February 11, 2017 | Author: Riccardo Ricci | Category: N/A
DIDATTICA DEL DISEGNO
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DIDATTICA DEL DISEGNO
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Raccolta ipertestuale ( CD rom) dei materiali: dispense e slides delle lezioni - prodotti a supporto dell’attività didattica per i corsi di: Rappresentazione del territorio dell’ ambiente Rilievo dell’ architettura e Disegno, presso la facoltà del Design n CONSULTA t
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DIDATTICA DEL DISEGNO
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DIDATTICA DEL DISEGNO
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CD rom specificatamente pensato a supporto degli insegnamenti di disegno edile e di costruzione dell’Architettura Contiene un sommario realizzato dagli studenti del corso di Rilevamento e Rappresentazione , raccolte di dati tecnici e un regesto delle norme e delle modalità di prassi del disegno di architettura con specifica attenzione al disegno costruttivo. t
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DIDATTICA DEL DISEGNO
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E’un testo finalizzato ad introdurre gli studenti alla specificità del disegno tecnico in edilizia Le note in appendice, sono una riflessione sui temi della didattica ed è motivata da un “dibattito” in essere in quegli anni con Maura Boffito. t
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DIDATTICA DEL DISEGNO
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Terzo ed ultimo CD rom, raccoglie, parte del materiale precedente e l’insieme delle lezioni tenute in seno alla SILSIS MI per le classi di abilitazione 18 - 25 e 07
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CLAUDIO UMBERTO COMI
SUL DISEGNO
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Introduzione
In ragione della finalità di supporto alla didattica, questo ipertesto offre diverse modalità di consultazione. “Cliccando” sui titoli a sinistra si accede direttamente ad un indice in cui si può scegliere il documento, sia esso: testo, raccolta di slides o altro documento, di proprio interesse.
RIFLESSIONI
È un percorso che, partendo dalla premesse da cui trae origine questa nova edizione dei precedenti CD rom diffusi a supporti dei corsi, offre a chiunque uno spunto di riflessione sui temi della rappresentazione in funzione delle diverse fisionomie che oggi animano le scuole di architettura.Ad ogni tema è associato un documento proposto come spunto di riflessione.
CRONOLOGIA
E’ solo un indice che raccoglie l’insieme dei materiali secondo l’ordine cronologico con cui sono stati redatti e distribuiti, rispetto a precedenti versioni distribuite non consente l’accesso ad alcuni documenti che sono stati rimossi perché ritenuti obsoleti o sostituiti da altri più aggiornati e completi
SUL DISEGNO 05
Inteso quale momento di revisione e riordino della molteplicità dei materiali progressivamente prodotti, e’ un indice ordinato in base ai differenti corsi. In esso sono indicati i testi di base e approfondimento redatti dall’autore. Allo studente è data facoltà di consultare quanto maggiormente gli interessa, anche in base alle indicazioni fornite durante le lezioni.
DIAPOSITIVE
Raccoglie la versione informato PDF delle slides, proposte durante le lezioni, per scelta ragionata l’ordine che le sistematizza non segue un ordine di tempo e di corsi, in quanto il tema del disegno, per quanto possa essere declinato in funzione delle specificità dell’ indirizzo di studi, a mio parere si configura come una conoscenza trasversale, starà quini a ciascuno consultare quanto maggiormente gli interessa , provando magari a guardare anche altrove per scoprire qualche risposta o conoscenza in più. Concludendo ringrazio tutti della pazienza che la consultazione di questo testo impone, anche se la personale esperienza mi insegna che il percorso che porta alla conoscenza non sempre è solo una retta che passa per due punti.
Premessa dell’autore
Partendo da una malintesa e poco frequentata “pratica zen”, mi sono spesso chiesto in quale misura il progredire della conoscenza non si riveli, per chiunque, un inutile fardello. Certo è che: una “passione curiosa” coniugata con un costrutto culturale adeguato (specie ai giorni nostri) ci portano a sublimare “il nuovo”; “un nuovo”, sempre e comunque mediato con l’insieme di conoscenza dall’umana e personale esperienza spesso confluisce in “un tutto indistinto”. Partendo da questa constatazione, forse perché sempre più spesso si assiste ad un involuzione di quel piacere del “discernere per gradi” propria della personale gioventù, ho ritenuto che fosse venuto il momento di riassumere e al contempo, “dis-ordinare”, il materiale didattico con pazienza e finalità di scopo, costruito in questi anni di lavoro con i miei studenti. Rispetto ai CD del passato, nei documenti qui presentati, verrà sicuramente a mancare quell’ordine cronologico proprio di una congruente azione didattica ma, è proprio dall’esperienza di didattica che ho tratto un insegnamento: per chi apprende nulla è ovvio e nulla e dato. Ed è ancora l’esperienza universitaria di questi otto anni anni che mi insegna che poco o nulla si costruisce sulla certezza “del tutto, subito e al meglio ”. Certo, da azioni formative coerenti e strutturate deriva un insieme di cose, proposte ed atteggiamenti congruenti, che per di se stesse non sono un male, ma, purtroppo lo diventano nel momento in cui si fondano su di un nulla che aleggia nella mente di chi, non comprendendo o peggio presupponendo di capire , ottempera senza comprendere consapevolmente. Quindi abusando per una seconda volta “del pensare” di Italo Calvino, mi sono prefisso che parte degli strumenti di lavoro costruiti per i corsi che ho svolto : testi, slide, tracce, ausili ipermediali e quant’altro, potessero disporsi in una forma che mutuando le “lezioni americane” si misurasse nell’esprimere: “leggerezza; rapidità; esattezza; visibilità e molteplicità”. In tale atteggiamento vi è un esplicita rinuncia alla dimostrazione del sapere imparato per lasciar spazio alla pratica del conoscere, un modo si essere che in rari e circoscritti casi ho avuto la fortuna di sentire nei miei maestri di ieri e nell’oggi e, per chissà quale ragione, non ho mai compiutamente assunto a modello didattico. D’altro canto l’opportunità ipertestuale che offrono i moderni mezzi informatici, garantisce anche ad studenti inesperti e a docenti “non strutturati” ( tra i quali mi annovero ) la molteplicità dell’informazione sia essa prodotta o altresì mutuata. Spero quindi sia proprio quell’ “esattezza” nel senso di misura, proposta in essere da Calvino nella sua esperienza “americana”, ad istruire e guidare il lavoro che mi attende; e a chi legge, lascio l’onere del discernere tra le “parole dette”, le “parole scritte” e “le immagini a supporto”; e del condividere che, come ebbe a prevedere Calvino nel 1984, è proprio questa la sfida sui sistemi di trasmissione del “sapere” che ci attende nel progredire del terzo millennio. claudio umberto comi professore “a contratto”
LEGGEREZZA
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Più di vent’anni di insegnamento del disegno, a cui si intreccia un analogo periodo di pratica professionale quasi tutta maturata in territori di frontiera dell’architettura: industrial design; editoria e grafica, illustrazione prospettica e disegno edile, disegno tecnico divulgativo e studi sul paesaggio, mi portano a pensare di aver sufficientemente sedimentato la conoscenza sui modi del disegnare e con ciò di disporre ormai di un “leggero fardello” sui temi fondanti la rappresentazione. Già 5 anni fa, con le LEZIONI ZEN credo di aver intuito ed espresso come il modo migliore per apprendere ed insegnare il disegno passi attraverso l’esperienza, ed oggi sono sempre più convinto che in una scuola di architettura l’insegnamento del disegno non possa essere posto in essere a prescindere da una adeguata e matura “abilità nel fare” di chi lo insegna. Come ho avuto modo di esprimere e ribadire in alcuni dei i miei scritti e in molte lezioni, il disegno è, al pari del costruire, in primo luogo attività pratica, fondata certamente su regole mutuate dalla scienza e mediate da processi o sistemi tecnologici più o meno evoluti e con ciò è e possibile subordinare la conoscenza e la pratica, ma l’efficacia della figurazione si fonda sul dimostrarne caratteri e natura del rappresentato attraverso un insieme di segni che discende in primo luogo dalla esperienza in pratica dell’artefice. Ed è proprio nella pratica dell’artefice che si misura la leggerezza del segno, la coerente sobrietà di strutturazione del campo grafico, la pertinente topologia tra forme e un efficace insieme di grafi che posano comunicare ed informare chiunque. Nelle Lezioni ZEN, un testo frutto di suggestione e retaggio dei “quaderni di bottega” del tardo quattrocento, attraverso “l’esempio”, intendevo “formare i molti” riconducendoli ad un “uno”, ovvero a quell’unicum che poi è il disegno nelle sue molteplici forme ed espressioni che ci sono familiari. Ben pochi tra i molti studenti che l’hanno letto, credo abbiano compreso la suggestione del tema; forse perché troppo condizionati da una partecipazione ad un progetto educativo che li induce alla ricerca di risposte su cui fondare poche e povere certezze che con l’ingenuità della gioventù in questi anni oscuri sentono esaustive della conoscenza. A me è rimasto il dubbio che una delle ragioni di tale senso di immanente fallimento, ormai percepito ed espresso in modo manifesto da alcuni che vivono dentro l’università, passi proprio da un inconfessabile bisogno di chi insegna, di fondare il prestigio e la credibilità del proprio magistero su processi di omologazione della conoscenza e non più sulle forme di esperienza empirica che per larga parte hanno connotato ed istruito il divenire della conoscenza. Nel disegno, leggeri sono gli strumenti traccianti e leggero è il foglio di carta su cui si manifesta per segni il pensiero. Non sempre altrettanto leggere sono le forme attraverso le quali chi apprende matura coscienza del fare. Il disegno, in quanto attività pratica, impone abilità pratica e capacità critica dei risultati, ma ancor prima di ciò impone una chiara finalità di scopo intesa quale previsione cosciente del figurare per segni, previsione strutturata in ragione dell’immagine che si andrà ad elaborare e che ci auspica comunichi ai molti quel pensiero sotteso, frutto di osservazione, riflessione e sintesi. ALTRO
ESATTEZZA
CONSULTA
È giusto?, e ben fatto? Va bene?. Sono le domande ricorrenti di uno studente che sottopone il proprio lavoro, nelle scuole di architettura in genere un disegno, a chi giudica o a chi insegna. Credo che nell’azione di magistero del disegno e dell’architettura, una sola risposta sia legittima per tali domande: osservare per comprendere, osservare di nuovo con più attenzione e ove ne ricorra il caso domandare. Quando si deve domandare per comprendere meglio la figurazione che si ha sotto gli occhi, chi insegna il disegno in architettura, in realtà ha già espresso il giudizio. Un disegno, non decanta, descrive. Un disegno non suggestiona, informa. Un disegno se corretto non presuppone il giudizio, asserisce ed afferma. Comprendere per uno studente che seppur negli infiniti dialetti il disegno è un linguaggio intellegibile, è il primo passo verso un autonomia del discernere e dominare il pensiero che si esprime per grafi. Disegnare una matita con 17 linee può apparire un esercizio sterile o al più divertente. Con ciò si presuppone una cognizione della posizione spaziale dell’oggetto raffigurato ed un controllo del segno: una linea è un tratto rettilineo o curvo tra due punti Certo è che in tempi di disegno assistito e presunti automatismi di restituzione da nurbs o quant’altro, proprio il controllo semantico diviene caposaldo della qualità di topologia e coerenza tra i segni che giustapposti definiscono le forme. Una linea di troppo o una linea in meno in disegno prodotto attraverso sistemi CAD, diviene un rebus per chi tale disegno lo deve interpretare, forse su un foglio di carta con tracciamenti compiuti attraverso procedimenti analogici, quella linea si sarebbe vista ed eliminata per tempo. Esattezza inoltre “è misura”, sia nel senso di qualità e quantità di segni e colori posti in essere nel campo grafico, che nel senso di congruenza con la scala di restituzione. A scala di dettaglio le commnensure di un paramento murario suggeriscono una texture che simuli la calce, già ad una scala d’insieme la calce sparisce e permane la commensura, disegnare la calce in un paramento murario in scala amministrativa ( 1:100) lo sa fare solo un computer. Peccato che in cantiere, chi legge la tavola su carta si dovrà chiedere cosa siano qui segni più marcati che a dire il vero in modo “random” partiscono il prospetto o rimarcano le linee di sezione. Esattezza è manifestazione visibile nel disegno di una compiuta conoscenza delle forme che qualificano il componente, il sottosistema o il sistema edilizio e , solo, nel disegno si misura e si definisce tale conoscenza. Per chi disegna non vi è alea di incertezza; al più vi è, per comodità di redazione e capacità di sintesi grafica, una schematizzazione del dettaglio, ma ciò è per prassi richiama o rimanda ad una norma unificata o alla sua applicazione mutuata da un uso corrente. Esattezza nel disegno è in sintesi una consapevole pratica di disporre segni tra loro coerenti e coordinati che restituiscano la forma nella sua essenza morfologica e materiale, da ciò forse non deriva un bel disegno ma consegue una corretta informazione che è scopo e finalità di ogni raffigurazione grafica di natura tecnica. Esattezza è per chi nel design mira a predefinire la forma, capacità di tracciamento di curve complesse e coerenti al disporsi dei piani nello spazio ed al variare di queste dai diversi punti di vista, ed oggi che l’architettura tende a diventare design, forse anche in questo caso un po’ di esattazza non guasta.
ALTRO
RAPIDITA’
CONSULTA
Reverse modelling e rapid prototiping, se non fossero poco più uno slogan fortunato per le software house, in passato, sarebbero diventati un mito come … achille o medusa A dire il vero la presupposta rapidità e automazione di processi di analisi e lettura del modello fisico o la prefigurazione delle idee, mal si conciliano comunque con la fretta, ma a troppi, forse ignavi, piace pensare che “la macchina informata” di qui a poco possa:” sostituire la mano” e , illusione, “alleggerire la mente”. Certo è che in un mondo in cui tutto e tutti sembra debbano vivere di fretta, anche le pratiche del disegnare hanno dovuto, loro malgrado, accelerare i tempi: si disegna meno, si disegna peggio e quel che è peggio si disegna automaticamente, nel senso di mancanza di coscienza di ciò che si fà . Purtroppo anche solo apprendere a disegnare comporta impegno, coscienza e dispendio di tempo, risorse che di questi tempi pare sempre e comunque proficuo spenderla altrimenti. Altrimenti da cosa non si capisce anche perché, pur escludendo il disegno, mai come in questi tempi i giovani architetti e non solo, sembrano non aver tempo in misura inversamente proporzionale a quello che apparentemente sprecano, non aver coscienza se non per” le griffe” dell’architettura e non solo, impegno almeno quello si, ma su cosa non sempre si capisce. La vera misura della rapidità del disegnare passa di nuovo dalla pratica. Solo chi ha adeguata pratica può in breve tempo prefigurasi l’impianto del disegno, tracciarne i tratti salienti e quindi sempre in forza della abilità pratica portare a ultimazione compiuta l’intera opera. In ciò non vi è alcuna novità visto che anche l’affermarsi di tecniche di disegno assistito, hanno scontato un lungo periodo di addestramento alla pratica dell’operare con il CAD di quel patrimonio umano di esperienza che erano i disegnatori tecnici e di edilizia. La vera novità sta nel fatto che oggi si assiste ad una nuova genia di post-disegnatori estremamente rapidi a far rispondere la macchina ai loro comandi, ma non altrettanto coscienti del valore semantico e comunicativo dei prodotti che da essa derivano. La vera scommessa sulla rapidità del disegno nel millennio che ci attende, è forse da ricercare e perseguire nel non strappare quel sottile filo che lega la figurazione comunque prodotta al senso che essa si prefigge. Dico ciò , dato che già in passato la fretta di qualcuno ad accedere alla scuola di Mesziers, e l’innegabile astuzia di scomporre per piani l’oggetto raffigurato semplificandone una figurazione altresì conforme, ha prodotto un processo di riduzione delle complessità della figurazione di un oggetto nello spazio che di semplificazione in semplificazione non consente ad uno studente di oggi di comprendere proiettività e omologia di una qualsivoglia figura o solido nello spazio se non rigidamente riferita ad una terna di assi cartesiani. Rapidamente si può forse conoscere, diverso e il caso del comprendere dato che proprio nel disegno si verificano e misurano leggerezza, esattezza rapidità, molteplicità mediate in quell’indeformabile lente che è la visibiltà, questa si sempre più spesso rapida, Talmente rapida che prima ancora della qualità del disegno misura, con gli occhi di chiunque, le qualità del disegnatore. ALTRO
VISIBILITA’
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Viene spontaneo chiedersi se la nostra cultura visiva possa estraniarsi almeno per un momento dal senso dello spazio, veduto e, concepito in modo prospettico.
Molteplici ragioni inducono a pensare che ciò non possa essere, e tutta la figurazione che ha contraddistinto le differenti espressioni artistiche - si pensi al senso di armonia di alcuni centri urbani minori o di alcuni partiti architettonici su assi stradali urbani in quasi ogni città, così come l’insieme delle figurazioni pittoriche e di alcuni gruppi scultorei; paiono essere frutto di un applicazione inconscia delle regole prospettiche alla scansione ed al governo dello spazio costruito, figurato e percepito Non si comprende quindi per quale ragione, da almeno un ventennio nelle scuole d’arte e nelle facoltà di architettura, l’insegnamento della prospettiva, sia essa intuitiva o legittima, comunque applicata alla prefigurazione del progetto trovi sempre minore spazio e interesse.Ad esser cattivi, viene da pensare che probabilmente la ragione di ciò possa essere ricercata in una progressiva disabitudine a quella che tra le pratiche grafiche che impone ancor prima della perizia di mezzi e di regole, un discreto tempo di apprendimento, esercizio applicativo, chiarezza di intenti e sensibilità di scopo; oppure si potrebbe ricondurre le cause di ciò ad una malintesa lezione tratta dal razionalismo in architettura e dall’astrattismo nelle arti figurative che nei fatti negano la valenza cognitiva legata alla rappresentazione prospettica. Personalmente credo, senza alcuna vena polemica, che come spesso accade, la perdita di interesse verso una pratica, sia espressione di quel malvezzo contemporaneo per effetto del quale: il nuovo pregiudica il vecchio e con l’impeto di passione che ci proietta nel nuovo si finisce con l’obnubilare ogni espressione, anche le più naturali ed efficaci in ragione di una malintesa moda estemporanea che ci porta a considerare ormai obsoleto quello che appena ieri era vitale.A complicare lo scenario del declino di tale pratica , in termini prospettico-informatici direi “a distorcerlo”, si aggiunge una sempre più diffuso ricorso alle utility di renderizzazione digitale di progetti o rilievi; renderizzazione conseguente a eidotipi sempre e comunque concepiti sulla base di algoritmi grafici generalmente di natura bidimensionale.L’apparente novità sta nel fatto che attraverso software più o meno esperti ed istruiti possiamo simulare una, virtuale, tridimensionalità e con ciò un senso dello spazio,. Se4nso dello spazio purtroppo quasi sempre alterato dalla presupposta fissità visiva dello spettatore che è costretto a percepire una scena predeterminata, magari composta da più frame in sequenza ma sempre e comunque costruita partendo dalla base di una visione concettualmente statica..Tali immagini, sicuramente convenienti sotto il profilo ecomonico, a volte efficaci, pertinenti e suggestive, risultano spesso inverosimili proprio relazionandosi alla sfera della percezione, in quanto fissano, attraverso le regole geometriche che le determinano e le fallacie informative che le conformano, proponendosi come un simulacro di percezione prospettica che altera nella quasi totalità dei casi la valenza di verifica e controllo propri della restituzione prospettica di un insieme di forme giustapposte nello spazio con procedimento analogico.E da tali riflessioni che prendono spunto queste pagine, pagine che ancor prima di proporsi come argomentazione compiuta vogliono solo introdurre il lettore ad una riflessione sui modi di prefigurare le cose nello spazio attraverso semplici e naturali operazioni grafiche
ALTRO
MOLTEPLICITA’
CONSULTA
A volte mi piacerebbe discutere se il disegno, sia unico o molteplice. Purtroppo oggi non si discute più, si conviene, si asserisce o si decreta. Il piacere del discorrere, nelle università, è diventato un piacere alternativamente orgiastico o ozioso, a volte meramente politico ma questo non è bene.In entrambi i casi ben poco di nuovo entra nel dibattito e, quel poco, spesso ha di nuovo solo la faccia di chi lo esprime. Un secondo tema per dibattere potrebbe essere: la natura intrinseca del disegno è passibile di innovazione o solo le tecnologie, che lo assistono, evolvendosi determinano una trasformazione che però ne conferma i capisaldi di immutabilità? Dato che chi scrive considera il disegno un “unicum”, pare evidente che solo il suo manifestarsi in forme molteplici determini una possibile classificazione tassonomica, ma dato che qualsivoglia classificazione non soddisfa il quesito, penso che solo attraverso il confronto dialettico e la dimostrazione pratica delle conoscenze addotte a quanto si argomenta si potrebbe definire e forse meglio precisare la questione. Certo è che l’apparente molteplicità dei modi di disegnare o se si preferisce del rappresentare per segni, impone una verifica su chi tra i molti che usano del disegno abbia il predominio della conoscenza? Per una risposta si potrebbe ricorrere ad un famoso apologo sulle differenti funzioni vitali dell’uomo e senza girarci troppo intorno scopriremmo che senza quel ventre molle, che sono le pratiche di addestramento di base alla figurazione grafica, ben poca nutrimento arriverebbe al cervello, sede certamente di un pensiero qualificato ma, organo che privo di sangue, notoriamente, deperisce in pochi istanti. Non sarà forse che proprio la consuetudine di associare al disegno, considerato nell’immaginario collettivo degli architetti e non solo una conoscenza inferiore o di servizio ad altre conoscenze , sia riuscita a deprivare la pratica del progetto, questa si declinata in molteplici specificità, di quelle qualità che presentava quando guardandosi indietro era governata da eidotipi istruiti da un solida conoscenza delle modalità di figurare per segni, l’idea? Naturalmente chi ha la convinzione di anteporre il metodo alle regole ,ha anche il malvezzo di tirare il sasso e ritrarre la mano. Ora, se chi disegna lascia un segno, quale segno lascerà chi non sapendo disegnare legge ed interpreta, spesso in modo non scientificamente coerente i segni che altri, prima di noi hanno tracciato ?Il disegno in quanto pratica impone la sperimentazione e non la teoria, anche il “furbo di Meziers” prima ha sperimentato e poi ha teorizzato il risultato dell’esperimento ma questo avveniva nell’ottocento e gli esiti di una deriva dalla applicazione teorica in pratica, li vediamo oggi. Ai portolani abbiamo sostituito i GIS, che producono tavole che spesso riesce a leggere solo chi le ha redatte, al filo a piombo ed alla sesta ad aghi, abbiamo sostituito gli scanner laser che producono nurbs che una volta tradotte in figurazioni sul piano, non dimentichiamoci che il disegno per assunto è figurazione sul piano e quindi sottintende topologie con qualsivoglia metodo mediate, nelle due dimensioni, sembrano delle TAC e superano quella complessità di segni di una restituzione fotogrammetrica del David di Michelangelo che chiude il ….. , una figurazione che pur avendo l’innegabile vantaggio di offrire un efficace in quanto suggestiva comprensione delle applicazioni del piano quotato, faceva sorgere dubbi in un giovane studente, già venticinque anni fa sull’ utilità pratica a qualunque altro fine che non fosse meramente dimostrativo di una tecnica.
ALTRO
MATERIALI AD USO DIDATTICO 5.1
DIDATTICA IN SENO A CORSI DI LAUREA IN ARCHITETTURA - EDILIZIA E DISEGNO INDUSTRIALE
Il materiale di seguito elencato è prevalentemente ad uso didattico. Lo stesso è diffuso agli studenti su supporto cartaceo, informatico o siti web, ed è inoltre presente in alcuni “ipertesti” su CD rom, che abitualmente vengono distribuiti a titolo gratuito agli studenti e a chi ne faccia richiesta. COD.
ANNO
TITOLO
PAG.
CONSULTAZIONE
anno 1997-98 D01
LE BASI DEL DISEGNO - ESERCIZI
33
Raccolta di 30 schede con esempi grafici elaborati dall’autore, per gli esercizi dell’azione di tutoring didattico svolta in seno al C.d.L in Pianificazione Territoriale, Urbanistica ed Ambientale della Prima Facoltà di Architettura
S01
TEST GRAFICO – ( versione 2002 )
integrata nel documento aggiornato al 1999
14
Sequenza slides per l’esercitazione introduttiva ai corsi mirata a verificare il livello di abilità grafica degli studenti in ingresso. S02
ESERCIZI DI DISEGNO- ( versione 2002)
12
Raccolta di slides per introdurre lo studente a semplici operazioni grafiche atte alla facilità di tracciamento del segno.
anno 1998-99 D02
CARTOGRAFIA STORICA DEL TERRITORIO DI MILANO S-E
22.
Dispensa con brevi cenni sulla “carta d’Italia” dell’IGM e n. 12 tavole con legenda della stessa. Materiale per l’elaborazione di letture diacroniche del territorio oggetto di studio in seno al corso di rappresentazione del territorio e dell’ambiente – C.d.L. in PTUA
S03
CARTOGRAFIA E LETTURA DIACRONICA – versione 2003 Raccolta di slides della lezione introduttiva ai temi della rappresentazione cartografica e dell’evoluzione storica della stessa. In appendice esempi di lettura diacronica su base IGM.
S04
CARTOGRAFIA E USO DELLA LEGENDA – versione 2003
66 .
46
Raccolta di slides sul tema della segnatura cartografica e sulla costruzione logica di una legenda.
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
1
COD.
ANNO
anno
1988-89
D03
TITOLO
PAG.
CONSULTAZIONE
57
LEGGERE IL TERRITORIO Dispensa con linee guida ed esempi sulle metodiche di rilevo fotografico e restituzione grafica in funzione di un esercizio di rilievo urbano. - Corso di rappresentazione del territorio e dell’ambiente – C.d.L. in PTUA 1998-99
S05
IL RILEVO FOTOGRAFICO
16
Raccolta di slides introduttive all’uso della fotografia analogica ed alle modalità di rilevo di un tessuto urbano.
D04
41
LA CITTA’ DI CARTA Dispensa con linee guida e metodi operativi per la realizzazione di modelli in cartoncino a scala plano volumetrica Corso di rappresentazione del territorio e dell’ ambiente – C.d.L. in PTUA
T01
LE BASI DEL DISEGNO - TESTO
147
Testo di approfondimento sui temi della rappresentazione grafica e sulle implicazioni di questa con la visione contemporanea del tema affrontato.
S06
IL SEGNO
6
Raccolta di slides sulle generalità del segno
S07
I GENERI DEL DISEGNO
18
Raccolta di slides sulle differenti forme di rappresentazione grafica, analogica ed assistita. S08
IL DISEGNO NELLE ATTIVITA’ TECNICHE Raccolta di slides con esempi dell’evoluzione dei modi di rappresentare nella storia.
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
36
2
COD.
ANNO
anno
1999-00
S09
TITOLO
PAG.
STRUMENTI E SUPPORTI
14
CONSULTAZIONE
Raccolta di slides introduttiva al tema della strumentazione atta alla rappresentazione grafica ed i relativi supporti. S10
STRUMENTI STORIA ED EVOLUZIONE Raccolta di slides sull’evoluzione storica dello strumento con relativi esempi figurati.
S11
SUPPORTI STORIA Raccolta di slides sull’evoluzione storica dei supporti
S12
32
16
LE TECNICHE OGGI Raccolta di slides sulle differenti possibilità d’uso per il disegno analogico e l’illustrazione di strumenti e supporti contemporanei
S13
LE TECNICHE DI INCISIONE
24
Raccolta di slides sulle tecniche di incisione.
S14
IL TANGRAM E LA GEOMETRIA SUL PIANO
38
Raccolta di slides sulle operazioni grafico geometriche elementari della figurazione piana applicate al gioco del Tangram. S15
IL TANGRAM E LA GRIGLIA ANAMORFICA Raccolta di slides sulle opportunità di deformazione di figure piane attraverso la griglia anamorfica per giungere al la simulazione della terza dimensione.
S16
LA SALIERA - PARTE PRIMA
44
Raccolta di slides relative allo schizzo dal vero in proiezione conica di un semplice origami. S17
LA SALIERA - PARTE SECONDA
46
Esercizi e riflessioni sulle proiezioni parallele sempre riferite all’origami oggetto di studio. Con esempi di lavori degli studenti
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
3
COD.
ANNO
anno
1998-99
D05
TITOLO
PAG.
SOMMARIO DATI TECNICI PER L’ARCHITETTURA LINEE GUIDA 1 E 2
29
CONSULTAZIONE
Linee guida per l’esercitazione da svolgersi in seno al corso di Rilevamento e Rappresentazione (criteri introduttivi ed argomenti con precisazioni sulle modalità di realizzazione della scheda richiesta.
D06
SOMMARIO DATI TECNICI PER L’ARCHITETTURA RACCOLTA SCHEDE
375
Raccolta di circa 400 schede elaborate dagli studenti in un ipotesi di riedizione del manuale dell’architetto.
1999-00 T02
DISEGNO EDILE
48
Testo di approfondimento sui temi del disegno in edilizia. Affronta riflessioni di metodo e di merito sull’importanza della consapevolezza di come il documento grafico descrive e determina la forma del manufatto.
D07
LE BASI DEL DISEGNO 2 – SCHEDE
64
Riedizione della raccolta ( 50 schede grafiche ) con gli esercizi del corso di rappresentazione del territorio e dell’ambiente .
D08
IL DISEGNO DEL PAESAGGIO
43
Linee guida per l’elaborazione di tesi di laurea sui temi della rappresentazione del paesaggio che ripercorrono I temi e le modalità di lettura ed interpretazione svolti nella tesi di laurea.
S18
LETTURA DEI CARATTERI DI LUOGO Raccolta di slides in relazione ad un esercitazione di rilevo ambientale.
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
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COD.
ANNO
anno
2000-01
T03
TITOLO
PAG.
LEZIONI ZEN
17
CONSULTAZIONE
Testo per l’educazione maieutica al disegno. In appendice riflessioni sul tema dell’educazione alla rappresentazione grafica e l’apprendimento in genere.
D09
SITO WEB PER IL CORSO DI EDILIZIA
20
Sito web in linguaggio HTML a supporto del corso di disegno edile tenuto nella sede di Mantova. D10
IL DISEGNO CON SISTEMI CAD DEL PARTICOLARE COSTRUTTIVO
7
Dispensa con indicazioni descrittive delle caratteristiche morfologiche e dimensionali dei “nodi tipo” proposti per l’esercitazione di disegno vettoriale e tavole con schemi grafici esemplificativi.
S19
IL DISEGNO TECNICO IN EDILIZIA
18
Raccolta si slides sui nodi di rappresentazione di prassi e normalizzati del disegno edile. S20
IL COMPONENTE EDILIZIO
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Raccolta di slides sulle caratteristiche morfologiche e prestazionali del componente nel processo edilizio. D12
METODI E TECNICHE PER IL DISEGNO DI ARCHITETTURA
75
Raccolta ipertestuale di schede inerenti le norme di unificazione e I metodi di prassi per l’elaborazione di rappresentazioni grafiche conformi del disegno in architettura.
La quasi totalità dei materiali sin qui presentati è stato raccolto nel CD rom: DISEGNO elaborato nel 2001 e da tale anno distribuito agli studenti che partecipavano ai corsi. CD1
DISEGNO CD rom con raccolta ipertestuale dei materiali didattici elaborati dal 1997 al 2001. In tale CD sono consultabili in formato pdf. Tale CD rom raccoglie la quasi totalità die documenti sino a qui elencati.
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
Dal 2006 questo CD rom è disponibile solo su richiesta 5
COD.
ANNO
anno
2001-02
CD2
TITOLO
PAG.
SOMMARIO PER IL DISEGNO EDILE
Dal 2005 questo CD rom è disponibile solo su richiesta
CD rom con raccolta ipertestuale dei materiali didattici elaborati a supporto del corso di Disegno Edile presso la sede di Mantova e del Laboratorio di costruzione dell’architettura 1, sino al 2002
D11
CONSULTAZIONE
L’INFORMATICA PER IL DISEGNO DI ARCHITETTURA
20
Testo esplicativo delle possibili articolazioni di moduli didattici integrativi o finalizzati alla definizione di corsi di disegno assistito e grafica informatizzata, nel progetto formativo dello studente di architettura.
S21
I SISTEMI INFOGRAFICI- CONCETTI INTRODUTTIVI
28
Raccolta di slides sulll’evoluzione dei sistemi di grafica assistita.
S22
L’IMMAGINE RASTER E LA FOTOGRAFIA DIGITALE
24
Raccolta di slides sulle modalità di produzione ed elaborazione di immagini raster. S23
I FATTORI VISIVI
10
Raccolta di slides sulle modalità di visone e percezione visiva
Lezioni del corso di Rappresentazione 1 sede di Mantova - modulo di:
S24
RILIEVO DELL’ ARCHITETTURA
IL DISEGNO DAL VERO
30
Raccolta di slides esplicative l’esercitazione di disegno dal vero.
S25
DALLA FOTOGRAFIA AL PIANO Raccolta di slides sul raddrizzamento grafico attraverso al prospettiva inversa con esemplificazioni sulla “maison de verre” di Andrè
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
14
6
COD.
ANNO
S26
TITOLO
PAG.
RILIEVO DELL’ ARCHITETTURA – IL COSTRUITO
10
CONSULTAZIONE
Raccolta di slides sulle modalità e la strumentazione per il rilievo di architettura con un caso esemplificativo. S27
IL DISEGNO PER IL PROGETTO
26
Raccolta di slides sulle modalità di realizzazione degli schizzi di progetto, con brevi cenni alle modalità di composizione di volumi. S28
IMPAGINARE Raccolta di slides introduttive ai modi di comporre in tavola le figurazioni grafiche prodotte.
Anno
12
2002-03
D13
I COMPONENTI DELLA COSTRUZIONE ED ELEMENTI PER IL 297 LORO DIMENSIONAMENTO
Raccolta prevalentemente compilativa di schede tecniche in relazione al dimensionamento del componente edilizio ai fini del progetto previsto dal laboratorio di costruzione dell’ architettura 1. D14
INDICAZIONI PER IL DISEGNO TECNICO
58
Dispensa costituita da stralci di testi sui temi della rappresentazione normalizzata del disegno tecnico, per l’esercitazione di rilievo dell’ oggetto industriale del laboratorio del disegno in seno al C.d.L. di Industrial design.
S29
IL RILIEVO DELL’ OGGETTO
36
Raccolta di slides sulle modalità di rilevo metrico strumentale di un modesto oggetto esercitazione del Laboratorio di disegno tenuto presso la Facoltà del Design.
anno 2005 D16
LA RAPPRESENTAZIONE DEL PROGETTO
60
Raccolta ipertestuale dei materiali didattici elaborati per il Laboratorio di costruzione dell’architettura 1, presenta esempi di elaborati prodotti negli anni precedenti utili allo sviluppo delle tavole di progetto richieste
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
7
5.2
MATERIALI DIDATTICI A SUPPORTO DEI CORSI TENUTI PRESSO LA SILSIS- MI SCUOLA INTERUNIVERSITARIA LOMBARDA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SUPERIORE DI MILANO DAL 2003 AL 2005.
anno 2003-04
L’insieme dei materiali didattici per il corso di Tecniche della rappresentazione, posto in essere per le classi di abilitazione 18/A ( Discipline geometriche, architettoniche, arredamento e scenotecnica) e 25/A ( Disegno e storia dell’arte ) del 4° ciclo,sono raccolti nel CD rom: Lezioni sul disegno, elaborato a conclusione del corso di tale anno accademico e distribuito ai partecipanti. CD3
LEZIONI SUL DISEGNO Cd rom con raccolta ipertestuale delle lezioni del corso di tecniche della rappresentazione tenuto in seno alla Scuola di Specializzazione per l’insegnamento ( SILSIS_MI) alle classi di abilitazione 18 e 25.
anno 2004-05
Nel 5°ciclo, (anno successivo con differenti studenti) per le medesime classi, ad integrazione del materiale proposto, si elabora un ipertesto esemplificativo sulle opportunità offerte dalla rete web in materia di informazione sui temi dell’arte figurativa con particolare riferimento alle tecniche espressive ed alle loro modalità di applicazione ed uso. D15
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
50
Ipertesto multimediale sulle tecniche della rappresentazione sviluppato in chiave esemplificativa per il corso in seno alla SILSIS-MI.
Altresì per la classe di abilitazione 07/A Arte della fotografia e della grafica pubblicitaria si struttura una intera serie di lezioni inerenti al didattica della grafica pubblicitaria e della comunicazione visiva. Tale serie di slides e le tracce di elaborazione dell’esercitazione proposta sono provvisoriamente raccolte in un CD rom con il titolo :“ 07/A campo grafico e figurazione del messaggio”. In tale CD dovrebbero inoltre confluire quelle tra le elaborazioni prodotte dagli specializzandi che assumono rilevante valore esemplificativo in termini di coerenza scientifico metodologica dell’azione didattica. D15
07/A CAMPO GRAFICO E FIGURAZIONE DEL MESSAGGIO Raccolta multimediale delle lezioni per il corso di “progettazione grafica ed il laboratorio di didattica della comunicazione, tenuto in seno alla SILSIS-MI per la classe di abilitazione 07/A.
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
8
5.3
COD.
MATERIALI ELABORATI IN RAGIONE DELLA PARTECIPAZIONE A CONVEGNI, SEMINARI, PRESENTAZIONE DI RICERCHE E STUDI.
ANNO
TITOLO – INCONTRO O MANIFESTAZIONE
2001
.
C03
PAG.
CONSULTAZIONE
PAESAGGIO MEDOTI DI LETTURA ED INTERPRETAZIONE AI 120 FINI DELLA V.I.A
SC01
Raccolta di slides esplicative i metodi di lettura di un immagine di paesaggio posti in essere dall’ autore in ragione di ricerche per conto del Politecnico di Milano. Predisposti per un incontro in un corso di formazione professionale finanziato con fondi FSE e patrocinato dall’Ordine degli architetti della Provincia di Varese Tema riproposto in occasione di una lezione nel master sul paesaggio presso l’Università di Bergamo tenuta l’anno successivo.
2002 C01
Museo didattico Giuseppe Pelizza da Volpedo , in Volpedo
COMPOSIZIONI E PROPORZIONI ARMONICHE NELL’OPERA DI GIUSEPPE PELIZZA DA VOLPEDO
11
Ipertesto esplicativo delle letture grafiche finalizzate all’ interpretazione in chiave didattica dell’ opera artistica sviluppata per il Museo didattico Pelizza da Volpedo. Curatore scientifico prof.ssa Aurora Scotti. SC02
PERCORSO PER IMMAGINI ALLA LETTURA DELL’OPERA DI 28 GIUSEPPE PELIZZA DA VOLPEDO Raccolta di slide che costituiscono l’insieme di letture usate come video in occasione dell’inaugurazione del museo di cui sopra.
2003
SC03
Politecnico di Milano – Sede di Mantova. Incontro seminariale conclusivo l’attivitò didattica dei corsi di rappresentazione,e sociologia e propedeutico all’ esperienza di laboratorio di progettazione 1
UN LUOGO E IL SUO SENSO, ESPERIENZA DI UN TURISTA PER CASO
25
Raccolta di slide elaborate sui temi della lettura sensibile di un luogo, per un seminario interdisciplinare presso la sede di Mantova
2004 SC04
Politecnico di Milano – Sede di Mantova. Incontro seminariale conclusivo l’attivitò didattica dei corsi di rappresentazione,e sociologia
LETTURA DELL’IMMAGINE FOTOGRAFICA: SCHEMI COMPOSITIVI E SCELTE ESPRESSIVE
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Raccolta di slide elaborate sui temi della interpretazione geometrica e della lettura analitica di un immagine fotografica di Vasco Ascolini, per un seminario interdisciplinare tenutosi il presso la sede di Mantova.
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
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COD.
ANNO
TITOLO – INCONTRO O MANIFESTAZIONE
2004
Politecnico di Milano – Sede di Lecco
SC05
LE DIFFERENTI FORME DI RAPRESENTAZIONE E L’IMMAGINE DI PAESAGGIO
PAG.
CONSULTAZIONE
47
Raccolta di slide elaborate sui temi della rappresentazione del paesaggio per il convegno: Analisi e gestione del patrimonio paesistico tenutosi presso il Monte Barro – Lecco il 17 giugno 2003. C06
LE DIFFERENTI FORME DI RAPRESENTAZIONE E L’IMMAGINE DI PAESAGGIO
25
Testo integrale dell’intervento al succitato convegno. Di tale testo è stato pubblicato un estratto nel volume: La rappresentazione, strumento per l’analisi e il controllo del progetto di paesaggio , a cura di MariA Pignattaro edito da Aracne editrice nel 2005
sempre nel 2004 ho redatto, stampato e divulgato in formato digitale un testo che raccoglie esperienze e riflessioni sul medesimo tema T04
SUL PAESAGGIO
96
Testo di approfondimento sui temi del Paesaggio. Raccoglie e riordina esperienze e riflessioni sul tema della rappresentazione del paesaggio finalizzato alla lettura dei caratteri di luogo ed al loro censimento ai fini di pratiche di valutazione paesitica. In tale testo si documentano, presentano ed argomentano la parte personale nei lavori di ricerca in convenzione svolti per conto del Politecnico di Milano.
Politecnico di Milano – Sede di Mantova – Facoltà di architettura. Incontro seminariale conclusivo l’attività didattica dei corsi di rappresentazione e sociologia del primo anno.
2005
SC06
FIGURAZIONI DI ARCHITETTURA: NOVITA’ E CONSAPEVOLEZZA
33
Raccolta di slide elaborate sui temi della rappresentazione assistita in architettura per un seminario interdisciplinare tenutosi presso la sede di Mantova.
Con la redazione del CD rom “sul disegno 05”, ho ritenuto più efficace operare i successivi aggiornamenti su base annuale. Pertanto,nelle pagine a seguire,troverete ultimi documenti elaborati. 5.4
AGGIORNAMENTI A FINE 2005
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
10
anno 2005-06 IL DISEGNO INFANTILE Raccolta di slide elaborate sui temi della rappresentazione dei bambini , proposta agli studenti del corso di design come momento di riflessione sulle modalità di apprendimento, cognizione e controllo dell’attività grafica cosciente
IL DISEGNO TECNICO Raccolta di slide elaborate sui temi delle differenti forme in cui il disegno assste l’ elaborazione progettuale nell industrial design
INDICE CRONOLOGICO - Release 040406
11
CLAUDIO UMBERTO COMI
SUL DISEGNO
05
RAPPRESENTAZIONE ANALITCA DEL PAESAGGIO
Tema centrale del personale percorso di ricerca, si sviluppa dal 1985 ad oggi affrontando, attraverso formulazioni teoriche e riprove sperimentali, l’applicazione di metodi grafici ed infografici finalizzati alla valutazione percettiva dei caratteri di luogo e delle trasformazioni naturali ed indotte, che questi vivono.
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HOME PAGE
01
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RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DEL PAESAGGIO
1999-2000
n CONSULTA
IL DISEGNO DEL PAESAGGIO Propone le linee guida per la elaborazione di ricerche e tesi di laurea sul tema, ripercorrendo procedure e I conseguenti esiti della tesi sperimentale sviluppata con Alesandro Pittaluga e Sergio Coradeschi dal 1985 al 1990 t
TESI DI LAUREA
n CONSULTA
02
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n CONSULTA
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO FIGURAZIONE IDEOPLASTICA
FIGURAZIONE IDEOGRAFICA
SINTESI IDEOGRAFICA
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OGGETTO DI STUDIO
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO FIGURAZIONE IDEOPLASTICA
ANALISI DEL PATTERN
CAMPO PERCETTIVO
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TESI DI LAUREA
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FATTORI GEOMETRICI
ABERRAZIONI GEOMETRICHE
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ANALISI GRAFICHE DEL PAESAGGIO FIGURAZIONE IDEOGRAFICA
ANALISI DEL CAMPO PERCETTIVO
Attraverso molteplicie ricorsive analisi grafiche si tende allo sviluppo di una figurazione di facile intellegibilità che assommi segni ed ideogrammi evitando il fattore di “ridondanza semantica” e “opacità dell’informazione” t
TESI DI LAUREA
LETTURA FATTORI CLIMATICI
05
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LETTURA FATTORI GEOLOGICI
E FATTORI VEGETAZIONALI
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RAPPRESENTAZIONE ANALITICA DEL PAESAGGIO SINTESI IDEOGRAFICA
LETTURA TONALE
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TESI DI LAUREA
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LETTURA DEI SEGNI
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ANALISI INFOGRAFICA DEL PAESAGGIO
1998-1999
STUDIO DEI CARATTERI DEL PAESAGGIO DEL COMUNE DI LEVANTO Ricerca DIIAR-DST finalizzata alle analisi preliminari del piano paesistico regionale.(M.Quaini). Sviluppata con Alessandro Pittaluga e altri, sperimenta l’uso dell’infografica per la lettura dei caratteri salienti di luogo t
POLITECNICO - LEVANTO
01
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO RILIEVO E CENSIMENTO
Dallo studio della cartografia storica, si è giunti alla definizione di “ambiti” sui quali operare le successive letture. Un accurato rilievo del “fronte a mare” a cui si affianca quello delle frazioni entro-terra che “punteggiano” la valle diverranno la base per le successive elaborazioni
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POLITECNICO - LEVANTO
02
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO ANALISI PERCETTIVA
CAMPO VISIVO
PUNTI DI ATTRAZIONE
MECCANISMI DI RECEZIONE VISIVA SEMPLICE t
POLITECNICO - LEVANTO
BASE VETTORIALE 03
u
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO VERIFICA DELLA RECEZIONE Attraverso una sistematica verifica dei fattori di contrasto tra le parti che costituiscono l’immagine campione si è giunti alla oggetivazione delle condizioni di maggior contrasto e su queste si sono verificate le analisi empiriche e relativi esiti constatando una sostanziale identita di risultato
VISIONE PERIFERICA
VISIONE ACUTA
VISIONE PERIFERICA
D
D
A
B C
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POLITECNICO - LEVANTO
04
u
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO LETTURA DIGITALE
ANALISI DEI PIXEL
Un comune programma di foto ritocco, consente l’ analisi selettiva dei pixel che compongono l’immagine in base al tono ed alla cosiddetta “profondità di colore”. Da ciò è possibile assumere valori percentuali utili alla definizione di parti significative dell’ immagine t
POLITECNICO - LEVANTO
05
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p
q
RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO SCHEDATURA DEI SITI
Dato che lo studio si è avvalso di contributi di natura: geologica, pedologica e botanica; per ciscun amnito indagato, si è giunti alla definizione di schede tipologiche che sintetizzassero i caratteri salienti delle diverse espressioni rilevate.
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POLITECNICO - LEVANTO
06
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO STUDIO DEL MODELLO
Sebbene lo studio fosse supportato da una specifica ricerca topografica che prevedeva lo sviluppo di DTM e la loro vestizione con ortofoto. Ai fini delle analisi di paesaggio si è costatata la necessità di produrre modelli, anche questi digitali che rispecchiassero le logiche della rappresentazione quaotata ( isoipse) in quanto la modellazione digitale automatica non offriva adeguati caratteri di sintesi utili alle analisit
POLITECNICO - LEVANTO
Fasi di costruzione .
MODELLO DIGITALE A ISOIPSE
EQUIDISTANZA A 25 m. 07
u
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO SINTESI DELLE ANALISI
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POLITECNICO - LEVANTO
08
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO CAMPO D’ANALISI
Oggetto di studio è una “cava di monte” posta nelle prealpi lombarde. Finalità dello stesso la Valutazione di Impatto Ambientale in funzione di un ciclo di coltivazione di circa 70 anni.
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POLITECNICO - ITALCEMENTI
01
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO STUDIO DELLA VISIBILITA’
Un accurato rilievo delle posizioni di maggior visibilità della cava, è base per l’ assunzione delle immagini campione su cui condurre le analisi.
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POLITECNICO - ITALCEMENTI
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO RISCONTRI TOPOLOGICI
ANALISI DEI RISCONTRI Per ciascuno dei campioni assunti si è resa necessaria una preventiva sintesi grafica con metodo analogico al fine di assumere i tratti caratterizzanti l’immagine e i relativi risocontri topologici ed altimetrici VETTORIALIZZAZIONE t
POLITECNICO - ITALCEMENTI
03
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ALTIMETRIE E RISCONTRI TOPOLOGICI p
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO MODELLI DI SCOPO ASSONOMETRIA DELLE SEZIONI
Anche in questo caso, il DTM non si è rivelato efficace,i specie perla necessaria interazione con studi di natura: geologica, pedologica, ecologica, vegetazionale, e di corrivazione delle acque.
MODELLO DELLE FASI DI SCAVO
In questo caso al modello digitale si è preferito il modello fisico o per isoipse o per piani orogonali ( sezioni ) t
POLITECNICO - ITALCEMENTI
MODELLO DEGLI STRATI GEOLOGICI 04
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO ANALISI INFOGRAFICHE
Con procedimenti di pesatura digitale dei valori tonali dell’ immagini si è giunti all’ identificazione delle presenze naturali e quelle frutto di processi di escavazione che caratterizzano l’immagine campione. Da ciò deriveranno le successive analisi e le simulazioni oggetto dello studio VALORI DI LUMINANZA
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POLITECNICO - ITALCEMENTI
05
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RAPPORTO PATTERN - PRESENZE
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO POLIGONAZIONI DEI CAMPI SIGNIFICATIVI
Attraversi I disegno CAD bidimensionale si sono definitoi gli areali inerenti I diversi fattori, operando quindi una valutazione percentuale degli stessi nelle diverse fasi di coltivazione e definendo le geometrie alla quali appoggiare le successive simulazioni delle ipotesi di intervento.
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POLITECNICO - ITALCEMENTI
SCHEMI GEOMETRICI DELLE PRESENZE DEL CAMPIONE
06
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO SIMULAZIONE DEGLI INTERVENTI ALLA VARIE SCALE TEMPORALI
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POLITECNICO - ITALCEMENTI
07
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
n CONSULTA
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ITALCEMENTI IMPIANTO
01
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
1999-2000
SUL PAESAGGIO Testo che raccoglie I casi presentati e si sviluppa attraverso riflessioni sul tema del paesaggio e delle sue condizioni di rappresentabilità grafica in funzione delle analisi
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PUBBLICAZIONI
01
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RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
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PAESAGGIO URBANO
01
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CLAUDIO UMBERTO COMI
INDICE PER DOCUMENTO
pagine 17 - 28
documento
anno
genere
Il disegno per il territorio
A.A. 1997-98
PROGRAMMA DEL CORSO
Programma e calendario dell’azione di “tutoring didattico” svolta in seno al C.d.L. in: Pianificazione Territoriale Urbanistica ed Ambientale della Prima Facoltà di Architettura 29 - 61
62 - 83
A.A. 1997-98 Le basi del disegno (prima versione) Raccolta di 30 schede con esercizi funzionali per il “tutoring didattico” svolta in seno al C.d.L. in PTUA
ESERCIZIARIO
Cartografia storica del territorio di Milano Sud-Est
A.A. 1998-99
MATERIALI DIDATTICI
Leggere il territorio
A.A. 1998-99
MATERIALI DIDATTICI
Linee guida e metodi operativi per la realizzazione di modelli A.A. 1998-99 in cartoncino a scala plano volumetrica
MATERIALI DIDATTICI
Le basi del disegno (testo)
A.A. 1998-99
TESTO
A.A. 1998-99
MATERIALI DIDATTICI
A.A. 1998-99
MATERIALI DIDATTICI
A.A. 1998-99
TESTO
Brevi cenni sulla “carta d’Italia” dell’ I.G.M. e n. 12 tavole con legenda della stessa, per l’elaborazione di “letture diacroniche” del territorio oggetto di studio 84 - 140
Linee guida per le metodiche di rilievo fotografico e restituzione grafica dello stesso in funzione di un esercizio di rilievo urbano 141 - 181
182 - 328
La città di carta
Testo di approfondimento sui temi della rappresentazione grafica e sulle implicazioni di questa con la visione contemporanea del tema affrontato 329 - 345
Sommario dati tecnici per l’architettura 1 Linee guida per l’esercitazione da svolgersi in seno al corso di Rilevamento e Rappresentazione ( criteri introduttivi ed argomenti)
346 – 357
Sommario dati tecnici per l’architettura 2 Linee guida per l’esercitazione da svolgersi in seno al corso di Rilevamento e Rappresentazione ( precisazioni sulle modalità di realizzazione della scheda)
358
Sommario dati tecnici per l’architettura - Raccolta
N.B. solo la copertina, in quanto il documento che raccoglie le circa 400 schede è consultabile nella raccolta “Sommario per il disegno edile”,di cui esiste uno specifico CD rom
.
359 - 423
424 - 465
A.A. 1999-00 Le basi del disegno (prima versione) Raccolta di 50 schede con esercizi funzionali al modulo didattico “disegno” svolto in seno al corso di Rappresentazione del territorio e dell’ambiente-
ESERCIZIARIO
Il disegno del paesaggio
A.A. 1999-00
TESTO
A.A. 1999-00
TESTO
Linee guida per l’elaborazione di tesi di laurea sui temi della rappresentazione del paesaggio che ripercorrono itemi e le modalità di lettura ed interpretazione svolti nella tesi. 466
Disegno Edile
Testo di approfondimento sui temi del disegno in edilizia. N.B. solo la copertina, in quanto il testo è consultabile nella raccolta “Sommario per il disegno edile”, di cui esiste uno specifico CD rom 467
Repertorio per la rappresentazione del particolare A.A. 1999-00 costruttivo
MATERIALI DIDATTTICI
Lezioni zen
A.A. 2000-01
TESTO
Sito web per il corso di Disegno edile
A.A. 2000-01
SITO WEB
L’informatica per il disegno di architettura
A.A. 2000-01
TESTO – linee guida didattica
N.B. solo la scheda introduttiva, in quanto la raccolta è consultabile nel “Sommario per il disegno edile”, di cui esiste uno specifico CD rom 468 - 484
Testo per l’educazione maieutica al disegno. In appendice riflessioni sul tema dell’ educazione alla rappresentazione grafica. 485
Sito web in linguaggio html a supposero del corso di Disegno edile tenuto nella sede di Mantova. N.B. partendo dal link nella pagina il sito è consultabile off-line 486 - 505
Testo esplicativo delle possibili articolazioni di moduli didattici integrativi o finalizzati alla definizione di corsi di disegno assistito e grafica informatica nel progetto formativo dello studente di architettura
A seguire, vengono presentate alcune serie di slides ( in Power Point) utilizzate nelle lezioni dal 1999 al 2001 506 - 511
Il segno
A.A. 2000-01
SLIDES
Strumenti e supporti
A.A. 2000-01
SLIDES
Il disegno nelle attività tecniche
A.A. 2000-01
SLIDES
Il disegno tecnico
A.A. 2000-01
SLIDES
Introduzione ai temi della rappresentazione grafica predisposta per il corso di Disegno Edile – A.A. 2000-2001 512 - 528
Informazione e riflessione sull’evoluzione degli strumenti atti alla rappresentazione - Corso di Disegno Edile – A.A. 20002001 529 -564
Regesto storico ed esemplificativo dei generi e dei modi della rappresentazione tecnica - Corso di Disegno Edile – A.A. 2000- 2001
565 - 582
Immagini a supporto dei concetti di base della rappresentazione tecnica normalizzata - Corso di Disegno Edile – A.A. 2000- 2001
583 - 594
Rappresentazione del territorio e dell’ambiente
A.A. 2001-02
SLIDES
A.A. 2001-02
SLIDES
A.A. 2001-02
SLIDES
Slides di introduzione al corso di Rappresentazione 1 – sede A.A. 2001-02 di Mantova – Calendario, interdisciplinarietà e modalità di frequenza al corso
SLIDES
Approcci con il rilievo: lo schizzo dal vero
A.A. 2001-02
SLIDES
A.A. 2001-02
SLIDES
7212 - 734 Dalla fotografia al piano: la prospettiva inversa A.A. 2001-02 Linee guida per operazioni sul raddrizzamento grafico per mezzo della prospettiva inversa . Un caso di studio: la maison de verre.- Parigi
SLIDES
Slides di introduzione al corso di Rappresentazione del territorio e dell’ambiente- Calendario e modalità 595 - 625
Gli strumenti della tradizione Lezione di approfondimento in relazione a strumenti e supporti destinati alla rappresentazione grafica di fenomeni territoriali
626 - 668
I sistemi informatici Lezione introduttiva agli strumenti e supporti informatici destinati alla rappresentazione grafica di fenomeni territoriali
669 - 680
681 - 711
Rappresentazione 1
Slides sulle modalità di disegno dal vero propedeutiche ad un esercitazione condotta nel plesso della sede univeristaria 712 - 720
La restituzione di immagini fotografiche Indicazioni preliminari sui temi del disegno di ornato e sulle modalità di redazione grafica di “rappresentazioni percettive”
735 - 753
Il rilevo: gli strumenti elementari di misura
A.A. 2001-02
SLIDES
Il rilevo: appoggio geometrico, un caso
A.A. 2001-02
SLIDES
Lettura di un luogo: Rivalta sul Mincio
A.A. 2001-02
SLIDES
Laboratorio del disegno - C.d.L. industrial design
A.A. 2001-02
SLIDES
Laboratorio del disegno: test grafico d’ingresso
A.A. 2001-02
SLIDES
Il tangram e le geometrie del piano
A.A. 2001-02
SLIDES
Slides di introduzione alle pratiche di rilevo del costruito: strumenti di misura, modalità d’uso e precisione 754 - 763
Slides esplicative le pratiche di rilevo di un unità abitativa con parti inaccessibili e non collimabili 764 - 807
Slides della lezione tenuta in occasione di un workshop propedeutico al Laboratorio di Progettazione 1 con gli studenti del corso di rappresentazione 1 - Sede di Mantova 808 - 824
Slides introduttive ai contenuti ed alle esercitazioni del laboratorio e nello specifico del modulo di disegno in seno alla Facoltà del Design – Terza Facoltà di Architettura di Milano 825 - 837
Esplicazione di 3 prove grafiche ispirate alle “lezioni zen” con funzione di introdurre i temi fondanti del disegno e verificare le abilità grafiche di base degli studenti in ingresso. 838 - 892
Linee guida per l’esercitazione grafica finalizzata all’acquisizione di abilità grafiche di coordinamento spaziale dei segni e riflessioni sulla modularità e deformazioni delle figure piane
893 - 936
La saliera : dal piano ai volumi
A.A. 2001-02
SLIDES
A.A. 2001-02
SLIDES
Esplicazione dell’esercitazione sulla rappresentazione per piani di una figura solida omeomorfa e simmetrica con indicazioni sulle modalità di rappresentazione proiettiva 938
Il rilievo dell’ oggetto Esplicazione dell’esercitazione sul rilievo proporzionale e metrico strumentale di un piccolo oggetto.
CLAUDIO UMBERTO COMI
INDICE PER DOCUMENTO
pagine 3 - 40
documento
anno
genere
Disegno Edile
A.A. 1999-00
TESTO
Testo di approfondimento sui temi del disegno in edilizia. Affronta riflessioni di metodo e di merito sull’importanza della consapevolezza di come il documento grafico descrive e determina la forma del manufatto.
Repertorio per la rappresentazione del particolare A.A. 1999-00 costruttivo
MATERIALI DIDATTTICI
Sommario dati tecnici per l’architettura - Raccolta
A.A. 1998-99
TESTO
Il disegno con sistemi CAD di particolari costruttivi
A.A. 2000-01
MATERIALI DIDATTICI
A.A. 1999-02
RACCOLTA DI SCHEDE
N.B. Il documento in origine parte di questo CD rom, è stato progressivamente rielaborato, integrato e riorganizzato sino a trasformarsi nella redazione attuale. 41 - 415
il documento che raccoglie le circa 400 schede elaborate e le considerazioni sul risultato con le relative valutazioni è consultabile in questo CD rom per argomento ( gruppo di temi) 416 - 423
Dispensa con indicazioni descrittive delle caratteristiche morfologiche e dimensionali dei “nodi tipo” proposti per l’esercitazione di disegno vettoriale e tavole con schemi grafici esemplificativi. 424 - 498
Metodi e tecniche per il disegno di architettura Raccolta di schede inerenti le norme di unificazione e I metodi di prassi per l’elaborazione di rappresentazioni grafiche conformi.
In appendice: (link ad altro documento in PDF) 499
I componenti della costruzione ed elementi per il A.A. 2002-03 loro dimensionamento
165 pagine Raccolta di schede tecniche, dati da manuali e testi vari: cataloghi, depliant ecc. sulle caratteristiche morfologiche, dimensionali, prestazionali, e d’uso, dei diversi componenti il manufatto edilizio.
SCHEDE E DATI TECNICI
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CLAUDIO UMBERTO COMI
INDICE PER DOCUMENTO
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Il documento nasce come trasposizione ipertestuale delle sequenze di diapositive (slides di Power Point) e documenti ipertestuali ( in PDF) utilizzati nelle diverse lezioni. Dato lo scopo del progetto formativo: “insegnare ad insegnare”, tali materiali, oltre ad una particolare attenzione ai contenuti, si configurano spesso come esemplificazioni di un modo, magari personale, di concepire l’azione didattica. In alcuni casi, dato il semplice fine di documentare quanto proposto in aula nella trasposizione in formato PDF, volutamente si sono omessi alcuni link altresì attivi nelle slides originali. Per agevolare la consultazione, si è preferito strutturare questo indice non rispettando la naturale sequenza cronologica delle lezioni, peraltro consultabile navigando il file così come strutturato, bensì riorganizzandolo per temi e quindi accorpando le lezioni sia del corso di Tecniche della Rappresentazione (classi 18 e 25), che di quello di Progettazione Grafica ( classe 07/A Materiali sul tema delle
pagine 13 - 46
“tecniche grafiche”
documento
Strumenti e supporti
classe
genere SERIE DI SLIDES
Ipertesto sull’evoluzione storica e tecnologica dei supporti e degli strumenti atti alla produzione di rappresentazioni grafiche 46 - 64
Tecniche grafiche
SERIE DI SLIDES
Immagini esplicative dell’uso degli strumenti per il disegno 427 - 475
Le tecniche della rappresentazione
IPERTESTO
Ipertesto esemplificativo delle possibilità di costruzione di materiali a supporto dell’azione didattica, mutuando materiali dalla rete, opportunamente riordinati e trattati . 476 - 487
Le tecniche di incisione
SERIE DI SLIDES
Immagini esemplificative delle diverse tecniche di incisione e delle valenze espressive ad esse riconducibili 488 - 500
Tecniche di stampa Ipertesto con caratteri , logiche e finalità analoghe a quello sulle tecniche della rappresentazione
IPERTESTO
Materiali sul tema delle
65 - 131
“geometrie del piano”
Le geometrie del piano e dal piano al volume
SERIE DI SLIDES
Raccolta di slides relative al corso di disegno nel laboratorio del disegno della Facoltà del Design. Si propone di suggerire agli “specializzandi SILSIS” un efficace riduzione dei temi attraverso la scelta di esercitazioni con una significativa componente ludica, a cui consegua la necessaria speculazione da parte dello studente 131 - 152
Leggere le geometrie nella fotografia
SERIE DI SLIDES
Lezione tenuta in un seminario presso la sede di Mantova sulle modalità di applicazione della “geometria grafica” nell’interpretazione di un immagine fotografica di architettura di Vasco Ascolini
Materiali sul tema dell’ 153 – 163
“interpretazione grafica dell’ opera d’arte”
Materiali per il museo Pelizza da Volpedo
IPERTESTO
Abstract ipertestuale con immagini esemplificative delle elaborazioni condotte sul tema dell’ impianto geometrico nell’ opera di Giuseppe Pelizza da Volpedo 354 - 384
Elaborazioni per il museo Pelizza da Volpedo
SERIE DI SLIDES
Raccolta delle elaborazioni condotte sulle opere, rimontate come sequenza video
Pannelli per il museo Pelizza da Volpedo
TAVOLE
N.B. la raccolta di 8 pannelli non è consultabile in quanto il peso (quantità di memoria) degli stessi rende oltremodo difficoltosa l’apertura dei files mentre una loro riduzione di risoluzione, non ne consente una agevole lettura dei testi a corredo.
Materiali sul tema della 250 - 296
“rappresentazione del paesaggio”
Il disegno del paesaggio dalla carta al monitor
SERIE DI SLIDES
Sintesi delle immagini inerenti I sistemi di disegno anologico e grafica assistita per il trattamento e l’interpretazione di immagini di paesaggio assunte a campione dei caratteri di luogo.. 297 - 499
Le differenti forme di rappresentazione e l’immagine di paesaggio Contributo per atti del workshop tenutosi a Lecco nel 2003 sul tema della: rappresentazione strumento per l’analisi e il controllo del progetto di paesaggio. Il testo, corredato di immagini precisa le modalità di lettura ed interpretazione poste in essere nelle ricerche condotte per il Politecnico di Milano.
TESTO
Materiali sul tema della 324 - 328
“didattica del disegno e della progettazione grafica”
Riflessioni sull’insegnare
SERIE DI SLIDES
Suggerimenti bibliografici e suggestioni grafiche sul mestiere di insegnare. 328 - 331
“insegnare ad insegnare”
TESTO
Traccia delle riflessioni a corredo delle slides di cui sopra 340 - 349
Il trucchi di Power Point
SLIDES
Serie di diapositive concepite per spiegare alcune tra le possibilità di comunicazione offerte da software di presentazione come Power Point. 195 - 203
“lezione interattiva”
SLIDES
Presentazione concepita come base per link ipermediali ad altre presentazioni, testi e scarichi di risorse o interi siti web. N.B. nella trasposizione in PDF tutti I link sono stati disattivati 204 - 236
“Il mito di Atlante”
SLIDES
Estratto del ciclo di lezioni sul tema della rappresentazione cartografica predisposte per il corso di Rappresentazione del territorio e dell’ambiente – C.d.L.. in PTUA 565 - 582
Lezione sul progetto
SLIDES
Il progetto grafico
SERIE DI SLIDES
Immagini a supporto dei concetti di base della progettazione di manufatti edili proposte in seno al corso di progettazione di elementi e sistemi del Laboratorio di costruzione dell’architettura 1 383 - 409
Slides di introduzione ed approfondimento dei temi del corso di Progettazione grafica – (SILISIS MI classe 07/A)
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Indice
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Premessa
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Il disegno per l'edilizia
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Il disegno il disegno tecnico Il disegno edile
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Il disegno come metodo Il progetto come disegno Il disegno come sapere
17 18 19 20 22 23
I mezzi per il disegno Modelli di riproduzione del sapere Il disegno quale capacità del "saper fare" Disegno come tecnica Definizione del termine disegno I generi del disegno
25 30
Gli strumenti del disegno Il segno
30 34 39
Classificazione del segno Lo spessore del tratto quale codice semantico Il tema della progettualità
in appendice 44
La didattica del disegno
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Premessa
Nel novero delle discipline socio tecniche, l’edilizia intesa per la sua componente effettuale di realizzazione di un manufatto fruibile e, il disegno industriale inteso come progettazione esecutiva di un prodotto; presuppongono da parte dei molteplici attori del processo progettuale un dominio cosciente di un linguaggio comune. Un linguaggio che per consuetudine, è di tipo iconografico. Tale considerazione deve offrire un primo spunto di riflessione a chiunque intenda affrontare in un ottica professionale un percorso formativo finalizzato all'esplicazione di tali attività: difficilmente potrà trovare forma compiuta un’idea non adeguatamente documentata ed esplicitata per mezzo di immagini congruenti e agevolmente leggibile ai soggetti terzi che ne cureranno la realizzazione. In altre parole: qualsiasi progetto, dal momento dell’ideazione alla realizzazione, deve sottostare ad un processo di oggettivazione e verifica che nel caso degli ambiti disciplinari qui trattati non può prescindere dalla congruenza della sua rappresentazione grafica. In conseguenza di ciò appare evidente che una parte preponderante del bagaglio di conoscenze indispensabili ad una efficace attività del progettista sia, e si intersechi, con una oggettiva capacità di rappresentare attraverso i differenti modi del linguaggio grafico. In tale ottica nasce l‘idea di questo testo che è giusto precisarlo è prevalentemente concepito quale stimolo alla formazione degli studenti dei primi anni dei corsi di laurea in Edilizia e Disegno Industriale, anche se, per i contenuti ed i temi affrontati può rivelarsi un valido sussidio anche agli studenti di Architettura. La particolarità del testo consiste in un esposizione di tipo concettuale e per tale ragione in questo caso deliberatamente non vengono proposti esempi grafici, per i quali si rimanda ad altri documenti. In merito all'appendice sui temi della didattica del disegno, che è giusto ricordarlo si rivolge sia agli studenti che ad altri che leggeranno queste pagine, credo e spero in una smentita che purtroppo da alcuni anni si sia ingenerata nell'insegnamento del disegno, in ambito universitario, una pericolosa scissione tra contenuti teorici e applicazione. Tale scissione pur legittimando approcci di elevata qualità culturale nega allo studente la comprensione di un “sapere” che come ho più volte ripetuto è in primo luogo dimostrato dal "saper fare".
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IL DISEGNO PER L'EDILIZIA.
"Disegno" ed "edilizia" sono due parole che immediatamente ci portano a pensare a qualcosa di pratico, o più efficacemente a: attività che danno luogo ad un “risultato visibile”. Nel caso del disegno l'immagine, descrivendole od evocandole, intende rappresentare entità reali od immaginate; nel caso dell'edilizia il manufatto, conseguendo precisi requisiti tecnico – funzionali, dovrebbe quanto meno assolvere lo scopo per il quale è stato realizzato. Elemento comune ad entrambi è il metodo1 o più precisamente i metodi che nel primo caso regolano i modi con cui si realizza un immagine (metodi di rappresentazione) e nel secondo i modi con i quali si raggiunge il risultato (metodi costruttivi). Secondo termine comune ad entrambi è il dominio della tecnica2, che nel caso del disegno viene prevalentemente intesa come "saper fare", mentre per l'edilizia, almeno in questo contesto, maggior importanza assume valore di "sapere come è fatto", o meglio di "sapere come si fa". Da questa breve premessa emergono quattro parole chiave che ci condurranno in tutto il lavoro. Esse sono: Disegno
ed
Edilizia
metodo
e
tecnica
queste ultime due, anche se con valenze leggermente diverse, interessano entrambe le discipline.
1 Il concetto di "metodo", assume in questo testo il significato di procedura per effetto della quale si consegue un risultato, mentre per “modo” si intende la singola componente operativa dei vari passaggi necessari al conseguimento dell'organicità della procedura. Tecnica in italiano significa: l'insieme delle regole pratiche da applicare nell'esercizio di una attività intellettuale o manuale, ed è questo il senso in cui viene intesa e non , trattandosi di un testo di disegno, nell'accezione che è propria a tale disciplina che identifica con "tecnica" i differenti modi di utilizzare materiali e strumenti.
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Il disegno
Non è nemmeno pensabile condensare in poche pagine tutto quanto si dovrebbe, o meglio, si potrebbe dire sul disegno, e questa considerazione varrà in seguito in eguale misura per l'edilizia. Non è altresì possibile affrontare un tema come questo, senza alcune precisazioni fondamentali su cosa sia il disegno. Il primo passaggio che ci permette di comprendere il taglio di questo testo e di sperimentare personalmente il metodo maieutico ad esso sottinteso ci porta a formulare una domanda che forse solo alla fine troverà risposta:
-
Cosa è un disegno?
Partendo da una delle risposte più comuni, personalmente sono portato a definire un disegno come "la rappresentazione di una entità reale o immaginata". Già in questa definizione, si ingenera una seconda domanda che introduce la necessità di approssimare un significato del termine "rappresentazione". Per esperienza condivisa la rappresentazione è per propria natura strettamente interrelata al fatto di una percezione di natura visiva. In altre parole una rappresentazione difficilmente sarà udita, toccata od annusata, dato che solitamente la rappresentazione “si vede”. Ora che abbiamo determinato la priorità della componente visiva nella rappresentazione, può tornare utile identificare le diverse forme di rappresentazione a cui abitualmente l'uomo ricorre. In base a ciò avremmo una predominanza di rappresentazioni di natura grafica o iconografica, quindi rappresentazioni prevalentemente percepibili attraverso la visione, cosa che solitamente avviene anche per rappresentazioni del tipo teatrale od in base ai più aggiornati mezzi di comunicazione, audio - visive o multimediali. A questo punto, un disegno risulta quindi rappresentazione grafica di una realtà, ferma restando la priorità percettiva, resta da determinare la congruenza della rappresentazione alla realtà rappresentata.
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Dato il tema che riguarda la rappresentazione del manufatto edilizio, quale che ne sia la qualità 3, un disegno viene realizzato al fine di documentare ed esporre le componenti morfologiche di entità reali o potenzialmente tali, che nel nostro caso è opportuno ricordarlo sono manufatti edilizi o parti di essi. Dato che, in linea di principio, possiamo ricondurre il disegno a due grandi ambiti: Il disegno artistico, come genere di rappresentazione che attraverso l'emulazione della realtà così come viene percepita, mira alla sua restituzione, ed il disegno tecnico, come metodo di rappresentazione che fondandosi su astrazioni di natura geometrica consente la rappresentazione conforme e parametrabile dell'oggetto rappresentato. Pare evidente che per quanto ci contempla soltanto il secondo metodo ha stretta attinenza con l'edilizia, non fosse altro che per la sua specificazione terminologica e di metodo (disegno "tecnico") meglio si adatta alla rappresentazione di un attività che come abbiamo già visto è preminentemente di natura tecnica.
Il disegno tecnico.
Quello che oggi viene correntemente definito disegno tecnico per quanto possa apparire strano non ha una lunga storia, non fosse altro che per il fatto che il suo assunto fondamentale (la rappresentazione degli oggetti attraverso le loro proiezione su piani tra loro ortogonali o di Monge) risale nella sua forma compiuta ai primi anni dell'800 4. Ed almeno sino al 1926 (anno di fondazione dell'I.S.A.) a livello internazionale non si avvertirà l'esigenza di unificare e regolamentare i modi della rappresentazione di natura tecnica. Oltretutto, si deve considerare che la necessità di standardizzazione interessa in un primo tempo esclusivamente il settore della meccanica e quindi tutte le prime norme (in Italia con l'AMIMA,) riguardavano prevalentemente tale comparto produttivo. Di contro l'edilizia come attività tecnica fonda le proprie regole e la propria storia con la storia dell'umanità, sorge quindi legittimo un dubbio, come veniva rappresentato il manufatto edilizio prima dell'800 ?
In questo caso il termine qualità viene inteso come rispondenza ai canoni pragmatici o normativi e sottintende l’effettiva rispondenza della rappresentazione a quanto si intende rappresentare. 4 Gaspare Monge matematico francese nato a Beaunne nel 1746 e morto a Parigi nel 1818 già professore alla scuola Militare di Mezières e poi alla Scuola Normale nonché alla Scuola Politecnica di Parigi viene universalmente riconosciuto quale padre della geometria descrittiva, ovvero di quel metodo da cui discendo le cosiddette proiezioni ortogonali . 3
7
Non è certo questa la sede per un attenta disanima dei modi del rappresentare l'architettura nella storia, certamente anche prima di tale data la costruzione veniva concepita come organizzazione planimetrica degli spazi, (rappresentazione in pianta) ed attraverso la sua conformazione morfologica (privilegiando in genere il fronte più significativo); lasciando poi spazio alla sua restituzione percettiva (rappresentazioni prospettiche) ed a numerosi schizzi o disegni di approfondimento sia in merito alla componente estetica (gli ornamenti, da cui deriva la cultura del "disegno di ornato" disciplina strettamente connessa alla nascita delle scuole di architettura), che tecnico-costruttivo (schizzi e disegni destinati all'approfondimento di particolari e della loro realizzazione ). Come abbiamo visto, in sostanza il disegno di edilizia sin dall’ antichità si prefigge di definire in sede previsionale (progetto) o a scopo di documentazione (rilievo) le componenti essenziali del manufatto edile, la loro conformazione ed i rapporti logico-dimensionali che le legano. Tornando quindi al disegno tecnico, il disegno edile altro non è che una specificazione del disegno tecnico, occorre comunque precisare che proprio per una forte predominanza della cultura di matrice ingegneristica almeno sino alla metà del secolo, ben poche norme tecniche interessavano il mondo dell'edilizia. Un mondo che perpetrando un radicato bagaglio di competenze tecnico-pratiche, anche nella sua componente documentale (disegno di progetto o di rilievo), si fondava su metodi pratici e tecniche ricorrenti (prassi). Prima di passare oltre devo spendere almeno ancora due parole sulla “prassi nel disegno”. Il disegno in fondo è qualcosa di molto simile alla scrittura, impone la conoscenza di un adeguato patrimonio di segni (nel caso della scrittura l'alfabeto); delle regole per effetto delle quali la combinazioni di tali segni assume senso compiuto (ovvero l'organizzazione da cui derivano le parole); ed un ulteriore sistema di regole (la grammatica) per cui le parole abbiano tra loro una relazione compiuta . Specialmente nel caso del disegno tecnico i segni hanno un preciso significato (codice semantico), la loro combinazione definisce un sistema semantico (linguaggio), la comunicazione avviene a condizione che tutti i segni nel rispetto del sistema semantico (all'atto pratico l'intero disegno) rispondano a ben definite regole; ciò verifica la supposta similitudine con la scrittura. Un secondo aspetto interessa la componente tecnica del disegno. Il disegno mutua la propria esistenza da due soli elementi: il “supporto" (in genere bidimensionale e piano) ed uno o al più, alcuni “strumenti”, atti a tracciare segni grafici.
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A differenza dell'edilizia che sin dalla sua origine nella sua specificità "materiale" impone l'utilizzo e quindi la perizia nell'uso di molteplici e diversificati strumenti , come ho detto, il disegno usa nella generalità dei casi, in prevalenza un solo strumento (tracciante) che, relazionandosi al supporto, determina l'insieme di segni che costituiscono il disegno vero e proprio. In questa apparente semplicità, si insinua l'intrinseca complessità del disegnare che trascendendo l'abilità tecnica trova naturale compimento e sublimazione nella perfetta rispondenza tra conoscenza teorica delle regole (in genere riferibili alla prassi o alle teorie geometriche), abilità tecnica nell'uso degli strumenti e metodo, inteso come struttura logica della procedura da cui l’elaborato grafico si origina.
Questa prima illustrazione, di Sergio Toppi, espressive del segno grafico nel disegno artistico
mette in evidenza
le potenzialità
Nella seconda immagine tratta da un manuale di disegno tecnico, si evidenzia un differente uso del segno a cui corrisponde un codice con precisi significati.
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IL DISEGNO EDILE
Dovendo affrontare un tema quale quello del disegno edile, forse può aiutare una definizione:"rappresentazione destinata alla definizione morfologica e dimensionale di un manufatto o parte costitutiva dello stesso". Nei fatti il disegno edile è uno specifico settore del disegno tecnico e tre aspetti fondamentali lo caratterizzano: -
il genere di rappresentazione ;
-
la scala metrica di rappresentazione;
-
l’utilizzo di codici semantici noti (normalizzati o di prassi).
Un quarto aspetto interessa il “fare edilizia”, ovvero le opportunità tecniche e le soluzioni tecnologiche che consentono la realizzazione del manufatto del quale con il disegno si intende dare rappresentazione; quindi prima d’ogni altra cosa introdurrò questo argomento. Il fare edilizia, che nella sua forma più elementare e concreta altro non è che edificare, (in altre parole “costruire un manufatto atto al ricovero di cose e/o persone”) impone al progettista un processo euristico di concezione e verifica dell’idea di spazio in rapporto ai caratteri ed alla materialità del manufatto. Questo processo che nel suo insieme si è soliti definire "progetto", trova generalmente manifestazione sotto forma di elaborati grafici, ed altro non potrebbe essere, perché documentare con parole o in forma scritta una sequenza di elementi con precise caratteristiche, conformazioni, dimensionamenti e relazioni, oltre che molto difficile e obiettivamente poco proficuo. Dovendo quindi considerare la rappresentazione grafica come un efficace metodo di comunicazione, pare evidente che, difficilmente una rappresentazione seppure suggestiva di realtà sconosciute o immaginarie dia luogo ad una comunicazione oggettivamente efficace. Ora, pur concedendo che un’architettura possa essere ricca di “suggestione”, sicuramente il percorso da cui si origina: solitamente fatto di “polvere e sudore” ben poco concede alla suggestione, in quanto come ogni attività umana è fatto eminentemente di natura tecnica. Ancor di più viene da dire che la suggestione che un architettura può offrire, nasce in via prioritaria se non esclusiva dalla capacità del progettista di prevedere in fase di progetto, e controllare in fase esecutiva, tutti gli elementi ed i fattori che interagendo tra loro e con lo spazio costituiscono l’insieme edilizio.
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Anticipando il tema della conoscenza l’ho strettamente interrelato alla rappresentazione e quindi giunto il momento di precisare i termini fondativi di tale relazione in specie biunivoca: conoscere per rappresentare e di riflesso: rappresentare per conoscere; Il concetto di conoscenza in edilizia si deve necessariamente estendere al dominio cognitivo più accurato ed approfondito possibile di tutto quanto entra in gioco nella realizzazione del manufatto. Dovendo il progettista determinare la forma, ed investendo quindi tempo, competenze ed impegno in tale “progettualità”, per così dire di natura “estetica”, difficilmente il risultato sarà conseguente quando, in difetto della conoscenza delle effettive possibilità tecnico-logiche di realizzazione, la forma risulterà inevitabilmente compromessa dalla materiale impossibilità ad essere realizzata così come era stata concepita. Uno dei momenti peggiori per un progettista consiste proprio nel pensare, disegnare, convincere il committente dell’importanza di alcune scelte, che poi lui per primo dovrà sconfessare perché nella realtà dei fatti si dimostrano impossibili da realizzare. Ed è quindi giusto precisare che prima di assumere il ruolo di opera d’arte, un architettura deve quantomeno assurgere alla meno nobile, ma sicuramente più utile, soglia di fruibilità pratica. Si diceva della conoscenza e la divagazione riporta proprio alla conoscenza da cui discende la rappresentabilità. Per “fare edilizia” la massa di informazioni non è poi nemmeno eccessiva, è ciò e in parte dimostrato dal fatto che ancor oggi si costruisca molto senza ricorrere a tecnici laureati. In quasi tutti i casi un geoemtra basta ed avanza per le autorizzazioni, poi il capomastro, formato alla scuola dell’esperienza, fa il resto. Il problema e, proprio di problema si deve parlare, sta nel fatto che l’architetto conoscendo quanto meno questa massa di nozioni elementari del costruire, dovrebbe saperle armonizzare e trasfondere con la propria cultura affinché il manufatto edilizio diventi un’architettura. Di contro, sempre più spesso, si assiste al caso in cui l’architetto, non conoscendo proprio le basi della più elementare edificabilità, esprima e manifesti la propria cultura in forme solitamente gradevoli, magari suggestive, forme che però all’atto pratico si dimostrano improbabili se non come spesso accade, irrealizzabili. A questo punto spero di aver inquadrato cosa intendo per conoscenza e non essendo questa la sede per approfondire nel dettaglio tutti gli aspetti tecnico costruttivi inerenti l’edilizia, che maturerete nel corso degli studi in altre discipline e dovendo necessariamente rapportare la rappresentazione grafica (il disegno) a problemi reali alcuni aspetti anche della costruzione verranno in seguito affrontati sicuramente in modo sommario, ma comunque affrontati.
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Da queste riflessioni spero emerga con sufficiente chiarezza il senso del primo binomio: Conoscere per rappresentare, il quale può in sintesi essere emblematicamente espresso da questo esempio: Di norma ogni edificio ha un tetto. Più propriamente il tetto si identifica quale sistema o “pacchetto”di copertura, in quanto in un “tetto” coesistono e si integrano più elementi: le orditure primaria e secondaria, l’orditura di appoggio del manto, il manto stesso e a seconda dei casi differenti strati isolanti ed altri vari elementi a corredo. Già nei termini vi è una differenza, se il tetto può essere confuso con il “tappo” della casa, un sistema di copertura già nel nome fa pensare a qualcosa di più complesso; quindi passando al disegno, se un “tetto” potrebbe (ma non può!) essere idealmente rappresentato da una o due linee; pensando al sistema di copertura e a tutto quanto lo compone chiaramente due linee non bastano più anche perché tra orditure, manti e strati vari un sistema di copertura nel migliore dei casi presenta uno spessore di circa 35/40 cm che in scala 1: 100 sono quasi mezzo centimetro, mentre già “al 50” diventano un centimetro in cui se non indico almeno in modo schematico gli elementi che lo compongono avrò uno spazio inesorabilmente vuoto che oltre a non dire niente è pure brutto. Chiaramente non conoscendo come è fatto un sistema di copertura e cosa lo costituisce difficilmente saprò quanto possa misurare e quindi diventeranno due tre linee tirate a casaccio.
Per passare quindi al secondo binomio: Rappresentare per conoscere Il concetto di rappresentare per conoscere, inquadra, proprio il senso profondo della progettualità, che al contrario di quanto si potrebbe credere non è mera enunciazione di principio, ma costante ricerca delle opportunità di conseguire un determinato risultato. Ogni progettista che voglia considerarsi tale è tenuto in primo luogo a sviluppare un processo critico delle proprie intuizioni, un processo che solitamente attraverso il disegno si struttura nel rispetto del metodo scientifico tra enunciazione di un ipotesi (tesi) e verifica (in questo caso grafica) dell'effettiva possibilità di realizzare quanto ipotizzato (sintesi). Un esempio classico di questo modo di concepire la rappresentazione grafica sono proprio gli schizzi di progetto, dove ogni architetto ricerca, confrontando le forme e le idee sulla carta, un giusto equilibrio tra idea di architettura e sua effettiva conformazione.
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Dallo schizzo, in cui ciascuno esprime più che in ogni altra manifestazione grafica la propria natura più profonda ed in certo senso il proprio grado di dominio del fare architettura, emerge l’idea e già, almeno chi lo elabora “vede” come sarà, l’articolazione degli spazi, le relazioni formali e cosa fondamentale anche se spesso impercettibile la possibilità di realizzare in base al personale bagaglio di conoscenze il manufatto stesso così come concepito. Per quanto possa essere liberamente redatto uno schizzo altro non è che il canovaccio su cui i progettista intende sviluppare il proprio progetto e non è un caso che in molti schizzi di progetto ad una rappresentazione magari di straordinaria sinteticità e schematizzazione dell’architettura si affianchino uno o più disegni dei particolari formali o costruttivi che andranno a caratterizzare quel determinato edificio o manufatto.
Schizzi di O. M. Ungers per il progetto del grattacielo della Fiera di Francoforte. tratti da Casabella 591 – marzo 1985
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Il disegno come metodo.
Il manufatto architettonico, quale che siano i paradigmi progettuali da cui trae origine e le tecnologie con cui si intende dare corso alla parte effettuale (costruzione) impone una adeguata congruenza tra forma (morphos) e fattibilità tecnica (teknè). In tale rapporto, necessariamente di natura dialogica, ad un idea della forma deve corrispondere un processo (tecnologia) di trasformazione dei materiali per effetto del quale l’idea prendendo forma, si materializzi. Al contrario di quanto si potrebbe pensare, ogni elemento (prefabbricato o realizzato in opera) che concorre alla realizzazione del manufatto in modo manifesto o indotto, interagisce con la configurazione formale dell’insieme e tale aspetto impone una profonda e cosciente cognizione atta al governo di tali interazioni. In un certo senso sarei portato a dire che per quanto si possa credere come nel caso di alcuni sistemi di prefabbricazione, il risultato sia diretta conseguenza della forma del componente , anche in questo caso solo la corretta comprensione e gestione dello stesso in relazione al sistema edilizio da luogo a quel plus che differenzia l’edilizia dall’architettura. In seguito si affronterà il tema della interdipendenza insita nel processo progettuale; un processo in cui problema, progetto e prodotto nella loro comune accezione di anteriorità ad una corretta lettura epistemologica negano la consuetudine di porli in termini consequenziali. Ora, sia che si condivida la coincidenza di tali fasi generative di un manufatto o che si propenda per una loro consequenzialità, resta il fatto che etimologicamente e fattualmente il progetto anticipa il manufatto (prodotto) o così almeno pare. Senza addentrarmi in complesse e quanto mai astratte speculazioni su di una generalizzata necessità di coincidenza tra progetto e prodotto, credo si possa conseguire un ragionevole consenso sul dato di fatto che il progetto è strettamente funzionale alla realizzazione del prodotto. Una condizione questa che non può essere assolutamente elusa, nel caso di manufatti, come quelli edili, per i quali tra ideazione e realizzazione si debba ingenerare un rapporto dialogico e quanto più possibile univoco tra progettista e maestranze, ovvero chi materialmente realizza l’opera. Nella mente del progettista, esiste un idea di edificio che esprime ed appaga la sua identità umana e culturale la quale, per quanto possa essere condizionata dalla volontà e dalle esigenze espresse dal committente, lotta costantemente con la componente effettuale della costruzione, un atto, la costruzione, nella maggior parte dei casi unico ed irrevocabile.
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Per essere più chiari su questo punto: mentre un progetto può essere costantemente riconsiderato, modificato, rivisto o addirittura “rifatto”, quando da questo si passa alla realizzazione, sia per ragioni pratiche che economiche, il progetto si cristallizza per dare vita alla sua realizzazione materiale: la costruzione. Sempre più spesso, si parla e cosa ancor più drammatica si vive una crisi dell’architettura, come se tale disciplina in quest’ultimo scorcio di secolo abbia smarrito la consapevolezza del proprio ruolo nello scenario culturale e sociale, probabilmente questa crisi comune a molte altre discipline di matrice umanistica, si origina in un preciso momento storico in cui si rompe il sottilissimo filo tra progetto e prodotto. A mio parere, l’unico requisito irrinunciabile per un architetto è una “curiosità intelligente”, ovvero quella costante capacità di guardare e leggere dentro le cose e di trarre da tale lettura un numero di informazioni adeguato a comprendere ed organizzare tale massa di conoscenze. Una curiosità intelligente che ancor prima che nelle parole, trova riscontro proprio nei grafi che diventano il linguaggio privilegiato di tale esercizio di lettura ed interpretazione.
Il progetto come disegno.
Parlando di edilizia, il progetto, quale che sia il suo grado di affinamento, trova nella generalità dei casi una manifestazione di natura iconografica. Molteplici ragioni determinano tale stato di cose: Il manufatto architettonico occupa e campisce lo spazio fisico, un entità immateriale che per abitudine e convenzione si è soliti rappresentare attraverso entità geometriche. La geometria nel suo istinto speculativo delle caratteristiche spaziali, sin dalle sue origini usa del disegno per verifiche immediate e riprove ai postulati teorici, ne consegue quindi una diretta ed ormai consolidata abitudine a coniugare spazio e segni grafici che lo identificano. L’architettura quale disciplina finalizzata alla generazione di spazi a vario titolo conformati, usa del metodo geometrico proprio per effetto di quella costante necessità di relazione tra idea (il progetto) e “fattualità” ( il manufatto). Da ultimo è necessario osservare che proprio il disegno nel suo senso più ampio, caratterizza e qualifica un fatto architettonico, dato che come ho già avuto modo di dire, la sottile differenza tra edilizia ed architettura consiste proprio nella messa a sistema di tutti gli elementi che ad essa concorrono e, trattandosi di elementi (entità fisiche) con precise connotazioni geometrico-spaziali, si impone una preventiva verifica (solitamente grafica) dei loro rapporti relazionali.
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IL DISEGNO COME "SAPERE"
Per comprendere a fondo i modi con cui intendo trattare il tema, è indispensabile che ognuno di voi sappia rinunciare almeno per un po' a quella apparente sicurezza che ci deriva dalla somma di conoscenze ed esperienze che caratterizzano il cosiddetto: "sapere". Ho deliberatamente scelto il termine "sapere" e non "cultura", dato che a mio parere con il primo è possibile identificare l’insieme di conoscenze sublimate dall'esperienza, mentre la cultura intesa quale memeoria di molteplici "saperi" in cui non sempre la componente sperimentale assume valenza preponderante, diviene a mio parere sinonimo di meccanica acquisizione della nozione, In relazione a questa premessa può risultare oltremodo significativo un breve passo tratto da " Del sentire" di Mario Perniola5: Ai nostri nonni gli oggetti, le persone, gli avvenimenti si presentavano ancora come qualcosa da sentire, di cui avevano un esperienza interiore, di cui si rallegravano o si dolevano, a cui partecipavano sensorialmente, emotivamente, spiritualmente, oppure al contrario che nemmeno avvertivano o che si rifiutavano di avvertire. A noi invece gli oggetti, le persone e gli avvenimenti si presentano come qualcosa di già sentito, che viene ad occuparci con una tonalità sensoriale emotiva, spirituale già determinata. Il discrimine non sta affatto tra la partecipazione emotiva e l'indifferenza , bensì tra ciò che è da sentire e ciò che ho già sentito. In tale lavoro, l'autore riprende in parte il tema del "simulacro", un tema, già affrontato in precedenti scritti ove la manifestazione percettibile di un entità od un fenomeno manifestandosi svuotato della sua vera essenza, diviene feticcio della realtà, ovvero archetipo. Il fulcro del lavoro di Mario Perniola consiste proprio nell'approfondimento delle dicotomie estetiche della cultura contemporanea e ciò mi consente di approssimare il tema specifico di queste mie riflessioni, che è opportuno ricordarlo interessano la rappresentazione grafica nella sua accezione più elementare: il disegno.
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Mario Perniola - Del sentire - Einaudi Torino 1991
( pag. 4)
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I mezzi per il disegno
Il disegno, quale attività umana finalizzata a seconda dei casi alla rappresentazione documentale od evocativa, risente nelle differenti epoche storiche di un dualismo dialogico tra "artefice" (l'autore) ed il contesto sociale in cui trova manifestazione. In relazione a tale rapporto potrebbe essere interessante ripercorre in chiave critica la storia del disegno per accorgersi, magari, che gli apparenti casi di omologazione ai cosiddetti “canoni”, più che conseguenza di una deliberata scelta espressiva dell'artefice è conseguenza dei "saperi" (tecniche e strumenti) sino ad allora sperimentati e quindi noti agli artefici e, tale atteggiamento esegetico, proprio della cultura materiale, diviene nella contemporaneità un valido strumento di interpretazione delle radicali trasformazioni intercorse in ambito iconografico nel recente passato e con l’avvento delle tecnologie informatiche di generazione dell’ immagine nel presente. A dimostrazione di ciò nell'illustrazione qui sotto vediamo il parco di strumenti per il disegno in uso sino ai primi del '700. Da ciò appare evidente che il disegnatore per larga parte della storia si sia avvalso di pochissimi strumenti e con essi in alcuni casi sia giunto a risultati di ottima fattura ed alta intelligibilità.
J.Leque - Gli strumenti del disegnare
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Solo con la rivoluzione industriale si è determinato un nuovo approccio allo strumento, generando una partenogenesi di oggetti che altro non sono nella maggior parte dei casi, simulacri dei "traccianti" originari e tutto ciò probabilmente sino all'era del CAD, ha caratterizzato il disegno del '900; un epoca in cui, per effetto di un modo di "fare scuola", l'artefice apprendeva in primo luogo "un metodo" grazie al quale, avvalendosi di pochissimi strumenti, poteva giungere all'apice espressivo. Come dirò in seguito, tale sapere, proprio perché progressivamente cristallizzato in un modello culturale in cui pare che la componente riproduttiva obnubili la componente produttiva, rischia alle soglie del nuovo millennio se non di dissolversi, quantomeno di subire una mutazione irreversibile, sempre che ciò non sia già avvenuto. Prima di addentrarmi nelle categorie ordinatrici dell'attività grafica intesa quale "disegno" s'impone un ultima precisazione. La cultura contemporanea, al pari di molte manifestazioni espressive, ha in un certo qual senso scisso il disegno in due parti: da un lato la pratica, quale fatto esclusivamente tecnico e quindi azione di natura meccanica fondata su di un modello, dall'altro il concetto o contenuto che per effetto della sua apparente predominanza si cristallizza, nella generalità dei casi, in asettiche enunciazioni puramente teoriche. In relazione a ciò deve essere detto che tale distinguo ai fini della riproduzione di un sapere può risultare legittimo solo a condizione che chi vi si accinga e lo opera disponga e domini l'insieme del "saper fare" che costituiscono il disegno: tecnica e teorie ad esso sottintese, in caso contrario la predominanza di una componente sull'altra svuoterà la disciplina della sua identità essenziale: il dualismo tra ars e tecknè.
Modelli di riproduzione "del sapere"
Allo stato attuale il meccanismo di riproduzione dei "saperi", così come le culture da cui traggono origine, sembra risentire di una eccessiva frammentazione. Dato che tale frammentazione troppo spesso viene proposta come approfondimento specialistico della disciplina da cui si origina, si assiste alla scomposizione quell'insieme di caratteristiche costitutive del sapere originario che ne configurano l'insieme e che lo rendono effettivamente fruibile. D'altro canto un approccio frammentario al sapere pervade e conforma anche i meccanismi di comunicazione ad esso sottintesi e ciò disarticola un pensiero in origine organico intaccandone inoltre anche la congruenza a livello di linguaggio.
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Non a caso, proprio nella cultura dell'immagine che molto ha da condividere con la rappresentazione grafica, si assiste ad un una specie di babele dei linguaggi, in cui linguaggio fotografico o multimediale, logiche più o meno corrette delle geometrie descrittive e della pura e semplice attività grafica si fondo e si confondono sino al punto di originare una specie di invisibile barriera che genera l'incomunicabilità. Purtroppo si deve inoltre constatare come anche il disegno, la manifestazione compiuta della rappresentazione grafica, stia vivendo una fase di profonda crisi nella quale si assiste alla scissione delle sue due componenti fondamentali l'apparato teorico (in genere enunciato e non esplicitato) e la pratica che solo apparentemente pare essere manifesta e possibilmente emulabile. Per effetto di ciò ogni persona senziente dovrebbe chiedersi per quale ragione un sapere quale è il disegno, che fonda la propria ragione d'essere sulla applicazione pratica di assunti teorici, nella maggior parte delle proposte formative si trovi ad anteporre l'enunciazione della teoria alla sperimentazione pratica. Un secondo aspetto mette in luce una ulteriore dicotomia: se da un lato la disciplina della rappresentazione grafica e frutto di prassi a cui consegue la comprensione delle regole, possono oggi nel processo di riproduzione (formazione) le regole anteporsi la prassi? Personalmente sono portato a pensare che ciò non sia possibile e proprio per tale ragione ritengo che lo strappo al filo di cui dicevo in precedenza sia da ricercare nel momento in cui il disegno rinunciando al suo ruolo di terreno d'incontro cominciò a costituirsi un proprio spazio delimitato da confini.
il disegno quale capacità di “saper fare”
Per giungere ad una delimitazione del campo di approfondimento di queste pagine, che si propongono esclusivamente come traccia per una più approfondita riflessione critica sul tema affrontato: la rappresentazione grafica. Anche in forza del contesto in cui queste parole hanno origine e vengono spese (una Facoltà di Architettura) e dell'ultima considerazione in relazione alla priorità metodologica che tale attività presenta, pare opportuno scomporre i termini della questione ed in ragione di ciò avremmo la seguente trilogia: DISEGNO
come cultura, come metodo, come tecnica.
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Disegno come "patrimonio culturale"
in questo ambito d'analisi il termine cultura associa i concetti di: "genere e grado del sapere" genere
inteso come: classificazione e catalogazione dei differenti saperi (1)
mentre per quanto concerne il grado
avremo:
la quantità e la qualità di informazioni inerenti ogni determinato sapere
Disegno come "metodo"
Assumendo il disegno quale processo “mediativo” che sovrintende alla trasformazione della conoscenza in documento ne consegue un'intrinseca componente metodologica e poco incide in quale misura tale metodo risulti indotto o autoctono. In relazione al metodo, che come già detto può essere considerato l'asse portante del "rappresentare", è opportuno precisare che chi scrive rifugge l'idea di considerare il metodo come "regola". Al più, come unanimemente riconosciuto nella comunità scientifica, il metodo anche in questo ambito assume il ruolo di ordinatore della processualità sperimentale, a condizione che il processo in questione sia configurato in modo tale che si possa procedere alla ripetizione del percorso sperimentale.
Disegno come "tecnica"
Senza voler ricondurre il disegno ad un processo di stretta natura meccanicistica atto alla genesi di immagini, pare innegabile assumere quale fondamento di tale disciplina quella componente tecnica, e non teorica come si potrebbe essere portati a pensare, che la contraddistingue.
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Ciò anche in ragione del fatto che la sussistenza di un semplice enunciato metodologico, se in chiave di rilettura critica potrebbe essere assunto a valore di rappresentazione, difettando della componente fattiva vanifica il ruolo preminente della rappresentazione stessa che è opportuno ricordare non si materializza nella sfera metafisica della teoria, trovando ragione e legittimazione esclusivamente nell'intelligibilità diffusa del documento. Premessa l'enunciazione dei concetti identificati con queste tre categorie, si impone la precisazione dei termini fondativi dell'attività didattica. "L'insegnare", inteso quale modello riproduttivo di un sapere, che in questo specifico caso presenta una forte connotazione di "saper fare", risente in misura sensibile di contaminazioni di natura culturale. Avremmo quindi, date le precedenti specificazioni, nel caso dell'insegnare a disegnare la necessità di una trasmissione contestuale di un sapere mediato da un metodo che diviene tecnica.
Tavola tratta da: Cenni storico-artistici di architettura antica e moderna. di Gallileo Barocci – edizioni G.B. Paravia & C. – Torino 1943
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Definizione del termine: disegno.
Il termine "Disegno", nella accezione corrente del termine, definisce il contenuto concettuale delle molteplici attività riconducibili alla rappresentazione di natura grafica ed al tempo stesso la realtà oggettuale dei prodotti conseguenti a tali attività. Quale sinonimo di un significato del termine "disegno" la lingua italiana ammette "elaborato grafico", ed in questa specifica definizione traspare la concezione che vede il disegno frutto materiale di una elaborazione a cui sovrintende un attività di natura mentale. Tale generalizzazione, propria della lingua italiana, impone un maggior grado di approfondimento in relazione alla corretta interpretazione di tale termine che costituisce lo specifico tema trattato in questo lavoro. Nella sua ambivalenza il termine “disegno” identifica quindi quel insieme di strumenti, metodi e tecniche che congiuntamente ad una perizia conseguente all’esperienza, danno luogo ad un documento, in genere bidimensionale e piano, in cui con differenti mezzi viene rappresentato un fenomeno immaginato o esperito. Pertanto, in questo breve paragrafo che intende esclusivamente proporsi come spunto di riflessione ed introduzione al lavoro conseguente, prendendo le mosse da tale enunciato si cercherà di esplorare come nella cultura italiana il disegno abbia, vivendo di alterne fortune, rivestito un ruolo ambivalente che lo colloca sia tra le cosiddette “arti maggiori” ed al contempo lo relega a mero mezzo strumentale di altre attività a torto o ragione ritenute di maggior peso ed importanza. Pur affermando una valenza centrale dell’attività grafica nel processo di riproduzione culturale e non solo in esso, dato che il disegno prima che applicazione di metodi, come si tenterà di dimostrare con alcuni esempi è esso stesso metodo, deve essere precisato che l'attività del disegnare, non contempla una concezione esclusivamente artistica, il disegno nel corso della storia, ha assunto a seconda dei tempi e delle concezioni filosofiche e sociali, scopi diversi: dalla attività proiettiva, anche in senso psicologico dei Grafiti di Altamira, alla evocazione simbolico figurativa di alcune immagini realizzate a fini pubblicitari.
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I GENERI DEL DISEGNO
Per raffigurare graficamente é necessario un supporto e uno o più strumenti. Tali fattori incidono sul disegno stesso e vengono determinati in funzione della destinazione (scopo) del disegno. Le destinazioni di un elaborato grafico, per quanto molteplici possono essere ricondotte a tre grandi categorie: -
1)
Studi preparatori o di progetto.
-
2)
Disegni esecutivi o di supporto alla esecuzione.
-
3)
Disegni integrati nell'opera stessa.
in ogni caso è indispensabile comprendere come il significato intrinseco delle diverse attività considerate quale disegno riconducono tutte al dualismo : disegno = metodo per la rappresentazione. In merito a ciò vale la pena di sottolineare come la lingua inglese attui una distinzione in merito al disegno, utilizzando il termine "drawing" per identificare il disegno artistico, a differenza del termine "design" che caratterizza l'attività' grafica di tipo progettuale. Tale distinguo proprio di un pensiero di natura pragmatica ha fatto si che tale disciplina nella cultura anglosassone abbia storicamente ed ancor oggi presenti differenti modalità di approccio e di riproduzione culturale, identificando quindi scuole per i diversi indirizzi di apprendimento di tale sapere. A differenza di questo modello educativo e riproduttivo la cultura italiana, fortemente permeata del ruolo “aulico” che il disegno ha rivestito in alcuni periodi storici, ha nei fatti svuotato l’attività grafica del proprio valore intrinseco di metodo sperimentale per la comprensione di fatti o eventi. Per dovere di informazione anche in Italia in linea di principio esiste un distinguo tra differenti generi di disegno: disegno tecnico e disegno artistico e tra centri di ricerca e formazione: Accademie di Belle arti e Facoltà Universitarie ad indirizzo tecnico, purtroppo per l’approccio propositivo che generalmente viene applicato a questi diversi metodi e in queste diverse scuole, tale distinguo anziché agevolare la comprensione dei rispettivi fattori costituitivi, tende a confondere ancor più i temi specifici di ognuno di essi e le peculiarità intrinseche degli stessi.
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Per quando riguarda il primo metodo di rappresentazione, questi viene riconosciuto comunemente come disegno tecnico o geometrico, in quanto essendo fondato su di una astrazione geometrico matematica, consente a chi conosce le norme su cui si fonda, una interpretazione univoca, della realtà rappresentata. Tale metodo consente inoltre con la scomposizione planare delle viste e la restituzione su base metrica dell'oggetto rappresentato. La possibilità di rappresentare la realtà per mezzo di sezioni, o ribaltamenti permette una scomposizione dell'oggetto e quindi una vista completa di parti altrimenti non rappresentabili. Il secondo metodo, comunemente considerato disegno libero, o disegno artistico, sfruttando una organizzazione implicita dei segni che concorrono a definire gli oggetti rappresentati, restituisce una immagine a livello percettivo più verosimile alla realtà , entro la quale é lo stesso sistema di segni che comunica la realtà origine della rappresentazione. La completa assenza di norme o convenzioni, diviene quindi la soggettività di redazione e lettura di tale rappresentazione ad assicurare la comunicazione e ciò rende tale processo, uno strumento di rappresentazione empirico, ma non per questo meno efficace.
L’immagine tratta da depliant tecnico della Autobianchi stampato attorno agli ’70, mette in luce una commistione tra disegno tecnico (l’intero impianto grafico è su base assonometrica) e le suggestioni grafiche proprie del disegno artistico.
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Gli strumenti del disegno
Al pari di ogni altra tecnica, che nel suo dare luogo ad un prodotto fruibile possa essere assimilata ad un tecnologia, anche il disegno impone un uso razionale e congruente degli strumenti di cui dispone. Il termine “strumento” in questa sede viene utilizzato per identificare esclusivamente quell’insieme, quanto mai vasto e variegato di oggetti che per la loro natura si rendano idonei a tracciare un segno in seguito percepibile su di un supporto. Di contro, il termine “mezzo” andrà in seguito ad identificare la risultante di un azione sinergica tra strumento, supporto e tecnica, che quindi viene sino da ora identificata quale metodo per effetto del quale conseguo un risultato. Tale premessa terminologica può probabilmente apparire ad alcuni superflua, ciò non è a mio parere assolutamente vero, dato che nella disciplina della rappresentazione grafica l’apparente identità tra tecnica e mezzo, quando non si assiste ad un identità tra tecnica e strumento offre spazio a possibili aree indistinte, scarsamente funzionali in un testo con finalità educative ad una efficace comprensione dei concetti proposti. Quindi stabilito che per strumento si intende esclusivamente quanto sia atto a tracciare un segno di natura grafica su di un supporto (di norma bidimensionale e piano) procediamo ad una classificazione degli stessi. In merito agli strumenti atti a tracciare segni grafici è possibile operare in primo luogo una suddivisione in due gruppi: -
strumenti a tratto costante,
e
strumenti a tratto incostante.
Nel primo gruppo rientrano esclusivamente quegli strumenti che basando il proprio funzionamento su di un principio fisico di trasmissione di un fluido (l’inchiostro) consentano, salvo un uso improprio ho un irregolare flusso del fluido, la realizzazione di una traccia (il segno) con un corpo (spessore ) costante. Tra questi si è soliti annoverare le cosiddette penne a china (solitamente denominate Rapidograph), il Graphos, altro tipo di penna a china che permette la sostituzione su di una cannuccia porta inchiostro della punta tracciante (pennino) ed i tiralinee, ovvero strumenti di un essenzialità logico funzionale straordinarie, i quali per effetto di una predeterminata regolazione del passo micrometrico da cui si origina il deposito, permettono la realizzazione di linee con corpo costante. Il tiralinee proprio per la sua concezione di funzionamento consente inoltre di ottenere con un unico strumento un vastissimo numero di segni con corpi tra loro differenti .
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Nella prassi si assiste ad una predominanza nell’uso dei Rapidograph, mentre Graphos e tiralinee fanno oramai parte di un recente passato. Le ragioni di ciò sono in primo luogo nella apparente difficoltà d’uso di questi strumenti che a differenza dei primi impongono una discreta abilità manuale . Le moderne tecnologie di produzione hanno consentito recentemente la realizzazione di un quarto tipo di strumento i cosiddetti Fine-Liner, ovvero pennarelli che per una particolare conformazione della punta solitamente realizzata in materiale ceramico, dovrebbero assicurare una costanza di tratto. Tale ipotesi viene in un certo senso accreditata dal fatto che tali strumenti riportino una determinata dimensione di tratto ( 0,2- 0,3, 0,5). Purtroppo non sempre, anzi, quasi mai tali penne risultano all’atto pratico effettivamente strumenti a tratto costante, sia perché con l’uso si assiste ad una deformazione della punta tracciante, sia perché nella maggior parte dei casi il deposito dell’inchiostro non avviene basandosi su di un effettivo meccanismo di controllo che assicuri la costanza del tratto. Nel secondo gruppo: strumenti a tratto incostante devono quindi essere annoverati tutti gli altri strumenti che abitualmente vengono utilizzati nella attività grafica. Partendo dalle comuni matite di grafite, nere o a colori (pastelli colorati) per le quali la traccia (il segno) è conseguenza del trasferimento sul supporto di parte del materiale tracciante (la mina di grafite appunto), passando per gli innumerevoli tipi di pennarelli (penne con punta in fibra) sino a giungere alle penne con pennino, che nelle loro versione moderna diventano stilografiche, abbiamo strumenti in cui l’azione sinergica di due fattori determinati quali la pressione esercitata e la deformabilità della punta tracciante danno luogo ad una sostanziale incostanza del segno conseguito. In seguito approfondirò le specifiche relative alle cosiddette matite da disegno, ma prima credo opportuno precisare che questa distinzione nasce proprio per aiutare a comprendere chi legge che la scelta dello strumento è strettamente correlata allo scopo per cui si intende utilizzarlo. Pare evidente che per conseguire una adeguata elaborazione di una tavola in cui la costanza del corpo nei segni utilizzati (una carta geografica od un progetto esecutivo ad esempio) sia requisito irrinunciabile, la scelta di strumenti del primo gruppo sia privilegiata. Nel caso opposto, ovvero nei casi e posso essere molti, (dallo schizzo di progetto ad una restituzione percettiva di un determinato oggetto) in cui il segno suggerisca il ricorso ad una diversa intensità, al contrario, sarà preferibile utilizzare strumenti del secondo gruppo. Tra tutti questi strumenti, in merito alle matite da disegno che costituiscono lo strumento cardine dell'attività grafica, si impone una ulteriore approfondimento. Più di una elemento diversifica la cosiddetta matita: Per tutti è certamente nota la forma classica della matita esagonale in legno di bosso con all’interno una mina di grafite, esistono almeno altri due tipi di matite i cosiddetti portamina, ovvero dispositivi meccanici atti ad accogliere e mantenere la parte propriamente tracciante della matita, la mina appunto.
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Un gruppo i cosiddetti portamina tecnici o da disegno, utilizzano mine di diametro pressoché analogo a quello delle matite in legno, i secondi utilizzano mine di diametro molto più piccolo, le cosiddette, "micromine". Tra i tre tipi di matite per un attività di disegno a livello professionale, solo i primi due tipi sono efficaci. Le cosiddette "micromine" anche se apparentemente offrono l’innegabile vantaggio di non dovere essere affilate, proprio per la loro conformazione e per il fatto che alcune miscele che compongono l’impasto risultano quanto mai variabili, solitamente non assicurano una costanza di segno tale da consentire ad elaborazione avvenuta la lettura delle valenze semantiche associate al segno. Quindi sia che si tratti di matite di legno e grafite o di mine nel portamine (quest’ultimo è di prassi concepito per offrire una adeguata impugnatura che offra un accettabile grado di comfort ergonomico), per disegnare “bene” si deve conoscere il tipo di mina utilizzato. Le mine in commercio presentano una diversa composizione che ne determina la cosiddetta durezza; tale caratteristica ordinata su di una scala che partendo dalle mine più tenere (6B e via a decrescere sino alla sola lettera B -dall'inglese Black) raggiunge il punto medio proprio nelle mine contraddistinte dalla sigla HB, quindi la resistenza (durezza) della mina comincia a crescere e passando per la serie delle mine contraddistinte dalla lettera H (da 2H a 6H - come nel caso precedente da Hard) raggiunge il gruppo delle F . Tale graduazione è funzionale al tipo di segno che intendo ottenere da una mina: più la stessa è per così dire dura più il segno indipendentemente dalla pressione che esercito presenterà un corpo pressoché costante ed il tratto sarà di un tono apparentemente più tenue, più la mina è morbida, inversamente il segno tenderà ad incrementare il proprio corpo ed il tono apparirà più intenso, questo proprio per effetto che una mina morbida deposita una maggiore quantità di materiale tracciante. In quest’ultima affermazione si fondano due dei trucchi fondamentali che chi disegna deve conoscere: il primo per quanto ovvio non sempre viene applicato, la matita per disegnare deve avere una punta, quindi quale che sia il tipo di matita, è opportuno affilarla spesso; il secondo consiste nell’operare una costante rotazione della matita tra e dita quando si traccia una linea, dato che ciò consente un consumo omogeneo della punta ed assicura una maggiore costanza del segno ottenuto. Al pari degli strumenti che non mi stancherò di ripetere sono tali e non come alcuni sarebbero portati a credere “tecniche” che come vedremo in seguito sono un altra cosa, un disegno è un disegno e basta, a china o matita resta un disegno, proprio perché indipendentemente dallo strumento che utilizzo scelto in primo luogo in ragione dello scopo del disegno i segni che lo compongono devono per effetto di una loro razionale organizzazione e di un coerente sistema di significazione, renderne possibile la lettura.
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I supporti: formati e caratteristiche.
Se i diversi tipi di strumento offrono diversi tipi di segno, ciò è strettamente interrelato oltre che alla loro potenzialità al supporto su cui intendo utilizzarli. Credo che sia noto tutti, le oggettive difficoltà che presenta scrivere con una penna stilografica su di un foglio di carta assorbente. Il supporto naturale per disegnare è la carta che nelle su forme più consuete si presenta come un supporto bidimensionale, piano e di colore neutro (bianco). Ovviamente esistono molteplici tipi di carta e ciò comporta una congruenza tra supporto e strumento utilizzato. Dato che con il mio disegno intendo organizzare una serie di segni, meno segni ci sono già sulla carte maggiori sono le probabilità che alla fine si capisca qualcosa, quindi fogli a righe quadretti, pallini e puntini possono essere ottimi per scrivere, meno utili sono se voglio disegnare. Due elementi fondamentali caratterizzano un foglio da disegno: lo spessore che tecnicamente si chiama grammatura e la finitura superficiale (una diretta conseguenza della quantità di colla e gesso utilizzata nell’impasto) che ne caratterizza la superficie (più o meno liscia). Un terzo elemento è il formato, ovvero le dimensioni del foglio, ma questo di solito rientra in una serie di misure predeterminate o come più correttamente si dice normalizzate. Lo spessore di un foglio di carta oltre che ha determinarne la resistenza meccanica di solito ne caratterizza il grado per così dire di “trasparenza”, tale fattore può in alcuni casi risultare molto utile se senza ricorre a speciali tipi di carta ( la cosiddetta carta da lucido) intendo operare il ricalco di un disegno o di altro. Proprio perché a minore spessore corrisponde minore quantità di materiale che costituisce la carta si è soliti classificare la carta in termini di grammi/ metro quadro; in ragione di ciò un foglio del tipo di 50/60 gr./mq. indipendentemente dalle sue dimensioni apparirà più leggero di un comune foglio da fotocopie che rientra nella gamma degli 80/90 gr./mq e di un vero e proprio foglio da disegno che di prassi si aggira attorno ai 110/120 gr.mq. oltre i 180/190 gr./mq. si passa dalle carte ai cartoni. La scelta di un determinato tipo di carta è quindi strettamente interrelata all’uso che si intende fare del disegno su di essa elaborato: uno schizzo può nella generalità dei casi essere eseguito su carta di bassa grammatura, una tavola definitiva invece, che presenterà frequenti manipolazioni e probabili riproduzioni probabilmente consigli l’uso di carta di maggiore consistenza. Indipendentemente dalla grammatura che non incide direttamente sul tipo di finitura superficiale della carta, esistono carte ruvide di bassissima grammatura e carte lucide di grammatura analoga, il tipo di regolarità del supporto ha stretta attinenza con lo strumento con cui intendo disegnare. Due casi per tutti servano da esempio: disegnare con una penna china con punta fine (uno 0,1 ad esempio) su carta ruvida equivale a buttare il puntale già a metà della prima linea, come in senso inverso disegnare con una matita tenera ( una 6B )
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su di un foglio liscio o magari da lucido, significa riuscire nel giro di 5 o 6 righe ad aver riempito il foglio di uno sgradevole sfondo grigiastro che nessuna gomma riuscirà mai più ad eliminare, anzi se utilizzata non farà altro che aggravare questo sfacelo. Quindi quando si scelgono, supporti e strumenti da utilizzare nessuno vieta che prima di cominciare il lavoro su di un angolo o meglio su di un pezzetto di carta identica si facciano alcune prove, poi con l’esperienza la congruenza delle scelte diventerà quasi automatica. La carta come abbiamo accennato può anche essere trasparente o forse è meglio dire traslucida, visto che trasparenti sono solo i cosiddetti “ acetati” particolari fogli di materiale plastico che vengono si utilizzati nel disegno però impongono l’uso di penne che utilizzano inchiostri con la caratteristica di asciugarsi in breve lasso di tempo. La carta traslucida al pari di ogni altro tipo di carta offre diverse grammature, mentre di norma presenta almeno una superficie liscia questo in ragione del fatto che sempre nel rispetto delle norme sulla carta da lucido si disegna quasi esclusivamente con penne a china (strumenti a tratto costante) dato che la vera funzione della carta da lucido è quella di prestarsi alla riproduzione la quale sebbene sia stata recentemente oggetto di un immeritato abbandono per la più pratica ma non più economica e funzionale riproduzione xerografica, ha caratterizzato il disegno tecnico in genere ed il disegno di architettura dalla metà dell’ ottocento in poi. Per quanto concerne i formati della carta questi sono stabiliti in base ad una norma fissa che corrisponde ad un sistema proporzionale di divisione. Formando, dal lato più corto di un foglio un quadrato e trasformando la diagonale del quadrato cosi ottenuto nel lato più lungo del rettangolo, si ottiene il formato UNI con il rapporto 5:7 (p.e. cm. 50x 70). Tagliando o piegando anche il foglio si ottiene esattamente il formato UNI inferiore a quello precedente restando inalterate le proporzioni ma diminuendo la superficie della carta diminuiscono proporzionalmente le dimensioni dei lati. La classificazione avviene per serie : A - B - C mentre il numero A0; A1; A4; B2 identifica queste dimensioni e indirettamente quante volte dovrà essere tagliato o piegato il foglio per ottenere il formato desiderato.
Tabella con i formati unificati tratta da : A. Honnegger – Graphic design – Romana Libri Alfabeto -1979
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IL SEGNO
Classificazione del segno Le diverse ipotesi di classificazione dei segni di seguito prospettate, sono esclusivamente funzionali alla comprensione di come ad un segno in ragione delle proprie caratteristiche intrinseche possa essere associato un determinato valore significante. La definizione lessicale del termine segno riporta: “ Indizio, accenno palese da cui si possono trarre deduzioni, conoscenze”. Tale concezione riferibile genericamente ad ogni tipo ed uso del segno, risulta applicata con diversi significati a seconda del campo di utilizzo. Nel campo specifico del disegno la definizione del termine segno riporta: “Qualunque espressione grafica: punto, linea, curva o figura, convenzionalmente assunta a rappresentare un entità.” Tale definizione, per alcuni versi restrittiva per la parte riconducibile alla convenzionalità, impone quindi una precisazione. La capacità di significazione di un segno è tale a prescindere dalla convenzionalità della sua identificazione, al più la convenzionalità rafforza o valida la significazione del segno. Il segno, nel nostro caso deve essere inteso come porzione campita di spazio con due dimensioni percepibili. Risultano segni, quindi tutte le zone campite di un supporto, indipendentemente dalla loro dimensione o dalla forza di percettibilità che offrono al recettore. Inoltre, data la dimensionabilità di un segno e la sua esistenza verificata per emergenza da un pattern omogeneo quale dovrebbe risultare il supporto, il segno è tale al di là di norme, convenzioni o pre-conoscenze dello stesso; affermazione questa che trova a mio avviso riscontro in questa seconda considerazione. Una congruente rappresentazione grafica di una qualsivoglia realtà si consegue solo da un adeguata organizzazione di segni ed è solo per mezzi di segni che si consegue la rappresentazione grafica di un fenomeno esperito. Avremo quindi una duplice possibilità di organizzazione dei segni: la prima si fonda dunque su di un sistema organico e codificato e riconosciuto per normazione e consente un discreto livello di astrazione della rappresentazione dalla realtà che intende rappresentare; la seconda evocativa della percezione, trova il proprio principio ordinatore proprio nella realtà che intende rappresentare. Soprassedendo sul fatto che con due differenti sistemi semantici potremmo conseguire due rappresentazioni congruenti ed efficaci di una medesima realtà, vale la pena di approfondire come termine comune della questione risultino essere i segni e la loro organizzazione.
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Dei segni siamo da un lato, nella realtà interpreti e dall’altro quando rappresentiamo: artefici. Della loro organizzazione, quale che sia il metodo di rappresentazione adottato siamo artefici, con la sostanziale differenza che nel primo caso accettando una norma dovrò, pena l’incomprensione rispettarne i canoni e le regole; nella seconda determinando in prima persona le regole, dovrò definirle in modo congruente ad una successiva rilettura. Per estrema chiarezza si deve inoltre precisare che la scelta di un modo anziché l’altro non può essere determinata da un fatto di incompetenza di quanto si considera comunemente norma, dato che una interferenza tra i due metodi ingenera una elevato soglia di incomprensione, naturale conseguenza di una oggettiva disorganizzazione. Per comprendere ciò, basta pensare ad un disegno ispirato da concetti proiettivi a cui si intenda sovrapporre integrandola una rappresentazione del tipo percettivo la ridondanza semantica che ciò ingenererebbe impedirebbe nei fatti la lettura di entrambe le rappresentazioni. Della rappresentazione e delle sue forme si dovrà necessariamente trattare in altra sede, torniamo quindi al tema della classificazione dei segni. L’ipotesi di classificare i segni trova ragione proprio nel fatto che solo una profonda conoscenza delle caratteristiche costitutive del segno grafico può dare luogo ad un processo di organizzazione degli stessi, funzionale alla significazione. Una prima caratteristica comune ad ogni tipo di segno è quanto in questa sede viene definito: “corpo del segno”. Il termine corpo, preso a prestito dal linguaggio tipografico, identifica la porzione di spazio campita con un unico passaggio dello strumento tracciante. In altri termini “il corpo”, corrisponde allo spessore del segno anche se l’uso del termine spessore risulta improprio dato che nella generalità dei casi un segno grafico non ha una terza dimensione ( lo spessore appunto, percettibile. Seconda caratteristica è la “ costanza del segno” La caratteristica di costanza del segno è risultante di diversi fattori, quali: costanza dello strumento tracciante, omogeneità della superficie del supporto, costanza della pressione e della velocità con cui il segno viene tracciato. La componente di costanza del segno è di sommaria importanza per procedere ad un oggettivazione del segno, condizione questa indispensabile per porre a sistema i differenti segni concorrenti alla rappresentazione. Di riflesso l’eventuale incostanza del segno diviene anch’essa caratteristica significante del segno, ciò a condizione che la reciprocità tra i segni posti a sistema ne preveda una valenza significante. A tale proposito, proprio nel sistema di organizzazione dei segni a cui si riferisce la norma UNI 3968 (disegno tecnico) assistiamo al fatto che una linea con andamento irregolare venga adottata per significare limiti di viste e sezioni non coincidenti con assi di simmetria.
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Terzo fattore è : “l’orientamento del segno”. Per comprendere tale aspetto, che interessa prevalentemente sistemi semantici tracciati senza l’ausilio di strumenti quali righe od altre guide al tracciante (a mano libera insomma), può essere funzionale una considerazione ed una esperienza. Più o meno tutti, abitualmente siamo soliti scrivere e quindi anche tracciare linee orientate da sinistra a destra e dall’alto in basso. Pertanto se ci prefiggessimo di disegnare su di un foglio un rettangolo probabilmente inizieremmo tracciando il cateto superiore quindi il cateto laterale destro per poi riprendere tracciando appunto da sinistra destra il cateto inferiore e quindi dall’alto in basso il cateto laterale sinistro. L’esperienza che ci consente di sperimentare quanto risulti essere l’effettiva risultante di quanto in questa sede viene inteso come orientamento del segno, è proprio quella di tracciare numerose figure; rettangolo, quadrati e quant’altro si creda, operando un tracciamento costantemente orientato, sia in senso orario quanto antiorario. Ciò oltre che un valido esercitazione per abituare la mano a tracciare linee senza l’ausilio di righe, ci consente di verificare come nel caso di linee tracciate in senso inverso all’abitudine, queste presentino un maggior grado di incostanza rispetto a quelle tracciate nel senso abituale e come dirò in seguito ciò può all’interno di un determinato sistema semantico assumere una particolare valenza significatoria. In merito al suo orientamento, il segno, quale porzione campita di un supporto, è ideale risultante di un vettore orientato nello spazio, tale orientamento inoltre può essere costante od incostante ed è solitamente un elemento determinate nella rilettura dei segni. Da ultimo vale la pena di osservare come in alcuni casi la percezione del senso di orientamento del segno, consente la comprensione del processo con cui è avvenuta la lettura della realtà fenomenica da parte di chi ha operato la rappresentazione. Altro elemento concorrente alla determinazione di un segno risulta essere la sua “enfatizzazione”. Tale componente trova riscontro prevalentemente nella rappresentazione di natura evocativa ( disegno a mano od artistico). Comunque in qualsiasi caso un segno può risentire di enfatizzazioni, ovvero variazioni di corpo, orientamento o regolarità della traccia. Una duplice ragione da luogo a ciò: nei sistemi di rappresentazione normati un intensificazione del segno, come ad esempio l’ispessimento dei segni di sezione qualora cambi la direzione del piano della stessa, indicano proprio un anomalia in un segno altrimenti coerente. Nei sistemi di natura evocativa, solitamente la maggiore intensità di un segno indica una maggiore interpretazione emotiva se siamo nell’ambito della rappresentazione di una realtà percettiva o la corrispondenza ad una maggiore importanza di quel particolare segno o segmento di segno se la rappresentazione interessa una realtà immaginaria. In ogni caso l’enfatizzazione di un segno o di un gruppo di essi, fa sì che gli stessi si
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pongano in maggiore evidenza rispetto ad altri che comunque concorrono alla definizione dell’immagine. Ultimo parametro di riferimento alle caratteristiche del segno è la “complessità espressiva del segno” la quale sia che si ingeneri in maniera spontanea o venga conseguita sulla base di un preciso intendimento, identifica in sostanza la somma e l’interazione dei precedenti parametri di classificazione. La complessità espressiva di un segno viene esclusivamente considerata in quanto nella pratica è oggettivamente difficile percepire all’interno di una rappresentazione segni con valenza pura, ovvero segni classificabili per un solo parametro tra quelli sopraindicati. Anzi in un qualsivoglia tipo di rappresentazione sia normalizzata che di natura percettiva, proprio l’insieme di più fattori caratterizzano un segno e ne assicurano la capacità di significazione. Introdurre quindi il concetto di complessità espressiva di un segno è strettamente funzionale in sede di un analisi epistemologica della rappresentazione ad una corretta interpretazione dei vari fattori che concorrono alla definizione del segno ed alle sue relazioni con il sistema semantico in cui si colloca. Operata questa prima classificazione, che ricordo è per molti versi arbitraria e strettamente funzionale ad una riflessione sul valore di significazione che può essere associato ad un sistema di segni, è possibile affrontare le differenti opportunità di utilizzo di tali caratteristiche del segno grafico.
Gli schemi grafici presentano le caratteristiche sopra menzionate. Tale classificazione è prevalentemente funzionale ad una maggiore comprensione delle potenzialità espressive del segno in ragione delle finalità didattiche che questo lavoro si prefigge..
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Lo spessore del tratto quale codice semantico
Per comprendere appieno il senso di questo capitolo, si impone un riferimento alla prassi del disegno, in quanto in tutti i sistemi di rappresentazione esistono convenzioni non scritte che assicurano la comprensione agli addetti ai lavori. Alcune di tali regole sono assunte a norma tecnica e per alcune di esse in seguito si opererà un approfondimento specifico. Il primo di questi tre sistemi a dire il vero ha una applicazione molto più ampia, dato che fondandosi su di una norma di unificazione nata in ambito meccanico, ha interessato dapprima questo specifico contesto disciplinare per poi trovare risconto quale regola fondante del disegno tecnico in genere. La norma UNI 3968 che concorda con la Norma ISO 128-82 definisce i tipi e le grossezze (in questa sede definito: il corpo) di linee da utilizzare per l’esecuzione dei disegni in ogni campo della tecnica. Sulle stesse, le linee, opera una denominazione, ne definisce interspazi ed ordine di priorità nel caso di sovrapposizione delle stesse e cosa fondamentale ne sancisce il campo di applicazione affinché si giunga ad uso significativo concordemente riconosciuto delle stesse. In primo luogo appare subito evidente che le linee utilizzate presentano solo due differenti corpi (grossezze) tra loro proporzionali. Il gruppo delle linee sottili o fini, e il gruppo delle linee grosse. La dimensione delle stesse viene solitamente determinata in base alla scala di rappresentazione utilizzata, mentre la proporzione, più per prassi che per norma risente di alcune diversità a seconda dell’ambito di applicazione. Ad esempio nel disegno meccanico, si è soliti utilizzare quale corpo delle linee grosse un tratto di 0,6 mm. e per le fini un corpo pari a 0,2 mm. Nel disegno di architettura invece, vuoi per le scale utilizzate ( solitamente minori rispetto al disegno meccanico), vuoi per il minor grado di dettaglio che generalmente caratterizza tale tipo di rappresentazione il rapporto proporzionale tra i due tipi di grossezza, solitamente si fonda in scala 1:100 su di un rapporto proporzionale doppio (0,1/0,2), per passare a scale maggiori 1/50 ad esempio all’uso di penne con tratti di 0,2/0,4 mm. La scelta di operare con una sola coppia di tratti, tra loro costantemente proporzionali, come vedremo in seguito è patrimonio comune di molteplici sistemi normalizzati di rappresentazione, e tale scelta presenta innegabili vantaggi sia pratici che logici, dato che l’uso di un maggior numero di corpi potrebbe in sede di lettura dell’elaborato ingenerare fallacie interpretative. Al più, e proprio nel disegno di architettura, si assiste all’uso di una terna di grossezze del segno, solitamente ed in ogni scala ( 0,1/0,2 e 0,4 mm.) anche se deve essere detto che il tratto più fine (0,1) viene di prassi utilizzato preventivamente per costruire l’impianto generale del disegno e quindi in una successiva fase l sua valenza significativa risulta nulla dato che i tratti di maggior corpo (0,2 e 0,4) ad esso sovrapposti ne annullano nella quasi totalità dei casi la valenza significativa,
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quando addirittura la riproduzione del disegno non ne annulla addirittura la percettibilità. La seconda discriminante del segno, in questo caso vale per entrambe le grossezze, consiste nella continuità. Avremo quindi linee continue e linee a tratti ( comunemente chiamate tratteggiate) tali differenze ovviamente comportano un preciso significato che può essere generalmente ricondotto alla posizione rispetto al sistema dell’elemento che tale linea identifica.La continuità di norma indica che l’elemento si pone in vista rispetto al sistema, la discontinuità (il tratteggio) che l’elemento che tale linea rappresenta nella realtà non apparirebbe visibile. Ulteriore distinguo si in merito ai tratteggi che dovendo comunque risultare regolari, qualora siano continui (tratto- spazio- tratto) comunicano proprio l’esistenza di uno spigolo od un contorno non in vista, mentre nel caso prospettino una successione del tipo: tratto spazio punto spazio tratto, indicano elementi ausiliari alla comprensione del disegno quali assi di simmetria, piani di sezione e generatrici ( linee e cerchi primitivi). Nella tavola a seguire che riporta questo sistema semantico vengono indicati tipo di linee, la loro denominazione e l’ambito di utilizzo, conoscere ed utilizzare correttamente tale codice assicura una comprensione pressoché universale di quanto intendiamo rappresentare. Il secondo esempio prospettato interessa quanto in Italia, almeno sino ad oggi viene inteso quale codice semantico nella rappresentazione catastale del territorio. Anche in questo caso la discriminante principale si fonda su di un corpo della linea che nella scala assunta quale base alla cartografia catastale ( la mappa) pari ad un rapporto di 1:2000 prevede l’uso di linee con grossezze di 0,2/0,4 mm. anche se per particolari segni quali i limiti di mappa, i differenti confini si utilizzi anche uno spessore di tratto ancora maggiore ( 0,8 mm.) Chi di voi abbia avuto modo di vedere o ancor meglio realizzare l’elaborazione grafica di un “tipo mappale”, saprà che nella rappresentazione ad uso catastale l’uso di tali linee è strettamente canonizzato dato che la linea fine (0,2) delimita le proprietà (particelle) e gli elementi tra essi quali strade, canali, ecc. tra di loro interposti, mentre la linea di maggior corpo (0,4 mm) contorna gli edifici, i quali di prassi prevedono una campitura con tratteggio equidistante ( 1 mm circa). Dato che come vedremo in seguito la rappresentazione catastale ha una importanza fondamentale nella conoscenza del territorio in genere, (almeno sino a qualche anno fa ed in alcuni casi ancora oggi la cartografia catastale è stata base cartografica di adeguato dettaglio ) e che ancor oggi attraverso di essa è possibile con opportune regole di natura geometrica leggere la storia e lo sviluppo dei luoghi, conoscerne a fondo il patrimonio semantico offre un valido supporto alla rappresentazione del territorio. Non deve essere inoltre sottovalutato l’aspetto per il quale tale rappresentazione è stata concepita, utilizzata per anni ed ancor oggi viene realizzata utilizzando in prevalenza metodi manuali di disegno, quindi sia per la logica che ad essa sottintende, sia per l’estrema semplicità redazionale si presta ad una efficace restituzione planimetrica del fatto territoriale.
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Senza addentrarmi nei diversi segni che la costituiscono che possono essere approfonditi proprio nella tavola che correda questa parte di testo, resta da dire che la cartografia catastale prevede inoltre un uso del colore con valenza significante. Primo tra tutti il colore rosso, che esclusivamente utilizzato per tratti di grossezza 0,2 mm. per le cosiddette linee di appoggio, ovvero le linee che riportano le misurazioni da cui si determina il poligono che costituisce le particelle, si passa alle campiture di colore giallo, per le strade ed azzurre per i corsi d’acqua che abbiano larghezza atta alla rappresentazione. Probabilmente sarà difficile trovare oggi, mappe catastali, campite, perché alla campitura si è progressivamente sostituta la notazione toponomastica e perché le mappe, oggetto di costanti aggiornamenti, vengono oggi per comodità riprodotte in elevato numero di copie con sistemi eliografici, e quindi nessuno procede alla successiva campitura delle stesse. Un ultima nota in merito alla cartografia catastale, deve essere fatta proprio, sulla loro redazione ed aggiornamento. Da qualche anno a questa parte, numerosi uffici tecnici erariali, che è bene precisare operano la conservazione del catasto per competenza territoriale su base provinciale, hanno provveduto alla vettorializzazione (trasferimento in un sistema elettronico di elaborazione grafica, con sistemi C.A.D., in atre parole) al trasferimento della cartografia su supporto digitale ( dati alfanumerici) ed anche in questo caso, se si escludono colori e campiture, il sistema di significazione corrisponde a quello in uso per la redazione delle mappe con metodi manuali. Terzo ed ultimo esempio che per maggiori approfondimenti imporrà l’acquisto del documento ufficiale edito dall’Ente Nazionale di Unificazione, interessa la Norma UNI 7310 unica norma redatta e pubblicata in materia di cartografia urbana multi piano che come riporta il titolo intendeva ed il condizionale è d’obbligo perché risulta essere una norma scarsamente conosciuta e per molti versi poco applicata, sancire una regola per la rappresentazione convenzionale di aggregati urbani storici prevalentemente caratterizzati da edilizia multi piano. Anche in questo caso fonda la rappresentazione su di una copia di linee con grossezze tra loro proporzionali : nel caso di rappresentazioni in scala 1:250 rispettivamente linee pari a 0,6 e 1,2 mm. A tale proposito, la norma stessa riferisce il parametro alla minore scala di rappresentazione prescritta, dato che considerando la successiva possibilità di riduzione fotomeccanica dei tipi elaborati, si avrà in sede di riduzione un proporzionale decremento del corpo dei segni utilizzati. Per effetto di ciò avremmo in base a tale proporzionalità, nel caso di disegni in scala 1:2000, spessori di tratto pari rispettivamente a circa 0,1 e 0,2 mm. Detta norma anche se non lo specifica chiaramente fonda la propria notazione significativa su di una base di natura planimetrica di tipo proiettivo.(un comune rilievo in pianta in sostanza, ovvero qualcosa di molto simile alla rappresentazione catastale), introducendo l’accezione che tale sistema semantico consente la segnatura stereometrica (planovolumetrica) di un duplice sistema proiettivo: verso l’alto per quanto concerne pavimenti, scale e pianerottoli, e verso il basso per volte, cupole, cornicioni interni ed esterni.
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Il primo gruppo di segnature, evidentemente riferibili alla distribuzione interna dei volumi edilizi, troverà collocazione, ove ne ricorra il caso proprio all’interno del poligono che circoscrive l’edificio in questione, mentre la restante significazione semantica interessando aspetti costitutivi della componente esteriore dell’edificio si andrà ad apporre proprio sul perimetro che delimita lo stesso. Proprio per tale ragione, la norma in questione, pur essendo concepita per un attività di rilievo del patrimonio edilizio esistente, si presta per sua stessa ammissione “al rilievo congetturale di edilizia non più esistente”, estendendo la propria applicazione ad ipotesi progettuali “di ampliamenti o ristrutturazione di rioni storici”. Prima di addentrarci nel tema successivo che affronterà il tema delle scale metriche solitamente utilizzate nella rappresentazione in genere e nella rappresentazione del territorio nello specifico, sembra opportuno introdurre un ultima riflessione sulla necessità di elaborare, quindi sperimentare per giungere ad una successiva verifica della validità applicativa almeno a livello individuale di un sistema grafico di significazione del fatto territoriale. Da ultimo e per quanto poco possa valere, ho personalmente elaborato e lo propongo ad esclusivo scopo esemplificativo, un codice semantico, applicabile sia nel caso di rappresentazione planimetrica quanto proiettiva di contesti territoriali Tale codice, risente di numerose limitazione e mutua parecchi parametri da codici esistenti, pertanto ribadisco che lo stesso si offre al lettore solo come esempio e non vuole in alcuna misura essere assunto a modello o ancor peggio ad esempio da utilizzare pedissequamente. Cardini del sistema semantico sono 4 differenti corpi (grossezze) di tratto e due colori. Come già detto il corpo minore (0,1 mm.) può in sede di riproduzione comportare la sua scomparsa, pertanto viene solitamente utilizzato per annotare elementi quali il tracciato base e le cosiddette sezioni altimetriche (in pianta anche le curve) che ragionevolmente almeno per il primo caso possono divenire in sede di redazione conclusiva della tavola ininfluenti. La seconda discriminate verte proprio sul colore con cui vengono tracciati i tratti. Per effetto di un principio tonale valido quale che risulti essere il metodo di riproduzione, l’esistente viene tracciato con tratti di nero pieno, mentre quanto si presume o si riscontra possa essere preesistito, viene redatto utilizzando a seconda dei casi inchiostri, rossi o grigi (l’inchiostro rosso in eliografia risulta grigio, mentre se la riproduzione prevista è di natura fotomeccanica come le xerografie, e preferibile l’uso di inchiostro grigio). Ulteriore ed ultima discriminate, anche in ragione del fatto che tale sistema intende preferibilmente trovare utilizzo nella rappresentazione di fatti urbani, l’uso di linee continue ( segni a corpo costante) è strettamente riconducibile al costruito, mentre quanto vada di corredo ad esso come: mappe catastali e quindi “piani particellari”, eventuali segni di sezione planimetrica od altimetrica, assi stradali che di norma nel fatto urbano risultano coincidenti con i fronti di quanto edificato o altrimenti con limiti di particelle e lotti, oltre a quote metriche ed i diversi confini a vario titolo riscontrati utilizzano differenti segni a tratti .
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Tale sistema può trovare applicazione almeno in alcune sue parti anche nel rilievo dal vero, e nell’elaborazione digitale di tavole di lavoro o finali anche se per segni tracciati senza ausili, come nel caso del rilievo, la regolarità di tratto può pregiudicare una successiva rilettura e quindi impone estrema attenzione nell’uso del segno.
La tavola propone uno schema esemplificativo di una codifica semantica atta sia alla restituzione grafica con sistemi infografici di brani urbani e porzioni territoriali, che in fase di rilievo sul campo. I differenti toni del segno definiscono e classificano l’evoluzione diacronica di quanto rilevato.
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Il tema della progettualità: problema , progetto e prodotto
Questa breve digressione in apparenza totalmente fuori luogo è, probabilmente, molto più vicina al tema trattato in questo lavoro che alcuni dei contributi tecnici che ad esso concorrono. Considerando l'esperienza pare lecito ipotizzare una conseguenzialità tra il PROBLEMA il quale da luogo al PROGETTO che origina il PRODOTTO Come si vede abbiamo quale termine comune il prefisso PRO che esprime il senso di anteriorità. Se si accetta il concetto di anteriore, avremmo un legittimazione del termine "conseguente" e quindi di un criterio di temporalità. Accettando quindi un progressione temporale, stante la radice comune a questi tre termini ( il suffisso "pro" in italiano esprime anteriorità) deve quantomeno sorgere un dubbio sulla consecuzione temporale dei tre termini; si dovrà quindi operare una diversa lettura per mezzo di una diversa metodologia critica. Proverò quindi a relazionare i termini all'esperienza che mi consente di considerare come il PROBLEMA di norma emerge, o è dato, in conseguenza di ciò opererò un PROGETTO Atto a soddisfare il problema da cui possa originarsi un PRODOTTO che sublimi (risolva) il problema. Come si vede sono riuscito a definire una relazione apparentemente logica tra i tre termini, posso quindi operare una definizione del primo termine ovvero cercherò di definire il "problema"
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In termini etimologici il problema significa: "mettere innanzi", "proporre". Il termine proporre può trarre in inganno in quanto nei fatti risulta sinonimo indiretto di anteriore, quindi omologo ai termini per i quali si è cercato di convalidare il processo consequenziale. Qualora si rinunci alla definizione del termine "problema" in chiave etimologica, avvalendosi di una definizione in senso lato posso affermare che il problema implica una "necessità di risposta". Dato che la necessità equivale a ciò di cui non si può fare a meno, e, la risposta equivale a "promettere" o "assicurare in conseguenza di..." anche se apparentemente sembri una situazione anomala si torna nel campo dell'anticipazione, ciò stante il fatto che "promettere" al pari di " proporre" implica un concetto anticipatorio. Di certo il problema , comunque lo si consideri anticipa qualcosa, resta da vedere cosa anticipi. Ora, dato che anticipare equivale a " prendere prima", e prendere equivale ad un concetto di possesso potremmo giungere alla conclusione che un problema è "anticipo del possesso", ciò contraddice la condizione di bisogno intrinseca al problema. Considerando il fatto che il possesso risulta equivalente di avere, che per propria natura presuppone un possesso conseguente al prendere, risulta negata la premessa per effetto della quale il problema esprime un esigenza, dato che etimologicamente l'esigenza identifica il far uscire fuori, ovvero qualcosa di analogo al progetto. A questo punto si prospetta una oggettiva identità tra problema inteso come esigenza ovvero "fatto emergente" e progetto che per propria natura radicandosi nel verbo "gettare " ( ancora una volta uscire fuori) in ragione del prefisso pro anticipa l'uscita di qualcosa. Qualora volessimo in questo caso considerare il suffisso “pro, nel senso di, in favore", il senso finale del termine progetto prospetterebbe al condizione di agevolare l'emergenza di qualcosa. In base a ciò viene verificata una sostanziale identità, probabilmente non solo linguistica tra Problema e Progetto, peraltro tale identità è inoltre verificata nella pratica in quanto non vie soluzione al problema se non per mezzo di un progetto e lo stesso progetto nel suo materializzarsi è foriero di numerosi problemi. accantonando per il momento la questione del progetto, che in questo lavoro si sarebbe portati a pensare acquisti una valenza centrale, cerchiamo di porre a sistema il terzo termine preso in considerazione: il prodotto. Ancora una volta il prodotto associa almeno in chiave etimologica il tema del portare avanti, stante il fatto che letteralmente produrre si radica nell'anteriorità di condurre. Senza addentrarsi in ulteriori speculazioni sul tema del prodotto, si può ipotizzare che quindi il prodotto al pari del problema e del progetto anticipa la manifestazione di un evento. Stante questa apparente identità tra i termini e probabilmente tra i concetti ad essi associati viene così negata la logica consequenziale posta a premessa di questa speculazione.
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Prima di addentraci "nella analisi", o meglio nell'approfondimento del tema del progetto, che come vedremo è strettamente interrelato al tema del disegno inteso come rappresentazione di un fenomeno esperito, (ogni disegno, in sostanza si configura come progetto che risolvendo numerosi problemi da luogo ad un prodotto e si badi bene, ciò avviene tutto in un unica soluzione e non come si sarebbe portati a pensare per fasi) si impone una ulteriore definizione terminologica sulla parola "analisi". L'analisi Oggi come oggi , la parola "analisi" tende ad identificare qualsivoglia attività umana che preveda un attività almeno in via presuntiva di natura speculativa. Per tutto quanto attenga alla sfera della vita umana si conducono analisi: se devo investire farò una analisi, se devo costruire farò una analisi, se devo comunicare farò un analisi, se non voglio morire giovane , meglio fare delle analisi. Tutto si può dire meno che il mondo contemporaneo non presenti rilevanti caratteristiche analitiche. Peccato che questo processo inflattivo del termine lo abbia svuotato del senso intrinseco ad esso associato, dato che una seria analisi presuppone , metodo, adeguate conoscenze in materia e spiccato senso critico, cose queste che raramente si associano a quelle estemporanee speculazione che vengono per comodità identificate come analisi. A volte sono portato a pensare che prima o poi il termine analisi sostituirà il termine "cosa" che notoriamente riesce ad evocare ed identificare contemporaneamente il tutto ed il niente. Il progetto
Per affrontare in termini critici il tema del "progetto" credo sia necessario rinunciare a riferimenti contestuali specifici. Tale scelta sicuramente arbitraria e discutibile si impone affinché si configuri un approccio epistemologico scevro da condizionamenti paradigmatici. Ulteriore limite di tale posizione è l'impossibilità di parametrare il percorso critico ad un ambito contestuale, aspetto questo sicuramente funzionale ad una migliore analisi speculativa, in questo caso il termine analisi risulta legittimo. Opinione condivisa anche se non del tutto veritiera è che il progetto si ponga quale termine intermedio nella soluzione di un problema. Di certo il termine progetto almeno nella sua accezione corrente identifica nella quasi totalità dei contesti in cui trova applicazione la parte manifesta di quell'insieme di attività di natura intellettiva e sperimentale che ricadono nel complesso processo di soluzione utilitaristica di un problema. Probabilmente tale identificazione deve essere ascritta alla fase storica preindustriale in cui il fare o meglio il saper fare dell'artigiano, deve essere trasferito in un processo meccanicistico di produzione in cui altri soggetti per lo più carenti di
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una cultura specifica, devono fare ciò che in precedenza è stato determinato. Se accettiamo, almeno in questa fase preliminare l'idea di progetto come un insieme di passaggi tra loro interrelati che ci consentono di conseguire un fine, appare evidente che nei fatti il progetto si configuri quale mezzo. Intendere il progetto come mezzo, agevola un ritorno perlomeno temporaneo allo specifico oggetto di questo lavoro ovvero al disegno anche in ragione del fatto che buona parte dei progetti trovano materiale configurazione in un elaborato grafico, ed altro non potrebbe essere dato che per la realizzazione di un intervento che comporti la trasformazione per mezzo di tecnologie della materia, un sistema di rappresentazione iconografica risulta di gran lunga più conveniente che una oltremodo elaborata esposizione testuale. Questo dualismo tra progetto ed elaborato grafico, rivisto alla luce delle pregresse considerazioni sulla sostanziale identità tra i termini problema progetto e prodotto, ci introduce al tema del disegno inteso quale progetto. Concepire, ancor prima di elaborare un disegno è attività di natura progettuale e come tale implica numerosi problemi affinché si giunga alla realizzazione di un prodotto consono ed adeguato. L'idea di interpretare il disegno quale prodotto conseguente ad un progetto porta con se una seconda considerazione in questa sede fondamentale: Rispetto ad una atteggiamento spesso rinunciatario nei confronti dell'attività grafica che trova giustificazione nell'errata convinzione che il saper disegnare sia frutto di una capacità innata, è lecito opporre che trattandosi di attività concettuale, ciascuno in base alle proprie capacità e cosa forse più importante alla propria determinazione può tranquillamente disegnare. Una terza ed ultima considerazione intende sgombrare il campo da ogni ulteriore equivoco: un buon disegno, difficilmente coinciderà con quanto identificato con un bel disegno. Due parole su questa affermazione non guastano: stante la labilità e la soggettività del concetto di bello che indipendentemente dalla rispondenza a canoni estetici o al gusto individuale e/o corrente risente di suggestioni di natura contingente, un buon disegno diviene tale nella misura in cui soddisfi adeguatamente le esigenze per cui è concepito ed eseguito, quindi al pari di un oggetto o di un qualsivoglia manufatto, trova legittimazione proprio nel fine utilitaristico a cui risponde. Intendere il disegno come progetto, comporta quindi una costante attività di controllo intellettuale (ars) al processo di significazione che operativamente andrò ad attuare, e quindi la componente pratica ovvero quello che in precedenza abbiamo definito il saper fare (tekcnè) assume un importanza relativa e per più di una ragione secondaria. Certamente non è possibile conseguire la materializzazione di un disegno se tale attività resta nello stadio ideativo del progetto, probabilmente una disabitudine all'uso degli strumenti grafici ed un inesperienza nell'applicazione dei metodi e delle tecniche comporteranno una maggiore fatica e forse numerose riedizioni dell'elaborato, ma sicuramente l'opposto, ovvero una buona familiarità con il
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disegno non potranno sopperire lo sforzo di pianificazione ideativa che deve essere necessariamente operato per conseguire un buon disegno. Comprendere questa serie di assunti, deve rassicurare gli inesperti e forse cosa più importante deve far riflettere coloro che ritengono di saper fare un discreto uso del mezzo della rappresentazione grafica
Questo disegno di Aldo rossi per il progetto della caffettiera “Conica” mette in luce, a mio parere, uno dei paradigmi delle relazioni che legano progetto e rappresentazione: “il disegno quale mezzo di previsione e controllo delle qualità formali del progetto”.
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LA DIDATTICA DEL DISEGNO
Per giungere ad una delimitazione del campo di approfondimento di questo lavoro, che si propone esclusivamente quale traccia per una più approfondita disanima critica del tema affrontato: la rappresentazione grafica; anche in forza del contesto in cui queste parole hanno origine e vengono spese (una Facoltà di Architettura) e dell'ultima considerazione in relazione alla priorità metodologica che tale attività presenta, pare opportuno scomporre i termini della questione ed in ragione di ciò avremmo: DISEGNO
come cultura metodo tecnica
mentre la DIDATTICA quale
maieutica esperienza induzione
Disegno come "cultura"
in questo ambito d'analisi il termine cultura associa i concetti di: "genere e grado del sapere" genere
inteso come: classificazione e catalogazione dei differenti saperi (1)
mentre per quanto concerne il grado
avremo:
la quantità e la qualità di informazioni inerenti ogni determinato sapere
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Disegno come "metodo”
Assumendo il disegno quale processo di mediazione che sovrintende alla trasformazione della conoscenza in documento, ne consegue un'intrinseca componente metodologica e poco incide in quale misura tale metodo risulti indotto o autoctono. In relazione al metodo, che come già detto può essere considerato l'asse portante del "rappresentare", è opportuno precisare che chi scrive rifugge l'idea di considerare il metodo come "regola". Al più, come unanimemente riconosciuto nella comunità scientifica, il metodo anche in questo ambito assume il ruolo di ordinatore della processualità sperimentale a condizione che il processo in questione sia configurato in modo tale che si possa procedere alla ripetizione del percorso sperimentale.
Disegno come "tecnica"
Senza voler ricondurre il disegno ad un processo di stretta natura meccanicistica atto alla genesi di immagini, pare innegabile assumere quale fondativa di tale disciplina quella componente tecnica, e non teorica come si potrebbe essere portati a pensare, che la contraddistingue. Ciò anche in ragione del fatto che la sussistenza di un semplice enunciato metodologico se in chiave di rilettura critica potrebbe essere assunto a valore di rappresentazione, difettando della componente fattiva vanifica il ruolo preminente della rappresentazione stessa che è opportuno ricordare non si materializza nella sfera metafisica della teoria, trovando ragione e legittimazione esclusivamente nell'intelligibilità del documento. Premessa l'enunciazione dei concetti identificati con queste tre categorie, si impone la precisazione dei termini fondativi dell'attività didattica. "L'insegnare", inteso quale modello riproduttivo di un sapere, che in questo specifico caso presenta una forte interazione con il "saper fare", risente in misura sensibile di contaminazioni di natura culturale. Avremmo quindi, date le precedenti specificazioni, nel caso dell'insegnare a disegnare la necessità di una trasmissione sinergica di un sapere mediato da un metodo che diviene tecnica.
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Come il disegno la didattica pur essendo nei fatti un "unicum" da luogo a mio parere a tre categorie generali :
Didattica come "maieutica"
Il processo maieutico è intrinseco all'attività didattica, in quanto consente la socializzazione fondamentale tra discente e disciplina. Tale processo assicura inoltre un proficuo grado di oggettivazione da parte del discente dell'informazione dato che assicura il consolidamento di un sapere nell'esperienza che nei fatti è l'interfaccia sensibile della cultura.
Didattica come "esperienza"
Difficilmente la didattica ammette attori in cui l'esperienza, intesa come sperimentazione diretta, difetti. Per lo studente l'esperienza indotta o maieutica che sia, diviene strumento per la comprensione dei concetti trasmessi ed in ragione di ciò del sapere ad essi sottintesi. Per il docente l'esperienza nella disciplina e di riflesso nella didattica di quella specifica disciplina è requisito irrinunciabile , dato che solo attraverso la propria esperienza egli trova il grado e la misura adeguata per frammentare e trasmettere un sapere che solo a tali condizioni può essere veicolato ad altri.
Didattica come "induzione"
La componente induttiva del processo educativo, sebbene risulti tra le più praticate è senza dubbio e per molti versi la più debole, dato che fondandosi il modello culturale contemporaneo su schemi di natura propositiva, genera nel migliore dei casi un accettazione per bisogno. Di contro non deve essere assolutamente sottovaluta la componente induttiva intrinseca ad un processo educativo di natura maieutica, anche perché in tale caso veicolando messaggi obbligati in uno scenario di partecipazione il docente assicura al messaggio una forza pervasiva di notevole entità (ovviamente a condizione del valore intrinseco del messaggio).
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A questo punto ai più può sorgere spontanea una domanda sulla legittimazione di chi sostiene tali assunti e ciò mi impone una breve digressione sulla "legittimazione. Il concetto di legittimo ed in conseguenza di ciò la legittimazione (intesa come diritto ad argomentare di un determinato argomento) che vi consegue, nella cultura contemporanea al pari della legge nelle praterie che caratterizzavano il sogno della frontiera nel'" West" è quanto mai labile; comunque essendo in Italia, notoriamente "culla del diritto", (prematuramente scomparso per effetto di una morte in culla appunto), la legittimazione di una qualsivoglia argomentazione, di prassi consegue al consenso che la stessa raccoglie e per tale ragione solo a condizione che il pensiero sia reso di dominio pubblico è possibile verificarne il grado di consenso. Legittimare una attività didattica in genere è già un problema, stabilire e quindi legittimare cosa sia educare al disegno diviene ancor più problematico, data la progressiva disabitudine a tale disciplina, figuriamoci poi chi ragionevolmente si senta in grado di legittimare uno studio sperimentale sulla didattica della rappresentazione grafica, che per propria natura deve necessariamente rifuggire all'idea di scuola. Probabilmente solo i risultati che allo steso conseguono potranno convalidarne la bontà del metodo ed in conseguenza di ciò legittimare i pensieri da cui si originano, in ogni caso un altro e per molti versi "diverso approccio all educazione al disegno, non produce più danni di quanto sino ad oggi ha portato tale disciplina in una specie di catatonia.
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SILSIS MI – ARTE E DISEGNO - 5° CICLO - CLASSI 18-25
CLAUDIO UMBERTO COMI
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LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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IL DISEGNO NELLA STORIA
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CRONOLOGIA
I SUPPORTI EVOLUZIONE STORICA
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CRONOLOGIA
LA CARTA
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CARTE E SUPPORTI
TECNICHE GRAFICHE STRUMENTI PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
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STILE A PUNTA D'ARGENTO
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PENNE
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SCULTURA IN METALLO
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SCULTURA IN TERRACOTTA
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SCULTURA IN LEGNO
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TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE IL DISEGNO NELLA STORIA Il primo accenno storico al disegno lo si incontra in una definizione di Plinio il Vecchio, nell'opera di Parrasio, ove riferendosi alla linea, Plinio scrive "raggiunse la perfezione nelle linee di contorno dei corpi; le quali costituiscono il maggior pregio per una pittura." tale perfezione è riferita alla capacita della linea di contornare la figura lasciando immaginare altri piani. Nel medioevo il disegno passa per importanza in secondo piano rispetto ai valori cromatici dell'opera d’arte, tale atteggiamento si rileva dalla "Schedula diversarum artium" redatta dal monaco Teofilo. Cenino Cenini nel suo "Libro dell'arte" scritto a Padova nel ‘300, ripropone il disegno come fondamento e principio dell'arte, questo atteggiamento è visto in funzione della necessità che l'artista maturi un proprio modo espressivo, e avrà un seguito nei secoli successivi, sino al con la nascita della Scuola Veneta dove, a differenza che in quella Toscana, la componente cromatica sarà rivalutata. Cenini scrive: ".. in funzione dell'abilità di trovare cose non vedute, lasciandovi sotto ombra di naturali, e fermarle con la mano dando a dimostrare quello che non é , sia. Il primo testo del rinascimento che affronta il problema del disegno é il trattato "De Pictura" di L.B.Alberti , tale trattato ispirato ad una concezione naturalistica della rappresentazione, affronta con razionalismo scientifico la stessa intesa come sezione trasversale della piramide visiva nella quale il pittore incanala prospetticamente gli aspetti della realtà esterna. Per quanto riguarda il segno l'Alberti ritiene, che le linee di contorno siano "sottilissime …….. quasi tali, che fuggano esser vedute. " Con il rinascimento,a causa della mutata concezione filosofica, che pone l'uomo al centro e misura di tutte le cose,anche la rappresentazione, conseguentemente muta i propri parametri. La prospettiva al di là della controversa disputa sulla effettiva paternità, impone una conoscenza approfondita dell'utilizzo del disegno, e delle regole della rappresentazione. L'Alberti, riprende il tema nel suo "De Re Aedificatoria", trattato del 1452 di progettazione architettonica. Per l'Alberti il disegno é uno strumento per assegnare agli edifici e le parti che li compongono una posizione appropriata ed una esatta proporzione, questa concezione pone il disegno come mezzo di trasferimento della forma mentis , a prescindere dai materiali e dalla esecuzione. La concezione dell'Alberti per quanto riguarda il disegno in pittura, viene ripresa da Piero della Francesca nel suo "De Prospectiva Pingendi ". Antonio Averlino detto il Filarete, nel "Trattato di Architettura" del 1451, mutuando la concezione albertiana del valore del disegno nella creazione dell'opera d'arte, applica tale atteggiamento alla città, quindi all'intervento diretto sul paesaggio urbano. Filarete nei libri XXII - XXIV riferendosi al disegno, fondato su principi di ottica e prospettiva, conferisce allo stesso la funzione di principio ordinatore, in quanto il disegno ha le stese prerogative del numero e dell'ordine. Tale atteggiamento, letto anche alla luce dell'uso per la pianificazione urbana, conferisce al disegno un nuovo ruolo nella sua applicazione alle arti. Sforzinda progetto utopico di città fortificata é esempio di tale concezione. Sempre nel rinascimento Francesco di Giorgio Martini , nella redazione dei suoi "Trattati di Architettura civile e militare" presuppone il disegno ad ogni azione intellettuale, o più precisamente ad "operativa scienzia", introducendo la costante verifica tra "significato "e " segno ". Tale atteggiamento, espressione di un nuovo concepire il disegno come strumento esplorativo e documentale della realtà, é cardine della trattazione di questo elaborato. Leonardo con Il " Trattato della Pittura " nella Firenze quattrocentesca chiude il ciclo dei testi di ispirazione albertiana, nella sua opera Leonardo riprende tre spunti, la concezione della pittura fondata su basi fisico-matematico, il realismo di
impostazione per il quale il processo mentale muove dal visibile, il paragone delle arti. Per quanto riguarda l'atteggiamento di Leonardo, in relazione al disegno, egli pone questa componente in subordine alla prospettiva concepita come modello matematico, che é base subordinata alla pittura che concepisce come scienza. Per quanto concerne la concezione leonardesca della prospettiva, si assiste ad una fusione tra prospettiva lineare ed aerea, tale atteggiamento é conseguenza della predominanza dei valori cromatici dell'opera d'arte. Con la divisione tra Scuola Veneta e Scuola Toscana , si apre nel '500 un significativo divario sulla priorità del disegno nell'opera d'arte. La Scuola Toscana sino al manierismo continuerà nel privilegiare il disegno come base dell'opera, mentre la Scuola Veneta antepone fattori luminosi e cromatici. Il '500 segna la fine dell'epoca dei trattati, Vasari nelle "Vite" apre il filone delle biografie degli artisti, quindi le specifiche concezioni divengono riferite ad ogni protagonista della scena artistica. Un ulteriore utilizzo della attività grafica e la creazione di un tramite tra progetto e realizzazione, tale atteggiamento é storicamente provato, nella stesura di disegni preparatori per oggetti delle arti comunemente considerate minori, o nella realizzazione di opere scultoree. Da ultimo é utile considerare come il disegno nella storia abbia assunto ed ancora oggi assuma il valore di documentazione di eventi, o realtà esperibili, a tale scopo si considerino gli "exempla", o il disegno documentario di anatomia che sino ad una vasta diffusione del mezzo fotografico, ha supportato gli studi di anatomia medica e pittorica. Come già' si diceva, il disegno viene storicamente comunque considerato come attività dell'umano intelletto, il Vasari, riprendendo un concetto che fu dell'Alberti, identifica il disegno con le cosiddette “arti maggiori”, ovvero pittura, scultura, architettura, che vengono definite "arti del disegno". Questa concezione eleva il disegno a tecnica ideale, frutto di attività' intellettuale da cui dipende la prassi delle tecniche operative. CARTE E SUPPORTI I SUPPORTI EVOLUZIONE STORICA I supporti più comuni dal Medioevo ad oggi sono stati il papiro e la pergamena, la carta e il cartone, la tavola e la tela, nonché l’arriccio, cioè il primo intonaco soprammesso al muro preparato per l’affresco, nel caso delle sinopie, e le matrici di legno, di rame e di pietra nel caso dell’incisione L’uso dei primi tre supporti, in età medievale almeno, fu legato a fattori di disponibilità e a ragioni economiche. La graduale sostituzione dei codici di pergamena ai rotoli di papiro, ad esempio, rappresentò tra il V e il VI secolo un notevole risparmio di materiale per le illustrazioni dei manoscritti, in quanto la pergamena consentiva la scrittura, e quindi il tracciato delle fìgurazioni, per lo più a penna, sui due lati. A partire dal VII secolo, però, questa tecnica, semplicissima, che permetteva un disegno rapido e puntuale, particolarmente adatto al commento visivo dei testi che richiedevano numerose illustrazioni, si arricchì di tocchi di acquerello trasparente o, più raramente, di puntualizzazioni coloristiche opache, soprattutto nelle fìgurazioni più importanti. Il Botticelli ancora nell’ultimo decennio del Quattrocento - ed è una conferma a quanto si diceva prima circa il rapporto tra scelte tecniche ed esiti formali - adotta per le illustrazioni della Divina Commedia la pergamena, per non intaccare l’effetto unitario che lega le fìgurazioni al testo poetico posto a fronte.A motivare l’uso prolungato di questo supporto anche nel corso del Trecento, quando già sullo scorcio del secolo precedente era attiva a Fabriano una cartiera, fu in parte la mediocre qualità della carta, che frequentemente presentava delle imperfezioni ed era soggetta a rapida usura.Ne abbiamo conferma dal fatto che l’uso della pergamena, più costoso, appare riservato ai “taccuini “, vere e proprie antologie di modelli iconografìci e di soluzioni stilistiche, che i maestri lasciavano a
disposizione degli allievi nelle botteghe, mentre la carta appare usata nelle prove ritenute di minor impegno, come i disegni preliminari. Per ovviare alla sua scarsa resistenza e ai difetti di fabbricazione si ricorse, sino allo scorcio del Trecento, a un processo di consolidamento ottenuto ricoprendola con un sottile strato di polvere di osso impastata con gesso, che successivamente veniva levigato. Più tardi si adottò il sistema di pennellare i fogli con colla animale o di sovrapporvi un leggero strato di bianco di china, soggetto però, col tempo, a ossidarsi. L’uso di un supporto più o meno resistente era correlato, tra l altro, alla perizia del disegnatore, ed è signifìcativo al riguardo che il Cennini, nel Libro dell’arte, consigli all’apprendista di iniziare la sua pratica disegnativa usando come primo supporto una tavoletta di legno duro, ingessata, per passare poi alla carta pecorina e infine alla bambagina, fabbricata con stracci di cotone e cosiddetta dal fatto di essere originaria-mente fabbricata nella città araba di Bambyke. Ed è ancora il Cennini a certificare l’uso trecentesco di carte preparate, suggerendo una precisa precettistica per la loro colorazione. La sua gamma, ristretta al “colore della morella”, alla “tinta indaca” e al “colore rossigno” (capitoli XVIII-XIX-XX), si andò allargando in seguito a includere numerose tonalità pastello come il rosa, il verde, il giallino, il grigio pallido e l’azzurro, particolarmente adatte a suggerire effetti luminosi e atmosferici. Non a caso la carta azzurrina, peraltro delicatissima perché soggetta a scolorire a contatto della luce, fu largamente usata dai pittori veneti. Sullo scorcio del Quattrocento comunque, quando ormai erano note quasi tutte le tecniche disegnative, si potevano trovare in commercio carte già colorate, rispondenti alle diverse intenzionalità espressive. Fu la disponibilità di un tipo di carta più robusto a rendere superfluo il processo di consolidamento, e il minor costo a diffonderne l’uso e a farne il supporto più largamente adottato dal Quattrocento a oggi. Già nel XIV secolo, però erano note le numerose possibilità espressive offerte dalle diverse grane, grosse o fini, e quindi dalla superficie ruvida o levigata del fondo Questa convergenza di quesiti formali e di risposte tecniche trova una delle sue ragioni precipue nel valore preminente che il Rinascimento assegna, nell’operazione artistica, al momento ideativo identificato con l’iter progettuale dell’opera - sul momento esecutivo. E il disegno che, almeno nell’area toscana, è la puntualizzazione di questo iter, finisce con l’identificarsi con il momento intellettualmente più alto dell’operazione artistica. Tale concezione, che a livello ideologico motiva la superiorità del pittore sullo scultore decretata da Leonardo la pittura, connessa a una finzione visiva, cioè a un processo mentale (e il disegno per Leonardo è « discorso mentale ») è ars liberalis, mentre la scultura, che si invera in una situazione esistenziale, è ars mechanica - a livello operativo trova riscontro nella vastissima produzione grafica della seconda metà del Quattrocento e di larga parte del Cinquecento. La nostra rassegna dei supporti degli elaborati grafici si conclude con l’esame del disegno su tavola, su tela, su muro e su cartone, che rappresenta la definizione ultima della fisionomia strutturale e compositiva dell’opera pittorica Non per nulla di questi quattro tipi di disegno i primi tre, quando si tratti di abbozzi o di sinopie, si identificano con la prima fase della stesura pittorica, alla quale si incorporano, mentre il quarto non è che un tramite alla trasposizione del disegno finale dalla carta al supporto del dipinto Questa totale inerenza del tracciato disegnativo alla soprastante immagine pittorica comporta, sul piano della documentazione visiva, notevoli carenze.La lettura del disegno su tavola, infatti, è possibile solo quando l’artista lo abbia tracciato a scopo di studio, senza l’intenzione di tradurlo in pittura, come nel caso della testa di San Gerolamo disegnata da Filippo Lippi sul retro di un suo dipinto, la Madonna con il Bambino del Museo Mediceo di Firenze, o quando la stesura pittorica, incompiuta, abbia lasciato scoperte alcune parti semplicemente disegnate, come nel caso dell’Adorazione dei Magi di Leonardo. Allo stesso modo la lettura di una sinopia è resa possibile solo da un’operazione di restauro, il distacco, che ne consente la separazione dal soprastante affresco e, a volte, il recupero in più strati che documentano il processo genetico dell’immagine- larga
parte della documentazione grafica del Trecento e della prima metà del Quattrocento è rappresentata da disegni su tavola e da sinopie; scarseggiano invece i disegni su carta. Ne abbiamo dato delle ragioni contingenti, ma non sarebbe esatto annettere loro un valore precipuo o esclusivo, poiché tale scarsità ha una motivazione anche nel fatto che i maestri, fidando nel loro dominio del mestiere, spesso preferivano tracciare direttamente sul supporto del dipinto le linee essenziali della composizione. L’uso del disegno su tavola, peraltro, si protrasse sino al Rinascimento maturo: ne è un esempio la già citata Adorazione de i Magi di Leonardo, rimasta allo stato di abbozzo; l’uso della sinopia, invece, già sulla metà del Quattrocento era affiancato dalla tecnica dello spolvero - ne sono una testimonianza gli affreschi di Andrea del Castagno a Santa Apollonia - pratica destinata però a divenire sempre più rara per il prevalere, nel corso del Cinquecento, dell’uso del cartone. E anche questo era un indizio della mutata concezione dell’operazione artistica, che, valorizzando il momento ideativo su quello esecutivo, aveva reso di uso comuni espedienti tecnici come la “quadrellatura”, della quale l’Alberti, nel trattato Della pittura, si era attribuito l’invenzione.Il procedimento, consistente nel sovrapporre una rete di quadrati ai disegni eseguiti nella bottega per trasporli nelle dimensioni defìnitive della composizione pittorica, segnava, con l’affermazione dell’artifìcio tecnico sul mestiere, il prevalere di una concezione intellettuale dell’arte su quella manuale.Fondate entrambe sul principio comune della trasposizione del disegno dal foglio al supporto del dipinto, le due tecniche dello spolvero e del cartone si differenziavano tuttavia per il supporto - carta leggera per lo spolvero, carta più consistente per il cartone - e in genere anche per il metodo d’impiego. Lo spolvero, usato comunemente per ottenere sulla parete una traccia sommaria delle fìgurazioni ad affresco, ma talvolta anche per la preparazione dei dipinti su tavola e su tela, era forato con uno spillo 16 lungo le linee della composizione. Una volta applicato al supporto del dipinto vi si « spolverava » contro del carbone macinato, che depositandosi lasciava una traccia punteggiata. Il cartone, invece, fu usato per gli affreschi quando il suo impiego era già esteso al processo esecutivo degli arazzi e delle vetrate, soprattutto nel corso del Cinquecento. Per i dipinti murali, dopo averlo applicato alla parete preparata per l’affresco, si premeva con uno stile metallico lungo la traccia grafìca in modo che l’intonaco ne rimanesse impresso - Il procedimento stesso, però, portava col tempo alla sua distruzione, sicché i cartoni con l’impronta dello stile sono estremamente rari ed è più probabile rinvenire esempi che documentano un uso analogo a quello dello spolvero. Inoltre, quando gli affreschi richiedevano più “giornate “ di lavoro, i cartoni erano tagliati a pezzi, che venivano utilizzati separatamente dopo essere stati contrassegnati per il successivo accostamento, fatto che spiega come ce ne siano pervenuti soltanto dei lacerti.Nella categoria del disegno incorporato all’opera d’arte rientrano anche gli elaborati grafici per l’incisione. Di essi ci rimane solitamente la sola testimonianza della stampa, ottenuta premendo un foglio contro la matrice previamente incisa e inchiostrata; più raro è il caso che ci restino anche quest’ultima e il disegno originario.Il termine incisione, comunque, si adatta solo alle stampe su legno (xilografie) e su rame (bulini, acqueforti ecc,), che si differenziano in base al procedimento di incisione della matrice, manuale nel caso del bulino, chimico nel caso dell’acquaforte e dei suoi derivati. Le litografie, per le quali ci si avvale ai una matrice ai pietra, non rientrano nella categoria dell’incisione pur essendo stampe, in quanto la matrice non viene incisa, ma semplicemente preparata disegnandovi sopra la figurazione da stampare.Legate in origine, cioè nel Quattrocento, alla diffusione del libro illustrato e alla divulgazione ai soluzioni formali e figurali delle cosiddette “arti maggiori” , le stampe, dapprima la xilografia, e in seguito, sulla metà del secolo, l’incisione su rame, si distinsero in “ originali”, e “di tradizione”, in rapporto alla loro novità tematica o alla derivazione iconografica e tipologica dei dipinti, sculture o soluzioni architettoniche e urbanistiche. La xilografia, dopo avere toccato un alto livello artistico con i maestri tedeschi del primo Cinquecento, conobbe in Italia, nella variante del chiaroscuro, una stagione fortunata sino alla metà del secolo, epoca nella quale decadde per non essere ripresa che alla fine dell’Ottocento. Da alcuni decenni al legno si è sostituito il linoleum, più agevole da intagliare, da cui il termine linografia.
L’acquaforte conobbe invece, con diverse varianti tecniche quali l’acquaforte monotipica e lo stesso monotipo, un ibrido di pittura e incisione, quattro secoli ai ininterrotta fortuna, dalla metà del Quattrocento al secondo decennio dell’Ottocento, quando si diffuse la litografia; ma l’affermazione del nuovo procedimento non impedì che sulla metà del secolo la vecchia tecnica registrasse una ripresa. Non può sfuggire certa similarità di carattere tra spolveri e cartoni da un lato e matrici delle stampe dall’altro, similarità dovuta al fatto che sia gli uni che le altre documentano la fase di trapasso del disegno dal suo supporto a quello dell’opera d’arte; ma a differenziare questi due tipi di strumenti del processo artistico vi è un fattore preciso :nell’un caso il momento ideativo investe anche l’esecuzione del dipinto, nell’altro si arresta alla preparazione della matrice, cioè è anteriore alle operazioni di stampa, primo esempio di applicazione di un procedimento industriale alla rappresentazione artistica. CARTA Non solo l'uso di tecniche diverse è connesso a ragioni espressive diverse ma anche la scelta del colore della carta come della grana. Le carte bianche, di grana fina, dalla superficie liscia, sono preferite per gli schizzi e i disegni a penna e a pennello; le carte colorate e no, di grana grossa, ruvide, si prestano meglio al disegno a matita, a carboncino e a pastello. papyrus Pelle di vitello, di pecora e capra forniscono la materia prima per la pergamena. La pelle viene ammorbidita, sciacquata, tenuta in un bagno di calce, scarnita e trattata con un liquido caustico, tesa su un telaio di legno: asciugata viene raschiata: la levigazione con pomice conclude il ciclo di lavorazione della pergamena.ottimo supporto per le scritture, risulta ancora più antica del papyrus, e il legatore l'usa tuttora per libri di edizioni particolari. Quali produttori della prima carta vengono ricordati i cinesi, Nell'anno 105 d.C., un impiegato di Stato, cinese, fabbricò il prototipo della carta, servendosi di scorza di gelso, di alga della Cina, e di stracci, materie prime che costituiscono ancora oggi l'impasto per la carta. La Cina cominciò a disporre della carta nel 105 d.C., la Corea nel 600, il Giappone nel 610, l'Arabia nel 790, l'Egitto nel 900, il Marocco nel 1100, la Spagna nel 1150, 1'ltalia nel 1276L'Ungheria introdusse la carta nel 1300, la Francia nel 1350, la Germania nel 1390, 1'lnghilterra nel 1494, la Russia nel 1576, l'Olanda nel 1586, e l'America e la Svezia rispettivamente nel 1690 e 1698. L'invenzione di una macchina per la produzione della carta, nel 1799, è opera del francese Robert da allora si è in grado di produrre carta a rotoli, senza fine. Le materie prime per la produzione della carta Le materie prime per la fabbricazione della carta sono il legno, la paglia, gli straccii la carta vecchia. Principalmente il legno è la materia che, più di qualunque altra, viene impiegata nella produzione della carta: e il legno di abete più degli altri tipi come il pino, il faggio, e il pioppo Nella gamma della paglia, che trova la maggiore utilizzazione per la fabbricazione della carta, il primo posto è tenuto dalla paglia della segale, seguita da quella del grano, dell'avena e dell'orzo. Gli stracci rappresentano la più antica e la più preziosa materia prima nella fabbricazione della carta- Il lino, il cotone e la canapa vengono lavorati per i migliori tipi di carta, come la carta per documenti, e la carta da disegno di alto valore.Per l'utilizzazione di carta vecchia è necessaria la selezione, in quanto la carta sporca e quella di minor qualità, rendono difficile la riutilizzazione. Fra i tipi di carta si distinguono quello senza legno e quello contenente pasta di legno. Carta senza legno si considera tutta la carta fabbricata con la cellulosa e con l'aggiunta del 5% di pasta di legno al massimo: le carte legnose contengono più del 5%di pasta di legno Le carte da giornale (quotidiano) contengono fino a 85-90% di pasta di legno. Le carte ad alta percentuale di pasta di legno gracili, si adattano solo per la stampa più ordinaria e per uso diverso da quello tipografico (pacchi e simili). Nella
fabbricazione della normale carta da stampa le componenti sono generalmente queste: 75°lo di pasta di legno e 25°lo di cellulosa. La carta da stampa mezzo-fino contiene il 70% di pasta di legno e il 30% di cellulosa La carta di qualità superiore contiene il 60% di pasta di legno e il 40% di cellulosa. La cellulosa è una fibra di legno che viene separata chimicamente dalle impurità presenti nel legno (grassi, resine) : serve per la fabbricazione delle migliori carte Secondo il tipo di carta che si vuole ottenere, cellulosa e pasta di legno vengono macinate, e mescolate con colla, allume e altre componenti, che variano, a seconda del tipo di carta e dell'uso che se ne deve fare- La poltiglia ottenuta scivola sulla rete di metallo senza fine della macchina. In base alla quantità della poltiglia e alla velocità con la quale si muove il nastro della rete è possibile regolare, sulla macchina, Io spessore della carta. A causa dello scuotimento impresso alla rete le fibre si agglutinano, allineandosi nella direzione del nastroNel corso di questo percorso gran parte dell'acqua sovrabbondante cola via. Il nastro di carta, ancora umido, viene prosciugato e pressato fra due cilindri. La carta che esce dalla macchina, già liscia, può essere ulteriormente calandrata per ottenere carta satinata. La stabilità dimensionale Di fondamentale importanza, sia per Io stampatore che per il legatore, è la direzione della fibra nella carta. Durante la stampa, il foglio di carta deve essere orientato in modo che la fibra passi parallelamente al cilindro. Non osservando questo accorgimento fondamentale si formeranno possibili pieghe nella carta. La fibra deve risultare parallela anche alla legatura. al fine di evitare ondulazioni della carta, specie se 1'ambiente è umido. Esistono varie prove con cui Io stampatore può accertare la direzione della fibra: generalmente, le direzioni vengono indicate sull'involucro della carta stessa. Carte leggere possono essere strappate ai bordi, e Io strappo piÙ regolare indica la direzione della fibra- Passando i due lati della carta fra l'unghia del pollice e l'indice si constata che uno dei due lati si ondulerà meno dell'altro: il primo rivela la direzione della fibra. Oltre queste, empiriche, esistono altre prove: quelle del fuoco per cartoni pressati, quella dell'umidità, quella con la piega. Sulla carta lisciata in macchina si possono stampare autotipie con raster fino a 34 linee. Dalla carta da illustrazione. cioè carta satinata semplice, si ottengono ottime riproduzioni con raster a 48 linee: a 54 linee se la carta è doppiamente satinata. Questi tipi si chiamano carte naturali perchè non ricevono alcun trattamento speciale. Per poter rendere quanto più possibile l'immagine stampata simile al vero occorre infittire al massimo il raster. Carte naturali, satinate. non possono dare risultati migliori di quanto già detto. Occorre, quindi, una superficie maggiormente capace di assorbire la stampa di autotipie finissime, fino a 70 linee. Per chiudere meglio i fori della superficie della carta, essa viene trattata con minerali di terra come Blanc fixe, talco, caolino (terra da porcellana) per essere poi satinata. Queste carte si chiamano carte patinate, ed esistono con superficie lucida e non lucida o opaca. Una percentuale di colla si trova in tutti i tipi di carta, esclusa la carta assorbente- Il contenuto di colla si distingue quindi in gradazioni: carta senza colla, carta collata per 1/4 - 1/2 - 3/4 - 1/1Il peso Il concetto " carta » vale fino al peso di 149 grammi. Da 150 grammi iniziano le carte pesanti, chiamate cartoni. La carta più leggera, la carta giapponese, pesa c. 10 gr- al mq. mentre il cartone più pesante ha il peso di 500 gr. al mq. Il peso viene indicato normalmente per mq. oppure per risma, come è in uso in ltalia Una risma corrisponde a 500 fogli di carta. Il peso della carta, in maggior parte, si riferisce al peso della carta per mq., . quindi per conoscere il peso di un foglio, o di una risma di carta bisogna ricorrere ad una semplice formula- Per esempio sul campionario di una cartiera si legge. Carta patinata formato cm. 70 x100, 100 gr. mq.: questo significa che un metro quadro di questo tipo di carta pesa 100 grammi: ma poiché il formato è 70x100 cm- la formula è la seguente: gr. mq. x lunghezza x larghezza - per foglio 10.000 esempio.100 gr. x 100 cm. x 70 cm- = 70 gr. per foglio 10.000.Dato che il costo del la carta si riferisce al peso,
generalmente in chilogrammi, con una semplice divisione e moltiplicazione si conosceranno quali spese debbono affrontarsi per qualsiasi tipo e formato di carta Esistono prontuari che consentono l'immediata identificazione del peso della carta per risma in chilogrammi per tutti i formati di carte. Conoscendo il costo della carta al Kg. e Conoscendo il peso di un foglio, si moltiplica questo peso per 500 ( numero dei fogli) e si ottiene il peso della trisma; moltiplicando questo prodotto per il prezzo di un Kg: si ottiene il costo della risma Il formato della carta I formati della carta in uso nel commercio sono stabiliti in base ad una norma fissa che corrisponde ad un sistema proporzionale di divisione. Formando, dal lato più corto di un foglio un quadrato e trasformando la diagonale del quadrato cosi ottenuto nel lato più lungo del rettangolo, si ottiene il formato UNI con il rapporto 5:7 (p.e. cm. 50x 70). Tagliando o piegando anche il foglio si ottiene esattamente il formato UNI inferiore a quello precedente restando inalterate le proporzioni ma diminuendo la superficie della carta. Una tabella nominativa di formati di carta della serie A quindi altre due serie B e C ricavate , dalla prima stabiliscono dei formati fissi maggiormente in uso. Il numero della serie AO, Al, A2, Bl ecc. indica oltre il suo significato di denominazione internazionale, quante volte dovrà essere tagliato o piegato il foglio per ottenere il formato desiderato. . La seguente tabella facilita il conto del numero delle pagine ricavato da un formato della serie A, piegandolo o tagliandolo. Per saper rapidamente quante pagine del formato AS (148 mm- >< 210 mm.) entrino nel formato Al (594 mm. >< 841 mm-) basta leggere il numero che risulta all'incrocio della colonna verticale con la riga orizzontale, cioè 16 pagine Inserire tabella Tipi di carta Le caratteristiche di uno stampato sono della più varia natura. In determinate circostanze Io stampato deve risultare : leggero, resistente, pesante, gonfio, rigido, flessibile, pieghevole e cosi via- In base a queste necessità il progettista, o Io stampatore, tenendo ben conto della resa di stampa, sceglierà il tipo di carta da usare Carta pelures. Ha un peso variante da 10-12 grammi a 45 grammi per mq. Per la sua leggerezza e minimo spessore viene impiegata per volumi con molte pagine- E' molto tenace e resistente, quindi utilissima per moduli con ricalco. A causa della leggerezza viene preferita per carta da lettera da trasmettere per posta aerea. Su questo tipo di carta, la stampa autotipica risulta piatta, tuttavia la carta pelures consente la riproduzione con mezzetinte, con bile l'impiego del cliche a tratto Carta satinata: Ha un peso di circa 50-149 grammi per mq. La sua resistenza è limitata, ma viene largamente usata per qualsiasi procedimento di stampa, con resa qualitativa di discreto livello- Consente riproduzioni in autotipia fino a 48 linee circa. Tale carta trova il suo maggior impiego nella stampa di libri, di stampe pubblicitarie, di opuscoli, di riviste Carta patinata: Ha un peso di circa 70-149 grammi per mq. Essa è particolarmente adatta per la stampa tipografica e rende meglio la riproduzione delle mezzetinte in autotipia, consentendo l'impiego di raster fino a 80 linee. Si distingue fra carta patinata lucida (maggior impiego e superiore qualità tipografica) e carta patinata opaca, la quale, pur essendo utilizzata con il sistema tipografico, trova maggior impiego nella stampa offset, dove consente ottimi risultati Carta per offset: Il procedimento di stampa offset permette l'uso di qualsiasi tipo di carta. Le carte fabbricate per offset possono essere di superficie ruvida o essere lisciate
in macchina. Le carte ruvide consentono la stampa di mezzetinte per mezzo di raster di notevole finezza Carte per rotocalco: Queste carte, per esigenze di procedimento di stampa, debbono essere morbide e flessibili e debbono avere il potere di " assorbire » l'inchiostro rotocalcografico. Cartoni e cartoncini. Quelli che hanno un peso variante da 150 a 500 grammi per mq- trovano impiego per copertine di libri, schede, buste per dischi, astucci, scatole ecc. Il cartoncino Bristol, indicato per lavori finissimi, consente la stampa a mezzetinte, come il Manilla di qualità inferiore. Il Bindakote, di elevato costo, con superficie liscia come la carta fotografica, consente l'impiego di raster finissimi: è particolarmente adatto per l'imballaggio e per copertine dalla superficie liscia, la quale in un certo senso sostituisce la plastificazione del cartone, dando risultati superiori sia dal punto di vista della resistenza sia da quello estetico - qualitativo di stampa.
CARTE COLORATE Una delle produzioni più affascinanti del tempo è quella dei disegni su carta tinta in salmone, in rosa, in azzurro, cui si dedicavano con entusiasmo pittori come Lorenzo di Credi, Filippo Lippi e alcuni allievi di Beato Angelico. Lumeggiando i disegni (eseguiti a penna o a punta d'argento) con biacca o guazzo, e fungendo il colore della carta stessa da mezzotono, si ottenevano splendidi effetti di volume. Un altro uso più recente della carta colorata, lo abbiamo da Matisse, che si dedicò completamente a questa tecnica. Studiando prima con schizzi a matita le sagome che voleva ottenere, le ritagliava poi dal foglio di carta preparata. Nasce la grande pittura su carta. TECNICHE GRAFICHE STRUMENTI PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Come la scelta dei supporti, quella degli strumenti dei quali il disegnatore si vale per visualizzare l’immagine grafica è in relazione a precise intenzionalità formali e stilistiche, nella cui attuazione gioca un ruolo di primo piano anche il rapporto tra il fondo del disegno e la tecnica con la quale è realizzato. Non a caso, nonostante le varianti individuali, a elaborati grafici tipologicamente diversi, quali lo studio puntuale di particolari, lo schizzo, l’abbozzo o la definizione ultima di una composizione, corrispondono, entro certi limiti, procedimenti tecnici ricorrenti Taluni strumenti infatti, come lo stile a punta d’argento o di piombo, la penna, il pennello, se usato per tracciare i contorni, la pietra d’Italia e la mina di piombo sono più adatti a produrre effetti lineari; mentre altri, come il carboncino, la sanguigna, il gesso, la sinopia e il pastello sono più atti a produrre effetti pittorici La distinzione, comunque, non può essere radicale in quanto il risultato formale dipenderà, in ogni caso, dall’uso che il disegnatore farà, volta per volta, dell’uno o dell’altro strumento o di più strumenti insieme, per cui sarebbe assurdo, come si è già rilevato, pretendere di andare oltre un’esemplificazione sommaria dei tempi e delle aree culturali in cui si diffusero le varie tecniche. Anche la penna è da annoverare tra gli strumenti disegnativi più antichi. Già in uso nei primi secoli dell’era volgare, per il suo segno duttile e puntuale al tempo stesso divenne, fin dall’alto Medioevo, il mezzo basilare per l’illustrazione dei codici. La sua facilità d’impiego, unita alla possibilità di ottenere effetti variati con l’uso di inchiostri diversi, di china o di noce di galla, rispettivamente nero e marrone, o di altri colori usati più raramente e di solito su carte preparate, ne ha assicurato la fortuna sino ai giorni nostri, anche se nell’Ottocento venne largamente sostituita, senza peraltro cadere mai in disuso, dalla matita. Con gli inchiostri puri o diluiti in acqua (acquerelli) fu comune sin dal Medioevo anche l’uso del pennello, sia per tracciare le linee di contorno, sia per ombreggiare o ravvivare con tocchi coloristici disegni a tratto, eseguiti con stili metallici, a
penna o a matita. Più raramente, e solo al fine di ottenere particolari effetti pittorici, furono usati colori a olio o a tempera. Per le ombreggiature, quando il disegno non era chiaroscurato, si ricorreva comunemente al bistro o alla seppia, diluiti in acqua in varie concentrazioni, secondo la tonalità da ottenere. Per le lumeggiature, invece, al sistema semplicissimo di non tracciare segni o di cancellare quelli già tracciati sulle parti da lasciare in luce, oppure all’uso di biacca di piombo e di gesso bianco. È quasi superfluo sottolineare che l’impiego del chiaroscuro, connesso a effetti plastici, ebbe maggiore fortuna nella cultura artistica toscana, condizionata sino allo scorcio del Cinquecento dalla produzione di Michelangelo, che in quella veneta, aperta sin dallo scorcio del Quattrocento alla suggestione delle prospettive aeree di Giovanni Bellini: ce ne dà conferma, nel secolo successivo, la concezione pittorica dei disegni di Tiziano, del Tintoretto e del Veronese. Per il suo segno largo e vigoroso la pietra d’Italia (la “pria nera” del Cennini) fu invece usata a partire dal tardo Quattrocento sia da artisti dell’ambito culturale toscano, come Antonio Pollaiolo e Domenico Ghirlandaio, sia da artisti della scuola veneta; nel Rinascimento maturo se ne valsero ampiamente anche il Signorelli, Michelangelo e Raffaello. Nel Seicento agli strumenti citati si aggiunse la mina di piombo o grafìte inglese, la cui friabilità, se da un lato ne limitò l’uso, a volte unito a quello della matita nera, dall’altro consentì di ottenere effetti diversi, da un sottile segno di defìnizione dell’immagine sullo sfondo a una traccia ricca di sfumature, atta viceversa a immergerla nel suo ambito spaziale. Effetti di maggior fusione del tracciato grafìco e del fondo ad esso sottostante si ottengono con l’uso di strumenti più malleabili come il carboncino e la sinopia, la sanguigna e il gesso, particolarmente adatti, poiché consentono una fattura rapida e suscettibile di pentimenti, allo schizzo e all’abbozzo Già nel Trecento - la fonte, al solito, è il Cennini - i pittori si valevano del carboncino per schizzi didattici e per gli abbozzi su muro, che venivano successivamente ripresi e precisati con la sinopia; ne il suo uso conobbe in seguito sensibili battute d’arresto, anzi, per la sua estrema duttilità, se ne valsero largamente i pittori veneti. La sinopia, o terra rossa di Sinope, fu invece usata esclusivamente sul primo strato grezzo di calcina, lasciato scabro perché vi potesse aderire il secondo intonaco, sul quale si stendevano i colori. Impiegata per definire la traccia compositiva dei mosaici, oltre che degli affreschi, la sinopia, a partire dalla metà del Quattrocento, perdette gradualmente la sua importanza per l’affermarsi dell’uso dello spolvero, e successivamente del cartone, sul quale il disegno veniva generalmente riportato a matita. Affine, per effetto visivo, alla sinopia è la sanguigna o matita rossa, usata dalla metà del Quattrocento, da sola o con la matita nera, generalmente su carta bianca. Il suo impiego, particolarmente esteso nell’ambito rinascimentale toscano numerosi gli esempi nella produzione grafica di Michelangelo e della cerchia michelangiolesca e leonardesca - ebbe largo seguito, per gli effetti pittorici che consentiva, in età barocca Strumento dapprima accessorio e in seguito autonomo fu il pastello, usato nei secoli XV e XVI per rifinire con il colore ritratti schizzati a punta d’argento o a sanguigna. Nel Settecento però, particolarmente in ambito veneto, questa tecnica intermedia tra disegno e pittura fu largamente adottata senza l’ausilio di altri strumenti. Nel settore particolare della ritrattistica la rapidità di esecuzione, richiesta dal fatto che i ritocchi ne accentuano gli effetti lucidi, si traduceva per il disegnatore nella possibilità di fissare con pochi tratti le sfumature psicologiche di un volto. Di preferenza fu adoperata su fondi ruvidi, come apposite carte vetrate o tele a grana fine - esemplare di quest’uso la vasta produzione pittorica di Rosalba Carriera proprio per evitare l’effetto della lucentezza, al quale però si poteva ovviare sfumando i tratti con le dita sino a ottenere la fusione dei toni. STILE A PUNTA D'ARGENTO usato di frequente nel Trecento e nel Quattrocento per disegni su pergamena. Dà
un segno delicato e lucente con effetti sfumati. Lo stile a punta d’argento, già noto ai Romani, fu usato nel Trecento e ancora più largamente nel Quattrocento su pergamena o su carta preparata, Per il suo segno nitido e lucente , atto a definire, ebbe largo impiego, per lo più insieme alla penna, nell’ambito rinascimentale. STILE A PUNTA DI PIOMBO usato su carta non preparata; dà un segno nerastro che diventa marrone dopo qualche tempo per ossidazione. Lo stile a punta di piombo, meno raffinato dello stile di piombo, fu usato invece su carta non preparata, sulla quale lasciava un segno nerastro suscettibile di cancellature Il tracciato di entrambi “gli stili”, usati spesso insieme, a con tatto della luce è soggetto ad alterazioni: quello della punta d’argento tende a svanire, quello della punta di piombo a divenire marrone per ossidazione PENNA ricavata dalla canna e poi dalla penna d'oca. Segno nitido, facilmente modulabile, dall'Ottocento venne sostituita con la matita. La penna si usa con inchiostri di vario tipo: INCHIOSTRI L'uso di inchiostri ottenuti diluendo il nerofumo, cioè la polvere nera che si deposita per la combustione di certi materiali era già conosciuto in Cina e in Egitto circa 4500 anni fa. l cinesi impastavano il nerofumo con la gomma-lacca; ottenendo un inchiostro indelebile col quale scrivevano sulla carta (che avevano inventato per primi e di cui facevano grande uso) con un pennello o con una cannuccia appuntita di bambù La caratteristica di questi strumenti è che, variando la pressione della mano, varia Io spessore della linea tracciata. L'effetto si nota non solo nei disegni cinesi o giapponesi, ma nei segni della loro scrittura, ognuno dei quali è composto di linee che si ingrossano e si assottigliano come in un disegno "espressivo". L'inchiostro era solido, in tavolette, i cui pezzi venivano diluiti volta per volta al momento dell'uso in vaschette di porcellana inchiostro di noce di galla, di colore marrone altri inchiostri di vario colore bistro, fuliggine di legno di faggio in sospensione acquosa Un tipo di inchiostro che si usava in Europa fin dai tempi più antichi è il bistro. Ne esiste un tipo di origine minerale prodotto dalla ossidazione di varie sostanze, ma per il disegno si usava il bistro di origine organica: fuliggine di legno di faggio in sospensione acquosa, con diverse concentrazioni a seconda della tonalità che si vuole ottenere. Oggi l'uso del bistro è praticamente scomparso seppia, ricavato dalla sostanza contenuta in una ghiandola della seppia diluita in acqua Un altro tipo di inchiostro molto usato nel passato da grandi artisti per i disegni a penna e a pennello, ed oggi caduto in disuso (tranne che per ottenere particolari risultati) è la seppia. È una tintura ricavata dalla sostanza contenuta in una ghiandola della seppia (che se ne serve a scopo difensivo spruzzandola per intorbidire l'acqua attorno a se quando vuole sfuggire a un avversario). Questa sostanza, più o meno concentrata a seconda della gradazione che si vuole ottenere, viene diluita in acqua e addizionata con gomma arabica. Produce un nero non coprente e leggermente rossastro È stata usata moltissimo anche come tecnica mista per produrre ombreggiature sia nei disegni a matita che negli acquarelli. inchiostro di china L'inchiostro di china solido, in tavolette, è ancora in commercio, ma viene usato molto raramente. L'inchiostro di china nero liquido viene venduto in boccette. AI coperchio è attaccato un gambo cavo (generalmente di plastica) dalla punta
tagliata in diagonale. Serve a trasferire piccole quantità di inchiostro ad altri strumenti (come i tiralinee) senza inclinare la boccetta col rischio di rovesciare tutto. Può servire anche, moderatamente imbevuto di inchiostro, a tracciare linee piuttosto grosse, ed anche per intingervi il pennino senza inzupparlo troppo di liquido, rischiando di farlo gocciolare e di macchiare il lavoro. Solo nel 1890 i tedeschi riuscirono a realizzare un inchiostro liquido (il nerofumo resta in sospensione in olio di gomma e agglutinanti), che potè essere venduto in bottigliette e continuò a chiamarsi inchiostro di China, dal nome tedesco della Cina. È un inchiostro di colore nero molto brillante, che una volta asciutto non si può cancellare e non si altera alla luce neppure dopo esposizioni molto lunghe. l microscopici granuli di nerofumo che Io compongono sono dotati di una carica elettrica negativa e quando vengono sciolti nel liquido che contiene gommalacca, si respingono continuamente. Perciò l'inchiostro di china non fa depositi (nelle boccette e neppure nei serbatoi delle penne speciali), ed è sempre fluido Prima della invenzione dei pennarelli, e quando la tecnica della stampa eliografica non era ancora molto perfezionata, l'inchiostro di china nero era l'unico materiale usato per i disegni tecnici in cui è necessario tracciare anche linee molto sottili che, per essere riprodotte, si devono eseguire con un segno netto e intenso INCHIOSTRI COLORATI Fino al secolo scorso, gli inchiostri erano esclusivamente destinati ai letterati. L'inchiostro usato come un acquerello, come nella grafica e nella pittura attuali, era praticamente sconosciuto. Ancora verso la metà dell'Ottocento, riveste un carattere assolutamente eccezionale l'attività grafica di Victor Hugo, il quale mescolava carboncino, inchiostri, acquerelli, tempere e fondi di caffè. Non a caso si tratta di un letterato, che solo occasionalmente dipingeva. L'uso degli inchiostri richiede tuttavia una tecnica smaliziata, in quanto non ammette correzioni, e anche una scelta dei media guidata dall'esperienza, in quanto col tempo, e con l'esposizione alla luce, alcune tinte sono soggette a modificazione e scoloritura. Oggi esistono in commercio anche inchiostri di china colorati che non sono coprenti come la "china nera" (in sospensione nel liquido non c'è nerofumo, ma pigmenti di vario colore), ma anzi sono piuttosto trasparenti e brillanti. L'inchiostro di china colorato è contenuto in boccette simili a quelle che contengono l'inchiostro nero. In commercio si può trovare una gamma di colori abbastanza vasta, ma questi possono anche venire combinati fra di loro o diluiti con acqua per ottenere nuovi colori. Un inchiostro molto simile a quello di china colorato che oggi si trova in commercio a minor prezzo e che può essere usato anche con le normali penne stilografiche, è quello chiamato Ecoline, dai colori molto brillanti, pratico da usare ed economico Le confezioni delle Ecoline sono più grandi di quelle degli inchiostri. Con Io stesso prezzo si può avere una maggiore quantità di colore. Sono quindi indicate per tutti i lavori in cui se ne deve usare una grande quantità. È molto importante lavare bene il pennello quando si cambia colore. Infatti se intingete in una boccetta un pennello intriso di un altro colore, la rovinate in modo definitivo. È molto importante perciò avere sempre un recipiente qualsiasi pieno d'acqua pulita
PENNE I primi inchiostri derivanti da fuliggine e leganti gommosi, furono fabbricati anticamente in Cina, oggi i disegnatori prediligono l'inchiostro di china, una soluzione gommosa, composta da nero fumo e gomma lacca, è eccellente per disegni geometrici, ma è usato anche dai disegnatori di fumetti. Le penne sono state usate per disegnare fin dal medioevo, con l'inchiostro si ottiene una linea più decisa. Venivano usate le penne d'oca e le cannucce di bambù da immergere nel calamaio con l'inchiostro, mentre adesso è possibile avere penne a china con serbatoi o usare le stilografiche.Variante moderna sono i pennarelli, con il pennino
di naylon o di martora, ve ne sono di tutti i tratti dal fine come un pennino, alla punta larga come i grandi pennarelli indelebili. Si riescono a creare effetti assai precisi e puliti, a tale scopo vengono usati nei lavori grafici e rifiniture di progetti. L'utilizzo di penne o pennini per realizzare disegni con vari tipi di inchiostri è una delle tecniche "tradizionali" del disegno. Ai giorni nostri possono rientrare in quest'ambito altri "mezzi" (per esempio i rapidograph) forse più congeniali alle nuove discipline del disegno, prevalentemente a carattere tecnico-pratico, ma in realtà il principio tecnico della penna non è cambiato molto. La consuetudine, che non è una regola fissa, di far precedere l'intervento a penna e inchiostro da leggeri cenni a matita, utili a ripartire nel foglio la composizione, non va fraintesa: la tecnica del disegnare a penna non consente pentimenti e correzioni; semmai, all'opposto, richiede la massima concentrazione del disegnatore, il quale deve mettere in gioco la propria attitudine alle decisioni immediate, unitamente alle proprie capacità inventive, per conseguire risultati assolutamente individuali. Gli strumenti, usati per applicare l'inchiostro sulle superfici (in genere carta o cartoncino) sono: pennelli a punta sottile, adatti sia a tracciare linee di spessore variabile che a coprire superfici più vaste, la loro flessibilità permette una grande varietà di segni; penne ricavate da canne sottili, tagliando in diagonale una delle estremità Meno flessibili dei pennelli, tracciano linee più rigide. È il "calamo" che usavano gli antichi romani, nome che in latino significa "gambo o stelo" Calamaio era il recipiente di inchiostro in cui si intingeva il calamo;penna di volatile. in origine penna d'oca, che restò la più usata fino al secolo scorso. Ma poteva essere anche di tacchino, corvo o cigno Anche il gambo della penna è tagliato diagonalmente, ma a differenza della canna ha una punta molto elastica e flessibile. Ciò permette di variare la pressione come col pennello per graduare Io spessore e la morbidezza dei segni. Fu usata per schizzi rapidi fino alla diffusione della matita, che avvenne nel secolo scorso Lo sviluppo della tecnologia permise di sostituire alla penna d'oca (che aveva il difetto di essere fragile e di dover essere appuntita di frequente, e comunque di durare poco) i pennini di acciaio. Questi sono prodotti in serie, mediante una operazione di stampaggio a pressione su metallo in foglio Poiché il metallo, per quanto in strati sottili, è un materiale piuttosto rigido, si è conferita ai pennini una elasticità vicina a quella di pennelli e penne d'oca, mediante un taglio verticale che permette un buon scorrimento dell'inchiostro e, a seconda della pressione della mano, allarga o restringe la punta, producendo linee di spessore variabile. l pennini in metallo vennero usati largamente sia per disegni (gli incroci e la sovrapposizione di linee sottilissime permettevano effetti di chiaroscuro molto efficaci) sia per quella che veniva chiamata la "calligrafia". l pennini si inseriscono in cima a una cannuccia di vario materiale che può essere impugnata con facilità e permette di intingere il pennino nell'inchiostro senza sporcarsi le mani Per evitare l'inconveniente di portarsi dietro il calamaio fu inventata la penna stilografica, che contiene una riserva di inchiostro in un piccolo serbatoio Poiché in genere si porta addosso (in tasca, in borsa) ha bisogno della protezione di un cappuccio. Esistono penne stilografiche per inchiostro normale, adatte per la scrittura più che per il disegno. Alcune hanno il pennino d'oro: non si tratta solo di un lusso, ma del fatto che l'oro è un metallo più tenero e dà maggior morbidezza al pennino. Anche per l'inchiostro di china esistono penne col serbatoio che hanno pennini rigidi, cilindrici, di vario diametro. Di solito sono intercambiabili e ne esiste in commercio una gamma molto vasta Poiché sono rigidi, non permettono variazioni di spessore nei segni, che però sono molto netti e precisi e si prestano in particolare per disegni tecnici. Un altro strumento usato per disegni tecnici, soprattutto prima della diffusione delle penne a serbatoio per la china, è il tiralinee. Si tratta di due punte d'acciaio con distanza regolabile, fra cui si inserisce l'inchiostro di china.
Inchiostro e inchiostro di china sono poco pratici per una scrittura veloce perché non asciugano immediatamente, e quindi con facilità producono macchie (un tempo per asciugare l'inchiostro si usava cospargere il foglio di sabbia o di cenere, più tardi si diffuse l'uso della carta assorbente in fogli o in tamponi). Per ovviare a questo inconveniente verso la metà del IX secolo fu inventata la penna a sfera, che consiste in un lungo serbatoio a cannuccia contenente uno speciale inchiostro gelatinoso (simile a quello della stampa tipografica) che scorre con continuità, non si secca nel serbatoio, ma una volta applicato sulla superficie si asciuga immediatamente. La punta, formata da una minuscola sfera di metallo, traccia segni uniformi. È quindi più adatta per la scrittura che per il disegno. PENNELLO in origine di pelo di scoiattolo, poi anche di puzzola, di cane, ecc
GRAFITE INGLESE O MINA DI PIOMBO il grado di cottura e la percentuale delle componenti permettono di variarne la durezza. MATITA NERA Lo strumento più semplice che oggi si può usare per tracciare segni è la matita con mina di grafite (un minerale grasso a base di carbonio) brevettata, nella forma in cui la conosciamo oggi, alla fine del 1700 dal francese Contè. La matita nera è costituita da un cannello di legno racchiudente un sottile cilindro di grafite che traccia segni di colore nero più o meno sottili che hanno la caratteristica di poter essere cancellati Le mine sono bastoncini sottilissimi di grafite. Sono molto fragili e difficili da impugnare, perciò vengono protette o con un rivestimento di legno (la matita "classica"- il legno di solito è il cedro, tenero e facile da temperare) oppure si inseriscono in un porta-mine. Un tempo l'uso della matita era molto diffuso proprio per la possibilità di cancellarne i segni, quando non riuscivano bene. Questo consentiva di ripetere più volte il tentativo sullo stesso foglio e di risparmiare un materiale costoso come la carta. La possibilità di "correggersi" senza che restasse traccia dell'errore inoltre dava coraggio ai disegnatori principianti, e anche ai bambini che tracciavano le prime lettere dell'alfabeto. Inoltre la matita era uno dei mezzi più economici per tracciare segni. La matita invece, anche se apparentemente semplice, offre una gamma di possibilità d'uso molto più vasta, a seconda di come si tempera la punta, di come si inclina sul foglio, del tipo di superficie scelta, della pressione esercitata. Variando infatti la pressione della stessa punta sul foglio si ottengono segni leggeri, pesanti, fini, grossi, uniformi, tremuli, ecc. Esistono anche matite colorate (pastelli) a base non di grafite ma di pigmenti colorati, i quali anticamente venivano impastati con creta Oggi si usano altre sostanze, moderatamente grasse Le mine delle matite nere (chiamate anche "grafite inglese" o mina di piombo) sono formate da un conglomerato di polvere di grafite e argilla La loro durezza varia a secondo del grado di cottura e della percentuale dei componenti Di conseguenza si possono produrre mine tenere (contrassegnate dalla lettera B, dall'inglese Black) e mine dure (chiamate H, dall'inglese Hard, duro) Sia le H che le B sono poi contrassegnate da un numero: 1, 2, 3 ecc. che ne indicano la gradazione. Ogni punta traccia un segno diverso, ma la stessa punta, usata con maggiore o minore pressione, con diverso tratto ecc., può da sola produrre segni molto differenti E' possibile ottenere un'intensità di segno variabile a seconda del grado di durezza della grafite. La gamma si suddivide in: mine molto morbide per ombreggiature intense (da 8B a 5B), mine morbide per schizzi e disegni artistici e architettonici
(da 4B a 2B), mine morbide per disegno e scrittura (da B a F), mine dure e molto dure per disegno (da H a 5H), mine extradure molto resistenti e adatte per litografie e xilografie (da 6H a 9H). Esiste poi la matita Contè, ottenuta con polvere di carboncino pressato, che permette di produrre dei bellissimi neri assoluti, al contrario dei disegni a grafite che risultano argentei e un po' lucidi. La parte centrale della matita di legno è chiamata mina, ed è composta da un insieme di argilla e graffite, sono indicate per convezione con la B, quelle morbide, le H con la mina dura. Possono essere di legno a pasta colorata, i pastelli, o stiletti di cera colorata, i pastelli a cera. Sono la prima cosa che vi capita fra le mani da bambini a scuola, e lasciano molta libertà d'azione, sia per la leggerezza del materiale, molto maneggevole a confronto del pennello, che per la facilità nel distribuire il colore. Per la grande varietà dei colori già esistenti,ci attraggono dalle vetrine dei negozi, ce ne sono di scatole che arrivano a cento. Ma basterà averne nei colori fondamentali, una scatola da 12 o meglio 24 andrà benissimo. CARBONCINO si ottiene dalla lenta combustione di bastoncini di legno Materia fragile costituita essenzialmente da fusaggine, il carboncino consente di ottenere una straordinaria varietà di gamme nere e grigie, morbide e sgranate. Utilizzato praticamente fin dalla preistoria, esiste sotto forma di matite, gessi o bastoncini. Il carboncino si può trovare in commercio in due diverse forme: a cannello di varia lunghezza e diametro o a matita. In passato gli artisti per schizzare usavano un carboncino molto morbido, detto "fusaggine" che lasciava molta traccia sulla carta e poteva poi essere rimosso facilmente. Dopo il fissaggio terminavano con il carboncino di nocciolo, molto duro, per rifinire con cura i dettagli. Il più antico mezzo per disegnare usato anche nelle caverne all'età della pietra è il legno ridotto a brace In commercio attualmente, se ne trovano di tre tipologie. Carboncino o fusaggine: sono rametti bruciati e tramutati n carbone,quindi di tonalità nera molto morbidi al tratto, sono venduti di varie misure e singolarmente. Carboncino pressato: sono stiletti pressati e squadrati, dalla punta larga,difficili da usare per le linee,ma utili per riempire vaste zone con toni decisi. Matita a carboncino : matita con mina di carbone di varie misure. Il carboncino va usato su carta leggermente ruvida e alla fine del disegno, si consiglia di spruzzare un fissante, o addirittura una lacca per capelli, infatti tende a polverizzare e macchiare il resto dl disegno, quindi attenzione anche a non appoggiare la mano sul foglio, dove avete disegnato, inoltre è assai difficile da scancellare. Il più antico mezzo per disegnare usato anche nelle caverne all'età della pietra è il legno ridotto a brace In commercio attualmente, se ne trovano di tre tipologie. Carboncino o fusaggine: sono rametti bruciati e tramutati n carbone,quindi di tonalità nera molto morbidi al tratto, sono venduti di varie misure e singolarmente. Carboncino pressato: sono stiletti pressati e squadrati, dalla punta larga,difficili da usare per le linee,ma utili per riempire vaste zone con toni decisi. Matita a carboncino : matita con mina di carbone di varie misure. Il carboncino va usato su carta leggermente ruvida e alla fine del disegno, si consiglia di spruzzare un fissante, o addirittura una lacca per capelli, infatti tende a polverizzare e macchiare il resto dl disegno, quindi attenzione anche a non appoggiare la mano sul foglio, dove avete disegnato, inoltre è assai difficile da scancellare. IL CARBONCINO QUADRATO Si presenta sotto forma di bastoncino a sezione quadrata. Il pigmento che lo compone è un nero di carbonio ricavato dalla calcinazione di ossa più carbon black macinato e mescolato a un legante come l'argilla o la gomma arabica. Il tono di nero di questo carboncino è tendente al marrone mentre il carboncino vegetale (salice, pioppo o nocciolo) tende all'azzurro. Questi due tipi di carboncino si usano
esattamente nello stesso modo, l'unica differenza è che il segno tracciato con il carboncino vegetale, essendo più "polveroso", può essere rimosso con un semplice strofinaccio piuttosto che con una gomma
LA MATITA CARBONCINO Questo tipo di carboncino è particolarmente adatto per la realizzazione di disegni che poi verranno dipinti a pastelli, a olio, a tempera o ad acquarello. Il suo utilizzo necessita una punta sempre ben appuntita: temperando spesso lo strumentosi otterrà sempre una uniformità di linea. Con la matita carboncino si ha la possibilità di entrare meglio nel dettaglio, quindi impiegatela per rifinire i disegni eseguiti con il carboncino classico.
SANGUIGNA matita rossa, argilla ferruginosa Il termine "sanguigna" deriva da "sangue", poiché questa "materia" da disegno richiama il colore del sangue: un rosso non squillante ma pieno, nelle matite e negli "stick", dalla persistenza durevole e dalla completa affidabilità evocativa. La sanguigna è una "materia-colore" che, talvolta miscelata a tonalità ocra appena accennate, consente di evidenziare nelle sue stesure una fresca luminosità, ricca di calda fisicità nella fusione tra figura e ambiente, in un contesto disegnativo di intensa, pulsante vitalità. Ricavata dall'ematite (una varietà dell'ossido di ferro), essa ha assunto un ruolo specifico -come strumento e come tecnica- nell'ambito del disegno agli albori del Rinascimento, anche se già in precedenza ne erano note le possibilità di impiego. Oggi si avverte un restringimento del campo di impiego della sanguigna, ma ciò non toglie, tuttavia, che nell'ambito del disegno, tale "materia-colore" dotata di grande fascino, sia in grado di creare vibranti suggestioni. Questo materiale, come il carboncino, si trova in commercio sotto forma di tronchetti o di matite ed è ottenibile mescolando ossido di ferro in pigmento con gomma arabica o con gomma adragante. La bellezza dei disegni che si possono realizzare con la sanguigna è unica ed il pittore che disegna col carboncino non può ignorare questa particolare tecnica. La matita sanguigna e il quadrello sanguigna presentano le stesse caratteristiche di quelli carboncino, quindi si usano nello stesso modo. Questi prodotti, se il pigmento è mescolato ad un legante secco, lasciano sulla carta una traccia volatile e facilmente sfumabile; se invece è mescolato a legante grasso, come per esempio la cera, sono meno lavorabili. MATITE COLORATE Una confezione di matite colorate è a tutti gli effetti una tavolozza. E' chiaramente limitata, in quanto le matite non consentono di fondere il colore come le altre tecniche pittoriche. Anche quando i colori si mescolano, attraverso fitti tratteggi, essi hanno la proprietà di conservare in larga misura la loro indipendenza. Le matite colorate dialogano preferibilmente con il foglio bianco, che viene assunto come "colore-luce". PASTELLI Il Settecento fu il secolo d'oro del pastello, soprattutto in Francia, dove questa tecnica, "fragile come le ali di una farfalla", applicata alla ritrattistica ebbe un grande successo sociale: re, cortigiani, aristocratici, ricchi borghesi, intellettuali "illuminati" cercarono sovente la propria immortalità in un ritratto a pastello. Adoperati senza l'ausilio di pennelli, quasi sempre stesi con le dita, i pastelli trovano nelle sensibili mani degli artisti la possibilità di "catturare" l'anima. Non a caso, furono usati prevalentemente nella ritrattistica. Il successo del pastello declinò quasi all'improvviso alla fine del XVIII secolo. Anche oggi i pastelli (secco, a olio, a cera) sono tecniche "alternative", sussidiarie ad altre considerate magari più fondanti. Il pastello si ottiene impastando il pigmento in polvere con acqua resa agglutinante da sostanze varie a seconda del colore e della durezza voluti (di solito decotto di
orzo o lino, gomma arabica, sapone di Marsiglia). La pasta viene modellata in forma di cilindretti e lasciata essicare. I pastelli possono essere morbidi, semiduri e duri, questi ultimi sono di solito trattati con cera. Le gradazioni di tinta si ottengono aggiungendo argilla bianca; per i rossi si usa il bolo armeno, per le tinte scure l'ematite nera. Il pastello può essere utilizzato su qualsiasi superficie che sia abbastanza ruvida per trattenere una parte del colore applicato con leggera pressione. Lo sfumato effettuato con le dita facilità la fusione dei toni e permette di creare delicate gradazioni cromatiche. Il pastello, già usato nel XV e XVI secolo, serviva a rifinire col colore i ritratti schizzati con altre tecniche (punta d'argento, sanguigna). Nel Settecento questa tecnica raggiunse la massima diffusione e venne preferita specialmente per l'esecuzione di ritratti. Nell'Ottocento e nel Novecento è stato adoperato sporadicamente e solo quando questa tecnica si presentava come la più adatta a rappresentare un certo soggetto. Il pastello, il cui significato originario rimanda ad un materiale morbido al quale si può dare una forma particolare, è un tipo di pittura che non si avvale di nessun connettivo per fare aderire il disegno allo strato pittorico. Si tratta quindi di una varietà del disegno a matita, che si ottiene impastando polveri colorate con acqua resa agglutinante da leggere soluzioni di gomma arabica, di sapone di Marsiglia, di decotto di orzo o di lino: una volta ottenuto, l’impasto viene modellato e ridotto in bastoncini colorati, che vengono lasciati essiccare. I pastelli possono presentarsi in tre diverse gradazioni di impasto, morbido, semiduro e duro, determinate dalla maggiore o minore presenza nell’impasto di grassi o componenti cerose. La maggiore o minore intensità di colore è invece determinata dalla quantità di pigmento diluito nelle sostanze agglutinanti di cui si è fatto uso: per ottenere tinte chiare si aggiunge al colore base argilla bianca, graffite o polvere nera per le tinte scure e bolo armeno per quelle rosse. La tecnica del pastello era molto diffusa già dal secolo XV, ed era usata soprattutto per l’esecuzione dei ritratti GESSO in origine bianco poi utilizzato anche colorato Gli apparecchi ottici funzionali al disegno Camera chiara. È uno strumento ottico basato sul prisma, utile per coloro che conoscono il disegno; ma per adoperarlo con profitto, richiede però una pratica abbastanza lunga; soprattutto per disegnare dal vero motivi in cui le accidentalità di terreno, e altri inconvenienti, rendono l'uso della camera chiara ancora più difficile. Camera nera o camera oscura La camera nera ha il difetto d'essere ingombrante per essere utilizzata nel paesaggio. E, più che altro, potrebbe servire da svago ai dilettanti e a coloro che non sanno disegnare, desiderosi di copiare, a casa, una veduta di giardino, ciò che si vede da una terrazza, ecc.; riproducendo la camera oscura un'immagine nitida e ferma, in modo che anche un bambino riuscirebbe a contornarla facilmente. Camera lucida universale. Fra i diversi apparecchi da disegno: camera chiara o lucida, camera oscura, ecc., la camera lucida universale ha il vantaggio di servire per tutti i generi di disegni; e si presta tanto per copiare dal vero, come per ingrandire e rimpicciolire qualunque soggetto. Dikatopro. Un altro strumento da disegno, basato sulla rifrazione di due specchi, servibile agli stessi usi del precedente e meno costoso, è il dikatopro.
TECNICHE DI STAMPA TECNICHE DI INCISIONE La tecnica della stampa (pertinente alla figurazione artistica) comprende tre procedimenti fondamentali: la stampa in rilievo, cioè tratta da una matrice incisa in rilievo, per lo più di legno (da cui il termine xilografia); la stampa in cavo, da una matrice di metallo incisa in cavo (in genere il metallo usato è il rame, da cui il termine, peraltro di significato diverso, calcografia); la stampa in piano, da una matrice di pietra (litografia). In tutti i casi l'immagine è ottenuta premendo a mano o a macchina un foglio di carta contro la matrice inchiostrata. Le stampe ricavate da matrici di legno (xilografie o silografie) e quelle ricavate da matrici di rame (bulini, acqueforti, ecc.), oppure con l'acido. Invece le impressioni ricavate da matrici di pietra (litografie), pur essendo "stampe" in quanto passano sotto la pressa, non sono incisioni, perché la matrice viene preparata disegnandovi sopra l'immagine con la matita, con la penna o con il pennello. Il più antico procedimento di stampa è la xilografia, che si sviluppa agli inizi del Quattrocento nei Paesi Bassi, in Germania e in Francia, forse dalle tecniche della decorazione dei tessuti, ed esaurisce le proprie possibilità espressive entro la metà del secolo successivo. Legata agli inizi al libro illustrato, versione economica dei manoscritti miniati, e alla divulgazione a livello popolare di motivi e di forme delle arti "maggiori" attraverso le immagini di devozione, la xilografia conosce una breve stagione di alto livello artistico con Dürer e gli altri maestri tedeschi del primo Cinquecento, e in Italia nella variante del "chiaroscuro" fino a metà del secolo. Poi viene praticamente abbandonata per più di tre secoli, e recuperata soltanto alla fine dell'Ottocento in clima postimpressionista. L'incisione su rame, invece, la cui diffusione in Germania e in Italia è di qualche decennio posteriore a quella della xilografia (1430-50 ca.) non soltanto raggiunge subito esiti altissimi, ma presenta uno sviluppo pressoché ininterrotto fino ad oggi. Essa rappresenta la forma più importante di stampa dalla metà del Quattrocento fino al secondo decennio dell'Ottocento, cioè fino alla diffusione del procedimento litografico, e conosce una massiccia ripresa a partire dalla metà dell'Ottocento. Xilografia, incisione su rame e litografia hanno in comune il carattere industriale del procedimento tecnico. Infatti: 1) il momento creativo non prolunga al di là della preparazione della matrice e precede interamente le operazioni di stampa; 2) il procedimento esecutivo permette di produrre serie cospicue di esemplari di buona qualità e tutti uguali tra loro; 3) il tipo di materiale usato, cioè la carta, maneggevole ed economico, contribuisce ad abbassare sensibilmente i costi di produzione. Il prevalere dell'incisione su rame è spiegato dai limiti nelle possibilità formali, espressive, proprie dei materiali e dei procedimenti tecnici usati in xilografia. L'incisione su legno presenta alcune caratteristiche tecniche (limite nella sottigliezza dei tratti, spessore uniforme dell'inchiostro, premuto dalla matrice sulla carta) che ne limitano le possibilità espressive alla rappresentazione di effetti bidimensionali Viceversa l'incisione su rame presenta possibilità espressive che le conferiscono una completa autonomia formale rispetto alle altre tecniche artistiche e la affrancano da compiti di pura divulgazione. Agli inizi dell'Ottocento la litografia, tecnicamente più semplice, formalmente più libera e in grado di fornire un numero pressoché illimitato di copie, viene acquisita ai nuovi compiti di propaganda politica svolti dai giornali e soppianta l'incisione su rame come mezzo artistico in grado di rispondere alle nuove esigenze della domanda. Tuttavia l'incisione su rame torna ad acquistare una certa importanza nel secondo Ottocento e agli inizi del nostro secolo come prodotto artistico più o meno sullo stesso piano dei dipinti, delle sculture e dei disegni. Incisione 2 Un cenno a parte, dato il loro carattere di trait d’union tra procedimenti manuali e industriali, va fatto per le matrici delle stampe. Su di esse l’immagine viene incisa
con sgorbie per la xilografia e la linografia, con il bulino o la puntasecca per l’incisione su rame. Per l’acquaforte e i suoi derivati, invece, i contorni dell’immagine sono tracciati con una punta sottilissima che non incide il metallo, ma soltanto il leggero strato di protezione che copre la lastra, e il solco è prodotto dall’azione chimica dell’acido. Diverso è il caso della litografia, per la quale il disegno è tracciato sulla matrice di pietra con matite, gessetti o penne particolari. Essa è perciò, di fatto, il tipo di stampa più vicino al disegno, tant’è vero che il processo operativo è in tutto e per tutto analogo a quello di un disegno su carta. Ma anche nel caso delle incisioni, per le quali l’artista si vale di strumenti più propri dello scultore che del pittore, i risultati espressivi sono prevedibili in base al tempo di “morsura”, dell’acido o alla qualità del segno dei vari strumenti : leggermente rilevato ai lati quello della puntasecca, nitidamente geometrico quello del bulino, largo quello della sgorbia; nonché alla qualità della lastra. Sicché la matrice, che oggettiva la fase di trapasso tra il processo ideativo e quello esecutivo, acquista un valore esemplare nella chiarificazione della loro indissolubile unità, mediata, volta per volta, dall’uno o dall’altro mezzo tecnico, a dimostrare che nelle scelte tecniche si rivelano puntuali scelte tipologiche e precise istanze formali. ACQUAFORTE Le tecniche calcografiche, permettono di ottenere più copie di stampa da una stessa matrice: una lastra generalmente di rame o di zinco, su cui viene spalmata, nel caso dell'acquaforte, una vernice grassa. Una volta asciugata, si esegue il disegno con punte più o meno sottili, con le quali si intacca la vernice. A disegno ultimato, si immerge la lastra in un bagno di acido nitrico ("acquaforte" è il nome antico di tale acido da cui questa tecnica ha preso il nome) che "morde", ossia, corrode, il metallo soltanto nelle zone in cui la vernice è stata tolta dalla punta, mentre il resto della lastra rimane intatto. Si provvede quindi a rimuovere la vernice rimasta sulla lastra e ad inchiostrare quest'ultima. Pulendo la lastra, si sarà rimosso l'inchiostro superficiale, ma non quello depositato negli incavi ottenuti dalla morsura dell'acido, che sarà trasferito (sotto la pressione di un torchio) sulla carta. Fin dall’invenzione della carta ogni disegnatore, ogni artista è stato sempre affascinato dalI’idea di poter eseguire il proprio lavoro non più come opera unica, bensi, riportando il disegno su di un materiale che ne permettesse la riproduzione, in un numero, più o meno grande, di copie. L’acquaforte, fra tutti i mezzi a disposizione dell’artista. è la tecnica che si avvicina maggiormente al disegno. Infatti essa richiede un minor numero di premesse, che si possono definire manuali, di quelle necessarie, all’incisione in rame o in acciaio. Tuttavia. come si è accennato nel precedente capitolo, che riguarda più propriamente la tecnica della litografia, nemmeno l’acquaforte può riprodurre il disegno dell’artista con la medesima, vivida immediatezza della lastra di pietra usata dal litografo. L’artista, che intenda procedere alla preparazione della lastra di rame per eseguire un’acquaforte, ricopre la lastra stessa con un leggero strato di cera, oppure si servirà del cosiddetto « fondo da incisione », che è, in pratica, una lacca di asfalto. Una volta preparato il fondo, accuratamente, con la cera, si disegna su di esso, direttamente con un bulino, badando bene, tuttavia, a non premere eccessivamente in quanto è sufficiente mettere a nudo il metallo, asportando la cera là dove in seguito dovrà penetrare l’acido. l contorni, allora, si staglieranno sul fondo della lastra preparata per l’incisione con il tono, lucido, del metallo scoperto. A questo punto è necessario contornare tutta la lastra con un alto bordo di cera in modo da ottenere una specie di piatto recipiente entro il quale viene versato, con delicatezza, acido nitrico. Quest’acido, naturalmente, andrà ad intaccare il metallo direttamente lungo i contorni incisi, che l’artista ha graffiato nella cera; l’azione di esso sarà più o meno violenta a seconda della durata della sua azione. Infatti esso agisce tanto in profondità quanto in estensione Tutte le linee che sono state incise nella cera, e che hanno scoperto il metallo - sul quale ha potuto agire l’acido diventano più pesanti rispetto alla leggerezza del tratto originario, eseguito dall’artista Dopo che l’azione dell’acido si è svolta entro un determinato tempo, si procede a togliere l’acido stesso, ad un accurato lavaggio, e a distaccare il fondo di cera o di lacca, mediante il riscaldamento della lastra. Questa, ora, incisa, verrà
“ripassata" con un tampone di pelle o panno, abbondantemente imbevuto di inchiostro da stampa: avverrà così che le parti della lastra non intaccate dall’acido, e pertanto sporgenti rispetto al disegno, saranno lucidate dal tampone, mentre l’inchiostro rimarrà soltanto nella sede scavata dall’acido nella lastra. E’ il momento di porre, finalmente, la lastra stessa in una pressa dotata di rulli di ferro; in mezzo a questi rulli la piastra viene pressata insieme con il cartone da rotocalco, sovrapposto in precedenza e con un panno di feltro. Durante questa fase la carta assorbe l’inchiostro rimasto nelle incisioni: a questo punto si potrà vedere l’immagine speculare del disegno inciso dall’artista. Tuttavia l’intera superficie della cartaha assorbito una sia pur lieve traccia d’inchiostro tipografico (che, difficilmente si elimina compIetamente dalla superficie di metallo non incisa) quando vi è passato sopra il tampone, che ha depositato l’inchiostro di cui era imbevuto nelle incisioni operate dall’acido lungo ed entro i contorni tracciati con il bulino. Questa è la prima prova, la prima copia dalla quale l’acquafortista giudica se il disegno si presenti composto con omogeneità di tratti, e debba restare così come glielo ha restituito la pressa, oppure egli debba intervenire sulla lastra per incidere più fortemente certi tratti ed appesantire così il disegno. Perché l’acquafortista possa intervenire di nuovo sulla lastra è necessario ripetere il procedimento. ricoprire con la cera il fondo e tutti quei punti su cui non deve intervenire, versare un’altra volta l’acido, e cosi via- Naturalmente può aggiungere nuovi tratti. L’intero procedimento può essere ripetuto più volte. La tecnica con cui si procede costituisce, come per la litografia i toni del colore « stampato », la caratteristica di un’acquaforte- Mediante il procedimento descritto è facile comprendere che ogni singolo tratto non potrà mai avere la nitidezza di quelli, per esempio, tirati a penna su una carta fortemente collata. L’azione dell’acido sulla lastra fa sì che si producano nel metallo nervature, ramificazioni lungo il contorno del disegno, analoghe a quelle che si potrebbero ottenere tracciando delle linee, o un disegno, su un foglio di carta assorbente insomma, il segno dell’acquaforte manca di nitidezza (naturalmente in linea del tutto generale, perché vi sono degli artisti che eseguono acqueforti sorprendenti per fermezza di tratto e decisione di segno operante sulla lastra) e ciò ne costituisce, appunto, una caratteristica, con tutte le eccezioni. L’altra caratteristica fondamentale è data, da quella velatura di colore che offusca l’intera superficie del foglio, e di cui già è stato fatto cenno quando si è detto che non è possibile ripulire perfettamente tutta la lastra, allorché vi si passa il tampone imbevuto di inchiostro. Anche questa è una caratteristica più o meno presente in tutte le acqueforti. L’elemento che non manca mai in una acquaforte è l’impressione della lastra sulla carta da stampa, che, per essere stata inumidita prima di passare sotto la pressa, è divenuta assai morbida, per cui risulta chiaramente visibile quella particolare “sede" che vi lascia la lastra, "sede" che accoglie e contiene l’immagine come un alveo Allorché si « tirano » molte copie ci si accorge, di mano in mano che la superficie di metallo si va gradualmente consumando, che, contemporaneamente, i tratti del disegno si vanno facendo, progressivamente, più deboli, ragione per cui l’amatore preferisce le copie che sono state tirate per prime. E’ interessante, a questo punto, aprire una breve digressione su una tecnica strettamente connessa con quella dell’acquaforte, ma che, tuttavia, se ne discosta: è la tecnica chiamata del « bulino freddo ».Si fa ritorno, per un momento, alle copie che sono reputate le migliori dagli esperti: le prime gli artisti, una volta, usavano incidere, con leggerezza, direttamente, sulla lastra già finita un piccolo disegno, una specie di marchio. Adoperavano, per fare ciò, un sottile bulino, una specie di ago, la cui traccia non veniva sottoposta al trattamento dell’acido, e pertanto non si imprimeva, profondamente, nel metallo Tale disegno, dopo un certo numero (basso) di copie scompariva del tutto a causa del logorio della lastra: cosicché le prime copie, che Io riproducevano, erano visibilmente riconoscibili Analogamente si usava lasciare una banda inferiore nella lastra libera da disegno, su cui venivano incisi motti o versi o parole, che attenuandosi durante il procedimento di stampa denunciavano, visibilmente, il numero di tiratura. Sfruttando il principio di questi disegni emblematici, è possibile incidere, a bulino freddo intere lastre. Sono autonome le tecniche dell’acquatinta e della mezzatinta, due procedimenti con cui è possibile raggiungere toni di colore delicatissimi e sfumati, decisamente romantici e di effetto. Si completa questa
breve panoramica sull’acquaforte, accennando all’acquaforte colorata, tecnica che si avvale anche dell’ausilio dell’acquatinta. Il procedimento dell’acquaforte a colori si attua partendo da una copia di acquaforte non ancora portata al livello di compimento. Essa viene riportata su altre lastre, precedentemente preparate, mediante le quali i colori le vengono ceduti sotto forma di larghe superfici, una lastra per ogni colore, una dopo l’altra. E’ la lastra nera, terminata, perfezionata, che, alla fine, imbriglia nel puro gioco delle sue linee il colore, rendendogli vita e significato. ACQUATINTA L'acquatinta si distingue per i suoi effetti di "grana" ossia di una minutissima puntinatura della superficie che consente di ottenere effetti di dispersione d'inchiostro non lineare ma alla maniera di un lavis. Vi sono vari metodi per ottenere la grana; uno di questi è cospargere uniformemente la lastra con polvere di bitume e riscaldarla su un fornellino per farla cristallizzare. A questo punto si procede col disegnare il soggetto e a mascherare con la vernice le parti che man mano che si procede con le morsure si vogliono lasciare più chiare. I procedimenti di rimozione della vernice, inchiostrazione, pulizia e stampa, sono analoghi a quelli dell'acquaforte. CERA MOLLE Il segno della cera molle è morbido e sgranato, molto simile a quello di matita. La lastra, viene incerata a rullo con una particolare cera che viene fatta sciogliere a bagnomaria; si aggiunge quindi il sego e la polvere di bitume. Terminata l'inceratura e lasciata raffreddare la lastra, si copre la stessa con un foglio di carta velina, facendo in modo che la parte ruvida di questa carta sia a contatto con la cera. A questo punto, utilizzando una matita di media durezza, si disegna sulla parte lucida della carta velina. Terminato il disegno, con molta delicatezza, si stacca la carta velina dalla lastra; così facendo si asportano quelle piccole parti di cera che la pressione della matita aveva fatto aderire alla carta durante la fase del disegno. Seguono quindi i soliti procedimenti delle altre tecniche calcografiche, con l'accortezza di usare acidi deboli nella morsura, data la delicatezza dello strato protettivo. MANIERA NERA Questa tecnica, chiamata anche mezzatinta o incisione a fumo, consiste, contrariamente a quanto avviene nei procedimenti abituali, nell'annerire prima tutta la superficie, liberando poi le mezzetinte e i bianchi. Per prima cosa dunque, si effettua la granitura per mezzo di un apposito strumento chiamato berceau in francese o rocker in inglese. Si tratta di una specie di piccola mezzaluna d'acciaio, con il taglio munito di minutissimi denti, inserita in un manico di legno a forma di pera. Questa bisogna farla dondolare sulla curva della lama, ripetendo sempre lo stesso movimento. La granitura della lastra si effettua incrociando regolarmente le linee secondo assi perpendicolari e obliqui. Terminata la granitura, se ne raschiano, lucidano o rifilano talune parti per impedire che l'inchiostro vi si trattenga al momento dell'inchiostrazione. Si creano così le mezzetinte con l'ausilio di raschiatoi e brunitoi dopo avere, in genere, preventivamente unto d'olio la lastra. PUNTASECCA In questo caso, il nome della tecnica si confonde con quello dell'utensile. Per la puntasecca, non si tratta tanto di incidere in profondità quanto di graffiare, rigare o raspare sollevando sottili sbavature, le cosiddette "barbe", che, al contrario di quanto avviene nella tecnica classica, a bulino, vanno conservate: esse infatti al momento dell'inchiostrazione tratterranno l'inchiostro e conferiranno al tratto quel suo aspetto vellutato caratteristico dell'incisione a puntasecca. L'utensile è generalmente sottile e molto tagliente; ha l'aspetto di una matita e lo si usa anche come una matita; la punta può essere affusolata ad ago o sfaccettata ed è di spessore variabile.
LITOGRAFIA E' un metodo di stampa piana, la cui invenzione è posteriore a quella dell'incisione. La pietra utilizzata è un calcare molto compatto e di grana grassa, chiamata appunto "litografica", che protegge la pietra quando la si tratta con una soluzione di gomma arabica e acido nitrico molto diluito: le zone rimaste libere e quindi raggiunte dall'acido sono rese repellenti ai grassi e ricettive all'acqua. La pietra viene quindi bagnata ed inchiostrata a rullo: l'inchiostro si fissa sulla superficie esatta del disegno, trattenuto dalla matita grassa, mentre le zone bagnate rifiutano l'inchiostrazione. Ci vuole una pietra diversa per ogni colore. Prima di una nuova utilizzazione, la superficie della pietra viene sabbiata (granitura). Come la stampa tipografica trae la sua origine dall’incisione in legno, l’offset non è altro che un derivato, meccanizzato, della litografia.Il procedimento litografico, uno tra i più interessanti fra quelli di stampa adottati dagli artisti, fu scoperto verso la fine del ‘700 da Alois Senefelder di Monaco di Baviera. Ouesti, infatti, iniziò il sistema della vera « stampa piana », la litografia, ovvero stampa a mezzo di pietra, perche in essa viene usata una pietra calcarea, che si trovava in grande quamtità nel fiume lsar (oggi è difficile trovarla), e che ha la prerogativa di assorbire sia l’acqua che il grasso. La « stampa litografica » si basa sul fatto che acqua e grasso si respingono a vicenda; sfruttando questo principio se si disegna con inchiostro, matita o gesso grassi, le linee o le macchie disegnate accetteranno soltanto grasso, cioè l’inchiostro da stampa, e respingeranno l’acqua. AI contrario le parti bagnate con acqua non accetteranno più il grasso. Questo sistema, sia dal punto di vista del principio su cui è basato, sia per il modo di stampa, può essere considerato come una via di mezzo tra la stampa xilografica e la calcografia (acquaforte, acquatinta). Nella prima vengono riprodotte le parti « lasciate ». nella seconda vengono stampate le linee scavate nella lastra di metallo: le parti disegnate, invece, sulla pietra litografica rimangono in piano, dato che la riproduzione si ottiene tramite un processo chimico.Prima di tutto la pietra deve essere ben preparata secondo il tipo di disegno. Se si vuole lavorare con inchiostro liquido conviene preparare la pietra con sabbia di quarzo finissima, onde ottenere una superficie perfettamente levigata. Il disegno con la matita grassa richiede, invece, un trattamento di superficie più granulosa, che si ottiene levigando con sabbia di quarzo più grossolana.Questa operazione deve essere eseguita sempre con molta attenzione per non graffiare la Superficie, che deve rimanere assolutamente piana. Dopo la levigatura la pietra deve essere bene asciutta: solo allora si può procedere al disegno. La tecnica, che offre risultati piÙ vicini al disegno su carta, è quella della matita grassa su pietra trattata con sabbia grossolana. Naturalmente possono essere adottati tutti i mezzi di disegno sulla stessa Il disegno a pennino, invece, assomiglia a quello dell’acquaforte, senza però raggiungere mai la nitidezza di tratto di quest’ultima. Oltre queste tecniche, che sono le più conosciute e le più largamente usate, proprio perchè offrono all’artista maggiore libertà di espressione pittorica, esistono molte altre tecniche, che richiedono, una non indifferente preparazione e molto esercizio. A titolo di esempio si cita la tecnica dell’incisione su pietra, la stampa litografica in rilievo, che vorrebbe imitare la xilografia. Ma è bene soffermarsi ancora sulle tecniche già trattate. Una volta completato il disegno sulla pietra il tutto dovrà essere « acidato », vale a dire preparato per la stampa. A scopo di protezione si spolvera il disegno con ii talco, e poi si co~re tutta la pietra con gomma arabica e acido nitrico. Una leggera formazione di bolle permette la evaporazione del l’acido carbonico. l pori della pietra, aperti, si chiudono e non assorbono più grasso. Lentamente il carboncino grasso, o l’inchiostro, si ammorbidisce e « insapona » la pietra rendendo, cosi, insolubile la parte grassa, cioè il disegno. Quando la soluzione acida è asciutta può essere lavata con cura in acqua Con olio di trementina « si lava » la pietra: del disegno rimane solo 1’ombra. Si sparge allora un poco di tintura di asfalto, la quale ha la caratteristica di riportare sorprendentemente il disegno sulla pietra. Questa tintura ridà il grasso al disegno. Durante la stampa la pietra deve essere sempre umida, pepietra, tecnica usata largamente anche da Toulouse Lautrec e che viene usata tuttora da artisti e grafici contemporanei Il disegno su pietra ruvida, insomma, favorisce gli effetti pittorici e la morbidezza di disegno Un rullo ricoperto di pelle porta l’inchiostro da stampa sulla pietra: si può
osservare bene, che il disegno contenente grasso respinge l’acqua, mentre rimane ferma in un primo momento sulla superficie non disegnata, per poi evaporare lentamente. Rimane asciutta, la parte della pietra non disegnata, e bisogna fare attenzione che questa parte rimanga umida, altrimenti verrebbe inchiostrata anch’essa. Dopo che il disegno è bene inchiostrato viene posato un foglio di carta sulla pietra, che è nella pressa litografica e un cartone ingrassato Io copre finche il foglio passa finalmente, lentamente, sotto la pressaSi ha cosi la prima «prova di autore », la quale, normalmente, non ha ancora la giusta intensità di colore.E’ questo il principio della litografia e della stampa litografica. Artisti contemporanei, però, trattano la pietra in modo poco ortodosso e poco convenzionale, usando benzina per automobile, grattando la superficie con lamette da barba o chiodi;nel delirio della gioia creativa l’artista si serve di qualsiasi mezzo per ottenere nuovi effetti. La litografia è una delle tecniche grafiche più duttili, e meglio si presta come affascinante mezzo per assecondare l’artista nei suoi propositi e nelle sue aspirazioni MONOTIPO Il monotipo (dal greco "unica impronta") è un unico esemplare a stampa; la matrice non presenta né tagli né morsure, il disegno viene tracciato dall'artista direttamente sulla superficie con pennelli e altri strumenti. Come in ogni stampa, la composizione risulta rovesciata rispetto al foglio. Senza altre aggiunte di inchiostro, se ne traggono, qualche volta, una seconda e una terza prova che diventano sempre più sbiadite e quindi vengono ritoccate a mano. Il supporto su cui viene eseguita l'opera può essere di metallo, di vetro, di legno, di plexiglas o di altro materiale duro e liscio, oppure leggermente poroso. SERIGRAFIA E' una tecnica derivata da quella dello stampino; si esegue con una matrice costituita da un tessuto finissimo (seta, nylon, ecc.), teso su un telaio, le cui maglie sono state otturate con un apposito liquido in corrispondenza delle zone non stampanti e lasciate aperte in concomitanza del motivo da riprodurre: attraverso queste ultime l'inchiostro viene spremuto mediante una racla sul supporto. Si può eseguire il disegno direttamente sul tessuto con gomma liquida, che si toglie poi dopo l'applicazione del liquido impermeabilizzante, oppure con il metodo fotografico, che trasferisce sul tessuto qualsiasi genere di documento purché alla base vi sia una pellicola. Eccettuati l'offset e la serigrafia che riproducono l'immagine al diritto, le stampe sono sempre impresse specularmente alla matrice; il riporto si fa quindi a rovescio SILOGRAFIA Detta anche xilografia, è una tecnica d'incisione su legno per riproduzioni a stampa. L'incisione xilografica viene eseguita su una tavola di legno, incisa con bulini e sgorbiette, lasciando solamente quelle parti che verranno poi inchiostrate. La xilografia utilizza quindi il segno in rilievo, cioè in superficie, che risulta dallo scavo dei bianchi. Un limite di questa tecnica, è dato dall'estrema fragilità delle lastre lignee: di recente esse sono state sostituite dal più compatto e morbido linoleum, che può essere inchiostrato e stampato con maggiore facilità. L’arte di incidere il legno era già nota e in auge prima dell’invenzione delle lettere mobili da parte di Gutenberg, ed essa soddisfaceva le esigenze di riproduzione di testi e delle immagini. Per questo l’incisione su legno e la relativa stampa in rilievo rappresentano il tipo di stampa più antico. Non si conosce la data esatta della sua « invenzione », ma è certo che i primi esemplari vennero stampati nel 1400, in Europa. Il livello di questa prima espressione d’arte tipografica risulta tanto perfezionato che è lecito pensare che fosse già in uso da parecchio tempo. Il periodo di maggiore importanza della stampa mediante incisione su legno si ebbe nei secoli XV e XVI. Più tardi, il legno venne gradualmente sostituito dal metallo e l’incisione in rame (calcografia) e l’acquaforte si imposero sul più antico sistema. Solo alla fine del secolo XIX l’incisione su legno ritornò in uso, riscoperta e portata a nuova dignità dagli espressionisti Le prime autentiche incisioni vennero eseguite su “legno di filo", riconoscibile per le caratteristiche venature che esso lasciava,
come segno distintivo, sulla carta. La direzione delle linee incise era condizionata dalla venatura del legno usato. Alla fine delI’800 si incideva su « legno di testa ». Questa tecnica rese possibile un’incisione di linee finissime, incrociando le quali si otteneva una specie di retinato, con effetto di mezzitoni. Si sviluppò dall’incisione su legno di filo (effetto oggi comunemente chiamato “ a tratto “ l’incisione su legno di testa, la quale offre, in un certo senso, l’effetto del retino (mezzatinta). Più tardi, con il sussidio della tecnica fotografica e delle macchine per l’incisione su legno, fu possibile incidere in linee parallele e in forma circolare. Si ottenne, in questo modo, la xilografia, un’incisione in legno soggetta maggiormente alla tecnica. La xilografia costituì il sistema di più perfezionata riproduzione fino a quando non fu scoperta l’incisione su metallo Esecuzione di un’incisione su legno Per la vera incisione su legno si usa il "legno di filo", cioè legno ricavato dal taglio longitudinale del tronco d’albero (preferibilmente pero o ciliegio). Il disegno si riporta specularmente, sulla lastra di legno, e in modo che sullo stampato appaia nel verso desiderato. Oltre che direttamente su legno, il soggetto disegnato può essere riportato sul legno mediante ricalco con carta carbone. Il metodo, forse più semplice, consiste nel disegnare sul lato collato di una carta gommata, applicata nel verso speculare sulla lastra. Una carta assorbente bagnata, sovrapposta, inumidisce il retro della carta gommata. Ponendo una lastra di legno sopra Il tutto e sottoponendo questa alla pressa per un minuto, è possibile ottenere il trasferimento del disegno sulla lastra di legno, precedentemente coperta con un fondo bianco, per facilitare la visione, in contrasto, del disegno stesso. Le parti che non dovranno essere stampate vengono asportate con coltelli o con bulini, in modo che quanto rimane, l’immagine, affiori dal livello per qualche millimetro. A seconda delle esigenze, l’incisore usa diversi coltelli, ma più generalmente usa i bulini. Terminata la incisione, con un rullo a mano si inchiostrano le superfici rimaste in rilievo le parti incise, ovviamente, non ricevono l’inchiostro. Il sistema di stampa più semplice è quello che utilizza la pressa a torchio. La forma viene posata sul piano di stampa della pressa. Dopo l’inchiostrazione fatta a mano, con apposito inchiostro da stampa, si applica sulla prima il foglio di carta, coperto da alcuni altri fogli poi viene esercitata la pressione definitiva e necessaria. Questo tipo di incisione non consente correzioni di nessun genere. Altro sistema elementare è il seguente: avvenuta l’inchiostrazione, si passa con un rullo ben pulito sul retro della carta applicata sul legno, esercitando una pressione calibrata al posto del rullo, pub essere usata la stecca per piegare, passata con forza sul retro della carta Questo sistema, sebbene richieda maggior tempo e fatica, consente all’artista di aumentare o diminuire la pressione dove Io desideri, influenzando direttamente il risultato finale- Alcuni effetti, poi, saranno frutto del caso e non dell’incisione o dell’impressione.Il principio e il procedimento della stampa a più colori sono i medesimi Per ogni colore viene incisa una lastra e le lastre sono tante, quanti sono i colori; naturalmente il colore stampato deve essere ben essiccato, prima di procedere alla stampa del colore successivo. Occorre dedicare una certa attenzione al registro, quando si debbono eseguire più passate di colore. La carta capace di assorbire (per esempio la carta giapponese, o la carta riso cinese) è quella che offre una resa migliore nella stampa a rilievo. Le carte fatte a mano sono le più adatte. Anche la carta Ingres garantisce buoni risultati. Prima di procedere alla stampa vera e propria è necessario inumidire la carta con una spugna, e pressarla fra carte assorbenti o carte da giornale.
TECNICHE PITTORICHE PITTURA La tecnica più semplice e antica della rappresentazione pittorica è il disegno realizzato con la punta del dito su una superficie morbida (argilla della grotta di Gargas, in Francia). I numerosi reperti della pittura paleolitica (tra i più celebri gli esemplari delle grotte di Altamira e di Lascaux) mostrano da una parte una grande
varietà di tecniche, dal graffito alla pittura a tocchi, dall'altra un significato magicorituale. Parietale fu essenzialmente anche la pittura dell'Egitto, della Mesopotamia e dell'Asia Minore, con tecniche tuttavia assai lontane dall'affresco comunemente inteso: l'antica pittura egiziana, per es., offre sostanziali analogie con la tecnica del guazzo usata in Francia nel XVIII sec. Cromaticamente assai ricca la pittura cretese, che, oltre ad affreschi sulle pareti dei palazzi, vanta una produzione ceramica di alto livello tecnico e qualitativo. La pittura etrusca (affreschi tombali) costituisce un complesso di eccezionale omogeneità, sia tecnicamente sia per il significato magico-religioso che accomuna le scene dipinte sulle pareti delle tombe. La pittura greca, priva dei valori religiosi che condizionano le pitture precedenti, è informata invece al concetto di mimesis (imitazione della natura). Per lo più letterarie sono le informazioni sull'uso dell'affresco nell'antica Grecia e nessun reperto è pervenuto della pittura da cavalletto; riflette tuttavia la grande pittura l'abbondante produzione ceramica rimasta. Con l'ellenismo si affermarono i nuovi generi della natura morta e del paesaggio, cui si affiancarono la pittura di genere, in senso proprio, e contemporaneamente le grandi decorazioni di case e ville, a fresco o a mosaico pavimentale e parietale. La pittura romana, inesistente nei primi secoli della repubblica se non per la modesta produzione, legata a fini politici e militari, di tavolette celebrative per i trionfi dei generali, è caratterizzata dalle grandi decorazioni parietali, a fresco o a mosaico, di ville e palazzi, spesso risalenti ad analoghi prototipi ellenistici. Esempi celeberrimi Ercolano e Pompei, che dimostrano la specifica qualità romana della levigatezza dello strato pittorico, raccomandata anche da Plinio e da Vitruvio. La pittura paleocristiana nacque da quella romana senza soluzione di continuità tecnica e stilistica: i primi affreschi, nascosti nella penombra delle catacombe, sono dipinti a colori particolarmente chiari e luminosi con una tecnica compendiaria assai simile a quella di taluni affreschi pompeiani. Con l'affermazione e la diffusione del cristianesimo, si formò una tradizione iconografica, stilistica e tecnica fondamentale per tutta la pittura occidentale. Categorie essenziali sono la pittura murale e la pittura su tavola, diverse nella concezione e nella destinazione: per tutto il medioevo infatti la pittura murale rappresentò eventi cui si attribuisce un valore edificante o esemplare e che servono perciò all'educazione religiosa e morale dei fedeli; la tavola aveva invece un valore trascendente assoluto e, come tale, divenne oggetto di venerazione, tanto che spesso era ritenuta miracolosa, fino al punto da dar luogo alla iconoclastia. La pittura bizantina, estranea agli intenti didascalici del cristianesimo occidentale, mirò piuttosto a produrre effetti di elevazione e di estasi sul fedele: mezzo di espressione per eccellenza è quindi il mosaico, superficie riflettente che condiziona l'illuminazione dell'edificio e suggerisce uno spazio fatto soltanto di luce, in cui le figure si presentano come apparizioni "in gloria". Una condizione costante di luce impone alle figure anche il fondo oro delle icone e delle tavole, accuratamente preparate in bottega con tradizioni tecniche tramandate da maestro a discepolo. Il monaco Teofilo e Cennino Cennini forniscono interessanti ricette sulla macinatura dei colori e sull'imprimitura delle tavole come preparazione alla tempera. Rara, ma non sconosciuta, fu nel medioevo la pittura su tela. L'uso di questo supporto si fa risalire a Margarito d'Arezzo; ma già Plinio parla di pittura su tela e, di fatto, pitture su tela sono quelle del Fayypiattoum; del resto anche in epoca bizantina era diffuso l'uso di tele incollate su tavole. La tela restò tuttavia sino alla fine del Quattrocento destinata soprattutto agli stendardi processionali e profani. Oltre alla pittura su tavola e ai grandi cicli musivi e a fresco negli edifici religiosi, grande diffusione ebbero, soprattutto a partire dal VII sec., la miniatura e gli smalti. Il periodo romanico e soprattutto il periodo gotico segnarono il trionfo della tecnica dell'affresco con i grandi cicli narrativi di carattere religioso diffusi in tutta Europa; accanto a questi, continuò, particolarmente importante in alcune regioni come la Toscana e la Catalogna, la produzione di tavole, spesso con figure di santi al centro ed episodi della vita del santo ai lati. La concezione architettonica della chiesa romanica e specialmente gotica portò a un'adozione sempre crescente della vetrata, e quindi a uno sviluppo sempre maggiore della tecnica della pittura su vetro, già conosciuta in età romana. Nel Trecento, sul finire della civiltà e del sistema medievale, comparvero i primi dipinti (di solito cicli a fresco
nella decorazione di castelli o palazzi pubblici) di soggetto profano, cavalleresco, cortese o perfino politico. Nel corso del XV sec., nell'ambiente artistico fiorentino prima, e in tutta Italia poi, si compì una radicale trasformazione della concezione stessa dell'arte, esplicitamente considerata non più attività "mechanica" o manuale, ma intellettuale o "liberalis", processo conoscitivo e rappresentativo della realtà. Nei suoi trattati, dedicati rispettivamente alla pittura, alla scultura e all'architettura, Leon Battista Alberti, oltre a fornire precetti e indicazioni tecniche come i trattatisti che l'avevano preceduto, si preoccupò soprattutto di fissare ed enunciare i princìpi della creazione artistica. La scoperta e la teorizzazione della prospettiva, intesa come forma o rappresentazione razionale dello spazio, in relazione all'azione umana, e quindi come rapporto uomo-natura, l'interesse per la rappresentazione dell'azione e del movimento, e il conseguente studio dell'anatomia, la "riscoperta" dell'arte e della cultura antica, pongono l'artista italiano del Rinascimento in una posizione culturale e sociale molto diversa rispetto a quella degli artisti di epoche precedenti, mutando profondamente i modi e i fini della sua attività. A tale rivoluzione non corrisponde, nel campo delle tecniche, una altrettanto violenta trasformazione. Continuò in Italia la gloriosa tradizione dell'affresco, sia sulle pareti delle chiese sia nelle sale dei palazzi, rimanendo sostanzialmente immutati i procedimenti esecutivi; si sviluppò, grazie soprattutto all'interesse prevalente per la rappresentazione prospettica, l'arte della tarsia, ma l'unica innovazione tecnica di grande importanza è costituita dall'introduzione e diffusione, a opera di maestri fiamminghi, della pittura a olio. I Van Eyck e i loro seguaci, usando sistematicamente solventi oleosi in luogo dei collanti, ottennero impasti più morbidi e brillanti, atti a rendere le più sottili trasparenze e variazioni di luce, i riflessi, gli effetti atmosferici. Verso la fine del Quattrocento, poi, da Venezia si diffuse in Occidente l'uso della tela (lino o canapa) come supporto. Già impiegate in Oriente, e anche in Italia per gonfaloni o stendardi, le tele vennero preparate con una imprimitura più leggera e assorbente di quella delle tavole e, nella città lagunare, i vasti "teleri" dei Bellini e del Carpaccio cominciarono a sostituire gli affreschi sulle pareti delle chiese e delle confraternite. Durante tutto il Cinquecento tuttavia l'uso della tavola continuò a essere più frequente per le opere da cavalletto in centri artistici come Roma e Firenze, oltre che in Germania e nella Fiandra, e la tela, che permette una fattura rapida a impasti ricchi e densi, in luogo dell'esecuzione più accurata, compatta e brillante che si ottiene con la pittura su tavola, si diffuse soprattutto nell'ambiente veneto, affermandosi come supporto abituale solo a partire dal Seicento. Sempre a Venezia, all'inizio del XVI sec., dal confluire di esperienze diverse, la resa atmosferica della tradizione fiamminga, come le meditazioni sulle ombre e le luci di Leonardo, e i particolari effetti di trasparenza da lui ottenuti mediante velature a strati sottilissimi, trasse origine, con Giovanni Bellini e soprattutto con Giorgione e l'attività giovanile di Tiziano, la pittura tonale, cioè quel particolare modo di rappresentazione dello spazio che non si vale della costruzione prospettica e del chiaroscuro, ma dei rapporti tra i colori e della loro diversa intensità luminosa. Raffigurando gli oggetti della realtà con macchie di "tinte crude e dolci, secondo che il vivo mostrava, senza far disegno" (Vasari), Giorgione identificò il momento della ideazione con quello dell'esecuzione, ricercando inoltre gli effetti cromatici dalla rifrazione del colore anziché dalla sua trasparenza. Mentre i trattati si occupavano sempre più spesso dell'ideazione, piuttosto che dell'esecuzione, si originò, soprattutto a partire da Leonardo, il gusto dell'invenzione tecnica, diffusissimo tra i pittori manieristi, così che tecniche particolari di ogni singolo artista si sostituirono alle tradizioni artigianali delle botteghe. I pastelli, dapprima impiegati per colorire ritratti a punta d'argento o a sanguigna, vennero usati sistematicamente da Hans Holbein il Giovane; ugualmente l'acquerello, già in uso per colorire xilografie nel XV sec., venne ripreso, insieme al guazzo, da Albrecht Dürer in rappresentazioni di paesaggi o di animali. Al fiorire della grande decorazione barocca nelle cupole, nelle volte e sulle pareti di chiese e palazzi, e all'intonazione aulica e celebrativa di tanta pittura di storia o di soggetto religioso, si contrappose, nel Seicento e nel Settecento, una corrente
realistica tendente alla rappresentazione di scene di costume o di genere, oppure di singoli elementi della realtà, come la natura morta, il paesaggio, la veduta o anche il ritratto. Soprattutto nei Paesi Bassi, ciascuno di tali generi si suddivise a sua volta portando a vere e proprie specializzazioni con pittori di marine o di ruderi, o di interni, o di battaglie, di fiori o di strumenti musicali, di selvaggina o di pesci, di macchiette o di drappeggi. Non insolita fu anche la collaborazione di diversi "specialisti" al medesimo dipinto. Le tecniche del pastello, dell'acquerello e del guazzo incontrarono particolare fortuna in Francia, durante il XVIII sec. A partire dal neoclassicismo, soprattutto a Parigi, con David, si assiste al formarsi di tendenze artistiche programmatiche, movimenti nei quali si raggruppano diversi artisti. Si tratta di un fenomeno caratteristico dell'arte moderna, con il quale si viene a creare un particolare rapporto tra artista e società, attività artistica e ideologia. Nel corso del XIX sec., al neoclassicismo, e poi al romanticismo di Delacroix, succedono il realismo di Courbet e l'impressionismo; quindi, con ritmo sempre più incalzante, fino ai giorni nostri, ricordando solo alcuni dei movimenti di più vasta portata, il neoimpressionismo, il simbolismo, i Nabis, i fauves, il cubismo, il futurismo, l'espressionismo, il neoplasticismo, il dadaismo, il surrealismo, l'informale, la pop-art, ecc. Per quanto riguarda le tecniche, a partire dall'Ottocento prevale l'uso dell'olio puro, e la diffusione dei colori di fabbricazione industriale elimina definitivamente tutti i procedimenti artigianali di preparazione anteriori alla stesura pittorica. Quest'ultima operazione, seguendo quella tendenza alla più spericolata e fantasiosa sperimentazione che caratterizza l'arte contemporanea e che spinge gli artisti a rifiutare i materiali e le tecniche tradizionali e standardizzati, può tuttavia avvenire secondo i procedimenti più diversi: a tocchi grandi o piccoli, liscia o a grumi di materia, compatta o a macchia, a pennello, a spatola o direttamente dal tubetto di colore, o anche per gocciolamento o a spruzzo, con inserzione di pezzi di carta, vetro o stoffa, di frammenti metallici o lignei o di infiniti altri materiali (pittura polimaterica, collage, ecc.). In tal modo la stessa distinzione tra supporto, preparazione e strato pittorico diviene sovente del tutto impossibile. MINIATURA La miniatura venne attuata prevalentemente per la decorazione dei manoscritti su pergamena. La pergamena si otteneva, e si ottiene, dalle pelli di animali quali vitelli, pecore e capre; le pelli ancora fresche venivano tenute in acqua per purgarle e poi in un bagno di acqua e calce che le sgrassava e consentiva l'eliminazione dei peli. Dopo la sciacquatura in acqua limpida le pelli venivano tirate su tenditoi, e, prima che asciugassero completamente, raschiate fino a ottenne la sottigliezza voluta. Si levigava quindi con la pomice. I colori per la per la miniatura andavano macinati con ancora maggior accortezza e più finemente che non per la tempera, in una soluzione di gomma arabica e zucchero candido. Quest'ultimo serve particolarmente a che il colore, sulla superficie leggermente untuosa della pergamena, non si rapprenda in minute goccioline. La particolare delicatezza del materiale sconsiglia di abbozzare, con i pentimenti e le cancellature, l'immagine direttamente sull'opera. Più sicuro il metodo del ricalco, i contorni del quale verranno fermati con sottili tratti. Ad evitare lo scorrimento e l'intorbidamento delle tinte, ognuna di queste andava lasciata asciugare prima che fosse data la successiva. Né ogni intensità della tinta poteva essere ottenuta in un'unica stesura. Il colore, lasciato molto fluido, veniva reso più intenso per successive sovrapposizioni, a piccoli tratti o addirittura a punteggiatura. La stampa e la scomparsa del libro manoscritto non favorì certo la diffusione della miniatura. Alla crisi di questa tecnica partecipa anche l'affermarsi nella pittura di una visione tesa a rendere uno spazio illusivo e la profondità. Bisogna anche considerare che la miniatura, come oggetto prezioso, poté legare la sua produzione esclusivamente a circoli ristretti come quelli delle abbazie e dei vescovadi, delle corti o delle ricche famiglie. Il termine miniatura deriva dal verbo latino miniare, che in origine rimandava all’operazione del dipingere o sottolineare il titolo di un libro in rosso scarlatto o minium. Il sostantivo miniatura quindi rimanda all’arte di decorare i caratteri iniziali
minium. Il sostantivo miniatura quindi rimanda all’arte di decorare i caratteri iniziali dei manoscritti con preziosi ornati in oro oppure con immagini dipinte raffiguranti motivi floreali, arabeschi, immagini religiose, animali o figure umane. L’arte della miniatura, importata a Roma dai greci al tempo di Costantino, conobbe durante il Medioevo larga diffusione ad opera dei monaci che erano soliti miniare i testi sacri: nelle officine scrittorie dei monasteri la suddivisone dei compiti e delle specializzazioni era tale per cui gli scrivani, ai quali spettava la sola trascrizione del testo del manoscritto, lasciavano in bianco gli spazi nei quali i miniatori dovevano inserire la decorazione. Per la realizzazione dei manoscritti si ricorreva all’uso della pergamena ottenuta conciando e sbiancando pelli di pecora e di capra: considerando il fatto che la particolare delicatezza della pergamena rendeva sconsigliabile abbozzare direttamente l’immagine, il miniaturista, per ovviare a questo inconveniente, preferiva ricorrere al metodo del ricalco. In seguito all’invenzione della stampa e alla conseguente diminuzione della produzione di testi su pergamena, l’arte della miniatura fu sempre meno richiesta. Nel secolo XVI iniziò ad affermarsi l’arte del ritratto miniato, realizzato su avorio o su lastre di rame di piccole dimensioni, che si caratterizza come un modo di dipingere minuto, descrittivo ed analitico. PITTURA A FRESCO La pittura a fresco, più comunemente definita "affresco", è così chiamata perché viene eseguita su un intonaco di malta (sabbia e calce) fresca, cioè sufficientemente saturo d'acqua. I colori sono costituiti da pigmenti che non contengono alcun fissativo ma vengono mescolati al latte di calce e una volta stesi sulla malta, si incorporano strettamente con il loro supporto di cemento. L’affresco, che significa pittura a fresco, cioè condotta su un supporto ancora umido, è una tecnica pittorica murale che si avvale del principio di fermare i pigmenti minerali o le terre sospesi in acqua nell’intonaco ancora umido, usando la carbonatazione della calce. Ciò avviene per reazione chimica, infatti la calce presente nell’intonaco si combina con i gas carboniosi dell’aria e, trasformandosi in carbonato di calcio, dà vita ad una superficie capace di assorbire lo strato pittorico e di determinare il fissaggio al supporto. Nella pittura a fresco, poiché l’intonaco assorbe immediatamente il colore, ogni fase della lavorazione deve essere prestabilita senza lasciare nulla all’improvvisazione, dal momento che i ristretti tempi di esecuzione richiedono un procedimento veloce, eseguito senza errori, anche perchè non è possibile apportare alcuna correzione o ritocco, se non a secco, cioè a intonaco già asciugato, o rifacendo l’intonaco. Di grande importanza nell’affresco è la preparazione della malta e dell’intonaco da stendere sul muro, il quale può essere di pietre o mattoni, ma mai misto, e comunque deve necessariamente essere esente da tracce di umidità. Il rivestimento del muro avviene attraverso tre successivi momenti, a cui corrispondono la preparazione di altrettanti strati, il primo dei quali, il rinzaffo, preparato con uno strato di calcina grassa e sabbia, si presenta molto ruvido e grossolano. Sul rinzaffo viene successivamente disteso un secondo strato di intonaco più fino, detto arriccio per la superficie leggermente scabrosa ed arricciata che lo caratterizza: si tratta di uno strato ruvido, ma meno irregolare del primo. Sull’arriccio umido si applica quindi l’intonaco o tonachino destinato a ricevere il colore: questo strato finissimo, che si compone di sabbia fine, polvere di marmo e calce, andava tenuto umido per tutto il tempo della coloritura. Questa tecnica variava secondo le epoche e i luoghi. In Italia da una fase antica a pontate, in cui l’intonaco e il colore venivano dati rapidamente per zone secondo l’andamento orizzontale del ponteggio, si passò nel Due-Trecento alla lavorazione a giornata, in cui l’intonaco veniva steso e lavorato giorno per giorno. In questo periodo si ha anche l’introduzione della sinopia, ossia del disegno preparatorio sull’arriccio, fatta con terra rossa di Sinope, dalla città omonima sul Mar Nero. Il disegno con la sinopia consentiva di avere direttamente sul muro sia una prova generale delle parti da affrescare, sia l’individuazione degli spazi da coprire giornalmente con il tonachino, sia una veduta di insieme dell’opera da realizzare. Con un filo intinto nel carbone venivano suddivisi gli spazi da affrescare, quindi
con il carboncino si procedeva alla vera e propria resa della scena, fissando il disegno generale con il colore ocra diluito. Lo studio dell’esito definitivo veniva fatto tratteggiando tutte le parti da affrescare con la sinopia. Ogni giorno quindi l’artista era in grado di assegnarsi le parti da comporre: stendeva l’intonaco sulla bozza a carboncino, creava il disegno con la sinopia e passava a colorare in modo definitivo la parte. La stesura del colore avveniva gradatamente, partendo dalle ombre si stendevano prima le zone più chiare, per arrivare progressivamente ai toni più vivi. Nel Quattrocento la rappresentazione prospettica, che richiedeva giusti calcoli e non consentiva improvvise correzioni, portò a sostituire la tecnica della sinopia con quella del cartone con lo spolvero e successivamente con l’utilizzo del solo cartone con il calco delle figure. Il cartone consentiva di studiare, preparare e conoscere il disegno definitivo, il quale, eseguito a grandezza delle figure da realizzare, veniva perforato seguendo le linee della composizione. Posto a contatto dell’intonaco veniva quindi battuto con un sacchetto contenente polvere fine di carbone vegetale che, penetrando attraverso i fori, lasciava sul muro una lunga serie di puntini di colore nero, equivalenti al conterno stesso del disegno. Molto spesso l’artista per evitare di perdere la traccia della composizione la delemitava con piccole punte o chiodi. Verso la fine del Quattrocento allo spolvero si sostituì l’uso del solo cartone che veniva poggiato sull’intonaco fresco: in questo caso l’artista procedeva con una punta a calcare le figure, delimitando quindi le parti da affrescare. Il disegno preparatorio era formato da più parti in scala: dal disegno d’insieme, con il sistema della quadrettatura o rete, si passava a comporre più parti, tracciate proporzionalmente in scala sull’ intonaco. Nel Cinquecento la novità fu data dalla ricerca di esiti più vibranti e pastosi nella materia di superfice, per cui all’intonaco fine, che crea una chiara compattezza, si sostituì un intonaco granuloso o ruvido. La tecnica della pittura a fresco, pur non prevedendo l’uso dei colori fissati a secco, ha visto in tutte le epoche l’abitudine di corregereil dipinto con colori a calce o tempera. La pittura a tempera sul muro secco consentiva numerosi vantaggi quali l’uso di un’ampia gamma di colori, la verifica immediata dell’esito o tono del colore, che non era possibile nell’affresco poiché i colori, asciugandosi, cambiavano di tono, e la possibilità di apporre correzioni coprendo o raschiando il colore, visto che non veniva assorbito dall’intonaco. Mentre i colori a fresco, proprio perché assorbiti all’intonaco, avevano una notevole resistenza, la pittura applicata a secco si deperiva velocemente. ENCAUSTO L'encausto è una tecnica pittorica antica (adottato dai greci, proseguì fino ai primi anni del Cristianesimo, soprattutto nei paesi mediterranei e medio-orientali) consistente nell'uso di colori diluiti con cera fusa. Nonostante gli eccellenti risultati, tale tecnica venne soppiantata dall'affresco e, a parte qualche esempio medievale, dovette attendere parecchi secoli prima di ottenere una parziale riabilitazione. Tuttora viene spesso confuso con l'affresco, poiché quest'ultimo a volte veniva sottoposto a lavoro ultimato e asciutto, ad un trattamento con cera vergine di api, che lo rendeva così molto affine all'encausto. PITTURA A OLIO Pittura a olio, tecnica pittorica che si serve di pigmenti coloranti mesticati con oli di rapida essiccabilità. Per quanto non si sappia con precisione quando i colori a olio apparvero per la prima volta, si hanno prove della loro esistenza nelle Fiandre del XIV sec. Uno dei primi artisti ad utilizzare tale tecnica, fu il pittore fiammingo Jan Van Eyck (13901441). In Italia, l'olio venne introdotto durante il Rinascimento, dove conobbe il suo periodo d'oro. Da allora, fino ai giorni nostri, con l'evolversi delle varie tendenze artistiche, l'olio si è imposto in modo definitivo sulle tavolozze di tutti gli artisti indipendentemente dallo stile usato diventando una delle più importanti tecniche artistiche. Rispetto ad altri mezzi pittorici oggi a disposizione, l'olio si distingue per duttilità e polivalenza. Il suo componente principale, l'olio di lino, le conferisce caratteristiche di luminosità, opacità, trasparenza, elasticità, sottigliezza nelle
mescolanze, corpo, texture, e durata, in grado di soddisfare le esigenze di ogni artista. La tecnica all'olio appartiene senza dubbio alla tradizione della storia della pittura ed è allo stesso tempo sinonimo di modernità e di evoluzione nel corso della storia dell'arte. La nuova tecnica, in uso dall'inizio del Cinquecento, consentiva di ottenere contrasti molto accentuati di luminosità, gli oscuri più opachi come rilievi più brillanti, impossibili con la tecnica della pittura a tempera. Con l'olio veniva di molto estesa anche la gamma dei pigmenti adoperati, si poteva ottenere le più diverse mescolanze e graduazioni. Si poteva infine operare sia una grana finissima, a lucidi piani, a velature, sia a colpi, a "sfregazzi", a impasto, e infine, come avvenne, anche con le dita , o la spatola. Man mano ci si liberava anche dal supporto in legno e da tutta la lavorazione che comportava, e la sua pesantezza; e questo, con la maggiore facilità d'aver pronti i colori, favorì in particolare la promozione sociale dell'artista e la maggiore diffusione della pittura. Erano sveltiti tutti i procedimenti artigianali. L'artista poteva spostarsi con più facilità senza il seguito di una vera officina. Ancor più viaggiavano le opere, così che si accresceva l'orizzonte dei committenti, dei primi compratori, dell'utilizzazione delle opere stesse. Non che con l'olio non si possa usare la tavola, che anzi fu il primo supporto ma questi venne sostituito con la tela libera su telaio, inventato dai Veneti sul finire del Quattrocento. Ciò fu possibile solo con l'uso di una imprimitura leggera e con l'introduzione negli impasti di resine molli invece che resine dure quali quelle usate dai Fiamminghi; questo consentiva che il supporto potesse non avere una costante rigidezza. Circa i colori, si hanno testimonianze della pratica in uso di macinare e preparare il colore nelle botteghe. I colori, terre naturali o calcinate, residui ed estratti animali o vegetali, pietre, ecc., erano macinati e impastato su una lastra di granito o di vetro molto levigata, usando di poco olio e lavorando la massa densa ottenuta fino ad eliminare ogni untuosità. Nella pittura ad olio la materia colorante è data appunto dal pigmento e dall'olio, che è ragione di coesione tra i pigmenti e di questi al supporto, e che perciò serve da coibente o connettivo. Gli olii impiegati sono quelli di lino, di noce o di papavero. Questi olii devono essere purificati e cioè devono essere purificati e cioè devono essere tolte le mucillagini, che sono la causa principale della colorazione gialla, e devono essere deacidificati. Per guadagnare trasparenza ai vari colori, di utilissimo complemento agli olii grassi che danno una materia più pesante e vischiosa, sono gli olii essenziali, detti perciò diluenti. Tra gli olii essenziali di origine vegetale la più usata è l'essenza di trementina, che proviene dalla distillazione delle resine delle conifere. La pittura ad olio consente un'enorme varietà di esiti, sia per la gamma e scelta dei colori che consente, sia per le graduazioni nell'uso della pasta del colore, sia nei rapporti tra i vari strati di colore. La diversa quantità di diluente poi può fornire tinte fluide e trasparenti, che servono per le luci, poiché l'esito più luminoso si ottiene usando la trasparenza del fondo a gesso della tavola, o per le ombre più dolci, usando velature successive molto sottili, o infine per dare modulazione al colore sottostante, applicando una velatura che lo attenui o lo esalti; e ancora si possono ottenere, usando poco solvente, impasti densi, per servire di fondo, per segnare i risalti o per applicare le luci ultime sulle tonalità scure. Compiuto il dipinto si usa stendervi uno strato di vernice a protezione. Le vernici possono servire anche per essere immesse nei colori per renderli più brillanti e solidi, e per essere poste tra uno strato e l'altro di colore, per impedire che l'olio dello strato superiore passi nel sottoposto, lasciando quello in vista torbido e trasparente. Le vernici finali devono formare, seccando, una pellicola protettrice trasparente. Per dipinti a olio si possono usare vernici grasse, a base di ambra e copale, sciolte in olio grasso e che verranno distribuite a gocce ne stese con le dita; o ancora vernici a base di olii essenziali di trementina e di petrolio, con mastice o dammar. Queste sono di rapida essiccazione e devono esser date su un dipinto già del tutto asciugato; verranno stese per pennellate parallele, in due o più passate ortogonali. Volendo uniformare il dipinto su una tonalità. Alla vernice può
essere aggiunto un minimo di colore. L'uso di colori a olio si impose progressivamente nel XV sec. e da allora e fino a oggi divenne la tecnica di gran lunga dominante, eccezion fatta per le pitture murali. La varietà, per infinite gradazioni, delle mescole possibili, la relativa facilità di esecuzione, la molteplicità degli effetti cromatici, spiegano tale preminente diffusione; non vi è tuttavia un solo modo di dipingere a olio, ma tante tecniche quanti sono i metodi di preparare i fondi, i colori, gli impasti. La tradizione, codificata dal Vasari e che fece testo sino alla fine dell'Ottocento, secondo la quale la pittura a olio è un'invenzione dei fratelli Van Eyck e precisamente di Jan, carpita a lui da Antonello da Messina e da questo diffusa con l'insegnamento a Domenico Veneziano, ad Andrea del Castagno e ad altri, è priva di fondamento. La pittura a olio fu usata per decorazioni dai Romani e nel medioevo ed è già ricordata in Galeno, Dioscoride, Vitruvio, Eraclio, Teofilo; ancora si discute fino a che punto e quando sia stata usata dagli stessi Van Eyck. Le due tecniche, della tempera e dell'olio, vissero comunque in sincretismo usate sullo stesso dipinto e persino a strati per ottenere determinati toni, come prova il prato dell'Agnello mistico che ha il fondo a olio e lo strato superiore a tempera. Ed è sempre difficilissimo, a questi inizi, stabilire quando vi sia tempera e quando olio, né mai con assoluta certezza ma solo dietro precisi esami chimici. A giustificare comunque la corrente attribuzione dell'invenzione ai Van Eyck, attestata da tutti i contemporanei e codificata cent'anni dopo appunto dal Vasari, vale il fatto indiscusso che in quell'ambiente fiammingo si giunse progressivamente a impasti più malleabili di colori e vernici. Tale tecnica utilizzava pigmenti macinati con olio di lino o di noce e incorporati a caldo a resine dure, ambra o coppale, diluiti poi o meglio ammorbiditi al momento dell'uso con oli essenziali (di lavanda, spigo, rosmarino), che per i loro diversi gradi di essiccabilità permettevano sia la lavorazione lenta alla ricerca di tutte le sfumature sia il tocco rapido e minuto. Tale pittura era possibile solo sui supporti rigidi delle tavole con preparazione a gesso e colla lisciata e poco assorbente. Questa tecnica, che diremo appunto fiamminga, in Italia si modificò quasi subito come impasti e quindi come fattura, con la progressiva diminuzione delle resine dure, ambra e coppale, sostituite nelle mescole da resine molli (balsami, oli essenziali), per ottenere una pennellata più sciolta, ombre e luci dello stesso spessore ma anche minore lucentezza e smalto e maggior opacità nei colori, come ci dimostrano i dipinti del Perugino, di fra Bartolomeo, di Raffaello, di Giulio Romano. Le ultime possibilità di questi colori a resine le ottennero i leonardeschi lombardi e i correggeschi mediante l'aggiunta di trementina veneta che permise impasti atti a sfumare, fondere i toni, rilevare i tocchi. Ma solo abolendo totalmente le resine si giunse a un metodo più perfezionato: i pigmenti vennero impastati solo con oli purificati e diluiti con oli essenziali al momento dell'uso; le vernici grasse erano usate esclusivamente per le velature finali. In tal modo divenne possibile dipingere totalmente a olio, anche su tele preparate a gesso, e nacque nella scuola veneta, da Giorgione in poi, l'abbozzo con colori a corpo (non mescolati), che asciuga per mesi prima di essiccare permettendo ogni ripensamento e ogni modifica. Ma questa tecnica a oli purificati e a oli essenziali, i primi per impastare, i secondi per diluire i colori, non giunse ad abolire le resine e i diluenti, talché i pittori finirono con lo scegliere, per lo stesso quadro, quelle sostanze che meglio si addicevano a un dato pigmento o a un dato tono di colore: il Guercino usò su uno stesso quadro colori a olio puro, a olio con pece greca e altre resine o gomme; Reynolds abbozzò a corpo come i suoi maestri veneti, ma rifinì a vernici, e Rubens, in un terzo metodo, fuse i sistemi fiamminghi con quelli veneziani, in una tecnica di getto, rapida, vigorosa: luci a pasta, cioè con impasto denso e con pennello duro, preparazione su cui si può tornare con le pennellate definitive; ombre trasparenti, cioè in colori diluiti con vernici e trattati a velature come acquerelli. Con lievi modifiche a questi processi tecnici e a questi impasti lavorarono gli Olandesi del Seicento e gli Inglesi del Settecento, da Gainsborough a Lawrence; con gli stessi metodi, ma con colori più magri, i settecentisti francesi, da Boucher a Chardin, e quelli italiani, da Guardi a Tiepolo, ottenendo quelle pitture chiare che sembrano riflettere la luce invece di assorbirla. Con la fabbricazione industriale di colori pronti per l'uso iniziata col primo Ottocento si giunse all'olio puro e alla pittura di getto, usando i pigmenti come
escono dai tubetti, senza alcun diluente. La pittura vi acquista grande solidità col tempo ma tende, nei casi più favorevoli, a ingiallire; nei peggiori si scaglia, si screpola, si oscura, si altera irrimediabilmente nei rapporti tra volumi, ombre e luci. Molta pittura del secolo scorso è in tal modo divenuta l'ombra di se stessa, e si può prevedere che molti dipinti a olio del Novecento saranno divenuti illeggibili fra pochi decenni. In questo genere pittorico la materia colorante è data dal pigmento e dall’olio (di lino, di noce, di papavero), che funge da elemento di coesione tra i colori stessi e il supporto pittorico: le resine, una volta macinate, venivano impastate con poco olio su una lastra di granito e lavorate fino ad eliminare da esse ogni residuo di untuosità. A caldo venivano quindi aggiunte a questo impasto essenze di resine dure che avevano lo scopo di dare maggiore trasparenza ai colori, i quali, rispetto a quelli a tempera, risultavano essere così molto più brillanti. La diffusione di questo genere fu possibile soprattutto grazie all’uso della tela, di lino o di canapa, il cui utilizzo si affermò nella prima metà del secolo XV nella regione dei Paesi Bassi. In Italia le prime testimonianze si hanno a Venezia nella seconda metà del secolo XV, dove il procedimento fu favorevolmente accolto, sia perché la pittura su tavola era facilmente deteriorabile a causa del clima umido e della salsedine, sia perché permetteva di realizzare dipinti delle dimensioni desiderate Il fatto che la pittura ad olio fosse legata alla produzione pittorica su tela non significa che questa tecnica non potesse essere utilizzata anche su un supporto ligneo, ma evidenzia come l’introduzione della tela su telaio ne abbia consentito un uso migliore, grazie soprattutto al ricorso ad una imprimitura più leggera e all’introduzione, negli impasti, di resine più molli rispetto a quelle usate dai fiamminghi, ai quali, per primi, si deve l’applicazione sistematica di impasti colorati a base di oli e resine. L’utilizzo quindi di oli vegetali permetteva all’artista di trattare la materia pittorica in modo diverso, in quanto non solo veniva ad estendersi la gamma dei pigmenti utilizzabili ma aumentava anche la possibilità sia di intensificare i chiari e gli scuri, che di procedere nella lavorazione ponendo una maggiore attenzione al dettaglio. I colori impastati con l’olio, seccandosi in tempi meno rapidi rispetto a quelli impastati con l’uovo, consentivano infatti all’artista di procedere più lentamente e quindi di essere più preciso nell’esecuzione. La maggiore facilità di lavorazione della materia pittorica fu un modo per favorire la maggiore diffusione della pittura: il pittore infatti con la tela ed i colori aveva già tutto quanto gli occorreva per dipingere, fatto questo che gli consentiva di spostarsi con maggiore facilità, senza il seguito di una vera e propria officina. GUAZZO Il guazzo, o gouche, alla francese, appartiene alla grande famiglia delle pitture a colla, solubili con l'acqua. Può considerarsi una specie di variante della tempera, e di fatto i due termini sono usati a volte come sinonimi. Versatile sia nelle stesure piatte sia nei tocchi vivaci, è il mezzo ideale per studiare in piccolo l'impianto cromatico di un dipinto, da solo o in associazione con altre tecniche. TEMPERA I colori venivano estratti nell'antichità da piante e minerali ridotti in polvere, mischiati ad acqua o a uovo, si dipingeva con pennelli di peli di bue su tavole di legno preparate a gesso, o sul muro intonacato. Si ebbe il passaggio all'affresco con Giotto, ovvero usava dipingere su pareti con l'intonaco ancora fresco.La tecnica iniziò a perfezionarsi, un esempio sono le opere di pittori fiamminghi. Adesso non dobbiamo più impastare manualmente le polveri, esistono infatti tubetti di plastica o alluminio disponibili in molti colori. Le tempere ad acqua o acrilico: sono pigmenti impastati con leganti gommosi solubili in acqua, sono facili da usare e pulibili facilmente, si possono usare per velature,ovvero stendendo più mani del colore diluito, si usano su carta ruvida. Gli acrilici hanno una consistenza più coprente , ma possono essere mischiati alle tempere. Le tempere a olio: sono pigmenti mischiati ad oli vegetali o chimici e sono idrorepellenti, per diluirli occorre usare trementina, acqua ragia e olio di lino. Sono molto coprenti e pastosi e si usano su tela di lino preparata con gesso. Gli acquerelli : sono pigmenti a base di acqua e si usano molto diluiti e di solito per
Gli acquerelli : sono pigmenti a base di acqua e si usano molto diluiti e di solito per quadri su carta di piccole dimensioni, esigono una tecnica precisa e buona mano. La tempera, come gran parte delle tecniche pittoriche utilizzate ancor oggi, ha radici molto lontane nel tempo: nell'ambito della pittura, unitamente all'affresco, è uno dei mezzi più antichi in senso assoluto. Genericamente per "tempera" si intende un impasto cromatico ottenuto unendo il pigmento colorato con sostanze collanti (leganti) quali l'uovo, il latte di fico, le cere o altre sostanze sempre solubili in acqua. Con la metà del Quattrocento, questa tecnica iniziò lentamente ad accogliere componenti oleosi, avvicinandosi sempre di più a quella materia che poi si sarebbe chiamata pittura ad olio. Nell'esperienza di oggi, il termine "tempera" si identifica unicamente con un prodotto preconfezionato che corrisponde ad un impasto di collanti deboli (caseina) adatto genericamente a stesure su carta. Per tempera si intende quel genere pittorico che utilizza l’acqua per sciogliere i pigmenti composti da resine vegetali (terre naturali, pietre macerate) ed impiega varie sostanze come la colla di pesce, l’albume d’uovo, la gomma arabica, il lattice di fico per agglutinare, cioè per fare aderire il colore al supporto. La superficie destinata a ricevere lo strato pittorico può essere di natura diversa: carta, tela, pietra, metallo o legno sono i supporti sui quali si può dipingere ricorrendo all’uso della tempera. Il periodo di massima diffusione di questo genere pittorico è anteriore al diffondersi della tecnica della pittura ad olio legata all’uso della tela libera su telaio, affermatasi tra il Quattro e il Cinquecento: la tempera è quindi inizialmente la tecnica legata alla realizzazione dei dipinti su supporti lignei. Il legno utilizzato era prevalentemente il pioppo, proveniente dal Sud-Europa, e la quercia del NordEuropa: venivano comunque usati altri legni quali il noce, l’abete e il pino silvestre. Nella scelta l’artista si orientava prevalentemente su un legno che fosse il più possibile compatto e senza nodi: una volta individuatolo, procedeva ad eliminarne le resine e le gomme, dannose per lo strato pittorico, e a spianarlo, senza lisciarlo troppo, per consentire la presa dell’imprimitura, cioè quella serie di operazioni necessarie a rendere la superficie pittorica atta a ricevere lo strato di colore. E’ possibile, pur con le eccezioni e le riserve del caso, individuare tre grandi periodi nei modi d’uso della tecnica della pittura a tempera, corrispondenti alle diverse esigenze che la resa dell’oggetto artistico ha avuto nel tempo: periodo anteriore alle innovazioni dello scorcio del Duecento e degli inizi del Trecento, in cui la raffigurazione delle figure era resa per sovrapposizioni successive di colore. Una volta segnati i profili delle figure, l’artista stendeva in maniera uniforme i colori, determinando in seguito le particolarità, i rilievi e le incavità delle figure con l’andamento delle pennellate: partendo quindi da una tinta base il pittore procedeva colore per colore, aggiunte su aggiunte alla resa del soggetto. Prima della stesura dei colori sulla tavola l’artista applicava un fondo in oro, per realizzare il quale si serviva di una lamina d’oro battuta dai battiloro tra due strati di pelle. Come coesivo tra l’imprimitura e la lamina si serviva del bolo, cioè di una terra argillosa, untuosa e rossiccia, che veniva stemperata in acqua e chiara d’uovo preparata a neve. Sulla superficie inumidita del dipinto, il pittore stendeva quindi tre o quattro passate di bolo di diversa densità: servendosi poi di carta per sostegno, posava l’oro sul bolo preparato con acqua e chiara d’uovo, cercando di farlo aderire perfettamente alla superficie; periodo compreso fra il Trecento ed il primo Quattrocento, in cui l’uso del colore avveniva, sempre zona per zona, per graduato accostamento, e non per aggiunzione; seconda metà del Quattrocento: in questo periodo le figure e gli oggetti rappresentati nei dipinti venivano indagati con molta minuzia e resi con il massimo di profondità e di spazio: la struttura portante di questo modo di operare è il disegno. Breve storia della tempera Le pitture a tempera più antiche di cui abbiamo traccia in Italia sono quelle risalenti al periodo etrusco (le decorazioni delle tombe etrusche). Purtroppo non ci sono giunte quelle di origine ellenica, ma sappiamo che in Grecia la tempera fu comunque usata, come fu usata la tecnica dellíencausto (pigmenti mescolati a
caldo con la cera). Anche i romani conoscevano la tempera, come dimostrano alcune pitture parietali pompeiane. Un esempio di raffinate pitture di epoca romana sia ad encausto che a tempera è costituito dagli splendidi ritratti su legno ritrovati in Egitto nelle necropoli della zona del Fayum (secoli I - III d.C.). La tempera all'uovo fu usata nel periodo bizantino, in prevalenza nella pittura delle icone, ma ebbe il massimo fulgore nel Rinascimento, anche se la pittura a tempera dei quattrocentisti non è generalmente ad uovo puro. Infatti era già in uso un sistema di pittura, definito ad emulsione, dove all'uovo venivano aggiunti olii, essenze e vernici. Lo stesso Cennini ci informa nel suo trattato che si facevano mescolanze di colori con olio, ma che questo era un lavoro molto faticoso. Non fu dunque Van Eych a introdurre la pittura ad olio in Europa, perchè l'uso dell'olio era già acquisito da secoli, tanto che ne scrissero addirittura anche Plinio e Vitruvio e successivamente nel Medio Evo Teofilo. La tempera che aveva caratterizzato la pittura italiana del Rinascimento, fu lentamente soppiantata dalla cosiddetta pittura ad olio, benchè molti quadri della fine del '400, classificati nei musei come pitture ad olio, siano nei fatti delle emulsioni a base d'uovo, rifinite con velature a vernice ed olio. A questo proposito è significativo vedere presso la Galleria nazionale díarte antica di Roma di Palazzo Barberini, come due opere di uno stesso artista del '400 siano state catalogate differentemente: la prima come pittura a tempera e la seconda come pittura ad olio, quando nei fatti si tratta di emulsioni a base d'uovo in entrambe i casi. La tempera nei secoli successivi al Rinascimento fu spesso adoperata come base per le pitture ad olio. Ricordiamo ad esempio nell'ottocento italiano la tempera del Fontanesi a base di tuorlo e gomma arabica. Con questa tempera Fontanesi abbozzava i dipinti che poi ultimava a olio, la sua ricetta fu utilizzata in epoca successiva dal pittore Carlo Carrà che ce l'ha tramandata. Hanno inoltre lavorato con la tempera all'uovo ed emulsioni famosi artisti come: Boecklin, De Chirico, Annigoni e molti altri. Cos'è la tempera Per tempera - o come si diceva in italiano arcaico "tèmpra" - si intende il modo con cui mescolare e far solidificare il colore attraverso l'uso di alcuni ingredienti. Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli così definisce la tèmpera o tèmpra: "mescolanza di colori nella colla o nella chiara d'uovo, per dipingere su legno, gesso, tela e più specificatamente per le scene e decorazioni teatrali". Qui sono indicati come veicoli la colla e la chiara dell'uovo. In realtà si commette un profondo errore, perchè la chiara non è affatto l'elemento base della vera tempera all'uovo, come fa ben notare anche Eric Hebborn nel suo libro "Il manuale del falsario". La tempera alla chiara d'uovo fu invece largamente usata per la miniatura e per i messali, nonchè come vernice finale provvisoria, sfruttando la sua rapida capacità di essiccamento e indurimento. Tempera o gouache? Nel corso del novecento il termine "tempera" ha perso il suo originario significato. Spesso recandoci dal nostro coloraio di fiducia sentiamo qualche studente - ma anche molti professionisti - chiedere: "vorrei qualche tubetto di tempera". In realtà costoro non chiedono dei colori a tempera, ma dei colori per gouache ( o per guazzo come si diceva un tempo). Cioè una sostanziale e considerevole differenza tra tempera e gouache che intendiamo illustrarvi brevemente al fine di eliminare ogni equivoco. La pittura a guazzo o gouache, fu nei secoli scorsi molto utilizzata, sopratutto in Francia, per líesecuzione dei bozzetti preparatori per i lavori ad olio. Ma la sua diffusione è avvenuta a partire dall'ottocento, con il suo largo impiego nella cartellonistica pubblicitaria. Consiste nell'uso di pigmenti mescolati con colla, o gomma arabica (un tempo prevalentemente con la gomma dragante), e pigmento bianco ( in genere un bianco gessoso, costituito da carbonato di calcio, come il cosiddetto bianco di Medoun. La caratteristica del gouache è che si abbassa notevolmente di tono, dopo che il colore si è asciugato, la sua praticità risiede invece nella rapidità con cui si può
lavorare, specialmente quando occorre dipingere soggetti destinati alla riproduzione tipografica (cartelli pubblicitari, manifesti ecc.), che grazie al breve tempo di lavorazione e alla caratteristica opacità, ben si adattano alla riproduzione tipografica e anche alle sollecitazioni del committente, che generalmente pretende il prodotto finito per il giorno precedente alla commissione! La tempera a colla La tempera a colla ha avuto largo impiego in particolare nell'ambito della decorazione di pareti e più recentemente per la scenografia. La preparazione di questa tempera avviene mescolando i pigmenti con colle animali (colla di coniglio, colla di pesce, colla gelatina). La caratteristica positiva di questa tempera è la grande luminosità, ma la materia è piuttosto fragile e inoltre soggetta a lasciare macchie asciugandosi. Per le opere pittoriche si adatta in prevalenza per piccoli formati. La tempera a colla si prepara facilmente mescolando i pigmenti con colla gelatina o di coniglio sciolta in acqua calda. Purtroppo i toni di questa tempera mutano notevolmente dopo che il colore si è asciugato. Si possono fare delle buone tempere anche con la colla di farina, di questa tempera troverete la ricetta più avanti. La tempera a cera Questa pittura è un sistema misto tra l'encausto e la tempera. Una sorta di encausto a freddo. Nel Medio Evo fu sperimentata l'introduzione della cera e delle resine nella pittura a tempera. E' certo che produce una pittura molto resistente anche all'umidità. Per poter utilizzare questa tempera si doveva rendere la cera miscibile con l'acqua e per tale scopo veniva utilizzata la calce in funzione di alcale. In età moderna si è utilizzata allo stesso scopo l'ammoniaca. La tempera all'uovo La tempera dei quattrocentisti italiani ci è stata tramandata grazie al "Libro dell'arte" del pittore e scrittore d'arte Cennino Cennini (1370-1440). In questo trattato líautore descrive come gli artisti del tempo preparavano i supporti sui quali dipingere, come dipingevano, e particolarmente - per quello che interessa a noi come si faceva la tempera (capitolo LXXII). Il Cennini spiega che ci sono due maniere di fare la tempera, una migliore dell'altra. La prima consiste nel battere il tuorlo d'uovo con le mozzature dei rami di fico. Il liquido che fuoriesce dai giovani ramoscelli tagliati va mescolato al tuorlo d'uovo in quanto ritarda l'essiccazione dei colori sulla tavolozza, favorendo la coagulazione e la conservazione dell'uovo, pare inoltre che abbia un'azione antisettica. Il secondo metodo indicato dal Cennini per fare la tempera è quello di mescolare il solo rosso d'uovo con i colori, e questa tempera è per l'autore buona per dipingere su qualsiasi superficie: muro, tavola o ferro. Se avete possibilità di visitare un museo o una chiesa che custodisce tavole del quattrocento, potrete notare come il colore fosse steso per sovrapposizioni e rifinito a tratteggio finissimo. Ovviamente questa pittura richiede grande pazienza e destrezza, che si acquisiscono con l'esperienza diretta, la cosa più importante è non scoraggiarsi se i risultati iniziali non sono soddisfacenti. I pigmenti I pigmenti, sono anche chiamati comunemente "terre" in quanto la maggior parte dei colori tradizionali (come quelli usati nella pittura parietale etrusca e romana) provengono da giacimenti naturali. L'alchimia prima e la chimica industriale poi, hanno aiutato l'arte con prodotti sempre più sofisticati e chimicamente puri, che hanno permesso la produzione di colori su scala industriale. Ovviamente di per sè la produzione industriale non garantisce il basso costo dei pigmenti, anzi come sappiamo alcuni colori hanno un costo molto elevato a causa della difficoltà di fabbricazione. Nonostante ciò la tecnologia viene incontro alle esigenze di chi non ha grandi possibilità economiche, attraverso la produzione di pigmenti affidabili, che imitano i colori più costosi, in tal modo anche gli studenti possono esercitarsi
con profitto senza spendere troppo. Per acquistare i pigmenti recatevi in una coloreria ben fornita, ma abbiate sempre presente le vostre concrete necessità, senza farvi tentare dalla vasta gamma di colori a disposizione. Come ci ricorda Eric Hebborn nel libro sopra citato, la tavolozza dei grandi artisti, era costituita di pochi colori fondamentali. Frans Hals e Rembrandt usavano una base di soli quattro colori
MURALE, PITTURA Nato in Messico agli inizi degli anni Venti, il muralismo ha contribuito a svecchiare le antiche prassi di pittura murale su grandi dimensioni, anche se molte tecniche sperimentali non hanno dato buoni risultati (nel senso della conservazione dell'opera stessa). Infatti i murales sono stati dipinti con varie tecniche, ma quasi mai sono "affreschi" nel senso tecnico della parola, poiché si tratta per la maggior parte dei casi di "pittura su muro" realizzati con leganti sintetici come il silicone o la piroxilina. PITTURA ALL'ACRILICO Di rapida essiccazione e di resa brillante, i colori acrilici sono sostanzialmente delle tempere magre, solubili in acqua, che invece dei leganti organici (come la tempera all'uovo) della grande tradizione, contengono leganti sintetici (a base, appunto, acrilica). Negli ultimi tempi, è diventato uno dei tipi di colore più usati per pittura da cavalletto, anche in sostituzione dell'olio, con i vantaggi rispetto a quest'ultimo, di asciugare prima e nel caso di una pittura per stesura, di accorciare moltissimo i tempi di lavoro, anche se trattandosi di un colore più magro, è più delicato (si riga facilmente) e ha gamme di colore generalmente più fredde e meno ricche dell'olio. PITTURA A RILIEVO Nasce verso la fine degli anni Cinquanta, all'interno di quei settori dell'avanguardia artistica che si prefiggevano di superare l'Informale con l'intento di sostituire all'osservazione emozionalmente partecipe del quadro coperto di colori vivaci, la contemplazione più decantata della superficie, spesso monocroma, di tele trattate, il cui disegno emergeva da contrasti di luce e ombra, come un bassorilievo.
TECNICHE MISTE SU CARTA Le cosiddette tecniche miste -una definizione arbitraria e del tutto soggettivaconsistono nella libertà di associare differenti mezzi grafici e pittorici tradizionali (matita, carbone, pastello, olio, smalti e così via) nel medesimo dipinto. Le tecniche miste su carta o su altri supporti, hanno un impiego essenzialmente moderno, ma già nel Medioevo e nel Rinascimento esistevano criteri di diversificazioni nei mezzi impiegati dai vari artisti che, in certi casi, davano luogo a mescolanze inusitate di ingredienti, come dimostra questo "Studio di panneggio" di Leonardo. COLLAGE Si tratta di un'opera pittorica ottenuta con la composizione di materiali vari incollati sulla tela o altri supporti. Con l'invenzione del collage (incollaggio) entriamo nell'ambito delle tecniche propriamente moderne, fra le quali questa viene occupando un posto particolare, in quanto non solo è una tecnica recente e di grande diffusione, ma ha veramente rivoluzionato l'arte contemporanea. ASSEMBLAGE Nato dallo sperimentalismo delle avanguardie storiche, in realtà non è una vera e propria tecnica, poiché questa è da considerarsi in riferimento a una materia ben precisata come ad esempio il pigmento di colore, e a regole altrettanto rigide che ne determinano le modalità d'uso. L'esasperazione del rifiuto di qualsiasi abilità manuale ha spinto l'artista a recuperare oggetti di uso comune e, senza
provocarne la benché minima modifica, ad assemblarli presentandoli come opere d'arte. ACQUERELLO L'acquerello si avvale di colori macinati solubili in acqua, precedentemente trattati con glicerina e gomma arabica. Vengono usati in stesure molto liquide e trasparenti. Nell'impasto si rinuncia totalmente al bianco come componente per ottenere tonalità di colore chiare e coprenti. In tale tecnica infatti, il massimo della luminosità è rappresentato dal fondo del supporto e la stesura del colore corrisponde a un continuo scalare verso le tonalità più scure e intense. Fino al primo Settecento non si può parlare di acquarello e guazzo in forma propria e autonoma. Nei secoli successivi fino al nostro, il dipingere con colore steso a velature in soluzioni acquose con gomma è servito a diversi momenti ed usi dell'arte: ad esempio, servì nei dipinti per donare loro una particolare tonalità o per aggiungere specifiche determinazioni; per saggiare l'esito cromatico nei disegni preparatori di opere maggiori; per colorare disegni d'architettura o addirittura le incisioni ; infine per le illustrazioni di opere di argomento botanico e zoologico. Tra i primi acquerelli in senso moderno sono quelli di A. Dürer; egli operò a disegno a penna acquerellato, fece studi di animali e di piante con colori ad acqua, fece disegni a pennello su carta colorata in azzurro o verde usato come tono medio tra lo scuro e il bianco, ma soprattutto restano di lui 31 fogli con rappresentazioni di paesaggio dove l'acquerello esalta la straordinaria luminosità dell'insieme e consente le notazioni più specifiche. La capacità dell'acquerello di riprodurre le atmosfere paesistiche lo fa comparire saltuariamente presso i pittori fiamminghi e olandesi del '600, finché si afferma con la straordinaria stagione del '700-800 inglese. Si tratta infatti di una tecnica che abbrevia di molto, se correttamente usata, il processo di trascrizione dell'immagine, e che mentre non è consona a una rigorosa definizione formale, è capace dei tocchi più allusivi e sintetici e di particolare vibrazione luminosa. In età romantica poi, l'ampio margine lasciato per queste caratteristiche all'esercizio della sensibilità doveva essere una delle componenti della sua fortuna. Il gusto per il paesaggio fornì uno dei grandi temi per l'uso dell'acquerello mentre si diffonde la pratica di dipingere d'aprés nature. I colori dell'acquerello devono essere particolarmente stabili alla luce. Principalmente si usano le terre e le ocre, i cobalti, i cadmi, gli oltremare, gli ossidi di ferro e di cromo. Molto importa la scelta del supporto e la sua qualità: pergamena, avorio, carta sono i più soliti. La carta utile è quella di stracci di filo; non quella di fibra di cotone o pasta di legno che ingiallisce e smorza i colori. La sua grana, se grossa o minuta, è scelta in rapporto all'esito che permette. Deve essere poco assorbente e senza untuosità, e per togliere ogni traccia di questa si può usare una passata di fiele di bue o di ammoniaca. La gomma arabica o del Senegal solitamente integra l'acqua come legante. Alcuni colori si miscelano con la gomma ad alta temperatura; diversa per ciascun colore è la quantità di gomma necessaria; se è poca, il colore asciugato si polverizza, se troppa, si fende in scaglie. Bisogna infine distinguere tra il disegno colorato ad acquerello e l'acquerello vero e proprio. Il disegno a matita, a penna, a sanguigna, a seppia, ad esempio, possono essere rinforzati con l'uso del colore ad acqua. In linea teorica possono essere distinti dall'acquerello nella misura in cui la definizione delle forme avviene ad opera dei mezzi detti e non per solo colore. Per l'acquerello solitamente il pittore si vale di una lieve traccia a matita di piombo o di carbone, che serve per la distribuzione generale delle parti per una prima individuazione delle forme. Per acquerello si intende una pittura ad acqua, in cui i pigmenti colorati, finemente macinati, vengono impastati con gomma arabica, cioè con resina d'acacia diluita in acqua pura o distillata, integrata, talvolta, con l'aggiunta di piccole parti di miele, zucchero o glicerina e stesi, solitamente, su un supporto di carta. La caratteristica propria dell'acquerello è data dal fatto che tanto più gli strati di colore, stesi a velature, risultano acquosi e leggeri, tanto più contribuiscono a rendere
trasparente il soggetto raffigurato. Nella tecnica dell'acquerello i toni chiari e le luminosità più intense si ottengono, per trasparenza, mettendo in evidenza il bianco e il chiaro del supporto pittorico che può essere di carta, ma anche di pergamena, di porcellana e vetro: ne caso della carta è preferibile ricorrere all’uso di una carta che non ingiallisca e non spenga i colori. Il termine acquerello, già in uso alla fine del secolo XIV, indicava in origine un procedimento di ombreggiatura di schizzi, disegni o bozzetti, anche a soggetto a architettonico: il dipingere con colore steso a velature in soluzioni acquose serviva infatti per donare ai dipinti una particolare tonalità, per valutare l’esito cromatico nei disegni preparatori, per tinteggiare i disegni d’architettura e per illustrare opere a carattere botanico o zoologico. Fino al primo Settecento comunque non si può parlare di acquerello come di una forma artistica propria ed autonoma, nonostante i diversi modi di impiego sopra ricordati: la maggiore immediatezza dell’esecuzione determinò la diffusione di questa tecnica a partire dalla seconda metà secolo XVIII in Inghilterra, paese nel quale maggiormente si affermarono le idee sensistiche, cioè le idee legate a quella dotrina filosofica secondo la quale tutte le conoscenze si riducono a sensazioni. Se agli Olandesi spettò il merito di avere realizzato i primi paesaggi su carta utilizzando colori diluiti in acqua e resina, è agli Inglesi che va riconosciuta la capacità di avere perfezionato e largamente usato la tecnica dell'acquerello per rappresentare vedute di città, di paesaggi marini e di nature morte: abbreviandosi infatti notevolmente il processo di trascrizione dell'immagine, l’artista aveva maggiore possibilità di esprimere la propria sensibilità e la propria fantasia attraverso la pennellata. A determinare inoltre la fortuna dell'acquerello fu, alla fine del Settecento, oltre all’immediatezza dell’esecuzione, anche la moda di decorare mobili, paraventi od oggetti di uso quasi quotidiano ed il diffondersi della pittura, e quindi dell'esercizio dell'acquerello, nell'educazione delle ragazze appartenenti ai ceti borghesi. FOTOPITTORICHE, TECNICHE La fotografia rivela, fin dall'inizio, una lontana parentela con la pittura. Alcuni dei grandi pionieri dell'uso della fotografia come mezzo artistico in senso lato (usata cioè con finalità non strettamente "fotografiche"), come Man Ray o Moholy-Nagy, sono in effetti sia fotografi, sia pittori e adoperano quindi questo strumento con intenzionalità complesse. Potremmo dire che usano la foto come tecnica al servizio della pittura. Più recentemente, Andy Warhol, riconoscendo che il linguaggio della fotografia è quello che caratterizza i modi di comunicazione e documentazione della nostra epoca nei suoi aspetti più tipici, lo ha inglobato all'interno della sua arte. Egli adopera fotografie di cronaca alle quali poi conferisce, attraverso vari accorgimenti, lo statuto di immagini pittoriche. AEROGRAFO Lo strumento è costituito da due elementi distinti. Il compressore, il primo elemento, è un motore elettrico a pistone o a membrana che aspira aria dall'atmosfera e la comprime in una bombola, da cui fuoriesce poi attraverso tubi flessibili per essere trasferita alla pressione desiderata (2 o 3 atmosfere) nel secondo elemento: l'aerografo vero e proprio, il quale consiste in una pistola recante il serbatoio del colore e dotata di uno stantuffo che mosso dal dito permette l'afflusso dell'aria, che si miscela con il colore, combinandosi in una miscela nebulizzata che fuoriesce dall'ugello posto sulla punta dello strumento. Nel serbatoio si possono mettere colori acrilici, a olio, solubili in alcol, o tempere. DIGITALE, PITTURA Intendendo l'opera d'arte come il risultato di un equilibrio sottile tra due elementi quali tecnica e grazia creativa, per la sua "oggettivazione" non si può mai prescindere dalla componente tecnica e ci si deve pertanto necessariamente rivolgere di volta in volta, al complesso delle risorse tecnologiche disponibili storicamente. A pieno titolo quindi, l'informatica, frutto della scienza del nostro secolo, è destinata ad incontrarsi con l'arte e a generare con essa nuovi linguaggi. Di fatto ci troviamo di fronte ad una tecnologia straordinaria destinata, se usata
correttamente, a fornire importanti contributi al progresso della storia dell'immagine. La grandissima diffusione di software dedicato alla grafica e al painting, ha portato molti artisti e grafici ad utilizzare questi mezzi straordinari e innovativi. PITTURA POLIMATERICA La pittura polimaterica è stata realizzata per la prima volta nel corso del XX sec., in coincidenza con le prime affermazioni delle "avanguardie storiche". Generalizzando, l'attenzione alle possibilità espressive delle materie extrapittoriche è subordinata all'emergere di un nuovo modo di intendere l'opera d'arte, che si propone come composizione o costruzione in sé autonoma, cessando di essere rappresentazione di qualcosa che sta al di fuori dei canoni tradizionali. Pertanto lo spazio del quadro finisce con l'essere un'ipotesi di spazio reale, in cui il colore può diventare sia un luogo preposto a favorire particolari sinergie tra elementi appartenenti a diverse categorie di materiali -come vetro, pietre, oggetti d'uso e così via- sia un'occasione in cui il puro dato cromatico si materializza mischiandosi con materie come sabbia, cenere o altro. MOSAICO Il mosaico è una decorazione parietale o pavimentale ottenuta accostando e variamente componendo cubetti, o frammenti colorati di pietra, vetro e simili. I primi mosaici dai requisiti formali degni di un'opera d'arte risalgono all'antica cultura egea, che impiegava questa tecnica essenzialmente per le pavimentazioni: tradizione questa, che si protrasse sino all'epoca romana. Nel periodo bizantino il mosaico raggiunse, utilizzando al massimo le possibilità cromatiche delle tessere in vetro fuso, quella raffinatezza tecnica e formale che magistralmente interpretò lo stile dell'epoca. TECNICHE PLASTICHE SCULTURA Per scultura si intende l’arte dello scolpire, cioè del lavorare materiale duro quale il marmo o la pietra asportandone parti successive con appositi strumenti, allo scopo di realizzare forme o figure. La specificità della scultura come arte del "levare", propria dell’età rinascimentale, sembrerebbe quindi rimandare solo ad un prodotto ottenuto mediante l’operazione dell’intaglio e dell’incisione: in conformità a quanto già avveniva nel mondo latino, il termine scultura ha invece un’accezione più ampia, comprensiva non solo della marmoraria o scultura, considerata come arte di lavorare il marmo o la pietra, ma anche della statuaria, intesa come arte di realizzare statue di bronzo, e della plastica, cioè dell’arte del modellare la creta o la cera. SCULTURA IN METALLO L'uso dei metalli nella produzione di oggetti non esclusivamente utilitari o di arte applicata ma aventi un valore espressivo autonomo è già presente nelle civiltà protostoriche; ma è soltanto in epoca storica che la lavorazione del metallo diventa una delle tecniche più importante dell'arte plastica. La scultura monumentale in metallo nell'Oriente antico come in Etruria e nella Grecia arcaica rimase legata alla tecnica primitiva del martellamento a freddo di lamine metalliche, mentre le tecniche della colatura del metallo fuso entro stampi e forme furono impiegate soltanto per le sculture di piccole dimensioni. Fu soltanto verso la fine del VI secolo, in Grecia, che la tecnica delle della fusione soppianto definitivamente quella del martellamento delle lamine, per diventare la tecnica pressoché esclusiva nella produzione di sculture in metallo. Il metallo, infatti, per le sue caratteristiche di durezza ed elasticità, non può essere lavorato direttamente, cioè plasmato come l'argilla o scavato come la pietra e il legno, ma va adattato a un modello o a una matrice di altro materiale.
La tecnica della fusione a cera perduta con anima interna di argilla viene utilizzata sistematicamente in Grecia a partire dal V secolo. In seguito, la scultura in metallo è sempre rimasta legata alla tecnica della fusione a cera perduta. Poiché presuppone la preparazione di una matrice e consente la riproduzione in serie, la tecnica della fusione presenta un carattere precocemente industriale. LAVORAZIONE DIRETTA: MARTELLAMENTO DELLE LAMINE, SBALZO, CESELLATURA, INCISIONE. Nell'antico Egitto come in Grecia prima del V secolo, la tecnica adottata prevalentemente per realizzare opere di scultura in metallo di grandi dimensioni fu quella di lavorare col martello lamine di rame o di bronzo e poi applicarle su una struttura di legno. La lamina metallica poteva essere modellata a rilievo sia battendone con punzoni la superficie interna, sia martellando la superficie esterna su un modello di materiale duro, in modo che la lamina vi si adattasse. Naturalmente per comporre una statua di grandi dimensioni era necessario modellare parecchie lamine e quindi montare le lamine modellate fissandole su chiodi di rame o di bronzo su un'anima di legno. Poiché il metallo, in seguito alla battitura, diventa più duro, per proseguire il lavoro si rende necessario scaldare la lamina al color rosso e poi lasciarla raffreddare lentamente; in tal modo essa riacquista la primitiva elasticità senza per questo cambiare forma. Le operazioni di martellamento e di ricottura venivano ripetute diverse volte finché la lamina avesse raggiunto la forma voluta. TECNICHE DELLA FUSIONE I MODELLI La preparazione del modello rappresenta il momento più importante dell'intero processo di fusione, poiché il metallo non può essere scolpito o modellato direttamente come un blocco di pietra o di legno o un pezzo d'argilla, ma va adattato meccanicamente (attraverso la colatura allo stato fluido) a una forma già esistente. LE FORME Già a partire dal III millennio la conoscenza della tecnica della fusione a cera perduta rese possibile gettare in bronzo oggetti anche molto complessi mediante una forma d'argilla di un solo pezzo plasmata su un modello di cera: la cera veniva eliminata per fusione e la cavità che ne risultava veniva riempita con il metallo fuso. Poiché il modello di cera in un primo tempo era massiccio, tale risultava anche il getto, per cui questa tecnica si prestava soltanto alla produzione di sculture di piccole dimensioni. Fu soltanto con l'adozione di un modello di cera fornito di un'anima di terra che la tecnica del getto bronzeo poté avere un autentico sviluppo sul piano della produzione artistica e in particolare della statuaria monumentale: con il nuovo procedimento il metallo fuso riempiva soltanto l'intercapedine lasciata dalla fusione della cera tra l'anima interna della terra e la forma esterna pure in terra, e questo permetteva un grande risparmio di materiale e la produzione di oggetti relativamente leggeri, perché internamente cavi, e tecnicamente soddisfacenti, perché di spessore sottile e uniforme. Nei primi periodi di utilizzo di questa tecnica la tonaca di terra viene rotta con lo scalpello, e anche l'anima interna viene rimossa. Si ottiene così l'opera finita, in esemplare unico a causa della rottura della forma e della perdita del modello di cera. Con l'evoluzione della tecnica e per semplificare questa operazione attenuando il pericolo di una fusione imperfetta, cui non è possibile rimediare per la perdita del modello di cera, si ricorse spesso a l'usanza di fondere separatamente le varie parti di una statua e poi di unirle l'una all'altra con chiodi, perni e soprattutto saldature. A partire dal III secolo a.C. il procedimento classico, che portava alla perdita del modello, cominciò a essere sostituito con uno più perfezionato, quello negativo a tasselli (una forma di gesso a tasselli, cioè divisa in diversi pezzi smontabili). La tecnica della forma a tasselli, elaborata in età ellenistica, venne largamente impiegata a Roma per i ritratti e per i grandi bronzi, mentre il vecchio metodo della
modellazione diretta della cera continuò ad essere usato nelle sculture più piccole. Nel generale declino delle attività metallurgiche seguito alla fine dell'epoca classica, si perdette la conoscenza anche della tecnica del calco a tasselli, e il procedimento più semplice della modellazione diretta tornò in uso nella fusione di campane, fonti battesimali e porte di chiese. Per questo motivo in genere i bronzi medioevali hanno uno spessore enorme e sono frequentemente deturpati da imperfezioni di fusione. Soltanto alla fine del Rinascimento tornò in uso il sistema del calco a tasselli, di cui, come si è detto, si era perduta la conoscenza dopo l'età classica. In quegli anni la tecnica del getto e la conoscenza delle leghe avevano compiuto un tale progresso da rendere veramente proficuo, per la prima volta dopo l'età classica, il procedimento del negativo a tasselli. Esso impresse alla produzione un carattere semi-industriale che liberò l'artista dalla fatica dell'esecuzione e consentì la fusione di un certo numero di repliche di ottima qualità partendo da un modello originale. Questo processo di divisione del lavoro toccò il suo culmine allorché il fonditore fu in grado di gettare dei bronzi assolutamente fedeli al modello originale. Ma ancora nella scultura barocca l'intervento finale di cesellatura del getto da parte dell'artista, o comunque il suo diretto controllo sull'operato degli aiuti, conservò una certa importanza. Nell'Ottocento, invece, anche la rifinitura del getto si ridusse a un lavoro meccanico di correzione e di rimozione delle prominenze corrispondenti agli sfiati, che poteva essere eseguito dallo stesso fonditore. Questo procedimento è quello impiegato ancora oggi dagli artisti legati alla tecnica, se non alle forme tradizionali. La sola differenza, rispetto al passato, consiste nell'introduzione di materiali nuovi, come la gelatina e le resine sintetiche, al posto del gesso. METALLI USATI IN SCULTURA Il rame è il metallo più importante fra quelli utilizzati nella metallurgia artistica. Questo è dovuto alla sua abbondanza in natura, per le sue caratteristiche di durezza, malleabilità e resistenza agli agenti atmosferici e infine, per le particolari qualità delle sue leghe, i bronzi e gli ottoni. Grazie alla sua malleabilità il rame è particolarmente adatto alla lavorazione in lamine. Anche l'oro e l'argento si prestano a questo scopo, ma la loro rarità ne limita l'uso. Poiché presenta una temperatura di fusione abbastanza alta (1085°) e uno scarso grado di fluidità allo stato di fusione, il rame non è particolarmente adatto alla colatura entro forme. Questi limiti vengono superati con l'aggiunta al rame di alcuni metalli bianchi a basso punto di fusione, come lo stagno, lo zinco e il piombo, che danno origine a leghe il cui punto di fusione è tanto più basso quanto maggiore è la percentuale di questi metalli; inoltre le leghe del rame, allo stato di fusione, presentano un grado di fluidità che consente il riempimento delle forme e fornisce getti omogenei. La lega usata più frequentemente nella fusione è il bronzo. Il più importante tra i metalli dolci che entrano nelle leghe bronzee insieme al rame è lo stagno. La conoscenza relativamente recente della lavorazione del metallo applicata all’arte plastica, la complessità della tecnica metallurgica insieme alla particolare difficoltà di rappresentazione artistica hanno determinato il ritardo dell’affermazione della scultura in metallo rispetto a quelle in pietra, legno ed argilla. Il metallo, infatti, per le sue caratteristiche di durezza ed elasticità, non potendo essere lavorato direttamente, andava adattato ad un modello o ad una matrice di materiale diverso: nel primo caso il metallo, ridotto in lamine, veniva modellato ed applicato su un supporto in legno o in pietra; nel secondo caso invece era fuso e colato in stampi o forme di argilla cotta. TECNICA DELLA FUSIONE IN FORMA APERTA La tecnica della fusione del bronzo avveniva in stampi e forme aperti, sulle quali era stato precedentemente inciso in negativo la forma dell’oggetto che si desiderava riprodurre. Il metallo fuso, una volta colato negli stampi di pietra o
argilla, permetteva di produrre oggetti forniti di una superficie modellata e di una piatta, quali armi ed utensili. In un secondo tempo il ricorso a forme cave a due valve, eventualmente composte anche di più parti combacianti, ottenute per calco di argilla o di gesso da una forma in positivo per lo più di argilla, diede la possibilità di produrre oggetti più complessi, modellati sulle tre dimensioni. Questa tecnica aveva raggiunto a partire dalla metà del III millennio un alto grado di perfezione soprattutto in Asia Minore ed in Egitto. Tecnica della fusione a cera persa piena Questo era il metodo maggiormente in uso per realizzare oggetti di piccole dimensioni. Il manufatto doveva essere preliminarmente modellato in cera per definirne sia la forma che i particolari della decorazione: doveva inoltre essere dotato di una parte terminale di forma troncoconica, via di ingresso per la colata del metallo fuso. Una volta realizzato, il modello veniva posizionato rovescio, con il canale d’ingresso posto verso l’alto, all’interno di una cassaforma, cioè di una cassa avente quattro pareti mobili disposte verticalmente su un piano: era quindi ricoperto da un impasto liquido, formato da terracotta e sabbia finemente tritate e mescolate con acqua. L’impasto, una volta consolidatosi, aderiva alla cera prendendone l’impronta: a questo punto la forma ottenuta veniva sottoposta a calore, in modo tale che il riscaldamento prodotto, unitamente alla posizione rovesciata del modello, favorisse la fuoriuscita della cera attraverso un apposito foro. Scioltasi e fuoriuscita la cera, all’interno della cassaforma rimaneva uno spazio vuoto corrispondente al volume dell’oggetto in metallo da realizzarsi. A questo punto veniva versata la lega metallica nel cono precedentemente formato e, dopo i necessari tempi di raffreddamento, si recuperava il manufatto rompendo la cassaforma che lo racchiudeva: le eventuali sbavature o imperfezioni venivano tolte con opportune operazioni di rifinitura e di lucidatura. Tecnica della fusione a cera persa cava Questa tecnica era adottata per la realizzazione di statue bronzee di grandi dimensioni. Diversamente da quanto avveniva per la fusione a cera persa piena in cui il manufatto era plasmato prima in cera, con la tecnica della fusione a cera persa cava il modello era invece realizzato in argilla e rafforzato con un'armatura di ferro, indispensabile sia per evitare che, durante la colata, il modello cedesse sotto il peso del metallo, sia per fissarlo saldamente alla forma, in modo tale che non si muovesse dopo la fusione della cera. La figura da realizzare veniva quindi plasmata con un sottile strato di cera, ricoperta di argilla, posizionata in una cassaforma e sottoposta a calore, secondo il metodo usuale: una volta sciolta la cera, si colava il bronzo liquido nell’intercapedine venutasi a creare con la sua fuoriuscita. La statua risultava così cava e ciò consentiva condizioni vantaggiose sia a livello economico che tecnologico: tale procedimento di fusione permetteva infatti sia l’utilizzo di una minore quantità di metallo, e di conseguenza il risparmio di materia prima, sia la possibilità, conservando il modello, di riprodurlo in serie. Il modello, una volta raffreddato e liberato dalla forma di terra, si presentava avvolto dalla rete di canali e sfiati, che erano serviti a fare defluire l’aria e la cera dall’intercapedine, riempita poi con il metallo fuso. Le sporgenze che erano servite per tenere fissata la forma al nucleo venivano successivamente asportate con la sega e con lo scalpello. Per attenuare il pericolo di una fusione imperfetta, si ricorse all’uso di fondere separatamente le varie parti di una statua, per poi unirle l’una all’altra con chiodi, perni e saldature. SCULTURA IN PIETRA I materiali usati nella scultura in pietra sono costituiti da numerose rocce sedimentarie e matamorfiche, più o meno tenere, (steatite, alabastro gessoso, tufo, travertino, arenarie, calcari di diversi colori) e da alcune rocce ignee molto dure, a struttura micro o macrocristallina, come i basalti; i porfidi, i graniti, le dioriti. I marmi bianchi, che sono calcari matamorfosati di media durezza, possono essere accorpati alla prima tipologia. La caratteristica essenziale delle pietre usate dallo scultore deve essere la
compattezza, perché il blocco deve opporre una resistenza uniforme alla lavorazione senza sfaldarsi o rompersi lungo direttrici di frattura. Grande preoccupazione suscitò sempre la presenza non prevedibile di piccole fratture e crepe all'interno del blocco. Nell'antico Egitto trovarono un largo impiego porfidi, basalti e graniti, preferiti per la durezza e la struttura cristallina a simboleggiare preziosità e durata. Nella scultura occidentale dominano i marmi bianchi, prediletti per la statuaria dall'età classica ad oggi: l'omogeneità della struttura e l'equilibrato grado di durezza favoriscono la lavorazione, mentre il colore bianco uniforme valorizza al massimo il gioco delle ombre e delle luci e non interferisce nell'immagine. Evidentemente inadatti alla rappresentazione scultorea sono i marmi screziati e colorati, usati normalmente nella decorazione architettonica. I modi fondamentali usati dallo scultore per lavorare la pietra sono tre, e ad essi corrispondono i gruppi fondamentali di strumenti usati. Gli scalpelli di varie forme battuti con le mazze e i mazzuoli servono per far saltare dal blocco schegge più o meno; i trapani di vari tipi vengono impiegati per forare la pietra; lime e abrasivi naturali (pomice, smeriglio, ecc.) ne levigano infine la superficie. A differenza della scultura in bronzo, nella scultura in pietra e in legno l'uso del modello preparatorio in cera o in argilla non è strettamente necessario. In pratica però, dato che ogni modificazione apportata a un materiale duro è definitiva, dai tempi più antichi si pensò di usare dei modelli che servissero da come punto di riferimento durante la lavorazione del blocco. Quindi anche nella scultura in pietra è stato diffuso l'uso di bozzetti plastici e soprattutto modelli disegnativi. In tutta la scultura preclassica e più tardi in quella medioevale, la lavorazione era condotta contemporaneamente su tutta la superficie del blocco, approfondendo via l'intaglio a strati successivi. Più tardi, a partire dal V secolo a.C., avviene l'adozione del modello in creta e il riporto meccanico delle misure col sistema dei punti, portando a compimento singole parti della statua. La pratica del riporto delle misure dal modello al blocco partendo dai punti più sporgenti mediante il filo a piombo è documentata a partire dalla prima metà del V secolo in Grecia. Le distanze tra i fili e le superfici e la superficie del modello venivano riportate sul blocco con allineamenti perpendicolari di fori di profondità corrispondente alle distanze misurate, e la pietra eccedente veniva asportata con lo scalpello fino a scoprire la superficie voluta. In età ellenistica e romana questa tecnica del riporto delle misure viene ulteriormente perfezionata e porta a scolpire le parti della statua separatamente sulla base di modelli fissi per poi essere montate a incastro con perni metallici; l'esecuzione o la rifinitura delle parti più importanti poteva essere opera dell'artista, ma l'intervento degli artigiani e degli aiuti tagliapietra era preponderante. La tecnica del riporto delle misure col filo a piombo torna nuovamente in uso a partire dal Quattrocento come dimostra il trattato di Leon Battista Alberti "De statua". Con l'affinamento della tecnica e l'uso delle squadre per i quattro piani fondamentali si arriva alla costruzione di telai quadrati e di strutture lignee su cui erano fatti scorrere i fili a piombo. A partire dall'Ottocento il metodo del filo a piombo venne sostituito con quello della crocetta. La crocetta è uno strumento di legno o di metallo munito di tre punti di ferro che vengono fissate su tre punti scelti tra i più sporgenti del modello - i capi punti - e consentiva all'artigiano abbozzatore di avvicinarsi maggiormente al modello eseguito dall'artista mediante il riporto di un numero grandissimo di punti. Salvo casi eccezionali le sculture in marmo dell'Ottocento (e del Novecento) non sono che in minima parte opera dell'artista ideatore. Questi prepara un modello in creta perfettamente compiuto, e poi interviene soltanto per le ultime finezze del modellato. Il resto è opera del formatore, che compie una prima traduzione del modello dalla creta al gesso, e di artigiani specializzati che abbozzano e in larga parte modellano il marmo. Il dibattito teorico sul primato dei generi e delle arti sviluppatosi nel Rinascimento riconosceva alla scultura in pietra una dignità maggiore rispetto alle altre tecniche statuarie, relegate, secondo una tripartizione gerarchica, ad un ruolo secondario. A
tale proposito se Michelangelo teorizzava che per scultura è da intendersi solo quell’arte che "... si fa per forza di levare; quella che si fa per via di porre è simile alla pittura", il Vasari, ad ulteriore conferma, affermava che la specificità della scultura consisteva proprio nel fatto del levare "... il superfluo dalla materia suggetta", cioè dalla pietra, per "...ridurre a forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata". Diversi sono i materiali usati nella scultura in pietra, raggruppabili secondo le loro caratteristiche fisiche, chimiche, dell’origine geologica o dell’impiego nella pratica: 1 gruppo: comprende rocce sedimentarie e metamorfiche più o meno tenere, come la steatite, l’alabastro, il tufo; 2 gruppo: è composto da marmi bianchi, calcari metamorfosati di media durezza a struttura visibilmente cristallina; 3 gruppo: comprende alcune rocce molto dure, a struttura micro o macrocristallina, come i basalti, i porfidi e i graniti. La caratteristica essenziale delle pietre usate dallo scultore è la compattezza, in quanto il blocco deve resistere in maniera uniforme alla lavorazione, non deve cioè sfaldarsi o rompersi. Nella botteghe artigiane del Rinascimento l’artista iniziava il suo lavoro intagliando direttamente il blocco, senza fare procedere alla fase esecutiva una fase di progettazione. Considerando il fatto che ogni modifica apportata a un materiale duro risulta definitiva, in quanto a questo non è possibile aggiungere ma solo togliere materia, fin dai tempi più antichi gli scultori hanno fatto ricorso all’uso di modelli di piccole dimensioni, in creta o in cera, che servivano sia per l’elaborazione iniziale dell’idea plastica sia come punto di riferimento durante la lavorazione: le misure del modello venivano infatti riportate sul blocco o con il compasso da scultore o con il filo a piombo, partendo dai punti più sporgenti. Il blocco di pietra informe, dopo essere stato inizialmente sgrossato con punte di ferro, veniva sbozzato con uno scalpello a taglio detto gradina, la cui estremità, divisa in tre denti, lasciava sulla superficie di marmo caratteristici segni bianchi, eliminabili con gli scalpelli veri e propri. Al lavoro della gradina faceva quindi seguito quello degli unghietti, delle puntine e dei grossi trapani, che servivano per definire i sottosquadri, cioè le parti rientranti in profondità. Per rifinire e modellare definitivamente nei dettagli l’opera scultorea si ricorreva, quindi, all’uso di un trapano particolarmente fine, il violino, che serviva per precisare ulteriormente i sottosquadri e gli isolamenti, cioè le parti in forte distacco dal corpo, nonché all’utilizzo di lime ed abrasivi naturali che permettevano di levigare la superficie. La testa e gli arti, che venivano generalmente modellati a parte e uniti al corpo della scultura solo prima della levigatura finale, erano attaccati con perni di metallo: per questo motivo, a seguito del progressivo deterioramento dei perni, molte opere scultoree hanno perduto nel tempo la testa o le braccia. Nel Quattrocento per riportare le misure si ricorreva, secondo il sistema di Leon Battista Alberti, all’uso del definitore, cioè di uno strumento di forma cilindrica formato da un cerchio graduato che, posto orizzontalmente rispetto al piano di lavoro, era fissato sulla sommità del modello. Al centro del cerchio era posto un braccio girevole, anch’esso graduato, dal quale scendeva fino a terra un filo a piombo, che poteva essere spostato lungo il braccio stesso: per rilevare un punto qualsiasi del modello l’artista ruotava quindi il braccio girevole fino sulla verticale del punto e faceva scorrere il punto d’attacco del filo a piombo fino al momento in cui il filo sfiorava il punto considerato. Effettuata questa operazione, lo scultore procedeva alla lettura delle tre misure fondamentali che erano l’angolo segnato dal braccio girevole sopra il cerchio graduato, la distanza tra il centro del cerchio e il punto d’attacco del filo a piombo ed infine la distanza tra il punto da rilevare e il piano terreno, misurata lungo il filo a piombo. Fino al XIX secolo il metodo maggiormente in uso per rilevare il rilievo di un modello era comunque quello di misurare la profondità dei vari punti, partendo da un piano frontale, materializzato da una squadra: questa era costituita essenzialmente da un braccio orizzontale poggiato a terra e da un braccio verticale, che permettevano di misurare le coordinate orizzontali e verticali del punto da rilevare. Una squadra identica, applicata al blocco di marmo, serviva come punto di riferimento per riportare le tre misure rilevate, cioè l’altezza da terra, la distanza dal braccio verticale e la profondità rispetto al piano di squadra. Questo
sistema portava a lavorare la statua come un bassorilievo, mettendo cioè in luce prima i punti più sporgenti e poi successivamente quelli situati in maggiore profondità, in una sola direzione perpendicolare al piano della squadra cosicché, per poter scolpire anche la parte opposta rispetto a quella da cui si era cominciato, era necessario disporre di altre squadre con le quali ricominciare le misurazioni. L’uso delle squadre per i quattro piani fondamentali portò alla costruzione di telai quadrati e di gabbie lignee su cui erano fatti scorrere i fili a piombo. La determinazione delle misure effettuate in questo modo risultava più pratica rispetto a quella ottenuta con il braccio girevole, in quanto i quattro piani fondamentali coincidevano con le facce del blocco, tagliato normalmente in forma di parallelepipedo. Nell’Ottocento il metodo del filo a piombo fu sostituito con quello della crocetta: esso consentiva all’artigiano abbozzatore di avvicinarsi maggiormente al modello eseguito dall’artista mediante il riporto di un numero grandissimo di punti. La crocetta era uno strumento di legno o di metallo munito di tre punte di ferro che venivano fissate su tre punti scelti tra i più sporgenti del modello. Per cercare nuovi punti si usava un braccio articolato terminante in una quarta punta, che era fissato sulla crocetta e poteva essere fatto scorrere in tutti i sensi mediante tre viti. SCULTURA IN TERRACOTTA La tecnica della terracotta ha accompagnato lo sviluppo delle civiltà preistoriche, protostoriche e storiche: ad essa era infatti legata non solo la produzione di oggetti di uso pratico-quotidiano quali mattoni, tegole, vasellame, stoviglie, ma anche la realizzazione di oggetti di un certo valore decorativo come i rivestimenti dei templi, le ornamentazione architettoniche nonché la creazione di vere e proprie opere di plastica quali statue, bassorilievi, busti o piccole figure votive. Considerata per tradizione scultura di seconda categoria la plastica in terracotta, dopo un periodo di notevole fortuna conosciuto appunto durante l’antichità, conobbe un momento di minore diffusione in epoca medievale e gotica, periodo durante il quale la modellazione in creta venne relegata prettamente alla realizzazione di immagini votive e di stilizzate decorazioni architettoniche. E’ solo con il Quattrocento che la plastica in terracotta recuperò una propria dignità artistica, affermandosi non solo come strumento per la realizzazione di bozzetti e di modelli plastici per studio o esemplificazione di lavori scultorei, ma anche come statuaria, cioè come tecnica artistica vera e propria il cui modus operandi si caratterizzava per l’aggiunzione o l’eliminazione della materia. Per terracotta si intende un impasto di argille locali, modellato e cotto al forno, con o senza rivestimento di superficie, il cui campo di applicazione è particolarmente vasto. Il principio della lavorazione degli impasti di argilla è basato su processi esecutivi più o meno perfezionati di correzione e di purificazione delle argille, individuabili in: - impasto: consiste in una serie di trattamenti aventi lo scopo di depurare l’argilla da possibili inclusioni grossolane e di lavorare la base argillosa ottenuta mescolandola con acqua ed altri componenti minerali, fino a raggiungere una sostanza plasmabile. L’argilla si può presentare in forma primaria o secondaria: nel primo caso si tratta di argille che, rimaste negli stessi terreni nei quali si sono formate, derivano direttamente dalla decomposizione chimica delle rocce e sono quindi caratterizzate da scarsa plasticità; nel secondo caso si tratta invece di argille primarie che l’erosione degli agenti atmosferici e i movimenti della terra hanno allontanato dal terreno in cui si sono formate le quali, combinate con impurità minerali, presentano un alto grado di plasticità; - modellazione: l’impasto di argilla, dopo essere stato preparato nei modi descritti, veniva lavorato attraverso la pressione delle mani e successivamente plasmato con le dita: attraverso quindi un lavoro di compressione della materia, assottigliamento e scavo della stessa l’artista, avvalendosi di utensili di vario genere, otteneva la forma desiderata eliminando o aggiungendo materia. Durante questa fase della lavorazione era assolutamente indispensabile mantenere intatta la plasticità del materiale, conservandolo costantemente umido, al fine di evitare una parziale essiccazione delle parti da assemblare, cosa che avrebbe
compromesso la saldatura finale; - sezionamento-incollaggio-svuotamento: durante la realizzazione di opere di una certa dimensione, per praticità costruttiva, l’artista modellava separatamente alcune parti allo scopo sia di contenere il più possibile la materia plasmabile, sia di agevolare un’essiccazione ed una cottura uniforme delle stesse. Le varie parti venivano inseguito assemblate fra loro con la barbottina, cioè con una miscela di acqua ed argilla. Come tutti i materiali contenenti acqua, l’argilla è soggetta al ritiro, cioè a quel fenomeno in base al quale i materiali a struttura cellulare, come il legno e le masse plasmabili (argille, gessi, calce), acquistano o modificano il loro stato fisico in funzione della presenza o meno di acqua. L’essiccazione conseguente all’evaporazione dell’acqua produce in tutti questi materiali una variabile dimensionale non omogenea all’interno della massa, reazione questa che determina le modificazioni e/o la presenza di deformazioni, nonché la possibilità di frantumazione per esplosione durante la cottura. Una delle prime preoccupazioni dell’artista era quindi quella di ridurre il più possibile l’ampiezza e le conseguenze di questo fenomeno: per questo motivo tanto gli scultori che utilizzavano come materiale base la terracotta quanto quelli che si servivano invece del legno erano soliti scavare le sculture a tergo al fine di ridurre la massa e con essa il peso della figura. Per effettuare questa operazione l’artista creava un supporto molto solido di legno o di ferro, di forma simile alla posizione che voleva fare assumere alla statua, e lo rivestiva di terra creta. A modellazione avvenuta l’oggetto subiva un processo di essiccazione che poteva avvenire per esposizione all’aria oppure in ambiente caldo, affinché, per deumidificazione, la pasta acquistasse consistenza e stabilità. Lasciato un leggermente indurire il modello, l’artista sezionava la statua, in vari punti con un filo di corda molto resistente o con un filo di ferro: per effettuare questo procedimento seguiva, probabilmente, una prassi ben precisa consistente nel sezionare prima le mani, poi la testa, e così procedendo, tutto il corpo. Le varie parti venivano sfilate gradualmente dal supporto e contrassegnate pezzo per pezzo per l’assemblaggio: una volta sfilate le parti, l’artista allargava il vuoto interno con un tagliaterra; - cottura: è l’operazione più difficile e delicata del processo esecutivo. Essa avveniva ad alta temperatura all’interno di forni chiusi in grado di raggiungere valori tra i 750-900°C. Nel Cinquecento molti artisti, come il Begarelli, ritenevano che l’opera in terracotta fosse sostanzialmente conclusa dopo la fase di cottura, dal momento che il valore espressivo e comunicativo derivava alla scultura dalla colorazione rossastra che assumeva, altri, come il Mazzoni o Niccolò dell’Arca, invece, mossi da diversi intenti artistici, preferirono dipingere con più colori la terracotta. A volte però Begarelli, nell’intento di nobilitare un materiale ritenuto povero, cercava di imitare nelle sue composizioni il colore assunto nel tempo dai marmi antichi: per ottenere questo effetto spruzzava con uno spruzzatore a bocca le sue opere di caolino per creare sulla terracotta l’effetto del marmo antico. La regione emiliana, priva o quasi di materiali nobili ha comunque sempre prodotto in abbondanza terrecotte spesso policrome in ossequio a una tradizione antichissima che si ricollegava all’arte plastica etrusca la quale, influenzata dall’arte ellenistica, esercitò a sua volta il proprio influsso sull’arte romana: si trattava quindi di una scelta regionale che vedeva una Toscana dedita al marmo e un’area nord-italiana caratterizzata invece dall’uso della terracotta. Nel Rinascimento le maschere delle botteghe emiliane furono molto rinomate, soprattutto quelle modenesi: si trattava di maschere in carta pesta le quali, a differenza di quelle oggi in uso, rappresentavano la testa intera, dal momento che, tipo elmo, dovevano ricoprire interamente il capo, sull’esempio di quelle classiche da cui molto probabilmente derivavano. Per la realizzazione di queste maschere si ricorreva molto spesso alla tecnica del calco dal vivo come una delle vie preferenziali per la rappresentazione realistica delle espressioni del volto. Guido Mazzoni è uno dei rappresentanti di questo modo di procedere attraverso il calco dal vivo, operazione questa che permetteva all’artista di recuperare le rughe e le espressioni del volto, di delineare le occhiaie e le sopracciglia, di configurare le manifestazioni di sentimento, propri dei soggetti in natura, allo scopo di integrare quanto la maschera plasmata dalle sole mani
dell’artista non poteva rendere adeguatamente. SCULTURA IN LEGNO Il legno è tra i materiali più usati in scultura. Viene lavorato asportando porzioni di materia, cioè scavato e intagliato. Per le sue caratteristiche fisiche si avvicina alla pietra in quanto rigido e non plasmabile come invece sono la cera e l'argilla. Per questo motivo la scultura in legno ha adottato ben presto il procedimento del riporto delle misure da un modello di cera o di argilla, che evita i rischi della modellazione diretta. Rispetto alla scultura in pietra, questa tecnica presenta alcuni limiti che spiegano il suo essere spesso considerata arte minore: Le dimensioni limitate del blocco ligneo (tronco) impongono, nelle sculture di medie e grandi dimensione, la lavorazione di più pezzi separati che poi vengono montati in secondo tempo. Il legno presenta sempre, in varia misura, piccole cavità, variazioni di colore, nodi e venature. Ciò spiega l'utilizzo pressoché costante, in tutte le epoche e presso tutte le culture, della colorazione sovrapposta che però annulla la materia del supporto ed interferisce nei rapporti plastici di ombra e di luce. La produzione scultorea in legno del mondo antico è andata quasi completamente perduta a causa della deperibilità del materiale usato, di natura organica e quindi sensibile all'azione dell'umidità e degli organismi animali e vegetali. Sopravvivono le sculture dell'antico Egitto, che il clima straordinariamente asciutto e uniforme ha mantenuto in ottime condizioni. Si tratta soprattutto di statue a tutto tondo oltre ai mobili , ai sarcofagi, agli oggetti da toeletta, agli strumenti musicali. Falegnami e scultori dell'antico Egitto si servivano per lavorare il legno di numerosi strumenti di rame e di bronzo non dissimili da quelli attuali; conoscevano svariati tipi di incastro, la colla e i chiodi; facevano usa frequente dell'impialicciatura e dell'intarsio. Con l'inizio dell'arte "classica" e poi con l'Ellenismo e l'arte romana, la scultura in legno perde gradualmente di importanza rispetto alle tecniche "maggiori" del marmo e del bronzo. Per trovare nell'arte europea una produzione diffusa e significativa di sculture lignee bisogna arrivare al momento del trapasso dal romanico al gotico, cioè alla seconda metà del XII secolo, anche se dal punto di vista tecnico non vi sono innovazioni sostanziali rispetto ai procedimenti in uso nel mondo antico. I legni più usati sono quelli di media durezza, resistenti al tarlo e meno sensibili alle variazioni di temperatura e di umidità, come il noce e il cipresso, oppure legni "dolci", cioè teneri e leggeri, ma resistenti al tarlo perché resinosi, come il pino cembro, e il larice. La statua viene ricavata preferibilmente da un solo blocco di legno o da un solo tronco. Terminato l'intaglio, la statua viene rivestita con uno strato di gesso che serve di preparazione al colore. Nella scultura lignea del Rinascimento maturo, del Barocco e del Rococò, invece, si diffonde l'uso di comporre la statua con numerosi pezzi staccati, lavorati separatamente con il riporto delle misure da un modello in cera o in argilla e poi montati a incastro ad imitazione di risultati formali propri delle tecniche più nobili, come la scultura in bronzo ed in metallo. Con l'avvento del Neoclassicismo la scultura lignea cessa di avere un senso quasi dovunque in Europa. Soltanto nel Novecento il legno torna ad essere impiegato in scultura: ma non viene più colorato bensì valorizzato nelle sue qualità intrinseche di struttura, vena, fibra e colore, come avviene di tutti i materiali impiegati nelle altre tecniche artistiche.
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L’INCISIONE Fin dall’invenzione della carta ogni disegnatore, ogni artista è stato sempre affascinato dalI’idea di poter eseguire il proprio lavoro non più come opera unica, bensì, riportando il disegno su di un materiale che ne permettesse la riproduzione, in un numero, più o meno grande, di copie. L’acquaforte, fra tutti i mezzi a disposizione dell’artista. è la tecnica che si avvicina maggiormente al disegno.Infatti essa richiede una minore abilità manuale, di quella necessaria, all’incisione in rame o in acciaio.
L’incisione in legno.
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LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
L’arte di incidere il legno, xilografia era già nota e in auge prima dell’invenzione delle lettere mobili da parte di Gutenberg. Per questo l’incisione su legno e la relativa stampa in rilievo rappresentano il tipo di stampa più antico.Il periodo di maggiore importanza della stampa mediante incisione su legno si ebbe nei secoli XV e XVI. Più tardi, il legno venne gradualmente sostituito dal metallo e l’incisione in rame (calcografia) e l’acquaforte si imposero sul più antico sistema. Solo alla fine del secolo XIX l’incisione su legno fu riscoperta e portata a nuova dignità dagli espressionisti
LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
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XILOGRAFIA Per la vera incisione su legno si usa il "legno di filo", cioè legno ricavato dal taglio longitudinale del tronco d’albero (preferibilmente pero o ciliegio). Il disegno si riporta specularmente, sulla lastra di legno, e in modo che sullo stampato appaia nel verso desiderato. Oltre che direttamente su legno, il soggetto disegnato può essere riportato sul legno mediante ricalco con carta carbone. Il metodo, forse più semplice, consiste nel disegnare sul lato collato di una carta gommata, applicata nel verso speculare sulla lastra.
XILOGRAFIA
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LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
Dopo il trasferimento del disegno sulla lastra di legno, precedentemente coperta con un fondo bianco, per facilitare la visione, in contrasto, del disegno stesso.Le parti che non dovranno essere stampate vengono asportate con coltelli o con bulini, in modo che quanto rimane, l’immagine, affiori dal livello per qualche millimetro. A seconda delle esigenze, l’incisore usa diversi coltelli, ma più generalmente usa i bulini.
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XILOGRAFIA Alla fine delI’800 si incideva su « legno di testa ». Questa tecnica rese possibile un’incisione di linee finissime, incrociando le quali si otteneva una specie di retinato, con effetto di mezzitoni. Più tardi, con il sussidio della tecnica fotografica e delle macchine per l’incisione su legno, fu possibile incidere in linee parallele e in forma circolare. La xilografia costituì il sistema di più perfezionata riproduzione fino a quando non fu scoperta l’incisione su metallo
LINOGRAFIA
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LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
Come per la xilografia anche per la linografia (incisione su linoleum) terminata la incisione, con un rullo a mano si inchiostrano le superfici rimaste in rilievo le parti incise, ovviamente, non ricevono l’inchiostro. Il sistema di stampa più semplice è quello che utilizza la pressa a torchio. La forma viene posata sul piano di stampa della pressa. Dopo l’inchiostrazione fatta a mano, con apposito inchiostro da stampa, si applica sulla prima il foglio di carta, coperto da alcuni altri fogli poi viene esercitata la pressione definitiva e necessaria.
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ACQUAFORTE SU RAME
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ACQUAFORTE SU ZINCO
.L’artista, che intenda procedere alla preparazione della lastra di rame per eseguire un’acquaforte, ricopre la lastra stessa con un leggero strato di cera, oppure si servirà del cosiddetto « fondo da incisione », che è, in pratica, una lacca di asfalto. Una volta preparato il fondo, accuratamente, con la cera, si disegna su di esso, direttamente con un bulino, badando bene, tuttavia, a non premere eccessivamente in quanto è sufficiente mettere a nudo il metallo, asportando la cera là dove in seguito dovrà penetrare l’acido.
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ACQUAFORTE
A questo punto è necessario contornare tutta la lastra con un alto bordo di cera in modo da ottenere una specie di piatto recipiente entro il quale viene versato, con delicatezza, acido nitrico. Quest’acido, naturalmente, andrà ad intaccare il metallo direttamente lungo i contorni incisi, che l’artista ha graffiato nella cera; l’azione di esso sarà più o meno violenta a seconda della durata della sua azione.
ACQUAFORTE
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Questa, ora, incisa, verrà “ripassata" con un tampone di pelle o panno, abbondantemente imbevuto di inchiostro da stampa: avverrà così che le parti della lastra non intaccate dall’acido, e pertanto sporgenti rispetto al disegno, saranno lucidate dal tampone, mentre l’inchiostro rimarrà soltanto nella sede scavata dall’acido nella lastra
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ACQUAFORTE
E’ il momento di porre, finalmente, la lastra stessa in una pressa dotata di rulli di ferro; in mezzo a questi rulli la piastra viene pressata insieme con il cartone da rotocalco, sovrapposto in precedenza e con un panno di feltro. Durante questa fase la carta assorbe l’inchiostro rimasto nelle incisioni: a questo punto si potrà vedere l’immagine speculare del disegno inciso dall’artista.
ACQUAFORTE
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BULINO
E’ interessante, a questo punto, aprire una breve digressione su una tecnica strettamente connessa con quella dell’acquaforte, ma che, tuttavia, se ne discosta: è la tecnica chiamata del « bulino freddo ».Si fa ritorno, per un momento, alle copie che sono reputate le migliori dagli esperti: le prime gli artisti, una volta, usavano incidere, con leggerezza, direttamente, sulla lastra già finita un piccolo disegno, una specie di marchio.
PUNTASECCA
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Analoga al bulino freddo è la tecnica della “puntasecca” che adotta uno stilo in acciaio (una specie di ago) per incidere direttamente la lastra, la cui traccia non veniva sottoposta al trattamento dell’acido, e pertanto non si imprime, profondamente, nel metallo
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PUNTASECCA
L’elemento che non manca mai in una acquaforte o in una puntasecca è l’impressione della lastra sulla carta da stampa, che, per essere stata inumidita prima di passare sotto la pressa, è divenuta assai morbida, per cui risulta chiaramente visibile quella particolare “sede" che vi lascia la lastra, "sede" che accoglie e contiene l’immagine come un alveo.
ACQUATINTA
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Allorché si « tirano » molte copie ci si accorge, di mano in mano che la superficie di metallo si va gradualmente consumando, che, contemporaneamente, i tratti del disegno si vanno facendo, progressivamente, più deboli, ragione per cui l’amatore preferisce le copie che sono state tirate per prime.
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CERA MOLLE ACQUATINTA E BULINO Si completa questa breve panoramica sull’acquaforte, accennando all’acquaforte colorata, tecnica che si avvale anche dell’ausilio dell’acquatinta. Il procedimento dell’acquaforte a colori si attua partendo da una copia di acquaforte non ancora portata al livello di compimento. Essa viene riportata su altre lastre, precedentemente preparate, mediante le quali i colori le vengono ceduti sotto forma di larghe superfici, una lastra per ogni colore, una dopo l’altra. E’ la lastra nera, terminata, perfezionata, che, alla fine, imbriglia nel puro gioco delle sue linee il colore, rendendogli vita e significato.
Lettura ed interpretazione di un percorso espressivo
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LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
Renzo Vespignani La Ninetta del Verzè LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
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ACQUAFORTE
Renzo Vespignani La Ninetta del Verzè
ACQUAFORTE
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LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
Renzo Vespignani La Ninetta del Verzè LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
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ACQUAFORTE
Renzo Vespignani La Ninetta del verzè
ACQUAFORTE
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LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
Renzo Vespignani La Ninetta del verzè LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
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ACQUAFORTE
Renzo Vespignani La Ninetta del verzè LE BASI DEL DISEGNO LE TECNICHE DI INCISIONE
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Claudio Comi
Gli strumenti del disegno nella storia LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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GLI STRUMENTI
Come la scelta dei supporti, quella degli strumenti dei quali il disegnatore si vale per visualizzare l’immagine grafica è in relazione a precise intenzionalità formali e stilistiche, nella cui attuazione gioca un ruolo di primo piano anche il rapporto tra il fondo del disegno e la tecnica con la quale è realizzato.
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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Non a caso, nonostante le varianti individuali, a elaborati grafici diversi per genere, quali: lo schizzo, l’abbozzo o lo studio puntuale di particolari, corrispondono, entro certi limiti, procedimenti tecnici ricorrenti.
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taluni strumenti infatti, come: lo stile a punta d’argento o di piombo, la penna, il pennello, se usato per tracciare i contorni, la pietra d’Italia e la mina di piombo sono più adatti a produrre effetti lineari;
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mentre altri, come: il carboncino, la sanguigna, il gesso, la sinopia e il pastello e la matita nera sono più atti a produrre effetti pittorici
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LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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La distinzione tra strumento e utilizzo, non può, comunque, essere radicale in quanto il risultato formale dipenderà, in ogni caso, dall’uso che il disegnatore farà, volta per volta, dell’uno o dell’altro strumento o di più strumenti insieme, per cui sarebbe assurdo, pretendere di andare oltre un’esemplificazione sommaria dei tempi e delle aree culturali in cui si diffusero le varie tecniche.
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Anche la penna è da annoverare tra gli strumenti più antichi. Già in uso nei primi secoli dell’era volgare, per il suo segno duttile e puntuale al tempo stesso divenne, fin dall’alto Medioevo, il mezzo basilare per l’illustrazione dei codici.
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La facilità d’impiego della penna, unita alla possibilità di ottenere effetti variati con l’uso di inchiostri diversi: inchiostro di china o inchiostro di noce di galla, rispettivamente nero e marrone, o di altri colori usati più raramente e di solito su carte preparate, ne ha assicurato la fortuna sino ai giorni nostri, anche se nell’Ottocento venne largamente sostituita, senza peraltro cadere mai in disuso, dalla matita.
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Con gli inchiostri puri o diluiti in acqua (acquerelli) fu comune sin dal Medioevo anche l’uso del pennello, sia per tracciare le linee di contorno, sia per ombreggiare o ravvivare con tocchi coloristici disegni a tratto, eseguiti con stili metallici, a penna o a matita. Più raramente, e solo al fine di ottenere particolari effetti pittorici, furono usati colori a olio o a tempera.
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Per le ombreggiature, quando il disegno non era chiaroscurato, si ricorreva comunemente al bistro o alla seppia, diluiti in acqua in varie concentrazioni, secondo la tonalità da ottenere.
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Per le lumeggiature, invece, al sistema semplicissimo di non tracciare segni o di cancellare quelli già tracciati sulle parti da lasciare in luce, oppure all’uso di biacca di piombo e di gesso bianco.
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Effetti di maggior fusione del tracciato grafìco e del fondo ad esso sottostante si ottengono con l’uso di strumenti più malleabili come il carboncino e la sinopia, la sanguigna e il gesso, particolarmente adatti, poiché consentono una fattura rapida e suscettibile di pentimenti, allo schizzo e all’abbozzo
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È quasi superfluo sottolineare che l’impiego del chiaroscuro, connesso a effetti plastici, ebbe maggiore fortuna nella cultura artistica toscana, condizionata sino allo scorcio del Cinquecento dalla produzione di Michelangelo, che in quella veneta, aperta sin dallo scorcio del Quattrocento alla suggestione delle prospettive aeree di Giovanni Bellini: ce ne dà conferma, nel secolo successivo, la concezione pittorica dei disegni di Tiziano, del Tintoretto e del Veronese
CRONOLOGIA
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LO SCHIZZO
Il Canaletto
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LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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L’ABBOZZO
Michelangelo
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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STUDIO DI PARTICOLARI
Galli Bibbiena
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STILO A PUNTA D’ARGENTO
Giulio Romano
CORSO
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LA PENNA
Rembrandt
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PENNELLO
Luca Cambiaso
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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MINA DI PIOMBO
Sandro Botticelli
CORSO
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CARBONCINO
Tiziano Veccelio CORSO
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SANGUIGNA
Il Figino
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
SILSIS
GESSO
Giovan Battista Piazzetta
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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MATITA NERA
Andrea Del Sarto
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LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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PENNA SU PERGAMENA
Paolo Uccello
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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SILSIS
INCHIOSTRO DI CHINA
Il Guercino
CORSO
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ACQUARELLO
Liggozzi
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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OMBREGGIATURA
Paolo Veronese
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SILSIS
LUMEGGIATURE
Raffaello
CORSO
LE TECNICHE DELLA RAPPRESENTAZIONE
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POLITECNICO DI MILANO FACOLTA’ DI ARCHITETTURA MANTOVA
la lettura dell’immagine fotografica: schemi compositivi, e scelte espressive a cura di Claudio Comi
Mantova - Palazzo Te da un immagine di Vasco Ascolini
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SAPER VEDERE: DALL’ARCHITETTURA DELLA CITTA’ ALL’ ARCHITETTURA DELL’ INTERNO
l’immagine considerata
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POLITECNICO DI MILANO FACOLTA’ DI ARCHITETTURA MANTOVA
Il ricalco schematico
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Il campo inquadrato: verifica di eventuali “tagli” a posteriori
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Il punto di concorso prospettico
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Il raddrizzamento prospettico
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la costruzione di un modello
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allestimento del set
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verifica delle posizioni degli elementi
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ricerca del punto di ripresa: vista laterale da destra
ORIZZONTE
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ricerca del punto di ripresa: vista laterale da sinistra
ORIZZONTE
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SAPER VEDERE: DALL’ARCHITETTURA DELLA CITTA’ ALL’ ARCHITETTURA DELL’ INTERNO
ricerca del punto di ripresa: vista centrale
ORIZZONTE
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ORIZZONTE
ricerca del punto di ripresa: confronto tra schemi prospettici
ORIZZONTE
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ricerca del punto di ripresa: ripresa quasi conforme
ORIZZONTE
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lettura delle ombre
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identificazione delle zone d’ombra
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l’immagine svelata
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la teoria delle ombre nella fotografia d’architettura
Immagine tratta da: “Costruire in laterizio” di V. Acocella
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la teoria delle ombre nel disegno
Immagine tratta da “tecnica grafica” di T.E. Bertoldo
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la teoria delle ombre nel disegno
Immagine tratta da “tecnica grafica” di T.E. Bertoldo
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la ombre nella fotografia
Elaborazione digitale di un Immagine tratta da: “Costruire in laterizio” di V. Acocella
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ombre e poesia nella fotografia di Vasco Ascolini
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme Il coccio di vetro Elaborazione digitale di un Immagine tratta da: “Costruire in laterizio” di V. Acocella
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opere di vasco ascolini
il fotografo delle ombre
( ernest gombrich)
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme il coccio di vetro
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opere di vasco ascolini
il fotografo delle ombre
( ernest gombrich)
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme il coccio di vetro
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opere di vasco ascolini
il fotografo delle ombre
( ernest gombrich)
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme il coccio di vetro
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opere di vasco ascolini
il fotografo delle ombre
( ernest gombrich)
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme il coccio di vetro
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opere di vasco ascolini
il fotografo delle ombre
( ernest gombrich)
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme il coccio di vetro
Immagine tratta da Versaille di Vasco Ascolini
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opere di vasco ascolini
il fotografo delle ombre
( ernest gombrich)
il nero come pieno il nero come vuoto le prospettive il texture le forme il coccio di vetro
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
Tutte le immagini, sono tratte da riviste diffuse in abbinamento a giornali quotidiani, quindi state liberamente da me rielaborate con sistemi digitali per introdurre una riflessione sulle opere di Cesare di Liborio
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
Il riuso dell’opera d’arte
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
poetica o abuso del corpo femminile
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
tra erotismo e “glamour”
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
“Il citato” cinematografico
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
“l’immagine reveresbile
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
“l’immagine reveresbile
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
L’immagine labile
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la ricerca del particolare: i frammenti della visione quotidiana
Il particolare
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Cesare Di Liborio
e la ricerca sul particolare
Molte idee si affastellano su pochi pensieri guardando le fotografie di Cesare: la prima idea mi porta all’anello di Moebius, paradosso geometrico-matematico di una continuità. La seconda a Guido Gozzano che con la sua “nonna speranza”, ed “il buono sapore delle piccole cose” esprime le premesse di un futurismo che troverà compimento nella poetica pittorica del “gruppo corrente”. La terza è forse più leggera , ma importante, perché mi ricorda le cose di casa e con esse m’impone di riflettere sul di un nostro voler essere nuovi ad ogni costo che in fondo non riesce a dialogare con i progetti del presente per sublimare la paura dei ricordi del futuro
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Cesare Di Liborio
e la ricerca sul particolare
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Cesare Di Liborio
e la ricerca sul particolare
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Cesare Di Liborio
e la ricerca sul particolare
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Cesare Di Liborio
e la ricerca sul particolare
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riconosci il soggetto
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credits
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FIGURAZIONI DI ARCHITETTURA : NOVITA’ E CONSAPEVOLEZZA?
CLAUDIO UMBERTO COMI
FACOLTA’ DI ARCHITETTURA -MANTOVA 21 GENNAIO 2005
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1 maggio 2002
Inaugurazione del museo di Giuseppe Pellizza in Volpedo
PERCORSO PER IMMAGINI ALLA LETTURA DELLE OPERE DI GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO
A cura di: CLAUDIO UMBERTO COMI
1
1 maggio 2002
Inaugurazione del museo di Giuseppe Pellizza in Volpedo
ai miei nonni
PERCORSO PER IMMAGINI ALLA LETTURA DELLE OPERE DI GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO
A cura di: CLAUDIO UMBERTO COMI
2
LO SCHEMA COMPOSITIVO LO SCHEMA COMPOSITIVO
Ricordo di un dolore 1890
Conversione in scala di grigio
3
LO SCHEMA COMPOSITIVO LO SCHEMA COMPOSITIVO
Identificazione dei contorni
Conversione con sistemi digitali in un immagine a toni omogenei
4
LO SCHEMA COMPOSITIVO LO SCHEMA COMPOSITIVO
Masse di massimo contrasto
Grafo per la definizione dei punti di massima attrazione dell’occhio
5
LO SCHEMA COMPOSITIVO Schema d’insieme In rosso: il modulo utilizzato per la composizione dell’ opera In grigio: Le linee diagonali che guidano l’occhio nella lettura
6
Grafo di lettura preliminare
I CAMPI PROSPETTICI I CAMPI PROSPETTICI
Panni al sole – 1894
7
Lettura del quadro prospettico.
I CAMPI PROSPETTICI I CAMPI PROSPETTICI
Sintesi grafica delle presenze
8
I CAMPI PROSPETTICI
Schema di sintesi, che esprime le particolarità compositivè e della prospettiva nell’opera trattata
9
LUCI E CONTROLUCE
LUCI E CONTROLUCE
Speranze deluse – 1894
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LE LINEE CURVE
Lo specchio della vita – 1998
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LUCI E CONTROLUCE
LE LINEE CURVE
Studio per “Il ponte”
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Il Curone
LE LINEE CURVE LE LINEE CURVE
Fotografia del ponte sul fiume Curone -
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Bozzetto per il Ponte
LE LINEE CURVE LE LINEE CURVE
Il Curone
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Schema grafico dell’andamento sinusoidale dell’ opera : il Ponte
LE LINEE CURVE LE LINEE CURVE
Il ponte – 1904
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IL QUARTO STATO
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IL QUARTO STATO
IL QUARTO STATO
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LE LINEE DI FORZA
LE LINEE DI FORZA
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LE LINEE DI FORZA
2 LETTURA DEI PIANI
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LETTURA DEI PIANI
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LETTURA DEI PIANI
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LETTURA DEI PIANI
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LETTURA DEI PIANI
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LETTURA DEI PIANI
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1 Maggio 2002 a Giuseppe Pelizza da Volpedo A tutti gli amici che per passione hanno contribuito alla realizzazione di questo video. In particolare un sentito grazie a Anna, Aurora, Andrea, Fufi, Sandro e Tommaso.
( c.c.)
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C
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COMPOSIZIONI E PROPORZIONI ARMONICHE
Sintesi del materiale elaborato per il museo Giuseppe Pellizza, in Volpedo a cura di Claudio Comi
maggio 2002
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NELL’OPERA DI GIUSEPPE PELIZZA DA VOLPEDO PERCORSI DI LETTURA
PREMESSA LO SCHEMA COMPOSITIVO I CAMPI PROSPETTICI LE LINEE CURVE E CONTROLUCE LETTURE DEL QUARTO STATO LE LINEE DI FORZA LETTURA DEI PIANI
VAI VAI VAI VAI VAI VAI VAI
ALLA SCHEDA A ALLA SCHEDA A ALLA SCHEDA A ALLA SCHEDA A ALLA SCHEDA A ALLA SCHEDA A ALLA SCHEDA A
SULL’OPERA SULL’OPERA SULL’OPERA SULL’OPERA SULL’OPERA SULL’OPERA SULL’OPERA
Le zucche Ricordo di un dolore Panni al sole Lo specchio della vita Il quarto stato idem idem ƒ
HOME
1889 1889 1894 1898 1901
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Premessa a cura di Claudio Comi
Le zucche Olio su tela cm 32,3x56 1889
I percorsi di lettura proposti nascono da una duplice ipotesi progettuale: la prima intende verificare se è possibile applicare, a posteriori, metodi empirici di quantificazione delle dinamiche di percezione visiva semplificata ad un opera d’arte, un procedimento peraltro già sperimentati nel campo della comunicazione visiva e dell’interpretazione dei caratteri di paesaggio; la seconda vuole invece verificare se è possibile e produttivo interpretare un opera d’arte con modelli geometrico matematici ed analisi quantitative del campo cromatico. ƒ
HOME
„
LO SCHEMA COMPOSITIVO (C.C.)
Ricordo di un dolore olio su tela cm. 107 x 79 1889
La prima interpretazione riguarda l’opera: “Ricordo di un dolore ” del 1889 eseguita nel periodo in cui Pellizza frequentava le lezioni di Tallone all’Accademia Carrara di Bergamo, alla quale nel 1897 fu donata dall’artista in segno di riconoscenza per gli insegnamenti ricevuti. In quest’opera si individua i con chiarezza un costrutto compositivo legato ad una giustapposizione dei campi cromatici che guida l’osservatore ad intercettare lo sguardo della giovane ritratta. E’ un opera che consente di decifrare una delle fonti di ispirazione che guidarono costantemente l’artista, poiché la cadenza modulare che qui emerge con chiarezza, diventa una ricerca costante del pittore anche nelle opere dell’ultimo periodo.
L’immagine riproduce un lucido su cui si sono costruite le schematizzazioni di partenza, esso consente di identificare alcuni punti capaci di attrarre l’occhio dell’osservatore e mostra come tali punti si relazionano tra loro e con lo schema geometrico che supporta la composizione pittorica generale
VAI ALLO SCHEMA
AA ƒ
HOME
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LO SCHEMA COMPOSITIVO (C.C.)
Lo schema a fianco è la sintesi del percorso di interpretazione condotto che sovrappone ad una base trattata con sistemi digitali alcuni schemi geometrici che evidenziano, in rosso, il modulo compositivo e la partizione del campo pittorico e, in grigio, le linee diagonali che guidano l’osservatore direttamente all’occhio destro della giovane raffigurata che diviene centro focale di attrazione. E’ importante sottolineare che nello schema compositivo l’artista adotta una ripartizione di una base quadrata, a cui associa una sequenza ritmica tripartita basata sulla proporzione di 10:7, e che suggerisce la presenza di un rapporto proporzionale dell’intera superficie dipinta con partizioni di misure ricorrenti e tra loro proporzionali. Tali considerazioni per quanto derivate da osservazioni di tipo empirico, avvalorano comunque l’ipotesi che, nella concezione dell’opera, Pellizza si orienti sin dall’inizio della sua attività pittorica verso un schema geometrico basato su chiare e semplici proporzioni e su giustapposizione dei soggetti e dei campi cromatici, attivi o neutri che siano.
TORNA ALL’ IMMAGINE C
AA ƒ
HOME
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I CAMPI PROSPETTICI (C.C.)
Panni al sole olio su tela cm. 87 x 131 1894
Una logica conseguenza di un attento studio della composizione è la sapiente organizzazione dei campi prospettici, un artificio tecnico che sostanzia l’intera opera di Giuseppe Pellizza. Del resto, se si pensa alla lunga elaborazione e ai molti studi da lui fatti per alcune opere finalizzati alla comunicazione di “un idea“, appare chiaro che solo un attento uso della prospettiva gli poteva consentire di organizzare immagini in cui i soggetti principali, i comprimari e gli sfondi, armonizzandosi tra loro, definissero uno spazio capace di risultare esso stesso significante. VAI ALLO SCHEMAA
Una efficace dimostrazione può essere fatta partendo da Panni al sole, un quadro eseguito attorno al 1894 e che costituisce anche una compiuta esemplificazione dell’uso della tecnica divisionista. Tale tecnica impone all’artista una estrema cura nella definizione dell’intelaiatura compositiva del quadro, nella quale calibrare la giustapposizione di minuscole pennellate di colore puro che permettono di ottenere il voluto risultato di cromìa e di luce. Per questo è indispensabile fare una attenta programmazione degli elementi presenti nella struttura spaziale e delle loro posizioni, dato che la tecnica divisionista ben poco concede a ripensamenti o correzioni. ƒ
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I CAMPI PROSPETTICI (C.C.)
TORNA ALL’ IMMAGINE
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Lo schema, realizzato a computer, pone in evidenza come, nell’impianto compositivo, Pellizza crei, in primo piano, un campo morto, determinato dalle ombre dei panni stesi e a cui si collega anche l’ombra dell’albero che diventa un punto cardine di partenza per la costruzione di una linea di fuga verso il punto centrale sull’orizzonte. Di contro, la traccia chiara dello sterrato sulla destra che, apparentemente, concorre allo stesso fuoco si interrompe incontrando un altro albero, in primo piano sulla destra, che diventa generatore di una seconda linea di fuga che, però, tende verso un altro fuoco di convergenza prospettica, più in alto rispetto al precedente. Tale artificio è sicuramente coadiuvato dalla dominante cromatica del cielo e dei panni stesi che, nel loro insieme, accentuano la fuga prospettica, escludendo un riscontro con l’angolo di sinistra ad esso si associa un sapiente uso delle luci che come vedremo pervade l’opera dell’ artista.
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LE LINEE CURVE E CONTROLUCE (C.C.) Tra le molteplici costanti che caratterizzano l’opera artistica di Giuseppe Pellizza una più di altre ne definisce il tratto distintivo: si tratta dell’utilizzo, nell’impianto compositivo, di linee sinusoidali che legano, quasi in una gerarchia ideale, gli elementi costitutivi del quadro. Come si è visto, nella costruzione del campo pittorico l’artista costruisce la scena basandosi su di un schema compositivo regolato da chiare relazioni geometriche alle quali accompagna e interseca un sapiente uso della prospettiva e delle luci e degli effetti di controluce; attraverso questi elementi il pittore collega le parti ma è proprio attraverso il ricorso a collegamenti curvilinei solitamente supportati da un gioco di contrasto tonale e cromatico che si realizza la possibilità di trascendere il dato realistico in un’opera capace di incarnare, e sviluppare una più vasta idealità. I grafi a fianco, identificano e schematizzano gli andamenti curvilinei dell’ opera ( Lo specchio della vita del 1898)
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LETTURE DEL QUARTO STATO (C.C.)
Il quarto stato olio su tela cm. 293 x 545 1901
1 LE LINEE DI FORZA
Schema riassuntivo delle particolarità tecniche e compositive dell’ opera
2 LETTURA DEI PIANI
Interpretazione della gerarchia geometrico simbolica della figurazione. ƒ
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LE LINEE DI FORZA (C.C.)
LE LINEE DI FORZA Tra i molteplici artifici tecnici che Pellizza ha usato per guidare l’osservatore nella lettura della sua opera, il ricorso a “linee di forza” non è di certo secondario; anche l’impianto compositivo di Il Quarto Stato ne rivela un attento utilizzo. La particolarità, e proprio di particolarità si tratta, consiste nel fatto che a differenza della generalità di opere coeve, le linee di forza non determinano la composizione generale, bensì governano elementi secondari che concorrono a costruirla.
TORNA ALL’ IMMAGINE Anche nella lettura con sistemi digitali si conferma la tendenza di Pellizza ad utilizzare elementi secondari, spesso governati da effetti di luce, per definire percorsi di lettura. Inoltre anche la modellazione plastica delle figure viene accentuata dalle lumeggiature: In particolare nella modellazione della figura femminile è possibile percepire come l’effetto della torsione dia ottenuto con un attento uso del chiaroscuro nei pannelli. Nella figura dell’uomo in primissimo piano, al centro, Pellizza ha usato anche la deformazione anamorfica con il chiaro intento dotare questa figura di un senso di possanza e stabilità
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LETTURA DEI PIANI (C.C.)
LETTURA DEI PIANI L’opera che, sopra tutte, documenta la cura per l’organizzazione geometrica della composizione e la complessità degli artifici tecnici usati da Pellizza è Il Quarto Stato, lungamente studiato e passato attraverso le precedenti versioni dal titolo Ambasciatori della fame e Fiumana, e nel quale si articolano in uno spazio scenico identificato nella Piazza davanti a Palazzo Malaspina a Volpedo, più di 50 personaggi con le figure di primo piano in rapporto di 1:1 con l’altezza media di un essere umano.
TORNA ALL’ IMMAGINE Nello schema qui a fianco si opera una “esplosione” dei piani pittorici secondo quanto indicato nelle immagini da 1 a 6. Come si vede l’intero impianto compositivo risulta idealmente compresso attorno all’orizzonte e, per effetto di ciò, la scena si condensa e si compatta, accentuando la massa dei soggetti e accreditando una loro forte coesione. Lo schema riassume idealmente tutte le letture analitiche presentate; ad ogni lettera corrisponde un piano o un campo, le linee identificano il modulo compositivo e la omogeneizzazione dei toni dichiara che ancora una volta nulla è lasciato al caso.
[email protected]
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claudio umberto comi Architetto libero professionista, è stato responsabile dello sviluppo del prodotto(segnalazione al 23°premio SMAU) e della comunicazione, in diverse aziende. Attualmente si occupa di valutazioni di patrimoni immobiliari e d’impatto ambientale. Dal 1997 é professore a contratto presso il Politecnico di Milano; dove tiene corsi di: rappresentazione del territorio, disegno edile, tecnologia delle costruzioni e, presso la Facoltà del Design: disegno del prodotto
Per il museo ha curato: Il percorso interpretativo a fini didattici, qui presentato; il video di inaugurazione lo studio del marchio del museo
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Master di 2° livello:
Analisi e gestione del patrimonio paesistico Workshop in Lecco, Eremo del Monte Barro 17 giugno 2003
La rappresentazione strumento per l’analisi e il controllo del progetto di paesaggio Esperienze consolidate e nuove esperienze di studio Le differenti forme di rappresentazione e l’immagine di paesaggio Claudio Comi Personalmente ho sviluppato la convinzione che un paesaggio per essere considerato tale debba essere in una qualche maniera rappresentato. L’apparire dei luoghi che quotidianamente ci circondano, luoghi che ogni giorno osserviamo, pur rientrando concettualmente, a pieno titolo, nella categoria del paesaggio, non generano attenzione se non nel momento in cui qualcuno per noi li interpreta con una qualsivoglia rappresentazione iconografica. Probabilmente questa situazione si determina per effetto di una osservazione sommaria e spesso distratta che non ci porta a cogliere appieno il senso di luogo che tali visioni ci comunicano o con maggiore probabilità, proprio il medium che si determina nel processo di rappresentazione, cristallizzando l’apparire del luogo nel momento in cui si origina la rappresentazione e mediando stilemi iconografici condivisi, genera quello che molti considerano espressione compiuta di paesaggio. Molteplici ragioni, ritengo in primo luogo culturali, hanno condizionato il nostro rapporto con il paesaggio: All’osservazione contemplativa, si sono progressivamente sostituite differenti modalità di fruizione del luogo che in sostanza hanno modificato il tempo di permanenza e con esso il livello di attenzione; alla pratica della memorizzazione o della descrizione grafica o testuale che fosse si è sostituita la pratica di un consumo di immagini “pret a porter”, (cartoline o vedute a stampa di qualità dozzinale); alla indeterminazione nei modi di osservare il luogo, si è sostituita un modello basato su categorie che mutuano un metro di giudizio solitamente condiviso da ben definiti gruppi sociali, un metro che non si sa bene come, qualifica i paesaggi per caratteri non sempre condivisibili spesso determinati da interessi culturali specifici o per dirla in altro modo, “da elementi di rilevanza sotto il profilo paesistico”. Quindi per chiarire almeno ha me stesso il grado di ragionevolezza di tale convinzione, ho provato a misurarmi con il paesaggio, attraverso i modi usuali e più contemporanei del rappresentare. Il primo esempio presentato ha circa 15 anni e riguardandolo oggi mi sento di dire che risente di una forte suggestione di certa grafica di fine anni ’70. indipendentemente da ciò è espressione di un modo prettamente grafico di rappresentare il paesaggio provando ad interpretarlo. 01
L’immagine elaborata con i metodi del disegno tradizionale può apparire ad un osservatore disinformato al più “curiosa”. Di contro la sua redazione si prefiggeva di verificare il grado e il numero di segni attraverso i quali restituire un insieme di informazioni legate alla natura del luogo ed ai fenomeni climatici e naturali che in esso interagivano.
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Nelle tavole a seguire sono sommariamente raccolte alcune delle innumerevoli elaborazioni attraverso le quali si giunge alla figura di sintesi. In ognuna di esse anche se non chiaramente esplicitato e sicuramente con modi di tipo empirico dal punto di vista della coerenza scientifica si sono affrontati fattori e fenomeni naturali che allo specifico di questo paesaggio si presumeva concorressero.
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Modalità di interpretazione percettiva
Interpretazione dei fenomeni geologici
Interpretazione dei fattori climatici
Interpretazione dei mantelli vegetativi
Credo che già in questa esperienza si intravedano i pregi e i difetti di un personale modo di porsi di fronte alle complessità espresse dal paesaggio. In una personale scala di valori ritengo che il dominio di un abilità grafica pregiudichi approcci sicuramente più sistematici dal punto di vista analitico, ma al contempo negare che per affrontare un espressione figurativamente complessa come è quella del paesaggio non serva comunque una sensibilità o forse è più corretto dire una abilità grafica ritengo sia un affermazione falsa. Rapportandosi al paesaggio, appare evidente che l’uso del mezzo grafico o meglio di diversi ed intersecanti modi di rappresentare per immagini quanto osservato viene ad assumere un importanza nodale nel complesso esercizio di interpretazione. Il paesaggio stesso nel suo essere di fatto un apparire continuo impone delimitazioni di campo e cosa più importante impone uno stato di fissità visiva attraverso il quale limitare l’osservazione per decodificare l’insieme di segni che esprime. Questa presunta centralità della rappresentazione come mezzo di espressione e se si vuole, di convalida dell’espressione di paesaggio non è certo una novità, in quanto basta pensare in pittura prima e nella fotografia poi al determinarsi di un genere basato su canoni e regole in cui l’impianto compositivo e le scelte iconiche tendono a costituire un corpus normato e sancito nella prassi e nella scuola. 2
Non è quindi un caso che anche nelle più minuziose espressioni pittoriche di paesaggio, vuoi con opportuni tagli prospettici, vuoi con sapienti artifici ottici, l’autore opera una sostanziale sintesi dei segni che caratterizzano il luogo, elidendo o occultando elementi e fattori, sia di luminanza, sia formali, che possano ingenerare disturbo percettivo. D’altro canto non credo di svelare un mistero dicendo che buona parte della corrente iperrealista pur basando l’intero impianto pittorico sulla trasposizione sul supporto pittorico di una base fotografica, quasi mai utilizzavano scatti spontanei, ma bensì la stessa composizione del fotogramma era frutto di laboriosi fotomontaggi. D’altra parte forse non può essere che così, se consideriamo che Il paesaggio, quale che ne sia la scala di percezione ed in conseguenza di ciò il grado di interpretazione presenta all’osservatore una molteplicità di informazioni che per essere comprese o meglio indagate e comunicate, comportano un adeguato processo di riduzione fondato su di una progressiva e maieutica elisione di segni. Questa breve digressione mi consente di sfiorare il tema dell’ immagine fotografica di paesaggio che indipendentemente dal genere a cui si riferisce: scientifico, pittorico o documentale, ha avuto e continua ad avere larga parte nei modi usuali del rappresentare il paesaggio. 03
Scansire e inserire foto circolare monte bianco
L’immagine per il suo perimetro circolare può indurre in inganno. L’autore avendo concentrato il proprio percorso di ricerca espressiva sulla rappresentazione di cime montuose, soggetti statici per antonomasia, ha concepito una particolare macchina da ripresa che utilizza lastre di grandissimo formato, (30x 40 cm) sulla quale per effetto di un particolare rapporto focale l’immagine tende ad acquisire il minor grado di distorsione possibile. Ciò si realizza ricomprendendo nell’impressione anche i margini solitamente tagliati dalla geometria della camera ottica che in ogni apparecchio fotografico risulta di forma quadrangolare Questo particolare modo di riprendere dimostra come il paesaggio imponga una specifica attenzione e lo sviluppo di mezzi e modi spesso non consueti sia per rappresentarlo e interpretarlo.
Tra le diverse espressioni paesaggio, la montagna offre sicuramente una adeguato tema di studio ed indagine sotto il profilo del trattamento grafico. 04
L’immagine rappresenta non senza una particolare suggestione, grafica il Monte Bianco. Luci e ombre, neve e nuvole mediate da un spaiente gioco di controluce determinano un curioso effetto prospettico. L’insieme di queste condizioni si sono prestate ad una prima lettura ancora basata sul l’uso del disegno tradizionale
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In queste prime quattro elaborazioni si tenta con un metodo empirico di perimetrale il campo di attrazione visiva che caratterizza l’ immagine. Tale procedura è strettamente conseguente alla diffusa concezione in ambito grafico per effetto della quale le porzioni periferiche dell’immagine hanno minor valore di attrazione visiva.
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In questa seconda serie si indagano i fattori della prospettiva aerea. Operando una prima ricognizione di linee per così dire di orizzonte e elaborando poi le stesse con differenti corpi del segno grafico. Curiosa è la comparazione delle ultime due immagini di questa serie dove si evidenza una netta inversione della percezione di luogo che le rappresentazioni elaborata esprimono.
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La terza ed ultima serie di immagini riassume differenti elaborazioni in relazione a diversi trattamenti in chiave tonale tonale dell’ immagine sorgente. Come vedremo in seguito tali elaborazioni precludono un tentativo di sintesi grafica di due diversi percorsi di elaborazione di due diverse immagini del medesimo luogo.
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Di nuovo il Monte Bianco, questa ripreso con finalità documentarie. L’immagini infatti e tratta da raccolta di immagini del Touring Italiano pubblicata attorno agli ‘50.
volta una Club anni
A differenza delle elaborazioni precedenti in questa e nella successiva serie di immagini il segno grafico intende indagare ed esprimere i valori formali delle differenti cengie e cime che l’immagine rappresenta.
Ho ritenuto opportuna la scelta di presentare con un adeguato numero di esempi il complesso e laborioso processo di interpretazione grafica sviluppato sul Monte Bianco nella tesi di laurea perché, a differenza del caso precedente in cui l’immagine conclusiva da sola presenta un adeguato grado di intelligibilità, in questo caso l’ immagine di sintesi risulta criptica e a dire il vero solo suggestiva dal punto di vista pittorico. 10
L’immagine è ottenuta per mezzo della sovrapposizione di numerosi film di acetato su ciascuno dei quali venivano riportate parti delle elaborazioni presentate. L’immagine nel suo insieme sicuramente esprime la sintesi di un percorso di lettura, certo è che se non adeguatamente esplicitato, credo nessuno riuscirebbe a leggere in essa il Monte Bianco e cosa forse più importante la logica per effetto della quale è stata elaborata.
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Partire nell’ esposizione di esperienze recenti da elaborazioni sviluppate con metodi grafici tradizionali su basi fotografiche, mi facilità ad esporre come alcune comuni e oggettivamente diffuse tecniche di elaborazione digitale dell’immagine (programmi di fotoritocco e sistemi CAD) possano oggi contribuire in modo significativo a quel processo di riduzione delle complessità intrinseche che un paesaggio osservato presenta. Già nella fotografia digitale, o comunque nella acquisizione mediante scanner di una fotografia tradizionale, si opera, in base alle caratteristiche del dispositivo di input utilizzato, una preziosa sintesi delle frequenze luminose e cromatiche tipiche dell’osservazione diretta ed in parte anche della fotografia tradizionale. Al fattore di “grana” peculiarità del film ottico, su cui si fonda larga parte di certe immagini di paesaggio che costituiscono il citato di genere, si sostituisce il pixel, che per antonomasia altro non è che un sofisticato algoritmo numerico per effetto del quale il dettaglio si attenua e cosa forse più importante, si omogeneizza in base a micro-campi composti da frequenze cromatiche con geometria costante, (una specie di “cluster” inteso come matrice di “celle”) che possono essere censite e se opportuno contate per tipo e specie.
Nella sequenza di immagini che segue, compatibilmente alla qualità di stampa, spero sia abbastanza facile percepire questo insieme di caratteri che l’ immagine digitale presenta. 07
L’effetto di “vignettatura” che questo panorama presenta è inevitabile se non ricorrendo ad operazioni di equalizzazione , in esso ogni spezzone di immagine utilizzato si pone in contrasto con il fotogramma a fianco perché ogni immagine è frutto di una elaborazione matematica dei valori luminosi e cromatici che costituiscono ogni singola immagine che viene in questo caso montata con le altre.
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Prestando attenzione e sempre, compatibilmente con la qualità di stampa dell’immagine, si può intravedere una specie di “seghettatura” della linea di crinale sullo sfondo ed anche alcune facciate paiono sfuocate. Tale situazione non è un difetto di ripresa, ma bensì e diretta conseguenza di una bassa risoluzione in fase di ripresa. Una situazione i questo caso voluta per omogeneizzare e mitigare eventuali disturbi luminosi all’ insieme dell’ immagine.
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Anche se fosse stampata in bianco e nero, la porzione di l’immagine comincia ad evidenziare gli effetti visivi di una ripresa a bassa risoluzione: Le interfacce tra campi cromatici diversi determinano contrasti evidenti, (si veda la linea di crinale) le presenze vegetali si omogeneizzano per tono e trama, contemporaneamente gli edifici perdono di dettaglio e tendono ad omologarsi in base al tono cromatico ed al grado di luminanza che li caratterizzano.
Spero che in queste due immagini si percepiscano i pixel, (quella specie di “rettangolini” spero evidenti in quella in bianco e nero qui a fianco) se cosi fosse a chiunque apparirebbe con chiarezza che quello che noi osserviamo come paesaggio ricco di complessità in realtà in questa rappresentazione è diventato una maglia di campi dimensionalmente omogenei che con qualche espediente possono essere indagati
Introdurre nelle modalità grafiche di trattamento e condizionamento di immagini di paesaggio le rigide logiche su cui basano i sistemi informatici, se, da un lato comporta una particolare attenzione nel ricercare nei differenti e molteplici software, funzioni e subroutine idonee al conseguimento di ben definiti risultati grafici e numerici, dall’altro impone una discreta conoscenza dei modi usuali del rappresentare ed interpretare l’immagine che in genere ci restituisce i caratteri percepibili di un luogo. Ovviamente per quanto concerne la prima parte relativa alle potenzialità offerte dal software non vi è esperienza precostituita, ogni immagine e con essa ogni caso da affrontare comporta una laboriosa ricerca di pratiche atte alla definizione di una procedura a cui consegua un risultato logico, in sostanza impone uno sforzo di sperimentazione in cui ad una adeguata conoscenza delle opportunità offerte dalla tecnologia che “istruisce la macchina”, si fonde quell’insieme di conoscenze e competenze tipiche del leggere con metodi grafici il paesaggio. Ed è a mio parere proprio in questa specie di inscindibile relazione tra modi di operare della macchina e modi di pensare del soggetto umano che si ingenera un interessante 7
prospettiva di ricerca e di studio. Non è quindi un caso che gli esempi di elaborazione che andrò a presentare intendono porsi come una semplice premessa di un progetto ancora tutto da elaborare. Ad esclusivo beneficio di chi ancora poco conosce dei sistemi informatici di condizionamento e generazione delle immagini digitali, prima di addentrarmi nella esposizione di alcuni casi di studio realizzati in forza di ricerche in convenzione del Politecnico di Milano, svilupperò alcuni brevi cenni introduttivi sulle opportunità offerte dalle tecniche digitali. Il computer per quanto sembra possa generare e trattare molteplici tipi di immagine, in sostanza limita le logiche di elaborazione di immagini su due generi fondamentali: e
immagini “raster” immagini “vector” (o vettoriali)
Il primo genere: correntemente identificato come immagini aster o per pixel, interessa quell’insieme di immagini che all’osservatore appaiono come immagini fotografiche, fotocopie o quant’altro si configuri come immagine racchiusa in se stessa. Tali immagini, indipendentemente dagli svariati formati di salvataggio ( pict, tiff, jpg, png, eps, pdf, psd …) vengono elaborate e definite dai sistemi informatici sia a video che in stampa come un insieme chiuso di piccoli punti (i pixel a video e i d.p.i. in stampa) di varia luminosità e colore. Per capire meglio la natura di un immagine raster può essere utile ritornare per un momento all’esempio precedente sul panorama, proprio il numero di pixel che caratterizza l’immagine, definito in gergo come “risoluzione”, determina il grado di dettaglio dell’immagine e con tale dettaglio il numero di informazioni dal punto di vista di leggibilità dei segni, che la stessa può offrire. Bisogna dire che la maggior parte di immagini di paesaggio sia in fase di input (immissione nel computer tramite fotocamere digitali o scanner nonché nel caso di “prelievi dalla rete”) sono immagini raster ed in quanto tale risentono in misura significativa del grado di risoluzione di cui dispongono. Viceversa altre immagini, in genere elaborate dall’operatore mediante sistemi CAD, possono associare alle modalità di creazione specifiche relazioni geometriche (sviluppo di un sistema ordinato di entità vettoriali) con l’innegabile vantaggio di poter operare su tali immagini operazioni di calcolo e trasformazioni dimensionali o spaziali di una o di gruppi di entità vettoriali. Certo è che uno degli aspetti centrali dell’uso di sistemi informatici nelle pratiche di interpretazione del paesaggio, comporta una chiara presa di posizione sulle ancor oggi solo oniriche opportunità di automazione del processo. Se da un lato il mezzo informatico, agevola e in alcuni casi rende possibile percorsi interpretativi che presentano opportunità di verifica ed oggettivazione dei risultati, dall’ altro spesso la stessa natura del mezzo induce a letture fortemente condizionate dalla natura logico matematica dello stesso e quindi come nel caso dei metodi tradizionali di elaborazione di immagini sarà il giudizio critico dell’operatore a stabilire in quale misura e per quale parte tali elaborazioni determinino risultati funzionali e coerenti alla lettura. Di contro, dato che spesso il mezzo informatico, diviene per oggettiva comodità di elaborazione e rielaborazione di immagini assunte a campione, un potente ausilio allo sviluppo di molteplici simulazioni, può capitare che nel processo di lettura ed analisi si scorgano percorsi interpretativi non previsti e dato che alcune funzioni permettono a 8
differenza del disegno tradizionale, una rapida rielaborazione la sperimentazione di questi percorsi interpretativi, il trattamento digitale di immagini sia “raster” che vettoriali, può portare a soluzioni o chiarimenti davvero interessanti. Da ultimo ritengo utile affermare che il semplice ricorso alle opportunità offerte dal mezzo informatico senza alcuna mediazione con le pratiche usuali del rappresentare almeno per le esperienze sino ad ora condotte, non offre un quadro metodologico e cosa più importante procedurale consolidato e certo. Per rendere più scorrevole il discorso rimando ad alcuni degli esempi presentati commenti e chiarimenti sulle differenti opportunità offerte da uno o l’altro dei generi di immagini qui enunciati . Il panorama, presenta una porzione del fronte a mare del Comune di Levanto. Su tale immagini, in ragione di uno studio paesistico sono state sviluppate alcune elaborazioni grafiche che in sintesi vengono presentate.
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Tutta la sequenza di immagini relative al Comune di Levanto , rientra negli studi relativi ad una ricerca in convenzione tra il Politecnico di Milano e la società Levante Sviluppo finalizzata alla redazione di studi preliminari alla redazione di un piano paesistico ed in subordine alla simulazione dell’impatto paesaggistico che avrebbero assunto una serie di interventi da attuarsi sulla passeggiata in fronte mare
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In questo caso per mezzo di un ricalco operato con gli strumenti tradizionali del disegno si è provveduto a definire i tratti caratteristici dell’immagine che raffigura il luogo considerato.
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La medesima immagine è in questo caso elaborata per mezzo di un ricalco vettoriale prima dell’ immagine precedente e poi arricchito da letture operate sulla base fotografica di partenza
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Sulla medesima base vettoriale, operando sugli spessori dei segni si è in questo caso evidenziato l’andamento dei crinali che costituiscono l’impianto vallivo.
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Per operare quindi una specie di scomposizione per piani su base assonometrica che intendeva restituire gli andamenti altimetrici dei differenti rilievi che l’ immagine presenta.
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Credo che questa serie di immagini dimostri come la redazione di una base vettoriale offre numerose e diversificate possibilità di rielaborazione dell’immagine dato che essendo il disegno vettoriale scalabile e scomponibile su differenti layers permette alterazioni e modifiche sia delle dimensioni che delle relazioni spaziali tra parti, oltre alla opportunità di modifica dello spessore dei corpi e del tipo dei segni. Da ultimo si è provveduto ad una operazione di campitura per parti delle differenti presenze censite in luogo e alla sovrapposizione di un grafo di interpretazione dei differenti centri di attrazione visiva che l’immagine comporta.
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Prima di addentrarmi nell’ esposizione di altri casi di studio più vicini alle modalità di interpretazione digitale dell’ immagine fotografica credo opportuno almeno accennare come la complessa relazione tra modello digitale del terreno (d.t.m.) e quello che nell’ esperienza si è verificato essere un limite oggettivo di tale strumento di rappresentazione negli studi di trasformazione del paesaggio. Compatibilmente alla leggibilità dell’immagine, spero si possa riconoscere un classico esempio di modellazione tridimensionale degli andamenti altimetrici di una porzione di territorio. Nel caso in questione, il modello viene generato determinando il punto di vista in analogia con quello di un immagine fotografica assunta campione. Certo è che tale sistema di restituzione, considerato sotto il profilo delle trasformazioni del paesaggio, anche ricorrendo a vestizioni con basi ortofotografiche poco esprime.
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Tutta la sequenza di immagini a seguire, viceversa, rientra negli studi relativi ad una ricerca in convenzione tra il Politecnico di Milano e la società Italcementi Group finalizzata alla redazione di studi preliminari alla valutazione dell’impatto ambientale sotto il profilo paesaggistico, di un programma di espansione e prosecuzione delle attività estrattive di una cava a cielo aperto.
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L’immagine presenta i caratteri del luogo e come vedremo in seguito si presta ad interpretazioni grafiche di tipo tradizionale e informatico. Nello svolgersi del processo di interpretazione si è comunque reso necessario provvedere alla realizzazione di modelli plastici tradizionali che consentissero nelle occasioni di confronto con altri specialisti ( geologi, podologici, agronomi ecc.) una chiara percezione dei caratteri morfologici e costituitivi dei luoghi. Ciò in ragione del fatto che nelle forme digitali di modellazione del terreno spesso, pur nel rispetto della coerenza geometrica, si perde la leggibilità degli andamenti.
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La foto presenta il primo modello basato su curve di livello, realizzato con tecniche tradizionali Con esso si e reso possibile identificare i differenti ambiti di coltivazione e cosa forse più importante verificare la morfologia del sito di intervento.
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Questo secondo modello, altresì simula la conformazione a fine coltivazione e come si vede nell’ immagine sottostante offre la possibilità di considerare la conformazione dei piazzali di scavo alle differenti fasi di coltivazione. Un elemento che risulterà molto utile per elaborazioni grafiche che a differenza dei sistemi di modella zione digitale del terreno mediano la percezione del luogo con analisi grafico geometriche delle trasformazioni. (vedi disegno a destra)
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Curiosa e diversa è la ragione per cui e stato viceversa elaborato questo secondo tipo di modello. Riferendosi alla sua principale finalità, lo stesso serve per verifiche e controlli sulle condizioni di stabilità dei differenti substrati rocciosi alle successive fasi di coltivazione, ma non solo, potendo percepire attraverso di esso la natura di tali starti rocciosi, è stato possibile ipotizzare anche la natura cromatica e di forma che eventuali strati che in progetto sono stati considerati affioranti avrebbero assunto. 21
Il modello propone le intersezioni di differenti sezioni geologiche che interessano la parte apicale del sito di coltivazione. Il modello media tecnologie digitali di elaborazione dell’ immagine e metodi della tradizione. Nei fatti tale mediazione è stata scelta obbligata dato che la modellazione tridimensionale con sistemi informatici come è possibile vedere nelle tre immagini successive non offriva un adeguata leggibilità ed un ancor più scarso grado di comprensione.
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Per concludere questa prima riflessione sul ricorso a metodi e tecniche della tradizione del rappresentare spenderò ancora due parole su un differente modo di generare modelli tridimensionali digitali in cui andando in un certo qual senso contro la natura stessa del mezzo informatico, attraverso la costruzione di basi grafiche tradizionali è possibile giungere a modellazioni più affini alla percettività del luogo. 23
In questo rendering, a dire il vero di pessima qualità, si intravede una vista prospettica di un modello digitale di una porzione di territorio del Comune di Levanto. La particolarità di questa rappresentazione consiste nel fatto che la costruzione delle basi vettoriali da cui l’immagine si genera ricalca i modi usuali della costruzione del modello fisico.
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La sequenza propone i progressivi passaggi grafici per effetto dei quali si giunge alla costruzione del modello digitale presentato. Sotto ogni immagine una nota precisa cosa sia stato elaborato. 24
Base cartografica di partenza
Ricalco su lucido delle isoipse ordinatrici e secondarie
Identificazione degli assi stradali e loro segmentazione per quote
Ricognizione del costruito
Somma dei differenti su cui sono stati vettorializzate le basi grafiche precedentemente elaborate
Modellazione tridimensionale automatica in vista assonom. del modello digitale
Di questo modello esiste un secondo grado di dettaglio che copre un’area di maggior ampiezza ma per problemi di potenza di calcolo nel periodo in cui è stato elaborato non è stato possibile utilizzarlo. 25
In questa vista prospettica con rendering, a “filo di ferro”, l’unicaforma di rendering ammessa dalla potenza di calcolo della macchina e compresa una porzione analoga a quella considerata nelle elaborazioni sul fronte a mare di Levanto, presentate in precedenza.
Come si vede il modello digitale copre per curve con equidistanza di 25 metri l’intera sezione del fronte a mare del terittorio considerato
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Prima di addentrami nell’esposizione delle opportunità offerte dai programmi di fotoritocco per l’ interpretazione dei caratteri luminosi, cromatici e formali di un immagine di paesaggio, credo giusto presentare l’esperienza fortuita da cui questa intuizione trae origine. Lavorando sulle interpretazioni del territorio di Levanto si era posta la questione con quali modi alcune presenze, attirassero l’attenzione visiva dell’osservatore. Tale fenomeno strettamente legato ai meccanismi della recezione visiva semplificata di cui ha in questa sede parlato il Prof. Alessandro Pittaluga, si configurava come un metodo di possibile valutazione delle trasformazioni indotte all’ insieme paesistico considerato dall’inserimento di qualsivoglia forma di intervento che a qualsivoglia titolo ne modifichi i caratteri. Motivo di interesse nella osservazione dei diversi insediamenti di mezza costa che caratterizzano l’entroterra di Levanto era la loro condizione di visibilità, fattore che trascendendo estensione e morfologia dell’ insediamento stesso, si determinava in primo luogo in forza di un particolare valore di luminosità di alcuni edifici che generando un contrasto con lo sfondo boscoso emergevano alla vista. Poter quindi modificare e variare le condizioni di contrasto luminoso e cromatico delle immagini fotografiche assunte in sede di rilievo, consentiva in fase di elaborazione di poter simulare e verificare tale condizione strettamente connessa alla riconoscibilità del luogo. Queste tre immagini che seguono sono solo la sintesi di una fortuita sperimentazione attraverso la quale si è giunti a comprendere che il ricorso a mezzi informatici di trattamento dell’ immagine consentiva con maggiore velocità la riproposta di pratiche che fortemente hanno caratterizzato nelle diverse forme di espressione i modi del rappresentare il paesaggio si pensi ad esempio ad alcuni artifici cromatici propri della prospettiva aerea da Leonardo in poi. 26
Quanto appare in modo sommario in un immagine fotografica può assumere ben più consistente forza percettiva nel momento in cui l’ immagine viene portata a livelli di contrasto luminoso elevati come chiaramente si vede nell’ immagine a fianco
L’immagine determinata da un condizionamento digitale, esaspera le parti di maggior luminosità dell’ immagine di partenza e facilità nell’ identificazione degli elementi che per massa e luminosità attraggono l’occhio. Le linee colorate sono sovra significazioni vettoriali che intendono indicare il percorso e i centri interessati nella visione del luogo.
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Le complessità intrinseche al paesaggio, comportano quale che ne sia il tipo di approccio di studio lo sviluppo di metodiche che offrano opportunità di ripetizione delle analisi condotte metodiche che già in fase di enunciazione risultino funzionali ad una qualsivoglia forma di validazione in termini di rispondenza qualitativa dei risultati conseguiti. Nell’approccio al paesaggio basato sui modi del rappresentare, troppi fattori soggettivi: abilità grafica, dominio di tecniche, competenza nell’ uso dei modi usuali e innovativi di rappresentazione,spesso pur offrendo adeguata suggestione non riescono a diventare terreno di incontro e di confronto con altri tecnici che comunque sul territorio e quindi nel paesaggio operano. Da questa considerazione si determina la ragione per cui ricorrendo alle modalità tipiche di alcuni software si è giunti a sviluppare un percorso di analisi che sebbene ancora molto risenta di fattori suggestivi, almeno per quanto riguarda la validazione dei risultati offre alcune opportunità di verifica, ripetizione e controllo dei risultati raggiunti. Un opportunità di confrontarsi con tale necessità si è presentata in occasione di una ricerca in convenzione condotta per il Politecnico di Milano che vede il prof. Alessandro Pittaluga come responsabile della sezione: Paesaggio. In precedenza riferendosi ai procedimenti di modellazione tridimensionale di una porzione territoriale si è già accennato alla convenzione Politecnico-Italcementi per le analisi di natura paesaggistica funzionali alla valutazione di impatto ambientale del progetto di ampliamento di un polo estrattivo e delle contestuali condizioni di trasformazione e recupero ed proprio in questa occasione che pratiche di trattamento digitale di un immagine assunta a campione delle caratteristiche del luogo, trovano una seppur embrionale sistematizzazione. Ai fini dell’esposizione della parte tecnica di elaborazione poco conto assumono le modalità di assunzione di immagini come campioni e le risultanti analitiche a cui le elaborazioni stesse portano. Comunque per maggiore comprensione dei modi adottati, laddove si renda opportuno, cercherò di precisare anche i perché. Ogni luogo presenta in relazione al punto di osservazione differenti fisionomie, parlando di paesaggio direi che ogni luogo offre molteplici vedute. D’altro canto l’esperienza insegna che non sono molti i luoghi che offrano vedute panoramiche ed anche quando ciò accade, al panorama si associa la fissità del punto di osservazione. Affrontare seppur sommariamente, il tema del vedere il luogo, ed in conseguenza di ciò del definire l’immagine di esso che non sempre percepiamo come espressione di paesaggio, mi assiste nell’ argomentare in sede preventiva il perché le indagini condotte si limitano ad un solo caso e, con ciò ad affermare che la coerente riproduzione del processo di lettura ed analisi su altre e diverse immagini del medesimo luogo, dovrebbe portare se non ha risultati, almeno a conclusioni simili. 27
Ai fini dell’ indagine, dei caratteri e delle trasformazioni paesistiche indotte dalla cava si disponeva di numerose immagini, riprese da differenti punti di vista con differente distanza ed angolazione. In effetti uno dei primi problemi sotto il profilo di strutturazione logica del percorso di analisi si è presentato proprio nell’operare una scelta tra quali immagini, per differenti aspetti significative, si dovesse concentrare l’attenzione.
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Nella sequenza di immagini che segue non vi è nulla di digitale, basandosi su fotografie di tipo tradizionale, e disegnando con carta e matita si è cercato di identificare le diverse “fisionomie” dell’ ambito di studio al variare del punto di ripresa Le cinque immagini propongono differenti visioni della cava da diversi punti di osservazione. Come vedremo, questa analisi preventiva ritorna in alcuni passaggi funzionali alla scelta dell’ immagine campione.
Da tale lettura si è giunti per convenienza ad assumere la prima delle visioni considerate come più significativa per i successivi trattamenti. 29
L’immagine assunta a campione presenta le migliori condizioni di visibilità della cava, scegliendo con ciò le maggiori condizioni di forza dal punto di vista paesaggistico di ogni intervento che alteri o ripristini lo stato dei luoghi
Credo che sarebbe quanto mai noioso elencare tutti i passaggi operativi che portano alle elaborazioni di maggior interesse, inoltre parte delle considerazioni sui passaggi che definiscono la specifica applicazione dei metodi è strettamente funzionale al caso. Per questa ragione mi limiterò a presentare i passaggi più significativi di alcune delle elaborazioni sviluppate. Un primo genere di elaborazione praticabile mediante i programmi di fotoritocco è la conversione a toni di grigio e per mezzo di ciò lettura dei fenomeni di luminosità che l’immagine assunta a campione presenta. Come nel caso di elaborazioni condotte con tecniche grafiche e fotografiche tradizionali, quasi tutti i programmi di fotoritocco consentono la conversione di un immagine a colori in una sua versione monocromatica. Due tra le molteplici sub-routine di condizionamento dell’immagine sorgente offrono alternativamente: la conversione a scala di grigio generando un immagine simile alla
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fotografia in bianco e nero e, la conversione a soli due toni (immagine bitmap) che in sostanza equivale ad una foto elaborazione al tratto. Considerando tale genere di opportunità nella logica di una lettura interpretata di immagini di paesaggio, anche per la già citata necessità di riduzione dei segnali visivi che essa comunque presenta, operare condizionamenti di tale tipo di condizionamento consente, seppure a prezzo di perdere in questa fase di lettura ogni informazione derivante dai fattori cromatici elemento sicuramente centrale nelle analisi dei caratteri di paesaggio, di verificare i differenti rapporti di luminanza tra le parti e con ciò le relazioni tra le diverse presenze che caratterizzano il paesaggio indagato. Credo inoltre opportuno precisare che lo stesso programma di foto ritocco consente di operare infinite regolazioni dei rapporti di contrasto e luminosità dell’immagine nel suo insieme o per parti e con ciò offre l’innegabile vantaggio di simulare, per quanto in modo arbitrario e puramente sperimentale differenti condizioni di illuminazione della scena o migliorare per quanto possibile la leggibilità di parti in ombra e compatibilmente alla presenza di informazioni, di parti sovra esposte. 30
L’immagine sorgente viene dapprima convertita a scala di grigi, e quindi per parti, “equalizzata”. L’immagine ottenuta presenta caratteri idonei per condurre letture interpretative sui rapporti luminosi tra le differenti presenze naturali e gli interventi antropici che hanno modificato la natura del luogo.
Nel caso di studio in questione, la lettura tonale, doveva risultare strettamente propedeutica e funzionale ad un altro genere di interpretazione: la determinazione dell’impatto visivo degli interventi di escavazione e di successivo recupero. Approfondendo le sperimentazioni si è però scoperto che riferendosi all’ immagine assunta a campione e quindi con determinate condizioni di illuminazione ai toni in buona sostanza corrispondevano diversi generi di presenza. Ad esclusivo scopo informativo nella pagina seguente si ricostruisce la sequenza originale di elaborazione per valori percentuali di luminosità a cui l’ immagine e stata elaborata. Certamente tale sequenza ha scarso interesse ai fini dello specifico di indagine ma presenta una efficace simulazione dei differenti modi di percepire alcuni tratti caratteristici del luogo, al variare delle condizioni di illuminazione.
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Le immagini presentano differenti filtraggi dell’ immagine assunta a campione basati su valori percentuali in relazione ai pixel.
Scala di massima luminosità
Scala di minima luminosità
10%
20%
40%
60%
80%
90%
Operare tale genere di campionature pone in evidenza, con metodo analitico quali parti dell’ immagine assumano rilevanza percettiva al variare di alcune condizioni luminose. Certamente il metodo presenta un elevato grado di empirismo, e facilita in primo luogo l’operatore nella definizione dei settagli in successive analisi digitali. All’immagine così rettificata è stato quindi imposto un condizionamento digitale per procedere ad una sommaria omologazione dei valori tonali. Tale procedimento consente 18
di rendere maggiormente comprensibili i campi con valore tonale analogo e in ragione di ciò identificare con maggiore chiarezza le differenti presenze che concorrono alla fisionomia del luogo. 33
Inserire commento
A questo punto si impone un chiarimento sulle modalità con cui è possibile operare una valutazione in rapporto percentuale dei differenti toni che compongono l’immagine ottenuta dopo le operazioni di condizionamento. La quasi totalità dei programmi di foto-ritocco, consentano mediante appositi comandi di selezionare solo alcuni tipi di pixel tra loro omologhi per intensità luminosa e colore. Operando tali selezioni e comparando la quantità (numero) di pixel che risultano tra loro omologhi con il numero complessivo di pixel che costituiscono l’immagine. 34
L’immagine rappresenta un interfaccia di un programma di fotoritocco, in cui è possibile vedere le informazioni in relazione, in questo caso al canale del nero, e alla voce pixel, il numero di pixel che compongono l’immagine.
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Ovviamente un procedimento analogo può essere effettuato lavorando su immagini a colori, con la possibilità di interpretare con maggior cura l’insieme di elementi che costituiscono l’immagine. 35
Inserire commento.
Nella sequenza proposta all’immagine non sono ancora state eliminate: la “quinta di primo piano” (il pianoro da cui è stata effettuata la ripresa) e la “quinta” di sfondo costituita dal tono medio del cielo. In relazione alla presenza in ogni immagine di “quinte” che possono determinare fattore di disturbo nella lettura dei caratteri figurativi di luogo, nelle successive elaborazioni si è ritenuto opportuno escluderle al fine di relazionare i valori determinati alla sola parte di maggior interesse in riferimento al sito di intervento. 36
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Questa scelta è strettamente funzionale ad una ipotesi di successiva “pesatura” dei differenti toni che costituiscono nell’ insieme dell’ immagine un riscontro ai valori luminosi del campo specifico di indagine. Un secondo percorso di indagine operato sulla medesima immagine, media le analisi in precedenza condotte con elaborazioni effettuate con tecniche tradizionali di disegno e elaborazioni con sistemi CAD. In questo caso buona parte dei disegni di partenza, mira ad oggettivare i rapporti spaziali tra elementi che costituiscono l’immagine assunta a campione per poter poi operare simulazione dell’ impatto visivo di differenti generi di intervento previsti in progetto. 37
Una prima lettura, condotta con tecniche grafiche tradizionali intende identificare e precisare gli elementi percettivamente rilevanti nell’immagine assunta a campione
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In una seconda fase si è provveduto ad identificare sulla medesima base con l’ausilio di documenti cartografici i perimetri degli ambiti di cava ed alcuni riscontri ( ad esempio alcuni luoghi e/ o presenze )
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Al disegno tradizione si sostituiscono elaborazioni di grafica vettoriale con sistemi CAD che offrono l’ innegabile vantaggio di una più agevole rielaborazione dell’ immagine, oltre alla possibilità di quantificare le presenze per valori di superficie. 39 Procedendo quindi ad una elaborazione vettoriale di ciò che diventerà l’immagine di base per successive elaborazioni grafiche. .
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Come si vede operando per mezzo dei riscontri precedentemente assunti si è inoltre provveduto ad una seppur sommaria definizione delle quote altimetriche. Tale espediente risulterà oltremodo funzionale nell’ elaborazione di disegni vettoriali in cui si devono simulare trasformazioni a differenti fasi temporali
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La base così determinata supportata da una interpretazione degli assi prospettici su cui operare la lettura delle basi cartografiche ha consentito il disegno di differenti fattori relativi alla coltivazione della cava (Nell’ esempio a fianco la poligonazione dell’ ambito estrattivo)
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E basandosi su interpretazioni di tipo aster condotte con i metodi in precedenza esposti, la definizione delle diverse presenze naturali che costituiscono sia l’ ambito di cava che l’intorno.
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In questa immagine viene presentata la “poligonazione” delle differenti zone interessate da interventi di escavazione nei differenti periodi temporali considerati.
Mentre nella successiva i poligoni identificano le parti soggetta ad interventi di recupero alla soglia dei ventenni di coltivazione.
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La serie di immagini a fianco è di fatto una delle conclusioni delle indagini condotte. In essa si raccolgono rappresentazioni che esprimono il processo di trasformazione del luogo in base al progetto di coltivazione nelle 5 soglie temporali considerate. Con il ricorso ai metodi di elaborazione presentati pare legittimo affermare che se non probante, almeno probabile è la verosimiglianza delle immagini prodotte.
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E proprio da questa base, in un certo senso “oggettiva” nasce la maquette che simula le trasformazioni della parte sommatale dell’ ambito di cava dopo vent’anni dall’inizio della coltivazione.
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Per concludere questa lunga e personalissima dissertazione sui modi del rappresentare il paesaggio, credo opportuno utilizzare un esempio a mio parere emblematico di un modo per molti versi discutibile di utilizzo dei sistemi digitali di trattamento delle immagini nella lettura del paesaggio. L’occasione mi è offerta da una elaborazione realizzata ad esclusivo scopo didattico. Il fine di queste immagini era generare in studenti di architettura del primo anno in un workshop propedeutico ai laboratori di progettazione, una attenzione ai caratteri di luogo, e per tale ragione ho ritenuto proficuo ricorrere ai modi della suggestione. Ad un immagine a dire il vero già di per se stessa suggestiva, mediante le elaborazioni digitali di foto ritocco si è sommata ulteriore suggestione. 46
L’immagine raffigura una parte del parco del Mincio in provincia di Mantova.
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Un primo condizionamento interpreta i toni cromatici e restituisce il luogo in chiave pittorica.
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Un secondo, procede ad una sintesi tonale che comincia a definire le differenti presenze per analogia.
24
49
Il terzo annullando il fattore cromtico e riconducendo l’ immagine a tre soli toni di grigio pone in evidenza le masse.
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L’ultimo esasperando il contrasto estrae i segni salienti dell’ immagine trattata.
Da tale percorso, in estrema sintesi emerge questa immagine che con pochi segni e alcuni toni si propone di evidenziare il carattere del luogo.
Certamente non è questo il modo, ma per alcuni versi non mi sento di affermare che anche questo non sia un modo per misurarsi con la complessa e quanto mai difficile pratica del rappresentare il paesaggio.
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Claudio Umberto Comi
sul paesaggio argomenti ed esperienze per una riflessione.
Indice
3
premessa dell'autore
5
introduzione
7
esperienze sul paesaggio.
8
le ragioni del caso:
15
il ritorno alla ricerca sui temi del paesaggio
17
Paesaggio e territorio
21
Una premessa sul concetto di paesaggio.
25
Quali novità vi sono nel paesaggio ? Sul concetto di iconografia di luogo
29
Il paesaggio esperienza sensibile neutra.
35
Il paesaggio come frammento cognitivo
48
Luogo e tempo
51
Il paesaggio, rappresentato.
52
Il paesaggio: generi e canoni
53
Dall’arcadia al paesaggio reale.
55
Il paradosso di un paesaggio come espressione di un "non luogo".
57
Il paesaggio del “genius loci”.
60
Il paesaggio quale esperienza cognitiva dei caratteri di luogo.
62
Le forme canoniche della rappresentazione di paesaggio.
64
Il concetto di armonia come falso parametro di giudizio estetico
71
Cognizione e coscienza del paesaggio.
73
La complessità nella "rappresentazione" del concetto di paesaggio
76
la necessità di costituire un terreno comune di coltura degli studi di paesaggio.
77
Verso la definizione di un paradigma per il termine "di paesaggio".
78
Verso una tassonomia dei caratteri dell’episodio visibile di paesaggio.
80
Paesaggi naturali e antropici
81
Verso approccio “percettivo” al paesaggio “di frangia”.
83
Linee guida per costruzione di un repertorio paesaggistico di un ambito complesso
91
Ricognizione e classificazione del paesaggio urbano.
1
PROPOSTA DI PROTOCOLLO SPERIMENTALE DI PROVE PER LA VERIFICA DELL’IMPATTO PERCETTIVO SUL PROGETTO DI TRASFORMAZIONE DELLA CEMENTERIA ITALCEMENTI DI REZZATO -BS
A CURA DI CLAUDIO UMBERTO COMI MILANO 4 APRILE 2005
CLAUDIO UMBERTO COMI ARCHITETTO
20137 MILANO- VIA GRESSONEY 1 - 02-55.01.68.77
ANALISI FINALIZZATE ALLA VERIFICA PREVENTIVA DI IMPATTO PERCETTIVO DI IMPIANTI INDUSTRIALI Claudio Comi*
L’impostazione generale (in questa fase ancora di natura sperimentale) di un protocollo di verifica delle condizioni di “visibilità” o impatto percettivo delle differenti ipotesi di progetto per un impianto industriale (riferendosi per la conformazione della stesso a elaborati di progetto e documenti simili) si fonda su precedenti esperienze di censimento e classamento delle presenze naturali o antropiche in immagini di paesaggio ai fini della pre-valutazione e valutazione di impatto ambientale. Tra le esperienze più significative e solo in parte affini a questa, si ricordano: Studi sui caratteri di paesaggio del territorio comunale di Levanto e Valutazione di impatto ambi entale in relazione a due “poli estrattivi a cielo aperto” entrambi in collaborazione con Alessandro Pittaluga ed altri, come meglio argomentati nel testo “sul paesaggio” edito e distribuito su richiesta, in formato digitale. Indipendentemente da ciò, in questa sede dopo alcune necessarie premesse di merito si andranno ad esporre in forma indicativa le differenti ipotesi di lavoro (prove ed analisi) ragionevolmente utili e congruenti per una comparazione tra differenti ipotesi di intervento o, a dir si voglia, progetti di intervento. Il percorso di verifica, qualificazione e comparazione proposto considera anche se con differenti finalità, alcuni tra i metodi consolidati nelle pratiche di analisi della forma e della texturei per la classificazione di immagini derivate da satellite o “tele-rilevate”, trasliterandone il campo di applicazione e le modalità di classamento delle rilevazioni. Ad immagini che restituiscono un territorio in vista planimetrica, seppur con le inevitabili condizioni di variabilità altimetrica assunte mediante telerilevamento o rilevazioni satellitari, si sostituiscono immagini campione, opportunamente costruite e condizionate, che raffigurano la visione proiettiva (ortogonale o prospettica, poco importa) dei caratteri che conformano la natura del luogo e le presenze ad esso riferibili nelle condizioni di fatto in cui lo stesso si presenta al momento dell’intervento. Intervenendo quindi con la simulazione delle variabili indotte dal progetto di insediamento (immagini di studio opportunamente predisposte) si opera una progressiva e omologa lettura delle variazioni poste in essere dalle differenti ipotesi di progetto, giungendo quindi ad un data-set di valori numerici o graficonumerici con i quali operare le opportune comparazioni. Diverso è il discorso dei parametri su cui operare giudizi di merito e qualitativi, dati questi di evidente importanza in quanto espressione di una “ specifica di qualità relativa ” riconducibile seppur in modo indotto alle differenti scelte di progetto. In tal caso come in ogni pratica di natura estimativa si dovranno considerare e rispettare i criteri di: logica; ovvero un razionalità convincente, (eventualmente suffragata in un caso di tale natura, da rilevazioni “al buio”ii del pensare comune il sito e le sue peculiarità figurative); praticità; intesa come logico rapporto tra oneri e benefici; ordinarietà, assicurata in questa ipotesi da modelli di analisi omologhi e coerent su più ipotesi di progetto; previsione, come dato qualificato delle scelte operate in sede di progetto; probabilità; quale riduzione dell’alea di indeterminazione che ogni insediamento umano pone in essere sulla trasformazione della natura dei luoghi definendo se ne ricorra il caso un protocollo di verifica e riscontro dei dati aggregati conseguenti alle analisi condotte sul caso e su casi analoghi o comparabili. Dopo le considerazioni di merito, per chiarezza e sintesi espositiva credo utile passare alle considerazioni di metodo. Alcune prove intendono sintetizzare la variabilità presente nei dati sperimentali e nelle osservazioni geometrico-figurative in maniera grafica e numerica .attraverso l’uso di istogrammi e diagrammi opportunamente concepiti e strutturati. Ad esse si affiancano misurazioni strumentali in relazione al colore, ai valori di luminanza e contrasto tra parti e sfondo, operate attraverso sistemi informatici ( programmi di foto-elaborazione di uso corrente, ad esempio PhotoShop di Adobe) sulle quali basare verifiche comparative tra il configurasi sotto il profilo percettivo di diverse ipotesi di impianto. Quando eventualmente necessario non si escludono ulteriori *
Architetto e professore a contratto presso la Prima Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano per corsi di: Rappresentazione del paesaggio e del territorio e Tecnologia edilizia Questa procedura e soggetta al diritto d’autore pertanto l’architetto Claudio Umberto Comi se ne riserva tutti i diritti e la tutela a termini di legge. In ragione di ciò ne è vietato l’utilizzo, la copia e la diffusione non autorizzata, anche parziale di tale documento.
analisi strumentali del colore come misurazioni spettrofotometriche e simili, anche se ciò appare plausibile solo a fronte di rendering o fotomontaggi ad un alto grado di definizione fotorealistica del progetto. I dati conseguiti divengono quindi elementi utili per verifiche con i metodi della statistica multivariata, condotti attraverso l’analisi della similarità di unità statistiche sulle quali sono state esaminate più variabili e casi, ed eventualmente saggiando attraverso modelli matematici, da definire in funzione degli esiti deterministici preventivamente definiti, i caratteri di ipotesi affini o alternative. Da ultimo, ove occorresse, si potrebbe giungere alla somministrazione di test di assunzione di dati parametrici o riscontro (a gruppi o su pannel di riferimento ) tenendo così sotto controllo sia gli effetti delle implicazioni fisiologiche alla percezione che degli stimoli sensoriali in termini di soglia di percezione e/o di identificazione e di adattamento oltre alla costruzione di una casistica di percezione e cognizione riferibile a modelli insediativi analoghi; dati di cui a chi scrive non risulta ancora nessun studio in letteratura specificatamente riconducibile al caso di studio. Le figurazioni assunte a campione ( “immagini campione”) a loro volta si possono generare con sistemi infografici in uso corrente nella progettazione di impianti industriali ( sistemi CAD parametrici tridimensionali e CAAD di tipo diffuso) sebbene non si esclude di poter applicare il medesimo modello di analisi su campioni generati da più sofisticati algoritmi o sistemi di “realtà virtuale”. Al contempo parte dei condizionamenti inerenti i campioni di prova e verifica mutuano, almeno in parte, studi relativi alle applicazioni informatiche per la fruizione di beni culturali e artistici e per la pianificazione di scenari urbani tema ancora via di definizione per quanto concerne assunti paradigmatici e casi applicativi probanti. In tal caso sarà a cura di terzi ( autori di progetto) la predisposizione di figurazioni a campione in scenari di computer graphics che ammettano geometrie particolarmente complesse e materiali sintetici molto dettagliati (texture di superficie per simulare materiali, come alberi e altro tipo di vegetazione , ecc.). Anche se, si pensa che una eccessiva definizione dei campioni possa introdurre un significativo grado di complessità nella conduzione delle prove, complessità che ne vanifica in parte la condizione prioritaria di riprocessabilità e verifica dei risultati, atto necessario per la validazione di quei pochi ed oggettivi parametri di comparazione tra differenti ipotesi. Inoltre la resa di fenomeni come l'invecchiamento e alcuni aspetti dell'illuminazione, che chiaramente potrebbero essere facilmente generati già in fase di rendering, ( si pensi a software come Maya o Cinema 4D ad esempio) avvalendosi in ogni caso di algoritmi mutuati da software per la simulazione cinematografica, ragionevolmente rientrano in quell’alea di mutevolezza dell’apparire che sebbene interferisca con le masse e i volumi posti in essere dal progetto si configura come dato effimero e mutevole. Prove su campioni di così elevato dettaglio, certamente interessanti e suggestive, andrebbero ad incidere significativamente sulla componente economica di tale sperimentazione, di per se stessa, già onerosa, altro non fosse per il numero di prove previste come meglio indicate nella tabella che segue da considerare in ogni caso come ipotesi di progetto da sottoporre a verifica e sperimentazione soggetta ad una validazione “ex post”. Per concludere, è evidente che nel rispetto del metodo scientifico ciascuna di tali analisi, di per se indicativa di un fattore specifico, non può definire il quadro complessivo di indagine; sarà quindi solo l’interpolazione dei differenti dati o indicatori a precisare i termini di differenza e qualità specifiche delle differenti scelte di progetto sottoposte a valutazione analitica comparata.
Dott.Arch, Claudio Umberto Comi Studio: 20137 Milano – Via Gressoney 1 02- 55.01.68.77 – 338.62.97.611 e-mail:
[email protected] Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano 20133 Milano -Via Bonardi 3 02- 2399.5488
Questa procedura e soggetta al diritto d’autore pertanto l’architetto Claudio Umberto Comi se ne riserva tutti i diritti e la tutela a termini di legge. In ragione di ciò ne è vietato l’utilizzo, la copia e la diffusione non autorizzata, anche parziale di tale documento.
ANALISI GRAFICHE SU CAMPIONI GRAFICI CONDIZIONATI CAMPO O PATTERN D’INSIEME CAMPO O PATTERN DI DETTAGLIO VALORI
( VISTA D’INSIEME ) ( PORZIONE QUALIFICATA ) ASSUNZIONE
INDICATORE
MISURA DA PROGETTO MISURA DA PROGETTO MISURA DA PROGETTO A SEGUITO OMOLOGAZIONE DI TONI IMPIANTO SU TONO MEDIO DI SFONDO A SEGUITO OMOLOGAZIONE DEL PATTERN DEI CAMPIONI ASSUNTI E IN RELAZIONE A CAMPIONE DI RISCONTRO
VISIBILITA’ VISIBILITA’ IMPATTO VISIVO IMPATTO VISIVO
RAPPORTO TRA ALTEZZE MEDIE ED ASSOLUTE, RILEVATE IN SETTORI A CADENZA METRICA PREDEFINITA SU DIFFERENTI CAMPIONI O SU CAMPIONE DI RIFERIMENTO ( STATO DI FATTO) COME PUNTI DI ALTERAZIONE IN POSITIVO O NEGATIVO RISPETTO ALLA LINEA DI ALTEZZA MEDIA PONDERALE DEL CAMPIONE TRATTATO INTESO COME ISTOGRAMMA DERIVATO DALLA SCHEMATIZZAZIONE DEI PROFILI DEI VOLUMI PRINCIPALI RISPETTO AL QUOTA DI TERRA INTESO COME RAPPORTO TRA MASSE TONALI DELL’ IMPIANTO RISPETTO AD UN CAMPO NEUTRO DI RISCONTRO ED OMOLOGAZIONE TRA CAMPIONI A PARITA’ DI SCALA ( ISTOGRAMMA DEI PIXEL) CENSIMENTO A SEGUITO PROGRESSIVA SELEZIONE ED OMOLOGAZIONE DI TONI PER COLORE ( PRESUPPONE LA PREDEFINIZIONE DEL RANGE) PER VETTORIALIZZAZIONE O RENDER A SEGUITO OMOLOGAZIONE TONALE VALORI DI LUMINANZA DEL CAMPIONE SULLA BASE DEI PRECEDENTI CONDIZIONAMENTI CENSIMENTO DEI CAMPI TONO-COLORE IN RELAZIONE ALL'’ESTENSIONE RECIPROCA ED ASSOLUTA CALCOLATO COME RAPPORTO TRA DISSONANZE TONALI , RILEVATE IN SETTORI A CADENZA METRICA PREDEFINITA SU DIFFERENTI CAMPIONI O SU CAMPIONE DI RIFERIMENTO ( STATO DI FATTO)
IMPATTO VISIVO
PROCEDIMENTO ANALOGO A M07 SU CAMPIONI PARCELLIZZATI E QUALIFICATI IN RELAZIONE ALLA VISIBILITA’ O ALO SFONDO COME CENSIMENTO QUALITATIVO ( TIPO DI COLORE SECONDO GAMMA RGB) E QUANTITATIVO ( NUMERO E CLASSI ) DEI DIFFERENTI COLORI DI IMPIANTO O PROGETTO MEDIA DI P02 A SEGUITO OMOLOGAZIONE PARTI CAMPIONATE VEDI P04 IN RELAZIONE A CONDIZIONI AMBIENTALI PREDETERMINATE CENSIMENTO ANALITICO SU CELLE O PORZIONI PRECEDENTEMENTE DEFINITE
ORDINE/DISORDINE PERCETTIVO PER PARTI DI DETTAGLIO
PROCEDURA
ASSOLUTI O DIRETTI A01 A02 A03 A04 A05
ESTENSIONE LONGITUDINALE ESTENSIONE IN PROFONDITA’ ALTEZZA MASSIMA ASSOLUTA GRADO DI CONTRASTO CON SFONDO TONO MEDIO DI IMPIANTO
IMPATTO VISIVO E MIMESI O FORTE VISIBILITA’
MEDIATI O PONDERALI M01
ALTEZZA MEDIA PONDERALE
M02
RITMO DI FREQUENZA DISLIVELLI SU SKYLINE DI PROGETTO
M03
DIAGRAMMA DI FRAMMENTAZIONE DEL PROFILO
M04
PERCENTUALE DI CAMPO IMPEGNATO
M05
VALORI CROMATICI D’INSIEME
M06
VERIFICA DELLA TESSITURA DI IMPIANTO ( VOLUMI DI PROGETTO) VERIFICA DELLA TESSITURA DI PATTERN VISIVO
M07
M08
RAPPORTO DI OMOLOGAZIONE O DEVIANZA DELLE TESSITURE
ORDINE/DISORDINE VISIVO
ORDINE/DISORDINE PERCETTIVO
IMPATTO VISIVO
IMPATTO VISIVO
ORDINE/DISORDINE PERCETTIVO ORDINE/DISORDINE PERCETTIVO
IMPATTO VISIVO E ORDINE/DISORDINE PERCETTIVO
DI RISCONTRO O DETTAGLIO P01
FREQUENZA E VARIANZA DI FRAMMENTAZIONE DEL PATTERN VISIVO
P02
VALORI CROMATICI ASSOLUTI
P03 P04
VALORI CROMATICI MEDI RAPPORTI DI LUMINANZA IN CONDIZIONI NORMALI RAPPORTI DI LUMINANZA IN CONDIZIONI LIMITE INDICE DI FRAMMENTAZIONE
P05 P06
IMPATTO VISIVO IN CASO DI VISONE PROSSIMALE
VALORE DI RISCONTRO IMPATTO VISIVO APPROFONDIMENTO ORDINE/DISORDINE PERCETTIVO
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A seguire si presentano in forma indicativa alcune delle analisi previste dal protocollo di prove ipotizzato. Esempi che sebbene riconducibili al caso di studio intendono asseverare una procedura di ordine generale applicabile ad impianti industriali di significativa estensione. A03
ALTEZZA MASSIMA ASSOLUTA
Assunta attraverso misure su elaborati di progetto
Concorre con l’impatto visivo, di prossimità e a distanza.
SDF
H.MAX = m.
PRO1
H.MAX = m.
ESITI
M01
Si riscontra un incremento dell’altezza massima assoluta. Valore indicativo per una visione distale del sito di intervento che comunque deve essere confrontato ai fini delle definizione di un valore significativo con l’altezza media ponderale
ALTEZZA MEDIA PONDERALE
.
Si determina quale rapporto statistico tra altezze massime assolute rilevate su settori predefiniti e altezza media della visone generale dell’impianto considerato
In questo caso concorre con sia sull’ impatto visivo di prossimità e a distanza, che sulle scelte di conformazione del progetto ( ordine ed euritmia)
in chiaro griglia di valutazione e riscontro dell’insieme PRO2
NOTA: L’immagine che interessa una differente ipotesi di progetto rispetto a quella sovrastante ed ha funzioni puramente indicative
Quadranti più marcati = celle di analisi di dettaglio MISURE
ESITI VALORE H. MEDIA = 76 % DEL CAMPO INDAGATO
NOTA: gli istogrammi sono proposti ad esclusivo fine esemplificativo
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M03
DIAGRAMMA DI FRAMMENTAZIONE DEL PROFILO
Assunta attraverso elaborazioni grafiche dello sky-line di progetto
Concorre alla definizione del grado di ordine/disordine percettivo.
NOTA: In questa immagine si presenta la sovrapposizione tra stato di fatto e progetto di espansione esterna. Entrambi i casi sono rapportati alla griglia di riscontro attraverso la quale misurare ed elaboraare i differenti parametri di varianza
M04
VALORE PERCENTUALE DI CAMPO IMPEGNATO
Assunta attraverso elaborazioni grafiche e conseguenti misurazioni strumentali di natura infografica
Concorre alla definizione del grado di ordine/disordine percettivo assoluto e relativo
L’immagine raffigura un istogramma di default di un programma di foto elaborazione. Con tale metodo, come meglio esplicitato nella nota a fianco è possibile quantificare in maniera analitica i differenti campi tonali o le luminanze del campione indagato. A ciò conseguono valori numerici atti alla definizione delle variabili di ciascun campione su cui operare le opportune comparazioni sia di pattern che di texture
NOTA:
Assunta attraverso misurazioni strumentali di natura infografica
Concorre alla definizione del grado di mimesi percettiva o visibilità indotta del progetto
NOTA: Il bianco è il campo
NOTA: I toni diversi di grigio l’impegno del campo considerato
lo schema indica in modo sommario le modalità di restituzione dei differenti valori cromatici o luminosi di un immagine digitale riferiti ai pixel censiti.
ANALISI DI RISCONTRO O DI DETTAGLIO P04
RAPPORTI DI LUMINANZA PER PARTI
NOTA: Per maggiori approfondimenti si rimananda alla pagina a seguire e per approfondimenti al già citato testo: “sul paesaggio” Immagine a colori
Immagine a scala di grigio
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Polo di Mantova
6 giugno 2003 Presentazione del libro
Giunchi e fili di seta Rivalta sul Mincio Società ed economia di valle di Adelmina Dell’Acqua
a Mina, per l’intelligente passione nell’ intrecciare ….. … “giunchi e fili di seta”
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a Mina, per l’intelligente passione nell’ intrecciare ….. … “giunchi e fili di seta” claudio
Un luogo e la memoria del luogo.
alta Rivalta
sul Mincio
un luogo, e il suo senso esperienze di un turista “per caso”
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Un luogo e la memoria del luogo.
Un tratto dell’esperienza:
una memoria “sfuocata”
Un luogo e la memoria del luogo.
MIOPIE
e daltonismo
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Un luogo e la memoria del luogo.
MIOPIE
e daltonismo Elaborazione digitale automatica ottenuta con il programma Adobe Photoshop.5.5 e le opzioni: trace contour; grey scale; lightnes e contrast
Un luogo e la memoria del luogo.
Rivaalta sul Mincio “il luogo”
verso terra
verso il fiume
link
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Un luogo e la memoria del luogo.
Rivaalta sul Mincio “il luogo”
verso il fiume
LE SUGGESTIONI
link
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
i trattamenti grafici
I SEGNI
IMMAGINI
A
B
C
D
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IMMAGINE SORGENTE
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
I CONDIZIONAMENTI DIGITALI
I SEGNI
IL SEGNO
A
B
D
C
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
IL LUOGO
IMMAGINI
I SEGNI
Immagine digitale acquisita con foto-camera digitale a alta risoluzione
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RITORNA
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
I SEGNI
Elaborazione digitale automatica ottenuta con il programma Adobe Photoshop.5.5 e le opzioni: trace contour; grey scale; lightnes e contrast
I TONI
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
I SEGNI
A
B
C
Elaborazione digitale ottenuta con il programma Adobe Photoshop .5.5 e le opzioni: cotout a 8 livelli e alta sensività rettificata per lightnes e contrast
D
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I COLORI
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
I SEGNI
B
C
D
IL NON COLORE
A
Elaborazione digitale automatica ottenuta con il programma Adobe Photoshop.5.5 e le opzioni: dry brush, blur, scale e lightnes e contrast
Il luogo di un daltonico.
I SEGNI
A
B
C
Elaborazione digitale ottenuta con il programma Adobe Photoshop.5.5 e le opzioni: cotout a 3 livelli con alta sensività da base in scala di grigi quindi rettificata per luminosità e contrasto
D
8
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
i trattamenti grafici tradizionali
D
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
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Un luogo e l’interpretazione del luogo.
GRAFO
Il luogo di un daltonico.
RIVALTA
A
B
C
IN SINTESI
D
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Un luogo e la memoria del luogo.
Rivaalta sul Mincio “il luogo”
verso terra
verso il fiume
link
Un luogo e la memoria del luogo.
Rivaalta sul Mincio “il luogo”
verso terra
link
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Un luogo e l’interpretazione del luogo.
Rivaalta sul Mincio
UNA MEMORIA SBIADITA
Il luogo, un altro volto.
MEMORIE
HOME
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Un luogo e l’interpretazione del luogo.
SCHIZZI DI SUPPORTO AL RILIEVO FOTOGRAFICO
MEMORIE
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
I segni del luogo
I PUNTI DI RIPRESA
MEMORIE I segni del luogo
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LETTURA 2
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
LETTURA 1
Un luogo e l’interpretazione del luogo.
IL PERCORSO
I segni del luogo
MEMORIE
I segni del luogo
MEMORIE
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PER LINEE Un luogo e l’interpretazione del luogo.
LETTURA 1
PER VOLUMI
PER LINEE Un luogo e l’interpretazione del luogo.
LETTURA 2
PER VOLUMI
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IMMAGINE SORGENTE
LETTURA 2
IMMAGINE TONALE
LETTURA 2
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L’INUTILE RICERCA DEL DETTAGLIO
LETTURA 2
PER CONTRASTO
LETTURA 2
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PER SINTESI
LETTURA 2
LO SKY- LINE
LETTURA 2
18
SKY-LINE E CONTRASTO DI TONO
LETTURA 2
LA RICERCA DEI SEGNI FORTI
LETTURA 2
19
UN’INUTILE “SUGGESTIONE” PITTORICA
LETTURA 2
TONI E SEGNI
LETTURA 2
20
UNA PRIMA SCHEMATIZZAZIONE
LETTURA 2
GLI SCHEMI DEL COSTRUITO
LETTURA 2
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LO STUDIO DEI PIANI
Un luogo e un’interpretazione del luogo.
LETTURA 2
LO SCHEMA DEI PIANI
LETTURA 2
22
Un luogo e un’interpretazione del luogo.
CONFRONTO CON LE MEMORIE DEL LUOGO
Un luogo e un’interpretazione del luogo.
LETTURA 2
MEMORIE I segni del luogo
COSTRUZIONE DI UNO SCHEMA
MEMORIE LETTURA 2
I segni del luogo
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Un luogo e un’interpretazione del luogo.
IN SINTESI MEMORIE I segni del luogo
LETTURA 2
Rivaalta sul Mincio Un segno del luogo.
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Polo di Mantova
Rielaborazione dei materiali della lezione tenuta agli studenti del primo anno di architettura a Rivalta sul Mincio nell’anno accademico 2001-2002
Arch. Claudio Umberto Comi
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Il disegno infantile
Nell'opera "Il disegno infantile" Luquet afferma "ogni momento dell'evoluzione si distacca dal precedente secondo un progresso quasi insensibile, si prolunga più o meno nei successivi, attenuandosi gradualmente […]. La descrizione che propongo è schematica, la continuità dei differenti momenti di questa evoluzione nella realtà è meno distinta che nell'analisi; la data e la durata di ciascuno di essi variano considerevolmente secondo il “bambino preso in esame.”
Il bambino fin da piccolo attraverso il disegno e attraverso l'osservazione di disegni e altre riproduzioni incomincia a costruire e interpretare modelli che rappresentano persone, oggetti, … e le relazioni spaziali che intercorrono tra essi e tra gli elementi che li compongono
1
La potenzialità didattica di una attività che faccia riferimento ai disegni dei bambini è ulteriormente messa in luce dall'osservazione che disegnare non è fotografare : le cose osservate vengono selezionate e riorganizzate mentalmente prima di essere riprodotte, e le conoscenze della persona, così come il suo atteggiamento culturale ed emotivo, influiscono in maniera determinante sia sulla fase del "vedere" che su quella del "riprodurre".
Visione - sguardo
osservazione -esperienza
REALTA’ REALISMO Concezione ideografica
Concezione ideoplastica
IL REALISMO FORTUITO IL REALISMO MANCATO IL REALISMO INTELLETTIVO (CONCEZIONE IDEOGRAFICA) IL REALISMO VISIVO (CONCEZIONE IDEOPLASTICA)
2
vedere
osservare
3
comprendere
realismo fortuito .
Il realismo fortuito. Il bambino evidenzia un'analogia più o meno vaga, e spesso impercettibile all'adulto, tra il tratto che sta facendo e qualcosa di reale: dà al segno il nome di un oggetto.
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Fase dello Scarabocchio fra i 2-4 anni si trovail bambino nella fase dello scarabocchio, considerato un semplice esercizio motorio, caratterizzato, però, da crescente intenzionalità.. Attenzione però a non condizionarlo. Il bambino tenderà, infatti, ad assecondare l’adulto. “Cos’è questa, una macchina?”. “Si, - risponde, - è una macchina!”. Poi cambia idea ed afferma che è una barca, e poi qualcos’altro ancora.
Fase dell’Omino Testone Sempre fra i 2-4 anni, il bambino attraversa la fase dell’ “Omino Testone” o “Omino Girino”. Si tratta di un cerchio che rappresenta la testa ma in un certo senso anche il corpo. Alla testa sono attaccate direttamente le braccia e le gambe. Ma queste sono formate da una sola linea.
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Fase del Corpo Con la distinzione fra corpo e testa si entra in una nuova fase, detta del corpo. In questa fase, gambe e braccia sono rappresentate con un segno doppio e le proporzioni vengono sempre più rispettate. Tutto ciò avviene fra i 4 e i 7 anni. Un altro passo avanti si ha quando tra la testa e il corpo è messo il collo. Ciò avviene soprattutto dai 6 anni in poi. Sempre a questa età, la figura umana viene rappresentata insieme ad altri elementi: una casa, il sole, gli animali, gli alberi, i fiori, l’erba, le automobili. Da notare che gli animali hanno quasi sempre forma umana, appaiono eretti (antropomorfismo).
Fase delle Linee di Sfondo Fra i 4-5 anni appare lo SFONDO. Esso è rappresentato da una linea superiore (il cielo, il sole) e da una linea inferiore (verde come l’erba, scura come la strada, del colore del pavimento).
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realismo mancato
Il realismo mancato Durante il 3° anno di vita il ripetersi delle suddette esperienze viene superato da una "intenzione rappresentativa" che è all'origine delle fasi successive che sono strettamente intrecciate.
ELEMENTI DA OSSERVARE: Impugnatura: pressione Occupazione dello spazio: tutto foglio o occupazione parziale Punto di partenza del foglio: centro - periferia - dx/sx - sx/dx Il tratto: regolare-irregolare Pressione: gesto marcato-gesto leggero Forma: il cerchio (comunicazione); angolo (tensione-resistenza) Tratti puntiformi (sollecitazione – paura dell’abbandono) Linee spezzate: (rabbia- perdita dell’oggetto d’amore) Gomitolo - trauma- paura di uscire
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realismo intellettivo
Il realismo intellettivo: Questa fase copre l'arco di tempo dai 4 ai 12 anni. Il bambino cerca di rappresentare la realtà in modo significativo, ma all'inizio la rappresentanza del mezzo grafico "non è adeguata "rispetto al suo proposito; successivamente l' "intenzione realista" e il "senso sintetico" costruiscono una rappresentazione della realtà riconoscibile, ma in cui "ciò che il bambino dice" sostituisce l'evidenza visiva. Una serie di processi permette il compromesso necessario tra l'uno e l'altro: enucleazione dei dettagli, trasparenza, piano, ribaltamento, molteplici punti di vista. Progressivamente il ricorrere a questi processi lascia spazio ad una visione più unitaria. Tre le caratteristiche salienti:
SCHEMATISMO. Il bambino tende a disegnare attraverso schemi fissi. Applicherà infinite volte lo stesso schema di persona, d’animale, d’albero. Il disegnare per schemi dà al bambino un senso di sicurezza e di gestione della realtà. Però se il bambino vuole raccontare un’esperienza vissuta o una particolare storia, allora tende ad uscire dagli schemi
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FIGURE SLEGATE. All’interno dello stesso disegno, gli oggetti sembrano non avere collegamento, sono pensati uno per volta. Come se il bambino dicesse: “ora faccio la mamma”; “ora faccio una casa”. E fa la casa più piccola della mamma e così via, finché c’è spazio.
IDEOGRAFISMO. In questa fase il bambino non disegna le cose come appaiono (disegno ideoplastico) ma come sono (disegno ideografico), secondo uno schema mentale in base a quello che lui sa delle cose. Sa, ad esempio, che le patate sono nello stomaco e le disegna, quasi che lo stomaco fosse trasparente. Sa che il cavaliere ha due gambe e disegna anche quella nascosta dietro il corpo del cavallo.
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realismo visivo
Il realismo visivo Verso il 12° anno di età si instaura la quarta fase, durante la quale sembra vi sia una subordinazione della rappresentazione all'apparenza visiva delle cose; questa caratteristica classicamente viene considerata come il declino del disegno infantile.
Fra gli 8 e i 12 anni, il ragazzo , supera lo “SCHEMATISMO” e l’IDEOGRAFISMO e comincia a disegnare la realtà come si vede, cioè a “fotografarla”. I disegni del ragazzo fra gli 8 e i 12 anni, più sono ricchi di questi elementi, ed evidenziano una crescita mentale e personale avanzata. Tra gli elementi che compaiono in questo periodo vi sono: persone rappresentate di profilo; attenzione per la prospettiva; accentuazione dei dettagli figurativi; rappresentazione di movimento/azioni; rappresentazione dell’espressione delle persone.
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senso geometrico e figurazione
All'inizio della scuola elementare i disegni dei bambini possono costituire un terreno fondamentale sia per l'esplorazione delle loro conoscenze e abilità prescolastiche di tipo geometrico che per lo sviluppo di esse:
osservare i disegni dei bambini, chiedere loro che cosa rappresentano, far notare loro discrepanze rispetto al soggetto rappresentato, verificare se le osservazioni sono state comprese o fraintese,
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Nelle attività di osservazione/disegno si avviano con naturalezza anche:il riconoscimento, la riproduzione (a mano libera) e la denominazione di alcune forme geometriche: cerchio = a forma di disco (o … ); rettangolo = a forma di quaderno, biglietto dell'autobus, … ; linea diritta, triangolo, … Si avvia la padronanza dello spazio-foglio, delle azioni muscolari che guidano i movimenti del braccio e del polso, … . Emergono le difficoltà relative a certi movimenti e la loro influenza sulla forma assunta dalle rappresentazioni dei vari oggetti e, soprattutto, sulla loro orientazione (difficoltà da tenere presenti nell'interpretazione e discussione dei disegni dei bambini); …
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L'attività sui disegni può svolgersi in parallelo, anzi in un reciproco rinforzarsi, con le prime attività di scrittura-lettura. Queste infatti, oltre ai problemi psicomotori a cui abbiamo accennato sopra, presentano molti aspetti di tipo geometrico: occorre padroneggiare l'ordine spaziale in cui vengono scritte lettere e parole (da sinistra a destra, dall'alto in basso, da una pagina alla pagina alla sua destra, da una pagina al suo retro),
le lettere e le parole sono le prime figure geometriche "astratte" delle quali al bambino vengono richieste prestazioni di riconoscimento e di riproduzione, la memorizzazione del suono associato a una figuraparola comporta la sua identificazione mediante la particolare disposizione spaziale degli elementi (le lettere) che la compongono,… .
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E' opportuno soffermarsi su questi aspetti in quanto le considerazioni "geometriche" che implicitamente l'insegnante sviluppa nel molto tempo che dedica all'educazione alla scrittura hanno indubbiamente un'influenza anche sul modo in cui l'alunno recepisce l'insegnamento specificamente geometrico.
Abbiamo già sottolineato che il disegnare (in quanto non è un mero fotografare ma comporta l'interpretazione e la riorganizzazione mentale di ciò che si è osservato) può essere terreno per attività di introduzione, verifica e approfondimento di conoscenze e concetti, geometrici e non.
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relazioni visive
2
fattori di forma del supporto
3
formati del supporto
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generi dell’ immagine
5
condizionamenti dell’immagine
6
scelte compositive
7
elementi ordinatori
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
SILSIS
elementi dell’immagine.
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relazioni visive
SILSIS
1
Ogni immagine risente, e perciò in fase di elaborazione richiede, di considerare alcuni elementi relativi alle condizioni di visibilità della stessa. In sintesi tali fattori sono: fattori angolari
fattori assiali
fattori distali.
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
11
SILSIS
2
fattori di forma del supporto Un secondo elemento che caratterizza ogni immagine è la forma del supporto su cui si produce: forme circolari
forme quadrangolari
relazioni proporzionali e orientamento
forme poligonali
forme ellissoidali
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
elementi di quinta
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SILSIS
3
formati del supporto Insieme alla forma, il formato determina alcuni caratteri fondamentali dell’ immagine. rapporti proporzionali
formati unificati
fattore di abitudine
fattore di disponibilità
fattore di fruibilità
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
In relazione allo scopo
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SILSIS
4
generi dell’immagine Un primo livello di riflessione interessa il tipo di immagine riferendosi al genere; fotografia
comunicazione visiva
scelte compositive
comunicazione testuale
espressione artistica
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
fattori spaziali
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SILSIS
4
generi dell’immagine un secondo livello, riguarda il soggetto, dato che in relazione allo stesso si riscontrano dei canoni ormai consolidati. gli oggetti
la figura
aspetti emotivi
gli ambienti
il paesaggio
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
condizionamenti percettivi
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SILSIS
5
condizionamenti dell’ immagine Ogni immagine in fase di utilizzo impone, in genere, scelte di condizionamento per aumentare la forza evocativa o di comunicazione della stessa. “il taglio”
fattori compositivi
la deformazione
le chiavi tonali
leggibilità
alterazioni cromatiche
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
11
SILSIS
6
scelte compositive Anche le scelte in merito alla disposizione dell’ immagine nel campo e in merito alle relazioni topologiche tra immagini sono fondamentali per un efficace risultato Simmetria e assimmetria
giustapposizione
polarità
fattori di equilibrio
punti di attrazione
bordi e margini
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
06
SILSIS
7
componenti ordinatrici Nel caso in cui più immagini debbano coesitere è basilare operare scelte in merito alle relazioni che le legano. la serie
la sequenza
fattori narrativi
progressione
frammentarietà
LE BASI DEL DISEGNO LA FORMA DELL’IMMAGINE
fattori di attrazione
06
Indice delle immagini NNI: 1875-1900
ANNI: 1625-1750 1 2 3 4 5 6
ANNI: 1750-1825 1 2 3 4
1 2 3 4 5 6 7-8-9
Pianta di Novara Fine XVIII o inizio XIX secolo collocazione ASN 50-06 Pianta della Città di Novara S.D. (1750 c.a.) 50-07 collocazione ASN Mappa catastale al 1724 (copia del 1949 - Gianzini) fonte Comune di Novara Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 2 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 3
50-10 50-13
1 2 3 4 5 6 7 8
Pianta della Città di Novara databile al 1853 collocazione ASN Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Schema grafico elaborato per evidenziare le parti Antonelliane Tavola di progetto a firma Alessandro Antonelli collocazione ASN Tavola di progetto a firma Alessandro Antonelli collocazione ASN Tavola di progetto a firma Alessandro Antonelli collocazione ASN
n.d. 55-18E1 55-18E2 55-18E4
Pianta della Città di Novara -1858 - Bellotti-Rivolta 50-19 coll. ASN Pianta del centro di Città di Novara -1958 - Bellotti-Rivolta coll. ASN 50-19 Progetto per una nuova piazza D'Armi -1854 - Cariola fonte Comune di Novara Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 2 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 3
POLITECNICO DI MILANO
Responsabile scientifico: Coordinatore:
50-22 50-24 50-23
Aso Maggiore
Verifica preventiva delle differenti alternative d'uso di conversione e riuso delle aree e degli stabili che costituiscono le attuali sedi dell'ospedale di Novara Prof. Arch. Alessandro Pittaluga
Pianta di Novara -1905 F.Ragazzoni coll. ASN Piano regolatore di ampliamento 1909 E.Baraggioli coll. ASN “Città di Novara” (c.a 1916) Ing.F.Ragazzoni coll. ASN Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 2 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 3 Schema delle costruzioni al 1911 a cura Gildo Passerini Particolare di immagine 3 riferito all'area della “ Cappuccina”
50-29 51-02 50-28
ANNI: 1925-1950
ANNI: 1850-1875 1 2 3 4 5 6
coll. ASN coll. ASN coll. ASN
ANNI: 1900-1925
Pianta di Novara c.a.1790 in trabucchi milanesi collocazione ASN Pianta di Novara ai tempi di Carlo VI (copia del 1915) coll. ASN Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 2
ANNI: 1825-1850 1 2 3 4 5 6
Novara al 1882 -1882 Ing. Bonfantini Pianta di Novara e dintoni -1883 Ing. A. Dell' Ara Piano regolatore 1891 -1889 a cura di G.Bonfantini Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 2 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 3 Serie di planimetrie dell'Ospedale Maggiore (1883 )
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Novara sistemazione strade-1933 Geometra Mittino coll. ASN Piano regolatore 1936 Prati, Magistini, Cassinis. Coll. ASN Pianta di Novara al 1936 circa coll. ASN Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 1 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 2 Particolare riferito all'Ospedale dell' immagine 3 Particolare riferito all'Ospedale di San Giuliano dell' immagine 3 Serie di planimetrie dell' Ospedale Maggiore al 19369 Schema Planimetrico dell' Ospedale Maggiore 1950 circa
AZIENDA SANITARIA OSPEDALIERA MAGGIORE DELLACARITA’ DI NOVARA Responsabile: Ing. Giordano Andrello Coordinatore: Geom. Domenico Belletti
51-06 51-10 51-07
DOCUMENTI CARTOGRAFICI
CRONOLOGIA 1770 - 89 Ampliamento a cura Arch. Martinez 1786 Acquisto dalla città del vicolo dei Cappuccini che correva verso sera tra l'ospedale e la casa di quei frati riuscendo ove ora si apre il cancello sul baluardo Massimo d'Azeglio 1790 Inizio della costruzione della nuova chiesa di S.Michele nell' ospedale Ing. Stefano Melchioni 1793 Consacrazione della chiesa del Melchioni 1806 Soppressione delle parrocchie per decreto del Regno d'Italia 1825 Costruzione sul corso di Porta Genova del ritiro delle figlie e ritocco della facciata dell'ospedale Ing. Stefano Melchioni
SCHEMA DEL LOTTO
RIFERIMENTI DELLO SVILUPPO EDILIZIO
POLITECNICO DI MILANO
DOCUMENTI DI PROGETTO
Oggetto della consulenza:
Verifica preventiva delle differenti alternative d'uso di conversione e riuso delle aree e degli stabili che costituiscono le attuali sedi dell'ospedale di Novara
AZIENDA SANITARIA OSPEDALIERA MAGGIORE DELLA CARITA’ DI NOVARA
Dipartimento di Architettura e Pianificazione
Responsabile della consulenza: Responsabile della sezione :
Direttore dell’ ufficio tecnico: Ing. Giordano Andrello Delegato: Geom. Domenico Belletti
Prof. Arch. Alessandro Pittaluga Prof. Arch. Maria Grazia Sandri
DOCUMENTI CARTOGRAFICI
CRONOLOGIA 1833 Progetto di ampliamento della crociera per gli uomini sino alla capienza di 262 letti Ing. Stefano Melchioni 1833 Rilievo della città da cui emerge un tracciato di evidente matrice settecentesca a cura Ing. Antonio Agnelli 1834 Ripristino dello stato di parrocchia alla chiesa di S.Michele ed Antonio nell'Ospedale e arrivo dei Cappuccini di Alessandria come curati 1834 Scavo di sotteranei di tre braccia e innalzato di due braccia il pianterreno si fece una crociera ben arieggiata che fu unita al resto dell'ospedale da due tratti di corridoio Ing. Stefano Melchioni 1836 Piano regolatore della città e rasformazione a verde della preesistente cinta muraria settecentesca Ing. Gaudenzio Bonola 1839 Inizio lavori di ampliamento della crociera degli uomini 1841 Fine dei lavori di ampliamento della crociera degli uomini Ing. Stefano Melchioni 1840 Progetto dell' Antonelli per la riduzione dei baluardi a pubblico passeggio a cura Arch A. Antonelli 1841 Realizzazione di 7 camere per i bagni e si stimò necessario un sito per le malattie contagiose 1842 Acquisto dei beni e della chiesa di Santa Croce, ( a mezzodì della casetta dove nel 1907 abitava l'economo dell'ospedale) 1843 Attuazione da parte dell' Agnelli di parte del progetto dell' Antonelli 1844 Inizio ampliamento della crociera per le donne 1847 fine ampliamento della crociera per le donne 1849 Incarico all' arch. Antonelli per un piano regolatore di risistemazione delle crociere dell' ospedale 1850 Inizio intervento dell'Antonelli
POLITECNICO DI MILANO
RIFERIMENTI DELLO SVILUPPO EDILIZIO
DOCUMENTI DI PROGETTO
Oggetto della consulenza:
Verifica preventiva delle differenti alternative d'uso di conversione e riuso delle aree e degli stabili che costituiscono le attuali sedi dell'ospedale di Novara
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Prof. Arch. Alessandro Pittaluga Prof. Arch. Maria Grazia Sandri
DOCUMENTI CARTOGRAFICI
CRONOLOGIA 1905 Incarico al Collegio degli Ingegneri per la stesura di una relazione sulle opportunità di intervento per la risistemazione dell' ospedale 1908 Si decide di costruire un nuovo ospedale in altra sede, viene bandito un concorso per soluzioni a 1000 letti da realizzarsi il località "La Cappuccina" ( oggi ospedale di S.Giuliano) 1911 Incarico ad Ing. Masara per il progetto e progetto per l'intervento in zona "la Cappucina" 1914 Conclusione della costruzione del padiglione dei cronici del nuovo ospedale
SCHEMA DEL LOTTO
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POLITECNICO DI MILANO
DOCUMENTI DI PROGETTO
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DOCUMENTI CARTOGRAFICI
CRONOLOGIA 1927 Ripresa dello studio di adeguamento dell'Ospedale e apertura di un Poliambulatorio nei locali, adattati alla meglio, di via General Solaroli 1929 Decreto Reale di annessione all' Osedale Maggiore di quello di San Giuliano (vecchio) e dell' Isitituto De Pagave (gerontocomio), oltre alla delibera di demolizione di vecchi fabbricati e la costruzione di nuovi padiglioni nella vecchia sede dell'Ospedale e inizio attuazione del progetto del nuovo Ospedale a cura Ing. Redaelli 1930 Termine della costruzione dei padiglioni di Medicina, Chirurgia, Isolamento (oggi demolito) e padiglione per paganti 1937 Termine della realizzazione della nuova chiesa parrocchiale sul corpo di fabbrica dell'Antonelli 1940 Termine della costruzione del padiglione delle specialità mediche a cura dell’Arch. Greppi
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CLAUDIO UMBERTO COMI
Consulta il
ARCHITETTO
GRAFICA
A
DESIGN
N
PROGETTI
Architetto libero professionista, è stato responsabile dello sviluppo del prodotto in diverse aziende (segnalazione al 23°premio SMAU). Attualmente si occupa di valutazioni di patrimoni immobiliari e d’impatto ambientale. Dal 1997 é professore a contratto presso il Politecnico di Milano; presso il quale tiene corsi di: rappresentazione del territorio, disegno edile, tecnologia delle costruzioni e, presso la Facoltà del Design: disegno del prodotto .
CURRICULUM CONTATTI
A A
GRAFICA
A
DESIGN
N
PROGETTI I
DOSSIER
I
HOME
E
I
CURRICULUM
A
AZIENDA
CLAUDIO UMBERTO COMI
A
ATTIVITA’
N
PROGETTI
I
ARCHITETTO
1978-1981
Studi di architettura Studio Bartoli x Tolot – Milano
Disegno esecutivo e prospettive Grafica esecutiva e copy
1981-1984
O.D.M – Milano Arcofil – Milano
Design articoli promozionali Espositori in filo
1984-1987
Argenterie G. Galbiati – Milano Siasprint Group- Milano
Grafica e design oggetti Comunicazione d’impresa
Cataloghi ed oggetti News magazine – istruzioni d’uso
1987-1990
Agenzie pubblicitarie Socored Italia S.p.A. – Milano
Grafica e art direction Design e comunicazione
Art direction Revisione corporate immage
1990-1993
Socored Italia S.p.A. – Milano Resnovae – Legnano
Design e comunicazione Design e comunicazione
Studio Batoli x Tolot Contenitore 3480 Fire
1993-1996
Resnovae – Legnano Vandall- Milano
Design e comunicazione Design e arredamenti
Chair Programma di sedute Air Basic – Programma di arredi
1996-1999
A&B – Villa Guardia (Co) Redico S.p.A. – Milano
Design e comunicazione Perizie immobiliari
1999-2002
Clienti vari Politecnico di Milano
Grafica, design e arredamenti Studi sul paesaggio e valutazioni immobiliari
Arredo esercizi commerciali Comunicazione d’impresa Valutazioni immobiliari Perizie e valutazioni Ricerche sulla rappresentazione Valutazioni immobiliari
CONTATTI
A GRAFICA
Consulta il A
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PROGETTI I
DOSSIER
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CLAUDIO UMBERTO COMI ARCHITETTO
SEZIONE GRAFICA
IN PORTFOLIO
AZIENDA
ANNO
Serie di cataloghi Affissioni e depliants Vetrofania Grafica promozionale Corporate immage Promo: Flexxy Frame Spot: Flexxy Frame Corporate immage Studio del marchio Corporate immage Grafica pubblicitaria Vetrofania Promozionale Corporate immage Studio del marchio Studio del marchio
Argenterie Guido Galbiati Bagni 101- Cattolica G. Fumagalli - fotografo Studio tre Socored Italia S.p.A. Socored Italia S.p.A. Socored Italia S.p.A. Res novae s.r.l Van-dal A&B D’ambrosio S.r.l. Uniform Rio Branco café MagPie –design & advertising Castellanza Servizi Levante Sviluppo S.p.A
1984 1985 1986 1988 1989-1993 1990 1992 1993-1996 1994 1995 1996 1997 1997 1997 1997 1999
GRAFICA
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PROGETTI I
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CONSULTA CONSULTA
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
01 1
AZIENDA
1984 Argenterie Guido Galbiati Milano
PRODOTTI
? Serie di cataloghi Argenti, articoli regalo, delle “collezioni bomboniere e classiche” promozionali
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
A
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PROGETTI I
DOSSIER
I
IN COLLABORAZIONE CON
Giorgio Furla - Fotografo HOME
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
02 1
AZIENDA
1985 Bagni 101 Cattolica (RN)
?
PRODOTTI
Progetto per Stabilimento balneare affissioni e depliants
TECNICA
Layouy
GRAFICA
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PROGETTI I
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GRAFICA
03 1
AZIENDA
1986 G. Fumagalli Studio fotografico Milano
?
PRODOTTI
Grafica per Servizi fotografici e vetrofania vendita
TECNICA
Scrape-board GRAFICA
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PROGETTI I
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GRAFICA
04 1
AZIENDA
1988 Studio tre Venezia
?
PRODOTTI
Grafica del Maschere in cartapesta materiale e cuoio, articoli regalo. promozionale
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
A
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
05 1
AZIENDA
1989 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
?
PRODOTTI
Revisione Sistemi e prodotti per integrale la sicurezza del lavoro dell’immagine d’ufficio dell’ azienda
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
A
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PROGETTI I
DOSSIER
I
IN COLLABORAZIONE CON
M. Zaccaria - Fotografo HOME
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
06 1
AZIENDA
1990 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
?
PRODOTTI
Campagna Sistemi e prodotti per promozionale per la sicurezza del lavoro il lancio di: d’ufficio VT-Flexxy Frame
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
A
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
07 1
AZIENDA
1993 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
PRODOTTI
?
Spot televisivo Sistemi e prodotti per
la sicurezza del lavoro d’ufficio
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
A
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
08 1
AZIENDA
1993-95 Res novae s.r.l Legnano (MI)
?
PRODOTTI
Revisione integrale dell’immagine dell’ azienda
Arredo per ufficio e sistemi e prodotti per la sicurezza del lavoro d’ufficio
TECNICA
Grafica tradizionale e digitale GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
09 1
AZIENDA
1994 Van-dall Milano
?
PRODOTTI
Studio del Affettatrici,cucine marchio industriali e
arredamenti per negozi
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
10 1
AZIENDA
1995 A&B Villa Guardia (CO)
?
PRODOTTI
Visual per fiera Cravatte e accessori internazionale uomo.
TECNICA
Collage e mask tipografico
GRAFICA
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
10 1
AZIENDA
1996 D’ambrosio S.r.l. Villa Guardia (CO)
PRODOTTI
? “mattonella” per Gruppo serico ricerca personale
TECNICA
Copy writing e grafica digitale GRAFICA
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
11 1
AZIENDA
1997 Uniform Milano
PRODOTTI
?
Volantini e Hair stilyst vetrofania
TECNICA
Grafica digitale GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
12 1
AZIENDA
1997 Rio Branco café Milano
?
PRODOTTI
Locandina per Caffetteria e bar innaugurazione
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
A
DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
13 1
AZIENDA
1997 MagPie Milano
?
PRODOTTI
Corporate Design ed advertising immage
TECNICA
Grafica digitale GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
14 1
AZIENDA
1997 Castellanza Servizi Castellanza (VA)
PRODOTTI
?
Studio del Società speciale del marchio Comune di Castellanza
TECNICA
Grafica tradizionale GRAFICA
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SCHEDA ANNO
GRAFICA
15 1
AZIENDA
1999 Levante Sviluppo S.p.A Levanto ( SP)
?
PRODOTTI
Studio del Società speciale del marchio comune di Levanto
TECNICA
Grafica digitale GRAFICA
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PROGETTI I
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SEZIONE DESIGN
AZIENDA
PRODOTTO
ANNO
O.D.M.-Milano Argenterie G. Galbiati Socored Italia S.p.A Socored Italia S.p.A Socored Italia S.p.A Socored Italia S.p.A Socored Italia S.p.A Resnovae s.r.l. Resnovae s.r.l. Resnovae s.r.l. B-Ticino- Terraneo Vandal Vandal A&B Melco
Supporti per Memo-tak 3M Articoli promozionali LAN OFFICE Arredi per ufficio Sistema “IBM 3480” “ALTAB” archivio portabulati “Flexxy Frame” filtri x VDT “ARCHIV MIX”storage cartridge “IBM 3480”storage cartridge AIR BASIC arredi ufficio Chira sedute ergonomiche BT telefono portatile GRANFETTA affettatrice “ Caffe della Piazza” Espositore per cravatte Linea di sanitari export
1980 1984 1988 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1996 1997 1997 1997 2002
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
DOSSIER
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CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA CONSULTA I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
01 1
AZIENDA
1980 O.D.M. Milano PROGETTO
?
PRODOTTI
Supporti per il Articoli promozionali lancio del prodotto “MEMO TAK” di 3M Italia
IN COLLABORAZIONE CON
Giuseppe Liberto (direttore creativo) GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
02 1
AZIENDA
1984 Argenterie Guido Galbiati Milano
?
PROGETTO
PRODOTTI
Progetto della Argenti, articoli regalo, penna: “Grafo” bomboniere e articoli promozionali
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
03 1
AZIENDA
1988 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
?
PROGETTO
“Serie Lan Sistemi e prodotti per posti di lavoro la sicurezza del lavoro per l’ufficio d’ufficio informatizzato
?
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
PRODOTTI
DOSSIER
I
Punti di forza del progetto sono: La scelta di una” gamba” portante simmetrica; la scelta di una assimmetria di montaggio delle “zampe”; il bordo con giunto unico. HOME
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SCHEDA ANNO
DESIGN
04 1
AZIENDA
1990 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
?
PROGETTO
PRODOTTI
Sistema di Sistemi e prodotti per archiviazione per la sicurezza del lavoro cartridge d’ufficio IBM 3480
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
05 1
AZIENDA
1991 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
?
PROGETTO
PRODOTTI
“Altab” Sistemi e prodotti per sistema per la sicurezza del lavoro l’archiviazione di d’ufficio tabulati Punti di forza del progetto sono: Il re-design integrale di un prodotto esistente per adeguarlo al mercato italiano, alla filosofia aziendale ed alle realtà produttive del conto terzi.
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
06 1
AZIENDA
1992 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
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PROGETTO
PRODOTTI
“Flexxy Frame” Sistemi e prodotti per sistema di la sicurezza del lavoro cornici per filtri d’ufficio ottici
Punti di forza del progetto sono: Nell’anno in cui il prodotto viene presentato alllo SMAU di Milano risulta segnalato al 23° premio Smau Industrial design. IN COLLABORAZIONE CON
Arch. Luca Azzimonti GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
07 1
AZIENDA
1993 Socored Italia S.p.A. Novate M.se (MI)
?
PROGETTO
PRODOTTI
Sistema per Sistemi e prodotti archiviazione multi per la sicurezza del cartridge lavoro d’ufficio ARCHIV MIX
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
08 1
AZIENDA
1994 Resnovae s.r.l. Legnano - Mi
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PROGETTO
PRODOTTI
Contenitore Arredi ufficio e ignifugo per prodotti per la cartridge sicurezza del lavoro IBM 3480
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
091
AZIENDA
1995 Resnovae s.r.l. Legnano - Mi PROGETTO
PRODOTTI
Serie di arredi Arredi ufficio e per l’ufficio prodotti per la AIR BASIC sicurezza del lavoro
GRAFICA
A
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PROGETTI I
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SCHEDA
DESIGN ANNO
101
AZIENDA
1996 Resnovae s.r.l. Legnano - Mi
?
PROGETTO
PRODOTTI
Seduta ergonomica e Arredi ufficio e per collettività prodotti per la CHIRA sicurezza del lavoro
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
11 1
AZIENDA
1996 B-Ticino- Terraneo Milano PROGETTO
PRODOTTI
Concorso per un Intterrutori e telefonia telefono portatile
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
121
AZIENDA
1997 Vandall Milano
?
PROGETTO
PRODOTTI
Progetto per un Affettatrici e cucine affettatrice industriali riponibile
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
13 1
AZIENDA
1997 Vandall Milano PROGETTO
PRODOTTI
Ristrutturazione Arredamenti esercizi e arredamento commerciali del “ Caffe della Piazza” S.Donato M.se
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
14 1
AZIENDA
1980 A&B Villa Guardia (CO) PROGETTO PRODOTTI
Espositore per Cravatte e accessori “corner” di uomo. vendita aereoportuale
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
DESIGN
15 1
AZIENDA
1980 Melco Milano PROGETTO
PRODOTTI
Redesign di una Impianti per ceramiche linea di sanitari per mercati dell’est
GRAFICA
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SEZIONE
PROGETTI
AZIENDA
PROGETTO
ANNO
Socored Italia S.p.A Resnovae s.r.l. Resnovae s.r.l. Comi- Resnovae s.r.l. “Architetture” Redilco S.p.A Redilco S.p.A Comi e altri Politecnico di Milano
“Concurent engineering” Posto opertatore VDT - SIP Promo D.Lvo 626/94 FS ricognizione ambienti edp Ipotesi di studio associato Valutazioni immobili Valutazione cespiti per fondi “H2S” building management Levanto: lettura del paesaggio Lezioni Zen “Le fasi tecniche della V.I.A.” V.I.A Italcementi A.S.O Novara - Ricognizione A.S.O Novara – Data base Giuseppe Pellizza - lettura
1994 1995 1996 1997 1997 1996-98 1997 1998 1999 1999 1999 2000 2001 2001 2002
Studio Comi Politecnico di Milano Politecnico di Milano Politecnico di Milano Museo di Volpedo GRAFICA
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
01 1
AZIENDA
1994 Resnovae s.r.l. Legnano - Mi PROGETTO
IN MERITO A
“Concurent engineering” Ipotesi di riorganizzazione del ciclo di concepimento e generazione del prodotto in un’ottica:Market oriented.
IN COLLABORAZIONE CON
Francesco Righes GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
02 1
AZIENDA
1994 Socored Italia S.p.A. Novate M.se PROGETTO
IN MERITO A
Posto operatore videoterminale SIP servizio 12-187 Progetto per la
realizzazione di postazioni ergonomiche
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
03 1
AZIENDA
1996 Resnovae s.r.l. Legnano - Mi PROGETTO
Divulgazione dei requisiti ergonomici per il posto di lavoro di un operatore di VDT
IN MERITO A
Campagna di informazione sull’applicazione del D.Lvo 626/94 in ambienti di lavoro d’ufficio.
IN COLLABORAZIONE CON
CATAS - Udine GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
04 1
PER
1997 Resnovae s.r.l. Legnano - Mi PROGETTO
IN MERITO A
“Ricognizione ambienti di lavoro Proposta metodologica per informatizzati” la rilevazione di diversi siti in italia attraverso un procedura normalizzata.
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
05 1
AZIENDA
1997
PROGETTO
IN MERITO A
“Architetture” Studio associato di consulenza ergonomica e impiantistica
IN COLLABORAZIONE CON
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
06 1
AZIENDA
1996-98 Redilco S.p.A. Milano PROGETTO
IN MERITO A
Valutazione immobili commerciali ed Valutazioni immobilari e industriali progetti di riconversione di beni immobili ad uso industriale e terziario.
IN COLLABORAZIONE CON
Alessandro Manetti e altri GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
07 1
AZIENDA
1997 Redilco S.p.A. Milano PROGETTO
IN MERITO A
“Redilco Servizio Valorizzazione Patrimoni” Progetto di metodologia per la ricognizione e valutazione contestuale di consistenti patrimoni immobiliari sull’ intero territorio nazionale.
IN COLLABORAZIONE CON
Ing. E. Romanengo GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
08 1
AZIENDA
1998
PROGETTO
IN MERITO A
“H2S” Progetto per un “service” di buildingf management, rivolto a operatori pubblici e privati
IN COLLABORAZIONE CON
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
09 1
AZIENDA
1999 Politecnico di Milano DIIAR PROGETTO
Raccolta e creazione di un repertorio paesaggistico del comune di Levanto
IN MERITO A
Studio in merito alle caratteristiche del luogo, finalizzato alla rideterminazione di criteri per la stesura del piano paesaggistico regionale.
IN COLLABORAZIONE CON Prof arch. A.Pittaluga e altri
GRAFICA
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
10 1
AZIENDA
1999
PROGETTO
IN MERITO A
“Lezioni zen.” Corso per l’auto apprendimento delle tecniche del disegno
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
11 1
AZIENDA
1999
PROGETTO
IN MERITO A
“Le fasi tecniche della V.I.A.” Studio in merito alle modalità di approccio alle valutazioni d’impatto ambientale.
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
12 1
AZIENDA
2000 Politecnico di Milano DST x
Italcementi Group PROGETTO
IN MERITO A
Analisi dei caratteri di paesaggio ai fini Sviluppo di un metodo per della V.I.A. la parametrazione delle scelte di intervento ai fini della conformazione dei luoghi.
IN COLLABORAZIONE CON
Prof arch. A.Pittaluga e altri GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
13 1
AZIENDA
2001 Politecnico di Milano DST x A.S.O. Novara PROGETTO
Ricognizione dei beni immobiliari e predisposizione di un data base per la gestione degli stessi
IN MERITO A
Attività di ricognizione dei cespiti e valutazione economica di massima degli stessi
IN COLLABORAZIONE CON
Prof arch. A.Pittaluga e arch. A. Mezzana GRAFICA
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PROGETTI I
DOSSIER
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
14 1
AZIENDA
2001 Politecnico di Milano DST x A.S.O. Novara PROGETTO
Ricognizione dei beni immobiliari e predisposizione di un data base per la gestione degli stessi
IN MERITO A
Definizione delle procedure e costruzione del database. Progetto del data- base informatizzato
IN COLLABORAZIONE CON
Prof arch. A.Pittaluga e altri GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
DOSSIER
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SCHEDA ANNO
PROGETTI
15 1
AZIENDA
2002
PROGETTO
IN MERITO A
Contributo al museo : Giuseppe Lettura con sistemi digitali Pellizza in dell’impianto compositivo e Volpedo geometrico dell’opera dell’artista.
IN COLLABORAZIONE CON
GRAFICA
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DESIGN
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PROGETTI I
DOSSIER
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