Dei Dei Germani (Dumezil)

February 8, 2017 | Author: Dumezil23 | Category: N/A
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1 DEI ASI E DEI VANI Nella mitologia scandinava, l'unica descritta tra quelle germaniche, le divinità principali sono divise in due gruppi, gli Asi (norreno Æsir, sing. Ass) e i Vani (norreno Vanir, sing. Vanr). Se anche sono nominate altre razze divine, come gli Elfi (norreno Alfar, sing. Alfr), esse non comprendono divinità maggiori (o comunque dotate di nome proprio). Gli Asi tipici sono Odhinn, Thorr e lo sbiadito Tyr. I Vani principali sono Njordhr (Nj ördhr), Freyr e Freyja, dei ricchi e dispensatori di ricchezza, signori della fecondità e del piacere (Freyr, Fryja), della pace (Freyr), della terra che arricchisce chi la miete (Njordhr, Freyr), dl mare che arricchisce chi lo naviga (Njordhr). Pur non essendo poveri, gli Asi hanno altre cure: Odhinn è il mago sublime, il signore delle rune, il re degli dei, patrono degli eroi (sia vivi che morti); Thorr è il “dio che tuona”, armato di martello, nemico dei giganti, cui pure somiglia nel suo furore, la cui battaglia atmosferica è grata al contadino per la pioggia che feconda i campi. Nella religione Asi e Vani vivono in armonia, uniti dalla devozione degli uomini. I poeti chiamano Asi tutti gli dei sottolineando l'unità della società divina, frequentemente espressa da un'enumerazione a tre termini gerarchicamente ordinata: Odhinn, Thorr e Freyr, dove a volte al terzo livello si trovano associati Njordhr e Freyr o (raramente) la sola Freyja. Alcuni esempi di questa presentazione: –

Adamo di Brema [seconda metà XI secolo] descrive gli idoli all'interno del tempio di Uppsala, in Svezia, come una triade, con al centro Thor, il più potente, a destra Wodan, a sinistra Fricco. Thor, dio del tuono e del fulmine, governa il tempo atmosferico, quindi le messi. Wodan, il Furore, governa le guerre e dona il valore. Fricco procura pace e benessere e il suo idolo ha un grande fallo. Se c'è carestia si prega Thor, se c'è guerra Wotan, se c'è un matrimonio Fricco.



Nella Egils saga il protagonista, che viene cacciato dalla patria Norvegia dal suo re, che lo ha spogliato dei suoi beni, lo maledice chiamando a testimoni gli dei: “che gli dei (rögn) e Odhinn si irritino! Freyr e Njordhr, fate che l'oppressore del popolo fugga le sue terre! Che l'Ase del Paese (=Thorr) odi il nemico degli uomini che viola i santuari!”.



Nel poema eddico Skírnismál il servo di Freyr minaccia la gigantessa Gerdhr, colpevole di rifiutare l'amore del suo signore: “Odhinn è irritato con te/il più ragguardevole degli Asi (=Thorr) è irritato con te/Freyr ti odierà...”.



All'inizio dell'XI secolo Hallfrædhr Vandrædharskald, in procinto di convertirsi al cristianesimo, sfida i vecchi idoli: “Contro di me siano irritati Freyr e Freyja (io abbandono il figlio di Njordhr! Si alleino i demoni con Grimnir [=Odhinn]!) Irritato sia anche il vigoroso Thorr!”.

La magia norvegese sembra a lungo conservare (in alternanza con la Trinità cristiana) la formula “Nel nome di Odhinn, Thorr e Frigga” contro malattie e malefici. Insomma, la mitologia associa spesso queste figure: solo al trio Odhinn/Thor/Freyr spettano i “gioielli”, i capolavori fabbricati dai Nani (rispettivamente l'anello, il martello, il cinghiale dalle setole d'oro); solo di loro la Voluspa descrive la battaglia escatologica; anche dopo la morte in battagliasi assiste ad una tripartizione delle anime (Odhinn prende i nobili, Thorr i “servi”, i non nobili, e in certe versioni Freyja prende “l'altra metà dei caduti” o le donne. Ma questa unione non è sempre stata. Un tempo Asi e Vani vissero come popoli vicini, combatterono una guerra, risolta con l'ascesa dei maggiori Vani tra gli Asi. –

Secondo la Voluspa questa fu la “prima guerra tra eserciti del mondo”, quando i Vani inviarono presso gli Asi una strega, Gullveig (“ebrezza dell'oro”), che corruppe gli dei (specie le dee). Odhinn lanciò allora il suo giavellotto contro i nemici, ma i Vani dilagarono sfondando il recinto degli Asi, prima che i due gruppi venissero a una tregua, stabilissero le compensazioni necessarie alla pace.

Nel Skaldskaparmal Bragi risponde alla domanda sulle origini della poesia. Gli dei (godhin, cioè gli dei Asi) fecero guerra ai Vani. La tregua fu poi decisa così: i popoli si avvicinarono ad un vaso e ci sputarono dentro. Poi gli Dei lo vollero prendere e ne fecero l’uomo chiamato Kvasir, così saggio da sapere tutte le risposte. Kvasir partì per il mondo volendo insegnare la sua sapienza. Invitato dai nani Fjallar e Galarr, venne però da essi ucciso. Il suo sangue fu versato in due vasi (Son e Bodhn) e in un paiolo (Odhroerir). Aggiunto del miele nacque così un idromele che faceva diventare poeti e sapienti. Interrogati dagli Asi i due colpevoli dissero che Kvasir era affogato nella sua saggezza… (segue il racconto della conquista dell’idromele da parte di Odhinn). Nella Ynglingasaga si parla della divisione delle terre conosciute. Il Mar Nero divide due terzi della terra: a Est l’Asia, ad Ovest l’Europa o Enea. A Nord si estende la Grande Svezia o fredda Svezia (la Russia), per alcuni grande quanto il Grande Blaland (l’Africa)… La Grande Svezia, disabitata nell’estremo Nord per il gelo, è divisa tra numerosi e diversi popoli. Un fiume scende dal Nord, chiamato Tanai (il Don), un tempo detto Tanakvisl o Vanakvisl (dove ‘kvisl’ vale ‘braccio di fiume’), che sfocia nel Mar Nero. Come quest’ultimo anche il Tanai divide i due terzi del mondo, ad Est l’Asia e ad Ovest l’Europa. Nei Vanakvisl si trovava il Vanaland o Vanaheimr (il Paese dei Vani)… A Est del Tanakvisl era l’Asaland o Asaheimr (il Paese degli Asi), la cui rocca si chiamava Asgardhr, santuario venerato, dove dodici hofgodhar (sacerdoti dei templi) regolavano riti e giudizi, detti anche ‘diar’ (nome celtico degli dei!) o drotnar (re), venerati dal popolo. Qui viveva anche Odhinn, grande uomo di guerra, conquistatore di regni. Sempre vittorioso, i guerrieri lo credevano invincibile. Odhinn usava imporre le mani ai suoi e benedirli prima dello scontro, per infondere loro fede. Il suo nome veniva invocato nelle occasioni di pericolo, come talismano. Per anni restava lontano… Infine Odhinn attaccò i Vani, ma questi si difesero bene e le vittorie si alternarono. Le parti devastarono ognuna il paese nemico. La pace fu celebrata attraverso lo scambio di ostaggi. I Vani diedero il ricco Njordhr e suo figlio Freyr, più il saggio Kvasir. Gli Asi il forte e bel Hoenir e il saggio Mimir. Giunto nel Vanaheimr Hoenir divenne subito il capo. Finché Mimir lo consigliava dava buoni consigli e prendeva buone decisioni nei thing e nelle assemblee. Ma se Mimir era assente, non si esprimeva. I vani pensarono di esser stati giocati e decapitarono Mimir, mandando la sua testa agli Asi. Odhinn la prese, la unse con erbe perché non marcisce e con incantesimi la rese capace di parlare e dare consigli. Intanto Njordhr e Freyr divennero ‘diar’, sacerdoti sacrificanti, come del resto Freya figlia di Njordhr, che insegnò agli Asi la magia ‘seidhr’ in uso presso i Vani… Da Nord-Est a Sud-Ovest si estende una grande catena che divide la Grande Svezia dagli altri regni (il Caucaso?). A Sud delle montagne sta il Tyrkland (Turkestan), dove Odhinn aveva grandi possessi. Gli imperatori di Roma stavano intanto conquistando il mondo. Ma Odhinn, veggente e mago, sapeva che avrebbe ereditato la metà settentrionale del mondo e lasciati Vili e Ve ad Asgardhr prese con sé ‘diar’ e molti uomini e partì, prima verso l’Est, verso Gardhariki (Russia orientale), poi verso il Sud, verso il Saxland (Germania settentrionale). Forte di molti figli Odhinn prese qui molti regni e vi pose i figli a guardia. Quindi si diresse vero il Nord e si stabilì su un’isola, oggi Odhinsey, in Fionia (Danimarca). Oltre lo stretto mandò quindi Gefion (in Svezia), in cerca di nuove terre. Lì il re Gylfi le concesse tanta terra quanta ne poteva sollevare un aratro. Gefion andò allora nel paese dei Giganti e generò quattro figli, che in forma di buoi furono aggiogati ad un aratro e strapparono un pezzo di terra verso l’Ovest, di fronte a Odhinsey, terra chiamata Selund (Seeland, isola danese). Qui si stabilì Gefion, moglie di Skjoldr, figlio di Odhinn, vivendo a Hleidhra (capitale dei re danesi). Ma dove aveva strappato la terra era nato un lago, il Logr (Malar, presso Stoccolma), le cui coste ripetono quelle di Selund… Quando Odhinn scoprì che ad Est (in Svezia) c’erano buone terre si recò presso Gylfi e conclusero un accordo, perché Gylfi sapeva di non potersi opporre a lui. Nelle varie prove di magia gli Asi erano sempre superiori. Odhinn si stabilì sul Logr, nel luogo chiamato Vecchio Sigtunir (Sigtuna), dove

eresse un gran tempio e sacrificò secondo l’uso degli Asi. Gli Hofgodhar vennero anch’essi dotati di adeguate residenze: Njordhr a Noatun, Freyr a Upsalir, Heimdallr a Himinbjorg, Thorr a Trudhvangr, Baldr a Breidhablik… Dopo la morte di Odhinn dai molti talenti gli succede nel regno Njordhr, cui segue Freyr, o meglio Yngvi Freyr, capostipite degli Ynglingar. Saxo Grammaticus distorce molti particolari della guerra tra Asi e Vani (cfr. la statua dorata, Gullveig, poi l’assassinio di Kvasir). Anche qui Othinus è un uomo mortale, re di ‘Bisanzio’, che ama soggiornare presso Upsala. La versione storicista della Ynglingasaga, variamente modellata, è rimasta a lungo il principale motivo interpretativo della religione scandinava. In sintesi: il racconto di Snorri contiene il ricordo deformato dal tempo di una autentica migrazione, dalle coste del Mar Nero alla Scandinavia, con tanto di lotta tra gli adoratori di diversi gruppi di dei, Asi e Vani appunto, lotta conclusa con la fusione dei due popoli e dei due pantheon. La dottrina prevalente situa questi ‘fatti’ al tempo dell’invasione indoeuropea della regione. La religione dei Vani è la più antica, legata ad una società agricola tutto sommato pacifica ed arretrata. La religione degli Asi rimanda ad una civiltà guerriera e più ‘spirituale’. Una distinzione fondamentale sfuggita ai Romani. Ma la nuova scuola (come sempre!) si oppone a questa versione. Nessuno nega la sovrapposizione di diverse civiltà in Scandinavia. Nessuno nega che la religione scandinava si sia evoluta profondamente nel corso dei secoli. Solo, si dubita che la divisione tra Asi e Vani rimandi a questi fatti. La distinzione, più che contrapposizione, tra le due stirpi divine sarebbe insomma un portato dell’invasione germanica e rimanda ad un’unità originaria. Obiezioni alla teoria storicista: 1.

Né la Voluspa né gli Skaldskaparmal collocano geograficamente le vicende narrate, confinate nel tempo e nello spazio imprecisi del mito. Quando Snorri cerca allacciamenti tra il mito e la storia nella sola Ynglingasaga agisce un po’ come quei monaci irlandesi che traevano i loro argomenti da giochi di parole e assonanze tra nomi locali e nomi della Bibbia o della cultura grecoromana (ad es. gli Scoti sono originari della Scizia). Allora Asi viene da Asia, Vani da Vana-kvisl, il Don. Da qui a postulare che fosse al corrente di una tradizione gotica di migrazione dal Mar Nero ne passa.

2.

Anche ammettendo la storicità distorta delle vicende della Ynglingasaga, la guerra tra Asi e Vani si collocherebbe in Asia, alle foci del Don. Solo dopo la conclusione delle ostilità Odhinn guida gli Asi, che nel frattempo hanno integrato i Vani in Scandinavia, nello Upland. Ma la sovrapposizione di una cultura germanica ad una locale è attestata tra Germania e Scandinavia, non in Russia! Allora come si fa a dire che Snorri dice il vero qui (guerra storica tra popoli) e il falso lì (in Russia)?

3.

Tutte e tre le fonti appaiono piene di particolari sulle fasi della guerra e sulle clausole della pace. Certe indicazioni pittoresche non sono certo storia, ma mito. Gli storicisti li trascurano considerandole secondarie, ma la gran parte del testo parla di questo! Questo interessava a chi scriveva e a chi leggeva. La struttura di una fonte non si può trascurare in nome di una teoria da dimostrare, distruggendo per poi riutilizzare quanto si trova utile ai propri scopi.

Questa la sostanza della teoria strutturalista. Tutte e due presentano pregi e difetti. Ora Scandinavi e Germani parlavano lingue di ceppo indoeuropeo, curiosamente deformate nella fonetica, ma dal residuo non indoeuropeo trascurabile rispetto agli idiomi più antichi delle regioni meridionali. Certo stessa lingua non significa stessa nazione e non significa stessa civiltà. Eppure l’uso della stessa lingua rimanda quanto meno ad una

somiglianza nella rappresentazione intellettuale, nell’ideologia di una comunità, ideologia di cui la religione rappresenta a lungo la principale espressione. In sintesi: di fronte ad un mito curioso di Scandinavi o Germani la prima mossa dovrebbe essere verificare la presenza di motivi simili presso i loro ‘cugini’ meridionali: Celti, Italici, Indiani. Magari lo stesso schema viene descritto e commentato in altre fonti lontane, ma la cui somiglianza sconsiglia l’etichetta di ‘coincidenza’. Così pare accadere per la divisione tra Asi e Vani. § Nella religione vedica e prima ancora in quella prevedica (cfr. elenco delle divinità degli Arya conservato in epigrafi del regno di Mitanni, XIV secolo a.C.) e indoiranica (cfr. la trasposizione operata dallo Zoroastrismo delle divinità politeiste negli arcangeli del dio unico di Zarathustra), un piccolo numero di divinità veniva associata in un elenco ordinato che riassume lo stesso ordine sociale. Queste divinità si distribuivano in una struttura nota, la stessa che darà vita al sistema delle caste dell’India classica: varna/brahmana, cioè sacerdoti; kshatrya, guerrieri, vaishya, allevatori/agricoltori (cfr. l’antica Irlanda, divisa tra druidi, classe sacerdotale, flaith, classe guerriera, e ‘bo airig’, possessori di buoi/uomini liberi). L’elenco di Mitanni, il più breve: 1.

Mitra e Varuna, gli dei sovrani;

2.

Ind(a)ra, il dio forte e guerriero;

3.

Nasatya/Ashvin, dei gemelli dispensatori di salute, fecondità, felicità.

Nell’epopea indiana gli dei sovrani appaiono sbiaditi e re degli dei figura ormai Indra (ascesa della classe militare?). Si cfr. la triade capitolina: 1.

Juppiter, legato al ‘rex’, garante della protezione divina;

2.

Mars, fonte della forza e della vittoria contro i nemici visibili e non;

3.

Quirinus, legato al raccolto e alla vita civile opposta a quella militare (cfr. Quirites, i Romani riuniti in assemblea).

Si cfr. la triade attestata presso gli Umbri di Iguvium, ben prima della conquista romana: 1.

Juu-

2.

Mart-

3.

Vofiono-

Da questi esempi avanza l’ipotesi che la tripartizione funzionale delle divinità come specchio della società risalga al passato preistorico e rappresenti nella variante germanica/scandinava (Odhinn/Thorr/Freyr…) un arcaismo fedelmente conservato. Da notare poi: nella seconda funzione, le analogie tra Thorr e Indra (pelo rosso, martello/vajra); nella terza funzione, la presenza di un coppia di dei (Germania: Njordhr e Freyr, padre e figlio; India: gemelli Nasatya), a volte affiancati da una divinità femminile (Germania: Freya); l’associazione tra le prime due funzioni in ‘opposizione’ alla terza (India: brahmani e kshatrya sono le “due forze”, ubhe virye, in opposizione ai vaisha; Germania: Odhinn e Thorr sono gli Asi, distinti da Njordhr, Freyr e Freya, i Vani). Obiezioni mosse a questa ipotesi:

ma qui si tiene conto solo della mitologia nordica, cosa prova che la tripartizione fosse condivisa da Goti e

Germani occidentali? ma se pure il nome degli Asi è attestato quasi ovunque, quello dei Vani appartiene solo alla Scandinavia: perché? ma il materiale archeologico preindoeuropeo suggerisce che almeno il dio col martello e quello itifallico siano

figure anteriori! Dal fondo: non è contraddittorio riconoscere l’ipotesi che per le divinità del 2° e del 3° livello si siano conservate rappresentazioni di origine preindoeuropea. Poi: riguardo ai nomi, la questione pare poco importante. Il nome di Vani (delle 8 etimologie proposte prevale quella che rimanda al latino ‘Venus’, ‘venerari’, ecc.) può essere proprio dell’antica Scandinavia, mentre il gruppo funzionale degli dei ‘chiamati in Scandinavia Vani’ può essere altrove denominata diversamente senza sconvolgere il quadro interpretativo (Tacito non segnala per i Germani occidentali una dea Nerthus, legata alla fecondità e alla pace, 3° livello, che rimanda a Njordhr?). Infine: non è vero che le triadi funzionali non siano attestate fuori dalla Scandinavia. Della religione originale dei Goti, non sappiamo quasi nulla. Per quanto riguarda i Germani occidentali, la fonte più antica, Tacito, individua chiaramente tre livelli: gli dei più onorati sono in primo luogo Mercurius (Odhinn), poi Hercules (Thorr) e Mars (Tyr), infine, ma solo per una parte degli Svevi una Isis (Frigg? Greya?) che non c’è ragione di credere allogena (come fa l’autore, in base al motivo liturgico della ‘barca’). Risalendo ancora ecco Cesare, che con una notazione tipica del suo stile afferma: credono solo negli dei che vedono e sentono, Sole, Vulcano (dio col martello, Thorr?) e Luna (dea madre, Frigg/Freya?). In un manoscritto del IX secolo conservato in Vaticano appare l’abiura imposta dall’Impero carolingio ai Sassoni da convertire: rinuncio alle opere del Diavolo, a Thunar (Thorr), a Uuoten (Wotan/Odhinn) e a Saxnot e ai demoni loro compagni (hira genotas). Qui problematico potrebbe essere solo il 3° livello (come Vani in Scandinavia). Ma Saxnot (attestato nell’anglosassone: Seaxneat) rimanda nella prima parte a ‘Sassoni’, nella seconda a ‘Compagno’ (cfr. tedesco ge-noss). Allora Saxnot non sarebbe che il Compagno dei Sassoni, come a Roma si ritrova un Quirinus (co-viri-no), dio della società civile e in Scandinavia un Freyr detto ‘folkvaldi godha’, signore del popolo, e ‘veraldar godh’, signore delle generazioni (ver-old, uomini-generazioni, da cui l’inglese world, il tedesco Welt, ecc.). § I paralleli indoeuropei non chiariscono solo gli elementi della triade funzionale, ma anche la storia della separazione e della riconciliazione dei due gruppi di dei. Nell’epopea indiana gli dei Indra e Nasaya non sono sempre stati uniti. Un racconto di probabile origine indoiranica, quindi prevedica, vede i Nasatya discriminati dagli altri dei, guidati da Indra armato di folgore, e accusati di essere troppo promiscui con gli uomini. Da adesso: in India non dobbiamo nemmeno ipotizzare una sovrapposizione tra un elemento indoeuropeo ed uno ‘indigeno’ come si vuole fare per giustificare la separazione Asi/Vani in Scandinavia. Ora, riprendiamo il mito di Kvasir. Esso è la personificazione di una bevanda inebriante (cfr. lo ‘kvas’ degli Slavi). Una bevanda alcolica figura quindi come ingrediente dell’idromele miracoloso (cfr. danese e norvegese ‘kvas’, frutti spremuti). Ma una tecnica di fermentazione con lo sputo è attestata in svariate culture! Allora la bevanda della pace nasce naturalmente dalla collaborazione dei contendenti nella sua preparazione. Quindi: ‘kvas’ bevanda alcolica; Kvasir uomo-bevanda; idromele, bevanda miracolosa. Un motivo raro. Torniamo in India. Indra contro i Nasatya. I Nasatya hanno un alleato, un asceta cui hanno ridato la giovinezza. Questo asceta con la sua santità crea un gigante che minaccia di inghiottire il mondo, ‘dei compresi’. Il suo nome è Mada,

‘Ebbrezza’. Subito Indra cede e la pace è fatta. Col consenso di tutti l’Asceta smembra l’Ebbrezza in quattro parti (inebrianti): bevanda, donne, gioco e caccia. Differenze: in Germania l’Uomo Bevanda viene dopo la pace a celebrarla, in India viene prima come un’arma per ottenerla; in Germania si fa riferimento ad una tecnica di fermentazione, in India la produzione è mistica; in Germania la smembramento non avviene per mano degli Dei, in India sì; in Germania lo smembramento è quantitativo (tre parti simili), in India qualitativo (quattro parti disomogenee); in Germania lo strapotere del ‘mostro’ è intellettuale, in India fisico; in Germania si accenna all’eccesso di potere prima dello smembramento, in India dopo; in Germania l’Uomo Bevanda appare benefico come le sue parti, in India al contrario malefico anche dopo la fine. Lo schema per altro riproduce anche somiglianze che lo rendono unico e attestato solo in questi due contesti. La società divina si costituisce con difficoltà dall’unione degli dei della sovranità e della forza con quelli della fecondità. Intorno alla pace viene suscitato artificialmente un essere eccezionale legato all’ebbrezza, la cui forza però, troppo grande per il mondo, finisce per essere frazionata. La questione centrale è il ruolo dell’ebbrezza. Nelle società indoeuropee essa è parte integrante della vita del sacerdotestregone e del guerriero-bestia. Ma essa richiede il lavoro e l’opera del popolo che coltiva e che fabbrica. L’incontro di domanda e offerta viene trasposto nell’incontro mitico tra le ‘due forze’ e la massa, nella leggenda della collaborazione armoniosa delle parti sociali (cfr. l’apologo di Menenio Agrippa). A Roma non sopravvive la mitologia vera e propria, ma ne prende il posto, erede dell’antica saggezza, l’epopea nazionale. Alle origini dell’Urbe si trovano due gruppi di uomini: i maschi semibriganti al seguito del semidio Romolo, depositari delle promesse di Juppiter e forti del loro valore, e i Sabini del re Tito Tazio, ricchi pastori e possessori di donne, strumento di fecondità. I due gruppi si fondono, sì, ma solo dopo una guerra difficile, a fasi alterne. I Sabini occupano il Campidoglio e sembrano avere la meglio. Come ci sono riusciti? Corrompendo una donna, Tarpeia, con l’oro (o con l’amore). I Romani che stanno per essere travolti dal panico nel Foro vengono salvati da Romolo che ricaccia i nemici nella rocca. Come ci è riuscito? Levando gli occhi e le mani al cielo e ricordando a Juppiter le promesse fatte. Il panico invade allora il campo avversario. Confrontiamo allora il mito nordico: i Ricchi (Vani) inviano la corruzione (Ebbrezza dell’Oro) tra Sapienti e Potenti (Asi), di cui corrompono soprattutto le donne. Il capo dei Sapienti/Potenti (Odhinn) semina il panico tra le fila avverse. India: i Ricchi (Nasatya) hanno dalla loro la forza mistica grazie al dono di giovinezza, bellezza e di una donna (i premi dell’Asceta), ma alla loro audacia risponde la folgore del dio-re (Indra).

Magia, guerra e diritto Odhinn… Odhinn è il capo degli dei, il loro re, primo e ultimo, fino alla fine dei tempi. Egli è il padre degli dei, anche se discende dalla stirpe dei giganti primordiali. Protegge in particolare i re degli uomini, ma a volte ne esige il sangue in sacrificio (quando essi non garantiscono più la fecondità delle messi). Odhinn è la prima vittima del grande dramma mitico della morte di Baldr, suo figlio, disgrazia per il padre e per il re, disgrazia che ha previsto, ma che non ha potuto scongiurare. Nell’orecchio del morto sussurra un segreto che la tradizione non ha voluto svelare. Odhinn è veggente, ma lo è diventato attraverso un sacrificio, una mutilazione volontaria, che lo rende monocolo. Per attingere all’idromele di Mimir, infatti, si priva di un occhio, lasciato in pegno al gigante. Egli è il grande mago, che si sottopone a duri riti di iniziazione, come quando si fa impiccare all’albero cosmico per nove notti, sacrificando se stesso, ottenendo il dominio sulle ‘rune’, la magia dei segreti e delle lettere. Grazie alle rune Odhinn conosce più cose di chiunque altro (e metterà un giorno alla prova la sua sapienza contro un gigante antichissimo, cfr. Vafthrudhnismal). Odhinn è il grande mago, il re-stregone, l’eroe ‘civilizzatore’ del nord (cfr. Ynglingasaga). Bello e nobile per gli amici, terribile per i nemici, Odhinn può mutare forma a volontà. Incanta con la sua parola e si esprime in versi. I nemici rimanevano paralizzati, ciechi e sordi, privati delle armi. I guerrieri di Odhinn, invece, senza corazza, selvaggi come lupi o cani, forti come orsi o tori, si gettavano sugli scudi a morsi, uccidendo senza temere né acciaio né fuoco (‘berserksgangr’). Quando vuole Odhinn lascia il suo corpo come addormentato o morto e se ne va sotto forma di uccello, animale, pesce o serpente. Raggiunge qualsiasi paese in poco tempo. Con la sola parola spegne il fuoco, calma il mare e fa spirare il vento. Suo è il la nave Skidhbladhnir, che si può ripiegare come un fazzoletto. La testa di Mimir gli rivela le notizie dai vari mondi. A volte evoca i morti dalla terra e si siede sotto gli impiccati, per cui è detto ‘signore degli spiriti’ e ‘signore degli impiccati’. Due corvi cui aveva insegnato a parlare volavano per il mondo e gli riferivano le notizie. Divenne così incredibilmente sapiente e saggio, insegnante di arti. Per insegnare usava le rune e i galdrar, i canti magici, per cui gli Asi sono detti ‘forgiatori di galdrar’. Ancora egli esercitava l’arte detta ‘seidhr’ (cfr. la magia delle fate celtiche), che donava la profezia e il maleficio, che dava la conoscenza del futuro e il potere di togliere i beni e dare i mali. Una magia che gli uomini si vergognarono di praticare e che fu allora lasciata alle donne. Odhinn sapeva dove sono tutti i tesori, come aprire la terra e le rocce, come caccaire dai tumuli gli spiriti e prendere ciò che voleva… Odhinn è assieme padrone della magia e della poesia. Dona agli uomini valore e abilità, come fa con l’eroe Starkadhr. Odhinn si ricollega alla guerra: paralizza i nemici, scatena il furore dei ‘suoi’. Arbitra le battaglie, condanna alla morte

coloro le cui armi tocca con la sua. Lanciando un giavellotto contro un esercito ne predice la sconfitta. I ‘suoi’ sono uomini di due tipi: da una parte i ‘berserkir’, guerrieri-bestia (guerrieri-sciamani?), partecipi della sua magia, nelle saghe degenerati a compagnie di predoni, terrore delle campagne (cfr. gli ‘stalo’, gli uomini d’acciaio del folclore lappone); dall’altro sono gli ‘eroi odinici’, cavallereschi e seducenti, del tipo Sigurdhr (cfr. ciclo dei Nibelunghi). Gli eroi di Odhinn non sono abbandonati nella morte, anzi. Essere scelti per la morte in battaglia è un onore. Gli emissari di Odhinn sono le Valkyrior, Coloro che scelgono (kjosa) i morti in combattimento (val), per trasportarli in un aldilà su misura, dove per l’eternità saranno gli Einherjar, i Guerrieri unici, ospiti della Valholl, la Sala degli Eroi. Superato un Fiume ed un Cancello si accede da 540 porte alla Sala, da cui alla fine dei tempi da ogni porta usciranno 800 guerrieri per affrontare il Lupo (Fenrir). Nell’attesa della battaglia escatologica gli Einherjar passano il tempo mangiando, bevendo e combattendo tra loro (tanto ormai le ferite non possono nulla). La speranza della Valholl genera ai tempi di Snorri una ‘scorciatoia’ rituale: anche il più casalingo degli uomini può andare da Odhinn se si fa segnare dalla punta di una lancia. In alternativa l’eroe Hadingus si impicca, a immagine del Maestro. Odhinn non è una figura rassicurante. Ha il viso nascosto dal cappuccio, un mantello blu scuro con cui circola per il mondo di cui è padrone come una spia. Tradisce anche i suoi fedeli, non esita a seminare la discordia. Odhinn esige il sacrificio di vittime innocenti (cfr. Tacito, che afferma come solo a Mercurius i Germani sacrifichino esseri umani). Si considerino poi i dialoghi sarcastici con Thorr (Harbardhsljodh) e Loki (Lokasenna), dove viene accusato di ambiguità e lascivia. Per quanto riguarda il mondo agricolo, bisogna aspettare epoche moderne per trovare Odhinn legato al lavoro della terra e all’ultimo fascio del raccolto. Anticamente si trovano solo qualche epiteto nebuloso, qualche toponimo del tipo ‘Campo di Odhinn’, i re sacrificati in caso di cattivo raccolto e un’unica menzione di sacrificio ‘til grodhrar’, per la crescita. Ma la confusione è posteriore al tramonto del paganesimo: Snorri dice chiaramente che i brindisi venivano fatti ad Odhinn perché dia ai re vittoria e potenza, a Njordhr e Freyr per avere buon raccolto e pace… § Fino al 1876 la figura di Odhinn veniva accettata più che studiata nelle sue molteplici attività e caratterizzazioni. Poi si fece avanti la teoria che vede nel dio monocolo un ultimo venuto tra gli dei nordici, anche in riferimento al mito che lo vuole ‘migrante verso il Nord’. Al 1946 si è consolidata una dottrina: Odhinn o è un dio tedesco trapiantato in Scandinavia o comunque un dio che sia al di qua che al di là del Baltico aveva in origine funzioni e ruoli modesti. Primo. Come credere che Germani e Scandinavi, divisi in numerose tribù dove il re aveva poca o nulla importanza potessero creare un’immagine di dio-re così universale! Quando avvenne doveva essere ‘tardi’ e tenendo come modello gli Imperatori di Roma e Bisanzio. Certo, Tacito già accenna al primato di Mercurius/Wotan, ma si doveva trattare di un fenomeno locale, tipico dei Germani occidentali, non a caso alla frontiera col mondo romano. In realtà molti popoli, anche esigui, sono stati in grado di concepire dei onnipotenti e universali. Spesso anzi la debolezza del sovrano reale si accompagna alla superpotenza del sovrano cosmico. Per altro Odhinn non ricorda tanto un dio della Legge e della Guerra, un Cesare, quanto un dio-stregone, un dio-sciamano. Secondo. Il nome Odhinn/Wothanaz non è germanico comune, ma solo nordico e occidentale. Ma come credere che un dio così importante nei poemi eddici e nelle citazioni tacitiane fosse sconosciuto ai Goti! Quanto meno non appartiene al pantheon delle origini. In realtà i nomi non sono così importanti. Il nome Odhinn, cui per altro in Scandinavia sono associati innumerevoli epiteti, molti misteriosi, poteva bene essere sostituito tra i Goti da un teonimo che rimanda alla Wut, al furore (come appunto Wotan). Per altro uno degli appellativi di Odhinn è ‘Gautr’ che non a caso genera diversi toponimi in Svezia, per lo più concentrati nei due Gotland (!). Ancora: come ignorare la somiglianza tra Gautr e Gapt, il mitico capostipite

della dinastia gotica degli Amali tramandata dallo storico Jordanes (cfr. il ruolo simile di Odhinn in Scandinavia e di Woden in Inghilterra). Terzo. La radice ‘Odhinn’ lascia pochissimi toponimi, ancora meno antroponimi, né lascia tracce nella mitologia acquisita dai Lapponi, che onorano tra gli dei scandinavi solo Thorr, Freyr e Njordhr. Come credere che fin dalle origini Odhinn abbia fatto parte del pantheon germanico e con quel ruolo per di più! In realtà esistono spiegazioni altrettanto soddisfacenti. I Lapponi conservano tenacemente una loro tradizione magica e sciamanica: non è incredibile che non onorino un dio di cui non sentono il bisogno, il dio-sciamano dei loro Hyksos (‘signori stranieri’). Diversa la questione se si cerca l’aiuto del dio della pioggia, o di quello della fertilità, o di quello della navigazione (arte imparata proprio dagli Scandinavi). Quanto ai toponimi, è naturale che i luoghi, che in genere sono chiamati ‘dal basso’, vedano privilegiato il riferimento ai patroni dell’agricoltura e del commercio, piuttosto che a quelli della magia e della guerra. Per gli antroponimi vale la pena di ricordare il carattere terribile o comunque insidioso di Odhinn, tale da sconsigliare un associazione diretta (cfr. in ambito indoiranico i molti nomi contenenti Mitra- o Indra- e i pochissimi contenenti Varuna-). Quarto. Odhinn è il dio delle rune. Ma la diffusione delle rune è recente, non attestata prima di Cristo e ipotizzata come proveniente dal sud o dal sud-est. Come credere al primato antico di Odhinn e alla sua originalità nel contesto germanico! In realtà la recente diffusione dell’alfabeto runico nel mondo germanico non deve per forza significare il fresco primato di Odhinn/Wotan. Se Odhinn è da sempre il dio della magia, perché mai quei ‘nuovi’ strumenti di magia che sono le rune non dovevano cadere sotto il suo dominio? La radice *runo rimanda al remoto mondo celtico e germanico: in antico irlandese e in gotico esprime ‘segreto, mistero’. Nell’incarnazione, per forza tardiva, dei Finlandesi, ’runo’ significa canto epico, incantesimo. Non è difficile immaginare che Odhinn, dio della sapienza segreta e del mistero, abbia ottenuto l’epiteto di dio delle rune ancor prima che il termine si riferisse ai segni fonetici importati all’epoca di Cristo dalle Alpi o da altrove! Le vere ragioni che spinsero gli studiosi a rifiutare l’antichità della figura e delle funzioni di Odhinn sono altre. Primo. Odhinn ha ‘troppe’ competenze. Re degli dei e mago, poi dio dei guerrieri e dei morti, infine ancora dio dell’ultimo covone, ecc. Nessun altro dio del pantheon germanico vanta tanti compiti. Da qui l’ipotesi di un’origine più umile, magari extrascandinava, che col tempo conobbe aumenti e annessioni. Secondo. In ambito indoeuropeo esiste un’evidenza onomastica che rimanderebbe il primato originale del pantheon germanico non a Odhinn, ma al norreno Tyr/alto tedesco Zio, imparentato con altri dei supremi come il vedico Dyauh (sbiadito), il greco Zeus, il latino Ju(ppiter). In età eddica Tyr appare già regresso nella massa degli Asi, mentre ancora al tempo di Tacito figurerebbe come Mars al secondo posto nella gerarchia funzionale, al pari di Hercules/Thunraz. In realtà si potrebbe trattare di pregiudizi. Certo, è possibile che un piccolo dio della fecondità o dei morti o della magia assurga al dominio di un pantheon. Ma come? Alla fine l’ipotesi cade sempre nello spettacolo che agli occhi dei Germani dovette fare la potenza dei Cesari. Ma bisogna ricordare che Odhinn/Wothanaz non ha niente del re civile e molto del re rurale. Più facile è ‘scendere’ nelle attribuzioni che non salire: ad un dio-re si possono sì col tempo aggiungere facilmente nuove funzioni. La sovranità è garanzia di compatibilità. Juppiter non è anche il portatore della vittoria? Non per questo si dice che da dio della guerra si sia issato al vertice dell’universo. Per altro il nome di Odhinn non è oscuro. Rimanda a *odhr, che Adamo di Brema traduce bene con ‘furor’, corrispondente al tedesco ‘Wut’, furore, e al gotico ‘wods’, posseduto. Questa radice rimanda come sostantivo

all’eccitazione, all’ebbrezza, all’ispirazione (cfr. anglosassone ‘woth’, canto), come anche al movimento che spaventa, del mare, del fuoco, del temporale. Come aggettivo si collega al significato di ‘violento’, ‘furioso’, ‘rapido’. Nel resto delle lingue indoeuropee si connettono parole allusive all’ispirazione poetica e profetica: latino ‘vates’, irlandese ‘faith’. Per quanto riguarda poi le deduzioni cronologiche dall’identificazione Dyauh/Zeus/Juppiter/*Tiuz (ma per quest’ultimo termine è in ballo anche una derivazione meno caratterizzante, da *deiwo, radice che indica genericamente gli dei), esse vanno respinte. Non è raro che nelle varie province dell’universo indoeuropeo gli stessi nomi racchiudano figure e funzioni diverse e nomi diversi la stessa personalità mitica. Già Dyauh ha poco da spartire con Zeus/Juppiter. Dyauh è il cielo luminoso, come il greco Urano, antenato di Zeus. Ma Zeus /Juppiter è il dio/re dell’epoca attuale, il padre degli dei e degli uomini, il dio del tuono. Una figura che in ambito indiano rimanderà non a Dyauh, ma a Mitra/Varuna o a Indra. Non si può per altro escludere che l’eventuale dio *Tiuz sia sempre esistito assieme a Wothanaz, distinto nel nome ma non nella funzione. § Nel documento di Mitanni, nel Rg Veda, nella lista degli Arcangeli zoroastriani il 1° livello funzionale, quello della sovranità, non è occupato da un singolo (2° livello: Indra) o da una coppia indistinguibile (3° livello: i Nasatya), ma da una coppia di figure ben distinte: Varuna e Mitra. Anche se negli inni la coppia risulta gratificata di lodi comuni e accomunanti, Varuna e Mitra sono figure antitetiche: Mitra è ‘questo mondo’/Varuna ‘l’altro mondo’; Mitra è ‘il giorno’/Varuna ‘la notte’; Mitra è ciò che si taglia da solo, cotto a vapore, ben sacrificato, il latte, ecc./Varuna è ciò che si deve tagliare, cotto alla brace, mal sacrificato, il soma (bevanda inebriante), ecc. Il nome Mitra (cfr. il latino ‘munus, communis’, lo slavo ‘mena, miru’) indica il contratto. Il dio Mitra è la personificazione di un fenomeno non naturale ma sociale: un atto giuridico e lo stato d’animo che induce tra gli uomini. Il nome Varuna non ha un etimo così scuro, ma rimanda ad un dio dell’illusione (‘maya’), della magia, nonché dei legami invisibili. Varuna lega i peccatori in modo improvviso e invincibile, senza riguardo, terribile tanto da accostarsi nella sua contrapposizione al demoniaco Vrtra. Insomma Mitra è il dio/re giurista, Varuna il dio/re mago. Tra i Romani esisteva un Dius Fidius anteriore e poi assorbito da Juppiter. Ma l’epopea è ancor più illuminante: al re romano Romolo, semidio prescelto da Juppiter, segue il re sabino Numa Pompilio, istitutore e devoto alla dea Fides. Pare proprio che la bipartizione della sovranità faccia parte del retaggio indoeuropeo arcaico. La stessa cosa si può ipotizzare nel mondo germanico con Odhinn e Tyr, nessuno più antico dell’altro. Odhinn e Varuna sono molto simili. Tutti e due re, tutti e due maghi, tutti e due armati di ‘laccio’. Lo stesso Odhinn infatti non ha lo ‘her-fjoturr’, il laccio dell’esercito, con cui paralizza, assorda e acceca i nemici? Questo per altro è il nome di una delle sue Valchirie. Varuna è demoniaco quanto Odhinn, discendente di Giganti e amico di Loki, né esige vittime meno cruente. Il mago Varuna è re e protettore di re, come il mago Odhinn. Come Varuna è lo kshatra, il potere guerriero, e si collega per eccellenza ai nobili, agli Ari (laddove Mitra è il brahman, il potere sacerdotale, e si collega alla massa, al ‘jana’), così Odhinn possiede i ‘jarlar’, i nobili caduti in battaglia (lasciando a Thorr i ‘thraelar’, i servitori). In Germania gli eroi sperano nella vita di gozzoviglie e giochi della Valholl? In India i morti sperano di vedere i due re Varuna e Yama (re dell’aldilà) ‘assaporare il piacere a volontà’. Le differenze ci sono, certo, ma trascurabili e giustificabili con le differenze dei relativi ambienti di culto. Tutto eccetto una, illuminante del carattere della religione, dell’ideologia germanica.

Varuna non è un vero dio guerriero. In India questo è il ruolo di Indra. Varuna è la legge nel suo aspetto terribile, l’ordine del timore. Odhinn invece è legato indissolubilmente alla guerra: combattente (quando non umanizzato come re conquistatore!), decide nella mischia la vittoria, paralizza il nemico col suo ‘laccio’, sostiene i suoi guerrieri (bestiali berserkir o cavallereschi eroi odinici), ospita i morti eroicamente (o quasi: basta un taglio di lancia…). Sembra insomma aver assorbito diverse conpetenze del 2° livello: infatti, pur lasciando la folgore a Thorr (ma non lancia forse il giavellotto?), ha un seguito di semidivinità (le Valchirie, cfr. i Marut che seguono Indra) ed eroi (cfr. Arjuna, figlio di Indra). Il fatto è che in Germania la guerra ha invaso tutto. Fin dai tempi di Cesare appaiono preoccupati soprattutto delle attività assassine, caccia e guerra, a scapito di agricoltura e della pace. Privo di una classe sacerdotale, come poteva Odhinn non ‘militarizzarsi’? Così ad es. gli Hermunduri votano in anticipo le vittime nemiche della battaglia a Mars/Tyr e a Mercurius/Wothanaz… § Il militarismo della società germanica spiega in buona parte lo sfasamento tra la coppia regale indoiranica e quella Odhinn/Tyr. Certo, può darsi che il Mitra indoiranico accanto al ruolo di dio dei contratti avesse un carattere bellicoso accentuato (cfr. l’Avesta, dove Mithra è il vero dio guerriero, di cui Verethragna non è che l’aiutante), ma pare più probabile che fu lo Zoroastrismo a promuovere la funzione militare di Mithra una volta che Indra (e i guerrieri animaleschi cui era associato) venne ridotto al ruolo di arcidemone. Ahura Mazda e la sua Chiesa non avevano bisogno di guerrieri, ma di soldati. Tacito chiama Mars quello che i Germani chiamavano Tiwaz/Tiuz. Ora, il Tyr scandinavo è in primo luogo un dio della guerra, intrepido, con potere sulla vittoria. Tuttavia perché allora i guerrieri invocano al suo posto Hercules/Thunraz/Thorr? Perché nella letteratura scandinava Tyr non combatte mai? L’unica volta che si dimostra ‘ardito’ è quando offre la sua mano in sacrificio pur di imbrogliare Fenrir. Evidente pare invece il legame col ‘thing’, l’assemblea popolare giudiziaria: così ecco Mars (Tyr) Thingsus (Gran Bretagna, inizio del III d.C., opera di soldati frisoni), ecco che il martedì (‘giorno di Mars’) diventa in Scandinavia ‘il giorno di Tyr’ (Tysdagr, cfr. inglese Tuesday, ma anche medio/tedesco ‘Dingesdach’, giorno di ding/thing…). In effetti si è dato troppo rilievo a Tyr dio della guerra e troppo poco a Tyr dio del diritto. In realtà dal p.d.v. germanico ‘battaglia’ e ‘giudizio’ non sono poi tanto diversi: la battaglia è uno scontro tra parti ma garantito dal comune rispetto di regole (per cui il giorno e il campo per il ‘giudizio’ del campo sono fissati in anticipo; per cui la battaglia vera e propria può essere sostituita da un ‘duello giudiziario’, il cui esito esprime il favore degli dei sulla ‘questione’). Per altro le stesse perifrasi per la battaglia (Schwertding, ‘il thing delle spade’, o Vapndomr, ‘il giudizio delle armi’) rimandano all’ideologia giudiziaria del conflitto armato. La guerra è un’assemblea sanguinosa, il thing è una battaglia incruenta. Eppure i convenuti vi si recano armati di tutto punto e brandendo o battendo le armi dimostrano il proprio assenso. Certo, il thing è sacro e nessuno può macchiarlo di violenza. Eppure la pronuncia dell’assemblea pare più una prova di forza che un confronto di idee. Interesse contro interesse, e il gruppo più numeroso ‘vince’. Prendiamo il mito di Tyr, che perde la destra per vincere il lupo Fenrir, diventando monco e certo ‘non un pacificatore degli uomini’. Odhinn rinuncia ad un occhio e acquista la sapienza. Tyr rinuncia a una mano. Fenrir infatti pretende un pegno per lasciarsi mettere alla prova dall’invisibile laccio fatto fabbricare da Odhinn. Imbrogliato, si tiene la mano di Tyr, furente, ma rimane condannato alla prigionia fino alla Battaglia escatologica che spazzerà via gli Dei e il vecchio mondo. ‘Allora gli Asi risero’, ma non Tyr. Dio del contratto sociale, Tyr riflette nel suo mito la concezione pessimista

del diritto propria della società germanica: non composizione, ma sopraffazione. Il più forte ride, il più debole non può nulla. Si confronti l’epopea romana. Nei primi tempi della repubblica, l’Urbe viene minacciata dagli Etruschi del re Porsenna. Eroi della resistenza saranno Orazio Coclite, cioè ‘monocolo’, e Muzio Scevola, cioè ‘mancino’. Mentre i Romani indietreggiano sul ponte Sublicio, Orazio ferma i nemici ‘circumferens truces minaciter oculos’. Muzio invece, penetrato nel campo etrusco per pugnalare Porsenna e fallito l’obiettivo, catturato si brucia la destra che ha tradito l’impresa sopra un braciere, assicurando che a Roma ci sono altri 300 giovani risoluti ad uccidere il nemico della patria e convincendo Porsenna ad accettare una pace onorevole. I parallelismi sono notevoli: Odhinn e Coclite affascinano i nemici con lo sguardo, già monocoli al momento del fatto; Tyr e Scevola sacrificano la destra per un eroico falso giuramento, divenendo monchi con il fatto. Certo, in Scandinavia il mito rappresenta un significato più ‘alto’, rivelando la struttura della più arcaica sovranità indoeuropea, misto di magia e diritto, di ispirazione e cavillo procedurale. La stessa coppia incarnata da Varuna e Mitra. Questa ‘visione pessimistica del diritto’ è gravida di conseguenze. L’aspetto benevolo della sovranità scivola verso il basso: Mars/Tyr lascia solo Mercurius/Odhinn. Allo stesso modo Mitra appare sbiadito rispetto a Varuna, Dius Fidius rispetto a Juppiter. D’altra parte gli dei benevoli sono meno temibili, quindi credibili, di quelli terribili o cmq inquietanti. Più gravi sono però le conseguenze sull’ideologia. Gli dei germanici possono punire gli spergiuri e i sacrileghi, ma nessuno può arrogarsi innocenza e purezza, che per quanto ipocrite, sono necessarie alla società. Dove sono gli ideali, dove la speranza? Certo, gli Asi possono molto, possono anche ingannare e imprigionare il Lupo. Ma cosa li distingue dalle bande di predoni che si contendono il potere sulla terra? Dovevano vincere e vincere è questione di violenza o di astuzia. L’unico ‘onesto’ tra loro sacrifica la sua destra in nome della vittoria a tutti i costi. Chi crederà più a Tyr? Il fine giustifica i mezzi. La consuetudine trionfa anche se malvagia. Ciò che è, è, ed è mediocremente umano. L’ultimo dio diventa allora Baldr…

Il dramma del mondo Nell’India vedica Varuna e Mitra non sono gli unici reggitori. Essi fanno parte di un gruppo di dei, gli Aditya, in origine divisi in due soli livelli funzionali: 1.

Mitra, Aryaman e Bhaga (la Parte);

2.

Varuna.

Si confrontino i primi due Arcangeli dello Zoroastrismo: 1.

Vohu Manah (il Buon Pensiero), Sraosha (l’Obbedienza), Ashi (la Retribuzione);

2.

Asha (l’Ordine).

Nel quadro indoiranico Mitra, il sovrano di ‘questo mondo’, ha due ausiliari. Come rivelano i loro nomi, Aryaman protegge soprattutto gli Arya, di cui garantisce durata e prosperità, mentre Bhaga presiede alla pacifica distribuzione dei mezzi tra i membri della nazione. Nel quadro zoroastriano il signore della ‘buona fede’ è affiancato dall’Obbedienza (Islam?), cioè dalla Chiesa mazdea, nuova nazione, e dalla Retribuzione, non più solo materiale, ma escatologica.

I Veda paiono poco interessati alla vita dopo la morte. Da questo punto di vista si può parlare di un impoverimento dell’ideologia vedica rispetto alla matrice indoiranica. Nei Veda in effetti non si fa cenno dell’unico compito che l’epopea assegna ad Aryaman, re anche nell’aldilà, signore dei Padri, coloro che sono morti avendo praticato con scrupolo i riti e a cui si schiudono le porte della ‘via di Aryaman’ (distinta dal paradiso degli Asceti). Insomma Aryaman signore degli Arya vivi e della ‘parte migliore’ degli Arya morti. Nello Zoroastrismo lo psicopompo è Sraosha, che porta le anime al tribunale divino di cui fa parte. Nell’ambito del culto capitolino a Juppiter, già ‘optimus’ e ‘maximus’, si affiancano analogamente Juventas, patrona della parte più vitale dell’Urbe, i giovani, e Terminus, patrono dei giusti confini tra proprietà fondiarie. Juventas garantisce Roma nel tempo, Terminus nello spazio. Manca nei Veda parimenti una dottrina del destino. nonostante l’esperienza mostri una sua ingiustizia, l’ottimismo vedico vede Bhaga invocato con fiducia. Per altro si dice che ‘Bhaga è cieco’ (non sono bendate in Grecia Tyche e a Roma la Fortuna?). Paradossalmente eppure tipicamente il dio che fa le parti è cieco. Allo stesso modo il dio delle formule e del diritto è monco perché spergiuro, Pushan degli armenti non ha denti e mangia solo pappette, Savitr che mette tutto in movimento è senza mani, ecc. Men che meno i Veda si preoccupano dell’escatologia collettiva. Certo, sono nominati molti demoni, ma come vittime passate degli dei e si spera vittime presenti. A volte la lotta tra le due categorie di spiriti soprannaturali viene immaginata come lotta di due stirpi, ma mai viene descritta la battaglia finale o un re divino che guidi le forze del male. Diversamente lo Zoroastrismo costruisce tutta la sua ideologia sullo scontro titanico del Bene e del Male. Nell’Avesta le due parti sono organizzate gerarchicamente e specularmente sotto un comando unitario: ogni essere buono ha la sua controparte malvagia. Già nel Rg Veda d’altra parte figurano i termini Asha/Ordine e Drudj/Menzogna tipici della cosmologia di Zoroastro. Solo che nei Veda l’opposizione è ‘naturale’, lessicale, ancorché significativa, mentre nello Zoroastrismo rimanda ad una aspettativa ossessiva per il futuro, quando l’individuo vedrà premiato il suo sforzo presente e il mondo sarà purificato dal Male e dalla Menzogna. Al momento della Resurrezione, il ‘grande Bundahishn’: Ohrmazd afferrerà lo Spirito Malvagio; Vohuman afferrerà Akoman; Asha Vahisht afferrerà Indra; Shatrivar afferrerà Sauru; Spendarmat afferrerà Taromat, cioè Nanhaithya; Xurdat e Amurdat afferreranno Taurvi e Zairi; la Parola Veridica afferrerà la Parola Menzognera; Srosh (l’Obbedienza) afferrerà Aeshma (il Furore). Rimarranno allora solo due Drudj, Aharman e Az (la Concupiscenza). Ohrmazd si incarnerà come sacerdote ‘zot’, con Srosh come sacerdote ‘raspi’, e avanzerà con la cintura sacra. Lo Spirito Malvagio e Az fuggiranno nelle tenebre entrando dalla porta nel cielo da cui erano entrati. Metallo fuso colerà sul Male, sul drago Gotchihr, sulla terra che ne sarà purificata. Il Foro nel cielo verrà allora chiuso e il Male sarà scacciato dalla terra e l’universo sarà rinnovato… Ma questa speranza dopo l’Apocalisse fu un invenzione dello Zoroastrismo o appartiene alle alternative ereditate dal retaggio indoeuropeo? §

Il Mahabharata offre spaccati di leggende non comprese nella tradizione vedica, ma note da altre fonti indoiraniche o indoeuropee. Gli stessi protagonisti, i cinque fratelli Pandava, non sono che alter ego dei loro padri, gli dei della struttura funzionale tripartita: Dharma (versione moderna di Mitra) al 1° livello, Vayu e Indra (dei guerrieri) al 2° livello, e i gemelli Nasatya, al 3° livello. E Varuna? Non manca, solo è stato posto nella generazione precedente, legato al personaggio di Pandu, padre putativo dei protagonisti. Nota bene. Gli autori dell’epopea sottolineano più volte in corso d’opera che gli eroi e gli antagonisti non sono uomini veri e propri, ma incarnazioni di dei e di demoni, figure di forze cosmiche, attori di un dramma localizzato nel tempo e nello spazio che riflette un dramma cosmico che il mito rende eterno: 1.

un eroe demoniaco infligge varie ingiustizie grazie alla sua astuzia;

2.

gli eroi divini si prendono la rivincita nella grande battaglia escatologica;

3.

regno idilliaco del più giusto degli eroi.

C’era una volta la dinastia dei Bharata. Da essa ad un certo punto nascono tre fratelli, tutti e tre ‘imperfetti’: il maggiore, Dhrtarashtra, è cieco; Pandu, il secondo, è pallidissimo; il minore, Vidura, è un mezzosangue, nato da una schiava che si è sostituita all’ultimo momento alla regina. Il regno tocca a Pandu, la cui imperfezione non è infamante. Dopo un inizio brillante, Pandu viene colpito da una maledizione che lo rende ‘impotente’. Per avere degli eredi allora ricorre all’aiuto degli dei: Dharma genera il giusto e buon Yudhishthira; Vayu genera il gigantesco Bhima, armato di clava; Indra genera il cavalleresco Arjuna; i gemelli Nasatya/Ashvin generano Nakula e Sahadeva, servitori dei loro fratelli maggiori. Alla morte di Pandu prende la reggenza Dhrtarashtra, in attesa che i Pandava crescano e Yudhishthira erediti il regno paterno. Ma il reggente ha dei figli propri, tra cui spicca il maggiore, Duryodhana, invidioso dei cugini, che cerca in tutti i modi di far morire. I Pandava si salvano grazie ai consigli dello zio Vidura, amante della pace e della giustizia. Dhrtarashtra sa delle manovre del figlio maggiore, ma pur amando i nipoti e difendendo i loro diritti si dimostra debole nell’opporsi ai disegni criminali di Duryodhana. Duryodhana, fallito il tentativo di eliminare fisicamente i Pandava, sceglie un’altra via. Yudhishthira è un accanito giocatore, seppur leale. Duryodhana allora organizza un incontro truccato e chiede il permesso di giocare questa partita fraudolenta. Conteso tra la saggezza di Vidura e l’odio di Duryodhana, infine Dhrtarashtra acconsente. Così Yudhishthira perde uno dopo l’altro tutti i suoi beni: ricchezze, regalità, libertà dei fratelli e propria, perfino la moglie. I Pandava devono allora andare in esilio per dodici anni nella foresta, più un tredicesimo anno da passare in incognito in un paese straniero. Solo dopo potranno tornare a reclamare la loro eredità. Prima di lasciare il palazzo, essi scelgono ognuno il nemico da abbattere quando si prenderanno la loro vendetta. Finito l’esilio i Pandava tornano e Yudhishthira chiede il regno. Dhrtarashtra vorrebbe una soluzione pacifica, ma Duryodhana è irremovibile e ottiene il rifiuto di ogni trattativa. Scoppia una guerra generale: tutti i re della terra prendono campo. I Pandava vincono e uccidono ognuno l’avversario prescelto a suo tempo (Duryodhana cade sotto i colpi di Bhima), ma a caro prezzo. Se i malvagi sono distrutti, solo i Pandava e pochi altri sopravvivono tra i buoni. Segue il regno del virtuoso Yudhishthira, affiancato dai due zii consiglieri, il debole ma in fondo buono Dhrtarashtra e il saggio e conciliante Vidura. L’era di pace dura fino alla fine degli eroi: Dhrtarashtra muore arso dal suo fuoco sacrificale; Vidura si trasfonde in Yudhishthira; Yudhishthira e i suoi fratelli che si consumano nel lungo viaggio verso la solitudine, incontrando infine in cielo chi hanno amato e combattuto…

Come detto sotto il dramma umano si nasconde quello mitico. Pandu è Varuna, anche lui pallidissimo, anche lui in un mito colto da impotenza. Duryodhana incarna invece il demone Kali, lo spirito della Quarta Era, quella attuale (e malvagia) del mondo. Alla sua nascita terribili presagi ne annunciavano la natura, ma fin dall’inizio Dhrtarashtra si dimostra debole e incapace di sacrificare il figlio in nome della giustizia e della felicità generale. Si era detto tre tempi: trionfo del male, battaglia, trionfo del bene. Personaggi chiave: il cieco Dhrtarashtra e il mezzosangue Vidura, presenti dall’inizio fino alla fine. Se Pandu e Yudhishthira incarnano la coppia regale Varuna e Mitra/Dharma, Dhrtarashtra e Vidura incarnano gli dei minori e attendenti, Bhaga e Aryaman. Sia Yudhishthira/Mitra che Vidura/Aryaman non sono che incarnazioni di Dharma e non a caso Vidura morendo si fonde con Yudhishthira. Vidura/Aryaman si dimostra sempre teso a comporre i dissidi interni al ‘kula’, il clan. I suoi consigli, pur riconosciuti ottimi, non vengono seguiti. Nella battaglia escatologica non compare, ma compare dopo, braccio destro del nuovo corso, dove finalmente le sue idee vengono recepite a attuate. Da parte sua Dhrtarashtra non viene detto figlio di un dio, ma dalle parole cui è associato (daiva, kala, ecc.) rimanda al destino (non a caso è cieco). Crede che i nipoti abbiano tutti i diritti, che Vidura dica bene, che Duryodhana prepari la catastrofe, eppure non fa niente per evitare il male. Fatalista, non è in opposizione a Vidura, tanto che dopo la fine del mondo collabora col fratello nel nuovo governo di Yudhishthira/Mitra. Nota bene: anche qui pullulano le mutilazioni qualificanti. Dhrtarashtra/Bhaga, che dovrebbe guidare gli altri e difendere la giustizia, nasce cieco. Pandu/Varuna, che regna sui fertili e solari Arya, è pallido e impotente. Vidura/Aryaman, che difende sopra ogni cosa l’armonia nella stirpe, è un mezzosangue. Si pensi poi ai tempi del dramma: prima il Demone convince il Destino a ignorare i buoni consigli e a consentire l’inganno ai danni degli Dei, che vinti si ritirano per lungo tempo; poi si consuma la battaglia cosmica, che vede trionfare gli Dei ritornati; infine Destino e Giustizia si riuniscono nel regno della concordia sociale. Simile appare l’escatologia zoroastriana, dove gli Arcangeli, trasposizione teologica degli antichi dei indoiranici, come i Pandava ne sono la trasposizione epica, eliminano definitivamente il male. § La società divina in Scandinavia comprende un personaggio interessante: Loki. Intelligente, astuto, ma privo di morale e maligno, non solo nelle cose grandi, ma anche nelle piccole. Molti nemici degli dei nel futuro Ragnarok sono figli suoi: il lupo Fenrir, il Serpente cosmico, la signora dei morti Hel. Tra i figli di Odhinn si distinguono poi due figure tragiche: Baldr e Hodhr. Hodhr compare solo una volta in azione, quando involontariamente uccide Baldr. Totalmente cieco è incapace di badare a se stesso. Baldr al contrario rappresenta la bontà, la giustizia che nessuno degli Asi sa più incarnare, visto che Tyr si è dato all’inganno e alla violenza e ‘non pacifica più gli uomini’. Si può dire che Tyr sia un Mitra degenerato, Baldr il dio che ne eredita l’insopprimibile esigenza: bello, saggio, eloquente, clemente. Solo, i suoi giudizi sono destinati a non avverarsi. Suo figlio Forseti tiene giudizio nella sala di Gritnir, il miglior tribunale per gli uomini e per gli dei, da cui tutti ritornano riconciliati. Orfani di Tyr votatosi al cavillo ingannevole, i Germani escogitano distillati di ciò che sarebbe potuto essere: il chiaro Baldr e il giusto Forseti. Come cade Baldr? Il buon Dio cominciò ad avere brutti sogni dove la sua vita era minacciata. Informati gli Asi decisero di proteggerlo: Frigg si incaricò di far giurare a tutti gli esseri che non avrebbero nuociuto a Baldr. Giurarono il fuoco e l’acqua, i metalli e le pietre, la terra e il legno, le malattie e gli animali, gli uccelli e i serpenti.

Ciò fatto gli dei si riunirono nel thing e iniziarono a giocare. Baldr, invulnerabile, stava in mezzo, e veniva bersagliato dagli altri. Il gioco dispiaceva a Loki figlio di Laufey, che trasformato in donna si recò da Frigg ai Fensalir per saperne di più. Frigg si lasciò sfuggire che tra tutte le creature non aveva chiesto alcun giuramento solo al giovane ‘germoglio di vischio’ (mistilteinn), che cresceva ad Ovest della Valholl. Subito Loki lo andò a strappare e si recò al thing. Qui vide Hodhr molto indietro rispetto agli altri e gli chiese perché non tirasse su Baldr come tutti. Hodhr si giustificò dicendo che era cieco e non sapeva dove fosse il fratello, ma Loki gli diede il vischio e gli indicò la direzione dove tirare. Hodhr tirò e Baldr colpito cadde morto. Gli Asi rimasero ammutoliti: avrebbero voluto fare giustizia, ma non potevano violare la santità del thing. Piansero allora amaramente e specie Odhinn , che solo capiva appieno la portata della tragedia che si era consumata… La morte di Baldr è il dramma dell’era attuale, condannata ad una mediocrità strutturale. Certo, i giudizi di Baldr rimanevano senza effetto, ma almeno venivano emessi! Per altro l’aldilà di Baldr non può essere quello eroico di Odhinn, ma è quello tormentoso di Hel. Quando Odhinn cerca di far liberare il figlio dalla morte, Hel risponde che accetta a patto che tutte le creature piangano la sua morte. Unica a rifiutarsi sarà la strega Thokk, forse Loki stesso, che tanto male fece agli Asi. Loki verrà infine preso e incatenato fino alla fine dei tempi, quando tutti i mostri, lui compreso, sfuggiranno ai loro legacci e attaccheranno gli Dei, che in terribili duelli uccideranno e saranno uccisi nella grande battaglia escatologica: Odhinn sarà divorato da Fenrir, che sarà a sua volta fatto a pezzi da Vidharr, figlio di Odhinn; Tyr ucciderà e sarà ucciso dal cane Garmr; Thorr taglierà in due il Serpente cosmico, ma ne sarà avvelenato; Heimdallr ucciderà e sarà ucciso da Loki; Freyr sarà ucciso da Surtr, che allora lancerà il fuoco sul mondo, oscurando il sole, facendo cadere le stelle, sprofondando la terra nel mare… Ma il disastro non mette la parola fine: dal mare la terra riemergerà verde e bella, germogliando grano senza che la si semini. I figli degli Dei morti torneranno ad Asgardhr (quelli di Thorr recupereranno il Mjollnir). Baldr e Hodhr usciranno da Hel, gli Dei parleranno amichevolmente del passato. Le Tavole d’Oro degli Asi saranno ritrovate nei prati… La morte di Baldr, la malvagità di Loki, il Destino degli Dei… Si è ipotizzata l’influenza dell’escatologia zoroastriana, delle religioni agricole del Mediterraneo orientale… Ma il parallelo più convincente è la struttura profonda del Mahabharata. Vediamo: Varuna/Pandu, il Re che ha presso di sé i due fratelli, si collega a Odhinn che ha presso di sé due figli; Aryaman/Vidura si collega a Baldr, padre del dio conciliatore; Bhaga/Dhrtarashtra si collega a Hodhr, cieco e fatale come il destino; Mitra/Dharma/Yudhishthira si dovrebbe collegare a Tyr, che però è ‘decaduto’, quindi si ricollega a Odhinn e a Baldr; Angra Mainyu/Duryodhana si collega a Loki. Poi i tre tempi del dramma: 1.

il diabolico Loki con l’aiuto del cieco Hodhr ‘esilia’ in Hel il giusto Baldr, grazie a un gioco che non dovrebbe nuocere all’eroe (in India lo schema è uguale, solo si gioca a dadi e non a bersaglio e che il Cieco è consapevole di quello che succederà);

2.

dopo un’età oscura, dove gli Dei piangono la ‘scomparsa’ della Giustizia e il trionfo del Male, si consuma la grande battaglia finale, dove periscono le forze del Male, ma anche la maggior parte di quelle del Bene (in India sono i Buoni e non i Cattivi a scatenare l’apocalisse e gli Dei sono tra i sopravvissuti);

3.

inizia il Regno della Giustizia, che ritorna dall’esilio infernale e con al fianco il Destino cieco guida la rifondazione cosmica e il nuovo corso degli Dei.

Da quanto detto pare che non sia necessario postulare un’influenza zoroastriana o cristiana nel mito del Ragnarok, dato che elementi per elaborare la storia del ‘destino del mondo’ e della lotta tra il Bene e il Male sono già intuibili nell’originario patrimonio indoeuropeo.

Tempesta e piacere Gli dei scandinavi del 2° e del 3° livello pongono meno problemi interpretativi. Hercules/Thunraz di cui parla Tacito è certo Thorr norreno, fortissimo, per lo più in viaggio, da solo o col suo fedele Thjalfi, a piedi o sul suo carro trainato da caproni, sempre in cerca di avventure e di giganti/mostri da abbattere. La sua arma è il martello Mjollnir (cfr. il vajra di Indra, il vazra di Mitra, ecc.), arma celeste, il fulmine seguito dal tuono che dà il nome alla divinità. Come Indra ha la barba rossa e un appetito favoloso. Baluardo degli Asi, quando è assente gli Dei vengono minacciati, ma possono convocarlo subito col solo pronunciarne il nome. Thorr compare, già in ‘modhr’, uno stato di furia che lo rende simile ai suoi avversari. Niente lo può fermare, nessuna promessa, nessun accordo stipulato in precedenza da Odhinn o da altri. Esempi: Un giorno un gigante si offre di costruire agli Asi un castello. L’accordo è il seguente: se il Gigante costruirà un castello nel giro di un inverno e con l’aiuto di un solo cavallo, avrà in ricompensa non solo il Sole e la Luna, ma anche la dea Freya, sogno proibito di tutti i giganti. Il Gigante comincia la sua opera e l’aiuto del suo Cavallo rende l’impresa possibile, con scorno degli Dei. Quando mancano tre giorni all’estate e ormai manca solo da completare la porta del castello, gli Asi rimproverano Loki, reo di aver favorito la trattativa, e gli intimano di levarli di impaccio. Loki si trasforma allora in giumenta e attira lontano il Cavallo del Gigante, il quale non riesce così a completare la costruzione. Infuriato minaccia gli Asi, che lo riconoscono come Gigante delle Montagne, dichiarano rotto il patto e invocano Thorr. Thorr compare subito e lancia il martello Mjollnir, che frantuma il cranio del Gigante e lo manda all’Inferno delle Nebbie… ‘Thrymskvidha’. Un giorno il gigante Thrymr ruba il martello di Thorr e lo nasconde otto leghe sotto terra. Interrogato da Loki chiede in cambio… la dea Freya! Gli Asi temono lo stato di insicurezza se Thorr dovesse restare senza la sua arma e sono pronti a sacrificare la dea. Freya rifiuta sdegnata e nel thing divino Heimdallr propone di inviare Thorr dal gigante spacciandolo per Freya. Alle proteste di Thorr Loki lo blandisce e gli ricorda la priorità: recuperare Mjollnir. Vestito da donna, con due pietre nel petto e le chiavi alla cintura, Thorr parte con Loki, vestito da serva, e giunge su di un carro nel Paese dei Giganti. Qui Thrymr, presuntuoso e stupido, riceve i due Asi travestiti. Quando però la sua ‘fidanzata’ divora un bue e otto salmoni e tracanna tre botti di idromele si insospettisce: per fortuna interviene la serva/Loki a giustificare la sua padrona, che per otto giorni ha viaggiato senza mangiare per la fretta di arrivare. Thrymr si china allora a baciarla, ma arretra di fronte allo sguardo lampeggiante sotto il velo. Di nuovo Loki scusa ‘Freya’, che per otto giorni non ha neppure dormito. Quando la sorella anziana del gigante porta i doni per le nozze, tra cui Mjollnir, Thorr se ne impadronisce e massacra allegramente la famiglia… Un giorno, mentre Thorr è lontano impegnato a combattere i mostri, arriva tra gli Asi il gigante Hrungnir, furioso come è proprio della sua stirpe. Gli Asi sono costretti ad ospitarlo al loro banchetto. Qui Hrungnir li terrorizza: minaccia di portare via la Valholl, di uccidere gli Asi, di rapire le dee Freya e Sif, di bere tutta la birra degli Dei. Agli Asi non rimane che chiamare il nome di Thorr, che subito appare, anche lui furioso. Il Gigante frena: non sarebbe glorioso uccidere un nemico disarmato! Si rinvii tutto ad un duello uno contro uno, a Grjotunagardhar, ‘sulla frontiera’. Thorr accetta, anche perché non gli è mai capitato di affrontare un ‘duello regolare’, til einvigis, in un ‘campo prefissato’, holmr. Ma gli altri Giganti temono per Hrungnir e sul posto costruiscono un uomo d’argilla alto nove leghe e largo sotto le braccia tre. In mancanza di meglio gli diedero

un cuore di giumenta, quando, in anticipo, ecco arrivare Thorr. Accanto al manichino si pone lo stesso Hrungnir, dal cuore di pietra dotato di tre corni, con la testa di pietra, lo scudo di pietra e come arma una pietra per affilare. Quando vede Thorr l’Uomo di Argilla se la fa letteralmente sotto. Si fa avanti allora il ‘servo’ dell’Ase, Thjalfi, che fingendo di volerlo aiutare convince Hrungnir a mettere lo scudo sotto i piedi e non davanti al petto e al viso, perché da sotto vuole attaccarlo Thorr. Ecco infine Thorr, che dal cielo scaglia Mjollnir, fracassando la Pietra per Affilare (un frammento della quale si conficca nella testa del dio) e la testa del nemico. Cadendo Hrungnir schiaccia sotto un piede il collo di Thorr (intanto l’Uomo di Argilla è vinto con poca gloria da Thjalfi). Thorr non si riesce a liberare, né riescono a liberarlo gli altri Asi, finché non interviene suo figlio, Magni, ‘Forza’, che appena di tre notti allontana il piede del gigante senza fatica. Felice, Thorr regala al figlio il cavallo di Hrungnir, facendo arrabbiare Odhinn, che credeva più giusto ricevere per sé la bestia… La scena del manichino ricorda la scena dell’iniziazione del giovane Hottr, nella saga di Hrolf Kraki. Hottr è un ragazzo pauroso, ma il suo mentore è Bodhvar, che ucciso un mostro che infestava la regione ne dà a Hottr il sangue e il cuore. Subito Hottr diventa coraggioso. La carcassa viene rimessa in piedi e il giorno dopo il Re col suo seguito avanza verso la creatura. Quando chiede chi se la sente di affronatarla, Bodhvar propone Hottr, che nella sorpresa generale accetta. Ottenuta Gullinhjalti, Guardia d’Oro, la spada del re, ‘uccide’ la bestia. Il Re mangia la foglia, ma si complimenta con Bodhvar, che da un pavido ha tratto un eroe. Hottr viene allora ribattezzato Hjalti… Perché il Manichino nel mito di Thorr e Hrungnir? Rimanda all’iniziazione di Thjalfi (che però dopo non cambia carattere!) o ad un’iniziazione di grado superiore per Thorr (che non era mai stato sfidato a duello)? Si noti poi il particolare della pietra per affilare, ‘hein’, che verrà riprodotta negli idoli del dio (la cui testa porta conficcato un chiodo) e che rimanda alla deturpazione dell’eroe celtico Cuchulainn, che dopo il suo primo combattimento vede uscire dalla sua fronte un bernoccolo lungo e spesso come la pietra per affilare, ‘airnem’, di un guerriero… Infine il cuore con tre corni di Hrungnir, che rimanda ad altre triplicità attestate per gli antieroi in ambito indoeuropeo: tre teste ha l’avversario dell’indiano Indra e dell’iranico Feridun, ma anche Gerione nemico di Eracle; tre sono i Curiazi che deve vincere il giovane Orazio, tre i Meic Nechtain avversari di Cuchulainn; tre cuori ha Meche ucciso da Mac Cecht… Il rapporto tra Thorr e i guerrieri è diverso da quello tra Odhinn e i guerrieri. Negli Harbardhsljodh Odhinn rinfaccia a Thorr di prendere i ‘thraelar’, i servi, mentre egli prende i ‘jarlar’, i nobili. In realtà, data la natura del componimento, si può credere a buon diritto che si tratti di una esagerazione e che Thorr fosse considerato il nume dei soldati usciti dalle file dei ‘karl’, i contadini liberi. In effetti mancano ?eroi di Thorr’, mentre abbondano e con varianti perfino gli ‘eroi di Odhinn’. Il folclore moderno, i residui dei vecchi culti agrari e la testimonianza dei prestiti alla religiosità lappone rivelano che Thorr fu spesso adorato come qualcosa di diverso da un dio guerriero. I Lapponi, in sintonia con alcuni epiteti norvegesi, descrivono Thorr come un vecchio con la barba rossa, ‘hora galles’ (norv. ‘tor-karl’), cioè il bravuomo Thorr, oppure ‘agja’, il Nonno, o ancora ‘adschiegads’, il Piccolo Padre, o ‘toraturos bodne’, Thorr il Vecchio (cfr. nella Svezia meridionale i contadini chiamano il tuono ‘go-bonden’, il Buon Contadino, o ‘korn-bonden’, il Bravuomo del Grano, o ‘aker-bonden’, il Bravuomo dei Campi’). Specie in Lapponia dunque Thorr è il dio del tempo atmosferico, che dà sole o pioggia, aiutando il lavoro dei campi. Già nel IX secolo Adamo di Brema concentra in Odhinn le valenze guerriere, dando a Thorr il dominio del tempo e del raccolto, e lasciando a Fricco la pace e il piacere. In realtà l’azione

fecondante di Thorr è indiretta e impedisce di vedervi un doppione dei Vani. Solo attraverso la battaglia celeste il dio del tuono fa piovere sulla terra, quindi il suo potere non riguarda la germinazione in sé. Nell’Ynglingasaga al regno ‘storico ‘di Odhinn succedono quelli di Njordhr e Freyr, incredibilmente ricchi e prosperi, coincidenti con l’ascesa del santuario di Upsala. Nella Gylfaginning si dice invece che ‘il terzo Ase’ (!) è Njordhr. Egli abita in cielo nel luogo chiamato Noatun, il Recinto delle Navi, domina i venti e calma il mare e il fuoco, e va invocato da parte dei naviganti e dei pescatori, può concedere ricchezze di ogni tipo. Ha due figli, belli e potenti, Freyr e Freya. Freyr è il più famoso degli Asi (!), ha potere sul sole e sulla pioggia e va invocato per i raccolti e per la pace. Anche lui ha potere sulla ricchezza. Freya è la più famosa delle Asinnie (!), abita in cielo a Folkvangar, i Campi del Popolo, e in battaglia prende la metà dei morti, quella che non prende Odhinn. Benevola, da lei viene il titolo di ’fru’ per le dame. Ama le canzoni e va invocato per l’amore… C’è poco da aggiungere a questo quadro, se non il fatto che i Vani dovevano essere oggetto di culti licenziosi e orgiastici. Si veda l’idolo itifallico di Fricco a Upsala, le accuse di dissolutezza mosse a Freya in diverse occasioni, ecc. Secondo la tradizione Njordhr e sua sorella o Freyr e Freya sarebbero vissuti prima di entrare ad Asgardhr come marito e moglie. Ma questo rimanda solo al perfezionamento della morale nella società ideale completa. A dire il vero, al di là delle malignità di Loki (beh…) non risultano avventure di Freya, che anzi parte alla ricerca del marito per cui versa lacrime d’oro. Per quanto riguarda invece Njordhr è noto che Tacito parla di una dea Nerthus adorata tra le piccole genti della Germania settentrionale, al confine con i Danesi. Nerthus è la Madre Terra, portata in processione da un carro trainato da vacche. Finché l’indovino sacerdote che conduce il carro è in giro, nessuna guerra è combattuta e tutti fanno festa. Il santuario della dea si trova su un’isola nell’Oceano, in un boschetto. La statua della dea è coperta costantemente da stoffe e quando alla fine della processione viene lavata prima di essere riposta, gli schiavi addetti al lavaggio vengono poi annegati nel lago presso il santuario. Njordhr da Nerthus? Non è detto, potrebbe essere anche il contrario. Quanto alla differenza di genere, si consideri il frequente passaggio nel folclore marino della Scandinavia da esseri acquatici maschili a femminili e viceversa. Comunque resta il fatto che Njordhr è il signore del vento, sia esso sopra la terra o sopra il mare, pregato dai pescatori e dai navigatori, quindi legato al mare, ma non inteso come elemento cosmico, bensì come veicolo di ricchezza e beni. I Lapponi lo chiamano ‘bieka galles’, il Bravuomo Vento. Famoso è il mito dell’infelice matrimonio tra il marinaro Njordhr e la montanara Skadhi, eroina eponima della Scandinavia. L’accordo tra i due parlava di nove notti sulle Alpi scandinave e nove sulla costa, ma Skadhi alla fine se ne tornò tra le montagne e non tornò più. L’associazione al mare di un dio della terza funzione è una costante del patrimonio mitico indoeuropeo. I Nasatya salvano dal naufragio, i Dioscuri proteggono i marinai, ecc. Non abita Njordhr il Recinto delle Navi, Noa- (sanscrito *nauh, latino *navis, ecc.) tun (tedesco *Zaun, inglese *town, galloromano *dunum, ecc.)? Qui parrebbe mancare lo sdoppiamento dei Nasatya e dei Dioscuri, ma in realtà Njordhr è volentieri associato al figlio Freyr (il quale per altro ha una nave che si può ripiegare come un fazzoletto). In effetti, Njordhr e Freyr sono tutti e due fecondi e pacifici. Freyr è protagonista di un famoso mito tragicomico. Innamorato fino alla consunzione della gigantessa Gerdhr, manda dall’amata il servo Skirnir, che prima di compiere la sua missione chiede al suo padrone la sua spada. Freyr accetta e da quel momento rimane disarmato. L’unico duello che lo vede protagonista, quello contro il misterioso Beli, lo vede combattere a mani nude o usando come arma delle corna di cervo. Allora rimpiangerà il dono incauto. In effetti arriverà inerme perfino al Destino degli Dei, al Ragnarok. Insomma, la spada di Freyr brilla soprattutto per la sua assenza! Tipicamente gli dei di 3° livello sono armati in modo più umile: i Nasatya hanno la spada, arma minore rispetto all’arco

di Arjuna e alla mazza di Bhima. Similmente la spada di Freyr si contrappone allo spiedo di Odhinn e al martello di Thorr (e all’arco di Vali e Ullr).

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