2 < S/V < 0, 9) si procede interpolando in funzione di S/V dell’edificio tra i due valori EPlim0,2 e EPlim0,9 determinati al passo precedente ricavando cos`ı il valore finale del EPlim . Negli edifici residenziali della classe E.1, esclusi collegi, conventi, case di pena e caserme valgono le seguenti limitazioni sul massimo valore di EP .

3.5 Calcolo del rendimento globale medio stagionale Si vuole garantire che il sistema di riscaldamento funzioni con un buon rendimento non solo al carico di progetto, ma anche ai carichi parziali durante tutta la stagione invernale. Perci`o il rendimento 26

Vedere la tabella dei Gradi Giorno messa a disposizione nel materiale didattico del corso. Ad esempio il Comune di Trieste ha subito un cambiamento recente dei GG ed e` passato dalla zona D alla zona E. 28 Tali valori saranno gli stessi per qualsiasi edificio dello stesso territorio comunale

27

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

105

Tabella 3.2: Valori limite dell’indice di prestazione energetica per la climatizzazione invernale espresso in kWh/m2 anno. valori da rispettare fino al 31/12/2007 Rapporto di forma S/V ≤ 0,2 ≥ 0,9

Zona climatica A

B

C

D

E

F

600 601 900 901 1400 1401 2100 2101 3000 3000 10 10 15 15 25 25 40 40 55 55 45 45 60 60 85 85 110 110 145 145

FEP lim FEPlim

0,2

0,9 S/V S/V

Figura 3.6: doppia interpolazione per ottenere il EPlim in funzione della zona climatica e del rapporto S/V globale medio stagionale definito come nella equazione 3.7 o nella 3.8 qui ripetuta: ηg =

Qhvs QR

Qhvs fabbisogno ideale richiesto dall’edificio per essere riscaldato QR fabbisogno di energia primaria totale per il riscaldamento. deve risultare non inferiore al valore minimo fissato per legge: ηg ≥ η g,min Nelle norme transitorie del D.L. 311/2006 il rendimento minimo, espresso in percentuale, per le caldaie con potenza nominale fino a 1000kW e` posto pari a: η g,min = 65 + 3 log(Pn ) con log logaritmo in base 10 e Pn = Φun potenza utile nominale del sistema di generazione espressa in kW. Per potenze nominali superiori a 1000kW il limite resta pari a 74% . Nel caso di interventi solo sugli impianti o sul generatore, invece, il valore minimo e` stato elevato di 10 punti percentuali come segue29 : η g,min = 75 + 3 log(Pn ) 29

Vedi Allegato I comma 3.

CAPITOLO 3. FABBISOGNO DI ENERGIA PER IL RISCALDAMENTO

106

Si pu`o notare che al crescere della potenza cresce anche il rendimento minimo ammissibile: ad esempio, con riferimento al valore previsto per i nuovi edifici, se per una caldaia da 10 kW η g,min = 68%, per una da 100 kW η g,min = 71%.

Capitolo 4 VERIFICA TERMOIGROMETRICA La diffusione dell’acqua sia liquida che allo stato di vapore nei componenti edilizi e` un fenomeno particolarmente complesso e la conoscenza dei suoi meccanismi, delle propriet´a dei materiali, delle condizioni iniziali e al contorno e´ spesso insufficiente, inadeguata e ancora in via di sviluppo. Il problema viene qui affrontato secondo le procedure semplificate presenti nella norma UNI EN ISO 13788:20031. La norma prende in considerazione due fenomeni che si possonoo verificare in corrispondenza delle pareti rivolte verso l’esterno: • la condensa superficiale sulle superfici interne • la condensa interstiziale all’interno delle pareti esterne. Le verifiche vengono condotte mese per mese, con ipotesi di stazionariet`a delle condizioni di temperatura e di pressione del vapore nel mese considerato; le condizioni al contorno corrispondono ai valori medi mensili. La standardizzazione di questi metodi di calcolo non esclude l’uso di metodi pi`u avanzati. I metodi di calcolo utilizzati forniscono in genere risultati cautelativi e quindi, se una struttura non risulta idonea secondo questi, possono essere utilizzati metodi pi`u accurati che ne dimostrino l’idoneit`a.

4.1 Parametri fondamentali e dati necessari per il calcolo 4.1.1 Caratteristiche dei materiali Per i calcoli devono essere utilizzati valori di progetto. Possono essere utilizzati i valori di progetto riportati nelle specifiche su prodotti o materiali, o quelli tabulati forniti nelle norme indicate nella seguente tabella. La conduttivit`a termica λ e il fattore di resistenza al vapore µ sono applicabili per materiali omogenei mentre la resistenza termica R e lo spessore equivalente di aria per la diffusione al vapore sd soprattutto per prodotti compositi o di spessore non ben definito.

4.1.2 Condizioni climatiche Per il calcolo del rischio di crescita di muffe superficiale o la valutazione del rischio di condensazione interstiziale nelle strutture, devono essere utilizzati valori medi mensili di temperatura e di umidit`a 1

Per valutazioni pi`u dettagliate fare riferimento al progetto di Norma europea prEN 15026:Hygrothermal performance of building components and building elements - Assesment of moisture transfer by numerical simulation.

107

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

108

dell’aria esterna, rappresentativi della localit`a in cui e` collocato l’edificio, ottenuti dalla norma UNI 10349. Per elementi a contatto col terreno, la temperatura del terreno va assunta pari al valor medio annuale della temperatura dell’aria esterna ed una umidit`a pari a quella di saturazione. Per il calcolo del rischio di condensazione superficiale su elementi a bassa inerzia termica, come ad esempio finestre e telai, deve essere utilizzata la temperatura minima di progetto e una umidit`a relativa del 95%.

4.1.3 Condizioni interne Per la temperatura dell’aria interna devono essere usati valori in accordo all’uso previsto dell’edificio, ad esempio 20◦ C per gli edifici civili e 18◦ C per gli edifici industriali. Il D.L.192/2005 prevede condizioni interne costanti corrispondenti a una temperatura θi = 20oC e una umidit`a relativa φi = 65%.

4.2 Verifica della condensa superficiale Quando sulle superfici interne, dei componenti edilizi che separano gli ambienti dall’esterno, le condizioni di umidit`a dell’aria si approssimano a quelle di saturazione si possono verificare problemi che, a seconda del tipo di superficie vanno dal rischio di corrosione, alla formazione di muffe fino alla formazione di condensa. Il controllo del rischio si traduce in una limitazione dell’umidit`a relativa ϕ dell’aria ambiente. I valori limiti per i casi predetti sono:   60% pvi < 0, 6ps (θsi ) per superfici sensibili alla corrosione 80% pvi < 0, 8ps (θsi ) per prevenire la formazione di muffe ϕsi <  100% pvi < ps (θsi ) per i telai dei serramenti (presenza di liquido)

dove

θsi

temperatura superficiale interna

ps

pressione di saturazione del vapor d’acqua (funzione della temperatura)

pvi

pressione di vapore nell’ambiente interno.

Tabella 4.1: Propriet`a termofisiche dei materiali e dei prodotti Propriet`a

Simbolo

Norme di riferimento

conduttivit`a termica resistenza termica specifica

λ R

da UNI 10351 e da UNI 10355 o da EN 12524 o determinate in accordo con ISO 10456

permeabilit`a al vapore fattore di resistenza al vapore spessore equivalente d’aria

δ µ sd

da UNI 10351 o da EN 12524 o determinate in accordo con ISO 12572

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

Tint, Pvi

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Parete

Tsi Tse Test, Pve

Per la valutazione del contenuto di vapore nell’aria oltre che alla pressione parziale di vapore nella Norma si fa riferimento al contenuto di vapore per unit`a di volume ν (umidit`a volumica)2 che permette una facile correlazione tra le condizioni igrometriche esterne e quelle interne. Infatti, in assenza di produzione di vapore, il contenuto di vapore nell’aria interna si mantiene uguale al contenuto di vapore dell’aria esterna. Una produzione di vapore G negli ambienti comporta un aumento del contenuto di vapore legato al rinnovo d’aria come segue: ν i − ν e = ∆ν =

G nV

dove n

tasso di rinnovo dell’aria

V

volume dell’ambiente

Il tasso di ventilazione n viene assunto variabile in funzione della temperatura esterna secondo la seguente relazione: n = 0, 2 per θe ≤ 0◦ C

n = 0, 2 + 0, 04θe

per θe > 0◦ C Possiamo mettere in relazione la pressione parziale di vapore pv con l’umidit`a volumica ν considerando il vapor d’acqua come aeriforme a comportamento ideale, tenuto conto del valore basso della pressione parziale del vapore in aria: pv V = mv Rv T = mv

pv =

R0 T Mv

mv R0 R0 T =ν T V Mv Mv

dove mv massa di vapore V 2

volume d’aria che contiene la massa di vapore mv ;

In pratica si tratta della densit`a che avrebbe il vapore se avesse a disposizione tutto il volume occupato dalla miscela aria-umida

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA pv

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pressione di vapore;

Mv massa molare dell’acqua; R0 = 8, 314 kJ/(kmolK) costante universale dei gas; T

temperatura assoluta dell’aria umida.

L’aumento di umidit`a pu`o essere espresso anche in funzione della pressione di vapore:   R0 R0 Ti + Te R0 pvi − pve = ∆ pv = (ν i Ti − ν e Te ) ≃ (ν i − ν e ) = ∆ν Tm Mv 2 Mv Mv La normativa prevede che le condizioni interne da utilizzare nei calcoli vengano maggiorate mediante un coefficiente di sicurezza per cautelarsi dalle approssimazioni insite nel metodo. pvi = pve + Cs ∆ pv ∆ pv = f (θe , destinazione d′ uso) dove Cs coefficiente di sicurezza posto, nella Norma pari a 1, 1 ma definibile diversamente a livello nazionale e ∆ pv e` funzione sia della temperatura esterna θe che della destinazione d’uso del locale, questo valore e si pu`a ricavare dal diagramma di figura 4.1 utilizzando i valori riportati nella tabella 4.2. Noto che ϕ = ppvs le limitazioni sull’umidit`a relativa si traducono in un controllo della pressione di vapore nell’aria ambiente, in funzione della pressione di saturazione. Per valutare la pressione di saturazione ps (in pascal) in funzione della temperatura (in celsius) si utilizzino le seguenti espressioni: 17,269·θ (4.1) psat = 610, 5 e( 237,3+θ ) se θ ≥ 0◦ C 21,875·θ psat = 610, 5 e( 265,5+θ )

se

θ < 0◦ C.

(4.2)

La verifica alla condensa interstiziale va ripetuta ogni mese. Nei mesi in cui si ha θe > 20oC la verifica e` necessaria solo se, che comunque va eseguita mese per mese nella stagione di riscaldamento. I dati di pressione di vapore esterna per le diverse localit`a si trovano sulla UNI 10349 (dati climatici). La pr Diff. di Pv (Pa) 1080 Produzione di vapore

810 540 270 0 0

20

Test

Figura 4.1: differenza di pressione di vapore in funzione della temperatura e della destinazione d’uso

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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Tabella 4.2: differenza di pressione di vapore in funzione della destinazione d’uso ∆ pv

Produzione di vapore Produzione di vapore molto bassa (magazzini) bassa (uffici) media (alloggi poco affollati) alta (alloggi molto affollati) molto alta (locali speciali come cucine, lavanderie, piscine)

≤ ≤ ≤ ≤

270 Pa 540 Pa 810 Pa 1080 Pa da calcolare

La variazione di ∆ pv al variare delle temperatura esterna e` dovuta all’assunzione di una ventilazione naturale crescente al crescere della temperatura. La norma considera la ventilazione costante al di sotto di 0◦ C e linearmente crescente al di sopra di 0◦ C a fronte di una produzione di vapore interna costante. In pratica i ricambi d’aria (tasso di ventilazione) n viene assunto pari a 0, 2 per θe ≤ 0◦ C e variabile secondo la seguente relazione: n = 0, 2 + 0, 04 θe per θe > 0◦ C. Resta l’incognita della temperatura superficiale interna. La sua determinazione non e` difficile nel caso di regime monodimensionale stazionario, per`o il calcolo si complica per la presenza di ponti termici. Si definisce quindi un fattore di temperatura sulla superficie interna o fattore di resistenza interna, fRsi : fRsi =

Rsi/e θ si − θe = θi − θe Ri/e

dove Rsi/e ed Ri/e rappresentano, rispettivamente, la resistenza termica tra la superficie interna e l’ambiente esterno e la resistenza termica tra l’ambiente interno e l’ambiente esterno. In assenza di altre indicazioni, nel calcolo di Ri/e si possono adottare i seguenti valori di hi : hi = 4 W/(m2 K) per parete piana senza schermatura hi = 2 W/(m2 K) nel caso in cui sia prevista o sia probabile la presenza di una schermatura termica (mobili, quadri, ecc.). Quanto minore e` fRsi = h1i tanto minore sar`a θsi e di conseguenza ps (θsi ). I valori minimi del fattore di resistenza si hanno in corrispondenza dei ponti termici, per il calcolo dettagliato del ponte termico si veda la UNI EN 10211-1, per quello semplificato la UNI EN 10211-2 oppure le tabelle dei fattori di temperatura presenti nell’atlante delle strutture.

4.3 Verifica della condensa interstiziale Si deve verificare mensilmente che all’interno dalle pareti esterne non si formi condensa. Questo fenomeno si presenta quando la pressione di vapore supera il valore assunto a saturazione. Viene utilizzato il metodo di Glaser: si ipotizza un fenomeno monodimensionale e stazionario, in modo che si possanano utilizzare relazioni simili a quelle della trasmissione del calore: φ′′ = −λ

∆θ dθ = −λ [W/m2 ] dx ∆x

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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psat

θ1 +

= p1

p1

θ2 p2

p2

Figura 4.2: a) Andamento della temperatura, b) andamento della pressione di vapore c) andamento della pressione di saturazione φ′′ e´ il flusso termico per unit`a di superficie, con ∆θ = θ1 − θ2 salto di temperatura tra due strati di conduttivit λ e distanza ∆x. In analogia a questa formula, si pu`o scrivere il flusso di vapore g: dp ∆p = −δ p [kg/m2 s] dx ∆x con δ p permeabilit`a al vapore, ∆p = p1 − p2 differenza di pressione di vapore tra due superfici. g = −δ p

∆x p1 p2

Accanto all’andamento della pressione parziale di vapore pv pu`o essere riportato anche l’andamento della pressione di saturazione psat funzione questa solo della distribuzione di temperatura all’interno della parete θ(x) come riportato in figura 4.2. La condensazione inizia quando la pressione di vapore raggiunge quella di saturazione. La condensa inizia quando la retta delle pv interseca la curva di saturazione psat , funzione questa delle temperature θ1 e θ 2 .

psat p1 p2

zona di condensa

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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Nelle pareti multistrato l’analisi pu essere svolta tracciando le psat in funzione della temperatura e confrontandole con l’andamento lineare a tratti della pv :

Tint Tsi Psat(T)

Tse Test Parete

La normativa, per semplificare il calcolo, introduce un materiale fittizio, con permeabilit`a al uguale a quella vapore dell’aria: cos`ı per ogni strato di spessore ∆xj e` possibile determinare uno spessore d’aria equivalente Sdj avente la stessa resistenza al vapore.3 ∀ strato ∆xj → Sdj ∆xj Sdj = aria δ pj δp da cui

δ aria p Sdj = ∆xj δ pj

in questo modo tutta la parete risulta costituita dello stesso materiale, eliminando gli spigoli ed ottenendo un andamento lineare di pv . Assumendo che: δ 0 = δ aria = 2 · 10−10 [kg/(m · sPa)] p si definisce per il materiale j−esimo un fattore di resistenza al vapore: µj =

δ aria p δ pj

ottenendo quindi Sdj = µj ∆xj Gli elementi ad alta resistenza termica, come gli isolanti, si suddividono in un numero di strati caratterizzati ciascuno da una resistenza termica non superiore a 0,25 m2K/W; ciascuno di questi viene considerato come singolo strato di materiale in tutti i calcoli e pure la distribuzione della pressione di saturazione psat viene assunta lineare a tratti. 4 Nel caso ci sia interferenza tra andamento della pressione di vapore e della pressione di saturazione e` necessario calcolare l’accumulo di acqua, verificando che sia inferiore al limite consentito e che comunque evapori tutta nei mesi pi`u caldi. Ipotizzando la parete asciutta all’inizio del calcolo, si procede mese per mese come segue: 3

I valori di permeabilit`a al vapore dei materiali sono riportati sulla norma UNI 10351. in realt`a l’andamento non E¨ lineare come si pu`o vedere considerando le eqns (4.1) e (4.2), ma la suddivisione degli strati con elevata resistenza termica riduce l’errore semplificando comunque il calcolo 4

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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• si fissano θ i , θe , pi e pe medie mensili, con pi = pe + 1, 1 ∆p • si calcola l’andamento della temperatura θ(x) nella parete reale; • a ciascuno strato si fa corrispondere uno strato d’aria equivalente. Gli spessori equivalenti sono di solito maggiori di quelli reali perch´e ogni materiale ha permeabilit`a minore di quella dell’aria. • sulla parete fittizia si traccia l’andamento di psat e delle pv , il cui andamento ora e` lineare su tutto lo spessore, essendo il materiale omogeneo. • Si verifica che non ci sia intersezione, come in figura 4.3, in caso contrario si deve calcolare la quantit`a di acqua accumulata nella stagione.

Parete fittizia

Pint Psat

Pest

Figura 4.3: parete senza condensazione

4.3.1 Calcolo della quantit`a di acqua condensata Si possono distinguere due casi: condensazione su un piano di interfaccia e condensazione su pi`u piani di interfaccia come riportato in figura 4.4: psat psat

pint a)

pint

b) pv pest

pest

s’d,c1

s’d,c s’d,T

s’d,c2 s’d,T

Figura 4.4: a) Condensazione su un piano d’interfaccia, b)su pi`u piani d’interfaccia

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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Il flusso di vapore condensato g si ottiene da un bilancio tra il vapore che entra dalla faccia interna e quello che esce dalla parete esterna nel periodo considerato. Nel caso di accumulo su un solo piano di interfaccia, e facendo riferimento alla figura 4.4a si ottiene:   pc − pe pi − pc − (4.3) gc = δ 0 sd,T − sd,c sd,c

dove pc e` la pressione del vapore all’interfaccia di condensazione, pc = psat (θc ) pari alla pressione di saturazione alla temperatura dell’interfaccia dove avviene la condensazione θc . Se la condensazione avviene su pi`u interfacce, facendo riferimento alla figura 4.4b si possono calcolare i flussi di condensazione nelle due interfaccie gc1 e gc2 :

gc1 gc2



 pc1 − pe pc2 − pc1 = δ0 − sd,c2 − sd,1 sd,c1   pi − pc2 pc2 − pc1 = δ0 − sd,T − sd,c2 sd,c2 − sd,c1

(4.4) (4.5)

l’accumulo nel mese considerato risulta dunque Gm = gcond ∆τ m [kg/m2 ] con ∆τ m tempo (in secondi) del mese considerato. Questo valore va aggiunto alla quantit‡ eventualmente accumulato nei mesi precedenti. In presenza di condensazione la pressione di vapore si assume quindi sempre pari alla pressione di saturazione alla temperatura dell’interfaccia anche nei mesi sucessivi. Passando al mese sucessivo si ha quindi: p = ps (θmese successivo) mentre per le pressioni esterne e interne si assumono i nuovi valori: pi = pi (m + 1) pe = pe (m + 1) con le nuove distribuzioni di pressione e temperatura si pu`o avere ancora condensazione oppure evaporazione psat (θm+1 ) < pi → continua a condensare ps (θ m+1 ) > pi → si ha evaporazione Nel caso in cui l’accumulo continui, la quantit`a condensata va sommata a quella accumulata nei mesi precedenti; se la condensa finale supera i 0,5 kg/m2 , la parete risulta inaccettabile. Se invece non si supera tale valore si deve comunque verificare che tutta la condensa evapori nel corso dell’anno, per avere ad ottobre la parete sempre asciutta. Per il calcolo dell’acqua evaporata si possono ancora utilizzare le (4.3), e (4.5), in questo caso l’andamento delle pressioni E¨ riportato nella figura 4.5 ottienendo di g ≤ 0. La quantit‡ evaporata nel periodo risulta quindi pari a Em = gev ∆τ valore che va sottratto alla quantit‡ precedentemente accumulata, se tale quantit‡ assume valori negativi siglifica che tutta l’acqua E¨ evaporata e pertanto l’interfaccia E¨ asciutta.

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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psat psat

pint a)

pint

b) pv

pest pest s’d,c1

s’d,c

s’d,c2

s’d,T

s’d,T

Figura 4.5: a) Evaporazione da una sola interfaccia, b) Evaporazione da due interfacce

4.4 Posizionamento ottimale degli strati di isolante Tipicamente, si utilizzano 3 tipi di installazione dell’isolante nella parete: • esterna: soluzione recente (ultimi decenni), presenta costi alti, difficolt di attuazione e meno durevole delle altre. • centrale: piuttosto rara, esistono comunque delle soluzioni inermedie che si avvicinano al centro della parete. • interna: tra le soluzioni possibili e´ la piu’ utilizzata, ha costi bassi, e´ semplice da effettuare, e l’isolante ha limitati problemi di sostegno Finora e´ stato considerato un comportamento dell’edificio di tipo stazionario, approssimando il fenomeno reale, che in realt e´ di tipo periodico. Poich´e il posizionamento dell’isolante influenza le caratteristiche dinamiche dell’edificio, valutiamone il comportamento:

4.4.1 aspetti legati al comportamento termico ed igrometrico dell’edificio Il problema igrometrico e´ legato a quello termico. I problemi nascono, come visto, quando la pressione di vapore supera quella di sturazione: pv > ps (θ) con pv , θ e ps che diminuiscono dall’interno verso l’esterno. Il salto massimo di temperatura si ha in corrispondenza dello strato di isolante: • Isolamento interno:

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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Tint Parete con isolamento interno

Isolante

Test

La pressione di saturazione segue l’andamento della temperatura:

Andamento della Psat Isolante

Psat

mentre la pressione di vapore e´ indipendente, ed ha un andamento in funzione della permeabilit al vapore di ogni strato δp

Pi Andamento della P Isolante Pe

Con l’solamento interno la ps ha un valore basso nella maggior parte della parete, favorendo la condizione di condensa pv > ps . • Isolamento esterno:

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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Tint Parete con isolamento esterno

Isolante

Test

Psat Andamento della Psat Isolante

Pi Andamento della P Isolante Pe

Con ps elevata nella maggior perte della parete, la condizione di saturazione si raggiunge piu’ difficilmente, in regime stazionario. In regime periodico invece si ha andamento di tipo ondulatorio della temperatura e del flusso termico (con periodo di oscillazione di 24 ore). L’irraggiamento solare e´ caratterizzato da piccole lunghezze d’onda λ, con un picco di radiazione fino a 1 µm, secondo la legge di Wien λmax T = cost = 2898µK, dove T nel caso del Sole vale 5700 K.

CAPITOLO 4. VERIFICA TERMOIGROMETRICA

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Esterno

Interno

q

Nei periodi in cui manca il flusso si ha dispersione, mentre quando c’´e irraggiamento si ha riscaldamento. La radiazione entra in gran parte dai vetri, che sono trasparenti alle basse lunghezze d’onda del Sole, ma opachi alle alte λ corrispondenti ai 300 K degli oggetti interni all’edificio: si ha dunque un ’effetto serra. Emiss.

Temperatura

Lungh. d'onda

Nel caso di andamento periodico, si ha: θx = θm + ∆θe−γx sen(ωτ − γx) dove e−γx e´ il termine di attenuazione: man mano che si entra nel corpo si ha smorzamento dell’ampiezza dell’onda termica.

Esterno

Interno

q

γ=

r

ω = 2a

r

ω 2λ/ρc

mettendo uno strato di isolante, con λ molto bassa (
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