Choraliter 34 Completo

August 26, 2017 | Author: Rafael Pires Quaresma Caldas | Category: Choir, Gregorian Chant, Johannes Brahms, Pop Culture, Singing
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Revista italiana sobre coral....

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reGione Friuli VeneZiA GiuliA

ministero per i beni e le AttiVità CulturAli

e l a n o i z a n r e l e t a n r i o a c n o a t n m i a r t c t u i e o d t s dy

n. 34 - gennaio-aprile 2011

Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali

ALLA RICERCA DI SONORITÀ INEDITE

Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN

Via Altan S. Vito al Tagliamento (Pn) Italy Tel +39 0434 876724 Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it [email protected]

AsAC Veneto

n. 34 - gennaio-aprile 2011

usCi Friuli VeneZiA GiuliA

u t s l a n io

t a n r e t in

JONATHAN RATHBONE ARVO PÄRT E TÕNU KALJUSTE

ALLO SPECCHIO LA REALTÀ DELL’UTOPIA ASSEMBLEA NAZIONALE FENIARCO

CONCORSI CORALI

tori diret r e p orso ni e c i b m di ba cori eo (IT) r e p ica i L na 1 Mus ente: Luig r e i nezia T) l e e c V t o A a l d (I • Scuo mbardo a l l e d ica o Lo Mus te: Fabi 2 r e i n l A) doce • Ate (US pel s n o a g m tual e Whit Spiri e: Walt 3 r nt lie E) doce • Ate er (D ica t h n c a a um rom usica Jan Sch M 4 : lier docente (DE) • Ate celi zz i a j M / anie l pop Voca e: Steph 5 r nt lie N) a doce • Ate rican Raga (VE e m a ría sud usica Ana Ma M 6 : lier docente (IT) • Ate r u utti o g r t a y o M tud ATTENZIONE! Nuove date! Alpe Adria Cantat inizia un giorno prima nAl s te: Corrad o i t A ern docen t n i IScrIzIonI entro Il 31 MaggIo 2011 •

liGnAno (ud)

27 AGosto»3 settembre



Feniarco

REPERTORI, BANDI E APPLAUSI

DONNE… DI CORI

UN GENERE TUTTO AL FEMMINILE

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Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali

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italia in le ia r o t lità ama

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Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Chiara Moro, Franca Floris, Edy Mussatti, Nino Albarosa, Leonardo Di Pierro, Davide Benetti, Michele Pozzobon, Andrea Angelini, Sergio Bianchi, Mauro Marchetti, Michela Francescutto, Carlo Pavese, Andrea Venturini, Gianni Bortoli Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival di Primavera (foto Renato Bianchini) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana

ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn

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Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali



DossieR Donne… di cori

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un genere tutto al femminile



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Chiara Moro

dar voce alle pagine secoli di repertorio per coro femminile



popolare al femminile Edy Mussatti



Intervista a Roberta Paraninfo



fragmentA

Efisio Blanc

Nino Albarosa

Dossier compositore Jonathan Rathbone

Leonardo Di Pierro

17 Vem kan segla förutan vind?



36 Provare per credere!



gregoriano femminile

13 alla ricerca di sonorità inedite intervista a Jonathan Rathbone

portrait

Franca Floris

11 il perché di un coro





(Chi può navigare senza vento?)

Davide Benetti

40 Concorsi corali:



quali repertori e quali bandi…



Attività dell’Associazione

Mauro Marchetti

43 -3, -2, -1… Cantare è giovane!



Michela Francescutto

46 il management corale al giorno d’oggi



Michela Francescutto

48 la realtà dell’utopia



Nova et veterA



50 cronache dal futuro

21 which was the son of



La genealogia di Gesù Cristo secondo Luca (3, 23-38): una lettura musicale di teologia della storia Michele Pozzobon

29 Tõnu Kaljuste allo specchio



Andrea Angelini



canto popolare



in una composizione corale Sergio Bianchi



edizione estate 2022 Carlo Pavese

cronacA 52 applausi al concorso di maribor

Andrea Venturini

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Notizie dalle regioni



Rubriche

INDICE

32 L’osservazione dei parametri musicali



Assemblea Feniarco a castelfranco veneto

Sandro Bergamo

56 Discografia&Scaffale 62 Lettere al direttore 64 Mondocoro

un genere tutto al femminile di Chiara Moro direttore del coro femminile clara schumann

Dirigo il coro femminile Clara Schumann da quasi trent’anni, infatti il prossimo ottobre festeggeremo il trentennale. È una formazione femminile attualmente composta da circa venti elementi, donne di età compresa tra i trenta e i cinqunt’anni. Quando ho formato questo coro, allora denominato Corale S. Pio X, l’intento era quello di riunire un gruppo di ragazze teso al servizio liturgico nella chiesa della parrocchia di nostra appartenenza. È proprio in seno a una chiesa che spesso nascono i cori amatoriali dove si vedono protagonisti nelle celebrazioni liturgiche, dapprima con l’esecuzione di semplici canti adatti al popolo e poi, attraverso uno studio più accurato, con l’esecuzione di brani più complessi, come quelli di genere polifonico. Così è stato per noi: alla base stava l’animazione del servizio liturgico e non avevamo delle motivazioni specifiche per formare un coro prettamente femminile. Poi ha fatto seguito uno studio più approfondito sul genere femminile, sul suo percorso storico, gli autori. Sempre più nutrita da esperienze musicali, maturate nel tempo assieme alle mie coriste, potrei dire di aver colto quali sono alcuni degli elementi che determinano e caratterizzano questo genere di coro. Innanzi tutto riflettiamo sull’origine del coro femminile. Mentre si trovano accenni sull’esistenza di cori femminili in Italia e Francia nei secoli precedenti all’800 (soprattutto nell’ambiente sacro e di corte), sicuramente il coro femminile si affermò nel periodo del Romanticismo tedesco. Alla fine del XVIII secolo si parla di “voci femminili” e non di “cori femminili”, in quanto questa accezione non era diffusa al tempo. Mi riferisco agli anni in cui Franz Schubert (1797-1828) si dedicò alle composizioni a più voci, con o senza accompagnamento strumentale, definite come Chorlieder, composizioni cioè destinate alle società corali “amatoriali”, indipendenti dall’ambito teatrale o ecclesiastico. Il genere compositivo del Chorlied aveva riscosso un immediato favore in tutti i paesi tedeschi a partire dai primi dell’Ottocento, ma rimase a lungo prerogativa dei cori virili. Solo nel 1839, con Felix Mendelssohn, si avranno i primi Chorlieder per coro misto, e più tardi, con Robert Schumann e Johannes Brahms, Chorlieder per coro femminile. Decisivo per lo sviluppo qualitativo dei cori femminili fu il fatto che molto spesso i compositori fungevano anche da direttori musicali. Qui devono venir senz’altro ricordati Johannes Brahms, Robert Schumann, Robert Franz ma anche altri autori come Richard Barth, Alexis Hollaender, i quali furono attivi in questa doppia funzione. A questo proposito è da ricordare il famoso Hamburgischer Frauenchor, fondato da Johannes

il cor

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Brahms, formato da ventotto signore e fanciulle di Amburgo. Un coro amatoriale ma, a quanto si apprende dalle cronache dell’epoca, di altissimo livello. La stessa Clara Schumann, da poco vedova di Robert Schumann, tutte le volte che soggiornava per qualche tempo ad Amburgo, trovava immensa gioia a cantare assieme alle brave allieve di Brahms. Nel 1860 questa società corale era così bene avviata che divenne una delle istituzioni più attive della vita musicale di Amburgo, a tal punto da dotarsi di uno statuto, redatto dallo stesso Brahms. Ritengo interessante, nonché divertente, presentarlo, a chi non lo conosce, nella sua integrità. Avvertimento. Atteso che va tutto a vantaggio del piacere che le cose si svolgano in modo ordinato, viene dai presenti annunciato e fatto conoscere a tutti gli spiriti curiosi, desiderosi di diventare e rimanere membri dell’ottimo e soavissimo Coro Femminile, che essi devono controfirmare in toto gli articoli e i paragrafi del presente documento prima di potersi vantare di portare il titolo sopra indicato e di partecipare a questo piacere e divertimento musicali. A dire il vero avrei dovuto trattare questo argomento da molto tempo, ma atteso che canteremo dall’inizio di questa

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mite primavera fino alla fine dell’estate, è tempo che questo scritto veda la luce. Pro primo, si fa osservare che le aderenti al Coro Femminile devono essere presenti. Ciò significa che esse devono costringersi regolarmente ad assistere alle riunioni e agli esercizi della società corale. E se qualcuna non osserva debitamente questo articolo e le capita, Dio non voglia!, di contravvenirvi, costei, avendo saltato un intero esercizio sarà punita con un’ammenda di 8 scellini (al corso di Amburgo). Pro secundo, le aderenti al Coro Femminile dovranno essere presenti. Il che significa che dovranno essere sul posto esattamente all’ora stabilita.

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D’altra parte se qualcuna si trova in contravvenzione per non aver potuto fare la dovuta riverenza o perché giunta alla società con un ritardo di un quarto d’ora, sarà punita con un’ammenda di 2 scellini (al corso di Amburgo). Pro tertio, il denaro così raccolto verrà distribuito ai poveri, ed è auspicabile che non ricevano troppo. Pro quarto, si fa osservare che la musica manoscritta è ampiamente affidata alla discrezione delle signore. Per questa ragione dovrà essere trattata con amore e bontà dalle onorevoli e virtuose dame, sposate o no, in quanto proprietà altrui, e non dovrà in alcun modo uscire dalla società. Pro quinto, le signore che non possono cantare sono considerate neutrali; ovvero si potranno accettare degli uditori, ma si fa osservare, pro ordinario, che in tali casi l’uso di questo diritto non può degenerare. Il presente proclama è reso pubblico e portato a conoscenza di ognuno dal presente decreto generale e avrà forza di legge fino a quando il Coro Femminile non sarà disciolto. E non dovrete limitarvi a osservare quanto sopra scrupolosamente, ma dovrete fare ogni sforzo possibile perché in nessun caso le altre vi contravvengano. A chi di diritto: tale è il nostro avviso, attendiamo la vostra desiderata e giudiziosa approvazione. Con profonda devozione e venerazione del Coro Femminile, il suo sempre servizievole e metronomo, Johannes Kraisler jun., alias Brahms. Addì lunedì 30 del mese di aprile del 1860. Tutti i cori, femminili e non, dovrebbero considerare questo statuto, poiché veramente attuali sono gli argomenti trattati in esso! Questa premessa sull’origine del coro femminile fa riflettere sul fatto che quando si parla di questa compagine corale è inevitabile focalizzare uno specifico periodo storico. Conseguente è poi la proposta di repertorio attraverso la quale il complesso si esalta in uno stile che gli appartiene con maggior dimestichezza nell’esecuzione offrendo, nel contempo, uno scenario di naturale movimento espressivo. Ciò non significa che un coro femminile non possa cimentarsi in esperienze esecutive di altri repertori e generi, come la musica del ’500-’600 oppure il periodo contemporaneo, il sinfonico corale piuttosto che il folclore, ma semplicemente credo sia importante avere la consapevolezza di quali siano le radici da cui è nata questa entità chiamata coro femminile, ponendo attenzione alle successive evoluzioni storiche e le relative composizioni dei brani per questo tipo di realtà corale, al fine di ottimizzare la scelta del repertorio da eseguire. Sostanzialmente si tratta di scoprire la “culla” che storicamente ha accolto il coro femminile, di cercare gli elementi interpretativi che costituiscono l’humus prezioso in cui ha vissuto e vive tuttora questa realtà corale. Ogni formazione corale tende poi, nella sua storia, a prediligere un periodo storico che magari lo affascina di più, o che semplicemente ritiene, ai fini dell’interpretazione, più consono alla propria capacità e preparazione vocale, fino a

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specializzarsi in quel determinato repertorio. Nella mia esperienza, pur avendo affrontato generi musicali diversi, per studio ma anche per divertimento, devo constatare che solo attraverso il repertorio romantico il coro è riuscito a tracciare i veri profili e la vera natura del coro femminile, trovandosi a proprio agio sia dal punto di vista vocale sia da quello della naturale dinamica espressiva che lo stile romantico offre. Talvolta la scelta del repertorio può essere un problema per il coro femminile, nel senso che la produzione di composizioni per questo genere di coro è sicuramente minore rispetto a quella per coro misto o virile. Andando indietro nel tempo basta infatti dare un rapido sguardo alla produzione corale di Franz Schubert per cogliere l’assoluta preponderanza di brani per coro maschile rispetto all’esiguo numero di brani per coro misto – una decina in tutto – per lo più di contenuto sacro-celebrativo. Per quanto concerne i brani scritti per voci femminili, essi si limitano addirittura a quattro. Da qui si capisce che, pur avendo una discreta produzione di composizioni di liederistica di vari autori, per lo più romantici, le composizioni per coro femminile sono quantitativamente minori. Il coro femminile, classificato come coro a voci pari, in genere si presenta con un organico suddiviso a tre o quattro voci in: soprani, mezzosoprani, contralti oppure soprani I, soprani II, alti I, alti II. Nella divisione delle sezioni è importante che la scelta degli elementi che la compongono avvenga sì in base all’estensione vocale del singolo cantore, ma soprattutto considerando attentamente il timbro della voce, elemento fortemente caratterizzante la sezione alla quale verrà affidata la linea melodica. Il coro femminile, poi, richiede delle caratteristiche specifiche riguardo la timbrica e l’estensione vocale, molto diverse rispetto alle sezioni corali miste o virili. Prendiamo in esame, per esempio, le differenze del contralto nel coro misto e il contralto nel coro femminile. Nel primo

caso il contralto si identifica di più in un mezzo-soprano, sia per l’estensione che va dal sol-la3 al re-mi5, sia per il colore timbrico generalmente più chiaro; nel secondo caso il contralto offre un colore più scuro, un’emissione profonda, e deve generare suoni di un determinato spessore anche molto gravi come il mi o il re3, che ascendono poi fino al mi5. Ne sono dimostrazione alcune pagine di J.G. Rheinberger come Im Erdenraum oppure in Die alte Tanne, dove il contralto deve affrontare i mi-mib garantendo pienezza di suono arricchito di armonici: queste note costituiscono il “pedale” sul quale si appoggiano verticalmente i suoni delle altre sezioni, un po’ come avviene nel coro virile o misto con la sezione dei bassi, o addirittura, strumentalmente parlando, con il “bordone” dell’organo. Stessa cosa vale per il soprano. Le partiture richiedono un’estensione ampia e l’esecuzione nitida di note molto acute come il fa5-sol5-la5 in modo costante. Ne è esempio Gott in der Natur di Franz Schubert, dove viene richiesto un notevole impegno, sia ai soprani II che ai soprani I, nel registro acuto, con un’ascesa fino al do6. A differenza del coro virile, che esegue le partiture all’ottava inferiore, per formazione vocale naturale, il coro femminile emerge con una linea melodica costruita su suoni di giusta altezza. Suoni chiari, bianchi, che se non impostati bene, potrebbero risultare taglienti e o addirittura fastidiosi all’orecchio dell’ascoltatore. Più evidenti, tanto da attirarne l’attenzione, sono classicamente i suoni acuti che, se non vengono emessi in modo nitido e curati, possono creare i classici battimenti all’interno della sezione, e quindi risultare sgradevoli a chi ascolta. Inizialmente cantare nel coro femminile, per chi è reduce da una esperienza nella formazione mista, dà una sensazione di vuoto… di essere allo scoperto… si percepisce la mancanza di

Per ottimizzare la scelta del repertorio, si tratta di scoprire la “culla” che storicamente ha accolto il coro femminile. quello schermo, quasi protettivo, che la forza della voce maschile offre producendo i suoni all’ottava inferiore. Se il coro maschile e quello misto si riconoscono per il notevole impatto sonoro dai volumi importanti, quello femminile non è da meno. Basti pensare alle composizioni di straordinaria ampiezza a sei, otto e dieci voci del lettone Veljo Tormis, dell’ungherese Lajos Bardos, del tedesco Robert Schumann e di tanti altri, in cui la raffinata ricerca della dinamica viene portata all’estremo. Tutto ciò è esempio di come il coro femminile sia in grado di eseguire pagine corali di grande valore interpretativo e di straordinaria intensità sonora, tanto

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quanto i cori misti o virili. Anzi, riesce a esprimere passionalità intensa e sentimenti intimi e delicati. E poi, come tutte le formazioni corali, anche quella femminile presenta le sue difficoltà. Quando le coriste diventano mamme, ad esempio. Ovviamente devono congedarsi per un periodo più o meno lungo e di ciò il coro risente non poco. La loro assenza crea un vuoto tale da impedire il raggiungimento di quella completezza sonora necessaria al fine di ottenere al massimo la produzione dei suoni armonici (problema, questo, decisamente più risolvibile nei cori misti). Ciò accade soprattutto nei cori dall’organico più ristretto, dove ogni voce è come un tasto del pianoforte: se viene a mancare… mancano gli armonici. Se poi tre o quattro coriste rimangono incinte nello stesso anno (caso a noi capitato!) ci si trova veramente in difficoltà. Nel prosieguo si aggiungono assenze più frequenti dalle prove di coro perché la corista donna è mamma al 100%, dovendosi assumere responsabilità maggiori, rispetto alla figura maschile, nell’accudire i figli, nel seguire la loro crescita ecc. Se il bimbo sta male e ha la febbre… la mamma sta a casa! Se il figlio deve studiare e non ha terminato i compiti… la mamma sta a casa! E poi la mamma velocemente deve preparare la cena prima di venire alle prove, magari accompagnare a casa il genitore anziano o bisognoso di cure; la mamma fa da taxi per portare e prendere i figli dagli allenamenti sportivi, e così via. E forse alle nove o nove e mezzo riesce a raggiungere la sede del coro… magari incassando pure il rimprovero del direttore di coro che sottolinea il suo ritardo. È naturale e forse inevitabile che la donna abbia questo ruolo fondamentale nel nucleo familiare, ma tutto ciò chiede alla corista mamma grandi sacrifici per poter continuare a partecipare all’attività corale. Lodevole, quindi, e degno di plauso quell’impegno che tante coriste mamme si assumono con grande sforzo per amore della musica. A seguito di questi problemi, sicuramente il coro femminile è più penalizzato rispetto ad altre formazioni, e spesso è costretto a rinunciare a trasferte per partecipare a concerti o a concorsi. Infatti, se più di qualche corista si trova in difficoltà per motivi di lavoro, famiglia o figli, il coro non può esibirsi causa parte dell’organico assente. Ciò riguarda sicuramente quei cori femminili amatoriali formati da donne di età media, con l’organico stabile e collaudato, nel quale è difficile un rimpiazzo in quanto la fusione e l’intesa tra le coriste ottenuta negli anni hanno caratterizzato e determinato il complesso. Ovviamente cori femminili dall’organico più numeroso composto da quaranta-cinquanta elementi, come le splendide formazioni che provengono dall’est (Lettonia, Lituana, Ungheria, Finlandia ecc.), o cori femminili dalle voci giovanili, magari sorti all’interno di scuole di musica dove è garantito un ricambio e/o un potenziamento numerico, non hanno questo tipo di problema da affrontare. Per concludere… penso che questo genere tutto al femminile nasconda una bellezza raffinata e intima, legata a quell’affascinante epoca chiamata Biedermeier. Epoca in cui nell’ambito di circoli ristretti avveniva l’esecuzione di buona parte della musica di Franz Schubert, affidata a piccoli organici (come i nostri cori femminili!?…) e al di fuori dell’ufficialità delle sale da concerto. Proviamo a immaginare casa Fröhlich, dall’atmosfera cordiale e intima, dove Anna, la maggiore di quattro sorelle, pianista, concertista e insegnante di canto presso il Conservatorio della Società degli Amici di Musica di Vienna, accoglieva nel suo salotto artisti, poeti, musicisti tra i quali anche Schubert, ormai ben conosciuto nei circoli borghesi e artistici per i suoi Lieder e la sua musica da camera. Guardiamo da lontano quella scuola di canto organizzata da Anna Fröhlich, dove lei si prefiggeva di dare l’educazione musicale, e dove presentava la musica corale in concerti e serate musicali in cui le sue alunne avevano raggiunto un notevole livello qualitativo, anche grazie alle composizioni di Schubert scritte per loro. Oppure… facciamoci trasportare in un luogo dall’atmosfera più mistica e religiosa, pensando a Felix Mendelssohn, quando in uno dei suoi viaggi in Italia compose dei Mottetti (op. 39) ispirandosi al canto eseguito da alcune monache, quelle monache dalle voci dolci, tenere e commoventi, abituate a cantare il responsorio. Quelle donne che non è concesso vedere… Questo è il coro femminile.

Questo genere tutto al femminile nasconde una bellezza raffinata e intima, legata a quell’affascinante epoca chiamata Biedermeier.

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dar voce alle pagine

secoli di repertorio per coro femminile di Franca Floris direttore del complesso vocale di nuoro

Basandomi sulla mia esperienza di direttore di un coro a voci miste che ha lavorato e continua a lavorare anche con le sezioni separate, proverò a suggerire, a chi si occupa di istruire un coro femminile, come affrontare la scelta di un repertorio. È evidente che prima di allestire un qualsivoglia repertorio, sia esso popolare, colto, sacro, profano, gregoriano, pop, il direttore deve conoscere le possibilità tecniche del proprio gruppo e mettere in atto tutte le strategie in suo possesso per migliorare questo aspetto di basilare importanza, poiché il coro, qualunque sia il repertorio, deve essere sempre in grado di mantenere una buona intonazione e le coriste in possesso di un sicuro e consapevole controllo della propria voce. Ho pensato di analizzare in modo molto veloce, sicuramente non esaustivo ma, spero, non superficiale, alcuni periodi e generi che meglio conosco: il canto gregoriano, la prepolifonia e la polifonia medievale, il mottetto, il madrigale e altre forme profane, il Lied romantico, il Novecento e il XXI secolo. Il canto gregoriano Molto adatto per l’inizio di una prova, capace di permettere al coro un legato utile non solo all’esecuzione del repertorio gregoriano stesso ma anche per tutta la musica corale in generale. Antifone, salmi, graduali, alleluia tratti dal Graduale Triplex o da altre raccolte, aiutano a risolvere problemi d’intonazione, particolari difficoltà tecniche vocali e tornare utili per l’allestimento di un programma che abbia come tema il Natale, la Pasqua, la Settimana di Passione, la Risurrezione, la figura della Madonna solo per fare qualche esempio. Ancora, sapientemente alternati a mottetti rinascimentali e contemporanei, sono capaci di creare una affascinante atmosfera sonora e concedono un po’ di tregua all’organo vocale che spesso lavora su tessiture o troppo acute o troppo gravi. Reincontrarsi in un unisono corale durante concerti di grande impegno vocale fa bene a chi canta, in primo luogo, ma anche a chi ascolta. Interessante ho trovato lo studio e l’esecuzione di brani tratti da raccolte quali il Codex “Las Huelgas” che offre esempi di conductus e mottetti di grande cantabilità talvolta di non facile esecuzione vocale e ritmica ma molto coinvolgenti e stimolanti per la compagine corale; penso a un Victimae paschali laudes che alterna versetti

della sequenza in canto piano ad altri nei quali alla melodia conosciuta (quindi un buon punto di partenza) viene contrapposta una seconda voce; al Salve sancta parens, mottetto politestuale di semplice esecuzione ma di sicuro effetto, al più complesso conductus Mater patris et filia. Oltre al citato Las Huelgas, il Codex Calixtinus, quello di Bamberg, il Llibre Vermell di Monserrat, le composizioni di Hildegarda von Bingen e i codici manoscritti che si trovano nelle raccolte delle nostre chiese e biblioteche contengono tropi, sequenze, conductus, rondellus che opportunamente scelti in base alle possibilità del proprio coro, possono essere felicemente inseriti nel repertorio di un coro femminile. Canto sacro rinascimentale e barocco Si potrà obiettare che tutto questo repertorio non andrebbe eseguito dagli ensemble femminili visto che, come è noto, le voci femminili non facevano parte dei cori. Ma per un gruppo polifonico femminile, come d’altronde per un coro a voci miste, rinunciare a un patrimonio di tale portata e bellezza per non urtare la sensibilità filologica (sacrosanta, ben inteso!) di alcuni sarebbe un delitto. I direttori conoscono le difficoltà che l’esecuzione al femminile del mottetto rinascimentale presenta, i limiti vocali dovuti all’insistere su suoni in zone di passaggio di registro sia per i soprani che per i contralti, ma la duttilità della voce umana ci consente di sperimentare, metterci alla prova e se lo studio è serio e meticoloso i risultati e le soddifazioni non mancheranno. Non c’è che l’imbarazzo della scelta! Già, ma è proprio la scelta che spesso è difficile fare, vuoi per la vastità del repertorio sacro di quei secoli, vuoi per la quantità di tempo che occorre per effettuarne una adeguata alle possibilità del gruppo. Riproporre brani già sentiti nei concerti o nelle raccolte discografiche ci appare allora quasi come unica soluzione. Quanta bella musica musica si può ancora scoprire dedicando un pò del nostro tempo alla lettura di brani non solo di autori noti quali Palestrina, di Lasso, da Victoria ma anche meno noti, e quanta soddisfazione a eseguire magari per la prima volta in epoca moderna un mottetto destinato altrimenti a rimanere inascoltato!

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La scelta, lo studio e l’esecuzione di una composizione di cui non abbiamo sentito esecuzioni dal vivo o registrazioni discografiche è un lavoro lungo e coraggioso ma anche stimolante e non mancherà di procurare una certa soddifazione nel direttore e nelle coriste. I Bicinia di Orlando di Lasso, solo per citare un autore noto, costituiscono un buon punto di partenza per un coro che si voglia accostare gradualmente alla polifonia antica sia sacra che profana e il loro valore musicale non si limita a soddisfare le esigenze pedagogiche per cui furono composti. Anche la polifonia profana rinascimentale offre diversi esempi di brani corali eseguibili dai gruppi femminili: chansons, villanelle, canzonette, madrigali che si possono e si devono studiare; il fatto che gli organici di allora fossero di solisti professionisti e ben preparati non ci deve far sentire inadeguati: perché non regalarci la gioia di cantare un madrigale o una canzonetta? Allora via a cercare tra le numerose antologie esistenti in commercio, domandare alle biblioteche dei cori amici o che fanno riferimento alle sedi regionali corali, oppure navigare su internet: siti quali cpdl e Petrucci Library presentano un’interessante scelta di brani sacri e profani per ogni formazione corale: a 2 soprani, per soprano e contralto, 3 soprani, 2 soprani e un contralto fino alla formazione “classica” che divide il coro in due parti di soprano e due di contralto.

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Brani di Palestrina, Aichinger, Morley, Festa, di Lasso, da Victoria, Telemann, Monteverdi, Guerrero, Bellasio e tanti altri autori dei secoli d’oro della polifonia sono a disposizione di tutti i cori che non si vogliono limitare a eseguire i soliti brani già sentiti. I due maggiori siti internet che conosco e nei quali siano consultabili una grande quantità di brani corali sono cpdl e Petrucci Library: nel sito Petrucci abbiamo a disposizione le edizioni in commercio o fuori commercio e sembra di sfogliare i libri, le antologie musicali come se fossimo seduti in biblioteca. In cpdl, ricchissimo sito corale, consiglio di prestare l’attenzione dovuta perchè talvolta le trascrizioni presentano qualche imprecisione rispetto alle edizioni originali, ma vale la pena utilizzare questa straordinaria risorsa. Numerosi esempi di polifonia sacra e profana del XV-XVI e XVII secolo con le trascrizioni per voci femminili assolitamente affidabili dal punto di vista filologico si possono trovare sulla Cartellina (e negli interessanti Quaderni della Cartellina curati da insigni musicologi quali G. Acciai), rivista italiana di canto corale che offre anche suggerimenti per una esecuzione il più possibile fedele (consultare le edizioni passate fin dal 1983!). Un ultimo suggerimento che mi permetto di dare a chi si occupa di guidare un coro femminile è quello di non saltare a piè pari questi secoli perchè con il fatto che

Provarli, i brani, non lasciarli lì a rimanere pagine per sempre. «non è stilisticamente corretto» (polifonia sacra), ma «si canta con solisti» (madrigali) e così via si rinuncia a godere di musica straordinaria, di notevole pregio artistico, che allarga le possibilità vocali di un singolo cantore, di un settore e di tutto un coro. Forse è di difficile esecuzione: questo sì è vero! Per chi non se la sente di affrontare un simile repertorio in concerto potrebbe essere interessante anche riservarne il suo uso, almeno per un certo periodo di tempo, esclusivamente a scopo didattico e già questo sarebbe un punto di arrivo (o di partenza?). Anche il secolo XVIII offre interessanti spunti per un concerto con il gruppo femminile; viene subito in mente lo Stabat Mater di Pergolesi che, sebbene scritto per due voci femminili soliste, spesso viene eseguito con un intero coro oppure affindando al coro le parti più corali per definizione quali la fuga finale: una vera soddisfazione per le voci sostenute dagli archi.

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E ricordiamoci anche che tutta la l’opera corale di Vivaldi, anche se scritta per coro misto, veniva eseguita dalle “putte” dell’Ospedale della Pietà di Venezia famose per le loro raffinate esecuzioni. Il Lied romantico Anche il XIX secolo ci offre tanto materiale, facilmente reperibile e di straordinaria varietà e finalmente scritto appositamente per le voci femminili. Il sorgere, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, di accademie corali che riunivano signorine e signore della borghesia molto interessata alle arti in generale e alla musica in particolare, il ritrovarsi nei salotti a declamare poesie, suonare con Schubert, cantare un Lied di Schumann accompagnati al piano magari dalla stessa Clara, o dal giovane Brahms favorì il continuo nascere di brani dedicati a cori femminili; brani popolari di esecuzione mediamente facile ma anche di un certo spessore vocale. Per citare solo i maggiori esponenti di questo periodo vorrei ricordare: – di F. Schubert le splendide composizioni con accompagnamento di pianoforte: Gott ist mein Hirt (Psalm 23); Gott in der Natur; Coronach; Standchen nella seconda versione (la prima è per contralto e coro maschile); – di R. Schumann le Romanzen n. 69-75-91 (acc. di pf ad libitum) piccoli capolavori della letteratura corale; – di J. Brahms: Ave Maria op. 12 con accompagnamento orchestrale o del solo organo; l’opera 17 Vier Gesänge per coro femminile, due corni e un’arpa, che permette anche l’esperienza con un accompagnamento strumentale insolito e di grande impatto sonoro; – ancora l’opera 27 Salmo XIII a tre voci femmili e organo (o pianoforte); – l’opera 37 Drei geistliche Chöre per coro femminile a cappella; – l’opera 44 Zwölfe Lieder und Romanzen per coro femminile con pianoforte ad libitum e infine i Tredici canoni dell’opera 113. Unico ostacolo, facilmente superabile con un po’ di sano esercizio, quello della lingua che se fatto bene, magari con un esperto, aiuterà non poco anche per una corretta emissione vocale. Anche la traduzione letterale del testo diventa indispensabile e deve essere pienamente posseduta affinchè il coro sappia sempre cosa canta e possa quindi partecipare attivamente e non meccanicamente all’interpretazione e alla resa finale del brano. Il XX secolo Anche questo secolo riserva tantissimo materiale specificatamente composto per cori femminili. Operare delle scelte non è cosa facile ma da qualcosa bisogna pur iniziare e dunque suggerisco il nome di alcuni musicisti che hanno dedicato una particolare attenzione alla coralità femminile che in questo secolo si fa più forte e matura grazie all’esperienza dell’Ottocento e al proliferare di associazioni corali che coincidono con l’emancipazione femminile.

Partendo da A. Caplet (1878-1925) autore di una bellissima Messe a trois voix e delle interessanti nonchè pregevoli Inscriptions champêtres per tre soli (s, ms, a) e coro femminile a tre voci raramente eseguite. Di A. Roussel (1869-1937), uno dei più significativi musicisti francesi del primo Novecento, allievo di V. D’Indy e influenzato da C. Debussy, capace di una scrittura molto raffinata e attenta al testo, il Madrigal aux Muses per coro a tre parti su una lirica di G. Bernard. L’opera corale di F. Poulenc (1899-1963) è molto conosciuta, apprezzata ed eseguita; per quanto riguarda il coro femminile ricordo i bellissimi Petites voix per coro di bambini o femminile a tre voci; le Litanies à la Vierge Noire de Rocamadour per coro femminile o di voci bianche e organo (o archi e timpani) e il mottetto a tre voci Ave verum corpus. Dello sfortunato H. Distler (1908-1942), conosciuto soprattutto per la sua produzione corale e per il suicidio compiuto a soli 34 anni per sfuggire alla tragedia della guerra, ricordo il bellissimo Lied vom Winde dai Mörike-Chorliederbuch op. 19, ma interessante sarebbe andare a frugare anche fra la musica sacra di questo sfortunato giovane compositore, nella quale si possono trovare begli esempi di mottetti e pezzi liturgici per coro femminili. Della ricca produzione corale di Z. Kodály (1882-1967) si possono citare i bellissimi Quattro madrigali italiani per coro femminile; le diverse edizioni di Hegyi Éjszkák (Notti di montagna), l’Ave Maria e tutta la produzione didattica dei Bicinia e Tricinia Hungarica dalla quale si può attingere a piene mani (interessante potrebbe essere allestire un programma che metta a confronto i Bicinia e Tricinia di Kodály con quelli rinascimentali già citati di O. di Lasso e altri autori). Non mi soffermo sulla produzione contemporanea d’oltralpe perché, forse con un pizzico di campanilismo del quale non mi vergogno, mi interessa maggiormente la produzione per coro femminile dei compositori italiani contemporanei molto attivi in campo corale: M. Fulgoni (1949), G. Bonato (1961), M. Zuccante (1962), A. Basevi (1957), P. Caraba (1956) solo per citare quelli di cui eseguo chanson, mottetti, brani per coro spazializzato e quant’altro. Abbiamo in Italia tanti altri validissimi compositori anche di ultima generazione e per questo basta soffermarsi con attenzione tra le pagine delle varie antologie messe a disposizione da Feniarco e dalle riviste corali specializzate. Provarli, i brani, non lasciarli lì a rimanere pagine per sempre: dar loro colore, calore, voce, vita!

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popolare al femminile di Edy Mussatti direttore del coro femminile vivavoce

La mia trentennale esperienza nell’ambito del canto corale mi ha portato più volte a confrontarmi con il significato attribuito al concetto di “popolare”. Opinione di alcuni è che si debba intendere come canto popolare il canto esclusivamente legato alla tradizione, cantato spontaneamente nelle versioni, anche a più voci, tramandate oralmente. Personalmente ritengo invece che per canto popolare si possa considerare tutto il variegato repertorio di ispirazione popolare, che comprende elaborazioni/armonizzazioni sui temi popolari o su testi di fonte popolare, composizioni d’autore, composizioni musicali e/o testuali di ispirazione popolare e anche canzonette e brani di musica leggera o del folclore che sono ormai entrati nella memoria collettiva. Ciò a conferma del fatto che la categoria popolare non può essere ancorata a un periodo o a un genere definito a priori, ma ingloba tempi, spazi e caratteristiche variegate che sono in continua trasformazione e che subiscono l’influenza dell’evoluzione del gusto come delle tendenze delle differenti epoche storiche. Fatta questa premessa, tanto con il coro virile La Rupe di Quincinetto (Torino) che ho diretto dal 1982 al 2008, quanto con il coro femminile VivaVoce di Donnas (Aosta) che dirigo dal 2001, ho indirizzato le mie scelte di repertorio popolare verso gli ambiti sopracitati, offrendo alle due

formazioni l’opportunità di affrontare un repertorio molto vario e stimolante. La mia personale esperienza mi ha inoltre dato modo di sperimentare le potenzialità delle differenti sfumature dello strumento coro che, se innegabilmente offre la sua più completa espressione nella formazione mista, permette comunque originali e interessanti interpretazioni anche con le voci pari. Limite alla capacità espressiva della formazione femminile è la minore estensione vocale che quasi impone l’esecuzione prevalentemente a tre voci in considerazione della difficoltà con cui si riescono ad affrontare i canti a quattro voci. Evidentemente tale restrizione condiziona anche le opportunità del repertorio che si presenta, per la formazione femminile, molto circoscritto e difficilmente reperibile. La più contenuta estensione vocale dell’insieme femminile offre forse minori stimoli alla creatività di compositori e armonizzatori che con meno frequenza si impegnano nella produzione di opere destinate esclusivamente a cori femminili. Davvero importante è pertanto il contributo che la regione Valle d’Aosta, da anni, dà alla coralità e alla musica popolare destinando risorse considerevoli al recupero e all’armonizzazione di canti della tradizione. È stato questo l’impulso che ha prodotto raccolte con armonizzazioni di valenti musicisti tra i quali Paolo Bon, Angelo

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Mazza, Armando Franceschini, Sergio Gianzini che, oltre ad arricchire e valorizzare il repertorio corale, hanno riportato alla luce piccoli capolavori in lingua francese, in patois (dialetto francoprovenzale) e in tisch (dialetto Walser della Valle di Gressoney), testimoni del folclore valdostano. In merito invece alle difficoltà di apprendimento dei canti composti per formazione femminile non credo che sia possibile individuare differenze rispetto alle altre formazioni, se si esclude la maggiore rapidità di assimilazione data dal numero inferiore di voci in partitura. Infatti nella maggior parte delle realtà corali – e la nostra non fa eccezione – il lavoro di apprendimento è affidato soprattutto all’imitazione da parte del/della corista di ciò che il direttore propone. Tale fase è uno stadio fondamentale soprattutto per i gruppi che hanno ancora poca esperienza e per i quali è necessario dedicare particolare attenzione al momento di imprinting, durante il quale il direttore deve utilizzare il suo talento per suggerire, con modalità accessibili ai differenti livelli di abilità vocale raggiunta, un corretto uso della voce oltre che un chiaro e

Negli anni di collaborazione con il VivaVoce ho potuto verificare come prerogativa di questo coro sia quella di imparare autonomamente brani di carattere popolare che, per particolare passione di alcune coriste, vengono cantati anche a più voci con armonizzazioni spontanee. Così accade che, durante i momenti di festa, di intrattenimento e soprattutto dopo i concerti, canti, che variano dalla canzone più folkloristica tramandata dagli anziani, alle più recenti e note canzonette della musica leggera, sgorghino come una spontanea dimostrazione di espressione musicale che accomuna, avvicina e crea un inconsapevole collante tra gli appassionati del canto. Ulteriore conferma, questa, di quanto il cantare sia genuina espressione, emotiva e istintiva manifestazione dei sentimenti che accompagnano i momenti di gioia come di dolore. Provo sinceramente profonda emozione nelle situazioni in cui si canta spontaneamente, in quanto in quei momenti si avverte con forza come i suoni e la musica siano innati nelle persone ed esprimano un puro bisogno emotivo.

Il processo imitativo è proprio di tutta la musica popolare, che giunge a noi con testi e musiche tramandati nel tempo attraverso il mezzo dell’oralità. coerente senso interpretativo del testo e della musica. Imparare solo per imitazione è un metodo valido che può permettere ai coristi di cantare bene soprattutto se, come ho spiegato prima, il direttore svolge con cura e talento il lavoro e la proposta di esempi da imitare e che dà particolare soddisfazione nelle formazioni femminili, per la prontezza e la rapidità di assimilazione che caratterizza generalmente le donne. Per contro, l’imitazione rimane un metodo molto lento che non permette di rinnovare velocemente il repertorio con nuovi canti; si spiega così perché spesso nei concerti corali si sentano i soliti brani, che spesso portano a identificare una formazione con i canti che usualmente propone. Evidentemente se ogni corista imparasse a leggere la musica – indifferentemente con il metodo tradizionale o con il metodo del do mobile – avvantaggerebbe tanto il direttore quanto il coro, che potrebbe rinnovare con maggiore frequenza il repertorio e approcciare brani più interessanti e impegnativi. Non dimentichiamo però che il processo imitativo è proprio di tutta la musica popolare, che giunge a noi con testi e musiche tramandati nel tempo attraverso il mezzo dell’oralità, e in esso si racchiude tutto il valore e la forza del canto popolare: quando l’uomo interiorizza, memorizza e in seguito tramanda un canto significa che ciò ha un grande valore per l’uomo stesso e risponde a un suo profondo bisogno emotivo.

In merito al recupero del patrimonio musicale spontaneo che caratterizza la nostra cultura è inoltre da segnalare un interessante lavoro che il coro VivaVoce ha realizzato con la collaborazione di alcuni anziani cantori di Vert e Donnas (comuni della parte più a valle della regione), coadiuvati dalla professoressa Marinella Viola, che ne ha curato la ricerca e la pubblicazione. Si tratta della raccolta intitolata Le Chansonnier de la mémoire in cui compaiono canti della tradizione locale che comprende chansons strophiques in lingua francese, in patois e anche in piemontese. Tale opera, corredata da una registrazione delle voci che ripropongono con emozione i “canti della memoria”, è una testimonianza del prezioso lavoro di recupero e di divulgazione che i cori possono fare per contribuire alla riscoperta del repertorio e della cultura popolare che anziani cantori ancora custodiscono intatta e che è importante salvaguardare per non cancellarne la memoria. In conclusione, la musica popolare è un ambito variegato e in continua modificazione al quale è opportuno guardare per offrire, anche ai cori femminili, uno strumento di intatta forza espressiva, che permetta di riscoprire le nostre radici musicali, di esplorare nuovi orizzonti vocali e di condividere il divertimento e le emozioni profonde che si creano cantando in coro.

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il perché di un coro gregoriano femminile di Nino Albarosa direttore del mediae aetatis sodalicium e docente al pontificio istituto di musica sacra

non costituiscano più problema. La monodia non ha sesso. Si ricorda per di più come gli stessi monaci di Solesmes, campioni della prima restaurazione gregoriana a partire dalla metà del sec. XIX, abbiano registrato dischi, dico dischi, già nel passato, quindi, con gruppi monastici femminili. Ripetiamo quindi che il problema non esiste più come dato di fatto, malgrado la tradizione in Spagna resista e i cori femminili siano veramente pochi. In Italia invece, se non sovrabbondano non è più per pregiudizio ma per crescita obiettivamente lenta. Cori femminili sono segnalati anche in Francia, in Germania, in Polonia, in Slovacchia.

L’amico direttore di Choraliter Sandro Bergamo mi interroga sul perché il coro Mediae Aetatis Sodalicium, che ho l’onore di dirigere, sia femminile, se cioè ci sia un motivo particolare nella scelta vocale. Cercherò di rispondere. Innanzitutto molti sono i pregiudizi da superare, anche se oggi, pur se non sempre e non dappertutto, essi sono meno forti di un tempo. Il canto gregoriano veniva considerato al maschile, soprattutto per monaci quindi, cui è demandato il compito di cantare l’ufficio e la messa. Per monaci, quindi, ma non per le stesse monache. Malgrado in nessun antico manoscritto ci siano indicazioni di sesso, è pur vero che le biblioteche da cui le fonti derivano siano legate ad abbazie maschili. Esistono tuttavia ormai studi sul canto femminile nei monasteri del Medioevo; e, d’altra parte, come si poteva pensare che le donne non cantassero? Hildegard von Bingen, ad esempio, sia pur punta di diamante di gregoriano tardivo composto da una donna, non è certo spuntata dal nulla, dall’oggi al domani, ma rappresenta la sicura realtà di una tradizione pregressa. In tempi più vicini a noi, è noto come in San Pietro in Vaticano (e altrove) la cappella escludesse (ed escluda) le donne, storicamente sostituite dai pueri; ma oggi nessuno ha da protestare se, nelle chiese oppure fuori, le voci infantili vengano sostituite da quelle femminili. Non c’è nessun tradimento stilistico. Nulla quindi da obiettare se i gruppi gregoriani femminili

Quanto a chi scrive, il pregiudizio non è mai esistito, e il mio inizio quale direttore è avvenuto con un coro misto. Questa è stata però una esperienza non positiva, malgrado le persone e le voci. Il motivo è presto detto, i due timbri mal si confanno nel canto monodico. Raramente l’intonazione rimaneva di buona fattura; difficilmente un brano veniva concluso sulla giusta nota; e ciò, malgrado il fermo convincimento di qualche collega tedesco che sostiene invece la sostenibilità dei due timbri assieme. A mio avviso non è vero; l’urto timbrico è molto sgradevole. Per questo, dopo un certo tempo d’esperienza con il coro misto, ho deciso di separare i gruppi, tenendo il maschile e affidando il femminile a una collega gregorianista. Con il tempo tuttavia il mio gruppo, il maschile, malgrado la buona volontà e la preparazione di alcuni cantori, si è sciolto; così per qualche tempo sono rimasto senza un coro. Finché una mia diletta allieva di Bologna, la dottoressa Bruna Caruso, non mi venne a casa con l’idea di un coro femminile bolognese, da lei recentemente fondato, e offrendomi la direzione. Ho accettato in via sperimentale, ma l’accettazione si è rivelata felice. Fondato nel 1991, il nuovo coro, dal nome Mediae Aetatis Sodalicium, è andato felicemente avanti senza crisi e senza rischi. Per di più mi sono assuefatto alla voce femminile, non sentendo più l’esigenza di una diversa esperienza. Quale il motivo: la constatazione sul campo della flessibilità della vocalità specifica; soprattutto nei brani più difficoltosi, ricchi di melismi, come i Graduali, in cui la voce femminile è in grado di aprirsi a ventaglio, di essere ben elastica, di avventurarsi con ottimo senso dell’estetica nelle volute tipiche di quello stile

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che sono rimasto impressionato, a distanza di anni, dalla duttilità anche della voce maschile. Fenomeno strano anche per me: fenomeno che si è verificato, malgrado i gruppi fossero due e in due luoghi totalmente differenti: una volta ai corsi internazionali di Cremona, una volta con un coro di allievi bolognesi. Penso sia dipeso anche dalla esperienza accumulata negli anni, dalla capacità di render fuse le voci, di trasmettere duttilità espressiva. Devo comunque dire, che, pur nel timbro proprio della voce maschile, ho trovato pieno, quasi incredibile agio nel sentire mie anche quelle voci. Le possibilità espressive rimangono certamente differenti, ma possono svilupparsi in grado eccellente.

melismatico. E non solo il coro, ma anche le soliste, con il melisma duttile e ben intonato, con le belle articolazioni che testo e canto esigono. Ho avuto e ho eccellenti soliste, dalla voce educata, che assieme a eccellenti coriste completano il timbro generale di un brano e del coro. In un tal senso, la voce femminile, se coltivata e ben impostata può compiere cose veramente egregie. Quanto a me, quindi, l’assuefazione alla voce femminile è avvenuta per progressiva stima e, in qualche modo, compiacimento. Cosa naturalmente fondamentale, nell’uso della voce non bisogna dimenticare il carattere particolare del canto gregoriano, nato per la liturgia. Nel condurre, quindi, bisogna operare comunque quel controllo, grazie al quale la vocalità, pur se piena, non deve evidentemente “sforare” in espressività straniere Con il coro Mediae Aetatis Sodalicium ho così vissuto, e vivo ancora, momenti alti in Italia, in Europa e in qualche paese asiatico come il Giappone, e ho potuto giungere primo in concorsi internazionali, come ad esempio quello di Arezzo nel 2005.

Penso di poter rispondere alla domanda dell’amico Bergamo. È vero che la mia scelta del timbro femminile è avvenuta in pieno convincimento e con il mio coro Mediae Aetatis Sodalicium ho avuto conferma della scelta stessa. Ma oggi, pur essendo per me cosa ormai inverosimile, potrei agire in libertà e positività anche con un gruppo maschile. Insomma, l’odierna epoca, grazie anche alle esperienze e agli sviluppi internazionali, rende il canto gregoriano ben accessibile ai due timbri. Superato un certo spirito storico, sia pur glorioso; giunti, si può dire, nella fase della globalizzazione; giunti così a un “nuovo” gregoriano, pur intatto del suo spirito e nel suo significato secolare, non è più questione di donne o di uomini, ma di capacità di cavare da quelle splendide melodie tutta l’attualità di cui sono pervase per innalzare lo spirito dell’uomo.

La voce femminile è in grado di aprirsi a ventaglio, di essere ben elastica, di avventurarsi con ottimo senso dell’estetica nelle volute tipiche di quello stile melismatico.

Ciononostante, l’esperienza didattica mi ha condotto, negli ultimi tempi, a dover esercitare cori maschili. Avevo sempre evitato di farlo, anche per esercizio, finché non ho potuto sottrarmi. Erano anni che la cosa non mi accadeva. Ricordavo le esperienze non certamente negative, tuttavia non pari all’esperienza con le altre voci. Eppure, devo dire,

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alla ricerca di sonorità inedite intervista a Jonathan Rathbone a cura di Leonardo Di Pierro musicologo

Abbiamo posto alcune domande a Jonathan Rathbone, presente in Friuli Venezia Giulia per coordinare e dirigere alcuni cori giovanili in un repertorio di canti natalizi della tradizione inglese. Le elaborazioni dei brani sono state realizzate

Jonath in collaborazione con il Gruppo vocale Ansibs

dal musicista inglese e i concerti hanno avuto luogo con successo a Pordenone

(27 novembre), Gorizia (28 novembre) e, a conclusione dell’attività, a Londra il 4 dicembre 2010.

Maestro Rathbone, che cosa direbbe a un corista che non conosce le sue elaborazioni? Quali sono le difficoltà che dovrebbe affrontare? Se si tratta di un corista dilettante, non dovrebbe essere preoccupato di unirsi a un coro. Ho molte persone nei miei cori in Inghilterra e chiedo loro perché non siano venute a cantare prima; spesso mi rispondono con sorpresa che non sapevano che un coro fosse attivo vicino a casa. Non è necessario sapere molto prima di iniziare l’attività in un coro. L’importante è iniziare l’attività nel coro “giusto”. Quindi il corista deve valutare se il tipo di repertorio praticato dal coro è conforme ai suoi gusti musicali, deve scegliere il coro in relazione alle proprie inclinazioni, non si deve preoccupare se sia in grado o meno di leggere musica; questa sarà un’abilità che acquisirà durante l’attività corale.

Quali sono state, nella sua formazione, gli autori, le musiche, i gruppi, gli stili che l’hanno maggiormente influenzata? La mia prima educazione musicale è classica. I miei eroi sono stati Bach e Mozart. Da studente sono stato guidato dalla musica di Benjamin Britten. Egli scrisse per la cattedrale di Coventry, dove cantavo come fanciullo cantore, il War Requiem. Britten, che ha spesso scritto musica per complessi giovanili con precisi intenti pedagogici, conosceva il nostro coro e il nostro direttore lo conosceva. Abbiamo cantato la Missa Brevis per voci bianche e organo op. 63, lavoro ricco di interessanti soluzioni armoniche. Successivamente mi sono interessato al jazz. Quando mi sono unito ai Swingle Singers ho avuto la possibilità di studiare le loro elaborazioni jazzistiche e sono entrato in

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parole, quando scrive, ha in mente un preciso ensemble vocale capace di eseguire alla lettera le sue intenzioni? Non sempre. Ho arrangiato un pezzo per un gruppo olandese, senza averli mai incontrati di persona. Ho sentito solo delle loro registrazioni discografiche. Credo comunque che sia meglio per l’arrangiatore conoscere dal vivo il gruppo per il quale lavora, perché così ne capisce istintivamente i lati forti e quelli deboli e può conseguentemente dosare le difficoltà.

contatto con una nuova concezione dell’armonia. Le elaborazioni di Ward Swingle e di Gene Puerling sono state molto importanti nella mia formazione sia in fase di semplice ascolto che in quella di lettura della partitura. I Swingle Singers e altri gruppi hanno dimostrato, con le loro performances, che è possibile eseguire con un insieme di voci tutto ciò che si vuole. Da dove nasce questa idea e quali sono, secondo lei, i compositori e gli elaboratori che hanno pensato per primi a questa possibilità? E soprattutto, perché? Gusto della sfida, ricerca del limite, voglia di divertirsi, e divertire il pubblico, ricerca della bellezza sonora, stupire con il virtuosismo? I Swingle Singers hanno voluto sin dall’inizio “suonare” come uno strumento. Questa concezione proviene dai cantanti jazz venuti prima dei Swingle Singers. Nell’ambito dei Double Six c’erano diversi cantanti jazz, incluso Ward Swingle. Nel loro gruppo imitavano i sassofoni in brevi passaggi vocali, esplorando varie sonorità, come fa il cantante jazz nello stile scat. Usavano diverse sonorità prodotte da diverse combinazioni di consonanti e di vocali. I Double Six, con Ward, hanno incominciato a cantare affrontando arrangiamenti tipo Big Band, e presto erano in grado di imitare tutte le sonorità caratteristiche di tale complesso strumentale. Poi Ward Swingle fondò i Swingle Singers e il gruppo si indirizzò subito verso elaborazioni vocali di musiche di Bach per organo, clavicembalo, orchestra, tentando con successo di imitare le sonorità originali. Ci sono al momento attuale diversi gruppi vocali che cantano imitando gli strumenti. Ognuno cerca di fare qualcosa di nuovo, di proporre nuove idee, di imitare strumenti in modo “inaudito”. Ci sono piatti, percussioni, il basso, si creano effetti speciali. Credo che tutte queste novità dipendano proprio dalla competizione e dalla ricerca di sonorità inedite.

A che livello è necessario essere buoni musicisti, saper leggere le note, avere una conoscenza approfondita della musica vocale in generale e del jazz in particolare per eseguire le sue elaborazioni? Ci sono diversi gruppi e ognuno ha diversi problemi. Il peggior problema che ho incontrato è stato quello di trovare coristi che cantavano solamente la loro parte, senza curarsi di ascoltare le altre. In altre parole non erano consapevoli della funzione della loro nota nel contesto dell’accordo. Questo è un compito del direttore, cioè spiegare e contestualizzare la parte nel tutto, in un continuo lavoro didattico sul corista. Io ho scritto un corso di didattica vocale intitolato Sight - Sing Well in tre volumi, Edizione Peters (2005), dove tratto il problema del do mobile come mezzo di accesso più consapevole alla lettura musicale. Tale metodo semplifica molto le cose, poiché il corista è abituato a chiamare do ogni tonica. Quando c’è da fare la mutazione, in corrispondenza al cambio di tonalità, il nome da dare alle note cambia nella sua testa

Compito del direttore è spiegare e contestualizzare la parte nel tutto.

Quando elabora un pezzo vocale, il livello di difficoltà è proporzionato alle reali capacità esecutive dei coristi? In altre

automaticamente. Se la tonalità cambia il suo cervello sa come chiamare le note che si presentano, perché gli intervalli sono già fissati nella sua memoria in do e quindi si applicano con sicurezza e facilità nelle altre tonalità. Tutto diventa una seconda natura. Come conduce una prova con il coro? Incominciate con i vocalizzi, provate subito l’insieme o a parti separate? La conduzione della prova si svolge con diverse modalità a seconda del coro che ho davanti. Secondo me c’è bisogno di lezioni individuali per la tecnica vocale, poiché in un coro di trenta elementi ci sono trenta diversi problemi vocali. Di solito i cori giovanili iniziano subito cantando, non hanno bisogno di molto esercizio a parti separate. Conta essere strumentisti per cantare le parti che scrive o è sufficiente essere buoni imitatori e avere buon orecchio? Certamente è necessario conoscere le note. Succede qualche volta che ci si entusiasmi per un pezzo, ma senza conoscenza

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Jonathan Rathbone_______ Il maestro Rathbone è uno tra i massimi esponenti del genere chiamato contemporary a cappella, genere che amplia gli orizzonti della musica a cappella spaziando dal vocal pop jazz al folk. Dopo un apprendistato come corista alla Cattedrale di Coventry e una borsa di studio in musica corale al Christ’s College di Cambridge dove ha studiato matematica, ha perfezionato la sua educazione musicale alla Royal Academy of Music con un secondo diploma, specializzandosi in canto e composizione. La carriera compositiva di Jonathan Rathbone comprende opere per teatro, film, radio, concerti e musica sacra. Tra le sue più recenti composizioni ricordiamo: Requiem for a Condemned Man (per due solisti, orchestra e coro) e un’opera per coro a cappella per i Vasari Singers. È stato direttore musicale e arrangiatore per i Swingle Singers dal 1984 al 1996 e ha lavorato con musicisti e orchestre di importanza mondiale (P. Boulez, S. Grappelli, G. Martin). È conosciuto a livello internazionale oltre che in veste di docente anche di cantante, compositore, direttore e arrangiatore. Conduce corsi e ateliers in tutto il mondo ed è membro della Commissione Musicale di European Choral Association – Europa Cantat.

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Choralies

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della lettura musicale non si può fare molta strada. In ogni caso lo strumentista jazz può ritrovare nelle mie elaborazioni vocali parecchie atmosfere sonore e soluzioni armoniche che gli “suonano” familiari; di conseguenza è favorito nell’intonare intervalli o accordi complessi. Maestro Rathbone, ha lavorato recentemente con alcuni cori giovanili del Friuli Venezia Giulia. Cosa pensa del loro livello di preparazione? Mi è piaciuto molto lavorare con questi cori. I loro componenti si sono impegnati tantissimo per dare vita ai concerti che abbiamo tenuto a Pordenone e a Gorizia, inoltre sono in grado

di imparare velocemente e ricordare con facilità le indicazioni del direttore. Sono duttili e pronti anche nell’affrontare repertori diversi. Potete essere soddisfatti del loro livello e non dovete pensare che da noi sia tutto perfetto. Ad esempio nei miei tre cori di Londra cantano parecchi pensionati. Queste persone sono molto appassionate, hanno il tempo per partecipare con continuità ma imparano molto lentamente. La strada da percorrere è sempre quella: coltivare una schola cantorum, educare i giovani e, ancora meglio, i giovanissimi alla musica per assicurare la continuità e un elevato livello di qualità dei cori.

Composizioni corali di Jonathan Rathbone COMPOSIZIONI A Cappella  Absolon, My Son (EP 7741) Corpus Christi Carol (EP 7760) Cradle Song (EP 7740) Hymn to God the Father (ATB) Jesu Dulcis Memoria Magnificat (EP 77018) May Jesus Christ be Praised O Nata Lux (EP 71739) Responses (EP 7742) Running Wild (EP 77100) Sweet was the Song (EP 7937) The Oxen (EP 77009) There is No Rose Three Blake Songs (SSAA) (EP 7938) When Did We See You Hungry?  (EP 72081) Zodiac (Song Cycle) (30 mins) Coro e organo Now the Day is Over (SS) (EP 7802) St Bride’s Service (Magnificat & Nunc Dimmitis) The Lord Bless Your Endeavour The Time of Loves (EP 7752) Coro e orchestra (Cantate e Oratori) Christmas Truce (35 mins) (EP 71991) Echo Down the Years (45 mins) Lord Love-a-Duck (30 mins) (EP 7882) Mr Fezziwig’s Christmas Party (30 mins) (EP 71033) Night of Wonder (20 mins) Requiem for the Condemned Man (55 mins) (EP 71667)

Praise, My Vexed Soul (Three Psalms) (15 mins) (EP 7794) Swithun’s Watery Tale (20 mins) ARRANGIAMENTI A Cappella 2-part Invention in A minor (Bach) 2-part Invention in D minor (Bach) Ah Leave Me Not to Pine Alone (Sullivan) Busy Doing Nothing (van Heusen) Downtown (Hatch) February Song (Groben) Fields of Gold (Sting) Go Down Moses (trad.) Golden Slumbers (trad.) Groovy Kind of Love (Collins) How Deep is the Ocean (Berlin) How High the Moon (Hamilton & Lewis) I Won’t Send Roses (Herman) Jeepers Creepers (Warren) Love of My Life (Mercury) Lullaby of Birdland  My Colouring Book (Bacherach and David) Nobody Knows (trad.) Our Love is Here to Stay (Gershwin) Pick Yourself Up (Fields & Kern) San José (Bacherach and David) Save the Best for Last  Smoke Gets in your Eyes (Harbach & Kern) Stormy Weather (Arlen) Sunny Side of the Street (Fields & McHugh)

Sunrise, Sunset (Bock) When I Dream Collected Arrangements (EP 7810) • Try to Remember • My Funny Valentine • Strawberry Fair • Shule Agra • What good would the moon be? • The Wraggle Taggle Gypsies, O! • Tit Willow Three Folk Songs (EP 77046) • The Oak and the Ash • Swing Low, Sweet Chariot • Nine Hundred Miles Three American Songs (EP 77047) • Red River Vaslley • Polly Wolly Doodle • Steal Away Die Moldau - Vltava (Smetna) (EP 77061) Galway Bay (EP 77034) La Cucaracha (EP 77035) My Love is Like a Red Red Rose (EP 77037) I Wonder as I Wander (EP 7758) She Moved Through the Fair (EP 77052) Sing Lullaby Skye Boat Song (EP 77051) What Child is This (EP 77020) Il presente catalogo non è esaustivo ma comprende i lavori più recenti del maestro Rathbone. Gli eventuali numeri tra parentesi si riferiscono a Peters Edition Publications.

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Vem kan segla förutan vind?

(Chi può navigare senza vento?) di Davide Benetti compositore

Questo è l’ultimo brano del famoso album Around the world - a folk song collection dei Swingle Singers pubblicato nel 1991. Tutti i brani, come il titolo dell’album suggerisce, sono arrangiamenti per formazione corale di melodie folkloristiche provenienti da ogni parte del mondo. Il risultato sonoro di quest’album è molto eterogeneo sia perché le melodie scelte, provenienti da diverse parti del globo, hanno caratteristiche intrinseche nettamente differenti le une dalle altre, sia perché gli arrangiatori sono quattro. Questo significa quattro teste, quattro modi distinti di approcciarsi all’arrangiamento, quattro musicisti di generazioni successive con coinvolgimenti e ruoli specifici all’interno dei Swingle Singers. Ognuno di loro, inoltre, ha dovuto dare a ogni singolo brano un carattere sonoro ben distinto e particolare per non sradicare la melodia dalla sua terra, e permettere così all’ascoltatore di viaggiare virtualmente in parti diverse del mondo a ogni traccia del cd. Tra questi, chi riuscì in modo impeccabile a rendere particolarmente significativo ogni singolo brano, fu Jonathan Rathbone, all’epoca giovane cantante e compositore del gruppo, che arrangiò ben otto dei venti brani presenti nella compilation. Vem kan segla è uno di questi. Si tratta di un’antica e famosa melodia popolare svedese il cui testo con traduzione a fronte è:

Vem kan segla förutan vind? Vem kan ro utan åror? Vem kan skiljas från vännen sin Utan att fälla tårar? Jag kan segla förutan vind, Jag kan ro utan åror. Men ej skiljas från vännen min Utan att fälla tårar.

Chi può navigare senza vento? Chi può remare senza remi? Chi può lasciare un amico, Senza versare una sola lacrima? Posso navigare senza vento, Posso remare senza remi. Ma non posso lasciare un amico, Senza versare una sola lacrima.

Otto versi dei quali i primi quattro sono forme di domanda retorica e i quattro successivi sono la risposta alle domande precedenti. Il testo descrive un ritmo di vita scandito quotidianamente dalla presenza del mare che influenza l’esistenza degli abitanti del luogo. Rathbone ripropone costantemente nell’arrangiamento elementi che richiamano questa realtà. Egli fa sì che il moto incessante delle onde, l’influenza del freddo vento e il remo usato dal pescatore vengano fisicamente tradotti in musica dal compositore. Quest’antica melodia popolare viene ripetuta invariata per due volte: una nei primi quattro versi, l’altra nei successivi. La melodia si sviluppa su una lunghezza di otto battute da 6/8 con un’estensione melodica di un’undicesima: uno slancio rapido di due battute e mezzo verso l’acuto con un importante salto di quinta ascendente al suo interno. La discesa più lenta per ritornare verso la tonica ha all’interno un salto di quinta, questa volta discendente, come a controbilanciare il salto dell’andata.

Ritmicamente è importante rilevare la ripetizione (quattro volte) del ritmo che dà alla melodia un andamento e uno slancio cullante perfettamente in linea con il significato testuale. Prima di tuffarsi nell’analisi vera e propria del brano, è opportuno ricordare che il repertorio dei Swingle Singers

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è fortemente caratterizzato dall’utilizzo di accordi, ritmi e progressioni di tipo jazzistiche. Per questo, anche il modo di comporre e arrangiare di Rathbone vede la presenza costante, per esempio, di accordi di settima, di nona, di undicesima, di accordi alterati e di ritmi “swingati” tipici di questo stile compositivo. La tonalità di Vem Kan Segla, nell’arrangiamento di Rathbone, è re minore, costruito, come vedremo più avanti, su diverse tipologie di scale. La struttura del brano è molto quadrata: – introduzione (A+B) (mis.1-16) – prima strofa (mis.17-24) – intermezzo (A) (mis. 25-32) – seconda strofa (mis. 33-40) – coda finale (mis. 41-45) L’introduzione è un bellissimo quadretto “strumentale” che apre il sipario su un affascinante scenario marittimo della penisola scandinava; strumentale perché le voci in queste prime sedici misure vengono utilizzate a imitazione di un piccolo complesso d’archi. Questa intenzione compositiva la si deduce sia per la tipologia di scrittura utilizzata, sia per il continuo vocalizzo sulle due sillabe “lo-ro” che ricorda, senza dubbio, le arcate di uno strumento, appunto, ad arco. Questa introduzione è divisa in due parti: A (mis. 1-9) e B (mis. 10-16). La parte A è come il preludio di un film girato nei freddi mari del nord Europa che inizia con un’ampia panoramica. Le onde viste da lontano vengono disegnate sulla partitura con un continuo gioco di sali-scendi delle voci.

Per sorreggere armonicamente questo lento ma costante moto ondulatorio, Rathbone utilizza delle cadenze evitate che servono a procurare un senso di “continuum” armonico che non dà la sensazione di arresto o riposo. Ecco allora a misura 5, sulla salita finale di un’onda, una successione armonica II-V-VI (cadenza d’inganno di fa maggiore) che invita l’onda a non fermarsi e a tornare verso il basso. Oppure, a misura 7, la cadenza II-V7-I (sempre di fa maggiore) risolve su un primo grado facendone, però, sentire solo la settima maggiore (mi) cantata dai tenori. Questo gioco di sali-scendi che a volte vede coinvolte tutte le otto voci, a volte solo una (come a voler seguire le fasi dell’onda), viene sapientemente sorretto, fin dall’inizio, dalle sezioni gravi che si muovono in relazione di quinta: mis. 2 bassi e tenori, mis. 3-5 bassi I e II, mis. 7 e 9 bassi I e II. È quindi importante curare la perfetta intonazione di queste quinte che fanno da tappeto sonoro ai movimenti ondulatori delle parti superiori che risulterebbero, altrimenti, di difficile intonazione. Questa prima parte dell’introduzione si conclude con una sostituzione di tritono dell’accordo di settima di dominante di re minore: l’accordo A7 ha come note strutturali la terza (do#, nonché sensibile) e la settima (sol); il suo sostituto inverte il ruolo di queste due note. Si trova, quindi, quell’accordo che ha come terza sol e come settima do# (o reb). Ecco compreso l’accordo di Eb7 di mis. 9 (distante tre toni da A7), qui presente con tanto di nona (fa dei contralti I) e undicesima (la dei soprani), che oltre a permettere al basso la discesa cromatica verso la tonica (mib-re), offre una particolare e diversa sonorità di avvicinamento alla stessa. Nella seconda parte dell’introduzione, l’inquadratura di campo si restringe. Il mare è ora vicinissimo e si possono scorgere quelle piccole, ma più rapide onde mosse dal vento. Ecco allora i soprani e i contralti che, su valori di semicrome, si muovono più rapidamente su gradi congiunti con dinamiche scritte in partitura che aiutano a raffigurare questa nuova scena. Sotto questo movimento “liquido” e perpetuo di semicrome, si muovono le voci maschili su valori più larghi e con il compito, più “terreno”, di creare le armonie di questa pagina. Questo tappeto armonico nel grave si muove però con un proprio ritmo, regolare, ma sfasato rispetto alle altre voci, quasi a evocare un pescatore che dà colpi di remi decisi e regolari in mezzo a questo mare poco mosso. Ecco l’esigenza di pensare le battute 10-13 di bassi e tenori in 3/4 anziché in 6/8.

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Una conferma di cambio di inquadratura tra le due parti dell’introduzione ci è data dal diverso utilizzo della tonalità di re minore nelle due pagine. Nella prima parte (A), infatti, sembra di muoversi in un sistema di tipo modale: re eolio.

Nella seconda parte (B), invece, con la costante comparsa della sensibile, il sistema tonale di re minore è sicuramente affermato. Quest’introduzione si conclude con un interessante doppio pedale sulla dominante la e la sua terza sottostante fa di tre battute (mis. 13-15) cantato da soprani e contralti e seguito dalla cadenza che precede il tema. Anche qui torna, come in tutto il brano, il tema dell’onda. Il pedale non è infatti costruito in modo classico su note fisse, ma sulla costante oscillazione tra queste due note e i congiunti gradi sottostanti. Questa cadenza ci dice, inoltre, che sta per succedere qualcosa: tutte le voci cambiano improvvisamente timbro aprendosi alla vocale “eh”, escluso i bassi che, invece, posano l’archetto per cominciare a pizzicare dolcemente le corde cantando sulle sillabe “do-do”. Il tutto su un’armonia di dominante di re minore che dapprima è senza la sua fondamentale che, poi, compare al basso come mib (vedi tecnica della sostituzione di tritono) e si trasforma, finalmente, in la (vera nota fondamentale dell’accordo). Tutto questo è il segnale che indica che ora la storia può cominciare.

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Il tema (mis. 17-24) per le prime due battute è cantato a una voce sola dai tenori che, nelle due battute successive, si sdoppieranno proseguendolo in un canto per terze con la melodia alla parte più acuta. Nelle ultime quattro battute si aggiungono anche i contralti I e II già suddivisi portando così a quattro il numero delle voci che espongono il tema (la cui linea melodica rimane sempre alla voce più acuta). Questo graduale crescendo di massa sonora intorno al tema evoca un bellissimo effetto di un’unica ondata che si gonfia e sale per poi ridiscendere fino al pianissimo delle battute 23 e 24. Crea, però, anche un passaggio rischioso a cavallo di battuta 20-21 quando la melodia principale passa dai tenori I ai contralti facendo un improvviso salto di registro sull’ottava superiore. Per attutire questo salto e renderlo il più naturale possibile è fondamentale che ci sia un’omogeneità e una compattezza timbrica tra le voci che espongono il tema. Sotto quest’esposizione i bassi continuano il loro dolce pizzicato contribuendo a creare le armonie, mentre i soprani proseguono per quattro battute il moto ondulatorio di semicrome nato nella seconda parte dell’introduzione. Questo fluire di sedicesimi si blocca però a misura 21 con un grido di sofferenza ottenuto grazie a note di valori più ampi e cantato sulla vocale “ah”, mentre il testo affronta, non a caso, il tema dell’abbandono di un amico. Meravigliosamente efficace è la drammaticità di mis. 23-24, quando il testo dice: “…senza versare una sola lacrima?”. In questa battuta le quattro voci che cantano il tema vengono lasciate sole su un pianissimo con un’armonia molto dissonante che crea “scontri” tra le voci (vedi, per esempio, la discesa per seconde dei tenori I e II). Evidente ed efficace è questa catabasi dei tenori e dei contralti II a imitazione delle lacrime che scendono. Un modo funzionale per affrontare queste dissonanze potrebbe essere quello di far cantare singolarmente ogni parte suonando (o facendo cantare ai bassi) le note fondamentali dell’armonia [segnate in rosso nell’esempio seguente], in modo tale che ogni voce consapevolizzi il proprio ruolo armonico al di là delle dissonanze.

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Ecco l’intermezzo strumentale che separa le due strofe del tema. Questa parte è esattamente uguale all’introduzione “A”, a eccezione di uno slancio iniziale dei soprani I verso l’acuto di (mis. 26) che dà maggior drammaticità a questo nuovo incipit di archi. In verità anche l’accordo cadenzale conclusivo è differente: a mis. 9 si trova la prima sostituzione di tritono dell’accordo di settima di dominante; ora, invece, (mis. 32) i bassi cantano un la e quest’accordo torna a essere una “normale” settima di dominante con l’aggiunta della tredicesima (il fa dei contralti I). Questo preannuncia che la parte strumentale sta già per finire e si è pronti per il secondo ingresso del tema. Da battuta 33 a battuta 40 tutte le voci cantano in modo omoritmico gli ultimi quattro versi della poesia. La melodia principale spetta ai soprani mentre alle altre voci spetta il compito di creare le armonie sottostanti. È il momento in cui il testo risponde alle domande retoriche dei primi versi e si può vedere e udire in quest’omoritmia, sostenuta dall’unico forte del brano, un carattere musicale più affermativo rispetto alle pagine precedenti. In queste otto battute ci sono passaggi e scelte armoniche molto interessanti. Innanzitutto spicca immediatamente quel si dei contralti di mis. 33 che apre l’orecchio a un nuovo mondo. L’effetto è molto gradevole e apre improvvisamente a un contesto sonoro diverso; anche se solo per questa battuta, infatti, la scala di riferimento diventa un re dorico.

A metà di battuta 36 si trova l’ennesima sostituzione dell’accordo di tritono della settima di dominante. Sul secondo movimento di battuta 37 compaiono improvvisamente due alterazioni che sembrano voler portare distante. Tuttavia si devono considerare questi 3/8 come facenti parte del mondo di A7 (settima di dominante di re minore), considerando, quindi, il do# come sensibile e l’accordo passeggero con il fa# come sostituzione di tritono C7, quindi F#7b9 (fa#-la#-do#-mi-sol). Come si può notare i due accordi di questo passaggio, F#7b9 e A7b9 (la-do#-misol-sib), cambiando le funzioni armoniche delle singole note,

possono entrambi rientrare nell’ambito sonoro di A7, avendo i tre quarti delle note in comune. Dopo quattro battute di diminuendo, l’episodio si conclude piano su un accordo Dmin7 (mis. 40) dove il basso scende di grado congiunto dalla tonica alla settima lasciando ancora aperto il sipario e facendo strada alla coda finale. Sebbene, in alcune parti, le armonie risultino dissonanti, con continui “scontri” ravvicinati tra le voci (vedi, per esempio, tenori e contralti nel secondo movimento di mis. 38), la maestria compositiva di Rathbone consiste nello scrivere sempre linee melodiche chiare e semplici. Questa coda finale (mis. 41-45), come tutte le parti conclusive ben scritte, riassume gran parte degli ingredienti utilizzati nella composizione. È come un’inquadratura che velocemente si riapre su un orizzonte più vasto. Le voci ritornano a essere degli archi, procedendo omoritmicamente per le prime due battute e utilizzando il ritmo cullante del tema. Un accordo che ricorda la sostituzione di tritono di A7 ma che, in questo caso, è da considerare come secondo grado abbassato di re minore (in quanto il re dei contralti non è bemolle ma bequadro), ricompare a metà di misura 42. L’improvviso e drammatico silenzio delle sezioni maschili a battuta 43 rimanda al pianissimo di battuta 23. Inoltre, quel movimento di onda che parte dalle voci gravi e termina su quelle acute si ritrova alle ultime due battute, questa volta, però, senza ridiscendere e trovando, non a caso, la sua stabilità armonica sulla quinta re-la cantata dai bassi. Infine, quell’apertura timbrica sulla vocale “eh” che aveva caratterizzato la cadenza di misura 16, ritorna sull’accordo conclusivo di re minore accessoriato di undicesima e tredicesima (vedi sol e si nelle due voci più acute).

Rathbone, dunque, per questo arrangiamento, ha utilizzato pochi ingredienti ma ben selezionati. Il loro continuo ritorno, con vesti leggermente differenti e con tempi registici perfetti, assieme all’uso di linee melodiche semplici seppur su armonie a volte complesse, esaltano, amplificano e aderiscono perfettamente allo spirito introspettivo e intimo della poesia. Il risultato finale è un meraviglioso quadretto di tre minuti che riesce perfettamente nell’intento di farci viaggiare nelle lontane e fredde terre svedesi.

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which was the son of

La genealogia di Gesù Cristo secondo Luca (3, 23-38): una lettura musicale di teologia della storia

which di Michele Pozzobon compositore

Non è sempre agevole sottoporre ad analisi le composizioni di Arvo Pärt scritte dopo la pausa di riflessione seguita alla sua esperienza seriale e dodecafonica. Risulta ancor più difficile riportare sulla carta, con parole semplici e di immediata comprensione, il risultato dell’attenta lettura di un suo lavoro. Lo stile tintinnabuli inventato da Pärt e da lui utilizzato nei brani realizzati a partire dal 1976 è semplice e complesso al tempo stesso, frutto di una scrittura musicale estremamente sorvegliata e consequenziale e pur sempre fedele a precise scelte stilistiche, in continuo divenire. Ma chi è Arvo Pärt? Ai più sembrerà una domanda superflua visto che il compositore si è da tempo imposto con autorità sulla scena internazionale. Mi sembra comunque

doveroso fornire su di lui qualche informazione a vantaggio di chi non ha ancora avuto la possibilità di avvicinarlo e di conoscerlo. Arvo Pärt nasce nel 1935 a Paide in Estonia quando il paese gravitava ancora nell’orbita dell’Unione Sovietica. La sua formazione musicale lo porta ad accostare linguaggi tecnici ed estetici ben differenziati: il neoclassicismo di matrice sovietica (Due sonatine, Partita), il serialismo integrale (Perpetuum mobile), la tecnica del collage (Collage uber B-A-C-H, Credo). Essi stanno alla base dei lavori che precedono il periodo di meditazione e di ripensamento spirituale e artistico durante il quale Pärt studierà, con crescente interesse, il canto gregoriano e la polifonia antica, alla ricerca di un linguaggio

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essenziale in grado di comunicare la forza oggettiva ed eloquente del suono. L’intenso studio di quegli anni lo porterà a elaborare, agli inizi degli anni Settanta, un suo personalissimo stile che, come abbiamo già osservato, chiama tintinnabuli. Il nuovo linguaggio sarà alla base di celebri pagine strumentali (Fur Alina, alcune versioni di Fratres, Tabula rasa) e di suggestivi brani vocali (Missa sillabica, Summa…). Nel 1980 Pärt lascia l’Unione Sovietica e si trasferisce con la moglie e i figli prima a Vienna e poi definitivamente a Berlino. In questi anni il compositore vive un periodo molto creativo. Si susseguono lavori importanti che vengono accolti con favore e interesse dal pubblico di tutto il mondo. Brani di ampio respiro come De profundis, Te Deum, Miserere, Stabat Mater, Passio, sono destinati a lasciare una traccia significativa nella storia della musica della seconda metà del Novecento. E proprio l’adozione dello stile tintinnabuli induce Pärt a rivolgere un’attenzione nuova e particolare alla musica vocale. Molto eseguito dai gruppi vocali di tutto il mondo è il Magnificat (1989). Ricche di fascino sono molte altre pagine corali del compositore estone: The Woman with the Alabaster Box (1997), Kanon pokajanen (ampio lavoro, sempre del 1997, articolato in otto parti), Nunc dimittis (2001), solo per citarne alcune. Arvo Pärt è ancora molto attivo e continua a regalarci opere di grande suggestione, fedele sempre a un linguaggio estremamente sorvegliato e rigoroso capace, pur nella coerenza a una scelta stilistica già fatta, di rinnovarsi continuamente in una ricerca appassionata della verità fisica e trascendentale del suono. Prima di accostare Which was the son of, brano vocale che Pärt ha scritto nel 2000 e che sarà oggetto di analisi, mi sembra opportuno spendere due parole sullo stile tintinnabuli che, come abbiamo già ricordato, il compositore mette a punto nella prima metà degli anni Settanta del Novecento e che, a partire dal 1976, informerà i suoi lavori. Per descrivere la sua nuova personale scrittura il compositore ricorre a un termine che abitualmente viene utilizzato per indicare il suono delle campane e che è divenuto l’emblema della sua estetica musicale: tintinnabulo. «La tintinnabolazione – confida il compositore – è ciò in cui posso trovare risposte per la mia vita, per la mia musica, per il mio lavoro. Nelle mie ore più oscure, ho la netta sensazione che tutto ciò che esiste al di fuori di questa sola cosa non abbia alcun significato. Ciò che è complesso e multiforme mi confonde, e io mi sento costretto a cercare l’unità. Che cosa è dunque e come la posso trovare? Tracce di questa perfezione appaiono in molti modi e tutto ciò che non è essenziale viene a cadere. Il tintinnabolo è qualcosa del genere. Mi trovo solo con il silenzio. Ho scoperto che una singola nota, quando risuona nella bellezza, è sufficiente. Quest’unica nota, o una pausa, o un momento di silenzio, questo mi conforta. Io lavoro con pochi elementi, con una, due voci. I materiali sono molto primitivi: una triade, una tonalità specifica. Le tre note di una triade sono come campane. Ecco perché parlo di tintinnabolo». 1 Riportando liberamente le parole di Leopold Brauneiss, musicologo che ha studiato attentamente e definito in modo articolato lo stile tintinnabuli, possiamo dire che le caratteristiche del linguaggio elaborato da Pärt dopo lunghi anni di intensa e sofferta ricerca possono essere così riassunte: – riduzione delle tecniche compositive agli elementi tonali fondamentali fatti di scale e di triadi; – definizione di una nuova frase musicale basata sulla ripartizione delle scale e delle triadi in due linee distinte: da una parte le voci melodiche fondate su frammenti di scale, dall’altra le voci tintinnabuli formate esclusivamente dalle note di una triade; – adozione di un nuovo tipo di cadenza che, entro un determinato arco di tempo, conferisce a ogni singola nota un preciso peso e significato; – elaborazione di un “sistema compositivo altamente formalizzato”, in cui i percorsi melodici e armonici sono determinati da una rete di regole strettamente connesse (una sorta di semplice matematica fondata su singole entità numeriche) che si articolano in una formula strutturale fondamentale. 2

Una singola nota, quando risuona nella bellezza, è sufficiente.

nova et vetera

È tempo di passare ora all’analisi di un significativo brano vocale di Arvo Pärt. Si tratta di Which was the son of, una composizione commissionata al musicista estone per il giovane coro Voci d’Europa, riunito a Reykjavik nel 2000, città eletta – per quell’anno – capitale europea della cultura.3 Il testo utilizzato dal compositore è tratto dal vangelo di Luca. Se alcuni celebri passi dell’evangelista, come il Magnificat e il Nunc dimittis, hanno ispirato compositori di ogni epoca, altrettanto non si può dire del brano che riporta la genealogia di Gesù, e che troviamo all’interno del terzo capitolo del vangelo lucano (3, 23-38). La lunga lista di nomi non deve aver offerto ai musicisti del passato una grande attrattiva. Pärt, invece, in questo arido elenco di nomi ha probabilmente intravisto una straordinaria sintesi della storia della salvezza da poter ritrarre con efficacia attraverso la sua musica. 4 Nella composizione si possono individuare sei sezioni di varia ampiezza.5 A una prima breve parte introduttiva (Larghetto, batt. 1-15), segue una seconda più estesa (Preciso, batt. 16-86), ambedue in una mobile alternanza di tempi semplici (3/4, 4/4, 2/4). Una terza in 9/8 (batt. 87-97) conduce a una quarta parte che riprende con nuovo vigore la parte seconda (batt. 98-127). Una quinta in un prevalente 12/8 (128-148) precede un passaggio fortemente accordale (una sorta di piccola coda in 4/4) che ha il compito di chiudere la composizione sulla parola “Amen” (Largo, batt. 148-150). Questa, in sintesi, l’articolazione interna del brano per il cui testo, come accade in altri lavori biblici, Pärt ricorre alla lingua inglese.6 È inevitabile che l’utilizzo di una lingua piuttosto di un’altra determini, da parte dell’autore, delle particolari scelte musicali, specialmente ritmiche. Pärt è infatti molto attento agli elementi costitutivi del testo, alle sillabe che formano ogni singola parola, alla punteggiatura. Egli parte dalla radicata convinzione che le parole racchiudano già la loro musica e che al compositore spetti soltanto il compito di estrarla. L’adozione di una particolare lingua finisce, quindi, per determinare in modo significativo anche il carattere dell’opera e il suo esito musicale. Se lo stile tintinnabuli è facilmente individuabile in lavori come Fur Alina (1976), Missa Syllabica (1977) e Magnificat (1989) (per citarne solo alcuni), non così agevole è rilevarlo con la medesima evidenza in altre opere del musicista estone e, in particolare, in Which was the son of. In questo singolare brano «gli elementi di base dello stile tintinnabuli – la triade e i movimenti per gradi congiunti – entrano in rapporto tra loro in maniera diversa: la triade tintinnabuli si sviluppa non come nelle [voci tintinnabuli], attraverso la successione orizzontale delle note, ma – come nell’accordo tradizionale – in una sovrapposizione verticale, all’interno della quale, grazie a piccoli cambiamenti di singole note o di coppie di note, prende forma la sequenza sonora».7 La composizione si apre con il passo evangelico che recita: «And Jesus himself began to be about thirty years of age, being as was supposed the son of Joseph».8 Una declamazione ritmicamente rilevata e collocata nel registro centrale (contralti-tenori) si sostanzia in una sequenza di tre

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accordi che danno vita a una struttura cadenzale che riporta all’iniziale accordo di mi minore, punto di partenza di tre nuove sequenze, in uno spazio sonoro discendente nell’impianto tonale sempre di mi minore. Al di sotto e al di sopra, nelle voci di basso e soprano, compaiono singole note tintinnabuli complementari che rilevano le singole vocali del testo sulle quali cade l’accento principale e producono delle dissonanze assai espressive.

Esempio 1

A batt. 16 prende avvio una sorta di formula litanica dal sapore quasi processionale (“which was the son of Heli” […] “which was the son of Levi”, batt. 16-86). La sezione dei bassi scandisce, in serrato dialogo con le rimanenti tre voci, il lungo elenco di nomi che da Gesù porterà poi fino ad Adamo e a Dio. L’organizzazione del testo determina una figurazione ritmica che caratterizzerà gran parte del lavoro e che ha il compito di spingere ogni singola frase verso la chiara e rilevata enunciazione dei nomi che compongono l’albero genealogico. Tale figurazione scaturisce naturalmente dal testo inglese che, a differenza di quello latino, presenta un gran numero di monosillabi. Le pause che separano la linea di canto dei bassi dalla risposta delle tre voci superiori contribuiscono a dare all’eloquio quella significativa sospensione carica di un’oggettiva e metafisica attesa che intercorre fra generazione e generazione. 9

Esempio 2

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Alla nota sequenza di mi minore, che viene successivamente riproposta in un graduale movimento ascendente, ne subentra una analoga trasposta nel luminoso tono di sol maggiore. I nomi sono per la maggior parte bisillabi. Nel caso dei nomi trisillabi o quadrisillabi l’elemento melodico affidato al basso acquista un lieve allungamento, mentre le tre voci superiori rilevano le sillabe con un numero corrispondente di accordi. Alla leggera dilatazione melodica e accordale corrisponde, talvolta, una sorta di efficace innervazione ritmica dovuta alla presenza di sincopi espressive con chiara funzione declamatoria. Singolare, in tal senso, la sincopazione in corrispondenza del nome quadrisillabo “Sa-la-thi-el” (batt. 61) sul quale irrompe una sequenza di due nuovi pregnanti elementi accordali (si bemolle maggiore e fa maggiore, sulla consueta intelaiatura di sol maggiore) che ricomparirà una seconda e ultima volta in presenza di un altro nome trattato come quadrisillabo dall’autore (“El-K-e-zer”, batt. 78). La terza sezione (“which was the son of Simeon […] which was the son of David”, batt. 87-97) ricorre a un nuovo andamento ritmico in 9/8. La partitura presenta ciascuna battuta articolata in tre parti con l’inserimento grafico di linee verticali tratteggiate. In questa indicazione semiografica è possibile ravvisare l’intenzione del compositore di suggerire all’interprete una sottolineatura particolare in corrispondenza della prima delle tre crome di ciascun movimento. 10 Le sequenze accordali mostrano la solita alternanza dei toni di mi minore e di sol maggiore. Tali accordi si dispongono in direzione discendente e danno luogo a mosse linee “sinusoidali” che finiscono per generare una scrittura di tipo polifonico-imitativo.

Esempio 3

In questo frangente è possibile osservare che la frase polifonica non nasce da una linea autonoma rispetto alla successione delle triadi, ma dalla prevalente frantumazione o dalla disposizione orizzontale delle stesse. Nella linea di canto del soprano secondo sembra di poter cogliere, una sorta di scala, per lo più discendente, originata dalla prima nota di ciascuna coppia di accordi disposti in arpeggio (sol, la, sol, fa diesis, mi, re diesis, re; batt. 87-93).

Esempio 4

Altre successioni scalari di suoni sono poi rintracciabili nelle altre voci, riverberazioni del discendente profilo a spirale della melodia del secondo soprano. Come già nella parte introduttiva, anche in questa sezione compaiono delle note tintinnabuli al soprano e al basso. Alle due voci estreme viene affidato il canto, reiterato per l’intero passo, dell’espressione “the son” o della sola parola “son”. Tale canto si rende presente in due sole note isolate che ritornano a intervalli di tempo sempre uguali sopra il fluire delle voci del secondo soprano e del contralto: una sorta di eco che conferisce all’incedere a ritroso nella storia la forza di una profonda e feconda umanità (“the son…”, “the son…”, “son…”). Suggestiva la ripetizione, alla fine dell’episodio (batt. 97-98), del “giro” di sol maggiore dopo quattro cadenze alternate di mi minore e sol maggiore. Esso si distende prima sul quarto grado di sol e poi sulla dominante a rilevare un nome chiave in questo straordinario cammino, “David”, e a preparare, con sapiente movimento decelerante (rarefazione delle voci, vocalizzazione del nome “David” affidata al contralto con lieve sincopazione, chiusura della sezione con sospensive pause cariche di attesa), l’entrata della quarta articolazione. A partire del levare della battuta 98 vi è la ripresa della seconda sezione. La consueta sequenza di accordi di mi minore e del suo relativo maggiore compare alternativamente in tutte le posizioni e questo basta a offrire alla composizione quella varietà di accenti che illumina un testo rigorosamente strutturato. Questa volta il tono di sol maggiore precede quello di mi minore e si distende per un buon tratto, spingendosi fino a metà della battuta 110. Non vi è più l’alternanza tra il basso e le rimanenti tre voci in una spazialità contenuta ma allo stesso tempo differenziata; ora il testo è gravemente declamato dall’intera sezione maschile divisa in cinque voci, con un allargamento dei valori in corrispondenza di ogni singolo nome. Sul levare della battuta

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6a ACCAdeMIA euRopeA

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e cantori

direttori di coro

FANO (pu)

4/11 Settembre 2011

Direttore

Nicole Corti Repertorio francese e inglese del 20o Secolo In collaborazione con Comune dI Fano Coro polIFonICo malatestIano InContro InternazIonale polIFonICo CIttà dI Fano Con il contributo di mInIstero del lavoro, della salute e delle polItIChe soCIalI

Iscrizioni entro il 31 maggio 2011

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106, sempre nella tonalità di sol, l’austero e monotono elenco si arricchisce di piccole ma significative coloriture; le tre voci superiori continuano la consueta ritmica enumerazione delle generazioni mentre i bassi, divisi a due o a tre, pongono in evidenza ogni singolo nome dapprima con una sorta di pedale di sol (fondamentale e quinta della triade) e successivamente sottolineando, con una efficace cadenza, il ritorno al mi minore. Sul levare della battuta 118, in prossimità della parte finale della terza sezione, l’incedere si fa corale (otto voci in omoritmia) con un significativo allargamento della spazialità sonora che raggiunge l’apice in corrispondenza del nome “Abraham” (batt. 122), emblematica sottolineatura lungo il cammino che riporta all’origine prima e definitiva.11 La battuta 128 dà avvio alla quinta sezione che ripropone gli elementi già segnalati nella terza sezione. Questa volta il ritmo è di 12/8 e il tono di mi minore, come era avvenuto nella precedente sezione, è preceduto da quello di sol maggiore. Le voci del tenore e del basso ruotano principalmente attorno al profilo melodico del contralto. Ogni singola triade si scompone dando luogo a due linee variamente intersecanti e sovrapposte che si muovono, come è stato già osservato nell’episodio in 9/8 (batt. 87-97), in modo “sinusoidale”, originate dalle note degli accordi di sol e di mi. Ne scaturisce una sorta di bicinium caratterizzato da una mobilità timbrica e segnato talvolta dalla presenza di espressivi intervalli di quarta eccedente, di quinta diminuita e di settima. Su questa elastica intelaiatura melodica si sovrappongono, alternandosi, in un primissimo momento le voci di contralto e di soprano e poi le sole voci del soprano primo e del soprano secondo a scandire, con incedere declamatoriamente regolare e in una fissità quasi ieratica e solenne, il nome del personaggio, preceduto talvolta dall’espressione “son of” o dalla preposizione “of”. A partire dalla battuta 140, dopo una sospensione non scritta ma certamente suggerita dall’intensificazione del discorso musicale, ricompare la figura ritmica che informa gran parte del brano e che è stata già segnalata in apertura di analisi (vedi es. n. 1). Essa, inserita in un mobile metro (9/8, 6/8, 12/8), ha il compito di sospingere i protagonisti della storia della salvezza verso il motore primo e ultimo di tutte le cose e fornisce all’episodio una nuova spazialità. Il bicinium già incontrato acquista una nuova consistenza polifonica con un incremento del numero delle voci (sei e poi sette). Queste si dispongono a realizzare una sorta di progressione discendente. Il soprano primo si muove su un disegno scalare, anch’esso discendente. Tale disegno viene ripreso in tempi successivi da tutte le voci ed è originato dalla prima nota (preferibilmente la terza seguita dalla quinta e dalla fondamentale dell’accordo) di triadi sciolte: ne scaturisce uno stretto, espressivo ed efficace gioco imitativo (batt. 140-148).

Esempio 5

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L’episodio conduce alle strutture accordali che rilevano il nome del progenitore (“Adam”) e al rallentando finale che si concreta in una cadenza di tipo tradizionale. L’approdo è naturalmente costituito dal mi minore iniziale che pone in piena evidenza il nome di Dio, principio e fine di ogni cosa. Il brano si chiude con la parola “Amen”, non contemplata nel testo biblico (Largo, batt.149-51). Il cambio ritmico (4/4) offre la giusta compattezza e solidità alla pregna accordalità realizzata dalle sei voci che si muovono sul doppio mi dei bassi con una oscillazione di modo (minore-maggiore) che approda fiducioso a un rassicurante e definitivo mi maggiore. La produzione vocale di Arvo Pärt pone alcuni problemi di carattere esecutivo. L’apparente semplicità di scrittura non deve trarre in inganno. Per realizzare un qualsiasi lavoro vocale del compositore estone è necessario affidarsi a cantanti o cantori che hanno maturato una certa familiarità con il repertorio antico. Il suono va emesso con chiarezza e precisione di intonazione senza cedere alla tentazione del vibrato. L’intonazione, in particolare, deve essere curata con grande attenzione. «Quando la triade è ben intonata – scrive Paul Hillier, noto interprete dei brani vocali di Pärt e del repertorio antico e rinascimentale – i suoni che la costituiscono vibrano anche per simpatia e le altezze che non fanno parte della triade […] possono raggiungere il massimo effetto. Generalmente, se le ottave, le quinte e le quarte sono ben intonate, il resto viene da sé». 12 L’oggettiva suggestione e fascinazione della musica di Pärt ha bisogno poi di interagire con l’ambiente all’interno del quale essa viene cantata. Lo spazio acustico finisce quindi per diventare «parte della composizione, o addirittura lo strumento dentro il quale far risuonare la musica»13. Ed è proprio lo stile tintinnabuli a richiedere un ambiente adeguato per essere pienamente inteso. Infatti gli armonici superiori sprigionati dalle triadi «giocano un ruolo importante nel modo di risuonare della musica lì dove essa viene eseguita. Un fenomeno analogo a quello del rintocco delle campane, forma di espressione musicale che non conosce confini e consiste in un flusso di armonici superiori»14. La musica di Pärt, pur palesando una sua implicita e inequivocabile oggettività di scrittura, possiede una sua forza significativa che, in qualche occasione, si impone con l’evidenza della verità. Ciò accade, probabilmente, perché il compositore dà voce al suono avvertito nella sua semplicità, nella sua disarmante essenzialità, nel suo logico e consequenziale rapporto con altri suoni, spogliato di tutte quelle sovrastrutture che talvolta lo soffocano e lo rendono oscuro, inaccessibile, in qualche caso incomprensibile; perché sa utilizzare il suono nelle sue componenti fisico-acustiche naturali; perché sa leggere e trasferire ciò che da sempre è scritto in esperienza sonora reale, concreta, vissuta. È per questo che la musica di Arvo Pärt piace, coinvolge, diviene il prolungamento di una nostra intima dimensione dell’animo, sa innalzare i nostri pensieri e infonde in chi la ascolta e, ancor più, in chi la esegue una inafferrabile nostalgia del trascendente e – in qualche caso – ci riconcilia con la musica del nostro tempo.

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Note 1. La dichiarazione è riportata nelle note al programma di sala stese da Wolfgang Sandner in occasione dell’esecuzione del Passio Domini nostri Jesu Christi secundum Johannem di Arvo Pärt, eseguito da The Hilliard Ensemble presso l’Auditorium C. Pollini di Padova il 28 marzo 1988. 2. Cfr. L. Brauneiss, Un’introduzione allo stile tintinnabuli, in Arvo Pärt allo specchio, a cura di E. Restagno, Il Saggiatore, Milano 2004, pp. 148-49. 3. Il presente lavoro si propone di offrire agli appassionati e cultori di musica vocale un’attenta lettura stilistica e interpretativa del brano di Pärt senza la pretesa di essere esaustivo. Un’approfondita analisi tecnico-stilistica della composizione richiederebbe ben altro impegno e spazio. 4. «È evidente il carattere costruito, quasi artificiale, di questo elenco di nomi: sono 11 serie di 7 nomi, per un totale di 77 nomi. Il sette – numero sacro – è dominante: Davide e Abramo sono ciascuno il 7° nome della loro serie. Gesù può apparire come il 78° nome, o come l’inizio della dodicesima serie, e cioè della dodicesima settimana, l’ultima della storia del mondo». (G. Rossé, Il vangelo di Luca, Città nuova, Roma 2006, p. 139). Non mi sembra che il simbolismo sotteso al passo di Luca trovi una sottolineatura nella struttura e nella musica del brano di Pärt. 5. Nella presente analisi ci si avvale, in alcune occasioni, del contributo di L. Brauneiss, Un’introduzione, cit., pp. 193-96. 6. È probabile che la scelta della lingua inglese sia da mettere in relazione con il carattere programmaticamente sovranazionale del gruppo vocale formato da dieci giovani cantori per ogni singola nazione (età compresa fra i 18 e i 23 anni), provenienti da dieci stati europei. 7. L. Brauneiss, Un’introduzione allo stile tintinnabuli, cit., p.194. 8. «Gesù quando cominciò il suo ministero aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe» (Lc, 3, 23). 9. Il carattere “antifonale” del passo e le pregne sonorità accordali che seguono l’enunciazione melodica dei bassi, infondono all’ampio episodio il carattere di un canto “gospel” ante litteram. 10. Una siffatta organizzazione degli accenti imprimerebbe al passo un interessante e leggero andamento di danza. 11. Il vangelo di Matteo si apre con un’altra celebre genealogia di Gesù (1, 1-16). Essa ha inizio proprio da Abramo, in un percorso inverso rispetto a quella di Luca, che porterà a Giuseppe e Maria e alla nascita di Gesù Cristo. 12. P. Hillier, Osservazioni sulla prassi esecutiva della musica corale di Arvo Pärt, in Arvo Pärt allo specchio, cit., p. 225. Il contributo di Hillier offre altre utili indicazioni sul modo di eseguire le composizioni vocali di Pärt. 13. Ivi, p. 228. 14. E. Mineur Saette, Microcosmo nella cattedrale. Intervista ad Arvo Pärt, in Arvo Pärt allo specchio, cit., p 248.

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Tõnu Kaljuste allo specchio a cura di Andrea Angelini direttore artistico dell’associazione musica ficta e direttore dell’international choral bulletin

Incontro Tõnu Kaljuste in un ristorante di Rimini, ove ceniamo assieme dopo aver trascorso una lunga e intensa giornata al Conservatorio di Cesena. Qui, dal 17 al 19 febbraio, il famoso artista estone ha tenuto un masterclass per cantanti e direttori sulla musica corale di Arvo Pärt. In repertorio c’erano alcuni dei suoi brani più amati come il Magnificat, il Da nobis pacem, il Which was the son of… Gli appassionati a questo repertorio hanno risposto numerosi: il corso ha visto la presenza di 24 partecipanti, provenienti da Italia ma anche da Francia, Germania e Australia. Un concerto finale e la consegna degli attestati sono stati il suggello di questa meravigliosa esperienza voluta dalla direzione del Conservatorio di Cesena e realizzata in collaborazione con l’Associazione Musica Ficta. C’è stata una decisione veramente significativa che ti ha portato a essere il musicista che sei attualmente? A mio parere è stato davvero importante e determinante il fatto di avere dei compositori intorno: la loro presenza ha suscitato in me un forte interesse verso questo tipo di musica. Se una persona si dedica allo studio di uno strumento, come il pianoforte o il violino, si ritrova poi a eseguire una consistente quantità di musica scritta nel passato; se invece vive a stretto contatto con diversi compositori, si trova come immerso in quello che possiamo definire autentico linguaggio musicale. Questo per me è stato un messaggio estremamente importante. Mio padre è stato direttore di un coro di voci bianche e un insigne didatta: ha scritto una enorme quantità di libri sull’argomento ed è stato un sostenitore del metodo Kodály. La mia prima esperienza musicale è avvenuta proprio all’interno del suo coro. Non saprei dire se, a un certo punto della mia vita, ho deciso che sarei diventato musicista, o se mi sono sentito tale fin dall’inizio. È stato un po’ come quando viaggi per mare: le onde ti portano in una certa direzione. La musica di Arvo Pärt ha avuto in Italia e in tutto il mondo una grande popolarità, molto maggiore rispetto a quella ottenuta da altri compositori contemporanei. Qual è, secondo il tuo parere, il motivo di un così grande successo? Talento, punto! Semplicemente talento. Negli anni Sessanta Pärt ha composto brani utilizzando diversi sistemi compositivi; ha scritto musica per bambini e poi, quasi improvvisamente, ha “ideato” uno stile completamente innovativo, i tintinnabuli, che costituiscono l’essenza della sua musica. Parliamo veramente di un grande compositore.

La musica di Arvo Pärt “respira” con il pubblico.

Quando si parla di musica contemporanea, immediatamente si pensa alla scuola di Darmstadt, che non è molto amata dalla gente poiché si dice che non “raggiunge” il cuore. Arvo Pärt è stato un seguace di questa corrente prima di sperimentare lo stile dei tintinnabuli? O, cosa è successo? Non è possibile sapere con certezza cosa sia accaduto nel pensiero del compositore! Se però osserviamo attentamente i brani composti precedentemente come Second Synphony o Pro et contra o Solfeggio possiamo scoprire che le sue creazioni sono strettamente connesse con l’algebra, con elementi matematici attraverso un sistema molto chiaro. Negli ultimi brani, come in Adam’s Lament, Pärt ha cominciato a “volare” con una nuova energia. Sorprendentemente tutti gli stili e le formule utilizzate precedentemente e tutto ciò che era importante prima, sono stati trasformati in una nuova forma comunicativa, probabilmente molto più libera. Ancora una

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ambientale in cui si trova. Questo tipo di musica non era destinata alle sale da concerto: rivestiva piuttosto un ruolo comunicativo e relazionale, era parte della vita stessa.

volta questo dipende dalle capacità del compositore! Pärt è un comunicatore di emozioni, a volte trasmette un certo distacco dalla materia mentre altre volte i suoi brani invadono quella sfera che viene definita misticismo proprio perché la musica è un linguaggio indipendente con elementi di bellezza. Una volta mi disse che «per fruire della mia musica è sufficiente che una sola nota venga suonata in maniera sublime». Viceversa, ci sono tante pagine di compositori contemporanei del XX secolo che, anche se eseguite alla perfezione, non trasmettono le stesse sensazioni. Naturalmente qui si apre un discorso difficile e pericoloso perché il concetto di bellezza è soggettivo, è un concetto che si offre a tante speculazioni. Resta il fatto che la musica di Arvo Pärt “respira” con il pubblico. Quando ti trovi a dirigere le composizioni di Pärt sei più portato a dare una interpretazione personale o a seguire il pensiero dell’autore? Entrambe le cose. Lavorando insieme abbiamo avuto modo di confrontarci e talvolta le nuove idee non erano né mie né sue, ma scaturite proprio dal confronto. Posso affermare che si tratta di un compositore molto sensibile e attento: a volte ha modificato i suoi brani molti anni dopo la prima esecuzione. Dona nobis pacem è stato “corretto” nel 2009: quando dirigi un brano devi conoscere l’ultima versione. Ai giorni nostri, la tecnologia costituisce un indispensabile supporto per questo tipo di lavoro che prevede modifiche e nuove versioni musicali. La musica folk è molto popolare in Europa. Specialmente in Ungheria, nei Paesi Baltici e Scandinavi, nel Nord Italia, in Russia e in altri, si avverte l’importanza della musica come strumento per tramandare e tenere vive le proprie tradizioni. Come è possibile avvicinare i giovani a questo tipo di repertorio, a farli cantare qualcosa che si riferisce al proprio mondo passato? Quali sono gli elementi determinanti su cui far leva? Sicuramente la cultura e la storia: è fondamentale comprendere che la musica “scaturisce” dal contesto

Le tradizioni sono certamente qualcosa che guarda al passato mentre i giovani sono attratti dalla musica techno e rock… Come è possibile interessare le nuove generazioni e far sì che cantino brani i cui testi riguardano eventi accaduti 40, 50 anni fa? Penso che in proposito ognuno abbia le proprie idee; ora si assiste a un fenomeno in cui è possibile accorgersi che milioni di persone vanno tutte in una certa direzione: non è possibile fermare lo sviluppo della musica techno o rock. Qualunque tipo di musica è parte della nostra vita ed è importante non “entrare in conflitto” con i diversi stili musicali; a volte possono esservi elementi del folklore che vengono introdotti nella musica contemporanea oppure possiamo scoprire collegamenti rilevanti tra la nostra cultura e la nostra storia, comprendere le motivazioni per cui un particolare brano è stato composto, quali gli elementi musicali acquisiti dall’ambiente… Credo che in Europa sia più difficile comprendere questa teoria perché i legami tra il folklore “antico” e la vita presente sono meno vivi rispetto ad altri paesi quali l’Asia, l’India. È sufficiente analizzare un raga indiano per accorgersi quanti elementi ci possano essere in uno solo modello. Veljo Tormis e Arvo Pärt allo specchio. Cosa rappresentano per l’Estonia e come l’Estonia è rappresentata nelle loro opere? Ogni bravo compositore è unico e non appartiene specificatamente a un Paese. La buona musica si trova ovunque ma, naturalmente, Veljo Tormis è un compositore davvero speciale in quanto ha attinto dalle canzoni tradizionali

Il potere poetico va di pari passo con la musica. estoni più antiche, facendo realmente tesoro della nostra musica folk. Quando sviluppò i primi arrangiamenti di musiche folk si rese conto che l’Estonia era un Paese piccolo; tuttavia il suo intento era quello di conservare la cultura della madrepatria, attratto dal fatto che la lingua di derivazione ugro-finnica rischiava di essere dimenticata da persone che vivevano in un Paese che apparteneva alla Russia già da molti anni. Quando Tormis scrisse i sei Cycles (Livonian Heritage, Votic Wedding Song, Izhorian Epic, Ingrian Evening, Vepsian Paths and Karelian Destiny) nessuno sapeva nulla riguardo la loro origine. Gran parte della popolazione che viveva in Estonia utilizzava lingue diverse e Tormis pensò che l’estone

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avrebbe potuto essere un elemento di riunificazione. Quanto forte è stato il potere delle tradizioni musicali contro la pesante dominazione culturale russa! Al tempo stesso si può dire che compose nuovi brani, attingendo comunque idee dalla musica folk ma eliminandone i tipici colori romantici. Accade, a volte, ascoltando la musica popolare europea, di non distinguere se si tratta di una canzone danese, tedesca o di un altro paese: sono talmente piccole le differenze nella melodia o negli arrangiamenti. Ma il “vero” folklore estone ha dato a Tormis l’idea di rappresentare proprio i canti originali, eliminando gli eccessi di romanticismo. Similmente come fece Stravinskij con la musica russa e come fecero molti altri compositori che seppero valorizzare l’autentico folklore. Veljo Tormis ha riportato in vita brani che erano stati per lungo tempo dimenticati. L’attività di Arvo Pärt si svolge in un’area completamente differente. Per chiarire potrei dire che l’ambito di Tormis è la terra, il concreto e quello di Pärt il cielo, l’etereo. Due visioni della musica estone! Sicuramente l’Estonia è orgogliosa di questi compositori ma, a differenza di altri Paesi, non è direttamente coinvolta nella loro promozione all’estero. Abbiamo un’altra dimensione del concetto di “popolarità nel mondo”. Arvo Pärt è vissuto all’estero per molti anni; questo fatto ha danneggiato, in qualche modo, l’immagine dell’Estonia? Si potrebbe pensare che non rappresenti la vera essenza della cultura estone? Pärt è sicuramente più cosmopolita di Tormis, ma anch’egli ha composto bellissimi brani per bambini, in lingua estone, soprattutto quando era giovane. Lavora però in un campo completamente diverso: è ortodosso, ad esempio. Due personalità, ma entrambi molto famosi in Estonia. Pärt, inoltre, è stato allievo di Tormis, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Estonia: un piccolo Paese grande nella musica. Qual è il segreto il segreto di quello che può essere definito “il Paese che canta”? In quale modo il dominio sovietico ha suscitato il desiderio di libertà, attraverso la musica? Come ho detto prima, queste canzoni esistevano, nel folklore estone, da centinaia di anni. Il potere della musica può cambiare il mondo, può trasformare le pietre in denaro, può determinare avvenimenti magici. Quando l’Estonia si ribellò, la prima volta, contro l’Impero Russo, accadde che le persone cominciarono a convergere insieme cantando su temi inneggianti alla libertà; migliaia di persone arrivarono da tutte le parti dell’Estonia e confluirono a Tartu, nell’estate del 1869, dando vita, in maniera spontanea, al Laulupidu (Festival Estone di Canzoni) uno dei più grandi eventi corali amatoriali, del mondo. Il nazionalismo estone cominciò in quell’istante. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, in tutta Europa, molti giovani compositori fondarono “Scuole Nazionali” allo scopo di conservare le proprie tradizioni musicali.

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Ritieni che la musica corale abbia avuto un ruolo importante nella conquista della libertà dal regime sovietico o il suo ruolo non è stato così rilevante? Sì, lo ha avuto. Le persone non hanno protestato in strada, distruggendo o incendiando tutto. Sono arrivate, cantando, insieme. La forza della musica. Secondo la mia opinione, un brano corale è un testo “rivestito” di musica. Cosa pensi del potere poetico delle parole? Il potere poetico va di pari passo con la musica. Possiamo dire che vi sono tre grandi linguaggi: il testo, la letteratura e la musica. Quando la musica è interessante, sicuramente aiuta il testo a “volare”. I canti gregoriani sono stati utilizzati in chiesa, con l’intento di elevare le menti: semplici melodie dagli effetti suggestivi. «La voce umana è lo strumento più perfetto di tutti». Condividi questa affermazione di Arvo Pärt? Ogni strumento è perfetto! Dipende da chi lo suona e cosa suona. Pensare che la voce umana sia lo strumento più perfetto è davvero bello, ma… lasciatemi dire che è vero quando viene utilizzata bene. La voce è come un segreto: è qualcosa di non tangibile, è espressione di un individuo. È anche evidente che ogni strumento, nel mondo, tenta di riprodurre la voce umana! ( traduzione dall’inglese di Annamaria Fonti)

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L’osservazione dei parametri musicali in una composizione corale di Sergio Bianchi direttore del coro val tinella e docente al conservatorio di como

Capita talvolta di ascoltare esecuzioni precise nell’intonazione e nel ritmo, equilibrate nella realizzazione degli accordi, attente nella dinamica indicata ma che sono poco coinvolgenti, ci lasciano indifferenti. Al contrario altre interpretazioni riescono a emozionarci e trascinarci nel flusso dei suoni. Come può uno stesso brano determinare reazioni così differenti? Evidentemente la situazione psicologica di chi è coinvolto come esecutore o come ascoltatore o quella determinata da una particolare circostanza non possono essere prese in considerazione perché sono variabili imprevedibili. Concentreremo quindi la nostra attenzione su elementi esclusivamente musicali. Innanzi tutto un brano vocale ha un testo letterario e quindi la sua analisi, la comprensione dei rapporti con la melodia e l’armonia sono passaggi indispensabili per uno studio serio della composizione musicale. Non vorrei deludere le aspettative di chi legge proponendo l’analisi di un corale di J.S. Bach. Il corale non solo ha una scrittura accordale che è tipica di molte composizioni popolari ma presenta una scrittura organizzata in “frasi” più o meno lunghe concluse da una cadenza il cui accordo finale è evidenziato da una corona. Questa organizzazione interna è presente in molti canti di tradizione popolare i cui versi si concludono appunto con cadenze (prive normalmente di corone). 1 Appurato un legame fra i due generi cerchiamo di vedere come il metodo analitico e le osservazioni possibili per il corale possano essere impiegate anche in un canto popolare. Prendiamo in esame il corale Was Gott thut, das it wohlgethan cercando di individuare: 1. il piano tonale: tonalità e modulazioni; 2. cadenze: perfetta, sospesa… complessità armonica; 3. la posizione melodica degli accordi con corona: diversa valenza delle posizioni melodiche; 4. la linea melodica: discendente, ascendente, ad arco, ondulata; 5. la linea melodica profonda; 6. i valori musicali. Tutti questi fattori interagiscono nel creare il brano musicale. La loro trattazione separata è però necessaria per coglierne il singolo contributo e per avere un quadro analitico il più preciso e completo possibile.

Il testo può essere così tradotto: Quello che fa Dio è ben fatto, rimane fedele la Sua volontà. Siccome Egli dà inizio alle mie cose, io avrò fermezza. Egli è il mio Dio che sa come aiutarmi, quando sono nel bisogno ed io lascio agire. La tonalità d’impianto è sol maggiore. 2 Le diverse corone dividono il corale in frasi più o meno ampie dando vita a una articolazione interna. Nell’esecuzione occorre evitare che tutte le corone abbiano la stessa lunghezza, spezzando il fluire della musica in tanti archi che (scusate il paragone) possono ricordare il “procedere di un canguro”. È necessario valutare ogni corona, ogni cadenza e osservare il modo di procedere della melodia e della armonia. Il piano tonale del corale può essere così riassunto: 3 sol maggiore: battuta 0d-5a re maggiore: battuta 5b-8c sol maggiore: battuta 8c-10c Le cadenze evidenziate dalle corone sono: battuta 2: cadenza perfetta in sol maggiore (p.m. di 3a); battuta 4: cadenza composta in sol maggiore (p.m. di 8a); battuta 5: cadenza imperfetta in re maggiore (p.m. di 5a); battuta 6: cadenza sul II grado in re maggiore (p.m. di 3a); battuta 8: cadenza composta in re maggiore (p.m. di 8a); battuta 10: cadenza perfetta in sol maggiore (p.m. di 8a). Abbiamo ben tre cadenze sulla tonica nella tonalità d’impianto e due cadenze rilevanti (battute 5 e 8) in re maggiore (tono della dominante). Evidentemente non tutte le cadenze in sol maggiore hanno la stessa importanza, perché la diversa

canto popolare

posizione melodica (p.m.) crea un effetto conclusivo più o meno marcato. L’esposizione al soprano dell’8a della fondamentale (p.m. di 8a) esprime un senso di chiusura, mentre l’esposizione della 3a (p.m. di 3a) o della 5a (p.m. di 5a) comunica un senso di apertura.4 Partendo da questa considerazione, la cadenza di battuta 2 assume un senso di chiusura meno accentuato rispetto alle altre due. Analoghi suggerimenti possiamo trarre per le cadenze in re maggiore: la più importante risulta quella di battuta 8 (l’unica in posizione melodica di 8a). La sua valenza a fini strutturali è però inferiore alle due in sol maggiore, infatti ogni deviazione dal piano tonale principale viene intesa come fattore di dissonanza.5 Possiamo così proporre un’ipotesi di interpretazione: il corale è diviso in due grandi archi che “orientano” le corone contenute al loro interno.

N.B. i numeri contenuti nei cerchietti indicano le posizioni melodiche.

La validità di quanto ipotizzato viene confermata dall’analisi delle linee melodiche. Un andamento ascendente viene percepito come “apertura”, come aumento di tensione; al contrario una linea discendente comunica un senso di compiutezza, di chiusura, di risoluzione delle tensioni accumulate. Se infatti la prima fase (battute 0d-2c) che conduce a un accordo di tonica in posizione melodica di 3a presenta un andamento “ad arco” ascendente, le tre “frasi” che finiscono in posizione melodica di 8a (2d-4c; 6d-7c; 8d-10c evidenziate, nel successivo esempio, da una linea tratteggiata) utilizzano una linea discendente sostanzialmente simile (le differenze non sono tali da modificarne il carattere). Se infine osserviamo la linea melodica profonda (potremmo anche definirla linea tendenziale che si ottiene attraverso una serie di sottrazioni di suoni in modo da ridurre quello che ci appare ai suoi movimenti essenziali) notiamo la presenza di due grandi archi che si chiudono in tonalità di sol maggiore e che comprendono le battute 0d-4c e 4d-10c. Ciascun arco procede inoltre dalla nota re alla nota sol, sottintendendo un cammino dalla dominante alla tonica. Anche sotto questo aspetto analitico risulta evidente l’importanza della cadenza a re maggiore di battuta 8 (la

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linea melodica conduce al suono più grave di tutta la seconda parte) che tuttavia deve essere pensata nel contesto di tutto il corale e quindi “sottomessa” alla cadenza finale. L’analisi dei valori impiegati non è particolarmente rilevante in questo corale: tutti gli accordi posti sotto la corona hanno la stessa durata e questo significa che altri devono essere i parametri da analizzare più attentamente.

Possiamo concludere sottolineando che questa proposta è una possibile analisi interpretativa che si basa su dati oggettivi. A chi obiettasse che forse Bach non si è preoccupato di procedere in modo così “costruito” si può rispondere che non è molto importante come Bach sia arrivato a questo risultato, ma che ci sia arrivato. Un compositore nell’atto creativo riesce a utilizzare tutte le capacità in suo possesso: dall’abilità tecnica, alla sensibilità, al bisogno di proporzione e di equilibrio. Tutto concorre in modo più o meno conscio attraverso il bagaglio delle esperienze a tradurre in musica le emozioni e in definitiva “il sentire” tipico del compositore. Prendiamo ora in considerazione il canto friulano A planc cale il soreli nella armonizzazione di Gianni Malatesta.

A planc cale il soreli daur d’un alte mont, ne grande pâs a regne che par un sun profont

Lentamente cala il sole dietro un alto monte, regna una grande pace che sembra un sonno profondo

e lis piorutis mangin jerbutis che son là. Il to pinsir, o biele, cui sa là c’al sarà!

e le pecore brucano l’erba che sta là. Il tuo pensiero, o bella, chissà mai dove sarà!

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Note 1. Il termine “cadenza” viene utilizzato come strumento di organizzazione del discorso musicale. Come la punteggiatura nella lingua italiana “organizza” le diverse frasi che compongono il discorso (pensate al punto, al punto interrogativo, o quello esclamativo, alle virgole, ai due punti…) così le cadenze determinano un effetto conclusivo più o meno marcato, oppure generano una sospensione, un’attesa… 2. Occorre ricordare che nei corali spesso sono presenti modi di condurre la melodia e l’armonia che si rifanno ai cosiddetti “modi antichi”. Pur non volendo trascurare la portata del fenomeno, riteniamo necessaria una semplificazione non essendo questa la sede per un approfondito studio storico del corale. 3. Le lettere scritte in piccolo dopo il numero delle battute indicano il tempo in cui avviene il fenomeno esaminato, per esempio: 5a = battuta 5, primo quarto; 8c = battuta 8, terzo quarto. 4. Occorre ricordare che «la parte superiore, per motivi psico-acustici, viene sentita come più esposta; da ciò consegue che: a. nella prima posizione (p.m. di 8 a) si dà una condizione di rafforzata chiusura in se stessa della triade; b. nella seconda posizione (p.m. di 3a) si dà una condizione di apertura verso l’alto con accresciuta intensità luministica; c. nella terza posizione (p.m. di 5a) si avverte una dominanza panoramica, una visione slargata e aperta che contrasta con quella chiusa della prima posizione». M. De Natale, L’armonia classica e le sue funzioni compositive, Ricordi, Milano 1986. 5. Con l’espressione dissonanza non si intende un fenomeno acustico sgradevole all’orecchio, bensì una situazione di instabilità che necessita di essere risolta. Per esempio la triade di dominante non è sgradevole all’ascolto, ma, creando una forte tensione, deve necessariamente portarsi (cioè risolvere) sulla tonica. 6. La dominante secondaria è un accordo di dominante (V grado della tonalità) riferito a un grado diverso della tonica. La sua funzione è quella di creare una apparente e brevissima modulazione, che agendo come elemento di disturbo, rende ancora più appagante il raggiungimento della vera tonica. La cadenza finale acquista un effetto più potente, perché deve compensare le digressioni armoniche precedenti.

Il testo è formato da due strofe di quattro versi che si traducono in altrettante frasi musicali concluse da una cadenza. La tonalità è fa maggiore e non vi sono reali cambi di tonalità. Le alterazioni do# (battuta 10b) e sib (battuta 11) suggeriscono modulazioni passeggere o più propriamente appartengono a dominanti secondarie del VI e del V grado.6 Si possono individuare quattro cadenze: battute 3-4, fa maggiore: cadenza plagale (IV-I), p.m. 5a; battute 7-8, fa maggiore: cadenza sul II grado, p.m. 5a; battute 11-12, fa maggiore: cadenza sospesa (V7 del V-V), p.m. 3a; battute 14-15, fa maggiore: cadenza composta (IV7-V7-I), p.m. 8a. Le cadenze utilizzate (tutte diverse fra loro) suggeriscono che l’unico approdo chiaro è alla conclusione della strofa. L’analisi delle posizioni melodiche degli accordi conclusivi di ciascuna cadenza conferma quanto emerso. Sembra invece discostarsi da tutto ciò l’analisi della linea melodica che, dopo la stasi del primo verso (sostanzialmente do-re-do) si innalza decisa sino al la3 raggiungendo il suono più acuto (vedi anche battute 13 e 14) dell’intera composizione. L’ignoto autore della melodia ha evidentemente preferito l’aspetto descrittivo/ madrigalistico (l’ascesa melodica evidenzia l’espressione “alte mont”) alla coerenza del testo nei primi due versi: “lentamente cala il sole dietro un alto monte”. La linea melodica proposta sul verso successivo “ne grande pâs a regne” si muove nuovamente per piccoli intervalli, sempre per grado congiunto, comunicando un senso di calma e, appunto, di pace. L’ampio intervallo collocato all’inizio dell’ultimo verso (do3-la3) spinge la melodia verso l’alto sull’espressione “sun” (sonno) e chiude, ripiegando nuovamente per grado congiunto. Nell’interpretazione di una composizione occorre tener presente che i singoli particolari devono essere valorizzati senza nuocere al valore complessivo dell’opera. Ci deve essere un’interazione continua fra particolare e generale in modo che quest’ultimo assegni il giusto valore alle singole parti che devono comunque essere realizzate evidenziando tutte le loro possibilità. Diventa così interessante osservare che sia nella parte dei bassi che in quella dei tenori primi, i suoni degli accordi conclusivi di ogni cadenza disegnano due linee melodiche (linee profonde) che riassumono quanto sin qui osservato:

La linea dei tenori sembra condurci gradualmente dalla dominante alla tonica, creando una tensione che risolve e trova il suo appagamento nell’accordo conclusivo. La linea del basso disegna una grande cadenza che estendendosi per tutto il pezzo determina un principio compositivo che governa la composizione. È certamente difficile, se non impossibile, stabilire quanto coscientemente abbia operato l’inventore della melodia; più facile è immaginare che l’armonizzatore (nel caso Gianni Malatesta) abbia in modo conscio o inconscio attinto alla sua preparazione musicale, alla sua esperienza e alla sua musicalità nel creare una coerenza mirabile. Ci sia consentita un’ultima osservazione sulla armonia. Quest’ultima è

canto popolare

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piuttosto semplice, direi volutamente semplice, volendo esprimere concetti e sensazioni alla portata di tutti. Dall’analisi dei primi accordi emerge una cura particolare nel concatenare armonie molto simili (avendo ben due note in comune) che, fondendosi l’una nell’altra, sembrano accostare “colori” molto simili:

8-16 years o

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L’effetto che ne deriva è un movimento armonico contenuto, lento… e discendente… esattamente come dice il testo “A planc cale il soreli” (Lentamente cala il sole).

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13 - 23 july 2

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Provare per credere! Intervista a Roberta Paraninfo a cura di Efisio Blanc

Tu, come molti altri direttori di coro, non hai avuto una preparazione accademica nell’ambito della coralità (sei una pianista), ma a un certo punto della tua carriera ti sei dedicata al coro. Cos’è che ti ha indotto a questa passione? Ebbene sì, sono una direttrice di coro senza diploma in direzione corale! La mia formazione decisiva si è compiuta nei primissimi anni di vita (ma non si è ancora fermata…). Mio padre, medico di professione, era anche un pianista e musicista molto appassionato: mia sorella e io siamo nate con il respiro della musica e siamo cresciute a musica classica e jazz. Ciò che è stato davvero fondamentale per la nostra crescita è che mio padre, facendoci ascoltare i dischi in vinile, cantava tutte le parti degli strumenti d’orchestra, o quelli solistici, con il nome delle note, cantava gli accordi “in verticale” mimando a volte gli strumenti, altre volte il direttore d’orchestra, “impersonava” gli andamenti armonici o quelli melodici, oppure quelli ritmici, a seconda di cosa doveva essere evidenziato, facendoci vivere la musica come un discorso, come una storia da narrare. Salto qualche anno di studi, arrivo al diploma di pianoforte e divento anche insegnante del metodo Yamaha, che ha il suo corso più importante con i bambini tra i 4 e i 6 anni, giustamente, il momento dove l’orecchio musicale ha il suo apice di sviluppo. Il metodo prevede classi di bambini che ben presto suonano in ensemble e cantano in coro, ed ecco che mi trovo a dirigere cori di 80 bambini. Ma non si può essere direttore di coro se non si è anche corista: la mia formazione si arricchisce notevolmente negli anni in cui canto nelle fila nel coro Polyphonie Studium diretto da Francesco Lambertini, il maestro da cui apprendo molto del repertorio corale e della tecnica direttoriale. In effetti posso dire che non ci sia stato un momento preciso in cui sono diventata una direttrice di coro: ho cominciato a esserlo a tre anni con i dischi e nel corso della mia vita l’ho fatto diventare realtà. Non possiedo “il diploma”, ma non ho mai smesso di studiare, approfondire, mettermi in discussione, cercare di crescere.

avvenire è a scuola, all’interno del gruppo classe, struttura privilegiata per diverse, importanti ragioni: è un tessuto ricco di differenti realtà umane che non si sono scelte alla partenza, accomunate dall’età e dal fatto di trovarsi insieme per un percorso di crescita didattico e umano. Avrei centinaia di racconti di bambini che, grazie alla musica, sbocciano, imparano a gestire le emozioni e le proprie energie, scoprono se stessi, migliorano in matematica, superano difficoltà di relazioni… Senza parlare delle soddisfazioni di capacità musicali sviluppate anche nei bambini su cui mai si avrebbe scommesso, o che mai in altro modo avrebbero potuto permettersi uno studio musicale… È un lavoro estremamente impegnativo, da dieci anni lo svolgo con più di 600 bambini divisi in 30 classi. Dall’educazione dei bambini dipende anche il nostro futuro musicale e culturale: probabilmente su 600 bambini solo alcuni continueranno ad approfondire lo studio della musica, ma per tutti gli altri deve sussistere almeno la speranza di

Non si può essere direttore di coro se non si è anche corista.

L’altra tua principale occupazione professionale, oltre a quella corale, è la didattica della musica. Quale rapporto fra le due competenze: l’avvicinare i bambini alla musica e il dirigere un coro? Come accennavo prima, ritengo fondamentale che la crescita musicale cominci nell’infanzia e attraverso una totale “immersione” nella musica. Il luogo ideale dove questo possa

crescere come ascoltatori, capaci di apprezzare il bello musicale, artistico in generale quando lo incontreranno nella loro vita. Il rapporto fra le due competenze, avvicinare i bambini alla musica e dirigere un coro, si può probabilmente trovare in un mio desiderio che si trova alla base di entrambe: trovare il “carisma”, il piccolo tesoro con cui ognuno di noi nasce, e farlo fiorire attraverso la musica, in particolare attraverso la voce. Dirigere un coro o insegnare ai bambini, a questo punto, si differenzia solo per aspetti “tecnici”. Il Genova Vocal Ensemble, che tu dirigi, è un coro giovanile di cui non si conosceva l’esistenza, fino a quando… …è uscito dal nido: fino ad allora era un piccolo gruppo che trovava nello studio approfondito e nella gioia della scoperta musicale, la sua meta più felice. Il Genova Vocal Ensemble, che nell’ottobre del 2011 compirà 17 anni, è una formazione abbastanza unica nel suo genere: le bambine che ne sono state fondatrici, sicuramente dotate di un grande talento musicale, hanno avuto la fortuna di

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crescere insieme, sviluppando capacità, gusto musicale e sintonia, diventando nel tempo, ora giovani donne, ottime musiciste e pilastri imprescindibili del gruppo. La particolarità di questo gruppo è la capacità espressiva e comunicativa nell’atto esecutivo, maturata grazie a un costante impegno, caratterizzata da un ritmo di apprendimento proporzionato all’età, vissuto senza fretta di “risultati” e con una sintonia di pensiero musicale derivato dalla quantità di anni trascorsi a cantare insieme. Oggi posso dire che, anche se l’età è quella del coro giovanile, il GVE è una formazione matura, responsabile, appassionata e di grande sprone sia per le formazioni che seguono a ruota (i Piccoli Cantori e i Giovani Cantori dell’Accademia), sia per la formazione mista che li vede protagonisti insieme a una nutrita squadra maschile (lo JanuaVox). È facile riconoscere in te una certa attenzione verso gli aspetti “teatrali” dell’esecuzione, anche nel cantare. Quale valore attribuisci a questo elemento? La musica tutta, ma molto di più il canto, narra una storia. Per narrarla, l’espressione coinvolge tutto, la voce, gli occhi, il corpo intero. Nel coro il direttore non è il protagonista del racconto, ma solo colui che ne “dipinge” il quadro, lasciando al coro totalmente la narrazione. Anche la staticità di un brano sacro rinascimentale non va confusa con una staticità fisica o con uno sguardo spento o distaccato dell’esecutore. Inoltre, perché rimanere nella “solita” posizione a sezioni? All’epoca di queste composizioni, non esisteva. Dal punto di vista tecnico, poi, ne guadagna il volume delle voci e la responsabilità di ciascun corista che, in questo modo, diventa solista fra solisti. Nel repertorio sette-ottocentesco, ovviamente, è naturale mantenere lo schieramento ufficiale, perché in questo modo veniva pensata l’esecuzione. Infine una piccola riflessione sui programmi dei concerti: non una lista di pezzi, magari belli di per sé ma scollegati, oppure messi in ordine cronologico. Per me è importante che ogni brano sia collegato al successivo da un filo rosso che renda l’intero concerto comprensibile e fruibile come un unico grande pensiero, un’unica linea di fraseggio che inizia con la prima nota e scende sull’ultima, portando varietà di dinamiche espressive esattamente come ogni singolo brano.

Nessuno più di un giovane ha la mente aperta, elastica, predisposta alle novità.

Roberta Paraninfo____ Diplomata in pianoforte nel 1987 si è dedicata soprattutto alla musica da camera e alla collaborazione con strumentisti e cantanti. Da numerosi anni cura personalmente progetti di educazione musicale e sviluppo della coralità per le classi delle scuole primarie e progetti di formazione per insegnanti. Ha diretto e fondato, a partire dal 1994, diverse formazioni corali. Attualmente dirige il coro di bambini Les Petits, il coro di voci bianche I piccoli cantori dell’Accademia, il coro giovanile femminile Genova Vocal Ensemble, il coro giovanile misto Janua Vox, il coro femminile Good News! Ha ricevuto tre volte il premio come miglior direttore: nel 2005 al Concorso corale nazionale di Vittorio Veneto, nel 2006 al Concorso polifonico internazionale di Arezzo, nel 2007 al Concorso internazionale per gruppi vocali solistici di Vittorio Veneto. È fondatrice dell’Accademia Vocale di Genova.

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Con i tuoi cori, frequenti abbastanza assiduamente i concorsi. Qual è il valore che attribuisci a queste competizioni e come risponderesti all’obiezione di chi vede in questo una volontà di primeggiare? Dal mio punto di vista il concorso è un mezzo didattico: decido di parteciparvi nel momento in cui sento che questo costituirebbe una maggior spinta allo studio da parte del gruppo. Diversamente da un concerto, la presenza di una giuria pone il corista in una situazione emotiva molto forte, quella del giudizio: l’obiettivo più grande è riuscire a presentarsi talmente preparati da trasformare la preoccupazione in energia musicale, in positiva realizzazione delle proprie capacità, dando forza all’unicità irripetibile del momento creativo dell’esecuzione. È una prova anche per me! Lo è non solo per l’esecuzione, ma anche per la possibilità di affinare la mia capacità di condurre un gruppo fino a quel momento, dalla prima fase di studio a quella finale della gestione dell’ansia e della fiducia in se stessi: il mio più grande obiettivo è arrivare al momento dell’esecuzione con il coro pienamente presente e capace di dare il meglio delle proprie possibilità, desideroso di donare la propria musica. Aggiungo ancora due piccole ma preziose ragioni positive a favore delle competizioni: nei programmi scelgo di inserire sempre quanti più brani nuovi possibili, essi godranno di uno studio “matto e disperatissimo” e, grazie al concorso, matureranno velocemente e andranno ad arricchire il bagaglio repertoriale del coro; la seconda è che il pubblico dei concorsi è un pubblico esperto: molte belle occasioni per concerti o festival anche all’estero ci sono state offerte, come ho già detto prima, in seguito a qualche concorso. In diverse occasioni sei stata premiata come miglior direttore. Quali sono le tue qualità musicali e “direttoriali” che ritieni essere alla base di questo riconoscimento? Veramente non saprei… dovrei chiedere alle commissioni che mi hanno assegnato questi premi! Ciò che posso riconoscere in me è l’onestà di fronte alla musica e di fronte ai coristi e agli allievi. Finché non ritengo che nella nostra esecuzione ci sia tutto ciò che mi era possibile comprendere dello spartito, mio fine primo e ultimo, e del pensiero dell’autore, scavo a fondo di ogni singola nota, esperimento, limo, sfumo, cambio di nuovo… Mi sento un filtro tra lo spartito e il suo compositore e il coro che gli darà la vita. Penso che questi riconoscimenti comunque, siano arrivati semplicemente perché ero alla guida del Genova Vocal Ensemble, che è davvero composto da persone speciali, che nella musica hanno imparato a dare il meglio di sé, con le quali esiste una sintonia umana e musicale che è evidente nel momento in cui lo si ascolta e lo si osserva cantare.

Un direttore di cori giovanili, quali caratteristiche o competenze deve avere (se deve avere…), in più o diversamente, rispetto a chi dirige cori di adulti? I giovani sono in continuo cambiamento, l’attenzione costante a percepirlo e a reagire a esso modificando gli equilibri, è forse la sensibilità più importante che il direttore di cori giovanili deve avere. I giovani sono grandi, la nostra grande responsabilità è arricchire la loro cultura e il loro gusto musicale, facendo sì che vi aderiscano con tutta la loro fibra e che sentano realizzata in essa la propria personalità. Il pensarli grandi ci sia da guida anche nella scelta del repertorio. Falsamente riteniamo che, per averli dalla nostra parte, sia necessario assecondare i loro gusti musicali (parlo di coristi “giovani di coro”), cascando nell’errore di non scegliere mai repertori impegnativi, storicamente importanti, nel timore di perderli: questa è la strada per perderli. Nessuno più di un giovane ha la mente aperta, elastica, predisposta alle novità, nessuno più di un giovane saprà sorprenderci nella sua capacità di innamorarsi di Monteverdi o di commuoversi con un Crucifixus. Provare per credere!

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Concorsi corali: quali repertori e quali bandi… di Mauro Marchetti

La difficile scelta di indicare un bando di concorso e la conseguente scelta di un repertorio adatto alle circostanze del concorso. Spunti e appunti di un “ex giovane” direttore di coro. La valigia del direttore di coro. Per molti direttori di coro seguire i concorsi corali in giro per l’Italia, o addirittura per l’Europa, rappresenta una scuola, un corso da seguire, un aggiornamento e a volte anche vere e proprie lezioni. Il giovane che si avvicina alla direzione di coro ha molti spunti su cui riflettere, anche e soprattutto nella scelta di un repertorio, di un periodo storico da seguire, un coro da emulare, esempi vivi che rappresentano sicuramente un punto di partenza. Ricordo le mie estati ad aspettare il Polifonico di Arezzo, quando si aveva fame di cori, e si vedevano arrivare centinaia di cantori che riempivano le giornate aretine di fine agosto, e riempivano anche la mente e le mie librerie di spartiti, nomi, titoli, dischi in vinile… Si tornava a casa con tanta musica nelle orecchie e nel cuore, ma anche con tanti spartiti nella valigia. Poco a poco la tua mente si allargava, si conoscevano e si apprezzavano varie scuole corali europee e mondiali, la crescente conoscenza del repertorio ti permetteva di fantasticare e sognare di arrivare a eseguire repertori sempre più nuovi e originali. Negli anni ho visto cambiare molto spesso la formula dei bandi di concorso e la cosa, per certi versi, è risultata positiva. Dall’estero arrivavano sempre più spesso cori con composizioni complesse e difficilmente realizzabili da cori italiani, ancorati a una scrittura ancora tradizionale. La scuola dell’est prima, e quella nord-europea poi, ha introdotto un modo nuovo di far coro nelle intenzioni innovative dei loro compositori e nella cura della vocalità, nello strumento coro, ancora distante dalle nostre antiche concezioni musicali-corali. Da alcuni anni i diversi cori italiani si sono avvicinati molto a questo modo di far coro; i direttori, frequentando i numerosi corsi e laboratori che sono nati in Italia e Europa, sono arrivati a pareggiare i conti con i colleghi stranieri. Ma per alcuni questa continua ricerca del “nuovo” è stato un modo per dimenticare il “vecchio”, cioè l’antico, inteso nel termine musicale. Ci si è allontanati progressivamente dalle nostre radici, da quegli autori che riempivano i nostri programmi di sala, anche in modo eccessivo, autori appartenenti alla nostra scuola polifonica rinascimentale. E, paradosso del caso, quei cori che venivano a portarci il “nuovo” hanno anche proseguito a mantenere brani della tradizione polifonica rinascimentale. Riassumendo potremmo dire che i cori italiani (e, ahimè, mi ci metto anche io!) sono più vicini alla musica

del nostro tempo e più lontani da quella dei nostri “padri” della polifonia antica. Ben venga il “nuovo” (sono sempre alla ricerca di giovani che scrivano per coro) ma forse sarebbe il caso di non abbandonare completamente le nostre radici. Probabilmente questa situazione ha spinto involontariamente i concorsi a formulare i bandi in maniera tale da sottovalutare il problema. È vero, ci sono concorsi che prevedono la presenza solo della musica contemporanea, ma quella è una scelta ben precisa della commissione artistica, una linea programmatica definita. Non è un caso che il più delle volte siamo costretti ad apprezzare esecuzioni di cori inglesi o comunque non italiani, di fronte a pagine di polifonia rinascimentale italiana. Costretti a seguire corsi di interpretazione da illustri maestri stranieri, decisamente più vicini a quel tipo di polifonia. Il Concorso Aretino. Il Concorso Internazionale Guido d’Arezzo propone una griglia di selezioni, corrispondenti a vari periodi storici. Questo obbliga i cori a scegliere un repertorio, che dovrebbe essere più adatto e più vicino alle possibilità e alle qualità del coro stesso. In una competizione (cori) il complesso corale deve eseguire un brano d’obbligo rinascimentale e scegliere dei periodi storici dalla griglia. L’altra competizione (rassegna a premi) prevede la scelta di una sezione storica e di programmare un’esecuzione del solo periodo storico scelto. Ma proprio per i motivi sovraesposti ci sono annate in cui troviamo solo un paio di cori nel periodo rinascimentale, o addirittura un solo coro nel periodo barocco-classico. Quest’ultima sezione potrebbe essere accorpata al periodo storico precedente, unire rinascimentale

fragmentA

e barocco. Questo faciliterebbe l’esigenza di una competizione vera e propria, altrimenti ci troveremo sempre di fronte a un coro che gareggia da solo. In virtù del discorso fatto in precedenza, personalmente preferirei vedere l’esecuzione di un brano d’obbligo rinascimentale, peraltro già prevista nel bando, e obbligare i cori alla scelta libera di un secondo brano dello stesso periodo, mettendo ancora più in evidenza le doti interpretative del complesso corale su pagine che rappresentano la storia della polifonia. Ognuno di noi direttori cerca e riesce spesso a trovare una soluzione repertoriale che si adatti e modelli su misura ai propri cantori. Credo sia allo stesso modo motivo di crescita e d’interesse, se si arriva a partecipare a concorsi di questa levatura, misurarsi con altri repertori, anche lontani dalle sensibilità personali di singoli direttori. I giudizi sulle esecuzioni della musica rinascimentale sono spesso motivo di grandi diatribe, dalla tipologia della formazione che le esegue alla stampa del brano presentato, dall’intonazione iniziale al numero di esecutori, dal tactus al fraseggio. Si è assistito molto spesso a incredibili discussioni, tra giurati, tra luminari del settore, tra musicologi e tra direttori. E molto spesso i premi su quella sezione non sono assegnati! Lo stesso problema esiste molto meno nel dare giudizi sulle interpretazioni delle esecuzioni di musica contemporanea, meno soggetta a discussioni (a volte, per alcuni, la bravura del coro è solo dettata dal portare a termine un brano, l’esecuzione in sé importa poco). Il virtuosismo vocale e armonico non offre molti spunti di discussione, di giudizi validi e misurati. Ovviamente queste sono considerazioni dettate da esperienze dirette e vissute in prima persona e non voglio nemmeno generalizzare e, chiaramente, non penso davvero che la musica del ’900 non offra spunti di discussione, di interesse e di chiarimenti sulle esecuzioni e interpretazioni.

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e non brani per coro adattati a un piccolo gruppo, altrimenti continueremo ad ascoltare Vineta di J. Brahms o Abendlied di J.G. Rheinberger eseguito in dodici o addirittura in otto. Le commissioni artistiche dovrebbero suggerire ai cori di modificare il proprio programma, di “controllare” il repertorio proposto, evitando così di far eseguire ai gruppi programmi che poco hanno a che fare con il vero gruppo vocale da

Forse sarebbe il caso di non abbandonare completamente le nostre radici.

Le giurie. Un capitolo a parte meriterebbe una discussione serena e critica sulla composizione delle giurie, così come sulla disquisizione molto sottile della definizione “coro amatoriale” e “cantore professionista”, uno spinoso ostacolo per molti cori italiani ma, ovviamente, un facile trampolino per molti cori che arrivano dall’estero, con una concezione della differenza amatore-professionista assai diversa dalla nostra. Altro motivo di grande interesse nel Concorso Aretino è la sezione riservata ai gruppi vocali. Bisognerebbe, per prima cosa, diminuire il numero massimo, previsto dal regolamento, dei contori del coro partecipante, obbligando gli stessi cori a presentare un repertorio che sia veramente per gruppi vocali,

camera, dove effettivamente, la scrittura è più solistica e più finalizzata a un gruppo ridotto (si griderebbe allo scandalo se solo vedessimo un quartetto d’archi impegnarsi in una esecuzione di una sinfonia di Mozart). Le voci bianche: perché il Concorso Polifonico Guido d’Arezzo non inserisce una sezione per voci bianche nel concorso nazionale? È raro vedere la presenza di cori di bambini italiani nella competizione internazionale, pur avendo molti buoni cori sparsi nella nostra penisola. Si potrebbe pensare a una categoria nazionale, che inviti poi a presentarsi, su suggerimento della giuria e/o della commissione artistica, nella competizione “sorella” maggiore del concorso internazionale. Negli ultimi anni, in Italia, sono “fioriti” molti cori giovanili, ma ancor più cori di voci bianche. Non sarebbe forse il caso che proprio l’esempio più eccellente dei concorsi corali europei, il Concorso Aretino, ritagliasse uno spazio per i nostri cori del “futuro”, impegnandoli in un paio di sezioni del nazionale a loro dedicato? La valigia piena. Girando l’Europa, nei concorsi internazionali, noto sempre più una precisa scelta di obbligare i cori a esecuzioni di composizioni contemporanee, a volte scritte appositamente per l’occasione, che sono di autori nazionali del paese ospitante (con il Coro Città di Roma abbiamo eseguito canti in sloveno, spagnolo, bulgaro). Questa è un’altra particolare scelta che dovrebbe far riflettere, mette in risalto il patrimonio musicale del proprio paese, sostiene giovani compositori, favorisce lo scrivere per coro, dà maggiore risalto alle proprie radici. Spunti su cui riflettere, per quei giovani direttori che si affacciano nel mondo corale, ce ne sono molti, che non servono a “imboccare” il giovane, ma a dar loro gli strumenti necessari per la sua crescita, per la sua ricchezza musicale e per arricchire il suo bagaglio musicale, la sua “valigia artistica”, che certamente riempirebbe il vuoto lasciato dai nostri corsi di conservatorio, ancora in ritardo rispetto al resto del mondo nell’educazione corale. I miei sono suggerimenti visti con l’occhio di chi viaggia da e per Arezzo da ormai trent’anni, e la mia valigia è sempre alla ricerca di stimoli.

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Torino, 29 giu gno-3 luglio 20 11. 150 voci e oltre per festeggiare i 150 anni dell’U Festival rivolto nità d’Italia. a cori di voci b ianche e giovan Adesioni entro il i. il 15 febbraio 20 11.

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-3, -2, -1… Cantare è giovane! di Michela Francescutto

Feniarco, con il sostegno del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, organizza per quest’anno a Torino il festival Cantare è giovane! che prevede la partecipazione di otto cori di voci bianche e giovanili di alto livello provenienti da diverse regioni d’Italia. I ragazzi saranno impegnati per cinque giorni, dal 29 giugno al 3 luglio, in numerose proposte concertistiche su alcuni dei più prestigiosi palcoscenici della città di Torino e del Piemonte. Oltre ai concerti sono previsti dei momenti di approfondimento con direttori di fama internazionale e con i maestri degli altri cori partecipanti. I cori protagonisti di questo evento saranno: Coro giovanile Dauno U. Giordano di Foggia diretto da Luciano Fiore, Coro Diapason di Roma diretto da Fabio De Angelis, Coro giovanile Il Calicanto di Salerno con Silvana Noschese, Coro da camera del Conservatorio di Torino diretto da Dario Tabbia, VociInNote di Torino con Dario Piumatti, Piccolo Coro Artemìa di Torviscosa (Ud) sotto la direzione di Denis Monte, Coro giovanile I Minipolifonici di Trento diretto da Stefano Chicco e Coro Artemusica di Valperga (To) diretto da Debora Bria. Queste realtà corali, conosciute in tutto il territorio nazionale, offriranno inoltre il loro contributo alle celebrazioni per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia, inserendosi a pieno titolo tra i numerosi eventi organizzati dal Comitato Italia 150 a Torino. I cori partecipanti, infatti, proporranno la prima esecuzione di un brano commissionato a Alessandro Cadario, giovane compositore italiano già noto nel panorama internazionale, con tema proprio la costituzione dello Stato italiano e la sua peculiarità linguistica che trova riscontro nella numerosità dei dialetti e delle lingue regionali. Si tratta quindi di un’esperienza intensa e di forte valenza qualitativa, che permetterà ai ragazzi di venire a contatto con differenti culture corali e che arricchirà la città di eventi stimolanti e di giovani dalle voci vivaci. La serata iniziale si terrà nel Tempio Valdese di Torino, dove gli otto cori si esibiranno in un concerto di apertura che permetterà loro di presentare le proprie tradizioni musicali. Venerdì 1 luglio sarà la regione Piemonte, in quattro sue località, a fare da scenario ai concerti sul territorio, che avranno per protagonisti due cori uniti da una giornata di studio e divertimento e che proporranno un repertorio in parte condiviso. Sabato 2 luglio, serata finale del

Un’esperienza intensa e di forte valenza qualitativa.

cantare

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festival, sarà il coronamento di questi intensi giorni di lavoro musicale: nella Sala grande del Conservatorio G. Verdi del capoluogo piemontese, gli otto cori canteranno i brani studiati insieme ed eseguiranno in prima assoluta la composizione di Alessandro Cadario, sotto la sua direzione. Il festival Cantare è giovane! incrocerà il suo percorso con Songbridge, un progetto dell’International Federation for Choral Music (Ifcm) che vedrà un coro organizzatore, i Piccoli Cantori di Torino, e i due eccellenti cori ospiti di voci bianche, il Cor infantil Sant Cugat (Catalogna, Spagna) e il Coro Efroni (Israele), tenere un concerto al Teatro Carignano il 30 giugno, cantando musiche dei rispettivi paesi d’origine e tre prime esecuzioni assolute che coinvolgeranno anche i cori del festival e il pubblico. Inoltre, 25 giovani selezionati dalle associazioni regionali corali, seguiranno a Torino dal 25 giugno al 3 luglio uno stage per manager nel campo musicale: oltre alle lezioni frontali con docenti competenti su materie tra le quali management per la coralità, aspetti artistici, produzione, comunicazione e new media, ci sarà una prova sul campo proprio nella gestione dei ragazzi partecipanti al festival. Cantare è giovane! è una fondamentale tappa di avvicinamento e di preparazione in vista del grande Festival Europa Cantat XVIII Torino 2012, che la Città di Torino e tutto il nostro Paese ospiterà nell’anno successivo, dal 27 luglio al 5 agosto 2012. Questa manifestazione vedrà l’Italia al centro di una dieci giorni musicale-corale di livello internazionale, con una presenza di migliaia di cantori e direttori pronti ad animare ogni spazio di voci e canti. All’indirizzo www.ectorino2012.it sono disponibili maggiori informazioni su questo evento. Cantare è giovane! è anche concorso: secondo una tradizione ormai consolidata, Feniarco propone una nuova prospettiva di interazione tra la federazione nazionale rappresentante della coralità e gli istituti scolastici italiani: si fa appello alla creatività dei bambini, dei ragazzi e dei giovani sul tema “il coro che vorrei”. La partecipazione è aperta alle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado e prevede la realizzazione di lavori che toccano diverse forme d’arte, dal disegno alla rappresentazione teatrale, dalle fotografie ai racconti, dalla scrittura di poesie alla realizzazione di video e filmati. Verranno premiate la creatività, l’originalità e la capacità di comunicare le proprie personali idee. In particolare, sarà importante evidenziare la valenza culturale e sociale che la musica corale può avere, oltre al suo valore educativo e pedagogico. La cerimonia di premiazione avrà luogo a Trieste, entro il termine dell’anno scolastico.

CD

CD CHORALITER

Feniarco, attraverso la sua rivista CHORALITER, intende celebrare il 150º anniversario dell’Unità d’Italia dedicando ad esso un cd monografico o antologico da allegare al n. 36 (settembre-dicembre 2011). Al presente bando potranno partecipare tutti i cori italiani. Le registrazioni, edite o inedite, dovranno essere state realizzate, alla data di scadenza del bando, da non più di 5 anni e dovranno contenere uno o più brani, tutti legati ai momenti fondativi dell’Italia Unita e della sua identità (Risorgimento, Grande Guerra, Resistenza…). I brani potranno essere realizzati con qualsiasi tipo di organico (a cappella – misto, voci pari maschili o femminili, voci bianche –, con accompagnamento strumentale e interventi di voci soliste), purché il ruolo del coro sia preponderante. Le registrazioni dovranno essere di qualità sul piano dell’esecuzione, della registrazione e del repertorio proposto.

Le registrazioni andranno inviate a Feniarco entro il 31 agosto 2011. Una commissione d’ascolto costituita dal direttore della rivista e da due componenti della commissione artistica nazionale valuterà le registrazioni pervenute, formulando una graduatoria in base ai predetti criteri. La commissione d’ascolto potrà selezionare, per la pubblicazione, anche singole tracce, che confluiranno in un cd collettivo. I costi di realizzazione delle registrazioni sono a carico dei cori. I cori interpreti del cd selezionato forniranno inoltre una liberatoria che autorizzi Feniarco alla pubblicazione e diffusione, rinunciando ad avanzare diritti. A ciascun coro interprete del cd pubblicato saranno riservate 100 copie omaggio del cd.

Bando di partecipazione

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Il management corale al giorno d’oggi di Michela Francescutto

Feniarco promuove da diversi anni rilevanti progetti che, grazie anche al riconoscimento ottenuto come Associazione di Promozione Sociale (Aps), vengono approvati e sostenuti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Nel 2010 l’iniziativa sperimentale CMT - Choral Management Today, presentata nell’ambito dei finanziamenti previsti dalla legge 7 dicembre 2000 n. 383, ha ottenuto il favorevole accoglimento da parte del Ministero. L’attuazione di questo progetto prevede la realizzazione di due percorsi: uno dedicato alla formazione e all’aggiornamento dei responsabili territoriali e dei soci aderenti a Feniarco e l’altro alla formazione di giovani manager in ambito corale-musicale. L’organizzazione di eventi, la gestione efficace ed efficiente del sistema, la necessità di continui aggiornamenti sulla normativa vigente in materia e la sua corretta interpretazione, la cura nei processi di comunicazione verso l’esterno sono solo alcuni dei punti che hanno portato alla luce un’esigenza latente e condivisa che risiede proprio nella necessità di “formazione”. Considerando gli oggettivi e radicali mutamenti del “consumo culturale” è indispensabile saper rispondere alle continue sfide con consapevolezza, competenza e impostando strategie innovative che guardino al futuro con curiosità e volontà di crescita. Per quanto riguarda il modulo rivolto alla formazione e aggiornamento dei responsabili territoriali e dei soci, sono invitati a partecipare agli incontri i responsabili delle Associazioni regionali corali e provinciali nonché i responsabili dei cori italiani aderenti a Feniarco. La dislocazione territoriale degli appuntamenti mira a promuovere la partecipazione attiva di numerosi soci provenienti da tutte le regioni: gli interessati potranno iscriversi all’incontro organizzato nella città di riferimento più vicina rispetto alla propria regione. Gli incontri avranno luogo in quattro diverse giornate: sabato 7 maggio a Castelfranco Veneto, sabato 21 maggio a Torino, sabato 4 giugno a Salerno e domenica 5 giugno a Roma. Durante l’appuntamento verranno trattati i principali temi d’interesse per il management degli enti corali territoriali, suddivisi in diversi moduli e affrontati con l’ausilio di specialisti del settore. La gestione manageriale e il reperimento di risorse, con l’esplicazione di principi di fund raising, saranno oggetto di intervento, così come i fondamenti di gestione amministrativo contabile, che tracceranno semplici linee guida utili a redigere bilanci e rendiconti corretti da un punto di vista economico-contabile. Non mancheranno temi di natura fiscale e normativa, cui si affiancheranno chiare spiegazioni di aggiornamento database e gestione del sito web. Non verranno trascurati nemmeno gli aspetti artistici,

con un excursus su nuovi progetti e prospettive culturali, anche nell’ottica di organizzazione di eventi, di piccola, media e grande portata, studiando l’esempio del Festival Europa Cantat Torino 2012, per il quale si auspica la partecipazione di circa 4.000 cantori. Infine, nell’era della globalizzazione tecnologica e informatica, appare necessario un approfondimento riguardo all’innovazione, comunicazione e new media, oltre che alla sfida posta da marketing e “consumo culturale”. Come già accennato, l’iniziativa prevede anche uno stage per 25 giovani manager in ambito corale-musicale che saranno individuati dalle associazioni regionali. Questa esperienza formativa si svolgerà a Torino, dal 26 giugno al 3 luglio, in parziale concomitanza con il festival per cori di voci bianche e giovanili Cantare è giovane!, che si tiene appunto dal 29 giugno al 3 luglio. Il corso si articolerà in due momenti: tre giornate di lezioni frontali, dove relatori italiani e internazionali tratteranno temi di gestione manageriale,

È indispensabile saper rispondere alle continue sfide con consapevolezza e competenza. organizzazione eventi e comunicazione (anche giornalistica) con un respiro più europeo, nell’ottica preparatoria per il grande evento del Festival Europa Cantat Torino 2012; quattro giorni, invece, saranno dedicati al field project, ovvero alla prova pratica sul campo, che vedrà i giovani impegnati nella gestione dei cori partecipanti a Cantare è giovane!, nel coordinamento concreto della manifestazione, nella conoscenza della città e della regione. Il progetto CMT - Choral Management Today è un primo passo che va incontro alla necessità di formazione e all’esigenza di un arricchimento di competenze, espresse in modo più o meno palese, dal mondo corale aderente alla nostra federazione: è attraverso la partecipazione agli incontri e allo stage che i soci potranno perfezionare le proprie capacità gestionali utili alla crescita e alla affermazione di realtà corali efficienti e solide da un punto di vista organizzativo.

CMT

Choral Management Today

Gestione e organizzazione delle associazioni corali maggio / giugno 2011

Stage per giovani manager in ambito corale-musicale Torino, 26 giugno / 3 luglio 2011

info su

www.feniarco.it

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iniziativa realizzata con il contributo del

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

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La realtà dell’utopia

Assemblea Feniarco a Castelfranco Veneto di Sandro Bergamo

L’Assemblea nazionale Feniarco di Castelfranco Veneto (12 e 13 marzo 2011) si colloca in un momento particolarmente delicato del percorso della nostra coralità, momento che è come segnato da una contraddizione, quasi un ossimoro: nel momento in cui la coralità italiana cresce in maniera esponenziale, si trova a confrontarsi con una situazione di restringimento dei mezzi, delle risorse. Restringimento che, più si procede nel tempo e si riflette sulla situazione, si ha la sgradevole sensazione dipenda sì dalla difficile situazione economica, ma che quest’ultima metta troppo facilmente in crisi pubblici amministratori e investitori privati che hanno scarsa fiducia nella cultura e ne colgono il valore solo quando si tratta di grandi eventi dove l’apparato di immagine dia soddisfazione più immediata di un quotidiano lavoro teso a far crescere un sistema. Il 2010 e lo scorcio di 2011 che l’assemblea è stata chiamata a esaminare confermano che per Feniarco e il sistema dei cori italiani continua un processo di crescita avviato ormai da molti anni. Lo straordinario risultato di Salerno Festival è la più importante novità del 2010: con 56 cori, oltre 1600 partecipanti, un’organizzazione che ha retto perfettamente alla prova, si è instaurato un rapporto solido con la città di Salerno che fa ben promettere per le prossime edizioni. Il festival è stato anche un momento di forte collaborazione tra la Federazione Nazionale e l’Associazione regionale: un elemento, quello della sintonia tra struttura nazionale e locale, che si dimostra sempre più importante per la buona riuscita di ogni iniziativa e che andrà perseguito sempre di più. Anche Armonia di Voci, uno degli ormai numerosi progetti Aps realizzati, che nel corso dell’anno ha completato il suo iter, ha rappresentato un elemento di innovazione, soprattutto lungo il percorso che vede la coralità un vero impegno civile attraverso lo strumento culturale: dar voce alle minoranze linguistiche del nostro paese, portare in primo piano la loro espressione musicale come momento di identità ha rappresentato un’opportunità che potrebbe arricchire il panorama corale italiano di nuove occasioni e nuovi protagonisti, generando nei cori che hanno partecipato, nelle comunità di cui sono espressione, ma naturalmente in Feniarco che ha organizzato, il desiderio che non abbia a fermarsi tutto con il compimento del progetto. Tra le voci dell’attività del 2010 non va trascurato il progetto Paci: una mappatura dalla coralità italiana che da un lato conferma il ruolo della nostra federazione come principale soggetto, unico a livello nazionale, dall’altro rivela spazi enormi, dalla scuola alla parrocchia, dove il coro è presente e permea la società italiana più di quanto noi stessi, a volte,

crediamo. E, d’altra parte, da dove, se non da questa capillare diffusione del coro in tutta Italia, deriva il successo ormai consolidato, quando non crescente, di alcune nostre proposte? Da Alpe Adria Cantat, che rimane la più frequentata delle settimane corali europee, al Festival di Primavera, che in questo 2011 registra un altro record, arrivando a quasi 1300 iscritti. Buone premesse, queste, perché anche Torino 2012, che rimane il grande obbiettivo per questo biennio, riesca nel migliore dei modi con una grande partecipazione della coralità italiana. L’editoria è un altro punto di forza del ruolo della federazione. Nel 2011 vedranno la luce diversi volumi frutto del lavoro impostato nell’anno precedente: i bandi per Melos 3, Teenc@nta 2, Giro Giro Canto 4 e 5 hanno dato fornito materiale per volumi di grande interesse e almeno due usciranno nel corso dell’anno. A questi si unisce il volume sulla direzione di coro di Pier Paolo Scattolin, che amplia, nel catalogo Feniarco,

Il sistema dei cori italiani continua un processo di crescita avviato ormai da molti anni. la sezione dedicata alla saggistica. Questi ulteriori titoli, uniti alla nuova veste di Choraliter, che con il secondo cd ha realizzato un prodotto apprezzatissimo, e a Italiacori.it. Oggi il nostro lavoro editoriale, tanto più se sommato a quanto prodotto dalle associazioni regionali, travalica il ruolo di servizio interno al sistema corale e fa della nostra realtà associativa il principale attore nell’editoria corale italiana. Molti altri aspetti andrebbero citati, dai progetti Aps al ruolo europeo che gioca la coralità italiana, dove si moltiplicano le occasioni di apprezzamento delle nostre iniziative e delle personalità provenienti dal nostro mondo, alla ripresa del Coro Giovanile Italiano… Non è, tornando alle considerazioni iniziali, una coralità smarrita, spaventata da quanto vede intorno a sé, quella che si è presentata a Castelfranco, ma un movimento solido, in crescita, attrezzato per proseguire nel suo lavoro. Una coralità, tra l’altro, che non vive di pubblica assistenza: per una buona metà il bilancio di Feniarco è costituito da proprie risorse, che vanno ad affiancarsi a quelle pubbliche.

ASSOCIAZIONE

Il coro Città di Piazzola sul Brenta diretto da Paolo Piana

Per questo ci si aspetta che, pur nelle difficoltà presenti, chi ha responsabilità pubbliche sappia vedere, in un mondo che cresce in questa misura, non un soggetto da assistere, cui ritagliare comunque, riducendolo, un piccolo contributo, ma un elemento su cui investire, qualcosa su cui puntare per superare la crisi. Nel suo intervento di saluto, l’on. Marino Zorzato, vicepresidente della Regione Veneto (a quando il saluto, se non del ministro, almeno del sottosegretario ai Beni Culturali?) ha parlato di noi come di qualcuno che non sta da nessuna parte. Il riferimento, ovviamente, era alle parti politiche, rispetto alle quali siamo giustamente sempre terzi, coltivando rapporti istituzionali con chi di volta in volta è chiamato a governare lo Stato o l’Ente locale. Ma ascoltandolo veniva in mente un altro senso, un’altra etimologia: un essere di nessun luogo, un non luogo, un ου τόπος, secondo il neologismo di Tommaso Moro: siamo un’utopia, siamo alla ricerca di un qualcosa che forse non raggiungeremo mai, ma la cui ricerca ci motiva, ci sostiene ogni giorno, in uno spirito che, proprio in un momento di crisi, potrebbe motivare l’intera società.

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L’Assemblea annuale si è tenuta a Castelfranco Veneto, il 12 e 13 marzo 2011. Ospite dell’Asac (Associazione per lo Sviluppo delle Attività Corali del Veneto), l’assemblea di marzo ha visto la partecipazione di 20 delle 21 associazioni regionali e si è svolta nella Sala Conferenze dell’albergo Roma. Aperta alle 15.00 dalla relazione di Sante Fornasier, l’assemblea ha discusso un nutrito ordine del giorno che, accanto ai bilanci consuntivo 2010 e preventivo 2011, ha fatto il punto sullo stato dell’arte dell’attività. In particolare l’assemblea ha esaminato la situazione relativamente al Festival di Torino 2012, visionando e apprezzando il video promozionale predisposto per divulgare l’informazione sull’evento, ha deliberato sui nuovi progetti Aps, è stata aggiornata sulle iniziative in corso e in particolare sul Festival di Primavera, sulle iniziative per il 150° dell’Unità d’Italia e sul lavoro del Tavolo Nazionale per la Musica Popolare e Amatoriale. Nella serata di sabato, dopo la sospensione dei lavori, i partecipanti all’assemblea si sono trasferiti a Piazzola sul Brenta, dove l’omonimo coro polifonico, diretto da Paolo Piana, ha offerto un bellissimo concerto nell’affascinante cornice di Villa Contarini, che ha successivamente ospitato l’assemblea per la cena. Nella ripresa mattutina, l’assemblea ha rinnovato le cariche associative, riconfermando tutto l’attuale Consiglio di Presidenza (Sante Fornasier, presidente; Alvaro Vatri e Pierfranco Semeraro vicepresidenti; Lorenzo Benedet, segretario) e parzialmente rinnovando la Commissione Artistica che, accanto ai riconfermati Nicola Campogrande, Piero Monti, Dario Tabbia e Paola Versetti, vede l’ingresso di Maria Dal Bianco, Roberto Maggio, Mauro Marchetti e Paola Stivaletta. Un particolare ringraziamento ai commissari uscenti Alessandra Barbaro, Giovanni Bonato, Lorenzo Donati e Silvana Noschese. Riconfermata in toto anche la redazione di Choraliter. Rinnovata inoltre la Commissione Giovanile che risulta ora composta da Sarah Anania di Torviscosa (Ud), Riccardo Bianchi di Varese, Paola De Maio di Giffoni Vallepiana (Sa), Benedetta Nofri di Monte San Savino (Ar), Arianna Stornello di Torino, Margherita Vacante di Varese, Matteo Valbusa di Bussolengo (Vr) e Fabrizio Vestri di Roma. Per il Collegio dei Revisori riconfermati Roberto Ciuchetti (presidente) e Maurizio Biscotti con Paolo Bergamo di nuova nomina. Si ringrazia vivamente Gino Prezzi che lascia l’incarico. Per il Collegio dei Probiviri riconfermati Angelo Filippini (presidente) e Armando Corso mentre Giuseppe Vezzari entra al posto di Nevio Stefanutti che pure si ringrazia sentitamente. L’appuntamento è per l’11 novembre, ad Aosta, dove si terrà la prossima assemblea.

Cronache dal futuro

cronac dal Edizione Estate 2022 di Carlo Pavese

Cari cantori, direttori, compositori,

a un decennio esatto dal festival Europa Cantat XVIII, cominciato il 27 luglio 2012 con l’arrivo a Torino di migliaia di partecipanti d’ogni età e paese, cogliamo l’occasione per riflettere assieme sullo stato della coralità italiana e sui frutti generati da quell’evento negli anni a seguire.

Forse qualcuno scriverà davvero un articolo nel 2022, ma non è ozioso provarci adesso, undici anni prima. Ci costringe a chiederci dove vorremmo dirigere il nostro mondo, fatto di persone che cantano e credono che sia importante farlo assieme, associandosi in un movimento più grande di ciascuno di noi. In questo senso non immagino Europa Cantat XVIII come un punto d’arrivo né di partenza, quanto piuttosto come una boa, la possibilità di una virata, favorita da un propizio soffio di vento. Propongo quindi in questa sede di guardare al festival da sette punti di vista e di osservazione che mi sembrano poter rivelare, dietro l’angolo

del 5 agosto 2012, una più lunga prospettiva di sviluppo e di crescita per i nostri cori. Fin d’ora vi invito a usare la mail del festival ([email protected]) per sviluppare questa lista, per scrivere anche voi un paragrafo per l’articolo che pubblicheremo nell’estate del 2022.

Rimozione delle barriere architettoniche. Ogni luogo, fisico o virtuale, può ospitare un’espressione canora. Siamo avvezzi a considerare una chiesa o un bel teatro sedi ideali per un concerto corale, ma è giunta l’ora di invadere con le nostre voci musei, piazze, scuole, stazioni, periferie, e così anche schermi, youtube, cellulari, iPod… La pratica corale è un’attività dall’immenso potenziale d’impatto sulla società; chi vive in piccoli centri lo sa bene. La scommessa è scatenare questo impatto nella più vasta scala della città e dei suoi spazi. Torino può essere un laboratorio in questo senso, con prove in strada, il canto aperto nelle piazze, la musica che sgorga spontanea sotto i portici, nei caffè, alla fermata di un autobus, unendo diverse abilità, etnie, fasce sociali e culturali, età, gusti, interessi.

ASSOCIAZIONE

Rimozione delle barriere mentali. Età, gusti, interessi, generi musicali, lingue, tipologia di cori, tradizioni, il festival è tutto ciò. La varietà, la diversità, e l’eguale dignità data a ciascuna forma d’espressione musicale e vocale può insegnare qualcosa a ciascuno di noi. Basta un po’ di curiosità. Talvolta l’etichetta e le etichette imprigionano le nostre opinioni e le nostre scelte. Non sempre chi canta repertorio antico riesce a credere che si possa fare musica di qualità con il vocal-pop. Non sempre chi è appassionato di gospel è aperto a scoprire il gusto di un bell’arrangiamento popolare. E non sempre un patito di hip hop è disposto ad ammettere che cantare Brahms dia un vero godimento. A ogni buon conto, a chi preferisce andare sul sicuro, Europa Cantat offre un rassicurante programma che va incontro a ogni predilezione, ma nell’atelier di fianco, o nel giorno libero, magari come partner del proprio concerto, o dietro l’angolo mentre si passeggia, vi fa imbattere in qualcosa di nuovo e diverso, che sprigiona scintille di curiosità. E apre la mente. Innovo oggi, innovo domani: apre la mente, il festival, perché è un laboratorio, dove sperimentare nuove forme e possibilità. Innovare è un processo indispensabile, inevitabile, ma difficile da condurre. Non può essere fine a se stesso, non nasce a tavolino, ma è libertà di provare e coraggio nel raccogliere successi e sconfitte. Europa Cantat XVIII concentra idee e spunti, pensieri e follia, tutto in dieci giorni e in pochi chilometri quadrati. Sta a noi far sbocciare e crescere negli anni a seguire ciò che seminiamo.

che

Elogio della regione: ciò che seminiamo è la ricchezza di una federazione di associazioni regionali. Ho avuto il privilegio di assistere a un’assemblea di Feniarco e mi ha affascinato il grande tavolo attorno al quale sedevano tutte le regioni d’Italia. Con accenti diversi, con diversi punti di vista, con diverse modalità di intervento, tutti costruivano lo stesso progetto e ognuno ragionava su quali elementi, mattoni, semenze poteva mettere a disposizione. Credo che la presenza attiva e propositiva a Torino di ciascun membro della nostra federazione potrà mostrare, prima di tutto a noi stessi, quale patrimonio di differenze e coesione rappresenti la coralità italiana.

Maestro sarà lei! …e lei! …e anche lui! La coralità italiana può trarre gran beneficio dalla crescita di nuovi maestri, e dall’aggiornamento dei direttori. Uscire dal proprio ambiente e andare a scoprire come si fa coro nel resto del mondo, è senz’altro un passo importante ma non sempre facile da compiere nella pratica. Il festival, col suo programma per direttori, esperti e novizi, porta l’Europa a casa nostra, riunisce in otto giorni un’incredibile quantità di personalità da incontrare, di spunti e prospettive da cogliere, di domande a cui trovare risposta, e di nuove domande da porre. Contemporanea • mente. Porre di fronte, l’uno all’altro, tutti gli elementi dell’ecosistema musicale – compositore, direttore,

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cantore, ascoltatore – aiuterà a sconfiggere infondati timori: di scrivere musica troppo difficile da apprezzare, di non saper gestire la partitura, di non essere in grado di cantarla, di non possedere parametri di giudizio nell’ascolto. L’obiettivo del programma per compositori è di creare un dialogo proficuo, favorire la migliore conoscenza reciproca, e anche abbattere la barriera che separa chi non scrive mai e chi scrive

La pratica corale è un attività dall’immenso potenziale. esclusivamente per la coralità amatoriale. Importanti autori d’oggi comporranno per la prima volta per cori non professionali, e si confronteranno con i loro colleghi invece “specializzati”. Chissà se nel 2022 sarà più contemporanea la nostra mente? Base per Altezza, ma soprattutto Profondità: mente il direttore che schernendosi afferma «tanto il mio coro non ce la fa!». Nasconde così una sua difficoltà. Il problema è che pensa bidimensionale. E altrettanto fa il suo tronfio collega che lo guarda dall’alto in basso. Le coordinate del nostro spazio ci raccontano di una sana e diffusa coralità di base, che costituisce le fondamenta del nostro sistema. È importante che essa si ponga in una prospettiva di crescita, ma non tanto verso una presunta altezza di livello, quanto in profondità nel fare le cose. Il festival insegna che anche chi non è attrezzato per i repertori più impegnativi può fare musica con amore, con cura e con soddisfazione. Quando il “come canto ” conta più del “cosa canto” comincia inevitabilmente un cammino che ci porta a costruire e progredire. E comincia la rimozione delle barriere.

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Applausi al concorso di Maribor di Andrea Venturini

Alcuni anni fa, tre per la precisione, chiamato a far parte della giuria di un noto concorso corale internazionale, ebbi modo di ascoltare il Sofia Vocalensemble. Il coro svedese mi colpì subito oltre che per le indiscutibili doti vocali e interpretative, per il coinvolgimento emotivo dei cantori e la forte capacità di trasmettere queste sensazioni al pubblico. In quell’occasione il coro, diretto da Bengt Ollèn, si classificò al secondo posto, battuto per un soffio al Gran Premio. Con piacere ho ritrovato questo coro all’XI Concorso Corale Internazionale di Maribor, più in forma che mai, determinato e molto preciso, in grado di incantare con un suono emozionante, caratterizzato da un’ottima sezione femminile dalle forti tinte, evocative della propria terra d’origine. Queste doti, unite alla severità stilistica e interpretativa e all’equilibrio generale, sono state colte dalla Giuria che ha decretato il Sofia Vocalensemble vincitore con ampio margine dell’XI Concorso Corale Internazionale di Maribor, giudizio condiviso dal pubblico presente. Se questo fosse stato un romanzo giallo, avendo ormai svelato il finale, avrei terminato il mio compito; riprendo invece dall’inizio per raccontare, in sintesi, la tre giorni corale di Maribor, svoltasi da poco. Entrato a far parte dell’European Grand Prix for Choral Singing Association, l’XI Concorso Corale di Maribor, città della Bassa Stiria Slovena, a pochi chilometri dai nostri confini nord orientali, si è aperto venerdì 15 aprile nel ridotto della Union Hall con l’inaugurazione di un ritratto bronzeo di Jacobus Gallus, tributo alle origini slovene del noto compositore tardorinascimentale. Nella stessa Union Hall, elegante sala con una platea capace di circa 400 posti, è iniziata subito dopo la competizione con il concerto dei nove cori ammessi al concorso, concerto che, seppur non competitivo e dedicato alla musica del proprio paese, ha permesso ai cori di mettere subito in campo le proprie capacità vocali e comunicative. In quella che un tempo si sarebbe definita serata dedicata alla musica popolare (ma che le moderne elaborazioni corali spesso poco conservano di veramente popolare) è stato possibile apprezzare i cori, alcuni nel proprio costume tipico, i quali hanno proposto i brani o semplicemente le atmosfere del paese di provenienza. Tra tutti mi sento di segnalare il coro sloveno Komorni zbor Megaron diretto da Damijan Mocnik che ha proposto, in modo intelligente e garbato, un apprezzabile spaccato di tradizione, aperto e chiuso dal noto canto Pa se slis, dove i giovani coristi, in abiti tipici, hanno saputo arricchire il canto con una giusta dose di movimento scenico. Prima dicevo che i cori ammessi a questa edizione sono stati nove e purtroppo l’Italia non è stata rappresentata da alcun coro. Devo altresì segnalare che una buona parte dei cori in

concorso fosse formata a pieno titolo da cori giovanili. È questo un dato di fatto ampiamente condiviso con altri concorsi; se da un lato la giovane età dei cantori genera entusiasmo e freschezza, non sempre però i cori giovanili riescono a esprimere quella maturità vocale necessaria per eccellere nei concorsi internazionali. La competizione vera e propria si è aperta nella mattinata del 16 aprile, con il programma obbligatorio. Dopo gli squilli delle trombe e dei tromboni (l’analogia con altri concorsi è apparsa un poco stridente…) i cori si sono cimentati con la musica di Jacobus Gallus, con il repertorio romantico e con la musica del compianto compositore sloveno Uros˘ Krek. Ancora una volta bisogna sottolineare come il repertorio rinascimentale risulti essere quello più selettivo e ostico, non certo congeniale per i cori presenti ai concorsi, spesso formati da

un numero elevato di coristi e non si capisce il perchè i più non affrontino questa letteratura con un organico ridotto. I brani d’obbligo hanno in ogni caso rafforzato le impressioni maturate il giorno precedente e hanno messo in luce l’ottima performance del Via-Nova-Chor di Monaco di Baviera, diretto da Florian Helgath. Le prime impressioni hanno trovato definitiva conferma nel programma a repertorio libero, dove, oltre al Sofia Vocalensemble, hanno colpito per presenza vocale e per l’impasto timbrico gli spagnoli de El Leon De Oro diretti da Marco Antonio Garcia de Paz, mentre meno brillante è parso il coro tedesco. La serata è conclusa con l’annuncio dei cinque cori ammessi al Grand Prix della domenica. La giuria, presieduta da Maria Gamborg Helbekkmo e formata da Martina Batic˘, Bo Holten, Karmina S˘ilec e, finalmente un

CRONACA

nome italiano, dal nostro Marco Berrini, ha ammesso il Sofia Vocalensemble, El Leon De Oro, il Via-Nova-Chor e i cori delle Filippine Ateneo de Manila e University of East Chorale, diretti rispettivamente da Maria Lourdes V. Hermo e da Anna Tabita Abeleda Piquero. Sono pertanto rimasti esclusi dal Grand Prix il Z˘enski Hor Studentskog Kulturnog Centra (Serbia), The Warsaw School of Economics Choir (Polonia), cori che fin dall’inizio avevano manifestato una sensibile inferiorità, ai quali si sono uniti il Khmelnyskyi Chamber Choir (Ucraina) e il Komorni zbor Megaron (Slovenia). Il Grand Prix è iniziato domenica 17 aprile a mezzogiorno in punto, orario che non ha certamente facilitato il compito al Via-Nova-Chor di Monaco il quale ha aperto l’ultima fase del concorso manifestando immediatamente qualche difficoltà nella concentrazione. L’esibizione, meno convincente del previsto, ha determinato l’assegnazione del quinto posto nella classifica generale al coro della Germania. È stata poi la volta dell’Ateneo de Manila. Devo confessare che trovo irritanti i sorrisi forzati che i cori filippini ostentano appena si approssimano a un palco e che provo un certo disagio nell’ascoltare la musica sacra eseguita da cantori avvolti in abiti fosforescenti, tempestati da paillettes e fili dorati. Non sarei però onesto se non ammettessi che i cori filippini ogni volta mi stupiscono. Mi stupisce la vocalità che riescono a sviluppare nonostante la loro giovanissima età, mi impressiona la loro disciplina, la loro precisione, la loro costanza nel rendimento, la capacità di superare diversità culturali profonde, presenti nonostante i vari secoli di dominazione spagnola subita. Anche sotto il profilo dell’aderenza stilistica, un tempo loro anello debole, hanno

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ormai poco da imparare! Sta di fatto che il secondo posto ottenuto dall’Ateneo di Manila e il quarto posto guadagnato dall’University of East Chorale appaiono più che meritati. Altrettanto meritato è il secondo posto ottenuto, a pari merito con l’Ateneo de Manila, da El Leon De Oro, che nella regolarità del percorso ha avuto il suo punto di forza. Il Grand Prix è stato chiuso dal Sofia Vocalensemble. Il coro svedese è stato perfetto! Ha sfoderato tutte le sue qualità, iniziando con un’improvvisazione a coro spazializzato, dove canto armonico e colori molto nordici si fondevano a perfezione. La capacità di unire il rigore interpretativo a una notevole capacità comunicativa ha incantato il pubblico che con lunghi applausi ha manifestato il suo assenso. Proprio gli applausi sono stati una caratteristica del concorso di Maribor: generalmente evitati nelle competizioni, a Maribor sono consentiti anche tra i vari brani, determinando un clima meno asettico e una maggiore partecipazione del pubblico. Per la cronaca, anche tutti i premi minori previsti dal bando sono stati assegnati al Sofia Vocalensemble di Stoccolma che il prossimo anno ritornerà nella bella e ospitale città di Maribor, dove il 22 aprile 2012 si svolgerà l’European Grand Prix for Choral Singing.

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Notizie dalle regioni

A.R.C.C. Campania

Associazione Regionale Cori Campani Via Trento, 170 - 84131 Salerno Presidente: Vicente Pepe

Aspettando Salerno Festival 2011…

www.feniarco.it

A negativo

Victimae paschali laudes immolent Christiani. Agnus redemit oves: Christus innocens Patri reconciliavit peccatores . Mors et Vita Duello conflixere Passione & Risurrezione Mirando: dux vitae mortuus, nella tradizione musicale regnat vivus. Dic nobis Maria, quid vidisti in via ? Sepulcrum Christi viventis , et gloriam vidi resurgentis, Angelicos testes, sudarium et vestes. Surrexit Christus spes mea :praecedet suos in Galilaeam. [Credendum est magis Soli Mariae veraci Quam Judaeorum Turbae Fallaci.] Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: Tu nobis, victor Rex Miserere Amen. Alleluia.

paschalia

B negativo

C negativo

es

ri s. ixere uus,

s , et is, m et

mea eam. Mariae

2011

La città di Salerno ha ospitato, il 5 febbraio scorso, l’Assemblea annuale Arcc, momento di riflessione sulle attività svolte nel 2010 e di programmazione per il 2011, che ha visto la presenza dei rappresentanti di 45 cori associati. Molte le iniziative e i temi toccati, in primo luogo la seconda edizione di Salerno Festival, in collaborazione con Feniarco; un progetto discografico rivolto a tutti i cori associati; la promozione degli eventi musicali sul territorio regionale; i patrocini a rassegne e concorsi per promuovere la coralità della regione. In occasione dell’assemblea è stato inoltre eletto un nuovo Commissario Artistico, Patrizia Bruno, ed è stato presentata un’edizione speciale del giornale InformARCC, che ha raccolto gli eventi corali del periodo natalizio e ha dato ampio spazio alla prima edizione di Salerno Festival 2010. Il mese di marzo ha poi visto svolgersi due interessanti corsi di formazione: il primo, a Vallo della Lucania, rivolto ai cori di voci bianche e giovanili con la docente Roberta Paraninfo e articolato in due momenti distinti, uno dedicato ai direttori e l’altro agli oltre 120 giovani coristi partecipanti. Il secondo corso, a Salerno, era affidato al docente Carlo Pavese ed era incentrato sulla lettura creativa e sull’improvvisazione corale.

U.S.C.I. Friuli Venezia Giulia

Unione Società Corali del Friuli Venezia Giulia Via Altan, 39 - San Vito al Tagliamento (Pn) Presidente: Franco Colussi

Tradizioni musicali dalla natività alla risurrezione Sulla scia delle positiva esperienza maturata con il progetto Nativitas – che nella sua ultima edizione ha raggiunto gli oltre 130 appuntamenti – l’Usci Friuli Venezia Giulia ha proposto un nuovo progetto di rete dedicato al repertorio musicale legato alla Pasqua e alla Settimana Santa. Il 20 marzo scorso ha dunque preso avvio Paschalia - Passione & risurrezione nella tradizione musicale, cartellone di cinquanta eventi corali (concerti, sante messe, sacre meditazioni…) che si concluderà il 1º maggio toccando tutte le province della regione. Tra gli obiettivi principali della nuova iniziativa, da un lato la valorizzazione di un patrimonio musicale quanto mai ampio e prezioso nella storia della musica occidentale, e dall’altro promuovere le proposte musicali offerte dai cori associati nel periodo quaresimale e pasquale, creando un sistema di rete che ne favorisca la fruizione e la visibilità. Nell’ambito delle attività formative, particolare rilievo ha avuto il progetto dei corsi di formazione per direttori e coristi A scuola di coro, proposta articolata in quattro moduli indipendenti – che hanno coinvolto le province di Pordenone e Udine – incentrati su differenti temi e affidati ad altrettanti docenti: Alessandro Cadario, con la collaborazione di Deborah Summa e Krishna Nagaraja, ha affrontato in particolare il repertorio vocal-pop, mentre l’universo del canto popolare è stato al centro del modulo condotto da Fabrizio Barchi; Maria Dal Bianco ha approfondito gli aspetti legati alla conduzione della prova, mentre Denis Monte ha affrontato le problematiche legate alla direzione dei cori di voci bianche e scolastici.

REGIONI

Nei mesi di gennaio e febbraio si è inoltre concluso presso l’Abbazia di Rosazzo un nuovo ciclo di Incontri gregoriani avviato nel mese di novembre scorso e affidato, come di consueto, alla guida del prof. Nino Albarosa. Ha poi preso avvio nel mese di aprile, presso il Villaggio Ge.Tur., con una straordinaria partecipazione di corsisti, l’edizione 2011 di Voce e consapevolezza corporea, seminari di preparazione al canto incentrati su vocalità e metodo Feldenkrais condotti da Paolo Loss e Bettina von Hacke.

U.S.C.I. Lombardia

Unione Società Corali della Lombardia Via S. Marta, 5 - 23807 Merate (Lc) Presidente: Franco Monego

Percorsi natalizi… e non solo Il 26 marzo presso l’Aula Foscolo dell’Università degli Studi di Pavia si è riunita l’Assemblea ordinaria dell’Usci Lombardia, per l’approvazione dei bilanci e delle relazioni del presidente regionale e dei presidenti delle singole Delegazioni. Diverse le iniziative messe in atto in regione, a cura delle rispettive associazioni provinciali. L’Usci Bergamo ha organizzato nel mese di marzo il IV Corso di formazione “Cantare a scuola - Il coro di voci bianche”, docente Denis Monte, corso dedicato ai docenti di educazione musicale, di connotazione pratica con la presenza di un coro laboratorio. In occasione del concerto corale “Fiocco d’oro”, tenutosi il 12 marzo a Bergamo, l’associazione ha inoltre premiato i cori bergamaschi che nel 2010 si sono distinti per premi o riconoscimenti importanti. Ricordiamo infine che tra dicembre e gennaio si è tenuta la tradizionale rassegna natalizia “Musiche di Natale” organizzata dall’Usci Bergamo in tutto il territorio della provincia. Sempre in tema natalizio, diverse le iniziative svoltesi sul territorio: l’8 dicembre l’Usci Cremona ha proposto la prima edizione di “Natale in coro”, rassegna corale con la quale la nuova Delegazione provinciale ha ufficialmente avviato la sua attività; prima edizione anche per la Rassegna corale natalizia coordinata dall’Usci Pavia nel mese di dicembre su tutto il territorio provinciale; l’Usci Lecco ha messo in atto un progetto di rete denominato “InCanto di Natale”, raccogliendo in un unico cartellone gli oltre settanta concerti realizzati dai propri cori associati nel periodo natalizio; il 12 dicembre al Teatro Dal Verme di Milano si è tenuto il concerto finale della XXI Rassegna corale provinciale organizzata dall’Usci Milano, con la partecipazione di sette cori; e il numero sette ritorna ben due volte con il progetto “Cantiamo il Natale per…”, iniziativa di solidarietà promossa dall’Usci Varese che nella serata di martedì 7 dicembre ha visto la realizzazione di sette concerti in diverse località della provincia.

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A.R.CO.M. Marche

Associazione Regionale Cori Marchigiani Via Panoramica Ardizio, 95 - 61100 Pesaro (Pu) Presidente: Luigi Gnocchini

Madrigali, chansons… & Christmas carols! Si è svolta il 10 aprile a Macerata l’Assemblea ordinaria dell’Arcom, per l’approvazione dei bilanci 2010 e 2011 e per la definizione dell’attività per l’anno in corso. Confermate tutte le iniziative già programmate dal precedente Consiglio Direttivo, tra cui la rassegna per cori di voci bianche Corimarche 2011, il corso di Dario Tabbia a Macerata e il patrocinio al primo Concorso corale nazionale “Città di Fermo”, organizzato dal coro Vox Poetica Ensemble. In particolare, il corso con il maestro Tabbia si è tenuto il 5 e 6 marzo sul tema “Madrigali, chansons, mottetti e villanelle” e ha visto la partecipazione di una cinquantina di iscritti fra coristi e direttori di coro. Sono state affrontate le problematiche essenziali riguardanti la prassi esecutiva relativa alla musica rinascimentale, approfondendo aspetti legati alla notazione, al tactus, alle alterazioni, ma anche aspetti tecnici propri dell’esecuzione corali quali l’intonazione, la vocalità, le tecniche di concertazione. Tra dicembre e gennaio, due interessanti percorsi concertistici hanno trovato compimento: da un lato il cartellone di “Puer natus est”, rete di concerti natalizi svoltisi nell’ambito di tutta la regione, che hanno coinvolto complessivamente trentacinque cori; dall’altro, gli ultimi quattro concerti della rassegna “Fermano in…canto”, organizzata dall’Arcom in collaborazione e con il sostegno della Provincia di Fermo.

A.CO.M. Molise

Associazione Cori del Molise Via Appennini - 86023 Montagano (Cb) Presidente: Francesco Antonio Laurelli

Vocalità per direttori e coristi Tra febbraio e marzo si è tenuto a Campobasso, presso la biblioteca provinciale “P. Albino”, il corso di vocalità applicata al repertorio rivolto a direttori e coristi, tenuto dal maestro Fabrizio Barchi. I partecipanti (circa 160) hanno potuto proficuamente approfondire la conoscenza di elementi essenziali per una corretta emissione vocale, preziosi per la prassi esecutiva del canto polifonico.

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discografia&SCAFFALE

Giovanni Pierluigi da Palestrina

Missa Papae Marcelli

Odechaton, dir. Paolo Da Col, Arcana, 2010 Ci sono opere talmente emblematiche del loro tempo e del loro genere e, di conseguenza, così note al pubblico, da richiedere a chi voglia riproporle, soprattutto in un’edizione discografica, una notevole dose di coraggio. Ci si confronta, infatti, con una così ampia tradizione interpretativa che, da un lato, fa immediatamente scattare il paragone, ovviamente con gli esempi più illustri e impegnativi, dall’altro si inserisce in uno spazio saturo, di fronte al quale l’ascoltatore potrebbe reagire con un «Ancora?…». La Missa Papae Marcelli è una di queste: indubbi meriti artistici e leggende storiografiche ne fanno l’opera più nota di Palestrina e la pietra di paragone di uno stile che, travalicando i confini di una scuola, aspira a diventare modello universale per tutta la musica sacra. Il coraggio necessario per affrontare la sfida Paolo Da Col e il suo ensemble, l’Odhecaton, ce l’hanno avuto e il cd pubblicato nel 2010 da Arcana ne è il risultato. Un coraggio tanto più necessario, in quanto questa edizione non si motiva per la novità della sua proposta interpretativa, ma si basa esclusivamente sulla qualità intrinseca dell’interpretazione. Paolo Da Col, infatti, non si accoda a quanti diluiscono nella prassi le affermazioni di principio circa il divieto dell’uso di strumenti che differenzierebbe la scuola romana da quella veneziana, per restare a un luogo comune della storiografia musicale, e ci ripropone ancora una volta una versione interamente vocale e di un organico ampio, di almeno tre voci per sezione, forte dei dati storici che mostrano una cappella pontificia, nel XVI secolo, compresa tra i 20 e i 36 cantori. Ciò non significa che le scelte operate da Da Col non siano stimolanti. Interessante è l’idea di ambientare il capolavoro palestriniano in un concreto contesto celebrativo, a sottolineare che la liturgia non è mai astratta ma evidenzia sempre il farsi dell’Universale nel concreto di un tempo particolare. Così, dopo il mottetto Sicut Cervus, tratto dalla liturgia della veglia del sabato santo, il Comune della Papae Marcelli si cala nel proprium della Domenica di Risurrezione, ricorrendo ad altri brani palestriniani e, in un caso, a un altro esponente della scuola romana, Felice Anerio, succeduto al Palestrina come compositore della cappella pontificia. Apprezzabile (e non del tutto scontata, stante la poca conoscenza liturgica di molti interpreti) la pratica dell’alternatim con il gregoriano nel Kyrie e nell’Agnus Dei, tratti dalla missa I Lux et origo. Una cura, nel rendere il più possibile concreta la celebrazione che si spinge fino a scegliere una disposizione delle voci conforme a come le stesse sono disposte nel grande in folio del 1567 in cui la messa è pubblicata, mantenendo la prassi del codice manoscritto che vede la cappella riunita attorno a un unico volume, anziché quella, generale nel madrigale, dei cantori forniti di personale libro parte. Sono dunque molti i motivi per ascoltare attentamente questa riproposizione del capolavoro di Palestrina. Ma, tra tutti, quello che vorremmo rilevare particolarmente è come questa produzione di un gruppo italiano vada a incrementare una presenza sempre meno marginale del nostro paese nella musica rinascimentale, fino a non molto tempo fa oggetto solo di attenzioni d’oltralpe. Una doverosa ri-

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RUBRICHE

conquista di un patrimonio culturale nostro, finalmente in controtendenza alla scarsa autostima culturale che in Italia governanti e governati hanno verso se stessi e il proprio paese. Sandro Bergamo

Pontus - Melodie dal mondo Integrazione e interazione culturale attraverso la musica Castelfranco Veneto, Asac, 2010 Da un’idea di Paolo Bon, l’associazione corale del Veneto (Asac) ha realizzato il progetto Pontus (il termine è un colto riferimento alla storia di Venezia, città marinara, che è stata per lunghi secoli il principale luogo di contatto e di scambio fra l’Europa e l’Oriente). Terminata una prima fase – un concorso per le scuole dell’obbligo, il cui esito ha prodotto un assortimento di melodie provenienti da diverse tradizioni culturali relative alle aree di provenienza degli studenti immigrati – i materiali selezionati sono stati successivamente proposti ai compositori che hanno partecipato a un concorso di elaborazione corale. Il volume Pontus (realizzato dall’Asac in collaborazione con la Regione Veneto, Feniarco e la Fondazione di Venezia) è pertanto la pubblicazione delle opere di elaborazione corale premiate e segnalate da una giuria di esperti. Una raccolta di otto brani meritevoli suddivisi nelle categorie Coro di voci bianche anche con strumenti, Coro di voci miste a cappella e Coro di voci pari a cappella. Ecco i nomi dei compositori premiati: Andrea Basevi, Alessandro Kirschner, Cristina Ganzerla, Sara Silingardi, Maurizio Santoiemma, Enrico Ariaudo, Pompeo Vernile e Fabrizio Perone. Un’ampia e dotta prefazione di Paolo Bon motiva gli obiettivi del progetto. Tra le righe leggiamo che l’espressione musicale «è la stessa lingua alle più svariate longitudini e latitudini del nostro pianeta. La lingua musicale orale è una sola, e si tratta della lingua diatonica». Affermazione che Bon sostiene sul piano delle altezze e delle scale. Ma l’espressione musicale è un fenomeno più complesso che include anche altre dimensioni e che si manifesta nelle diverse culture in prassi molto eterogenee. Perciò, l’operazione di manipolazione di materiali di altra origine nella forma corale non è sempre così immediata. Per i nostri compositori coro significa polifonia, intreccio di voci sulle regole di un tessuto armonico. Non è detto che ciò che proviene dalle

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altre culture sia facilmente coniugabile con questa forma espressiva. Il rischio di snaturare la sostanza espressiva del dato estraneo sta sempre dietro l’angolo. Prova ne sia che i compositori del progetto Pontus hanno preferito lavorare attorno a una melodia di origine bosniaca (Nina nina nena) per certi tratti familiare. Ben quattro elaborazioni di questo stesso canto. Evidentemente l’andamento melodico e la struttura di Nina nina nena meglio si adatta ai canoni della nostra scrittura corale. Ci insegnavano al liceo «Graecia capta ferum victorem cepit» – la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il feroce vincitore – dove le lettere e le arti greche stanno per il contrappunto musicale occidentale che artiglia i fenomeni musicali estranei e li addomestica alle sue leggi. Vi siete mai chiesti perché Puccini apre Madama Butterfly (un’opera di ambientazione esotica) con un fugato? Dispute teoriche a parte, Pontus, è stata un’iniziativa encomiabile, che ha prodotto lavori convincenti. Ne cito un paio, ma non da meno sono gli altri. Il lavoro di Sara Silingardi (Nina nina nena, a 6 voci miste) è un brano di sicuro impatto ed efficace resa corale. Ingralese (a 6 voci femminili) di Pompeo Vernile mette in campo un tipo di scrittura moderna ed essenziale, che va nella direzione della libertà formale e della ricerca timbrica. Un neo non da poco. A parte un caso, mancano le traduzioni dei testi. Mauro Zuccante

Quadri a dó passi da ’l Stif

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Raccolta di 20 composizioni per coro maschile scritte per il Coro Castel sez. SAT di Arco Se il Coro della Sat di Trento è stato etichettato come «il conservatorio delle Alpi» (celebre definizione coniata dal musicologo Massimo Mila), potremmo definire il Trentino “l’università del canto alpino”. Nelle valli della prospera provincia autonoma sembra infatti non conoscere crisi lo “standard” del coro maschile alpino. Mentre nelle vicine regioni del Nord a questo particolare modello corale vengono ormai preferite altre tipologie di formazione corale e altri repertori, in Trentino la tradizione del coro maschile alpino tiene botta e vien mantenuta viva anche dalle generazioni più giovani. Leggo tra le pagine del rapporto del 2010 sullo stato della coralità italiana pubblicato da Feniarco, che i cori maschili associati ammontano, a livello nazionale, al 17%. Ebbene, in Trentino la percentuale, tra gli aderenti alla Federazione Cori, sale quasi al 40%, superando quella dei cori a voci miste.

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Pertanto, non sorprende che la specificità della coralità trentina si traduca in un cospicuo numero di collezioni di brani appositamente composti per il coro maschile alpino. Accanto agli arrangiamenti di canti popolari locali (patrimonio già ampiamente setacciato), il repertorio è ulteriormente alimentato da opere originali. In quest’ultimo filone si inserisce un’iniziativa editoriale del Coro Castel sez. Sat di Arco, sostenuta dal Comune di Arco, dalla Provincia Autonoma di Trento e dalla Federazione Cori del Trentino. Il coro ha infatti dato alle stampe una raccolta di 20 nuove composizioni per formazione maschile, dal titolo Quadri a dó passi da ’l Stif, dove Stif sta per Stivo, ossia il Monte Stivo, una panoramica altura i cui versanti si elevano da un lato sopra Arco e dall’altro sopra Rovereto. Testi poetici e musiche sono opera di autori locali. Ma nel citare i nomi dei compositori viene da considerare che si tratta di personalità conosciute, accanto ad altre emergenti, nel più ampio ambito della musica corale nazionale. Andrea Chini, Mattia Culmone, Ilario Defrancesco, Roberto Di Marino, Sandro Filippi, Riccardo Giavina, Angelo Mazza ed Enrico Miaroma. In sintesi il contenuto del volume è illustrato dalle parole che ricaviamo dalle note introduttive di Giuseppe Calliari. «Venti canti d’autore. Segno dello sviluppo del coro virile oltre le armonizzazioni di melodie tramandate, le pagine musicali scritte per altrettanti testi poetici tengono conto delle forme strofiche come di quelle libere: ne derivano atteggiamenti compositivi differenziati nella costruzione ma non meno nelle scelte di linguaggio, tra la fedeltà ai modi popolareschi e la piena autonomia». A conferma di quanto scrive Calliari a proposito di «fedeltà ai modi popolareschi», cito un lavoro che mi ha particolarmente colpito. Si tratta del brano Montagna amara di Roberto Di Marino, una misurata, coerente e toccante ricostruzione del cliché del canto alpino non solo dal punto di vista stilistico, ma anche in termini poetico-espressivi. La composizione di Di Marino richiama all’orecchio i lavori di Camillo Moser, altro musicista trentino che aveva introiettato i modi del canto corale alpino, sapendone produrre credibili re-invenzioni. Tra i restanti pezzi della raccolta si distinguono quindi quelli che manifestano il tentativo di coniugare la tradizione popolare con una scrittura più elaborata, personale e di derivazione colta, nonché con un linguaggio melodico e armonico liberamente aperto ai sistemi modali. Infine, è stata inserita nel volume La preghiera del partigiano, un lavoro di Terenzio Zardini. Padre Zardini non era trentino, ma veronese. Eppure, come altri autori della stessa generazione, nutriva simpatia per il canto corale alpino, avendone anch’egli ben assimilato il modello. Probabilmente un segno del legame con i luoghi prealpini dov’era nato. Mauro Zuccante

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RUBRICHE

Gastone Zotto

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Steven Mithen

Legger cantando

Il canto degli antenati

Varenna (Lc), EurArte, 2010

Torino, Codice, 2009

Sono passati quasi quarant’anni dalla pubblicazione del Cantar leggendo di Roberto Goitre: un testo che ha avuto e continua ad avere, nell’edizione rinnovata, un notevole successo, diventato bandiera per schiere di insegnanti. Nonostante il loro impegno, l’obiettivo di una alfabetizzazione musicale di massa rimane ancora piuttosto lontano. Nella prassi rimane ancora a farla da padrone il solfeggio parlato, croce senza delizie capace di falcidiare generazioni di allievi ancorché benintenzionati, mentre continuano a crescere ottimi (?) strumentisti incapaci di articolare suono con la voce, strumento universale e gratuito. Sull’argomento ritorna Gastone Zotto. Una biografia, quella del musicista veneto, che gli ha permesso di conoscere il problema da ogni lato: compositore e didatta, Gastone Zotto conosce i cori (è stato presidente dell’Asac per due mandati) e il loro bisogno di risolvere i problemi di lettura, ed è espressione del mondo accademico, avendo insegnato musica corale ed essendo stato direttore di conservatorio. Lo fa con una nuova opera pubblicata da Eurarte: sei fascicoli più un settimo introduttivo, che introducono gradualmente il bambino alla lettura degli intervalli sviluppandone contestualmente il senso tonale. Rovesciando fin dal titolo i termini del binomio goitriano (ma non in polemica con Goitre, a cui Zotto riconosce i meriti) il percorso parte dall’apprendimento di semplici filastrocche che, decodificate, diventano poi piacevoli strumenti di alfabetizzazione musicale: il percorso di Kodály, che partiva dai canti popolari ungheresi e, se vogliamo, dello stesso Guido Monaco, che dalla memorizzazione degli intervalli dell’Inno a San Giovanni ricostruiva quelli degli altri canti. Per gradi successivi, il percorso si snoda dal riconoscimento delle note alla loro intonazione, alla lettura con do mobile, fino a quella corale a più voci, per concludersi in una guida all’insegnamento per genitori e insegnanti. Come dal parlato alla lettura verbale, questo l’assunto di Gastone Zotto, così dal cantato alla lettura musicale: sempre nel gioco, perché «il primo e più condizionante approccio alla musica non può e non deve essere che gioioso. Al di fuori della piacevolezza rimane ben poco spazio alla vera musica. Forse nessuno». Sandro Bergamo

Non è un testo nuovissimo, quello che presentiamo oggi: pubblicato negli Stati Uniti nel 2005 è stato tradotto ed è uscito in Italia nel 2009. D’altronde, ci sono libri che chiedono di essere letti con attenzione, e bisogna aspettare che venga il momento per dedicarvisi. Il canto degli antenati di Steven Mithen è uno di quelli. Mithen non è un musicista: è un archeologo che ha indagato soprattutto nella preistoria, andando alla ricerca delle abitudini dei nostri progenitori, oltre l’homo sapiens, fino a risalire a Neanderthal e oltre. I risultati della sua indagine prospettano uno scenario inedito sullo sviluppo delle capacità musicali e sul loro rapporto con le facoltà del linguaggio. Due aspetti ritenuti, a torto, secondo Mithen, in stretta relazione, con la musica ritenuta derivazione e sviluppo della parola. Analizzando una serie di casi clinici, l’autore intende dimostrare come le due facoltà siano autonome. Nella prima parte dell’opera vengono infatti presentati una serie i casi in cui la perdita del linguaggio a seguito di lesioni cerebrali non ha compromesso le capacità musicali, fino al caso estremo del compositore impossibilitato a insegnare per perdita quasi totale della parola che proprio in quel periodo della sua vita scrive i suoi capolavori. Viceversa, diversi sono gli esempi di amusia interessanti tanto amatori quanto professionisti che, pur vedendo compromesse le facoltà musicali, non hanno alcun riflesso su quelle del linguaggio. Le due facoltà, musica e linguaggio, sono infatti governate da due diverse parti del cervello, collocate in due distinti emisferi. Nella seconda parte l’analisi si sposta sui reperti antropici e le conclusioni di Mithen stravolgono quanto credevamo di sapere: lo sviluppo della parola è recente (non prima di 50 mila anni fa) e limitato all’homo sapiens, mentre la musica è più antica. Lo studio si concentra sull’uomo di Neanderthal. Le dimensioni del cervello, insufficienti a contenere tutta la massa impegnata a gestire la parola, le caratteristiche di altre parti del cranio, che impedirebbero, per esempio, un sufficiente afflusso di sangue alla lingua e fanno pensare a un organo molto meno versatile del nostro, inducono l’autore a negare a questo progenitore la parola: al contrario, altre caratteristiche e lo sviluppo di aree del cervello destinate alla musica ne indicherebbero il pieno possesso delle facoltà musicali. L’uomo di Neanderthal poteva comunicare attraverso suoni intonati: dotato di orecchio assoluto e capace così di distinguere le diverse altezze, era in grado di trasmettere segnali significativi ai suoi simili. Non si trattava di un linguaggio articolato,

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in cui pochi elementi privi di significato (i fonemi) diversamente combinati danno origine a suoni portatori di significato (le parole): si trattava di segni olistici, portatori cioè, ciascuno di essi, di interi concetti (andiamo a cacciare oltre la collina dove c’è una mandria di bisonti). Un sistema capace di formulare pochi elementi di comunicazione e impossibilitato a svilupparsi in un vero e proprio linguaggio: ciò che invece riesce all’uomo sapiens, che, anche per questo, riesce a soppiantare il progenitore. Ciascuno di noi ripercorre nella sua infanzia il cammino dell’umanità primitiva. Il bambino, che già dal quarto mese dal concepimento è in grado di sentire, nasce con l’orecchio assoluto e mostra grande attenzione al mondo dei suoni. Lo sviluppo del linguaggio soppianta queste facoltà e la musica diventa poi una faticosa riconquista della sua cultura. Ma sempre, per tutta la vita, la musica esercita su ognuno il fascino delle cose radicate nel profondo, oltre la memoria, oltre la consapevolezza, oltre la ragione. Sandro Bergamo

Aurelio Zorzi

Io canto al re il mio poema Roma, 2010 Si tratta di un prezioso volume, aggiornato ai nuovi Lezionari, stampato magnificamente che musica i Salmi responsoriali per i tre cicli domenicali, le solennità e le feste dell’Anno Liturgico. Le antifone sono accessibili a una comune assemblea liturgica e i salmi sono facilmente sostenibili da un buon cantore. Non si tratta di musiche scontate; anzi sono speculari a ogni antifona, segno che il lavoro è stato meditato dapprima nell’intimo della fede e solo successivamente trasfuso in melodie che sono l’esegesi della parola che investono. Il canto responsoriale infatti, che costituisce di per se stesso un rito, è affrontato con sobrie melodie che esaltano il testo, sempre comprensibile anche quando, nelle solennità, è rivestito da una musica leggermente più lirica. L’opera contiene anche i canti della settimana santa e le due sequenze più note: Alla vittima pasquale e Vieni, santo Spirito. Si tratta in sostanza di un sussidio che rende più accessibile e più efficace la parola di Dio, sottratta all’espressività soggettiva del recitato per elevarla agli spazi purissimi della preghiera e della contemplazione. Gianni Bortoli

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letterE al direttore

«Egregio Direttore, (…) nel n. 33 settembre-dicembre 2010 trovo una lunga dissertazione del maestro Pier Paolo Scattolin dal titolo “Un secolo di canto popolare”. (…) Nel saggio di Scattolin vengono citati i musicisti che hanno contribuito a impreziosire con le loro elaborazioni il repertorio dei cori, nel testo vengono segnalati molti complessi corali a partire dallo storico coro della SAT. Dopo attenta rilettura dello scritto del maestro Scattolin noto una singolare “dimenticanza”. Il Maestro si è scordato di menzionare il Coro ANA di Milano. (…) Certamente citare tutti i complessi corali italiani, che secondo le ultime statistiche pare siano oltre 5000, sarebbe stato impossibile. Nello scritto molti dei complessi corali citati sono scomparsi da decenni e, nella maggior parte dei casi, hanno lasciato pochissime tracce ragguardevoli del loro percorso musicale. Quindi, caro Direttore, per un più ampio approfondimento sul percorso musicale del Coro ANA di Milano e più avanti mio personale, mi permetto di lasciare qualche informazione che forse potrà essere utile per il maestro Scattolin da tenere in archivio per eventuali altri saggi. Il Coro ANA di Milano nasce nel settembre del 1949 e viene considerato il primo coro nato nell’ambito della Associazione Nazionale Alpini. I cori inseriti nel saggio nascono tutti, esclusi SOSAT e SAT ben dopo il Coro ANA di Milano. Ovviamente l’età anagrafica non giustifica alcun merito artistico se esso manca. Il coro in oltre sessant’anni si è esibito in Italia, in Europa, in America, in Canada, e ultimamente in Australia, il maestro Scattolin potrà trovare ampie informazioni sul sito del Coro ANA di Milano. (…) Dal 1954 a oggi la discografia del nostro coro è vastissima. (…) Per circa tre anni abbiamo tenuto una trasmissione settimanale su TV2 della RAI dedicata ai canti degli alpini e ai canti popolari presentati da Paolo Limiti. La mia formazione musicale si è quasi interamente esplicata a Milano. Sono entrato giovanissimo come cantore nella Cappella Musicale del Duomo di Milano, studi in conservatorio. Con il maestro Bruno Bettinelli il mio percorso è stato straordinario, la mia parentela con lui mi ha permesso di avere un contatto personale con un grande compositore, un didatta eccezionale che mi ha concesso l’opportunità d’avere un lungo rapporto di studio e di collaborazione fino a poco prima della sua morte. Sono entrato nel Coro ANA di Milano nel 1955 (avevo vent’anni), ho assunto la direzione del Coro nel 1973. Ho avuto frequenti contatti con molti musicisti, divenuta poi vera amicizia: con Luciano Chailly, Angelo Mazza, Mino Bordignon Bruno Zanolini (…). Sono stato molti anni or sono presidente dell’USCI di Milano. Ho tenuto lezioni nelle università (Statale di Milano) Istituto Gonzaga di Milano. Nel 2008 il Coro ANA di Milano ha tenuto per la prima volta un concerto al teatro degli Arcimboldi di Milano con l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano con un concerto dedicato al 90° Anniversario della Vittoria nella Prima Guerra Mondiale, diretto per l’occasione dal maestro Giovanni Veneri e ripetuto poi l’anno successivo nel Duomo di Milano alla presenza di oltre 7000 spettatori in occasione della beatificazione di don Carlo Gnocchi. Ecco caro Direttore in sintesi il percorso del Coro ANA di Milano e mio personale. Nel saggio del maestro Scattolin trovo molti nomi di direttori di coro con i quali ho avuto rapporti di stima, di amicizia e anche di collaborazione: Paolo Bon, Bepi De Marzi, Angelo Agazzani e molti altri (…). Termino caro Direttore questa mia sostenendo che per una corretta informazione

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il Coro ANA di Milano avrebbe dovuto avere una citazione su Choraliter come è stato fatto per altri complessi corali, spiace che l’autore del saggio non abbia ritenuto opportuno citare un coro che oltre a ogni opinione personale è stato ed è una realtà nella vita corale di questo nostro Paese. Nel ringraziarla per l’attenzione porgo cordiali saluti e un ringraziamento personale per la sua bella rivista.» Massimo Marchesotti Direttore del Coro ANA di Milano, 20 gennaio 2011

«Gentili Signori, gentile Direttore Sandro Bergamo, scrivo a nome del Coro e del Maestro per evidenziare un fatto – a nostro modo di vedere – alquanto deplorevole. Mi riferisco all’articolo “Un secolo di canto popolare” redatto da Pier Paolo Scattolin, apparso sul numero 33 della Vostra rivista Choraliter. Leggo che il Signor Scattolin è docente di musica corale e direzione di coro presso il conservatorio di Bologna, nonché direttore del coro Euridice di Bologna. Trovo anche una sua biografia, nella quale servono quasi 20 righe per elencarne tutti i meriti e i titoli. Se ne evince un’immagine di un grande esperto della coralità italiana che firma, su Choraliter, un articolo che si estende su ben 14 pagine, nelle quali vengono citati numerosi cori, in particolare dell’alta Italia. Realmente ne cita parecchi, anche delle nostre parti, alcuni di loro piuttosto “giovani”, altri che vantano un’esistenza ultradecennale. A prescindere dai meriti e dalle qualità dei singoli cori menzionati, che ovviamente non intendiamo mettere in discussione, ci sorprende – e nel contempo ci delude – osservare che del nostro coro, il Coro Rosalpina del C.A.I. Bolzano, costituito nel giugno 1945 e tuttora attivo, non si fa il minimo cenno, e tantomeno vengono menzionati né il Maestro Silvio Deflorian né il Maestro Nunzio Montanari, nostri valenti armonizzatori e indiscussi protagonisti nel mondo della coralità italiana. Eppure, sottolineando l’esclusività del nostro repertorio, in quasi 70 anni di attività abbiamo – con oltre 1500 concerti – portato le nostre voci in lungo e in largo per l’Europa, nell’isola di Malta, in Libano, in Siria… riscuotendo ottime valutazioni dai maggiori critici musicali. Uno fra tutti, Giulio Confalonieri, che non esitò a definire il Coro Rosalpina un “caposcuola” nel filone del canto popolare. Evidentemente troppo poco per meritare di essere – quantomeno – citati nella vostra rivista. Vi giungano i saluti dal Coro Rosalpina del C.A.I. Bolzano Dott. Aldo Stracchi, Vicepresidente

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Il tema del canto popolare è di quelli che accendono gli animi e suscitano il dibattito non meno dell’interpretazione del repertorio antico o di altri aspetti della musica corale. Personalmente ricordo con grande nostalgia le occasioni di discussione, nei convegni o margine di concerti, cui ho avuto modo di partecipare, negli anni Settanta, forse i più vivi in quest’ambito, quando le diverse posizioni dei Marelli, dei Bon e degli esponenti della Nuova coralità, dei De Marzi, dei Mazza, dei Corso, dei Malatesta, dei Vigliermo (e chissà quanti ne dimentico: arriveranno lettere?) si intersecavano con il movimento del folk revival e le sue posizioni, spesso critiche, verso l’elaborazione corale del canto popolare. Fu un dibattito stimolante, per un giovanissimo direttore, che invitava allo studio, alla ricerca, al non riposare sullo scontato di un repertorio consolidato: un atteggiamento di fondo che mi sono portato dietro fino a oggi e che spero di mantenere fino alla fine, considerando la mancanza di stimoli la certificazione della sopravvenuta vecchiaia. Ho potuto così conoscere bene anche l’attività del coro Rosalpina, consumando l’LP Sui monti fioccano, come del coro ANA e di uno dei suoi storici direttori, Flaminio Gervasi, incontrato, se non ricordo male, nel 1975 in un convegno a Milano. Dove c’è dibattito, c’è intelligenza ed è quindi inevitabile la differenza di posizioni e punti di vista, laddove i temi sono trattati con passione e competenza. E l’attenzione che i nostri lettori ci riservano, anche quando criticano un nostro articolo, è la conferma che passione e intelligenza vivono ancora nella coralità popolare, quale che sia il significato che vogliamo dare a questo termine. I nostri dossier hanno proprio questa funzione: stimolare la riflessione, suscitare la voglia di approfondire. Non intendono né potrebbero essere esaustivi di un argomento. La storia della coralità popolare italiana è ancora tutta da scrivere e chi lo fa si muove sulla base di poca documentazione, della propria personale esperienza e in assenza di studi che delineino la situazione regione per regione, offrendo dati ampi a chi deve fare sintesi. Tutte queste considerazioni Pier Paolo Scattolin le metteva in nota a una prima e molto più lungo versione dell’articolo, che, per ragioni di spazio, abbiamo dovuto chiedergli di abbreviare, precisando anche che la sua esperienza di vita, corale e non (è bolognese), lo portava a confrontarsi più facilmente con la realtà emiliano-romagnola. In più, quando si scrive la storia, si ha sempre un punto di vista e ciò che è importante per quella ipotesi di lavoro può non esserlo per un altro e viceversa. Se voglio scrivere una storia del paesaggio attraverso la sua raffigurazione nelle opere d’arte, mille quadri di vedutisti minori contano più degli affreschi della Sistina, senza con questo dare a essi più valore estetico che a Michelangelo. Sono punti di vista di cui l’autore e chi lo pubblica assumono la responsabilità, e come tali vanno accolte, perché non rappresentano, né vogliono rappresentare, classifiche, lodi o biasimi. E assieme all’assunzione di responsabilità si aprono – perché può aiutare a proseguire nella conoscenza – alla critica, purché questa non voglia vedere complotti e fazioni, pena diventare faziosa essa stessa.

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MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi

Non so come canti mio Signore sempre ti ascolto in silenzioso stupore La luce della tua musica illumina il mondo Il soffio della tua musica corre da cielo a cielo L’onda sacra della tua musica irrompe tra gli ostacoli pietrosi e scorre impetuosa in avanti Il cuore anela di unirsi al Tuo canto ma invano cerco una voce Vorrei parlare ma le mie parole non si fondono in canti e impotente grido Hai fatto prigioniero il mio cuore nelle infinite reti della Tua musica. (R.Tagore) Credo che ormai non sia rimasto più nessun italiano a cui l’anniversario 2011 non dica immediatamente “Unità d’Italia”. Forse qualcuno c’è, invece, che non collega questa data al doppio anniversario (150° di nascita e 70° di morte) di Rabindranath Tagore, prosatore, drammaturgo, filosofo e musicista indiano, uno dei più grandi poeti mistici del mondo che riscosse grande successo sia negli Usa, sia in Europa (Premio Nobel per la letteratura nel 1913!). Non poteva capitarci (Deo gratias!) opportunità migliore, a me di fare e ai lettori di Choraliter di ricevere – a primavera ormai avanzata – i migliori auguri di buona continuazione delle attività musicali e non, con parole più grandi e più sagge.

Takadimi, metodo per lettura a prima vista Sound Connections (Connessioni audio) è un programma sequenziale completo per l’apprendimento della lettura a prima vista, basato sull’apprendimento e la ricerca corrente sul cervello (è spiegato nel testo). È auto-pubblicato dal dott. Don Ester della Ball State University (Usa). Se siete alla ricerca di pedagogia efficace per la lettura a prima vista in base a come i bambini effettivamente imparano in realtà – ossia il suono prima della vista, come molti studiosi sostengono – probabilmente questo metodo è esattamente quello che state cercando. È un sistema chiaramente delineato, facile da usare, e quando si acquista il libro si è autorizzati a fare copie/fotocopie di tutti gli esercizi in esso proposti. «Con questo metodo ho visto fare cose incredibili nelle scuole di tutta la zona. Quando utilizzato in modo coerente… gli studenti della scuola media e della scuola superiore riescono a leggere ritmi sempre più difficili (in metro semplice e composto,

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tra l’altro) rispetto a ciò che sanno fare la maggior parte dei miei colleghi universitari. Davvero, un coro di scuola superiore oggi a prima vista legge meglio di noi» (lo dice uno studente universitario americano, laureando). Come molti altri hanno sottolineato, Takadimi è appropriato per tutte le età, dai bambini piccoli agli adulti. Felice lettura… a prima vista!

Libri e risorse elettroniche per la musica vocale C’è un libro in tre volumi che è un’enciclopedia di tutto quanto si conosce sulla voce. È scritto in maniera brillante, senza perdere di vista gli studenti delle superiori (junior e senior). Copre letteralmente tutto ciò che chiunque vorrebbe sapere sul tema della voce, i benefici dell’autoespressione umana nel cantare e parlare, come sono fatte e come sono “utilizzate” le voci in un cantare e parlare qualificato ed espressivo, la salute e la tutela della voce, come cresce la voce attraverso la vita prenatale, l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza, l’età adulta e l’anzianità, e un buon numero di altre “cose” basate sull’evidenza. Ci sono 18 autori, tra cui tre documenti di medicina ENT (ear, nose, throat [orecchio, naso, gola]), un immunologo-allergologo, un endocrinologo, un logopedista, un audiologo, uno specialista educatore della voce, uno specialista sul cambio della voce maschile, uno specialista sul cambio della voce femminile, due specialisti della voce infantile, uno specialista della voce nella prima infanzia, un insegnante di Tecnica Alexander, un direttore di coro, e tre autori che sono direttori di coro, educatori di voce solista ed educatori musicali di prim’ordine. Bodymind & Voice: Foundations Of Voice Education (Corpomente e voce: fondamenti di educazione della voce) è co-pubblicato dal National Center for Voice and Speech e dalla rete VoiceCare. Co-redattori sono Leon Thurman e Graham Welch (educatore e studioso della voce di fama mondiale, responsabile di Lettere e Filosofia all’Istituto per l’Educazione dell’Università di Londra). Negli Usa e, più in generale, a livello internazionale, il libro è stato adottato per i corsi di educazione musicale, per quelli di direzione di coro, e per i corsi di pedagogia vocale ed è stato molto ben valutato e apprezzato da insigni professionisti.

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Solo due pareri fra i tanti: «Uno dei miei studenti ha detto “Avere questo libro vale quanto i quattro anni dei miei studi all’Università. Esso risponde a moltissime mie domande”» (Judy Roberts, professore in educazione della voce ed educazione musicale dell’University of Central Arkansas). «…La più importante pubblicazione sull’insegnamento dell’uso della voce negli ultimi venti anni…» (il canadese Reid Spencer, attore, cantante, educatore della voce). Maggiori informazioni e ordini presso www.voicecarenetwork. org

Libera la voce, libera la musica Benvenuti nella Rete VoiceCare! Dal 1982, la rete VoiceCare ha offerto corsi a migliaia di insegnanti di musica, direttori di coro, insegnanti della voce, artisti e appassionati di voce di tutto il mondo e ha condiviso la ricerca, la conoscenza e le tecniche per rimodellare ciò che essi sanno fare con la voce. La rete VoiceCare vi invita a ringiovanire la vostra passione per la voce e trasformare le vostre conoscenze immergendovi nella dimensione creativa di un corso di livello laurea di 8 giorni, dove, indipendentemente dal vostro livello di esperienza, sarà possibile: • sviluppare il vostro canto attraverso potenti tecniche vocali basate sull’evidenza; • esplorare l’approccio a una classe e alle prove per aiutare i cantanti a costruire fiducia, crescere e avere successo; • scoprire come cantare per tutta la vita e insegnare agli altri a fare lo stesso; • stimolare la libertà che c’è in voi stessi e negli altri per produrre senza sforzo un suono ricco ed espressivo; • imparare strategie per mantenere sana la vostra voce tutto l’anno; • migliorare il suono corale e l’espressione attraverso una direzione senza interferenze, centrata sul cantante; Questo sito è per insegnanti di educazione musicale, direttori di cori e di corali, direttori d’orchestra, maestri di canto, cantanti, logopedisti e medici ENT (orecchio-naso-gola).

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Cantare con la mente, con il corpo e con l’anima Singing with Mind, Body, and Soul: A Practical Guide for Singers and Teachers of Singing (Cantare con la mente, con il corpo e con l’anima: Guida pratica per cantori e direttori di coro) è un testo molto facile da leggere, con molta narrativa e molta tecnica che sviluppa abilità importanti; è un’opera unica in quanto davvero è una guida per preparatori della voce, cantori e direttori di coro. Essa evidenza in un modo chiaro e diretto i fondamentali di una sana tecnica vocale. Strumenti ed esercizi sono usati passo passo per raggiungere una produzione vocale solida e corretta. Esercizi specifici per migliorare la cinestetica e la consapevolezza del canto sono riccamente presenti in ogni capitolo. Gli strumenti, usati insieme agli esercizi, riqualificano i muscoli e permettono un meccanismo vocale che scarica la tensione, al tempo stesso mantenendo nella voce energia e vitalità. Cantare con la mente, con il corpo e con l’anima offre a entrambi, coro e direttore di coro, una chiara guida al bello e al sano cantare con tutta l’anima.

La musica è gioia e anima… e guarigione Musica come guarigione: effetti benefici del cantare in coro Amanda Weber dirige un coro “speciale” a Washington DC. Si era trovata a lavorare in un centro per donne senza fissa dimora e senza tetto che oltre ad alloggio, cibo e vestiario fornisce lezioni di arte, scrittura, autobiografia, yoga e cucina. Durante il primo anno di volontariato s’è chiesta «ma dove è la musica?» e si è resa conto di poter colmare questa lacuna. Forte della sua formazione musicale, era sicura di sapere cosa fare, ma in seguito lei stessa dirà: «Mi sbagliavo». Si trovò a parlare con il direttore del centro e ora… dopo due anni e mezzo dirige un gruppo musicale di circa trenta donne senza fissa dimora: il Bethany’s Women of Praise. «Sono donne forti – dice Amanda – provenienti da molti luoghi diversi. Alcune stanno uscendo dalla droga, altre sono malate mentali; alcune sono state avvocati,

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insegnanti, funzionari del governo, altre sono analfabete o ignoranti; alcune hanno subito abusi, altre sono nate in situazioni sfortunate… Mi sbagliavo – aggiunge – nel credere che queste persone volessero cantare solo musica gospel. Loro amano anche Bach e Beethoven, Chopin e Debussy; sono affascinate dalla Sagra della Primavera e attirate dalla storia di Pierino e il Lupo. Abbiamo avuto lezioni su tutto, dal canto gregoriano a John Cage… E mi ero sbagliata anche nel pensare che avrebbero preferito imparare la musica a orecchio». Infatti queste donne hanno imparato a leggere la musica e hanno appreso che le note nella pagina in realtà significano qualcosa. In classe, una volta, Amanda ha sollecitato una discussione su cosa si può qualificare come musica. Per valutare le loro reazioni, ha sbattuto il pugno sul pianoforte e ha chiesto: «Questa è musica?». Credeva di conoscere quale sarebbe stata la loro risposta, ma, di nuovo, si sbagliava. «Sì, è musica!» hanno detto. «Sembra arrabbiata, ma rappresenta come ci si sente dentro, e questo va bene. Va bene essere arrabbiati. Questo è sicuramente musica!» Quando è stato chiesto loro di definire la musica, hanno detto che «la musica è gioia e anima». Una donna ha chiesto di scrivere anche «guarigione» sulla scheda. La maggior parte sono donne molto provate, ma tutte sono forti. «Nei miei sforzi per insegnare a queste donne, sono io che ho imparato. Sono stata accolta e servita. Insieme abbiamo sperimentato una ospitalità reciproca che molte stanno cercando, e credo fermamente che la musica può facilitare questo. Ho avuto la fortuna di vedere persone unirsi per formare una comunità, legate dal canto… Non siamo certamente l’unico coro senza fissa dimora», conclude Amanda Weber. «Esistono molti cori non convenzionali, come i cori nei carceri, cori nelle case di cura, e cori composti da cantori con handicap mentale o fisico… Io aspetto con ansia il giorno in cui questi gruppi non saranno più classificati cori non convenzionali. Quel giorno, davvero comprenderemo la definizione di musica come “guarigione”. La vedremo come potenza al di là di noi stessi: una gioia inspiegabile, una agitazione per il cambiamento, uno strumento di giustizia sociale, e un modo per costruire una comunità in un mondo che così disperatamente ne ha bisogno». Sottoscriviamo? Credo che saremo una grande compagnia!

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Semplici passi per una lunga e piacevole vita di canto Dieci facili regole per la salute vocale 1. Dormire bene: non dormire abbastanza influisce negativamente su tutte le funzioni motorie e cognitive. Gli esperti del sonno dicono di dormire tra quattro e otto ore, ma ognuno di noi è la migliore guida per se stesso. 2. Bere adeguatamente: le corde vocali devono sempre essere debitamente idratate (un motore senza adeguata lubrificazione non regge al compito a cui è destinato), ma non trangugiare bicchieri d’acqua appena prima di cantare o di fare un uso impegnativo della voce. 3. Respirare correttamente: si potrebbe dire che l’aria che si respira diventa voce a livello delle corde vocali. Quindi bisogna aver cura di respirare in modo adeguato alla funzione vocale che si deve svolgere. Più volte al giorno esercitarsi a respirare con calma, profondamente e in modo relativamente rilassato. 4. Postura efficace: come gli strumentisti cercano la posizione migliore per produrre suono con il proprio strumento, così per lo strumento della voce, il corpo. L’intero strumento lavora con più efficienza quando la postura è ottimale, semplice ed efficace per migliorare la funzione vocale. 5. Muscoli rilassati: ogni atleta sa che l’ipertensione dei muscoli richiede maggiore fatica. La stessa cosa è vera nel canto. I nostri muscoli devono mantenersi in una posizione relativamente rilassata in modo da poter fornire la miglior prestazione possibile. 6. Non così forte! In ambiente rumoroso gli esseri umani tendono inconsciamente ad aumentare il volume della voce (Effetto Lombard). Ma le corde vocali sono strutturate per sostenere una limitata forza di contatto. Per quanto perfetta sia la tecnica, oltre un certo limite la voce comincia a cedere. 7. Rallenta! Più veloce si parla, meno di respira e più teso è il sistema di fonazione nell’insieme. Rallenta! La minor velocità di parlata non solo permetterà al sistema vocale di lavorare con più efficienza, ma produrrà anche un’atmosfera più piacevole per te e per chi vive e lavora intorno a te. 8. Meno istruzioni è meglio! Il direttore tende a riempire ogni pausa di lavoro con “perle” di conoscenza e informazioni senza le quali chi canta… non potrà realizzare il suo massimo successo artistico. Ma studi recenti non confermano che tutte quelle indicazioni fornite al cantore lo aiutino effettivamente ad apprendere meglio! 9. Il silenzio è d’oro. Come “atleta vocale” si sa che le corde vocali hanno bisogno di tutto il riposo che si può dar loro, anche

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se pare non ne abbiano bisogno. È proprio necessaria quella lunga conversazione… quella telefonata…? Mai sovraccaricare la voce! 10. Calmati! Purtroppo nella nostra società abbiamo perso coscienza dell’importanza che momenti di assoluto riposo hanno per il mantenimento di una buona salute fisica, mentale e spirituale. Tutti hanno bisogno di tempo per ricaricarsi. Il corpo, la mente e lo spirito ne hanno bisogno! È importante stare impegnati in attività rilassanti e piacevoli, ma anche avere momenti di assoluto “farnulla”, momenti “vegetativi” in cui la mente è assolutamente libera. È essenziale per lo sviluppo creativo, perché permette al cervello di ricaricarsi come in nessun altro modo può fare. Se miracolosamente voi foste in grado di applicare contemporaneamente tutti questi suggerimenti, avreste risolto tutti i vostri problemi e cambiato totalmente la vostra produzione vocale? Probabilmente no, ma anche la minima applicazione di uno di questi suggerimenti aumenterebbe la capacità di produrre bel suono proteggendo il tuo strumento voce. Il modo migliore per cominciare? Affrontare una regola per volta. Lo sostiene Margaret Baroody di Philadelphia, specialista in medicina della voce, famosa per il suo lavoro sulle voci danneggiate, autrice di libri sulla salute e la pedagogia vocale e corale, mezzo-soprano professionista con ampia esperienza nel campo dell’opera, dell’oratorio e del recital.

Presidenti Usa… in canto Sappiamo tutti che Thomas Jefferson era un violinista, che Truman Capote suonava il pianoforte e Bill Clinton il saxofono, ma chi può citare un presidente cantante o corista? C’è voluta Judith Clurman per far cantare i presidenti degli Stati Uniti, con un progetto davvero originale, anche nel nome: The President. Il seme del progetto fu piantato soltanto due giorni dopo il noto attacco dell’11 settembre alle Torri Gemelle, presso una caserma di vigili del fuoco di New York City, mentre la stessa Clurman stava dirigendo il suo coro nel brano America The Beautiful. «Molte persone piangevano – ricorda la Clurman – e io ero molto commossa». Qualcosa di nuovo cominciò subito a ribollire nella musicista che ha sempre amato la musica e la politica americana. «Mi son resa conto che i canti che cantiamo con tanta naturalezza e i folk songs americani hanno un profondo significato per il popolo». Judith Clurman propose la sua idea alla Biblioteca del Congresso a Washington: «Non sarebbe fantastico e divertente se proponessi ad alcuni miei amici compositori di prendere parole scritte da presidenti americani e farne dei canoni molto semplici da far imparare ai ragazzi delle superiori dando loro l’opportunità di apprendere

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musica nuova di compositori contemporanei e di studiare i presidenti?». Judith assegnò a musicisti del calibro di Jake Heggie, Samuel Adler, Paul Moravec, Nico Muhly e altri il compito di comporre un breve canone di non più di 90 secondi di durata. Sosteneva che «un canone chiunque lo può cantare, anche se non è un cantore perfetto; lo cantano i ragazzi, lo cantano gli adulti…». Le risposte dei compositori coinvolti sono state molto diverse fra loro. Qualche compositore mandò una composizione di 18 pagine! Altri, composizioni di una sola riga! Alcune composizioni erano troppo difficili per ragazzi delle scuole superiori. Milton Babbit è l’unico compositore che ha potuto scegliere il testo. A tutti gli altri compositori il testo è stato assegnato: Judit aveva fatto tutto il possibile per abbinare la personalità del compositore con la personalità del presidente. «Il risultato è un ritratto in miniatura di un presidente in musica». L’intero ciclo di canoni è stato registrato dall’Essential Voices Usa Choir all’Accademia Americana delle Arti e delle Lettere il 17 gennaio 2011. «Durante la registrazione, mentre dirigevo l’esecuzione io vedevo le facce dei presidenti davanti a me. Quando abbiamo eseguito La migliore via per il progresso è la via della libertà di JFK, non ho potuto fare a meno di pensare: “Wow, quelle parole sono davvero stupefacenti!”». Parole di Judith Clurman, direttore dell’Essential Voices USA Choir.

Restituire al canto gregoriano la sua verità Sandro Magister ha scritto recentemente che «i Cantori Gregoriani… sono i primi a sapere e a teorizzare che il canto gregoriano può essere compreso e gustato solo se riportato nel suo contesto proprio, che è quello della liturgia… Non c’è altro modo che questo per restituire al canto gregoriano la sua verità. E per ridargli il posto preminente che il Concilio Vaticano II gli aveva confermato, come canto principe della liturgia cattolica». Già convinto per me stesso di questo, ancor di più lo sono dopo una esperienza vissuta a Somasca, nel lecchese dove vivo, dove in occasione dell’ultima festa di San Girolamo sono stati proposti i solenni Vespri in rito ambrosiano. E ora leggo dell’iniziativa per la quale, dall’inizio della Quaresima 2011, arte e musica si accompagnano alla parola del papa, che fa da guida alle messe festive. La domenica con Benedetto XVI va in onda in Italia ogni sabato alle 17.30, con una replica alle 22.35. Accompagnerà l’intero anno liturgico, senza mai andare in vacanza. La tv che mette in onda questo nuovo pro-

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gramma è TV 2000, di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana, con Dino Boffo direttore dei programmi, visibile sul satellite e sul digitale terrestre in Italia, e in streaming anche in tutto il mondo, sul suo sito web. La domenica con Benedetto XVI si articola in tre momenti: arte, parola e musica. La parola è quella del papa stesso, con il meglio della sua predicazione (in viva voce e immagini) nelle omelie delle messe e negli Angelus a commento del vangelo del giorno dopo; l’arte fa, invece, da “ouverture” alla trasmissione. Il grande storico dell’arte Timothy Verdon mostra e illustra tre capolavori della pittura legati ai temi e ai soggetti della messa del giorno dopo, gli stessi messi in luce dal papa; la musica, a coronamento del tutto. I Cantori Gregoriani diretti dal maestro Fulvio Rampi fanno ascoltare il canto d’ingresso e il canto di comunione del proprio di ciascuna domenica, in gregoriano purissimo, con un commento del loro direttore che ne svela le meraviglie musicali e liturgiche, in alcuni casi già anticipate dallo stesso papa. Nota perfettamente intonata: la trasmissione non dura più di mezz’ora. Si conferma il caso: piccolo è bello!

1° Concorso internazionale di composizione corale La prima edizione del Concorso Internazionale di Composizione Corale organizzato da IFCM (Federazione Internazionale per la Musica Corale) in collaborazione con ECA - Europa Cantat e JMI (Gioventù Musicale Internazionale) si è concluso con buoni risultati: 65 composizioni provenienti da quattro continenti sono state sottoposte alla giuria composta dal tedesco Graham Lack (presidente), dal finlandese Reijo Kekkonen, dall’australiano Stephen Leek e dall’inglese Jonathan Rathbone. La giuria ha nominato il vincitore e ha assegnato due menzioni speciali. Opera vincitrice del primo premio: White, those that stayed still, del compositore Matthew Van Brink (New York, Stati Uniti). Prima menzione speciale: At that hour, del compositore Tom Norman Harrold (Glasgow, Scotland, Regno Unito). Seconda menzione speciale: Drawing number one, del compositore Michael Fili (Pittsburgh, Stati Uniti). L’opera vincitrice sarà pubblicata da un editore musicale prestigioso mentre ICB (International Choral Bulletin) presenterà un’intervista al compositore vincitore e presenterà un estratto dell’opera allo scopo di promuovere il compositore e le sue opere. Per maggiori informazioni rivolgersi al direttore artistico del concorso Andrea Angelini ([email protected]).

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IV Forum Mondiale della Musica a Tallinn in Estonia IMC (International Music Council) e EMC (European Music Council) hanno deciso di combinare i loro sforzi e organizzare insieme il prossimo Forum Internazionale della Musica. Esso avrà luogo a Tallinn (Estonia), dal 26 settembre al 2 ottobre 2011, in collaborazione con il Consiglio Estone per la Musica. I consigli direttivi delle citate associazioni hanno deciso di unire le forze per fare di questo il 4° Forum Mondiale del Consiglio Internazionale per la Musica un evento davvero globale all’insegna della collaborazione. All’interno di questo ricco e interessante programma del Forum, l’EMC terrà anche il meeting annuale dei suoi associati. L’EMC si farà carico del primo giorno del Forum, dedicandolo al tema “La musica è uno strumento per il cambiamento”. La giornata culminerà nella presentazione del II Premio dell’IMC per i Diritti Mu­­si­cali. Maggiori informazioni sono reperibili in www.emc-imc.org e in www.imc-cim.org

Italia - Germania: cinque secoli di musica sacra corale È il titolo di un progetto internazionale che ha lo scopo di proporre e valorizzare la musica polifonica sacra a cappella di stili e periodi differenti, sia a coro singolo sia a doppio coro, appartenenti ai repertori propri delle due nazioni, Italia e Germania, che tanto hanno contribuito nella produzione musicale vocale europea di questi secoli. Nel prossimo mese di luglio, promotori e realizzatori del progetto nelle due rispettive città sono il Coro St. Maximilian di Monaco di Baviera e il Coro San Giorgio di Acquate Lecco. Protagonista sarà la musica corale a cappella sul tema appunto del rapporto Italia e Germania in cinque secoli di musica sacra. Dei vari periodi storici considerati (Rinascimento, Barocco, Classico, Romantico e dal Novecento ai giorni nostri) verranno eseguiti un brano di un autore italiano, un brano di un autore tedesco, un brano di autori dell’una o dell’altra nazione che abbiano qualche elemento in comune, e siano previsti per cori contrapposti e a doppio coro. La realizzazione del concerto di Monaco di Baviera vedrà la partecipazione diretta e ufficiale della comunità italiana attraverso l’Istituto Italiano di Cultura e il Consolato Italiano. A Lecco i concerti avranno il supporto organizzativo dell’Associazione Harmonia Gentium. Non c’è dubbio che si tratti di un piccolo ma importante evento corale che nel panorama culturale 2011 di Monaco di Baviera e di Lecco e, soprattutto, nel panorama corale europea si propone anche come esempio imitabile anche per molti altri cori.

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Festival corale per la pace mondiale Dal 25 al 28 luglio 2011 ancora una volta Vienna sarà il palco per eccellenza dei cori di ragazzi e giovani di tutto il mondo. Sotto lo slogan “Riuniti per cantare; cantare per un futuro migliore” i giovani promuoveranno la pace mondiale. Cori di tutto il mondo, assieme al Vienna Boys Choir, inaugureranno il Festival Corale per la Pace Mondiale confermando ancora una volta che la musica è la lingua comune del nostro mondo. La musica è la lingua che dà ai ragazzi di ogni età, provenienti da qualsiasi parte del mondo, e con le preferenze musicali più diverse, l’opportunità di trovarsi insieme e collegarsi in modo davvero appassionato. Vienna, con la sua lunga tradizione musicale, fornisce ai giovani l’atmosfera giusta per celebrare momenti indimenticabili. Durante il festival i giovani cantori si renderanno conto di essere tutti uniti dalla passione per la musica e che la musica aiuta a creare una migliore comprensione fra esponenti di culture diverse.

Diretta emanazione del festival è il Coro della Pace Mondiale (World Peace Choir), un progetto corale interculturale che mira a unire e ispirare ragazzi e giovani di tutto il mondo attraverso la bellezza e la gioia della musica. Non c’è nulla di più potente che un gruppo di individui giovani e appassionati che alzano la loro voce tutti insieme. Essendo parte del Festival Corale per la Pace Mondiale esso fornisce esperienze valide e ricordi memorabili per ciascun partecipante.

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Brevissimamente… Poi se interessa “ci torniamo su” Il pubblico conta! In qualità di leader che si dedicano alla promozione delle attività corali, noi tutti – direttori, amministratori, membri del consiglio direttivo, volontari e cantori – lavoriamo senza risparmio di fatica per garantire l’eccellenza del prodotto artistico. Stiliamo programmi, facciamo prove, raccogliamo danaro, vendiamo biglietti, viaggiamo, mettiamo giù sedie e leggii così da poter cantare. Sì, cantare! Ed essere ascoltati! Senza le stupende persone del nostro pubblico non ci sarebbe concerto! E allora gli ascoltatori (e non importa solo “quanti”) sono essenziali al concerto quanto di esecutori. E non soltanto perché comprano biglietti o danno contributi finanziari. Essi respirano nel nostro suono, esalano il loro apprezzamento originando un dialogo che ci sostiene. E allora è il caso di chiederci: Chi sono i nostri ascoltatori? Cosa vogliono? Come stanno cambiando? È un suggerimento, magari per un prossimo dossier di Choraliter.

E tu sei pronTO a cantare? Stiamo preparando la XVIII edizione del prossimo Festival Europa Cantat che avrà luogo dal 27 luglio al 5 agosto 2012 per la prima volta in Italia, a Torino. Il festival ospiterà partecipanti provenienti da tutto il mondo e offrirà 40 atelier per cori, gruppi vocali, singoli cantori di ogni livello, toccando tutti i generi musicali. Verranno inoltre attivati appositi programmi per direttori e compositori. Durante il festival, si potrà assistere a oltre 100 concerti e numerosi eventi musicali e culturali con ospiti di fama internazionale. Al tramonto tutti i partecipanti e il pubblico di Torino si riuniranno in piazza per cantare insieme nell’open singing serale. In terra piemontese, le persone vivranno 10 giorni di sorprendenti esperienze: musica, arte, cultura, sapori e, ovviamente, incontri e nuove amicizie! Le iscrizioni al festival apriranno nel mese di giugno 2011. A breve saranno disponibili maggiori informazioni sulle modalità di partecipazione e sul programma artistico della manifestazione sul sito www.ectorino2012.it. Vi aspettiamo a Torino!

reGione Friuli VeneZiA GiuliA

ministero per i beni e le AttiVità CulturAli

e l a n o i z a n r e l e t a n r i o a c n o a t n m i a r t c t u i e o d t s dy

n. 34 - gennaio-aprile 2011

Rivista quadrimestrale della FENIARCO Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali

ALLA RICERCA DI SONORITÀ INEDITE

Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN

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AsAC Veneto

n. 34 - gennaio-aprile 2011

usCi Friuli VeneZiA GiuliA

u t s l a n io

t a n r e t in

JONATHAN RATHBONE ARVO PÄRT E TÕNU KALJUSTE

ALLO SPECCHIO LA REALTÀ DELL’UTOPIA ASSEMBLEA NAZIONALE FENIARCO

CONCORSI CORALI

tori diret r e p orso ni e c i b m di ba cori eo (IT) r e p ica i L na 1 Mus ente: Luig r e i nezia T) l e e c V t o A a l d (I • Scuo mbardo a l l e d ica o Lo Mus te: Fabi 2 r e i n l A) doce • Ate (US pel s n o a g m tual e Whit Spiri e: Walt 3 r nt lie E) doce • Ate er (D ica t h n c a a um rom usica Jan Sch M 4 : lier docente (DE) • Ate celi zz i a j M / anie l pop Voca e: Steph 5 r nt lie N) a doce • Ate rican Raga (VE e m a ría sud usica Ana Ma M 6 : lier docente (IT) • Ate r u utti o g r t a y o M tud ATTENZIONE! Nuove date! Alpe Adria Cantat inizia un giorno prima nAl s te: Corrad o i t A ern docen t n i IScrIzIonI entro Il 31 MaggIo 2011 •

liGnAno (ud)

27 AGosto»3 settembre



Feniarco

REPERTORI, BANDI E APPLAUSI

DONNE… DI CORI

UN GENERE TUTTO AL FEMMINILE

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Rivista quadrimestrale della Fe.N.I.A.R.Co. Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali

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Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Chiara Moro, Franca Floris, Edy Mussatti, Nino Albarosa, Leonardo Di Pierro, Davide Benetti, Michele Pozzobon, Andrea Angelini, Sergio Bianchi, Mauro Marchetti, Michela Francescutto, Carlo Pavese, Andrea Venturini, Gianni Bortoli Redazione: via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] In copertina: Festival di Primavera (foto Renato Bianchini) Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana

ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 39 33078 San Vito al Tagliamento Pn

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