Cicerone

January 12, 2018 | Author: Vincenzo Tritta | Category: Cicero, Julius Caesar, Rhetoric, Ancient Rome, Classical Antiquity
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LUCIO DE ROSA

Cicerone la parola e la ragione

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO

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Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2009 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. +39 02 864871 – fax +39 02 8052886 e-mail [email protected]

www.hoepli.it

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma delle convenzioni internazionali

ISBN 978-88-203-4038-4

Ristampa: 4 3 2 1 0

Realizzazione editoriale:

2009

2010

2011

2012

2013

ART Servizi Editoriali S.p.A. - Bologna

Progetto editoriale: Massimo Manzoni Coordinamento editoriale e redazione: Giusi Signori Progetto grafico: Marina Baldisserri Copertina: MN&CG S.r.l., Milano Stampa: Arti Grafiche Franco Battaia S.r.l., Zibido San Giacomo (MI) Printed in Italy

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Premessa

Nel momento in cui si propongono ai colleghi nuovi testi antologici di classici latini ‘ doveroso presentare sinteticamente i criteri che sono stati seguiti nella realizzazione delle opere. Ciò ‘ tanto più necessario oggi, in un contesto nel quale non si dà più per scontata l’indispensabilità degli studi classici nella formazione culturale dei giovani; tra l’altro una visione pragmatica che si ‘ progressivamente rafforzata in coincidenza con i mutamenti sociali e culturali degli ultimi decenni, spinge tante persone a porsi la fatidica domanda: a che serve più il Latino? Perché continuare a studiare Cesare, Catullo, Virgilio, autori vissuti più di duemila anni fa, in un mondo che ormai ha pochi legami con le nostre attuali società? Lo studio dei classici latini deve servire per conoscere meglio una civiltà che ci ha potentemente influenzati e – nel tempo stesso – per avvicinarci a grandi personalità che, da duemila anni a questa parte, hanno suggestionato l’immaginario di tante generazioni. Ma perché dall’incontro con i grandi autori della letteratura latina nascano utili stimoli culturali in un adolescente, ‘ necessario che la ricchezza inesauribile dei testi non s’immiserisca nella sola grammatica. é fondamentale – naturalmente – l’indagine volta alla conoscenza della strutture morfosintattiche, ma ‘ altrettanto indispensabile attualizzare gli autori e avvicinarli alla sensibilità dei ragazzi. Se – ad esempio - la lettura di un carme di Catullo viene fatta con il solo intento di individuare nel testo le ‘regole’ che saranno poi chieste in sede di verifica, l’alunno diligente certamente studia e traduce con molta attenzione, ma poi, superata la verifica e ottenuto un buon voto, si disinteressa e si allontana da quelle opere; se invece legge un carme per capire in che modo siano stati espressi i palpiti dell’innamoramento, le gioie dell’amore, i tormenti della gelosia, se la sua attenzione viene diretta alla maniera con la quale Catullo ‘ riuscito a dare un’altissima veste poetica a sentimenti magari presenti nell’animo di tanti ragazzi, a quel punto l’interesse inevitabilmente cresce; e ci sono buone probabilità che il fascino eterno di quei versi non abbandoni mai più la persona che ne sia stata contagiata. Le stesse cose si potrebbero dire per Cesare o per Virgilio e per tutti gli altri classici, che custodiscono tesori di arte, di cultura e di humanitas da proporre all’attenzione dei giovani lettori dei nostri tempi. Le note antologiche pertanto sono state concepite innanzitutto con lo scopo di chiarire il testo in maniera accurata e filologicamente corretta, ma oltre a ciò si ‘ cercato di far emergere gli strumenti utilizzati in opere ritenute modelli di arte e di bellezza, con l’attenzione costantemente volta a cogliere i contenuti etici o ideologici trasmessi dagli autori. Per consolidare la comprensione dei brani sono state inserite in ogni volume numerose schede di approfondimento, dedicate a specifiche questioni o al confronto intertestuale con opere di altri autori, soprattutto della letteratura italiana, con l’obiettivo di mostrare come certi motivi topici siano stati riutilizzati a distanza di secoli.

Perché un CD-ROM per ogni volume? A ogni volume ‘ affiancato un CD-ROM strettamente collegato ai contenuti del testo cartaceo. La decisione di ricorrere anche a uno strumento elettronico non ‘ nata dal desi-

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derio di rendere omaggio a un simbolo della modernità. Un CD-ROM* concepito come elemento decorativo ha vita breve: un ragazzo dei nostri tempi, nei quali c’‘ una diffusione sempre più massiccia di supporti elettronici distribuiti da libri e riviste, utilizza nello studio un’opera multimediale solo se questa offre qualcosa che sia davvero utile; un dischetto, che dia solo belle immagini, un po’ di musica gradevole e qualche scritta illustrativa, ‘ visto una volta sola e poi viene riposto in un cassetto della scrivania e lì abbandonato per sempre. I CD-ROM di cui sono dotate le antologie della collana Lumina invece sono stati realizzati con l’obiettivo di fornire al ragazzo tutti i chiarimenti di cui ha bisogno nello studio di un brano: con un solo clic ‘ possibile ottenere l’analisi del periodo, l’analisi grammaticale e logica di tutte le parole e di tutti i sintagmi delle proposizioni di un brano; con un clic si possono individuare le figure retoriche, con un clic o con un doppio clic si può leggere la spiegazione di una regola, di un costrutto. L’obiettivo ‘ quello di arricchire il libro con contenuti che un testo cartaceo non potrebbe mai dare. Ad esempio, in un brano del volume dedicato a Virgilio compare il termine heroas, segnalato nella nota come accusativo plurale di forma greca; non viene mostrata però la flessione del sostantivo, molto utile soprattutto a chi non studia il greco. Il CD-ROM invece permette rapidamente di vedere il nome declinato; e la stessa cosa avviene per tutti i nomi, i verbi, gli aggettivi, i pronomi contenuti in ciascun brano presentato nell’antologia. In tal modo, potendo ottenere rapidamente le informazioni di base, un ragazzo può impegnarsi per l’obiettivo più importante: l’analisi del testo e il significato complessivo del brano. Gli Strumenti forniscono altre utili funzioni per una più efficace comprensione dei brani contenuti nell’antologia: spiegazione dei termini tecnici, informazioni sui personaggi storici o mitologici, sul calendario, su come i Romani misuravano il tempo; inoltre carte storico-geografiche con ricche didascalie e tanto altro. Lo sportello didattico, infine, e la finestra Percorsi offrono ulteriori possibilità di conoscenze; nello sportello didattico ad esempio sono spiegati alcuni tra i principali costrutti della lingua latina, sempre con lo strumento dell’interattività per coinvolgere maggiormente i ragazzi. Nelle note ai testi talora sono riportate parole con sottolineatura continua e altre con sottolineatura tratteggiata: le prime rimandano alle Schede Morfosintattiche degli Strumenti, le seconde alla sezione Figure Retoriche sempre degli Strumenti. LUCIO DE ROSA

* REQUISITI MINIMI DI SISTEMA • Windows XP Service Pack 2 / Vista • Explorer 5.01 Per l’installazione del programma e per il suo utilizzo con sistemi operativi precedenti (Windows 98, ME e 2000) si veda il file Leggimi.txt contenuto nel CD-ROM.

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Indice

Introduzione Il contesto storico La vita di Cicerone

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APPROFONDIMENTO La morte di Cicerone nel racconto di Plutarco Le orazioni Le opere retoriche

5 6 9

APPROFONDIMENTO Asianesimo, atticismo e tendenza rodiese Le opere politiche Le opere filosofiche Le traduzioni e le opere in versi Lingua e stile

10 11 13 16 16

APPROFONDIMENTO Un confronto tra lo stile di Cicerone, di Seneca e di Tacito

18

La prima Catilinaria Minacce alla legalità repubblicana

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APPROFONDIMENTO Stili e generi dell’oratoria

22

APPROFONDIMENTO Le parti di un’orazione

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B 1 – Quo usque tandem? (1-3)

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INTERTESTUALITÀ La laudatio temporis acti in un passo del Paradiso di Dante

30

B 2 – I nobili esempi del passato (4-6)

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QUIS EST? Caio Gracco

36

APPROFONDIMENTO Catilina: l’incarnazione del male o il difensore degli oppressi?

36

B 3 – Muta il tuo proposito (6-8) B 4 – Vattene, Catilina, le porte sono aperte (10-13)

39 43

APPROFONDIMENTO Le principali magistrature ordinarie di età repubblicana e il cursus honorum 48 B 5 – La patria parla a Catilina (17-18)

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APPROFONDIMENTO I verbi che in latino esprimono l’azione del “temere”

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B 6 – Dichiara guerra alla patria! (22-24) B 7 – La patria rimprovera Cicerone (27-29) B 8 – Cicerone invoca Giove Statore (32-33)

57 62 67

APPROFONDIMENTO Concordia ordinum e consensus omnium bonorum

71

La Pro Caelio Giovani scapestrati e signore disinvolte

73

B 9 – L’exordium (1) B 10 – Clodia e le maldicenze contro Celio (30-32) B 11 – Clodia, l’amica di tutti (33-34)

75 78 83

APPROFONDIMENTO Le Vestali

87

La Pro Archia Il valore e la funzione della cultura

89

B 12 – Le lettere ristorano l’animo (12-13) B 13 – La funzione civile degli studi umanistici (14) B 14 – La sacralità della poesia (17-19)

91 96 98

QUIS EST? Quinto Ennio

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APPROFONDIMENTO Una riflessione di Leonardo Bruni sugli studi umanistici

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Il Somnium Scipionis I benemeriti della patria

107

B 15 – La genesi del sogno (1-2)

108

QUIS EST? Publio Cornelio Scipione Africano

112

B 16 – La sorte riservata ai benemeriti della patria (5-6)

113

APPROFONDIMENTO Un “giallo” dell’antichità

116

B 17 – Coltiva la giustizia e la devozione (7-8)

117

L’epistolario Sentimenti e debolezze di un uomo

123

B 18 – Ego vivo miserrimus (Epistulae ad Atticum, III, 5)

125

APPROFONDIMENTO L’odio di Clodio per Cicerone e lo scandalo della Bona Dea

128

B 19 – Il ritorno dopo l’esilio (Epistulae ad Atticum, IV, 1, 1-3)

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QUIS EST? Tito Pomponio Attico

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B 20 – Seguire Cesare o Pompeo? (Epistulae ad Atticum, VII, 22)

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APPROFONDIMENTO Il piano di guerra di Pompeo descritto da J”rôme Carcopino

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B 21 – Le inquietudini di un esule (Epistulae ad familiares, XIV, 4) B 22 – Il tiranno è morto! (Epistulae ad familiares, VI, 15)

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APPROFONDIMENTO Svetonio e il racconto dell’uccisione di Cesare

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La prima Catilinaria

Minacce alla legalità repubblicana Le fonti storiche Pochi eventi della storia romana ci sono noti come la congiura di Catilina. Grazie soprat-

La figura di Catilina

La prima congiura

Le elezioni del 64 a.C. e la sconfitta di Catilina

tutto alle quattro orazioni pronunciate da Cicerone e al Bellum Catilinae di Sallustio, conosciamo ampiamente gli eventi che accaddero nel 63 a.C. e, in modo particolare, verso la fine di quell’anno, quando la congiura fu scoperta e la vicenda s’avviò alla sua conclusione: l’esecuzione dei complici di Catilina nel carcere Mamertino e la battaglia decisiva combattuta a Pistoia il 5 gennaio del 62 a.C. L’esistenza di fonti di prima mano, tuttavia, non garantisce automaticamente la possibilità di farsi un’idea precisa degli eventi storici e dei loro protagonisti, perch” tante volte il valore di una fonte è limitato dall’unilateralità di giudizi dell’autore e dalla parzialità della sua visione storica. Ciò è tanto più vero quanto più gli eventi sui quali si scrive toccano da vicino le idee e i sentimenti di chi li rievoca: ed è proprio questo il caso sia di Cicerone sia di Sallustio. Lucio Sergio Catilina, che oggi viene visto come un ambizioso e quasi demoniaco oppositore delle istituzioni romane, o come un paladino delle plebi diseredate (cfr. in proposito l’approfondimento Catilina: l’incarnazione del male o il difensore degli oppressi? a pag. 36), apparteneva a una famiglia romana nobile ma decaduta; nei primi anni della sua carriera politica si schierò dalla parte di Silla e contribuì attivamente, pare con crudele efferatezza, all’eliminazione degli avversari politici del dittatore inseriti nelle liste di proscrizione. Nel 78 a.C. fu eletto questore, nel 70 fu edile e nel 68 pretore; l’anno successivo fu inviato come propretore in Africa, dove si comportò con una rapacità degna di un Verre, tanto che nel 66 a.C. fu accusato di concussione (de repetundis). A causa del processo Catilina non pot” candidarsi nel luglio del 66 a.C. alle elezioni consolari per l’anno seguente, che furono vinte da Publio Autronio Peto e Publio Cornelio Silla. I fatti accaduti dopo le elezioni portarono alla cosiddetta prima congiura di Catilina del 65 a.C., ricordata da Sallustio (Bellum Catilinae, 18) e da Cicerone (Pro Sulla, 11 sgg.). Su quegli oscuri eventi purtroppo le principali fonti in nostro possesso, cioè Cicerone, Sallustio e Svetonio, forniscono notizie contrastanti. La vicenda può comunque essere ricostruita in questo modo: i due consoli designati, Autronio Peto e Cornelio Silla, furono accusati di brogli elettorali e non potettero assumere la carica, che il 1° gennaio 65 fu assegnata ai competitores sconfitti nelle elezioni di luglio, cioè ad Aurelio Cotta e a Manlio Torquato. In quel clima politico torbido e confuso sarebbe nata una congiura e l’iniziativa sarebbe partita da Autronio Peto, Catilina e Calpurnio Pisone: gli ispiratori occulti sarebbero stati, secondo Svetonio, Crasso e Giulio Cesare. Il piano, che prevedeva l’assassinio dei due consoli il 1° gennaio e l’uccisione di molti senatori, fu rinviato al 5 febbraio, ma non fu mai attuato. Il processo in corso de repetundis, che andò avanti fino all’estate, impedì a Catilina di candidarsi nel 65 a.C. alle elezioni consolari per l’anno successivo; in quello stesso anno tuttavia le traversie legali cessarono e Catilina fu assolto, non senza il sospetto che avesse corrotto i giudici. Nel 64 a.C. Catilina pot” finalmente presentare la candidatura al consolato; aveva come avversari Cicerone, Antonio Hybrida, P. Sulpicio Galba, Quinto Cornifi-

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La congiura del 63 a.C.

I discorsi di Cicerone

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cio, Caio Licinio Sacerdote e Lucio Cassio Longino. La lotta tuttavia, per le modeste capacità degli altri candidati, era tra Catilina, Antonio Hybrida e Cicerone. Catilina si alleò con Antonio, entrambi dalla parte dei populares; Cicerone tuttavia riuscì abilmente a sfruttare i timori della nobilitas senatoria e dei cavalieri, spaventati dal potere che avrebbero avuto i populares con la vittoria di Catilina e Antonio, sostenuti tra l’altro da Cesare e Crasso, due personalità politiche ben più pericolose agli occhi degli ottimati. Alle elezioni Cicerone risultò il primo degli eletti, con molti più voti rispetto al secondo, che fu Antonio. Cicerone, nell’anno del consolato, si mostrò un fedele sostenitore degli interessi politici degli ottimati e contrastò energicamente la legge agraria proposta dal tribuno della plebe Publio Servilio Rullo. Catilina, da parte sua, tentò di nuovo di ottenere il potere per vie legali, ripresentandosi alle elezioni consolari del 63 a.C. con un programma che spaventava enormemente i conservatori e le classi abbienti: proponeva infatti la cancellazione dei debiti in Italia, la fine del monopolio delle magistrature da parte degli ottimati, una più equa distribuzione delle ricchezze con misure a favore dei nullatenenti. Cicerone, sempre più dalla parte della nobilitas, cercò di impedire in ogni modo il successo elettorale di Catilina, facendo approvare una nuova legge de ambitu contro i brogli elettorali, e soprattutto allontanando da Catilina Antonio Hybrida, al quale cedette il proconsolato nella ricca Macedonia che spettava invece a lui. Con grande abilità inoltre Cicerone, nell’intento di screditare l’avversario e provocare la reazione degli ottimati, alimentò le voci allarmistiche a proposito della presunta minaccia fatta da Catilina di ricorrere alla forza nel caso non fosse stato eletto; si parlava di una probabile e imminente rivolta dei veterani sillani in Etruria, di riunioni segrete, di tentativi di assassinare il console. Il giorno delle elezioni Cicerone, per dare credito a tali dicerie, si presentò nel Campo Marzio, dove si svolgevano le operazioni di voto, munito di una corazza sotto la toga e protetto da un presidio di cavalieri armati: un’abile mossa propagandistica che non passò inosservata e certamente indusse molti cittadini a non votare per un possibile cospiratore. Catilina, anche per la ferma opposizione di Cicerone, non fu eletto; di qui la decisione di ottenere con le armi il potere che non aveva raggiunto con le vie legali. E così in Etruria Caio Manlio cominciò a raccogliere un esercito, che nelle intenzioni dei congiurati avrebbe dovuto marciare verso Roma. Cicerone ebbe modo di conoscere con precisione i piani di Catilina e dei suoi seguaci per mezzo di Fulvia, l’amante di uno dei congiurati, Quinto Curio; la sollevazione in Etruria era prevista per il 27 ottobre e il giorno dopo vi sarebbe stato un massacro di ottimati a Roma. Il Senato, allarmato dalle rivelazioni del console, il 21 ottobre dichiarò lo stato d’emergenza (videant consules ne quid res publica detrimenti capiat), attribuendo ai consoli poteri straordinari. Nella notte tra il 6 e il 7 novembre Catilina radunò i complici a casa di Marco Leca; una delle decisioni prese fu quella di uccidere Cicerone nella sua stessa casa. Cicerone, informato da Fulvia, sventò l’attacco e l’8 novembre, nella seduta senatoria convocata nel tempio di Giove Statore sull’Aventino, pronunciò il primo discorso contro Catilina che, per nulla intimorito, reagì esortando a sua volta i senatori a non prestare ascolto a un inquilinus civis urbis Romae, a un inquilino dell’Urbe, le parole cariche di disprezzo che conosciamo grazie a Sallustio (Bellum Catilinae, 31, 7). Il giorno dopo, tuttavia, Catilina decise di abbandonare Roma per raggiungere l’esercito accampato in Etruria. Cicerone, nello stesso giorno, il 9 novembre, pronunciò la seconda orazione contro Catilina, stavolta al popolo riunito nel foro, per informarlo dei fatti accaduti nella notte. Qualche giorno dopo Catilina, che aveva osato recarsi in Etruria con i fasci littori e con l’insegna delle legioni romane, fu proclamato dal Senato hostis publicus; il console Antonio ebbe l’incarico di marciare contro di lui con un esercito. A Roma intanto Cicerone riuscì a procurarsi le prove della congiura grazie al tradimento degli ambasciatori degli Allobrogi, che si trovavano a Roma per protestare contro le vessazioni subite per opera dei governatori romani avidi di ricchezze. Due seguaci di Catilina, infatti, Lentu-

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lo e Cetego, contattarono gli Allobrogi, per chiedere l’aiuto della loro cavalleria. Gli Allobrogi decisero di raccontare i fatti a Cicerone e, su consiglio del console, e per le promesse ricevute, accettarono di prestarsi al doppio gioco: fecero credere di essere disponibili e chiesero un accordo scritto. La notte tra il 2 e il 3 dicembre, mentre si allontanavano da Roma per raggiungere Catilina, furono catturati e successivamente interrogati; consegnarono i documenti compromettenti con le firme dei congiurati e così Cicerone ebbe finalmente le prove da tempo ricercate. La sera del 3 dicembre Cicerone pronunciò la terza Catilinaria davanti al popolo, per informarlo degli ultimi eventi. Due giorni dopo, il 5 dicembre, si svolse in Senato un dibattito sulla sorte dei cinque complici di Catilina scoperti e arrestati. Il console Silano proponeva la condanna a morte, Cesare invece l’esilio a vita e la confisca dei beni. Cicerone pronunciò a questo punto la quarta Catilinaria; sostenne anche lui la necessità della condanna a morte, ma si rimise alla volontà dei senatori. Fu risolutore poi l’intervento di Catone, decisamente favorevole alla pena capitale. Cicerone fece in modo che la sentenza emessa dal Senato fosse immediatamente applicata: i cinque congiurati la notte stessa furono strangolati nel carcere Mamertino. Cicerone ne diede notizia al popolo esclamando: Vixerunt, «hanno cessato di vivereÈ. Un mese dopo si ebbe la battaglia di Pistoia, che vide la definitiva sconfitta dei congiuLa sconfitta di Catilina rati. Catilina morì combattendo valorosamente, memor generis atque pristinae suae dignitatis, «memore del lignaggio e dell’antica sua dignitàÈ, leggiamo nel capitolo 60 del Bellum Catilinae di Sallustio. Nell’ultimo capitolo della monografia, in un passo giustamente famoso, lo stesso Sallustio descrive la scena desolante del campo al termine della battaglia; dice che Catilina fu trovato tra i cadaveri nemici, paululum etiam spirans ferociamque

Alcide Segoni, Ritrovamento del corpo di Catilina, 1871, Firenze, Galleria dell’Arte Moderna.

animi, quam habuerat vivos, in voltu retinens, «mentre ancora respirava un po’ e conservava nel volto la fierezza d’animo che aveva avuto da vivoÈ. L’epica solennità di queste parole getta una luce diversa sul personaggio tante volte presentato a tinte foschissime nella monografia: si ha l’impressione che in questo modo Sallustio abbia voluto rendere l’onore delle armi allo sfortunato rivoluzionario, facendo quasi trasparire un fondo di comprensione, se non di segreta e inconfessabile ammirazione per Catilina. La prima orazione contro Catilina, integralmente proposta nelle prossime pagine La struttura della prima (alcuni brani sono analizzati e commentati, altri sono solo tradotti), presenta una strutCatilinaria tura che rispetta solo in parte lo schema codificato dalla tradizione retorica (cfr. gli appro-

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fondimenti Stili e generi dell’oratoria e Le parti di un’orazione, rispettivamente a pag. 22 e a pag. 23): Exordium (I-II, 1-5): nei paragrafi dell’exordium Cicerone dice che Catilina non può illudersi di ingannare i suoi concittadini, perch” il complotto da lui ordito è ormai noto a tutti. In altri tempi, caratterizzati da maggiore rigore e severità, sarebbe stato già messo a morte, sorte che toccò ad altre persone colpevoli di crimini meno gravi dei suoi. Argumentatio (III-XIII, 6-31): il piano delittuoso di Catilina (l’insurrezione di Manlio, la soppressione di molti senatori, l’incendio della città) è ormai noto nei particolari al console, che già è riuscito a evitare un attentato. A Catilina, ormai disprezzato e detestato da tutti, non resta altro che allontanarsi da Roma; glielo chiede, con parole accorate, perfino la patria, che, personificata, si rivolge al figlio degenere. La stessa cosa vogliono i senatori, eloquenti pur nel loro triste silenzio. Allontanandosi da Roma, Catilina certamente si recherà presso l’esercito al comando di Manlio e proverà in tal modo inequivocabilmente la propria colpevolezza. Peroratio (XIII, 32-33): se ne vada Catilina, parta pure per una guerra scellerata. La salvezza di Roma è fuori discussione, perch” Giove stesso proteggerà la città.

APPROFONDIMENTO

Stili e generi dell’oratoria L’oratoria, ossia l’arte di parlare in pubblico, nell’aula di un tribunale o nelle assemblee politiche, cercando di convincere le persone presenti e di condurle alle proprie opinioni, ebbe un’importanza fondamentale nel mondo antico greco-romano1. L’arte del dire era una virtù particolarmente rilevante nelle società “democratiche”, dove esisteva la possibilità di un libero confronto delle idee. L’eloquenza, che ha bisogno della libertà perch” tutti possano esprimere i propri pensieri, naturalmente non attecchisce in un contesto politico – come l’Egitto dei faraoni – dominato da un’autorità che impone dispoticamente la propria volontà; fiorisce invece e si sviluppa dove l’arte della parola può orientare il dibattito determinando le decisioni politiche; non a caso i più importanti oratori antichi vissero ad Atene, finch” la città godette della libertà, o a Roma in epoca repubblicana. Quando la potenza macedone soffocò la libertà degli Ateniesi, quando la nascita dell’impero spense il fuoco che aveva infiammato le assemblee dei senatori o i discorsi al popolo riunito nel foro, l’oratoria inevitabilmente decadde. Cicerone, in un passo dell’Orator (21, 69), fa capire bene quali siano gli scopi ai quali deve tendere l’oratore: Erit igitur eloquens… is qui in foro causisque civilibus ita dicet, ut probet, ut delectet, ut flectat, «Sarà dunque eloquente… colui che nel foro e nelle cause civili parlerà in modo tale da dimostrare, da dilettare, da commuovereÈ. Un oratore pertanto deve cercare di convincere fornendo con efficace pre-

1

Joseph VOGT (La repubblica romana, Laterza, Bari, 1975, pagg. 11-12) illustra con chiarezza l’incidenza del clima mediterraneo sulla nascita e sullo sviluppo dell’oratoria antica: «Il clima rende possibile anche il tipo di vita caratteristico per il territorio mediterraneo, che si differenzia tanto chiaramente dalla pesante esistenza del Nord d’Europa. L’uomo vive qui prevalentemente all’aperto; lavoro e ricreazioni vengono pure trasferiti fuori delle abitazioni, sotto il libero cielo. L’isolamento dei singoli fra le proprie pareti viene perciò evitato ed all’aperto gli uomini si associano; il senso sociale e politico viene favorito da questo modo di vivere. La comune discussione e deliberazione degli affari pubblici, sia in adunanze di popolo, sia in circoli privati, si svolge sulle aperte piazze e nelle ariose sale della città. Vi si sviluppa una naturale arte oratoria, caratteristica del territorio mediterraneo nei tempi antichi e moderniÈ.

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cisione le informazioni necessarie (docere e probare); deve inoltre far nascere un compiaciuto interesse e un’impressione piacevole nell’ascoltatore catturandone l’attenzione (delectare), oppure conquistare il favore di chi ascolta suscitando con il páthos intense emozioni (flectere o movere). La maniera di parlare dell’oratore deve adeguarsi – secondo i retori antichi – a queste tre differenti esigenze: da qui la necessità di uno stile umile (genus tenue), adatto al probare, di uno medio (genus medium), necessario all’obiettivo di delectare, di uno alto (genus grave), utile soprattutto nella parte finale dell’orazione, quando bisogna lasciare una forte impressione nell’uditorio. I diversi contesti in cui parlavano gli oratori determinavano tre generi di discorsi: il giudiziario, il deliberativo e l’epidittico (o dimostrativo). Il genere giudiziario si riferisce ai discorsi pronunciati nei processi, alle requisitorie dell’accusa e alle arringhe dei difensori; nel caso di Cicerone, le Verrine, la Pro Caelio, la Pro Milone ecc. Nell’oratoria greca l’esponente più famoso del genere giudiziario fu Lisia (445 circa - 379 a.C.), di cui Quintiliano (Institutio oratoria, X, 1, 78) ricorda la sobria eleganza e un’essenzialità lontana dalla ridondanza degli oratori asiani: nihil enim est inane, nihil arcessitum, puro tamen fonti quam magno flumini proprior, «nulla infatti ‘ inutile, nulla artificioso, simile tuttavia più a una pura sorgente che a un fiume maestosoÈ. Il genere deliberativo riguarda le orazioni tenute nelle assemblee politiche, le Catilinarie per esempio. Campione indiscusso di questo genere oratorio fu l’ateniese Demostene (384-322 a.C.), comunemente giudicato il più grande esponente dell’oratoria greca; giustamente famosi le sue Filippiche e tutti gli altri discorsi con i quali Demostene, mosso da un irriducibile amore per la sua pólis libera e indipendente, cercò di contrastare con veemenza le mire di Filippo II di Macedonia. Quintiliano (Institutio oratoria, X, 1, 76) definisce Demostene paene lex orandi, «quasi la legge stessa dell’eloquenzaÈ. Il genere epidittico, che prese origine dai discorsi pronunciati in occasione della morte di personaggi illustri per elogiarne virtù e meriti, consiste in discorsi celebrativi: di uomini benemeriti (per esempio l’orazione periclea in onore dei caduti del primo anno di guerra contro Sparta) o della grandezza di una città, come nel caso del Panegirico o del Panatenaico di Isocrate, il più grande rappresentante del genere epidittico nella letteratura greca. Rientrano pertanto nel genere epidittico i panegirici, le orazioni funebri e ogni altro discorso celebrativo.

APPROFONDIMENTO

Le parti di un’orazione Gli antichi studiosi distinguevano cinque parti della retorica: inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio. L’inventio – come leggiamo in un passo della Rhetorica ad Herennium, un’opera attribuita nel Medioevo a Cicerone, e più o meno con le stesse parole nel De inventione, un trattato scritto da Cicerone negli anni giovanili – consiste nella capacità di trovare gli argomenti veri o verosimili che rendano la causa convincente. La dispositio ‘ l’ordine degli argomenti, la distribuzione dei contenuti di cui bisogna parlare in ciascun punto dell’orazione. L’elocutio ‘ l’adeguamento delle parole e delle frasi all’invenzione (idoneorum verborum et sententiarum ad inventionem accommodatio).

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La memoria consiste nell’acquisizione di tecniche che favoriscano la capacità di ricordare i concetti e le parole. L’actio consiste nel saper modulare e regolare la voce, i gesti, le espressioni del volto. Molto importante ‘ la fase della dispositio, ossia la strutturazione efficace dei contenuti dell’orazione, ciascuno dei quali richiede mezzi espressivi e stilistici conformi agli obiettivi che intende raggiungere l’oratore. In un’orazione si distinguevano quattro parti: l’exordium, la narratio, la confirmatio, la peroratio; alcuni retori tuttavia aggiungevano una quinta sezione, la propositio, altri una sesta, la refutatio, altri una settima, la digressio. Un passo tratto dal De oratore di Cicerone (II, 19, 79-80) fa capire la funzione di ciascuna parte dell’orazione: [79] Deinde quinque faciunt quasi membra eloquentiae, invenire quid dicas, inventa disponere, deinde ornare verbis, post memoriae mandare, tum ad extremum agere ac pronuntiare; rem sane non reconditam; quis enim hoc non sua sponte viderit, neminem posse dicere, nisi et quid diceret et quibus verbis et quo ordine diceret haberet et ea meminisset? Atque haec ego non reprehendo, sed ante oculos posita esse dico, ut eas item quattuor, quinque, sexve partis vel etiam septem, quoniam aliter ab aliis digeruntur, in quas est ab his omnis oratio distributa: [80] iubent enim exordiri ita, ut eum, qui audiat, benevolum nobis faciamus et docilem et attentum; deinde rem narrare, et ita ut veri similis narratio sit, ut aperta, ut brevis; post autem dividere causam aut proponere; nostra confirmare argumentis ac rationibus; deinde contraria refutare; tum autem alii conclusionem orationis et quasi perorationem conlocant, alii iubent, ante quam peroretur, ornandi aut augendi causa digredi, deinde concludere ac perorare. [79] Parlano inoltre di cinque parti dell’eloquenza: la ricerca dei contenuti, la loro disposizione, la cura formale, la capacità di imprimere nella memoria i concetti, poi il modo di porgerli e di esprimerli. Queste cose non sono oscure; chi infatti non si renderebbe conto di ciò, che nessuno ‘ in grado di parlare, se non sa che cosa dire, con quali parole e con quale ordine, e se non ha memoria? E io non metto in discussione tutto ciò, ma dico che queste cose sono davanti agli occhi, come pure le quattro o cinque o sei o anche sette sezioni – le opinioni degli studiosi sono differenti – in cui ogni discorso viene diviso. [80] Ci invitano infatti a cominciare in modo da rendere benevolo verso di noi, disponibile e attento, colui che ci ascolta; a raccontare inoltre i fatti in modo che l’esposizione sia verosimile, evidente e breve; poi a dividere il tema e a presentarlo; a rafforzare con argomenti razionali la nostra tesi e a confutare quella a noi contraria. A questo punto alcuni collocano la conclusione dell’orazione e, per così dire, la perorazione; altri consigliano, prima di procedere alla perorazione, di compiere una digressione allo scopo di abbellire e migliorare il discorso, poi di concludere e perorare. L’exordium ‘ pertanto l’introduzione necessaria per conquistare il consenso e la simpatia dell’uditorio e richiede uno stile volto a delectare; la narratio ha bisogno di parole semplici e chiare, perch” mira a informare, a esporre la vicenda in modo particolareggiato. La confirmatio ‘ la sezione più importante dell’orazione, nella quale bisogna presentare gli argomenti a sostegno della propria tesi, confutando nel tempo stesso le prove e i ragionamenti della parte avversa; l’oratore, dovendo probare, utilizzerà uno stile efficace, razionale, persuasivo. La peroratio, infine, ‘ la parte finale del discorso, dove ‘ necessario flectere, movere l’animo di chi ascolta: il tono dell’oratore deve mutare e divenire patetico, deve coinvolgere emotivamente, conquistando non tanto l’intelligenza del pubblico, ma i sentimenti.

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Quo usque tandem? [prima Catilinaria, 1-3]

é l’8 novembre del 63 a.C. La mattina del giorno prima Cicerone, conosciute le intenzioni dei congiurati grazie a Fulvia, ‘ riuscito a sventare l’attacco alla sua persona deciso nella riunione svoltasi a casa di Marco Leca la notte tra il 6 e il 7 novembre. Si avverte un clima molto teso nel tempio di Giove Statore sul Palatino, dove si svolge la seduta del Senato, soprattutto per la presenza di Catilina, che non ha esitato a partecipare alla riunione, cercando in tal modo di allontanare da s” ogni sospetto. Attorno a Catilina però si fa il vuoto; non appena si siede, tutti si allontanano da lui: una scena familiare a chi ha visto l’affresco di Cesare Maccari a Palazzo Madama a Roma. Prende la parola finalmente il console, che senza indugi attacca violentemente Catilina con un discorso vibrante e appassionato, teso e travolgente, che s’abbatte sul cospiratore con la forza di un torrente in piena. I teorici dell’arte oratoria consigliavano nei loro trattati di iniziare un discorso con parole finalizzate alla captatio benevolentiae degli ascoltatori. E invece Cicerone dimostrò in quella circostanza la duttilità e l’originalità che solo i grandi dell’arte oratoria possono vantare, perch” non si lasciò condizionare dalle norme tecniche dei retori, dalle regole dei maestri pedanti, e iniziò a parlare entrando immediatamente nel vivo della questione, aggredendo l’avversario con un’irruenza che dovette lasciare sgomento Catilina. Leggi con attenzione l’incipit della prima Catilinaria, uno dei brani più famosi della latinità. Alcune frasi sono divenute popolari e ancora oggi sono notissime: Quo usque tandem…, O tempora, o mores. Parole che il tempo distruttore non ‘ riuscito a cancellare dalla memoria degli uomini e ancora oggi conservano il fascino delle cose eterne.

Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis? constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consili ceperis quem nostrum ignorare arbitraris? [2] O tempora, o mores! Senatus haec intellegit, consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero etiam in senatum venit, fit publici consili particeps, notat et designat oculis ad caedem unumquemque nostrum. Nos autem, fortes viri, satisfacere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitamus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos omnis iam diu machinaris. [3] An vero vir amplissimus, P. Scipio, pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus interfecit: Catilinam orbem terrae caede atque incendiis vastare cupientem nos consules perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium novis rebus studentem manu sua occidit. Fuit, fuit ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus senatus consultum in te, Catilina, vehemens et grave; non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis: nos, nos, dico aperte, consules desumus. [1]

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[1] Quo usque tandem…: la prima Catilinaria comincia ex abrupto, senza preamboli, con interrogative dirette che esprimono efficacemente l’indignazione di Cicerone per la sfrontatezza di Catilina, l’ideatore del progetto sovversivo che ha avuto il coraggio di presentarsi in Senato. La fama di questo celebre inizio deve molto alla forza espressiva degli avverbi, al ritmo incalzante che si placa momentaneamente nell’apostrofe al responsabile di tanta follia. Le prime parole del celebre exordium, citate spesso ancora oggi quando ci scagliamo contro chi ha messo a dura prova la nostra capacità di sopportazione, furono riprese da Sallustio, che fece pronunciare, forse con intento parodico, parole molto simili a Catilina: Quae quousque tandem patiemini, o fortissumi viri? (Bellum Catilinae, 20, 9); un’evidente imitazione è pure nelle Metamorfosi di Apuleio (III, 27): Quo usque tandem… cantherium patiemur istum, «Fino a quando sopporteremo questo cavallo castrato?È. ± tandem: l’avverbio non ha qui il normale significato temporale (“finalmente”, “una buona volta”), ma ha un valore conclusivo (“insomma”, “dunque”) suggerito dall’assurdità di una situazione che vedeva l’autore di trame eversive nel tempio stesso delle istituzioni repubblicane. ± abutere: indicativo futuro di abutor, composto di utor (= abuteris); la desinenza arcaica -re si alternava spesso in epoca classica nelle seconde persone singolari alla desinenza -ris, che prevalse nel periodo imperiale. Cicerone preferiva la forma in -ris (tranne nei deponenti) nell’indicativo presente passivo per evitare confusione con l’infinito presente attivo, e adoperava spesso le forme in -re negli altri casi (indicativo imperfetto e futuro, congiuntivo presente e imperfetto), che non potevano generare confusione. ± patientia nostra: ablativo retto da abutere; l’aggettivo possessivo plurale, più che maiestatico, si riferisce a tutti i senatori presenti; Cicerone vuole far capire a Catilina che è completamente isolato e non può fare affidamento su alcun componente del nobile consesso. L’impiego del termine patientia può alludere anche alla colpevole inerzia di quanti minimizzavano le minacce provenienti da Catilina. ± Catilina: l’apostrofe rivolta all’avversario nell’exordium non era approvata da molti, come ricorda Quintiliano in un passo dell’Institutio oratoria (IV, 1, 63 sgg.). ± quam diu… eludet?: «per quanto tempo ancora codesta tua follia si prenderà gioco di noi?È. Il dimostrativo iste trabocca di disprezzo ed è opportunamente posposto a furor, un deverbale di furo che sottolinea una condizione di squilibrio mentale, la perdita di ogni criterio di giudizio in Catilina, affascinato da deliranti progetti di dominio; il termine furor, una delle parole-chiave dell’Oratio I in Catilinam, è usato quattro volte, nei paragrafi 2, 15, 22, 31. ± nos: il pronome personale di prima persona plurale, in forte antitesi con furor… tuus, ribadisce il concetto già suggerito dal possessivo nostra. ± quem ad finem: «fino a che puntoÈ. ± sese… audacia: con il doppio iperbato intrecciato, che tiene separati il pronome con raddoppiamento dal verbo e l’attributo dal sostantivo, viene posto in forte rilievo, alla fine dell’interrogativa, audacia, un termine del lessico politico che designa il comportamento irresponsabile di chi ricorre a metodi drastici per realizzare le proprie idee radicali; l’uomo politico audax era un estremista violento, si direbbe oggi. L’aggettivo effrenata, adoperato qui in senso figurato (il termine deriva da ex e frenum, “fuori dal morso”, “senza freni” e propriamente qualifica i cavalli senza briglie), connota in maniera ancora più negativa la sfrontatezza di Catilina, messa pure in evidenza dall’impiego della forma verbale di iacto, intensivo di iacio. ± nihilne: accusativo avverbiale (“per nulla”) unito alla particella interrogativa enclitica -ne; l’insistente e martellante anafora di nihil esprime lo stupore di Cicerone, la sua incredulità per il comportamento di Catilina. ± praesidium: il primo dei sette soggetti di moverunt, che ha per oggetto il pronome personale te. ± nocturnum praesidium Palati: «il presidio notturno sul PalatinoÈ. Cicerone, nella notte tra il 7 e l’8 novembre, aveva provveduto a proteggere con presidi armati il colle, dove abitavano autorevoli personalità politiche. Ai piedi del Palatino si trovava il tempio di Giove Statore, dove si riunirono i senatori; le sedute del Senato potevano avvenire in ogni luogo che fosse stato prima consacrato dagli auguri. Cicerone preferì il tempio di Giove Statore alla Curia Hostilia, dove normalmente venivano convocati i senatori, probabilmente perch” il luogo poteva essere più facilmente ed efficacemente protetto (hic munitissimus… locus). ± urbis vigiliae: «le sentinelle che proteggono la cittàÈ; il servizio notturno delle vigiliae durava tre ore. Nota l’allitterazione (al tempo di Cicerone il fonema v si leggeva come una u) e il triplice chiasmo:

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Palati

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vigiliae

timor

populi

± timor populi: populi è genitivo soggettivo. ± concursus bonorum omnium: «l’accorrere di tutti i benpensantiÈ; concursus è un deverbale di concurro. Nel lessico politico ciceroniano l’espressione boni cives designa i cittadini onesti e virtuosi legati al mos maiorum, alle tradizioni antiche, gli uomini che difendevano le libere istituzioni repubblicane e l’ordine costituito. Il nuovo sintagma chiarisce il significato del precedente: il populus che temeva era dunque l’insieme dei cittadini che non facevano parte delle classi più elevate. ± habendi senatus: il genitivo del gerundivo dipendente da locus va tradotto attribuendogli un valore finale: «per radunare il SenatoÈ. ± horum: il pronome è deittico: presuppone cioè il gesto della mano con il quale Cicerone indicava i senatori presenti. ± ora voltusque: letteralmente «i volti e gli sguardiÈ; meglio vedere nel nesso un’endiadi e tradurre «l’espressione del voltoÈ dei senatori indignati. ± patere tua consilia: proposizione infinitiva retta da non sentis: «non t’accorgi che i tuoi progetti sono palesi?È. ± constrictam… non vides?: «non vedi che il tuo complotto è ormai tenuto sotto stretto controllo dalla conoscenza di tutti costoro?È. Il participio constrictam dipende da teneri e ha funzione predicativa; ne deriva un’immagine assai efficace: fa pensare a qualcosa che nella continuità del presente viene immobilizzato in una morsa inesorabile, come una preda tenuta stretta nel soffocante abbraccio di un constrictor, un boa. ± coniurationem: il termine coniuratio deriva da cum + iuro e indica il legame con il giuramento che stringe un gruppo di individui. Nota la disposizione chiastica e i legami allitteranti che uniscono i soggetti in accusativo delle due infinitive (tua consilia… coniurationem tuam). ± horum omnium: genitivo soggettivo; la ripetizione del pronome rivela la concitazione e insieme rende più solenni le parole di Cicerone. ± scientia: ablativo di causa efficiente retto da constrictam. ± quid… egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid… ceperis: «che cosa hai fatto, dove sei stato, chi hai convocato, quale decisione hai presoÈ; le cinque proposizioni interrogative indirette dipendono da ignorare, predicato verbale dell’infinitiva oggettiva, retta da arbitraris, che ha per soggetto il pronome interrogativo quem. I congiuntivi perfetti, secondo le regole della consecutio temporum, esprimono anteriorità rispetto a un tempo principale della reggente; in questo caso le interrogative, poich” sono rette da un infinito presente, regolano il loro tempo sul presente arbitraris. Nota l’anafora di quid, il poliptoto quid… quid… quos… quid… quem e l’omoteleuto egeris… fueris… convocaveris… ceperis. ± proxima (nocte)… superiore nocte: ablativi di tempo determinato; ricorda che l’aggettivo proximus indica vicinanza non solo nello spazio ma anche nel tempo. Con superiore nocte Cicerone si riferisce alla notte tra il 6 e il 7, quando i congiurati in un convegno a casa di Marco Porcio Leca decisero di uccidere Cicerone, console in carica; l’assassinio doveva avvenire la mattina del 7 novembre, quando un cavaliere, Gaio Cornelio, e un senatore, Lucio Vargunteio, si sarebbero recati a casa di Cicerone con il pretesto dei saluti mattutini e avrebbero lasciato la porta di casa aperta per consentire ad alcuni sicari di uccidere il console. Cicerone, tuttavia, riuscì a sventare l’attacco perch” fu informato da Fulvia, l’amante di Quinto Curio, uno dei congiurati. Con l’ablativo di tempo proxima (nocte) invece il riferimento è alla notte immediatamente precedente la seduta del Senato. ± consili: genitivo partitivo retto da quid. ± nostrum: genitivo del pronome nos con valore partitivo. [2] O tempora, o mores!: l’esclamazione, ancora oggi tante volte usata quando si vuole puntare il dito contro la decadenza dei tempi e la corruzione dei costumi, è citata da Quintiliano in un passo dell’Institutio oratoria (IX, 2, 26) a proposito della possibilità di suscitare le emozioni degli ascoltatori con la simulazione di sentimenti; Cicerone, infatti, finge di essere profondamente turbato per la possibilità concessa a Catilina di presentarsi in Senato nonostante tutti conoscano i suoi piani temerari. L’espressione, assai cara a Cicerone,

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compare pure in altre orazioni (In Verrem actio secunda, IV, 25, 56; Pro domo sua ad pontifices, 53, 137; Pro rege Deiotaro, 11, 31). ± haec: il pronome, che dipende sia da intellegit sia da videt, si riferisce ai piani sovversivi ai quali si fa allusione nelle quattro interrogative indirette poste alla fine del primo paragrafo. ± hic tamen vivit: «costui tuttavia viveÈ. ± Vivit?: l’anadiplosi, ossia la ripresa della stessa parola che conclude la frase precedente, e la frase interrogativa esprimono efficacemente le preoccupazioni dell’oratore, che intende scuotere i senatori dal torpore in cui si trovano: rischiano infatti di sottovalutare i pericoli. L’apprensione e lo stupore sono potenziati dall’allitterazione della v, ribadita da vero e da venit. ± immo vero: i due avverbi creano una forte opposizione con Vivit? e danno inizio a un periodo che con una correctio e una climax ascendente (venit, fit… notat et designat) segnala la pericolosità di Catilina, che non si limita a venire in Senato, ma partecipa alle sedute nelle quali si prendono importanti decisioni, ha perfino la sfacciataggine di guardare le sue future vittime e di assegnarle con uno sguardo alla morte. ± publici consili: Cicerone definisce “pubbliche” le decisioni che si prendevano in Senato perch” riguardavano la vita dello Stato; non c’è qui naturalmente alcuna allusione alla partecipazione di tutti i cittadini alle sedute. ± notat et designat oculis: «osserva e designa con occhiateÈ; oculis è ablativo strumentale. I due verbi fanno pensare al predatore che individua la vittima da colpire. ± ad caedem: complemento di fine. ± nostrum: genitivo partitivo retto dal pronome indefinito unumquemque. ± Nos: il pronome plurale, che si riferisce a Cicerone e a tutti i senatori, è in forte opposizione (accentuata dalla congiunzione avversativa autem) con hic, il dimostrativo che designa Catilina. ± fortes viri: apposizione del soggetto nos: «uomini coraggiosiÈ; il tono è fortemente ironico. ± videmur: il verbo è adoperato con la costruzione personale e regge l’infinitiva satisfacere rei publicae. ± rei publicae: dativo di vantaggio retto da satisfacere. ± si… vitamus: proposizione condizionale, protasi del periodo ipotetico: «se sfuggiamo agli attacchi furiosi di costuiÈ; furorem ac tela formano un’endiadi. Nota il senso fortemente dispregiativo del pronome istius, che si richiama a furor iste tuus del periodo iniziale. ± Ad mortem… oportebat: «Già da un pezzo, Catilina, sarebbe stato necessario che tu fossi condotto a morte su ordine del consoleÈ; l’infinitiva è retta da oportebat, un falso condizionale dal quale dipende anche l’altra soggettiva in te conferri pestem. ± te… in te… tu: l’anafora e il poliptoto creano un forte contrasto con il precedente nos. ± iussu: ablativo di causa. Ricorda che alcuni nomi della quarta declinazione sono usati per lo più solo nell’ablativo singolare; i più comuni sono: ductu, iussu, iniussu, impulsu, hortatu. I consoli avevano ricevuto i pieni poteri già dal 21 ottobre, con la formula canonica del senatus consultum ultimum: videant consules ne quid detrimenti res publica capiat. Cicerone, pertanto, avrebbe potuto mandare a morte un cittadino romano, anche senza un regolare processo. Il senatus consultum ultimum, un provvedimento con cui il Senato proclamava lo stato d’emergenza in momenti di gravissimo pericolo, sospendeva ogni garanzia costituzionale e attribuiva poteri dittatoriali ai consoli o ad altri magistrati al fine di ristabilire l’ordine. ± in te conferri pestem: «che si riversasse su di te la rovinaÈ. Nota il valore metaforico di pestem, che associa la congiura a un morbo terribile. ± iam diu: l’espressione avverbiale, che riprende l’altra iam pridem, sottolinea il disagio del console che si sente in colpa per non avere represso con la necessaria fermezza il golpe di Catilina. ± machinaris: «vai macchinandoÈ. [3] An vero: il nesso introduce una proposizione che, ricordando l’energico comportamento tenuto in passato da chi si oppose a pericolosi sovversivi, indirettamente dimostra l’indispensabilità di decisioni dure nei confronti di Catilina, responsabile di atti molto più gravi; poich” pertanto il periodo è strutturato sull’opposizione tra due proposizioni, la prima delle quali funge da premessa che deve necessariamente condurre a una specifica conclusione, è utile tradurre An vero con «Se dunqueÈ. L’intreccio tra le due parti del periodo è confermato dal chiasmo P. Scipio… Ti. Gracchum… Catilinam… nos consules. Cicerone si riferisce a fatti accaduti nel 133 a.C.: Publio Cornelio Scipione Nasica, pur non ricoprendo cariche pubbliche, fu a capo di un tumulto contro Tiberio Gracco, che era riuscito a far approvare una legge agraria molto dannosa per gli interessi dei latifondisti e della nobilitas senatoria. Tiberio rimase ucciso nei tafferugli scatenati da Scipione. ± vir amplissimus: «un uomo eminentissimoÈ.

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± pontifex maximus… privatus: non c’è contraddizione tra l’apposizione e il predicativo del soggetto: all’epoca di Tiberio Gracco la funzione di pontifex maximus non era una vera e propria magistratura, ma semplicemente un alto ufficio civile affidato a un cittadino autorevole e di grande prestigio. ± mediocriter… statum rei publicae: «che solo in parte cercava di minacciare la stabilità della repubblicaÈ; per suscitare lo sdegno dei senatori e indurli a una forte reazione, Cicerone riduce la pericolosità delle azioni di Gracco per accrescere indirettamente le minacce provenienti da Catilina. ± labefactantem: participio congiunto al complemento oggetto Ti. Gracchum. Labefacto è intensivo di labefacio. ± orbem terrae: «il mondo interoÈ, un’iperbole che estende a dismisura la gravità dei tentativi eversivi di Catilina. ± caede… incendiis: ablativi strumentali. ± cupientem: participio congiunto; il legame allitterante – ribadito da caede – che unisce il participio al nome proprio pone in risalto la figura del rinnegato tracotante che desidera con veemenza la rovina generale. L’immagine di Catilina emerge a tinte fosche per l’impiego di un verbo che indica un desiderio intenso, una smodata brama di potere, che non si placa neppure dinanzi alla prospettiva di incendi e devastazioni. ± nos consules: evidente la contrapposizione a privatus: un console non può mostrarsi inerte, quando ha dietro di s” precedenti così luminosi di dedizione al bene comune da parte di privati cittadini. ± quod C. Servilius Ahala…: la congiunzione introduce una proposizione dichiarativa con predicato occidit; dopo aver affermato di non volersi soffermare su fatti remoti, Cicerone con una preterizione si rifà a eventi accaduti nel 439 a.C., quando Caio Servilio Ahala, comandante della cavalleria, uccise il cavaliere Spurio Melio, che si riteneva aspirasse al potere con l’appoggio della plebe, conquistata con elargizioni di grano in tempo di carestia. ± novis rebus studentem: «che aspirava a rivolgimenti politiciÈ; ricorda che il verbo studeo regge il dativo. ± manu sua: ablativo strumentale. ± Fuit, fuit: la geminatio sottolinea la foga dell’oratore e serve per esaltare enfaticamente il tempo antico, caratterizzato da un rigore morale sconosciuto nella Roma insidiata da Catilina e dai suoi complici. La laudatio temporis acti si carica di malinconico rimpianto per la presenza dell’avverbio quondam. ± ista… virtus: l’iperbato che separa l’aggettivo ista dal sostantivo dà pure visivamente l’idea della distanza temporale che separa un passato glorioso e virtuoso da un presente capace di generare uomini come Catilina e i suoi degni seguaci. ± virtus… viri: la figura etimologica unisce i due termini: la virtus, l’aret” greca, è la caratteristica che rende nobile un uomo. ± ut viri fortes… coercerent: proposizione consecutiva; viri fortes ha una risonanza ben diversa da fortes viri del paragrafo 2: il sintagma allude qui a una forza di carattere supportata da una severa moralità, lì a fiacchezza d’animo. ± acrioribus suppliciis: ablativo di natura strumentale. ± civem perniciosum… acerbissimum hostem: chiasmo. ± vehemens et grave: «severo ed energicoÈ. ± senatus consultum: la deliberazione del 21 ottobre, con cui il Senato proclamò lo stato d’emergenza affidando tutti i poteri ai consoli. ± Catilina: la quarta occorrenza del termine, la terza volta in vocativo. Cicerone in questo impetuoso inizio del suo discorso pone in grande evidenza il nome dell’avversario, che viene riferito la prima volta a un verbo che indica un abuso, la seconda volta alla meritata punizione (Ad mortem) da infliggere all’autore di trame eversive; la terza volta è utilizzato in una struttura chiastica che ricorda l’indispensabilità di una soluzione forte nei suoi confronti. ± non deest… nos, nos: la parte finale del paragrafo rivela un’attenta tessitura retorica: con la litote (non deest), il chiasmo (rei publicae consilium… auctoritas huius ordinis), la geminatio (nos, nos), il poliptoto (deest… desumus) Cicerone, con un’evidente captatio benevolentiae, vuole enfaticamente separare il comportamento lodevole dei senatori e il colpevole lassismo dei consoli: gli uni hanno fatto pienamente il loro dovere, gli altri non fanno ancora ricorso, dopo una ventina di giorni, ai poteri straordinari del senatus consultum ultimum. ± dico aperte: Cicerone continua a blandire i senatori che l’ascoltano, facendo ricadere ogni responsabilità su se stesso, sul console che non si è ancora opportunamente avvalso degli strumenti messi a disposizione dal Senato.

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QUESTIONARIO • • • • • • • • • • • • • • • • • •

abutere (par. 1): analizza la forma verbale. nihilne… nihil… nihil… nihil… nihil… nihil… (par. 1): quale funzione svolge l’anafora? timor populi (par. 1): populi ‘ genitivo soggettivo o genitivo oggettivo? quos convocaveris (par. 1): che proposizione ‘? scientia (par. 1): che complemento ‘? superiore nocte (par. 1): a che cosa si riferisce Cicerone con questa espressione temporale? consili (par. 1): analizza il termine. … vivit. Vivit? (par. 2): quale figura retorica ‘ adoperata qui? ad caedem (par. 2): che complemento ‘? videmur (par. 2): con quale costruzione il verbo ‘ qui usato? privatus (par. 3): qual ‘ la funzione sintattica del termine? caede… incendiis (par. 3): che valore hanno i due ablativi? novis rebus (par. 3): il sintagma ‘ in dativo o in ablativo? ut viri fortes… coercerent (par. 3): che proposizione ‘? Nel testo compare una preterizione. Dov’‘? Che cos’‘ una preterizione? Per quale motivo, secondo te, il nome di Catilina ‘ ripetuto ben quattro volte nei primi tre paragrafi? Perch” sono evocati fatti accaduti in passato? In che modo ‘ caratterizzato Catilina?

ora voltusque (par. 1): la nota al testo rileva nell’espressione un’endiadi. Che cos’‘ un’endiadi? Se hai bisogno di aiuto, consulta il CD-ROM.

INTERTESTUALITÀ

La laudatio temporis acti in un passo del Paradiso di Dante Il tema della lode del buon tempo antico, presente nella prima Catilinaria nel ricordo della fulgida virtù civica degli antichi Romani, trova un’espressione di straordinaria forza poetica nella rievocazione della Firenze d’una volta, fatta dal trisavolo di Dante Cacciaguida nel canto XV del Paradiso. Viene presentata una città ideale non ancora contaminata da egoismi e corruzione, un ambiente urbano che trae alimento dalla forte tempra morale dei cittadini e dalle solide radici cristiane, come si ricorda nell’accenno al suono delle campane che scandiva, con un ritmo religioso, l’inizio e la fine della giornata lavorativa. L’interesse del passo si fonda pure sul contrasto che indirettamente viene posto con la Firenze del tempo di Dante: in questo modo il poeta oppone alla corruzione dei tempi attuali la sobrietà e le semplici abitudini di vita d’una volta, l’onestà e la pudicizia delle donne, il senso della misura; non si ostentava il lusso, non esistevano pratiche anticoncezionali, le famiglie si riunivano al focolare e si udivano i racconti leggendari dei tempi antichi. Fiorenza dentro da la cerchia antica, ond’ella toglie ancora e terza e nona, 99 si stava in pace, sobria e pudica.

Firenze, quando era compresa nella vecchia cerchia di mura, dalla quale ancora si [annunciano 99 le ore lavorative, stava in pace, moderata e [onesta.

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