Corso Di Psicologia Dello Sviluppo (Riassunto) - Bombi
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CORSO DI PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO - BOMBI Per diversi decenni l’idea condivisa da Freud, James; Piaget e Watson è stata quella che le più basilari capacità cognitive fossero assenti alla nascita e venissero gradualmente costruite nel corso dello sviluppo. Invece le capacità percettive presenti alla nascita sono simili a quelle degli adulti o tali diventano (come la visione) nel giro di alcuni mesi; apprendimento e memoria sono in azione già prima della nascita; preferenze innate guidano i bambini verso certi stimoli, in particolare quelli provenienti da altri esseri umani, predisponendoli ad interagire con essi. Solo lo sviluppo motorio avviene in tempi più lunghi, ed è forse da questo che è nata l’idea che i neonati siano inetti. Lo sviluppo prenatale viene suddiviso in tre periodi, denominati 1. Germinale – ha inizio con la fecondazione e termina circa due settimane dopo, quando la piccola massa di cellule, chiamata blastocisti, formatasi dalle successive duplicazioni dello zigote, si impianta nella parete interna dell’utero. 2. Embrionale – che va dalla seconda all’ottava settimana di gestazione; si differenziano i tessuti, si formano gli organi e si delinea la struttura del corpo. In questo periodo si differenziano tre strati di cellule nel disco embrionico: l’ectoderma , l’endoderma e il mesoderma Agli inizi della terza settimana l’ectoderma si piega più volte dando origine al tubo neuronale da cui derivano il cervello e il midollo spinale. Lo sviluppo del cervello avviene in tre fasi; nella prima detta della proliferazione neuronale, vengono prodotti neuroni, nella parte esterna del tubo neuronale. Nella seconda fase della migrazione le cellule si indirizzano nei luoghi appropriati. La terza fase, di organizzazione, consiste nella costruzione dei collegamenti sinaptici tra le cellule: inizia 1
dopo che i neuroni si sono insediati e prosegue per diversi anni dopo la nascita. 3. fetale – tale periodo ha inizio con il terzo mese di gravidanza. L’organismo già differenziato in tutte le sue parti, deve ora solo crescere e perfezionarsi. Solo gli organi sessuali, ancora rudimentali al termine del periodo embrionale, cominciano a formarsi ora. Al termine del sesto mese il feto supera il limite minimo di sopravvivenza in caso di nascita prematura, poiché il sistema respiratorio e il sistema nervoso centrale sono abbastanza perfezionati. Nella corteccia motoria le prime aree a maturare sono quelle che consentono il controllo della testa, della parte superiore del tronco e delle braccia. Le aree si sviluppano con direzione prossimo – distale, cioè dalle parti vicine al tronco a quelle più lontane. Questa sequenza corrisponde a quella della motricità grossolana. I collegamenti tra corteccia e cervelletto, necessari per il controllo volontario della motricità fine, si completano invece verso i quatto anni. La formazione reticolare, che regola il mantenimento dell’attenzione continua a mielinizzarsi fino alla pubertà e forse oltre. Il medico francese Leboyer ha messo a punto una tecnica di parto “senza violenza” tesa ad eliminare quegli aspetti del trattamento ospedaliero che appaiono aggressivi. Pochi minuti dopo la nascita viene di solito effettuata una valutazione complessiva della condizione fisica del neonato mediante la scala di Apgar che attribuisce a cinque indici vitali un punteggio (frequenza cardiaca, sforzo respiratorio, tono 2
muscolare, risposta riflessa e colore). Un punteggio inferiore o uguale a 4 indica che il bambino è a richio. Una scala più ampia è quella di B. Brazelton, impiegata per valutare le condizioni neurologiche. Nelle prime due settimane il neonato dorme circa 16 ore al giorno, ripartite in 7-8 periodi; verso i 6-7 mesi la maggior parte dei bambini riesce a dormire l’intera notte. Alla nascita l’infante è dotato di un repertorio di schemi comportamentali che gli consentono di interagire con l’ambiente, e che comprendono riflessi, azioni congenitamente organizzate, stereotipie ritmiche. I riflessi sono reazioni automatiche e stereotipate a particolari stimoli, es. luce che varia la contrazione della pupilla. Alcuni dei riflessi presenti nei neonati sono stati osservati nel feto, ad esempio il rooting, un riflesso provocato dalla stimolazione tattile della guancia, volgendo la testa verso la stimolazione e aprendo la bocca. Alcuni riflessi sono permanenti e rimangono per tutta la vita, altri sono riflessi neonatali e spariscono completamente durante i primi mesi di vita. I riflessi neonatali sono importanti per la psicologia da due punti di vista: la loro presenza alla nascita e la loro successiva scomparsa al momento giusto sono tra gli indicatori di un normale sviluppo neurologico; inoltre alcuni riflessi costituiscono il fondamento per lo sviluppo degli schemi di comportamento volontario che, nel corso del primo anno di vita, via via li sostituiscono. Le azioni congenitamente organizzate si distinguono dai riflessi per il loro carattere spontaneo, cioè per il fatto di non essere suscitate da stimoli chiaramente identificabili, e per la varietà di forme che possono assumere, adeguandosi al variare delle circostanze. Tra queste le più familiari sono il piangere e il succhiare. 3
Il guardare è un’altra delle azioni congenitamente organizzate, e viene iniziato spontaneamente attraverso una serie di movimenti di scansione. Le stereotipie ritmiche consistono in sequenze ripetute di movimenti, ad es. strofinare i piedi, dondolarsi, scuotere la testa, scalciare, eseguite senza ragione apparente e con cui gli infanti tengono in esercizio muscoli, tendini, nervi. Le capacità di apprendimento dei neonati Per apprendimento si intende un cambiamento nel comportamento o nelle strutture mentali per effetto dell’esperienza. Due sono i tipi di apprendimento studiati in psicologia e sono quelli che avvengono mediante il condizionamento classico e quello operante. Condizionamento classico – I neonati sono recettivi a procedure di condizionamento classico, ma solo se la nuova associazione da apprendere è dotata per loro di qualche valore adattativo, e soprattutto se è legata alla nutrizione. Condizionamento operante – Con tale tecnica è invece possibile consolidare comportamenti spontanei. Un neonato può apprendere a succhiare con maggiore intensità se la suzione vigorosa è rinforzata dall’immissione di un liquido dolce. Il modo diversificato in cui l’infante reagisce alle procedure di condizionamento sia classico che operante nel corso del primo anno di vita, lungi dal dimostrare una passiva recettività all’ambiente, può essere considerato un’ulteriore indicazione della natura attiva del bambino. Abituazione – Con questa parola si indica il graduale attenuarsi dell’intensità, durata o frequenza di una risposta fisiologica o comportamentale alla ripetuta presentazione di uno stimolo. Viene considerata come un’indicazione del fatto che l’infante ha immagazzinato nella memoria delle informazioni sullo stimolo e distoglie da esso la propria attenzione. 4
Un fenomeno opposto è la disabituazione. La velocità di abituazione e disabituazione è attualmente il miglior predittore dello sviluppo intellettuale dei bambini. Imitazione – Si tratta della riproduzione di movimenti, atteggiamenti ecc. di un modello. E’ attraverso l’imitazione delle parole udite che il bambino apprende il linguaggio. Forme meno esplicite di imitazione contribuiscono all’acquisizione di comportamenti appropriati al sesso dei bambini e alla cultura del loro ambiente e sottendono per tutta la vita, senza che ce ne accorgiamo, molti dei nostri comportamenti. L’imitazione costituisce un meccanismo centrale sia nello sviluppo mentale che nell’interazione sociale. Alcuni studiosi ritengono che i movimenti osservati nei bambini siano dei semplici riflessi; altri sono invece convinti che derivino da sforzi intenzionali da parte dei neonati di riprodurre quello che hanno visto. Metodi per lo studio della percezione negli infanti Secondo Baldwin ogni stimolazione di un organismo vivente suscita in esso dei movimenti. A partire dagli anni 60 vi sono state numerose ricerche per capire le reazioni fisiologiche o comportamentali dei bambini. Le tecniche usate si possono raggruppare in due categorie: Tecniche psicofisiologiche, che consistono nella registrazione dell’attività elettrica del sistema nervoso centrale, oppure cambiamenti di frequenza cardiaca, respiratoria, ritmo di suzione. Tecniche comportamentali, che si basano sulla registrazione dei comportamenti come ruotare la testa, osservare più o meno a lungo, muovere gli occhi. Il precipizio visivo di Gibson è una tecnica comportam.
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Le tecniche comportamentali possono essere a loro volta suddivise in quattro categorie: 1. Registrazione dei movimenti oculari 2. Preferenza, consiste nel confrontare il tempo complessivo dedicato all’osservazione di stimoli presentati ripetutamente 3. Risposta condizionante, usata per studiare la percezione uditiva 4. Abitazione e disabituazione La percezione infantile. Nativisti ed empiristi a confronto La percezione è una dei temi di confronto tra la tesi empiristica secondo la quale tutta la conoscenza deriva dall’esperienza, e quella innatista che sostiene l’esistenza di categorie o concetti innati che organizzano l’esperienza. Secondo gli empiristi gli stimoli provocano all’inizio delle sensazioni non ancora collegate in una totalità. Grazie alle ripetute esperienze, avviene il passaggio da sensazioni grezze a percezioni dotate di significato. Secondo la visione empiristica, nel neonato le molteplici sensazioni esperite grazie alla vista, al tatto, ai movimenti del proprio corpo, non dovrebbero ancora essere né organizzate in configurazioni complessive, né collegate in entità multimodali, né tanto meno connesse alla nozione di oggetto. Per Jean Piaget ciò che il neonato avverte è un insieme di flussi non coordinati di immagini e suoni, assieme a sensazioni provenienti dall’interno del corpo, che solo gradualmente, grazie al progressivo coordinarsi delle azioni dell’infante, acquisirà una organizzazione, divenendo una moltitudine di oggetti animati e inanimati, che continuano ad esistere anche quando non sono percepiti, e che si collocano dentro uno spazio comune.
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Il volto materno, associandosi all’esperienza di soddisfazione, diventa così la prima percezione visiva dotata di significato, e costituisce il punto di partenza per l’ulteriore organizzazione del mondo visivo. “Il piccolo, assalito contemporaneamente da occhi, orecchie, pelle e viscere, sente tutto questo come una singola splendente e ronzante confusione” (James 1890) Ben diverso è il punto di vista proposto dagli innatismi, a partire da filosofi come Platone, Cartesio, Kant, fino a E. Gibson e E. Spelke. Secondo il punto di vista innatista, la percezione è fin dall’inizio organizzata grazie a idee o categorie innate che consentono di dare ordine al flusso delle sensazioni trasformandole in percezioni dotate di significato, e di identificare aspetti comuni in percezioni relative a modalità sensoriali diverse. Le ricerche sui neonati testimoniano il notevole grado di sviluppo già raggiunto dalle capacità sensoriali, fatta eccezione per la vista. L’apparato visivo non è ancora maturo al momento della nascita e i neonati incontrano difficoltà anche nell’accomodamento visivo, cioè nel mettere a fuoco degli oggetti a seconda delle distanze modificando la curvatura del cristallino. Manca anche la visione binoculare, che compare verso i tre mesi e mezzo. I neonati possiedono anche la costanza della forma e della dimensione. Già alla nascita sono dunque presenti notevoli capacità percettive, e il loro ulteriore sviluppo si realizza, nel primo anno di vita, con passi da gigante. La più accurata esplorazione visiva consente agli infanti di percepire i volti con crescente accuratezza, tanto da distinguere la madre da un estraneo.
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Tra i 4 e gli 8 mesi cresce ulteriormente l’acuità visiva, che si approssima a quella adulta, e migliora la capacità di seguire con gli occhi anche un oggetto che si muove rapidamente. Contrariamente a quanto sostenuto dagli empiristi, la capacità di mettere in relazione informazioni ottenute attraverso organi di senso diversi (udito, vista e tatto) è presente alla nascita e si perfeziona durante il primo anno di vita. Quella che si realizza già nel neonato è una genuina coordinazione di informazioni che vengono distinte le une dalle altre, e non la costruzione di una totalità indifferenziata in cui, come sostenuto da James le diverse qualità sensoriali si uniscono in modo confuso. Lo sviluppo motorio dalla nascita a due anni C’è un notevole sfasamento tra lo sviluppo percettivo e quello motorio. Mentre le capacità percettive sono già alla nascita simili a quelle adulte, o tali diventeranno nell’arco del primo anno, i neonati possiedono uno scarso controllo dei loro movimenti. Durante i primi due anni i bambini acquisiscono la capacità di sedersi, mantenere la stazione eretta e muoversi nello spazio, a cui ci si riferisce nel loro complesso con l’espressione motricità grossolana perché si tratta di attività che coinvolgono i grandi muscoli di collo, schiena, arti. Parallelamente si sviluppa la capacità di prendere e manipolare gli oggetti, denominata motricità fine, perché coinvolge i piccoli muscoli delle dita. Lo sviluppo motorio influisce su quello cognitivo e sociale e in certi casi fa loro da catalizzatore. Lo sviluppo motorio segue dei principi generali detti anche gradienti di crescita, simili a quelli che sono alla base dello sviluppo fisico. In base alla progressione cefalo-caudale, lo sviluppo motorio procede dall’alto in basso. Per esempio, il controllo dei movimenti 8
oculari e del capo precede quello delle braccia e delle mani; questo a sua volta precede l’uso controllato delle gambe. La progressione prossimo-distale indica invece che il controllo dei movimenti procede dal centro del corpo verso le estremità. Infine, si può chiamare progressione dall’indifferenziato allo specifico la tendenza dei movimenti larghi e grossolani a precedere quelli più fini e coordinati. La combinazione delle progressioni sopra descritte rende conto dell’ordine in cui queste diverse abilità motorie sono acquisite dai bambini, ma non della velocità con cui avviene questo progresso. Le variazioni individuali sono molto ampie. I determinanti dello sviluppo motorio La regolarità con cui avviene lo sviluppo motorio e la possibilità di ricondurlo a principi simili a quelli sottostanti allo sviluppo fisico possono suggerire che esso è determinato geneticamente, e che le sue tappe corrispondono alla maturazione dei centri nervosi o cerebrali che consentono il controllo volontario dei muscoli nelle parti del corpo coinvolte nei diversi movimenti. Le comuni esperienze che i bambini sono in grado di compiere in un ambiente “normale” sono sufficienti ad assicurare la realizzazione delle tappe dello sviluppo motorio. Solo se un ambiente è particolarmente deprivato si assiste ad un grave ritardo. In anni recenti è ripreso l’interesse per lo sviluppo motorio, in un’ottica che non contempla più una contrapposizione tra eredità e ambiente, ma cerca piuttosto di esaminare le molteplici e dinamiche interazioni fra vari fattori che sono alla base dell’emergere di nuove abilità: maturazione del sistema nervoso; cambiamenti nelle proporzioni del corpo o nel rapporto tra la massa grassa e quella muscolare; opportunità di sostegno offerta dall’ambiente; nuove motivazioni che emergono nei bambini spingendoli a imprese in cui non si erano mai cimentati.
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La teoria dello sviluppo cognitivo di Jean Piaget Secondo Piaget, durante i primi diciotto mesi i bambini interagiscono con l’ambiente solo mediante la percezione e le azioni, poiché non sono ancora in grado di evocare mediante il ricordo, l’immaginazione, il linguaggio, oggetti o eventi non presenti percettivamente. Quindi nel primo anno e mezzo di vita i bambini sanno eseguire solo azioni motorie, poi essi diventano capaci di azioni mentali. Man mano che crescono le loro azioni, sia motorie che mentali, diventano sempre più differenziate e coordinate. E’ possibile identificare quattro stadi distinti e qualitativamente diversi: 1. Stadio sensomotorio (dalla nascita a 2 anni circa), le loro azioni di limitano a percezioni ed azioni motorie guidati da schemi sensomotori. Tale periodo è diviso in sei sottostadi, tanto sono numerose ed importanti le conquiste che i bambini riescono ad ottenere in questi primi due anni di vita 2. Stadio preoperatorio (2-7 anni), si formano gli schemi mentali; tuttavia vi è un egocentrismo intellettuale, cioè l’incapacità di differenziare il proprio punto di vista da quello degli altri. 3. Stadio operatorio concreto (7-11 anni), vi è coordinazione degli schemi mentali in strutture d’insieme. I bambini sanno ragionare in termini logici quando si trovano di fronte a problemi concreti, cioè riguardanti oggetti visibili e manipolabili ma commettono errori se i problemi sono presentati solo in forma verbale. 4. Stadio operatorio formale (dopo gli 11-12 anni), è la tappa più avanzata dello sviluppo dell’intelligenza, nella quale è possibile risolvere non solo i problemi presentati in forma verbale, ma anche quelli formulati in modo astratto (es. algebrici). 10
Ognuno di questi stadi viene costruito utilizzando come materiale le abilità presenti in quello precedente o organizzandole in forme più complesse. Non è perciò possibile che gli stadi si susseguano in una sequenza diversa, o che uno di essi venga saltato per passare a quello successivo. Alla base dei progressi cognitivi ci sono gli invarianti funzionali, cioè le funzioni che caratterizzano la vita stessa, essendo presenti in tutti gli esseri viventi. Essi sono l’organizzazione e l’adattamento. L’organizzazione riguarda le relazioni tra un organismo e le sue parti. L’adattamento (termine che Piaget usa con un significato molto diverso da quello darwiniano) riguarda invece le relazioni tra un organismo e l’ambiente e può essere suddiviso in due processi complementari: l’assimilazione e l’accomodamento. L’assimilazione consiste nell’incorporare qualcosa materialmente o cognitivamente, come avviene quando si applica ad un oggetto uno schema motorio o mentale. L’accomodamento riguarda l’azione con cui l’ambiente costringe l’organismo a modificare le azioni ad esso indirizzate, ad es. i movimenti delle dita per prendere un oggetto. L’adattamento c’è quando assimilazione e accomodamento sono in equilibrio, cioè nessuno dei due predomina sull’altro. Uno dei modi in cui gli invarianti funzionali entrano in azione è la reazione circolare, espressione con cui Piaget designa la ripetizione di un’azione originariamente eseguita per caso e che ha prodotto risultati piacevoli o interessanti. Con le nozioni di organizzazione e adattamento Piaget fornisce una visione dei bambini come attivi costruttori delle proprie conoscenze. Queste informazioni non si imprimono su una tabula rasa, né vengono copiate: esse vengono assimilate, a seconda degli stadi di sviluppo, a schemi d’azione motori o interiorizzati, a 11
concetti e concezioni, e questo comporta sempre una trasformazione, una interpretazione. Anche le interazioni sociali promuovono lo sviluppo cognitivo. Il loro contributo più importante consiste per Piaget non tanto nel fornire conoscenze o aiutare a sviluppare nuove abilità, quanto nel costringere i bambini a confrontarsi con desideri e credenze diverse dai propri, e quindi a prendere coscienza delle differenze tra il loro punto di vista e quello degli altri, uscendo così dall’egocentrismo intellettuale. Questo confronto avviene più facilmente tra persone che si trovano allo stesso livello di conoscenza, cioè tra pari. Piaget ha perciò richiamato l’attenzione sull’importanza dei rapporti tra i bambini e i loro coetanei. La nostra percezione delle realtà è organizzata attraverso le categorie di oggetto, spazio, tempo, causa e attraverso la distinzione tra sé ed il mondo esterno. La nozione di oggetto consiste essenzialmente nella tacita credenza che le nostre percezioni sono originate da entità fuori di noi, dotate di esistenza propria, che si muovono in uno spazio in cui anche noi siamo inseriti, interagiscono casualmente le une con le altre, e danno origine a percezioni diverse (tattili, visive, uditive). Per Piaget l’infante di pochi mesi “considera l’immagine che osserva come l’estensione, se non il prodotto, del suo sforzo di vedere”. Piaget ha chiamato questo stato psicologico egocentrismo assoluto o integrale. Coordinando schemi visivi, tattili, uditivi, i bambini giungono gradualmente a riconoscere tutti gli oggetti come cose a sé stanti, indipendenti dalle proprie azioni e percezioni. L’egocentrismo assoluto viene così superato e si compie una tappa importante nella costruzione della realtà: il riconoscimento dell’esistenza di oggetti stabili ad di fuori di noi insieme alla consapevolezza di sé come centro di attività e percezioni e al tempo stesso come corpo che esiste nello spazio e interagisce fisicamente con gli oggetti. 12
Gli stadi del periodo sensomotorio Come già detto il primo periodo, ovvero il periodo sensomotorio si distingue in sei fasi: I stadio (0-1mese): esercizio dei riflessi. Secondo Piaget le uniche strutture di cui l’infante è dotato alla nascita sono schemi riflessi, cioè coordinazioni neuronali innate. Vengono usate attraverso azioni congenitamente organizzate. Durante il primo mese di vita gli infanti si limitano a esercitare questi schemi in modo isolato l’uno dall’altro: succhiano, fissano lo sguardo, manifestano interesse per i suoni ecc. Non esiste ancora, secondo Piaget, ciò che viene chiamata coordinazione intermodale. II stadio (1-4 mesi): i primi adattamenti acquisiti. Oltre a consolidare ulteriormente gli schemi riflessi, l’infante adesso ne acquisisce di nuovi, grazie alle reazioni circolarie primarie. III stadio (4-8 mesi): le relazioni circolari secondarie e i procedimenti per far durare gli spettacoli interessanti. La coordinazione tra visione e prensione e il controllo della visione sui movimenti effettuati con le mani aprono la strada alle reazioni circolari secondarie. Grazie alle reazioni circolari secondarie si formano degli schemi di azioni nuovi, chiamati schemi secondari, che consentono all’infante di produrre degli effetti visivi o sonori scuotendo gli oggetti, strofinandoli gli uni contro gli altri, o anche agitando le braccia o le gambe in modo da muovere la culla. Ciò li induce ad usare come procedimenti per far durare gli spettacoli interessanti delle azioni che in certi casi hanno avuto successo, anche quando di fatto non sono appropriate. Quando non c’è alcun reale collegamento causale tra le azioni dei bambini e gli effetti che essi cercano di ottenere, questi comportamenti secondo Piaget denotano una causalità magico-fenomenistica. IV stadio (8-12 mesi): coordinazione degli schemi secondari e loro applicazione a situazioni nuove. E’ in questo stadio che i 13
comportamenti dei bambini rivelano che le categorie di spazio, tempo, oggetto, causa, cominciano a costruirsi. E’ in questo periodo che i bambini acquisiscono la costanza della dimensione e della forma di cui invece, le ricerche più recenti rivelano la presenza già nei neonati. IV stadio (12-18 mesi): la scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione: Essi scoprono i diversi effetti che le loro azioni possono produrre, le condizioni che devono essere rispettate per conseguire gli effetti desiderati. VI stadio (18-24 mesi): la scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione mentale. Emerge la funzione simbolica (o semiotica o rappresentativa), espressione con la quale Piaget designa la capacità di evocare mentalmente oggetti o situazioni che non sono percettivamente presenti. In conclusione, una varietà di condotte che compaiono dopo i 18 mesi può essere spiegata, secondo Piaget, solo attribuendo a chi le esegue la capacità di evocare mentalmente oggetti o situazioni non presenti e di agire non solo mediante azioni corporee, ma anche attraverso azioni mentali, consistenti nel manipolare delle immagini mentali. La funzione dell’imitazione è essenzialmente quella di arricchire il patrimonio di schemi, tramite esempi, diciamo così preconfezionati, ed è necessaria per l’acquisizione del linguaggio, perché consente ai bambini di appropriarsi delle parole della loro lingua sentendole pronunciare da altri. Il gioco invece assicura il consolidamento degli schemi e gratifica chi vi si dedica mediante l’esercizio di attività che padroneggia bene. Anche lo sviluppo dell’imitazione e del gioco procede per stadi paralleli a quelli dell’intelligenza sensomotoria. 14
Dopo i 18 mesi (VI stadio) la funzione simbolica si manifesta anche nel gioco e nell’imitazione. I bambini diventano capaci di giochi simbolici o di finzione: fingono così di mangiare, bere, dormire, lavarsi. Questi giochi si distinguono dai rituali degli stadi precedenti perché, mentre prima era la vista di un oggetto, ad esempio il cuscino, che induceva i bambini a riprodurre gli schemi, ora non è più necessaria una corrispondenza tra gli oggetti usati e lo schema. I bambini possono fingere che un oggetto sia un altro. Ma la conquista più importante è l’imitazione differita. Le ricerche più recenti hanno identificato già nei neonati o in infanti di pochi mesi abilità che secondo Piaget emergono molto più tardi. La costanza della forma e della dimensione e la coordinazione intermodale sono talmente precoci da non poter essere attribuite all’attività che i bambini effettuano con oggetti, ma piuttosto a una predisposizione innata. Al nativismo dello stato finale proposto da alcuni studiosi secondo cui le nozioni che formano il cardine del pensiero umano sono innate nella loro versione adulta e si manifestano già nei primi mesi di vita, viene opposto un nativismo dello stato iniziale, secondo cui ciò che è innato sono solo delle versioni più primitive di queste nozioni e gli strumenti cognitivi per trasformarle sulla base dell’esperienza. Categorizzazione e suo sviluppo Le conoscenze che la nostra memoria contiene non riguardano soltanto oggetti o eventi singoli, come quelli coinvolti nelle ricerche di cui abbiamo appena parlato. La nostra memoria contiene anche (e soprattutto) informazioni su categorie, cioè insiemi di entità o caratteristiche che condividono qualche aspetto. 15
Appunto a categorie si riferisce la maggior parte dei concetti, ovvero le “unità di base” di immagazzinamento e manipolazione delle informazioni. Le categorie presentano vari gradi di generalità e sono organizzate in gerarchie (chiamate anche “tassonomie” in cui le categorie più generali includono quelle più specifiche. La capacità di categorizzare è presente molto presto, confermando il quadro, già delineato dalle indagini sulla nozione di oggetto e sullo sviluppo percettivo, di un infante dotato di un apparato cognitivo simile a quello adulto e predisposto a strutturare l’esperienza allo stesso modo. Secondo alcuni studiosi i concetti si sviluppano gradualmente, a partire dalle prime categorie percettive che si formano quando gli infanti distinguono dei tipi di entità (ad esempio, cani da gatti) di cui si sanno poco o nulla, sulla base di alcune qualità percettive. Secondo Case ogni comportamento è guidato da “strutture di controllo esecutivo” che comprendono tre componenti: la rappresentazione di uno stato esistente, la rappresentazione di uno stato desiderato, una strategia che indica la serie di passi per conseguire il secondo. Queste strutture corrispondono agli “schemi di Piaget”. Con lo sviluppo, le strategie di controllo esecutivo diventano sempre più lunghe e complesse in ciascuna delle loro componenti: l’analisi della situazione presente si fa sempre più dettagliata, l’obiettivo si articola in una gerarchia di sotto-obiettivi, e la strategia prevede un numero crescente di passi. Gli approcci al linguaggio e alla sua acquisizione Skinner espose la tesi secondo cui il linguaggio è appreso grazie ai medesimi meccanismi che presiedono a ogni altra forma di apprendimento, cioè il modellaggio, l’imitazione, il rinforzo. 16
Secondo Chomsky il linguaggio si basa su meccanismi innati e propri solo all’uomo. “E’ qualcosa che succede al bambino quando è posto in un ambiente appropriato, proprio come il corpo del bambino cresce e matura in un modo predeterminato quando riceve nutrimento e stimolazioni appropriati.” I principi universali comuni a tutte le lingue sono innati e diventano attivi quando maturano i circuiti cerebrali ad essi corrispondenti. Il bambino deve sentire la lingua. Questo processo, chiamato fissazione di parametri è molto diverso dall’apprendimento associativo, perché i valori che i parametri possono assumere sono già prefissati. Nessuno studioso dei nostri giorni sottoscriverebbe la tesi di Skinner. L’alternativa attuale al nativismo è quella di chi sostiene che all’acquisizione del linguaggio concorrano una serie di processi e abilità che non sono propri del dominio linguistico ma derivano dall’integrazione e ricombinazione delle strutture che sottendono ad altre abilità cognitive, percettive, sociali, affettive. Noi abbiamo scelto costruttivismo come termine generico, perché esso sottolinea ciò che accomuna le diverse posizioni, ovvero l’idea che le abilità e le conoscenze linguistiche vengano costruite fondandosi su altre conoscenze. I processi sottostanti allo sviluppo fonologico Diversi sono gli ostacoli che impediscono ai neonati di produrre suoni linguistici, ovvero vocali e consonanti. C’è innanzitutto l’immaturità di alcuni degli organi coinvolti nella fonazione: il tratto vocale del neonato presenta infatti 17
caratteristiche diverse da quelle dell’adulto, riguardo sia alla dimensione che alla forma. Il tratto vocale si modifica notevolmente nel primo anno di vita, e questo amplia progressivamente la gamma di suoni che l’infante è in grado di emettere. Il controllo dei movimenti degli organi coinvolti nella fonazione dipende sia dalla maturazione del sistema nervoso centrale, sia dall’esercizio. L’ultimo ostacolo riguarda la memoria di lavoro. Lo sviluppo fonologico, ovvero l’acquisizione dei suoni della propria lingua madre, avviene nei bambini attraverso una sequenza di frasi suddivise in due periodi: il periodo prelinguistico, antecedente la comparsa della prima parola, e quello linguistico ad esso successivo. Il periodo prelinguistico inizia con la fase dei suoni vegetativi, che comprende le prime settimane di vita. Verso i due mesi inizia quella delle vocalizzazioni non di pianto. Verso i 7 mesi compaiono le prime sillabe. E’ questa la fase della lallazione canonica. La lallazione sembra avere una origine innata: essa si manifesta anche nei bambini sordi dalla nascita. Verso i 10-12 mesi, l’infante entra nella ultima fase dello sviluppo fonologico preverbale, quello della lallazione variata. La gamma dei suoni si amplia, risentendo anche dell’influsso dell’ambiente. La maggior parte degli studiosi ritiene che essa faciliti la successiva acquisizione del linguaggio, attraverso l’esercizio di suoni che confluiranno poi nelle parole vere e proprie. Gli adulti cercano di aiutare i bambini sostituendo le parole più lunghe con parole più semplici. A tre anni la maggior parte dei bambini italiani padroneggia tutti i fonemi della lingua italiana.
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L’evoluzione ha prodotto bambini che sono capaci di farsi trattare dai loro genitori come se fossero più intelligenti di quanto effettivamente non siano. Sosterrò che è proprio perché i genitori si prestano a giocare questa finzione che essa, alla fine, si avvera: il bambino, cioè diventa una persona e un partner intelligente nella comunicazione intrasoggettiva. La comunicazione, almeno per quanto riguarda l’infante, è ancora preintenzionale. La comunicazione intenzionale compare verso gli 8 mesi. Le prime intenzioni comunicative che i bambini riescono ad esprimere sono la richiesta, quando essi cercano di indurre qualcuno a fare qualcosa, e la dichiarazione, quando cercano di coinvolgere un adulto nel loro interesse per qualche cosa, indicandola. La comunicazione linguistica fa infine la sua comparsa verso i 12 mesi, quando assieme a gesti e vocalizzi i bambini cominciano a usare le prime parole. Diversi studiosi denominano olofrasi queste prime espressioni. A un certo punto, verso i 12 mesi, i bambini usano in modo coerente certe sequenze di suoni: es “am am” quando si mangia; queste sequenze che non corrispondono ad alcuna parola nel linguaggio adulto vengono chiamate protoparole, in modo da riservare il termine parole a quelle che riproducono, seppur con deformazioni i vocaboli usati dagli adulti. Le prime parole che i bambini usano sono molto legate a specifici contesti. Un’altra caratteristica delle prime parole è di fare parte integrante delle azioni in corso: i bambini le usano per indicare, descrivere, commentare quello che sta succedendo, o per esprimere un desiderio, e non ancora per riferirsi ad oggetti o situazioni non presenti. 19
Le prime parole denotano un livello di categorizzazione che è stato definito di base. Le categorie di base sono quelle che corrispondono alle differenze percettive più evidenti, e risultano di più facile apprendimento anche per gli adulti. Il fatto che il bambino usi un certo termine non vuol dire che dà lo stesso significato dell’adulto. Qualche termine verrà usato per riferirsi ad un insieme di oggetti molto più ampio; ci sarà sovraestensione (es. cane per indicare tutti gli animali). La sovraestensione sembra dunque un espediente a cui i bambini ricorrono per compensare la limitatezza del loro lessico. Vi è anche il fenomeno opposto, la sottoestensione. Non sappiamo se ciò avviene per il significato ristretto della parola o semplicemente perché non ha voglia di dirla. Quando noi sentiamo una parola nuova le ipotesi che formuliamo sono limitate, altrettanto fanno i bambini. Secondo Markman tre sono i vincoli particolarmente importanti per il bambino: 1. quello dell’oggetto intero 2. quello tassonomico 3. quello dell’esclusione reciproca Il vincolo dell’oggetto intero stabilisce che una parola si riferisce ad un oggetto nella sua totalità. Il vincolo tassonomico stabilisce che una parola denota una categoria, non un singolo oggetto oppure un raggruppamento tematico. Il terzo vincolo, quello dell’esclusione reciproca, stabilisce che ogni cosa ha un nome solo. 20
Tra i due e i tre anni gli enunciati di due parole diventano sempre più frequenti, mentre diminuiscono parallelamente quelli di una sola parola e compaiono preposizioni, articoli, congiunzioni, avverbi. Entro i tre anni e mezzo, quasi tutti i bambini sanno ripetere correttamente delle frasi pronunciate da un adulto senza omettere delle parti. Per quanto riguarda i modi e le forme temporali dei verbi, i primi a comparire sono il presente indicativo e l’imperativo, seguito dal passato. Lo sviluppo emotivo Durante il primo anno di vita i bambini esibiscono diverse emozioni e mostrano, attraverso le loro reazioni, di comprendere quelle degli altri: sorridono se qualcuno sorride, si rabbuiano o manifestano disagio se vedono un volto triste o inespressivo. Le emozioni degli altri diventano, verso i 12 mesi, una fonte d’informazione su oggetti o situazioni sconosciute: un sorriso è un invito ad esplorare o avvicinarsi, un’espressione spaventata segnala un pericolo, una di disgusto vuol dire che c’è qualcosa di sporco. Verso i 18 mesi compare la coscienza di sé e la capacità di riflettere su se stessi, il repertorio di emozioni si amplia e i bambini cominciano a sperimentare imbarazzo, invidia, empatia. La valutazione delle proprie azioni come buone o cattive, e dei loro risultati come conformi o meno alle aspettative, suscita a seconda dei casi, orgoglio, senso di colpa o vergogna. Esistono notevoli differenze individuali nella tendenza a provare emozioni positive o negative con diversa frequenza e intensità. Queste differenze si riscontrano già nei primi mesi di vita, assieme ad altre che riguardano ulteriori dimensioni, come attenzione e livello d’attività. Nel loro insieme queste dimensioni consentono di identificare vari tipi di temperamento, che formano la base per il successivo sviluppo della personalità.
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Il Sé e le sue articolazioni La prima distinzione proposta da W. James è quella tra Io e Me. Quando pensiamo a noi stessi, riflettiamo su qualcosa che ci è successo, ci confrontiamo con qualcun altro, pensiamo a quello che vorremo essere, c’è un io che è l’agente, cioè colui che pensa, riflette, e un Me che è l’oggetto di questa riflessione, di questo pensiero. Il fatto di essere agente, per l’Io, non si limita alla sfera del pensiero, ma si estende a tutto ciò che facciamo: camminare, guardare, sforzarsi di fare qualcosa. Secondo James questo comprende varie componenti: Un Sé materiale Una serie di Sé sociali Un Sé spirituale Sé attuali Sé possibili o potenziali Per Mead il Sé è considerato una costruzione sociale: l’immagine che un bambino sviluppa di se stesso deriva da quelle che le persone per lui significative gli trasmettono attraverso la comunicazione non verbale e quella verbale. Gli altri costituiscono così una specie di specchio, grazie al quale possiamo conoscere la nostra immagine. I sentimenti rivolti al Sé sono un riflesso di quelli che ci vengono comunicati dagli altri. L’autostima si sviluppa grazie alla percezione della considerazione altrui. Questo approccio viene denominato interazionismo simbolico. Ma che cos’è il Sé? Seguendo una prospettiva che accomuna la maggior parte degli studiosi contemporanei, potremmo definirlo in base alle sue funzioni, ossia come l’istanza psicologica che consente a ciascuno di noi di integrare le proprie esperienze, sia tracciando un confine tra ciò che è pertinente all’individuo e ciò che perviene al resto del mondo, sia assicurando la continuità tra 22
esperienze che avvengono in momenti diversi, condizione necessaria per l’identità individuale. In sintesi potremo dire quindi che il Sé è ciò che ci consente di definire noi stessi e la realtà esterna. Il primo indizio di un Sé consapevole (il Me) è costituito dal riconoscimento del proprio aspetto fisico. La consapevolezza di sé ha anche altre manifestazioni: la gamma di emozioni che i bambini possono sperimentare si arricchisce con la comparsa delle emozioni autocoscienti; i bambini manifestano una crescente determinazione nel far valere la propria volontà nei confronti degli adulti, e al tempo stesso anche un crescente autocontrollo, la capacità cioè di resistere ai propri impulsi per agire in conformità alle richieste dei genitori. C’è un notevole disaccordo sul modo in cui si sviluppano le emozioni. Si possono identificare due punti di vista principali. Secondo la teoria della differenziazione, i neonati provano solo una generica eccitazione. Una serie di emozioni distinte (es. gioia, paura) emergono successivamente, man mano che lo sviluppo cognitivo e quello sociale consentono ai bambini di valutare gli eventi. Lo sviluppo emotivo, in quest’ottica, è dunque subordinato a quello cognitivo. La teoria differenziale invece distingue tra due tipi di emozioni: quelle fondamentali e quelle complesse. Le emozioni fondamentali (chiamate anche primarie) sono presenti anche negli animali a noi più vicini; esistono già alla nascita o compaiono al primo anno di vita. Le emozioni complesse compaiono successivamente e, a differenza delle prime, sono presenti solo negli esseri umani. Secondo alcuni studiosi esse derivano da una combinazione di emozioni primarie, secondo altri esse hanno come base la coscienza di sé. 23
Di recente è stato proposto l’approccio funzionale o organizzazionale, che potrebbe essere visto come una sintesi dei precedenti. Esso sostiene che l’organizzazione generale delle emozioni è presente in forma rudimentale poco dopo la nascita o nelle prime settimane di vita, ma tutte le sue componenti si sviluppano, diventando più complesse, differenziate e regolate, grazie a dei processi simili a quelli che presiedono allo sviluppo cognitivo. Le espressioni che si osservano nei primi mesi di vita non corrispondono ad emozioni vere e proprie, ma a prototipi fisiologici. Il prototipo fisiologico è presente nei primi mesi di vita e pur condividendo alcune caratteristiche di precursori ed emozioni, ha cause e manifestazioni diverse. Il prototipo è evocato da aspetti puramente fisici e quantitativi alla stimolazione. Dopo i 6 mesi paura e rabbia si manifestano senza equivoci, con le peculiari espressioni del volto, con la cessazione del gioco e a volte con il pianto. Lewis le chiama le emozioni esposte perché richiedono che si rivolga l’attenzione su noi stessi, esponendo il proprio Sé allo sguardo proprio o altrui. Le emozioni esposte comprendono imbarazzo, invidia, gelosia e empatia. Vari comportamenti indicano la presenza di queste emozioni nei bambini di 2 anni. Un altro importante gruppo di emozioni sociali è costituito da orgoglio, senso di colpa, vergogna, che possono essere definite emozioni autocoscienti valutative, perché originate da un confronto tra un proprio comportamento e delle norme sociali.
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Le emozioni autovalutative e i comportamenti di autoregolazione compaiono nella maggior parte dei bambini dopo la capacità di riconoscersi e di descriversi, e hanno uno sviluppo più lento. L’intervento dei genitori è di fondamentale importanza: evitando che i bambini arrivino a provare emozioni troppo intense, essi li aiutano ad acquisire la capacità di regolare le proprie emozioni prima che queste raggiungano dei picchi sui quali è difficile intervenire con successo. La suzione non nutritiva è un potente regolatore degli stati neurocomportamentali degli infanti, che agisce riducendo la frequenza del battito cardiaco, inibendo lo stato di attività e aumentando la durata di quelli di calma e inerzia. Comprendere le emozioni è perciò una condizione necessaria per interagire efficacemente con gli altri, evitando di ferirli e farli arrabbiare e suscitando interesse, simpatia e gioia. Le espressioni emotive delle persone a più diretto contatto con i bambini possono dunque precocemente influire non solo sulle emozioni che essi stessi provano, ma anche sulla loro disponibilità ad esplorare l’ambiente. L’empatia può essere definita come una risposta affettiva che sorge dalla percezione o dalla comprensione dello stato emotivo della situazione di un’altra persona, ed è simile a quello che la persona sta provando o ci si può aspettare che provi. Le differenze temperamentali contribuiscono in modo rilevante allo sviluppo socioemozionale e della personalità. In effetti la formazione della personalità può essere vista come il risultato di meccanismi mediante i quali quegli attributi temperamentali che sono parte dell’eredità genetica di ciascun individuo accumulano 25
forza di risposta mediante ripetuti rinforzi e vengono elaborati in strutture cognitive fortemente prioritarie. Il rapporto tra gli infanti e la persona che si prende primariamente cura di loro è fondamentale, perché destinato a lasciare la sua impronta su tutti gli altri successivi rapporti emotivamente coinvolgenti. Il sistema comportamentale dell’attaccamento induce a cercare e mantenere la vicinanza con un particolare individuo, ed è all’origine dei legami affettivi e delle intense emozioni che accompagnano le loro vicissitudini. La capacità di stringere legami emotivi intimi con altre persone, talvolta nel ruolo di chi richiede le cure e talvolta nel ruolo di chi le fornisce, è considerata una delle caratteristiche principali di un funzionamento efficace della personalità e della salute mentale. Nel modello operativo del mondo che ciascuno si costruisce, una caratteristica chiave è il concetto di chi siano le sue figure di attaccamento, di dove le si possa trovare, e del modo in cui si può aspettare che reagiscano. Analogamente, nel modello operativo dell’Io che ciascuno costruisce, una caratteristica chiave è il concetto di quanto egli stesso sia accettabile o inaccettabile agli occhi delle sue figure di attaccamento. La Strange Situation è uno strumento per identificare e misurare i diversi tipi di attaccamento. Condensa in una ventina di minuti diverse esperienze particolarmente indicate per mettere in evidenza il tipo di legame esistente tra il bambino e la madre (o altre figure di attaccamento) Bowlby è arrivato alla conclusione che gravi disturbi psichici sono associati a una frequenza insolitamente alta di separazioni nei primi anni di vita, o a impossibilità di stabilire rapporti di 26
attaccamento per il precoce affidamento a orfanotrofi o altre istituzioni. Tra le cause dei tipi di attaccamento che i bambini instaurano ci sono i bambini stessi che, come abbiamo visto, già al momento della nascita hanno un proprio temperamento, che può rendere più o meno facile, difficile e, in certi casi, estremamente difficile il prendersi cura di loro. Bisogna diagnosticare l’attaccamento dell’infante sulla base di maggiori informazioni di quelle che si possono ottenere con la Strange Situation, esaminarlo anche in età successive, e raccogliere una maggior quantità di informazioni sugli eventi importanti che si sono verificati tra le diverse misurazioni. Una tesi centrale della teoria dell’attaccamento è che la sicurezza dell’attaccamento fin dai primi anni di vita assicura ai bambini la fiducia in se stessi e nelle altre persone che costituisce una premessa per un armonioso sviluppo sociale e cognitivo. La teoria dell’attaccamento, fondando l’origine dei legami affettivi sui bisogni diversi dall’alimentazione e le cure fisiche, richiama l’attenzione sul ruolo del padre e delle altre persone con cui il bambino viene in contatto. A far sì che una persona assuma questo ruolo non è la quantità di tempo trascorso con l’infante o il fatto di pulirlo e nutrirlo, ma la prontezza nel rispondere ai suoi richiami e alla sua disponibilità a interegire sorridendo, giocando, coccolandolo. Non è la quantità di tempo passato al nido, ma la qualità delle esperienze ad esso associate a costituire un fattore di rischio. Un asilo nido ben organizzato, con educatrici competenti, abbastanza numerose da potersi dedicare a fondo a ciascun bambino, stabilmente inserite nella struttura e in costante rapporto 27
con i genitori, ha effetti eccellenti sul bambino, dal punto di vista cognitivo e sociale, effetti che si estendono agli anni della scuola dell’infanzia e anche oltre, nella media fanciullezza e nell’adolescenza. LA PRIMA FANCIULLEZZA La prima fanciullezza è il periodo compreso tra i 2 e i 6 anni, e per questo viene chiamata “età prescolare”. Un’altra denominazione usata spesso è “età del gioco”, a indicare non solo che in questo periodo il gioco è l’attività a cui i bambini si dedicano con il massimo entusiasmo, ma anche che essa non è un semplice passatempo bensì un alimento indispensabile della loro vita intellettuale, emotiva e sociale. I dati e le formulazioni teoriche di Piaget che riguardano questo periodo, sono dispersi in un grande numero di volumi e articoli, sono dunque più numerosi, eterogenei e difficili da sintetizzare rispetto a quelli relativi al periodo sensomotorio. Fra i due e tre anni i bambini usano espressioni composte da un numero via via crescente di parole. Con l’aumentare della lunghezza degli enunciati aumenta anche la loro complessità, tanto da dar luogo a una esplosione della grammatica. Il linguaggio egocentrico è una specie di pensiero ad alta voce, una tappa fondamentale per giungere al pensiero silenzioso (o linguaggio interiore) delle età successive. Durante i primi anni dell’età prescolare aumentano la quantità di tempo che i bambini dedicano al gioco simbolico o di finzione e la complessità e varietà di forme che questo assume. Durante il secondo anno di vita i bambini cominciano ad eseguire vari tipi di scarabocchio, cioè dei tracciati che derivano da 28
movimenti del braccio o delle mano. Gli scarabocchi non nascono da un intento rappresentativo, ma dal piacere di lasciare una traccia sul foglio. Diversamente dal linguaggio, che si sviluppa su una base innata, il mondo delle immagini grafiche richiede un apprendimento. Il primo passo è costruire un sistema di denotazione che istituisca una corrispondenza tra segni e oggetti: non è un’impresa semplice, avendo a disposizione solo le rudimentali forme chiuse, linee e punti o combinazioni di elementi. Fino ai 7 anni circa i bambini continuano di solito a comporre la figura a blocchi: un tondo per la testa, un ovale o un rettangolo per il tronco, delle strisce per gli arti, dita delle mani “a petalo” e così via. La conquista della funzione simbolica segna, secondo Piaget l’ingresso in una nuova fase della vita: ora il bambino e la bambina sono molto più simili agli adulti di quando erano totalmente legati al presente dall’impossibilità di ricordare il passato, prevedere e progettare il futuro, evadere dai confini della realtà attraverso la fantasia, comunicare i propri pensieri e sentimenti attraverso il linguaggio, il gioco simbolico, il disegno. Nel sostenere che i concetti dei bambini sono radicalmente diversi da quelli degli adulti Piaget vede i concetti nella loro forma matura con le seguenti caratteristiche: Sono rappresentazioni mentali di insiemi di oggetti o eventi, cioè di categorie Sono costruiti dalla elencazione delle proprietà distintive Sono collegati gli uni agli altri attraverso due principi: la classificazione gerarchica e la classificazione incrociata 29
Per tutta l’età prescolare, le rappresentazioni mentali dei bambini, secondo Piaget, non possiedono alcuna di queste proprietà, e perciò non sono neppure veri e propri concetti, ma preconcetti. Secondo Piaget, nei bambini fra i 2 e i 4 anni, i preconcetti non solo sono privi di un’organizzazione gerarchica o per incrocio, ma spesso non denotano neppure delle classi, rimanendo a mezza via tra la denotazione di un insieme e la rappresentazione di singoli individui. I concetti secondo Piaget continuano a lungo a mancare di organizzazione gerarchica e incrociata, e per questo i bambini non sono in grado di effettuare dei ragionamenti né deduttivi né induttivi. Quello che fanno invece è passare dal particolare al particolare, un tipo di ragionamento che Piaget chiama transduzione. Le operazioni di seriazione consistono nell’individuare e collegare le diverse gradazioni in cui una certa proprietà è presente in oggetti o eventi diversi; esse riguardano cioè delle differenze che possono essere espresse con i termini “più” e “meno”. Le difficoltà che impediscono ai bambini in età prescolare di affrontare con successo sia i compiti di classificazione che quelli di seriazione possono essere riassunti con la parola irreversibilità, che vuol dire la mancanza di reversibilità, cioè impossibilità di annullare, invertire o compensare un certo risultato. Una delle manifestazioni più evidenti dell’irreversibilità del pensiero viene messa in luce dai compiti di conservazione, forse i più noti e usati tra quelli ideati da Piaget. Es. pallina che viene trasformata in salsiccia. Le risposte errate dei bambini evidenziano alcuni effetti della mancanza di reversibilità: l’attenzione è centrata, cioè si sofferma su una sola caratteristica alla volta, considera gli stati anziché le trasformazioni che li hanno provocati, e i bambini di 30
conseguenza vengono fuorviati dagli aspetti più appariscenti della realtà percettiva. Secondo Piaget la caratteristica più generale del pensiero preoperatorio, che riassume tutte le altre e da cui esse derivano, è l’egocentrismo intellettuale, cioè la tendenza a prendere il proprio punto di vista momentaneo come assoluto, senza considerare la possibilità che ne esistano altri. Per vedere se i bambini distinguono tra il mondo esterno ed quello interno, soggettivo, o se invece li confondono, attribuendo all’uno caratteristiche proprie dell’altro, Piaget ha intervistato centinaia di bambini tra i 4 e i 14 anni con la tecnica del colloquio clinico. Nelle concezioni sul mondo fisico, la confusione tra realtà esterna, oggettiva, e realtà psichica, soggettiva, si manifesta secondo Piaget attraverso tre tendenze: animismo, artificialismo e finalismo. Per animismo Piaget intende la tendenza a considerare i corpi come vivi e dotati di intenzioni (anche gli oggetti). L’artificialismo è la tendenza a considerare le cose come il prodotto dell’attività umana emerso nelle interviste sull’origine di varie entità naturali. Per finalismo si intende la tendenza a spiegare gli eventi individuando il fine che essi consentono all’uomo di realizzare. Alla concezione solistica della mente, proposta da Piaget, si è contrapposta quella pluralistica secondo cui i bambini possiedono miriadi di abilità e conoscenze distinte. I bambini vengono al mondo già dotati di alcune teorie rudimentali (una fisica e una psicologia ingenue e una teoria dei numeri). Altre teorie, tra cui la biologia, compaiono negli anni successivi. Le teorie innate consentono agli infanti di collegare e interpretare le informazioni che ricevono dall’ambiente e dalle 31
proprie azioni, e rendono possibili i progressi, altrimenti sorprendenti che si realizzano nei mesi e negli anni successivi. La teoria della mente dei bambini di due anni ha come fulcro la nozione di desiderio; solo verso i 4 anni compare quella di credenza, che consente una spiegazione più complessa sia dei comportamenti, sia delle emozioni: quelle positive sono suscitate dalla realizzazione di desideri e quelle negative dalla loro delusione. I concetti disposizionali della psicologia sono i tratti di personalità, come aggressivo, gentile, generoso, avaro, intelligente, onesto, allegro. Una biologia ingenua è presente non solo negli adulti ma anche, in misura crescente, nei bambini dai 7-8 anni in poi. Si tratta di una teoria che qualcuno ha denominato “dei contenitori”, perché agli organi conosciuti viene attribuita una duplice funzione: sia contenitore delle sostanze come acqua, aria, cibo, sia provocarne il movimento, agendo come una pompa. Sebbene vari processi interni aiutino i bambini in età prescolare a sviluppare e mantenere una visione positiva di sé, essa richiede anche il sostegno delle persone più vicine, perché molte informazioni circa le proprie capacità e il proprio valore i bambini le ricevono dagli altri significativi, cioè le persone che svolgono un ruolo importante nella loro vita. Il concetto di sé può dunque essere considerato come una teoria specifica, e la teoria cornice entro cui essa si colloca è la psicologia ingenua o teoria della mente. L’idea che, a qualsiasi età, una persona ha di sé, riflette le sue concezioni sui processi mentali e sulle caratteristiche e le origini dei tratti che distinguono le persone le une dalle altre. 32
Secondo la teoria dell’entità, le persone possiedono delle qualità o tratti permanenti che hanno origine innata, sono difficilmente modificabili e sono rivelate dal comportamento. La teoria incrementale invece ritiene che le persone possiedano delle potenzialità su cui influisce l’ambiente e che possono essere modificate con l’impegno personale. Il fatto che l’intelligenza non rientra tra i parametri con cui i bambini valutano se stessi o le altre persone non vuol dire però che essi non facciano delle valutazioni, usano semplicemente dei parametri diversi: al centro delle loro preoccupazioni si trovano la cattiveria e la bontà. La capacità di rappresentare se stessi consente ai bambini di nutrire dei sentimenti anche nei propri confronti, di avere cioè una autostima. Anche se a questa età i bambini non sono in grado di verbalizzarla, essa può venire inferita dal loro comportamento: l’autostima è tanto più elevata quanto più i bambini sono curiosi, attivi, socievoli. Il senso di colpa è probabilmente la più studiata tra le emozioni autocoscienti, per il ruolo che, a partire da Freud, le è stato attribuito sia nello sviluppo della moralità, sia nella genesi di vari disturbi mentali. Nella vergogna la valutazione negativa è indirizzata alla nostra intera persona mentre nel senso di colpa il giudizio sfavorevole riguarda una specifica azione. Il senso di colpa di spinge a riparare al malfatto, oppure a chiedere scusa. La vergogna invece ci fa venir voglia di nasconderci, scomparire. E’ possibile identificare due tipi di sensi di colpa: quello predisposizionale e quello cronico. Il primo consiste nella tendenza a provare senso di colpa, anche molto intenso, in circostanze appropriate; il secondo nella tendenza a sentirsi sempre in colpa. 33
Alla base della vergogna c’è l’imbarazzo, e quindi la focalizzazione su di sé, mentre il senso di colpa deriva dall’empatia, nella quale l’attenzione è concentrata sull’altro. A tre anni i bambini conoscono i nomi delle emozioni fondamentali, come felice, triste, arrabbiato, spaventato, e li sanno accoppiare a delle storie che descrivono le circostanze che tipicamente le suscitano. A volte le emozioni vengono nascoste o dissimulate in ottemperanza a regole di esibizione che, entro una data cultura o sottocultura, stabiliscono quali stati d’animo si possono o si devono manifestare in una certa situazione e nei confronti di certe persone; oppure vengono celate per evitare di essere presi in giro o comunque danneggiati dalla rivelazione di quello che si prova. Funzioni emotive del gioco Secondo Spencer il gioco è un mezzo con cui gli animali superiori e l’uomo stesso si liberano del surplus di energia che rimane loro dopo aver eseguito le azioni necessarie alla propria sopravvivenza. Un punto di vista opposto fu proposto da Lazarus, secondo cui il gioco serve al rilassamento, essendo un’attività libera dalle costrizioni e dai vincoli del lavoro. Secondo molti autori il gioco è innanzitutto una specie di palestra di sviluppo. Piaget distingue il gioco simbolico in tre stadi: 1. compensazione (il bambino corregge la realtà, dando un lieto fine ad un episodio finito male) 2. liquidazione (riproduce un episodio sgradevole come per dominarlo, es. fare una iniezione) 3. anticipazione (anticipano rappresentandolo qualcosa che temono o desiderano) Lo sviluppo morale 34
Secondo Locke non esistono principi innati alla base della moralità. Norme come quelle che impongono di rispettare la vita, onorare i contratti, e di agire secondo giustizia, nascono e vengono seguite per la loro utilità nel regolare i rapporti tra persone e rendere possibile la convivenza. I bambini acquisiscono i principi che vengono loro inculcati, e poiché ciò avviene molto precocemente, si convincono, quando sono più grandi, di averli sempre posseduti. Un punto di vista opposto fa derivare la moralità da tendenze innate che fanno parte del comune patrimonio umano. Secondo Kant la moralità viene imperniata su dei principi che consentono di giudicare e guidare le azioni. A questa tradizione si richiama Piaget. Le emozioni delle persone significative incanalano i bambini verso il mondo delle regole sociali. Nell’empatia ci sono notevoli differenze individuali: c’è chi è indifferente alla sofferenza altrui, chi reagisce con un disagio personale che lo spinge a evitare le persone in difficoltà, e chi invece prova quella simpatia che costituisce una spinta a dare aiuto. Bandura ha catalogato i meccanismi di disimpegno morale. I primi tre meccanismi che agiscono sulla valutazione della condotta sono: 1. la giustificazione morale – es. abbattimento tiranno 2. il confronto vantaggioso – es. il massacro della guerra in Vietnam è inferiore ai danni del comunismo 3. l’etichettamento eufemistico - fuoco amico, danni collaterali I due meccanismi successivi consistono nel minimizzare la propria responsabilità, attribuendola ad un altro agente oppure distribuendola: 35
spostamento della responsabilità – es. ho solo eseguito gli ordini diffusione della responsabilità – es. linciaggio. Altri studiosi introducono il termine “razionalizzazione” introdotto da Freud, per indicare in generale le giustificazioni delle proprie azioni che una persona si costruisce, quando ne ignora i reali moventi. Le razionalizzazioni vengono distinte in “giustificazioni” e “scuse”. Con le giustificazioni ci si assume la responsabilità dell’azione ma se ne nega la gravità. Con le scuse invece si riconosce la gravità ma si nega o si attenua la propria responsabilità. Le prime regole a venire imposte riguardano la sicurezza dei bambini stessi, con i divieti di fare o toccare cose pericolose; con l’età prescolare i bambini vengono introdotti alle regole di pulizia, di comportamento nei confronti degli altri bambini, e di buona educazione. Anche se può apparire paradossale, il progresso dell’obbedienza va di pari passo con quello della disobbedienza. Tra i due e i cinque anni, dal rifiuto semplice, agito senza commenti o sottolineato scotendo la testa o dicendo “no”, si passa alla capacità di sfidare l’adulto direttamente, facendo di proposito ciò che viene in quel momento proibito, ed infine a strategie sempre più complesse di negoziazione. L’obbedienza, per quanto desiderabile per i genitori, non è che l’inizio di un lungo cammino verso l’autocontrollo, necessario per attenersi a regole morali senza una supervisione esterna.
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Fino a 8-9 anni i bambini considerano più cattivo chi ha prodotto il danno più grosso; dopo questa età invece essi danno maggior peso alle intenzioni. Sembra dunque che durante la fanciullezza siano presenti due tipi di concezioni morali: Quelle di tipo eteronomo prevalgono fino agli 8 anni, e sono caratterizzate dal fatto che “il bene si identifica rigorosamente con l’obbedienza” cioè con l’accettazione delle regole proposte dagli adulti. La morale autonoma comincia ad affermarsi verso i 9 anni. Essa non è costituita da un complesso di prescrizioni, ma dal bisogno di trattare gli altri così come si vorrebbe essere trattati, e da un ideale di giustizia sentito come propria interiore esigenza. La nozione che più compiutamente esprime la morale autonoma è, per Piaget, quella di giustizia. Analizza due distinte accezioni di giustizia, quella relativa al rapporto tra colpa e punizione (giustizia retributiva) e quella che riguarda l’uguaglianza tra le persone nella spartizione di risorse o nella divisione di compiti (giustizia distributiva). Piaget è giunto ad individuare tre periodi nello sviluppo dell’idea di giustizia. Fino ai 7-8 anni, è giusto tutto quello che stabilisce l’adulto, anche se può comportare ineguaglianze nella spartizione di risorse e incombenze. Tra gli 8 e gli 11 anni i bambini fanno coincidere la giustizia con l’uguaglianza e affermano che bisogna dare a tutti la stessa quantità di beni o di incombenze. Gli adulti ora non sono più il fondamento di moralità e giustizia, ma devono anzi attenersi a loro volta al criterio dell’uguaglianza. Dopo gli 11-12 anni infine i ragazzi temperano la nozione di uguaglianza, che comporta una spartizione di risorse o incombenze in cui ognuno conta come gli altri, con quella di equità, che tiene invece conto delle differenze tra individui o tra le circostanze in cui essi si possono trovare. 37
La teoria dei sistemi ecologici La teoria dei sistemi ecologici di Bronfenbrenner ci aiuta a comprendere meglio i diversi aspetti dell’ambiente che hanno rilevanza per lo sviluppo umano. “le caratteristiche di una persona in un determinato momento della sua vita sono una funzione congiunta delle caratteristiche della persona e dell’ambiente lungo il corso della vita di quella persona fino a quel determinato momento.” L’ecologia psicologica è l’insieme delle condizioni esterne in grado di influire sullo spazio di vita ad un momento dato. Le nicchie ecologiche sono le regioni dell’ambiente che risultano particolarmente favorevoli o sfavorevoli per lo sviluppo. Il livello centrale è quello dei microsistemi, entro i quali le unità interpersonali minime costituite da diadi (es-. madre-bambino) si rapportano al loro interno e con altre diadi con significative interazioni dirette. Il fatto che tra i microsistemi diversi esistano dei rapporti istituisce il livello di analisi successivo, quello del mesosistema, che può essere definito come un sistema di microsistemi – es. la famiglia, l’asilo nido. In entrambi i casi, ciò che avviene in uno di questi contesti influisce in qualche misura sulla situazione che il bambino vive nell’altro contesto. Diversamente dal mesosistema, l’esosistema è costituito dall’interconnesione tra due o più contesti sociali, almeno uno dei quali è esterno all’azione diretta del soggetto familiare – es. il rapporto tra vita familiare ed il lavoro dei genitori. Infine, ad un maggior livello di generalità e astrazione (la matrioska più grande che contiene tutte le altre), troviamo i macrosistemi, che comprendono le istituzioni politiche ed economiche, i valori della società, la sua cultura. 38
La relazione fraterna è caratterizzata molto spesso da un coinvolgimento ambivalente, per cui la condivisione positiva di giochi ed esperienze si affianca spesso anche il conflitto, la discussione, la lite. Che cos’è un gruppo? Affinché il gruppo si distingua da un’aggregazione casuale, ciascuno dei componenti deve giungere in qualche modo a “sentirsi parte” di esso come di un’entità reale, entro la quale esistono degli obiettivi condivisi e delle norme di comportamento, anche tacite, a cui ci si aspetta che ognuno si adegui. Entro un gruppo è possibile poi individuare delle strutture: strutture affettive, determinate dalle simpatie e antipatie tra gli individui strutture di potere, relativi ai modi in cui uno o più membri possono influenzare il comportamento degli altri strutture di ruolo, dove a ciascuno sono assegnati compiti specifici. Basandosi su studi etologici Stayer ha identificato una lista di comportamenti Affiliativi – cioè tendenti a mantenere la prossimità tra i membri dei gruppo Aggressivi – cioè dannosi per gli altri e potenzialmente antisociali Altruistici – cioè tali da procurare ad altri un vantaggio La gerarchia di dominanza ha un effetto regolatore dell’aggressività perché la incanala in modo da evitare i conflitti più impari e pericolosi. Il Class dynamic test CDT è un test che permette di cogliere la consapevolezza del gruppo come entità complessa presente in bambini di età prescolare. 39
Il compagno immaginario: è una specie di “banco di prova”, uno scenario di fantasia in cui il bambino può esercitare e affinare le proprie competenze relazionali senza mettere a repentaglio la propria autostima e l’immagine di sé. Nell’ambito della scuola dell’infanzia si assiste al crescere di competenze sociali importantissime, sia rispetto alle relazioni di gruppo che a quelle diadiche, ma i bambini sono ancora fortemente dipendenti dal sostegno degli adulti. Il gioco Dai tre anni in poi giochi paralleli, associativi e cooperativi sono praticati più o meno in uguale misura. Per giocare il bambino non ha certo bisogno di strumenti particolari. Nel periodo sensomotorio la manipolazione degli oggetti quotidiani può facilmente sfociare in gioco d’esercizio. Nella nostra società il gioco viene facilitato anche mettendo a disposizione del bambino una varietà di giocattoli , scelti in modo da corrispondere all’età e ai gusti del bambino. E’ noto che un orsetto è particolarmente adatto a divenire un compagno inseparabile del bambino dalla fine del primo anno di vita in avanti, costituendo una specie di sostituto della figura materna, o oggetto transizionale. Piaget considera il gioco come un’attività in cui l’assimilazione prevale sull’accomodamento: il bambino che gioca è libero dallo sforzo di adeguare la sua condotta alle richieste della realtà esterna e può fare ciò che più gli piace. Il gioco assolve funzioni psicologiche importantissime e vi è interazionismo simbolico; gli scambi sociali sono possibili perché gli individui condividono dei significati. Per agire efficacemente, bisogna prevedere il significato che le proprie azioni avranno per l’altro e comprendere che cosa l’altro 40
intende con le sue; bisogna in un certo modo essere contemporaneamente se stessi e l’altro. Questo scambio di prospettiva è reso possibile da un’istanza psicologica chiamata da Mead Altro generalizzato. L’altro generalizzato riassume in senso astratto i punti di vista e le risposte altrui, venendo così a rappresentare all’interno della persona, la società in cui vive. Secondo Mead l’assunzione del punto di vista di un altro nel corso dell’azione, o “role-taking”, viene appresa attraverso due forme di esperienze che il bambino fa nel corso dello sviluppo. In primis, vi sono gli scambi interpersonali nel corso dei quali il bambino sperimento numerose costellazioni di azioni-reazioni. Il secondo tipo di esperienze che fondano l’abilità di role-taking è costituito dai giochi di finzione, nel corso dei quali il bambino impersona più ruoli: vende e compra, o si rivolge a se stesso come fosse un insegnante. Dai tre anni in poi, le capacità cognitive dei bambini divengono abbastanza sofisticate da riuscire a rispondere appropriatamente all’immaginazione di un coetaneo: nasce così il gioco sociodrammatico, cioè un gioco simbolico complesso a cui partecipano più bambini. Nel gioco sociodrammatico il bambino svolge usualmente una parte sola, ma per eseguirla bene deve tenere a mente quali sono le cose che possono fare gli altri, deve cioè conoscere e tener conto anche dei ruoli che non esegue egli stesso. Poiché di rado il copione è stabilito interamente all’inizio, i bambini devono spesso passare dal ruolo di attore a quello di regista nel corso del gioco. Il gioco sociodrammatico sembra utile a rafforzare numerose abilità cognitive: attenzione, memoria, ragionamento logico, creatività. 41
La tipizzazione sessuale Per tipizzazione sessuale si intende l’assunzione di modi di comportamento e preferenze concordanti con quelli ritenuti generalmente appropriati al proprio sesso biologico e anagrafico. Due approcci storicamente importanti, la psicoanalisi e la teoria dell’apprendimento sociale hanno indicato nell’imitazione e nell’identificazione con i genitori la strada che porta ad assumere un’identità maschile o femminile, che si manifesta poi in motivazioni, idee e comportamenti congruenti. Semplificando possiamo dire che l’imitazione consiste nell’acquisizione di comportamenti specifici simili a quelli di un modello, mentre l’identificazione implica l’assunzione di quelli che possiamo definire “principi cognitivi” simili a quelli del modello. Nella teoria dell’apprendimento i familiari, insegnanti e coetanei rinforzano sistematicamente nei maschietti l’adesione al ruolo maschile (ed a quello femminile nelle bambine), premiando con la loro approvazione i comportamenti corrispondenti allo stereotipo e ignorando o addirittura disapprovando apertamente, quelli dissonanti. Accanto a queste influenze mediate dai meccanismi del rinforzo, la teoria dell’apprendimento sociale attribuisce un ruolo importante all’apprendimento osservativi, che avviene tramite l’imitazione di comportamenti degli adulti, dei compagni o dei modelli proposti dai mass media e specialmente dalla televisione. Un ruolo importante come modelli è assunto dalle figure affettivamente salienti ed in particolare il padre e la madre. LA MEDIA FANCIULLEZZA – Lo sviluppo cognitivo Gli anni della scuola elementare coincidono con lo stadio piagetiano delle operazioni concrete. Emergono in questo periodo vari sistemi di operazioni logiche e spazio-temporali, grazie ai quali l’egocentrismo intellettuale viene superato e il pensiero diventa reversibile. Questi progressi si manifestano nella comprensione di nozioni relative a quantità (ad es. numero, 42
lunghezza, peso, volume), nella capacità di riprodurre diversi tipi di rapporti geometrici, nell’acquisizione di nozioni temporali come età, velocità e durata. I bambini però riescono ad applicare queste operazioni solo a materiali concreti, mentre falliscono quando ai problemi viene data una formulazione soltanto verbale. L’approccio HIP ha in parte rettificato questo quadro, sottolineando il carattere eterogeneo delle abilità cognitive e il ruolo che in esse gioca la capacità della memoria a breve termine. La media fanciullezza abbraccia il periodo compreso tra i 6 e gli 11 anni, che in Italia coincide con quello della frequenza della scuola elementare. La scuola offre ai bambini l’occasione non solo di uscire dall’ambito ristretto della famiglia, incontrarsi regolarmente con dei coetanei, sperimentare le regole e i ruoli di una istituzione pubblica, ma anche di apprendere in modo sempre più sistematico, in attività guidate da adulti, abilità e conoscenze considerate basilari nella società in cui vivono: leggere, scrivere, fare di conto, e i rudimenti di alcune discipline come storia, geografia, scienze naturali. Ora il pensiero è reversibile, può compiere vari tipi di operazioni, tra cui le seriazioni e le classificazioni additive e moltiplicative, le nozioni di conservazione vengono comprese, l’egocentrismo intellettuale è in via di progressivo superamento. Secondo Piaget durante lo stadio delle operazioni concrete emergono due vasti insiemi di operazioni mentali: quello logicoaritmetiche e quelle spazio-temporali o infralogiche. Le operazioni logico-aritmetiche sono quelle di classificazione e seriazione: esse si caratterizzano per il fatto di riguardare somiglianze e differenze tra oggetti distinti, indipendentemente dalle loro vicinanze spazio-temporali. Le operazioni spazio-temporali si distinguono da quelle logicoaritmetiche proprio perché riguardano invece rapporti spaziali e 43
temporali, come ad es. interno, esterno a, davanti a, di fronte, a destra, sotto ecc. Queste proprietà sono studiate da una branca delle geometria che si chiama “topologia” e che si occupa di quei rapporti spaziali che rimangono immutati quando una figura viene deformata modificando la distanza tra i punti che la compongono, senza con ciò interrompere il contorno, come quando si tende un tessuto elastico. I rapporti topologici sono quelli che vengono rappresentati per primi nel corso dello sviluppo. Ad un livello successivo, che va dai 4 ai 6-7 anni. I bambini iniziano a tenere conto anche di aspetti più specifici delle figure, come la presenza di lati e di angoli e il loro numero e dimensione, cioè di quei rapporti che sono oggetto della geometria euclidea. La scoperta dei rapporti euclidei da parte dei bambini va di pari passo con la comprensione di un altro tipo di rapporti geometrici, quelli proiettivi, che riguardano le variazioni apparenti di forma e proporzione che si verificano cambiando il punto di vista da cui si osservano gli oggetti. Lo sviluppo delle nozioni temporali Le operazioni attraverso cui avviene la misurazione del tempo sono delle seriazioni moltiplicative Le quantità continue e discontinue Oltre a capite che le differenze di età tra le persone restano invariate nel corso della vita, nonostante cambino le differenze di statura, durante lo stadio delle operazioni concrete i bambini comprendono che molti aspetti quantitativi sia di singoli oggetti, come la massa, il peso, il volume, la lunghezza, l’area, sia di insiemi di oggetti non cambiano anche se subiscono delle vistose trasformazioni.
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Sembra che i bambini in età scolare siano in grado di utilizzare le operazioni mentali solo quando hanno di fronte dei materiali concreti, cioè visibili e manipolabili La memoria Le migliori prestazioni al crescere dell’età nelle prove di memoria immediata derivano sia da un effettivo aumento nella quantità di informazioni che il magazzino a breve termine è in grado di contenere, cioè della sua capacità strutturale o di base, sia da un suo migliore utilizzo (capacità funzionale). L’aumento della capacità di base è dovuto alla maturazione del sistema nervoso centrale, e probabilmente alla crescente mielinizzazione delle fibre nervose. Strategie mnemoniche per facilitare il ricordo: reiterazione – ripetere il nome degli stimoli da ricordare organizzazione – raggruppare gli elementi in categorie o insiemi elaborazione – inserire gli item in una struttura significativa o collegarli con altre conoscenze di cui si è in possesso Flavell ha concluso che nello sviluppo delle strategie mnemoniche i bambini passano attraverso tre livelli. Nel primo la strategia non è disponibile Ad un secondo livello possiedono una strategia e sono in grado di usarla con successo se stimolati a farlo, ma non lo fanno spontaneamente. C’è così soltanto carenza di produzione. Infine, quando i bambini possiedono la strategia e la usano spontaneamente in modo efficace siamo nel terzo livello, caratterizzato da uso maturo della strategia. La metamemoria ha due componenti principali. 45
La prima consiste nel distinguere la memoria e le situazioni che la coinvolgono da altri tipi di attività mentali: un indizio del suo possesso è l’uso di espressioni come “ricordo”. La seconda componente della metamemoria è costituita dalla conoscenza dei fattori che rendono un compito più o meno difficile. Tali fattori possono essere distinti in tre gruppi: caratteristiche della persona, del compito, del materiale. L’enumerazione Enumerare o contare vuol dire associare dei numeri a una collezione di oggetti, seguendo delle regole precise. Negli studi più recenti viene attribuito un ruolo importante all’enumerazione considerandola una componente fondamentale se non addirittura la radice, delle conoscenze numeriche dei bambini. Nel sottostadio 0 (consolidamento delle operazioni) i bambini fra i 3 anni e i 5, consolidano separatamente le operazioni richieste per la soluzione del compito: quella di enumerare, e quella di stimare il peso a occhio, basandosi sulla dimensione degli oggetti. Nel sottostadio 1 (coordinazioni unificali) i due tipi di operazioni vengono integrate. Nello stadio successivo (coordinazioni bifocali), 7-9 anni) i bambini riescono a trattare in modo quantitativo due dimensioni per volta. La capacità di confrontare pesi e distanze compare nel sottostadio delle coordinazioni elaborate (9-11 anni). Questo sottostadio segna la transizione allo stadio vettoriale, così chiamato perché caratterizzato dalla capacità di calcolare il rapporto tra due grandezze. Il test WISC-R La Wechsler Intelligence Scale for Children-Revised è una delle scale più utilizzate nel mondo per valutare l’intelligenza di bambini e ragazze dai 6 ai 16 anni. 46
La scala comprende 10 subtest, 5 verbali e 5 di prestazione, ciascuno composto da diversi item. I 5 subtest verbali misurano il vocabolario, aritmetica, comprensione. La somma dei punteggi di queste prove, opportunamente convertita in punti standard, va a costituire il QI verbale. I 5 subtest di prestazione valutano in generale l’abilità a risolvere dei problemi cognitivi proposti visivamente: completamento di figure; storie figurate, ricostruzione di oggetti, cifrario. Oltre a queste prove che permettono di definire il QI di performance, vi è quella dei labirinti via via più complicati. La scuola La scuola trasmette ai bambini l’eredità fondamentale della storia umana, cioè la lettura e la scrittura. Attraverso le materie scolastiche, i bambini accedono alle nozioni elaborate nell’ambito delle scienze dell’uomo e della natura, che spesso differiscono da quelle con cui sono costruite le loro “teorie ingenue” Il confronto sociale con i compagni di classe può offrire ai bambini una convalida delle proprie capacità, o metterle in dubbio e suscitare sentimenti di inferiorità. Il disegno e l’approccio stadiale di Luquet Il realismo nella raffigurazione è la meta cui il bambino tende. Il bambino passa da un realismo fortuito (un segno tondo è il sole) al realismo mancato dai due anni fino ai 4-5. Il bambino ha incapacità di sintesi, giustappone degli elementi senza rispettare le relazioni spaziali. Nel realismo intellettuale (dai 5 agli 8 anni circa) il bambino diventa più abile e si preoccupa di raffigurare oggetti e persone in modo completo. Nell’ultima fase, il realismo visivo si manifesta nei tentativi sempre meglio articolati.
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Nell’ottica piagetiana il modo di disegnare dei bambini in età prescolare è guidato dal ricorso ad alcune relazioni topologiche (lo studio del paesaggio dal punto di vista paesaggistico) Nel giro di pochi anni i bambini passano da tentativi non riusciti (realismo fortuito e realismo mancato) alla capacità di ritrarre le caratteristiche salienti di ciò che intendono rappresentare (realismo intellettuale). Vi è la presenza delle figure canoniche, ossia forme ricorrenti ad alta riconoscibilità e semplicità: la casa con il tetto a punta, l’omino stilizzato ecc. Una caratteristica delle figure canoniche è di essere centrate sull’oggetto, cioè di rappresentare ciò cui si riferiscono dal punto di vista che meglio ne mostra le caratteristiche. “il bambino disegna ciò che sa e non ciò che vede”. Alcuni autori parlano di una curva a U nello sviluppo artistico: ci sarebbe insomma una fase iniziale in cui il talento artistico si manifesta con vigore, seguita da un affievolimento, cui eventualmente fa seguito, dall’adolescenza in poi, il dispiegarsi del talento maturo. La scrittura Le prime notazioni usate dai bambini sono idiosincratiche, consistono cioè in tracciati simili a scarabocchi, non comprensibili a chi li osserva, o pittografiche, cioè riproduzioni figurative degli oggetti della collezione. Fra i 3 e i 4-5 anni sono frequenti anche le notazioni basate sulla corrispondenza biunivoca: i bambini usano segni discreti come aste, cerchi, lettere, presudo-lettere. A volte compaiono anche delle notazioni miste, caratterizzate dall’uso combinato di numeri e dalla corrispondenza biunivoca 48
(es. 123, oppure 333). Infine i bambini arrivano alle notazioni convenzionali, cioè all’uso standard dei numeri, anche se non sempre scritti correttamente. Per prima cosa, occorre analizzare ciò che appare sulla pagina e riconoscere che vi sono delle lettere (o grafemi); poi il processo può seguire due percorsi. Con la via visiva semantica si arriva rapidamente al sistema semantico tramite il lessico visivo di input. Se poi si vuole leggere ad alta voce, entrano in azione il lessico fonologico di outpunt che trasforma la parola scritta in una rappresentazione dei suono ed il sistema articolatorio con cui effettua la pronuncia. Invece la via fonologica prelessicale procede dall’identificazione delle lettere al collegamento con il loro suono (conversione grafema-fonema) e giunge al sistema semantico tramite il riconoscimento uditivo: è ciò che fanno i lettori alle prime armi, che spesso pronunciano sottovoce ogni singola parola. Anche lo scrivere può essere ricondotto ad un modello a due vie, che rispetto alla lettura percorre un percorso “a ritroso”: si parte dall’analisi acustica dell’input uditivo e si giunge alla composizione della parola sulla carta in corsivo o stampatello, minuscolo o maiuscolo, solo dopo che a ciascun fonema è stato fatto corrispondere un grafema. La prima fase di avvicinamento alla lettura avviene durante il periodo prescolare e si caratterizza per una strategia logografica, grazie alla quale i bambini identificano la configurazione visiva globale di alcune parole: ad esempio mamma si riconosce perchè ha molte gambette. Con l’inizio della scuola i bambini iniziano ad usare una strategia alfabetica, che si basa sull’abbinamento tra singole lettere e suoni. 49
La strategia alfabetica è facilitata dalla consapevolezza fonologica, cioè la capacità di identificare le componenti sonore di una lingua e manipolarle intenzionalmente. Con la successiva strategia ortografica la scomposizione delle parole non è più così analitica come quella alfabetica. Infine la piena padronanza della lettura si verifica con la strategia lessicale, in cui il processo del leggere è automatizzato ed il bambino accede al significato delle parole senza faticose ricodifiche fonetiche. Nel campo della lettura si giunge alla strategia logografica più precocemente perché i bambini possono riconoscere parole ad alta frequenza senza avere ancora le abilità necessarie a scriverle. Per quanto riguarda le tecniche di insegnamento, sembra esserci un dibatto interminabile tra due approcci, orientati dal particolare al generale, o viceversa. Un tempo, il favore degli insegnanti si rivolgeva al cosiddetto “metodo sintetico”, che si basa sull’apprendimento della corrispondenza suono-forma per le singole lettere, e sulla loro successiva “sintesi” per comporre le parole. A questo tipo di procedura didattica se ne contrappone un’altra, che apparenta l’acquisizione della lettura a quella del linguaggio naturale e ha come idea centrale quella di offrire fin dall’inizio ai bambini testi di senso compiuto, di cui sia chiara la funzione comunicativa. Questo approccio, talvolta chiamato “metodo analitico” è designato dalla letteratura anglosassone come approccio linguistico integrale ed è comunemente noto da noi come metodo globale. Le concezioni astronomiche dei bambini Tra i concetti elaborati durante l’età prescolare che sono compatibili con le nozioni scientifiche e possono costituire un 50
buon punto di partenza per l’insegnamento c’è quello di vita, connesso alle nozioni di nascita e morte, crescita e cicatrizzazione, assunzione di nutrimento ed energia dall’ambiente, che consente ai bambini di includere animali e piante in un’unica categoria. Certo c’è una grande differenza tra la biologia ingenua e quella effettiva. Tra le teorie ingenue che si discostano radicalmente da quelle scientifiche accreditate e possono costituire un ostacolo all’apprendimento c’è quella sulla natura, la forma e la collocazione della terra e dei corpi celesti. Condizioni che favoriscono l’apprendimento I più avanzati progetti educativi attualmente in fase di sperimentazione riprendono l’idea di Vygotskij secondo cui le funzioni psichiche superiori derivano dall’interiorizzazione di attività sociali e suggeriscono che la classe debba diventare una comunità di apprendimento, che si pone esplicitamente degli scopi cognitivi e cerca di realizzarli attraverso la partecipazione e la collaborazione di tutti. Oltre a trasmettere contenuti culturali e a favorire nei bambini lo sviluppo di abilità generali di ordine cognitivo, l’insegnante svolge nella classe una varietà di funzioni interconnesse: organizza il lavoro e mantiene la disciplina, valuta i risultati conseguiti da ciascuno nell’apprendimento, si propone come figura di riferimento e, in modo più o meno esplicito, come modello. E’ il modo in cui l’insegnante affronta questi compiti a forgiare il clima che si stabilisce nella classe come gruppo, ed in definitiva le opportunità sociali ed intellettuali di ciascun alunno. Per quanto riguarda il clima della classe, si deve a Kurt Lewin uno dei primi esperimenti sull’effetto che l’organizzazione scolastica ha sul comportamento degli allievi, attraverso la creazione di tre 51
gruppi con insegnanti di tipo autoritario, democratico e permissivo. I bambini del gruppo democratico erano più produttivi, più contenti del rapporto con l’adulto e gli altri bambini, meno aggressivi. Principi simili a quelli lewiniani si riscontrano nelle esperienze di apprendimento cooperativo basato sul lavoro di classe. Un secondo aspetto in cui l’organizzazione della classe può aver importanti conseguenze è la tipizzazione sessuale. Il giudizio dell’insegnante sulle capacità del singolo alunno tende ad agire come una “profezia che si autoavvera”. Questo fenomeno messo in luce da Rosenthal e Jacobson, considerato come effetto Pigmaglione è dato dal fatto che le aspettative dell’insegnante possono influenzare non solo la sua valutazione degli alunni, ma anche il rendimento effettivo degli stessi. Il concetto di sé A partire dai 7-8 anni, i bambini per descrivere se stessi usano sempre più spesso dei termini che indicano tratti di personalità (gentile, calmo, nervoso). Rispetto a quelle dei bambini più piccoli, queste descrizioni si caratterizzano anche per una valutazione più graduata delle proprie abilità e anche per la presenza di tratti negativi. I bambini hanno dunque una visione più realistica di sé, resa possibile dal fatto che ora fanno dei confronti multipli tra le proprie prestazioni e quelle dei loro coetanei e tengono conto dei voti e delle valutazioni degli insegnanti. Secondo Susan Harter è solo con la comparsa di queste concezioni che è possibile attribuire ai bambini una chiara distinzione tra varie componenti del Sé: il Sé reale, il Sé ideale e un’autostima 52
globale, ovvero un sentimento complessivo di soddisfazione o insoddisfazione per quello che si è. Vi sono diverse modalità di reazione agli insuccessi: l’orientamento alla padronanza, che induce a rimanere concentrati sul compito e padroneggiare la situazione nonostante le difficoltà, e l’impotenza appresa. Entro un gruppo-classe si può essere popolari, ma si può anche subire il rifiuto dei compagni: questi ed altri aspetti della relazione di gruppo sono studiati dalla sociometria, una tecnica di indagine molto usata. Particolarmente importante per l’inserimento sociale, è la capacità di interagire senza ricorrere a comportamenti aggressivi. La crescita cognitiva è per molti aspetti scandita da tanti piccoli passi, piuttosto che da “rivoluzioni” da cui emergono stadi di pensiero del tutto nuovi. Le principali competenze sociali secondo Rubin, Bukowski e Parker sono: 1. Comprendere pensieri, emozioni e intenzioni degli altri 2. Astrarre informazioni sul partner e sull’ambiente 3. Iniziare, mantenere e concludere positivamente un’interazione 4. Comprendere le conseguenze delle proprie azioni sociali 5. Agire positivamente e altruisticamente 6. Formulare giudizi morali maturi che guidino l’azione sociale 7. Esprimere appropriatamente le emozioni positive e inibire le negative 8. Inibire comportamenti negativi che potrebbero derivare dai propri pensieri e sentimenti sull’altro 9. Comunicare in modo chiaro 10. Prestare attenzione alla comunicazione altrui ed essere disponibili ad accettare le altrui richieste 53
Quindi viene considerato socialmente competente un individuo che sa rispondere efficacemente alle situazioni interpersonali, che interagisce con gli altri in modo tale da preservare la propria salute fisica e mentale e che riesce a raggiungere un buon risultato evolutivo utilizzando al meglio le risorse ambientali e personali. Il modello di Dodge della competenza sociale Punto di partenza di questo “problem-solving” sociale è un insieme di indizi che costituiscono lo stimolo sociale o social task. Il secondo passo è l’elaborazione delle informazioni sociali da parte del bambino: codifica ed interpretazione dei dati, ricerca e valutazione dell’azione da compiere e messa in atto dell’azione scelta. Si arriva al comportamento concreto del protagonista, cui fa seguito l’elaborazione che ne fanno i coetanei, e il loro comportamento verso di lui. Stimolo sociale
Elaborazio ne del bambino
Comporta mento sociale
Elaborazio ne dei pari
Comport. Sociale dei pari
I gruppi nella scuola elementare sono stati studiati soprattutto con la sociometria, una tecnica creata da Jacop Moreno negli anni ’30 per ricostruire la struttura affettiva dei gruppi, ossia la rete di relazioni interpersonali creata dalle preferenze e dalle antipatie di ciascun membro. Due sono le modalità più comuni per raccogliere le informazioni. La prima è la nomina dei pari che consiste nel chiedere a ciascun alunno di dire il nome di uno o più compagni con cui preferirebbe condividere specifiche attività e di quelli che non vorrebbero accanto. La seconda è volta ad ottenere un ranking completo, chiedendo di valutare in che misura risulterebbe loro gradito condividere attività con ciascuno dei compagni; la valutazione avviene di solito su una scala di 4 o 5 valori. 54
Tenendo conto di situazioni diverse si ottiene un’immagine del gruppo che ne sintetizza l’andamento di fondo. Si identificano così i bambini popolari, quelli rifiutati, quelli isolati ed infine quelli controversi. Le procedure di nomina dei pari sono ampiamente utilizzate, oltre che per stabilire lo status nel gruppo, anche per valutare il comportamento dei bambini o per individuare empiricamente le relazioni di amicizia, definita operativamente come scelta reciproca. In ogni caso, la legittimità di usare questi metodi dipende dalle garanzie di riservatezza con cui si agisce e dalle finalità costruttive sottese alla raccolta di dati. Particolare attenzione è dedicata ai correlati del rifiuto in quanto la condizione di rifiutato, che in moltissimi casi è stabile, costituisce fattore di rischio: un alunno escluso dal gruppo in prima elementare tende ad esserlo anche nelle classi successive. Il rifiuto si abbina alla presenza di difetti fisici, all’insuccesso scolastico e a comportamenti aggressivi e distruttivi: soprattutto nei maschi l’aggressività è tra i maggiori discriminanti tra i bambini rifiutati e popolari. Difficoltà di adattamento sociale si manifestano anche per gli isolati, bambini che rimangono per così dire “invisibili” ai coetanei e spesso anche agli insegnanti. La popolarità ha invece come principale ingrediente la competenza sociale. Sin dall’età prescolare, i membri del gruppo più popolari sono quelli che sanno rispettare le norme, soprattutto nelle interazioni sociali, e che sono coinvolti attivamente nel rapporto con gli altri, proponendo attività piacevoli o intervenendo in aiuto dei compagni. Comprensione di regole e sviluppo di “role-taking” Nella media fanciullezza il gioco sociale si trasforma; i giochi sono sempre più spesso caratterizzati dalla presenza di una competizione. 55
In questi giochi con regole si deve stabilire in anticipo cosa si può e cosa non si può fare. Piaget ha messo in luce quattro stadi nel modo in cui i bambini lo praticano. Nel primo e secondo stadio non si può parlare di regole; inizialmente (2-3 anni) i bambini non tengono conto dei compagni e successivamente (3-5 anni) cercano di uniformarsi agli altri, ma senza comprendere lo scopo delle regole. Soltanto con la presa di coscienza della competizione, che si fa strada durante gli anni della scuola elementare, giochi di gruppo e gare diventano veramente sociali. Ora i bambini capiscono che è necessario cooperare per garantire il rispetto delle regole da parte di ciascun partecipante. In un primo momento (stadio della cooperazione incipiente, 7-8 anni) i bambini non riescono a pattuire le regole con piena chiarezza; successivamente verso gli 11-12 anni essi prendono gusto nel codificarle minuziosamente, interessandosi a tutte le possibili varianti ed al diverso carattere che il gioco così assume: questo tardo stadio si chiama appunto di codifica delle regole. Stadi di sviluppo del “role-taking” secondo Selman Egocentrico – da 0 a 5 anni – il bambino non differenzia i punti di vista Soggettivo – da 6 a 8 anni – pur comprendendo la soggettività non mette in relazione i vari punti di vista Autoriflessivo – 9 anni – capisce la prospettiva di un’altra persona e riesce a prevedere le reazioni altrui Reciproco – 11 anni - Può differenziare il suo punto di vista da quello del gruppo e da quello di altre persone Sociale e convenzionale – 12 anni – riesce a confrontare punti di vista che appartengono a gruppi e non solo a singoli individui. 56
La natura delle relazioni di amicizia Molti ricercatori hanno utilizzato la scelta reciproca come criterio per considerarli amici. Uno dei criteri fondanti dell’amicizia è che per esistere essa dev’essere riconosciuta dalle persone coinvolte. L’amicizia infatti non si può identificare in base a criteri extrapsicologici di categorizzazione, come si può fare con la parentela, il matrimonio, il vicinato o il lavoro. Una prospettiva un po’ semplificata definisce amicizia un rapporto diadico, selettivo, stabile e reciproco. Definire un rapporto selettivo significa dire che non si diventa amici con questa o con quella persona solo per caso: ed infatti è stata riscontrata una netta tendenza, che si rafforza con l’età, a stringere amicizia con individui del proprio sesso, di età non molto distante dalla propria, di pari livello socioeconomico ed appartenenti allo stesso gruppo etnico; secondo alcuni vi è anche una certa somiglianza nel grado di socievolezza e nel successo scolastico. Questo può essere interpretato come omofilia comportamentale ovvero come preferenza per chi assomiglia nel modo di agire, o come risultato dei vincoli ambientali. L’interazione tra amici è a sua volta causa di somiglianza. Youniss sostiene che gli scambi sociali tra coetanei sono guidati dal principio della reciprocità e li contrappone ai rapporti tra bambino e adulto, improntati alla complementarietà. Mentre nella relazione con un adulto più competente, più responsabile e investito di maggiore potere il bambino è costretto ad accettare unilateralmente regole e decisioni (eteronomia), con altri che sono a lui più simili può agire, invece, su un piano di parità. La capacità di costruire scambi guidati della reciprocità può essere vista come una delle conquiste sociali della fanciullezza. Teorie sull’aggressione 57
Nel pensiero freudiano, l’aggressione viene concepita come una reazione primordiale che si manifesta quando viene disturbata la tendenza dell’organismo a conservarsi e riprodursi, perseguendo il piacere ed evitando il dolore. Fu poi ripresa dalla scuola di Yale; ad essi si deve la teoria della frustrazione-aggressività, secondo cui l’aggressione è sempre determinata da un’interferenza con la realizzazione di un obiettivo e, per converso, interferenze di questo tipo sfociano in qualche forma di aggressione. Le circostanze che spingono ad adottare comportamenti aggressivi, è al centro della teoria dell’apprendimento sociale di Bandura. Mentre il richiamo alle determinanti evoluzionistiche e biologiche dell’aggressione lascia uno spazio limitato all’intervento educativo, la prospettiva dell’apprendimento sociale, evidenziando i fattori ambientali che favoriscono i comportamenti aggressivi e quelli che, per converso, possono aiutarci a controllarli e ridurli, ha il merito di aprire la strada ad azioni mirate alla prevenzione dell’aggressività ed al recupero degli individui violenti. In questa prospettiva, l’aggredire non è visto come una disposizione umana, che si manifesta in modo particolarmente forte in alcuni individui, ma come il frutto di condizioni predisponesti e soprattutto come l’esito di un processo di apprendimento. Il desiderio di possesso è la ragione più comune di aggressione strumentale, ossia volta a sopraffare qualcuno che si frappone ad un intento personale; l’aggressione strumentale si distingue, già nel corso della prima fanciullezza, dall’aggressione ostile, il cui scopo è proprio far del male all’altra persona. Già tra i due e i quattro anni l’aggressività fisica viene gradualmente sostituita da forme di aggressione verbale. 58
Nella media fanciullezza, accanto all’aggressione reattiva, che nasce in risposta ad azioni, inizia a manifestarsi un’aggressività proattiva, dove prevale un uso pianificatore delle forza o dell’azione in vista del raggiungimento di uno scopo. La ricerca dimostra che l’aggressività costituisce una delle caratteristiche più stabili della nostra personalità: un bambino aggressivo ha maggiori probabilità di diventare un adulto aggressivo. Le relazioni con i genitori Parke e Buriel hanno proposto un modello della socializzazione genitoriale, secondo il quale l’influsso dei genitori sui figli avviene mediante tre modalità principali: le interazioni quotidiane, la trasmissione educativa diretta e l’organizzazione dell’ambiente. Parlando dello sviluppo delle identità di genere, teorie diverse, dalla psicoanalisi al comportamentismo, all’approccio cognitivo-evolutivo, riconoscano ai genitori la funzione di modelli dei ruoli sessuali; inoltre attraverso l’imitazione e l’identificazione con i genitori, i bambini acquisiscono abitudini, regole e credenze di tipo morale e convenzionale. Vi sono due strategie nelle ricerche: un approccio molecolare ed uno molare. Il primo approccio si focalizza sulle specifiche interazioni e/o direttive cercando ad esempio di stabilire se una comunicazione chiara e una pronta risposta alle azioni del bambino sia un fattore cruciale nel successo agli insegnamenti del genitore, o quale sia il risultato dell’uso di punizioni fisiche. Gli studiosi che aderiscono alla seconda prospettiva sostengono invece che quel che conta è la configurazione complessiva delle azioni dei genitori, che dà senso alle specifiche interazioni.
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Possiamo dire che il primo filone di studio si focalizza in prevalenza sulle pratiche genitoriali, mentre il secondo si occupa dell’ambiente educativo familiare nel suo insieme. Gli effetti delle pratiche disciplinari La relazione tra l’uso di una disciplina rigida nella media fanciullezza e l’avvio di carriere criminali è stata dimostrata in vari studi, specialmente quando si abbina ad altri fattori di rischio, come la presenza di modelli antisociali nella cerchia familiare, e non è temperato da fattori protettivi, quale una relazione genitore figlio affettivamente calda. Baldwin propose di inquadrare gli stili educativi dei genitori secondo tre dimensioni: caldo – freddo democratico – autocratico coinvolto – non coinvolto altri autori hanno aggiunto: accettazione – rifiuto dominanza – sottomissione amore – ostilità autonomia – controllo Tutti gli approcci sono comunque accomunati dall’accento su una componente emotivo – affettiva, nella quale si esprime la presenza di un rapporto positivo e saldo tra genitore e bambino, e su una componente relativa alla funzione di controllo dei genitori. Diana Baumrind ha approfondito il concetto di controllo, scindendolo in quattro aspetti: 60
la restrittività pura e semplice il controllo che si esercita tramite la coerenza della disciplina la richiesta di maturità da parte del bambino l’incoraggiamento dei contatti indipendenti Ha proposto quindi la classificazione dei genitori in tre categorie: autoritari, autorevoli e permissivi. I genitori autorevoli bilanciano le richieste di obbedienza a regole chiare con il sostegno e l’attenzione ai bisogni del bambino. Al contrario i genitori autoritari utilizzano il proprio potere in modo inflessibile, adottando spesso metodi disciplinari duri. Infine, la permissività consiste in un misto di affetto e incoerenza, con uno spazio di libertà per i figli superiori alle loro capacità di autoregolazione. Va infine ricordato un quarto profilo, quello della trascuratezza. La televisione In Italia un quarto della popolazione guarda la TV almeno 2-4 ore al giorno. La si guarda in compagnia della famiglia, a pranzo, a cena e in serata, ma molto spesso anche da soli. La programmazione è spesso una “dieta televisiva” basata sull’intrattenimento, in cui trovano poco spazio gli apporti culturali. Gli studi internazionali ci dicono che il consumo televisivo è significativamente maggiore nei bambini di ceto economicamente e culturalmente svantaggiato, così come in quelli di famiglie numerose, probabilmente perché in queste situazioni i genitori e l’ambiente circostante offrono poche alternative agli spettacoli TV. Tenendo conto di queste variabili sociali, e del fatto che il tempo speso davanti alla televisione viene sottratto all’interazione con gli altri, alla lettura e allo studio, non ci si meraviglia che ad una maggiore quantità di TV corrisponda un minore successo scolastico. 61
L’ADOLESCENZA L’adolescenza è il periodo di transizione tra la fanciullezza e l’età adulta e si configura come un percorso, segnato da numerosi eventi critici più che come una fase unitaria. Difficile è anche indicarne i limiti cronologici, che variano in relazione a numerosi fattori individuali ed ambientali. Tre ordini di cambiamenti psicologici sono stati identificati come “primari” per quanto riguarda il periodo tra i 10 e i 20 anni: il raggiungimento dello status di adulto, la maturazione puberale, lo sviluppo intellettuale. In particolare sono ampie le risonanze psicologiche della maturazione puberale, con le sue specificità nei maschi e nelle femmine, e con le forti differenze individuali. Si raggiunge in questa fase un nuovo tipo di pensiero, definito da Piaget “operatorio formale”, che ha profonde ricadute non solo sulle capacità cognitive dell’adolescente, ma anche sulla sua immagine di sé, sul modo di concepire il mondo e sul giudizio morale. La maturazione puberale e i rapporti con l’altro sesso, lo sviluppo intellettuale, l’accesso a nuovi ordini di scuola e, per alcuni, l’inizio di un’attività lavorativa, con le diverse aspettative che a tutto ciò si accompagnano da parte degli adulti, sono eventi di notevole portata, che richiedono aggiustamenti sia dell’immagine di sé che delle proprie relazioni interpersonali. Seguendo l’esposizione di Ritagrazia Ardone possiamo identificare tre concetti importanti per un corretto studio dell’adolescenza: l’interrelazione di fattori intrapsichici e sociali; la molteplicità di eventi critici con cui l’adolescente si confronta; il carattere di percorso piuttosto che di stadio unitario. Lo sviluppo puberale agisce sull’individuo in modo diretto. Lo sviluppo intellettuale rende possibili azioni e valutazioni di portata molto più ampia rispetto alle età precedenti. 62
Grotevant propone di identificare tre tipi di cambiamenti primari che caratterizzano l’adolescenza: il raggiungimento della maturità sessuale, l’acquisizione dello status di adulto e lo sviluppo cognitivo. Il segno meno ambiguo per segnare l’inizio dell’adolescenza è la pubertà. Con questo termine si intende il giungere a maturazine dell’apparato riproduttivo (caratteri sessuali primari) e il comparire dei caratteri sessuali secondari, come il cambio della voce nei maschi. Questi fenomeni rappresentano il cambiamento fisico più massiccio dopo quelli della prima infanzia, con la differenza importantissima che l’individuo è ora consapevole di quanto accede al suo corpo. Ragazzi e ragazze attraversano dunque un lungo periodo di transizione, durante il quale possono a volte sperimentare sentimenti di disagio per la propria immagine corporea, o di incertezza circa il proprio aspetto futuro. Il pensiero operatorio formale Le acquisizioni che caratterizzano lo stadio operatorio formale riguardano sia le operazioni mentali, sia le entità a cui vengono applicate. Nello stadio delle operazioni concrete i bambini erano in grado di applicare le operazioni logiche soltanto ad oggetti fisicamente presenti o raffigurabili mediante immagini mentali. Ora invece cominciano ad usarle anche con contenuti mentali espressi “in un qualsiasi linguaggio (il linguaggio delle parole o quello dei simboli matematici) ma senza l’appoggio della percezione, dell’esperienza o persino della convinzione (Piaget)” E’ per questo che Piaget chiama “formali” queste operazioni. Se durante lo stadio operatorio concreto il bambino riusciva ad effettuare operazioni di seriazione su bastoncini di diversa lunghezza o foglie di diverse gradazioni di verde, adesso 63
finalmente è possibile risolvere un analogo problema espresso in termini verbali. Piaget chiama intraproposizionali le operazioni concrete, perché consentono di costruire in modo corretto e verificare il contenuto di singole proposizioni. Una tautologia (oggi è lunedì o non è Lunedì) è sempre vera; una contraddizione (oggi è Lunedì e non è Lunedì) è sempre falsa. Alcune operazioni acquisite nello stadio formale consistono nel collegare più proposizioni in questo modo, o nel ragionare su proposizioni complesse. Il pensiero operatorio formale è la presenza di operazioni che consentono di mettere in relazione i risultati di altre operazioni. Per questo le operazioni formali sono operazioni su operazioni o pensiero alla seconda potenza. La capacità di effettuare dei ragionamenti di tipo ipotetico deduttivo consente ad adolescenti e adulti un particolare modo di accostarsi alla realtà: in presenza di un fenomeno da spiegare, essi sono in grado di avanzare una ipotesi, dedurre logicamente le conseguenze che ne derivano, cioè una serie di eventi che dovrebbero aver luogo se l’ipotesi è corretta, andare a vedere se questi eventi accadono realmente oppure no e, sulla base di questa verifica, accettare l’ipotesi oppure scartarla e formularne un’altra. Il pensiero ipotetico deduttivo è dunque necessario per poter verificare delle ipotesi. Operazioni di combinazioni e primato del possibile sul reale. Dato un certo insieme di elementi, le operazioni di combinazione consistono nell’individuare l’insieme delle parti, cioè tutti i sottoinsiemi diversi per almeno un elemento, in cui tale elemento potrebbe essere suddiviso. Es. lettere A B C, le combinaz. possono esse AB AC BC ABC. Sono le operazioni di combinazione che consentono di identificare a priori tutte le possibili soluzioni di un problema, e quindi tutte le ipotesi da mettere alla prova. 64
Grazie alle operazioni di combinazione, si afferma così un primato del possibile sul reale. Integrazione di due tipi diversi di reversibilità E’ la capacità di integrare in un unico sistema tipi di operazioni diverse, e quindi anche diversi tipi di reversibilità che li caratterizzano. Es. scegliere i pesi che permettono alla bilancia di stare in equilibrio avendo pesi diversi a disposiz. Le conseguenze del pensiero operatorio formale Gli adolescenti elaborano proprie teorie, visioni del mondo, sistemi di valori. Manifestano: sensibilità all’incoerenza Indecisione Egocentrismo adolescenziale: il primato del possibile sul reale si manifesta nella tendenza a costruire con il pensiero delle realtà diverse da quelle in cui vivono. Questa forma di egocentrismo non è altro che l’inevitabile conseguenza del suo inserimento nella vita sociale adulta; come ha dimostrato Buhler, l’adolescente non cerca soltanto di adattare il suo Io all’ambiente sociale, ma anche l’ambiente sociale al suo Io. Pubblico immaginario e fiaba personale: Danno per scontato che ciò che si trova al centro della sua preoccupazione sia altrettanto interessante anche per gli altri. Se ad es. pensano di avere un naso a patata, possono convincersi di essere osservati e giudicati anche dagli altri. Si creano così un pubblico immaginario, dal quale pensano di essere riprovati o ammirati. Secondo Elkind, alla convinzione di essere al centro di tanta attenzione è da ricondursi anche la fiaba personale: l’idea presente in molti di essere diversi da tutte le altre persone, con sentimenti ed interessi che pochi sono in grado di comprendere. Cambiamenti nell’immagine di sé 65
Il giudizio morale Un altro campo in cui si manifestano gli effetti del pensiero operatorio formale è lo sviluppo del giudizio morale. Kohlberg ritiene che lo sviluppo morale sia connesso alle abilità di role-taking (che egli chiama anche “percezione sociale”), ossia con il tipo di prospettiva che un soggetto è in grado di assumere nel valutare le interrelazioni tra sé e gli altri. Gli stadi dello sviluppo del ragionamento morale secondo Kohlberg Livello preconvenzionale Stadio 1 – Egocentrico: orientamento premio – punizione Stadio 2 – Individualistica concreta – orientamento individualistico e strumentale Livello convenzionale Stadio 3 – Decentrata – orientamento del “bravo ragazzo” Stadio 4 – Societaria – orientamento al mantenimento di autorità e ordine Livello postconvenzionale Stadio 5 – Razionale - orientamento contrattuale legalistico Stadio 6 – Morale – orientamento di coscienza e principio Problemi mal definiti Piaget ha usato nelle ricerche problemi ben definiti o ben strutturati, cioè che possono essere descritti in termini precisi ed avere una soluzione certa. Esistono anche i problemi mal strutturati o mal definiti; in questa categoria rientrano molti degli interrogativi più vitali es. quali sono le cause del terrorismo, come ci dobbiamo comportare con le scorie nucleari, ecc. 66
I due tipi di problemi suscitano diversi ragionamenti: il ragionamento formale, evocato da problemi ben strutturati e quello informale. La capacità di argomentare, cioè sostenere in modo convincente le proprie conclusioni considerando anche le possibili obiezioni, è risultata correlata alle credenze epistemologiche, cioè alle idee che i soggetti hanno circa la conoscenza, la sua natura, provenienza, grado di certezza, le persone che la possiedono, le procedure che ne assicurano la validità. Le credenze epistemologiche influiscono non solo sul modo in cui vengono affrontati diversi compiti ma anche su altri aspetti dello sviluppo e delle differenze individuali. Vi sono due livelli di sviluppo: il primo, assolutista, è caratterizzato dall’idea che la conoscenza costituisca una copia della realtà esterna, e ci sia dunque soltanto un punto di vista corretto; se qualcuno non concorda con esso, è perché non è in possesso di tutte le informazioni necessarie, o perché è in malafede. Il secondo livello, molteplicista, sostiene invece una tesi opposta: non esiste una conoscenza certa, tutte le opinioni sono ugualmente valide. Lo scetticismo che pervade questo livello, viene abbandonato in quello successivo, valutativo, in cui si afferma l’idea che le diverse asserzioni non sono tutte equivalenti ed esistono dei criteri per identificare quelle più valide. Lo sviluppo sociale I cambiamenti “primari” si accompagnano a rilevanti modificazioni dell’assetto sociale e personale dell’adolescente. Dal punto di vista sociale, si assiste ad una ricerca di autonomia dai genitori, così come dagli adulti in genere e ad un accentuato bisogno di relazionarsi con i coetanei, a livello sia di gruppo che di relazioni diadiche. Il comportamento degli adolescenti è spesso al limite delle regole, ma solo per alcuni soggetti gli atti devianti sfociano in una carriera delinquenziale; in particolare si osserva che i problemi più gravi dell’adolescenza hanno radici in periodi 67
evolutivi precedenti. Dal punto di vista dell’assetto personale, l’adolescente è alle prese con la definizione della propria identità adulta, e con scelte valoriali e ideologiche importanti per il futuro. Grotevant designa come esiti evolutivi l’assetto personale e relazionale in cui sfociano i cambiamenti adolescenziali. Un ovvio elemento di difficoltà è costituito dal mutare del costume e dell’ambiente di vita, da cui deriva il cosiddetto “gap” generazionale, ossia una discontinuità nel modo di comportarsi dei figli rispetto a quello dei genitori. Secondo numerosi studi, tuttavia, le differenze sono spesso superficiali piuttosto che sostanziali; nel campo dei valori e degli atteggiamenti la congruenza tra adolescenti e genitori è molto maggiore. Anche la comunicazione tra genitori e figli non si interrompe se non in famiglie a rischio. L’adolescenza può essere considerata come un periodo in cui l’individuo attraversa volontariamente, più volte, i confini di uno spazio di vita fino a quel momento indiscutibilmente centrale (la famiglia); questa situazione caratterizzata da un ripetuto allontanarsi e riavvicinarsi viene chiamata marginalità psicologica volontaria. Anche le trasformazioni fisiche legate alla pubertà spingono a cercare in confronto con i coetanei, in questo caso per rassicurarsi circa la generalità di alcuni fenomeni. Inoltre, segnando la fine dell’appartenenza alla categoria dei bambini, senza che a ciò si accompagni immediatamente l’ingresso a pieno titolo nel mondo adulto, la maturazione puberale da inizio ad un periodo di marginità sociale, ossia di incerta identità dal punto di vista sociale.
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B. Brown indica tre livelli di aggregazione rilevanti per gli adolescenti: Il gruppo allargato (crowd), come può essere una tifoseria o un movimento giovanile, il piccolo gruppo e la diade amicale o di coppia. Inizialmente, durante la preadolescenza vi sono piccole cricche formate da soli ragazzi o sole ragazze. Successivamente questi gruppi omogenei per sesso e molto esclusivi cominciano a stabilire qualche rapporto, e attraverso l’intensificarsi degli scambi si arriva alla formazione di un gruppo più ampio, chiamato a volte compagnia. Infine, nella tarda adolescenza, la compagnia ed i suoi sottogruppi tendono a perdere di coesione, mentre si formano delle coppie eterosessuali. L’adesione alle norme del gruppo si manifesta in modo plateale nel fenomeno del conformismo: ragazzi di una stessa cricca, o maschi e femmine di una stessa compagnia, adottano volentieri abiti, pettinature e modi di fare simili, così da accentuare una sorta di identità collettiva. Delinquenza e devianza L’inizio dell’adolescenza segna un picco nel comportamento antisociale. Le infrazioni alle regole diventano più frequenti e si diversificano, assumendo anche maggiore gravità. Passando in rassegna numerose indagini, Hollin conclude che nel corso della gioventù quasi tutti, una volta o l’altra, infrangono la legge. L’utilizzo di interviste e questionari di self-report ha spostato il focus della ricerca dalla delinquenza alla devianza, ossia comportamenti meno gravi ma più diffusi. Gli studiosi hanno da tempo compreso che la delinquenza non dipende da una connessione lineare tra una o poche cause distinte, bensì deriva da una serie di concause, non tutte in azione nello 69
stesso momento. Vi è una relazione tra variabili sociologiche (livello socio-economico ed etnia) e caratteristiche individuali (grado di intelligenza e riuscita scolastica); a questi fattori vanno aggiunti quelli di tipo relazionale: un ambiente familiare conflittuale e privo di calore, con genitori incoerenti nello stile educativo e l’accesso a gruppi di coetanei già coinvolti in attività antisociali. I bambini che si comportano aggressivamente, che non sanno stare alle regole, che manifestano scarsa socialità incorrono, nella media fanciullezza, in un duplice fallimento: il rifiuto dei coetanei più adattati e l’insuccesso scolastico. A monte di questi comportamenti negativi sta un clima familiare inadeguato; a valle, la ricerca di accettazione da parte di “altri” compagni e l’inserimento in gruppi antisociali, che portano a “cristallizzare” la devianza e aprono la strada ad una carriera criminale. Si attua la teoria della gestione della reputazione: al cuore di questa teoria sta l’idea che la reputazione di delinquente, o comunque di persona che contravviene alle regole, è una reputazione come qualunque altra. Le autrici concordano comunque con Emler e Reicher nel ritenere che la devianza svolga delle funzioni psicologiche, tra cui primeggia l’affermazione di sé, il desiderio di piacere ai coetanei e di cementare il rapporto con essi attraverso la condivisione di azioni trasgressive ed oppositive nei confronti degli adulti. Rimane comunque il problema cruciale di stabilire quali siano i fattori protettivi, che permettono alla maggioranza dei giovani di uscire dall’esperienza della devianza. Una direzione a cui guardare è sicuramente la scuola e la famiglia, che non esaurisce i suoi compiti negli anni della fanciullezza, inoltre importante è la conoscenza della vita dei figli. 70
Uno degli strumenti per misurare il disimpegno è il FACES Family adaptability and cohesion evaluation scale. Quanto più stretti sono giudicati i legami affettivi entro il nucleo familiare, tanto minore è il disimpegno del preadolescente. Gli stadi dello sviluppo sociale secondo Erik Erikson Ciascuno stadio può essere concepito come un momento critico. Ogni stadio sfocia nell’assunzione di un atteggiamento positivo/negativo verso un particolare aspetto della nostra vita. Fiducia/Sfiducia – dalla nascita al primo anno – il bambino deve avere fiducia delle persone che si curano di lui, se viene maltrattato non costruisce questo sentimento. Autonomia/Vergogna e dubbio – da 1 a 2 anni – se le richieste degli adulti sono adeguate sviluppa autonomia altrimenti si sentirà incapace Iniziativa/Senso di colpa – da 3 a 6 anni – Vi sono delle norme, se sono troppo rigide nel reprimere le trasgressioni si sviluppa il senso di colpa Industriosità/Inferiorità – da 7 a 11 anni – se il bambino sente di riuscire bene e contento, mentre se sperimenta insuccessi sviluppa inferiorità Identità/Confusione di ruoli – da 12 a 18 anni – Intimità/Isolamento – età giovanile Generatività/Stagnazione – età matura – per generatività si intende la capacità di guardare al futuro Integrità/Disperazione – vecchiaia – l’integrità è il sentimento di chi è riuscito ad accettare il proprio destino, inclusa la coscienza di dover morire; la disperazione è il sentimento di chi guarda indietro e vorrebbe ricominciare ma si rende conto che è troppo tardi James Marcia ha analizzato i processi attraverso i quali avviene la formazione dell’identità e ne ha individuati due: 71
L’esplorazione delle diverse alternative e l’impegno (commitment). La combinazione di questi due processi dà origine a quattro status di identità diversi. La conquista dell’identità è quello a cui sono giunti gli individui che hanno effettuato sia l’esplorazione che la scelta di come impegnarsi nel lavoro, nella famiglia, nella società. Nella definizione prematura la scelta e quindi l’impegno non sono stati preceduti da una fase di esplorazione, i giovani seguono i binari prefissati dalla famiglia. La moratoria è lo status di esplorazione in atto e corrisponde perciò a un periodo di riesame e di ricerca dei valori e degli scopi verso i quali orientare la propria vita. Infine nella confusione non c’è alcun impegno e, che ci sia stata no esplorazione, il giovane non è ancora in grado di prendere delle decisioni e sente che la propria vita è priva di una direzione. L’impegno politico Un’indagine negli USA ha consentito di individuare vari tipi di cittadino in relazione del coinvolgimento politico: l’attivista razionale – elevata conoscenza e partecipazione lo spettatore – elevata conoscenza e scarsa partecipazione il cittadino passivo – scarsa conoscenza e scarsa partecipazione il cittadino mobilitato – scarsa conoscenza ed elevata partecipazione Più frequente è la formazione di un’ideologia in senso lato, cioè un insieme di atteggiamenti e credenze più o meno esplicite verso i temi attinenti le libertà individuali, le scelte economiche, la tolleranza nei confronti di stili di vita alternativi.
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Per quanto riguarda l’Italia, secondo una recente inchiesta il numero dei giovani fra i 15 e 24 anni che si dichiarano politicamente impegnato si attesta attorno al 3%, mentre sono scesi dal 44 al 37% quelli che affermano di tenersi informati e sono aumentati coloro che provano disgusto per la politica. Da questa indagine emerge però un aumento alla partecipazione alle associazioni volontarie, che possono costituire un importante strumento di mediazione tra la società civile e lo stato. La consapevolezza del futuro e la capacità di collegare ad esso le scelte e le attività del presente viene chiamata prospettiva temporale o FTP future time perspective; l’ampiezza e la chiarezza di tale prospettiva temporale gioca un ruolo importante nella capacità di stabilire obiettivi, formulare piani e dilazionare le gratificazioni immediate in vista di mete considerate più importanti anche se non presenti.
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