Andrea Magnolini
Fotografie di Enrica Magnolini
Fare CESTI Manuale pratico di cesteria secondo le tradizioni regionali italiane
Andrea Magnolini
Fare cesti Manuale pratico di cesteria secondo le tradizioni regionali italiane Fotografie di Enrica Magnolini
Direzione editoriale: Mimmo Tringale
Autore: Andrea Magnolini (www.passileggerisullaterra.it) Fotografie: Enrica Magnolini (www.enricamagnolini.com;
[email protected]; +39.333.2187493) Titolo: Fare cesti Editing: Lucia Castellucci Impaginazione: Domenico Cuccu Progetto grafico e copertina: Andrea Calvetti
2011, Editrice Aam Terra Nuova Via Ponte di Mezzo, 1 50127 Firenze tel 055 3215729 – fax 055 3215793
[email protected] – www.terranuovaedizioni.it I edizione novembre 2011 ISBN: 978-88-88819-92-1
Tutti i diritti riservati Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi, fotocopie, microfilm o altro, senza il permesso dell’editore. Le informazioni contenute in questo libro hanno solo scopo informativo, pertanto l’editore non è responsabile dell’uso improprio e di eventuali danni morali o materiali che possono derivare dal suo utilizzo. Stampa: Lineagrafica, Città di Castello (PG)
Prefazione “Nelle trame dei cesti la musica del mondo” Antonio, seduto su una sedia da lui stesso impagliata, tiene in mano due rametti di salice. Con modi fermi e sicuri, ma senza fretta, sta finendo un cesto per le ciliegie. Intorno a lui la festa di paese è affollata, la gente si ferma e lo guarda incuriosita, chiede prezzi e informazioni su un’arte che sembra appartenere a un altro continente, a un’altra epoca, a un popolo quasi scomparso. Con tutto il bene che gli voglio, penso che fra 10 o 15 anni Antonio probabilmente non ci sarà più. Ormai ha visto più di 75 primavere. Tra qualche anno, un’altra bancarella prenderà il suo posto in quella stessa piazzola. Ma quali prodotti industriali o d’importazione sostituiranno i suoi cesti, realizzati utilizzando materiali raccolti direttamente dalla natura? Il destino dei cestai, come quello di tanti altri artigiani italiani che con le loro mani costruiscono oggetti con materiali non inquinanti e duraturi, nel nostro Paese sembra ormai segnato. Eppure, fuori dall’Italia, sono numerosi gli esempi positivi: in Spagna, Francia, Danimarca, Olanda, Germania, Irlanda, Inghilterra, Polonia, sono sorte associazioni per lavorare, tutelare, diffondere antichi mestieri e saperi come la cesteria, spesso trovando anche il sostegno delle istituzioni. Molti paesi hanno recuperato materiali, metodi di lavorazione e manufatti tradizionali considerandoli parte del proprio patrimonio culturale nazionale, da difendere e conservare come una lingua regionale o un prezioso quadro. Alcuni cesti sembrano “emanare” un tipo particolare di armonia, un insieme di equilibrio e di proporzione, di irregolarità del materiale e perfezione d’insieme; in alcuni casi sembra di stare davanti a un “mandala di legno”. Così come un artista o un appassionato di musica ascoltano, gustano e meglio di un profano comprendono un brano di musica lirica o classica, chi abbia avuto modo di realizzare direttamente o di osservare con attenzione un prodotto artigianale, può meglio apprezzare l’oggetto riuscito particolarmente bene. Se l’ignoranza prevalesse, le generazioni future potrebbero trattare con “indifferenza interrogativa” un cesto “caravaggiato” così come una sinfonia di Mozart. Per molti la cesteria e gli intrecci sono diventati un’alternativa alla TV e un motivo per incontrarsi, scambiarsi idee e conoscenze; per altri rappresentano un modo per riavvicinarsi alla natura e acquisire uno stile di vita più sobrio ed ecologico. Cercando di vincere i diversi campanilismi, potrebbe essere inaugurata una collana di libri dedicati a questo tema, per attingere all’esperienza di una parte delle vivaci associazioni di volontariato sparse per tutta Italia.
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Fondo di un cesto di Elena Campacci
Introduzione L’arte della cesteria è una delle pratiche più antiche dell’uomo. Ben prima della tessitura e della ceramica, l’uomo e la donna hanno scoperto che si potevano creare contenitori incredibilmente robusti e leggeri intrecciando, torcendo e modellando rami o altre fibre vegetali. La nostra cultura e il nostro linguaggio presentano ancora oggi molti legami con l’arte di intrecciare fibre vegetali: in molti capitelli e bassorilievi di chiese e templi sono incisi motivi intrecciati; il Viminale è un colle di Roma dove veniva coltivato il salice da intreccio (detto anche vimini), utilizzato anche per realizzare carri da guerra. Anche il termine “fisco”, inteso come agenzia delle entrate, deriva da “fiscella”, una busta usata come portafoglio e fatta di foglie intrecciate1. Cesti sbucano in quadri e incisioni di tutte le epoche, ed è sorprendente che quest’arte tradizionale sia spesso giunta fino a noi tramandata semplicemente di “padre in figlio”. I cesti d’importazione, oggi disponibili nei negozi per pochi euro, non sono in grado di raccontarci quasi nulla della loro storia, delle mani che li hanno intrecciati, dei materiali utilizzati o dell’annata climatica. Imparare a realizzare artigianalmente un oggetto significa recuperare un legame profondo tra l’uomo e la natura e tra l’uomo e i suoi antenati e le sue tradizioni.
Perché un libro sulla cesteria regionale L’idea nasce da alcuni virtuosi esempi europei: in Spagna2 per esempio, la cesteria stava prematuramente scomparendo, ma, grazie all’impegno di alcune associazioni e di artigiani di spicco, oggi esistono migliaia di persone interessate a quest’arte, molti sono gli hobbisti e vi sono anche giovani cestai di professione. Grazie a un’operazione culturale condotta attraverso una seria attività di ricerca e divulgazione, con poster, libri, fiere, festival internazionali e centinaia di corsi, è stato infatti possibile far rinascere l’interesse per questa e altre attività. Oggi la cesteria tipica di alcune zone della Spagna3 è stata rivalutata come un importante patrimonio culturale e un interessante forma di espressione artistica; la gente ha ripreso ad acquistare cesti a un prezzo sostenibile, ha re-imparato a conoscere le forme tipiche delle proprie zone, ad apprezzare i materiali locali utilizzati e la longevità di questi manufatti.
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“Espiral” Joan Farrè (Spagna, Catalogna)
In Francia è nata una scuola nazionale di cesteria; in Danimarca si fa molta ricerca sui materiali e le tecniche utilizzate e anche fra i giovani e gli adolescenti è tornato di moda intrecciare. In alcuni paesi dell’Est Europa l’intreccio è inserito all’interno del programma scolastico delle scuole elementari e medie. Da qui è nata l’idea di un libro sulla cesteria regionale italiana. Nel nostro paese, grazie alla conformazione geografica e morfologica, è presente la metà della biodiversità europea e un’incredibile varietà culturale. Da nord a sud, da est a ovest, basta percorrere 20 o 30 km per sentire un dialetto diverso e talora così differente da non poter essere compreso dagli abitanti della stessa regione. Lo stesso vale per la grande diversità di materiali così che, al variare della vegetazione, delle tecniche di lavorazione e della mentalità, cambia anche la natura dei manufatti. La cesteria è un esempio lampante di questa diversità che, insieme alla creatività, rappresenta la vera ricchezza del Bel Paese. Numerosi indizi fanno pensare che in Italia la cesteria abbia avuto prevalentemente una dimensione rurale e locale: chi intrecciava cesti, lo faceva per sé o al massimo per i vicini, per rispondere alle necessità della vita di campagna. Infatti abbiamo poche notizie di scuole di cesteria o di grandi imprese di produzione ed esportazione: alcuni esempi si sono avuti solo in Friuli e nell’Appennino Tosco-Emiliano.
Non solo cesti Capanni intrecciati, controsoffitti, carretti, ceste, panieri, canestre, nasse e gerle di vimini, canna e olivo, olmo, sanguinello, giunco spinoso, giunco di palude, tifa, nocciolo, castagno, ginestra, asparto: sono solo alcuni esempi di questa grande varietà di manufatti. Tutti questi oggetti venivano realizzati con tecniche, colori e sfumature differenti. Cesti semplici o complicatissimi, essenziali o robusti fino all’eccesso, ogni zona aveva un cesto caratteristico e non è difficile, osservandoli, riconoscere il carattere della gente a cui appartiene. Ogni tanto è possibile imbattersi in pubblicazioni locali che, tra le altre cose, descrivono anche “il cesto del paese”: quello che invece è mancato fino a oggi è una pubblicazione di carattere “orizzontale”, che, mettendo a confronto i vari manufatti, ne esaltasse la diversità. Questo libro nasce anche per colmare questa lacuna, ma non solo. L’intreccio può diventare una pratica applicabile non solo alla cesteria, ma anche alle strutture per interno o per il giardino e, non ultima, all’espressione artistica. Ma prima di arrivare a queste “evoluzioni”, è importante conoscere e provare a riprodurre i cesti e le tecniche della tradizione, in modo che il lettore conosca e sperimenti i limiti dei materiali e delle tecniche, prima attraverso un approccio artigianale e solo in un secondo momento artistico. Mi rendo conto che questo è un percorso poco di “moda” nelle accademie, ma anche Picasso, prima di diventare un maestro del Cubismo, dipingeva come Raffaello. “La tradizione non va (solo) ripetuta ma va continuata”, afferma Joan Brossa, scrittore catalano, che in poche parole spiega molto bene il legame fra le conoscenze del passato e il loro adattarsi alle necessità, ai gusti e alla creatività del presente.
INTRODUZIONE
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Perché la cesteria? Il tema degli intrecci non è un “revival nostalgico”, è invece un’attività completa che collega, attraverso la pratica, lo sviluppo di capacità personali, di saperi locali, dell’ambiente naturale e della storia. Le conoscenze artigianali e le abilità di carattere pratico sono spesso apprezzate a livello teorico ma scoraggiate nella pratica. Attraversiamo un’epoca dove pare che tutti i bisogni possano essere soddisfatti dal sistema industriale con scambi mediati dalla carta moneta. In realtà le conoscenze e le capacità che permettono di realizzare l’intero ciclo, cioè utilizzare materie prime reperibili in natura e creare “qualcosa di utile”, sono ricchezze di “altra natura” in quanto: - non subiscono l’usura del tempo, anzi possono essere integrate e raffinate mano a mano che si fa esperienza; - nessuno le può brevettare, al contrario possono essere condivise e scambiate senza perdere nulla; - non necessitano di un sistema commerciale per soddisfare i bisogni a cui rispondono e non sono soggette a fenomeni di natura finanziaria come l’inflazione o l’aumento del prezzo del petrolio. È curioso notare che il nostro cervello si è evoluto nel corso di migliaia di anni, durante i quali la stragrande maggioranza degli esseri umani è rimasta china su lavori manuali. Le nostre abitudini si sono modificate radicalmente negli ultimi 3040 anni, pur mantenendo una struttura celebrale biologicamente antica, ma non è detto che questo si sia tradotto in benessere e serenità. Nei corsi di cesteria c’è sempre un informatico che dice: “Durante il giorno lavoro moltissimo, ma quando la sera spengo il computer, il mio lavoro diventa invisibile, volatile, e non posso toccare il prodotto della mia fatica; per questo, se non faccio qualcosa di concreto, rischio di impazzire”. In un mondo ipertecnologico e virtuale, creare con le proprie risorse dei manufatti partendo da alcuni “rametti” permette di riappropriarsi delle abilità materiali e cognitive da sempre appartenute all’uomo. L’attività dell’intreccio infatti sviluppa capacità come l’attenzione, la coordinazione e una fine manualità. Richiede l’utilizzo di entrambi gli emisferi del cervello: ci sono regole ed estetica, ripetizione e improvvisazione, possibilità di controllo dell’errore e senso delle proporzioni. In un’epoca dominata dal consumismo e dallo spreco, il fatto di non acquistare per poter avere il necessario può apparire come una novità, un gesto quasi esotico che sembra appartenere a un’altra epoca. Conoscere le piante e i tempi per la raccolta è sufficiente per riuscire a creare oggetti che durano anche cinquant’anni (a dispetto della plastica) e che potranno essere smaltiti senza produrre scarti inquinanti, magari come compost nell’orto. 1
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Diana Poidimani, Alessandro Fadelli, L’arte della cesteria, “Quaderni de La Mont”, 1, Polcenigo, Pro Loco Mezzomonte, 2003. Caterina Hernandez, Cestería. Oficios artisticos, Parramon, Barcelona, 2006; Bignia Kuoni, Cestería tradicional ibérica, Ediciones del Aguazul, Barcelona, 2003; Carlos Fontales, Cestería de los pueblos de Galicia, Ediciones Ir Indo, Vigo, 2005. Soprattutto in Catalogna, Galizia e nelle isole Canarie.
INTRODUZIONE
Nome cesto
Severino Todari “Ogni vecchio che more con la testa bona l’è una biblioteca che va in fumo” (Ogni vecchio che muore con la testa buona è una biblioteca che va in fumo) 42
CESTERIA REGIONALE
Nome cesto
Il crino marchigiano di salice (Pesaro-Urbino)
l crino o croina o gheiba è un manufatto molto particolare, poiché non ha portanti o tessitori: tutti i salici concorrono alla struttura e alla tessitura del cesto con un curioso intreccio a spirale. Nel mondo rurale il crino veniva utilizzato in vari modi: per portare foglie, paglia e fieno, e anche per tenere le galline. Arrivati al mercato, veniva girato e il buco superiore serviva a tirare fuori i pulcini. I crini grandi servivano come “girello” per i bambini. Con lo stesso intreccio si facevano le museruole per le mucche (o i vitelli); la crinella, che è una cesta per contenere le foglie di gelso per il baco da seta; e la passerara, un cesto-trappola (oggi vietato) in cui i passerotti riuscivano a entrare ma non a uscire. Esegue Severino Todari.
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Il crino marchigiano di salice
didattica
1 Per realizzare un crino con un diametro di 50 cm sono necessari circa 60 salici (“venco” in marchigiano), con lunghezze a scalare: per cominciare 20 di circa 150 cm, per il secondo giro altri 20 di 140 cm e per il terzo giro altri 20 di circa 130 cm. I rami devono essere uniformi per spessore e non avere biforcazioni importanti. Per comodità i salici del secondo e terzo giro si preparano già aguzzati. 1 2 Di solito si inizia a terra. Prendere il salice più lungo e robusto, il “monco”, che viene snervato torcendolo su se stesso circa a metà della sua lunghezza, e poggiarne la parte della punta a terra sollevandone il piede. 3 A questo punto piegarlo e inserire due salici, portando il piede di ciascuno di essi sotto il ginocchio di circa 8 cm. Prendere la parte grossa del monco (il piede) e piegarla verso la punta in modo che di2 venti parallela. 4 Sollevare la parte sottile del monco (la punta) perpendicolarmente al pavimento, farla passare davanti a quella grossa, portandosi in direzione del cestaio in posizione a 45° rispetto ai due salici (colorati nella foto per esigenze didattiche). La parte del piede del monco invece viene adagiata in avanti accanto ad essi. 3
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5 Aggiungere un salice nella stessa posizione di quelli lunghi ma sotto il “monco”. Prendere il secondo dei due salici inseriti all’inizio (giallo nella foto), piegarlo a 90° gradi verso destra passandolo dietro agli altri due.
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Il crino marchigiano di salice
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6 Sollevare il secondo salice fino a 90° e passarlo davanti alla parte sottile del monco (nero nella foto), quindi portarlo fino a 45° in direzione del cestaio. In questo modo ogni “nodo” abbraccia due salici. 7 Una volta posizionato un quarto salice (bianco nella foto) sotto la parte sottile (nero nella foto), piegare di 90° verso destra il salice precedentemente inserito al punto 5 (bianco nella foto). Di regola, guardando la parte superiore dell’intreccio, deve essere piegato il terzo salice partendo da sinistra, oppure il piede precedente guardando la parte inferiore.
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8 A questo punto sollevare il salice bianco perpendicolarmente al pavimento, passandolo davanti al salice giallo che si stende accanto agli altri. Infine portare il salice bianco dietro. 9 Continuare con questo “passo” fino ad avere 19 piedi. 10 Tagliare i piedi uguali tra loro con un avanzo (altezza dal nodo) di 4-5 cm.
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Il crino marchigiano di salice
La giuntura della spirale 11 Ora è possibile iniziare a lavorare appoggiandosi su un tavolo. Modellando i nodi, piegare l’intreccio in modo da formare un cerchio, avendo l’inizio sulla destra (salici colorati nella foto) e l’ultimo salice intrecciato sulla sinistra.
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12 Prendere il salice da giuntare (rosso nella foto).
13 Aggiungerlo sotto il primo ed eseguire i nodi: prendere il terzo salice a destra, sormontarlo, portarlo dietro e poi portare avanti l’altro.
14 Aggiungere un salice da incastrare nel nodo; da questo momento in poi, aggiungerne uno ogni due 12 nodi all’incirca.
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14 fine didattica
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Il crino marchigiano di salice
15 Di norma l’aggiunta va fatta solo se davvero necessaria, cioè quando il raggio del giro precedente non si trova sufficientemente a destra rispetto al nodo ancora da fare. Fare attenzione a tirare l’intreccio verso il centro, perché ogni giro della spirale deve distare circa 5 cm dal precedente. 15
16 Proseguire fino a che non si sono compiuti due giri.
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17 A questo punto, quando il salice sottile e la parte grossa del “monco” della partenza si incontrano di nuovo, tagliare quello più fine e sostituirlo. CESTERIA REGIONALE
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Il crino marchigiano di salice
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18 Prendere un bastoncino che farà da misura dal centro, e che verrà usato per chiudere l’intreccio in un cerchio (19).
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20 Quando il cerchio è chiuso, fare ancora due nodi, poi capovolgere il fondo e appoggiarlo al bordo del tavolo, quindi torcere due salici: sovrapporne uno su quello vicino a sinistra e spostarlo poi in basso.
21-22 Sovrapporre a sua volta quello già sormontato su quello successivo a sinistra e così via, sino a fare il giro completo.
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Andrea Magnolini
Fotografie di Enrica Magnolini
Fare CESTI Manuale pratico di cesteria secondo le tradizioni regionali italiane
Andrea Magnolini
Nato a Brescia, vive in campagna in provincia di Bologna. Da quando un artigiano catalano gli mostrò come fare un cesto, ha iniziato a intrecciare, raccogliere materiale, studiare e da allora non ha più smesso. Educatore atipico, tiene corsi di formazione alla manualità per adulti, bambini e insegnanti, utilizzando solo i materiali offerti dalla natura. Con Alberto Rabitti esegue strutture di salice vivente e spazi naturali di gioco per bambini. Tra le sue attività ci sono anche la realizzazione di orti scolastici, giochi antichi, l’auto-costruzione di forni di terra cruda e stufe in muratura.
Enrica Magnolini Diplomata in fotografia presso l’Istituto Europeo del Design di Milano e specializzata in fotografia di scena all’Accademia Teatro alla Scala di Milano, ha lavorato come assistente per vari fotografi di moda. Collabora a vari festival (Milano Film Festival, Festa Internazionale del Circo Contemporaneo) e, come videomaker, co-produce e intervenire nello spettacolo Maquillage, e collabora con la coreografa Cristiana Battistella, con Luna Paese e con Roberto Kovre. www.terranuovaedizioni.it
Quante volte, guardando un cesto, siamo rimasti affascinati dagli intrecci che trasformano fragili rami di salice, olivo, ginestra e altre fibre vegetali in robusti e graziosi contenitori. Tra i primi manufatti realizzati dall’uomo, i cesti sono ancora oggi intrecciati con le stesse tecniche e gli stessi materiali del passato, disponibili e alla portata di tutti. Nel libro l’autore conduce il lettore, pagina dopo pagina, nell’affascinante e vitale mondo della cesteria. Grazie anche alle splendide foto che corredano il volume, Andrea Magnolini vi prende per mano e, passo dopo passo, insegna a scegliere e trattare le fibre vegetali più comuni, a intrecciarle e legarle per realizzare le varie parti di cui si compone un cesto. Si scoprono così le differenze tra il gavan romagnolo e il crino marchigiano, tra il classico cesto laziale e quello trentino o di altre regioni. Intrecciare cesti è anche un modo per avvicinarsi in modo creativo alla natura: la prima parte del libro è infatti dedicata al riconoscimento e al reperimento dei materiali, in modo che ognuno possa conoscere i vari tipi di salice utili per l’intreccio o il periodo migliore per raccogliere le canne o i rami di vitalba. Il volume si chiude fornendo gli indirizzi delle associazioni e dei cestai in Italia e dei principali eventi internazionali, a dimostrazione che questo sapere antico è ancora vivo e ricco di spunti anche per la nostra contemporaneità.
ISBN 88-88819-92-1
€ 16,00