Criteri Di Progettazione Scambiatori Di Calore
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Heat Exchanger Calculation...
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CRITERI DI PROGETTAZIONE DEGLI SCAMBIATORI DI CALORE
QUESTO DOCUMENTO È DI PROPRIETÀ DI TECHINT E NON PUÒ ESSERE RIPRODOTTO E/O DIVULGATO, NEANCHE PARZIALMENTE, SENZA ESPRESSA AUTORIZZAZIONE DI TECHINT
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INDICE PRESENTAZIONE
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1. SCAMBIATORI DI CALORE
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2. SHELL & TUBES
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2.1. NOMENCLATURA TEMA 2.1.1. Distributore di ingresso (front end– stationary head type) 2.1.2. Mantello (shell type) 2.1.3. Distributore posteriore o di ritorno (rear end head type) 2.1.4. Tabella TEMA 2.2. CRITERI DI SCELTA DEL TIPO DI SCAMBIATORE 2.2.1. Criteri basati sul tipo di processo 2.2.2. Criteri basati sul tipo di fluido 2.2.3. Criteri meccanici 2.3. FOULING 2.3.1. Fattore di sporcamento 2.3.2. Pulizia degli scambiatori 2.3.3. Perdite di carico 2.3.4. Minimizzazione dello sporcamento 2.3.5. Scambiatori non soggetti a standard TEMA 2.4. OVERDESIGN 2.4.1. Oversurface design 2.4.2. Overdesign in duty e flow rate 2.4.3. Overdesign multipli 2.4.4. Overdesign fluidodinamico 2.5. COMPONENTI E CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE 2.5.1. Diametri, spessori e lunghezze dei tubi 2.5.2. Disposizione dei tubi 2.5.3. Giunzione tubo-piastra tubiera 2.5.4. Interni dello scambiatore 2.5.4.1. Setti di partizione 2.5.4.2. Ferrule anti erosione 2.5.4.3. Promotori di turbolenza 2.5.4.4. Tubi basso alettati 2.5.4.5. Diaframmi di partizione (baffles) 2.5.4.6. Sistemi di tenuta dei by-pass (Sealing Devices) e la Stream Analysis 2.5.4.7. Tracciatura della piastra tubiera e disposizione dei tubi 2.5.4.8. Analisi vibrazionale
3. DESIGN TERMODINAMICO 3.1. FLUIDODINAMICA DELLO SCAMBIATORE DI CALORE 3.1.1. Bilancio termico 3.1.2. Coefficiente di scambio 3.1.3. Perdite di carico 3.2. VERIFICA DELLA COMPLETEZZA E DELLA CONGRUENZA DEI DATI 3.2.1. Scambiatori Shell & Tubes senza cambiamento di fase 3.2.2. Scambiatori Shell & Tubes con cambiamento di fase 3.2.2.1. Curve di condensazione
3.3. PROFILO DELLE TEMPERATURE 3.3.1. Numero di corpi in serie e treni di scambiatori 3.3.1.1. Pinch Point e CMTD minimi 3.3.1.2. Limitazioni nell’utilizzo degli scambiatori “F” due passi nel mantello
4. CONDENSAZIONE 4.1. FLUIDI PURI 4.2. MISCELE 4.3. PERDITE DI CARICO
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9 9 10 11 14 15 15 16 17 19 19 20 21 21 22 23 23 23 23 24 25 25 26 27 28 28 29 29 30 31 35 39 41
44 44 44 45 50 52 52 53 54
55 58 61 61
64 64 65 68
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4.4. PROGETTAZIONE DEI CONDENSATORI 4.4.1. Condensatori verticali 4.4.2. Condensatori orizzontali 4.4.3. Condensatori di riflusso 4.4.4. Sottoraffreddamento del condensato 4.4.5 Sfiato e drenaggio 4.4.6 Condensatori in ambito power 4.4.6.1. Boiler Feed Water Heater 4.4.6.2. Surface Condenser
5. EBOLLIZIONE 5.1. POOL BOILING 5.1.1. Regimi di flusso 5.1.2. Coefficienti di scambio 5.1.3. Flusso termico critico 5.2 FLOW BOILING 5.2.1. Coefficienti di scambio 5.2.2. Regimi di flusso 5.2.3. Considerazioni 5.3. RIBOLLITORI 5.3.1. Kettle Reboilers 5.3.1.1. Dimensionamento del mantello e disengagement space 5.3.1.2. Hold-up del liquido 5.3.1.3. Criteri di utilizzo e di progettazione 5.3.1.4. Controllo delle temperature e del calore fornito
5.3.2. Ribollitori a termosifone 5.3.2.1. Analisi della circolazione naturale 5.3.2.2. Densità in fase mista non omogenea 5.3.2.3. Profilo delle temperature 5.3.2.4. Ribollitori a termosifone verticali 5.3.2.5. Ribollitori a termosifone orizzontali 5.3.2.6. Ribollitori “once-through” 5.3.2.7. Ribollitori a circolazione forzata
5.3.3. Falling Film Evaporators 5.3.4. Process Gas Waste Heat Boiler
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78 79 79 81 82 83 83 84 85 87 88 89 90 91 92
93 93 95 95 97 98 100 101
102 104
6. SCAMBIATORI DI CALORE AD ARIA
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7. DOUBLE PIPE / MULTITUBES
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8. COMPACT HEAT EXCHANGERS
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ALLEGATI
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BIBLIOGRAFIA
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PRESENTAZIONE Lo scopo della presente relazione è descrivere, nel modo più completo possibile, le apparecchiature preposte allo scambio termico tra i fluidi e in particolare quelle più comunemente utilizzate negli impianti petrolchimici e di generazione di potenza. Si descriveranno in maggiore dettaglio gli scambiatori a fascio tubiero (shell and tubes heat exchangers) e i refrigeranti ad aria (air cooled heat exchangers) e meno approfonditamente gli scambiatori a piastre (compact non-tubular heat exchangers). L’incidenza economica degli scambiatori di calore è tutt’altro che trascurabile; il loro impatto può arrivare a valori del 5-12% sul costo totale di tutte le apparecchiature. L’ottimizzazione della progettazione termodinamica assume quindi un ruolo molto importante quando si partecipa alle gare di appalto o si deve rispettare un budget di commessa. La progettazione termodinamica non può pertanto essere ridotta alla semplice ottimizzazione del design dello scambiatore. Sono fondamentali, e persino più importanti, le scelte dei parametri di processo operate a monte del design dell’apparecchiatura: le temperature di esercizio, le perdite di carico ammissibili, le portate di acqua di raffreddamento, i fattori di sporcamento, le dimensioni di ingombro ammissibili etc. A volte una piccola modifica dei dati di processo, di solito poco influente per il funzionamento globale dell’impianto, può portare a risparmi anche rilevanti nel costo degli scambiatori di calore. Proprio per questo la presente trattazione, che si rivolge a tutti coloro che sono coinvolti nella progettazione di base degli impianti, darà una descrizione il più esauriente possibile delle apparecchiature di scambio termico affrontando in essa tutti gli aspetti fisici, meccanici, funzionali e di processo che le caratterizzano. Si forniranno, inoltre, alcuni criteri semplificati per aiutare il progettista nella scelta del tipo di scambiatore più adatto per il servizio preposto e per determinare, seppure a livello di stima, le superfici di scambio e il numero dei corpi da installare. La progettazione di un impianto è un’attività multidisciplinare di ingegneria. Per questo una migliore e più diffusa conoscenza tecnica dell’argomento può essere di grande aiuto nella definizione di un design impiantistico funzionale ed economico.
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1. SCAMBIATORI DI CALORE Lo scambiatore di calore è un’apparecchiatura che permette di trasferire energia tra due fluidi a temperature diverse. Sono molto usati in tutti i tipi di ambienti industriali, dal siderurgico al chimico, dal petrolchimico alla generazione di potenza, assolvendo le più disparate e molteplici funzioni. Nella pratica industriale la nomenclatura con la quale sono identificati dipende sostanzialmente dalla funzione (servizio) che devono assolvere. I servizi più comuni per i quali sono utilizzati sono i seguenti: Condensatore: Il vapore del fluido di processo è convertito in liquido, mediante la sottrazione del calore di condensazione. Può essere totale o parziale, se in esso avviene la condensazione di tutto il vapore o di solo una parte. Esempi classici di condensatori sono lo scambiatore in testa alla colonna di distillazione e l’apparecchiatura per condensare i vapori a bassa pressione in uscita da una turbina. Ribollitore: Inversamente al condensatore, è il liquido di processo che è convertito a vapore, ricevendo il calore necessario. Queste apparecchiature possono essere totali o parziali e il loro impiego è fondamentale sul fondo delle colonne di distillazione. Cooler: è utilizzato ogni qualvolta si debba raffreddare un fluido alla temperatura richiesta dal processo; per esempio quando si vuole raffreddare un prodotto prima del suo stoccaggio o sottoraffreddare un condensato utilizzato per la rettifica in testa delle colonne. Il fluido refrigerante è generalmente acqua (se disponibile), aria o in casi particolari fluidi opportunamente refrigerati. Recupero termico: è utilizzato in maniera molto diffusa per recuperare calore da una corrente calda in uscita da uno o più processi, affinché sia fornito alla corrente fredda in ingresso all’impianto. Tanto più spinto è il recupero termico, tanto minore sarà il calore da fornire per il processo, migliorando in questo modo il rendimento dell’impianto. Un esempio sono i “treni di scambio” per il preriscaldo dell’olio crudo negli impianti di distillazione: sono composti da molti corpi collegati in serie che grazie alle grandi superfici di scambio recuperano calore da tutti i fluidi caldi riducendo al minimo l’apporto di calore esterno. Sono importanti recuperatori termici i “feed-effluent” installati nei circuiti di reazione ad alta temperatura fra il prodotto di reazione caldo e la carica fredda al reattore.
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In ambiente “power” sono recuperatori di calore i “boiler feed water heater” per il preriscaldo dell’acqua di caldaia, con vapore spillato dalla turbina. Steam generator: Produce vapore alle condizioni di temperatura e pressione volute. A volte si utilizza il calore in eccesso dall’impianto stesso operando in tal modo una sorta di recupero termico. E’ un’apparecchiatura diffusa perché il vapore prodotto può essere utilizzato in molti servizi, in particolare per fornire calore ai ribollitori di fondo delle colonne di distillazione o per la generazione di energia. Un’applicazione interessante è rappresentata dal “waste heat boiler” che genera vapore, spesso ad alta pressione, recuperando calore da gas di sintesi ad alta temperatura.
La quasi totalità degli scambiatori può essere raggruppato in quattro principali categorie: Shell & Tubes: permettono di scambiare facilmente calore tra due fluidi utilizzando fasci tubieri raccolti in un corpo cilindrico. Double pipe / multitubes (hairpin): simili agli Shell & Tubes, sono generalmente usati per piccole superfici di scambio e possono utilizzare sia tubi lisci sia alettati longitudinalmente. Permettono un flusso molto efficiente perché grazie alla loro geometria realizzano una controcorrente pura fra i fluidi. Air Cooler: usati solo per raffreddamento o condensazione di un fluido in un fascio tubiero alettato, utilizzano come refrigerante grandi masse di aria mosse da ventilatori, perciò sono più costosi degli scambiatori a fascio tubiero. Se il loro utilizzo è inevitabile in assenza di acqua di raffreddamento, possono essere impiegati quando, in seguito ad analisi precise, siano più convenienti dei più complicati sistemi di raffreddamento con acqua in circuito chiuso e torri di raffreddamento. Compact Non-Tubular: tipicamente gli scambiatori a piastre; l’uso delle piastre consente coefficienti di scambio molto elevati e recuperi termici migliori, grazie alla configurazione di controcorrente pura e alla loro grande compattezza costruttiva.
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2. SHELL & TUBES
Figura 1
E’ il tipo di scambiatore più comunemente usato; come il nome stesso fa intendere, consiste in un insieme di tubi paralleli, che costituiscono il fascio tubiero, fissati a una o due piastre tubiere. L’involucro esterno è il mantello (shell), che avvolge la parte centrale del fascio includendo i bocchelli per l’ingresso e l’uscita del fluido. Alle due estremità il fluido è convogliato all’interno dei tubi per mezzo di appositi distributori (inlet e return channels/heads). Da questo momento in poi si parlerà di lato mantello per le caratteristiche e la fluidodinamica del fluido esterno, e di lato tubi per quelle del fluido interno. Questi scambiatori di calore sono stati ben studiati e sviluppati nel corso degli anni; la loro standardizzazione, creata dall’associazione dei costruttori americani a partire dagli anni ’60, è ora adottata come il riferimento più importante in ambito petrolchimico in tutto il mondo. E’ lo standard TEMA: Tubular Exchanger Manufacturers Association. In esso sono standardizzate tutte le caratteristiche costruttive meccaniche (tolleranze, spessori minimi e grandezze caratteristiche) ed è fornita una semplice e chiara nomenclatura per identificare in modo univoco tutte le tipologie di scambiatori Shell & Tubes. In ambito “power”, cioè in impianti di produzione di energia elettrica, il riferimento è lo standard HEI: Heat Exchanger Institute, che fornisce i criteri dimensionali e di progettazione termodinamica per gli scambiatori tipici di questi processi, come i condensatori a superficie dei vapori esausti da turbina e i preriscaldatori dell’acqua di caldaia. In alcuni casi, tipicamente per condensatori a superficie installati in impianti petrolchimici, può essere richiesto con particolare riferimento ai fattori di sporcamento, in rispetto di quanto previsto dagli standard TEMA. Gli standard TEMA sono suddivisi in tre classi, in funzione del grado di accuratezza richiesto nella costruzione dello scambiatore. Tipicamente, la classe R, adottata in ambito petrolchimico,
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contiene specifiche più restrittive (spessore tubi, tolleranze, etc) per apparecchiature funzionanti in condizioni estreme: alte temperature e pressioni, fluidi corrosivi o nocivi... La classe C è applicata per sistemi in condizioni meno severe, mentre la classe B si applica per condizioni normali e in particolari in impianti chimici. Si segnala che alcuni parametri sono accorpati in uno standard unico (RCB).
2.1. Nomenclatura TEMA Negli standard TEMA, uno scambiatore è identificato da tre lettere: la prima si riferisce al tipo di distributore d’ingresso (front end – stationary head type) attraverso il quale il fluido entra nei tubi; la seconda al tipo di mantello (shell type), la terza al tipo di testata posteriore o di ritorno (rear end head type).
2.1.1. Distributore di ingresso (front end– stationary head type) Sono previste 5 tipologie:
Per il tipo B (bonnet integral cover) il fondo del distributore è fisso, ellittico, saldato alla parte cilindrica, non possiede flange e guarnizioni ed è pertanto molto economico. Non permette tuttavia l’accesso ai tubi, se non dopo aver scollegato le tubazioni dai bocchelli e smontato l’intero distributore. È collegato al mantello mediante una coppia di flange che bloccano la piastra tubiera, in modo che il mantello sia smontabile.
Tipo B
Il tipo A (channel and removable cover) prevede un coperchio piano flangiato e rimovibile e permette l’accesso ai tubi senza scollegare le tubazioni. E’ più costoso rispetto al tipo B. È collegato al mantello mediante una coppia di flange che bloccano la piastra tubiera in modo che il fascio tubiero sia smontabile.
Il tipo C (integral channel with tubesheet and removable cover – removable tube bundle), esattamente come il tipo A prevede un coperchio piano. In questo caso però, la parte cilindrica è saldata direttamente alla piastra tubiera rendendo il distributore solidale con i tubi. Tale soluzione è meno costosa della precedente, ma rende più difficile lo smontaggio del fascio tubiero.
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Tipo C
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Il tipo N (integral channel with tubesheet and removable cover) ha le stesse caratteristiche del tipo C, ma prevede la piastra tubiera saldata sia al distributore sia al mantello. È una soluzione economica, spesso adottata per scambiatori a un passaggio con bocchelli in asse, ma non permette di eseguire la pulizia e l’ispezione del lato mantello (non si possono estrarre i tubi).
Il tipo D (special high pressure closure) è un tipo di costruzione che prevede l’uso di materiali forgiati integrali al posto delle lamiere saldate. E’ un tipo di design in grado di sopportare altissime pressioni di progetto. Il materiale è più costoso, ma tale costo è parzialmente compensato dall’assenza di saldature.
2.1.2. Mantello (shell type) La seconda lettera identifica il tipo di mantello. La sua scelta è legata al tipo di processo previsto per lo scambiatore. In alcuni casi tale scelta può invece dipendere da criteri di ottimizzazione in fase di design termodinamico.
Il tipo E (one pass shell) consente un solo passaggio lato mantello. È il tipo di costruzione standard, il più largamente utilizzato e può coprire tutti i tipi servizi
Tipo E
di processo.
Il tipo F (two pass shell with longitudinal baffle) prevede due passaggi lato mantello, avendo all’interno un setto separatore longitudinale per tutta la
Tipo F
lunghezza dello scambiatore. Può essere parzialmente assimilato a due scambiatori tipo E collegati in serie, raggiungendo per questo una maggiore efficienza termica.
Il tipo G (split flow) ha un setto centrale che separa il flusso in due correnti. I due passaggi nel mantello conferiscono una migliore efficienza rispetto al tipo E, mentre la divisione del flusso consente di rispettare valori massimi di perdite di carico ammissibili più restrittivi rispetto al tipo F.
Si usa in
particolare per ribollitori a termosifone orizzontale.
Il tipo H (double split flow) è analogo al mantello G, con due bocchelli di ingresso e di uscita e con due setti centrali che dividono il flusso in quattro parti. Può per questo trattare volumi di fluido ancora maggiori rispetto al tipo G, con basse perdite di carico.
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Tipo H
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Il tipo J (divided flow) divide il flusso in due parti, ciascuna delle quali percorre metà della lunghezza dello scambiatore. Ha una minore efficienza termica rispetto al tipo E ma consente di ottenere perdite di carico molto minori e quindi trattare grandi volumi di fluido. Può essere realizzato con due bocchelli di ingresso ed uno di uscita J21 o viceversa J12.
Il tipo K (kettle type reboiler) è usato esclusivamente per ribollitori con vaporizzazione totale, o a vaporizzazione parziale con separazione liquido-
Tipo K
vapore.
Il tipo X (cross flow) consente di trattare elevatissimi volumi di fluido lato mantello, mantenendo basse le perdite di carico, grazie alla totale assenza di
Tipo X
diaframmi all’interno.
2.1.3. Distributore posteriore o di ritorno (rear end head type) Il distributore posteriore o di ritorno ha la funzione di dirigere il flusso uscente da un passaggio verso il successivo e, a meno di numero di passaggi lato tubi dispari, non ha bocchelli. Si possono distinguere quattro principali categorie; la prima raggruppa le tipologie L, M, N in cui la piastra tubiera è saldata al mantello:
Il tipo L (fixed tube-sheet like “A” stationary head), simmetricamente al distributore di ingrasso di tipo A, è smontabile e può essere aperto per l’ispezione dei tubi.
Tipo L
Il tipo M (fixed tube-sheet like “B” stationary head) analogo al distributore di ingresso di tipo B, possiede il coperchio “bonnet” saldato ed è smontabile solo dopo aver scollegato le flange delle tubazioni (se esistenti).
Tipo M
Il tipo N (fixed tube-sheet like “N” stationary head), simile al distributore di ingresso di tipo N, prevede la piastra tubiera saldata sia al mantello sia al distributore.
La seconda categoria raggruppa le teste flottanti (tipologie S, T, P), che hanno la
Tipo N
possibilità di muoversi liberamente rispetto al mantello, consentendo in tal modo la compensazione delle dilatazioni termiche differenziali dovute alle diverse temperature di funzionamento dei due fluidi. Tutte le teste flottanti sono realizzate in modo che dopo il loro smontaggio si possa sfilare il fascio tubiero dal mantello per la sua manutenzione.
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Il tipo S (floating head with backing device) ha la piastra tubiera flottante (floating tubesheet) racchiusa fra un anello in due metà (split ring) e il coperchio della flottante stessa. E’ sufficiente un mantello di pochi millimetri più grande del fascio tubiero (50 mm) per consentirne l’estrazione. Con il distributore di tipo A si realizza lo scambiatore interamente pulibile più usato (AES).
Il tipo T (pull through floating head) permette l’estrazione del fascio tubiero dalla parte del distributore senza dover smontare la testata flottante, semplicemente tirando il fascio attraverso il mantello. In questo caso la differenza di diametro fra il mantello e il fascio tubiero è molto maggiore rispetto al tipo S, perché attraverso il mantello deve passare, oltre alla piastra tubiera anche la flangia della testa flottante. La differenza tra diametro del fascio tubiero e del mantello dipende dal progetto meccanico, ma è indicativamente di 120-150 mm. Questo comporta un costo maggiore rispetto al tipo S.
Il tipo P (outside packed floating head) è di più semplice costruzione. Non è previsto un coperchio della testa flottante e la tenuta del fluido lato mantello verso l’ambiente esterno è realizzata con un sistema premistoppa.
E’
evidente che tale tipo di costruzione non può essere adottato per fluidi pericolosi, tossici e per alte pressioni operative. Una terza categoria è rappresentata dal tipo W.
Il tipo W (externally sealed floating tubesheet) si differenzia dalle precedenti tipologie perché la compensazione della dilatazioni termiche è realizzata con il movimento della piastra tubiera. La tenuta fra i fluidi lato tubi e lato mantello è realizzata per mezzo di premistoppa. E’ una progettazione meccanica meno costosa che permette un rapido smontaggio per la manutenzione sia del mantello sia dei tubi ed elimina il problema del trafilamento di fluido all’esterno, cosa possibile per il tipo P. Rimane tuttavia la possibilità di trafilamento tra i due fluidi e per questo l’utilizzo di questa tipologia è limitato e deve essere ben valutato.
La quarta categoria è rappresentata dal tipo U.
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Tipo P
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Il tipo U (U-tube bundle) è molto usato perché poco costoso, non essendoci il distributore posteriore e avendo solo due flange che racchiudono la piastra tubiera stazionaria; compensa quindi il costo per la piegatura dei tubi.
Tipo U
Consente di estrarre facilmente il fascio tubiero per la pulizia del mantello e di compensare naturalmente le dilatazioni termiche differenziali fra tubi e mantello. Non può però essere usato quando è richiesta la pulizia meccanica dei tubi.
La tabella N-1.2 degli standard TEMA raccoglie tutte le possibili tipologie per ciascuna sezione dello scambiatore.
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2.1.4. Tabella TEMA
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2.2. Criteri di scelta del tipo di scambiatore La scelta del tipo di scambiatore è legata a tanti fattori: in generale può dipendere dal tipo di processo che si deve soddisfare, dal tipo di fluidi da trattare e dalle loro caratteristiche fisiche. Dipende poi dalla loro capacità di sporcare i tubi (fouling) e dalle condizioni di pressione e di temperatura di progetto che devono sopportare. Per orientarsi in questa scelta si possono seguire alcuni criteri generali (“rules of thumb”) che però non devono essere considerati totalmente vincolanti. Ogni singolo caso deve essere analizzato in fase di ingegneria di dettaglio in maniera approfondita, tenendo conto di tutte le condizioni al contorno, sia ingegneristiche sia economiche. E’ spesso utile, qualora sia consentito dal tipo di processo, analizzare anche la possibilità di inversione dei fluidi fra lato mantello e lato tubi; non è raro che così facendo si pervenga a soluzioni tecniche più’ economiche e non facilmente ipotizzabili a priori. Per scambiatori molto costosi, di grandi dimensioni e/o costruiti con materiali pregiati, è sicuramente utile, in caso di dubbio, specificare differenti dimensionamenti da sottoporre poi a stima economica, prima di operare la scelta finale.
2.2.1. Criteri basati sul tipo di processo
Il tipo K, come detto, è esclusivamente adottato per i ribollitori con separazione di fase liquido - vapore.
I ribollitori a termosifone, se verticali, hanno il fluido vaporizzante nei tubi a singolo passaggio, per favorire la risalita della fase mista generata e la sua circolazione. Generalmente sono usati scambiatori a teste fisse; solo in caso di fluido riscaldante molto sporco si impiegano teste flottanti. Non possono essere molto grandi e la lunghezza dei tubi deve essere limitata a 4-5 metri.
Per i ribollitori a termosifone orizzontali sono preferiti i mantelli tipo G o H per la migliore efficienza termodinamica, ma anche i tipi E, J12 e X, per grandi dimensioni e portate di circolazione. In particolare quest’ultima tipologia permette, con l’utilizzo dei diaframmi verticali, una corretta supportazione dei tubi.
La condensazione è generalmente operata nel lato mantello; la scelta della tipologia è strettamente legata al volume del fluido e alle perdite di carico ammissibili. Si può utilizzare,
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per pressioni sufficientemente alte, il più efficiente tipo E, per poi preferire il tipo J21 a basse pressioni e perdite di carico ridotte.
La condensazione è a volte operata nel lato tubi. In tal caso è preferibile utilizzare fasci tubieri a “U” per evitare la separazione liquido vapore in una zona chiusa come quella del distributore posteriore.
Per condensazioni a basse pressioni è molto usato il tipo X, che può trattare elevatissimi volumi di fluido mantenendo basse perdite di carico grazie alla grande area di passaggio (diametro * lunghezza dei tubi). Per questo tutti i condensatori di vapore esausto sotto vuoto proveniente dalle turbine sono di questo tipo.
2.2.2. Criteri basati sul tipo di fluido
Il fluido che prevede l’utilizzo di materiali pregiati (acciai inossidabili, austenitici e duplex, leghe di rame e nichel, titanio, etc.) deve essere collocato, per ovvi motivi di costo, nel lato tubi. Ci si limita in tal modo all’utilizzo del materiale pregiato per i soli tubi, mentre i distributori possono essere realizzati, sempre per contenere i costi, impiegando il materiale pregiato solo come rivestimento (cladding, weld deposit, etc.).
Se il fluido ha una viscosità superiore ai 7-10 cP, di regola deve essere posto nel mantello, dove il coefficiente di scambio è decisamente più elevato. Se invece, per facilità di pulizia o per necessità avendo dei materiali pregiati, sia messo lato tubi, occorre tener conto che con una viscosità compresa tra 4 e 7 cP il coefficiente di scambio lato tubi crolla a valori bassissimi. Questo può essere parzialmente evitato qualora siano consentite elevate perdite di carico (1-2 bar per corpo), in modo da realizzare una velocità sufficientemente alta da sviluppare un moto turbolento e quindi un buon coefficiente di scambio.
I fluidi molto sporcanti richiedono apparecchiature che possano essere ispezionate, smontate e pulite in modo relativamente semplice. I dispositivi che permettono queste operazioni includono coperchi smontabili per l’ispezione e la pulizia dei tubi e fasci tubieri estraibili per la pulizia del lato mantello. Tra un fluido “sporco” e uno più “pulito”, solitamente si sceglie di mettere quello che richiede una maggiore frequenza di pulizia nei tubi, che possono essere puliti smontando i coperchi dei distributori senza dover estrarre il fascio tubiero. In caso di frequenza di pulizia molto elevata, è preferibile utilizzare i tipi A, C e N e i loro corrispettivi per le testate di ritorno.
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Un fluido sporcante nel lato mantello, se richiede la pulizia meccanica, necessita l’impiego di fasci tubieri estraibili con passo quadrato dei tubi.
Per i fluidi puliti per i quali è sufficiente una pulizia chimica, è possibile utilizzare scambiatori con piastre tubiere fisse non smontabili con passo di tubi triangolare, mettendo il fluido lato mantello o scambiatori con tubi a “U”.
L’acqua di raffreddamento è generalmente messa nei tubi, sia per la facilità di pulizia sia per evitare zone “morte” lato mantello, dove è più facilitato il deposito del fouling e con esso la possibilità di corrosione.
2.2.3. Criteri meccanici
I fluidi a elevate pressioni di progetto sono solitamente ubicati nel lato tubi. In questo modo l’elevato spessore richiesto per il contenimento della pressione è applicato al solo distributore e non a tutto il mantello con notevole risparmio. Ad altissime pressioni può essere conveniente, come già visto, la testata tipo D e, se consentito dal tipo di pulizia richiesta, l’utilizzo di tubi a “U” per risparmiare un distributore di ritorno pesante e costoso.
Gli scambiatori tipo F con due passaggi nel mantello hanno una limitazione di tipo meccanico, a causa della pressione differenziale che si esercita sul diaframma longitudinale per effetto delle perdite di carico al lato mantello. Una regola abbastanza generale limita l’utilizzo di tali mantelli quando le perdite di carico superano gli 0,5-0,7 barg.
Gli scambiatori con piastre tubiere fisse possono presentare notevoli inconvenienti progettuali e difficoltà meccaniche costruttive. Proprio perché fascio tubiero e mantello sono solidali, costituiscono un ostacolo alla compensazione delle differenti dilatazioni termiche dei tubi e del mantello. Oltre certi valori è necessario prevedere un compensatore di dilatazione (generalmente realizzato con una o più onde saldate al mantello), che, muovendosi assialmente, riduce ed elimina gli sforzi che agiscono sulle giunzioni tubi-piastra tubiera, evitandone la rottura. Il dimensionamento del compensatore di dilatazione (posizione N.14 nella figura N-2 degli standard TEMA in uno scambiatore BEM, riportata in figura 2), che è pur sempre un elemento di debolezza meccanica, comporta la conoscenza di molti parametri: - Le condizioni estreme per le temperature di funzionamento, solitamente legate a condizioni di processo transitorie (mancanza d’acqua, start-up, scatto di una valvola di sicurezza, etc.), tutte difficili da quantificare;
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- Il calcolo delle temperature di parete del mantello e dei tubi, che sono funzione dei coefficienti di scambio e del fattore di sporcamento dei fluidi. - Il numero di cicli necessari per eseguire un’analisi a fatica.
Figura 2
Come suggerimento, il compensatore di dilatazione deve essere comunque previsto già qualora si debbano compensare differenze di temperature medie di parete tra mantello e tubi dell’ordine di 30-40 °C (molto dipende anche dalla lunghezza dei tubi e dai materiali di costruzione). Si consideri inoltre che per pressioni superiori a 40 barg la sua realizzazione risulta difficile, a causa dell’elevato spessore richiesto del compensatore che ne limita la flessibilità. Per tutti questi motivi l’utilizzo di scambiatori con piastre tubiere fisse, generalmente molto economici, deve essere ben ponderato. Devono essere assolutamente previste e specificate in fase di studio di processo tutte le possibili anomalie di funzionamento e i relativi transitori di temperatura.
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2.3. Fouling Il fouling o sporcamento, sia lato tubi sia lato mantello, è uno dei fenomeni più importanti che influenzano in maniera significativa la scelta e il dimensionamento degli scambiatori. Il fouling è il deposito di un certo spessore di sedimenti e particelle solide sulla superficie, che impedisce lo scambio termico e incrementa le perdite di carico attraverso lo scambiatore. Il fouling all’interno dei tubi provoca una riduzione
dell’area
(esagerata
nella
di
passaggio
figura
3),
con
conseguente aumento della velocità; provoca ulteriori problemi se non è regolare
(figura
b),
perché
i
fluidi
scambieranno in modo diverso nella parte alta e nella parte bassa del tubo.
Figura 3
Al lato mantello le problematiche generate dal fouling possono essere anche più gravi: il deposito può ridurre la distanza fra tubo e tubo con il conseguente aumento della velocità del fluido, che può generare vibrazioni così ampie da portare i tubi alla rottura. I meccanismi e le cause del fouling sono disparati: - Sedimentazione di particelle solide trasportate dal fluido (sabbia, ruggine, fanghi...); - Crescita biologica, dovuta ai batteri naturalmente presenti nelle acque; - Coking, deposito di particelle carboniose, tipico dei processi di trattamento idrocarburi ad alta temperatura; - Cristallizzazione dei sali insolubili nel fluido. In particolare la precipitazione dei carbonati nelle acque di raffreddamento, che è tanto maggiore quanto più alta è la temperatura di pelle; - Congelamento del fluido, tipicamente negli scambiatori preposti ai processi criogenici.
2.3.1. Fattore di sporcamento Per tener conto del decadimento funzionale degli scambiatori nel tempo dovuto all’incremento dello sporcamento si deve introdurre nel calcolo della superficie di scambio un fattore di penalizzazione, denominato fouling factor (fattore di sporcamento). Concettualmente esso rappresenta la resistenza allo scambio termico generata dallo spessore e dalla conducibilità termica del deposito formatosi. Il sovradimensionamento risultante dovrà
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consentire il funzionamento dello scambiatore alle condizioni progettuali anche dopo un periodo relativamente lungo, per evitare frequenti e costose fermate dell’impianto per la sua pulizia. La scelta di un adeguato fouling factor ha forti implicazioni economiche e deve pertanto essere eseguita in modo oculato. Infatti, a volte il coefficiente globale di scambio “sporco” può risultare la metà di quello pulito, raddoppiando di conseguenza la superficie richiesta per lo scambio termico. Solitamente i fouling factors sono definiti nei documenti generali di impianto da parte del committente, proprio perché i criteri di pulibilità devono essere fissati dai proprietari dell’impianto. In mancanza di questo, i fouling factor potranno essere stabiliti facendo riferimento alle specifiche TEMA; in esso sono indicati valori standard in funzione del tipo di fluido, delle temperature operative e della velocità. Fra gli altri criteri che si possono adottare, si ricorda lo standard Shell DEP (Design and Engineering Practice), che li classifica anche in funzione del tipo di impianto.
2.3.2. Pulizia degli scambiatori Per una progettazione ottimale del tipo di scambiatore non è sufficiente la sola definizione del fattore di sporcamento, che influisce direttamente sul calcolo della superficie di scambio termico. È molto importante sapere a priori che tipo di pulizia è previsto, in considerazione delle caratteristiche di sporcamento del fluido trattato. Per i fluidi il cui deposito aderisce fortemente alla superficie, tale da poter essere asportato solo mediante azione meccanica, la pulizia meccanica dovrà essere esplicitamente richiesta nella specifica di processo. Viceversa, alcuni fluidi lasciano sedimenti che possono facilmente essere puliti, grazie alla loro maggiore solubilità, mediante lavaggi con solventi. La specifica espliciterà quindi la richiesta di pulizia chimica. In assenza di un’indicazione specifica, una regola largamente condivisa da molte società di ingegneria prevede che per fattori di sporcamento superiori a 0,000344 (m2 K / W) si debba considerare una pulizia di tipo meccanico dello scambiatore. Pertanto è necessario l’impiego di fasci tubieri smontabili con passo quadrato dei tubi per il lato mantello e l’esclusione dei tubi a “U” per il lato tubi.
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2.3.3. Perdite di carico Il fattore di sporcamento non dice nulla, se non in maniera implicita, sull’andamento delle perdite di carico attraverso lo scambiatore durante il suo sporcamento. Rimane ovviamente inteso che maggiori fattori di sporcamento portano a maggiori depositi, minori aree di passaggio e conseguentemente incrementi sensibili delle perdite di carico nel tempo. Questo è tanto più rilevante nel lato mantello, dove le perdite di carico in condizioni sporche possono addirittura triplicare rispetto a quelle in condizioni pulite. Può accadere che, anche se lo scambiatore è in grado di scambiare il calore richiesto, le elevate perdite di carico non consentono la circolazione del fluido, imponendo di conseguenza la fermata dell’impianto, o parte di esso, per la pulizia dello scambiatore. Per questi fluidi molto incrostanti, il processista e il progettista termodinamico dovranno prevedere perdite di carico ammissibili sufficientemente elevate e un’analisi dell’andamento delle stesse in condizioni sporche.
2.3.4. Minimizzazione dello sporcamento Il fattore più importante per la riduzione della formazione di sporcamento nel tempo è sicuramente la velocità del fluido nello scambiatore: più alta è la velocità, più elevata sarà la capacità di asportazione dei sedimenti. Contemporaneamente, il maggiore coefficiente di scambio determina una minore temperatura di parete e con essa una riduzione della formazione dello sporcamento stesso. Ciò è particolarmente evidente per l’acqua di raffreddamento, per la quale la formazione di calcare è molto dipendente dall’incremento di temperatura; per essa vale un criterio generale che stabilisce una velocità minima dell’acqua nei tubi di 1 m/s. Anche in questo caso, quindi, le perdite di carico ammissibili previste dovranno essere sufficientemente elevate. Un ulteriore aspetto che può influire sulla formazione del fouling riguarda la scelta del tipo di controllo della temperatura di processo e del calore scambiato: occorre evitare di utilizzare il bypass del fluido sporcante come controllo. La riduzione della portata, della velocità e l’incremento della temperatura di parete aumenterebbero ulteriormente lo sporcamento.
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2.3.5. Scambiatori non soggetti a standard TEMA Per gli scambiatori ai quali non si applicano gli standard TEMA, il concetto di fouling assume un significato sostanzialmente differente. In ambiente power, tutti gli scambiatori trattano fluidi puliti, cioè acqua demineralizzata e trattata, oppure vapore; fanno eccezione i surface condenser delle turbine e i CCCW (Closed Circuit Cooling Water): essi utilizzano come fluido refrigerante acqua di mare, di fiume o di torre. Sono previsti però opportuni sistemi di pulizia in continuo (continuous clearing balls – taprogge). Per questa ragione, al posto del fattore di sporcamento si introduce un cleanliness factor, definito come Ueffettivo / Upulito, che riduce il coefficiente di scambio termico calcolato di circa il 15%. Nei condensatori di turbina degli impianti petrolchimici, dove non è possibile installare impianti di pulizia continui, si dovrebbe reintrodurre il concetto di fouling factor TEMA, assimilandoli agli altri cooler dell’impianto. Ne consegue un incremento notevole di superficie (anche del 100%), per cui è bene chiarire in fase contrattuale con il committente la scelta definitiva del fattore di sporcamento da utilizzare, per evitare onerosi incrementi di costo non previsti. Per gli scambiatori a piastre non si considera il fattore di sporcamento TEMA: sia perché esse non rientrano in questi standard, sia perché la geometria e la fluidodinamica delle piastre garantiscono turbolenze così elevate da minimizzare il deposito di sedimenti e lo sporcamento in generale. Per questo motivo tutti i fornitori assumono, similmente al cleanliness factor usato in ambiente power, un fattore di sicurezza, che incrementi la superficie di scambio di circa il 10-15%. Tuttavia, tale criterio di overdesign non tiene assolutamente conto del tipo di fluido e delle sue caratteristiche fisiche, non differenziando in alcun modo tra fluidi puliti, come acqua demineralizzata, o fluidi molto sporcanti, come gli oli minerali. Per ovviare a questa incongruenza, è buona regola adottare come fouling factor per gli scambiatori a piastre il fattore indicato negli standard TEMA diviso per dieci. In questo modo si tiene conto dell’elevata capacità autopulente degli scambiatori a piastre e nello stesso tempo delle reali caratteristiche dei fluidi. Un buon criterio sarebbe di definire a priori nelle specifiche di processo il fouling factor da utilizzare (fattori TEMA / 10), ponendo in ogni caso come limiti per il cleanliness factor un minimo del 10% e un massimo di 20-25% sul coefficiente globale di scambio.
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2.4. Overdesign Il fouling factor rappresenta, come già detto, una condizione progettuale, fissata per tener conto del decadimento funzionale dell’apparecchiatura nel tempo. Non deve essere confuso con il margine di overdesign, che è fissato per considerare veri e propri margini progettuali di sicurezza o funzionali. L’overdesign può essere definito modi differenti.
2.4.1. Oversurface design E’ un incremento della superficie di scambio (corrispondente all’aumento della sola duty), introdotto per garantire il raggiungimento delle performance richieste anche in caso di imprecisioni nella definizione dei dati progettuali e delle grandezze chimico-fisiche. Si verifica che la superficie installata sia maggiore di quella minima richiesta di un fattore almeno pari a quello fornito dalle specifiche (solitamente il 10%).
2.4.2. Overdesign in duty e flow rate È specificato quando si vogliono prevedere delle condizioni di funzionamento maggiorate per permettere potenziamenti futuri della produttività degli impianti, mantenendo fisse le condizioni progettuali di temperatura e di perdite di carico. Si evidenzia che tale margine è inferiore al precedente, perché a un aumento della portata corrisponde un aumento della duty, ma anche del coefficiente di scambio: nel bilancio finale, la superficie di scambio risultante sarà comunque minore di quella calcolata con un semplice oversurface design. Viceversa, si otterrà un margine maggiore sulle perdite di carico calcolate.
2.4.3. Overdesign multipli Nel caso si voglia mantenere il margine sulla superficie di scambio anche quando l’impianto funzionerà in condizioni maggiorate, è possibile specificare contemporaneamente entrambi i margini sopra indicati. Si potrà così garantire il funzionamento a potenzialità maggiorate, tenendo conto anche delle incertezze di processo.
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2.4.4. Overdesign fluidodinamico Non è un margine che deve essere dichiarato né richiesto, è piuttosto una regola di buona ingegneria. Esso tiene conto del fatto che le equazioni della fluidodinamica sono relazioni sperimentali empiriche che cercano di rappresentare dei fenomeni molto complessi. Deve essere adottato quando il “margine operativo” definito come il rapporto percentuale fra il coefficiente globale di scambio teorico, calcolato in condizioni pulite, e il coefficiente “installato” (cioè calcolato dal bilancio termico, come si vedrà al paragrafo 3.1.1) risulta molto ridotto. Ciò avviene generalmente quando uno o entrambi i coefficienti di scambio sono così bassi che il margine introdotto dai fattori di sporcamento è in pratica trascurabile. Questa condizione occorre soprattutto con fluidi viscosi in regime laminare o con gas a bassa pressione. In questo caso, è opportuno e prudente considerare un incremento della superficie installata per realizzare i seguenti margini operativi: 15-20% se i fluidi trattati non cambiano fase, 20-25% se i fluidi sono in passaggio di fase.
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2.5. Componenti e caratteristiche costruttive
2.5.1. Diametri, spessori e lunghezze dei tubi Generalmente i diametri, gli spessori dei tubi e i materiali da adottare nella progettazione degli scambiatori di calore sono definiti sulle specifiche generali dell’impianto. In assenza di precise richieste, si fa riferimento alla tabella D-7 dello standard TEMA, nella quale sono indicati i diametri e gli spessori dei tubi da impiegare. Per i diametri solitamente impiegati e cioè 5/8”, 3/4”, 1”, 1 ¼” e 1 ½” gli spessori consigliati e di uso più comune sono: 14 BWG minimum wall (2,108 mm) per acciaio al carbonio e basso legati 16 BWG average wall (1,651 mm) per acciai inossidabili austenitici, duplex e le leghe di rame e di nichel. 18 BWG average wall (1,245 mm) per titanio. E’ possibile utilizzare spessori diversi, scegliendo però sempre dalla tabella D-7 dello standard TEMA. Con i termini minimum e average wall si fa riferimento alla tolleranza costruttiva sullo spessore del tubo. “Minimum wall” richiede che la tolleranza sullo spessore dei tubi vari fra 0% a +20% (per tubi senza saldatura finiti a freddo con diametro non superiore a 1½”) , mentre la tolleranza “average wall” è fra -10% e +10%. Nel primo caso, il diametro interno effettivo del tubo è inferiore rispetto al diametro nominale; di questo se ne deve assolutamente tener conto nel calcolo delle perdite di carico. Gli standard TEMA prevedono per gli scambiatori l’uso di “tubes”, che differiscono dai “pipes” utilizzati per il piping, perché hanno il diametro esterno uguale al diametro nominale. I pipes possono essere utilizzati solo per scambiatori non soggetti allo standard TEMA, come i “Double Pipe”. Ai tubi non si applica il sovraspessore di corrosione a meno che, per fluidi estremamente corrosivi, sia esplicitamente richiesto nella specifica di processo. Esso deve essere invece considerato in tutte le altre membrature dello scambiatore. Le lunghezze standard dei tubi da utilizzare nella progettazione sono solitamente definite nelle specifiche generali. In assenza di questa informazione possono essere adottate quelle indicate
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al paragrafo RCB-2.1 dello standard TEMA: 96” (2438 mm), 120” (3048 mm), 144” (3658 mm) 192” (4877 mm) e 240” (6096 mm). Gli standard TEMA permettono l’uso di altre lunghezze, pertanto è possibile adottare multipli e sottomultipli di metro. E’ consentito utilizzare tubi più lunghi nel rispetto dalle dimensioni di ingombro ammissibili ed in assenza di limitazioni precise nelle specifiche generali di impianto. Tubi più lunghi portano a soluzioni meno costose ed alla riduzione del numero di corpi da installare. La lunghezza massima adottabile nel calcolo di uno scambiatore è legata alla disponibilità sul mercato; in generale essa è limitata a 20-22 m.
2.5.2. Disposizione dei tubi La scelta della disposizione dei tubi si basa sostanzialmente su criteri legati alla pulibilità meccanica del fascio tubiero e su criteri fluidodinamici. Le configurazioni possibili sono quelle in figura. L’angolo identificativo è quello formato dalla direzione del flusso e l’asse che unisce due tubi successivi. La configurazione a passo quadrato (90° square o 45° rotated square) è scelta per la facilità di pulizia, con l’accorgimento di mantenere l’allineamento dei tubi. Permette di ridurre le perdite di carico ed è consigliabile per la condensazione perché permette al liquido di cadere facilmente per gravità. Il passo quadrato diritto (90°) deve essere utilizzato nel caso di ribollitori Kettle per facilitare il flusso del vaporizzato verso l’alto. Il passo quadrato ruotato (45°) è sicuramente conveniente nel caso di fluidi viscosi, perché favorisce l’insorgenza della turbolenza e conseguentemente migliora i coefficienti di scambio. È anche utilizzato per risolvere problemi
Figura 4
vibrazionali, poiché la velocità di attraversamento del fascio tubiero è minore rispetto al passo quadrato diritto (maggiore area di passaggio nella direzione del flusso). Il passo triangolare a 30° è sicuramente il più usato perché, a parità di superficie di scambio e quindi di numero di tubi, determina un diametro del mantello minore e quindi un minore costo (maggior impaccamento geometrico). Non è però pulibile meccanicamente e pertanto non può
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essere utilizzato per fluidi sporcanti. Il passo triangolare a 30° può essere utilizzato per i ribollitori tipo Kettle solo in caso di basso flusso termico, quando la produzione di vapore avviene lentamente (ebollizione nucleata), indicativamente ad un valore minore di 5 kW/m2. Il passo triangolare ruotato a 60°, invece, rispetto al passo a 30° si utilizza per ridurre le perdite di carico, ma contemporaneamente peggiora il coefficiente di scambio. La distanza fra i tubi (tube pitch) minima per tutte le configurazioni è 1,25 volte il diametro esterno del tubo stesso. Per il passo quadrato, in particolare, per garantire la pulibilità meccanica è richiesto una spaziatura minima fra tubo e tubo di 0,25 pollici (6,35 mm). Esiste anche una spaziatura minima da rispettare quando è prevista la saldatura dei tubi alla piastra tubiera; essa deve essere pari, almeno al doppio dello spessore della saldatura per impedirne la sovrapposizione.
2.5.3. Giunzione tubo-piastra tubiera La giunzione dei tubi alla piastra tubiera è una delle parti più delicate dello scambiatore perché è preposta a impedire il trafilamento del fluido tra un lato e l’altro. Quella più comunemente utilizzata è la giunzione mandrinata (Figura 5), una deformazione meccanica del tubo ottenuta all’interno di scanalature ricavate nella piastra
tubiera
(grooves).
Si
utilizza
un
apposito
strumento espansore detto mandrino. Se ben eseguita è assolutamente funzionale. Deve
Figura 5
tuttavia rispettare certi limiti dettati da criteri di buona ingegneria, in mancanza di precise indicazioni riportate nelle specifiche generali d’impianto. Non è possibile eseguire la giunzione dei tubi alla piastra tubiera mediante mandrinatura quando:
La pressione di progetto è superiore a 42 barg
La temperatura di progetto è superiore a 400 °C
Lo scambiatore opera in servizio idrogeno
La piastra tubiera è placcata.
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In questi casi la giunzione dei tubi alla piastra tubiera deve essere realizzata mediante saldatura di forza (strength weld), seguita da una leggera espansione del tubo senza provocare la laminazione del tubo stesso. Non è inoltre consigliabile eseguire la giunzione dei tubi alla piastra tubiera mediante sola mandrinatura quando:
I fluidi sono pericolosi o tossici
È assolutamente necessario evitare che i fluidi dei due lati vengano a contatto
I tubi sono realizzati in acciaio duplex
I tubi e la piastra tubiera sono realizzati in materiali non ferrosi.
In questi casi, la giunzione dei tubi alla piastra tubiera deve essere realizzata mediante saldatura di tenuta (seal weld) seguita da una mandrinatura del tubo, avendo cura di non provocare l’allungamento nella direzione della saldatura.
2.5.4. Interni dello scambiatore Sono descritti in questa sezione tutti gli elementi necessari a realizzare un corretto funzionamento termodinamico e fluidodinamico.
2.5.4.1. Setti di partizione La distribuzione del fluido e la realizzazione
di
più
passaggi
si
ottengono disponendo dei setti di partizione (partition plates, figura 6) nei distributori di ingresso e di ritorno. Il
numero
e
la
disposizione
dipendono dal tipo di scambiatore e dal numero di passaggi da realizzare. In figura 7 sono riportate alcune configurazioni tipiche, in funzione del numero di passaggi.
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Figura 6
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Figura 7
Si noti che in alcuni casi non è possibile (in particolare per i tubi a “U”) mantenere i bocchelli di ingresso ed uscita in asse, configurazione che faciliterebbe il drenaggio dello scambiatore in fermata. Si può ovviare all’inconveniente installando dei tappi per il drenaggio della zona morta del distributore o realizzando delle apposite sagomature del setto verticale.
2.5.4.2. Ferrule anti erosione Sono realizzate in materiali ceramici e sono inserite nei tubi nella zona di ingresso per proteggere il tubo da fenomeni di erosione, a causa dell’alta velocità del fluido o delle sue caratteristiche erosive.
2.5.4.3. Promotori di turbolenza Si possono considerare anche alcuni dispositivi inseriti nei tubi al
fine di
migliorare il coefficiente di scambio (heat
transfer
enhancement
devices), utili in particolare per fluidi viscosi con funzione di promotori di turbolenza.
Esistono
sul
mercato Figura 8
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varie ed efficienti tipologie, ma il sistema più semplice e di facile realizzazione è quello mostrato in figura 8. Consiste in una semplice piattina metallica attorcigliata da fissare alla piastra tubiera. Tuttavia tale accorgimento, che può arrivare a dimezzare la superficie di scambio, rende molto difficile la pulizia meccanica; non può pertanto essere utilizzato con fluidi ad alto sporcamento. I Twisted Tubes®, sviluppati dalla Koch e quindi sotto brevetto, svolgono un’azione analoga. Il tubo stesso è pressato e attorcigliato, in modo che il fluido seguendo il profilo deformato a elica incrementi la turbolenza (figura 9). Anche nel mantello si ottiene lo stesso effetto perché i tubi, essendo compattati uno contro l’altro, consentono velocità molto elevate. Il fascio tubiero poi non necessita di diaframmi,
realizzando
così
un
flusso
puramente longitudinale, senza zone morte e problemi vibrazionali. Hanno chiaramente un costo maggiore dei semplici tubi, ma la riduzione di superficie e
Figura 9
i vantaggi che portano possono giustificarne l’impiego.
2.5.4.4. Tubi basso alettati I tubi basso alettati (low-finned tubes, figura 10) possono essere realizzati in quasi tutti i materiali, dall’acciaio al carbonio al titanio,
anche
se
quelli
più
comunemente utilizzati sono in lega di rame. Le alette sono piccole, da 0,5 a 1,5 mm, ma molto fitte, da 400 a 1500 per metro,
e
si
ottengono
per
deformazione plastica del tubo senza asportazione di materiale. MOD/GEN-02i Rev 01
Figura 10
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I tubi basso alettati sono utilizzati quando il coefficiente di scambio termico risulta molto basso, come normalmente accade per i gas e per i liquidi viscosi. Grazie all’incremento di superficie ottenibile con le alette (da 3 a 5 volte) si può ridurre drasticamente il numero dei tubi da installare e quindi le dimensioni dello scambiatore, compensando così il maggior costo dei tubi stessi. I tubi basso alettati tendono tuttavia a sporcarsi facilmente fra le alette; per questo devono essere utilizzati per fluidi puliti come aria e oli refrigeranti viscosi.
2.5.4.5. Diaframmi di partizione (baffles) I diaframmi (baffles) sono una componente importante del fascio tubiero. Essi hanno una
FLUSSO CON DIAFRAMMI SEGMENTALI
duplice funzione: sostenere i tubi mantenendoli uniformemente distanziati e promuovere la turbolenza per massimizzare il coefficiente di scambio.
FLUSSO LONGITUDINALE
I diaframmi si dividono in due grandi categorie: la prima, quella più comune e coperta dallo standard TEMA, sono i diaframmi segmentali,
Figura 11
che obbligano il fluido a muoversi in un percorso a “zig-zag”, tanto più stretto quanto più piccolo è il passo fra un diaframma e l’altro. Hanno l’inconveniente di creare zone morte (in nero in figura 11) soprattutto se non sono ben progettati. La seconda categoria, invece, riguarda diaframmi realizzati utilizzando delle strutture assai più complicate dei diaframmi segmentali, tutte coperte da brevetti e licenze, che permettono il sostegno dei tubi e generano turbolenza. Inoltre sviluppano per il fluido un percorso puramente longitudinale nel mantello ne segue una maggiore efficienza per l’assenza delle zone morte.
Diaframmi segmentali Sono dei dischi forati per sostenere i tubi e tagliati orizzontalmente o verticalmente. Il fluido è obbligato a passare nelle zone vuote (windows) per invertire la direzione del flusso e attraversare di nuovo il fascio tubiero (bundle cross). Il design è studiato in modo che il fluido percorra il massimo numero di “cross”, riducendo la distanza fra i diaframmi, compatibilmente con le perdite di carico ammissibili. I tipi più comuni sono:
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A singolo segmento (Single Segmental, figura 12). È il tipo più usato, a una sola finestra, consente la massimizzazione dello scambio termico perché a ogni diaframma tutto il flusso attraversa il fascio.
Figura 12
A doppio segmento (double segmental, figura 13). Riduce le perdite di carico, poiché il flusso è diviso in due parti e ciascuna frazione attraversa solo metà del fascio tubiero. Le perdite di carico si riducono a un ottavo rispetto al single segmental a parità di passo dei diaframmi. Per questo è
Figura 13
utilizzato per grandi volumi di fluido, come nel caso di condensazione a bassa pressione e basse perdite di carico. I diaframmi doppio segmento, grazie alla migliore supportazione dei tubi ottenibile con passi diaframmi più piccoli, possono risolvere in alcuni casi anche i problemi vibrazionali del fascio tubiero. La minore velocità si attraversamento del fascio penalizza però il coefficiente di scambio.
No-Tube-in-Window (NTIW, figura 14). Sono sempre i comuni diaframmi segmentali, senza però i tubi nelle finestre. Si
utilizzano
principalmente
per
risolvere
problemi
vibrazionali perché la lunghezza massima non supportata dei tubi è esattamente il passo dei diaframmi, e non il doppio
Figura 14
come negli altri casi: i tubi risultano molto più “bloccati”. Un ulteriore supporto è realizzabile ponendo in mezzo ai due diaframmi segmentali un altro diaframma senza entrambe le finestre (intermediate support plate).
Disco/anello
(disk
fluidodinamicamente
and molto
doughnut, simili
ai
figura
15).
diaframmi
Sono doppio
segmento, presentando però una simmetria radiale del flusso, più efficiente e con meno zone morte. Sono però molto meno utilizzati perché sono di più difficile costruzione.
Figura 15
Diaframmi interi: sono dei semplici supporti del fascio tubiero, installati nei ribollitori K (Kettle) e negli scambiatori in cross flow tipo X. Sono inoltre utilizzati per supportare la testa flottante di tipo S, e le “curve” dei tubi a “U” per evitare dannose vibrazioni.
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Diaframmi per flusso longitudinale Come detto sono dispositivi complicati da costruire, costosi e soggetti a brevetti e licenze. Presentano il vantaggio di una più elevata efficienza di scambio e possono per questo risultare comunque economicamente convenienti. In più, grazie alla grande capacità di supportare i tubi e al flusso longitudinale, non presentano quasi mai problemi vibrazionali. I più usati sono:
Helical e double-helical baffles (figura 16), che sono realizzati con settori di diaframmi inclinati in grado di imprimere al fluido un moto elicoidale.
Rod Baffles, Square-one grid ed EM baffles (figura 17), che sono delle strutture a griglia, realizzate con piatti o tiranti.
Figura 17
Figura 16
Taglio, passo e orientamento dei diaframmi L’altezza del settore circolare delle windows (h nella figura 18), che ne definisce l’area di passaggio, è detta taglio del diaframma
(baffle
cut).
È
sempre
specificato
come
percentuale del diametro interno dello scambiatore, sia per il single segmental sia per il double segmental. Per esso gli standard TEMA stabiliscono il valore minimo ammissibile che è pari al 15% del diametro interno dello scambiatore. Il valore massimo non è specificato, ma in ogni caso non può fisicamente superare il 45%. Per i double-segmental, serve specificare anche l’overlap (x). È un parametro importante perché rappresenta la parte di scambiatore in “cross”, con i massimi coefficienti di scambio. Un suo aumento può migliorare lo scambio termico.
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Figura 18
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Il passo dei diaframmi (baffle pitch) è la distanza tra due diaframmi successivi. Lo standard TEMA prescrive che il valore minimo sia il maggiore fra 1/5 del diametro interno del mantello e 2” (50 mm); non danno invece un valore massimo per il passo, ma limitano, per motivi meccanici e vibrazionali, la massima lunghezza non supportata. Questa è il doppio del passo dei diaframmi nella zona centrale dello scambiatore; nelle zone di ingresso e uscita, invece, è pari al passo dei diaframmi più la distanza fra il diaframma e la piastra tubiera (in generale queste due ultime lunghezze sono le maggiori). La scelta del taglio e del passo diaframmi deve essere ben ponderata. In generale, più piccolo è il taglio, maggiore sarà il coefficiente di scambio perché il numero di file di tubi attraversate durante il “cross” sarà maggiore. Tuttavia, come si vede nella figura 19, a tagli troppo stretti con passi ampi o tagli larghi con passi stretti, le zone morte tendono ad aumentare, formando vortici (eddies).
Figura 19
Come si vedrà, i modelli adottati dai moderni programmi di simulazione e calcolo permettono l’ottimizzazione della scelta di questi due parametri. Generalmente il passo scelto è mantenuto costante per tutta la lunghezza dello scambiatore. E’ però possibile utilizzare diaframmi a passo variabile per ottimizzare il funzionamento dello scambiatore, soprattutto in condensatori a bassa pressione per “seguire”, con la riduzione del passo dei diaframmi, la diminuzione del volume di vapore e mantenere quindi una velocità sostenuta. L’orientamento del taglio dei diaframmi può essere perpendicolare all’asse del bocchello in ingresso (perpendicular cut) o parallelo (parallel cut). Lo standard TEMA, riferendosi a scambiatori orizzontali con bocchelli sopra e sotto il mantello, li definisce rispettivamente “horizontal” e “vertical”. È tuttavia preferibile usare la prima definizione, in quanto evita
Perpendicular Cut
Figura 20 MOD/GEN-02i Rev 01
Parallel Cut
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errori in caso di scambiatori verticali o con bocchelli laterali. Ciò che importa da un punto di vista fluidodinamico è il tipo di flusso che si realizza: up-down per il taglio perpendicolare/orizzontale, o side-to-side per il taglio parallelo/ verticale. Il primo è usato generalmente per liquidi e gas, il secondo per fasi miste condensanti e vaporizzanti. Il taglio perpendicolare, infatti, provoca un effetto “diga” che rende instabile il flusso, annegando parzialmente il fascio tubiero. Ciò impedisce una corretta condensazione e, in caso di vaporizzazione, impedisce il “disengagement” del vapore prodotto.
2.5.4.6. Sistemi di tenuta dei by-pass (Sealing Devices) e la Stream Analysis La stream analysis è un modello che cerca di rappresentare nel modo più preciso possibile il moto del fluido attraverso il fascio tubiero e, attraverso questa rappresentazione, si pone l’obiettivo di calcolare con la massima accuratezza i parametri fluidodinamici al lato mantello: tipicamente, coefficiente di scambio e perdite di carico. Si basa su principi concettualmente semplici, ma numericamente complessi: l’avvento di calcolatori con potenze di calcolo elevate ne ha accelerato lo sviluppo e l’ha resa un procedimento standard nella progettazione di uno scambiatore. Nella stream analysis il fluido lato mantello è diviso in cinque correnti, una per ogni possibile zona di passaggio nel fascio tubiero. La corrente principale è sempre quella di “cross” del fascio, le altre quattro sono correnti dei by-pass classificabili in “buone” o “cattive” per lo scambio termico. Questi by-pass sono conseguenza di esigenze costruttive, pertanto non sono totalmente eliminabili. Per quelle legate alle tolleranze definite negli standard TEMA, si analizza come possano essere ragionevolmente ridotte; per le altre si possono adottare dei dispositivi che limitano le correnti parassite e favoriscono quelle desiderate. Dalle figure 21 e 22 si vede che:
“A” è la parte di fluido che trafila attraverso le tolleranze tubo-diaframma; non è troppo dannoso, perché questo fluido rimane in contatto con i tubi e contribuisce, seppur in modo minore (non è un moto trasversale ai tubi) allo scambio termico. Questo by-pass tende a ridursi al crescere dello sporcamento, fino ad azzerarsi quando lo spazio fra
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Figura 21
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tubo e diaframma si intasa completamente. Ne consegue un incremento a volte molto evidente delle perdite di carico. Può essere ridotto solo agendo sulle tolleranze costruttive.
“B” attraversa il fascio (cross flow fraction); è il più utile allo scambio termico perché il moto del fluido è perpendicolare ai tubi; deve pertanto essere massimizzato. Il valore minimo da raggiungere per un buon design dovrebbe essere pari al 40% del flusso totale.
“C” è il by-pass tra fascio tubiero e mantello (scorre attorno al fascio); è dovuto alla differenza fra il diametro interno del mantello (I.D.) e il diametro esterno del fascio (O.T.L. Outside Tube Limit). È un flusso dannoso poiché, non entrando in contatto con i tubi, non interviene nello scambio termico.
“E” è il by-pass tra diaframma e mantello: è il più dannoso. È considerato come un by-pass esterno allo scambiatore: il simulatore aumenta quindi la superficie di scambio, in modo che sia in grado di riscaldare (o raffreddare) di più il fluido non by-passato affinché con il ricongiungimento si ottenga la temperatura richiesta. Può essere ridotto solo agendo sulle tolleranze costruttive.
“F” passa nelle zone senza tubi del fascio tubiero: è dovuto allo spazio che occorre lasciare fra tubo e tubo per posizionare i setti di partizione. Anche in questo caso la riduzione avviene mediante appositi sistemi di tenuta. Figura 22
HTRI
(Heat
Transfer
Research
Institute) adotta nel suo simulatore il metodo
di
uguagliando
Tinker-Palen-Taborek: le
perdite
di
carico
(schematizzate da valvole nella figura 23) fra due punti comuni a tutte le correnti, si possono determinare in modo
iterativo
le
singole
portate,
tenendo anche conto dei sistemi di tenuta previsti. È così possibile sia ottimizzare il design dello scambiatore, sia analizzarne i cattivi funzionamenti.
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Figura 23
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Per ridurre le correnti di by-pass i metodi più comuni sono:
Sealing strip pairs (coppie di strisce di tenuta, figura 24) longitudinali, posizionate fra OTL e ID per evitare il by-pass C. Generalmente se ne utilizzano una ogni cinque - sei file di tubi. Sono usate anche per bloccare i by-pass nelle zone di ingresso e uscita dei bocchelli.
Sealing rods / dummy tubes (tondi di tenuta / finti tubi,
Figura 24
figura 25): si impiegano per bloccare il by-pass F. Il loro diametro dipende dallo spazio lasciato dai setti di partizione.
Figura 25
La riduzione delle tolleranze è possibile, tenendo comunque conto dei limiti imposti dalle esigenze costruttive.
La tolleranza diametrale fra tubo e diaframma, secondo gli standard TEMA 0,8 mm per tubi con lunghezza non supportata inferiore a 914 mm, può essere facilmente ridotta con le odierne tecnologie di fabbricazione a 0,4 mm. Si agisce così sul by-pass A. Valori inferiori non sono realizzabili, perché diventa difficile l’inserimento dei tubi nei diaframmi per tutta la lunghezza del fascio tubiero.
La tolleranza diametrale tra fascio tubiero e mantello è determinata dalle esigenze costruttive ed è difficilmente migliorabile. Ciò implica che il by-pass C non può essere ridotto se non di pochi punti percentuali.
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La tolleranza diametrale tra diaframma e mantello, fissata dallo standard TEMA in funzione del diametro del mantello, tiene conto dell’ovalizzazione del mantello in fase di calandratura ed è necessaria per consentire l’inserimento agevole del fascio tubiero. Questa tolleranza non può essere ridotta, quindi il bypass E è praticamente inevitabile.
Per gli scambiatori tipo F si verifica, in aggiunta agli altri by-pass, anche quello tra i due passaggi, attraverso la tolleranza fra diaframma longitudinale e mantello. È buona norma installare delle strisce di tenuta sagomate, che sono fissate sopra e sotto il diaframma longitudinale (figura 26; sul mercato se ne trovano di varie tipologie).
Figura 26
È importante che siano esplicitamente richieste in fase di acquisto dello scambiatore. Per questo tipo di mantello esiste anche un by-pass termico fra il lato caldo e il lato freddo, quasi mai influente sull’efficienza dello scambiatore. In alcuni rari casi, solo quando specificato, si può prevedere un isolamento termico del diaframma.
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2.5.4.7. Tracciatura della piastra tubiera e disposizione dei tubi Un problema non trascurabile nel design di uno scambiatore è dovuto all’energia cinetica del fluido in ingresso nel mantello, che si scarica direttamente sui tubi più esterni del fascio: se eccessiva ne provoca l’erosione e li espone facilmente a fenomeni vibrazionali. Infatti, molte rotture sono dovute a un design non appropriato della tracciatura della piastra tubiera. Per questo motivo gli standard TEMA prevedono dei valori massimi di energia cinetica in diverse zone del fascio, specificata come ρV2 (energia cinetica per unità di volume), dove ρ è la densità del fluido (in kg/m3) e V è la sua velocità lineare (in m/s). Se l’energia cinetica, nella zona di impatto del fluido in ingresso sul fascio tubiero, supera i limiti stabiliti dagli standard TEMA (2232 kg/m*s2 per fluidi monofase non abrasivi e 744 kg/m*s2 per tutti gli altri liquidi) deve essere previsto un piatto anti urto (impingement plate, figura 27). Tale dispositivo è sempre obbligatorio per tutti i gas e vapori, per i fluidi corrosivi e per i fluidi in cambiamento di fase o al loro dew point (temperatura di rugiada o di inizio condensazione). L’impingement plate è generalmente realizzato con un
Figura 27
piatto trasversale, disposto di fronte al bocchello d’ingresso del liquido e di diametro leggermente maggiore al diametro del bocchello stesso. Questa protezione crea una strozzatura per il fluido che entra nel fascio tubiero (bundle entrance). Per evitare che la velocità del fluido sia troppo elevata, occorre parzializzare la tracciatura della piastra tubiera, togliendo i tubi nella zona adiacente al bocchello d’ingresso. Come regola di buona ingegneria l’impingement plate dovrebbe essere posto a una distanza dal bocchello d’ingresso pari a un quarto del diametro del bocchello stesso. In questo caso, è molto probabile che il ρV2 all’ingresso sia inferiore al valore limite. Per il bocchello di uscita è invece sufficiente una tracciatura parzializzata assumendo una distanza pari a un sesto del diametro del bocchello. In alcuni casi, in particolare quando i volumi di fluido sono molto elevati (es. vapori a bassa pressione), tale parzializzazione è così elevata da
non
essere
più
giustificabile Figura 28
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economicamente. Una soluzione possibile è installare un distributore anulare (vapor belt, figura 28), che consiste in un doppio mantello esterno con più fori (slot) di distribuzione, i quali consentono al fluido di entrare nello scambiatore più lentamente, distribuendosi su tutto il diametro del mantello. L’uso del costoso e complicato vapor belt può essere evitato, impiegando un altro tipo di mantello (ad esempio J21). La tracciatura della piastra tubiera deve essere realizzata in modo da rispettare ovunque anche il valore massimo per l’energia cinetica previsto dallo standard TEMA (5953 kg/m*s2), in particolare nella proiezione del bocchello (shell entrance/exit) e tra il fascio e il diametro interno del mantello (bundle entrance/exit). Solitamente la tracciatura della piastra tubiera è eseguita cercando di mantenere un identico numero di tubi per passaggio (± 10-15%). Può essere però molto utile, in alcuni casi, studiare una distribuzione di tubi per passaggio molto differente (nella figura 29, esagerata per chiarezza). Quest’accorgimento può essere utilizzato, per esempio, quando la viscosità del fluido
da
raffreddare
aumenta
significativamente tra l’ingresso e l’uscita; riducendo il numero di tubi per passaggio si aumenta
la
velocità
e
si
mantiene
la
turbolenza desiderata. Il caso opposto si presenta quando si voglia preriscaldare un liquido per poi vaporizzarlo: i
Figura 28
primi passaggi avranno meno tubi per mantenere un’alta velocità, gli altri avranno un maggior numero di tubi per far fronte all’aumento di volume causato dall’evaporazione.
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2.5.4.8. Analisi vibrazionale Questa analisi ricopre un aspetto molto importante per un design corretto dello scambiatore. Le vibrazioni (meccaniche e acustiche) indotte dal moto del fluido all’interno del mantello sono spesso uno dei motivi della rottura dei tubi. La rottura di un tubo può avvenire per gli urti fra tubo e tubo, fra tubo e mantello, fra tubo e diaframma. L’analisi vibrazionale è molto complessa e prevede differenti verifiche.
La prima, puramente geometrica, si basa sulla lunghezza massima non supportata ammissibile. Essa deve essere, come buona norma di ingegneria, non superiore all’80% del valore specificato negli standard TEMA (tabella RCB – 4.52). Dipenderà dal passo dei diaframmi e dalle zone di ingresso e uscita, che possono all’occorrenza essere modificati.
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La seconda verifica tiene conto della tendenza del fluido a creare vortici che si staccano dal tubo (vortex shedding e turbulent buffeting, figura 30). Ai vortici corrisponde
una
differenza
di
pressione
e
proporzionalmente un’ampiezza di oscillazione del tubo. Per un design senza vibrazioni occorre che la frequenza di formazione dei vortici sia sufficientemente lontana dalla frequenza di vibrazione naturale
Figura 29
del tubo, evitando così la risonanza. Essa è il fenomeno fisico che fa accumulare l’energia dei vortici del flusso in energia di deformazione del tubo e quindi in ampiezza vibrazionale fino a romperlo, a meno della capacità di
smorzamento,
o
damping.
La
verifica vibrazionale tiene conto di tutti i
fattori
e
calcola
l’ampiezza
di
oscillazione, che deve essere molto minore del gap fra tubo e tubo, al fine di evitare urti.
La terza e più importante verifica considera l’instabilità fluidoelastica del tubo dovuta alla spinta generata dalla velocità del flusso (figura 31). Quando l’energia fornita al tubo non riesce a essere dissipata dallo smorzamento elastico,
Flow
l’ampiezza di vibrazione cresce in maniera esponenziale. A questa condizione corrisponde una velocità critica del fluido, dalla quale occorre rimanere sufficientemente lontani.
Figura 30
Un’altra analisi da eseguire, che spesso può creare problemi per fluidi gassosi in scambiatori di grandi dimensioni, è la verifica delle vibrazioni dovute a fenomeni acustici. Consiste nel confrontare la frequenza generata dei vortex shedding con la frequenza naturale del mantello, che agisce da cassa di risonanza. Questo tipo di analisi è utile anche per gli studi di inquinamento acustico.
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Nei primi tre casi la soluzione dei problemi vibrazionali consiste nel migliorare la supportazione dei tubi riducendo la lunghezza non supportata (utilizzo di diaframmi double-segmental, NTIW con diaframmi intermedi di supporto, la scelta di un passo tubi 45°…) e se necessario prevedendo degli appositi supporti dei tubi nelle zone critiche, come quelle sotto i bocchelli e nelle curve degli scambiatori con tubi a “U”. Per quanto riguarda le vibrazioni acustiche, ridotte
esse
possono
spezzando
naturale,
con
la
essere
frequenza
l’introduzione
nel
mantello di uno o più diaframmi longitudinali (deresonating baffles). Si può notare dalla figura 32 che la posizione di questi diaframmi non deve
essere
casuale,
ma
deve
essere studiata in modo da spezzare, oltre alla frequenza naturale, anche il maggior
numero
possibile
di
armoniche ed evitare così qualunque
Figura 31
rischio di risonanza. I simulatori svolgono tutte queste analisi in più zone dello scambiatore: ingresso, centro, uscita e nelle zone sotto i bocchelli (bundle entrance/exit) in modo piuttosto conservativo (HTRI considera valori massimi ammissibili pari all’80% dei valori stabiliti da TEMA). Se il design si dimostra, secondo il metodo previsionale, vibration-free, le probabilità di rottura dei tubi per vibrazione saranno sicuramente molto limitate. È importante invece rilevare che spesso le rotture per vibrazione possono essere dovute a variazioni transitorie delle condizioni di progetto. Ad esempio, nei circuiti di raffreddamento con acqua spesso succede che le portate possano raggiungere valori doppi di quelli specificati: in questo caso sarebbe opportuno che fossero definite a priori in fase progettuale, non per il dimensionamento delle superfici ma per la verifica vibrazionale dello scambiatore.
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3. DESIGN TERMODINAMICO In questa parte della trattazione, oltre a fornire alcune nozioni semplificate di fluidodinamica che possono essere utili per la comprensione dei meccanismi che stanno alla base dello scambio termico, si vuole anche dare la possibilità di eseguire dei calcoli semplificati, che consentano una stima preliminare della superficie e del numero dei corpi necessari per realizzare lo scambio termico richiesto. Si vedrà come calcolare un bilancio termico e verificare la completezza e la congruenza dei dati di processo, come ottimizzare, agendo sui parametri geometrici, coefficienti di scambio e come calcolare il CMTD partendo dalle temperature iniziali e finali.
3.1. Fluidodinamica dello scambiatore di calore
3.1.1. Bilancio termico Le equazioni fondamentali per il dimensionamento di uno scambiatore legano il calore scambiato alle caratteristiche del fluido, alle temperature e alla superficie di scambio.
Q = U * A * CMTD
[W]
(1)
Dove Q = potenza scambiata (duty) A = superficie di scambio CMTD = media logaritmica corretta delle differenze di temperatura dei due fluidi U = coefficiente globale di scambio termico
La seconda equazione lega il calore scambiato al bilancio termico di entrambi i fluidi.
Q = M * C * (T1 − T2 ) = m * c * (t 2 − t1 )
[W]
Dove M = portata massiva del fluido caldo
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m = portata massiva del fluido freddo
(2)
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C = calore specifico del fluido caldo
c = calore specifico del fluido freddo
T1 = temperatura di ingresso del fluido caldo
t1 = temperatura di ingresso del fluido freddo
T2 = temperatura di uscita del fluido caldo
t2 = temperatura di uscita del fluido freddo
3.1.2. Coefficiente di scambio Il coefficiente globale di scambio termico U (sempre riferito al diametro esterno dei tubi) si calcola come inverso della somma delle resistenze termiche tra i due fluidi, tenendo conto anche delle resistenze parassite come i fattori di sporcamento e la resistenza di parete intermedia.
U=
1 1 s*D D D + fs + + ft + he k * Dln d d * hi
[W/(m2*°C)]
(3)
Dove he e hi = coefficienti di adduzione esterno e interno fs e ft = fattori di sporcamento lato mantello e lato tubi s = spessore della parete del tubo k = conducibilità termica della parete del tubo (dipende quindi dal materiale) D, d e Dln = diametri esterno, interno e logaritmico del tubo ( Dln =
D−d ) D log( ) d
[m]
(4)
Il calcolo dei coefficienti di adduzione è strettamente legato al movimento dei fluidi, pertanto è di fondamentale importanza conoscere come i fluidi si muovano, sia nel mantello sia nei tubi. Occorre puntualizzare che il moto fluidodinamico è un fenomeno statistico, perché ogni particella è libera di muoversi in ogni direzione; pertanto qualunque sua analisi non potrà mai basarsi su calcoli esatti, ma potrà essere svolta solo attraverso valori medi e relazioni empiriche. Un primo parametro per l’analisi del moto è il numero adimensionale di Reynolds, attraverso il quale si può già definire se il moto è laminare (senza rimescolamento di fluido), turbolento (con vortici e quindi rimescolamento) o di transizione (nella fase di formazione dei vortici).
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Re =
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ρ * v * Dh μ
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(5)
Dove v = velocità del fluido
[m/s]
ρ = densità del fluido
[kg/m3]
μ = viscosità dinamica
[kg/(ms)]
Si è definito il diametro idraulico equivalente Dh =
4 * A passaggio Pbagnato
[m]
(6)
Apassaggio = Area di passaggio del fluido fra i tubi Pbagnato = Perimetro di scambio dei tubi Il numero di Reynolds è definito come il rapporto tra le forze di attrito inerziali e le forze viscose. Maggiore è questo rapporto, più grande è il contributo delle forze inerziali, quindi la sua agitazione e la sua turbolenza. La figura mostra qualitativamente come varia il moto in una condotta cilindrica all’aumentare della velocità. Nel caso di condotte (figura 33), come i tubi di uno scambiatore, per Re10000 il moto è sicuramente turbolento, insorgono vortici che mescolando il fluido facilitano lo scambio termico. Più numerose sono le turbolenze, cioè maggiore è il valore di Re, più grande sarà il coefficiente di scambio.
Figura 32
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Nella zona compresa fra questi casi limite si ha la situazione intermedia, di transizione. Il coefficiente di scambio varia velocemente con Re, a volte più che linearmente (figura 34).
Figura 33
Un altro parametro adimensionale, il numero di Prandtl, fornisce il rapporto fra la diffusività cinematica e la diffusività termica; esso è solo funzione di grandezze fisiche.
Pr =
cp * μ k
(7)
Dove cp = calore specifico k = conducibilità termica del fluido Per fluidi gassosi il numero di Prandtl è un valore circa costante: 0,75. he e hi negli scambiatori si calcolano tenendo conto di entrambi questi parametri, del tipo di moto, della posizione nello scambiatore (tubo o mantello), attraverso il numero di Nusselt, Nu. Le formule generali, valide sia per il lato tubi sia per il lato mantello, sono:
Nu =
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h*D k
(8)
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Nu = α * Re β Pr γ * (
00
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μ δ ) μw
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(9)
Dove μ = viscosità del fluido μw = viscosità del fluido sulla parete α, β, γ, δ = coefficienti empirici che dipendono dalla turbolenza del moto, dalla posizione del fluido e dalla geometria del sistema. Ad esempio per il moto turbolento nei tubi:
hi = 0.025 *
k μ * Re 0.8 Pr 0.333 * ( ) 0.14 D μw
[W/(m2K)]
(10)
[W/(m2K)]
(11)
[W/(m2K)]
(12)
Per il moto laminare:
k D μ hi = *1.86 * (Re* Pr* ) 3 * ( ) 0.14 D L μw 1
Per il lato mantello (con riferimento al puro cross-flow nel fascio tubiero): 1
he =
k * 0.156 * Re 0.6 * Pr 3 Dh
Dove Dh è il diametro idraulico equivalente per il mantello: attraverso il calcolo dell’area di passaggio e del perimetro di scambio da cui esso dipende, la tipologia di passo dei tubi e la tracciatura della piastra tubiera modificano il coefficiente di scambio lato mantello. Nel caso del moto laminare nei tubi il coefficiente di scambio è molto più basso e dipende meno dal numero di Reynolds rispetto al caso turbolento (è elevato a 1/3 piuttosto che a 0,8). Infatti, come già visto, lo scambio termico è legato principalmente a moti convettivi; se c’è poco rimescolamento del fluido, lo scambio è penalizzato. È quindi evidente che per massimizzare U (e quindi minimizzare la superficie di scambio A), diventa importante cercare di ottenere e mantenere un valore di Re elevato. Se questa condizione è facilmente realizzabile con viscosità basse, non lo è per nulla quando la viscosità supera 3-7 cP. Anche utilizzando perdite di carico elevate, dell’ordine di 1-2 bar per corpo, potrebbe non essere possibile mantenere un flusso turbolento o transitorio.
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In
tale
caso
conveniente viscoso
è
molto
mettere
nel
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Pag.
più
il
fluido
mantello,
dove
l’insorgenza dei vortici turbolenti nelle scie dei tubi avviene a valori di Re molto più bassi. A parità di numero
di
Reynolds,
infatti,
l’equazione mostra come h sia molto più elevato: basti notare il suo esponente. La figura 35 mostra la turbolenza che si forma in scia a un tubo disposto trasversalmente al moto (la velocità del flusso aumenta da a a f). Si può osservare come si sviluppino dei vortici nella scia già quando il regime del flusso in arrivo
è
ancora
decisamente
laminare. La presenza di altri tubi dietro al
Figura 34
primo (come succede in un fascio) provoca una turbolenza ancora maggiore nella scia.
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3.1.3. Perdite di carico Le perdite di carico nel moto dei fluidi sono l’esatto corrispondente della forza di attrito nel caso di movimento di solidi; esse esprimono il fatto fisico che una parte dell’energia meccanica della corrente si disperde in calore durante il movimento. Le perdite di carico sono proporzionali alla lunghezza dei tubi L e all’energia cinetica della corrente. Per il lato tubi si esprime come:
Δp = 2 * f * (
L * NP ) * (ρ * v 2 ) d
[bar]
(13)
Dove f = fattore di attrito (lato tubi) L = lunghezza dei tubi d = diametro interno dei tubi NP = numero di passaggi (L*NP è la lunghezza percorsa dal fluido). Il fattore di attrito f (numero di Fanning) dipende dalla rugosità del tubo e dal tipo di moto. Le equazioni più usate per tubi cilindrici sono:
f =
16 per il moto laminare Re
f = 0.0014 + 0.125 * Re −0.32 per il moto turbolento
(14) (15)
Si noti che le perdite di carico dipendono dal quadrato della velocità; al raddoppiare del numero di passaggi diventano doppie la velocità e doppia la lunghezza percorsa, pertanto le perdite di carico variano con il cubo del numero di passaggi. Inoltre, al raddoppiare del diametro interno dei tubi, la velocità si riduce a un quarto: le perdite di carico variano quindi con la quinta potenza inversa del diametro stesso. Tutto questo può essere utilizzato per ottimizzare il coefficiente di scambio quando si cerca di aumentare la velocità del fluido incrementando il numero di passaggi senza superare le perdite di carico ammissibili. Per questo, l’incremento del numero di passaggi deve essere mitigato, se necessario, dall’incremento del diametro del tubo adottato.
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Per il lato mantello l’equazione diventa:
Δp = ρ *
v 2 Ds * * ( NB + 1) * f 2 Dh
[KPa o bar]
(16)
Dove:
f = 1.69 * Re −0.188
(17)
NB = numero dei diaframmi (NB+1 è il numero di attraversamenti “cross” del fascio tubiero). Similmente al lato tubi, si osserva che le perdite di carico dipendono dal numero di attraversamenti e quindi dalla lunghezza percorsa, in modo quadratico dalla velocità e globalmente dalla terza potenza inversa del diametro del mantello. Le perdite di carico sono inversamente proporzionali alla densità, perché essa entra direttamente come parametro lineare, ma indirettamente al denominatore nel calcolo della velocità (e quindi al quadrato). Se per il lato tubi la massimizzazione del coefficiente di scambio e l’ottimizzazione dei costi si ottengono principalmente attraverso l’incremento del numero di passaggi, al lato mantello esse sono raggiunte adottando la massima lunghezza dei tubi compatibilmente alle dimensioni di ingombro. Infatti una lunghezza maggiore, a parità di superficie, riduce il numero dei tubi, il diametro del mantello e il numero dei corpi. Per rispettare le perdite di carico ammissibili si può poi operare adottando un passo dei diaframmi più ampio, con un minor numero di attraversamenti e di lunghezza percorsa. Tale soluzione deve in ogni caso rispettare le prescrizioni dello standard TEMA e le verifiche vibrazionali.
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3.2. Verifica della completezza e della congruenza dei dati I dati di processo sono le condizioni al contorno su cui il progettista termodinamico si basa per il dimensionamento dello scambiatore. Devono pertanto essere forniti in modo completo e accurato. È buona regola eseguire sempre alcuni calcoli preliminari, sia per verificare la fattibilità e la funzionalità dello scambiatore così come esso è stato specificato, sia per ottenere una prima stima grossolana dei coefficienti di scambio, della superficie da installare e delle dimensioni di ingombro. Questi calcoli preliminari possono essere di grande aiuto per l’analisi critica dei risultati forniti dal simulatore, che possono sempre contenere incongruenze, spesso generate da errori dei dati di ingresso.
3.2.1. Scambiatori Shell & Tubes senza cambiamento di fase Il primo controllo da eseguire è sulla congruenza delle duty (verifica del bilancio termico): i calori scambiati da ciascun fluido, calcolati con l’equazione (2) devono essere uguali fra loro. Se non lo sono, occorre verificare la correttezza dei dati, in particolare le proprietà fisiche dei fluidi. Quindi devono essere forniti:
Portate dei fluidi e le loro temperature di ingresso e uscita
Proprietà fisiche: densità, viscosità, conducibilità termica e tensione superficiale alle temperature IN e OUT per entrambi i fluidi. Tali valori non sono strettamente necessari se riferiti a fluidi noti come acqua, azoto, aria, etc.: i programmi di simulazione hanno banche dati molto accurate per questi composti. Per fluidi viscosi è bene che siano forniti i valori anche a temperature esterne a quelle di ingresso e uscita, al fine di evitare estrapolazioni errate della viscosità alla temperatura di parete. Inoltre deve essere fornito l’eventuale punto di scorrimento (pour point).
Pressioni operative, perdite di carico ammissibili, fattori di sporcamento.
Temperature e pressioni di progetto e sovraspessore di corrosione quando richiesto.
Tipo di pulizia richiesto (meccanica o chimica).
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Materiali: il tipo di materiali da adottare per entrambi i lati, tenendo conto delle esigenze chimiche e di processo (ad esempio la corrosività).
Dimensioni delle linee di ingresso e uscita ed eventuali esigenze per il loro collegamento. Può essere molto utile conoscere anche le dimensioni ammissibili di ingombro, per ottimizzare lo scambiatore sfruttando al massimo gli spazi disponibili.
3.2.2. Scambiatori Shell & Tubes con cambiamento di fase In caso di cambiamento di fase, per uno o entrambi i fluidi, i dati già elencati in precedenza devono essere forniti sia per il liquido sia per il vapore. Inoltre occorrono:
Frazione in peso del vapore in ingresso e in uscita.
Per fluidi vaporizzanti, pressione critica e temperatura critica.
Calore latente di condensazione-evaporazione.
La verifica del bilancio termico in questo caso è complicata dal passaggio di fase. Il calore scambiato totale è dato dalla somma dei calori sensibili di raffreddamento/ riscaldamento della fase liquida/vapore e dal calore di evaporazione/condensazione:
Qtot = Qsv + Qsl + Qλ
[W]
(18)
Dove Qsv = calore sensibile del gas = portata media della fase vapore * ΔT * cpv,medio Qsl = calore sensibile del liquido = portata media della fase vapore * ΔT * cpl,medio Qλ = calore di evap/cond = portata di fluido evaporato/condensato * calore latente Il bilancio termico è verificato quando, evidentemente, il calore scambiato calcolato corrisponde a quello fornito nei dati di processo.
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3.2.2.1. Curve di condensazione Spesso il calore scambiato in funzione delle temperature si
230
discosta in maniera evidente dalla linearità (figura 36), sia per un andamento non lineare delle proprietà fisiche sia per la presenza
di
punti
di
inizio
condensazione (dew point) o
180
Temperatura (°C)
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Dew Point
130
80
evaporazione (bubble point). In questi casi è necessario fornire
30 0,00
0,50
una matrice di dati o dei grafici a
intervalli
sufficientemente
1,00
1,50
2,00
2,50
3,00
3,50
4,00
Calore scambiato (MMkcal/h)
Figura 35
ridotti per evitare grossolani errori di interpolazione. La matrice di dati deve essere estesa anche a tutte le proprietà fisiche qualora si discostino sensibilmente dalla condizione di linearità rispetto alla temperatura. La curva di condensazione/evaporazione deve essere preparata tenendo conto delle perdite di carico assegnate per il calcolo dello scambiatore. Infatti la frazione di condensato e le caratteristiche fisiche dipendono non solo dalle temperature ma anche dalle pressioni operative. In generale, per medie e alte pressioni o quando la perdita di carico assegnata è una percentuale abbastanza piccola della pressione operativa, è sufficiente fornire una singola curva di condensazione assumendo una variazione lineare della pressione fra ingresso e uscita. L’errore introdotto da questo profilo rispetto a quello reale è trascurabile. Questo non è vero per basse pressioni o quando lo scambiatore opera sotto vuoto: in questo caso la temperatura di condensazione dipende fortemente dalla pressione. L’assunzione di linearità per l’andamento della pressione nello scambiatore si discosta fortemente dalla realtà. È quindi necessario fornire due curve di condensazione a pressione costante: la prima calcolata alla pressione in ingresso, la seconda alla pressione di uscita. Il programma interpolerà i dati per “seguire” in modo più accurato la condensazione. Il progettista termodinamico, con questi dati aggiuntivi, potrebbe anche decidere di progettare lo scambiatore con minori perdite di carico se questo, grazie al più elevato profilo di temperature risultante, portasse a una riduzione della superficie di scambio.
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3.3. Profilo delle temperature Riprendendo l’equazione (1), che definisce il bilancio termico dello scambiatore:
Q = U * A * CMTD Si evince che per determinare la superficie di scambio è necessario calcolare il parametro CMTD, definito come media logaritmica corretta delle differenze di temperatura. Il grafico alla figura 37 mostra l’andamento delle temperature in funzione del calore scambiato “in controcorrente pura”, che significa che in ogni parte dello scambiatore un fluido si muove in senso opposto all’altro. È il profilo di temperatura ideale, che minimizza l’area di scambio. In questo caso è definibile la media logaritmica
delle
differenze
di
temperature estreme:
Figura 36
LMTD =
ΔThot − ΔTcold ΔT log( hot ) ΔTcold
[°C]
(19)
ΔThot = T1 − t 2
[°C]
(20)
ΔTcold = T2 − t1
[°C]
(21)
Dove
LMTD non può essere usato nell’equazione (1) quando si hanno configurazioni diverse dalla controcorrente pura, in particolare se si hanno più passaggi nei tubi e/o nel mantello; occorre in questi casi introdurre un fattore di correzione Ft cosicché:
CMTD = Ft * LMTD
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[°C]
(22)
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Il fattore di correzione varia tra 0 e 1 e può essere calcolato, con formule specifiche per ogni tipologia, o trovato dai grafici, in funzione di due valori adimensionali R e P:
R=
T1 − T2 t 2 − t1
P =
t 2 − t1 T1 − t1
(23), (24)
In cui T1, T2, t1 e t2 sono le temperature di ingresso e uscita dei due fluidi, già definite in precedenza. CMTD sarà sicuramente minore di LMTD: questo è evidente se si considerano i profili di temperatura di uno scambiatore a un passaggio lato mantello e due passaggi lato tubi (nella figura 38, in funzione della posizione nello scambiatore). Il primo passaggio è in controcorrente pura, quindi scambia al meglio; durante il secondo passaggio, tuttavia, i due fluidi scorrono nello stesso verso, condizione detta in equicorrente. In questa configurazione lo scambio è penalizzato, e le equazioni ne devono tenere conto attraverso Ft. Si
riporta
un
semplice
esempio
numerico: T1 = 300 °C;
T2 = 200 °C;
t1 = 100 °C;
t2 = 180 °C;
LMTD = 109.7 °C; P = 0,4;
R = 1,25;
Dal grafico T-3,2A dello standard TEMA (figura 39), si ottiene Ft = 0,88, Figura 37
quindi CMTD = 109.7*0,88 = 96,5 °C.
Figura 38 MOD/GEN-02i Rev 01
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Sempre osservando questo grafico delle temperature, è evidente che in uno scambiatore con un passaggio nel mantello e due o più passaggi nei tubi la temperatura di uscita del fluido freddo non può mai superare la temperatura di uscita del fluido caldo (in caso contrario si violerebbe il primo principio della termodinamica). Tale fenomeno è definito come “temperature cross” e corrisponde a un fattore di correzione di 0,8. In realtà è possibile superare il cross delle temperature, collegando in modo opportuno i bocchelli di ingresso e uscita (vedi grafici in figura 40), ma con la limitazione che non risulti un fattore di correzione Ft inferiore a 0,75. Questa regola empirica garantisce di non ottenere in nessun punto dello scambiatore un’inversione delle differenze di temperatura, che è appunto contraria al primo principio della termodinamica. In ogni caso, l’utilizzo di scambiatori “oltre il cross” implica un accurato controllo da parte del progettista in fase esecutiva dei disegni costruttivi dello scambiatore e della sua installazione nell’impianto. Per questo il punto di cross è considerato prudenzialmente come situazione limite. Inversione
Figura 39
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3.3.1. Numero di corpi in serie e treni di scambiatori La condizione del cross di temperature come limite di funzionamento di uno scambiatore diventa essenziale nella determinazione del numero di corpi in serie che si rendono necessari per realizzare un determinato recupero termico. La figura mostra una tipica curva di riscaldamento / raffreddamento di un feed effluent in un circuito di reazione, con recupero termico molto spinto, alla presenza di dew point di entrambi i fluidi. Questi scambiatori possono essere realizzati con un solo corpo in controcorrente pura o con più corpi in serie a due o più passaggi nei tubi, in funzione dell’analisi economica.
500.0
5 CORPI IN SERIE
450.0 400.0
Temperatura (°C)
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350.0
Dew point 300.0 250.0 200.0
Dew point
150.0 100.0 0.0000
10.0000
20.0000
30.0000
40.0000
50.0000
60.0000
Calore scambiato (M M kcal/h)
Figura 40
Un semplice sistema grafico mostra, tramite una “scaletta”, il numero di corpi necessari per realizzare il recupero termico desiderato (figura 41). Ogni gradino rappresenta uno scambiatore al cross. È così possibile, senza procedere al calcolo dettagliato, avere un’idea sufficientemente precisa della fattibilità e dell’economicità della scelta operata. Questo metodo grafico può essere utile anche per la determinazione del numero di corpi necessari in un sistema di preriscaldamento che utilizza molteplici fluidi caldi (treni di scambiatori,in figura 42). Anche in questo caso, è facile controllare se la scelta operata per la temperatura finale di riscaldamento sia economica, troppo esasperata o addirittura irrealizzabile.
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Figura 41
Il numero di corpi definitivo deve comunque essere verificato in fase di design termodinamico di dettaglio, controllando con un calcolo a convergenza su ogni corpo che le temperature al cross ipotizzate siano effettivamente realizzate per ogni scambiatore. Quando gli andamenti delle temperature con il calore scambiato sono fortemente non lineari (presenza di bubble o dew point), il calcolo di un unico MTD non potrà essere preciso. Si può arrivare a una stima migliore con il calcolo pesato del MTD a zone: lo scambiatore è suddiviso in più settori, solitamente in corrispondenza dei punti di discontinuità e per ridurre l’errore dell’approssimazione lineare. LMTD pesato è dato da:
LMTD pesato =
Dove N = Numero di zone Qi = calore scambiato nella zona i LMTDi = Media logaritmica nella zona i
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Qtotale Qi ∑i LMTD i N
[°C]
(25)
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La figura 43 mostra come scegliere in modo ragionevole il numero e le temperature per il calcolo di LMTD a zone. Indica anche la posizione del pinch point, cioè il punto in cui le due curve sono più vicine. E’ evidente l’influenza della scelta del pinch point (punto di minima differenza di temperatura fra i due fluidi) sul numero di corpi necessari per realizzare il recupero termico desiderato. E’ altrettanto evidente che una sua piccola variazione può modificare pesantemente il design termodinamico. Questo semplice metodo grafico, con il calcolo del LMTD a zone e con la stima del coefficiente di scambio termico consente di determinare il numero di corpi necessari e la superficie di scambio e con essi verificare la validità e l’economicità delle scelte di processo operate.
Figura 42
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3.3.1.1. Pinch Point e CMTD minimi Spesso la necessità di spingere i recuperi termici porta a scegliere temperature di funzionamento impraticabili, non solo economicamente per l’elevato numero di corpi e/o superficie di scambio necessaria, ma anche per motivi termodinamici. L’affidabilità delle equazioni della fluidodinamica, infatti, diminuisce quando la differenza della temperatura diventa molto bassa. Quando non limitato da un’analisi economica, una regola di “good engineering” stabilisce per il pinch point il valore minimo di 3-5°C. Tale valore, per esempio, è adottato nella scelta della massima temperatura finale di riscaldamento dell’acqua nei “boiler feed water heater” per gli impianti di produzione energia. Un’altra regola prevede un valore minimo per il CMTD di 7-10°C che, per scambiatori di medie e piccole dimensioni, può essere ridotto a 5-7°C. Sotto a tali valori l’uso di scambiatori Shell & Tubes è assolutamente sconsigliabile per le altissime superfici risultanti: recuperi così spinti possono essere realizzati solo con scambiatori compatti non tubolari come quelli a piastre. Servizi che solitamente si trovano a dover applicare questi limiti sono i recuperi termici gas-gas negli impianti trattamento gas naturale e i CCCW (closed circuit cooling water) negli impianti “power”. Per essi sono previsti recuperi termici molto spinti, realizzabili con un solo corpo a teste fisse e un passo lato tubi in controcorrente pura.
3.3.1.2. Limitazioni nell’utilizzo degli scambiatori “F” due passi nel mantello Gli scambiatori tipo “F” sono estremamente utili per ridurre il numero di corpi in serie. Se realizzati con due passaggi lato tubi sono, in linea teorica, assimilabili a uno scambiatore in controcorrente pura, mentre con quattro o più passaggi lato tubi possono essere considerati come due scambiatori tipo”E” collegati in serie. Il loro impiego deve però essere limitato: dal punto di vista meccanico, perché il diaframma longitudinale non può essere sottoposto a pressioni differenziali superiori a 0,5 – 0,7 bar, ma soprattutto dal punto di vista fluidodinamico, per i trafilamenti di fluido che inevitabilmente si generano nello spazio fra diaframma longitudinale e mantello. Il by-pass di fluido dalla zona ad alta pressione alla sezione di bassa pressione porta a una penalizzazione imprevedibile dell’efficienza dello scambiatore, che è rappresentata come una riduzione del CMTD. I programmi di dimensionamento sono in grado di fornire una stima di
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questo fenomeno, ma, in ogni caso, per un design prudenziale è bene rispettare alcune regole di buona ingegneria. Per gli scambiatori in controcorrente pura (due passaggi nel mantello e due passaggi lato tubi) occorre scegliere le temperature in modo che il CMTD sia superiore a 20-25 °C. Infatti, uno scambiatore con un basso CMTD sarà facilmente influenzabile da by-pass, anche piccoli. Per uno scambiatore con quattro o più passaggi nei tubi occorre mantenere un margine rispetto al “cross” di temperatura. Un buon criterio è di verificare che il fattore di correzione Ft non sia inferiore a 0,85.
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4. CONDENSAZIONE 4.1. Fluidi puri La condensazione è una transizione di fase dalla fase gassosa a quella liquida di una sostanza. Tale trasformazione può essere eseguita a temperatura costante, per compressione solo se la temperatura del gas è inferiore a quella critica, oppure per raffreddamento con una fonte esterna in qualunque caso. Per
un
fluido
puro
la
condensazione avviene quando il vapore saturo entra in contatto con
Ti
Tw
una
superficie
temperatura
a
minore;
una sulla
superficie stessa si crea un film liquido, che viene a costituire l’unica barriera al passaggio del calore (figura 44). Sono perciò lo spessore
di
questo
film
di
condensato e il suo regime di moto
a
determinare
il
coefficiente di scambio del film Figura 43
stesso, hcf.
Il regime di moto del film può essere laminare o turbolento, in funzione delle forze che su esso agiscono: la gravità Fg e la forza di taglio Fs (shear), generata dal moto del vapore, entrambe bilanciate dall’adesione del liquido sulla superficie condensante Fw. Il flusso termico q è legato alla temperatura di interfaccia liquido vapore TI (nel caso di fluido puro è la T di condensazione) e la temperatura di parete Tw:
q = hcf * (TI − Tw )
[W/m2]
(26)
È importante notare che tanto più piccolo è lo spessore del film, tanto maggiore sarà il coefficiente di scambio termico. La velocità del vapore gioca quindi un ruolo importante, poiché alte velocità permettono di aumentare la turbolenza del film di liquido e il suo coefficiente di scambio e permettono di
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rimuovere il condensato dalla superficie per trascinamento. La superficie asciutta o con un piccolo spessore di liquido, favorendo la formazione di nuove goccioline, implementa il fenomeno della condensazione. Da questo punto di vista si può capire come la condensazione in un mantello orizzontale con geometria adeguata per il passo dei tubi sia la condizione che più di altre può favorire questo fenomeno.
4.2. Miscele In presenza di miscele o di incondensabili, la temperatura di saturazione varia durante la condensazione e quindi, per condensare tutti i componenti della miscela occorre procedere anche al raffreddamento di tutto il fluido da una temperatura iniziale (Tdew), dove condensa il componente più leggero, ad una finale per quello più pesante (Tbubble). Si può parlare pertanto di range di temperatura di condensazione. In questo caso il coefficiente globale di scambio termico non dipende solo dal coefficiente di film, ma deve tenere conto del fatto che per continuare la condensazione si deve anche raffreddare tutta la miscela bifase, in particolare la fase con coefficiente di scambio più basso, cioè il vapore. Un’equazione semplificata per la condensazione di una miscela è:
1 1 1 = + hc hcf hv
(27)
hv = coefficiente di scambio del vapore, determinato da:
hv = hsv * (1 + Φ d )
[W/(m2°C)]
(28)
Dove Φd è una funzione del calore scambiato totale e del calore sensibile di raffreddamento del vapore (Eq. 17) e hsv è il coefficiente convettivo del calore sensibile del vapore.
Φd = f (
Qtot − Qsv ) Qsv
(29)
L’equazione (27) mostra che il coefficiente di condensazione globale di fase mista hc è minore del coefficiente del film hcf, perché alla sua resistenza si aggiunge quella relativa al coefficiente di scambio del vapore hv.
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Per il coefficiente del vapore hv, le equazioni (28) e (29) mostrano che esso dipende dal coefficiente hsv, generalmente molto basso per effetto della limitata conducibilità termica dei gas, e dal calore sensibile da asportare Qsv, che è sempre proporzionale al range di temperatura di condensazione. Quanto maggiore è il calore sensibile, tanto minore risulta Φd ed i coefficienti hv ed hc. Tutto questo evidenzia, in buona sostanza, che il coefficiente di condensazione è tanto più basso quanto più grande è il range di condensazione del fluido. Questo spiega anche perché è molto più “facile” condensare fluidi puri rispetto a fluidi puri con incondensabili o rispetto a miscele di idrocarburi. Il coefficiente hsv è poi funzione della velocità (infatti è un coefficiente convettivo). Per questo le perdite di carico ammissibili specificate sul data sheet di processo dovrebbero essere ponderate attentamente, in modo da mantenere un’alta velocità e migliorare lo scambio. Se per condensazione isotermica di fluidi puri sono poco importanti, devono invece essere le più ampie possibili
per
elevati
range
di
condensazione. Le
equazioni
presentate
sono
molto
semplificate e si riferiscono sostanzialmente alla sola condensazione a “film” che, seppur frequente, non è l’unica modalità possibile.
In
tutti
gli
altri
casi,
la
fluidodinamica della condensazione e in generale della fase mista, dalla quale essa dipende, è ancora più complicata. I moti di un fluido in fase mista, sia nei tubi sia nel mantello,
dipendono
dal
titolo,
dalla
densità, dalla pressione e dalle velocità delle due fasi. Per i fluidi in fase mista, si possono distinguere due tipi principali di flusso (in figura 45, mostrati sia nei tubi sia nel mantello). Uno è la condizione di flusso omogeneo se vapore e liquido scorrono alla stessa Figura 44 MOD/GEN-02i Rev 01
velocità (shear controlled), che si riscontra
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soprattutto nei fluidi in cui una fase prevale sull’altra: goccioline nel vapore (mist) o bolle disperse nel liquido (high velocity bubble flow). L’altro tipo è la condizione di flusso governato dalla gravità (gravity controlled), in cui le due fasi tendono a separarsi per le loro diverse densità; hanno così due velocità diverse con le stesse perdite di carico (annular). La comprensione dell’andamento della fase mista è importante per una corretta simulazione del moto, per un’adeguata scelta delle equazioni empiriche da usare e soprattutto per un’analisi sulla pericolosità del moto per la struttura stessa dello scambiatore. Fluidi con grandi masse di vapori trascinate dal liquido (slug bubbles) espongono il fascio tubiero a problemi vibrazionali. Flussi di gocce in un vapore ad alta velocità provocano erosione delle superfici. Moti instabili (intermedi fra due o più tipologie) possono introdurre continue oscillazioni di perdite di carico e di portata con risultati dannosi per l’apparecchio. I programmi di simulazione, in base a parametri legati alle proprietà fisiche delle fasi e geometriche, determinano in ogni parte dello scambiatore il tipo di moto che si instaura. Possono così adottare le equazioni più corrette per le perdite di carico e i coefficienti di scambio ed evidenziare quando le caratteristiche del moto porterebbero a situazioni non desiderabili. Di facile consultazione, ad esempio, è il grafico riportato in figura 46, mostrato dal programma
Figura 45 MOD/GEN-02i Rev 01
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di simulazione HTRI Xist: conoscendo la frazione volumetrica di liquido e un parametro opportunamente calcolato, è possibile trovare qualitativamente l’andamento dei moti di flusso in ogni parte dello scambiatore.
4.3. Perdite di carico Come per i coefficienti di scambio, anche il calcolo delle perdite di carico è complicato nel caso di fluidi bifase ed è difficile da predire perché è fortemente sensibile alla velocità e alla frazione di vapore, quindi al tipo di moto che si instaura. L’equazione seguente, sempre valida, mostra che quando si ha cambiamento di fase la perdita di carico totale è data da tre addendi:
ΔPtp = ΔPtpf + ΔPtpm + ΔPtps
[bar]
(30)
Dove: ΔPtpm è la perdita di carico per variazione della quantità di moto dovuta alla variazione della velocità. Infatti durante la condensazione i volumi, e conseguentemente la velocità, diminuiscono, la variazione della quantità di moto (massa * velocità) che ne deriva produce, per il principio di Bernoulli, un incremento di pressione. Questo fenomeno, sicuramente trascurabile alle alte pressioni, è invece molto evidente per condensatori sotto vuoto, quando i volumi specifici in gioco sono molto grandi. Se per la condensazione rappresenta un guadagno di pressione, per l’evaporazione, dove i volumi aumentano, significa una vera e propria perdita di carico. ΔPtps è il battente idrostatico, come densità della fase mista per l’altezza della colonna. Per i condensatori è assolutamente trascurabile, mentre assume un ruolo determinante per i ribollitori a termosifone. ΔPtpf è la perdita di carico per attrito ed è calcolata in modo analogo al caso di fase singola, perché i parametri rimangono gli stessi: velocità, Reynolds, dimensioni geometriche. Ciò che varia sensibilmente è il valore della densità in fase mista, che deve essere calcolata come media pesata del vapore e del liquido. Tale media dipende molto dal tipo di moto: omogeneo (velocità delle due fasi identica) o disomogeneo. In caso di moto omogeneo la densità è facilmente calcolabile ed è data dalla media volumetrica delle fasi.
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ρ tp = ρ v * x + ρ l * (1 − x) =
ml + m v ml m v +
ρl
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[kg/m3]
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(31)
ρv
Dove: ρv e ρl sono le densità delle fasi vapore e liquido rispettivamente. mv e ml sono le portate massive delle due fasi. x è la frazione volumetrica di vapore. Questa semplice formula fornisce valori in generale più bassi della realtà e quindi più conservativi nel calcolo del ρv2. Tali risultati possono essere utili nella verifica del dimensionamento dei bocchelli e della tracciatura del fascio tubiero.
4.4. Progettazione dei condensatori Esistono vari tipi di condensatori: il fluido caldo, un singolo componente o una miscela, può condensare interamente o parzialmente, sia nei tubi sia nel mantello, sia in apparecchi orizzontali sia verticali.
4.4.1. Condensatori verticali La
configurazione
più
comunemente
usata
nei
ribollitori a termosifone è quella indicata in figura 47, dove il fluido di riscaldamento è vapore o un fluido di processo condensante. Il vapore entra in cima al mantello
e
scorre
verso
il
basso
insieme
al
condensato. Il bocchello di uscita dei non condensabili è posto in fondo al mantello, sopra l’uscita del condensato. Questa soluzione è molto utile perché il calore scambiato fornito al fluido freddo è facilmente controllabile, modificando opportunamente il livello del condensato
(per
mezzo
di
una
valvola)
parzializzando così la superficie di scambio.
e Figura 46
È una configurazione molto usata nell’industria chimica anche per applicazioni sottovuoto, con mantelli tipo E solitamente con piastre tubiere fisse; in casi particolari, per fluidi particolarmente MOD/GEN-02i Rev 01
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sporcanti
e
non
pericolosi
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nel
mantello,
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questi
scambiatori sono realizzati anche con la testa flottante. I
condensatori
verticali
lato
tubi
permettono
la
separazione liquido/vapore nella testata in basso, mediante un apposito diaframma separatore (figura 48). Il fluido generalmente scorre in moto anulare, con un film sulla parete che favorisce la condensazione di miscele ad ampio range di condensazione.
4.4.2. Condensatori orizzontali Questa
configurazione
può
essere
usata
vantaggiosamente quando il fluido condensante è ad alta pressione o richiede materiali pregiati (servizio corrosivo). Se la condensazione avviene al lato tubi con due
Figura 47
passaggi, è preferibile utilizzare i tubi a “U”, per evitare una dannosa separazione liquido/vapore nelle zone morte della testata di ritorno. Tale separazione, se richiesta, può essere facilmente ottenuta eseguendo un solo passaggio lato tubi con due bocchelli, uno per il vapore e uno per il condensato, nel distribuzione di ritorno, come mostrato in figura 49. Nel caso di realizzazione a due passaggi, si potrà prevedere un opportuno setto di separazione nel distributore di ingresso/uscita. La gran parte dei condensatori industriali è orizzontale, sia per minimizzare il costo delle strutture di supporto e facilitare le operazioni di manutenzione, sia perché, come già visto, il facilitato distacco del film di liquido all’esterno dei tubi porta a coefficienti di condensazione più elevati.
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Figura 48
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La scelta del tipo di mantello e dei diaframmi da utilizzare è molto legata al volume del vapore da condensare, e quindi alla sua pressione e alle perdite di carico assegnate. Queste ultime poi sono generalmente basse, in particolare quando il fluido da condensare è a bassa pressione o sottovuoto. In questo caso la temperatura di condensazione, che dipende dalla pressione operativa, si può abbassare in maniera sensibile in funzione delle perdite di carico. Ne risulta che maggiori perdite di carico portano a una riduzione del LMTD e a una superficie maggiore. L’esigenza di poter trattare volumi molto differenti e perdite bassissime
di può
carico essere
soddisfatta scegliendo in modo opportuno il tipo di mantello (E, J, X) e di diaframmi
(single/double
Figura 49
segmental). La prima configurazione da analizzare è sempre la meno costosa: tipo E con diaframmi single segmental. È sicuramente la migliore se si è in presenza di condensazione di miscele con largo range di condensazione, perché massimizza la velocità del fluido e quindi si può sfruttare l’influenza della “shear force” per strappare il film di condensato. I grandi volumi del vapore condensante e le basse perdite di carico ammissibili possono portare a un passo dei diaframmi così grande da generare problemi di supportazione e vibrazionali. L’installazione di diaframmi di tipo double segmental risolve questo problema. Un’ulteriore riduzione delle perdite di carico si può ottenere impiegando i mantelli tipo J21. I due bocchelli di ingresso sono più facilmente collegabili al mantello perché più piccoli e le perdite di carico (per metà flusso e metà lunghezza) si riducono a un ottavo a parità di passo dei diaframmi. Combinato con diaframmi double segmental, il tipo J21 permette perdite di carico di 1/32 rispetto al tipo E con single segmental. Nei condensatori non isotermici la riduzione del volume del vapore e conseguentemente della sua velocità porta a una diminuzione della shear force e del coefficiente di scambio tra inizio e fine condensazione. Può essere utile in questo caso utilizzare dei diaframmi con passo differenziato: la riduzione progressiva dell’area di passaggio permette il mantenimento della
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velocità del vapore lungo tutto lo scambiatore, il miglioramento del coefficiente di scambio e un sensibile risparmio della superficie di scambio termica. Spesso succede che le perdite di carico siano in gran parte localizzate nella zona di ingresso nel fascio tubiero, a causa della strozzatura generata dall’impingement plate. Può essere molto utile in questo caso, per ottimizzare la distribuzione delle perdite e per ridurre la tracciatura parzializzata del fascio, prevedere un vapor belt. Per volumi veramente grandi come nel caso di condensatori sottovuoto delle turbine, da adottare è il tipo X, con uno o più bocchelli di ingresso in parallelo. Le bassissime perdite di carico possono essere rispettate grazie alla grande area di passaggio (tutta la lunghezza del fascio per tutti gli spazi fra tubo e tubo, figura 51) e al singolo cross del fascio tubiero. Il tipo X presenta il problema della distribuzione uniforme del fluido su tutta la lunghezza del fascio tubiero quando è utilizzato per condensazione parziale o non isotermica. Occorre prevedere un piatto di distribuzione longitudinale forato tra bocchelli e fascio tubiero. Introducendo una seppur piccola perdita di carico distribuita, esso obbliga il fluido a passare anche nelle zone più lontane dai bocchelli. Figura 50
4.4.3. Condensatori di riflusso I condensatori di riflusso (reflux condenser) sono condensatori parziali verticali installati direttamente in testa alle colonne di distillazione. La condensazione può avvenire sia nei tubi (figura 52) sia nel mantello (figura 53). Il vapore entra dal basso e condensa in upflow; il condensato, aderendo alla parete fredda, scorre verso il basso in controcorrente al vapore per tornare nella colonna e costituirne così il riflusso di rettifica. Sono adottati soprattutto in impianti piccoli dove, rispetto a un condensatore separato dalla colonna, permettono di risparmiare su tubazioni, pompe di riciclo e supportazione. Sono a volte utilizzati come vent condenser, cioè condensatori di guardia installati su serbatoi di separazione (figura 54).
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Il parametro progettuale più importante è legato alla limitazione della velocità di upflow del vapore per evitare il flooding, cioè il trascinamento verso l’alto del liquido. La condensazione lato mantello è preferita con range di condensazione non trascurabili e in condizioni di vuoto perché permette di trattare volumi maggiori con velocità di flooding più alte (scorrimento orizzontale, in direzione perpendicolare al fluido che cade).
Vapore OUT
Vapore IN
Figura 52
Liquido OUT
Figura 53
Figura 51
4.4.4. Sottoraffreddamento del condensato Spesso è richiesto il sottoraffreddamento del condensato, per recupero termico o per stabilizzare il condensato. Un condensatore orizzontale riesce a sottoraffreddare il condensato poiché esso rimane aderente alla superficie fredda. Se il sottoraffreddamento richiesto diventa significativo e soprattutto se si vuole controllare la sua temperatura finale, è necessario prevedere un annegamento della parte bassa dello scambiatore. Questo può essere realizzato in due modi, in maniera controllabile per mezzo di una valvola di controllo di livello, oppure con un annegamento fisso, realizzato mediante un sifone o un diaframma a diga, “dam baffle” (figura 55).
Figura 54
Se il sottoraffreddamento richiesto è molto elevato, tale da annegare più del 30-40% dello scambiatore, è sicuramente preferibile, anche se più costoso, prevedere uno scambiatore separato.
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4.4.5 Sfiato e drenaggio Uno dei dispositivi assolutamente necessari per il buon funzionamento di un condensatore è il bocchello di sfiato. Deve essere previsto e collocato opportunamente, in modo da estrarre gli inerti non condensabili alla fine del processo di condensazione. In caso contrario, il loro accumulo ridurrebbe la superficie di scambio, impedirebbe la condensazione e renderebbe il funzionamento instabile. L’estrazione del condensato, sia esso nel lato tubi o nel lato mantello, deve essere progettata in modo che la perdita di carico nel bocchello di uscita non crei un battente che possa annegare la superficie di scambio. È buona norma dimensionare il bocchello di uscita per garantire un moto a canaletta: il condensato non occupa tutta l’area di passaggio ma scende lungo le pareti, con velocità di circa 0,5 m/s.
4.4.6 Condensatori in ambito power Per impianti per la produzione di energia sono previste due tipologie principali di condensatori: la prima usa il vapore spillato dalla turbina a bassa e alta pressione per preriscaldare l’acqua di alimento caldaia (LP/HP Boiler Feed Water Heater), la seconda condensa il vapore esausto delle turbine sottovuoto con acqua di raffreddamento (Surface Condenser).
4.4.6.1. Boiler Feed Water Heater Per massimizzare il recupero termico il BFW Heater prevede il sottoraffreddamento del condensato in una zona diaframmata, mantenuta annegata grazie al sifone generato dalla posizione del bocchello di uscita (figura 56). È prevista all’ingresso una zona diaframmata chiusa, per il desurriscaldamento del vapore. La condensazione invece avviene in cross/down flow nella parte rimanente dello scambiatore.
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Zona di condensazione Zona di desurriscaldamento
Zona di sottoraffreddamento Bocchello di uscita
Figura 55
4.4.6.2. Surface Condenser I surface condenser per gli impianti di
produzione
scambiatori
di
energia
sono
molto
grandi,
con
decine di migliaia di tubi, suddivisi in due corpi che lavorano al 50% in modo
da
manutenzione
permettere senza
la
fermare
l’impianto (figura 57). In
generale
rettangolari
sono
scambiatori
dimensionati
da
costruttori specializzati. Poiché la massima produzione di energia
avviene
alla
minima
pressione di uscita dalla turbina (alla quale
corrisponde
la
minima
temperatura di condensazione), la scelta della temperatura di uscita dell’acqua di raffreddamento riveste un ruolo molto importante.
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Approcci molto ridotti portano a potenze generate più alte, ma a superfici più grandi e di conseguenza scambiatori più costosi. Solo un’analisi specifica costi-benefici può definire l’approccio corretto, generalmente tale valore è compreso fra 4 e 10 °C. Un aspetto rilevante per la funzionalità dei surface condenser è la disposizione dei tubi nella piastra tubiera, che deve essere studiata per permettere al vapore di bassissima pressione (0,1 - 0,2 bar assoluti) di penetrare in tutto il fascio tubiero minimizzando le perdite di carico. Un altro aspetto non trascurabile riguarda l’estrazione dell’aria infiltratasi dai leakages, che tende a stratificare nella parte bassa dello scambiatore. È quindi prevista una sezione di sottoraffreddamento (nella figura 58, l’area a maglie più strette) per deumidificare l’aria satura presente e convogliarla alle pompe a vuoto. Per turbine di minore potenza, utilizzate spesso negli impianti petrolchimici come motrici di
Figura 57
compressori o di grandi macchine, i surface condenser hanno superfici di scambio molto minori e possono essere realizzati con scambiatori Shell and Tubes assimilabili al tipo AXM (figura 59).
Figura 58
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5. EBOLLIZIONE L'ebollizione è il fenomeno fisico in cui si ha vaporizzazione all'interno di un corpo liquido. La temperatura di ebollizione a una data pressione è una caratteristica di una sostanza o miscuglio detta punto di bolla o di saturazione. In questo punto coesistono la fase liquida e gassosa. Durante il passaggio da liquido a vapore, la sostanza pura assorbe una certa quantità di calore per vincere le forze di attrazione intermolecolare e la temperatura rimane costante finché tutta la massa liquida non è evaporata. Tale quantità di calore ha un valore caratteristico per ciascuna sostanza ed è detta calore latente di vaporizzazione. Nelle miscele, invece, la temperatura varia anche in modo rilevante fra il punto di inizio evaporazione (bolla) e quello di fine evaporazione (rugiada), la cui differenza è detta “range” di ebollizione. Oltre al calore latente, deve essere fornito anche del calore sensibile al liquido, in modo da innalzare progressivamente la temperatura per consentire l’evaporazione dei componenti più altobollenti. Ovviamente, in entrambi i casi, l’ebollizione avviene quando l’ebollizione Ts della superficie è maggiore della temperatura di inizio evaporazione Tsat. I due meccanismi principali considerati per l’ebollizione sono il “pool boiling”, cioè l’ebollizione su di una superficie riscaldante immersa nel fluido stagnante e il “flow boiling”, con il fluido in moto.
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5.1. Pool Boiling Come detto, con questa espressione ci si riferisce al fenomeno dell’evaporazione su una superficie, sommersa da un liquido inizialmente in quiete, o in movimento a una velocità trascurabile. In realtà il fluido bollente non è fermo: si instaurano moti convettivi generati sia dalle differenze di temperatura nel bagno (convezione naturale), sia dalla formazione e movimento di bolle (che generano rimescolamento e una ricircolazione aggiuntiva).
5.1.1. Regimi di flusso La forza motrice che provoca l’ebollizione è la differenza di temperatura tra la superficie e la temperatura di bolla. Il grafico alla figura 60 mostra l’andamento del flusso termico (calore scambiato nell’unità di superficie) in funzione di questa differenza di temperatura. L’andamento del flusso termico è tutt’altro che lineare. Ciò significa che esso risente molto delle modalità di evaporazione che si instaurano al crescere della forza motrice.
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Si distinguono cinque regimi di flusso:
Nella regione 0-A, ΔTe è così basso (< 5 °C) che non si formano bolle; il calore è fornito solo per convezione naturale. Il passaggio di fase avverrà nel liquido stesso e non sulla superficie. È una zona caratterizzata da bassi coefficienti, bassi flussi di calore e di conseguenza grandi superfici di scambio. Pertanto si opera in questo
Regione 0-A
regime solo per servizi molto specifici.
Nella regione A-B (5 < ΔTe < 10), il surriscaldamento della superficie permette la formazione di bolle singole (ONB = Onset of Nucleate Boiling); il calore è trasferito come combinazione di ebollizione nucleata e convezione naturale.
La regione B-C è caratterizzata da alti coefficienti di scambio grazie
Regione A-B
alla formazione continua di bolle che si uniscono in getti e colonne. Il punto P rappresenta il massimo del coefficiente di scambio, dopodiché il flusso termico continua ad aumentare solo grazie all’aumento di ΔTe fino al punto C, detto punto critico, che corrisponde al massimo flusso termico. È chiaramente il tipo di
Regione B-C
regime preferito per le apparecchiature.
Tra C e D la violenza dell’ebollizione e l’estensione raggiunta dalle bolle provocano una mancanza di liquido a contatto con la superficie: il calore deve attraversare una fase vapore e il coefficiente di scambio crolla (fenomeno del film boiling) per poi ricrescere se la superficie, bagnandosi nuovamente, fa ripartire l’ebollizione. Ne consegue anche una forte instabilità del sistema, da evitare nel modo
Regione C-D
più assoluto.
Al punto di Leidenfrost (D) l’intera superficie è coperta di un film di vapore, pertanto lo scambio è minimo. Oltre questo punto lo scambio migliorerà solo attraverso l’aumento di temperatura; con il crescere di ΔTe a valori sopra 103 °C l’irraggiamento assumerà un ruolo sempre più importante. L’analisi di questo tipo di regime, anch’esso da evitare negli scambiatori, diventa fondamentale nella progettazione dei forni, dove l’alta temperatura di pelle generata sarebbe troppo elevata per i limiti di utilizzo dei materiali stessi.
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5.1.2. Coefficienti di scambio Le equazioni che rappresentano il fenomeno dell’ebollizione in tutte le sue forme sono molte, spesso complicate, ed espresse come per la condensazione in funzione delle proprietà fisiche del trasporto: densità, conducibilità termica, calore latente, viscosità, tensione superficiale, tensioni di vapore. Il coefficiente di scambio totale hb è la somma del coefficiente della convezione naturale e di quello dell’ebollizione nucleata.
hb = hnc + hnb
[W/(m2K)]
(32)
hnc = K nc * ΔTe0.25
[W/(m2K)]
(33)
Dove: il coefficiente di convezione naturale è
rilevante solo nella prima regione (nel grafico, fino a A). Il coefficiente di ebollizione nucleata è hnb; come si vede dal grafico, prima del film boiling è una funzione crescente con ΔTe (come detto, la differenza fra la temperatura della superficie e quella di inizio ebollizione).
hnb = hnbs * Fc * Fs * Fe * F p * Fb [W/(m2K)]
(34)
In cui il termine più importante è
hnbs = K nb * ΔTen
[W/(m2K)]
(35)
Che calcola il coefficiente di ebollizione per un singolo tubo (n >1, Knb dipende dalle proprietà fisiche). hnbs è modificato da parametri correttivi:
Fc è il fattore di correzione per le miscele; è molto penalizzante per grandi range di evaporazione. Per questo motivo gli scambiatori a pool boiling andrebbero evitati per miscele molto eterogenee.
Fs è la correzione per gli effetti dovuti alla superficie; è 1 per i tubi lisci e diventa rilevante migliorando il coefficiente di scambio quando si utilizzano tubi “enhanced surface” che promuovono l’ebollizione nucleata anche a bassi ΔTe, nella zona 0-A del grafico. Questi tubi, la cui superficie presenta delle piccolissime cavità dove al loro interno si sviluppa la bolla, possono essere impiegati solo per fluidi molto puliti.
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Fe è la correzione per gli effetti dovuti all’efficienza dei tubi alettati, se presenti. A volte sono utilizzati, come gli enhanced, per migliorare i coefficienti di scambio a bassi ΔTe.
Fp è il fattore di correzione per gli effetti della pressione; cresce con l’aumentare della pressione ridotta, cioè quando la pressione operativa si avvicina a quella critica.
Fb è il bundle convention correction factor, è una funzione delle caratteristiche geometriche del fascio tubiero che determinano la convezione del fluido. Fasci più corti e con diametro maggiore hanno un fattore migliore.
5.1.3. Flusso termico critico La corretta progettazione di un ribollitore richiede di verificare che il suo regime di ebollizione sia sufficientemente lontano, come già detto, dal film boiling, in tutte le possibili condizioni operative, quindi anche in condizioni pulite, nello start-up e in condizioni transitorie. Una stima del flusso termico critico è funzione della pressione critica (pseudo critica per miscele). Un’espressione tipica per il flusso che instaura il film boiling è:
qbcrit =K * Pc * Pr0.28 * (1 − Pr ) 0.73
[W/m2]
(36)
Dove Pr = Poperativa / Pcritica K è un fattore che tiene conto della geometria del fascio tubiero e del fenomeno della circolazione del fluido che favorisce il distacco del film di liquido. Da questo ne deriva la superficie minima da prevedere per evitare il fenomeno del film boiling.
S min =
Qscambiato qbcrit
[m2]
(37)
Da Smin si ricava, attraverso l’equazione (1), il massimo coefficiente globale di scambio Umax. Questo valore deve essere rispettato in tutte le condizioni di funzionamento Può succedere che uno scambiatore, dimensionato correttamente in condizioni sporche, si trovi a operare in condizioni pulite oltre il flusso termico critico, perché Uclean è maggiore di Umax. Lo scambiatore funziona in maniera instabile finché lo sporcamento non deprime il flusso termico. Occorre in questo caso prevedere un sistema di controllo per ridurre il CMTD e quindi
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la forza motrice, tipicamente agendo sulla temperatura in ingresso del fluido caldo, quando possibile, o installando un by-pass.
5.2 Flow Boiling Con flow boiling si intende un processo in cui l’ebollizione avviene su una superficie con il fluido in moto, non solo per effetto della convezione naturale e della formazione di bolle, ma soprattutto per la spinta, bilanciata dalle perdite di carico del sistema, che può essere fornita sia da un battente di liquido esterno allo scambiatore (come per i ribollitori a termosifone) sia da una pompa, come nei ribollitori a circolazione forzata.
5.2.1. Coefficienti di scambio Non si fornirà una trattazione del calcolo del coefficiente di scambio per l’ebollizione forzata, ma ci si limiterà ad alcune considerazioni qualitative. Il coefficiente di ebollizione in linea di principio non differisce dal caso del pool boiling. A esso si aggiunge però l’effetto della convezione forzata, generata del moto del film che bagna la superficie che, se da un lato tende a migliorare il coefficiente di scambio, può invece causarne il distacco facilitando il fenomeno del dry-out e conseguentemente del film boiling. L’ebollizione forzata è in ogni caso molto utile in presenza di miscele con un elevato range di ebollizione. Più alta è la velocità del fluido, più alto sarà il coefficiente del calore sensibile di riscaldamento del liquido e quindi il coefficiente globale, similmente a quando già detto per la condensazione. Il flow boiling può essere realizzato sia al lato tubi sia al lato mantello con entrambi gli orientamenti. Generalmente si utilizza l’ebollizione lato mantello con scambiatori orizzontali o lato tubi con scambiatori verticali; esistono comunque casi specifici in cui le altre configurazioni sono possibili e convenienti.
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5.2.2. Regimi di flusso Per l’ebollizione al lato mantello in configurazione orizzontale, i regimi di fluido non differiscono in modo sostanziale dall’analogo caso della condensazione. Per la migliore comprensione della fluidodinamica dell’ebollizione forzata si riporta qui di seguito la rappresentazione dei regimi di moto che si instaurano in un tubo verticale, partendo da “tutto liquido” alla base per arrivare a “tutto vapore” in cima e la mappa previsionale di tali moti in funzione della velocità, delle proprietà fisiche e della frazione di vaporizzato (figura 61).
Bubbly Flow: bassissime frazioni di vaporizzato, disperse in piccole bolle all’interno del liquido.
Slug Flow: moderate frazioni di vapore; prende il nome dalla forma a “proiettile” delle bolle, che occupano tutto il tubo e sono spinte verso l’alto.
Churn Flow: la frazione di vapore è troppo grande perché le bolle siano stabili; esse quindi si spezzano e separano, imprimendo un modo oscillatorio (churning) del flusso.
Annular Flow: alte frazioni di vapore e alte velocità; il liquido forma un film sulle pareti,
il
vapore
scorre
a
velocità
maggiore all’interno. Piccole gocce di liquido possono essere trascinate dal vapore e possono unirsi a formare spruzzi trascinati.
Mist Flow: altissime frazioni di vapore; la fase liquida è dispersa all’interno del vapore. Qui il coefficiente si abbassa drasticamente perché le pareti sono asciutte (lo scambio è attraverso il vapore e non più attraverso il liquido). È pertanto fortemente
sconsigliato
arrivare
a
condizioni che instaurino tale regime. La mappa del flusso della figura 62 permette di prevedere in maniera semplice quale
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Figura 60
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regime di flusso si instaura (in funzione del parametro di Martinelli Xtt) e di verificare una corretta progettazione del ribollitore.
X tt = (
1 − y 0.9 ρ v 0.5 μ l 0.1 ) *( ) *( ) y ρl μv
(38)
Dove y è la frazione di vaporizzato, ρ e μ sono rispettivamente densità e viscosità.
Figura 61
5.2.3. Considerazioni Come visto, nonostante l’ebollizione forzata sia molto efficiente in presenza di miscele con range di ebollizione elevato, presenta comunque alcuni limiti fisici. Sicuramente il film boiling riveste un ruolo fondamentale. In questo caso esso non è dipendente dalla sola differenza di temperatura (flusso termico), come avviene per il pool boiling, ma è strettamente legato anche alla frazione di vaporizzato. Il distacco del film liquido e in ultima analisi l’instaurazione del regime di “mist flow” sono facilitati da alte temperature, alte velocità del film e del fluido ma anche e soprattutto da un’alta frazione di vaporizzato. Un buon design deve sempre massimizzare la velocità del fluido. Ciò comporta però che, per evitare il distacco del film, si debba aumentare la portata di liquido e il suo spessore sulla
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parete. In questo modo la riduzione della percentuale di vaporizzato mantiene la corrente in regime di annular flow, senza oltrepassare il limite del mist flow. È quindi evidente che è impossibile arrivare alla vaporizzazione totale del fluido. L’incremento della portata di circolazione non è sempre perseguibile: sia perché essa è spesso fissata da precise condizioni di processo, sia per i costi maggiori per la pompa di circolazione (se presente), sia perché può richiedere elevati battenti di liquido e quindi elevate quote di innalzamento delle colonne. I moderni simulatori sono in grado di analizzare in modo sufficientemente preciso le condizioni fluidodinamiche che si instaurano per un definito design dello scambiatore, consentendone l’ottimizzazione. Sono anche in grado di verificare, grazie allo studio dei regimi di moto, la stabilità dell’ebollizione e con essa l’importante aspetto della stabilità dell’intero sistema del ribollitore e della colonna di distillazione. Esistono però alcune norme che, seppur empiriche, possono aiutare nella scelta di corretti parametri progettuali o in una prima stima delle superfici di scambio. Una regola generalmente condivisa è di limitare la frazione di vaporizzato in uscita al 25-30% in peso per composti organici (cioè un rapporto di circolazione liquido/vapore di 3-4). Per soluzioni acquose è consigliabile aumentare il rapporto di ricircolazione fino a 10 (10% di vaporizzato). Per quanto riguarda il flusso termico, una regola molto conservativa (Kern) prevede i seguenti limiti: 60000 W/m2 per liquidi organici in ribollitori orizzontali lato mantello e 35000 W/m2 per termosifoni a circolazione naturale. I valori si possono incrementare se il fluido trattato è acqua: 100000 W/m2 per entrambe le situazioni. Si ricorda che tali limiti devono essere rispettati in tutte le condizioni di funzionamento: a scambiatore sporco, pulito e in tutte le condizioni transitorie possibili. Essi possono essere meglio analizzati e definiti con i moderni simulatori, che sono in grado di prevedere e di verificare la presenza di film boiling anche in condizioni più gravose e limitare ai valori opportuni la percentuale di vaporizzato e il flusso termico.
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5.3. Ribollitori I ribollitori, come detto, sono gli scambiatori di calore che servono a vaporizzare tutto o parte del liquido di processo. Sono impiegati in molti tipi di impianti industriali e per questo devono svolgere i più svariati servizi alle più differenti condizioni operative, fra cui:
Per la produzione di vapor d’acqua (steam), anche recuperando calore da fluidi caldi, come nei waste heat boiler.
Nei gruppi frigoriferi, per raffreddare il fluido di processo attraverso l’evaporazione del fluido refrigerante.
Per fornire il calore sul fondo delle colonne di distillazione.
Si analizzeranno ribollitori funzionanti per pool boiling (Kettle) e per flow boiling (termosifoni a ricircolazione o once-through a un passo), sia a circolazione naturale sia forzata.
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5.3.1. Kettle Reboilers
Figura 62
Il ribollitore Kettle è utilizzato quando si vuole vaporizzare il fluido separando la fase liquida dal vapore nell’apparecchiatura stessa. Lo standard TEMA prevede per esso una precisa configurazione: un mantello di tipo K, in cui il fascio tubiero è mantenuto sommerso da un controllo di livello o dalla presenza di una diga (weir, N. 12 in figura 63). La diga si usa quando il fluido entrante nello scambiatore non è interamente ribollito. Solo il liquido che trabocca oltre la diga passa nella sezione di hold-up (N. 14) ed esce tramite l’apposito bocchello (N.13). Il vapore si separa dal liquido grazie allo spazio di separazione (N. 4), per poi uscire dai bocchelli (NN. 2).
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5.3.1.1. Dimensionamento del mantello e disengagement space Uno degli aspetti più importanti nella progettazione di un Kettle è il dimensionamento dell’area libera fra mantello e livello
del
liquido,
detta
spazio
di
separazione
o
disengagement space, nel quale avviene la separazione del vapore formatosi dal liquido del bagno. Essa dipende dall’efficienza
richiesta
per
la
separazione;
se
la
percentuale di trascinamento consentito (la frazione in peso del liquido nella corrente di vapore uscente) è bassa, sarà necessaria una grande area e conseguentemente un grande diametro del mantello. Il calcolo dell’area si esegue con la determinazione della velocità massima ammissibile (velocità critica):
Figura 63
Vc = K *
ρl − ρv ρv
[m/s]
(39)
In cui ρl e ρv sono le densità del fluido e K è il coefficiente di trascinamento, a sua volta funzione diretta della percentuale di trascinamento permessa. È evidente quindi che una bassa percentuale di trascinamento comporta una bassa velocità critica e un grande diametro. Per impianti di processo la percentuale di trascinamento normalmente richiesta è di circa 1-3%. Se per esigenze di processo, qualora si voglia ridurre il trascinato a valori ancora più bassi senza aumentare a dismisura il diametro del mantello, occorre prevedere un entrainment baffle (NN. 3 in figura 63) o adeguate griglie di separazione chiamate demister. I demister sono installati sotto il bocchello di uscita o in appositi alloggiamenti tra la flangia del bocchello e il mantello stesso. Sono utilizzati soprattutto nella produzione di vapor d’acqua e se il vapore prodotto deve essere inviato ad apparecchiature come i compressori, che non possono accettare la presenza di liquido nemmeno in piccolissime percentuali. Utilizzare più bocchelli di uscita del vapore in parallelo permette di ridurre l’area di disengagement richiesta (il volume di vapore si può suddividere in più correnti), complicando però il piping a valle dello scambiatore. Per questo si prevede solitamente un unico bocchello; due bocchelli sono però consigliabili quando la lunghezza dei tubi supera i 5 metri. Molto raramente si impiegano tre o più bocchelli.
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Il dimensionamento deve poi considerare che il fascio tubiero deve essere sempre sommerso, in modo che i moti convettivi del fluido non lascino scoperta la sezione superiore del fascio. Generalmente per fluidi non schiumogeni il valore di sommergenza (la differenza di quota fra il livello del liquido e il punto superiore del tubo più alto) è fra 30 e 50 mm. La sommergenza per liquidi schiumogeni deve essere ovviamente maggiore. Quale buona regola geometrica e come margine di sicurezza, il diametro del mantello deve essere almeno 1,4 volte il diametro del fascio tubiero, mentre il valore massimo concesso è limitato a 3 volte il diametro del fascio stesso.
Figura 64
Per i ribollitori senza stramazzo, cioè a vaporizzazione totale che operano in controllo di livello, il calcolo dell’area di disengagement si deve riferire al livello di liquido massimo previsto (H.L.L.).
5.3.1.2. Hold-up del liquido L’hold-up è il volume geometrico che consente l’accumulo del liquido durante la fermata della pompa di prelievo, prima della sua ripartenza o per il tempo di fermata dell’impianto (solitamente da 1 a 3 minuti). Hold-up
Negli impianti di distillazione, tale volume può essere previsto in fondo alla colonna, tra il livello massimo e minimo del liquido, oppure
nel
ribollitore
Kettle
oltre
lo
stramazzo. Quest’ultima soluzione permette di ridurre l’altezza della colonna.
Figura 65
Tuttavia, può succedere che per garantire elevati volumi di hold-up e tempi lunghi di fermata lo scambiatore risulti troppo lungo. In questo caso si può prevedere un volume di hold-up anche sopra il livello del liquido, assicurandosi comunque che l’area per il disengagement sia garantita (nella figura 66, l’hold-up è l’area compresa fra le linee tratteggiate).
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Oppure è anche possibile installare il fascio tubiero
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Livello del liquido
all’interno di un vessel in un’apposita carenatura (figura 67): con questa configurazione si possono ottenere grandi volumi di hold-up. Un’altra
soluzione,
per
colonne
di
Hold-up
diametro
sufficientemente grande, è inserire direttamente il fascio tubiero nella colonna stessa (stab-in, figura Figura 67
68). L’hold-up in questo caso è lasciato sul fondo della colonna. Questa configurazione ha anche il vantaggio di
evitare
completamente
tutte
le
tubazioni
di
collegamento.
5.3.1.3. Criteri di utilizzo e di progettazione
Come già visto, gli scambiatori Kettle operano in pool boiling, consentendo così elevati flussi termici e basse superfici di scambio. Per questo sono a volte
più
economici
rispetto
ai
ribollitori
a
termosifone, nonostante la necessità di un mantello
Figura 66
di dimensioni molto maggiori e il costo aggiuntivo di una supportazione separata.
Il passo dei tubi è generalmente quadrato a 90°, per permettere al vapore di liberarsi senza “disturbare” i tubi sovrastanti. Il passo triangolare può essere utilizzato per compattare lo scambiatore e ridurne i costi solo quando si opera nella zona di pre-nucleate boiling, con flussi termici inferiori a 10000-12000 W/m2.
Nelle colonne di distillazione gli scambiatori Kettle permettono il miglioramento dell’efficienza perché si comportano a tutti gli effetti come piatto teorico.
Possono essere utilizzati anche in processi a bassa pressione (fino a 0,4-0,5 bar assoluti), perché il battente di liquido, che in queste apparecchiature corrisponde sostanzialmente al diametro del fascio tubiero, influisce poco sulla pressione operativa e quindi sulle temperature di bolla.
Non possono essere impiegati ad alti boiling range (oltre i 40-50 °C): il calore sensibile, necessario per alzare continuamente la temperatura del liquido, penalizza lo scambio perché deve trasmettersi per sola convezione naturale nella fase liquida.
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Per la stessa ragione i Kettle non sono convenienti quando il liquido è troppo sottoraffreddato: una parte consistente della superficie di scambio termico deve essere impiegata per fornire il calore sensibile per portare la miscela alla sua temperatura di bolla. Come regola indicativa, se il calore sensibile richiesto supera il 15% del calore totale, una soluzione che impiega un ribollitore Kettle non è consigliabile.
Gli scambiatori Kettle sono difficili da pulire meccanicamente perché richiedono sempre l’estrazione del fascio tubiero. Se il fluido sporco è quello bollente, può essere utilizzato uno scambiatore di tipo BKU. Se invece il fluido sporcante è al lato tubi, deve essere previsto il tipo BKT o AKT con la testa flottante estraibile.
5.3.1.4. Controllo delle temperature e del calore fornito In una colonna di distillazione, il ribollitore è l’apparecchiatura che fornisce l’energia necessaria al suo funzionamento, attraverso l’ebollizione di parte del fluido di processo e la sua reimmissione. Il corretto funzionamento della colonna è per questo strettamente legato al controllo del ribollitore, sia attraverso il calore fornito sia attraverso la portata di vaporizzato. Per modificare il calore scambiato Q si può agire sulle grandezze dell’equazione (1): Q = U * A * CMTD.
Nei ribollitori totali si può ridurre la superficie di scambio operando sul livello di annegamento del fascio tubiero, scoprendo parzialmente i tubi. In questo modo si possono soddisfare le esigenze di processo. In alternativa o in aggiunta a questo sistema, si può prevedere un controllo di portata sul fluido caldo, agendo con una valvola o un by-pass. Alla variazione di questa portata corrisponde una variazione della temperatura in uscita del fluido caldo e quindi del CMTD. Se il fluido caldo è vapore condensante, il CMTD si può modificare semplicemente riducendo la pressione del vapore e quindi la sua temperatura di rugiada. Occorre però verificare che tale riduzione non diventi minore della minima pressione di ritorno del condensato. In tal caso, questo tipo di controllo non è sufficiente se non abbinato al controllo di livello.
Nel caso di ribollitori parziali non è possibile modificare l’area di scambio, perché il fascio è sempre annegato dalla presenza della diga. Pertanto il controllo della portata del liquido uscente è possibile agendo sulla pompa di prelievo, con variatore di giri o con valvola, comandati da un controllo di livello posto nella zona di hold-up. Per il controllo della duty si
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opera, come detto in precedenza, agendo sulla portata del fluido caldo o sulla sua temperatura di condensazione.
5.3.2. Ribollitori a termosifone Il ribollitore a termosifone, a differenza del Kettle, sfrutta il meccanismo del flow boiling per la vaporizzazione parziale del fluido; la circolazione può essere naturale, dovuta a un battente di liquido, o forzata, sotto l’azione di una pompa. In entrambi i casi, il rapporto di circolazione deve essere sufficientemente elevato da garantire che non avvenga il fenomeno del film boiling.
5.3.2.1. Analisi della circolazione naturale Lo studio della circolazione nei ribollitori riveste un ruolo di primaria importanza per una corretta progettazione dello scambiatore. La circolazione è determinata dal battente di liquido sovrastante l’ingresso nello scambiatore (static head), che è controbilanciato da tutte le perdite di carico del circuito tra prelievo e rientro in colonna, includendo i battenti negativi sia in fase liquida sia mista. Questo significa che il design di un ribollitore a termosifone, oltre al calcolo della superficie di scambio, richiede la determinazione della corretta posizione dello scambiatore rispetto al livello del liquido della colonna. Il battente influisce pesantemente sulla geometria dell’impianto: se la circolazione richiesta comporta un battente molto elevato e quindi
N.L.L.
una colonna molto rialzata, sarà necessario processo
rivedere o
i
passare
dati a
E
di una
H
soluzione differente (circolazione
D
forzata). Il calcolo del battente (static head, H in figura 69) si può derivare dal bilancio delle forze che agiscono sulla circolazione, così espresso:
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Figura 68
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ρ L * H = ΔPfL + ΔPfTP + ΔPfEXCH + ρ TP * E + ρ TP * D + ΔPACC [bar]
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(40)
Dove:
ρL * H è il battente positivo e rappresenta la “driving force” della circolazione (ρL è la densità del liquido). Il battente viene calcolato, se il fondo della colonna è in controllo di livello, facendo riferimento al valore normale del liquido (N.L.L.). In alcuni casi, se espressamente richiesto dal processo, la verifica della circolazione può essere effettuata considerando il valore minimo, per fornire una maggiore flessibilità operativa della colonna stessa.
ΔPfL sono le perdite di carico per attrito del liquido, nel tratto di tubazione tra colonna e scambiatore, includendo anche le perdite di carico di eventuali dispositivi di controllo di portata.
ΔPfTP sono le perdite di carico per attrito del fluido in fase mista, nella tubazione di ritorno in colonna, includendo anche le perdite di sbocco.
ΔPfEXCH sono le perdite di carico per attrito nello scambiatore.
ρTP * D è il battente negativo nello
E
N.L.L.
scambiatore (ρTP rappresenta la densità
del
integrato
fluido
sulla
bifase). frazione
È di
vaporizzato da zero al valore di uscita, battente
includendo in
fase
anche liquida
il per
l’eventuale zona sottoraffreddata
D
H
Hsc
(Hsc, figura 70).
ρTP * E è il battente negativo in fase mista del fluido vaporizzato, di
Figura 69
ritorno in colonna.
ΔPACC sono le perdite di carico legate alla variazione della quantità di moto per accelerazione, dovuta all’incremento di volume del fluido. Questo termine è molto significativo quanto la pressione è bassa, cioè quando i volumi sono elevati.
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5.3.2.2. Densità in fase mista non omogenea Il calcolo della densità in fase mista ρTP merita un piccolo approfondimento, perché se per essa si utilizzasse la media volumetrica fra liquido e vapore come definito dalla equazione (31) si introdurrebbe nel calcolo del battente un grossolano errore. La media volumetrica si basa sull’assunzione che le due fasi si muovano con la stessa velocità (homogeneous flow model). In realtà, come si vede dalle mappe del moto, esse hanno velocità molto differenti: il liquido è molto più lento occupando però una frazione di area maggiore mentre viceversa il vapore è molto più veloce in un area molto minore. Il calcolo della densità media che tiene conto dello “slip” delle velocità deve diventare una media basata sulle aree occupate dalle due fasi di una sezione del tubo, piuttosto che sui loro volumi (figura 71). I valori calcolati per ρTP in questo modo risultano sempre maggiori rispetto a quelli calcolati mediante una media volumetrica. Con i corretti valori di densità si evita una sottostima del battente negativo e una sovrastima scorretta della ricircolazione del ribollitore.
Figura 70
L’equazione per ρTP è:
ρ TP = ρ L * RL + ρV * RV
[kg/m3]
(41)
Dove: ρL e ρV sono le densità del liquido e del vapore RL e RV (con RL + RV = 1) sono parametri legati alla frazione di area occupata, che dipendono dal parametro di Martinelli e di conseguenza dal tipo di moto che si instaura.
5.3.2.3. Profilo delle temperature La presenza di un battente genera un profilo di pressione in tutto il circuito del ribollitore, con un massimo alla base dello scambiatore o alla piastra tubiera inferiore se è verticale. In questo punto il liquido non sarà più saturo come in colonna al livello del liquido, ma sottoraffreddato. Ciò significa che nello scambiatore si instaura una zona di preriscaldamento del liquido (Hsc nella figura in alto), tanto più marcata quanto più grande è la sovra pressione generata dal battente. Questo effetto diventa significativo a bassa pressione e decisamente evidente, se non insostenibile, sotto vuoto. In casi estremi la temperatura di ebollizione alla base dello scambiatore potrebbe superare addirittura la temperatura del fluido caldo!
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In genere, se Hsc è più di un quarto dell’altezza dello scambiatore (della lunghezza dei tubi nei termosifoni verticali) non è consigliabile l’impiego di ribollitori a termosifone, ma è opportuno studiare altre soluzioni. Il profilo della pressione fra l’ingresso e l’uscita dello scambiatore ha effetti anche sulla curva di evaporazione del fluido e di conseguenza sul calcolo del CMTD. Nella figura 72 si vede come varia il profilo reale rispetto all’ebollizione isotermica: la continua riduzione della pressione nello scambiatore, dovuta alle perdite di carico, abbassa progressivamente la temperatura di ebollizione. Il CMTD reale dovrà necessariamente essere calcolato a zone: sarà sicuramente minore del CMTD “ideale” calcolato con le sole temperature di ingresso e di uscita.
Zona di sottoraffreddamento
Curva reale
Ebollizione isotermica
Figura 71
Si evince che per un corretto calcolo termodinamico occorre che siano fornite almeno due curve di evaporazione alle pressioni estreme, quella del livello del liquido in colonna e un’altra, sufficientemente maggiorata da comprendere l’incremento di pressione dovuto al battente. In questo modo il simulatore può interpolare più accuratamente per ottenere migliori stime di tutti i parametri del ribollitore, non solo il CMTD ma anche la lunghezza della zona di preriscaldamento e la circolazione del fluido.
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In caso di CMTD elevati, pressioni elevate o quando l’influenza del battente è chiaramente trascurabile, è invece sufficiente fornire una sola curva di evaporazione. Per completezza possono essere fornite le temperature di bolla a pressioni superiori.
5.3.2.4. Ribollitori a termosifone verticali I ribollitori a termosifone verticali adottano nella
grande
maggioranza
dei
casi
la
vaporizzazione nei tubi con flusso ascendente (upflow),
in
un
vaporizzazione
singolo
nel
passaggio.
mantello
è
La
utilizzata
quando il fluido in ingresso è già bifase o quando il fluido caldo è molto sporcante e richiede una pulizia frequente. L’ebollizione lato tubi, comunque, è preferibile da un punto di vista fluidodinamico. I ribollitori a termosifone verticali lato tubi
Figura 72
(figura 73) presentano le seguenti caratteristiche:
Forti limitazioni per il flusso termico: un flusso minimo di circa 6000 W/m2 (CMTD = 10-15 °C) perché sia garantita una buona circolazione e un limite massimo, come già visto, per non rendere instabile il sistema e non sviluppare film boiling e mist flow.
Per la stessa ragione si deve prevedere un battente sufficiente a realizzare un rapporto di circolazione di 3-4 (frazione massima di vaporizzato 25-30%).
Alla circolazione è correlato il fenomeno dell’instabilità, che deve essere adeguatamente studiata per evitare fenomeni vibrazionali e malfunzionamenti della colonna. Un corretto design deve prevedere il dimensionamento delle tubazioni, soprattutto quelle di ritorno in colonna, in modo che le loro perdite di carico per attrito e sbocco siano molto minori del battente disponibile (minori del 20% del battente).
Non possono essere adottati per basse pressioni (< 1 bar).
Non sono funzionali per grandi range di ebollizione.
Sono adatti a fluidi di processo sporcanti perché la velocità nei tubi è relativamente alta; inoltre, nonostante l’orientamento verticale, il lato tubi è facile da pulire.
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Sono costruttivamente vantaggiosi perché entro certi limiti dimensionali possono essere sostenuti direttamente dalla colonna, risparmiando sulla supportazione e occupando uno spazio molto ridotto, in particolare sull’ingombro in pianta.
Seppur sostenuti da una struttura esterna, la lunghezza dei tubi non supera generalmente i 4-5 metri e quindi non possono essere adottati per grandi superfici di scambio (valori massimi di 200-300 m2).
Sono solitamente costruiti con teste fisse (AEM, BEM), con compensatore di dilatazione se necessario quando il fluido caldo nel mantello non richiede pulizia meccanica. Se fosse richiesta, è possibile una soluzione a testa flottante (AES, BES) con dilatatore oppure, per fluidi non pericolosi, utilizzando configurazioni AEP, BEP.
Il controllo del calore scambiato è ottenibile agendo sul fluido caldo. È possibile modificare la portata per mezzo di valvole o by-pass (variano il CMTD e U), ridurre la pressione e il dew point del vapore riscaldante (varia il CMTD) oppure annegare in controllo di livello la parte bassa del mantello (varia la superficie di scambio).
5.3.2.5. Ribollitori a termosifone orizzontali Per
i
ribollitori
a
termosifone
orizzontali
a
circolazione naturale il fluido vaporizzante è sempre nel mantello. Solo la circolazione forzata consente l’evaporazione nei tubi. Le caratteristiche che li contraddistinguono sono:
Elevati coefficienti di scambio e flussi termici, anche
in
presenza
di
alti
range
Figura 73
di
evaporazione e in questo caso sicuramente preferibili ai termosifoni verticali.
Anch’essi non sono adatti ad applicazioni a bassa pressione, a causa del battente.
La frazione di vaporizzato deve essere compresa fra il 10 e il 50%. Valori inferiori a 10% possono provocare slug flow (quindi intermittenza e instabilità), mentre frazioni Figura 74
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attorno al 60% provocano sicuramente mist flow.
Sono più vantaggiosi per liquidi a viscosità moderatamente elevata, perché il coefficiente di scambio del liquido è molto maggiore al lato mantello che al lato tubi.
Sono utilizzati vari tipi di mantello, in funzione del bilancio di circolazione. Se le perdite di carico sono sufficienti, si preferisce il tipo E che fornisce migliori coefficienti di scambio; perdite di carico minori costringono a impiegare in successione il tipo G, H, J12 o X. I mantelli di tipo X hanno le minime perdite di carico, ma si possono usare solo se la boiling range non è elevata (figura 75).
Il CMTD calcolato per i tipi G e H, grazie ai due passaggi nel mantello che migliorano il fattore Ft, è sicuramente maggiore che per i tipi E e J12. Infatti, questa tipologia è molto utilizzata. Scambiatori di grosse dimensioni presentano però la difficoltà della supportazione dei tubi, che può essere realizzata impiegando diaframmi double-segmental studiati e posizionati in modo opportuno. Inoltre i diaframmi migliorano il coefficiente di scambio.
Il taglio dei diaframmi, sia single sia double segmental, è sempre parallelo (verticale). Il passo dei tubi può essere triangolare o quadrato in base alla pulibilità del fluido, compatibilmente con le perdite di carico.
Se il fluido riscaldante è pulito o è un vapore condensante, si utilizzano tubi a U. Se il fluido nei tubi richiede la pulizia meccanica, si impiega il tipo B-M o A-M mentre, se richiesta anche la pulizia del mantello, i tipi B-S, A-S, B-T o A-T (la tipologia del mantello, come detto, dipende dalle perdite di carico).
Avendo una supportazione separata dalla colonna, non pongono limiti dimensionali. Occupano però molto spazio in pianta e il percorso del piping è più complicato.
Il controllo del calore scambiato è del tutto analogo ai ribollitori a termosifone verticali; non è possibile evidentemente utilizzare la parcellizzazione della superficie per annegamento.
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5.3.2.6. Ribollitori “once-through” Il liquido in ingresso ai ribollitori finora trattati è una miscela del liquido che cade dall’ultimo piatto della colonna e del liquido proveniente dal ribollitore stesso (ricircolazione). Il punto di bolla della miscela sarà pertanto più alto, perché conterrà una maggiore percentuale di componenti pesanti, e ridurrà il CMTD. I ribollitori once-through (figura 76) non presentano questo
rimescolamento
e
quindi
permettono
di
migliorare il CMTD; inoltre riducono il tempo di permanenza del fluido nel sistema e migliorano l’efficienza in colonna perché si considerano a tutti gli effetti come un piatto teorico. Il loro nome deriva dal fatto che il liquido in ingresso al
Figura 75
ribollitore è prelevato dall’ultimo piatto con una vaschetta e il ribollito è reimmesso in colonna nella zona sottostante. Il liquido passa così una sola volta (“once-through”) attraverso il ribollitore.
Possono essere orizzontali con vaporizzante lato mantello o verticali lato tubi.
La circolazione è sicuramente garantita, perché il punto di ritorno è più basso del punto di prelievo.
I ribollitori orizzontali impiegano solitamente mantelli di tipo G o H.
Oltre al controllo del calore scambiato, come tutti i ribollitori, richiedono, almeno teoricamente, anche il controllo di portata. La portata proveniente dal piatto deve essere mantenuta costante nello scambiatore, in modo che sia vaporizzata la percentuale richiesta alla composizione richiesta. Questo contrasta con il fatto che il battente può generare in condizioni transitorie portate diverse, che si potrebbero stabilizzare ma con un battente non corrispondente alla vaschetta di prelievo. Per evitare malfunzionamenti e instabilità è bene considerare l’opportunità di installare una valvola di controllo che mantenga il livello definito di liquido.
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5.3.2.7. Ribollitori a circolazione forzata Sono
ribollitori
a
termosifone,
ma
la
circolazione è assicurata in maniera costante e controllata da una pompa (figura 77).
Il liquido in ebollizione scorre di solito nei tubi, indipendentemente dall’orientamento orizzontale o verticale. In entrambi i casi, infatti, la pompa permette di vincere le resistenze dello scambiatore che ne impedirebbero il funzionamento se fosse a circolazione naturale.
Figura 76
Sono molto flessibili, poiché possono funzionare con qualunque frazione di vaporizzato. In teoria è possibile anche ottenere la vaporizzazione totale e il surriscaldamento, prevedendo promotori di turbolenza nella parte terminale dell’evaporazione per evitare il mist flow.
Sono caratterizzati da alte velocità nei tubi: trovano quindi un largo impiego per fluidi sporcanti o molto viscosi (μ > 25 cP), ai quali gli altri tipi di ribollitori non sono assolutamente adatti. Infatti questi tipi di ribollitori sono spesso adottati negli impianti di stabilizzazione del crudo. I forni ribollitori nelle colonne di grandi dimensioni sono, di fatto, dei ribollitori a circolazione forzata, in cui la fiamma è il mezzo riscaldante.
Un’applicazione interessante è quella che prevede di riscaldare in fase solo liquida il fondo colonna per poi, tramite un flash isoentalpico, vaporizzarne una parte prima del ritorno in colonna. Sostanzialmente si fornisce tutta la duty come solo calore sensibile di riscaldamento del liquido utilizzando portate di circolazione adeguatamente elevate. Questo sistema è impiegato quando il fluido da vaporizzare è termolabile o termosensibile e/o quando i tempi di residenza nello scambiatore debbano essere molto bassi.
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5.3.3. Falling Film Evaporators Gli evaporatori a caduta di film sono apparecchiature
in
cui
il
liquido
è
introdotto nella parte alta e distribuito fra i tubi in modo da formare, scorrendo verso il basso, un film laminare su tutta la superficie, con una colonna di vapore al centro. La vaporizzazione è in “down flow”, con il liquido e il vapore che si muovono
in
equicorrente,
rientrando
insieme in colonna (figura 78). Il regime di moto può essere definito come “annular”. Grazie alla totale assenza di circolazione e di battenti di liquido, l’unica perdita di carico nel sistema è quella della colonna di vapore e della perdita di carico per attrito dello stesso al rientro in colonna, mentre il liquido procede naturalmente
Figura 77
per gravità. Per questo possono essere impiegati per pressioni operative molto basse, anche dell’ordine di pochi mmHg; i grandi volumi di vapore trattati richiedono grandi diametri dei tubi, spesso superiori a 40-50 mm. La pressione costante lungo tutto lo scambiatore permette una vaporizzazione quasi isotermica e il fenomeno a film con ebollizione subnucleata consente buoni coefficienti di scambio anche con bassi CMTD, tipicamente fra 5 e 15 °C. Flussi termici elevati non sono permessi perché portano al distacco del film con formazione di “dry spots”. In generale per questi scambiatori la differenza di temperatura tra film e parete è limitata a valori di 20-25 °C. Per tutte queste caratteristiche trovano un largo impiego nell’industria alimentare, della carta o in ogni situazione in cui si devono trattare fluidi termolabili e termosensibili, soprattutto per la concentrazione di sostanze. L’aspetto più importante dal punto di vista funzionale è quello di definire la portata di liquido che deve essere pompata all’ingresso dello scambiatore, in modo da garantire che tutti i tubi
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rimangano bagnati per tutta la loro lunghezza. Il calcolo della portata minima per ciascun tubo è funzione di parametri fisici del fluido e della geometria dello scambiatore ed è definita dal programma di calcolo durante la progettazione. Una buona regola generale stabilisce che la portata minima di liquido da considerare come prima stima sia tale da fornire una frazione di vaporizzato non superiore a 5-10%. È altrettanto importante il problema della distribuzione uniforme del fluido in tutti i tubi. Si adottano quindi dispositivi specifici: il sistema
più
semplice
è
di
prevedere
all’interno della testata un piping perforato per la distribuzione del liquido su una piastra
perforata,
con
i
fori
in
corrispondenza dello spazio fra i tubi (figura 79). In aggiunta, in particolare per scambiatori di grandi dimensioni, si realizza un effetto diga facendo sporgere i tubi all’interno del
Figura 79
distributore (weir, figura 80 A). Si possono poi prevedere degli slot che per effetto rotazionale facilitano la distribuzione uniforme del fluido all’interno del singolo tubo (figura 80 B). Qualora si voglia anche uniformare lo spessore del film, si possono adottare altri sistemi (inserti, figura 80 C).
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Figura 80
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5.3.4. Process Gas Waste Heat Boiler Un
caso
molto
particolare
di
ribollitore a termosifone orizzontale è il process gas waste heat boiler. Viene
utilizzato
per
recuperare
calore, producendo vapore a media e alta pressione, dai gas di processo ad alta temperatura in uscita dai reattori. E’
adottato
in
molti
impianti
Figura 81
petrolchimici, in particolare negli impianti ammoniaca, idrogeno e metanolo. Techint ne ha installato uno di notevoli dimensioni a Damietta. Si tratta sostanzialmente di uno scambiatore a un passaggio a teste fisse con il gas ad alta temperatura nei tubi. L’acqua bolle lato mantello, la fase mista risale al serbatoio posto sopra lo scambiatore, dove il vapore viene con grande efficienza separato grazie a cicloni e demister mentre l’acqua torna nello scambiatore stesso grazie al battente fra il livello del liquido nel separatore e la parte bassa (figura 81). Le condizioni operative sono estreme: la temperatura di ingresso del gas può superare i 1000°C e nel contempo la pressione dell’acqua i 90 bar. Per questo devono essere risolti due tipi di problemi: mantenere la temperatura di parete dei materiali sotto quelle ammissibili per la resistenza meccanica (intorno a 550°C) e compensare la dilatazione differenziale fra tubi e mantello. Per il distributore e per la piastra tubiera tale problema si risolve semplicemente rivestendo con un cemento refrattario le pareti metalliche e utilizzando ferrule ceramiche da inserire nei tubi per proteggerne la parte iniziale. Per i tubi, invece, la soluzione sta nel mantenere la differenza di temperatura fra la parete dei tubi e l’acqua bollente molto bassa. Si può realizzare così la compensazione della dilatazione differenziale per mezzo della deformazione elastica della piastra tubiera (in alcune tecnologie mediante adeguati rinforzi), altrimenti impossibile, a causa degli alti spessori del mantello, con il classico compensatore. Poiché la temperatura di parete dei tubi si calcola eguagliando i flussi termici:
hshell * (Tshell − Twall ) = htubi * (Twall − Ttubi )
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se ne deduce che la temperatura di parete è più vicina a quella dell’acqua se il coefficiente del gas è basso e quello dell’acqua è elevato. Il calcolo termodinamico deve quindi limitare la velocità del gas (e il suo coefficiente di scambio) in modo che le dilatazioni differenziali, integrate su tutta la lunghezza dei tubi, possano essere adeguatamente compensate. Questo comporta l’adozione di un limite massimo per il flusso termico, il cui valore varia in funzione delle pressioni, delle temperature operative e delle caratteristiche fisiche dei fluidi fra valori di 250000 – 300000 W/(m2 °C). Questo limite è strettamente legato al fenomeno del film boiling. Flussi termici così elevati possono essere raggiunti solo se il rapporto di circolazione dell’acqua è grande, in particolare nella zona più calda dove la produzione di vapore è molto maggiore. In tale zona la frazione di vaporizzato consentita è dell’ordine del 5%, a cui corrisponde un rapporto di circolazione di almeno 20 a 1.
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6. SCAMBIATORI DI CALORE AD ARIA Under construction…
7. DOUBLE PIPE / MULTITUBES Under construction…
8. COMPACT HEAT EXCHANGERS Under construction…
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ALLEGATI Si riportano ora alcuni grafici e tabelle dallo Standard TEMA e da varie pubblicazioni.
I grafici del fattore di correzione Ft del LMTD per i casi più comuni: tipo E 2 o più passaggi nei tubi, tipo F quattro o più passaggi nei tubi, tipo X, tipo J.
I grafici per la densità relativa (specific gravity, ρ / ρacqua), che mette in relazione la temperatura e la densità relativa del fluido (o il grado API).
La conducibilità termica per idrocarburi in fase liquida e vapore, in funzione della temperatura e del tipo di fluido (o del grado API).
La viscosità degli idrocarburi in funzione della temperatura, del peso molecolare e del grado API, in fase liquida e in fase vapore.
I grafici per l’interpolazione della viscosità: le scale degli assi sono state costruite in modo che la retta tracciata congiungendo due coppie di punti fornisca il valore della viscosità del fluido a qualunque temperatura.
Il calore specifico di alcuni idrocarburi in fase liquida e gassosa.
I valori dello Standard TEMA per il fouling factor.
Alcuni valori indicativi dei coefficienti di scambio, lato tubi e lato mantello, per i fluidi più comuni.
Si allega inoltre un semplice sistema di calcolo per una prima stima delle dimensioni dello scambiatore (superficie di scambio, numero dei tubi, diametro del fascio e del mantello) in funzione dei dati di processo, con un esempio numerico.
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Trasformazioni per le unità di misura dei grafici: Temperatura: °C = (° F − 32) / 1,8 MTD: MTDin°C = MTDin° F / 1,8 Conducibilità termica:
W Btu = 1,73 * m * °C hr * ft * ° F
Conducibilità termica:
kcal Btu = 1,488 * h * m * °C hr * ft * ° F
Viscosità: centiPoise = centiStokes * SG Calore specifico:
dove SG è la densità relativa (Specific Gravity, SG)
kJ Btu kcal = 4,184 * = 4,184 * kg * °C lb * ° F kg * °C
Fouling Factor:
m 2 * °C 1 hr * ft 2 * ° F = * W 5,674 Btu
Fouling Factor:
1 m 2 * h * °C hr * ft 2 * ° F = * kcal Btu 4,882
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API = 141,5 − 131,5 SG
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Coefficienti di scambio (kcal/(h*m2*°C))
ACQUA VAPORE SATURO STEAM SURR. FINO A 50°C STEAM SURR. OLTRE 100°C CONDENSAZIONE HC ISOTERMICA COND HC BASSO RANGE < 10°C COND HC ALTO RANGE > 30°C GAS HC PRESS > 15-20 BAR GAS HC PRESS 3-15 BAR GAS HC PRESS < 2 BAR LIQ HC (COND 0.1 kcal/h m °C) Viscosità < 2 cp Viscosità 2 -7 cp Viscosità 10-30 cp Viscosità > 30 cp EVAPORAZIONE ISOTERMICA EVAP NON ISOTERMICA
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LATO MANTELLO (ho) 5000 - 7000 7000 2000-3000 1000 - 1500 1500 - 2000 900 - 1500 400 - 900 1000 - 1500 500 - 1000 150 - 250
LATO TUBI (hi) 5000 - 8000 (1m/s) 7000 2000-3000 1000 1300-1800 1000 - 1300 600 - 1000 1200 - 1800 600 - 1200 60 - 200
1500 - 2000 800 - 1000 400 - 800 200 - 400 1500 - 3000 1000 - 1500
1000 - 1500 200 - 600 60 - 80 40 - 60 2000 800 - 1200
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Stima delle dimensioni di uno scambiatore Shell & Tubes PROCEDURA
ESEMPIO
Servizio Tipo
Acqua/acqua BEM
Dati di processo necessari Q (Duty) THin (T Ingresso fluido caldo) THout (T uscita fluido caldo) TCin (T ingresso fluido freddo) TCout (T uscita fluido freddo) Ltubi Dtubi hi (coefficiente lato tubi) ho (coefficiente lato mantello) fi fo Passo tubi
kcal/h °C °C °C °C mm mm kcal/(h*°C*m^2) kcal/(h*°C*m^2) (h*°C*m^2)/kcal (h*°C*m^2)/kcal mm
3910000 72 39 29 39 6706 19,05 5000 500 0,0005 0,0005 25,4
°C °C °C
°C
33 10 19,26 0,233 3,30 0,8 15,41
Calcolo di U U = 1 / ( ( 1 / hi ) + ( 1 / ho ) + fi + fo
kcal/(h*°C*m^2)
312,5
Area di scambio A = Q / ( U * CMTD)
m^2
811,867
Superficie del singolo tubo Atubi = pigreco * Dtubi * Ltubi/1000000
m^2
0,4011
Calcolo del CMTD ΔThot = TCout - THin ΔTcold = TCin - THout LMTD = (ΔThot - ΔTcold ) / log (ΔThot / ΔTcold ) P = ( TCout – TCin ) / (THin – TCin ) R = ( THin – THout ) / (TCout – TCin ) Ft DAL GRAFICO CMTD = LMTD * Ft
Numero dei tubi Ntubi = A / Atubi
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2024
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Diametro del fascio tubiero OTLq = 1,11 * Ntubi^0,5 * passo + Dtubi (passo quadrato) OTLt = 1,035* Ntubi^0,5 * passo + Dtubi (passo triangolare) Diametro del mantello Dshellquadrato = OTLq + X + Y Dshelltriangolare = OTLt + X + Y
Dove X è funzione del numero di passaggi, se già stimato. 25 * N° passaggi / 2 con 25 mm come valore minimo Dove Y = 20 mm per scambiatori a teste fisse A/B/M/N/L 45 mm per scambiatori con tubi a U 60 mm per teste flottanti di tipo S/W 125 mm per teste flottanti di tipo T
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mm
1287
mm
1202
mm mm
1332 1247
mm
25
mm
20
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BIBLIOGRAFIA
Standards of the Tubular Exchange Manufacturers Association (TEMA), 9th edition, 2007
R.W. Serth, Process Heat Transfer Principles And Applications, Academic Press, 2007
D.Q. Kern, Process Heat Transfer – International Student Edition, McGraw-Hill, New York, 1950
W.M. Rohsenhow; J.P. Hartnett, Handbook of Heat Transfer, McGraw-Hill, New York, 1973
E.E. Ludwig, Applied Process Design for Chemical and Petrochemical Plants, Gulf Professional Publishing, 2010
HTRI Design Manual, College Station, TX, 2000
J.B. Maxwell, Data Books on Hydrocarbons – Applications to Process Engineering, Robert E. Krieger Publishing, Malabar, FL, 1950
F. Kreith; R.F. Boehm; et. al., Heat and Mass Transfer - Mechanical Engineering Handbook, Ed. Frank Kreith, CRC, Boca Raton, FL, 1999
J.H. Lienhard IV; J.H. Lienhard V, A Heat Transfer Textbook, Phlogiston Press, Cambridge, MA, 2003
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