Da Sansone a Daniele

September 9, 2017 | Author: iannone_rosaria | Category: Samson, David, Jonah, Solomons, Elijah
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racconti biblici per bambini...

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SANSONE E I FILISTEI Sansone e i Filistei Correva l'XI sec. a.C. quando nella città di Zorea nacque Sansone. A quel tempo il popolo ebraico era diviso in tante tribù, spesso in lotta l'una contro l'altra: approfittando della sua debolezza, giunsero nella terra di Palestina i Filistei. Erano i Filistei uomini venuti dal mare, che adoravano tanti dei e che, arrivati in Palestina, vinsero e assoggettarono al loro dominio gli Ebrei. Tra le tribù di Israele, molti furono coloro che tentarono la riscossa contro i Filistei e tra tutti si distinse Sansone: egli era l'uomo più forte di Israele e mai si era visto qualcuno più temibile di lui. Appena nato, Sansone fu consacrato nazireo: i nazirei erano gli uomini dediti al servizio religioso che non potevano bere alcolici e non dovevano mai tagliarsi i capelli. Quando fu in età da prendere moglie, Sansone si innamorò di una donna filistea; invano i genitori tentarono di fargli cambiare idea e di fargli sposare una fanciulla del suo stesso popolo: Sansone amava la bella filistea e solo lei voleva. Un giorno, mentre si stava recando da lei, incontrò un leone che lo assalì, ma egli era così forte che uccise l'animale. Una settimana più tardi, passando per quella stessa strada per andare a sposarsi, Sansone vide che la carcassa dei leone era stata invasa dalle api e ora era piena di miele, così se ne riempì le mani e ne mangiò in abbondanza. Quando giunse al banchetto pose un indovinello ai trenta filistei invitati alle nozze: -- Dal divoratore è uscito il cibo e dal forte è uscito il dolce - e diede loro sette giorni di tempo, tutta la durata della festa nuziale, per trovare la soluzione. Se avessero indovinato, Sansone avrebbe dato loro trenta tuniche di lino bianco per la festa; se invece non ne fossero stati capaci essi avrebbero dovuto procurare a lui trenta tuniche. I trenta filistei pensarono e pensarono, ma, nonostante i loro sforzi, non riuscivano a trovare la risposta. Allora andarono a pregare la moglie di Sansone, donna del loro stesso popolo, affinché la chiedesse al marito e gliela rivelasse. Ella tanto insistette e tanto pianse che Sansone le svelò il segreto e subito la donna corse dai suoi compagni con la soluzione. Stava per

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scadere il settimo giorno quando a Sansone fu data la risposta: - Nulla è più forte del leone, niente è più dolce del miele. Sansone si adirò tanto per essere stato tradito dalla moglie che fuggì via dal banchetto e, sceso in città, uccise trenta filistei; prese le loro tuniche e le portò ai convitati, poi si ritirò a vivere in una caverna. I Filistei, per vendicarsi, passarono a ferro e fuoco i villaggi degli Ebrei e questi ultimi, stanchi delle tante angherie subite a causa di Sansone, un giorno andarono da lui, lo legarono e lo consegnarono ai Filistei. Sansone però, con la sua forza, riuscì a liberarsi dalle corde, raccolse una mascella di asino che si trovava per terra e con quella massacrò molti avversari. Infine fuggì. Scese poi nella città di Gaza, dove conobbe Dalila, e se ne innamorò. I Filistei lo vennero a sapere e pagarono la donna perché scoprisse da dove veniva tutta la forza di Sansone. - Da dove proviene tutta la tua forza? E come ti si dovrebbe legare per prenderti? - ella gli, chiese. - Mi dovresti legare con sette corde d'arco fresche, non ancora secche - le rispose Sansone. Ella provò, ma non era vero ed egli rise di lei. Da dove proviene tutta la tua forza? E come, i si dovrebbe legare per prenderti? - chiese Dalila per la seconda volta. - Mi dovresti legare con funi nuove non ancora, adoperate - le rispose Sansone. Ella tentò, ma non era vero ed egli nuovamente rise di lei. - Da dove proviene tutta la tua forza? E come ti si dovrebbe legare per prenderti? - chiese Dalila per la terza volta. - Mi dovresti legare con le sette trecce della mia testa - disse Sansone. Ella lo legò con le sette trecce ma ancora una volta egli si liberò.

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Allora Dalila iniziò a piangere: - Come puoi dirmi che mi ami se il tuo cuore è lontano? Già tre volte ti sei burlato di me. A questo punto Sansone le aprì il suo cuore: - lo sono un nazireo e non è mai passato un rasoio sulla mia testa. La mia forza sta nei capelli e, se fossero tagliati, io perderei con essi tutto il mio potere. Mentre Sansone dormiva, Dalila gli tagliò i capelli poi chiamò i Filistei perché lo legassero e lo portassero via. Questa volta Sansone aveva detto la verità. I nemici lo catturarono, lo accecarono e lo Misero in prigione. Passarono molti mesi e arrivò il giorno della festa di Dagon, uno degli dei adorati dai Filistei. Sansone fu esposto al pubblico che lo derideva e - gli lanciava contro sassi. Durante quei mesi però i capelli di Sansone. erano ricresciuti ed egli, giorno per giorno, aveva recuperato tutta la sua forza. Allora Sansone, che si trovava tra due, colonne su cui si ergeva il tempio si appoggiò ad esse e vi spinse contro con tutta la sua forza. In, quel momento il tempio rovinò al suolo uccidendo tutti i presenti, Sansone compreso.

DAVIDE E GOLIA A quel tempo il popolo di Israele era giudicato dai giudici, capi politici e militari delle varie tribù, ma essi non si mostrarono in grado di fronteggiare le razzie dei Filistei. Gli Ebrei decisero allora di scegliere un uomo forte e coraggioso a cui affidare Ia guida del paese e fu così che nel 1040 a.C. Saul fu eletto re di Israele. Neppure Saul però fu capace di eliminare il pericolo filisteo dalla terra di Canaan e la sorte degli Ebrei peggiorò quando dalle file nemiche uscì un soldato di nome Golia. Egli più che un uomo era un gigante: alto quasi tre metri, portava sul capo un pesante elmo di bronzo e indossava una corazza del peso di oltre 60 chili. Un giorno Golia si presentò di fronte all’accampamento di re Saul e gridò: - Oggi io vi lancio una sfida: scegliete tra di voi un uomo pronto a combattere contro di me. Se sarà capace di vincermi noi saremo vostri schiavi, se invece prevarrò io su di lui voi sarete soggetti a noi. Gli Israeliti erano terrorizzati e nessuno di loro osava scendere in campo contro Golia: per quaranta giorni il filisteo continuò a perseguitarli, mattina e sera, sera e mattina, ma bastava guardare Golia per essere sicuri di chi avrebbe vinto. Nessun uomo poteva nutrire la speranza di abbatterlo. Tra le file di Saul combattevano tre ragazzi di nome Eliab, Abinadab e Samma. Un giorno un loro fratello più giovane, non ancora in età per partire soldato, si recò all'accampamento per portare loro dei cibo e per avere notizie sulla loro salute. Proprio nel momento in cui quel giovane, di nome Davide, si trovava all'accampamento di Saul, Golia avanzò la sua sfida e Davide gridò: - Chi è mai quest'uomo che osa sfidare l'esercito di Dio? - Poi si fece condurre al cospetto di re Saul e gli disse: Vostra maestà, io andrò volontario a combattere questo gigante. Saul cercò di fermarlo: - Tu non puoi andare, sei solo un ragazzo, un giovane pastore, mentre Golia è un uomo d'armil Davide gli rispose: - Oh! mio signore, io bado le pecore di mio padre e ogni volta che un orso o un leone vengono per catturare un agnello io non esito a inseguirlo, abbatterlo e portargli via la preda. Dio mi ha aiutato a liberare i miei animali da orsi e leoni ed ora mi aiuterà a liberare il popolo di Israele dalle minacce di costui. Saul, colpito dalla

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sicurezza e dal coraggio del ra- gazzo, accettò la sua offerta: lo fece vestire del suo stesso elmo e della sua stessa armatura e gli consegnò la sua spada. Davide però non aveva mai indossato una corazza e mai aveva usato una spada, così si tolse l'armatura, si înfilò cinque ciottoli in tasca e avanzò verso il filisteo tenendo nella destra una fionda e nella sinistra un bastone. Appena Golia lo vide ne ebbe disprezzo e gridò ridendo: - Ragazzo, a cosa ti serve il bastone? Credi forse che io sia un cane? Davide gli rispose: - Tu vieni a me con la forza, io vengo a te nel nome del Signore. lo ti sconfiggerò e il mondo intero saprà che solo quello di Israele è il vero Dio. Appena il filisteo si mosse incontro a Davide, questi prese uno dei sassi che aveva in tasca, lo lanciò con la fionda e colpì Golia proprio in mezzo alla fronte. II gigante cadde con la faccia a terra, così Davide corse verso di lui, gli sfilò la spada dal fodero e lo uccise. I Filistei; vedendo che il loro eroe era stato sconfitto, si diedero alla fuga, inseguiti dagli Ebrei che quel giorno conseguirono una importante vittoria. Dopo lo strepitoso successo su Golia, Davide fu condotto al cospetto di Saul e lì conobbe due suoi figli: Gionata, che subito divenne suo grande amico, e Mikal, che dopo qualche mese fu sua sposa. Davide fu presto molto amato dalla corte e dall'intero popolo: in tutti i combattimenti a cui egli partecipava gli Ebrei risultavano vittoriosi e la gente gridava per strada: - Saul ne ha uccisi a decine, ma Davide ne ha uccisi a centinaia! Fu così che Saul iniziò a diventare geloso della, popolarità di Davide e più il tempo passava più il re temeva il genero perché si dimostrava agli occhi di tutti un capo ancora più valoroso di lui. Saul aveva paura che il popolo lo deponesse per consegnare il trono a Davide. Un giorno Gionata scoprì che Saul stava complottando per uccidere il suo caro amico, così mise in guardia Davide dicendogli di scappare e di nascondersi. Poi andò dal padre e gli ricordò tutte le imprese compiute da Davide al suo servizio. Saul lo ascoltò e capì di aver esagerato, quindi fece richiamare Davide che riprese fedelmente a -

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servire il sovrano. La pace tra i due, però, durò poco: qualche tempo dopo la gelosia di Saul riaffiorò e una sera, mentre Davide stava suonando la cetra, Saul scagliò contro di lui una lancia, senza però riuscire a colpirlo. Quella stessa notte il sovrano mandò alcuni suoi servitori a casa di Davide per ucciderlo, ma Mikal, informata da Gionata, fece scappare il marito dalla finestra. Quindi, prese una statua, la infilò nel letto, la ricopri con una spessa coperta e mise dalla parte del capo un tessuto di pelo di capra. Mio marito è malato - disse Mikal ai soldati quando arrivarono, ed essi tornarono da Saul a mani vuote Se non può alzarsi portatemelo dentro il letto! - gridò allora il re. I soldati eseguirono l'ordine e quando Saul tolse la coperta, scopri l'inganno. Egli si infuriò, ma Davide ormai era lontano al sicuro. Sia Gionata che Mikal tentarono in ogni modo di placare l'ira del padre, ma ogni sforzo fu vano: il suo odio contro Davide aumentava di giorno in giorno e così il giovane per due anni restò nascosto nelle campagne. In quei due anni le sorti dell'esercito di Israele si ribaltarono; i Filistei sempre più spesso riportavano vittoria sugli Ebrei, fino a che nella battaglia sul monte Gelboa trovarono la morte lo stesso Saul e i suoi figli. Dopo la morte di Saul, Davide uscì dal suo nascondiglio e il popolo lo elesse re di Israele: correva l'anno 1010 a.C.; egli regnò per 40 anni da re saggio e giusto. Fino alla fine della sua vita Davide continuò a chiedersi se qualche membro della famiglia di Saul fosse ancora vivo. Un giorno un servo gli disse che un figlio di Gionata di nome Mefiboset era ancora in vita, ma era storpio. Aveva solo cinque anni quando il padre era morto in battaglia e la nutrice era fuggita nella notte coi bambino in braccio; durante la fuga Mefiboset le era caduto ferendosi ai piedi; da quel giorno egli era rimasto storpio e non era più stato in grado di muoversi agevolmente.

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Davide lo mandò immediatamente a chiamare. Quando Mefiboset venne a sapere che il re lo voleva vedere, ebbe paura che Davide volesse vendicarsi delle angherie subite da Saul, ma si recò a palazzo e gli si prostrò davanti. - Non avere paura - gli disse Davide. - Voglio solo essere gentile con te in nome di tuo padre Gionata che fu mio grande amico. Ti restituirò le terre che appartennero a tuo nonno Saul e tu sarai sempre il benvenuto alla mia mensa. Perché dovresti essere così buono con me? lo non ho nulla da offrirti in cambio e inoltre non posso lavorare. Davide si rese conto che Mefiboset era storpio e che non poteva coltivare la terra, così ordinò ad alcuni suoi servi di andare con Mefiboset e di lavorare per lui. Da quel giorno, grazie alla generosità di Davide, Mefiboset mangiò alla tavola del sovrano e divenne come uno dei suoi figli.

LA SAGGEZZA DI SALOMONE Alla morte di re Davide, nel 970 a.C, salì al trono suo figlio Salomone. Salomone era ancora molto giovane quando assunse la carica di sovrano, ma già era assennato e leale. Una notte Dio gli apparve in sogno e gli domandò: - Che cosa vorresti che io ti dessi ora che sei re? Salomone rispose: - Signore, io sono un ragazzo, non ho esperienza di governo, non so come regolarmi e questo popolo è tanto numeroso. Concedimi dunque la saggezza di cui ho bisogno affinché io riesca a governare bene, a discernere il bene dal male e ad essere sempre un re buono e giusto per il mio popolo. Dio apprezzò molto il fatto che Salomone avesse chiesto questo e non ricchezze, potenza o lunga vita per sé e gli rispose: - Poiché tu mi hai domandato ciò, io ti concedo un cuore saggio e una mente intelligente come mai nessuno ha avuto prima e come mai nessuno avrà dopo di te. E per premiarti ti darò anche quanto non mi hai domandato: ricchezze e gloria. Non passò, molto tempo che la saggezza di Salomone fu messa alla prova. Un giorno gli si presentarono davanti due donne per avere un giudizio riguardo una disputa. Disse la prima: - Vostra maestà, io e questa donna viviamo nella stessa casa. Un giorno io ho partorito un, bambino e tre giorni dopo anch'ella diede alla luce un figlio. In quel periodo non c'era nessuno in casa oltre a noi due. Una notte questa donna per errore si coricò sul suo piccino e lo soffocò, allora, mentre io dormivo, ella si alzò e si prese il mio bambino, mettendomi nel letto il suo. AI mattino, quando mi svegliai, trovai il bambino morto e mi disperai, ma subito mi accorsi che il piccino non era il figlio mio, bensì quello dell'altra donna. - No, no! - gridò allora l'altra madre. – Il bambino vivo è il mio, il tuo è quello morto. Ti sei sbagliata e non c'era nessuno in casa che possa testimoniare!

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Le due donne continuarono a litigare così davanti al re: era la parola di una contro la parola dell'altra e il re ebbe bisogno di tutta la sua saggezza per scoprire la verità. Alfine Salomone si fece portare una spada e disse: - Ognuna di voi sostiene che il bambino vivo è il suo e che quello morto appartiene all'altra donna. Ora taglieremo in due il bambino vivo cosi ciascuna delle due madri ne avrà una parte. No, no! - disse la prima donna. Piuttosto lasciate a lei il bambino, ma vi scongiuro sire, non uccidetelo. L'altra madre invece si mostrò d'accordo con il giudizio dei re: - Va bene sire, tagliatelo in due come avete detto. A quel punto Salomone non ebbe più dubbi: - Date il bambino alla prima madre: è chiaro che lo ama veramente come una madre ama il figlio suo, mentre alla seconda non importa niente della vita del piccolo! La notizia della saggezza di Salomone presto si diffuse nell'intero paese e da quel giorno moltissimi Israeliti, e persino molti stranieri, si recarono da lui per avere un suo consiglio. Come Dio aveva promesso, il regno di Salomone fu inoltre accompagnato da ricchezza e splendore: egli fece erigere il Tempio per il culto del Signore e la costruzione fu veramente meravigliosa. Durante il suo governo le terre produssero tanto grano quanto mai se ne era contato prima, le pecore e le vacche tanto latte quanto mai se ne era visto e ogni famiglia ebbe una casa in cui abitare. Quarant'anni regnò Salomone: furono anni di pace e ricchezza, che tutti gli Ebrei ricordarono per secoli e secoli. Alla morte di Salomone salì al trono il figlio Roboamo, ma sotto di lui il regno unito di Israele durò un soffio di vento: alla guida di Geroboamo le tribù del Sud si ribellarono e nel 931 a. C. il paese si trovò diviso tra il Regno del Nord, o di Israele, e il Regno dei Sud, o di Giuda.

Elia e la pioggia Nel 931 a.C., dopo la morte di re Salomone, il regno di Israele si divise in due parti: le tribù di Giuda e di Beniamino formarono il Regno del Sud, o di Giuda, le restanti dieci tribù costituirono il Regno del Nord, o di Israele. Nessuno dei due regni però ebbe vita facile: i nemici premevano alle frontiere e forte era il malcontento interno. Molti uomini inoltre si allontanarono dal culto di Dio per avvicinarsi a idoli e dei; fu in quel periodo che iniziarono a predicare i profeti, uomini che cercarono di riavvicinare gli Ebrei alla parola di Dio. II primo fra i profeti fu Elia, vissuto nel IX sec. a. C. A quel tempo re di Israele era Acab, il quale adorava svariati dei, in particolare Baal, dio del sole e della pioggia. Un giorno Elia si presentò da Acab dicendogli: - Lascia il tuo dio Baal e venera il Signore. Se non lo farai la pioggia cesserà di cadere su questo paese per tre anni interi. Acab si fece beffe di Elia e non volle credere alle sue parole, ma dal giorno del loro colloquio cessò di piovere e per tre lunghi anni non un goccio d'acqua cadde dal cielo. La siccità e la carestia divennero gravissime: la terra si riempì di crepe e smise di produrre, molti animali e molte persone morirono di sete. Allo scadere dei tre anni, Elia si presentò da Acab, che appena lo vide lo insultò: - Tu sei la causa della rovina di Israele! - Non io, ma tu, col tuo comportamento, hai voluto questa carestia - rispose Elia. Poi proseguì: - Ordina a tutto il popolo di Israele di venire presso di me sul Monte Carmelo e chiama anche i sacerdoti di Baal. Acab fece quanto Elia gli aveva richiesto e l'indomani una immensa folla era riunita presso il Monte Carmelo. Quando tutti furono arrivati, Elia gridò: - lo sono qui da solo, come profeta del Signore, mentre ci sono 450 sacerdoti di Baal. Portate qui due buoi per un sacrificio: ne prenderemo uno per uno e lo metteremo sulla legna senza appiccarvi il fuoco, poi ognuno pregherà il suo dio affinché mandi il fuoco. La divinità che risponderà sarà quella vera, l'unica che merita il culto del popolo.

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I profeti di Baal iniziarono subito i loro rituali: presero il bue, lo prepararono, lo misero sulla legna e da mattina a sera urlarono e danzarono, invocando il loro dio Baal. Elia diceva loro: - Avanti! Urlate più forte... forse il vostro dio è sovrappensiero oppure dorme e non vi sente! Quelli gridarono a voce più alta e, secondo il loro costume, si tagliarono con coltelli e pugnali cospargendosi del loro stesso sangue. Quando ormai erano tutti sfiniti. Elia rivolse la sua preghiera al cielo: - Oh! Signore, mostra che tu sei il vero Dio, cosicché questo popolo sappia chi adorare. Immediatamente dal cielo scese il fuoco che bruciò il bue e la legna. Tutta la gente si inginocchiò e rialzando gli occhi vide all'orizzonte una piccola nube che poco a poco divenne sempre più grossa e scura e alla fine rovesciò abbondante acqua sulla terra. Acab se ne andò sconfitto e tutti gli abitanti tornarono a casa e fecero sacrifici a Dio.

Inserirei qui, la Devozione alla Madonna del Carmelo e allo Scapolare…

Giona a Ninive Nella seconda metà del secolo VIII a.C. visse nella terra di Israele un profeta di nome Giona. Un giorno gli apparve un angelo dei Signore che gli disse: - Giona alzati, va a Ninive e parla ai suoi abitanti affinché abbandonino il falso e seguano la verità. Se non lo faranno entro quaranta giorni la città sarà completamente distrutta. Ninive era a quel tempo la capitale dell'impero assiro e gli Assisi erano acerrimi nemici degli Ebrei. Giona però non voleva andare a Ninive a portarvi il messaggio di Dio: pensò che se lo avesse fatto gli Assiri avrebbero potuto seguire la parola divina, mentre lui preferiva che questo nemico venisse annientato. Solo gli Ebrei dovevano essere il popolo eletto. Così disubbidì al comando di Dio e invece di andare a Ninive scese a Giaffa e si imbarcò per Tarsis, città lontanissima, per fuggire il più distante possibile da Dio e dal suo volere. La nave salpò, ma appena fu in alto mare scoppiò un violento uragano. Un vento terribile sbatteva l'imbarcazione qua e li e sembrava che il battello dovesse sfasciarsi da un momento all'altro. Tutti coloro che erano sulla nave, marinai e passeggeri, correvano a destra e a sinistra terrorizzati, cercando di buttare parte dei carico a mare per rendere l'imbarcazione più leggera. A Giona venne il sospetto, che Dio avesse mandato quell'uragano per punirlo della sua disubbidienza e disse ai suoi compagni di viaggio: Prendetemi e gettatemi in mare e vedrete che questa tempesta si calmerà, poiché io sono certo che questa è la punizione di Dio per la mia fuga. All’inizio nessuno ebbe il coraggio di eseguire quanto Giona aveva loro ordinato e tutti cercarono di remare più in fretta per raggiungere la spiaggia. Ogni tentativo però fu vano e alla fine i marinai decisero che occorreva liberarsi di Giona; lo presero e lo

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gettarono in acqua. Il mare si calmò immediatamente e la tempesta cessò. Le onde inghiottirono Giona ed egli già pensava di morire annegato quando fu ingoiato tutto intero da un grosso pesce. Vi restò dentro tre giorni e tre notti, poi all'alba del quarto giorno il pesce si fermò sulla terra ferma e fece uscire Giona. L'angelo del Signore nuovamente comandò al profeta: - Vai a Ninive e riferisci a quella gente la parola di Dio. Giona partì e quando fu nella città cominciò a gridare ai suoi abitanti: Ascoltate il messaggio divino, seguite la Verità, altrimenti Ninive fra quaranta giorni sarà distrutta. A queste parole tutti i cittadini si convertirono ed anche il re assiro iniziò a fare penitenza: si tolse gli abiti regali e si vestì di un saio. Dio apprezzò il pentimento degli abitanti della città e decise che non l'avrebbe più cancellata dalla faccia della Terra. Appena Giona lo venne a sapere si adirò molto: non riusciva a capire perché il Dio di Israele trattava con misericordia la gente di Ninive, usando per lei lo stesso riguardo che per gli Ebrei. Uscì dalla città e dopo aver camminato a lungo si sedette e sopraffatto dalla stanchezza si addormentò. Nel frattempo Dio fece crescere proprio di fianco a Giona una pianta molto frondosa che gli riparava il capo dal sole troppo caldo. Egli fu molto grato al Signore per quell'ombra, ma all'alba del secondo giorno un verme attaccò la pianta che ingiallì e morì. Questa morte rattristò molto Giona: una pianta che seccava era pur sempre una vita spenta. Dio allora disse a Giona: - Questa pianta è cresciuta in una notte e altrettanto velocemente è scomparsa; tu non t'hai coltivata, non hai fatto nulla per farla crescere, eppure ti rattristi. Vorresti allora che io non avessi pietà di una città in cui vivono oltre centomila persone che

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io stesso ho creato? Sì, a lungo sono stati lontano da me, ma poi si sono pentiti. Perché non dovrei perdonarli? Giona ascoltò le parole di Dio, prese la sua bisaccia e si incamminò verso casa.

Daniele a Babilonia I due Regni di Israele e di Giuda non ebbero Iunga vita: entrambi furono conquistati prima dagli Assiri e poi dai Babilonesi. Nel 586 a.C., nel tempo in cui Nabucodonosor era re di Babilonia, Gerusalemme fu completamente rasa al suolo dai Babilonesi e i suoi abitanti furono deportati. II re diede quindi ordine di condurre a corte tutti i l giovani israeliti di sangue nobile, belli d'aspetto, colti e intelligenti per educarli secondo la tradizione babilonese e farne suoi servitori a palazzo. Vennero così scelti quattro giovani: Daniele, Shadrach, Meshach e Abednego. Dopo qualche tempo il sovrano fece un sogno alquanto strano: sognò di trovarsi all'improvviso di fronte ad una statua che aveva, la testa d'oro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro, i piedi in parte di ferro e in parte di argilla. Ad un tratto dal monte si staccava una pietra che cadeva sulla statua ed essa si frantumava in piccolissimi pezzi immediatamente portati via dal vento, mentre la pietra si trasformava in una gigantesca montagna. II re chiamò tutti i maghi e gli indovini di corte affinché interpretassero il suo sogno e, per essere certo che non mentissero, non rivelò loro il sogno, ma pretese che essi stessi lo indovinassero: Nessuno ne fu capace e tutti furono messi a morte. Si fece allora avanti Daniele che disse al re: - Questo sogno ti è stato ispirato da Dio affinché tu sappia che tutti i regni terreni cadranno, il solo regno che vivrà in eterno è quello celeste. Nabucodonosor fu così. soddisfatto di questa interpretazione che nominò Daniele governatore della provincia di Babilonia e anche i suoi tre amici ottennero cariche di prestigio e responsabilità. Non passò molto tempo da quel giorno che il re dimenticò il significato del sogno e iniziò a considerarsi l'uomo più importante del mondo. Si fece costruire una statua d'oro alta quasi 27 metri e ordinò a tutti i principi, i governatori, i giudici e gli ufficiali che ricoprivano le cariche

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più importanti di adorare la statua. Chi non l'avesse fatto sarebbe stato gettato in una fornace ardente. Shadrach, Meshach e Abednego si rifiutarono. di adorare quella statua e subito i principi babilonesi riferirono al re la disubbidienza dei tre giovani. Nabucodonosor li mandò a chiamare e tentò di imporre loro il culto della statua, ma ogni tentativo fu vano. I tre gli risposero: - Noi non ci prostreremo mai di fronte alla tua statua. Se il nostro Dio vuole, saprà come salvarci dalla fornace, ma se anche Egli non lo facesse ci rifiuteremmo ugualmente di adorare i tuoi idoli. Re Nabucodonosor, che detestava essere sfidato, ordinò ai suoi servi di gettare i giovani nella fornace ardente e di scaldarla sette volte più del solito. A causa del grande calore sprigionato dalle fiamme, gli uomini che gettarono i tre israeliti nel fuoco morirono bruciati, mentre l'angelo del Signore allontanò da Shadrach, Meshach e Abednego il fuoco e rese l'interno della fornace un luogo fresco e ventilato. Nabucodonosor da lontano osservava la scena e vedendo i tre giovani che passeggiavano in mezzo al fuoco in compagnia di un angelo ordinò di liberarli: sovrano, prefetti, governatori, ministri si strinsero intorno a loro e si stupirono nel notare che i loro corpi erano integri e che i loro abiti non erano neppure stati toccati dall'odore di bruciato. Nabucodonosor si inginocchiò e disse: Da questo momento io ordino che tutto il mio popolo veneri il vostro Dio e che chiunque lo offenda sia punito. Da quel giorno il re osservò attentamente il culto dei Signore e ascoltò i consigli dei quattro israeliti. Alla sua morte salì al trono Baldassarre, un uomo che non credeva in Dio e che per tutta la durata del suo regno si mostrò superbo e irriverente. Un giorno Baldassarre organizzò una grande festa a corte e, per onorare gli invitati, decise di offrire loro da bere in coppe d'oro e d'argento trafugate dal tempio di Gerusalemme. II re sapeva che esse erano sacre e che non

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avrebbero dovuto essere usate per divertimenti e festeggiamenti, ma non se ne curò. All'improvviso una mano misteriosa comparve nell'aria e scrisse sulle pareti della sala del banchetto parole incomprensibili: «mene», «tekel» e «peres». Baldassarre iniziò a tremare dalla paura e interpellò i suoi maghi e i suoi indovini, ma nessuno fu in grado di decifrare la misteriosa scritta. La regina madre si ricordò allora di Daniele e di come egli avesse interpretato i sogni di Nabucodonosor, quindi fu mandato a chiamare Daniele. Appena giunto al banchetto egli disse: - Dio ti ha punito per aver preso i vasi sacri del Signore e averli usati nel tuo banchetto, cosi ha mandato la mano a scrivere queste cose. «Mene» significa numero e ciò vuol dire che Dio ha contato i giorni dei tuo regno e presto lo condurrà alla fine. «Tekel» significa peso e vuol dire che sei stato pesato sulla bilancia divina e sei risultato mancante. «Peres» vuol dire divisione e sta a dire che il tuo regno sarà presto diviso, tra Medi e Persiani. L'interpretazione di Daniele doveva avverarsi ben presto: quella stessa notte Baldassarre fu ucciso e Dario, re dei Medi, conquistò il regno. Re Dario divise il paese in 120 distretti, a capo di ognuno dei quali pose un governatore, poi nominò Daniele loro supervisore. Daniele si mostrò subito il migliore di tutti e ciò destò l'invidia dei governatori che iniziarono a cercare qualche pretesto contro di lui. Egli però era impeccabile e non riuscendo a trovare niente di sbagliato nel suo lavoro, pensarono di far accusare Daniele a causa della sua religione. Essi infatti sapevano che Daniele pregava Dio tre volte al giorno e che si era sempre rifiutato di venerare idoli e dei, cosi un giorno si presentarono dal Re dicendo: - Maestà, abbiamo pensato di emanare un decreto per cui chi nei prossimi trenta giorni rivolgerà una qualsiasi preghiera ad una divinità che non sia il Re, sarà gettato nella fossa dei leoni. Dario si senti alquanto adulato dalla richiesta e subito firmò l'ordine. Daniele, nonostante il nuovo editto, non cessò di pregare Dio e i suoi

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nemici corsero subito dal Re dicendo: - Sire, Daniele vi ha disubbidito; egli continua a pregare tre volte al giorno il suo Dio proprio come faceva prima che voi promulgaste la legge. II sovrano a quelle parole si rese conto dell'inganno dei suoi ministri, ma ormai era troppo tardi: una legge firmata non poteva essere ritirata. Pensò a lungo ad una possibile soluzione, ma non c'era alcuna via d'uscita quindi, su pressione dei ministri, ordinò che Daniele venisse gettato nella fossa dei leoni: - Possa il tuo Dio, che servi così fedelmente, salvarti! gli disse prima di tornarsene a palazzo. Quella sera Dario non toccò cibo e la notte non riuscì a chiudere occhio: non vedeva l'ora che giungesse mattina per correre alla fossa dei leoni. Un'intima speranza che Dio avesse salvato Daniele si animava in lui. II giorno seguente, appena raggiunta la fossa, gridò: - Daniele, il tuo Dio è riuscito a salvarti? La sua gioia fu grande quando udì la voce di Daniele che rispondeva: - Sì, o sire, il mio Dio ha mandato il suo angelo a fermare le fauci dei leoni, così essi non mi hanno neppure sfiorato. Dio sapeva che io non ho fatto niente di male, né contro di Lui, né contro di voi. II re diede quindi ordine di tirare immediatamente Daniele fuori dalla fossa dei leoni e di gettarvi dentro tutti quei ministri che gli avevano subdolamente fatto firmare l'editto. Daniele concluse i suoi giorni sotto, il regno di Dario, stimato da lui e dall'intero suo popolo.

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