Compendio Diritto Amministrativo(Sintesi Casetta)2

January 24, 2017 | Author: api-3737657 | Category: N/A
Share Embed Donate


Short Description

Download Compendio Diritto Amministrativo(Sintesi Casetta)2...

Description

Compendio di Diritto Amministrativo di Elio Casetta Capitolo I L'AMMINISTRAZIONE E IL SUO DIRITTO 1. La nozione di amministrazione II termine "amministrazione" non è di per sé un concetto giuridico: indica, lessicalmente inteso, la cura in concreto di interessi. Esso è riferibile ad un qualsiasi soggetto (persona giuridica, pubblica o privata, ovvero individuo) che svolge un'attività rivolta alla soddisfazione di interessi correlati ai fini che si propone di perseguire. Qui di seguito verrà analizzata l'amministrazione regolata da norme giuridiche e svolta per la soddisfazione di interessi pubblici, posta in essere dalle persone giuridiche pubbliche e dagli organi che hanno competenza alla cura degli interessi dei soggetti pubblici. 2. La nozione di diritto amministrativo La disciplina giuridica della pubblica amministrazione nella sua organizzazione, nei suoi beni, nelle attività ad essa peculiari e nei rapporti che, esercitando tale attività, si instaurano con gli altri soggetti dell'ordinamento, è il diritto amministrativo. Gli Stati caratterizzati dalla presenza di un corpo di regole amministrative distinte dal diritto comune sono generalmente definiti come Stati a regime amministrativo. L'attività amministrativa può, comunque, essere esercitata da soggetti pubblici anche nelle forme del diritto privato. Per quanto riguarda poi, i rapporti tra diritto amministrativo e diritto penale, negli ultimi decenni molti reati sono stati depenalizzati per diventare illeciti amministrativi, pur essendo rimasta immutata la fattispecie. 3. L'amministrazione comunitaria ed il diritto amministrativo L'azione amministrativa è condizionata dalla disciplina posta dalle fonti comunitarie, come i trattati, i regolamenti e le direttive. Al fine di descrivere questo complesso di normative, potrebbe essere utilizzata l'espressione diritto amministrativo comunitario che, in senso proprio, è però, solo quello avente ad oggetto l'amministrazione comunitaria, cioè quell'insieme di organismi ed istituzioni dell'Unione europea cui è affidato il compito di svolgere attività sostanzialmente amministrativa e di emanare atti amministrativi (hanno funzioni esecutive la Commissione e il Consiglio). Il moltiplicarsi dei compiti dell'Unione europea impone il raccordo tra istituzioni comunitarie ed amministrazioni nazionali, inoltre, l'aumento dei compiti comunitari determina la possibilità di un parziale ridimensionamento del campo di azione dell'amministrazione interna. Un argine a tale situazione potrebbe derivare dal principio di sussidiarietà: introdotto nel nostro ordinamento dalla I. 59/1997e dall'art. 3, c. 5, T.U. enti locali, nonché dalla I. cost. 3 del 2001, questo principio, inserito nel trattato istitutivo della Comunità europea (art. 5, nel testo modificato dal Trattato di Amsterdam pattuisce una regola di riparto delle competenze tra Stati membri e Unione europea. Più in particolare, nei settori di competenza "concorrente" tra Unione e Stati membri, esso consente alla prima di intervenire "soltanto se e nella misura in cui" gli obiettivi dell'azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possano dunque essere meglio realizzati a livello comunitario, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione stessa. Le amministrazioni nazionali, infine, possono essere chiamate a svolgere compiti esecutivi delle decisioni adottate dall'amministrazione comunitaria.



Capitolo II ORDINAMENTO GIURIDICO E AMMINISTRAZIONE: LA DISCIPLINA COSTITUZIONALE 1. Diritto amministrativo e nozione di ordinamento giuridico II termine ordinamento giurìdico generale indica l'assetto giuridico e l'insieme delle norme giuridiche che si riferiscono ad un particolare gruppo sociale. Molte norme di questo ordinamento sono costituite da prescrizioni costituzionali, l'analisi delle quali consente di chiarire quale sia la posizione dell'amministrazione nell'ordinamento giuridico generale, cioè quali sono i suoi rapporti con gli altri soggetti dell'ordinamento. 2. L'amministrazione nella Costituzione: in particolare, il "modello" di amministrazione emergente dagli artt. S, 95, 97 e 98. La separazione tra indirizzo politico e attività di gestione Dalla lettura degli artt. 98, 5 e 97 della Costituzioni emergono diversi modelli di amministrazione, che hanno costantemente presente, sullo sfondo, la questione del rapporto tra amministrazione, governo e politica. Il Governo, assieme al Parlamento, esprime un indirizzo, qualificato dal l’art 95 Cost. come indirizzo politico ed amministrativo. L'indirizzo politico può essere definito come la direzione politica dello Stato e, quindi, come quel complesso di manifestazioni di volontà in funzione del conseguimento di un fine unico, le quali comportano la determinazione di un impulso unitario e di coordinazione affinchè i vari compiti statali si svolgano in modo armonico, mentre l'indirizzo amministrativo, che deve comunque essere stabilito nel rispetto dell'indirizzo politico, consiste nella prefissione di obiettivi dell'azione amministrativa. Il Consiglio dei ministri ha il compito di determinare, in attuazione della politica generale del governo, l'indirizzo generale dell'azione amministrativa (ari 2, e. 1,1.400/1988); il Presidente del Consiglio dei ministri impartisce ai ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri (art. 5, c. 2, lett a), I. 400/1988). L'art. 42 T.U. enti locali, dispone che il consiglio comunale e provinciale siano organi di indirizzo e di controllo politico­ amministrativo Riflesso del problematico rapporto tra politica, amministrazione e diritto amministrativo è la questione della distinzione tra atti amministrativi e atti politici, questi ultimi sottratti al sindacato del giudice amministrativo (sulla base della I. 5992/1889 istitutivo della sez. IV del Consiglio di Stato; v. oggi r.d. 1054/1924). Quali esempi di atti politici che rivestono la forma amministrativa possono annoverarsi le deliberazioni dei decreti legge e dei decreti legislativi, atti di iniziativa legislativa del governo, oppure lo scioglimento dei consigli regionali. Anello di collegamento tra indirizzo politico e attività amministrativa in senso stretto sono gli atti di alta amministrazione (es. provvedimenti di nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere), caratterizzati da un'altissima discrezionalità, soggetti alla legge e al sindacato giurisdizionale. 3. I principi costituzionali della pubblica amministrazione: la responsabilità L'art. 28 Cost. enuncia il principio di responsabilità: "i funzionarl e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici (v. cap. VIII par. 4). La normativa amministrativa impiega il termine responsabilità anche in un diverso significato, cioè per indicare il soggetto ("responsabile") che deve rendere conto del complesso dell'attività di un ufficio ad esso facente capo. 3.1 II principio di legalità L'amministrazione è soggetta al principio di legalità, che, nel nostro ordinamento, è suscettibile di diverse interpretazioni. In primo luogo, esso è considerato come non contraddittorietà dell'atto amministrativo rispetto alla legge (preferenza della legge). Questa accezione di legalità, la prima dal punto di vista storico, corrisponde all'idea che l'amministrazione può fare solo ciò che non sia impedito dalla legge, opinione superata, oggi, con la tesi della legalità formale e sostanziale. Nella sua accezione di conformità formale il principio in esame sta ad 2 

intendere che l'amministrazione non solo non può contraddire la legge, ma ha il dovere di agire nelle ipotesi ed entro i limiti fissati dalla legge che attribuisce il relativo potere. Con la nozione di conformità sostanziale s'intende far riferimento alla necessità che l'amministrazione agisca non solo entro i limiti di legge, ma altresì in conformità della disciplina sostanziale posta dalla legge stessa, la quale incide anche sulle modalità di esercizio dell'azione, del potere. I parametri a cui l'attività amministrativa deve fare riferimento sono più ampi della sola legge in senso formale: ciò consente, tra l'altro, di spiegare perché si parli in dottrina non solo di legalità ma anche di legittimità, la quale consiste nella conformità del provvedimento e dell'azione amministrativa a parametri anche diversi dalla legge, anche se alla stessa collegati (es. norme regolamentari, statutarie). L'amministrazione può esercitare solo i poteri autoritativi previsti dalla legge: ne consegue che essa può emanare solo i provvedimenti stabiliti in modo tassativo dalla legge (tipicità dei provvedimenti amministrativi). Altro principio che riguarda i rapporti tra attività amministrativa e legge è quello del giusto procedimento. 3.2 II principio di imparzialità Due principi relativi all'amministrazione sono posti dal l’art. 97 Cost.: trattasi del principio di buon andamento dell'amministrazione e del principio di imparzialità (dottrina e giurisprudenza ritengono che la norma si estenda anche all'amministrazione non statale e che riguardi sia l'organizzazione che l'attività dell'amministrazione stessa). L'imparzialità sta a significare che l'amministrazione ha il dovere di non discriminare la posizione dei soggetti coinvolti dalla sua azione nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura, nonché l'esigenza che essa sia strutturata in modo da assicurare una condizione oggettiva di aparzialità. Sotto questo profilo, il precetto costituzionale si rivolge sia al legislatore che all'amministrazione in quanto ponga la disciplina della propria organizzazione e le concrete misure di organizzazione. Applicazioni specifiche del principio sono la posizione dei pubblici impiegati, i quali sono al servizio esclusivo della nazione (art. 98 Cost.) e non di interessi partigiani, l'obbligo di astensione sussistente in capo ai titolari di pubblici uffici quando si debbano decidere questioni a cui sono interessati, adottare il criterio del pubblico concorso per selezionare il personale. Connesso con l'imparzialità nell'azione amministrativa è il principio della predeterminazione dei criteri e delle modalità cui l'amministrazione si deve attenere nelle scelte, il quale consente di verificare la rispondenza delle scelte concrete ai criteri che l'amministrazione ha prefissato (c.d. autolimite, disciplinato dal l’art 12 I. 241/90). Trova applicazione nelle ipotesi di erogazioni pubbliche senza corrispettivo, allorché i criteri e le modalità cui attenersi non siano stati determinati dalla legge: l'amministrazione non può procedere in via puntuale e concreta senza la previsione, in via generale e preventiva, di criteri e modalità, che vanno pubblicati e la cui osservanza deve risultare dal provvedimento. Nell'azione amministrativa, dunque, il dovere di imparzialità significa dovere di evitare disparità di trattamento (nell'organizzazione, invece, c'è l'esigenza astratta che gli interessi siano considerati). 3.3. Il principio di buon andamento L'art. 97 Cost. enuncia anche il principio di buon andamento, che impone alla pubblica amministrazione di agire nel modo più adeguato e conveniente possibile. 3.4 I criteri di efficacia, economicità, efficienza e trasparenza L'amministrazione deve attenersi anche ai seguenti criteri: efficienza: indica la necessità di misurare il "rapporto tra il risultato dell'azione organizzativa e la quantità di risorse impiegate per ottenere quel dato risultato; efficacia: indica il "rapporto tra ciò che si è effettivamente realizzato e quanto si sarebbe dovuto realizzare sulla base di un piano o programma"; trasparenza: può essere riferito sia all'organizzazione che all'attività e si realizza attraverso istituti come il diritto di accesso, la motivazione, il responsabile del procedimento ecc. 3.5

I principi di azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione e di sindacabilità degli atti amministrativi. Il problema della riserva di amministrazione. 3

Gli artt. 24 e 113 Cost. esprimono l'esigenza che ogni atto della pubblica amministrazione possa essere oggetto di sindacato da parte del giudice e che tale sindacato attenga a qualsiasi tipo di vizio di legittimità: si tratta del principio di azionabilità delle situazioni giuridiche dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione e di sindacabilità degli atti amministrativi. Secondo la Corte Costituzionale, i principi in esame non impedirebbero l'emanazione, purché sia rispettato il canone della ragionevolezza, delle cd. leggi provvedimento (hanno contenuto concreto e puntuale come un provvedimento amministrativo), sindacabili solo dalla Corte costituzionale, alla quale non è possibile proporre direttamente ricorso da parte dei soggetti privati lesi. 4. Il principio della finalizzazione dell'amministrazione pubblica agli interessi pubblici Dall'art. 97 cosi, emerge il principio di finalizzazione dell'amministrazione pubblica: il buon andamento significa congruità dell'azione in relazione all'interesse pubblico, l'imparzialità, direttamente applicabile all'azione amministrativa, postula l'esistenza di un soggetto "parte", il quale è tale in quanto persegue finalità collettive che l'ordinamento generale ha attribuito alla sua cura. 5. I principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza Regola fondamentale dell'organizzazione amministrativa è quella dei decentramento amministrativo, art. 5 Cost­., termine utilizzato per indicare la dislocazione dei poteri tra soggetti ed organi diversi. Può assumere le seguenti forme: decentramento burocratico: comporta il trasferimento di competenze da organi centrali ad organi periferici di uno stesso ente ed implica la responsabilità esclusiva degli organi locali nelle materie di propria competenza, nonché l'assenza di un rapporto di rigida subordinazione con il centro; decentramento autarchico: comporta l'affidamento ad enti diversi dallo Stato del compito di soddisfare la cura di alcuni bisogni pubblici. La L. 59/1997, art. 1, e. 2, ha attribuito al governo la delega per conferire agli enti locali e alle regioni tutte le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura di interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, delega esercitata con il d.lgs 112(1998: a seguito di questo processo di conferimento, l'amministrazione italiana si configura essenzialmente come regionale e locale. In concomitanza con siffatto processo, il legislatore ha iniziato a richiamare il principio di sussidiarietà: l'art. 4, l. 59/1997 lo annovera tra i principi ed i criteri direttivi cui deve attenersi la regione nel conferimento a province, comuni ed enti locali delle funzioni che non richiedano l'unitario esercizio a livello regionale. L'art. 3, c.5, T.U. enti locali prevede che comuni e province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione, secondo il principio di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà può essere inteso in senso verticale (relativamente alla distribuzione delle competenze tra centro e periferia) e orizzontale (nei rapporti tra poteri pubblici ed organizzazioni della società; gli enti locali, ad esempio, svolgono le loro funzioni anche attraverso attività esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali). Con la L. Cost. 3/2001 il principio di sussidiarietà è stato costituzionalizzato, sia in senso verticale, art. 118, co. 1, Cost., che orizzontale art. 118, co. 3, Cost. Detto principio è anche richiamato nell'art. 120, u.c., Cost. 6. I principi costituzionali applicabili alla pubblica amministrazione: l'eguaglianza, la so lid ar ietà, l a democ r azia Ai soggetti pubblici si applicano anche i principi di solidarietà (art. 2 Cost.), eguaglianza (art. 3 Cost.) e di democrazia, principio, quest'ultimo che, formulato per l'ordinamento militare, ex art. 52 Cost., non può non essere applicato all'amministrazione nel suo complesso. La democrazia implica la tutela delle minoranze, la promozione dell'eguaglianza, nonché la possibilità di controllare l'esercizio del potere politico nei vari settori.

4

Capitolo III L'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA: PROFILI GENERALI 1.

Introduzione

Fanno parte del nostro ordinamento soggetti persone fisiche e soggetti persone­giuridiche, tra cui le persone giuridiche pubbliche. Possono essere centri di imputazione di situazioni giuridiche soggettive anche le organizzazioni che non hanno personalità giuridica, come i ministeri, le amministrazioni autonome e le autorità indipendenti. 2. I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: gli enti pubblici L'amministrazione, in senso soggettivo, è composta nel suo complesso da soggetti di diritto pubblico e si articola nei vari enti pubblici; essi sono dotati di capacità giuridica e, come tali, sono idonei ad essere titolari di poteri amministrativi (possono essere, quindi, definiti centri di potere). 3. Il problema dei caratteri dell'ente pubblico L'art. 97 Cost. stabilisce il principio generale secondo cui "i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge"; la norma costituzionale esprime il principio essenziale secondo cui spetta all'ordinamento generale ed alle sue fonti individuare le soggettività che operano al suo interno. L'art. 4, I. 70/1975, afferma che "nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge"; in ordine agli enti regionali, la necessità di una legge deriva direttamente dal l’art. 117, c. 1, Cost. Per molti enti si pone il problema di stabilire se siano pubblici o meno in quanto la legge non ne qualifica la pubblicità: la giurisprudenza, a tal proposito, ha indicato dei criteri (indici rivelatori) da poter impiegare, tra i quali l'avvenuta costituzione dell'ente ad opera di un soggetto pubblico, la nomina degli organi direttivi da parte dello Stato o di altro ente pubblico, l'attribuzione di poteri autoritativi, l'esistenza di controlli o di finanziamenti pubblici. 4. La definizione di ente pubblico e le conseguenze della pubblicità Qualificare un ente come pubblico determina una serie di conseguenze giuridiche:  a)  gli enti pubblici sono dotati di autonomia, ovvero hanno la possibilità di porre in essere norme generali ed astratte che abbiano efficacia sul piano dell'ordinamento generale (autonomia normativa: si pensi agli enti territoriali, che possono emanare statuti e regolamenti), potere di determinare da sé i propri scopi, dandosi degli obiettivi anche diversi da quelli statali (autonomia di indirizzo, ravvisabile negli enti territoriali; la regione dispone di potestà di indirizzo politico, anche in virtù della posizione di autonomia ad essa costituzionalmente riconosciuta.. Province, comuni e città metropolitane possono perseguire in modo autonomo interessi cui l'ordinamento attribuisce rilevanza pubblica: potestà di indirizzo politico­amministrativo), autonomia finanziaria (possibilità di disporre in ordine alle spese e alle entrate autonome), autonomia organizzativa (potere di darsi un proprio assetto organizzativo), autonomia tributaria (possibilità di disporre di propri tributi), contabile (ne è espressione la sussistenza di un bilancio diverso da quello degli altri enti);  b)  hanno la potestà di autotutela, cioè gli enti pubblici hanno la possibilità di risolvere un conflitto attuale o potenziale di interessi e, in particolare, di sindacare la validità dei propri atti, producendo effetti incidenti su di essi;  c)  le persone fisiche legate da un rapporto di servizio agli enti pubblici sono assoggettate ad un particolare regime di responsabilità penale, civile e amministrativa;  d)  gli enti pubblici sono tenuti al rispetto dei principi che si applicano alla pubblica amministrazione ed alcuni loro beni sono assoggettati ad un regime particolare;  e)  la loro attività è sorretta da norme peculiari (es. 1. 241/90);  f)  gli enti pubblici possono utilizzare procedure privilegiate per la riscossione delle entrate patrimoniali dello stato;  g)  qualora partecipino ad una società per azioni, possono nominare uno o più amministratori o sindaci;  h)  gli enti pubblici sono soggetti a particolari rapporti o relazioni (con lo Stato, regioni, comuni), la cui intensità varia in ragione dell'autonomia dell'ente. 5 

5. Il problema della classificazione degli enti pubblici La dottrina individua diverse tipologie di enti pubblici, distinguendoli sulla base delle finalità perseguite o in ordine alle modalità con le quali viene organizzata la presenza degli interessati negli organi dell'ente. A tal proposito, si paria di enti a struttura istituzionale, nei quali la nomina degli amministratori è determinata da soggetti estranei all'ente (si pensi all'lnps), ed enti associativi, nei quali i soggetti facenti parte del corpo sociale sottostante, di cui sono esponenti, determinano direttamente o a mezzo di rappresentanti eletti o delegati le decisioni fondamentali dell'ente, autoamministrandosi (es. collegi professionali). Altra classificazione è quella contenuta nella legge: la Costituzione contempla all'art. 5 gli enti autonomi e, ai fini della sottoposizione al controllo della Corte dei Conti, all'art. 100, quella degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. L'art. 33 Cost. prevede, poi, soggetti che possono "darsi ordinamento autonomo nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato" (università, istituzioni di alta cultura, accademie). La legge ha recentemente introdotto la categorie delle autonomie funzionali (art. 1, d. Igs. 112/1998), o enti locali funzionali, per indicare quegli enti (camere di commercio, industria, artigianato, istituzioni scolastiche) ai quali possono essere conferite funzioni e compiti statali. L'art. 1, c. 4, i. 59/1997 esclude l'affidamento a regioni, comuni o province dei compiti esercitabili localmente in regime di autonomia funzionale. Altra categoria di enti è quella degli enti pubblici economici, disciplinati dai diritto civile, nonché degli enti statali non economici (cd. parastatali) classificati ai sensi della l. 70/1975. Importanti sono, poi, gli enti territoriali (comuni, province, città metropolitane, regioni, Stato): il territorio consente di individuare gli enti stessi, che sono appunto comunità territoriali, nonché le persone, che vi appartengono necessariamente per il solo fatto di esservi stanziate. Ne consegue che l'ente è politicamente rappresentativo del gruppo stanziato sul territorio e opera nell'interesse del medesimo; le funzioni dell'ente sono individuabili in ragione del livello territoriale degli interessi stessi. Possono essere titolari di beni demaniali. Alcuni enti pubblici sono soggetti a dei regimi speciali: trattasi, ad esempio, delle agenzie (es, ARAN, l'agenzia spaziale italiana, l'agenzia per i servizi sanitari regionali, ec), disciplinate, direttamente, dalla legge istitutiva. 6. Relazioni e rapporti intersoggettivi e forme associative Diverse sono le relazioni stabili e continuative che intercorrono tra gli enti pubblici. Un primo tipo di relazione è quella che sorge dal rapporto di strumentalità strutturale ed organizzativa, stabilita dalla legge, di un ente nei confronti di un altro ente, nella quale il primo viene a rivestire una posizione sotto alcuni profili simile a quella di un organo e sarà soggetto ad una serie di poteri di ingerenza (direttiva, indirizzo ecc. Ad es., le aziende speciali sono enti strumentali del comune). Alcune volte questa strumentalità non si presenta così marcato come nell'ipotesi precedente (si tratta, quindi, di enti che svolgono un'attività che si presenta come rilevante per un altro ente pubblico territoriale, in particolare per lo Stato) ovvero non ricorre. Il concreto contenuto di queste relazioni varia a seconda del tipo di poteri che lo stato (o l'ente territoriale in posizione di supremazia) può esercitare nei confronti dell'ente; tra i poteri annoveriamo quello di vigilanza, che implica il controllo di legittimità di un soggetto su gli atti di un altro nonché l'adozione di una serie di atti (potere di approvare i bilanci, nomina dei commissari straordinari, scioglimento degli organi dell'ente, ec), e di direzione, caratterizzato da una situazione di sovraordinazione tra enti e da una serie di atti (le direttive) che determinano l'indirizzo dell'ente subordinato, lasciando allo stesso la possibilità di scegliere le modalità attraverso le quali conseguire gli obiettivi prefissati. Tra i rapporti che, di volta in volta si possono venire a creare tra enti, ci sono l'avvalimento e la sostituzione. L'avvalimento consiste nell'utilizzo da parte di un ente degli uffici di un altro ente; tali uffici svolgono un'attività di tipo ausiliario che rimane imputata all'ente titolare della funzione, senza alcuna deroga in materia di competenze, trattandosi di una vicenda interna di tecnica organizzativa. La sostituzione è l'istituto sulla base del quale un soggetto (sostituto) è legittimato a far valere un diritto, un obbligo, un'attribuzione che rientrano nella sfera di competenza di un altro soggetto (sostituito), operando in nome proprio e sotto la propria responsabilità. Tra gli enti, questo istituto può essere impiegato quando un soggetto non ponga in essere un atto obbligatorio per legge o non eserciti le funzioni amministrative ad esso conferite (v. anche art. 120 Cost, c. 2). Può essere esercitato o da un organo dell'ente sostituito o da un commissario nominato dall'ente sostituto. 6 

Altra fattispecie la delega di funzioni amministrative, figura che ricorre nei rapporti tra Stato e regioni e tra regioni ed enti locali. A differenza del vecchio testo, modificato dalla I. cost. 3/2001, l'art. 118 Cost. non fa più cenno a questa figura (impiegata invece dal legislatore ordinario, I. 59/1997, v. però, art. 121 u.c. Cost.) e costituzionalizza l'istituto del "conferimento" di funzioni amministrative ai vari livelli di governo locale sulla base dei "principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza", in un quadro comunque caratterizzato dal fatto che gli enti locali sono "titolari" delle funzioni (art. 118 Cost., co. 2,). Tra enti possono essere costituite forme associative: le federazioni di enti, svolgono attività di coordinamento e di indirizzo dell'attività degli enti federati, nonché attività di rappresentanza degli stessi; i consorzi costituiscono delle strutture stabili volte alla realizzazione di finalità comuni a più soggetti (es. realizzare o gestire opere o servizi) Gli enti pubblici possono costituire consorzi di diritto privato, anche con la partecipazione di soggetti privati. I consorzi sono obbligatori quando un rilevante interesse pubblico ne imponga la necessaria presenza (es. art. 31, c. 7, T.U. enti locali); unioni di comuni (cap. IV, par. 16); uffici comuni, costituiti dagli enti locali, che hanno il compito di esercitare le funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all'accordo. 7. La disciplina comunitaria: in particolare, gli organismi di diritto pubblico Nozione di rilievo introdotta dal diritto comunitario è quella di organismo di diritto pubblico, istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; hanno personalità giuridica e svolgono un'attività finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o dagli altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione è controllata da questi ultimi. Le tre condizioni hanno carattere cumulativo. 8. Le figure di incerta qualificazione: in particolare, le società per azioni a partecipazione pubblica; le fondazioni La disciplina che si applica alle società a partecipazione pubblica prevede che, ove lo Stato (o altro ente pubblico) abbia partecipazioni azionarie, l'atto costitutivo può conferire ad esso la facoltà di nominare, o revocare, amministratori, sindaci, componenti del consiglio di sorveglianza (art.2449 c.c.). Questa eventualità è consentita dal l’art 2450 c.c. anche quando l'ente non abbia partecipazioni azionarie, se prevista dalla legge o dall'atto costitutivo, modelli di società a partecipazione pubblica sono: è le società a partecipazione pubblica regolate da leggi speciali e comunque, chiamate a svolgere funzioni pubbliche (Patrimonio s.p.a.); è le società a partecipazione pubblica direttamente affidatarie di servizi pubblici locali, dove il socio privato viene scelto a mezzo di gara è le società derivanti dal processo di privatizzazione è Nelle ipotesi in cui l'istituzione della società abbia come conseguenza quella di togliere mercato ai privati (si pensi ai casi di affidamento diretto di servizi e di compiti alle società pubbliche), la relativa disciplina deve essere vagliata attentamente alla luce della normativa comunitaria. Importante il concetto di affidamento delineata dalla giurisprudenza comunitaria: si esclude che la disciplina degli appalti trovi applicazione nei casi in cui tra amministrazione e impresa esista una relazione tale per cui l'ente esercita sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, l'impresa realizza la parte più importante della propria attività a favore dell'ente. In sostanza, tra amministrazione ed ente sussiste un legame tale per cui il soggetto non possa ritenersi "distinto" dal punto di vista decisionale. Il legislatore italiano ha utilizzato questo schema nel settore dei servizi pubblici (T.U. enti locali). La disciplina relativa dismissione delle partecipazioni azionarie nelle società in cui sono stati trasformati gli enti privatizzati prevede che lo Stato può mantenere dei poteri speciali (golden share: v. pag. 49). La struttura formale dei soggetti qui considerati è indubbiamente quella societaria; ci si può interrogare, circa la loro natura sostanziale. In verità, la questione ha importanza solo limitata: le società per azioni a partecipazione pubblica sono soggette ad una normativa stabilita in modo minuzioso e tendenzialmente completo dalla legge, onde l'eventuale conclusione nel senso della loro natura pubblicistica non è decisiva ai fini dell'estensione ad esse del regime degli atti pubblici. Infine, i concessionari di lavori pubblici e servizi pubblici non destinati ad essere 7

collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, sono assoggetti alla disciplina di cui alla l.109/1994. 9. Vicende degli enti pubblici Un ente pubblico può essere costituito per legge o per atto amministrativo sulla base di una legge; entrambi possono, altresì, determinarne l'estinzione, vicenda di tipo successorio. Gli enti pubblici possono essere modificati per il mutamento degli scopi, le modifiche del territorio, delle attribuzioni, ovvero possono essere trasformati in persone giuridiche di diritto privato. Anche il riordino degli enti pubblici può comportare l'estinzione degli stessi o la loro trasformazione in persone giuridiche private. 10. La privatizzazione degli enti pubblici Numerose sono le tappe che portano alla privatizzazione. L'ente pubblico economico viene trasformato in una società per azioni (privatizzazione cd. "formale") con capitale interamente posseduto dallo Stato; successivamente si procede alta dismissione della quota pubblica (privatizzazione cd. "sostanziale", ad es. quella dell'Eni o della società Autostrade). Quest'ultima tappa è disciplinata dal d.l. 332/1994, convertito nella legge 474/1994, come modificato dalla I. 350/2003, che fa riferimento a procedure trasparenti e non discriminatorie, finalizzate anche alla diffusione dell'azionariato tra il pubblico dei risparmiatori e degli investitori istituzionali. La privatizzazione riguarda soggetti che operano in tre settori principali: nella gestione di partecipazioni azionarie (Iri, Eni), nei servizi di pubblica utilità (Enel, gas ecc), nel settore creditizio (istituti di credito di diritto pubblico). 11. I principi in tema di organizzazione degli enti pubblici L'amministrazione, per realizzare i propri fini, ha bisogno di un insieme di strutture e mezzi, personali e reali, che sono il risultato di una certa attività organizzativa, disciplinata dalla legge (v. anche art. 95, comma 3, Cost), che deve rispettare i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità, nonché il potere di organizzare riservato all'esecutivo. A tal proposito, un riconoscimento espresso è contenuto nell'alt 17, c. 1, lett d, l. 400/1988, che prevede la figura dei regolamenti governativi disciplinanti l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni di legge, L'art. 17, c. 4­bis, della legge appena citata, introdotto dall'art. 13 l. 59/1997, stabilisce che l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei ministeri sono determinate con regolamento governativo emanato ai sensi del c. 2 (si tratta dunque di un regolamento cd. di delegificazione, ossia autorizzato ad abrogate norme di legge), su proposta del ministro competente, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e del ministro del tesoro. L'art. 117, c. 6, Cost. prevede che comuni, province e città metropolitane abbiano "potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite". Accanto alle norme giuridiche di organizzazione si sono, poi, gli atti di organizzazione non aventi carattere normativo (gli atti di istituzioni di enti, di organi o di uffici). Il potere di organizzare è oggi espressamente disciplinato dagli arti 2 e 5 del d.lgs. 165/2001. La prima norma afferma che le amministrazioni pubbliche definiscono "secondo i principi generali fissati da disposizioni di legge e sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici" e "individuano gli uffici di maggior rilevanza", indicando anche i principi cui le amministrazioni debbono ispirarsi. La seconda norma stabilisce che le pubbliche amministrazioni assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui all'art. 2, c. 1, "con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro: alle determinazioni operative e gestionali occorre garantire "adeguati margini" e cioè uno spazio di discrezionalità organizzativa. 12. L'organo Le persone giuridiche sono soggetti di diritto che, essendo naturalisticamente incapaci di agire (essendo creazioni del diritto), operano ed agiscono attraverso gli organi. Questi ultimi 8

sono strumenti d'imputazione, cioè elementi dell'ente che consentono di riferire all'ente stesso atti ed attività (l'organo infatti non è separato dall'ente, sicché, a differenza di quanto accade nella rappresentanza, la sua azione non è svolta in nome e per conto di altri, divenendo invece direttamente attività propria dell'ente). L'organo va identificato nella persona fisica o nel collegio in quanto, e fino a quando, investito della competenza attribuita dall'ordinamento (es. il contratto stipulato dal dirigente comunale si considera concluso dal comune; il provvedimento adottato dal sindaco è provvedimento del comune); tra la persona fisica preposta all'organo e l'ente pubblico intercorre un rapporto giuridico definito "rapporto di servizio" (par. 17). All'ente vengono attribuiti determinati poteri; ogni organo esercita una quota di questi poteri, detta competenza, ripartita secondo i criteri della materia (il sindaco, ad esempio, si occupa di materie differenti da quelle di cui si occupa il dirigente), valore (la competenza viene ripartita in base alla entità della spesa che l'adozione dell'atto comporta), grado (se la potestà è attribuita tra organi inferiori o superiori), territorio. Diversa dalla competenza è l'attribuzione, espressione impiegata per indicare ia sfera di poteri che l'ordinamento generale conferisce ad ogni ente pubblico. 13. L'imputazione di fattispecie in capo agli enti da parte di soggetti estranei alla loro organizzazione In alcuni casi le attività pubbliche vengono esercitate da soggetti privati: si pensi alle funzioni certificative spettanti al notaio, alla possibilità dei concessionari di emanare atti amministrativi o di erogare servizi pubblici, al potere degli interessati di produrre dichiarazioni sostitutive di certificazioni. Il privato può agire direttamente sulla base della legge, ovvero (come nel caso della concessione) in forza di un atto della pubblica amministrazione. Egli riceve spesso un compenso da parte dell'ente pubblico oppure degli utenti che fruiscono della sua attività. L'attività si configura nei confronti dei terzi come pubblicistica (e come tale è soggetta ad un peculiare regime), alla stessa stregua di quella che avrebbe posto in essere l'ente pubblico sostituito. 14. Classificazione degli organi Gli organi possono essere distinti in: esterni o interni a seconda, rispettivamente, che siano competenti ad emanare provvedimenti o atti aventi rilevanza esterna o endoprocedimentale; centrali sono quelli che estendono la propria competenza all'intero spettro dell'attività dell'ente, mentre i periferici hanno una competenza limitata ad un particolare ambito di attività, di norma individuato secondo un criterio geografico. Gli ordinari sono previsti nel normale disegno organizzativo dell'ente, gli straordinari, operano in sostituzione di organi ordinari. I permanenti sono gli organi stabili e si differenziano dai temporanei, che svolgono funzioni per un limitato periodo di tempo; gli attivi sono quelli competenti a formare ed eseguire la volontà dell'amministrazione in vista del conseguimento dei fini ad essa affidati, i consultivi rendono pareri; quelli di controllo sindacano l'attività posta in essere dagli organi attivi; i rappresentativi sono quelli i cui componenti, a differenza degli organi non rappresentativi, vengono designati o eletti dalla collettività che costituisce il sostrato dell'ente Vi sono, poi, enti con legale rappresentanza, ovvero titolari del potere di esprimere la volontà dell'ente nei rapporti contrattuali con i terzi e che, avendo la capacità processuale, possono conferire procura alle liti per agire o resistere in giudizio (questa rappresentanza non deve essere confusa con quella di cui al par, 12, rappresentanza in senso tecnico). Ci sono, poi, organi dotati, per volontà della legge, dì personalità giuridica (detti organi con personalità giuridica od organi enti): essi si profilano come titolari di poteri e come strumenti di imputazione di fattispecie ad altro ente (in quanto organi di quest'ultimo); esempio tipico è considerato l'istat, alla dipendenza della Presidenza del Consiglio dei ministri, con compiti relativi alle indagini statistiche interessanti le amministrazioni statali. Ci sono, infine, organi monocratici, quelli, cioè, di cui è titolare una soia persona fisica, e organi collegiali, dove si ha la contitolarità di più persone fisiche. 15. Relazioni interorganiche. coordin amen to

I

modelli teorici:

la

gerarchia,

la direzione

e

il

Tra gli organi di una persona giuridica pubblica possono instaurarsi relazioni stabili 9

disciplinate dal diritto. La gerarchia esprime la relazione di sovraordinazione­subordinazione tra organi diversi, che hanno competenze omogenee. I poteri che caratterizzano questa relazione sono:  a) potere di ordine (che consente di vincolare l'organo subordinato ad un certo comportamento nello svolgimento della propria attività), di direttiva (mediante la quale si indicano fini ed obiettivi da raggiungere, lasciando sussistere un certo margine di scelta in ordine alle modalità con cui conseguirli) e di sorveglianza sull'attività degli organi subordinati, i quali possono essere sottoposti a ispezioni ed inchieste;  b) potere di decidere i ricorsi gerarchici proposti avverso gli atti dell'organo subordinato;  c)potere di annullare d'ufficio o di revocare gli atti emanati dall'organo subordinato (sul punto la dottrina non è concorde);  d)potere di risolvere i conflitti che insorgano tra organi subordinati;  e)poteri in capo all'organo superiore di avocazione (per singoli affari, per motivi di interesse pubblico, indipendentemente dall'inadempimento dell'organo inferiore) e sostituzione (a seguito di inerzia dell'organo inferiore). Il potere di delega sussiste solo nei casi previsti dalla legge. L'ordine fa sorgere in capo all'organo subordinato il dovere di eseguirlo, salvo che l'ordine stesso contrasti con la legge penale. Se il dipendente ritiene l'ordine palesemente illegittimo deve farne rimostranza al superiore, dichiarandone le ragioni, ma è poi obbligato ad eseguirlo se l'ordine viene rinnovato per iscritto (sempre che non si tratti di ordine criminoso). Altro tipo di relazione è la direzione, caratterizzata dal fatto che, pur essendoci due organi posti in posizione di diseguaglianza, sussiste una più o meno ampia sfera di autonomia in capo a quello subordinato. L'organo sovraordinato ha il potere di indicare gli scopi da perseguire, ma deve lasciare alla struttura sottordinata la facoltà di scegliere le modalità e i tempi dell'azione volta a conseguire i risultati. Nella direzione, l'organo sovraordinato ha, in particolare, il potere di indirizzo (con il quale vengono fissati gli obiettivi), nonché il potere di emanare direttive e quello di controllare l'attività amministrativa in considerazione degli obiettivi da conseguire. Poteri come quello di avocazione e sostituzione possono essere attribuiti dalla legge. Altra relazione è quella del coordinamento, riferita ad organi in situazione di equiordinazione preposti ad attività che, pur dovendo restare distinte, sono destinate ad essere ordinate secondo un disegno unitario. Contenuto di tale relazione sarebbe il potere, spettante ad un "coordinatore", di impartire disposizioni idonee a tale scopo e di vigilare sulla loro attuazione ed osservanza. 15.1 segue: il controllo Altra importante relazione interorganica è il controllo: consiste in un esame, da parte in genere di un apposito organo, di atti e di attività imputabili ad un altro organo controllato. Questa attività viene esercitata, in ogni caso, nell'ambito delle relazioni di sovraordinazione­ sottordinazione (l'organo gerarchicamente superiore controlla, ad esempio, l'attività del subordinato); può anche essere esercitata da organi di un ente nei confronti di organi di un altro ente, potendosi, quindi, distinguere tra controlli interni ed a seconda che essi siano esercitati da organi dell'ente o da organi di enti diversi. E' previsto anche un controllo sugli organi degli enti territoriali, dal l’art. 126 Cost. per quanto riguarda le regioni e dagli artt. 141 e ss. T.U. enti locali in ordine agli enti territoriali diversi dalla regione. II controllo può essere condotto alla luce di criteri differenti, conformità alle norme, efficienza, opportunità, e può avere oggetti differenti: atti normativi (es. regolamenti), organi, atti amministrativi di organi individuali e collegiali, attività. Il controllo sugli atti può, anche, essere preventivo (rispetto alla produzione degli effetti dell'atto), successivo (l'atto ha già prodotto i suoi effetti), controlli mediante riesame, i quali procrastino l'efficacia dell'atto all'esito di una nuova deliberazione dell'autorità decidente A seguito del controllo possono essere adottate varie misure, come quelle repressive, impeditive, sostitutive. 15.2 In particolare: il controllo di ragioneria nell'amministrazione statale ed il controllo della Cor te dei Con ti. Un particolare tipo di controllo (contabile e di legittimità) è il controllo di ragioneria, esercitato dagli uffici centrali del bilancio a livello centrale e degli uffici delle ragionerie provinciali a livello di organi decentrati delle amministrazioni statali, i quali provvedono alla 10

registrazione degli impegni di spesa risultanti dai provvedimenti assunti dalle amministrazioni statali e possono inviare osservazioni sulla legalità della spesa senza che ciò abbia effetti impeditivi sulla efficacia degli atti. Oggi gli uffici di ragioneria svolgono il controllo interno di regolarità amministrativa e contabile (v. par. 15.3). Controllo esterno è quello esercitato dalla Corte dei Conti attraverso il meccanismo della registrazione e del visto. Questo organo svolge i seguenti controlli:  a)  un controllo preventivo (es. di legittimità; vedi anche infra);  b)  un controllo preventivo sugli atti che il presidente del Consiglio dei ministri richieda di sottoporre temporaneamente a controllo o che la Corte decida di assoggettare a controllo;  c)  un controllo successivo sui titoli di spesa relativi al costo del personale, sui contratti e sui relativi atti di esecuzione, in materia di sistemi informativi automizzati, sugli atti di liquidazione dei trattamenti di quiescenza dei pubblici dipendenti;  d)  un controllo successivo sugli atti di "notevole rilievo finanziario individuati per categorie ed amministrazioni statali";  e)  un controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui io Stato contribuisce in via ordinaria;  f)  un controllo sulla gestione degli enti locali effettuato dalla sezione delle autonomie, che si conclude con un referto al Parlamento. L'art. 148 T.U. enti locali specifica che il controllo in esame può svolgersi nei confronti della gestione della generalità degli enti locali. Nuove forme di controllo sono previste dalla legge 131/2003 che, nel dare attuazione all'art. 118 Cost., assegna alla Corte dei Conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, il compito di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni ed alle sezioni regionali dello stesso organo la verifica del perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali e regionali di principio e di programma;  g)  un controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulla gestione fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria. La Corte, poi, nell'esercizio di una funzione ritenuta giurisdizionale, pronuncia un giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato (consistente nella certificazione di parità tra i conti della Corte medesima e quelli fomiti dall'amministrazione del tesoro). La disciplina del controllo preventivo stabilisce che l'atto trasmesso alla Corte dei conti diviene esecutivo trascorsi sessanta giorni dalla sua ricezione senza che sia intervenuta una pronuncia della sezione di controllo, salvo che nel predetto termine la Corte abbia sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione del l’art 81 Cost., delle norme aventi forza di legge che costituiscono il presupposto dell'atto, ovvero abbia sollevato un conflitto di attribuzione. L'esito del provvedimento di controllo è comunicato dalla sezione entro ventiquattro ore successive alla fine dell'adunanza e le deliberazioni sono pubblicate entro trenta giorni dalla data dell'adunanza stessa. Il t.u. della Corte dei conti prevede anche il meccanismo della registrazione con riserva. In particolare, a fronte della ricusazione del visto, il Consiglio dei ministri, su iniziativa del ministro interessato, può adottare una deliberazione con cui insiste nella richiesta della registrazione: la Corte, chiamata a decidere, ove non riconosca cessata la causa del rifiuto, ne ordina la registrazione e vi appone il visto con riserva. In ordine agli atti assoggettati al controllo successivo, in caso di esito negativo del controllo, l'amministrazione (secondo una tesi dottrinaria e giurisprudenziale), preso atto della pronuncia di illegittimità, non dovrebbe dar corso alla esecuzione dell'atto. 15.3 L'evoluzione normativa in tema di controlli. I controlli interni II d.lgs. n. 286/1999 stabilisce che le amministrazioni pubbliche, nell'ambito della propria autonomia, debbono istituire controlli interni, articolati in: è controllo di regolarità amministrativa e contabile, volto a garantire la legittimità, la regolarità e correttezza dell'azione amministrativa. Deve rispettare, in quanto applicabili, i principi generali della revisione aziendale; è controllo di gestione, mirante a verificare l'efficacia, l'efficienza ed economicità dell'azione amministrativa al fine di ottimizzare il rapporto tra costi e risultati. È svolto da strutture e soggetti che rispondono ai dirigenti posti a vertice dell'unità organizzativa interessate e supporta la funzione dirigenziale; è valutazione della dirigenza: riguarda le prestazioni dei dirigenti, nonché i comportamenti relativi allo sviluppo delle risorse professionali, umane e organizzative ad essi 11

assegnate, tenendo particolarmente conto dei risultati dell'attività e della gestione. è È svolta da strutture e soggetti comunque diversi da quelli cui è demandato il controllo di gestione, che rispondono direttamente ai dirigenti posti al vertice dell'unità organizzativa interessata; è valutazione e controllo strategico, mirante a valutare l'adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi e altri strumenti di determinazione dell'indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti. Mediante questa valutazione si tende a verificare, in funzione dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed altri atti di indirizzo politico. E' un'attività svolta da strutture che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politico amministrativo, cui riferiscono in via riservata. 16. I rapporti tra gli organi e l'utilizzo, da parte di un ente, degli organi di un altro ente Diversi dalle relazioni interorganiche, connotate dal carattere della stabilità, sono i rapporti che di, volta in volta, possono concorrere tra organi diversi. Sono tali: è l'avocazione: un organo esercita i compiti che spettano ad un altro organo in ordine a singoli affari, per motivi di interesse pubblico e indipendentemente dall'inadempimento dell'organo istituzionalmente competente; è la sostituzione, che presuppone l'inerzia dell'organo sostituito nell'emanazione di un atto cui è tenuto per legge e consiste nell'adozione, previa diffida, da parte di un organo sostituto (di norma un commissario) degli atti di competenza di un altro organo; è la delegazione, che è un organo investito in via primaria della competenza di una determinata materia consente unilateralmente, mediante atto formale, ad un altro organo di esercitare la stessa competenza. In ossequio all'art. 97 Cost. ed al principio di legalità, la delegazione richiede una espressa previsione legislativa, che contempli la possibilità che un organo eserciti una competenza in luogo di quello al quale la stessa è attribuita stabilmente. L'organo delegatario agisce in nome proprio, anche se per conto e nell'interesse del delegante. dalla delegazione va distinta la delega di firma, che non comporta alcuno spostamento di competenza, che, infatti spetta sempre all'organo delegante, mentre il delegato ha solo il compito di sottoscrivere l'atto. 17. Gli uffici e il rapporto di servizio Nuclei elementari dell'organizzazione pubblica sono gli uffici, costituiti da un insieme di mezzi materiali (locali, risorse, attrezzature) e personali, chiamati a svolgere uno specifico compito che, in coordinamento con quello degli altri uffici e strumentalmente rispetto all'esercizio delle competenze, concorre al raggiungimento di un certo obbiettivo. Tra gli addetti dell'ufficio si distinguono le figure del preposto, che può essere il titolare dell'ufficio, e del supplente, che sostituisce il titolare temporaneamente assente o impedito; la reggenza si ha nell'ipotesi di mancanza del titolare. Gli addetti e i titolari che prestano il proprio servizio presso l'ente sono legati alla persona giuridica da un particolare rapporto giuridico (rapporto di servizio), che ha come contenuto il dovere di agire prestando una particolare attività: il denominato dovere di ufficio ha per oggetto i comportamenti che il dipendente deve tenere sia nei confronti della pubblica amministrazione che nei confronti dei cittadini, doveri cui si contrappongono una serie di diritti. I soggetti legati da un rapporto di servizio all'amministrazione sono, di norma, i dipendenti (rapporto di servizio di impiego); il rapporto di servizio può essere anche coattivo (nei casi previsti dalla legge, ai sensi dell'art.23 Cost.) o non professionale, cioè onorario, o instaurato in via di fatto. Questo rapporto lega all'ente tutti i soggetti­persone fisiche che fanno parte dell’organizzazione (siano essi titolari di uffici o di organi ovvero dipendenti) e si distingue dal rapporto organico, che corre soltanto tra il titolare dell'organo e l'ente e viene in evidenza ai fini dell'imputazione delle fattispecie. I titolari degli uffici (e degli organi) possono essere dipendenti (è questo il caso dei dirigenti), ovvero svolgere la propria attività a titolo non professionale (es. i consiglieri degli enti autonomi e ai preposti agli organi di governo degli enti locali), ma debbono, comunque, essere "investiti" dell'autorità dell'organo (solo in tale momento si instaura il rapporto organico) o dell'ufficio con un atto specifico. Oggi, per la quasi totalità dei dipendenti, siano essi o meno titolari di uffici o di organi, il rapporto di servizio di impiego si 12

instaura con contratto, sicché l’investitura nella titolarità di un ufficio o di un organo rimane distinta. Nel caso di titolari onorali si procede per designazione (occorre un atto di nomina a seguito della designazione) o per elezione (una volta che siano stati accertati i risultati dell'elezione, vi è la proclamazione dei candidati eletti). Ricorrono ipotesi nelle quali il rapporto organico si costituisce in via di mero fatto, e cioè in assenza di un atto di investitura; in particolare, quando le funzioni esercitate "di fatto" (senza, dunque, un atto formale che instauri il rapporto di servizio) siano essenziali e indifferibili, si ritiene che il meccanismo di imputazione proprio dell'organo possa ugualmente funzionare pur in assenza di un atto di investitura. In queste ipotesi anche il rapporto di servizio si instaura in via di fatto e l'organo viene definito funzionario di fatto (es. la persona che, senza avere le qualità di ufficiale di stato civile, celebra un matrimonio: si applica l'art. 113 c.c). 18.

La disciplina attuale del amministrazioni pubbliche.

rapporto

di

lavoro

dei

dipendenti

delle

II d.lgs. n. 165/2001 contiene le disposizioni che disciplinano il rapporto di lavoro nel pubblico impiego dopo la cd. "privatizzazione". I principi che ispirano la normativa possono così sintetizzarsi: a) i rapporti di lavoro sono disciplinati dalle norme del codice civile, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto e dalla contrattazione, sia sul piano individuale che collettivo. L'art. 3 del decreto indica le categorie di lavoratori cui non si applica questa disciplina (personale in regime di diritto pubblico sono: avvocati dello stato, magistrati, militari, polizia, prefetti ecc); b) la legge prevede dei limiti all'autonomia contrattuale individuale e collettiva (non è, ad esempio, derogabile la disciplina legale della parità di trattamento); c) restano assoggettati alla disciplina pubblicistica, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, gli organi, gli uffici, i principi fondamentali dell'organizzazione, i procedimenti per l'accesso e la selezione al lavoro, ecc; d) le organizzazioni sindacali, al di fuori delle materie economiche, devono essere "consultate" o informate senza che sia richiesto il loro consenso in materia di organizzazione; e) la contrattazione si svolge a vari livelli, nei quali la pubblica amministrazione è legalmente rappresentata dall'ARAN, della cui assistenza possono avvalersi le singole,amministrazioni ai fini della contrattazione integrativa; f) le controversie sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, ad eccezione di quelle dei dipendenti sottratti alla privatizzazione e per le controversie in materia di procedure concorsuali di assunzione; g) i dipendenti sono assoggettati ad una particolare responsabilità amministrativa (per danni cagionati all'amministrazione), penale e contabile; h) il reclutamento del personale (non dirigenziale) avviene tramite procedure selettive che garantiscono in misura adeguata l'accesso dall'esterno o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo; i) viene eliminato il potere di gestione degli organi politici e affermato il principio della distinzione tra indirizzo politico (spettante agli organi politici) e gestione (spettante ai dirigenti). 19. La dirigenza e i suoi rapporti con gli organi politici La dirigenza pubblica è stata riordinata dalla legge 145/2002: ai dirigenti sono stati attribuiti poteri autonomi di gestione, con compiti di organizzare il lavoro, gli uffici, le risorse umane e finanziarie, nonché di attuare le le politiche delineate dagli organi di indirizzo politico­ amministrativo, rispondendo del conseguimento dei risultati La dirigenza statale si articola in fasce del ruolo dei dirigenti istituito presso ogni amministrazione; si accede alla qualifica in esame, sia per le amministrazioni statali che per gli enti pubblici non economici, mediante concorso ovvero per corso­concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione. Il rapporto di lavoro si fonda su un contratto, mentre la contrattazione collettiva disciplina il rapporto di servizio. L'atto di incarico ha natura provvedimentale, cosi come ha previsto la legge 145/2002 (in deroga al principio secondo cui le amministazioni agiscono con i poteri del privato datore di lavoro). In quest'ultimo atto è definito l'oggetto, gli obiettivi e la durata dell'incarico (che non eccede i tre anni per incarichi di segretario generale, cinque per altri incarichi di funzione dirigenziale), mentre la definizione del trattamento economico spetta al contratto individuale che accede al 13

provvedimento medesimo. Non necessariamente tutti i dirigenti hanno la titolarità di uffici dirigenziali: in questo caso i dirigenti svolgono funzioni ispettive, di consulenza, di studio e ricerca. Se sono preposti ad uffici dirigenziali, invece, possono adottare provvedimenti, curare la gestione finanziaria, tecnica, amministrativa e, dunque, sono organi. Negli altri casi essi sono preposti a meri uffici. Propria dei dirigenti è la responsabilità: essa, aggiuntiva rispetto alle altre forme di responsabilità che gravano sui dipendenti pubblici, sorge allorché non siano stati raggiunti gli obiettivi o in caso di inosservanza delle direttive imputabili al dirigente (sanzioni: impossibilità del rinnovo dell'incarico, revoca dello stesso, recesso dal rapporto di lavoro). La disciplina attinente i rapporti tra organi politici e dirigenti degli uffici dirigenziali generali stabilisce che gli organi di governo esercitino le funzioni di indirizzo politico­ amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare, verifichino la rispondenza dei risultati dell'attività svolta, mentre i dirigenti adottano i provvedimenti amministrativi e curano la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa (art. 4, d. Igs. 165/2001). Il ministro definisce obiettivi, piani, programmi da attuare, mentre non può revocare, riformare, avocare a sé atti di competenza dei dirigenti; solo in caso di inerzia o di ritardo il ministro può fissare un termine per provvedere e, qualora l'inerzia o il ritardo permangano, può nominare un commissario ad acta. Ne discende che gli atti e i provvedimenti adottati dai dirigenti preposti al vertice dell'amministrazione e dai dirigenti di uffici dirigenziali non sono suscettibili di ricorso gerarchico, mentre resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità; sopravvivono pure i poteri ministeriali di decidere i ricorsi gerarchici impropri (artt. 14, 16, d. Igs. 165/2001) I dirigenti preposti agli uffici dirigenziali generali, nei confronti dei dirigenti, definiscono gli obiettivi e attribuiscono risorse, controllano l'attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, con poteri sostitutivi in caso di inerzia, decidono sui ricorsi gerarchici contro gli atti ed i provvedimenti amministrativi non definitivi dei dirigenti. Il dirigente preposto all'ufficio di più elevato livello può delegare compiti ai dirigenti ed è "sovraordinato" al dirigente preposto all'ufficio inferiore (artt. 16 e 17, d. Igs. 165/2001). Il dirigente ha poteri di direzione, coordinamento e controllo sulle attività compiute dagli uffici che da lui dipendono e di quella dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con poteri sostitutivi in caso di inerzia (art. 17, d. Igs. 165/2001). È prevista anche l'area della vicedirigenza (art. 17 bis, d. Igs. 165/2001, la cui istituzione è rimessa alla sola contrattazione collettiva di comparto). 20. I soggetti di diritto nel diritto amministrativo: le formazioni sociali e gli ordinamenti autonomi

Rilevante ai fini dello studio del diritto amministrativo sono le organizzazioni sociali: si tratta di formazioni che, pur non essendo riconosciute come centri di poteri pubblici e, dunque, come enti di diritto pubblico, sono costituite da aggregazioni di individui sorretti da finalità etiche, religiose, ideali e che perseguono interessi, non caratterizzati dallo scopo di lucro, in parte coincidenti con quelli affidati alla cura dei soggetti pubblici. Si tratta anche di organizzazioni di volontariato, associazioni, cooperative. Nei loro confronti si pone la questione dell'eventuale ruolo pubblicistico che a tali organizzazioni potrebbe essere attribuito, dell'eventuale conferimento di poteri peculiari (si pensi alle associazioni in materia ambientale riconosciute dal ministero dell'ambiente, le quali, ai sensi dell'alt 18, I. 349/1986, possono impugnare gli atti illegittimi in materia ambientale), nonché dei limiti entro i quali lo Stato può ingerirsi nella loro struttura ed attività. Il campo dì azione di molte di queste formazioni è quello dei cd. servizi sociali, in relazione ai quali la Costituzione, pur garantendo la libera iniziativa non economica dei privati, impone la presenza pubblica per garantire prestazioni a "prezzi sostenibili" e con "modalità ideologicamente neutrali". La normativa di settore prevede che organizzazioni che proseguono finalità di interesse generale possano ricevere finanziamenti pubblici e siano talora sottoposte a forme di controllo o vigilanza, ovvero ad un regime fiscale favorevole. Alcune formazioni sono caratterizzate da una normativa propria e possono essere configurate come ordinamenti autonomi, le confessioni religiose, ad esempio, diverse da quella cattolica (la Chiesa cattolica ai sensi dell'art. 7 Cost. è considerata ordine sovrano e indipendente) possono organizzarsi secondo propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano (art. 8 Cost). II problema che maggiormente interessa il diritto amministrativo è quello della qualificazione come pubblici, secondo l'ordinamento generale italiano, di alcuni soggetti che, contestualmente, sono soggetti degli ordinamenti separati; il CONI, ente esponenziale dell'ordinamento sportivo, è, 14

ad esempio, secondo il diritto italiano, un ente pubblico. 21. I mezzi. In particolare i beni pubblici. Nozione e classificazione codicistica

Per svolgere le loro funzioni le amministrazioni pubbliche utilizzano risorse umane e mezzi materiali, tra cui i beni. Gli enti pubblici possono essere proprietari di beni soggetti alla normativa di carattere generale sulla proprietà privata, fatte salve alcune disposizioni in tema di contabilità pubblica (art. 828, c. 1, c.c); detti beni costituiscono il patrimonio disponibile degli enti pubblici (patrimonio mobiliare, fondiario, edilizio, denaro), così chiamato per distinguerlo da quello indisponibile. I beni in esame possono essere oggetto di contratto di acquisto e di alienazione. Ci sono poi dei beni che appartengono ex lege allo Stato o alle regioni: trattasi di alcuni beni del demanio naturale (marittimo e idrico) del patrimonio indisponibile (miniere) o beni di valore storico, artistico, archeologico, esistenti o ritrovati nel sottosuolo. Siffatta titolarità può derivare anche da fatti acquisitivi (occupazione, invenzione ecc), atti di diritto comune (testamento, contratti), fatti basati sul diritto internazionale (confisca, requisizione bellica) o sul diritto pubblico interno (successione tra enti), atti pubblicistici che comportano l'ablazione di diritti reali su beni di altri soggetti (confisca, espropriazione ecc). 22.Il regime giuridico dei beni demaniali

I beni demaniali sono tassativamente indicati dalla legge e comprendono i beni del demanio necessario, costituiti dal demanio marittimo (lido di mare, spiagge, porti e gli altri beni indicati dall'art. 822 c.c. e dall'alt. 28 cod. navig.), quello idrico (fiumi, torrenti, laghi, ghiacciai; i porti lacuali e di navigazione interna appartengono al demanio regionale; le regioni e gli enti competenti per territorio gestiscono i beni del demanio idrico), da quello militare (comprende opere destinate alla difesa nazionale: fortezze, piazzeforti e di beni indicati dall'art. 822, 1 com., c.c). I beni del demanio necessario non possono non appartenere allo Stato, fatte salve le eccezioni costituite dai beni demaniali regionali; è inoltre costituito solo da beni immobili. Accanto a questi beni ci sono quelli che appartengono al demanio accidentale, composto da strade, autostrade, acquedotti, immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico (art. 822, 2 co., c.c); l'art. 824, c. 2, c.c. assoggetta allo stesso regime dei beni demaniali accidentali i cimiteri e i mercati comunali. I beni del demanio accidentale possono appartenere a chiunque (si pensi alle strade private), ma sono tali qualora appartengano allo Stato, alle regioni, ai comuni ed alle province. Non sono necessariamente beni immobili, potendo essere una universalità di mobili (raccolte delle pinacoteche). I beni che fanno parte di entrambi i tipi di demanio sono caratterizzati dall'appartenenza ad enti territoriali e dall'essere diretti a soddisfare gli interessi della collettività stanziata sul territorio e rappresentata dagli enti territoriali. Tra questi beni occorre distinguere quelli demaniali naturali (sono tali per natura, indipendentemente dall'opera dell'uomo) da demaniali artificiali (sono costituiti dall'uomo: strade, autostrade); alcuni di essi preesistono rispetto alle determinazioni dell'amministrazione (es. beni del demanio marittimo), altri sono pubblici in quanto destinati ad una funzione pubblica (demanio militare). Tutti i beni demaniali sono assoggettati alla disciplina dell'art. 823 c.c: "sono inalienabili e non possono formare diritti dei terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla leggi che li riguardano". Sono, quindi, nulli gli eventuali atti dispositivi posti in essere dalla pubblica amministrazione. Va, inoltre, esclusa in modo assoluto la trasferibilità dei beni del demanio necessario, i quali non possono non appartenere allo Stato nei limiti indicati, alle regioni, mentre per gli altri beni del demanio è ipotizzarle il loro passaggio ad un diverso ente territoriale, sempre che non sia indissolubilmente legato al territorio dell'ente proprietario (es. piazza sita al centro di un comune) e purché permanga la loro destinazione pubblica. Sempre l'art. 823 2 c. c.c sancisce che "spetta all'amministrazione la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Esso ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso". I beni del demanio naturale acquistano la demanialità per il fatto di possedere i requisiti previsti dalla legge mentre i beni artificiali diventano demaniali nel momento in cui rientrino in uno dei tipi previsti dalla legge e, cioè, nel momento in cui l'opera sia realizzata, purché siano di proprietà dell'ente pubblico. La cessazione della qualità di bene demaniale può avvenire, oltre che per la distruzione del bene, dal fatto della perdita dei requisiti di bene demaniale, dall'intervento del legislatore che 15

"sdemanializza" alcuni beni. La perdita della qualità di bene demaniale comporta la cessazione del diritto di uso del bene spettante a terzi e l'estinzione delle eventuali limitazioni derivanti dalla natura demaniale del bene stesso. II codice civile si occupa del passaggio di un bene dal demanio (accidentale) al patrimonio indisponibile: l'art. 829 c.c prescrive la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'atto che dichiara il passaggio. 23. Il regime giuridico dei beni del patrimonio indisponibile

Sono beni del patrimonio indisponibile quelli indicati dagli artt. 826, commi 2 e 3, e 830, comma 2, c.c. Sono assoggettati alla disciplina posta dall'art. 828, comma 2, c.c: "essi non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano". In linea di principio, i beni del patrimonio indisponibile non sono incommerciabili; gli atti di disposizione, tuttavia, debbono rispettare il vincolo di destinazione. L'atto che violi questa condizione non è nullo perché avente ad oggetto una res fuori commercio, bensì, annullabile per violazione dei "modi di legge" stabiliti per sottrarli al vincolo di destinazione. Occorre, comunque, aggiungere che alcuni dei beni in esame sono incommerciabili in via assoluta, in quanto trattasi di beni riservati (es. miniere), ovvero sono soggetti ad un regime di inalienabilità, salvo permesso legislativo. Questi beni possono essere gravati di diritti reali parziali costituiti a favore di terzi purché compatibili con la destinazione e nel rispetto dei modi stabiliti dalla legge. Quanto all'acquisto e alla cessazione dei caratteri di beni pubblico si può rinviare alle osservazioni in ordine ai beni demaniali.

24. La privatizzazione dei beni pubblici

I beni pubblici (e non solo quelli disponibili) vengono sempre più spesso utilizzati per produrre entrate. Si ricorre, a tal fine, ad operazioni di dismissioni del patrimonio dello Stato attraverso: è i fondi immobiliari: il ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a sottoscrivere quote di fondi immobiliari, gestiti da una o più società di gestione, mediante l'apporto di beni immobili e di diritti reali su immobili appartenenti al patrimonio dello Stato; è atti di alienazione, che sono operazioni di cartolarizzazione: il ministro dell'economia e delle finanze costituisce (o promuove la costituzione) società a responsabilità limitata, a cui cede degli immobili, che dette società acquistano con l'unico fine di rivenderli, pagando allo Stato un prèzzo iniziale, con riserva di versare la differenza ad operazione completata. Questa operazione può essere compiuta da regioni, province e comuni. 25. Diritti demaniali su cose altrui, diritti d'uso pubblico e usi civici

L'ordinamento prevede l'esistenza di diritti reali soggetti al medesimo regime giuridico della proprietà dei beni pubblici. Si tratta dei diritti spettanti agli enti territoriali sui beni altrui "quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti (beni demaniali) o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi" (diritti di uso pubblico, art. 825 c.c). I diritti demaniali su beni altrui possono essere le servitù costituite su un fondo privato al fine di realizzare un acquedotto pubblico; esempi di diritti d'uso pubblico gravanti su beni privati sono quelli di visita dei beni privati di interesse storico e quelli che attengono alle strade private, ai vicoli ed agli spazi aperti al pubblico traffico. Gli usi civici presentano delle analogie con il diritto d'uso pubblico: entrambe le categorie sono beni collettivi, perché appartengono alla collettività di abitanti; gli usi civici, però, sono assoggettati ad una particolare disciplina e possono gravare anche su beni pubblici. Si tratta, infatti, di diritti di godimento e d'uso spettanti alla collettività su terreni di proprietà dei comuni o di terzi (che devono sopportare che i membri della collettività godano dei loro beni) e che hanno ad oggetto i pascoli, la pesca, la caccia ecc. Essi spettano ai membri della collettività che ne fruiscono uti cives e non all'ente che li rappresenta. 26. L'uso dei beni pubblici

II godimento e l'uso del bene pubblico è consentito al proprietario pubblico, che lo impiega per 16

lo svolgimento dei propri compiti, sanzionando, in alcuni casi, l'uso del bene da parte di terzi (è il caso del demanio militare). In molti casi il bene è in grado di soddisfare anche esigenze di diversa natura: si realizza, così, un uso promiscuo (es. le strade militari che, accanto all'interesse della difesa, sono in grado di soddisfare l'interesse generale della pubblica circolazione). Ci sono, poi, dei beni pubblici che assolvono la loro funzione a servizio della collettività: l'uso è generale. Vi sono anche delle situazioni nelle quali il bene è posto al servizio dei singoli soggetti: l'uso, in questi casi, è particolare (es. concessione). Spesso i beni degli enti vengono impiegati come capitale di dotazione nelle aziende speciali ovvero in società per azioni. 27.I beni privati di interesse pubblico

La dottrina individua una categoria di beni, comprensiva sia di beni appartenenti a soggetti pubblici che privati: essa è costituita dai beni di interesse pubblico. Trattasi di beni che sonosottoposti al regime amministrativo, nel senso che l'uso degli stessi e le facoltà dei proprietari sono spesso regolati da norme che attribuiscono compiti alle amministrazioni. È il caso dei beni culturali di proprietà privata (es. opere d'arte di particolare valore), la cui conservazione soddisfa interessi pubblici.

17

Capitolo IV L'ORGANIZZAZIONE DEGLI ENTI PUBBLICI 1. Cenni all'organizzazione statale: quadro generale Lo Stato­amministrazione può essere qualificato come ente pubblico, dovendosi riconoscere ad esso la qualità di persona giuridica in forza di espressi riferimenti normativi: l'art. 28 Cosi, ad esempio, che si riferisce alla responsabilità civile dello Stato e l'art. 822 c.c. che disciplina i beni appartenenti allo Stato. 2. In particolare: il governo e i ministeri Al vertice dell'organizzazione statale, tradizionalmente indicata come potere esecutivo, è collocato il governo, formato dal Presidente del Consiglio dei ministri, il Consiglio dei ministri e dai ministeri; anche il Presidente della Repubblica svolge importanti funzioni attinenti all'attività amministrativa, come il potere di nomina dei più alti funzionali e di emanazione dei regolamenti governativi. II Presidente del Consiglio dei ministri ha, tra gli altri, i compiti di indirizzare ai ministri le direttive politiche ed amministrative in attuazione delle delibere del Consiglio dei ministri e quelle connesse alla propria responsabilità di direzione della politica generale del governo, coordina e promuove l'attività dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica generale del governo, sospende l'adozione di atti dei ministri in ordine a questioni politiche e amministrative sottoponendoli al Consiglio dei ministri (ari 5, comma 2, I. 400/1989) Il Presidente, per esercitare le funzioni di impulso, indirizzo e coordinamento attribuitegli dalla Costituzione e dalle leggi, si avvale della presidenza del Consiglio, che ha una struttura organizzativa propria, alla quale fanno capo vari dipartimenti e uffici. Responsabile del funzionamento del segretariato generale e della gestione delle risorse umane e strumentali alla presidenza è il segretario generale; il Presidente, inoltre, può individuare, con propri decreti, gli uffici di diretta collaborazione propri e quelli dei ministeri senza portafoglio (pur essendo membri del governo, non sono titolari di dicasteri, ma possono essere posti a capo di dipartimenti in cui si articola la presidenza del Consiglio) o sottosegretari della presidenza. II Consiglio dei ministri è titolare della funzione di indirizzo politico e normativo, poteri di indirizzo e coordinamento, poteri di annullare d'ufficio atti amministrativi. I ministri sono organi politici di vertice dei vari dicasteri; sono organi importanti dal punto di vista amministrativo perché l'amministrazione statale è ripartita sulla base dei ministeri, il cui numero, attribuzioni ed organizzazione è stabilito dalla legge. Il ministro può essere aiutato da uno o più sottosegretari nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il ministro che il sottosegretario coadiuverà. Con il d. Igs. 300/1999, in ossequio ai principi di semplificazione e snellimenti strutturale, è stato ridotto il numero dei ministeri ed è stata ridisegnata la loro struttura. Per alcuni ministeri si introduce il modello caratterizzato dalla presenza, accanto alla figura del ministro, di strutture dipartimentali, cui sono attribuiti compiti finali riguardanti grandi aree di materie omogenee e i relativi compiti strumentali, e scompare la figura del segretario generale, che sopravvive negli altri ministeri. In questi ultimi, la struttura di primo livello è costituita dalle direzioni generali. I ministeri svolgono le loro funzioni anche attraverso le agenzie, strutture che svolgono attività di carattere tecnico­operativo di interesse nazionale attualmente esercitate dai ministeri ed enti pubblici. Tra le agenzie costituite dal d.lgs 300/1999 ci sono quelle fiscali (agenzie delle entrate, delle dogane), per la protezione dell'ambiente, della protezione civile ecc. Le agenzie operano, in generale, al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali; hanno autonomia nei limiti stabiliti dalla legge (hanno autonomia di bilancio, possono determinare norme sulla loro organizzazione ecc), sono sottoposte al controllo della Corte dei conti, ai poteri di vigilanza e indirizzo del ministro (che approva anche i programmi di attività delle agenzie, può emanare direttive con indicazione degli obiettivi da raggiungere), devono essere organizzate in modo da rispondere alle esigenze di speditezza, efficienza ed efficacia, giovano di un finanziamento annuale a carico dello stato di previsione del ministero. A capo dell'agenzia è posto un direttore generale. Possono anche avere personalità giuridica (es. agenzie fiscali). 18 

3.

Le strutture di raccordo tra i vari ministeri

I ministeri non operano in modo completamento separato: la loro attività viene coordinata dall'azione politica del Consiglio dei ministri, dal Presidente del Consiglio (art. 95 Cost.), dal consiglio di gabinetto, organo collegiale formato dal Presidente del Consiglio e dai ministri da lui designati, dai comitati dei ministri. Altri organi collegiali sono ì comitati interministeriali, che possono essere formati, a differenza dei comitati di ministri, anche da soggetti che non siano ministri, in particolare da esperti e rappresentanti delle amministrazioni. Tra questi comitati ci sono il CIPE (comitato interministeriale per la programmazione economica), presieduto dal Presidente del Consiglio dei ministri, composto da ministri, competente in via generale su questioni di rilevante valenza economico­finanziaria, e/o con prospettive di medio lungo termine, che necessitano di un coordinamento a livello territoriale o settoriale. Di rilievo anche il Cicr (comitato interministeriale per il credito ed il risparmio), il quale si occupa di politica creditizia, esercitando poteri di direttiva nei confronti Tesoro e della Banca d'Italia. In ogni ministero con portafoglio sono presenti, poi, gli uffici centrali del bilancio, dipendenti dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del ministero dell'economia e delle finanze; a livello periferico, si occupano delle amministrazioni statali decentrate le ragionerie provinciali, che dipendono dal dipartimento della Ragioneria generale con compiti di tenuta delle scritture contabili, programmazione dell'attività finanziaria, valutazione tecnica dei costi. Svolge attività a favore di tutta l'organizzazione statale l'avvocatura dello Stato, composta da legali che forniscono consulenza alle amministrazioni statali e provvedono alla loro difesa in giudizio (possono avvalersene anche le regioni a statuto ordinario e speciale); l'avvocatura è incardinata presso il Consiglio dei ministri, dal quale agisce in modo indipendente. Occorre, infine, ricordare il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, che ha il compito di fornire alle amministrazioni il supporto conoscitivo informatico essenziale per l'attività amministrativa, e il servizio della tesoreria di Stato, costituto dall'insieme di operazioni e atti attraverso i quali il denaro acquisito dalla pubblica amministrazione viene raccolto, conservato, impiegato. Il servizio di tesoreria centrale dello Stato è affidato alla Banca d'Italia. 4.Il Consiglio di Stato la Corte dei Conti e il Cnel Ci sono organi che svolgono funzioni strumentali (consultive, di controllo, di proposta) rispetto all'attività degli organi costituzionali. Essi, qualificati poteri dello Stato, sono: il Consiglio di Stato, organo di consulenza giuridico­amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione (art. 100, comma 1, Cost.), la Corte dei conti (art. 100 Cost.), che oltre ad esercitare le funzioni di controllo, dispone di funzioni giurisdizionali e consultive (queste ultime principalmente con riferimento ai disegni di legge governativi che modificano la legge sulla contabilità dello Stato e le proposte di legge attinenti l'ordinamento e le funzioni della Corte), il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel, art. 99 Cost.), organo ausiliario del governo, con compiti di consulenza tecnica, di sollecitazione, nelle materia dell'economia e del lavoro, dell'attività del Parlamento, del governo e delle regioni. 5. Le aziende autonome Le aziende autonome o amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo (dizione impiegata nel d. lgs. 165/2001) sono delle amministrazioni incardinate presso un ministero, con una propria amministrazione, separata da quella ministeriale. Le amministrazioni autonome svolgono, in genere, attività prevalentemente tecnica, amministrano in modo autonomo le relative entrate, dispongono di capacità contrattuale e sono titolari di rapporti giuridici, pur non avendo un proprio patrimonio (il patrimonio è infatti dello Stato anche se è destinato all'attività dell'azienda). Molte aziende, poiché la loro attività consiste spesso nella produzione di beni o nella prestazione di servizi, ritenendosi preferibile l'adozione dei regime imprenditoriale, sono state trasformate in enti pubblici economici o società per azioni. Sono prive di personalità giuridica e sono rette dal ministro che ne ha la rappresentanza; il ministro è affiancato dal consiglio di amministrazione e dal direttore, organo esecutivo. Il bilancio e il rendiconto dell'azienda sono allegati al bilancio dello Stato: molte aziende sono state soppresse o trasformate: tra queste la Cassa depositi e prestiti, trasformata in Cassa depositi e prestiti società per azioni. Il termine azienda è impiegato anche per indicare aziende speciali 19 

che operano a livello locale; si tratta, in questo caso, di soggetti aventi personalità giuridica. 6. Le amministrazioni indipendenti Modelli di amministrazione assai differenti da quelli tradizionali sono le amministrazioni indipendenti (Consob, Garante per la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali ecc): esse dispongono di autonomia organizzativa e funzionale, sono titolari di poteri provvedimentali, in particolare sanzionatori (in alcuni casi le autorità, Consob e Isvap, possono proporre al ministro competente l'adozione di misure sanzionatorie, altre volte sono le agenzie stesse che le adottano direttamente), talora regolamentari, e sono soggette al controllo della Corte dei conti. I vertici delle agenzie diverse da quelle che operano nel settore delle telecomunicazioni, elettricità e del gas (la cui nomina spetta al Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del ministro competente e parere favorevole delle commissioni parlamentari) sono nominati o designati dai presidenti delle camere, ovvero (è il caso del Garante per la tutela della privacy) eletti per metà dalla camera e per metà dal senato (in tutti questi casi gli atti di nomina, non essendo soggettivamente amministrativi, non sono impugnabili dinanzi al giudice amministrativo). L'elemento che maggiormente caratterizza queste amministrazioni è il fatto che esse sono indipendenti dal potere politico del governo pur dovendo, di regola, trasmettere relazioni a questo, oltre che al Parlamento, in ordine all'attività svolta. Le autorità, di conseguenza, non sono tenute ad adeguarsi all'indirizzo politico espresso dalla maggioranza ed adottano, in posizione di relativa terzietà, decisioni simili a quelle degli organi giurisdizionali. Non rispondono politicamente né all'esecutivo né ad altri soggetti; sono organi che esercitano funzioni di amministrazione attiva ma al di fuori della sfera di influenza politica, occupandosi di settori amministrativi ritenuti particolarmente rilevanti. La indiffejEnza^ris'petto agli interessi in gioco giustifica la qualificazione della loro posizione come "neutrale" in ciò ulteriormente differenziandosi rispetto alle tradizionali amministrazioni che devono, invece, essere imparziali. Alcune autorità non hanno neppure personalità giuridica (l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sul diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali). Presenta alcune analogie con le autorità indipendenti, pur non essendo istituito a livello di organizzazione statale, il difensore civico: il T.U. enti locali definisce il difensore civico comunale e provinciale come garante "dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 11), mentre l'art. 127 T.U. ctt. ha previsto che i difensori civici delle regioni e delle province autonome esercitino, sino all'istituzione del difensore civico nazionale, le proprie funzioni di richiesta, proposta, sollecitazione e di intimazione anche nei confronti delle amministrazioni periferiche dello Stato. Al difensore civico spetta il compito di riesaminare, su istanza dell'interessato, le richieste di accesso in caso di rifiuto e di differimento. A questo compito se ne aggiungono molti altri che vanno dalla tutela dei cittadini al controllo dell'attività amministrativa, dalla difesa della legalità alla ricerca della trasparenza. Il difensore comunque non può annullare o riformare atti, imporre misure sanzionatorie conseguenti al controllo, emanare provvedimenti decisori. La marcata indipendenza e riduzione del condizionamento politico costituiscono ulteriori tratti essenziali di questo modello, li difensore civico, al pari delle autorità indipendenti, trova il proprio riferimento costituzionale nell'art. 97 Cost; a differenza delle amministrazioni indipendenti, oltre la diversità in ordine al campo di azione, esso non dispone di poteri decisori. 7. Gli enti parastatali e gli enti pubblici economici L'amministrazione statale è completata dalla presenza di enti strumentali rispetto ad essa. Tra questi, gli enti parastatali (Inps, Inail, Coni), disciplinati dalla legge n. 70 del 1975 che li raggruppa in sette categorie in base al settore di attività (per la cui elencazione si rimanda a pag. 123); tutti gli enti del parastato sono soggetti al controllo della Corte dei conti. Altra categoria di enti strumentali è quella degli enti pubblici economici: sono titolari di impresa ed agiscono con gli strumenti del diritto comune, oppure detengono partecipazioni azionarie in società con capitale pubblico (enti di gestione delle partecipazioni azionarie, quali Iri ed Eni). La tendenza legislativa è quella di operarne la trasformazione in società per azioni, strumento ritenuto più adatto ai fini della gestione dell'impresa. Di natura pubblica è il rapporto 20

con lo Stato sotto il profilo della costituzione, estinzione, nomina degli amministratori, vigilanza, ec; sono sottratti al regime fallimentare. Altri enti importanti nell'organizzazione amministrativa statale sono: gli ordini ed i collegi professionali, enti pubblici associativi, ad appartenenza necessaria, esponenziali della categoria di professionisti che realizzano l'autogoverno della categoria stessa; le camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura: sono enti di diritto pubblico ad appartenenza necessaria di tipo associativo a competenza territorialmente delimitata (operano a livello provinciale), che raggruppano i commercianti, gli industriali, gli agricoltori, gli artigiani; la Siae e l'Istituto per il commercio con l'estero, a cui è stato riconosciuto il carattere di ente pubblico non economico. 8.

L'amministrazione statale periferica

L'amministrazione dello Stato è presente al centro ed sul territorio nazionale secondo il modello del decentramento burocratico, che ha dato luogo all'amministrazione statale periferica, che convive con quella regionale e degli enti­locali. Al vertice di ogni ufficio periferico è presente un dipendente del ministero (alcuni ministeri difettano di un'organizzazione periferica), mentre la difesa in giudizio e le funzioni consultive spettano alle avvocature distrettuali dello Stato, aventi sede in ogni capoluogo in cui opera una Corte d'appello. Il controllo sulla spesa è esercitato dalle ragionerie provinciali dello Stato incardinate preso il ministero dell'economia e delle finanze, che svolgono nei confronti degli organi decentrati dell'amministrazione statale le funzioni attribuite a livello centrale agli uffici centrali del bilancio presenti presso ogni ministero. Organo periferico del ministero dell'interno e il prefetto, preposto all'ufficio territoriale del governo, chiamato a rappresentare il potere esecutivo nella provincia e, più in generale, a svolgere la funzione di tramite tra centro e periferia. Tra i compiti che svolge ci sono quelli in tema di ordine pubblico e di sicurezza nella provincia di espropriazione, di esercizio del diritto di sciopero nei pubblici servizi. Le prefetture sono state trasformate, dall'art 11 del d.lgs. 300/99, così come modificato dal d.lgs. 29/2004, in Prefetture­uffici territoriali del governo a cui sono preposti i prefetti. La I. 131/2003 dispone che il prefetto preposto all'ufficio territoriale del Governo avente sede nel capoluogo della regione svolge funzione di rappresentante dello Stato per ì rapporti con il sistema delle autonomie" 9. L'organizzazione amministrativa territoriale costituzionale e le r e c en t i r i fo r m e

non statale:

la disciplina

I poteri locali sono stati modificati dalla recente riforma del titolo V della parte II della Costituzione operaia con I. cost. 3/2001; la I. cost. 131/2003 (recante "Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3") conferisce ora una delega al Governo ad emanare decreti legislativi per dare attuazione al l’art. 117 Cost., indicando, espressamente, le norme abrogate implicitamente per l'effetto dell'entrata in vigore della I. cost. 3/2001, nonché quelle implicitamente abrogate da altre disposizioni. Le regioni dispongono di potestà legislativa ed amministrativa. L'art. 117 Cost. prevede la potestà legislativa cd. concorrente relativamente ad alcune materie e stabilisce che alle regioni "spetta" (ma non è riservata: questa differenza aprirebbe la via alla legislazione statale cedevole nelle materie non ancora disciplinate dalla fonte regionali, v. infra) la "potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Rispetto al previgente sistema, caratterizzato dalla indicazione tassativa delle materia devolute alla competenza regionale, si è così operato un decisivo rafforzamento del ruolo normativo delle regioni (v. anche l'art. 116 Cost.). L'art. 1 della I. 131/2003 stabilisce che "le disposizioni normative statali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale continuano ad applicarsi, in ciascuna regione, fino alla data di entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia....fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte Costituzionale. Le disposizioni normative regionali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione statale esclusiva continuano ad applicarsi sino all'entrata in vigore delle disposizioni statali in materia, fatti salvi gli effetti di eventuali pronunce della Corte Costituzionale". In attesa della legislazione regionale, il legislatore statale, inoltre, può continuare a legiferare nelle materie di potestà regionale: tesi, sostenuta dalla dottrina e, in parte, dal legislatore (v. L. 21

55/2002, richiamata dalla I. 329/2003), che permette di configurare le leggi statali come norme suppletive dotate di una sorta di cedevolezza e, come tali, destinate ad essere superate al momento dell'entrata in vigore della fonte regionale. La Corte Costituzionale, tuttavia, nella sent. n. 303/2003 pare aver ristretto i margini per l'utilizzo di leggi statali contenenti prescrizioni cedevoli, asserendo che il meccanismo delle norme di dettaglio appunto cedevoli non può averne generalizzata l'applicazione. Va aggiunto che l'art. 117 Cost., nel definire materie di competenza legislativa esclusiva statale, indica alcuni ambiti per così dire "trasversali" che potrebbero consentire uno spazio di intervento importante per il legislatore statale (es. materia della tutela della concorrenza, ordine pubblico e sicurezza, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale ecc.) Le regioni, ai sensi del l’art 118 Cost., esercitano anche funzioni amministrative conferite ad esse "per assicurarne l'esercizio unitario" "sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza" (al fine di capire siffatta disposizione si consideri che in linea di massima, tutte le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni): si tratterà presumibilmente delle funzioni di indirizzo, di programmazione e di controllo. Esse, comunque, dovranno essere individuate dalle leggi statali e regionali. Rimangono peraltro poteri di indirizzo allo Stato, come confermato dal l’art. 121 Cost., ai sensi del quale il presidente della Giunta regionale "dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istituzioni del governo della Repubblica". La Costituzione prevede pure intese tra regioni (art. 117 c. 9 e 10, Cost.), nonché forme di coordinamento tra Stato e regioni nelle materie indicate (art. 118, c. 3, Cost.). Un impulso decisivo al rafforzamento delle autonomie territoriali è venuto dalla riforma avviata con la l. 59/1997 (c.d. legge Bassanini), ispirata al principio di sussidiarietà (v. cap. Il): sono conferite alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessati e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori (art. 1, comma 2, I. cit.); il principio di sussidiarietà è indicato tra i principi e i criteri vincolanti per il governo nella disciplina da esso posta mediante decreto delegato, precisando, che ove possibile, le responsabilità politiche debbono essere attribuite alla autorità più vicina ai cittadini interessati. Il conferimento deve avvenire rispettando anche i principi completezza, efficienza, economicità e di cooperazione tra Stato, regioni ed enti locali (art. 2 l. cit). 10. I rapporti con lo Stato e l'autonomia contabile della regione I rapporti tra lo Stato e le regioni devono essere improntati al principio della leale cooperazione, principio elaborato dalla giurisprudenza costituzionale ed ora formalizzato nel l’art 120 Cost. Sul piano organizzativo ì rapporti tra Stato e regione sono coordinati dal Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie, la commissione parlamentare per le questioni regionali di cui all'art. 126 Cost., la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, la regione e le province autonome, con compiti di informazione, consultazione e raccordo, in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza generale, la Conferenza Stato­città­autonomìe locali, con compito di coordinamento nei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali. Le conferenze citate sono organi statali a composizione mista. A garanzia dell'autonomia delle regioni, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 3, lett. p, I. 400/1988 che attribuiva al Consiglio dei ministri il potere di annullare gli atti amministrativi regionali. Per quanto riguarda i controlli, prescindendo da quelli sugli atti legislativi (v. art. 127 Cost.), la I. 3/2001 ha abrogato l'art. 125 Cost. che prevedeva il potere dello Stato del controllo di legittimità sugli atti amministrativi regionali. La l. 20/1994, art. 3, comma 4, disciplina il controllo sulla gestione del bilancio e del patrimonio esercitato dalla Corte dei Conti anche nei confronti delle amministrazioni regionali "concernente il perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di programma"; tale controllo pare trovare un più moderno referente nell'art. 117, c. 3, Cost., che si riferisce ai coordinamento della finanza pubblica. Il ruolo della Corte è stato rafforzato dalla 1. 131/2003, secondo cui la Corte, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, verifica il rispetto degli equilibri di bilancio da parte (oltre che Comuni, Province e Città metropolitane) delle Regioni, "in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea...". L'art. 126 Cost. prevede il controllo sugli organi: il consiglio regionale può essere sciolto e il presidente della giunta rimosso con decreto del Presidente della Repubblica, sentita una 22

commissione di deputati e senatori costituita per le questioni regionali, quando abbiano compiuto atti gravi contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, o per ragioni di sicurezza nazionale. Ai sensi del l’art. 119 Cost. i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia di spesa e di entrata, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (v. art. 117, co. 3, Cost.); l'articolo sopra citato prevede l'istituzione di un fondo perequativo per i tenitori con minore capacità fiscale per abitante, fissando, al terzo comma, l'importante principio che le risorse derivanti dalle fonti previste dall'art 119 Cost. consentono di finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite. Le regioni e gli enti locali possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese d'investimento, escludendosi ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti. Le regioni, infine, hanno un bilancio autonomo rispetto a quello statale e dispongono di un proprio patrimonio autonomo. 11. L'organizzazione regionale L'organizzazione regionale, che deriva dalle disposizioni costituzionali (recentemente modificate dalla I. cost. 1/1999) e da quelle statutarie (art. 123 Cost.) è composta da: è consiglio regionale: esercita le potestà legislative e le altre funzioni ad esso conferite dalla Costituzione e dalle leggi; è giunta regionale: è l'organo esecutivo. Esercita potestà regolamentare (che lo statuto può affidare anche al consiglio (Corte cost. sent. 313/2003) e dispone dì poteri di impulso e di iniziativa legislativa; è presidente della giunta regionale: rappresenta la regione, dirige la politica della giunta e ne è responsabile, promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali, dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo della Repubblica (art 121 Cost.). È eletto a suffragio universale e diretto, salvo che lo statuto prevede diversamente; il presidente eletto nomina e revoca i componenti della giuria. Lo statuto determina la forma di governo (art. 123 Cost.). La regione dispone di funzioni amministrative, per esercitare le quali impiega un apparato amministrativo regionale che si distingue in centrale (strutturato di norma in assessorati o per dipartimenti) e periferico. Per la cura degli intessi ad essa affidati, la regione impiega il modello di amministrazione diretto e il conferimento di funzioni agli enti locali (v. art. 118 Cost), o può avvalersi di enti dipendenti, che sono uffici regionali entificati. Tra i soggetti di diritto pubblico operanti in ambito regionale, particolarmente importanti sono le aziende sanitarie locali, aventi il compito di assicurare livelli di assistenza sanitaria uniformi nel proprio ambito territoriale, qualificate come soggetti dotati di personalità giuridica pubblica e di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica. Le regioni, inoltre possono assumere partecipazioni in società finanziarie regionali il cui oggetto rientri nelle materie finanziarie. 12. La posizione e le funzioni degli enti locali Sono "enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione" (art. 114 Cost.) i comuni, le province e le città metropolitane, denominati "enti locali" (art. 123 Cost.: tale norma prevede l'istituzione a livello regionale di un Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra regioni ed enti locali, l'art. 2 T.U. enti locali precisa che, ai fini dell'applicazione del testo medesimo, si intendono per enti locali, oltre a quelli appena citati, ie comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni). Insieme alle regioni formano i "governi locali" (art. 120 Cost.). A differenza del passato, quando l'art. 128 Cost., ora abrogato, qualificava i suddetti enti (si taceva sulle città metropolitane) come enti autonomi nell'ambito dei principi fissati con legge generale della Repubblica, oggi l'autonomia di questi poteri locali è direttamente sancita dalla Costituzione, che li indica accanto allo Stato come ordinamenti costituenti la Repubblica, in una logica non già dì articolazione gerarchica quanto di tendenziale pariequiparazione. La disciplina della legislazione elettorale, degli organi di governo e delle "funzioni fondamentali" spetta comunque alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, c. 2, lett. p, Cost.) al fine di evitare che la regione possa intervenire con legge comprimendone l'autonomia. L'art. 114 Cost. riconosce una peculiare posizione a Roma, definita capitale della Repubblica, la disciplina del cui ordinamento è affidata a legge dello Stato. li sistema delineato dalla legge di riforma costituzionale era stato avviato da norme precedenti, 23

volte a rafforzare l'autonomia degli enti locali nei confronti dello Stato: ruolo decisivo ha avuto la I. 142/1990 che, oltre a riconoscere potere statuario a province e comuni, ha disposto che la "legislazione in materia di ordinamento dei comuni e delle province e di disciplina dell'esercizio delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i principi che costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dei comuni e delle province" (art. 4, com. 2­bis, I. 142/90). Ha inteso, quindi, porre una disciplina generale, sottraendola al rischio di deroghe particolari. La presenza delle regioni non offusca l'importanza delle autonomie locali, le quali, in alcuni casi, svolgono funzioni regionali e, comunque, sono tutelate dall'ingerenza delle stesse (v. in particolare L. 265/1999 che ha modificato la I. 142/1990). 12.1 Le funzioni del comune Ai comuni sono attribuite, ai sensi dell'arti 18 Cost., tutte le "funzioni amministrative", salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Il secondo comma della norma sopra citata specifica che comuni, province e città metropolitane "sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze". L'art. 118 Cost. ammette, dunque, una doppia lettura: quella secondo cui i comuni sono titolari di tutte ie funzioni amministrative, secondo il modello dei "poteri originali" (di propri poteri e funzioni parla anche l'art, 114 Cost.) e quella in forza della quale le funzioni ed i poteri sono ad esse conferiti da regioni e Stato ("poteri derivati"). Le funzioni amministrative possono, quindi, essere allocate anche ad un livello diverso da quello comunale (secondo un criterio "ascensionale" che le sottragga ai Comuni tenendo conto delle attitudini dei vari livelli ad assicurarne l'esercizio unitario. Esistono poi le funzioni fondamentali che, ai sensi dell'art. 117, c. 2, lett. p, Cost. sono disciplinate dalla legge dello Stato (individuazione di tali funzioni spetta al Governo in virtù della delega conferita con I. 131/2003).Trattasi di funzioni che sono escluse dal processo di distribuzione verso l'alto. L'art. 117, c. 6, Cost. riconosce, inoltre, ai comuni, province e città metropolitane potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. La legislazione ordinaria, art. 3 T.U. enti locali, definisce il comune come "l'ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo locale". L'art. 13 dei T.U cit, anticipando la riforma costituzionale, attribuisce al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell'assetto e dell'utilizzo del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale e regionale. La disposizione va interpretata alla luce del nuovo art. 118 Cost., ai sensi del quale Stato, regioni, città metropolitane, comuni e province "favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà". Il comune gestisce, in particolare, alcuni servizi di competenza statale, funzioni che, pur rimanendo nella titolarità dello Stato, sono esercitate dal sindaco quale ufficiale di governo. Importanti funzioni sono state conferite allo sportello unico per le attività produttive (cap. VI, par. 1). 12.2 Le funzioni della provincia La disciplina costituzionale (artt. 114, 117, 118 Cost.) accomuna la provincia ai comuni ed alle città metropolitane, mentre la legislazione ordinaria, art. 3 T.U. enti locali, definisce la provincia come ente intermedio tra comune e regione, che rappresenta la propria comunità e ne cura gli interessi coordinandone lo sviluppo. l’art 19 attribuisce all'ente le funzioni amministrative di interesse provinciale, che riguardino vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale, relative ad una serie di settori specifici e tassativamente indicati. Settori in cui sono stati attribuiti numerosi compiti a questo ente sono l'ambientale, la promozione e il coordinamento di attività e di realizzazione di "opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale, sportivo" nonché compiti di pianificazione territoriale (artt. 19 e 20 T.U.).

24

13. L'organizzazione di comuni e province La legge dello Stato disciplina gli organi degli enti locali, che durano in carica cinque anni quando si tratta di organi di governo. La legge non distingue, in materia, tra comuni e province, sicché il discorso verrà qui condotto in modo unitario per comuni e province. Il sindaco (o il presidente della provincia) è i'organo responsabile dell'amministrazione del comune (o della provincia); rappresenta l'ente e convoca e presiede la giunta, sovraintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti, all'espletamento delle funzioni statali e regionali attribuite o delegate all'ente locale. Non è rieleggibile immediatamente il sindaco o il presidente della provincia che abbia ricoperto la carica per due mandati consecutivi (è consentito il terzo mandato consecutivo solo quando uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per cause diverse dalle dimissioni volontarie). Sindaco e presidente della provincia provvedono alla nomina designazione e revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende­ed istituzioni. il consiglio comunale (o il consiglio provinciale) è organo di indirizzo e di controllo politico­amministrativo, con competenze limitate agli atti fondamentali (statuto, regolamenti, piani territoriali ed urbanistici ecc.) indicati dalla legge. Il sindaco (il presidente della provincia), sentita la giunta, nel termine fissato dallo statuto, presenta al consiglio le linee programmatiche relative alle azioni ed ai progetti che intende realizzare. I consigli provinciali e comunali dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti sono presieduti da un presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta, cui sono attribuiti autonomi poteri di convocazione e di direzione dei lavori e delle attività del consiglio; per i restanti comuni la figura del presidente può essere prevista dallo statuto, altrimenti la presidenza spetta al sindaco, il funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi fissati dallo statuto, è disciplinato con regolamento approvato a maggioranza assoluta e sottratto al controllo (necessario) preventivo di legittimità (art. 126 T.U.). I consigli sono dotati di autonomia organizzativa e funzionale. La giunta comunale (la giunta provinciale) è l'organo a competenza residuale: collabora con il sindaco o con il presidente della provincia nell'amministrazione dell'ente, attua gli indirizzi generali del consiglio e svolge attività propositiva e di impulso nei confronti dei consiglio. Il sindaco e il presidente della provincia nominano i componenti della giunta, tra cui un vicesindaco e un vicepresidente, e ne danno comunicazione al consiglio nella prima seduta successiva all'elezione. Adottano dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio. Nei comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, anche ai fine di operare un contenimento della spesa, il regolamento degli uffici e dei servizi può prevedere l'attribuzione ai "componenti dell'organo esecutivo" della "responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale". Il numero degli assessori, comunque non superiore ad un terzo del numero dei consiglieri, è fissato dallo statuto, che può anche prevede solo il limite massimo. Nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e nelle province gli assessori sono nominati anche al di fuori dei componenti del consiglio, possibilità che, negli altri comuni, può essere prevista dagli statuti. Sindaco e presidente possono revocare gli assessori, dandone motivata comunicazione al consiglio. In caso di approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del sindaco (o del presidente della provincia) e della giunta, il sindaco, il presidente della giunta e le rispettive giunte cessano dalla carica e si procede a scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario. La giunta decade anche nel caso di rimozione, decadenza o decesso del sindaco o del presidente della provincia. Lo scioglimento del consiglio determina la decadenza dei sindaco, del presidente della provincia e della relative giunte. Il sindaco e il presidente della provincia sono eletti a suffragio universale e diretto da parte dei cittadini. Nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti l'elezione dei consiglieri si effettua con il sistema maggioritario, mentre nei comuni che superano questa soglia è previsto il sistema maggioritario con un premio di maggioranza. Altri organi degli enti locali sono i dirigenti, comunali o provinciali, i quali svolgono la propria attività sulla base di incarichi a tempo determinato, sono responsabili, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa e dell'efficienza della gestione ed hanno tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con atti di indirizzo adottati dall'organo politico. Possono esercitare funzioni delegate dal sindaco; hanno la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Il sindaco nei comuni con popolazione superiore ai 25 

15.000 abitanti e il presidente della provincia possono, previa ­deliberazione della giunta comunale o provinciale, nominare un direttore generale. La durata dell'incarico non può eccedere quella del mandato del sindaco (o del presidente), di cui quest'organo costituisce una sorta di fiduciario, incaricato di gestire i collegamenti tra livello politico e livello gestionale. Provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente e sovraintende alla gestione dell'ente. Nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti è consentito procedere alla nomina del direttore generale previa stipula di convenzioni tra comuni, le cui popolazioni sommate raggiungano i 15.000 abitanti. Il segretario comunale o provinciale è l'organo che, pur legato da un rapporto funzionale con l'ente (a tempo determinato), dipende da una apposita agenzia avente personalità giuridica di diritto pubblico sottoposta alla vigilanza del ministro dell'interno. È nominato dal sindaco (o dal presidente della provincia) tra gli iscritti in apposito albo, per la durata del mandato del sindaco (o del presidente). Il segretario svolge "compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico­ amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" (art.97 T.U.); partecipa, inoltre, con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione, può rogare tutti i contratti nei quali l'ente è parte ecc. Il segretario non può trovarsi in condizione subordinata a quella del direttore generale, anche perché le funzioni svolte sono tendenzialmente diverse: il primo garantisce la legittimità, l'efficacia e l'economicità dell'azione amministrativa, il secondo è responsabile dell'attività di gestionale in ordine al raggiungimento degli obiettivi dell'ente.

14. I controlli sugli atti e sugli organi degli enti locali L'abrogazione del l’art. 130 Cost. ad opera della L. 3/2001, ha eliminato i controlli necessari sugli atti degli enti locali (controllo svolto dal Co.re.co. e dal difensore civico, ove istituito; per la lettura della vecchia normativa si rimanda a pag. 157).  a)  Il T.U., art. 138, annovera tra i controlli sugli atti degli enti locali l'annullamento straordinario governativo di cui alla l. 40088. La I. 51/1982 ha istituito una apposita sezione della Corte dei conti (sezione delle autonomie) ruolo rafforzato dalla riforma costituzionale, e l'art. 39 d. Igs. 77/1995 ha reso obbligatorio negli enti locali il controllo di gestione. I controlli interni sono disciplinati dall'art 147 T.U, il quale dispone che l'organizzazione degli enti locali è effettuata dagli enti stessi; la l 1312003 conferisce al Governo il potere di emanare uno o più decreti legislativi al fine di dare attuazione all'art. 117 Cosi, indicando, tra i criteri e i principi direttivi, quello di attribuire all'autonomia statuaria degli enti locali la potestà di individuare sistemi di controllo interno, al fine di garantire il funzionamento interno dell'ente secondo i criteri di efficienza, efficacia e di economicità dell'azione amministrativa.  b)  Il controllo sugli organi spetta allo Stato. Il Presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell'interno, ha il potere di sciogliere i consigli comunali e provinciali, per cause relative a gravi deviazione funzionali dell'organo quali:  c)  il compimento di atti contrari alla Costituzione, gravi e persistenti violazioni di legge, gravi motivi di ordine pubblico;  d)  l'impossibilità di assicurare il normale funzionamento degli organi e dei servizi per dimissione, impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia, per cessazione dalla carica per dimissioni dì almeno la metà più uno dei consiglieri, riduzione dell'organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio;  e)  la mancata approvazione del bilancio nei termini (in questa ipotesi è prevista la nomina di un commissario). 15. I rapporti finanziari e la contabilità nei comuni e nelle province

II d. Igs. 77/1995 ha posto i principi contabili applicabili all'attività degli enti locali; il d.lgs 504/1992 (v ora ari. 155 T.U.) ha previsto l'istituzione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali, organo statale presieduto dai ministro dell'interno, con poteri di controllo centrale sulle dotazioni organiche, sulle loro modificazioni e sui provvedimenti di assunzione degli enti dissestati o strutturalmente deficitari. L'art 234 T.U. stabilisce poi che la revisione economico­ finanziaria sia affidata ad un collegio dei revisori dei conti, che esprime proposte dirette a 26

conseguire una migliore efficienza, produttività ed economicità della gestione; l'art. 49 T.U. stabilisce che "su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere in ordine alla sola regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti un impegno di spesa o diminuzione di entrata, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile". Il parere di regolarità è reso, in relazione alle sue competenze, dal segretario allorché l'ente non abbia responsabili dei relativi servizi. Infine, l'art. 28 I. 448/1998 estende il patto di stabilità assunto dal Governo in sede comunitaria alle regioni, province, comuni e comunità montane; tali enti debbono, dunque, ridurre il disavanzo annuo e il rapporto tra l'ammontare del debito e il prodotto interno lordo. 16. Gli istituti di partecipazione negli enti locali

L'art. 8 T.U. disciplina gli istituti di partecipazione, specificando che i comuni (si noti, non le province) valorizzano le libere forme associative e promuovono gli organismi di partecipazione all'amministrazione locale. Lo stesso articolo riconosce il potere per gli interessati, di partecipare al procedimento amministrativo relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive, forme di consultazione della popolazione e procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte dei cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela degli interessi collettivi, nonché la possibilità che lo statuto disciplini il referendum, anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini. Sia per la consultazione che per il referendum, la legge prevede la loro attinenza alle materie di esclusiva competenza locale e la necessità che non abbiano luogo in coincidenza con operazioni elettorali, provinciali e circoscrizionali. Altri istituti di partecipazione sono: l'azione popolare (ogni elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che aspettano al comune) il diritto di accesso agli atti amministrativi (eccetto quelli riservati per volontà della legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco, presidente della provincia che ne vieti l'esibizione, conformemente a quanto stabilito da regolamento, in quanto la loro diffusione può pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese); il di accesso alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione, alle strutture ed ai servizi degli enti. A seguito della riforma costituzionale, questa materia rientra nella potestà legislativa delle regioni, salvo la competenza del legislatore statale di "determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, c. 2, lett. m, Cost.). 17. Territorio e forme associative

II territorio è elemento costitutivo del comune. La regione, con propria legge, sentite le popolazione interessate, istituisce nuovi comuni e può modificare le loro circoscrizioni e la loro denominazione (art. 133 Cost.). L'art. 15 T.U. prevede che "salvo i casi di fusione tra più comuni, non possono essere istituiti nuovi comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti o la cui costituzione comporti, come conseguenza, che altri comuni scendano sotto tale limite". Al fine di evitare l'eccessiva frammentazione territoriale le regioni possono predisporre, coordinandolo con i comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzata anche attraverso le unioni, il quale può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione dei contributi e incentivi per la progressiva unificazione; il programma è aggiornato ogni tre anni. (art. 33 T.U.). La regione, inoltre, ha il potere di procedere alla fusione di comuni (art. 15 T.U., commi 1 e 2). Nei tenitori interessati dal processo di istituzione di nuovi comuni a seguito di fusione decisa dalla regione, lo statuto comunale (non la legge regionale) può, a sua volta, contemplare l'istituzione di municipi. Due o più comuni possono costituire anche gli enti locali chiamati unioni di comuni, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza; possono essere promossi anche dalla regione, senza alcun vincolo alla successiva fusione (art. 33). Con riferimento al loro grado di stabilità, le forme associative previste dal T.U. possono essere ordinate nel seguente modo: accordi di programma, per la definizione e l'attuazione di opere e di interventi (art. 34); convenzioni, al fine di svolgere in modo coordinato servizi e funzioni determinati. Gli enti interessati non danno luogo a soggetti distinti, limitandosi a coordinare la propria attività; uffici comuni, istituiti mediante convenzione. Possono essere affidatali 27

dell'esercizio delle funzioni pubbliche, e non già dei servizi; delega (ad un solo ente dell'esercizio delle funzioni); consorzi (soggetti distinti dai soggetti che li costituiscono per la gestione associata di uno o più servizi e per l'esercizio di funzioni); esercizio associato di funzioni e servizi; unioni di comuni (che danno luogo alla creazione di un ente locale). Ai comuni con popolazione tra i 30.000 ed i 100.000 abitanti l'ordinamento consente, od obbliga se la popolazione supera i 100.000 abitanti, l'articolazione del territorio comunale in circoscrizioni, definite come "organismi di partecipazione, di consultazione e di gestione dei servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal comune" (art. 17). II sindaco, ove non sussistano organi di decentramento comunale, può delegare ad un consigliere comunale l'esercizio delle funzioni di ufficiale di governo nei quartieri e nelle frazioni. Per gli ambiti trattati da questo paragrafo pare sussistere, ora, la potestà legislativa delle regioni. 18. Città metropolitane e comunità montane La Costituzione, art. 114, qualifica le città metropolitane come enti autonomi con propri statuti e funzioni secondo i principi fissati nella stessa carta costituzionale; la città metropolitana, titolare anche di potestà normative ai sensi dell'art 4 l 131/2003 è ricompresa tra gli enti locali, come sembra risultare dall'ultimo comma del art. 123 Cost. II T.U. prevede la figura dell'area metropolitana (si noti che la Costituzione configura, invece, l'ente città metropolitana). Il territorio delle aree in esame (comprendenti i comuni di Roma, Firenze, Torino, Napoli ecc, art. 22 e ss.) è delimitato dalla regione, su parere conforme degli enti locali interessati (se la regione non provvederà entro 180 giorni, è previsto il potere sostitutivo del governo, da esercitare previa diffida). L'amministrazione si articola su due livelli: la città metropolitana e i comuni. Il procedimento di formazione è il seguente : proposta di statuto della città metropolitana adottata dall'assemblea degli enti locali interessati, convocati dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, referendum sulla proposta a cura di ciascun comune, necessità del voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto al voto espressa nella metà più uno dei comuni, presentazione della proposta, ove approvata, a cura della regione, ad una delle due camere per l'approvazione con legge. La legge parifica la città metropolitana alla provincia, anche se la città esercita funzioni ulteriori rispetto a quelle della provincia, ossia quelle che le vengono conferite dalla regione. Altro ente locale è la comunità montana, ente ad appartenenza obbligatoria costituito con provvedimento del presidente della giunta regionale "tra comuni montani e parzialmente montani anche appartenenti a province diverse per la valorizzazione delle zone montane, per l'esercizio di funzioni proprie, di funzioni conferite e per l'esercizio associato di funzioni comunali" (art. 27 T.U.). Questi enti hanno autonomia statuaria nell'ambito delle leggi statali e regionali, hanno un organo rappresentativo ed uno esecutivo, sono composti da sindaci ed assessori o consiglieri dei comuni partecipanti con il sistema di voto limitato. Le norme che si applicano alle comunità montane si estendono alle comunità isolane e di arcipelago.

28

Capitolo V SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE E LORO VICENDE 1.

Premessa. Qualità giuridiche, status, capacità e situazioni giuridiche

Gli interessi sono aspirazioni dei soggetti verso i beni ritenuti idonei a soddisfare bisogni. La concreta situazione di cui un soggetto viene riconosciuto titolare da parte dell'ordinamento, con riferimento al bene che costituisce oggetto dell'interesse, è la situazione giuridica soggettiva. Le situazioni soggettive sono svariate: diritto soggettivo, interesse legittimo, potere, obbligo, dovere. Si definiscono qualità giuridiche i modi di essere giuridicamente definiti di una persona, di una cosa, di un rapporto giuridico, di cui l'ordinamento faccia altrettanti presupposti per l'applicabilità di disposizioni generali o particolari alla persona, alla cosa, ai rapporto (es. la qualità di coniugato con prole è il presupposto per l'applicazione della disciplina in tema di assegni di famiglia). Il termine status viene utilizzato in ordine al soggetto che si trovi in una particolare posizione complessiva in seno all'ordinamento (es. status di cittadino, di impiegato pubblico); gli status sono le qualità attinenti alla persona che globalmente derivano dalla sua appartenenza necessaria o volontaria ad un gruppo e rappresentano il presupposto per l'applicazione al soggetto di una serie di norme, le quali vengono così a costituire, nei confronti di tutti i soggetti che posseggono lo status, una situazione giuridica uniforme e omogenea. La idoneità di un soggetto ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive è la capacità giuridica, riconosciuta dall'ordinamento (artt. 1 e 11 c.c.) ai propri soggetti; soltanto in presenza di essa vengono conferite dall'ordinamento le situazioni giuridiche soggettive. L'ente pubblico ha questa capacità, quindi può impiegare strumenti del diritto privato, salvo diversa disposizione di legge (es. gli enti pubblici non sono titolari di quelle situazioni strettamente collegate alla natura propria dell'individuo: si pensi alle situazioni familiari). Dalla capacità giuridica si distingue la capacità di agire, che consiste nella idoneità a gestire le vicende delle situazioni giuridiche di cui il soggetto è titolare e che si acquista con il compimento del diciottesimo anno di età, salvo che la legge non stabilisca un'età diversa (art. 2 c.c.). Diversa dalla capacità di agire è la legittimazione attiva, la quale si riferisce a situazioni specifiche e concrete (attive o passive), effettivamente sussistenti, ed ai singoli rapporti. 2.

Potere, diritto soggettivo, dovere ed obbligo

II potere è la potenzialità astratta di tenere un certo comportamento ed è espressione della capacità del soggetto (tra i poteri rientrano, ad esempio, quello di disporre di un bene, di agire in giudizio; le amministrazioni possiedono sia il potere amministrativo che quello normativo). In quanto preesiste all'esercizio, il potere è collocato al di fuori dell'orbita di un rapporto giuridico concreto; qualora ne entri a far parte, ne costituirebbe uno dei termini. L'esercizio del potere consente di produrre delle vicende giuridiche, normalmente rappresentate dalla costituzione, modificazione ed estinzione di situazioni giuridiche. Nel diritto amministrativo hanno particolare importanza i poteri che il soggetto pubblico è in grado di esercitare prescindendo dalla volontà del privato, producendo, unilateralmente, una vicenda relativa alla sfera giuridica dello stesso. Il potere, almeno quando il suo esercizio concreto comporti incisione della sfera giuridica altrui, è attribuito dall'ordinamento generale a seguito di un giudizio di prevalenza dell'interesse affidato alla cura dell'amministrazione nei confronti degli interessi dei privati. Tali interessi, che non costituiscono un limite, ossia un impedimento, per la soddisfazione dell'interesse pubblico, sono così resi disponibili per l'amministrazione, la quale, esercitando il potere, ne condiziona il soddisfacimento, in particolare nel senso che esso può non verificarsi pure nei casi in cui l'amministrazione agisca legittimamente. Al contrario, quando la legge attribuisce al titolare la possibilità di realizzare il proprio interesse indipendentemente dalla soddisfazione dell'interesse pubblico curato dall'amministrazione, si profila la situazione giuridica dì vantaggio costituita dal diritto soggettivo; essa spetta al soggetto cui sia accordata dall'ordinamento protezione piena ed incondizionata, nei confronti di tutti gli altri soggetti, di interessi da parte di una norma dell'ordinamento stesso. L'interesse tutelato risulta sottratto alla disponibilità di un qualsiasi soggetto diverso dal titolare, nel senso che la sua soddisfazione non dipende dall'esercizio di un potere altrui. Ove il privato sia titolare di un diritto non può affermarsi l'esistenza di un potere amministrativo. 29 

Le norme che, attribuendo poteri, riconoscono interessi pubblici "vincenti0 su quelli privati, sono norme di relazione, caratterizzate cioè dal fatto di risolvere conflitti intersoggettivi di interessi. Poiché il potere amministrativo, in questi casi, incide nella sfera giuridica dei privati, esso deve essere tipico, cioè predeterminato dalla legge in ossequio al principio di legalità, che esprime la garanzia delle situazioni dei privati stessi. Situazioni sfavorevoli sono il dovere, vincolo giuridico a tenere un dato comportamento positivo (fare) o negativo (non fare); quando la necessità di tenere un comportamento sia correlata al diritto altrui si versa nella situazione dell'obbligo, vincolo del comportamento del soggetto in vista di uno specifico interesse di chi è titolare della situazione di vantaggio, per soddisfare la quale un soggetto deve, appunto, tenere un dato comportamento. 3.

L'interesse legittimo

Quando degli interessi sono in conflitto tra di loro, l'ordinamento può riconoscere un diritto (se prevale l'interesse del soggetto privato) o dei poteri amministrativi (se prevale l'interesse pubblico). Nei confronti dell'esercizio del potere pubblico il privato, che aspira ad un bene della vita (assunzione, conservazione o acquisizione di un bene, e così via) si trova in una situazione di soggezione, ovvero il suo interesse non è tutelato dall'ordinamento con il riconoscimento di un diritto soggettivo, quindi, la fruizione, il mantenimento dell'interesse dipende dall'esercizio del potere amministrativo. L'interesse privato non è un limite alla soddisfazione di quello pubblico: quindi, la soddisfazione della propria aspirazione passa, per il privato, attraverso il comportamento attivo dell'amministrazione (interesse pretensivo: il bene della vita consiste nel vincere il posto messo a concorso dall'ente pubblico, che ha il potere di selezionare i candidati sulla base di certo grado di preparazione professionale. L'interesse pubblico alla selezione è considerato prevalente su quello dei potenziali candidati di essere assunti; qualora invece, il privato si opponga all'esercizio di un potere che potrebbe cagionare una vicenda giuridica a lui svantaggiosa, egli vedrà soddisfatta la propria pretesa in quanto l'amministrazione non eserciti il potere (interesse oppositivo: l'interesse del privato a conservare la proprietà di un bene si scontra con il potere della pubblica amministrazione di espropriare il bene del privato per costruire un'opera di pubblica Anche se in queste situazioni l'interesse del privato non è tutelato nella forma del diritto soggettivo, l'ordinamento gli accorda un certo tipo di protezione, derivante dal fatto che l'esercizio del potere di cui è titolare l'amministrazione non è lasciato all'arbitrio della medesima, bensì è retto da una serie di disposizioni. II privato ha, quindi, la pretesa, giuridicamente tutelata dall'ordinamento, che l'attività della pubblica amministrazione si svolga in modo corretto e legittimo: la pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa (che come dovrebbe risultare oramai chiaro, non coincide affatto con la pretesa ad un bene della vita) è l'interesse legittimo. L'interesse legittimo può essere definito come la situazione soggettiva di vantaggio, costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si attua non direttamente ed autonomamente, ma attraverso la protezione indissolubile ed immediata di un altro interesse del soggetto, meramente strumentale, alla legittimità dell'atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale interesse strumentale. Trattasi di una figura controversa ma di fondamentale importanza, menzionata dalla Costituzione negli artt. 24, 103,113. I poteri riconosciuti al titolare dell'interesse sono: poteri di reazione: il loro esercizio si concretizza nei ricorsi amministrativi e giurisdizionali, volti ad ottenere l'annullamento di un atto amministrativo; poteri di partecipare al procedimento amministrativo; il diritto di accedere ai documenti della pubblica amministrazione. Si fa spesso cenno alla categoria degli interessi procedimentali, che avrebbero la caratteristica di attenere a "fatti procedimentali". 4.

Interessi diffusi e interessi collettivi

L'interesse legittimo è un interesse qualificato in quanto preso in considerazione da una norma che lo protegge, ancorché in via indiretta e, in quanto tale, risulta differenziato rispetto alla pluralità degli interessi che fanno capo ai consociati. Gli interessi legittimi possono essere distinti in: diffusi: si caratterizzano dal punto di vista soggettivo per appartenere ad una pluralità di soggetti e dal punto di vista oggettivo attengono a beni non suscettibili di fruizione differenziata, non frazionabili; collettivi: fanno capo ad un gruppo organizzato, onde il carattere della personalità e della differenziazione, necessario per 30

qualificarli come legittimi ed aprire la via alla tutela davanti al giudice amministrativo, potrebbe essere più facilmente rinvenuto, sostituendo al tradizionale soggetto atomisticamente inteso, il gruppo, soggetto al quale gli interessi sono comunque riferibili. Il problema della legittimazione ad agire è superato per quanto riguarda le associazioni in materia ambientale e di tutela del consumatore: le prime, se autorizzate dal ministro dell'ambiente, possono impugnare atti amministrativi, le seconde possono agire a tutela di interessi collettivi, purché iscritte in un apposito elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale. La legge riconosce ai soggetti portatori di interessi diffusi o collettivi la possibilità di partecipare al procedimento amministrativo. 5. Il problema del riconoscimento di altre situazioni giuridiche soggettive Contraddittoria è la situazione del privato che, pur essendo titolare di un diritto di proprietà, è soggetto al potere espropriativo della pubblica amministrazione. Al fine di superare l'apparente antinomia soccorre il principio di "relatività" della situazione giuridica soggettiva: lo stesso rapporto di un soggetto con un bene può presentarsi come diritto soggettivo o come interesse legittimo a seconda dei casi e dei momenti e perfino a seconda del genere di protezione che il soggetto faccia valere. Di conseguenza il diritto di proprietà si configura come tale in quanto (e fino al punto in cui) non venga in considerazione un potere dell'amministrazione di disporre dell'interesse del privato. Non si può dunque parlare di degradazione o affievolimento del diritto, fenomeno che, secondo la dottrina e la giurisprudenza, si riferirebbe alla vicenda di un diritto il quale, venendo a confliggere con un potere, si trasformerebbe in interesse legittimo; questa teoria è criticabile sulla base dell'osservazione che l'interesse legittimo non nasce dalla trasformazione di un diritto, ma è situazione distinta e non omogenea, pur potendosi riferire al medesimo interesse finale su cui si innesta il diritto, non fosse altro perché interesse legittimo e diritto soggettivo hanno ad oggetto immediato beni diversi, sicché manca il presupposto per la trasformazione dell'uno nell'altro. La dottrina parla talora di diritto in attesa di espansione per identificare la situazione in cui l'esercizio di un diritto dipenda dal comportamento dell'amministrazione, che consentirebbe appunto l'espansione dello stesso. In realtà a fronte del potere, il privato è titolare di un interesse legittimo, anche se la posizione per così dire "di partenza", si configura come diritto ove considerata indipendentemente dal potere. 5.1 Le situazioni giuridiche protette dall'ordinamento comunitario Ai cittadini dell'Unione Europea l'ordinamento comunitario riconosce dei poteri, identificabili con le cd. libertà. Vengono, in particolare, in rilievo: è il principio della libera circolazione delle persone, che implica l'abolizione delle discriminazioni tra lavoratori degli Stati membri fondate sulla nazionalità; è la libertà di stabilimento: comporta l'accesso alle attività non salariate ed al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese alle medesime condizioni fissate dall'ordinamento del paese di stabilimento per i propri cittadini; è la libera prestazioni di servizi: il servizio è definito come ogni prestazione fornita dietro remunerazione da un cittadino di uno Stato membro stabilito in uno Stato membro a favore della persona stabilita in uno Stato diverso (ma appartenente all'Unione); è la libertà di concorrenza, che può essere lesa a seguito della presenza di poteri amministrativi che condizionino oltre una certa misura l'attività delle imprese; è la libertà di circolazione dei beni: le misure restrittive che comportino indebite restrizioni delle importazioni e delle esportazioni confliggono con la disciplina comunitaria. 6. Le modalità di produzione degli effetti giuridici Nei nostro ordinamento vicende giuridiche (costitutive, modificative ed estintive) possono prodursi al verificarsi di alcuni fatti (si pensi alla nascita o alla morte) o al compimento di alcuni atti (es. l'intimazione di pagamento) che hanno la funzione di semplici presupposti per la produzione dell'effetto; la "causa" di quella vicenda giuridica è però da rintracciarsi direttamente nell'ordinamento. Questa modalità di dinamica giuridica può essere riassunta richiamando lo schema norma­ fatto­effetto, nel senso che la norma disciplina direttamente il fatto e vi collega la produzione di 31

effetti. La legge si riferisce a tutti i rapporti che abbiano certe caratteristiche, ovvero ad un singolo rapporto (legge­provvedimento). Diversa da questa dinamica è quella dello schema norma­potere­effetto. L'effetto non risale immediatamente alla legge, ma vi è l'intermediazione di un soggetto che pone in essere un atto, espressione di una scelta di autonomia (l'atto espressione di autonomia è il negozio), mediante il quale si regolamenta il fatto e si produce la vicenda giuridica. Sulla base di questo schema, l'ordinamento attribuisce all'amministrazione un potere, che consiste nella possibilità di produrre effetti riconosciuti dall'ordinamento stesso (es. costituzione di diritti o di obblighi, modificazione di preesistenti situazioni soggettive ecc), mediante provvedimenti amministrativi, preceduti da una serie di atti e di operazioni che acquisiscono rilevanza giuridica e che confluiscono nel procedimento (cap. VI). In ordine alla dinamica norma­potere­effetto, deve essere osservato che la Corte cost., con sent. n. 13/1962 ha riconosciuto il principio del giusto procedimento, il quale richiede che per la realizzazione dell'effetto sia previamente attribuito all'amministrazione un potere il cui esercizio produce la vicenda giuridica. La dinamica in. esame comporta il riconoscimento in capo al destinatario dell'esercizio del potere amministrativo di un interesse legittimo; viceversa, laddove lo schema sia quello della norma­fatto­effetto, legge riconosce direttamente un diritto soggettivo. 7. I poteri amministrativi: i poteri autorizzatori Analizziamo ora i principali poteri amministrativi, sottolineando che i loro elementi sono trasfusi nei provvedimenti finali che ne costituiscono l'esercizio e di cui la legge definisce i "tipi". Il potere autorizzatorio ha l'effetto di rimuovere i limiti posti dalla legge all'esercizio di una preesistente situazione di vantaggio, alla quale (in genere contestualmente) si accompagna la previstone, in via generale ed astratta, di limitazioni, che eventualmente l'amministrazione rimuove esercitando il relativo potere; il suo svolgimento, sotto il profilo funzionale, comporta la previa verifica della compatibilità di tale esercizio con un interesse pubblico. L'uso del potere, a fronte del quale il destinatario si presenta come titolare di interessi legittimi pretensivi, produce, dunque, l'effetto giuridico di modificare una situazione soggettiva preesistente, consentendone l'esplicazione (se potere) o l'esercizio (se diritto) in una direzione in precedenza preclusa, ma non di costituire nuovi diritti. L'ordinamento si appoggia" all'iniziativa di un soggetto, limitandosi a condizionarne lo svolgimento con il proprio consenso. Attraverso l'esercizio di questo potere, l'amministrazione esprime il proprio consenso preventivo all'attività progettata dal richiedente. Un importante esempio di provvedimento permissivo è rappresentato dal permesso di costruire, disciplinato dal d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, modificato con d.lgs. 301/2002: necessario al fine di realizzare interventi di trasformazione del territorio, è rilasciato a condizione che siano rispettati gli strumenti di pianificazione urbanistica. Con il procedimento dello sportello unico delle attività produttive, l'ordinamento consente un'autorizzazione plurima per così dire riepilogativa di una serie di atti di consenso richiesti dalla legge; l'autorizzazione integrata ambientale sostituisce, invece, a tutti gli effetti ogni visto, parere o autorizzazione in materia ambientale. Dal ceppo comune delle autorizzazione, la dottrina, e in parte la giurisprudenza, hanno enucleato alcune figure specifiche: è le abilitazioni: sono atti il cui rilascio è subordinato all'accertamento dell'idoneità tecnica di soggetti a svolgere una certa attività (es. superamento di un esame ed iscrizione in un albo). È, pertanto, preferibile ricondurle allo schema norma­fatto­effetto, senza riconoscere la presenza di un potere provvedimentale. Considerazioni analoghe possono essere svolte in merito all'omologazione, rilasciata dall'autorità a seguito dell'accertamento della sussistenza in una cosa, di norma destinata ad essere prodotta in serie, di tutte le caratteristiche fissate dall'ordinamento ai fini di tutela preventiva o per esigenze di uniformità dei modelli; è il nullaosta: atto endoprocedimentale necessario, emanato da un'amministrazione diversa da quella procedente, con cui si dichiara che, in relazione ad un particolare interesse, non sussistono ostacoli all'adozione del provvedimento finale; è la dispensa: è il provvedimento con il quale l'ordinamento, pur vietando o imponendo in generale un certo comportamento, prevede però che l'amministrazione possa consentire in alcuni casi una deroga all'osservanza del relativo divieto o obbligo. Quando la deroga ad un divieto generale avviene in base allo schema norma­fatto­effetto si parla si esenzione; è l'approvazione: è il provvedimento permissivo avente ad oggetto, non già un comportamento, bensì un atto rilasciato a seguito di una valutazione di opportunità e di convenienza dell'atto stesso. E' anche impiegata ia figura dell'approvazione condizionata, che, in 32

realtà, significa annullamento con indicazione dei correttivi necessari per conseguire l'approvazione; è la licenza: figura che oggi la legge tende a sostituire con l'autorizzazione, era definita, secondo parte della dottrina, come il provvedimento che permette lo svolgimento di un'attività previa valutazione della sua corrispondenza ad interessi pubblici, ovvero della sua convenienza in settori non rientranti nella signoria dell'amministrazione ma sui quali essa soprintende ai fini di coordinamento (es. una licenza era quella commerciale; oggi, l'ordinamento paria di autorizzazione). 8.

I poteri concessori

Altri poteri il cui esercizio produce effetti favorevoli per il privato sono quelli concessori, l'esercizio dei quali, che vedono un destinatario titolare di interessi legittimi pretensivi, produce l'effetto di attribuire al destinatario medesimo status e situazioni giuridiche (diritti) che esulavano dalla sua sfera giuridica in quanto precedentemente egli non ne era titolare. A differenza dell'autorizzazione, l'ordinamento non attribuisce originariamente al privato la titolarità di alcuna situazione giuridica, ma conferisce all'amministrazione il potere di costituirla o trasferirla in capo al privato stesso. Quando la concessione riguarda beni o servizi pubblici, accanto al provvedimento con il quale si esercita il potere concessorio amministrativo, si può individuare una convenzione bilaterale di diritto privato (che insieme alla concessione dà luogo alla figura della concessione­contratto), finalizzata a dar assetto ai rapporti patrimoniali tra concessionario e concedente. I due atti sono strettamente legati, nel senso che l'annullamento della concessione travolge il contratto. La concessione è detta traslativa quando il diritto preesiste in capo all'amministrazione (es. concessione di servizi pubblici), sicché esso è trasmesso" al privato, mentre è "costitutiva" nei casi in cui il diritto attribuito è totalmente nuovo nel senso che l'amministrazione non poteva averne la titolarità (es. concessione di cittadinanza ho di una onorificenza). Per quanto riguarda, poi, la concessione di opere pubbliche, la legislazione, sulla scorta dell'influenza comunitaria, mira ad equipararla all'appalto o, comunque, a limitare la discrezionalità delle amministrazioni a rilasciarla sottraendosi alle regole sulla concorrenza; la concessione di servizi pubblici ricorre allorché l'ordinamento intenda garantire alla collettività alcune prestazioni ed attività e consenta all'amministrazione di affidarne lo svolgimento a soggetti privati mediante appunto un provvedimento concessorio. Altri provvedimenti concessori sono le sovvenzioni: attribuiscono ai destinatari in generale, imprenditori, vantaggi economici, ovvero si tratta di contributi che attengono alle attività culturali e sportive, ovvero dersussidi, che rientrano nella beneficenza generale. La legge 241/90 prevede, art. 2, a tutela della trasparenza ed imparzialità, che, nelle forme prescritte dai rispettivi ordinamenti, vengano predeterminati e pubblicati "criteri e modalità cui le amministrazioni devono attenersi", il cui rispetto dovrà emergere dalla motivazione del provvedimento. 9. I poteri ablatori I provvedimento ablatori incidono negativamente sulla sfera giuridica del destinatario, che si presenta come titolare di interessi legittimi oppositivi; l'effetto ablatorio può incidere su diritti reali, personali o su obblighi a rilevanza patrimoniale. Sono provvedimenti ablatori reali: è l'espropriazione: è il provvedimento che ha l'effetto di costituire un diritto di proprietà o altro diritto reale in capo ad un soggetto (detto espropriante; non necessariamente si tratta dell'amministrazione che ha emanato il provvedimento), previa estinzione del diritto in capo ad altro soggetto (espropriato), al fine di consentire la realizzazione di un'opera pubblica o per altri motivi di pubblico interesse e dietro versamento di un indennizzo ai sensi del l’art. 42, comma 3, Cost. La disciplina dell'espropriazione è contenuta nel testo unico di cui al d.p.r. 8 giugno 2001 n. 327 (modificato dal decreto Igs. 302/2002). è Secondo la Corte Costituzionale l'indennizzo, pur non identificandosi con il valore del bene, dovrebbe costituire un "serio ristoro", determinato, ora, secondo i criteri dettati dal l’art. 37 T.U. sulle espropriazioni di pubblica utilità; è l'occupazione temporanea di alcuni beni: in passato, l'ipotesi ricorrente era quella dell'occupazione d'urgenza e riguardava il possesso delle cose destinate all'espropriazione allorché la realizzazione dell'opera per la quale si procedeva ad espropriazione fosse dichiarata indifferibile ed urgente, con l'obbligo di pagare l'indennizzo. Talora, pur in presenza di un'opera già costruita in pendenza del 33

procedimento dell'occupazione temporanea, l'amministrazione non riusciva a concludere nei termini il procedimento espropriativo. La Cassazione affermò che, sempre che si fosse realizzata l'irreversibile trasformazione dell'immobile, si produceva l'acquisto della proprietà in capo all'amministrazione, tenuta a risarcire il danno, onde al privato era preclusa la possibilità di ottenere la restituzione del bene (occupazione acquisitiva). L'indirizzo sembra confermato dal T.U. che disciplina l'istituto "dell'occupazione anticipata". L'occupazione può, inoltre, essere usurpativa, caratterizzata dalla realizzazione dell'opera in mancanza di dichiarazione di pubblica utilità, e temporanea, che può essere disposta quando sia necessario per la corretta esecuzione dei lavori, prevedendo la relativa indennità; è le requisizioni: sono provvedimenti medianti i quali l'amministrazione dispone della proprietà di un privato o, comunque, utilizza un bene di un privato per soddisfare un interesse pubblico. Possono essere requisizioni in proprietà: riguardano solo beni mobili e possono essere disposte, in generale, per ragioni militari, dietro pagamento di una indennità. Hanno effetti irreversibili. Con la requisizione l'amministrazione può, anche, utilizzare un bene di un privato per soddisfare un interesse pubblico (requisizione inuso): ha come presupposto l'urgente necessità, riguarda beni mobili e immobili, comporta, in vista di una esigenza pressante della collettività che non può essere soddisfatta altrimenti, la possibilità di utilizzare il bene (che rimane di proprietà del titolare) per il tempo necessario (le requisizioni durano finché permane la situazione di urgenza che le ha originate), dietro pagamento di una indennità. Ogni qualvolta l'amministrazione ha il potere di disporre della proprietà del privato, agisce mediante decreto motivato; è la confisca: è un provvedimento sanzionatorio che indica la misura conseguente alla commissione di un illecito amministrativo; è il sequestro: provvedimento di natura cautelare che mira a salvaguardare la collettività dai rischi derivanti dalla pericolosità dei bene. è Alcuni provvedimenti ablatori incidono sulla sfera giuridica del privato, privandolo di un diritto o di una facoltà: è gli ordini: e impongono un comportamento al destinatario. Essi si distinguono in: comandi (ordini di fare), divieti (ordini di non fare) generali e particolari; direttive; è la diffida che consiste nel formale avvertimento ad osservare un obbligo previsto dalla legge o in un provvedimento. Esistono, infine, poteri ablatori caratterizzati dal fatto che impongono obblighi a rilevanza patrimoniale ed hanno come effetto la costituzione autoritativa di rapporti obbligatori. 10. I poteri sanzionatori La sanzione è la conseguenza sfavorevole di un illecito, applicata coattivamente dallo Stato o da altro ente pubblico, mentre l'illecito è la violazione di un precetto compiuta da un soggetto; la sanzione costituisce, dunque, la misura retributiva nei confronti del trasgressore. Le sanzioni possono essere penali, civili ed amministrative; queste ultime sono le misure afflittive, non consistenti in una pena criminale o in una sanzione civile, irrogate nell'esercizio di potestà amministrative come conseguenza di un comportamento assunto da un soggetto in violazione di una norma o di un provvedimento. La normativa di riferimento è la l. 689/1981. Le sanzioni possono essere: è ripristinatorie, colpiscono la res e mirano a reintegrare l'interesse pubblico leso; è afflittive, si rivolgono direttamente all'autore dell'illecito e si distinguono in pecuniarie ed interdittive (queste ultime incidono sull'attività del soggetto colpito). Ci sono poi le sanzioni: è disciplinari (es. quelle attinenti il rapporto di lavoro; sono oggetto di contrattazione collettiva); è accessorie (es. privazione o sospensione di facoltà o diritti derivanti dai provvedimenti della pubblica amministrazione). La sanzione presuppone un illecito amministrativo, doloso o colposo, per il quale la I. 689/1981 prevede una riserva di legge. 11. I poteri di ordinanza, i poteri di programmazione, di pianificazione, i poteri di imposizione dei vincoli, i poteri di controllo Nelle situazioni di necessità ed urgenza, la pubblica amministrazione può esercitare il potere 34

di ordinanza, caratterizzato dal fatto che la legge non predetermina in modo compiuto il contenuto della statuizione in cui il potere può concretarsi, oppure consente all'amministrazione di esercitare il potere tipico in situazioni diverse da quelle previste in via ordinaria o seguendo procedure differenti. L'esercizio di detto potere da luogo alla emanazione delle ordinanze di necessità ed urgenza (ordinanze contingibili ed urgenti del sindaco, dell'autorità di pubblica sicurezza) senza rispettare il principio di tipicità dei poteri amministrativi che, in applicazione del principio di legalità, impone la previa individuazione degli elementi essenziali dei poteri a garanzia dei destinatari degli stessi (cap. VII, par. 7). La Corte costituzionale ha fissato dei limiti a questo potere: rispetto delle riserve di legge previste dalla Costituzione, dei principi fissati dall'ordinamento generale, necessità di adeguata motivazione e di efficace pubblicazione, efficacia limitativa nel tempo. Diverse dalle ordinanze sono i provvedimenti d'urgenza, atti tipici è nominati suscettibili di essere emanati sul presupposto dell'urgenza, di contenuto predeterminato dal legislatore (requisizioni in uso). Altri poteri sono quelli di pianificazione e di programmazione; quest'ultima (che comprende anche la pianificazione) indica il complesso di atti medianti i quali l'amministrazione, previa vantazione di una situazione nella sua globalità, individua le misure coordinate per intervenire in un dato settore. Di solito i piani hanno natura normativa e/o di atti a contenuto generale; peraltro, ai procedimenti di programmazione e pianificazione non si applica il capo III della legge 241/90 sul diritto di accesso e sulla partecipazione. La pubblica amministrazione ha il potere di sottoporre a vincoli amministrativi beni immobili che presentino peculiari caratteristiche ambientali, urbanistiche ecc, al fine di conservarli, A seguito di tale vincolo si riducono le facoltà spettanti ai proprietari: si tratta dell'imposizione degli obblighi di fare o di non fare. Nei rapporti dell'amministrazione con i privati, la stessa ha il potere di rilasciare atti a seguito dell'esito positivo di un controllo sull'attività da essi svolta (es. atto autorizzatorio ovvero denuncia di inizio attività del privato). 12. I poteri strumentali e i poteri dichiarativi. Le dichiarazioni sostitutive La pubblica amministrazione può, nell'esercizio di un potere, porre in essere degli atti che non sono provvedimentali (cioè dotati di efficacia sul piano dell'ordinamento generale) bensì strumentali ad altri poteri (pareri, controlli, proposte, accertamenti, detti anche atti dichiarativi, ec). L'efficacia dichiarativa incide su di una situazione giuridica preesistente rafforzandola (preservandola, ad esempio, da fattori esterni quali il decorso del tempo: intimazione di pagamento), specificandone il contenuto (iscrizione in un albo professionale: non crea alcun diritto) o affievolendola, impedendo così la realizzazione della situazione in una certa direzione. Taluni atti dichiarativi hanno, invece, la funzione di attribuire certezza legale ad un dato (fatto, atto, qualità o rapporto), impedendo che i consociati assumano che il dato sia diverso da come è raffigurato nell'atto; questi atti, detti di "certazione" producono, dunque, certezze che valgono erga omnes. La certezza può essere "messa in circolazione" mediante il certificato, documento "tipico (ossia previsto espressamente dalla legge) rilasciato da un'amministrazione avente funzione di ricognizione, riproduzione e partecipazione a terzi di stati, qualità personali, fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche". Diversi dalle certazioni e dai certificati sono gli attestati (es. attestati di benemerenza), atti amministrativi tipici che, a differenza delle prime, non creano la medesima certezza legale e, a differenza dei secondi, non mettono in circolazione una certezza creata con atto di certazione. Ancora differenti sono le attestazioni atipiche (attestati di frequenza a corsi), che sul piano dell'ordinamento generale creano, al più, una presunzione, e gli atti di notorietà, che sono formati, su richiesta di un soggetto, da un pubblico ufficiale (es. notaio, sindaco) in base alle dichiarazioni simultaneamente rese in sua presenza e sotto giuramento di alcuni testimoni. Da questi atti risulta che la notizia di determinati fatti è diventata di pubblico dominio. Negli ultimi anni si è diffuso l'uso della dichiarazione sostitutiva, atto del privato capace di sostituire, nei casi previsti dall'ordinamento, una certificazione pubblica producendone lo stesso effetto giuridico ed avendone la stessa validità temporale (i certificati che attestanti stati e fatti personali non soggetti a modificazioni hanno validità illimitata; gli altri hanno validità di sei mesi dalla data del rilascio). A differenza dei certificato non provengono da un'autorità pubblica, sono destinate a confluire solo in un singolo rapporto tra cittadino e amministrazione (i certificati valgono, in generale, nei rapporti tra cittadini, e a tutti gli effetti), non consistono in una trascrizione del contenuto di un pubblico registro. La mancata accettazione della dichiarazione sostitutiva costituisce violazione dei doveri d'ufficio; la legge 35

attribuisce all'amministrazione il compito di controllare la veridicità delle dichiarazioni sostitutive, il che avviene mediante il raffronto tra il contenuto delle stesse e quello degli atti di certazione. Vi sono due tipi di dichiarazioni sostitutive: la dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 1 T.U. documentazione amministrativa) è il documento sottoscritto dall'interessato (anche non in presenza del funzionario amministrativo addetto) in sostituzione dei certificati (es. data e luogo di nascita, residenza, .cittadinanza ecc). In luogo della dichiarazione, il cittadino può produrre il certificato o la copia autentica. II T.U. prevede, poi, che il cittadino possa rendere al funzionario competente dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà: sono atti con cui il più fatto comprova, nel proprio interesse e a titolo definitivo, tutti gli stati, fatti e qualità personali non compresi in pubblici registri, albi ed elenchi (e quindi non attestabili con l'altra dichiarazione), nonché stati, fatti e qualità personali relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza. La dichiarazione può riguardare anche il fatto che la copia di un atto, di un documento conservato ho rilasciato da un'amministrazione, la copia di una pubblicazione, la copia di un titolo di studio o di servizio sono conformi all'originale. Identità di funzione e di struttura rispetto alle dichiarazioni ora realizzate, presentano le dichiarazioni con cui il cittadino può attestare che le le informazioni contenute in un certificato anagrafico, di stato civile, ­negli estratti e nelle copie integrali non hanno subito variazioni dalla data del rilascio. L'art. 49 del T.U. non consente salvo diverse disposizioni del settore, che i certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti siano sostituiti "da altro documento"; l'art, 73 T.U. specifica poi, che il controllo sulle dichiarazioni sostitutive debba avvenire, anche a campione,e in tutti i casi in cui "sorgano fondati dubbi" sulla loro veridicità. Esso è effettuato secondo due modalità: consultando direttamente gli archivi dell'amministrazione certificante, ovvero richiedendo alla medesima conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei registri. Le dichiarazioni in esame possono esser utilizzare anche tra privati; la pubblica amministrazione è tenuta a fornire, su richiesta del privato, corredata dal consenso del dichiarante, conferma scritta delta corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei dati custoditi. 13. I poteri relativi ad atti amministrativi generali L'amministrazione può porre in essere atti amministrativi generali, in grado, cioè, di produrre effetti nei confronti di una generalità di soggetti (si differenziano dagli atti plurimi, i quali interessano una pluralità di destinatari identificabili a priori). Tali atti (bandi di concorso, chiamata alle armi, autorizzazioni generali conosciute dalla normativa sulla liberalizzazione dei servizi e dalla materia di autorizzazioni rilasciate dal garante per la protezione dei dati personali ecc.) sono ricollegabili allo schema norma­potere­effetto; qualificare un atto come generale comporta notevoli conseguenze in quanto essi (insieme agli atti normativi, quelli di pianificazione e di programmazione) sono sottratti alla disciplina della partecipazione procedimentale, del diritto di accesso e non necessitano di motivazione. 14. Cenni ad alcune tra le più rilevanti vicende giuridiche il cui studio interessa il diritto amministrativo: il decorso del tempo e della rinuncia Tra i fatti che assumono rilievo per il diritto amministrativo vi è il decorso del tempo: esso produce la nascita o la modificazione di una serie di diritti ed è alla base degli istituti della prescrizione e decadenza. Il potere, in quanto attributo della soggettività, non è trasmissibile e non è prescrittibile: esso può non essere esercitato in un singolo caso, in relazione al quale può determinarsi la decadenza, ma ciò non impedisce che lo stesso potere possa essere esercitato in altri casi o in altri rapporti. Il diritto soggettivo è, invece, soggetto a prescrizione ove non esercitato per un certo periodo di tempo (es. si prescrive il diritto di percepire lo stipendio se non esercitato entro 5 anni). Altro atto estintivo è la rinuncia, negozio ad effetto abdicativo; il potere, a differenza del diritto soggettivo, è irrinunciabile. 15. Segue: fatti, atti e negozi costitutivi di obblighi. Rinvio II tema sarà trattato nel cap. VIII 36

16. L'esercizio del potere: norme di azione, discrezionalità e merito Le norme di relazione, come è già stato accennato, sono quelle norme che risolvono i conflitti intersoggettivi sul piano dell'ordinamento generale, conflitto che è sfociato nell'attribuzione di un potere in vista del perseguimento dell'interesse; risolto il conflitto, si tratta di disciplinare le modalità attraverso le quali il potere deve essere esercitato. Le norme chiamate a questo compito sono definite norme di azione. La predeterminazione delle modalità di azione riduce gli spazi di scelta dell'amministrazione: l'azione risulta, cioè, in tutto o in parte vincolata. Qualora, invece, residuino degli spazi di scelta, si avrà azione discrezionale; la discrezionalità amministrativa è, quindi, lo spazio di scelta che residua allorché la normativa di azione non predetermini in modo completo tutti i comportamenti dell'amministrazione. Da questo tipo di discrezionalità, cd. "pura" (che può riguardare il contenuto del provvedimento, il sé ed il quando rilasciarlo, ec), va distinta quella tecnica, che è la possibilità di scelta che spetta all'amministrazione quando sia chiamata a qualificare fatti suscettibili di varia valutazione e si riduce in un'attività di giudizio a contenuto scientifico. La scelta fatta discrezionalmente dall'amministrazione deve essere logica e congrua, tenendo conto dell'interesse pubblico perseguitò, degli interessi secondari coinvolti, della misura del sacrificio ad essi arrecati; l'essenza della discrezionalità risiede nella ponderazione comparativa dei vari interessi secondari in ordine all'interesse pubblico al fine di assumere una determinazione concreta L'insieme delle situazioni ipotizzabili come compatibili con il principio di congruità in un caso determinato definisce il merito amministrativo, normalmente (salvo eccezioni di legge) sottratto al sindacato del giudice amministrativo ed attribuito alla scelta esclusiva dell'amministrazione, la quale tra più scelte dovrà preferire quella più opportuna. 17. Le fonti del diritto (in particolare quelle legislative) attinenti alle situazioni giuridiche Le fonti giuridiche sono i fatti e gli atti produttivi di norme giuridiche; gli aspetti della materia che interessano sono le fonti che pongono norme per il diritto amministrativo o sono atti soggettivamente amministrativi. 18. Cenni ad alcuni riflessi della distinzione tra norme di relazione e norme di azione sui problemi della difformità dell'atto dal paradigma normativo e del riparto di giurisdizione Le norme di relazione proteggono i diritti soggettivi: alla violazione di una norma di relazione consegue la lesione di un diritto soggettivo. Ove l'amministrazione agisca in violazione di una norma di relazione, essa pone in essere un comportamento che non è espressione di un potere (es. un'amministrazione che violi una norma di relazione nella parte in cui individua, quale soggetto titolare del potere, un'altra amministrazione) ed il relativo atto è nullo, cioè non produttivo di effetti. L'atto è impugnabile dinanzi al giudice ordinario, chiamato a conoscere di una situazione nella quale l'amministrazione ha esercitato un potere che non aveva (carenza di potere). L'azione amministrativa è legittimamente svolta quando sia posta in essere nel rispetto delle norme di azione; poiché l'interesse legittimo è la pretesa alla legittimità dell'azione amministrativa, si può concludere che l'interesse legittimo è anche la pretesa all'osservanza delle norme di azione. È il giudice amministrativo a sindacare la violazione delle norme di azione: in questi casi l'atto, espressione del potere, non è nullo in quanto il potere sussiste, ma non è stato esercitato in modo corretto (l'atto è annullabile; produce effetti precari). Il giudice conosce del cattivo esercizio del potere amministrativo, accertato il quale annulla l'atto, annullamento che può avvenire anche in via di autotutela (anche da parte della stessa amministrazione che ha emanato l'atto) o in sede di controllo. 19. Le norme prodotte dalle fonti comunitarie I trattati e le fonti comunitarie disciplinano ambiti rilevanti del diritto amministrativo. Tra le fonti spiccano: è i regolamenti comunitari, atti di portata generale, obbligatori e direttamente applicabili 37 

nei rapporti tra pubblici poteri e cittadini; è le direttive comunitarie, vincolanti per lo Stato membro in ordine al risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi per conseguire quel risultato. Secondo la Corte Costituzionale, il regolamento comunitario deve essere applicato dal giudice interno (compreso quello amministrativo) anche disapplicando la legge nazionale incompatibile (va però notato che, ai sensi del l’art 117 Cosi, le leggi statali e regionali debbono rispettare i "vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario" pena, parrebbe, la loro illegittimità costituzionale; la disapplicazione sembrerebbe, di conseguenza, circoscritta ai casi di contrasto con la normativa comunitaria sopravvenuta); la disapplicazione può operare pure in relazione alle statuizioni contenute nelle sentenze della Corte di Giustizia, direttive comunitarie che contengano norme precise e incondizionate (ed. direttive self executina) ancorché lo Stato non abbia recepito le direttive o le abbia recepite in modo inadeguato. Si è così individuata la categoria delle direttive immediatamente applicabili dalle nostre amministrazioni (l'efficacia di queste direttive si produce solo nei confronti dello Stato, mentre i cittadini non possono farle valere nei rapporti con altri cittadini). Il dovere di disapplicare la normativa italiana confliggente con quella comunitaria è stato riconosciuto in capo anche alla pubblica amministrazione; le fonti ora esaminate, qualora non attribuiscano poteri o diritti, sono norme di azione. 20. Le fonti soggettivamente amministrative: considerazioni generali I regolamenti sono fonti del delitto soggettivamente amministrative, emanati da organi amministrativi (dello Stato, della regione e degli altri enti pubblici) titolari del potere normativo, consistente nella possibilità di emanare norme generali ed astratte. I procedimenti relativi sono sottratti all'applicazione del capo III, I. 241/90, nonché alla disposizione sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi. Trattasi di fonti del diritto secondarie previste dalla legge, che indica l'organo competente ad emanarle e le materie in ordine alle quali esso può esercitarle. Seguendo lo schema norma­potere­effetto, atti amministrativi e atti amministrativi normativi si differenziano per il fatto che questi ultimi sono astratti, nel senso che necessitano di un ulteriore esercizio di potere ai fini della produzione dell'effetto, e sono espressione di un potere diverso da quello amministrativo, nel senso che, ponendo norme di azione, essi non costituiscono esercizio di azione dell'amministrazione, ma ne disciplinano il futuro svolgimento. 21. I regolamenti amministrativi I regolamenti si distinguono sulla base del soggetto e dell'organo che li ha posti in essere. I regolamenti governativi sono quelli in cui il potere regolamentare del governo viene esercitato soltanto nelle materie di legislazione esclusiva dello Stato, salvo delega alle regioni (art. 117, c. 7 Cost.), su deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato (prescritto per legge). Sono emanati con decreto del Presidente della Repubblica, sottoposti a visto e registrazione della Corte dei Conti, pubblicati sulla Gazzetta ufficiale e debbono essere espressamente denominati "regolamenti". La legge 400/1988, art. 17, prevede diversi tipi di regolamenti governativi:  a)  regolamenti esecutivi: pongono delle norme di dettaglio rispetto alla legge o al decreto legislativo da eseguire;  b)  regolamenti attuativi e integrativi rispetto alle leggi che pongono norme di principio, possono essere adottati al di fuori delle materie riservate alla competenza regionale (in caso contrario lo Stato invaderebbe la sfera di competenza della regione);  c)  regolamenti indipendenti: sono emanati per disciplinare le materie in cui ancora manchi la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie riservate alla legge. Sono quindi liberi da condizionamenti legislativi;  d)  regolamenti che disciplinano l'organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge. Possono assumere i tratti di uno dei tre tipi di regolamenti sopra descritti. La I. 400/1988, art. 4­bis, introdotto dalla I. 59/1997, art. 13, stabilisce che l'organizzazione e la disciplina degli uffici dei ministeri sono determinate con regolamento governativo, su proposta del ministro competente, d'intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il ministro del tesoro. Trattasi di regolamenti di delegificazione (termine che indica l'attribuzione al potere 38

regolamentare dei compito di disciplinare materie anche in deroga della disciplina posta dalla legge) o autorizzati, i quali possono essere adottati solo a seguito di una specifica previsione di legge. Sono previsti dal l’art 17, co. 2,1. 400/1988, secondo il quale "con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore dei regolamenti". È previsto il previo parere delle commissioni parlamentari competenti per materia, da rendersi entro trenta giorni dalla data della trasmissione dello schema del regolamento. La legge prevede, poi, i regolamenti ministeriali ed interministeriali (riguardanti materie di competenza di più ministri): essi non possono dettare norme contrarie ai regolamenti governativi, debbono trovare fondamento in una legge che espressamente conferisca il relativo potere al ministro ed essere attinenti alle "materie di competenza del ministro". Vanno comunicati prima della loro emanazione al Presidente del consiglio dei ministri e sono sottoposti al parere obbligatorio del Consiglio di Stato, alla visto della Corte dei Conti ed alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. È titolare della potestà regolamentare anche la regione (art. 117, commi 6, competenza generale, e 7, competenza residuale ovvero esercitata solo in caso di delega dello Stato). La Corte Costituzionale ha dichiarato la scelta della titolarità del potere in esame (in capo alla giunta o al consiglio; non è previsto il parere del Consiglio di Stato) non può che spettare allo statuto regionale. 22. Le altre fonti secondarie: in particolare: statuti e regolamenti degli enti locali. I testi unici e le funzioni normative delle autorità indipendenti L'autonomia normativa è riconosciuta anche agli enti locali con il potere di emanare statuti e regolamenti, potere espressamente riconosciuto dalla legge 142/90 (ora T.U enti locali), secondo un modello nel quale alla legge spetta dettare le linee fondamentali dell'organizzazione dell'ente, il quale può integrare tale disegno. Nel sistema delle fonti i regolamenti degli enti locali rappresentano un atto espressione dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta, che deve unicamente rispettare i principi della Costituzione, senza alcuna ingerenza diretta da parte delle leggi statali e regionali, o regolamenti governativi, negli ambiti non espressamente soggetti a disciplina legislativa. Inoltre, la I. 3/2001, sostituendo l'originario art. 114 Cost., sancisce che comuni, province e città metropolitane sono enti autonomi "con propri statuti...secondo i principi fissati dalla Costituzione". La I. 131/2003 statuisce che la potestà statuaria e regolamentare spetta anche alle unioni di comuni e alle comunità montane e isolane; l'art. 4 della legge appena citata, stabilisce che lo statuto fissa i principi di organizzazione e di funzionamento dell'ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare, nel rispetto di quanto stabilito dal l’art. 117, co. 2, lett. p) Cost. Lo statuto è votato dal consiglio con il voto dei due terzi dei consiglieri assegnati. L'art. 117, a 6, Cost, riconosce agii enti locali il potere regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite; l'art. 4 della I. 131/2003 ribadisce che l'organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto degli statuti, chiarendo che "la disciplina dell'organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei comuni, delle province e delle città metropolitane, inoltre, è riservata alla potestà regolamentare dell'ente locale, nell'ambito della legislazione dello Stato o della regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli artt. 114, 117, 6 com., e 118 Cost.". Poiché l'art. 114 Cost. precisa che gli enti locali hanno propri statuti, senza citare i regolamenti, questi dovrebbero essere qualificati fonti di grado secondario rispetto allo statuto. Tra le materie oggetto di regolamenti, secondo il T.U., ci sono l'accesso ai documenti, l'individuazione dei responsabili dei procedimenti. Alcuni regolamenti, inerenti agli uffici e ai servizi, sono emanati dalla giunta, nel rispetto della legge, statuto e criteri generali dettati dal consiglio. Non sono fonti del diritto le circolari, gli atti che pongono in essere le cd. norme interne e la prassi. Ci sono, infine i testi unici, i quali raccolgono in un unico corpo le norme che disciplinano 39

una certa materia. Essi non hanno carattere innovativo delle preesistenti fonti se, con il solo scopo dì raccogliere in un testo ufficiale le disposizioni vigenti, sono formati da un'autorità che non ha potestà normativa; in caso contrario hanno forza novativa. In questo caso sono vere e proprie fonti di produzione: quando si tratta di testi unici formati dal governo che raccolgono le leggi, occorre una legge di delegificazione dell'esercizio del potere legislativo (ex art 76 Cost. esistono anche testi unici autorizzati, ovvero che hanno a fondamento una legge che genericamente autorizza il governo a formare un testo unico). Ogni anno può essere emanata una legge per la semplificazione e il ricorso a decreto legislativi e a regolamenti governativi di delegificazione per il riassetto normativo e la codificazione. La legge riconosce, infine, potestà normativa ad alcune autorità indipendenti (es. Consob).

40

Capitolo VI IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO 1. Introduzione L'atto amministrativo che, in quanto efficace nell'ordinamento, produce vicende giuridiche in ordine alle situazioni giuridiche di soggetti terzi, è il provvedimento; la sua emanazione è preceduta da atti, fatti, attività, tutti tra di loro connessi in quanto concorrono, nel loro complesso, all'emanazione del provvedimento. Tutti confluiscono nel procedimento amministrativo. La recente normativa configura il procedimento come un modulo in cui far confluire l'esercizio di più poteri provvedimentali, in particolare concessioni e autorizzazioni, tra di loro connessi, pur se distinti, in quanto riferiti ad una medesima attività del privato; è da segnalare, a tal proposito, la disciplina relativa allo sportello unico delle attività produttive. Gli artt. 23 e ss., d. Igs. 112/1998, prevedono che i comuni si dotino di una struttura unica responsabile dei procedimenti attinenti alle attività produttive (realizzazione, ampliamento, riattivazione, localizzazione di impianti produttivi, rilascio di concessioni o autorizzazioni edilizie ecc), la quale deve dar vita allo sportello unico "al fine di consentire a tutti gli interessati l'accesso, anche in via telematica, al proprio archivio informatico contenente i dati concernenti le domande di autorizzazione e il relativo iter procedurale, gli adempimenti necessari per le procedure autorizzatone, nonché tutte le informazioni disponibili a livello regionale, comprese quelle concernenti le attività promozionali, che dovranno essere fornite in modo coordinato". 2. Cenni alle esperienze straniere e alla disciplina comunitaria Molti ordinamenti stranieri hanno adottato, da tempo, una disciplina del procedimento amministrativo. Il procedimento amministrativo comunitario è configurato come modulo garantistico di tutela delle situazioni giuridiche soggettive, all'interno del quale deve essere assicurato il diritto di difesa. 3. L'esperienza italiana: la legge 7 agosto 1990 n. 241 e il suo ambito di

applicazione

La legge 7 agosto 1990 n. 241 reca "norme in materia di procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti amministrativi"; essa pone, secondo l'art. 29, "principi generali dell'ordinamento" e "norme fondamentali". La recente riforma del titolo V della parte II della Costituzione, ampliando notevolmente le materie rientranti nella potestà legislativa regionale (e non includendo il procedimento amministrativo tra quelle devolute alla competenza esclusiva dello Stato) sembra aprire la via al proliferare della disciplina regionale sul procedimento, con un possibile superamento della legge 241/90. La necessità di avere un "livello minimo" di garanzie procedurali applicabili a tutti i procedimenti sembra emergere dal l’art 1, c. 6, lett. b, I. 131/2003: esso dispone che i decreti­ legislativi che il governo dovrà emanare si atterrano, tra gli altri, al rispetto dei principi generali in materia di procedimenti amministrativi. 4. I principi enunciati dalla legge 241/1990 L'art. 1, c. 1,1. 241/90 afferma che l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta dai seguenti criteri: è economicità: l'azione è economica quando il perseguimento degli obiettivi avvenga con il minor impiego possibile di mezzi personali, finanziari e procedimentali. L'aggettivo si traduce anche nell'esigenza del non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria; è efficacia: è il rapporto tra obiettivi prefissati e obiettivi conseguiti ed esprime la necessità che l'amministrazione, oltre al rispetto formale della legge, miri anche al perseguimento, nel miglior modo possibile, delle finalità ad essa affidate; è pubblicità: l'attività amministrativa deve essere diretta a soddisfare interessi pubblici e deve essere trasparente agli occhi del "pubblico" La legge non richiama il concetto di efficienza (rapporto tra i mezzi impiegati e obiettivi perseguiti); numerose altre leggi, però, introducono il canone dell'efficienza. Un ulteriore principio è quello posto dall'art. 2 1. 241/90, ai sensi del quale l'amministrazione deve concludere il procedimento "mediante l'adozione di un provvedimento espresso". 41 

5. Le fasi del procedimento Gli atti e le operazioni che compongono procedimento amministrativo si susseguono in un particolare ordine, di massima stabilito dalla legge. Nel procedimento sono presenti atti che assolvono ad una funzione preparatoria rispetto all'emanazione del provvedimento finale, confluendo nella cd. fase preparatoria. Segue la fase decisoria, in cui viene emanato l'atto o gli atti con efficacia costitutiva, nel senso che da essi sgorga l'effetto finale sul piano dell'ordinamento generale (denominato appunto "efficacia"). II procedimento si chiude, quindi, con gli atti che confluiscono nella fase integrativa dell'efficacia, eventuale, in quanto in alcuni casi la legge non la prevede. Nel procedimento (tra i due estremi della iniziativa e della decisione finale) trovano posto i cd. atti endoprocedimentali, che sono indifferenti per l'ordinamento generale, ma produttivi di effetti rilevanti nell'ambito del procedimento stesso, nel quale, non soltanto generano l'impulso alla progressione del procedimento, ma contribuiscono a condizionare in vario modo la scelta discrezionale finale (si pensi ai pareri, alle osservazioni, alle memorie presentate dai privati), ovvero la produzione dell'effetto sul piano dell'ordinamento. La illegittimità di un atto del procedimento determina, in via derivata, la illegittimità del provvedimento finale. Non è, però, da escludere che l'atto endoprocedimentale possa produrre di per sé effetti esterni e che, se lesivo di situazioni giuridiche soggettive, possa essere impugnato; il fenomeno è spiegabile ricorrendo all'idea della pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche, ovvero lo stesso atto può rilevare sia come atto del procedimento, sia come atto avente effetti esterni, lesivo di posizioni giuridiche di alcuni terzi. 6.

Rapporti tra procedimenti amministrativi

Tra più procedimenti amministrativi possono sussistere molteplici rapporti, tra cui quello della connessione, sulla base del quale l'atto conclusivo di un autonomo procedimento, impugnabile in quanto tale ex se, condiziona l'esercizio del potere che si svolge nel corso di un altro procedimento (connessione funzionale). La connessione più importante è costituita dalla presupposizione: al fine di esercitare legittimamente un potere, occorre la sussistenza di un certo atto che funge da presupposto di un altro procedimento in quanto crea una qualità in un bene, cosa o persona che costituisce l'oggetto anche del successivo provvedere (es. dichiarazione di pubblica utilità rispetto all'emanazione del decreto di esproprio). 7. L'iniziativa del procedimento amministrativo II procedimento amministrativo si apre con l'iniziativa, che può essere ad istanza di parte ovvero d'ufficio (art. 2,1. 241/90). Nel primo caso, il dovere di procedere sorge a seguito (e solo a seguito) dell'atto di impulso proveniente da un soggetto privato, oppure da un soggetto pubblico diverso dall'amministrazione cui è attribuito il potere, o da un organo differente da quello competente a provvedere. Negli ultimi due casi l'istanza consiste in un atto amministrativo, chiamato richiesta o proposta: quest'ultima è l'atto di iniziativa, avente anche contenuto valutativo, con cui si suggerisce l'esplicazione di una certa attività. Può essere non vincolante (non c'è il dovere di procedere) o vincolante: in quest'ultimo caso, a differenza del primo, la proposta. comporta il dovere dell'amministrazione procedente di conformarsi alla proposta, facendo proprìo il contenuto dell'atto proposto. La richiesta è l'atto di iniziativa, consistente in una manifestazione di volontà, mediante il quale un'autorità sollecita ad un altro soggetto pubblico l'emanazione di un determinato atto amministrativo, (es. richiesta di un parere); diversa dalla richiesta è la designazione, la quale consiste nella "indicazione di uno o più nominativi all'autorità competente a provvedere ad una nomina". L'istanza proviene, invece, solo da un cittadino ed è espressione della sua autonomia privata e dei suoi interessi particolari, per attestare i quali talora la legge richiede l'allegazione di atti e documenti. A fronte dell'istanza, l'amministrazione deve procedere qualora rilevi la sussistenza di una posizione qualificata in capo al privato; in caso contrario, l'atto del privato si configura come mera denuncia, mediante la quale si rappresenta una data situazione di fatto all'amministrazione, chiedendo l'adozione di provvedimenti o di misure. Nella ipotesi di istanza erronea o incompleta, prima di rigettarla, l'amministrazione deve procedere alla richiesta della 42 

rettifica (art. 6, c. 1, lett. b I. 241/90, che introduce il principio della sanabilità delle istanze dei privati). L'iniziativa di ufficio è prevista dall'ordinamento nelle ipotesi in cui il tipo di interessi pubblici affidati alla cura di un'amministrazione esiga che questa si attivi automaticamente al ricorrere di alcuni presupposti, indipendentemente dalla sollecitazione proveniente da soggetti esterni. 8. Il dovere di concludere il procedimento II procedimento amministrativo deve essere concluso entro un dato termine: l'art. 2, c. 2, della I. 241/90 stabilisce che tale termine decorre dall'inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda se il procedimento è ad iniziativa di parte. Il primo comma dell'articolo sopra citato, stabilisce che la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento "mediante l'adozione di un provvedimento espresso": di conseguenza, il termine si intende rispettato quando l'amministrazione, entro trenta giorni, ovvero entro il diverso termine fissato in via regolamentare, emani il provvedimento finale. Di fronte all'inutile decorso del tempo senza che l'amministrazione abbia emanato il provvedimento, il cittadino può agire giudizialmente impugnando il cd. silenzio inadempimento, oppure, se trattasi di amministrazioni statali, l'interessato può produrre istanza al dirigente dell'unità responsabile del procedimento, che provvedere nel termine di trenta giorni, ovvero, se il provvedimento è di competenza del dirigente generale, l'istanza è rivolta al ministro, il quale valuta se ricorrono le condizioni per l'esercizio del potere di avocazione previsto dal d.lgs. 29/1993 (oggi, peraltro, eliminato dal d.lgs 165/2001) II ritardo nell'emanazione di un atto amministrativo può integrare un'ipotesi di illecito disciplinare a carico del dipendente, al quale il privato può chiedere il risarcimento dei danni in caso di omissione o ritardo nel compimento di atti o di operazioni cui l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento. A tal fine l'interessato, decorsi sessanta giorni dalla data della presentazione dell'istanza (dunque nelle ipotesi di procedimento ad iniziativa di parte), deve notificare diffida all'amministrazione e all'impiegato, a mezzo di ufficiale giudiziario; decorsi inutilmente trenta giorni dalla diffida, egli può proporre l'azione volta ad ottenere il risarcimento. Il mancato compimento, doloso, di un atto d'ufficio per un pubblico ufficiate o l'incaricato di un pubblico servizio possono integrare un'ipotesi di reato (art 328 c.p.). Va detto, comunque, che in alcune ipotesi è la stessa legge 241/90 che stabilisce un termine superiore ai trenta giorni (art 2, c. 3) per provvedere: l'art. 16 della legge, infatti, dispone che gli organi consultivi rendono pareri obbligatoli entro 45 giorni dal ricevimento della richiesta. 9. Il responsabile del procedimento L'art. 4 della I. 241/90 stabilisce che le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento relativo ad atti di loro competenza, l'unità organizzativa responsabile dell'istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell'adozione del provvedimento finale; adempiuto questo obbligo, ciascuna unità organizzativa individua il responsabile del procedimento, persona fisica che sarà la guida del procedimento, il coordinatore dell'istruttoria, l'organo di impulso e di riferimento sia per i privati che per l'amministrazione procedente e per quelle coinvolte dalla stessa (i compiti sono indicati nell'art. 6,l. 241/90). Ai sensi dell'art. 5,l. 241/90, il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvedere ad assegnare a sé o ad altri addetti dell'unità organizzativa la responsabilità dell'istruttoria e dì ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento, nonché, eventualmente, l'adozione del provvedimento finale. Il secondo comma dell'articolo citato, prevede che, fino a quando non venga effettuata l'assegnazione, è considerato responsabile del procedimento il funzionario preposto alla unità organizzativa determinata a norma dell'art 4. II responsabile può anche richiedere la regolarizzazione delle domande dei privati e della documentazione prodotta; può adottare il provvedimento finale qualora ne abbia la competenza, ovvero trasmettere gli atti all'organo competente. l'individuazione del responsabile del procedimento non comporta l'automatica attrazione in capo al medesimo delle responsabilità civili, penali e amministrative, che ricadranno sul soggetto che ha effettivamente rallentato o bloccato il procedimento. 10. La comunicazione dell'avvio del procedimento 43

L'avvio del procedimento amministrativo deve essere comunicato ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a quelli che per legge debbono intervenire (sono, in linea di massima, enti pubblici), nonché ai soggetti, diversi dai diretti destinatari, che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa loro derivare un pregiudizio (si pensi al proprietario di un fondo vicino a quello il cui proprietario ha richiesto un permesso edilizio, art 7 l. 241/90). La comunicazione dell'avvio è compito del responsabile del procedimento: essa deve essere fatta mediante comunicazione personale (notifica, comunicazione a mezzo di nesso comunale o ufficiale giudiziario, raccomandata con avviso di ricevimento, comunicazione per mezzo della ricevuta rilasciata al momento della presentazione di una domanda); può anche essere effettuata secondo modalità differenti stabilite e giustificate, di volta in volta, dall'amministrazione quando per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa (art. 8, c. 3, I. 241/90). La legge non prevede il termine entro cui la comunicazione deve essere fatta tuttavia, deve ritenersi che tale adempimento vada eseguito senza ritardo e, comunque, entro un termine ragionevole, tenuto conto delle circostanze. La comunicazione deve contenere i seguenti elementi: amministrazione competente, oggetto del procedimento, ufficio e persona responsabile del procedimento, ufficio in cui si può prendere visione degli atti. La comunicazione permette la partecipazione al procedimento. La norma sulla comunicazione del procedimento e, in generale, le disposizioni del capo IV non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché ai procedimenti tributarl (art. 13, I. 241/90); inoltre, l'avvio del procedimento non deve essere comunicato quando sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, ragioni che debbono essere indicate nella motivazione (art. 7, co. 1, l. 241/90). Nei casi di provvedimenti cautelari la pubblica amministrazione può adottarli anche prima della effettuazione della comunicazione dell'avvio del procedimento (art. 7, co. 2,l. 241/90). L'omissione della comunicazione configura un'ipotesi di illegittimità, che può essere fatta valere solo dal soggetto "nel cui interesse la comunicazione è prevista" (art. 8, c. 4,l. 241/90). 11. L'istruttoria procedimentale La fase dell'istruttoria è volta all'accertamento dei fatti e dei presupposti del provvedimento ed alla acquisizione e valutatone degli interessi implicati dall'esercizio del potere. È condotta dal responsabile del procedimento. 11.1 L'oggetto dell'attività istruttoria L'amministrazione non è, in linea di massima, vincolata dalle allegazioni dei fatti contenute nelle istanze e nelle richieste ad essa rivolte. Per identificare i fatti e gli interessi nei confronti dei quali dovrà rivolgere la propria attenzione, ai fini di provvedere legittimamente, l'amministrazione svolge un'attività che deve essere­adeguatamente motivata e realizzata nel rispetto del principio di non aggravamento del procedimento, del criterio della pertinenza all'oggetto del procedimento ed agire secondo i canoni della congruità e logicità. 11.2 Le modalità di acquisizione degli interessi e la conferenza di servizi cd. "istruttoria" Gli interessi che l'amministrazione procedente deve tenere in considerazione, per volontà della legge, in sede di scelta finale, sono interessi affidati, alcune volte, alla cura di amministrazioni pubbliche. Le vie per la loro rappresentazione nel corso del procedimento sono tre: l'amministrazione procedente può richiedere all'amministrazione cui è imputato l'interesse pubblico da acquisire di esprimere la propria determinazione, ovvero l'amministrazione portatrice dell'interesse pubblico secondario può partecipare al procedimento ai sensi dell'art. 9, I. 241/90, che consente di intervenire nel corso del procedimento anche ai soggetti portatori di interessi pubblici. Inoltre, "qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici, coinvolti in un procedimento amministrativo, l'amministrazione procedente indice, di regola, una conferenza di servizi" (art. 14,1. 241/90), la conferenza è indetta dal responsabile del procedimento e consiste in una riunione di persone fisiche in rappresentanza delle rispettive amministrazioni, ciascuna delle quali esprime il punto di vista dell'amministrazione rappresentata che confluisce, poi, in una decisione concordata. 44

Quest'ultima sostituisce l'insieme delle manifestazioni dei vari interessi pubblici coinvolti. Mentre la conferenza di servizi può essere indetta per esaminare interessi pubblici coinvolti, senza ulteriore specificazione, la partecipazione presuppone che gli interessi possano subire un pregiudizio da procedimento. 11.3La partecipazione procedimentale La partecipazione è lo strumento per introdurre interessi pubblici e privati nel procedimento. Possono intervenire i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, quelli che per legge debbono intervenire (sono, in linea di massima, enti pubblici), nonché i soggetti, diversi dai diretti destinatari, che siano individuati o facilmente individuabili qualora dal provvedimento possa loro derivare un pregiudizio (art. 7, I. 241/90); sono legittimati, altresì, ad intervenire i portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento (art. 9, I. 241/90). Differenze tra queste due categorie di soggetti sono rinvenibile nella circostanza che i primi vengono portati a conoscenza del procedimento amministrativo tramite comunicazione, i secondo attraverso vie differenti. Gli statuti degli enti locali possono ampliare la cerchia dei soggetti titolari del potere di partecipazione; la disciplina degli enti locali prevede numerosi strumenti e istituti di partecipazione ulteriori quali consultazioni, petizioni, istanze, proposte, referendum, azioni popolari, ecc. 11.4 L'ambito di applicazione della disciplina sulla partecipazione procedimentale L'art. 13,l. 241/90, stabilisce che le norme sulla partecipazione amministrativa non si applicano ai procedimenti volti alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali (si rivolgono ad una pluralità indistinta di soggetti: bandi di concorso), di pianificazione e di programmazione, nonché ai procedimenti tributari. 11.5 Aspetti strutturali e funzionali della partecipazione La partecipazione al procedimento consiste nel diritto di prendere visione dei relativi atti e nella presentazione di memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha il dovere di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento (art. 10, I. 241/90). Funzione dell'istituto in esame è anche quella collaborativa (il soggetto privato partecipa, soprattutto, per tutelare la propria posizione), poiché l'amministrazione pubblica considera il contributo al fine di ottenere una migliore conoscenza della realtà e della complessa trama degli interessi coinvolti, conoscenza che è strettamente preordinata alla scelta delle modalità di perseguimento dell'interesse pubblico. Anche per i provvedimenti vincolanti la partecipazione potrà essere utile: non sarà utilizzata dall'amministrazione come veicolo di introduzione di interessi (la scelta è già stata fatta dalla legge) bensì come ausilio per individuare fatti e presupposti che debbono comunque essere accertati al fine di provvedere. 11.6 Partecipazione al procedimento, interessi procedimentali e loro tutela

II cittadino ha una serie di facoltà esercitabili nel corso del procedimento: questa situazione può essere riassunta facendo riferimento alla nozione di interessi procedimentali, ovvero interessi strumentali ad altre posizioni soggettive, che attengono a fatti procedimentali e che investono comportamenti della amministrazione e soltanto indirettamente beni della vita. Non può ritenersi privo di conseguenze il comportamento dell'amministrazione lesivo di tali interessi procedimentali; la soluzione potrebbe essere quella di prevedere forme di tutela immediate, ovvero meccanismi procedimentali in grado di assicurare la possibilità di intervenire nel concreto farsi della scelta. 11.7 II diritto di accesso ai documenti amministrativi

I soggetti legittimati a partecipare al procedimento amministrativo hanno diritto a prendere visione degli atti del medesimo (ari 10,1. 241/90). Il diritto di aceesso può essere esercitato anche a procedimento concluso: non è quindi necessariamente preordinato alla conoscenza dei documenti amministrativi strumentali alla partecipazione al procedimento. È, infatti, un istituto 45

che realizza il principio della trasparenza in senso lato. Di conseguenza, si può parlare di accesso endoprocedimentale esercitato all'interno del procedimento, e di accesso esoprocedimentale relativo agli atti di un procedimento concluso. Poiché in entrambi i casi la disciplina è in larga parte identica si tratteranno in maniera unitaria. L'accesso collegato alla partecipazione è un diritto di cui sono titolari i soggetti che abbiano titolo a partecipare al procedimento; negli altri casi, soggetti legittimati sono coloro che siano titolari di un "interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti" (art. 22, L. 241/90). Il d.p.r. 352/1992 (regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi) pare operare una scelta più restrittiva, in quanto richiede la titolarità di un "interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti". L'art. 10 T.U. enti locali stabilisce, disciplinando il diritto di accesso ai documenti degli enti locali, che legittimati all'accesso sono tutti i cittadini, singoli o associati, e prevede l'obbligo per gli enti locali di dettare norme regolamentari per assicurare ai cittadini l'informazione sullo stato degli atti, delle procedure, sull'ordine di esame delle domande, dei progetti ecc. che li riguardino, ovvero, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione. Le amministrazioni nei confronti delle quali si esercita il diritto di accesso sono quelle pubbliche, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi (i quali possono essere anche soggetti privati che in quanto svolgenti attività di rilievo pubblicistico, sono equiparati ai soggetti pubblici: v. art. 23,l. 241/90). II diritto di accesso riguarda il documento amministrativo, considerato come tale "ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa" (art. 22, c. 2,l. 241/90); l'accoglimento della richiesta di accesso a un documento comporta la facoltà di accedere agli altri documenti da esso richiamati e appartenenti al medesimo procedimento, salvo eccezioni di legge o regolamento (art. 5, c. 3, d.p.r. 352/1992). La richiesta di accesso deve essere motivata, indicare gli estremi del provvedimento, ovvero gli elementi che ne permettono la identificazione e far constare l'identità del richiedente. La richiesta può essere: è informale: è fatta mediante richiesta, anche verbale, all'ufficio dell'amministrazione centrale o periferica, competente a formare l'atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente (d.p.r. 352/1992; l'art. 25 I. 241/90 stabilisce che la domanda può essere presentata anche all'ufficio che ha formato o detiene stabilmente il documento richiesto). La richiesta "esaminata immediatamente e senza formalità, è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea"; è formale; avviene con atto scritto e viene prescelta dal richiedente o imposta dall'amministrazione quando non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta in via informale, sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, sull'identità, sui suoi poteri rappresentativi ecc. La richiesta di accesso sulla quale l'amministrazione non si pronuncia s'intende respinta trascorsi inutilmente trenta giorni (25, c. 4, I. 241/90). In caso di accoglimento, il diritto si esercita mediante esame gratuito ed estrazione di copia del documento; l'esame avviene presso l'ufficio indicato nell'atto di accoglimento. L'accesso può anche essere differito, motivandolo, nei casi in cui (e fino a quando) la conoscenza dei documenti non impedisca o gravemente ostacoli lo svolgimento dell'azione amministrativa (art. 24, c. 6, I. 241/90).L'art. 24 prevede, poi, alcune categorie di documenti sottratti all'accesso (es. documenti coperti dal segreto di Stato), a salvaguardia di interessi quali la difesa nazionale, la sicurezza, l'ordine pubblico, politica monetaria e valutarie ecc, garantendo, peraltro, agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici. Al diritto di accesso può contrapporsi quello della tutela alla riservatezza, disciplinato dal D. Lgs. 196/2003 (che ha abrogato la I. 675/1996), il quale, all'art.7 stabilisce che l'interessato ha diritto di ottenere dai soggetti pubblici la conferma del fatto che essi detengano dati personali che lo riguardano, nonché la loro comunicazione in forma intelligibile; ha anche il diritto di sapere l'indicazione della provenienza dei dati personali trattati dall'ente, le finalità e le modalità del trattamento. Ottenute le informazioni richieste, l'interessato ha il diritto, tra gli altri, di ottenere l'aggiornamento, la rettificazione, l'integrazione, la cancellazione dei dati. Unico limite 46

all'esercizio di questo diritto di accesso deriva dal fatto che l'esibizione possa comportare la conoscenza di dati personali di soggetti terzi rispetto al richiedente; tuttavia l'art. 19 del codice della privacy afferma che la comunicazione e la diffusione di dati personali da parte di amministrazioni a soggetti pubblici o privati "sono ammesse unicamente quando sono previste da una norma di legge o di regolamento". Posto che il diritto di accesso comporta la diffusione e la comunicazione dei dati, tale norma (che non impone il consenso dell'interessato) è importante perché ritiene sufficiente, ai fini della comunicazione e della diffusione dei dati, l'esistenza di una legge e di regolamenti, identificabili con la I. 241/90, le leggi eventualmente adottate in materia dalle regioni, i regolamenti attuativi di cui sono dotato i diversi enti pubblici. L'art. 59 del codice citato precisa, infatti, che "i presupposti, le modalità e i limiti per l'esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990 n. 241...anche per ciò che concerne i tipi di dati sensibili e giudiziari e le operazioni di trattamento eseguibili in esecuzione di una richiesta di accesso" e considera di "rilevante interesse pubblico" le attività finalizzate all'applicazione di tale disciplina. La legge 241/90 prevede che la riservatezza di terzi persone, gruppi e imprese, costituisca una delle esigenze in presenza delle quali può essere escluso il diritto di accesso, specificando peraltro che deve essere garantita agli interessati "la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici" (art. 24). Quando i dati trattati sono dati sensibili, cioè "idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale" di un soggetto terzo, il trattamento (comprensivo della comunicazione o diffusione) "è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile" (art. 60). La legge 241/90 consente all'interessato di adire il giudice amministrativo "contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso", nei casi di rifiuto, espresso o tacito, o di differimento, l'azione può essere proposta anche in pendenza di un ricorso. L'art. 25, c. 4,1. 241/90 consente all'interessato, nell'ipotesi del rifiuto espresso o tacito, e di differimento, di chiedere entro 30 giorni, al difensore civico competente il riesame della determinazione; se il difensore ritiene illegittimo il differimento o il diniego lo comunica a chi l'ha disposto e, ove questo non provveda entro 30 giorni dalla comunicazione ad emanare il provvedimento confermativo motivato, l'accesso è consentito. L'esperimento di questa azione non preclude quella dinanzi al giudice amministrativo entro 30 giorni dal ricevimento dell'esito della istanza rivolta al difensore. Nel codice della privacy la tutela dell'accesso è affidata al Garante del trattamento dei dati personali e al giudice ordinario. Presso la presidenza del Consiglio la legge 241 ha istituito una Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi. 11.8 Procedimento, atti dichiarativi e valutazioni Al fine di qualificare un fatto complesso può rendersi necessaria un'attività di valutazione, cioè la formulazione di un giudizio estimatorio, frutto di esercizio di discrezionalità tecnica. Le valutazioni tecniche vengono disciplinate dall'art. 17 della I. 241/90: nel caso in cui esse siano richieste ad enti o organi appositi e questi non provvedano entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta o in quello previsto specificamente dalla legge, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad altri enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari. Questa disciplina non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni proposte alla tutela ambientale, paesaggistico­territoriale della salute dei cittadini. 11.9 Le attività istruttorie dirette all'accertamento dei fatti L'amministrazione si avvale di numerosi strumenti per acquisire la conoscenza della realtà e degli interessi; la possibilità di scegliere in ordine alla natura e all'estensione dei mezzi istruttori incontra il limite posto dal principio del non aggravamento del procedimento. Alcuni atti istruttori sono previsti come obbligatori dalla legge e l'amministrazione può porre in essere ulteriori atti "all'uopo necessari", indipendentemente dall'attribuzione di specifici poteri 47

da parte dell'ordinamento. La possibilità di scelta viene limitata dal principio di non aggravamento del procedimento. Normalmente, le risultanze emergenti dagli atti istruttori sono liberamente valutate dall'amministrazione, ad eccezioni delle certificazioni che creano certezze erga omnes, vincolanti anche le amministrazioni. I fatti semplici sono spesso rappresentati nel procedimento mediante le seguenti attività delle parti: è esibizione di documenti di identità o di riconoscimento in corso di validità; è acquisizione diretta di documenti: l'amministrazione e i gestori di pubblici servizi acquisiscono d'ufficio le relative informazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, dell'amministrazione competente e degli elementi indispensabili per reperire informazioni; è produzioni di certificati, di documenti o di autocertificazioni. Tra i procedimenti volti ad accertare i fatti possono ricordarsi le inchieste amministrative, relative ad un evento straordinario che non può essere conosciuto ricorrendo alla normale attività ispettiva e si conclude con una relazione. L'ispezione è un insieme di atti, di operazioni o di procedimenti mirati ad acquisizioni di scienza che ha ad oggetto il comportamento di persone. 11.10 La fase consultiva Acquisiti gli interessi coinvolti nella scelta finale e verificati i fatti rilevanti, l'amministrazione deve procedere ad una valutazione del materiale istruttorio; in questa fase intervengono, in alcuni casi, appositi uffici ed organi, la cui attività è rivolta a fornire valutazioni e giudizi su varie questioni in vista delle scelte finali adottate dall'amministrazione attiva. Gli atti mediante i quali si esercita questa attività, detta consultiva, aventi un contenuto di giudizio (attinente a valutazioni tecniche o l'apprezzamento degli interessi pubblici), sono i pareri, che si distinguono come segue: è obbligatori, se la loro acquisizione è prescritta dalla legge; è facoltativi, se essi non sono previsti dalla legge e l'amministrazione li richiede di sua iniziativa; è conformi, se si tratta di pareri che lasciano all'amministrazione attività la possibilità di decidere se provvedere o meno. Se essa provvede, però, non può disattenderli; è semivincolanti, trattasi di pareri che possono essere disattesi soltanto mediante l'adozione del provvedimento da parte di un organo diverso da quello che di norma dovrebbe emanarlo, impegnandone la responsabilità amministrativa o politica (il Presidente della Repubblica in sede di ricorso straordinario può disattendere il parere del Consiglio di Stato solo adottando una delibera del Consiglio dei ministri); è vincolanti: sono pareri obbligatori che non possono essere disattesi dall'amministrazione, salvo che essa non li ritenga illegittimi. Il procedimento consultivo, che inizia con la richiesta di parere, è disciplinato dal l’art 16 I. 241/90: il parere obbligatorio deve essere reso entro 45 giorni. Nelle ipotesi di pareri facoltativi, gli organi sono tenuti a dare immediata comunicazione alle amministrazioni richiedenti del termine entro il quale il parere sarà reso. L'amministrazione procedente deve adeguatamente motivare la decisione di disattendere il parere. Qualora il parere non venga reso entro il termine previsto e l'organo adito non abbia rappresentato esigenze istruttorie (in tal caso il termine può essere interrotto per una sola volta e il parere deve essere definitivamente reso entro 15 giorni dalla ricezione degli elementi istruttori), è in facoltà dell'amministrazione richiedente di procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere; questa disciplina non si applica se il parere deve essere reso da amministrazioni preposte alta tutela dell'ambiente, del paesaggio, del territorio e della salute dei cittadini. Organo di consulenza giuridico­amministrativa del governo e delle altre amministrazioni (es. regioni) è il Consiglio di Stato (art. 100 Cost.), al quale le richieste vengono effettuate dagli organi di governo che esercitano le funzioni di indirizzo politico­amministrativo. L'art 17 I. 127/97 individua i casi in cui sono richiesti i pareri in via obbligatoria (emanazione di atti normativi del governo, emanazione di testi unici, decisione dei ricorso straordinari al Presidente delle Repubblica, ecc.) e stabilisce che detti pareri debbano essere resi entro 45 giorni, salvo un termine inferiore previsto dalla legge, dal ricevimento della richiesta decorso il quale l'amministrazione può procedere indipendentemente dal parere. I pareri del Consiglio di Stato sono pubblici e recano l'indicazione del Presidente del collegio e dell'estensore. Il parere è 48

reso in adunanza generale per "gli schemi di atti legislativi o regolamentari devoluti dalla sezione o dal presidente del Consiglio di Stato a causa della loro particolare importanza". 12. La fase decisoria: rinvio Completata l'istruttoria, il procedimento è maturo per addivenire all'emanazione del provvedimento. La fase decisoria che sarà esaminata nel prossimo capitolo. 13. La fase integrativa dell'efficacia. Un provvedimento è efficace quando ha l'attitudine a produrre vicende giuridiche; questa efficacia può essere subordinata al compimento di determinate operazioni o atti, che confluiscono nella fase del procedimento definita come "integrativa dell'efficacia". Incide sulla efficacia del provvedimento il controllo dell'atto: se l'efficacia rimane sospesa in attesa dell'esito del controllo si versa nell'ipotesi di controllo preventivo, ovvero si parla di controllo successivo quando il medesimo è esercitato dopo la produzione degli effetti, fungendo da condizione risolutiva se a seguito di esso viene pronunciato l'annullamento. Gli atti recettizi (es. atti normativi, che per legge devono essere comunicati ai destinatari, quelli che impongono obblighi ai destinatari) sono, poi, quegli atti che diventano efficaci solo nel momento in cui pervengono nella sfera di conoscibilità (mediante pubblicazione o comunicazione) del destinatario, richiedendosi talvolta anche un'accettazione. Misure per rendere conoscibili gli atti sono previste sia in riferimento agli atti recettizi sia per quelli che tali non sono: in questo caso la funzione della conoscibilità è quella di consentire al privato di avere conoscenza legale dell'atto ai fini della sua impugnazione, facendone, dunque, decorrere i termini. Tra le misure idonee a portare atti giuridici nella sfera di conoscibilità del destinatario ci sono: la pubblicazione (nei confronti di una generalità di individui potenziali destinatari dell'atto ma non contemplati dall'atto stesso: es. Gazzetta Ufficiale), pubblicità (anche in questo caso i destinatari sono rappresentati da una collettività indistinta di individui: è caratterizzata dalla predisposizione di documenti quali i pubblici registri), la comunicazione individuale, rivolta ad un destinatario individuato mediante piego raccomandato con avviso di ricevimento e, talora, verbalmente; convocazioni (il destinatario viene invitato a recarsi presso un ufficio per ricevere un documento); notificazioni (effettuata da un agente notificatore); servizio postale. Le comunicazioni, le pubblicazioni, le notificazioni previste dalla legge o dai regolamenti sono curate dal responsabile del procedimento amministrativo; l'art. 3, c. 4, I. 241/90 prevede l'obbligo per l'amministrazione di indicare in ogni atto notificato al destinatario "il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere". Secondo la giurisprudenza la violazione di questa norma comporta una mera irregolarità dell'atto, cui non consegue la sospensione dei termini per impugnare il provvedimento 14. La semplificazione procedimentale L'esigenza di semplificare è sentita anche in materia procedimentale: il compito di attuare la semplificazione, in questa materia, è affidato a decreti legislativi e a fonti regolamentari di delegificazione ex ari 17,­c. 2, I. 400/1988. L'art. 20 I. 59/1997 consente di affermare cha la semplificazione comporta la riduzione delle fasi procedimentali, l'adeguamento alle nuove tecnologie informatiche, la riduzione dei termini nonché l'accorpamento e la regolamentazione uniforme dei procedimenti che attengono alla stessa attività. La legge 127/1997 si occupa di altri aspetti, quali la conferenza dei servizi, la disciplina dei pareri e la documentazione amministrativa. Infine, la legge 241/90 definisce come istituti di semplificazione la conferenza dei servizi, gli accordi tra amministrazioni, l'autocertificazione, la liberalizzazione delle attività private, il silenzio assenso.

49

Capitolo VII LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO: IL PROVVEDIMENTO E GLI ACCORDI AMMINISTRATIVI 1. Gli atti determinativi del contenuto del provvedimento, l'atto complesso, il concerto e l'intesa Il procedimento viene concluso dall'amministrazione con una decisione, che può consistere in un atto complesso qualora sia formata da più manifestazioni di volontà, di pari "dignità", tutte attinenti alla fase decisoria e convergenti verso un unico fine. Simili a questo descritto sono i modelli del concerto e dell'intesa. Il primo è un istituto basato sulla relazione tra organi dello stesso ente: l'autorità concertante elabora uno schema di provvedimento e lo trasmette all'autorità concertata, che si trova in una situazione di parità rispetto alla prima, ad eccezione del fatto che solo l'autorità concertante ha il potere di iniziativa. Il consenso delle autorità concertate condiziona l'emanazione del provvedimento: tale consenso è espresso in un atto che non si fonda quello dell'amministrazione procedente, unica ad adottare l'atto finale. L'intesa, invece, viene raggiunta tra enti differenti (es. Stato e regioni) ai quali tutti si imputa l'effetto. Anche in questa ipotesi, un'amministrazione deve chiedere l'intesa ad altra autorità, il cui consenso condiziona l'atto finale. 2. La conferenza di servizi cd. "decisoria" II responsabile del procedimento può indire una conferenza di servizi decisoria nei casi in cui sia necessario acquisire "intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre amministrazioni pubbliche" e l'amministrazione, avendoli formalmente richiesti, non li ottenga entro 15 giorni dall'inizio del procedimento (art. 14, I. 241/90); il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva favorevole della conferenza "sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare, alla predetta conferenza". La conferenza di servizi (sia quella decisoria che istruttoria, v. cap. VI, par. 11.2) tende ad un accordo tra amministrazioni, il quale, peraltro, non elimina la necessità dell'emanazione del provvedimento. Quella sopra descritta è la conferenza decisoria che può essere definita interna. Altro modello di conferenza è quello esterno: la conferenza, anche su richiesta dell'interessato, può essere convocata dall'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale "quando l'attività del privato sia subordinata ad atti di consenso, comunque denominati, di competenza di più amministrazioni pubbliche". La conferenza, poi, può essere convocata per l'esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti connessi, riguardanti medesime attività o risultati (art. 14, c. 3, I. 241/90; ulteriori ipotesi di competenza sono elencate dall'alt 14, c. 5 e 6,1. 241/90; v. pag. 285). L'art. 14 ter disciplina il procedimento della conferenza di servizi: ­ la conferenza assume le determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti; ­ la convocazione alla prima riunione deve pervenire, anche per via telematica o informatica, almeno 10 giorni prima della relativa data; ­ le amministrazioni stabiliscono il termine per l'adozione della decisione conclusiva, rispettando la regola secondo cui i lavori non possono superare i novanta giorni (nei caso in cui il termine non viene rispettato, l'amministrazione procede ai sensi di quanto disposto in ordine al dissenso; v. infra); ­ ogni amministrazione partecipa ad essa con un unico rappresentante;­ in sede di conferenza possono essere richiesti, per una sola volta ai proponenti dell'istanza, ai progettisti chiarimenti o ulteriore documentazione, che debbono essere forniti entro 30 giorni, altrimenti si passa all'esame del provvedimento. In caso di dissenso espresso da un soggetto convocato alla conferenza, l'amministrazione procedente può comunque assumere la determinazione conclusiva "sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi" (14­quater, I. 241/90). La determinazione è immediatamente esecutiva. Si considera acquisito l'assenso dell'amministrazione il cui rappresentante non abbia espresso la volontà dell'amministrazione rappresentata e non abbia notificato all'amministrazione procedente, entro 30 giorni dalla data di ricezione della determinazione di conclusione del procedimento, il proprio motivato dissenso, ovvero nello stesso termine non abbia impugnato la determinazione medesima. 50 

Quando il dissenso è manifestato da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico­territoriale, del patrimonio storico­artistico o alla tutela della salute, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri se l'amministrazione dissenziente o procedente è statale, ovvero ai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali, nelle altre ipotesi. Gli organi in oggetto deliberano entro 30 giorni. Se il dissenso è espresso da una regione, la determinazione del Consiglio dei ministri è assunta con l'intervento del Presidente della giunta regionale interessata (che non ha però diritto di voto). Nei casi in cui sia prevista la valutazione di impatto ambientale (v.i.a.) e la conferenza di servizi sia già stata indetta, quest'ultima deve attendere il provvedimento di v.i.a.; ove la valutazione di impatto ambientale non intervenga nel termine fissato per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza. 3. Silenzio­inadempimento, silenzio rigetto, silenzio significativo e silenzio devolutivo L'inerzia dell'amministrazione è il silenzio; varie sono le forme di silenzio che il nostro ordinamento conosce. II silenzio­inadempimento è un mero fatto che si realizza allorché l'amministrazione, sulla quale grava il dovere giuridico di agire emanando un atto amministrativo, ometta di provvedere senza che vi sia una particolare attribuzione legislativa di significato a tale inerzia. Dall'art. 2 1. 241/90 dovrebbe ricavarsi la disciplina dell'istituto: trascorso il termine fissato per la conclusione del procedimento, il silenzio può ritenersi formato (l'art. 21­bis I. Tar ha introdotto una specifico ricorso avverso il silenzio). Il silenzio­rigetto sì forma nei casi in cui l'amministrazione, alla quale sia stato indirizzato un ricorso amministrativo, rimanga inerte; la disciplina è posta dal d.p.r. 199/1971, il quale dispone che il ricorso s'intende respinto decorsi 90 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico. Il silenzio­diniego si ha quando il trascorrere del tempo produce un effetto equipollente alla emanazione di un provvedimento di diniego a seguito di istanza del privato titolare di un interesse pretensivo (l'inutile decorso del termine di 60 giorni dalla richiesta di concessione o di autorizzazione in sanatoria comporta il diniego della stessa: art. 13,1.47/1985). Il silenzio­assenso si ha quando il trascorrere del tempo produce un effetto equipollente alla emanazione di un provvedimento favorevole a seguito di istanza del privato titolare di un interesse pretensivo. È disciplinato in generale dall'art. 20, I. 241/90. Tale norma dispone che con regolamento adottato ai sensi del comma 2 del l’art. 17, l. 400/1988, poi emanato con d.p.r. 300/1992, sono determinati i cast in cui la domanda di rilascio di autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, cui sia subordinato lo svolgimento di un'attività privata, si considera accolto qualora non venga comunicato all'interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato dal medesimo regolamento per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento. In tali casi, sussistendo ragioni di pubblico interesse, l'amministrazione competente può annullare l'atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissato dall'amministrazione stessa. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, il dichiarante è punito ai sensi del l’art. 483 c.p., e, comunque, non si forma il silenzio. 4. La denuncia di inizio attività L'art. 19 della I. 241/90 disciplina i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato ad autorizzazione, nullaosta, licenza, abilitazione, permesso o altro atto di consenso comunque denominato il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli stessi: in tali ipotesi l'atto di consenso s'intende sostituito da una denunzia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente accompagnata dall'autocertificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. Sono escluse da tale disciplina le concessioni e le autorizzazioni rilasciate ai sensi della I. 1089/39 (a tutela delle cose di interesse storico e artistico), I. 1497/1939 (a tutela del paesaggio) e del d.l. 312/1985 convertito con modificazioni dalla I. 431/1985 (ed. legge Galasso). La normativa non si applica, altresì, nei casi in cui è necessario esperire prove che comportino valutazioni tecnico­discrezionali. 51

Onere del privato è quello di comunicare l'avvio dell'attività un atto che è un'informativa, cui è subordinato l'esercizio del diritto. L'amministrazione competente non svolge il preventivo potere permissivo, bensì deve "... entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all'interessato entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente l'attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall'amministrazione stessa" (art./19). In caso di dichiarazioni mendaci o di fase attestazioni il dichiarante è punito ai sensi dell'art. 483 c.p. e non è ammessa la conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge o sanatoria previsti dagli arti 19 e 20; le sanzioni previste in caso di svolgimento dell'attività in carenza dell'atto di assenso dell'amministrazione o in difformità di esso si applicano a coloro che diano inizio all'attività in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente. 5. L'atto amministrativo è il provvedimento amministrativo: osservazioni generali L'atto amministrativo è qualsiasi manifestazione di volontà, desiderio, giudizio o conoscenza proveniente da una pubblica amministrazione nell'esercizio della potestà amministrativa. Nell'ambito degli atti amministrativi è di peculiare importanza il provvedimento: è l'atto emanato dall'organo competente, nell'esercizio del potere attribuitogli, al termine del procedimento amministrativo, dotato di effetti sul piano dell'ordinamento generale. Questi effetti non sono prodotti dagli atti amministrativi, o meglio, essi producono degli effetti che, però, a differenza di quelli prodotti dagli atti provvedimentali, non sono suscettibili di incidere sulla sfera giuridica di terzi. Hanno, in linea di massima, funzione strumentale ed accessoria rispetto ai provvedimenti (si pensi ai pareri, proposte, valutazioni ecc). Il provvedimento è composto: da una intestazione, nella quale è indicata l'autorità emanante, da una preambolo, in cui sono enunciate le circostanze di fatto e di diritto nel cui contesto è emanato l'atto; dalla motivazione, la quale indica le ragioni giuridiche e presupposti di fatto del provvedimento (talora non si distingue dal preambolo: v. comunque par. 12); dal dispositivo, il quale rappresenta la parte precettiva del provvedimento e contiene la concreta statuizione posta in essere dall'amministrazione. Il provvedimento è, poi, datato e sottoscritto, indicando anche il luogo della sua emanazione. 6. Provvedimento amministrativo e incisione sulle situazioni soggettive Elemento fondamentale del provvedimento è la "volontà", obbiettiva e spersonalizzata, da questo promanante e frutto di interpretazione (si pensi ad un provvedimento emanato da un sindaco: in esso rileva non già la volontà psicologica della persona fisica, bensì quella "oggettivata" risultante dal procedimento nel suo complesso). Il provvedimento è, anche, un atto di "disposizione" in ordine all'interesse pubblico che l'amministrazione deve perseguire e che si correla con l'incisione di altrui situazioni soggettive. L'autoritarietà è connotazione del potere rivolto alla cura dei pubblici interessi e preordinato alla produzione di effetti giuridici in capo ai terzi. È propria di ogni provvedimento amministrativo con cui tale potere si esercita, indipendentemente dalla natura favorevole o sfavorevole degli effetti: così intesa, essa ricorre pure nelle ipotesi in cui la produzione dell'effetto sia subordinata ad un consenso del destinatario dell'atto. 7. Unilateralità, tipicità e nominatività del potere La possibilità per l'amministrazione di produrre una vicenda giuridica presuppone che il legislatore abbia ritenuto prevalente l'interesse pubblico su quello privato attribuendo il potere all'amministrazione, descrivendo gli elementi in cui esso si articola (soggetto, oggetto, contenuto, interesse pubblico, forma), destinati a trasfondersi nel provvedimento e individuando il tipo di effetto prodotto sulla situazione giuridica del destinatario dell'atto. Il provvedimento amministrativo è tipico quando la legge ha definito il tipo di vicenda giuridica prodotta dall'esercizio del potere. La pubblica amministrazione per conseguire effetti tipici può ricorre soltanto a schemi individuati in generale dalla legge: è questo il cd. principio di nominatività. Questi caratteri sono a garanzia dei privati. 52

8. Gli elementi essenziali del provvedimento e le clausole accessorie Gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo sono:  a)  il soggetto, ovvero l'ente pubblico dotato di personalità giuridica cui è conferito il potere;  b)  il potere amministrativo consiste nella possibilità di produrre una determinata vicenda giuridica: questo è il contenuto dispositivi) del potere. La dottrina distingue tra contenuto necessario (consistente nella vicenda giuridica tipizzata dalla legge), accidentale (sono l'insieme delle disposizioni che la volontà dell'amministrazione può introdurre nell'atto per determinarne in vario modo gli effetti: condizione, termine, modo), contenuto implicito o naturale (disposizioni operanti per volontà della legge, pur se non richiamate nel provvedimento stesso) del provvedimento;  c)  l'oggetto del (potere o del) provvedimento e, cioè, il termine passivo della vicenda che verrà a prodursi in segiuto dell'azione amministrativa. Esso deve essere lecito, possibile, determinato e determinabile. L'oggetto può essere, di volta in volta, il bene, la situazione giuridica o l'attività diretta a subire gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento;  d)  il potere e il corrispondente provvedimento sono caratterizzati dalla preordinazione alla cura dell'interesse pubblico che è risultato vincente nel giudizio di bilanciamento tra valori diversi, risolto dalla norma di relazione (finalità o causa del potere);  e)  la legge attributiva del potere può prevedere che l'atto debba rivestire una certa forma (di solito quella scritta) a pena di nullità. L'art. 3, I. 39/93, stabilisce che gli atti amministrativi vengano di norma predisposti tramite sistemi informativi automatizzati: si tratta del cd. atto amministrativo informatico. L'art. 15, co. 2, i. 59/1997 prescrive che "gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione.. con strumenti informativi o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge". La disciplina del documento informatico è contenuta negli arti 8 e ss. del d.p.r. 445/2000, T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, il quale dispone che il documento informatico, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizioni del presente testo unico; inoltre, il documento informatico, se sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta, mentre se è impiegata la firma elettronica avanzata, e ove la firma sia basata su di un certificato qualificato e generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, il documento informatico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto. 9. Difformità del provvedimento dal paradigma normativo: la nullità e l'illiceità del provvedimento amministrativo Il provvedimento amministrativo è nullo quando è emanato in violazione delle norme attributive del potere. Il regime della nullità è mutuato da quello privatistico: assenza di effetti, insanabilità, rilevabilità d'ufficio e in qualunque tempo, possibilità di conversione dell'atto. Tra le ipotesi configurabili di nullità c'è quella dell'atto emanato da un'autorità diversa da quella avente il potere (incompetenza assoluta o straripamento di potere), provvedimento avente un oggetto impossibile, assunzione di pubblici dipendenti senza l'esperimento di un concorso (giurisprudenza). Nel caso di mancato rispetto di una norma attributiva del potere in concreto, il provvedimento è qualificabile come illecito: in tal caso le norme attributive del potere sono state osservate e ciò basta perché il suo esercizio mantenga quel tanto di autoritatività che gli consente di esplicare effetti giuridici, pur non essendo state rispettate le norme, ulteriori ed aggiuntive, che pongono limiti all'esercizio del potere, a tutela del singolo, e che non sono pertanto riconducibili alle norme di azione (le quali, infatti, disciplinano l'esercizio del potere nell'interesse pubblico, nei confronti del quale l'interesse del privato soccombe; es. decreto di espropriazione conforme all'ordinamento ma emanato dopo la scadenza del termine fissato ai sensi di legge nella 53 

dichiarazione di pubblica utilità). 10. Segue: l'illegittimità del provvedimento amministrativo. L'atto è illegittimo ed è sottoposto al regime dell'annullabilità quando è emanato nel rispetto delle norme attributive del potere, ma in difformità di quelle di azione; produce effetti (in quanto le norme che riconoscono la possibilità di produrre effetti sono state rispettate) sino a quando non vengano attivati gli strumenti per rimuoverli. L'annullabilità dell'atto può essere decisa dalla stessa amministrazione in sede di autotutela, ovvero in sede di controllo o di decisone di ricorsi amministrativi; il giudice ordinario, che incidentalmente sia chiamato a verificare la legittimità di un provvedimento al fine di decidere una controversia attinente la lesione di diritti soggettivi, può disapplicarlo. Il provvedimento illegittimo può essere sanato. L'illegittimità può essere: originaria, ovvero si determina con riferimento alla normativa in vigore al momento della perfezione dell'atto sopravvenuta, si riscontra nelle rare ipotesi in cui una legge retroattiva incida su atti già emanati e, originariamente, conformi al paradigma normativo, ma risultanti oramai in contrasto con la nuova disciplina; derivata: ricorre quando l'annullamento di un atto che costituisce il presupposto di un altro atto; parziale: solo una parte del provvedimento è illegittima e, di conseguenza annullabile, salvo che eliminandola non sia più possibile configurare come tale l'atto amministrativo. 11. I vizi di legittimità del provvedimento amministrativo I vizi della legittimità sono:  a)  l'incompetenza (relativa): è il vizio che consegue alla violazione della norma di azione (leggi, regolamenti, statuti) che definisce la competenza dell'organo. L'incompetenza può aversi per materia, per valore, per territorio; quest'ultima ricorre solo quando un organo eserciti una competenza di un altro organo dello stesso ente che disponga, però, di diversa competenza territoriale, mentre ove si eserciti la competenza spettante ad organo di altro ente territoriale la conseguenza sarà la nullità dell'atto;  b)  la violazione di legge: sussiste quando si violi una qualsiasi altra norma di azione generale ed astratta che non attenga alla competenza (in questo senso il vizio è "residuale"), o al profilo soggettivo. La norma violata è una norma di azione, contenuta in una legge o in un'altra fonte (Costituzione, normativa comunitaria, statuto, ec);  c)  l'ecceso di potere: sussiste quando la facoltà di scelta spettante all'amministrazione non è correttamente esercitata. Classica forma dell'eccesso di potere è lo sviamento, che ricorre quando l'amministrazione persegua un fine differente da quello per il quale il potere le è stato conferito. La giurisprudenza ha elaborato una serie di figure, dette figure sintomatiche, le quali sono, appunto, il sintomo del non corretto esercizio del potere in vista del suo fine; tra queste violazione della prassi, manifesta ingiustizia (sproporzione tra illecito e sanzione), contraddittorietà tra più parti dello stesso atto o tra più atti, disparità di trattamento di situazioni simili, vizi della motivazione (dubbiosa, apodittica, contraddittoria, purché sia presenta altrimenti l'atto è nullo), violazione delle norme interne (sono norme non operanti per l'ordinamento generale, non aventi la natura di norme giuridiche e destinate a disciplinare solo i rapporti interni, sicché la loro violazione non da luogo alla violazione di legge), violazione delle circolari interne (è un atto non avente carattere normativo, mediante la quale l'amministrazione fornisce indicazioni in via generale ed astratta in ordine alle modalità cui dovranno comportasi in futuro i propri dipendenti ed i propri uffici), nonché della prassi amministrativa (è il comportamento costantemente tenuto da un'amministrazione nell'esercizio di un potere). 12. La motivazione di provvedimenti ed atti amministrativi Ai sensi del l’art 3, c. 1, I. 241/90, "ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato"; fanno eccezione gli atti normativi e gli atti a contenuto generale. La motivazione deve indicare "i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell'istruttoria". In particolare, l'amministrazione dovrà motivare se disattende le rappresentazioni dei privati interessati e deve dar conto delle risultanze istruttorie. Da questo punto di vista si giustifica l'esclusione 54

della motivazione per gli atti normativi e quelli amministrativi generali preceduti da istruttoria ai sensi del l’art 13 I. 241/90). Il dovere della motivazione è soddisfatto il provvedimento richiama altro atto che contenga esplicita motivazione e questo sia non disponibile (motivazione per relationem). Il difetto di motivazione configura violazione di legge. 13. I vizi di merito e l'irregolarità del provvedimento L'illegittimità del provvedimento per vizi di merito si verifica nei casi un cui la scelta discrezionale confligge con i criteri non giuridici di opportunità e di convenienza. È l'ordinamento che stabilisce quando l'inopportunità di un provvedimento è sindacabile con gli strumenti del controllo di merito (oramai superato), l'annullamento in via di autotutela, i ricorsi amministrativi (gerarchici e in opposizione) e quelli giurisdizionali (giurisdizione di legittimità). Il vizio di merito determina l'annuIlabilità del provvedimento. L'atto irregolare, pur essendo difforme dal diritto, non è illegittimo, né inefficace (es. mancata indicazione nel provvedimento dell'autorità e del termine per presentare eventuale ricorso). 14. Procedimenti di riesame dell'atto illegittimo:conferma, annullamento, riforma, convalida II procedimento di riesame ha, ad oggetto, l'esame di precedenti provvedimenti o di fatti equipollenti (silenzio significativo) sotto il profilo della validità. Il provvedimento che viene adottato allorché l'amministrazione verifichi l'insussistenza di vizi nell'atto sottoposto a riesame viene definito come atto di conferma o atto confermativo. Altro provvedimento è quello di convalida, provvedimento di riesame a contenuto conservativo posto in essere dall'amministrazione competente ad emanare l'atto viziato o da quella gerarchicamente superiore. L'amministrazione rimuove il vizio che inficia il provvedimento di primo grado e pone in essere una dichiarazione che espressamente riconosce il vizio (es. per incompetenza) ed esprime la volontà di eliminarlo, sempre che tale vizio possa essere rimosso. Diversa dalla convalida è la sanatoria, la quale ricorre quando il vizio dipende dalla mancanza, nel corso del procedimento, di un atto endoprocedimentale la cui adozione spetta ad un soggetto diverso dall'amministrazione competente ad emanare il provvedimento finale. L'atto può essere sanato da un intervento tardivo che dà luogo alla sostanziale inversione dell'ordine procedimentale. L'annullamento d'ufficio (o annullamento in sede di autotutela) è il provvedimento mediante il quale si elimina un atto invalido e vengono rimossi ex tunc, ossia retroattivamente e, dunque, a partire dal momento della emanazione, gli effetti prodotti. La legge 241/90 specifica che al fine di agire legittimamente bisogna dare comunicazione agli interessati dell'avvio del procedimento di autotutela. Si noti che la produzione degli effetti retroattivi dell'annullamento può essere impedita dall'esistenza di situazioni già consolidate non suscettibili di rimozione o la cui rimozione confliggerebbe con il principio di buona fede o di affidamento ingenerato in capo a chi, sul presupposto della legittimità dell'atto, vi abbia dato esecuzione. Il potere di annullamento può essere esercitato senza limiti di tempo, anche se l'eccessivo decorso del tempo, rapportato all'affidamento ingenerato nei terzi, può causare l'illegittimità del relativo atto; il potere spetta, secondo la giurisprudenza indipendentemente da una specifica norma espressa, all'autorità che ha emanato l'atto ovvero a quella gerarchicamente superiore. L'ordinamento prevede il potere di annullamento ministeriale degli atti dei dirigenti per motivi di legittimità e quello del governo, in ogni tempo, degli atti di ogni amministrazione (ad eccezione della regione: C. Cost. n. 229/1989 in quanto sarebbe in contrasto con l'autonomia costituzionale riconosciutagli). Il potere in esame, da scrivere a quelli di alta amministrazione, ha carattere straordinario e può essere esercitato a tutela dell'unità dell'ordinamento. Ove la parte annullata sia stata sostituta da altro contenuto si ha la riforma, avente efficacia ex nunc. Le riforma può essere anche aggiuntiva quando introduce ulteriori contenuti a quello originario. Il ministro può riformare i provvedimenti di competenza dei dirigenti. 15. Conversione, inoppugnabilità, acquiescenza, ratifica, rettifica e provvedimento

rinnovazione del

La conversione è un istituto che riguarda gli atti nulli: in luogo dell'atto nullo è da considerare esistente un differente atto, purché sussistano tutti i requisiti di questo e risulti 55

che l'agente avrebbe voluto il secondo atto ove fosse stato a conoscenza del mancato venire in essere del primo. Esso opera ex tunc. L'inoppugnabilità è la condizione in cui si viene a trovare l'atto quando siano decorsi i termini per impugnarlo. L'acquiescenza è l'accettazione spontanea e volontaria da parte di chi potrebbe impugnarlo, delle conseguenze dell'atto e, quindi, della situazione da esso determinata. L'istituto della ratifica ricorre allorché sussista una legittimazione straordinaria di un organo ad emanare, a titolo provvisorio e in una situazione di urgenza, un provvedimento che rientra nella competenza di un altro organo, il quale, ratificando fa proprio quel provvedimento originariamente legittimo. La rettifica riguarda, secondo la maggioranza della dottrina, atti irregolari e consiste nell'eliminazione dell'errore. La rinnovazione del provvedimento annullato consiste nell'emanazione di un nuovo atto, avente effetti ex nunc, con la ripetizione della procedura a partire dall'atto endoprocedimentale. 16. L'efficacia del provvedimento amministrativo: limiti spaziali e limiti temporali Gli effetti che il provvedimento produce possono incontrare dei limiti territoriali, che di norma corrispondono a quelli della competenza dell'autorità, e temporali, nel senso che, pur sussistendo il principio secondo cui gli atti producono effetti al momento in cui sono venuti in essere, non mancano esempi di atti ad efficacia differita (es. il termine iniziale di efficacia: fissa il momento a partire dal quale produrranno gli effetti dell'atto. Trattasi di un momento certo ma successivo a quello dell'emanazione dell'atto) o ad efficacia retroattiva (si pensi agli atti retroattivi per natura come quello di annullamento). Esistono poi atti ad efficacia istantanea (l'effetto si produce esaurendosi in un dato momento e riguarda una isolata situazione) ed atti ad efficacia durevole o prolungata (è il caso dei piani urbanistici e delle concessioni di servizio) che si proiettano nel tempo e attengono ad una pluralità di comportamenti. 17. I procedimenti di revisione: proroga, revoca e ritiro del provvedimento amministrativo L'efficacia durevole o prolungata può essere condizionata dall'adozione di provvedimenti amministrativi posti in essere a conclusione di procedimenti, detti di revisione, aventi ad oggetto altri provvedimenti, o meglio, la loro efficacia. Tra questi ci sono: la proroga, provvedimento con cui si protrae ad un momento successivo il termine finale dell'efficacia di un provvedimento durevole; la revoca, è il provvedimento che fa venir meno la vigenza degli atti ad efficacia durevole, a conclusione di un procedimento volto a verificare se i risultati cui si è pervenuti attraverso il precedente provvedimento meritino di essere conservati. La revoca ha effetti ex nunc; viene disposta dall'organo che ha emanato l'atto o da quello gerarchicamente sovraordinato. Infine, l'art. 123 Cost. stabilisce che io statuto delle regioni regola, tra l'altro, l'esercizio del referendum su "provvedimenti amministrativi della regione"; l'esito del referendum può consistere nel ritiro del provvedimento con efficacia ex nunc. 18. Esecutività ed esecutorietà del provvedimento amministrativo La esecutività di un provvedimento è l'idoneità del medesimo, legittimo o illegittimo, a produrre automaticamente ed immediatamente i propri effetti allorché l'atto sia divenuto efficace. Nell'ipotesi in cui il provvedimento necessiti di esecuzione, con il termine esecutorietà del provvedimento si indica la possibilità che essa sia compiuta, in quanto espressione di autotutela, direttamente dalla pubblica amministrazione, senza dover ricorrere previamente ad un giudice. La problematica della esecutorietà concerne soltanto i provvedimenti che richiedono un'attività esecutiva alla quale deve prestare la propria collaborazione il privato. Il contenuto di un provvedimento impone al privato un comportamento di fare: ove l'obbligo di fare consti una prestazione fungibile, può essere prevista l'esecuzione d'ufficio, ovvero l'amministrazione esegue direttamente, con propri mezzi ma a spese di terzi, l'attività richiesta es. demolizione di un manufatto). Se la prestazione è infungibile, l'amministrazione può procedere alla coercizione diretta, se ammessa dalla legge e compatibile con i valori costituzionali (es. trattamento sanitario dei malati di mente), ovvero può minacciare sanzioni per ottenere l'esecuzione spontanea. 56

19. Gli accordi amministrativi. Osservazioni generali. La legge 241/90 consente alle amministrazioni pubbliche di concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune (art. 15, I. 241/90); inoltre, l'art. 11 della legge citata dispone che "in accoglimento di osservazioni o proposte presentate a norma del l’art 10, l'amministrazione procedente può concludere senza pregiudizio dei diritti dei terzi e, in ogni caso, nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo".

20. Gli accordi tra amministrazione e privati ex art. 11,l. 7 agosto 1990, n. 241 Gli accordi tra amministrazione e privati possono essere sostitutivi dei provvedimento o integrativi dello stesso (determinativi del suo contenuto discrezionale). L'accordo è strettamente legato al tema della partecipazione: esso può, infatti, essere concluso "in accoglimento di osservazioni e proposte" Le differenza tra questi due modelli sono: l'accordo sostitutivo tiene luogo del provvedimento, l'accordo determinativo del contenuto non elimina la necessità del provvedimento, nel quale confluisce, sicché il procedimento si conclude pur sempre con un classico provvedimento unilaterale produttivo di effetti, onde l'accordo ha solo effetti interinali (fa sorgere un vincolo tra i soggetti, in particolare l'amministrazione, la quale è tenuta ad emanare un provvedimento del tenore dell'accordo); inoltre, il primo tipo di accordo è ammesso solo nei casi previsti dalla legge, l'altro può essere sempre concluso; solo gli accordi sostitutivi sono soggetti ai medesimi controlli previsti per i provvedimenti, mentre nel caso di accordi determinativi del contenuto discrezionale del provvedimento, il controllo, ove previsto, avrà ad oggetto il provvedimento finale. Gli accordi, diretti in ogni caso a perseguire l'interesse pubblico, debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto, salvo che la legge disponga diversamente. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione sono riservate alla giurisdizione esclusiva; l'amministrazione può recedere unilateralmente dall'accordo "per sopravvenuti motivi di pubblico interesse", corrispondendo un indennizzo al privato in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi a danno dello stesso. Agli accordi si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia obbligazioni e contratti in quanto compatibili. 21. I contratti di programma e gli accordi tra amministrazioni I contratti di programma indicano gli atti mediante i quali soggetti pubblici e privati raggiungono intese mirate al conseguimento di obiettivi comuni, li termine indica, anche, il disciplinare relativo ad alcuni servizi. Tra amministrazioni gli accordi sono impiegati come strumenti per concordare lo svolgimento di attività in comune. Sono tali gli accordi disciplinati dall'art. 15,1. 241/90 (v. par. 19); sì osservano, in quanto applicabili, le norme del l’art 11, commi 2, 3, 5, I. 241/90 (esclusa la prescrizione sul recesso). 22. In particolare: gli accordi di programma Particolari accordi tra amministrazioni, destinati ad essere approvati da un provvedimento amministrativo formale, sono gli accordi di programma. Un importante esempio è contenuto nel l’art 34 T.U. enti locali, il quale recita: "per la definizione e l'attuazione di opere, di intervento o di programmi di interventi che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'adozione integrata e coordinata di comuni, province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici o comunque di due o più tra i soggetti predetti, il presidente della regione o il presidente della provincia o il sindaco, in relazione alla competenza primaria o prevalente sull'opera o sugli interventi o sui programmi di intervento, promuove la conclusione di un accordo di programma, anche su richiesta di uno o più dei soggetti interessati, per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinare i tempi, le modalità, il finanziamento ed ogni altro connesso adempimento". Rispetto alla norma base costituita dall'art. 15 l. 241/90, gli accordi di programma di cui al T.U. enti locali si caratterizzano per la specificità dell'oggetto, il carattere fortemente discrezionale 57 

che li permea, per il loro contenuto di regolamentazione dell'esercizio dei poteri delle amministrazioni interessate, nonché per un notevole grado di dettaglio della discipline cui sono assoggettati.

58

Capitolo VIII OBBIGAZIONI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DIRITTO C O M U N E 1. Il regime giuridico delle "obbligazioni pubbliche" tra diritto comune e deviazioni pubblicistiche Con riferimento alle obbligazioni a carica della pubblica amministrazione si parla, in dottrina, di obbligazioni pubbliche (accezione ambigua, atteso che le obbligazioni, comunque sorte, sono sottoposte alla disciplina privatistica). Contratto, fatto illecito ed altri fatti o atti di cui al l’art 1173 c.c. sono fonti di obbligazioni anche per la pubblica amministrazione. 2. I contratti della pubblica amministrazione Gli enti pubblici godono della capacità giuridica di diritto privato e, quindi, possono utilizzare gli strumenti di diritto comune per svolgere la propria azione e conseguire i propri fini. Tra questi strumenti c'è il contratto disciplinato dal diritto privato ma, altresì, dalle regole del diritto amministrativo. L'interesse pubblico rileva con una serie di importanti conseguenze sul piano del procedimento: l'espressione "evidenza pubblica" utilizzata per descrivere il procedimento amministrativo che accompagna la conclusione dei contratti della pubblica amministrazione, indica, appunto, il fatto che questa fase deve svolgersi in modo da esternare l'iter seguito dall'amministrazione, anche al fine di consentirne il sindacato. Norma fondamentale in materia di contratti è la legge di contabilità dello Stato (r.d. 2440/1923) e dal relativo regolamento, dalla legge di unificazione in materia di lavori pubblici (l. 224/1865 ali. F, in gran parte abrogata dal d.p.r. 554/1999). 2.1. Le principali scansioni del procedimento ad evidenza pubblica: la deliberazione di contrattare e il progetto di contratto Il procedimento ad evidenza pubblica si apre con la determinazione di contrattare (o determinazione a contrattare), ovvero con la predisposizione di un progetto di contratto; tali atti predeterminano il contenuto del contratto, la spesa prevista ed individuano la modalità di scelta del contraente. I capitolati generali del contratto definiscono "le condizioni che possono applicarsi indistintamente ad un determinato genere di lavoro, appalto o contratto e le forme da seguirsi per le gare"; non hanno carattere normativo (secondo la giurisprudenza), quindi l'efficacia risiede nell'adesione data loro dalle parti (e, cioè, dal richiamo del contratto al capitolato). Natura regolamentare ha, invece, il capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici, approvato con d.m. lavori pubblici 19 aprile 2000 n. 145. Anche i capitolati speciali non hanno carattere normativo; essi riguardano le "condizioni che si riferiscono più particolarmente all'oggetto proprio del contratto" e, quindi, pongono parte della regolamentazione contrattuale, Una funzione consultiva alla stesura dei capitolati e delle questioni relative alla progettazione e all'esecuzione delle opere pubbliche è svolta dall'avvocatura dello Stato e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (non è più richiesto il controllo sul progetto del contratto da parte della Corte dei Conti) 2.2. La scelta del contraente e l'aggiudicazione La scelta del contraente può avvenire attraverso l'asta pubblica, la licitazione privata, la trattativa privata e l'appalto concorso. L'asta è obbligatoria per i contratti dai quali derivino delle entrate per lo Stato (contratti attivi), salvo che per circostanze particolari non sia opportuno far ricorso alla licitazione; i contratti passivi (attraverso i quali l'amministrazione si procura delle spese) sono preceduti da gara mediante pubblico incanto o licitazione privata, a giudizio discrezionale dell'amministrazione. La trattativa privata è utilizzabile solo in casi eccezionali. L'asta pubblica è il pubblico incanto aperto a tutti gli interessati che posseggono i requisiti fissati nel bando, mentre la licitazione privata è la gara caratterizzata dal fatto che ad essa sono invitate a partecipare soltanto le ditte che, in base ad una valutazione preliminare, sono ritenute idonee a concludere il contratto. II procedimento di gara si articola nelle fasi della pubblicazione del bando di gara e della presentazione delle offerte (cui segue la valutazione delle offerte, la scelta della migliore e l'aggiudicazione) ove si tratti di asta, mentre la licitazione si svolge di norma con le seguenti 59 

scansioni: avviso o bando (ivi vengono indicati i requisiti di qualificazione), richiesta di invito da parte degli interessati, invito a partecipare rivolto dalla stazione appaltante agli interessati, valutazione delle offerte, scelta della migliore, aggiudicazione (atto amministrativo con cui viene accertato e proclamato il vincitore da parte del soggetto che presiede l'asta o la licitazione). I processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono, per ogni legale effetto, al contratto. 2.3 Appalto­concorso, trattativa privata e servizi in economia Nei casi tassativamente indicati dalla legge, l'amministrazione può impiegare l'appalto­ concorso: l'ente richiede ai privati di presentare progetti tecnici e le condizioni alle quali essi siano disposti ad eseguirli (importo, modalità di esecuzione). Una commissione procede alla valutazione tecnica delle offerte cui segue la contrattazione con il concorrente prescelto, nel corso della quale possono concordarsi aggiunte e miglioramenti rispetto all'ipotesi originaria. A differenza di quanto accade nell'asta pubblica e nella licitazione privata, ove l'offerta avviene sulla base di un progetto già predefinito, cui l'offerta contiene il progetto particolareggiato. La partecipazione al concorso può essere aperta o ristretta sulla base di inviti. Il vincolo sorge solo con la stipula del contratto. In altri casi, tassativamente indicati, può essere impiegata la trattativa privata (in caso di gara andata deserta, nelle ipotesi di urgenza o quando sul mercato vi sia un unico soggetto in grado di stipulare il contratto): dopo aver interpellato, se ciò sia ritenuto conveniente, più persone o ditte, si tratta con una di esse. A differenza del pubblico incanto e della licitazione privata, la trattativa non si chiude con un formale processo di aggiudicazione, in quanto il vincolo sorge solo con la stipula del contratto. 2.4. Stipulazione, approvazione, controllo ed esecuzione del contratto Il contratto della pubblica amministrazione deve essere concluso per iscritto, anche se non attiene a beni immobili. La stipulazione non è necessaria nell'ipotesi in cui vi sia stata l'aggiudicazione che tiene luogo del contratto: essa può seguire ai fini riproduttivi ed è, comunque, obbligatoria, oltre che nelle ipotesi di trattativa privata, quando siano necessarie ulteriori precisazioni, ovvero quando sia stata prevista nell'avviso di gara o dalla legge. L'esecuzione del contratto può essere subordinata ad approvazione da parte dell'autorità competente (che non può essere la parte che ha stipulato il contratto); il rifiuto di approvazione può esserci (ipotesi giurisprudenziali) quando ricorrono dei vizi di legittimità della procedura o l'inesistenza della copertura finanziaria, gravi motivi di interesse pubblico, eccessiva onerosità del prezzo ecc. I decreti di approvazione dei contratti dello Stato sono sottoposti a contrailo preventivo della Corte dei conti, fase che impedisce, fino alla sua conclusione, la esecuzione del contratto. Questo controllo si differenzia rispetto a quello posto in essere in occasione dell'approvazione del contratto in quanto è svolto da un organo esterno (e non già interno) all'amministrazione procedente. Il contratto è efficace dopo la conclusione ed il perfezionamento degli eventuali procedimenti di approvazione e controllo. 2.5. Vizi del procedimento amministrativo e riflessi sulla validità del contratto Quando si annullano atti amministrativi relativi alla procedura appena descritta (in via giurisdizionale o di autotutela), l'effetto dell'annullamento si riflette sulla validità del contratto: la sezione IV del Consiglio di Stato, con ord. 3355/2004, occupandosi di un contratto stipulato a seguito di un'aggiudicazione illegittima, ha ritenuto il contratto nullo per violazione delle norme imperative, osservando come l'aggiudicazione abbia la duplice natura di atto amministrativo conclusivo della procedura ad evidenza pubblica e di accettazione della proposta, con la conseguenza che la sua demolizione priva il contenuto dell'elemento essenziale dell'accordo. In materia di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, il decreto ( d. Igs. 190/2002) che la disciplina sancisce che la sospensione o l'annullamento giurisdizionale dell'aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto stipulato. 2.6. Cenni alla normativa sui lavori pubblici: appalti e concessioni I lavori pubblici sono "le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e manutenzione di opere e impianti, anche di l'esilio e di difesa ambientale e di 60

ingegneria naturalistica" (art. 2, co. 1, I. 109/1994). Questi lavori possono essere realizzati esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione dei lavori pubblici, fatto salvo il caso dei lavori in economia ammessi sino all'importo di 200.000 ecu. Il contratto di appalto è disciplinato dalla I. 2248/1865, ali. F, la quale, accanto a poteri analoghi a quelli esercitabili nel rapporto scaturente dall'ordinario contratto di appalto, riconosce alla parte pubblica una serie di poteri peculiari, tra cui il diritto di rescindere il contratto, quando l'appaltatore si renda colpevole di frode o di grave negligenza e contravvenga agli obblighi e alle condizioni stipulate (art. 340), e di risolverlo in qualunque tempo. La materia in esame è soggetta anche alla normativa comunitaria, che si applica ai contratti di importo superiore ad una determinata soglia(la direttiva 93/37/CEE, modificata dalla numero 78/200/Ce La concessione, infine è utilizzabile solo quando il contratto abbia ad oggetto, oltre che l'esecuzione, anche la gestione dell'opera. 1.7.

Cenni agli appalti di forniture, agli appalti di servizi e agli appalti nei cd. settori esclusi

La normativa comunitaria è intervenuta a disciplinare anche altre fattispecie contrattuali che superino determinate soglie di valore. Tra queste l'appalto di forniture, regolamentato dalla direttiva Cee 93/36, dal d. Igs. 358/1992, come modificato dal d. Igs. 402/1998: trattasi di contratti a titolo oneroso aventi per oggetto l'acquisto, la locazione finanziaria, la locazione, l'acquisto a riscatto con o senza opzioni per l'acquisto, conclusi per iscritto tra un fornitore e una delle amministrazioni o enti aggiudicatori" (art. 2, d. Igs. 358/1992). Altra fattispecie gli appalti di servizi (v. direttiva 92/50/CEE, direttiva 97/52/ Ce e d. Igs. 157/95 modificato dal d. Igs. 65/2000), contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un'amministrazione aggiudicatrice, aventi ad oggetto le prestazioni di servizi indicati in due appositi allegati. La normativa comunitaria disciplina anche appalti relativi ai settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni (cd. settori esclusi), mercati "naturalmente chiusi" in quanto le autorità nazionali concedono diritti speciali od esclusivi solo ad alcuni soggetti operanti in questi ambiti. 3. Gestione d'affari, arricchimento senza causa e pagamento di indebito Fattispecie che possono costituire fonti di obbligazioni a carico dell'amministrazione sono: la gestione di affari: disciplinata dagli art. 2028­2032 c.c, l'istituto può applicarsi all'amministrazione quando un terzo gestisca affari di spettanza del soggetto pubblico e l'utilità della gestione sia accertata con un atto di riconoscimento da parte dell'amministrazione (presupposto, quest'ultimo, indicato dalla giurisprudenza); arricchimento senza causa ex art. artt. 2041­2042 c.c: i casi che interessano sono quelli in cui il soggetto arricchito è l'amministrazione; pagamento di indebito (indebito oggettivo): articolo 2033 c.c. 4. La responsabilità civile dell'amministrazione e dei suoi agenti: l'art. 28 Cost. e la responsabilità extracontrattuale L'art. 28 Cost. dispone che "i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti"; "in tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici". Per l'estensione della responsabilità (intesa come solidale) è necessario che tra la pubblica amministrazione e l'agente intercorra un rapporto di servizio. Il richiamo alle leggi civili, lacunosamente contenuto nell'articolo in esame con l'indicazione del solo requisito della "lesione di diritti", può essere integrato facendo riferimento, per quanto riguarda gli altri requisiti, all'art. 2043 c.c, che prevede la condotta (comportamento attivo o passivo imputabile all'agente), il danno, ossia un pregiudizio economico o comunque valutabile in termine economici la dolosità o colposità della condotta, il nesso di causalità tra condotta e danno. 5. La disciplina posta dal legislatore ordinario: il tu. degli impiegati civili dello Stato (d.p.r. 3/1957) II d.p.r. 3/1957 sancisce, all'art. 22, la. personale responsabilità dell'impiegato "che cagioni ad altri un danno ingiusto", definendo ingiusto il danno "derivante da ogni violazione dei diritti dei 61

terzi commessa con dolo o colpa grave". Appare chiaro che questa disciplina, discostandosi da quella comune, è rivolta ad alleggerire la responsabilità civile dei funzionari e dei dipendenti pubblici sostituendo il requisito della colpa di cui all'art. 2043 c.c con quello della colpa grave, di assai più difficile prova da parte del danneggiato. Chiamata a pronunciarsi sulla questione, la Corte Costituzionale, n. 2/1968, ha statuito che detta norma è costituzionalmente legittima in quanto non nega totalmente la responsabilità del funzionario ne esclude quella dello Stato (o comunque dell'ente pubblico), con ciò ammettendo che qualsiasi legge, anche amministrativa, può disporre una disciplina diversa da quella delle "leggi civili" più favorevole all'impiegato e all'ente da cui egli dipende, purché non l'annulli in toto. 6.I riflessi di tale disciplina su dottrina e giurisprudenza: la responsabilità diretta della pubblica amministrazione e la responsabilità dei suoi funzionari e dipendenti Nel contesto venutosi a creare dopo la sentenza sopra descritta, fu rafforzata la tesi della responsabilità diretta o per il fatto proprio della pubblica amministrazione, da ricondursi ad una fattispecie di illecito diversa da quella dell'art. 28 Cost sulla responsabilità della persona fisica agente. Tale fattispecie viene individuata in quella prevista dal l’art. 2043 c.c. che prevede la responsabilità per colpa dell'uomo medio. Questo orientamento è stato abbandonato con la sentenza n. 500/1999 delle sezioni unite della Corte di Cassazione, ove è affermato che il giudice dovrà effettuare una indagine estesa alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della pubblica amministrazione intesa come apparato, che sarà configurabile "nel caso in cui l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono limiti esterni alla discrezionalità". Di conseguenza, quando la colpa deriva da un'attività materiale dell'ente pubblico è sufficiente la colpa dell'uomo medio (per i dipendenti è invece richiesta la colpa grave) e quando il danno deriva dall'emanazione di un atto amministrativo è richiesta la colpa "dell'apparato". 7. I recenti indirizzi ampliativi della responsabilità della pubblica particolare: la responsabilità precontrattuale

amministrazione. In

Tra le norme del codice civile che la giurisprudenza ha applicato alla pubblica amministrazione in materia di responsabilità, ci sono quelle della responsabilità precontrattuale per violazione degli artt. 1337 (buona fede nelle trattative e nella formazione del contratto) e 1338 (dovere di comunicare all'altra parte cause di invalidità del contratto) c.c. 8. Il problema del risarcimento degli interessi legittimi La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 500/1999, ha riconosciuto la risarcibilità, sempre negata, degli interessi legittimi, risarcibili quando "l'attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione di un bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega e che risulti meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento". La Corte precisa che il diritto al risarcimento del danno è "distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo o di interesse comunque rilevante per l'ordinamento" onde la relativa questione si presenta come questione di merito, perché la situazione soggettiva lesa non deve essere valutata ai fini della giurisdizione. L'art. 35, co. 5, d. Igs. 80/98, come modificato dalla I. 205/2000, consente al giudice amministrativo, nell'ambito della sua giurisdizione, di "conoscere anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali" (questioni che prima di detta legge rientravano nella competenza del giudice ordinario); questa norma ha creato la questione se con l'espressione "diritti patrimoniali consequenziali" il giudice amministrativo (al di fuori di quello esclusivo) conosca di questi diritti soltanto se risultano essere consequenziali all'annullamento dell'atto o ogni volta che le questioni attinenti al risarcimento dei danni siano connessi all'emanazione di atti amministrativi, a prescindere dall'annullabilità di questi ultimi (così si è espresso il Consiglio di Stato con ord. 10180/2004). 62

Infine, la Corte di Giustizia delle Comunità europee ammette la responsabilità dello Stato per danni causati al singolo da violazione del diritto comunitario. 9. La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione nasce dalla violazione di un rapporto obbligatorio già vincolante tra le parti, sorto in virtù di un contratto, ex lege, per atto unilaterale o da un precedente fatto illecito (obbligazione di risarcimento). L'inadempimento dell'obbligazione assunta con il rapporto fa sorgere la responsabilità, ex art. 1218 c.c, in capo alla sola amministrazione (non verso il dipendente, il cui dovere d'ufficio sussiste solo verso la pubblica amministrazione e la cui violazione sarà semmai, fonte di responsabilità amministrativa nei confronti dell'ente), unica obbligata. Si discute se la responsabilità dell'amministrazione per l'emanazione (o mancata emanazione) un provvedimento amministrativo sia fonte di responsabilità precontrattuale, contrattuale ed extracontrattuale, quella cioè che ha come fonte un fatto illecito, costituito dalla violazione del generale obbligo del neminem laedere (visto nei paragrafi precedenti). La Cassazione nella sent. n. 500/1999 parla di responsabilità extracontrattuale, che in genere si riferisce a tutte le situazioni in cui non preesiste un particolare rapporto tra danneggiato e danneggiante, mentre altri voci sembrano propendere per la responsabilità da contatto amministrativo qualificato, collegato alla violazione di obblighi cd. di protezione esistenti in capo all'amministrazione. La sussistenza di un contatto (in primo luogo in forza del procedimento) tra amministrazione e privato comporta, secondo questa tesi, il sorgere di alcuni obblighi "senza prestazione" in capo all'amministrazione, la cui violazione determina una responsabilità per alcuni versi assoggettata al regime di cui all'art. 1218 c.c. (onere della prova relativo all'elemento psicologico). 10. La responsabilità amministrativa e la responsabilità contabile La responsabilità amministrativa è la responsabilità in cui può incorrere la persona fisica avente un rapporto di servizio con un ente pubblico, la quale, in violazione dei doveri da tale rapporto derivanti, abbia cagionato un danno alla sua (e/o anche ad altra) pubblica amministrazione. L'art. 82 r.d. 2240/1923 (recante disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) sancisce la responsabilità dell'impiegato, il quale è tenuto a risarcire il danno cagionato allo Stato tramite azione od omissione, anche solo colposa (v. però infra), nell'esercizio delle sue funzioni. Se l'impiegato ha agito per un ordine "va esente da responsabilità, salvo la responsabilità del superiore che ha impartito l'ordine", mentre è responsabile se ha agito per delega. L'art. 83, r.d. cit, assoggetta a sua volta i dipendenti di cui sopra alla giurisdizione della Corte dei conti, li rapporto di servizio è alla base di questa responsabilità, che sorge dalla violazione dei doveri od obblighi di servizio. La legge 639/1996, modificando l'art. 1,1. 20/1994, stabilisce che la responsabilità in materia di contabilità pubblica è limitata ai fatti o alle omissioni commesse con dolo o colpa grave. Chiaramente dalla suddetta violazione deve derivare un danno all'amministrazione. La I. 20/1994 rubricata "Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti", con le successive modifiche apportate dalla I. 639/1996, introduce una disciplina della responsabilità amministrativa uniforme per tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti (antecedentemente i dipendenti dello Stato avevano un trattamento diverso da quello dei dipendenti degli enti locali). Le novità introdotte sono le seguenti: carattere personale della responsabilità e trasmissibilità del debito agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi; la responsabilità è imputata solo a coloro che hanno espresso voto favorevole nelle deliberazioni degli organi collegiali; limitazione della responsabilità ai fatti ed alle azioni od omissioni dolose o commesse con colpa grave; se il fatto dannoso è cagionato da più parti, la condanna a ciascuno per la parte che vi ha preso, valutate le singole responsabilità: i (soli) concernenti che abbiano agito con dolo o abbiano conseguito un illecito arricchimento sono responsabili in solido; la Corte dei conti giudica sulla responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza; l'azione di risarcimento del danno si prescrive decorsi cinque anni dal fatto dannoso o, in caso di occultamento, dal giorno della sua scoperta, il giudice contabile esamina anche la responsabilità contabile degli "agenti", cioè di coloro che maneggiano denaro e 63

valori pubblici e che sono tenuti al rendiconto, cioè all'obbligo di documentare i risultati della gestione effettuata e, quindi, di rendere conto dei beni e dei valori di cui abbiano disposto, dimostrando le diverse operazioni svolte nel corso della gestione.

11. Obbligazioni e servizi pubblici Una tradizionale attività che svolge l'amministrazione è quella diretta ad erogare prestazioni di servizi ai cittadini. Per servizio pubblico si intende la complessa relazione che si instaura tra soggetto pubblico, che organizza una offerta pubblica di prestazioni, rendendola doverosa, ed utenti; tale relazione ha ad oggetto le prestazioni di cui l'amministrazione garantisce, direttamente o indirettamente, l'erogazione, al fine di soddisfare in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento. Il servizio pubblico è assunto dalla soggetto pubblico con legge o con un atto generale, rendendo doverosa la conseguente attività; a questa fase segue quella della sua erogazione (cioè la concreta attività volta a fornire prestazioni ai cittadini), che, spesso prevede l'intervento anche di soggetti privati, intervento che non elimina il carattere pubblico del servizio in quanto oggetto di assunzione da parte di un soggetto pubblico. Di recente è stato introdotto l'impiego del "contratto di servizio" quale strumento per disciplinare i rapporti tra amministrazione e soggetto esercente. L'erogazione del servizio avviene attraverso società di capitali scelte attraverso una gara, a società con capitale misto pubblico privato, nelle quali il socio privato viene scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, o interamente pubbliche, a condizione che l'ente pubblico titolare del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente pubblico che la controlla. Esistono diverse tipologie di servizi pubblici: la Costituzione, art. 43, parla di servizi pubblici essenziali e negli art 33, 34, 38 dei servizi di istruzione e di assistenza, la legge, riferendosi agli enti locali, si occupa dei servizi indipendenti e a quelli "ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità". I servizi sociali, poi, sono caratterizzati dall'essere finalizzati alla tutela e alla promozione del benessere della persona, doverosità della predisposizione degli apparati pubblici necessari per la loro gestione e assenza del divieto per i privati di svolgere siffatta attività. Nella normativa recente è apparsa la definizione di servizio universale, "insieme minimo definito di servizi di determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a prescindere dalla loro ubicazione geografica e...a un prezzo accessibile", definizione elaborata nell'ambito comunitario. 12.

Adempimento delle dell'amministrazione

obbligazioni

pubbliche

e

responsabilità

patrimoniale

Le obbligazioni pecuniarie pubbliche sono soggette alla disciplina di diritto comune e a quella pubblicistica, in particolare alle disposizioni sulla contabilità pubblica che, oltre a porre il principio secondo cui tutte le spese debbono trovare copertura, prevedono un minuzioso procedimento, che inizia con la comunicazione agli uffici di ragioneria dell'atto dal quale deriva l'obbligo di pagare una somma, per la registrazione dell'impegno e si chiude con il pagamento della somma. Le più importanti deroghe alle regole civilistiche si hanno in materia di luogo e tempo dell'adempimento; inoltre lo Stato, ma non il privato, può operare compensazioni tra propri crediti e debiti. Si ritiene inapplicabile l'art. 1181 c.c, sicché il creditore privato non può rifiutare un adempimento parziale. Istituto peculiare del diritto pubblico è il fermo amministrativo, disciplinato dall'art. 69 della legge di contabilità dello Stato: "qualora un'amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo, ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richiesta la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo".

64

Indicazioni di studio per l'esame di Diritto amministrativo Compendio di diritto amministrativo. E. Casetta Capitolo I: il capitolo introduce nozioni di carattere generale, in particolare sul significato ed i contenuti del diritto amministrativo. Capitolo II: studiare il capitolo con attenzione in quanto in esso vengono descritti i principi costituzionali della pubblica amministrazione. Capitolo III: il capitolo descrive i criteri attraverso i quali si può qualificare un ente come pubblico e la disciplina che, conseguentemente, si applica ad un ente pubblico. Tra gli argomenti trattati sono anche importanti le relazione che intercorrono tra gli organi di un ente pubblico, il rapporto di servizio ed il rapporto organico, nonché il regime dei beni che appartengono allo Stato. Capitolo IV: gli argomenti trattati nel capitolo vanno tutti studiati con molta attenzione, in particolare le modifiche apportate alla Costituzione. Capitolo V: argomento fondamentale trattato nei capitolo è il concetto di interesse legittimo, le differenze tra interesse legittimo e diritto soggettivo. Importante anche l'elencazione, ivi descritta, dei poteri di cui è titolare la pubblica amministrazione e dei provvedimenti, che in base a detti poteri, può porre in essere. Capitolo VI: capitolo di fondamentale importanza da studiare tutto con attenzione. Capitolo VII: capitolo fondamentale Capitolo VIII: gli argomenti di maggior importanza descritti nel capitolo sono la responsabilità della pubblica amministrazione, dei suoi agenti nonché la risarcibilità degli interessi legittimi.

65 

Questionario di diritto amministrativo :  • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

II principio di legalità  II principio di sussidiarietà  Buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione  Funzionario di fatto  Espropriazione per pubblica utilità  Provvedimenti ablatori  Amministrazioni indipendenti  II silenzio della pubblica amministrazione  Le fasi del procedimento amministrativo  Le ordinanze  I vizi del provvedimento amministrativo  I principi della legge 241/90  L'obbligo della motivazione  Le conferenze di servizi  Rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione  II sindaco  Gli organi della Provincia  II diritto di accesso  Gli interessi legittimi  II risarcimento degli interessi legittimi  II responsabile del procedimento amministrativo  La partecipazione al procedimento amministrativo  I controlli

66 

View more...

Comments

Copyright ©2017 KUPDF Inc.
SUPPORT KUPDF