Chitarra Acustica 01 Ita

April 30, 2017 | Author: Daniel Panizza | Category: N/A
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Chitarra Acustica 01 Ita...

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sommario C’era una volta… la chitarra acustica C’era una volta… così iniziavano le belle favole di una volta, quando i bambini non si addormentavano davanti alla TV ma nel loro letto, ascoltando il racconto della sera letto da uno dei genitori. Oggi, grazie alla tecnologia, tutto appare più semplice. Basta un videogioco oppure un DVD o – peggio – basta lasciarli col telecomando di Sky in mano, per ritrovarli addormentati senza alcuna fatica. Forse è arrivato il momento di riflettere e iniziare a operare delle scelte ben precise, tra emozioni e progresso, tra passione e utilitarismo. La questione non è di poca importanza e coinvolge un po’ tutto il mondo della comunicazione. È facile produrre, consumare,

bruciare, vendere e dimenticare, anche se ciò quasi sempre azzera le emozioni, per dar spazio ai numeri. Oltretutto non sempre veritieri, ma – come ormai accade – modellati a misura dall’utilizzatore. Allora ecco che provare ad andare un po’ controcorrente fa bene allo spirito. Una rivista specializzata, dedicata ad uno strumento in una sua specifica peculiarità, quella acustica, sembra emergere in maniera anacronistica nel mondo della tuttologia. Eppure noi ci crediamo e siamo sicuri che tanti, insieme a noi, inseguiranno questo sogno aspettando ogni mese la propria rivista dedicata. E potranno riceverla online, oppure scaricarla sul proprio computer/ iPad/iPhone all’indirizzo www. chitarra-acustica.net. E, anche se

tutto questo sembra illogico e fuori mercato, noi lo abbiamo realizzato e su questo stiamo indirizzando tutti i nostri sforzi. Fingerpicking.net è l’editore di Chitarra Acustica e, come è già successo per il sito, anche il giornale sarà pronto ad accogliere ogni proposta e iniziativa appassionata. È così che questo nuovo progetto editoriale parte come una bella favola del tempo andato. C’era una volta una spiaggia, gli amici, la musica e una chitarra… E spero che emergano passione, dedizione ed entusiasmo, per far sì che questo primo numero rimanga nella nostra memoria come il primo passo di un lungo cammino. Buon fingerpicking! Reno Brandoni

Editoriale La nostra rivista di Andrea Carpi pag. 3 Notizie Il CD Guitar Sketch dei Bruskers di Alfonso Giardino e Alex Di Reto Una canzone dei Beatles per la chitarra acusitca di Giorgio Giordini

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Blog Ho suonato anch’io a Ferentino di Alberto Ziliotto pag. 8 La strada dopo Ferentino di Reno Brandoni pag. 9 Dove sta il suono? di Giovanni Pelosi pag. 10 Basta con i tributi agli altri di Luca Francioso pag. 11 Hendrix acustico di Stefano Barbati pag. 12 La creazione di una cover e internet di Paolo Sereno pag. 13 La chitarra e internet di Massimo Varini pag. 14 Sogni dalla stanza di Luca Pedroni pag. 15 La mia chitarra Signature e le tensioni sociali in Cina di Riccardo Zappa pag. 16 La Franklin Guitar Company di Nick Kukich pag. 17 Dinamica e melodia in accordatura standard di Jacques Stotzem pag. 18 Artisti Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana di Andrea Fabi pag. 20 John Gorka a Sarzana di Lauro Luppi pag. 26 Standing at the Crossroads di Stefan Grossman pag. 32 La chitarra-arpa di John Doan di Sergio Bianco pag. 36

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Recensioni Daniele Bazzani – Andrea Valeri – Guitar Republic di Giuseppe Cesaro e Alfonso Giardino

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Strumenti Microfono USB sE Electronics 2200A di Daniele Bazzani pag. 42 ZT Lunchbox Acoustic di Mario Giovannini pag. 44 Gas Addiction di Mario Giovannini pag. 46 In visita dal liutaio Lukas Milani di Gabriele Posenato pag. 48 Chitarra battente, chitarra sarda, colascione di Andrea Carpi pag. 52 Tecnica Da Please Please Me a Let It Be di Daniele Bazzani pag. 54 Le 15 Regole d’Oro per il musicista di Davide Mastrangelo pag. 56 Clarence White di Beppe Gambetta pag. 57 Basic Fingerstyle di Franco Morone pag. 59 Accordare la chitarra di Eric Lugosch pag. 61 Quando iniziai a suonare il bouzouki di Giorgio Cordini pag. 62 Launeddas a sei corde di Massimo Nardi pag. 63 Registrare tre chitarre (uguali… anzi, no) di Stefania Benigni pag. 65 Il PC per incrementare l’esperienza del chitarrista di Larry Kuhns pag. 67 Voicing aperti di Fulvio Montauti pag. 69 Il ragtime classico di Lasse Johansson pag. 70

www.chitarra-acustica.net

Progetto grafico Outline s.a.s. di Matteo Dittadi & C.

Direttore responsabile Andrea Carpi [email protected]

Impaginazione Outline s.a.s. di Matteo Dittadi & C. Mario Giovannini

Editore Fingerpicking.net Via Prati, 1/10 40057 Granarolo dell’Emilia (BO) [email protected] www.fingerpicking.net

Coordinamento versione multimediale Mario Giovannini Grafica di copertina Marcella Mastrorocco Chitarra Acustica è una pubblicazione mensile Registrazione del Tribunale di Bologna n. 8151 del 07.12.2010

Amministrazione e coordinamento Reno Brandoni [email protected]

Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti, disegni e fotografie.

Pubblicità Tel. +39 349 0931913 [email protected]

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editoriale La nostra rivista ma è anzi l’occasione per far ruotare intorno a una passione specifica tutti i possibili suoi universi di riferimento, dal blues al country, dalla classica alla latina, dal ragtime al jazz acustico e al gipsy jazz, dal fingerstyle al flatpicking, dai cantautori-chitarristi a tutte le musiche del mondo.

Un altro passo è fatto, è nata una nuova testata giornalistica. Del resto noi di Fingerpicking.net abbiamo sempre desiderato un giornale di riferimento, e per lungo tempo il nostro forum è stato animato da una discussione intitolata appunto “La nostra rivista”. Così, dopo un’annata intensa di blog, articoli e recensioni sul sito, finalmente ci siamo decisi: abbiamo raccolto alcuni scritti che ci sembravano particolarmente rappresentativi, cercando di passare in rassegna tutti i nostri blogger, insomma abbiamo impaginato la nostra rivista e siamo entrati nel mondo dell’editoria! Come primo passo in questa avventura abbiamo scelto il supporto digitale, perché sentiamo che questa sia per ora la strada giusta da percorrere… Come titolo abbiamo scelto Chitarra Acustica, perché abbiamo voluto affiancare al nome di Fingerpicking. net – legato al mondo affettivo di provenienza dei suoi fondatori, Reno Brandoni con Giovanni Pelosi e Alex Di Reto – il termine che fa riferimento nella forma più ampia possibile al nostro strumento preferito. E abbiamo aggiunto un sottotitolo come “steelstring – classica – archtop”, per richiamare le tre più grandi tradizioni liutarie di questo strumento e per dire che il nostro desiderio di specializzazione sulla chitarra acustica è lontanissimo dal voler porre steccati,

Anche perché nel frattempo, dal 2000 a oggi e in particolare nell’ultimo anno, Fingerpicking.net è profondamente cresciuto. Per lungo tempo il fulcro del sito è stato soprattutto il forum di discussione, che ha conosciuto un suo prolungamento fisico di incontri negli Open Mic, i quali a loro volta hanno avuto grandi occasioni di partecipazione negli ultimi anni grazie al prodigioso sviluppo in Italia di un circuito di festival dedicati alla chitarra acustica: partendo dalla madrina di tutte le manifestazioni del genere, l’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, e proseguendo con Ferentino Acustica, Acoustic Franciacorta, ADGPA Guitar International RendezVous di Conegliano, Madame Guitar di Tricesimo, Soave Guitar Festival, Galliate Master Guitar, Acoustic Guitar Festival di S. Benedetto Po, Un Paese a Sei Corde intorno al lago d’Orta, per arrivare a spettacoli come le Acoustic Night organizzate da Beppe Gambetta al Teatro della Corte di Genova e vicenzAcustica promossa da Roberto Dalla Vecchia. L’attività dei musicisti vicini a Fingerpicking.net ha trovato inoltre sbocco nella produzione di CD, spartiti e libri, distribuiti attraverso uno shop online aperto anche ad altre realtà. Poco sviluppata era d’altro canto l’attività di web magazine, che ha avuto invece uno sviluppo decisivo nell’ultimo periodo, in buona parte grazie all’introduzione di un multiblog con la partecipazione di chitarristi, didatti, liutai, giornalisti di esperienza, esperti di registrazione e computer, presenti in massa già da questo 5 chitarra acustica 1 duemilaundici

numero; e grazie a una fanzine altrettanto attiva. Ultimo tassello, ma non di ‘minore importanza’, è stato il titanico lancio da parte di Reno di una produzione originale di video di grande qualità sonora e d’immagine, video promozionali e con esecuzioni di brani, videolezioni e videocorsi, tutti veicolati su supporto digitale e disponibili per brani singoli e lezioni singole. Questa attività video ci ha dato lo spunto per avviare anche una sezione “Strumenti”, nella quale i produttori, i distributori di strumenti e i liutai vengono ospitati per realizzare delle dimostrazioni dei loro prodotti, direttamente ad opera dei loro endorser o di altri musicisti da noi coinvolti. Non più solo test tradizionali, quindi, ma anche la creazione di un catalogo di video che permettono di vedere e ascoltare gli strumenti in condizioni ottimali di suono e di immagine, lasciando a tutti la possibilità di giudicare da sé e di commentare in prima persona. Del resto la nostra attività multiforme e polivalente non ci permette più di esercitare fino in fondo una vera e propria ‘critica giornalistica’ autonoma, di presentarci cioè nella dimensione di un giornalismo ‘puro’, peraltro ormai praticamente sparita – ahimè – dall’universo attuale dell’informazione. Preferiamo presentarci come un ‘contenitore’ aperto, nel quale le più varie componenti del settore della chitarra acustica potranno esprimere i loro diversi punti di vista, le loro personali opinioni, i loro prodotti. Tutti a bordo, quindi, si parte! Andrea Carpi

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notizie Il CD Guitar Sketch dei Bruskers

Una recensione dagli Stati Uniti Il cd Guitar Sketch dei Bruskers, inciso per la nostra etichetta Fingerpicking.net, è stato da poco molto ben recensito sul sito nordamericano Acousticmusic.com. Ecco la traduzione in italiano della recensione, che è stata scritta da Mark S. Tucker e che comunque potrete trovare in originale all’indirizzo http://www.acousticmusic. com/fame/p06380.htm: «Un duo chitarristico veramente ben integrato può spesso superare un quartetto tipo… il L.A. Guitar Quartet, i cui arrangiamenti sono spesso poco brillanti o costringono i musicisti a pestarsi i piedi… ehm, i tasti! I Bruskers sono un gran duo. Eugenio Polacchini e Matteo Minozzi presentano, a dirlo con le loro stesse autoironiche parole, “nuove idee per un jazz un po’ snob e non convenzionale”, idee che però sono tutt’altro che snob, ma piuttosto fresche ed energiche, giocose e intelligenti, così come ‘non convenzionali’ (nel senso di un esteso interplay, di scambi, di cambi di direzione) e leggermente ‘fusion’. In altre parole, tutto quello che vorreste ascoltare quando mettete le mani sul L.A. Guitar Quartet, la cui fedeltà agli aspetti ‘moribondi’ dell’ambito classico tende però a soffocare.

I Bruskers si muovono tra jazz standard e… non molto standard, oltre a un brano originale di Polacchini. Tra le scelte predominano i ritmi latini, così che ascoltiamo l’immortale “Black Orpheus” di Bonfá e il “Bésame Mucho” di Velázquez, rimbalzando verso lo stile che Al Di Meola ha adottato dopo il periodo con i Return To Forever: viaggiando, in altre parole, verso le musiche del mondo, sebbene ci sia in Guitar Sketch un grado di ingenuità simile a quello che troviamo anche nel lavoro che Al ha fatto con McLaughlin e De Lucia. Ogni tanto appaiono Kessel ed Herb Ellis, come nel brano “Little Piece in C for U”, ma ho il sospetto che Polacchini & Minozzi prediligano un ascolto eclettico, poiché sento Coryell, Byrd, Catherine, Hall ed altri, persino l’hot jazz (“All of Me”). La registrazione di Guitar Sketch è assolutamente cristallina, ogni singola nota è pura e non distorta, splendente ed effervescente. L’approccio dei due

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è molto vicino a quello delle jam bands, ma con una fine conoscenza che manca totalmente alla maggior parte di queste, da qui il mio riferimento a una ‘leggera fusion’ (che francamente qui è più che ‘leggero’, senza essere però come quella selvaggia degli anni ’70 britannici o di Miles). In fin dei conti il bilancio del confronto tra i brani originali e le interpretazioni del duo è avvincente e sorprendente. “Not Tomorrow” piacerebbe molto a Ralph Towner, il cui stile unico è ben riecheggiato nell’arrangiamento, e “Take 5” si discosta molto dalla tradizione, rinforzando però l’immortalità del brano. Dobbiamo, comunque, considerare ogni traccia di Sketch come un bel diamante sfaccettato di artigianato moderno e di intelligenza.» Le nostre più sincere congratulazioni ad Eugenio e Matteo! Alfonso Giardino e Alex Di Reto

Acoustic Franciacorta 2010 (foto di Elio Berardelli)

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notizie Una canzone dei Beatles per la chitarra acustica Il vincitore del concorso ad Acoustic Franciacorta La VII edizione di Acoustic Franciacorta, su cui stiamo preparando un articolo riepilogativo, si è conclusa domenica 12 settembre con il magico concerto di Vincenzo Zitello che ha offerto, al pubblico accorso al Monastero di San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo, la sua musica raffinata e suggestiva. Tutto questo dopo un pomeriggio estremamente impegnativo, iniziato davanti al Municipio di Provaglio d’Iseo con l’esibizione dei tre finalisti del concorso “Una canzone dei Beatles per la chitarra acustica” e terminato con la performance divertente e di alto livello tecnico dei Bluegrass Stuff.ì Ma veniamo al concorso chitarristico dedicato ai Beatles: si sono esibiti Andrea Scognamillo, Paolo Capizzi e Federico Buccarelli. Particolarmente elaborata la versione di “Strawberry Fields Forever” di Andrea, che era risultata la preferita dal pubblico di

Andrea Scognamiglio (Foto di Elio Berardelli)

Fingerpicking.net, ma non si trovava tra le prime classificate dalla giuria del concorso. Dopo l’esibizione dei tre finalisti, la giuria, presieduta da Reno Brandoni e composta da Andrea Carpi, Hermes Fornasari, Rolando Giambelli, Giovanni Pelosi e da me stesso, dopo un lungo confronto, ha dovuto riconoscere la qualità dell’arrangiamento e dell’esecuzione del brano di Andrea e lo ha proclamato vincitore. Interessante il dibattito che si è aperto tra i sei giurati prima della proclamazione del vincitore. Anziché tener conto unicamente del banale conteggio di una votazione, si è analizzato ogni dettaglio delle tre versioni dei brani dei Beatles proposti dai concorrenti, cercando di valutare tutti gli aspetti sia dal punto di vista tecnico che creativo, affidandosi soprattutto alle emozioni che le tre esibizioni avevano suscitato in ognuno di noi. L’incontro dei ‘giurati’ è stato oltremodo interessante e il risultato della scelta quanto

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mai azzeccato, nonostante l’apprezzamento per gli altri due concorrenti Paolo Capizzi e Federico Buccarelli non sia venuto meno, vista l’ottima performance che entrambi ci hanno offerto. Andrea Scognamillo, il vincitore, se ne è andato raggiante dopo aver ricevuto l’ambìto premio, un amplificatore Jam 150, gentilmente offerto dalla SR-Technology di Recanati, che, mi diceva, era proprio in procinto di acquistare e quindi costituisce il miglior regalo che in questo momento potesse ricevere! Non mi resta che concludere dando a tutti appuntamento alla prossima edizione di Acoustic Franciacorta 2011, con la promessa che verrà organizzato nuovamente un concorso dedicato alla chitarra acustica, aperto a tutti i ‘navigatori’ di Fingerpicking. net. Giorgio Cordini

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blog Ho suonato anch’io a Ferentino

Il racconto del vincitore di “Suona a Ferentino Acustica” Io e Luca Francioso siamo partiti alle nove di mattina circa del 24 giugno, pronti per un lungo viaggio di circa sei ore diretti a Ferentino. Il viaggio in compagnia di Luca (rivelatosi in questa occasione un incredibile macina chilometri come tutti i degni musicisti) è stato ricco di discussioni in diversi campi tra cui musica, chitarre, nuovi progetti e altri argomenti interrotti da un ascolto di qualche cd di musica ‘da viaggio’ a me sconosciuta. Dopo una sosta per il pranzo siamo arrivati giusti giusti prima del fischio d’inizio della partita Italia-Slovacchia. Eravamo d’accordo con Giovanni Pelosi di trovarci assieme nel suo studio per vedere questo atteso match. Nello studio ci aspettava Giovanni in compagnia di Daniele Bazzani e dell’attore Renato Marchetti (ospite della serata). Per me sinceramente è stata una sorpresa e di primo impatto mi sono sentito un po’ a disagio a stare seduto in mezzo a tutti questi personaggi. Al primo commento in puro romanaccio di Giovanni e Daniele mi sono sentito più a mio agio, e dopo la rovinosa partita siamo andati a mangiarci un gelato in piazza per poi aspettare di fare il soundcheck. Mentre aspettavamo ho riconosciuto “nonny guitar”, che avevo avuto il

piacere di conoscere a Sarzana. Anche se era la seconda volta che lo vedevo, sentivo di aver condiviso con lui una piccola parte della mia esperienza a Sarzana ma non solo, anche la passione per la musica, acustica in questo caso. Questo mi ha fatto riflettere, mentre guardavo i chitarristi che si sarebbero esibiti dopo la mia apertura della serata, ‘vinta’ con il concorso “Suona a Ferentino Acustica”. Ho notato come questi festival siano delle occasioni, per amici che hanno condiviso delle esperienze nel passato, di ritrovarsi e raccontarsi tutte le loro nuove avventure e i nuovi progetti. La musica è di sottofondo a tutto ciò, non è il fine, è come una dolce compagnia. In particolare, quando sono arrivati Reno ed Eric, si è formato un gruppetto di chitarristi che si salutavano e sorridevano come se si fossero incontrati dopo una straordinaria avventura. Una volta fatto il soundcheck con un po’ di ritardo, siamo andati tutti assieme in cerca di un pasto prima del concerto. Mi sentivo un po’ la mascotte della serata, forse perché ero il più giovane… tutti erano gentili con me e curiosi di sentire i miei tre brani che avrebbero aperto il concerto! Così, appena terminato il pasto, accompagnato da Giovanni (che doveva ancora mangiare), inizio la serata. Giovanni mi presenta come «Alberto Ziliotto il vincitore del concorso “Suona a Ferentino Acustica” su Fingerpicking.net…» Salgo sul palco e senza dire nulla suono il brano che era in concorso e che mi ha fatto fare questo bel viaggio, “Quello che ti vorrei dire”. Non è la prima volta che mi trovo su un palco a suonare davanti ad altri musicisti e gente che si è fatta anche molti chilometri, ma devo dire che ero molto emozionato, perché dovevo suonare solo tre brani e tra il pubblico non c’erano dei comuni

chitarristi, c’erano ‘i chitarristi’! Finito di suonare il primo pezzo, mi sono presentato e ho parlato un po’ di me per farmi conoscere e sciogliere un po’ la tensione. Gli altri due brani che ho suonato erano nati da poco, ma ho voluto suonarli lo stesso per vedere la reazione del pubblico, che sembrava essere positiva… Prima di suonare l’utimo pezzo, ho ringraziato Giovanni e Fingerpicking.net per l’opportunità. Ecco, dopo circa quindici minuti era tutto finito, avevo suonato i miei pezzi e mi sentivo soddisfatto nonostante qualche imprecisione. Così Giovanni è risalito sul palco ripresentandomi e raccontando che aveva avuto occasione di ascoltare i miei brani anche a Sarzana per il Premio Carisch e all’Open Mic, poi ha richiesto un altro applauso che mi ha fatto molto piacere… non tanto per il gesto, ma perché le sue parole mi hanno fatto sentire quasi un chitarrista professionista! Come quelli che seguiranno nella serata… Micki Piperno e la sua orchestra MP Delta Blues, Luca Francioso accompagnato dalla lettura di Renato Marchetti, Daniele Bazzani, Riccardo Zappa con ospiti Renato Marchetti, Giovanni Pelosi e Reno Brandoni per l’ultimo brano. Durante il resto della serata sono stato con i ragazzi dell’orchestra di Micki e con “lucapette”, che ho incontrato lì dopo averlo conosciuto a distanza sul Forum. È stato un viaggio molto intenso e, nonostante sia stato lungo, sono tornato a casa pieno di gioia, con nuovi amici e una nuova esperienza musicale alle spalle! Grazie a Luca per il viaggio, a Fingerpicking.net nelle persone di Reno e Giovanni per avermi dato questa bella occasione, e grazie a quelli cui il mio brano è piaciuto e che mi hanno fatto essere a Ferentino per questo bel festival! Alberto Ziliotto Lascia un commento

(foto di Alfonso Giardino)

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blog La strada dopo Ferentino Chilometri, musica ed emozioni La strada, la macchina, asfalto caldo e sudore, c’è ormai l’iPod a far compagnia e così la strada ed il silenzio spariscono. E nella tua mente rimangono solo ricordi e pensieri e tutto diventa più facile, chilometri che scivolano via mentre Mississippi John Hurt suona, mia moglie legge il suo libro ed Eric Lugosch, seduto sul sedile posteriore, ascolta ripetendo sottovoce le parole. Mi ritrovo così a cinquant’anni a rivivere i miei vent’anni, chilometri, musica ed emozioni. Tante quante è impossibile raccontare in un solo momento, ma che mi passano addosso in un unico interminabile istante. Perché ne parlo? Perché questa sera sento il bisogno di raccontarmi? Ho lasciato Ferentino questa mattina e sono appena arrivato a Bologna, fra poco gli amici saranno di nuovo sul palco per un’altra notte di musica e sogni, mentre io sto sistemando i lavori sospesi e preparandomi per la prossima video session con Pino Forastiere e per il prossimo festival di Galliate, dove parteciperò al convegno dei liutai. Sono reduce da una nottata passata con Walter Lupi, Giovanni Pelosi ed Eric Lughosh e le loro

chitarre, barbecue eterno, vino infinito e tanti amici speciali intorno. Alle tre sono crollato, Giovanni mi dicono alle quattro insieme ad Eric, Walter invece solo alle sette – dopo l’ennesima minaccia – ha finalmente abbandonato la chitarra e anche lui è andato a dormire. Ho iniziato con il nuovo progetto Fingerpicking.net qualche mese fa (ottobre 2009). La diffidenza era tanta, la chitarra acustica soffriva del male dell’indifferenza. Quando ho invitato qualcuno a registrare i video per Fingerpicking.net, ho ricevuto titubanti ed evasive risposte. L’amico Daniele Bazzani si è sottoposto quale ‘cavia’ ai miei primi esperimenti di ripresa audiovideo. Notti e notti insonni per inventare un mestiere non mio. Sembra una vita fa, da allora è iniziata la danza e con la danza l’entusiasmo e poi l’esaltazione: Daniele Bazzani, Luca Francioso, Stefano Barbati, Giorgio Cordini, Giovanni Palombo, Massimo Nardi, Franco Morone, Giovanni Pelosi, Luca Pedroni, i Bruskers, Davide Mastrangelo, Paolo Mari, Maurizio Geri, Paolo Bonfanti, Paolo Sereno, Riccardo Zappa, Stefano Mirandola, Eric Lugosh, Peppino D’Agostino, Beppe Gambetta,

Luigi Grechi e fra poco Pino Forastiere, Stefan Grossman, Jacques Stotzem, Duck Baker… e chissà quanti altri. Cosa vi voglio raccontare non è il lavoro, la fatica o l’impegno per la costruzione del nostro catalogo, ma è la gioia con cui tutti questi musicisti hanno partecipato al progetto e come si sia ritornati a quella atmosfera degli anni ottanta, quando suonare in compagnia era il piacere più estremo. Potrei raccontare di Riccardo Zappa che, imbracciata la sua chitarra durante la colazione del venerdì mattina, mi ha cantato “Rimmel” di Francesco De Gregori e qualcos’altro di Guccini; o di tutti quei chitarristi che ho ritrovato con l’entusiasmo di suonare, cantare e vivere la musica come quando, nelle serate d’agosto sulle spiagge più anonime, si iniziava intonando la “Canzone del sole”. Questo sta accadendo sotto i miei occhi, il privilegio della mia posizione di regista/ editore mi permette di godere a pieno di questo continuo crescere e di questa continua voglia d’incontrarci, parlare, suonare, ma soprattutto ‘condividere’. La chitarra acustica era ‘morta’? Viva la chitarra acustica! Ho vissuto tanti periodi in cui la musica mi ha esaltato, ed altri in cui mi ha ignorato. Ma sento un fermento, sento che la voglia di cambiare, socializzare, cavalcare l’entusiasmo è dentro di noi ed è pronta ad esplodere per coinvolgere sempre più curiosi e appassionati. Così ieri sera sono salito sul palco per il mio set e, invece dei miei soliti sproloqui, ho sognato in silenzio un mondo diverso. E quando si sono spente le luci della sala e si sono accese quelle del palco, ho chiuso gli occhi tremando per l’emozione come la prima volta. Reno Brandoni

Brandoni in concerto a Ferentino Acustica (foto di Alfonso Giardino)

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blog Dove sta il suono?

Altre note ‘ignorante’

di

musicologia

Si è discusso spesso, in vari forum, se il suono sia prevalentemente nello strumento che si usa, o nelle mani del chitarrista. È incontestabile che, se pizzichiamo le corde di una chitarra e poi quelle di un’altra, esse emetteranno suoni differenti. È vero anche, come diceva Chet Atkins, che – se non pizzichiamo le corde – nessuna delle due suonerà affatto. Come è vero che se due chitarristi suonano la stessa chitarra, verranno fuori suoni differenti. Allora, hanno ragione tutti? Penso di sì, anche se la prevalenza dell’elemento ‘strumento’ può apparire maggiormente nel caso di certe chitarre che hanno un suono particolarmente caratteristico, mentre la prevalenza dell’elemento ‘mani’ può essere evidente nel caso di uno stile chitarristico inconsueto, anch’esso molto caratteristico di un certo chitarrista.

Stoppare, lasciar risuonare, accentare, forzare il picking di una singola corda da cui ‘vogliamo di più’ e chissà quante altre cose, sono accorgimenti – ai quali si può aggiungere l’insieme delle regolazioni cui sottoponiamo il nostro sistema di amplificazione – per ottenere il suono che abbiamo in testa. Ma questo non è ciò che si fa comunque per controllare le dinamiche, per esprimere la musicalità, insomma, non è tecnica chitarristica e, in sostanza, non sono ‘le mani’? Penso che si tratti di altro. C’è la nostra aspettativa che la chitarra che abbiamo in mano suoni come noi vogliamo, e ciò che noi vogliamo non è tecnica, è il nostro ‘modello’. E penso anche che, nella maggior parte dei casi, noi

riusciamo ad utilizzare la chitarra, purché non sia stonata o completamente muta, nel modo che più ci avvicina a quel modello. Ciò per una sorta di memoria più o meno cosciente, che trasmette al nostro sistema neuromuscolare ciò che serve per produrre il nostro suono con la particolare chitarra che suoniamo. Cioè, la tecnica e il nostro gusto musicale ci portano ad esprimerci attraverso uno stile, mentre il nostro modello sonoro ci porta, più strettamente, verso il nostro suono. Giovanni Pelosi

Ma… c’è un terzo elemento, che vorrei sottoporre alla vostra attenzione: la ‘testa’. Quando un chitarrista suona, e suona da un po’ di tempo, ha in testa dei riferimenti sonori piuttosto definiti, e sono quelli che cerca di produrre quando suona la chitarra che imbraccia. Mi rendo conto di poter fare un’affermazione controversa o non condivisibile, ma esistono una serie di accorgimenti impercettibili, potrei dire inconsci (almeno fino ad un certo punto), che vengono posti in atto dal chitarrista per ottenere il ‘proprio’ suono. Se il mio riferimento sonoro vuole dei bassi potenti, e la mia chitarra non me li dà volentieri, ecco che il mio pollice userà una forza maggiore, o la mia destra si sposterà più verso il manico, o ambedue le cose. Lascia un commento 10 chitarra acustica 1 duemilaundici

Giovanni Pelosi ad Acoustic Franciacorta 2007 (foto di Elio Berardelli)

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blog Basta con i tributi agli altri È ora di farli a noi stessi! Basta con i tributi agli altri, è ora di farli a noi stessi! Da sempre la musica si impara sulla musica. È una pratica naturale e di certo produttiva, l’apprendere le regole e le dinamiche di questo linguaggio suonando, divertendosi e studiando sulle note che più si amano, così da affinare gusto e tecnica sullo strumento. Tutti i musicisti lo hanno fatto, anche i più grandi, beneficiandone oltremodo e in ogni senso. Tuttavia, lungo il sentiero della loro formazione, con tempi e modalità diversi per ognuno, si è compiuta l’opportuna evoluzione che ha permesso al mondo intero di ascoltare e assaporare una musica nuova, unica e irripetibile, perché nuovo, unico e irrepetibile era diventato nel frattempo il loro linguaggio. Questo processo è la naturale progressione individuale che permette alla musica (ma in fondo ad ogni forma

di arte) di evolversi: contemplare e studiare il passato, cercare la propria voce nel presente, donare qualcosa di nuovo al futuro. Omaggiare un’opera con una personale rivisitazione è cosa assai normale e apprezzabile lungo i passi di un percorso (perché arrangiare è un po’ come comporre). Ma se vissuto come unico fine, suonare e interpretare solo ed esclusivamente la musica di altri artisti può rendere improduttiva qualsiasi forma di ricerca, creando sterilità creativa e stalli emotivi collettivi, una sorta di palude artistica maleodorante. È suonare e interpretare la propria musica la massima espressione a cui un musicista deve ambire, perché è in questo scopo che si cela il germoglio di nuova linfa. Un mondo di cover e tribute band non si può evolvere. È un fatto. Per il cammino del linguaggio musicale non può che essere una sosta, una lunga e pericolosa sosta. Perché non mettere il proprio talento al servizio dei propri sogni? Meglio: perché limitare i propri sogni fino a farli inaridire, diventando

uno sterile simulacro? Perché essere l’ombra e lo spettro di qualcun altro? Naturalmente, se sono divertimento e svago ad alimentare l’ingenua imitazione, non è davvero un problema. Il problema prende vita, in effetti, quando la maggior parte dei figli della musica – per non dire quasi tutti – cedono al vecchio, con totale esclusivismo, e non si concedono al nuovo, a quello che di raro e magnifico esiste in ognuno di noi. L’inganno più pericoloso, nel rinunciare ad investire sul proprio poten-

ziale, è pensare e sostenere che solo i grandi artisti possono comporre. Inutile dire che non ci credo. Non si tratta di creare a tutti i costi opere che rimarranno alla storia, ma certamente di affaccendarsi per dare vita a quel fermento in cui ogni novità può divenire sublime, anche la meno probabile. Non è primeggiare in qualità compositiva il fine, perché la musica non è una competizione automobilistica, ma piuttosto mettersi in gioco per alimentare la propria unicità, ognuno come riesce, ognuno con la propria sensibilità. Allora, da queste righe, io grido con forza e passione (e un po’ di impudenza): basta tributi agli altri, facciamo un tributo a noi stessi e alla nostra arte. È tempo! Luca Francioso

Luca Francioso a Ferentino Acustica 2010 (foto di Alfonso Giardino)

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blog Hendrix acustico

“Si sentiva la folla che chiamava a gran voce, mentre lui era in camerino a suonare la chitarra acustica per me.” (Kristen Nefer, amica di Hendrix, 1970) Come può un mito della chitarra elettrica e del rock rumoroso incontrare i gusti di noi amanti di sonorità acustiche? Semplice: basta andare oltre le apparenze. Jimi Hendrix è senza dubbio il chitarrista innovatore, virtuoso e sperimentatore, divoratore di Stra-

tocaster e stupratore di Marshall che siamo abituati a vedere. Ma si è sempre considerato poco il fatto che sia anche uno dei più grandi compositori di popular music del XX secolo. Da questo punto di vista l’ottica potrebbe cambiare e, anche se non immaginiamo un Jimi con gli occhiali, in abiti sobri, seduto al piano che scrive le sue musiche su ordinati fogli pentagrammati, potremmo almeno considerare il suo materiale musicale da un punto di vista compositivo e meno ‘performativo’. Se facessimo questo piccolo sforzo si aprirebbe un mondo fatto di armonie, ritmi e melodie del tutto originali e innovativi, figli sì della tradizione afroamericana, ma assolutamente oltre i soliti schemi.

Una musica universale, quindi, che travalica i confini della chitarra elettrica per abbracciare ambiti ben più ampi. In questo senso prendere in mano il nostro strumento acustico e provare a tirare fuori la musica del nostro eroe, può risultare un’operazione molto stimolante. La chitarra acustica ci permette di ‘spogliare’ la composizione e vederne l’anima, l’essenza, per poi poterla ricostruire in maniera diversa e ‘rivestirla’ di nuove suggestioni più intime e personali, non per migliorarla (non mi permetterei mai di avere tale pretesa) ma per considerare un punto di vista differente. Sicuramente Jimi Hendrix stesso non sottovalutava questo aspetto e, anche se performativamente la sua esuberanza, e sicuramente il gusto di un ‘neanche trentenne’ degli anni sessanta, lo ha portato a battere i sentieri elettrici in tutti i modi possibili, la sua chitarra ritmica (vero punto di forza del suo playing) ha caratteristiche ben definite anche se trasportate in acustico. Del resto non possiamo dimenticare la passione e il rispetto che Hendrix nutriva per un musicista prevalentemente acustico come Bob Dylan… Ci sono poche testimonianze di Hendrix suonatore di chitarra acustica, ma alcune di esse possono ben rappresentare questo aspetto, come i due video in cui Hendrix interpreta classici del blues con il suo inconfondibile approccio ritmico: “Hear My Train Comin’” (http://www.youtube.com/ watch?v=-H7fhq4yX0w) e “Hound Dog” (http://www.youtube.com/ watch?v=AI-a9dEpQOA). Ma un’interessante ‘sfida acustica’ potrebbe essere approcciarsi a brani armonicamente più complessi o intenzionalmente lontani da un approccio acustico classico. Pensiamo a brani in mid-tempo come

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“Angel”, “Castles Made of Sand”, “Little Wing”, che sono caratterizzati da progressioni armoniche mai banali, con architetture a volte complesse e sempre sospese tra la tonalità maggiore e minore, con largo uso di accordi non proprio ‘blues-rock’ con settime maggiori, seste, none o tredicesime, con cambi di tonalità che ci sorprendono, ma che si risolvono sempre in maniera coerente e precisa. Probabilmente Jimi Hendrix è andato via troppo presto per poter deliziare il mondo con altri aspetti della sua musicalità. Pare che negli ultimi tempi si stesse dedicando a un progetto orchestrale (poi ripreso da Gil Evans) o a collaborazioni trasversali con il jazz sperimentale di Miles Davis. A me piace pensare che prima o poi si sarebbe dedicato ad un progetto acustico… ma poi ci ha pensato Michael Hedges. Stefano Barbati Potete trovare le versioni di Barbati di “The Wind Cries Mary” e “Sunshine of Your Love” nella sezione Video di Fingerpicking.net, e la lezione di “The Wind Cries Mary” nella sezione Shop.

Stefano Barbati presenta il suo progetto hendrixiano a Ferentino Acustica 2010 (foto di Alfonso Giardino)

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blog La creazione di una cover e internet Da dove partire per costruire un arrangiamento In questa rinnovata versione di Fingerpicking.net, fra i numerosi temi emersi nei primi interventi dei blogger, uno fra tutti mi ha attirato, quello dell’arrangiamento per chitarra acustica sollevato da Giovanni Pelosi nel suo “Si riparte” (http://giovannipelosi. fingerpicking.net/lets-start-again). Sono quindi a ragionare ad alta voce su questo argomento per far condividere a chi lo desideri la mia esperienza, ben sapendo che ce ne sono e ce ne saranno altre descritte in questi blog nelle settimane a venire. Da dove partire se si vuole costruire un arrangiamento di un brano che adoriamo per una qualsiasi ragione? In realtà, se il brano ci piace, siamo già partiti da un ottimo punto: nulla di più fondamentale come il piacere di ascoltare/ascoltarsi scrivere/suonare quel brano, può essere il ‘motore’ del nostro arrangiamento. E proprio la metafora motoristica mi suggerisce quale debba essere il passo successivo sul quale appuntare la nostra attenzione: un motore, un meccanismo, un ingranaggio, un suono ritmico che ci orienta. Io mi riferisco soprattutto all’elemento ‘primordiale’ che scorre durante un ascolto: il Ritmo. Carpire il ritmo

del proprio brano preferito, sistemarlo in un tempo (un tempo pari, uno dispari? Stai a vedere che il mio brano preferito è un valzer?) è la prima operazione da compiere. L’elemento ritmico, in quanto ‘primordiale’, deve essere ben individuato in modo da centrare l’obiettivo: lo spirito del brano. Numerose volte lo spirito del brano è proprio dentro il suo ritmo. Quindi attenzione a non abbandonare il groove del brano per concentrarsi su melodia, posizioni di accordo o altro: il rischio è di appiattire l’arrangiamento, che all’ascolto potrà essere perfetto, sì, ma anche un po’ scocciante. Gli altri elementi che ci servono quali sono? La Melodia del brano: un elemento di grande ed evidente profondità. Non sarà ‘primordiale’ come il Ritmo, ma quasi sempre è l’elemento che ci fa distinguere un brano dall’altro. Qui Internet comincia ad essere coinvolta pesantemente: se non riusciamo a individuare la melodia con precisione, andiamo su un motore di ricerca e vediamo se qualcuno si è preso la briga di trascrivere il brano. Altrimenti usiamo il nostro orecchio. Dopo averla ben individuata, identica all’originale, cominciamo a suonarla in almeno un paio di diteggiature, più una terza che ci faccia utilizzare intensivamente delle corde a vuoto se possibile. Possiamo inoltre sondare il tema in una ottava più alta o più bassa. Qualcosa nel cervello comincerà a succedere e a farci preparare per l’incontro col terzo elemento della nostra ricerca, l’Armonia. Benedetti accordi del pezzo: andiamo a spiare un cantante/chitarrista su YouTube e vediamo dove mette le mani, oppure in un sito di tab, oppure ancora rivolgiamoci al nostro caro vecchio orecchio. La rete ci servirà moltissimo a osservare come altri artisti hanno trattato il brano, ed è chiaro che non mi riferisco solo ad altri chitarristi (meglio evitare incesti!) ma per esempio (ed è un

Paolo Sereno ad Acoustic Franciacorta 2009 (foto di Elio Berardelli)

consiglio che mi sento di dare) ai gruppi che cantano a cappella, cioè senza l’ausilio di strumenti musicali. Molto spesso mi è capitato in quel tipo di lavori di percepire dove fosse l’elemento saliente, lo spirito del brano (nel ritmo? Nel modo di trattare la melodia? Nella concatenazione armonica?) nel caso non me ne fossi fatto ancora un’idea. Faccio l’esempio della mia versione di “Mission Impossible” di Lalo Schifrin, che di recente il mio amico coreano, il bambino prodigio Sungha Jung, ha reso molto famosa (con cinque milioni di click ad oggi [11 novembre 2009] su YouTube: http://www.youtube.com/watch?v=5IXa2pNGVj8. Ancora Internet…). Si tratta di un arrangiamento di tanti anni fa, sorto dall’ascolto gradevole e imprevisto (cioè non cercato e intenzionale) di questo brano nell’esecuzione degli Swingle Singers (storico gruppo/ compagnia vocale a cappella) durante un loro concerto, quando Internet ancora non esisteva e io cantavo nel Coro dell’Università di Bari. Una delle prime cose che ho fatto (con molta intenzione!) quando ho avuto una connessione Internet, è stata quella di cercare il file musicale di quell’arrangiamento. Poi tutto il resto (il materiale dell’arrangiamento, la scelta della tonalità) è una questione tecnica che magari approfondirò in seguito coordinandomi con gli altri blogger. Quindi riassumendo: il brano vi piace? Ottimo inizio. Adesso occorre: 1. Carpire il ritmo profondo del pezzo. Cantatelo e battete le mani sulle gambe come foste un batterista! Incastratelo in un tempo! 2. Imitare la melodia con diverse diteggiature, cercando di scoprirne una con corde a vuoto. 3. Beccare gli accordi, magari con l’aiuto della rete ed osservando ‘con vouyerismo’ qualcuno su YouTube. Paolo Sereno Lascia un commento

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blog La chitarra e internet

Come cambia la musica Mi ricordo ancora un viaggio che feci da ragazzo intorno al 1984… Avevo più o meno quattordici anni e con amici andammo da casa mia a Carpi (Modena) a San Giovanni in Persiceto (Bologna), cambiando alcuni autobus. Per quale motivo? Perché c’era un chitarrista che sapeva fare l’assolo di “The Wall”! Andammo a casa sua e ce lo mostrò ‘suonando dietro’ al disco: che emozione! Sapeva fare il bending, sapeva almeno due o tre posizioni di pentatonica: tornammo a casa decisamente soddisfatti. Oggi basta collegarsi alla rete e scaricare alcune centinaia di videolezioni, PDF, tablature, tutorial sul suono e chi più ne ha più ne metta! Come si fa ad essere contro questa vastità di informazioni, spesso reperite in modo gratuito? Impossibile. Infatti io non solo sono pro rete, ma Internet è il veicolo col quale comunico con i miei ‘allievi virtuali’: appena realizzo qualcosa lo metto subito in rete per un feedback; spesso, prima ancora di realizzare un manuale didattico, pubblico la presentazione (video o audio o testo)… poi attendo indicazioni per capire se posso integrare al meglio con le esigenze del pubblico. Poi Internet è lì… sempre pronto! E pensare che sono ormai tanti anni che faccio il musicista, ho fatto tanti passaggi TV con artisti importanti, partecipato a diverse trasmissioni televisive, ma… da quando il mio Manuale di chitarra è su YouTube e ha in totale diversi milioni di click (sì, sì, a ottobre 2009 la lezione più vista ha superato i 420.000 click e il totale delle lezioni è oltre i 3.200.000 click) ho firmato diversi autografi dopo la domanda: «Ma tu sei quello che insegna a suonare la chitarra su Internet?» È successo in fila alla biglietteria del cinema, sul treno… nemmeno

sapevano se avevo suonato dischi importanti o con artisti internazionali: io ero ‘quello che insegna a suonare la chitarra su Internet’! Beh, anche ipotizzando che alcuni abbiano guardato più volte il video, da qualche parte almeno 300.000 allievi ‘virtuali’ ci devono pur essere… E cosa rispondere all’affermazione che Internet è causa di tutta la pirateria? Personalmente rispondo che la pirateria è un problema culturale, e non di mezzi per compiere questo tipo di atti! Infatti il Manuale di chitarra di cui ho parlato è, sì, il più visto su Internet, ma è anche – dal 2007 – il più venduto in Italia. Quindi la mia ricerca di dare parecchio materiale – e di qualità – ad un costo che venga percepito come congruo, ha trovato risposta affermativa! Il problema, per il giovane musicista, senza allargarmi ad altri àmbiti, è che su Internet ‘c’è tutto’… E avere assolutamente tutto è un po’ come non avere niente! Come avere un elenco telefonico ma non in ordine alfabetico. Incontro tanti ragazzi ai miei seminari e, parlando e suggerendo qualche video didattico viene spesso fuori: «Ce l’ho!» E magari, entrando

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in confidenza, si scopre che in molti hanno moltissimi gigabyte di materiale didattico su hard disk… ma non l’hanno mai assorbito. È una sorta di gara allo scarico: «Io ho 300 giga di video didattici», «Io ho scaricato anche i PDF di tutti i booklet», «Io ho 250.000 canzoni sul mio lettore MP3», etc. Troppo spesso le cose scaricate ‘aggratis’ e senza avere pagato un prezzo hanno il valore del prezzo che si è pagato: zero! Non c’è l’affetto, la cura, lo scrupolo: «Tanto è gratis e me lo riscarico quando voglio»… Quando si acquista – per esempio – un metodo con DVD, c’è il momento in cui si sfoglia il cartaceo, si sfila il DVD dalla custodia, lo si infila nel lettore… questi momenti sono ‘preparatori’ all’acquisizione di nuovi dati. Non dimenticando che, quando si acquista qualcosa e lo si è quindi pagato, si cerca di sfruttare al massimo quello che si trova al suo interno. Quindi: Internet sì, grazie! Ma con una guida. Massimo Varini

Massimo Varini al Festival “Città di Fiuggi” 2008 (foto di Roberto Fasulo)

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blog Sogni dalla stanza Come sono all’acustica

approdato

Deve esserci sempre stato in me un forte richiamo verso la chitarra acustica, un richiamo verso le origini. Se ben ricordo, infatti, la scintilla è scattata ascoltando in televisione un’esibizione in stile ‘one man band’ del mitico Edoardo Bennato, una delle sue classiche esibizioni in cui la chitarra acustica dodici corde incalza con un ritmo indiavolato. All’epoca avevo circa otto anni e da quel momento decisi che quello strumento sarebbe diventato la mia vita, un giocattolo inseparabile per la mia infanzia e per la mia adolescenza. In realtà, anche se forse ho sempre saputo che prima o poi sarei tornato a suonare l’acustica,

il mio viaggio mi ha poi portato fino ad ora a fare esperienze musicali spesso tra loro incredibilmente distanti. Il mio percorso ha avuto inizio come per molti in tenera età adolescenziale, quando con quattro carissimi amici all’oratorio ho formato la prima band. Ai tempi avevo una chitarra acustica amplificata Takamine di colore nero, come quella vista in una foto del ‘Boss’, ma il mio sogno era avere un’elettrica. In prima liceo riuscii ad estorcere a mio padre, in cambio di promesse mai mantenute (avrei dovuto diventare ingegnere!) la mia prima chitarra elettrica: una PRS rossa fiammante come quella del mitico Carlos… un sogno! Questa chitarra mi ha accompagnato in tutto il periodo punk, in quello grunge, metal, prog, fino a quello

blues e jazz conosciuto alla soglia dei vent’anni, durante gli studi al CPM di Milano. In quegli stessi anni scoprivo anche l’interesse verso il mondo della chitarra classica, un mondo che ho sempre sentito lontano dal mio modo di essere, ma che mi è incredibilmente servito sia dal punto di vista della preparazione tecnica, sia dal punto di vista della ricerca del mio suono sullo strumento. Tutte queste esperienze, vissute sia in studio di registrazione che dal vivo sui palchi, hanno arricchito il mio bagaglio con contaminazioni diverse. Mi è capitato nella stessa settimana di esibirmi con una band blues, il giorno dopo con una band reggae-ska e il giorno dopo ancora con un’orchestra di chitarre classiche. Questi continui cambiamenti di generi e stili, oltre ad arricchirmi a livello musicale e personale, mi hanno anche insegnato ad essere ‘al servizio’ della musica e ad apprezzarla in qualunque sua declinazione. Circa cinque anni fa sono approdato al mondo della chitarra acustica solista, riscoprendo quell’emozione provata davanti al televisore a otto anni. Un ritorno, insomma, ma arricchito da qualcosa in più. L’acustica si è rivelata per me il contenitore in cui far confluire questo articolato percorso, lo strumento con cui, libero da qualsiasi schema mentale e di genere, posso creare e arrangiare ciò che voglio. Tuttavia ancora oggi, nonostante mi esibisca prevalentemente in concerti di chitarra sola, trovo che il suonare insieme agli altri e condividere il palco e le emozioni, sia uno degli aspetti più belli e importanti del fare musica. Luca Pedroni Lascia un commento

Foto di Ezio Riboni

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blog La mia chitarra Signature e le tensioni sociali in Cina

Un passo verso la democrazia Chi l’avrebbe detto che nel progettare (e vedere realizzata e distribuita) la mia Riccardo Zappa Signature, avrei avuto a che fare con le tensioni sociali che stanno avvenendo in Cina, e delle quali ormai si parla, in modo assai preoccupato, a livello internazionale. Vediamo la storia dall’inizio. Come avevo annunciato proprio su questa pagina qualche mese fa, avevo accettato l’invito della Eko a progettare un’acustica, una classica e una dodici corde che portassero il mio nome. L’impresa, iniziata con la realizzazione di una sei corde in metallo, ha avuto un successo al di fuori di ogni previsione, tanto che la prima e cospicua fornitura è già andata tutta esaurita. Nel frattempo avevo preparato gli esecutivi a grandezza reale della dodici corde, in modo da mandarla in produzione durante l’estate e averla disponibile per il periodo natalizio. Ebbene, è proprio di questi giorni la notizia che la fornitura di ogni ordinativo commissionato in Cina è rimandato di sei mesi, che in gergo tecnico significa: a tempo indeterminato. Cos’è successo? Possibile che un paese del quale da anni abbiamo l’immagine di stoici lavoratori disposti a lavorare giorno e notte per una ciotola di riso, pur di riscattare uno Stato ridotto in miseria, incroci adesso le braccia e rivendichi un trattamento salariale al pari degli altri? Sul numero di Panorama in edicola il 17 giugno, c’è un articolo dell’ottimo Sergio Romano che tratta proprio di questo tema, rispecchiando perfettamente quanto mi vanno raccontando i responsabili della produzione estera della Eko. Credo si possa, giacché ne cito la fonte, riportarne

qualche frase: «Gli operai cinesi vogliono più soldi e cominciano ad ottenerli. È possibile che la protesta operaia appaia, agli occhi dei dirigenti del partito, molto più preoccupante di una fiammata di rabbia popolare nell’angolo sperduto di un immenso mondo rurale. Ma apre una fase delicata in cui i sindacati diverranno più autonomi e combattivi. È un passo, sia pure esitante, verso la democrazia: una prospettiva che a molti dirigenti appare piena di rischi.» Al tempo del liceo, ho attraversato in pieno tutta quanta l’epopea del ’68. Ricordo bene le adunanze a Piazza Venezia, che davano forma ad un corteo talmente grande che, una volta avviatosi nelle prime file, giungeva in Piazza San Babila senza che ancora si fossero mosse le ultime. Adesso, che ne è passato di tempo, mi trovo ad essere il committente di un oggetto, bello quanto si vuole, ma evidentemente progettato per costar poco, e ciò alla luce di una realtà commerciale che prima c’era ed ora non c’è più. Da un lato, dunque, è destinata ad aprirsi la forbice che segna un prezzo per determinate prestazioni, mentre dall’altro avremo enormi

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masse di popolazione non più destinate ad essere deportate dalle campagne verso le fabbriche lungo la costa cinese. Bene così, bene così. Riccardo Zappa

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blog La Franklin Guitar Company … e la chitarra leggera Trentacinque anni fa la Franklin Guitar Company era un piccolo laboratorio con cinque dipendenti. Le chitarre che costruivo erano copie di una originale Martin OM, e molti di questi strumenti sono stati venduti in negozi di strumenti musicali. Le vendite andavano bene e io non cercavo niente di nuovo. Il mio atteggiamento cambiò verso la fine degli anni ’70, quando Stefan Grossman mi contattò a proposito di una mia chitarra che aveva suonato in un negozio. Certamente gli era piaciuto molto quello strumento, ma stava cercando qualcosa di un po’ diverso… Fui felice di costruire per Stefan una chitarra con le caratteristiche da lui richieste, e lui fu contento del mio successo. Così iniziai a ‘personalizzare’ le mie chitarre, non soltanto con un nuovo intarsio o con

diverse dimensioni del manico, ma lavorando su suono e suonabilità. Stefan mostrò la sua Franklin a un suo amico, John Renbourn. Anche lui aveva diverse idee e preferenze su ciò che avrebbe voluto su una chitarra. Così costruii la chitarra anche per John e capii di avere un talento nel soddisfare le esigenze dei chitarristi. Il motto era: considerare le esigenze di ogni cliente come modello unico. Un esempio recente di questa direzione è stato El McMeen, che ama suonare in accordature diverse abbassando le corde. El mi chiese di costruire la sua chitarra esclusivamente per queste accordature. Questa chitarra è molto leggera e non potrebbe essere accordata in accordatura ‘standard’; ma in DADGAD (e nelle altre accordature con le corde abbassate) è incredibile, la sua grande risposta la distingue dalle altre chitarre. Devo riconoscere che la mia abilità e il mio approccio nel costruire chitarre è maturato attraverso gli anni. Ma questo è il tipico effetto del passare del tempo ed è un lungo percorso. I musicisti che ho citato (e anche tanti altri) hanno arricchito la mia carrierà e ispirato la mia creatività. Le mie chitarre differiscono da quelle ‘industriali’ perché sono fatte dalle mie mani per le vostre mani. Credo che ciò che mi distingue particolarmente dagli altri liutai sia il mio ‘istinto’ verso il legno. Anche se la mia produzione prevede dei modelli standard, considero ogni chitarra che faccio come una chitarra personalizzata e costruita per soddisfare le specifiche esigenze di un chitarrista. Naturalmente tutte le mie chitarre hanno qualcosa di simile che le contraddistingue: il peculiare ‘suono Franklin’. La chitarra costruita per El McMeen può essere ascoltata sul

suo DVD Celtic, Sacred & Pop Fingerstyle Guitar (Stefan Grossman’s Guitar Workshop, 2008). El ha avuto tante chitarre, tutte molto buone, ma erano costruite per sopportare la tensione delle corde in accordatura standard. Quando si passa per esempio all’accordatura CGDGAD, la tensione si abbassa notevolmente e si ha come risultato che le corde perdono la loro capacità di far vibrare la tavola in maniera efficiente. Per correggere questo problema la mia idea è stata quella di rimuovere la giusta quantità di legno dalle catene e dalla tavola armonica. In questo modo, nonostante la minore tensione delle corde, la chitarra suona correttamente. La chitarra costruita in questa maniera non può essere suonata in accordatura normale con delle corde light (ma si possono usare delle extra-light) perché è stata costruita appositamente per le accordature aperte. Se si provasse a portarla in accordatura standard (EADGBE) con delle corde light, si correrebbe il rischio di scollare il top e il ponte. Nick Kukich Lascia un commento

Una Franklin OM del 2007

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blog Dinamica e melodia in accordatura standard

Ciao, sono Jacques Stotzem, dal Belgio, e sono molto contento di partecipare a Fingerpicking. net. Due cose anzitutto sono importanti da dire a proposito del mio modo di suonare: la dinamica e la melodia. Da quando ho imparato la chitarra fingerstyle attraverso il blues acustico, ho sempre lavorato sul controllo della gamma dinamica, perché è questa che dà vita a un brano per chitarra. Nei miei concerti preferisco presentare un repertorio ampio, dai brani romantici fino a energici pezzi rock. È interessante sottolineare che anche brani molto dolci devono essere suonati con un forte controllo della dinamica. I fingerpicks di plastica che uso sono di grande aiuto per ottenere un suono forte e pulito. L’altra cosa che mi piace nella musica è la melodia. È sempre stata una grande sfida per me cercare di creare sulla chitarra delle melodie che possano essere cantate. La conoscenza dell’armonia è importante per capire come una melodia possa essere sviluppata, e questa è una delle ragioni per cui, da molto tempo, uso soltanto l’accordatura standard, per mantenere la conoscenza degli accordi, delle scale, dell’armonizzazione delle scale, e così via. È una scelta personale, ma secondo me l’unico modo per essere capace di gestire tutte quelle nozioni era utilizzare l’accordatura standard. Vi auguro ogni bene! Jacques Stotzem Lascia un commento

Jacques Stotzem a Ferentino Acustica 2010

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Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana Premiato a “Corde & Voci per Dialogo & Diritti” Andrea Fabi Tutti quelli con cui parlo sono pronti a partire con la luce del mattino Hanno visto abbastanza a lungo la fine arrivare per credere Di aver sentito il loro ultimo avvertimento Ognuno ha il suo biglietto in mano E come scende la sera mi siedo a pensare ad Ogni Uomo (Jackson Browne. “For Everyman”, dall’album omonimo, 1970) Così, con la risposta scritta 37 anni fa a “Wooden Ships” dall’album Crosby, Stills & Nash (1969), un emozionato Jackson Browne inizia la perfomance magica di sabato 22 maggio sul palco centrale del XIII Acoustic Guitar Meeting di Sarzana, dopo che gli è stato consegnato il premio “Corde & Voci per Dialogo & Diritti”. È stato il risultato di un lungo lavoro, iniziato da Roy McAlister, amico di lunga data e liutaio di Jackson Browne, coordinato dalla grinta del direttore artistico della rassegna, Alessio Ambrosi, che non ha mai mollato. Anche nei momenti in cui sembrava proprio si dovesse rinunciare, ecco il jolly che non ti aspetti! Ma com’è cominciato il tutto?

cominciato a parlare del festival a Jackson, ne ha parlato in maniera davvero entusiasmante dato che a Sarzana ci ha lasciato il cuore (e infatti ci ha portato poi quest’anno tutta la famiglia) e ne ha parlato tutte le volte che si sono incontrati. Un bel giorno, siamo nel 2009, mi arriva un’e-mail dal buon Roy, nella quale mi scrive che ci sono tre pass per il backstage del concerto che Jackson terrà a Bologna l’11 di maggio. Arriva il fatidico giorno al Teatro Manzoni di Bologna e, subito dopo il fantastico concerto, vado nei camerini dove JB mi riceve subito con un gran sorriso. Infatti Roy gli aveva anticipato la visita di un suo amico italiano. Dopo aver parlato di chitarre per una

Abbiamo avuto un sogno Durante l’XI edizione dell’AGM di Sarzana, Alessio Ambrosi, Roy McAlister ed io parlammo di un sogno: far tesoro della grande amicizia di lunga data di Roy con Jackson Browne per portarlo al festival. Eravamo proprio fuori della Fortezza Firmafede – sede storica dell’AGM – e tutti e tre discutevamo di come si poteva fare per portare un vero e proprio gigante della ‘nostra musica’ a Sarzana. Tornato a Gig Harbor, Roy ha 20 chitarra acustica 1 duemilaundici

buona mezz’ora, gli comincio a raccontare del Meeting di Sarzana e lui mi conferma che Roy gliene ne aveva parlato tantissimo in termini davvero entusiastici. Quando gli dico che il festival si svolge in una fortezza del ’500, nelle cui stanze si tengono esposizioni di centinaia di chitarre acustiche, workshop di liuteria, seminari di chitarra e concerti, vedo una luce accendersi nei suoi occhi. Mi dice che gli piacerebbe venire, però Roy mi aveva avvertito: «Se fosse per Jackson, lui andrebbe in tutti i posti dove viene chiamato, ma poi il suo management gli ricorda la sua fittissima agenda di impegni e molte cose purtroppo sfumano». Così saluto Jackson con una flebile speranza

Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana

di rivederlo a Sarzana. Passa l’estate e Alessio mi telefona, dicendo con la passione che lo contraddistingue: «Andre’, ci dobbiamo provare, Roy lo deve contattare a tutti i costi!» Jackson è in tour e non risponde alle e-mail di Roy, ma quando ormai avevamo perso ogni speranza, Alessio viene a sapere che la manager di Jackson è Cree Clover Miller, figlia – udite udite – di Joel Rafael, che a sua volta a Sarzana ci aveva lasciato il cuore. Comincia allora una fitta rete di e-mail e telefonate tra Alessio e Cree, il cui tema era dare il premio “Corde & Voci” a Jackson Browne, che avrebbe suonato alcuni pezzi il sabato sera della settimana dell’AGM. Ricordo come fosse adesso la telefonata di Alessio: «Andre’, ti comunico ufficialmente che Jackson Browne sarà a Sarzana per ritirare il premio e suonerà alcuni pezzi, ma tu mi devi dare una mano, ti devi prendere cura di lui, ci conto». Stare tre giorni con Jackson Browne… e chi sarebbe stato cosi pazzo da rifiutare? Inizia cosi il conto alla rovescia. Un po’ di storia Jackson Browne nasce in Germania nell’ottobre del 1948, ma cresce a Los Angeles e la sua carriera di autore inizia prestissimo: all’età di sedici anni scrive già un capolavoro come “These Days”, che gli viene subito presa da Nico dei Velvet Underground. Durante l’ultimo anno della high school entra a far parte per un brevissimo periodo della Nitty Gritty Dirt Band, poi collabora con gli Eagles con cui fa dei tour insieme a Linda Ronstadt. David Lindley è il musicista con cui Browne ha condiviso gran parte della sua vita musicale e le circostanze del loro incontro furono molto particolari. La prima volta si videro al Topanga Banjo Fiddle Contest, dove Jackson partecipò con la Nitty Gritty che vinse, mentre per il primo anno Lindley partecipò invece come giudice, dopo aver vinto cinque volte di fila; Ry Cooder fu uno

dei promotori di questa nomina… forse perché lui arrivava sempre secondo! Contestualmente, Lindley e il suo gruppo, i Kaleidoscope, uscirono con un album che colpì molto Jackson. In seguito si incontrarono ad una convention della CBS, dove Lindley scoprì che Browne era un grande appassionato della musica dei Kaleidoscope e che andava ad ascoltarli stando fuori dai locali perché minorenne. Al primo concerto di JB al Troubadour, dove apriva per Linda Ronstadt, il batterista della Nitty Gritty si presentò con Lindley, il quale si era portato dietro il suo violino. Appena presentati Jackson iniziò a suonare “These Days”, che David non aveva mai sentito prima, e dopo qualche secondo cominciò a suonare anche lui. L’emozione che provò JB lo portò a iniziare una collaborazione con Lindley che dura ancora oggi. Il suo debutto risale al 1972 con l’album omonimo, al quale partecipano musicisti già in evidenza (tra cui Clarence White e David Crosby) e che gli frutta già i primi successi di classifica (“Doctor My Eyes” e “Jamaica Say You Will”). Nel 1973 esce For Everyman, contenente la sua personale versione di “Take It Easy”, brano che aveva abbandonato e poi terminato assieme al grande amico Glenn Frey, che con gli Eagles ne fece una hit incredibile: oggi ne esistono oltre duecento versioni e Jackson in ogni concerto dice che sta cercando la versione cinese, perché Lindley la vuole cantare… In For Everyman ci sono inoltre la sua versione di “These Days” e la piccola hit “Redneck Friend”. L’anno dopo pubblica Late for the Sky, da molti critici ritenuto il suo lavoro migliore. Nel 1976 esce The Pretender, con liriche fortemente influenzate dal suicidio della moglie Phillys. Nel 1977 esce un album dal vivo contenente solo pezzi inediti, Running On Empty, che è tratto dal suo tour americano e rappresenta il suo maggior successo commerciale. Nel 1979 organizza il grande concerto No Nukes, con partecipazioni 21 chitarra acustica 1 duemilaundici

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tra gli altri di musicisti del calibro di Crosby, Stills & Nash, Bruce Springsteen, Ry Cooder e James Taylor. Hold Out esce nel 1980 e sale al primo posto nelle classifiche. Nel tour del 1981 continua a portare avanti le sue idee pacifiste e antinucleari, tanto che nel 1982 viene arrestato in California mentre manifestava davanti a una centrale nucleare. Browne ritorna in classifica sempre nel 1982 con il brano “Somebody’s Baby”, con cui aprirà gli show del suo primo lungo tour Europeo. Nel 1983 esce Lawyers in Love, con sonorità più pop e qualche ritorno al folk-rock tradizionale: il brano omonimo è una nuova hit. Nel 1985 duetta con il sassofonista Clarence Clemons nel singolo “You’re a Friend of Mine”. Tra il 1984 e il 1985 viene coinvolto da Little Steven nel progetto antiapartheid di Sun City, e nel 1986 vede la luce Lives in the Balance, caratterizzato da forti accuse al reaganismo, testi polemici e appassionati e la novità di sonorità esotiche grazie alla collaborazione con un gruppo di artisti sudamericani in alcune canzoni (“Lawless Avenue” e “Lives in the Balance”). Alla fine del decennio esce World in Motion, in cui è presente la cover di Little Steven “I Am a Patriot”. Negli ultimi anni Browne non è molto prolifico discograficamente, ma ritrova una verve che ricorda, almeno in parte, le composizioni del suo periodo migliore. Nel 1993 esce infatti I’m Alive, in cui sono in evidenza un paio di pezzi come la title track e “Sky of Blue and Black”. Nel 1996 esce Looking East, in cui spicca il brano “The Barricades of Heaven”. Per i venticinque anni di carriera, nel 1997, esce la sua prima antologia The Next Voice You Hear – The Best of Jackson Browne, contenente due brani inediti: “The Rebel Jesus” e “The Next Voice You Hear”. Nel 2002 vede la luce The Naked Ride Home, dove ci sono dei veri e propri gioielli come il pezzo che dà il titolo all’album, “About

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Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana

My Imagination” (riproposta poi in tour come medley con “Doctor My Eyes”), “Walking Town”, il reggae “For Taking the Trouble” e “My Stunning Mistery Companion”. Due anni dopo viene pubblicata una nuova compilation in due dischi, The Very Best of Jackson Browne. Nel febbraio del 2004 Bruce Springsteen fa il discorso di presentazione per lui alla Rock and Roll Hall of Fame. Nel 2005 esce il suo primo vero e proprio ‘live album’: Solo Acoustic – Vol. 1, a cui fa seguito il Vol. 2. Entrambi questi album danno la giusta immagine di Jackson Browne dal vivo: una serata tra amici dove lui esegue pezzi a richiesta, commentandoli con aneddoti e battute e regalando emozioni uniche. Nel 2007 viene introdotto alla Songwriter’s Hall of Fame. Esce poi Time the Conqueror, molto ben scritto, i cui testi sono centrati fortemente su temi politici (“Why is impeachment not on the table / We better stop them while we are able”…) e su fatti come l’uragano Katrina (“Where Were You”). L’11 maggio di quest’anno è uscito Love Is Strange, registrato durante un tour del 2006 in Spagna (Madrid, Barcellona, Oviedo e Siviglia) con ‘el maestro’ David Lindley e vari musicisti spagnoli, con i quali Jackson ripercorre magnificamente la sua ultradecennale carriera musicale. Tre giorni con JB È finalmente il 20 maggio. Jackson Browne arriva con un volo da Madrid alle 15.52 a Firenze e, per essere sicuro di non avere intoppi e giungere in ritardo, sono in aeroporto alle… 14! Le due ore volano e poco dopo le 16 lui si affaccia sorridente dal cancello degli arrivi, con la sua simpaticissima compagna Dianna, e mi saluta dicendo: «Così dopo un anno ci vediamo di nuovo!» ricordandosi evidentemente del nostro incontro dopo il suo show a Bologna. Questo sorprendente saluto mi tranquillizza e fa sparire in un secondo tutte le paure e le ansie che avevo nell’incontrare un pilastro

della musica come lui. La capacità di Jackson di metterti a tuo agio è stupefacente. Carichiamo i bagagli con la sua chitarra – una Gibson LG-2 degli anni ’40 tutta in mogano – e ci dirigiamo verso l’albergo a Sarzana; abbiamo poco più di un’ora di strada da fare. Dopo aver tranquillizzato telefonicamente Alessio e dopo i convenevoli di rito, il discorso scivola subito e con naturalezza sulle chitarre. Quando lui parla dei suoi amici ovviamente li chiama per nome: Neil, David, Bonnie, James, Ry… In quel momento mi rendo conto ancor di più che, accanto a me nella mia auto, è seduto uno dei miei miti musicali, uno dei migliori cantautori di sempre con tutti i suoi dischi, i capolavori che ha scritto, le collaborazioni con centinaia di altri musicisti… Mi dice subito che non ha portato la sua McAlister perché, essendo in palissandro brasiliano, aveva paura di incontrare problemi in dogana. Poi, con un po’ di timore, gli dico che in tutti questi anni di concerti, secondo me, il miglior suono dal vivo che io abbia mai sentito è stato quello di Neil Young con il suo FRAP (Flat Response Acoustic Pickup) System; che però sembrerebbe essere un sistema estremamente difficile da settare, tanto che il guitar tech di Young – Larry Cragg – disse in un’intervista che poteva andar bene solo per chi ha un impianto da almeno 50.000 dollari e un “pazzo” come lui che glielo regola prima di ogni spettacolo. Jackson è assolutamente d’accordo, anzi è proprio grazie a ‘Neil’ che anche lui ha montato per un periodo il FRAP sulle sue chitarre. Poi un giorno è successo un guaio e ha provato a sistemare da solo il pickup, ma era davvero impossibile. Così ha portato la chitarra a Cragg per farsi spiegare come ripararlo, ma lui non ne ha voluto sapere: era davvero geloso del suo sapere e non permetteva a nessuno di assisterlo durante le riparazioni. Allora Jackson ha lasciato perdere il FRAP: «Sai, se mi 22 chitarra acustica 1 duemilaundici

succede qualcosa del genere durante un tour è davvero un casino. Così sono passato al Trance Audio [Acoustic Lens] che praticamente ha lo stesso principio del FRAP». Successivamente gli chiedo com’è arrivato alle chitarre Teisco (a Bologna un anno fa l’ho visto usare per tre pezzi proprio una Teisco Del Rey da 150 dollari, e il suono era stupefacente). E lui, facendo un sorrisetto ironico, mi chiede se ultimamente avevo visto Ry Cooder dal vivo. Al che gli rispondo che l’avevo visto proprio lo scorso anno a Roma e che mi aveva colpito una Telecaster baritona stranissima… Jackson si mette a ridere e dice: «Sì, proprio quella! Sai qual è il segreto di quella chitarra? Il pick up Teisco: Ry lo ha montato pure sulla Coodercaster [la Strato più usata da Cooder, che ha anche un pickup Oahu Lap Steel al manico]». Poi Jackson e Dianna rimangono colpiti dai blocchi di marmo di Carrara e poco dopo il jet lag ha il sopravvento; JB è arrivato da Santa Monica con uno scalo a Barcellona per prendere Dianna… La sera siamo a cena insieme a Roy McAlister con famiglia e al nostro caro amico Paolo. Roy vuol fare una sorpresa e porta in albergo sei chitarre di sua costruzione, tre mie e tre di Paolo. Io prendo subito in mano la nuova ‘Roy SmeckAlister’ di Paolo, battezzata cosi proprio da Jackson, in adirondack e mogano: davvero un gran suono. Ma, mentre mi sto dilettando, vedo una mano che afferra la chitarra e me la strappa letteralmente via; mi giro e vedo Jackson sorridente che dice: «Questa la suono io!» Tira fuori un plettro e si mette a suonare di fianco a me: la chitarra suona molto meglio, alla faccia di chi ancora non crede che le mani contano nel suono! Quello che mi sorprende è quanto JB suoni pesante: pensavo di avere io una mano pesante, ma lui suona davvero molto più forte di me, porta le chitarre veramente al limite e – ripeto – le chitarre in mano sua suonavano proprio meglio… Avere lui vicino che accenna “Barricades

Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana of Heaven”, “Time the Conqueror”, “These Days”, “For Everyman”… mi faceva sentire in paradiso. Ogni tanto Paolo ed io ci guardavamo e non credevamo ai nostri occhi. Jackson quindi chiede a Roy a che punto è la replica della Gibson CF-100. In effetti è da un po’ che ne sento parlare da Roy, il quale non gliela voleva fare perché a suo dire le tre originali che ha Jackson, scelte tra oltre trenta, sono strepitose. Roy comunque dice che gliela porterà ad uno dei due concerti che JB terrà nello stato di Washington a fine luglio, anche perché deve far provare una chitarra a David Lindley. E aggiunge una novità dell’ultima ora: dato che Jackson ha tre CF-100 strepitose, che si sta appassionando alle LG-2 e che la LG-2 è di base una CF-100 senza la spalla mancante, Roy si è ‘inventato’ un altro modello di chitarra da sottoporgli, basato sulla LG-2 ma un po’ più lunga e larga, con attacco del manico al XIII tasto, fasce e fondo in mogano, scala corta. La prova continua con una Rick Ruskin Signature Model, praticamente una replica delle Gurian che oltre trent’anni fa avevano sia Paul Simon che JB. Poi, quando quest’ultimo prende in mano la mia 00-45, Roy prontamente gli chiede se la vuole portare sul palco il sabato, visto che è anche microfonata. Lui la suona ancora un po’, ma non risponde… Estasiati si va poi a cena, e quando gli faccio provare un Amarone con i controfiocchi, spalanca gli occhi ed esclama: «This wine is terrific!» Allora gliene porto due bottiglie, che si porterà poi via in valigia. Jackson è proprio a suo agio, scherza moltissimo con i figli di Roy, è loquace e rilassato, apprezza davvero tanto i piatti a base di pesce dell’hotel. Durante la cena succede qualcosa di veramente simpatico: alcuni fan mi avevano detto che Jackson era vegano (i vegani sono gli ultras dei vegetariani), cosa che ho poi riferito a Roy, che è rimasto molto sorpreso. Al che, dopo i vari antipasti di pesce

e carne e i vari secondi sempre di pesce che Jackson si era gustato, Roy si è avvicinato a me con un sorriso sornione e mi ha sussurrato: «Vegan my ass!» Dopo aver mangiato, Jackson chiede esplicitamente di andare in Fortezza, perché vuol vedere John Gorka suonare. Appena entrati ci accoglie Alessio Ambrosi, che finalmente ha il piacere di stringergli la mano e lo accompagna a lato del palco principale. Noto che in quel momento Jackson cambia faccia, diventa molto serio e ho avuto la sensazione che si trasformasse nel professionista che è. Appena alcuni fan lo hanno notato, ho sentito una gran pressione, perché dovevamo assolutamente evitargli situazioni spiacevoli: la privacy per Jackson è la priorità assoluta. Nonostante sia nascosto nell’ombra, alcuni si avvicinano, ma lui in ogni caso ha un saluto per tutti. Così, ad un certo punto, mi faccio coraggio e gli dico che avevo piacere di presentargli un ‘ragazzo’ che ha avuto

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un impatto importante sulla chitarra acustica in Italia; al suo benestare faccio un cenno al nostro Andrea Carpi, che si avvicina e i due iniziano a parlare: bastano due minuti per toccare i temi della tablatura, che Jackson confessa di non aver mai compreso appieno, e delle accordature aperte, a proposito delle quali raccomanda un libro che è “profondamente connesso con l’intero universo” e che approfondisce in modo efficace il rapporto tra scale e accordi: The Tao of Tunings – A Map to the World of Alternate Tunings (Hal Leonard, 2008) di Mark Shark, di cui ricorda in particolare le collaborazioni con John Trudell. Poi è il momento di John Gorka, a cui fa tantissimi complimenti e a cui poi non risparmia applausi quando sale sul palco. Appena terminato il set di Gorka, chiede subito di andarsene prima che si accendano le luci. Arriviamo quindi in albergo e ci si dà appuntamento per la mattina successiva sul tardi, perché voleva “esercitare la voce”

In concerto con la Gibson LG-2 (foto di Alfonso Giardino)

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Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana

per un paio d’ore. Verso le 13 di sabato ci ritroviamo al ristorante e ripetiamo la ‘performance gastronomica’ della sera precedente. Comincia a raccontarmi di un Les Paul anni ’50 pagato 85.000 dollari e subito interviene Dianna: «Quando Jackson compra una chitarra non ti puoi sbagliare: arriva a casa con un sorriso incredibile e capisci che ne ha combinata una delle sue… Dopo un po’ mi confessa infatti che gli è successa una cosa bellissima, cioè che si è comprato una chitarra!» Dopo pranzo si va in Fortezza, dove il buon Alessio lo prende ‘in consegna’. Così io vado a dare un saluto ai vari amici di Fingerpicking.net, che non vedevo da una vita, poi mi avvicino allo stand di Roy McAlister dove trovo una ressa incredibile: infatti c’è Jackson che sta suonando varie chitarre, tra cui un paio di Gibson d’annata di Andrea Bagnasco, liutaio e

grande appassionato ed esperto di chitarre vintage. Jackson poi comprerà da Andrea una LG-2 davvero splendida. Durante il giro della Fortezza accade proprio quello che temevamo: un paio di fan estremamente esuberanti si avvicinano con pacche sulle spalle, urlando cose del tipo: «Dai Jackson, facciamo una foto!» Jackson non fa una piega e sottovoce dice loro: «Va bene, ma per favore non attirate l’attenzione della gente». E come se avesse parlato a un muro, uno dei due grida: “Ahò, chi mi fa la foto con Jackson?» Allora Alessio ed io facciamo un tagliafuori degno del miglior Meneghin e portiamo via JB, che di lì a poco farà il soundcheck. Per il soundcheck JB si porta sul palco la sua LG-2 e la mia McAlister 00-45. Quando la prova, non trovando dove attaccare la tracolla, mi dice nel microfono: «Andrea, no guitar strap?» Per fortuna qualcuno

dei tecnici gli porta una tracolla, che legherà alla paletta. Si va al ristorante con Dianna, Roy e la sua famiglia. Quando entriamo c’era un sacco di gente che stava guardando la finale di Champions League di calcio. JB si ricorda che giocava la mia squadra: al suo arrivo, per rompere il ghiaccio e sapendo che veniva da Madrid, gli avevo chiesto se aveva incontrato molti italiani in aeroporto, visto che c’era una finale di Coppa. Allora mi dice: «Non vai a vedere la partita?» Gli rispondo che preferivo stare con loro, e comunque entro mezz’ora saremmo dovuti ritornare in Fortezza. Ma lui non sente ragioni, si alza, mi prende sottobraccio e mi porta davanti alla TV dicendo: «Adesso spiegami cosa sta succedendo»… Vedere la finale di Champions della propria squadra con Jackson Browne sottobraccio è difficile da credere pure per me, ma è successo. Dopo cena lui chiede espressamente di tornare un po’ prima in Fortezza, perché vuole vedere la performance di Victoria Vox. Appena finita la performance di Victoria, lo accompagno nel camerino e lui comincia a ‘scaldarsi’, prima con la chitarra (“Time the Conqueror”, “The Road”, “For Everyman”, “Barricades of Heaven” e lick vari) poi con la voce. Quando comincia a cantare rimango a bocca aperta: una potenza incredibile! Jackson spingeva di brutto con il diaframma e tirava fuori un volume di voce pazzesco, un volume che sicuramente non ti aspetti da un uomo di circa sessanta chili di peso. Il premio e l’esibizione Ore 22.30: showtime! Prendiamo l’ascensore insieme, Jackson si sistema la camicia, chiede a Dianna come sta, poi quando arriviamo a lato del palco chiede di poter verificare le chitarre prima di essere chiamato. Al che Alessio fa fare una pausa di cinque minuti prima di chiamare sul palco Massimo Caleo, il simpaticissimo sindaco di Sarzana, appassionatissimo di musica, che consegnerà il

In concerto con la McAlister 00-45 Vintage Series (foto di Alfonso Giardino)

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Jackson Browne all’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana premio “Corde & Voci per Dialogo & Diritti” a JB. Il sindaco poi, quasi urlando, ringrazierà Roy McAlister per aver aiutato Alessio Ambrosi nell’impresa di portare Jackson al festival di Sarzana. Finita la cerimonia arriva il momento che i fan, venuti veramente da tutta Italia, stavano aspettando: Jackson imbraccia la sua Gibson e inizia una sempre toccante “For Everyman”. A dir la verità all’inizio del pezzo si nota qualche incertezza: infatti, incredibile a dirsi, Jackson è davvero emozionato. Finito il primo pezzo cambia chitarra, prende la mia McAlister 00-45 e inizia l’inconfondibile arpeggio di “These Days”. Segue poi una struggente “Barricades of Heaven”. E chiude il set quella che JB chiama una sorta di preghiera, “Far from the Arms of Hunger”. Il pubblico lo richiama a gran voce per un bis, che concederà: «Questa è una canzone che ho scritto veramente tanti anni fa!» Si tratta di “Take It Easy”, con il pubblico entusiasta che batte le mani a tempo e canta il ritornello… Ciao ‘little brother’ Dopo i saluti si torna in camerino, dove ci si intrattiene con Roy e altri amici, poi si va in albergo. Mentre siamo in macchina metto sul lettore cd Blood on the Tracks, e Jackson e Dianna canticchiano dietro a Dylan. Quando arriviamo in albergo, gli dico che l’episodio successo con quel fan nel pomeriggio mi aveva fatto sentire a disagio, e lui: «Andrea, mi dispiace tantissimo averti causato questo disturbo. Le persone che mi stanno vicino subiscono questo genere di pressione e vorrei evitarlo in tutti modi, ma purtroppo succede. Infatti oggi è anche successo che qualcuno mi riprendesse con la videocamera mentre ero con Dianna, e questo è inaccettabile. Dianna ed io ti ringraziamo tantissimo per esserti preso cura di noi in questi giorni, sei stato davvero gentile». Appena Jackson mi dice queste cose, mi viene in mente la

definizione che dà di lui David Crosby: «Se il bufalo sta morendo di fame o il vicino rimane senza luce elettrica, arriva subito la chiamata di Jackson». E Nash di rimando: «Non c’è niente che non faremmo per questo ragazzo quando ci chiama». Non a caso anche Randy Newman in una canzone dal titolo emblematico, “A Piece of the Pie”, scrive: «E se ne fregano tutti tranne Jackson Browne […] Bono è in Africa – non è mai qua / Il paese volta i propri occhi solitari verso chi? / Jackson Browne». La domenica è il giorno dei saluti, e durante il check out incontriamo alla reception Beppe Gambetta, che presento subito a Jackson come “un orgoglio musicale italiano”. Durante il viaggio verso l’aeroporto telefoniamo ad Alessio: Jackson lo ringrazia per l’invito, per quello che sta facendo per la musica, gli dice che si è trovato benissimo, che l’AGM è uno dei festival più belli a cui abbia mai partecipato, e che per questo gli farà tantissima pubblicità negli Stati Uniti. All’aeroporto di Pisa ci si abbraccia come vecchi amici: lo ringrazio per la sua disponibilità e ci salutiamo dicendoci che “ci vedremo on the road”. Ciao little brother! Appunti finali sul ‘guitar freak’ Jackson Browne è un vero e proprio ‘guitar freak’. Ha moltissime chitarre e, in particolare, moltissime chitarre acustiche. Bellissima fu la battuta di Bonnie Raitt durante un concerto insieme, riferendosi alla lunga fila di chitarre che JB aveva sul palco: «Ecco il miglior modo per usare il legno: fare chitarre da far suonare a Jackson Browne!» E di ogni chitarra Jackson ha scoperto le peculiarità e l’accordatura che la fa suonare al meglio. JB usa moltissime accordature alternative, perché «ogni chitarra vuole essere accordata in un certo modo» e perché «con un’accordatura puoi trasformare una canzone (vedi come ha trasformato un pezzo come “Looking East” accordando la chitarra in CGDGDD); inoltre perché gli

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piacciono sonorità «piene», e a volte deve arrangiare con la chitarra canzoni che sono state scritte ed eseguite al pianoforte; oppure perché spesso va in tour da solo e deve riarrangiare pezzi che esegue di solito con la band. Suona molti pezzi con chitarre accordate mezzo tono sotto e a volte usa un’accordatura appresa da John Leventhal, in Sol aperto ma con la sesta corda in Do. In tour Jackson Browne si porta un vero e proprio ‘armamentario’ e, come il suo amico David Crosby, non ha problemi a montare pickup su chitarre di 70-80 anni fa. Le sue preferite sono: – due Gibson Roy Smeck Stage Deluxe degli anni ’30, una accordata mezzo tono sotto e l’altra un tono sotto. Poi sul palco di solito porta anche: – una riedizione Gibson Roy Smeck Stage Deluxe del 1994; – tre Gibson CF-100 degli anni ’50 (una accordata in Re minore, una in Mi bemolle minore e una in Re); – una CF-100E accordata in Sol; – una Martin 00-17 degli anni ’50 (in C# G# D# G# D# D#); – una Martin D-41 degli anni ’70 in accordatura standard; – una Epiphone Troubadour del ’66 accordata in Mi bemolle minore; – una McAlister Crosby Model in accordatura standard; – una McAlister Roy SmeckAlister accordata mezzo tono sotto, usata in fingerpicking; – una McAlister baritona; – una Ryan Mission Grand Concert accordata in Sol. Le sue corde preferite sono le D’Addario. Su tutte le chitarre monta pick up Trance Audio Acoustic Lens T3 e, quando suona da solo, usa anche un microfono Neumann KM 184 e un ampli Fender Bandmaster. Ma queste sono solo le chitarre acustiche che si porta in tour…

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artisti

John Gorka a Sarzana Incontro con un cantautore-chitarrista di punta del nuovo folk Lauro Luppi Questo maggio ho avuto il piacere di partecipare al mio secondo Acoustic Guitar Meeting di Sarzana. Considerando la mia prima visita, pregustavo già la magnifica settimana che mi aspettava con i miei cari amici italiani, con le belle chitarre e la musica dal vivo del festival. Quest’anno ho portato con me mia moglie e i miei due figli per far loro assaporare le bellezze naturali e storiche… il cibo e la cultura d’Italia e la sua

splendida gente. Non mi aspettavo però di avere il privilegio di conoscere un cantautore americano che ammiravo da anni, John Gorka. L’ho visto in concerto diverse volte negli Stati Uniti… posseggo diversi suoi cd… abbiamo anche molti amici in comune. Ho spesso pensato a lui come a un tesoro dell’America, uno tra i più grandi compositori contemporanei di canzoni… ma non l’avevo mai incontrato. Il caso ha voluto che

fosse in un’antica fortezza dell’Italia settentrionale, dove ho avuto finalmente l’opportunità di stringergli la mano e dirgli di persona quanto io ami la sua musica. Uno dei vantaggi del mio lavoro di liutaio è di poter incontrare musicisti che ammiro e aver l’onore di dir loro personalmente quanto la loro musica significhi per me. Ma aver incontrato John Gorka quest’anno a Sarzana è stato molto di più. John ed io, insieme alla mia famiglia, abbiamo passato tre giorni assieme, contornati amorevolmente da un gruppo splendido di amici speciali. Abbiamo condiviso momenti toccanti nel corso di riunioni private e pranzi casalinghi. Dopo ogni pranzo John prendeva la sua chitarra e, senza che nessuno glielo chiedesse, ci suonava qualche sua canzone. È quello che ha fatto… è quello che voleva fare. È stata un’esperienza che mi ha colpito e che mi è rimasta dentro. Non dimenticherò mai quei giorni e… dagli sguardi di quei pochi che hanno avuto la fortuna di far parte di quei momenti, posso dire che non sarò il solo. Delle tante cose che mi aspettavo da Sarzana, questa esperienza inaspettata è quella che più risplenderà tra i miei ricordi. Grazie John! (Roy McAlister, Gig Harbor, 9 giugno 2010) Miglior presentazione dell’artista credo non potesse essere espressa, scritta da uno che di cantautori se ne intende, almeno credo! Pertanto, ogni intenzione o tentativo di presentare John Gorka può essere messo tranquillamente nel cassetto o postposto a quanto ha scritto chi, bisogno di tante presentazioni certo non ha… Tuttavia

In concerto al Meeting di Sarzana (foto di Tiziano Gagliardi, Circolo Fotografico Sarzanese)

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John Gorka a Sarzana riteniamo (plurale ‘plurale’, non ‘maiestatis’) utile e doveroso completare i servizi sulla XIII edizione dell’Acoustic Guitar Meeting di Sarzana presentando John Gorka sia in modo un po’ ‘didascalico’, sia successivamente in modo meno scontato in quanto, d’accordo con lo stesso artista e con il nostro ‘capitano’ Andrea Carpi, percorrere un binario diverso, raccontare una storia, una storia di amicizia, intimità, sensibilità e… treni (sicuramente uno di troppo), può fornire una chiave di lettura diversa, nuova, anche se saldamente legata alla grande tradizione del nostro strumento. Del resto, sapete benissimo come il cuore pulsante di Sarzana non sia soltanto la chitarra, ma la gente che si incontra e che la vive. Perché John Gorka Potrei iniziare semplicemente dicendo “perché è John Gorka”: perché personalmente lo ritengo uno dei pochissimi in grado di proseguire la grande tradizione della canzone d’autore a un livello paragonabile a quello dei grandi classici, perché è cantautore per cantautori, mai sopra le righe, mai scontato, perché è cantastorie e chitarrista dotato di tecnica poco più che elementare ma estremamente efficace, in grado di colpire proprio per la leggerezza con cui accompagna una voce splendida e perché, aspetto di importanza fondamentale, al recente Meeting di Sarzana ha colpito profondamente tutti i presenti, nessuno escluso. Per questo ritengo, ma non sono il solo, che l’apertura del Meeting alla canzone d’autore sia un aspetto fondamentale da considerare per il movimento della chitarra acustica tutta. Cosa segnalare Sarò sincero, non troverete un’incisione che è una che non valga i soldi che costa, a testimoniare una serie di pubblicazioni di livello qualitativo sempre molto alto. Anche nel caso in cui il nostro

ha registrato con una band, questa mai è sopra le righe, sempre al servizio dell’artista e della canzone. Non parliamo poi della qualità delle registrazioni: se osservate le etichette per cui John ha pubblicato e pubblica tuttora, riconoscerete due etichette che hanno fatto della qualità un vero e proprio manifesto. Irrinunciabili sono tutti i dischi registrati per la Red House, a cui deve essere aggiunto il Land of the Bottom Line che ne diffuse il talento purissimo. Qualcuno un po’ di maniera (After Yesterday e Old Future’s Gone) in cui si tentò la via della ‘Americana’ o del ‘New Country’, via che fu causa di fraintendimento dell’artista, che si vide etichettato un po’ in tutti i modi, specie in seguito agli anni trascorsi a Nashville e alle collaborazioni con Nancy Griffith. Sappiate che John Gorka nel 1996 decise di lasciare la Windham Hill, complice la tendenza dell’etichetta ad essere, per gli intenti dell’autore, un filino troppo ‘commerciale’. Inoltre, le radici in New Jersey (a poche uscite dopo sulla NJ Turnpike vive quell’altro italo-irlandese, quello che scrisse di ‘fabbriche e oscurità’… ) e le tematiche delle canzoni fecero sì che John Gorka fosse etichettato persino come il nuovo Springsteen: beh, nulla di più sbagliato; qui siamo alla presenza di una carriera e di una forma di canzone che, pur rispettando i canoni tradizionali della canzone d’autore americana, è del tutto originale. Ma… sì, c’è un ma: John Gorka è artista da palco, per la gente, pare trovarsi maggiormente a proprio agio di fronte o in mezzo a delle persone che sono pronte ad ascoltare le sue storie (ci arriveremo). John Gorka potrebbe porsi nelle migliori condizioni di fronte alla bolgia impazzita di uno stadio così come a poche persone presenti in una stanza, e l’effetto sarebbe esattamente lo stesso, identico: toccare ciascuno dei presenti in un modo profondo ed efficace, ottenendone l’immediato silenzio teso ad ascoltare l’unica cosa che 27 chitarra acustica 1 duemilaundici

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conta, le canzoni, cantate da una delle voci sicuramente più belle del panorama musicale attuale. A costo di fare a cazzotti con chi vi precede nella fila per accaparrarsi l’ultima copia disponibile, dovete avere il dvd The Gypsy Life, a qualunque costo… ne vale la pena, tanto il male fisico poi passa. Come definirlo? Concerto privato, ‘concept concert’… non lo so, so solo che una volta inserito il prezioso dischetto nel lettore, la prima cosa che sorprende è l’atmosfera intima del contesto: un tappeto, qualche pianta, qualche microfono, una chitarra, un mandolino, un pianoforte e un basso elettrico (suonato da Michael Manring). E poi? Poi… la chitarra acustica che suona come una… chitarra di legno, il basso caldo e naturale che suona come un basso e la voce sorprendente per la presenza e la pulizia, tale da rendere il gruppetto presente lì dietro a voi. Tecnicamente parlando il dvd è una meraviglia: non ci sono riverberi elastici, equalizzazioni pesanti, compressioni… macché, il tutto suona in modo assolutamente e finalmente naturale, in un modo splendido che rende onore a uno dei più grandi cantautori oggi viventi. Poche cose, ma quelle giuste nel momento giusto e al posto giusto, una serie di canzoni che inducono il sottoscritto a una perversa ricerca di aggettivi, peraltro inutile in quanto nessuno renderebbe onore a un documento così bello e così prezioso. Un po’ di storia Della discografia di John Gorka abbiamo già detto. Vediamo ora di capire i perché (o provarci almeno) che portano un personaggio qui in Italia semisconosciuto ad essere considerato uno dei maggiori cantautori in attività. Gli inizi lo vedono studente di Storia e Filosofia ed ospite fisso nel locale di Godfrey Daniels, una delle istituzioni musicali della parte orientale della Pennsylvania: un piccolo caffè e sala d’ascolto di quartiere che, come spesso accadeva, si

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John Gorka a Sarzana

trovava ad esser ritrovo di amanti della musica e musicisti. Ben presto l’artista ‘residente’ John Gorka incontra Stan Rogers, Eric Andersen, Tom Paxton e Claudia Schmidt, ricevendone influenze e ispirazioni. Logica conseguenza il successivo trasferimento a New York City, dove Jack Hardy del circolo Folk Fast (un terreno fertile per molti importanti singer-songwriter) diviene una potente fonte di educazione e di incoraggiamento. Seguono appuntamenti importanti come il Kerrville Folk Festival in Texas (dove ha vinto il New Folk Award nel 1984) e Boston, ambienti in cui la sua voce baritonale e la sua scrittura molto intima iniziano ad affermarsi definitivamente. La Red House, sempre in cerca di talenti, lo mette sotto contratto nel 1987 e la pubblicazione del primo album, nello stesso anno, è un successo sia di pubblico che di critica, che gli favorisce il passaggio alla Windhan Hill di William Ackerman nel 1989. In sette anni vengono pubblicati cinque album: Land of the Bottom Line (uno dei miei preferiti), Jack’s Crows, Temporary Road, Out of the Valley e Between

Dopopranzo con gli amici a Sarzana (foto di Andrea Fabi)

Five and Seven, mentre Rolling Stone lo indica come «il preminente singer-songwriter maschile del nuovo movimento folk». Nel 1998, dopo sette anni di Windham Hill/High Street, John sente il bisogno di un cambiamento e decide di tornare alle sue radici musicali con la Red House Records: scelta determinata in parte dall’onestà artistica che l’etichetta rappresenta, in un settore dove il business della musica troppo spesso ha la precedenza. Come dice lo stesso John, «la Red House mette al primo posto la musica, come me, ed è un buon posto in cui stare». Il marchio di Gorka Il disco After Yesterday rappresenta il primo frutto di quella riunione e riflette il costante impegno di John Gorka nel cercare una dimensione artigianale della scrittura, semplice e diretta. Chi conosce John Gorka da più tempo ritroverà il marchio di John costituito da una liricità ed una attenzione ai dettagli in grado di evocare efficacemente un tempo, un luogo, una persona o una gamma di emozioni. Ma sono presenti in esso anche tracce

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di nuove direzioni musicali, con l’aggiunta delle percussioni, archi, pianoforte, elementi che verranno ripresi e raffinati in ogni elemento della sua discografia. Tentando di focalizzare, possiamo affermare senza tema di smentita che John Gorka è uno scrittore profondamente autobiografico: la serenità interiore di cui gode gli permette di condividere, senza paura, anche i recenti cambiamenti nella sua vita (il matrimonio, la paternità, il viaggio verso il Minnesota) raffigurati in immagini come in “Cypress Trees”, “After Yesterday” e “When He Cries”. Possiamo notare una coscienza indurita, racchiusa in “Wisdom”, ma ogni canzone è un piccolo capolavoro in quanto pervasa da storia e studi di carattere: “Amber Lee”, “Silvertown” e “Zuly”. Ogni canzone per John Gorka ha un’importanza fondamentale e potrebbe essere pubblicata anche ‘a sola’ tanto è profonda, tanto stuzzica l’immaginazione e l’introspezione. Qui troviamo quello che è forse il limite di John Gorka: i suoi dischi, intesi come pubblicazioni di raccolte di inediti, non sono mai di facile ascolto, richiedono quell’attenzione che merita ogni quadro, anche piccolo. La profondità che mette in ogni suo verso richiede un’attenzione che, oggi, in molti non sono in grado di mantenere, in quanto Gorka risulta abile nel coniugare nelle proprie opere una miscela di poesia, introspezione, umorismo (circola un video splendido della canzone “I’m from New Jersey” in cui John alza il braccio come quell’altro, sempre del NJ…). Senza dubbio una lunga strada dagli inizi in quel caffè di Godfrey Daniels ed una strada altrettanto lunga da percorrere ancora. Alla base di tutto, John Gorka è ancora fiero di far parte di quella ‘tradizione popolare’ che vede nella musica acustica non una tendenza, non una moda, ma un’espressione profonda e intelligente della vita quotidiana.

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John Gorka a Sarzana

Perché John Gorka dunque? Cosa ricevo dal conoscere John Gorka? Cosa mi rimane da questo incontro che io non abbia tentato di trasmettere? Mo lto di non spiegabile, molto di soggettivo, non raccontabile se non ricorrendo al ‘gusto personale’. In ogni caso sappiate che John Gorka è in grado di aprire porte di cui chi si trova ad incrociarne le canzoni

ignora persino l’esistenza, e di trasmettere emozioni che originano il dubbio quasi retorico del: «È successo davvero?» Già… non esiste chitarra in una stanza che lui non riesca ad accarezzare, non esiste persona nella stessa stanza che lui non riesca a toccare, commuovendola di quella commozione sincera e spontanea. Un’immagine mi porto dentro, una delle più care di

questi quarantaquattro anni di vita: un uomo quasi in fuga da quella stanza, un uomo di pari sensibilità che, calati gli occhiali da sole sugli occhi lucidi di lacrime, ha proferito poche ma significative parole: «Io costruisco chitarre per questo»… Ed è successo davvero.

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Discografia

DVD The Gypsy Life (AIX Records, 2007)

Album in studio I Know, Red House Records, 1987 Land of the Bottom Line, Windham Hill/High Street, 1990 Jack’s Crows, Windham Hill/High Street, 1991 Temporary Road, Windham Hill/High Street, 1992 Out of the Valley, Windham Hill/High Street, 1994 Between Five and Seven, Windham Hill/High Street, 1996 After Yesterday, Red House Records, 1998 The Company You Keep, Red House Records, 2001 Old Futures Gone, Red House Records, 2003 Writing in the Margins, Red House Records, 2006 So Dark You See, Red House Records, 2009

Altre raccolte Vecchie registrazioni si trovano sul Fast Folk Musical Magazine, mentre le bellissime “I Saw a Stranger with Your Hair” e “Christmas Bells” le trovate anche rispettivamente su AA.VV., Legacy – A Collection of New Folk Music (Windham Hill, 1989) e AA.VV., On A Winter’s Solstice – Vol. III (Windham Hill, 1990). Siti di riferimento http://johngorka.com http://home.kpn.nl/f2hjhmvanvliet156/home.html [da quest’ultimo potete scaricare gratuitamente una quantità di materiele notevole, file audio e video messi a disposizione dagli appassionati e dallo stesso artista, brani già editi, inediti o versioni di brani famosi]

Antologie Pure John Gorka, Windham Hill, 2006 Minialbum Motor Folkin’, Windham Hill/High Street, 1994

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John Gorka a Sarzana

LYRICS Sapete bene che il gusto personale è insindacabile… ma consentitemi di segnalare qualche canzone tra le tante splendide. Can’t Get over It

Sembra come se te ne vada via troppo in fretta O passi alla cassa troppo lentamente Sembra come se ogni strada Conduca a qualcosa che non conosco In continuazione

I can’t get over it Better go around Can’t get around it I better go down Can’t get under so I better go up And start all over again

Mi sembra di correre sott’acqua Ci sono dentro fin sopra la testa Dio benedica i figli e le figlie Il cui destino non sia segnato

I really didn’t know Didn’t get to say goodbye And though it still hurts Don’t know if I’ll ever cry I can’t find words so I shake my head and I Try to start over again

I heard a train calling Through the middle of the night I heard the whistle And the mercy of the wheels It’s a hand to mouth existence In a mouth to nothing world I was longing For the way I used to feel

There’s trouble if you stay And sorrow if you go Seems like you leave too fast Or you check out way too slow Seems like every path Leads to something I don’t know Over and over again Feel like I’m running under water I’m in way up over my head God bless the sons and the daughters Whose fate has not been set Non ne vengo a capo Meglio girare attorno Non riesco a girarci attorno Meglio andar giù Non riesco ad andare sotto Quindi meglio salire E ricominciare tutto da capo Veramente non sapevo Non sono riuscito a dire addio E sebbene faccia ancora male Non so se piangerò mai Non trovo le parole così Scuoto la testa e provo a ricominciare È un problema se resti E un dolore se vai

The Mercy of the Wheels

I’d like to catch a train That could go back in time That could make alot of stops Along the way I would go to see me Father With the eyes he left behind I would go for all the words I’d like to say And I’d take along a sandwich And a picture of my girl And show them all That I made out ok I heard a train calling Through the middle of the night And I wondered if I Should have gotten on ‘Cause a train knows where it’s going And when it’s time to go And that it looks best When it’s already gone I heard a train calling Through the middle of a dream And I wandered through the weeds As it went by Oh the trains they have the numbers The nicknames and the nights 30 chitarra acustica 1 duemilaundici

They know it’s ok To run away and cry Ho sentito il richiamo di un treno Nel mezzo della notte Ho sentito il fischio E la grazia delle ruote È un’esistenza grama In un mondo che non dice nulla Desideravo Sentirmi come un tempo Mi piacerebbe prendere un treno Che possa tornare indietro nel tempo Che possa fare tante fermate Lungo la strada Andrei a trovare mio padre Con gli sguardi che ha lasciato dietro Andrei per tutte le parole Che vorrei dire E porterei un sandwich E una foto della mia ragazza E farei vedere a tutti Che me la sono cavata bene Ho sentito il rumore di un treno Nel mezzo della notte E mi sono chiesto Se sarei dovuto salire Perché un treno sa dove sta andando E quando è il momento di andare E che sembra meglio Quando è già andato Ho sentito il richiamo di un treno Nel mezzo di un sogno E ho girovagato tra l’erbaccia Mentre passava Oh i treni hanno i numeri I soprannomi e le notti Sanno che possono Correre via e piangere.

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artisti

Standing at the Crossroads Un tranquillo weekend al festival di Eric Clapton Stefan Grossman

Mentre ero in Tasmania ho ricevuto una e-mail da Eric Clapton che mi chiedeva se volevo partecipare al suo Crossroads Guitar Festival. Non vedevo Eric da quarant’anni. Lo avevo incontrato la prima volta quando avevamo suonato entrambi al Rock’n’Roll Show di Murray The K, che si era tenuto per dieci giorni al Paramount Theatre di Brooklyn. Quattro concerti al giorno con ogni gruppo che doveva suonare un pezzo. C’erano anche gli Who e vederli distruggere i propri strumenti quattro volte al giorno era veramente esilarante! Quando sono arrivato a Londra, due mesi dopo, le uniche persone che conoscevo erano Eric e Ginger Baker. Andavamo in giro a suonare e a parlare delle nostre cose. Perciò il fatto di ritrovarci di nuovo mi divertiva, anche se partecipare a un evento con così tanti numeri uno della chitarra elettrica mi intimidiva un po’. (foto 2) Mi è stato chiesto di fare alcuni pezzi da solo e due in duo con Keb’ Mo’, oltre ad un seminario di 40 minuti sul palco della Ernie Ball al Guitar

Village. (foto 3) Avevo conosciuto Keb’ ad un Namm Show, e mi era piaciuta la sua voce e la sua musicalità. In cartellone c’era anche Bert Jansch, che non vedevo da dieci anni. (foto 4) Pino Daniele era un altro artista che avrei voluto incontrare. Avevo ascoltato la sua musica quand’ero in Italia, e mi piacevano la sua voce, le sue canzoni e il suo modo di suonare. (foto 5) C’era anche Earl Klugh, di cui avevo seguito la musica per anni. (foto 6) Robert Randolph e la sua band erano un altro gruppo che volevo ascoltare. Poi ovviamente c’erano le icone del blues elettrico: Jeff Beck, Buddy Guy, Robert Cray, Jonny Lang, Joe Bonamassa, James Burton, Dereck Trucks, perfino gli ZZ Top, e chiaramente Eric e Steve Windwood. Oltre alle pop star John Mayer e Sheryl Crow. Faceva caldo, ma veramente caldo 32 chitarra acustica 1 duemilaundici

allo stadio Toyota Park di Chicago. Venerdì è stato il giorno più bello. Ci sono state le prove dalle 10 di mattina fino alle 11 di sera. Jo è venuta con me e avevamo anche due dei nostri figli e mio nipote Noah. E in più alcuni amici con i propri figli. È stato un bellissimo weekend per stare insieme genitori e figli. Abbiamo tutti assistito alle prove e ai vari sound check. Un’atmosfera molto rilassata per gli artisti, mentre gli addetti al palco e al service audio e video hanno lavorato duro per far funzionare il tutto. Io e Keb’ abbiamo provato “Mississippi Blues” e “Roll and Tumble Blues” vicino ai nostri camerini. Abbiamo provato diversi arrangiamenti e dopo circa un’ora avevamo pronti i nostri duetti. Fortuna che c’era l’aria condizionata nell’area dei camerini e della mensa degli artisti! Siamo stati anche fortunati ad avere come rifugio lo stand della Fender, che aveva un grande schermo 12’ x 20’ dove si proiettavano le partite del campionato mondiale di calcio. Con Eric, David (mio figlio) e Noah (mio nipote) abbiamo guardato la squadra degli Stati Uniti lottare per la vittoria,

Standing at the Crossroads ma alla fine soccombere malgrado tutte le nostre urla. (foto 7) I musicisti ‘acustici’, Keb’ Mo’, Bert ed io abbiamo fatto il sound check dopo tutti i gruppi. Erano le 10 di sera passate e abbiamo potuto sistemare solamente i livelli dei monitor e non tutto l’insieme. (foto 8)

Infatti il mio suono da solo, sabato, era pessimo, con rientri e interruzioni. Fortunatamente le cose sono migliorate in duo con Keb’ Mo’. (foto 9)

c’è di meglio che trascorrere un po’ di tempo con i vecchi amici, i propri figli e i musicisti che avresti sempre voluto ascoltare?

Un venerdì e sabato impegnativi, ma molto piacevoli. Del resto cosa

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Photogallery

Clapton osserva la vecchia Stella di Grossman

Il seminario sul palco della Ernie Ball

Bert Jansch al soundcheck

Pino Daniele con Grossman

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Standing at the Crossroads

Photogallery

Grossman e Earl Klugh

Grossman e Clapton seguono la partita Stati Uniti-Ghana

Grossman e Keb’ Mo’ al soundcheck

Grossman e Keb’ Mo’ i concerto

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artisti

La chitarra-arpa di John Doan Un moderno bardo dell’Oregon a cura di Sergio Bianco, traduzioni di Pierangelo Chiodaroli è profondo conoscitore. Il concerto si è tenuto lo scorso 20 giugno nella cornice della bellissima chiesa di San Marcellino nella piazza principale del paese, davanti a un pubblico numeroso ed estasiato dalle magiche atmosfere proposte da questo moderno bardo dell’Oregon, il quale ha incantato gli spettatori – oltre che con la chitarra-arpa – anche con aneddoti e racconti della letteratura e della mitologia irlandese.

Anche quest’anno si è rinnovata la collaborazione tra il Six Bars Jail1 di Firenze e la Pro Loco di Rigomagno2 in provincia di Siena, in occasione dell’annuale festa “Il Colle degli Ulivi” giunta alla trentottesima edizione. L’anno scorso il Six Bars Jail aveva portato nel piccolo borgo medievale senese due grandi della chitarra acustica europea: il nostro Franco Morone e il tedesco Peter Finger. Quest’anno, a rappresentare la chitarra fingerstyle nel ricco programma di eventi del festival, è stato lo statunitense John Doan. Di passaggio in Italia per partecipare alla Convention ADGPA di Conegliano, Doan si è offerto con nostro grande piacere di suonare per il Six Bars Jail e, vista la particolarità del repertorio e gli strumenti proposti, lo scenario di Rigomagno ci è sembrato l’ideale. John è uno dei pochi maestri della chitarra-arpa a 20 corde e da anni ha approfondito e divulgato lo studio di questo antico strumento, proponendo nei suoi concerti un repertorio affascinante in gran parte dominato dalle arie e dalle melodie della tradizione celtica, di cui

In attesa di recarsi alla Convention di Conegliano, John Doan è rimasto a Rigomagno per alcuni altri giorni e ha soggiornato, ospite di Riccardo Luchi del Six Bars Jail, in un casolare in pietra tra gli olivi delle splendide colline senesi, dove pochi fortunati lo hanno continuato a sentir suonare e improvvisare seducenti melodie, che ci aspettiamo di trovare nei suoi prossimi lavori. Da questo breve soggiorno è nata inoltre un’inaspettata amicizia tra noi del Six Bars Jail e John Doan con sua moglie Deirdra. E non poteva essere altrimenti, vista la semplicità e la simpatia di queste due persone. John, entusiasta del clima che ha trovato e dell’accoglienza ricevuta, ha chiesto poco prima di salutarci di far parte della nostra associazione, per cui adesso compare nel nostro sito web tra i membri del Six Bars Jail. La cosa ovviamente ci rende molto orgogliosi. Durante il suo soggiorno toscano è nata infine l’idea di questa intervista, allo scopo di saperne di più sulla sua musica e sugli strani strumenti che suona, nella speranza che ciò possa avvicinare anche altri appassionati del fingerstyle verso questo genere musicale.

L’intervista La curiosità ci porta a chiederti come accade che ci si avvicini ad uno strumento così particolare come una chitarra-arpa? In un mondo sempre più pieno di cose fatte a macchina, tutte uguali, ho trovato rigenerante celebrare l’insolito. Sono cresciuto a Venice in California, un posto ispirato da Venezia in Italia. Credo che la bellezza e l’insolito mi sembrassero andare a braccetto quando ero giovane e quando, da teenager, suonavo una 12 corde e un’elettrica a doppio manico in un gruppo rock. Più tardi, mentre studiavo musica all’università, fui introdotto alla chitarra classica. Mi piaceva molto la musica per liuto e rimanevo a bocca aperta di fronte al suono di tutte quelle corde. Quando, in seguito, ho trovato una chitarra-arpa vecchia di un secolo sulla parete di un negozio di strumenti musicali, ho sentito il richiamo della sua bella forma e dell’insolita collezione di corde in più. Ero curioso fino a soffrirne e volevo trasformare il suo abbandono e il suo silenzio in qualcosa

John Doan

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La chitarra-arpa di John Doan di vivo e vibrante. Fare musica sulla chitarra-arpa è stata, e continua ad essere, un’avventura. Qual è l’origine della chitarraarpa? Te la sei fatta costruire seguendo il modello di altri strumenti, oppure è stata costruita su tue indicazioni originali? Quale accordatura si usa? La chitarra-arpa era popolare negli Stati Uniti tra il 1890 e gli anni venti. Veniva suonata nelle orchestre di mandolini, negli spettacoli di vaudeville e nei salotti. In Europa la chitarra-arpa ha cominciato a essere popolare a partire dal 1840 ed è cresciuta in popolarità agli inizi del 1900 soprattutto in Germania e in Italia. Pasquale Taraffo è uno dei grandi maestri italiani dello strumento agli inizi del XX secolo.3 Per quel che concerne il mio strumento, l’ho commissionato a John Sullivan nel 1986 con la supervisione e il progetto di Jeffrey Elliot di Portland nell’Oregon. Jeffrey ha realizzato chitarre per Julian Bream, Ralph Towner e altri; mi eccitava vedere come avrebbe affrontato la sfida posta dal numero di corde e come sarebbe riuscito a soddisfare i miei requisiti di equilibrio tonale, usando corde di acciaio. Sebbene il progetto sia basato su quello delle chitarre-arpa Knutsen, Dyer e Gibson di un secolo prima, è stato completamente modificato per ottenere uno strumento che suoni con lo stesso volume su tutta la sua estensione (come il pianoforte). È considerata la ‘prima chitarra-arpa moderna’ dei nostri giorni. Ne sono state fatte un sacco di copie e recentemente è apparsa sulla copertina della rivista American Lutherie.4 Dal punto di vista della tecnica, qual è la differenza per chi suona una tradizionale chitarra a 6 corde o una a 20? Esiste una letteratura in materia per chi volesse cimentarsi, oppure l’unica strada è quella dell’autodidattica? La versione a 20 corde della chitarra-arpa che suono io è praticamente una chitarra con corde

in aggiunta su entrambi i lati. Sul manico centrale si può utilizzare la tecnica con cui ci si sente più a proprio agio sulla chitarra tradizionale. Ho trovato utile utilizzare la tecnica del liuto per la mia mano destra dove, invece di allineare le nocche delle dita con le corde, arrivo quasi ad allineare le dita con le corde. Questo mi consente di arrivare meglio sia ai bassi liberi che ai superacuti, e dà un suono più caldo alle corde pizzicate. Riguardo allo studio della chitarra-arpa, ogni anno organizzo dei corsi a luglio a casa mia, dove ospito allievi che vengono per studiare da ogni parte del mondo. Insegno diversi esercizi su scale, intervalli e diteggiature degli accordi. Sono anche disponibili gli spartiti della musica che ho registrato negli anni, se qualcuno mi vuole scrivere per chiederli. Inoltre ho realizzato un dvd intitolato In Search of the Harp Guitar [Fisher-King Productions, 2005], che mostra la storia, i fabbricanti e i musicisti che suonano questo strumento.5 Ma fondamentalmente, si deve prendere in mano la chitarra-arpa e divertirsi. Suonarla come piace ed esplorare un mondo nel quale si è completamente immersi nel suono. E dal punto di vista interpretativo? Ti abbiamo sentito suonare anche “Purple Haze” di Jimi Hendrix: questo vuol dire che si può far tutto su questo strumento, oltre al repertorio celtico-irlandese che ovviamente sembra il più adatto? Suono diversi stili di musica sulla chitarra-arpa, fondamentalmente ogni stile che si possa suonare su una chitarra tradizionale. La chitarra-arpa ti dà più risonanza, estensione e comodità. Ciò a cui non pensano di solito i chitarristi è che sulla chitarra, per ottenere una nota, occorre far due cose contemporaneamente: pizzicare con la mano destra e premere in corrispondenza dei tasti con la sinistra. Sulla chitarra-arpa si può semplicemente pizzicare un basso libero o un superacuto, e la mano sinistra

è libera di suonare qualsiasi cosa sulla tastiera, senza restare fissa in una posizione per tenere premuta una nota dei bassi o mantenere una nota della linea melodica quando bassi e armonia potrebbero cambiare. Amo il fingerstyle, la musica classica, il rock, la musica irlandese e altro, e a volte combino gli stili per dire qualcosa che immagino musicalmente. A proposito del repertorio dominante nella tua produzione discografica, abbiamo constatato dal vivo che tu hai una grandissima conoscenza della musica, ma anche della cultura e della tradizione dei paesi di origine celtica: da dove nasce il tuo interesse per questo filone? Hai origini irlandesi? Cerco di essere prima di tutto un musicista e poi un chitarrista o un chitarra-arpista. Credo che la musica abbia un significato e così, spesso, mi trovo a scrivere di ciò che agita il mio cuore e la mia anima mentre cerco di dare un senso al mondo che mi circonda. Tendo a sviluppare i miei lavori musicali attorno a un concetto, così i miei album non sono solo una collezione di brani per chitarra ma un tentativo di capire qualcosa. Il mio cd natalizio Wrapped in White – Visions of Christmas Past [Hearts O’ Space, 1995] cerca di infondere nuova vita a vecchi brani natalizi, utilizzando dozzine di strumenti vecchi di un secolo in

La chitarra-arpa di John Doan

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La chitarra-arpa di John Doan

nuovi arrangiamenti e in medley, che spesso sono trascritti per orchestra da camera o piccoli ensemble. Lo spettacolo televisivo con questa musica, A Victorian Christmas with John Doan [OPB, 1993], è stato nominato agli Emmy Awards come “Best Entertainment Special of the Year” [‘Miglior programma di intrattenimento dell’anno’].6 In questo programma cerco di ricreare un tempo in cui i musicisti intrattenevano veramente se stessi e gli altri, prima che le macchine lo facessero per noi. È spesso una rivelazione per il pubblico il fatto che noi viviamo sempre meno attivamente le nostre vite, e invece guardiamo altri farlo nei film, negli eventi sportivi, nei concerti… I miei album Eire – Isle of the Saints [Hearts O’ Space, 1997], che ha vinto il titolo di “Miglior album celtico dell’anno”, e Wayfarer – Ancient Paths to Sacred Places [Hearts O’ Space, 1999] sono degli schizzi musicali che ho fatto sul luogo, in Irlanda e nelle Isole Britanniche, e che raccontano la vita e i tempi di San Patrizio. La storia di questi luoghi, che ho raccontato in

musica, era così interessante che mi sono trovato a voler ridare vita alla tradizione da cantastorie dei vecchi bardi irlandesi nei miei concerti. Questo dà vita alla musica e aiuta il pubblico a seguire e ad apprendere dal suo significato. Per quel che riguarda le mie origini celtiche, sicuramente in me c’è qualcosa di irlandese. Il mio cognome Doan viene da “Dun”, uno dei sei nomi celtici con cui si indicava una collina fortificata. Forse è per questo che mi sono sentito così a mio agio sulla collina fortificata di Rigomagno… ma in realtà credo che sia stata la meravigliosa e calorosa gente etrusca che mi ha fatto innamorare della vostra collina fortificata! Hai in cantiere nuovi progetti musicali? Nel corso di un faticoso lavoro di ricerca sulla storia della chitarraarpa, ho scoperto dieci opere per arpa-lira scritte da Fernando Sor. La cosa sorprendente è non soltanto che questi brani siano estremamente dolci e lirici, ma anche che non siano più stati rappresentati in pubblico dal 1830! Mi sono

sentito come Indiana Jones che riscopre una musica dimenticata per uno strumento dimenticato…7 Da quel momento mi sono appassionato alla musica di Sor e ho trovato lo strumento che, sotto la sua supervisione, è stato costruito nel 1819 a Londra come copia della sua chitarra da concerto. Quindi ho scritto un album tributo a Sor su questo strumento, usando il suo linguaggio musicale, instaurando una conversazione con lui attraverso i secoli. È una musica molto romantica e tra le più delicate che io abbia scritto fino a oggi. Dopo questo progetto porterò a termine un altro album intitolato Icons of the Sixties, che comprenderà versioni per chitarra-arpa di brani di Jimi Hendrix, Jim Morrison, Paul McCartney e altri. Ringraziamo il Six Bars Jail (www.sixbarsjail.it) per il contributo dato alla realizzazione di questa intervista. Note 1 http://www.sixbarsjail.it. 2 http://www.rigomagno.it. 3 http://www.harpguitars.net/players/taraffo/taraffo.htm. 4 I disegni sono stati pubblicati e possono essere acquistati su Internet all’indirizzo http://www. luth.org/plans/harp.htm. 5 Per saperne di più circa i corsi, gli spartiti e il dvd citati in questo paragrafo, potete consultare il sito http://www.johndoan.com. 6 Il filmato è contenuto, insieme all’altro special televisivo A Christmas to Remember with John Doan (OPB, 1991), nel dvd Christmas Combo disponibile all’indirizzo http://www.johndoan. com/products.html. 7 John Doan ha interpretato queste dieci composizioni nel cd The Lost Music Of Fernando Sor, Tapestry, 2008.

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John Doan

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Daniele Bazzani Untitled 2010 Fingerpicking.net «Best unknown guitar talents out there? There’s a guy from Italy called Daniele Bazzani, who plays well, really well». Parola di Tommy Emmanuel. La domanda è: chi sono io per smentire lo stellare Tommy? Nessuno: soprattutto perché non c’è alcuna ragione per dar corso ad una smentita. Anzi. È vero: Bazzani suona bene, davvero bene. Ma la cosa non finisce qui. C’è di più. Molto di più. E ci sono almeno altri due elementi importanti da considerare quando si ascolta il suo lavoro: la scrittura e la strada. Partirei dalla seconda, anche perché mi sembra rivesta un ruolo fondamentale nella nascita, nello sviluppo e nella maturazione della prima. Con strada intendo sia il percorso personale di Bazzani, ricco – malgrado l’età – di esperienze professionali importanti e certamente significative, in Italia e all’estero, sia il valore che il concetto di ‘strada’ ha nelle radici del fare musica con la chitarra e nella cultura che tali radici hanno determinato in questi ultimi, ormai, cento anni. La strada come simbolo esistenziale, dunque, ma anche come punto di osservazione e luogo privilegiato dell’esecuzione e della creazione musicale. Quella stessa strada (tanto dolorosa, quanto luminosa) attraverso la quale nonno blues ha dato alla luce i tre grandi papà della musica ‘popolare’ contemporanea: jazz, rock e pop. C’è molta di questa strada nei piedi, negli occhi, nella testa, nel cuore e nelle dita di Daniele Bazzani e non credo sia un caso che le immagini della copertina siano intrise di

recensioni riferimenti a lei. Impossibile non notare (oltre alla strada stessa, al lato della quale il chitarrista allarga le braccia alla folgorazione dell’ispirazione, in uno stilema classico dell’iconografia blues) tutta una serie di richiami simbolici, che rimandano istantaneamente al concetto stesso di ‘crossroads’ – tra i più fertili di filiazioni creative – e a copertine-icona, come quella del mitico Nashville Skyline (Bob Dylan, 1969). Sì, perché la strada di Bazzani parte certamente dal ‘delta’ di Mr. Johnson & Co., passa inequivocabilmente per la straordinaria fucina creativa di Nashville (dove tra l’altro, nel 2008, hanno smesso di vibrare le corde del grande Jerry ‘Guitar Man’ Reed, al quale è certamente dedicato il bellissimo bluesy-rag “So Long, Jerry”), si bagna (a lungo) nelle rigeneranti acque di Liverpool e riscende a ritrovare misura ed equilibrio nella dolente mediterraneità di Roma e Napoli (pregevoli le riletture di “Roma nun fa’ la stupida stasera” e “Reginella”). Un viaggio lungo il quale il nostro non perde mai di vista il senso e il gusto per un ingrediente fondamentale: la melodia. L’ingrediente che – a mio modo di vedere – marca il confine tra quanti sanno ‘cosa’ dire e non soltanto ‘come’ dirlo. E una cosa è certa: Daniele Bazzani appartiene alla (circoscritta e fortunata) schiera di quei musicisti che posseggono un ‘come’ adeguato all’alto valore del ‘cosa’. Tutt’altro che facile. Tutt’altro che frequente. L’insegna luminosa che segnala la presenza di un musicista. Sebbene, naturalmente, un ascolto attento riveli come siano stati molti altri i porti intermedi toccati nel corso di una navigazione lunga (e sempre aperta alle contaminazioni con le buone vibrazioni), quelle segnalate appaiono, tuttavia, le tappe essenziali del percorso fondativo dell’espressività dell’autore e interprete di questo Untitled 2010. Una casa con molte stanze (15: roba da album doppio, soprattutto di questi tempi!): tutte diverse e tutte meritevoli di una visita e una sosta. Visita e sosta che non rischiano mai di deludere. Anzi. Forse è proprio per questo – azzardo – che l’album resta ‘Untitled’ e che il suo autore lo sigla ‘2010’, come a 40 chitarra acustica 1 duemilaundici

volerlo situare nel tempo, indicando il momento di una breve sosta, nella quale ordinare le immagini e i pensieri raccolti, per fissarli nei solchi iridati di un cd, in attesa di riprendere ciò che la musica ci chiede di fare: cercarla e crearla... along the road. Giuseppe Cesaro

Andrea Valeri Maybe Vinile Records Credo sia la prima volta, in più di vent’anni di articoli sui miei incontri con la musica e i musicisti, che mi capiti di parlare del disco di un chitarrista targato anagraficamente 1991: l’età di mia figlia. Mi rendo conto che, prima o poi, doveva pur capitare, ma non nego che la cosa faccia un certo effetto. E, ascoltando le undici (belle) tracce di questo Maybe, mi fa ancora più effetto l’idea che un ragazzo di non ancora vent’anni possa mostrare un così invidiabile rapporto con la sua sei corde. Ma il talento è talento e non conosce età. Ed è del tutto evidente che, qui, del talento c’è. Non so voi, ma personalmente sono sempre felice di incontrare – anche se, per ora, solo attraverso l’acustica delle note – chitarristi come Andrea Valeri. Anche perché non si tratta di incontri così frequenti. Felice, ma anche preoccupato. Non fraintendete: preoccupato in senso positivo. Per la speranza che il talento abbia la sapienza (l’occasione, evidentemente, l’ha già avuta) di riuscire a mantenere ciò che promette. Che non è certo poco. Come diceva uno dei grandi maître à penser

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recensioni del Novecento – l’Uomo Ragno – «da un grande potere derivano grandi responsabilità». Ora, se alla parola “potere” sostituiamo la parola “talento”, cogliamo il senso di questa mia preoccupata speranza. La cosa di Andrea che colpisce sin dal primo ascolto è la straordinaria contiguità con lo strumento. Si sente subito che tra lui e lei c’è una relazione immediata. Nel senso letterale del termine: priva di mediazioni. Ascoltandolo hai l’impressione (confermata da quanto è visibile in rete) che lo strumento sia una sorta di emanazione diretta della persona. Come se la ‘voce di fuori’ non avesse alcuna difficoltà a dar voce alla ‘voce di dentro’. Il passaggio dalla seconda alla prima appare, infatti, quasi istantaneo. Il che è un dono. Grande. Tutto fluisce naturale, spontaneo, immediato. Tutto viene ‘facile’. O, meglio, sembra facile. Ed è proprio questa apparente facilità uno dei segni rivelatori del talento. Una facilità che, però, è moneta a due facce. Da un lato, porta spalancata verso la creatività; dall’altro, pericolosa tentazione di strada già compiuta, di fatica già archiviata. L’idea di possedere già ciò che – per ovvie ragioni – ancora non si può possedere. Ascoltando Maybe si sente la passione, si sente il cuore (grande), si sente la vitalità (prorompente), si sente l’istinto. Si sente, cioè, che la musica e la chitarra hanno scelto Andrea. Non serve fare esempi: tutte le tracce di questo album dicono la stessa cosa: c’è un ragazzo al quale la musica ‘dà del tu’, il quale, a sua volta, ‘dà del tu’ alla chitarra. Cosa vogliamo di più? Nulla. O, maybe… Veramente, se posso, una cosettina ci sarebbe: che non si lasci tentare e non tradisca questo dono. Che continui a lavorare per trovare quel delicatissimo e fondamentale equilibrio tra ciò che è in potenza (‘natura’) e ciò che sarà in atto (‘cultura’). Il mai agevole passaggio da ‘chitarrista’ ad ‘artista’. Che ricambi, cioè, ciò che la musica ha fatto scegliendo lui e che, anche lui, scelga lei. Perché la sua lingua sia sempre più sua e il valore, il senso, la profondità, l’originalità del suo ‘cosa’, raggiungano presto l’immediatezza, la cristallinità, la freschezza e l’energia

del suo ‘come’. Solo così, nota dopo nota, questo Maybe diventerà «Sure!» e le promesse saranno mantenute. Per il suo, e per il piacere di tutti noi. Giuseppe Cesaro

Guitar Republic Guitar Republic CandyRat Records Un disco di chitarra da non ascoltare come un disco di chitarra. Devo ammettere che all’inizio ero un po’ prevenuto. Sono legato a una concezione tradizionale e fondamentalmente melodica della chitarra acustica, pur riconoscendo e apprezzando quanti stiano cercando, riuscendoci, nuovi percorsi, nuove soluzioni tecniche e nuove sonorità. Ho deciso, quindi, di approcciare l’ascolto di questo primo lavoro del trio formato da Sergio Altamura, Stefano Barone e Pino Forastiere con semplicità, senza crearmi preconcetti, con la mente libera, facendomi accompagnare dalla loro musica mentre scrivevo al PC. Mi sono sorpreso più volte con gli occhi fissi sullo schermo e con le dita che non andavano più sulla tastiera, assorto nell’ascolto dei brani di Guitar Republic. Tutto ho pensato tranne che alla chitarra. Così, le associazioni musicali e non che mi sono venute in mente durante l’ascolto potrebbero sembrare (e forse lo sono) incongruenti, inappropriate, a dir poco assurde, ma a me appaiono come rappresentative di ognuno dei nove brani che compongono il CD, un modo come un altro per descrivere le sensazioni provate. 41 chitarra acustica 1 duemilaundici

Originale e divertente la decisione che ha portato a inserire nei titoli sempre un riferimento a “Republic” o a “GR”, un continuo gioco di parole come a voler ribadire la compattezza, l’uniformità e anche la determinazione di questo trio a proporsi come una cosa sola. ”GR Airport”: in attesa del volo che dal Brasile porta alla Terra del Sol Levante, tra la fretta della gente e gli orari di arrivi e partenze che si rincorrono. ”Funky Sex Republic”: vaghi echi hendrixiani con venature ‘principesche’ (non saprei come meglio riferirmi al folletto di Minneapolis!). ”Republic Avenue”: un Piazzolla condito da ritmi tribali. ”Radio Republic”: per ricordare cosa si può ancora incontrare sulla strada che da Parigi porta al Texas. ”Ghetto Republic”: si ritorna ai ritmi funky, attraversando di notte vicoli bui e silenziosi. ”Luna Park Republic”: ossessiva, martellante come il sangue pompato nelle tempie dopo una corsa sulle montagne russe. ”GR Station”: ricordando Hackett, colti da improvvisa nostalgia, il carillon che non ti aspetti dopo una serata di divertimenti. ”TCLD GR”: una danza ostinata, incalzante, rituale, in compagnia delle streghe alla luce dei falò. ”The Rite of the Republic”: visionaria e onirica con i suoi intrecci e le voci processate. Un prodotto maturo, dal quale si percepisce il grande lavoro svolto per amalgamare i diversi suoni delle tre Martin D-28, per la cura avuta negli arrangiamenti, per l’affiatamento raggiunto, con Sergio Altamura che caratterizza le varie composizioni con le sue sonorità inusuali, Stefano Barone che riveste – tra i tanti – il ruolo di elettronico del gruppo, e Pino Forastiere – il più tradizionalmente moderno dei tre, che mette al servizio degli altri la sua grande tecnica chitarristica. Alla fine, ti resta una grande curiosità: come sarà dal vivo? Alfonso Giardino

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strumenti Microfono USB sE Electronics 2200A

Eccoci a parlare di uno di quei prodotti che, con l’avvento delle nuove tecnologie (avrà senso chiamarle ancora ‘nuove’?), offre all’utente medio delle opzioni fino a poco tempo fa impensabili. L’oggetto in questione è un microfono a condensatore con pattern cardioide, costruito dalla britannica sE Electronics (www.seelectronics.com), in particolare il modello USB 2200A (319,00 euro di listino) dotato sia della tradizionale uscita XLR che di una più moderna USB. A cosa serve, vi chiederete? In sintesi: possiamo collegare il 2200A a un ingresso USB del nostro computer (PC o Mac) e registrare tramite software di registrazione, mono o multitraccia non fa differenza… sEnza (notare la maiuscola…) scheda audio! E questa è la vera novità. Il 2200A viene riconosciuto come un microfono esterno, tipo quelli integrati nelle webcam, per capirci, e offre il suo segnale a qualunque programma di registrazione (o riproduzione in caso di podcast) con cui lo volessimo usare. La differenza con i prodotti fino a poco tempo fa sul mercato è la qualità: microfoni a condensatore di questo tipo hanno di solito bisogno di una scheda audio e dell’alimentazione a 48 volt definita phantom; questo modello può funzionare sia in maniera tradizionale che via USB.

a registrare. Prese di corrente? Schede audio? Tecnici del suono? Sbalzi di tensione? Un lontano ricordo. Il nostro studio di registrazione è il mondo. E a che qualità! Sì, perché come potrete aver modo di ascoltare dai sample audio, nella versione online dell’articolo, qui si fa davvero sul serio. Andiamo per ordine Va detto che non è l’unico modello sul mercato, altrimenti sembreremmo di parte: molti produttori si stanno attrezzando ed i modelli in commercio sono tanti. Noi oggi però scriviamo di questo, ringraziando la MidiWare

Esempio: abbiamo un piccolo netbook e l’sE 2200A, ce ne andiamo in un campo di grano o al mare di notte (occhio alla sabbia), accendiamo il portatile e relativo programma (il gratuito Audacity è perfetto), colleghiamo il microfono, attendiamo che venga riconosciuto dal sistema, premiamo Rec e iniziamo 42 chitarra acustica 1 duemilaundici

di Roma che ce lo ha gentilmente fornito (www.midiware.com). Bel design, colori bianco e silver che lo dividono a metà, apparentemente robusto, pesa poco più di mezzo chilo. È dotato di un’estensione che ne permette l’aggancio a una tradizionale asta microfonica e i controlli, tutti sul r etro, sono: attenuatore 0dB/-10dB, selettore Apple/PC per uso con sistemi diversi, filtro per tagliare le basse frequenze in caso di utilizzo podcast o simili (per l’utilizzo con la chitarra acustica lo lasceremo inattivo). L’uscita cuffia a disposizione è dotata anche di un controllo volume indipendente a latenza

Microfono USB sE Electronics 2200A di livello in ingresso, che abbiamo dovuto tenere basso per poi alzarlo in seguito, e tutto è andato a posto. Essendo abituati a usare una scheda audio, abbiamo dovuto cercare un setup adatto, niente di spaventoso. I sample che potrete ascoltare sono tre, ma doppi: il primo è sempre relativo al tradizionale utilizzo via XLR e scheda audio (una Presonus Firebox); il secondo via USB. Ho cercato di suonare passaggi simili con ogni chitarra, esempi diversi per strumenti diversi: una classica artigianale Bruno Tozzi del 1982, una Martin OM-28V e una Martin D-28. zero, molto utile per ascoltarsi registrando più tracce. Infine le due uscite, XLR e USB. Non resta che farsi un giro L’utilizzo è davvero semplice, basta collegare il microfono ad una uscita USB e il sistema lo riconosce immediatamente. Abbiamo provato a registrare sia con un software professionale come Cubase, sia con il gratuito Audacity: entrambi i sistemi funzionano perfettamente con il 2200A, anche se bisogna perdere un momento a settare il gain in ingresso. Questo perché, non avendo una scheda audio con i suoi controlli, il volume in entrata è gestito dal sistema: si dovrà quindi aprire la finestra di dialogo Suoni > Proprietà e cercare Riproduzione e Registrazione, selezionare la voce sE USB 2200A e dovremmo essere pronti a partire. Quello che abbiamo notato immediatamente è che il volume in ingresso è apparso molto basso: il primo tentativo è stato quello di alzare il gain del Mic Input di Windows, con il risultato disastroso di una distorsione completa di tutto il segnale. Allora (perdendo solo qualche minuto) abbiamo cercato il giusto compromesso

A registrazione finita Il primo impatto riascoltando la ripresa via USB è stato strano, non vedevamo quasi l’onda del segnale registrato; anche se c’era, era però molto basso. Purtroppo, senza scheda audio, si può intervenire poco in tal senso. Va detto però che, normalizzando il tutto a cose fatte, il timbro è risultato ottimo e con poco fruscio di fondo, che è il rischio maggiore quando si interviene in maniera digitale sul segnale a cose fatte. Il risultato è convincente sia con Cubase che con Audacity, crediamo quindi anche con qualsiasi altro software. Il 2200A suona alla grande se utilizziamo la tradizionale uscita XLR. Non dimentichiamo che la scheda usata in questo caso si colloca in una fascia di prezzo superiore ai 300 euro ed è dotata di uscita Firewire e non USB, ha prestazioni ottime ed è quindi un valore aggiunto non da poco. Chissà con un vero preamplificatore da studio quale sarebbe il risultato. Il nostro intento è però quello di verificare se l’utente medio o addirittura i principianti, che non hanno accesso a costose configurazioni per registrare la propria musica, si possano avvantaggiare da una simile e

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innovativa tecnologia, e la risposta è decisamente “sì”. Abbiamo testato l’sE anche con un piccolo PC portatile con schermo da 10”, i netbook che tanto si vedono in giro, e il risultato è lo stesso: in fondo se la scheda audio è interna al microfono, e il microfono è lo stesso, così come il software, c’è poco da girarci intorno, il risultato può cambiare di poco. Il consiglio è quello di connettersi via USB direttamente al PC, non a uno di quei moltiplicatori di porte oramai molto diffusi. Ovviamente non ci siamo fatti scappare la possibilità di confrontare il 2200A con altri microfoni di fascia anche superiore, e dobbiamo dire che fa la sua figura. È piuttosto aperto sulle alte, molto definito, e ha una sensibilità che è quella tipica dei microfoni a condensatore: un prodotto di media fascia di qualità, ottima scelta se avete dei dubbi su cosa acquistare per iniziare la vostra professione di chitarristi-tecnicidel-suono di voi stessi. Tutti i file che ascoltate sono gli originali WAV non convertiti in MP3 e senza alcun intervento di equalizzazione, quindi considerate che sono migliorabili sotto diversi aspetti: come al solito non ci interessa far sentire pesanti interventi di EQ, quanto la pasta sonora del mic. In conclusione A questo prezzo abbiamo diverse opzioni di acquisto; va detto però che la ‘doppia vita’ del 2200A lo rende appetibile sia dal principiante che dal professionista più smaliziato. Del resto la sE è un marchio che si sta facendo apprezzare per la qualità e il prezzo competitivo dei suoi prodotti: molti altri modelli sono disponibili nella linea di microfoni tradizionali, potete trovarli visitando il sito ufficiale sE Electronics. Daniele Bazzani Lascia un commento

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strumenti ZT Lunchbox Acoustic ampli per acustica

Ken Kantor è uno che non scherza. Affatto. Dopo aver contribuito a creare e lanciare aziende del calibro di Intelligent Audio Systems, Vergence Technology, NHT e Tymphany, quando ha fondato la sua ZT Amplifiers ha candidamente dichiarato di voler rivoluzionare il mondo dei sistemi di amplificazione. E nessuno si è messo a ridere, anzi. Perché il designer e progettista californiano è uno da prendere assolutamente sul serio. Già la serie The Lunchbox per chitarra elettrica ha lasciato tutti a bocca aperta: sembra incredibile che un oggettino di quelle dimensioni riesca a produrre tanto volume e tanta pressione sonora. E Kantor ha rilanciato con la versione per chitarra acustica, che è ancora più raffinata e interessante.

produzioni di materiale elettronico, con l’attacco per il cavo di alimentazione e la possibilità di commutare il trasformatore tra 115 e 230 V. Dettaglio non da poco. Una seconda maniglia, questa volta cromata, serve anche da protezione per il potenziometro delle cuffie e delle varie connessioni. Nel complesso la costruzione del Lunchbox è assolutamente impeccabile. Incastri netti e puliti, finiture perfette e quell’aria un po’ rétro che si addatta perfettamente all’idea che l’oggetto vuole comunicare. È evidente che siamo davanti a un progetto di livello professionale, in cui la miniaturizzazione è un plus da apprezzare e non lo sfizio dell’ennessimo gadget tecnologico, destinato a durare dall’alba al tramonto.

L’ingombro dell’amplificatore è assolutamente ridicolo (25 cm il lato più lungo), il peso irrisorio (5,4 kg). Il tutto montato in un cabinet di legno crema, con venature marroni, molto elegante. La rete davanti al cono da 6,5”, in plastica marrone dello stesso colore di potenziometri e maniglia per il trasporto, completa un look davvero azzeccato. Sembra davvero un cestino per il pranzo. Con 200 W di potenza in classe A/B, però, non si tratta esattamente di un giocattolo. Le dotazioni di serie, del resto, parlano chiaro. Due canali, uno sbilanciato e uno microfonico con controlli sul pannello superiore, che condividono Master Volume e Anti Feedback, ma con Gain, Trebble, Bass e Reverb dedicati.

È il momento di andare a sentire come suona. La prima cosa che colpisce, naturalmente, è il volume: impressionante. In termini assoluti e ancora di più rapportato alle dimensioni della fonte. Lo ZT Acoustic è estremamente rispettoso delle caratteristiche dello strumento, non ci mette nulla di suo. La pasta sonora è equilibrata, bilanciata e di qualità. I controlli, anche se essenziali, permettono comunque interventi sostanziali. L’Anti Feedback, con tre tagli preimpostati, fa il suo dovere, ma

Sul retro, accanto all’ingresso per il microfono, jack o XLR, trovano posto un Aux In per fonti sonore esterne, Send e Return per la mandata effetti, uscita per le cuffie con volume dedicato, attacco per speaker esterno e interruttore per l’esclusione del cono. Naturalemente è presente anche il pulsante di accensione, anche se non è poi così scontato nelle ultime 44 chitarra acustica 1 duemilaundici

ZtT Lunchbox Acoustic ampli per acustica

senza fare miracoli. La dotazione di ingressi permette di soddisfare le esigenze del chitarrista acustico moderno, che ormai difficilmente si accontenta di un sistema di amplificazione a fonte singola. Il controllo di gain permette di mixare i due canali ai livelli desiderati e permette di gestire senza grossi problemi anche rilevatori passivi. Da non trascurare poi la possibilità dell’utilizzo del microfono, sia per cantare che come seconda fonte di ripresa dello strumento. Il riverbero è di ottima qualità, anche se non ci sono le molle. Del resto… dove potevano metterle?

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SCHEDA TECNICA ZT Lunchbox Acoustic Tipo: amplificatore per chitarra acustica Made in: USA Distributore: Sisme Prezzo: 450 Euro (street price) Alimentazione: 115/220 V commutabile Controlli: Master Volume, Master Anti Feedback Dotazione: Riverbero su entrambe i canali EQ: Gain – Bass – Treble In/Out: Aux In mini jack, Headhpone Out/Line out jack, External Speaker jack Send/Return: In jack, Out jack

Nonostante diversi tentativi di metterlo in crisi, il piccoletto ha digerito in maniera egregia sistemi passivi e attivi, a doppia fonte anche mista. Neppure una chitarra baritono è riuscita a creare problemi sulle basse, per quanto possa sembrare incredibile con un cono di queste dimensioni. Collegato a una cassa esterna guadagna corpo e pressione sonora, ma non cambia radicalmente la sua resa. Prodotto molto interessante, anche per rapporto qualità/prezzo. Moltissimi chitarristi acustici rinunciano al monitor da palco per problemi di portabilità e comodità di trasporto. Il Lunchbox è una risposta alle loro preghiere, in questo senso. Sta in uno zainetto, o nella sua bella borsettina in cordura acquistabile direttamente sul sito del produttore, con un ingombro pari a due o tre pedali. A cui si può tranquillamente rinunciare, visto la bontà del riverbero e la possibilità di sfruttare la mandata effetti come uscita bilanciata. Mario Giovannini

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strumenti Notizie di mercato dalle aziende

Performing Artist Series Si amplia la serie Performing Artist della Martin con alcuni nuovi modelli. La GPCPA Mahogany è una Grand Performance Cutaway con tavola in abete europeo, fondo e fasce ovviamente in mogano, come anche la copertura della paletta, e senza intarsi sul manico. La serie 3 si articola invece su tre diverse tipologie del corpo: la Dreadnought DCPA3, la Orchestra Model OMCPA3 e la Grand Performance GPCPA3, tutte Cutaway con tavola in sitka e fondo e fasce in palissandro indiano. Anche in questo caso la paletta è in combinazione con la cassa. Per il resto rimangono confermati gli standard della serie, con manico a profilo parallelo e amplificazione ‘on board’ Fishman Aura F1. Stessa gamma di scelta per la serie 4, che conserva la tavola in sitka ma con fasce e fondo in sapele. In questo caso l’amplificazione è sempre Fishman, ma F1 Analog Elettronics. D-18P e D-28P Nuova versione per due modelli storici della casa di Nazareth. La versione P, di quelli che per molti sono gli archetipi della chitarra Martin, ha il capotasto da 44,5 mm. Cosa che porterà a rivedere diverse convinzioni in merito all’utilizzo di questi strumenti, soprattutto in ambito fingerstyle. Martin SP Lifespan. Disponibili in tre scalature (.011, .012 e .013) le nuove corde Martin sono preparate con una tecnologia proprietaria di Cleartone che ne allunga la vita, senza sacrificarne il tono naturale. Tutte e sei le corde sono trattate per non trattenere grasso e sporco che ne possono deteriorare la qualità. Martin è distribuita da Eko Music Group

Breedlove Custom Shop American Series La nuova serie American di Breedlove è la naturale evoluzione delle Pro e delle Roots, ormai fuori produzione. La realizzazione è interamente artigianale e made in USA nel Custom Shop di Bend nell’Oregon. Top, fondo e fasce sono in massello con legni altamente selezionati. Il top è rettificato e graduated. Le American sono vendute con la celebre custodia rigida Breedlove con impunture rosse. In esclusiva per il mercato italiano: finitura lucida non solo del top, ma anche del fondo e delle fasce, ponte e tastiera in ebano anche sui modelli più economici. Sono distribuite da Gold Music.

AER Pocket Tools Potrebbero essere la risposta alle preghiere di chi è stanco di trascinarsi appresso un ampli tutte le volte che deve salire sul palco. Il Colourizer è un preamplificatore/D.I. per microfoni o segnali di linea, con controlli di tono, enhancer ed equalizzatore. Il Dual Mix dal canto suo è un preamplificatore dello stesso tipo, a due canali separati con quattro preset effetti disponibili: due riverberi, un delay e un chorus. Entrambi sono dotati di alimentazione phantom. AER è distribuita in Italia da Backline. 46 chitarra acustica 1 duemilaundici

st Jammin Pro USB Acoustic 505 Questa ci mancava, ma in certo senso c’era da aspettarselo. Ormai una presa USB non si nega a niente e a nessuno. Le grandi case americane già da qualche tempo percorrono queste vie nel settore elettrico, ma sull’acustica era rimasto il vuoto. Ci ha pensato la Jammin con la Pro 505. Si tratta di una dreadnought a spalla mancante, di design piuttosto tradizionale che, oltre ad avere amplificazione on board con accordatore integrato, dispone di una presa USB che sostituisce di fatto la scheda audio del PC, permettendo una connettività immediata. Le specifiche tecniche sono piuttosto modeste, sia per la parte di liuteria con materiali economici, che per quanto riguarda l’elettronica con sampling a 44.1 kHz a 16 bit. Ma il prezzo assolutamente popolare, attorno ai 120 euro, fa venir voglia di togliersi lo sfizio. Info: http://www.jamminpro.net/505/pro_505_ overview.htm. Lo strumento è distribuito in Italia da Frenexport.

Looper/Phrase Sampler DigiTech JamMan Solo Dagli otto secondi di capacità del PDS 8000, lanciato sul mercato quasi venti anni fa, la nuova serie di Digitech arriva a mettere a disposizione 99 banchi di memoria da 35 minuti. Espandibile con memory card SD, può arrivare a memorizzare fino a 16 ore di musica in altre 99 locazioni aggiuntive. Dotato di metronomo e traccia ritmica configurabile, permette la quantizzazione del registrato. Come oramai siamo abituati dalla casa, il JamMan Solo permette il collegamento via USB a qualsiasi computer PC o Mac, per l’uso del software gratuito DigiTech JamManager™, per la memorizzazione, l’organizzazione e il trasferimento dei singoli loop e per la creazione di ‘JamMan List’ per le esibizioni dal vivo. È distribuito da Casale Bauer. Amplificatore L.R. Baggs A-Ref Anche Baggs ha il suo amplificatore per chitarra acustica. Un progetto frutto di quattro anni di lavoro. Il cuore dell’ampli è il Balanced Mode Radiator, un nuovo tipo di speaker lanciato sul mercato proprio con l’A-Ref. Si tratta di un cono da 8”, con diaframma a nido d’ape e una bobina da 2”, in grado di generare un fronte sonoro di 140°. I benefici della nuova tecnologia sono la limpidezza e la larghissima apertura sonora. Il suono raggiunge ogni angolo della stanza e, senza sforzo, avvolge l’ascoltatore. Lo stadio di preamplificazione è basato sulll’apprezzatissima Para D.I. della casa, mentre il finale è in grado di erogare 200 W. Il riverbero è a molle e ciascun canale ha la sua mandata per gli effetti esterni. Tutta questa tecnologia è racchiusa in un solido contenitore, leggero e dal design piacevole, con i lati di legno naturale e una innovativa maniglia, molto comoda per il trasporto. Distribuito in Italia da Magic Music. Lascia un commento 47 chitarra acustica 1 duemilaundici

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strumenti In visita dal liutaio Lukas Milani

http://www.milaniguitars.com Ho conosciuto Lukas Milani all’Acoustic Village durante il Soave Guitar Festival 2010. Venni attratto da un’acustica a doppia spalla mancante e senza buca centrale, ma con due gocce ai lati. In esposizione vi erano altre acustiche molto interessanti tra cui una chitarra con una paletta molto particolare. Iniziai a parlare con lui di chitarre e, poco dopo, siamo passati a discutere di organismi geneticamente modificati, problemi sociali, vino… Tra una chiacchiera e l’altra ho percepito una grande passione e una certa umiltà, tipica di chi ama il proprio lavoro e mette questo prima di tutto, anche del business. Parlando, Lukas mi racconta che sta restaurando una harp guitar dei primi del ’900. Incuriosito gli dico che avrei piacere di vederla, visto il mio interesse per questo tipo di strumenti. Rivedo Lukas qualche mese dopo all’ADGPA Guitar International Rendez-Vous di Conegliano, dove per l’occasione aveva portato tre chitarre di pochi giorni, assolutamente perfette e dal suono già notevole. Mi dice che la harp è quasi pronta, manca qualche ritocco e le corde in arrivo dagli Stati Uniti. Ad agosto, complice la

poca voglia di stare al mare, prendo la macchina e vado a trovarlo nel suo laboratorio. Per arrivarci bisogna percorrere tutta la dorsale dei Colli Berici, un’area incontaminata appena fuori Vicenza. Percorrerla è come fare un salto indietro nel tempo: tutto è immerso nel verde, dove vigneti e ulivi si alternano a boschi, e regna un silenzio assoluto. Arrivo all’abitazione di Lukas, uno chalet in mezzo al bosco, e sembra di stare a casa di qualche liutaio nordamericano, l’ambiente ideale per chi vuole fare questo mestiere. Il tempo di dare uno sguardo alla harp guitar che Lukas ha restaurato (e che ho comprato subito) e gli chiedo di concedermi un’intervista. Lukas accetta volentieri. Lukas parlaci di te, la tua storia, come hai iniziato, i tuoi maestri, a chi ti ispiri? Ho cominciato a riparare e costruire strumenti musicali grazie al maestro Bruno Barnes. Ricordo

che non è stata un’impresa facile: non ne voleva sapere di rinunciare alla sua tranquillità per seguire un ragazzino nell’affilatura di una pialla o nella piegatura a caldo. Io cominciavo da zero, e lui aveva ormai una lunga esperienza alle spalle. E come è andata a finire? È finita bene: ho insistito finché ha ceduto. Costruivo una chitarra, gliela facevo vedere, lui aggiungeva i suoi commenti e mi mostrava qualche ‘segreto di bottega’ per migliorare i miei strumenti. È stata un’esperienza insostituibile. Poi, dopo qualche anno e svariati seminari, mi sono trasferito all’estero. Da lì è iniziata la mia esperienza professionale vera e propria: nel frattempo erano passati cinque anni. So che hai trascorso diversi anni in Grecia, sembra strano per un liutaio, ci vuoi raccontare questa esperienza? Non saprei da che parte iniziare,

Milani Guitars modello Joplin e Walrus

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In visita dal liutaio Lukas Milani in verità. È una storia piuttosto lunga. La parte divertente è già stata descritta ne La ruota del criceto [un racconto di Milani dal sottotitolo Una storia dell’isola di Creta, edito da Saecula nel 2009 – ndr], ma non ha a che fare con la liuteria. Diciamo che questa esperienza mi ha permesso di conoscere diverse sonorità e modi di costruire. Mi ha dato la possibilità di analizzare i miei pregi e i miei difetti, e soprattutto i limiti e i pregi della liuteria italiana. Ho capito molte cose che forse non avrei compreso rimanendo qui. Ad esempio, l’utilizzo della solera nella costruzione di chitarre acustiche mi ha permesso di orientarmi verso un suono che è una specie di ‘marchio di fabbrica’ tutto mio. Funziona, ma ho dovuto spostarmi per capirlo. Oppure le sonorità dei paesi balcanici: pianeti paralleli che sono riuscito a comprendere e replicare solo dopo una lunga permanenza. Ho visto nel tuo laboratorio strumenti antichi: esegui restauri? Sì, su strumenti a pizzico. La considero un’esperienza fondamentale per un costruttore:

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scoprire come e perché nel passato si è adottata una soluzione rispetto a un’altra, valutare la tenuta nel tempo di certe colle o vernici, ritrovare soluzioni dimenticate ma ancora valide. C’è gente che in passato costruiva cose bellissime e valide, che sono un libro aperto di alta liuteria ancora oggi. Che strumenti costruisci? Chitarre classiche, acustiche, altro? Visto il mio carattere piuttosto curioso, non ho resistito alla tentazione di costruire bassi acustici, chitarre elettriche, liuti popolari, chitarre battenti, chitarre fretless, chitarre manouche, bouzouki, saz e via dicendo. Sono serviti da complemento per i miei pezzi forti: chitarre acustiche e classiche. Attualmente, costruisco tre linee di strumenti dalle caratteristiche estetiche e timbriche ben diverse e definite. È stata una soluzione a cui sono arrivato dopo un lungo percorso, e che garantisce le tre caratteristiche che ritengo fondamentali in uno strumento: suono, bellezza, crescita nel tempo. Ho visto una splendida copia Maccaferri: hai studiato o seguito altri costruttori in questa circostanza? Sono stato aiutato inizialmente dal liutaio Killy Nonis, che lavora nel Kent. È stato lui che mi ha fornito disegni e tecniche di costruzione. Il suo metodo di lavoro, molto creativo, mi ha aperto nuove prospettive. L’incontro con Favino, poi, mi ha portato ad avere una idea più chiara su che strumento desidera un chitarrista manouche. Ho visto delle chitarre con corde in nylon che mi interessano molto (anche ad Antonio Tarantino, ricordo a Conegliano). A prima vista sembrano delle ‘crossover’: ce ne parli? Ci sono costruttori di chitarra classica molto validi in giro, e si corre il rischio di costruire dei

La harp guitar Meinel & Herold restaurata

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doppioni. Inoltre, sembra che gli strumenti da concerto siano arrivati a un limite acustico invalicabile: è richiesta una sonorità standard e sono ammesse poche variazioni sul tema. Ho preferito spendere il mio tempo e le mie ricerche esplorando la chitarra bossa nova e latina. Sono strumenti che partono dalla chitarra classica, ma se ne discostano in termini di sonorità, dimensioni e versatilità. L’esperienza con il flamenco mi ha aiutato molto. La chitarra flamenca deve essere brillante, la tavola armonica deve essere intonata per rispondere ai golpe con la mano, le note mute e i legati devono essere molto presenti, a differenza della chitarra classica. Un bagaglio assolutamente notevole da portare negli strumenti sudamericani. Ovviamente ci aggiungo del mio in termini di estetica dello strumento e di sonorità. La rosetta che sporge dalla tavola armonica, per esempio, permette di stoppare le corde rendendo un timbro molto secco: ideale per accompagnare rumba, cumbia, merengue e via dicendo. La spalla mancante, poi, è inevitabile. Rende lo strumento decisamente più maneggevole.

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In visita dal liutaio Lukas Milani

Anche il manico è più stretto, proprio per permettere l’esecuzione di passaggi che sarebbero molto difficili con una chitarra classica. Il mio obiettivo è costruire un ‘attrezzo di lavoro’ che suonato in clave abbia come unico limite la fantasia dell’esecutore. … E dei ponti in acero? L’utilizzo del ponte in acero, è una scoperta recente: mi permette di bilanciare bene il suono generale dello strumento e di aggiungere proiezione. Funziona bene anche nelle chitarre con corde in nylon: mi chiedo come mai non sia stato scoperto prima. Negli archi è utilizzato da quattrocento anni… Chi è il tuo cliente tipo? Non penso di poter identificare una categoria particolare. Ho clienti in tutta Europa, e di tutte le estrazioni sociali. La maggior parte sono musicisti, ovviamente. Ma anche no. Una volta un muratore inglese mi ha ordinato una chitarra acustica decorata con fiori e tralci di vite su tavola armonica, fasce e tastiera. Un lavoro monumentale. Quando gliel’ho consegnata ha esclamato: «Bellissima! Adesso dovrò imparare a suonarla». Esegui riparazioni su strumenti non di tua produzione? Certamente. Il discorso è simile a quello sui restauri: vedere altri strumenti per imparare cose nuove. Purtroppo in giro c’è molta produzione industriale con una qualità piuttosto scarsa. Per questo riparo molto più volentieri strumenti ben costruiti, rispetto a un certo tipo di ‘made in chissà dove’ che personalmente non mi dà alcun motivo di ispirazione.

cedro del Libano negli strumenti manouche. Ho visto chitarre che hanno un’impronta molto personale, la forma della buca, la paletta vuota, la doppia spalla mancante: sperimentazione o cosa? Nei miei strumenti cerco di abbinare l’estetica alla funzionalità acustica. Per esempio, la buca rialzata rispetto alla tavola armonica mi permette di rinforzare un area debole e soggetta a deformazioni, aggiungendo un tocco di originalità. Non mi piace sperimentare in maniera casuale, non l’ho mai fatto. Preferisco ricercare soluzioni innovative a problemi concreti. Qual è il tempo medio di attesa per un tuo strumento? Dipende dal lavoro accumulato e dalla stagione. Preferisco lavorare in inverno e in primavera. Impiego circa tre mesi per completare uno strumento. Quante chitarre costruisci o vorresti costruire? Negli ultimi tempi ho costruito una media di dieci strumenti all’anno. Mi piacerebbe in futuro poter ridurre il numero e dedicarmi maggiormente ad altri settori della liuteria, che non ho ancora avuto il tempo di esplorare. Cosa intendi per altri settori

della liuteria? Bassi acustici fretless: un universo intero da scoprire, quello dei bassi. E poi la storia della liuteria e delle tecniche di costruzione nel corso dei secoli, un interesse che mi sta appassionando ogni giorno di più. Poi la sperimentazione di un tipo di truss rod alternativo da utilizzare nelle chitarre con corde in nylon. E le lezioni che già tengo presso le scuole di musica. Come vedi, ho un po’ di carne al fuoco… Ho visto anche dei plettri in legno, li costruisci tu? Sì, interamente. Ho iniziato con le chitarre manouche: mi venivano richiesti plettri per eseguire questo stile particolare. Di lì ho poi costruito plettri per chitarra elettrica e acustica. Al momento sto lavorando a un progetto di costruzione di unghie artificiali per le corde in nylon. Molta sperimentazione, un po’ di notti in bianco, e poi spero di presentare un accessorio utile e interessante. Nel tuo laboratorio ho visto strumenti di lavoro molto semplici: ci vuoi parlare del tuo modo di lavorare? Mi ha colpito molto il tipo di verniciatura… Nel corso degli anni ho eliminato molti strumenti elettrici: non li ritengo adatti al lavoro di liuteria. È una complicazione inutile e non sempre conveniente: è un po’ come mettere uno strumento

Che tipi di legni usi? I legni che utilizzo sono quelli tradizionalmente usati in liuteria: abete, palissandro, cipresso, ebano, mogano. Ovviamente mi piace sperimentare soluzioni nuove: per esempio, ultimamente mi sto interessando alle sonorità del Particolare della buca con la rosetta rialzata

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In visita dal liutaio Lukas Milani musicale dentro un frullatore. Il deterioramento acustico del legno è evidente. Discorso a parte meritano le vernici. Dopo aver provato e testato ogni sorta di vernici per liuteria, ho rinunciato all’idea di avvelenare i miei clienti con le comuni vernici sintetiche. Come mi diceva spesso Bruno Barnes: «Gommalacca: tutto il resto è una porcheria». Così sono tornato alla vecchia, cara, gradevole gommalacca. Le chitarre suonano meglio, respirano, maturano, si riparano facilmente. Una piacevole riscoperta, insomma. Mi sembra quasi una filosofia la tua… Sì, si chiama “semplicità”. Funziona, sai? Funziona in musica, funziona ovunque, e funziona anche in liuteria. E si vive meglio, decisamente meglio. Una domanda spinosa, quanto costano i tuoi strumenti? I modelli più semplici si aggirano

sui 1300 euro. Si arriva ai 2500 per la fascia superiore. Ritengo la chitarra uno strumento popolare, e mi fanno sorridere certi prezzi stellari. È un mio punto di vista, comunque, magari poco condivisibile. Mi permette però di avere accesso a realtà musicali straordinarie, che altrimenti non potrei raggiungere. Ti abbiamo visto poco in giro nei meeting dedicati alla chitarra acustica: una scelta o ti stai guardando intorno? Sto diventando sempre più pigro. Preferisco restare a casa a costruire qualcosa, piuttosto che guidare per centinaia di chilometri per arrivare a un festival. E poi, i clienti italiani attualmente coprono il dieci per cento delle mie ordinazioni. Preferisco, se necessario, fare un sacrificio in più e muovermi verso la mia clientela storica: Grecia, Inghilterra e paesi del Nord.

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Bene, si chiude qui questa breve intervista a un personaggio per noi nuovo nell’ambito della liuteria acustica italiana, ma tutto da scoprire per le sue idee e per le esperienze passate. Persona molto umile e curiosa, sempre alla ricerca di nuove cose, con un grande bagaglio alle spalle (debbo dire che mi ha fatto impressione sentirlo al telefono parlare un greco perfetto…). Questo è Lukas Milani. Penso che andrò a trovarlo spesso. Ho alcuni progetti in mente che presto vi svelerò… A proposito, chi volesse andarlo a trovare non dimentichi che in zona ci sono ottimi ristoranti che offrono pietanze tipiche del luogo con gli ottimi vini dei Colli Berici! Gabriele Posenato

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Particolare della verniciatura a gommalacca

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strumenti Chitarra battente, chitarra sarda, colascione

Le chitarre della tradizione popolare italiana Diversi tra i nostri chitarristi acustici più rappresentativi anche in campo internazionale, negli ultimi tempi, non hanno mancato di ispirarsi a vari aspetti della tradizione musicale popolare e di confine tra colto e popolare del nostro paese. È il caso di Beppe Gambetta, in particolare in dischi come Serenata con Carlo Aonzo (1997), Traversata con Aonzo e David Grisman (2001) e nel cd allegato al libro Traditional Italian Dances di Federica Calvino Prina (2000). Ed è anche il caso di Franco Morone nel suo Italian Fingerstyle Guitar (2005) e di Peppino D’Agostino nel suo Made In Italy (2008). Questo della ricerca di una ‘voce italiana’ della chitarra acustica attraverso un processo di rivisitazione del nostro folklore musicale, d’altra parte, è un mio ‘pallino’ da molti anni. E sarà inevitabilmente uno degli argomenti che tratterò più volentieri nei nostri appuntamenti. In questa ottica, tralasciando per il momento le possibilità di riarrangiare per chitarra acustica musiche di altri strumenti e organici musicali, conviene partire da uno sguardo d’insieme dei diversi tipi di chitarre effettivamente utilizzate nella musica di tradizione orale italiana e dei loro repertori.

rinascita della chitarra colta all’inizio del XIX secolo, è probabile che quell’appellativo risalga agli influssi e alle dominazioni francesi del primo Ottocento nell’Italia meridionale. Accanto al più consueto uso folklorico nell’accompagnamento del canto e di altri strumenti, uso peraltro non privo di motivi di interesse, questa chitarra “francese” mostra pure – soprattutto in ambienti artigiani e in particolare tra i barbieri – un repertorio anche solistico di musiche strumentali e di balli. Una forma ricorrente è costituita da musiche da ballo che modulano intorno alle tonalità di La minore e La maggiore, come il “Ballo per chitarra” inciso da Eugenio Bennato nell’album con Carlo D’Angiò, Garofano d’ammore (1976), e ripreso dal repertorio del liutaio Nicola De Bonis di Bisignano in provincia di Cosenza. Non mancano poi alcuni esempi in accordatura aperta di Sol, come la “Spagnola” del barbiere Bartolo Ruggiero di Lipari, raccolta dall’etnomusicologo Sergio Bonanzinga e inserita nel cd Sicile – Musiques populaires (Ocora, 2004). Infine sono da segnalare alcuni esempi di tapping ante litteram, come il brano lucano “A sa sampugnara”

documentato nel disco L’arpa di Viggiano (Taranta, 1991). La chitarra “battente” Come riporta Roberta Tucci nel suo “Profilo storico-costruttivo della chitarra battente” contenuto in Strumenti della Musica Antica a cura di Paola Pacetti (Urbino, 1996), la chitarra “battente” in quanto strumento storico della musica colta era contemporanea e affine alla chitarra barocca, con la quale condivideva la forma allungata del corpo, fasce e fondo costruiti a doghe, una tastiera sullo stesso piano della tavola armonica, il foro di risonanza munito di una rosetta e l’incordatura a cinque cori, generalmente doppi, a volte anche tripli. La struttura dell’accordatura, a parte le possibili variazioni in altezza assoluta, era simile a quella della normale chitarra priva della sesta corda bassa, con possibili variazioni di ottava nei raddoppi del quarto e quinto coro a seconda della nazione di origine. In Italia, e in particolare nel caso della chitarra “battente”, l’accordatura più accreditata prevedeva tutte note comprese nell’ambito di altezza delle tre corde acute. Quindi, se l’accordatura standard della

La chitarra “francese” Nell’uso folklorico la normale chitarra monta di norma corde metalliche e, in particolare nel Sud d’Italia, era chiamata “francese” per distinguerla dalla più tradizionale chitarra “battente”. Tenendo conto del fatto che la moderna chitarra a sei corde singole si è affermata storicamente intorno al 1780, nonché del ruolo importante svolto da Parigi nella 52 chitarra acustica 1 duemilaundici

Il barbiere Bartolo Ruggiero di Lipari esegue un barré in accordatura aperta (foto di Sergio Bonanzinga, 1987)

Chitarra battente, chitarra sarda, colascione chitarra è Mi2 La2 Re3 Sol3 Si3 Mi4 (considerando Do4 il Do centrale di 261,626 Hz ca. secondo la Scientific Pitch Notation), l’accordatura più ricorrente della chitarra barocca e “battente” è La3 Re4 Sol3 Si3 Mi4. Un’accordatura, questa, che può essere messa in relazione con l’accordatura per chitarra attualmente conosciuta come Nashville tuning o high string tuning, cioè Mi3 La3 Re4 Sol4 Si3 Mi4. D’altra parte la chitarra “battente” si discostava dalla chitarra barocca per i seguenti aspetti: corde metalliche invece che di budello; ponticello mobile con attacco delle corde alla fascia inferiore invece che ponte-cordiera fisso; tasti metallici fissi invece che mobili di budello; e tavola con piegatura sotto il ponticello invece che piatta. Inoltre il fondo era bombato, mentre nella chitarra barocca poteva essere anche piatto. La chitarra “battente” era

uno strumento tipicamente italiano, con centri di produzione riconosciuti a Venezia, in Calabria e probabilmente a Napoli, in Umbria, Abruzzo e Sardegna. In ambito folklorico è attestata con documenti sonori relativi alla Campania, alla Calabria e alla Puglia. Le chitarre “battenti” osservate in Puglia possono avere il fondo piatto anziché bombato, mentre la tavola armonica può avere tre fori di risonanza invece di uno. In Calabria, accanto ai modelli a cinque cori, sono documentati altri modelli di grande interesse, in cui il terzo coro è sostituito da una corda di bordone accordata generalmente in La4 e fissata con un bischero al centro del manico, all’altezza del settimo tasto. In Calabria e Campania sono presenti modelli a quattro cori, accordati rispettivamente come il primo, secondo, quarto e quinto coro del modello a cinque cori. Come per la chitarra “francese”,

Chitarra battente costruita da Vincenzo De Bonis (in Ciro Caliendo, La chitarra battente, Edizioni Aspasia, 1998, p. 181)

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anche nel repertorio folklorico della chitarra “battente” possono essere rintracciati esempi di musiche strumentali solistiche, che ne affiancano la preminente funzione di accompagnamento. La chitarra “gigante” sarda Dal periodo della sua attestata diffusione a livello popolare e dello sviluppo del genere chiamato “canto a chitarra”, che la memoria corrente tende a far risalire a fine Ottocento-inizio Novecento, la chitarra sarda sembra essersi diretta verso l’adozione di proporzioni più grandi rispetto alla normale chitarra e di accordature più basse. Nel secondo dopoguerra, con la definitiva affermazione di una forma di professionismo musicale legato alle “gare di canto a chitarra”, la tradizionale liuteria artigianale sarda, che prevedeva probabilmente una maggiore diversificazione di modelli, è stata progressivamente soppiantata dalla liuteria semiartigianale e semindustriale siciliana, rappresentata in particolare dallo

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Chitarra battente, chitarra sarda, colascione

scomparso Carmelo Catania di Mascalucia e da Gaetano Miroglio di Catania. Questa liuteria ha introdotto un modello standardizzato di chitarra sarda, spesso denominato “chitarrone” o “chitarra gigante”, che è stato adottato dalla stragrande maggioranza di suonatori locali. Si tratta in pratica di una chitarra baritono dalle proporzioni notevoli (lunghezza di 108 cm, larghezza di 44 cm, altezza di 11 cm), con un diapason o lunghezza della corda vibrante di 70,5 cm, corde metalliche fissate a una cordiera inferiore abbinata a un sottile ponticello, accordatura tra una quarta e una quinta sotto l’accordatura standard, e decorazioni tipiche: battipenna di materiale plastico, leggermente intagliato nel legno della tavola e decorato con motivi floreali intarsiati in finta madreperla; filetto bianco e bordo con finitura chiara e scura lungo il profilo della tavola; segnatasti realizzati con uno strato di finta madreperla che ricopre tutto il tasto. In passato i chitarristi suonavano soprattutto a dita nude o eventualmente con un plettro digitale per il pollice, mentre attualmente suonano principalmente con il plettro. Lo stile di accompagnamento è piuttosto ricco e mette in mostra un vasto repertorio di accordi per lo più maggiori che, a contatto con un impianto melodico vocale di tradizione mediterranea con elementi modali, determinano delle originali successioni armoniche spesso estranee alle convenzioni classiche. Accanto a questo stile di accompagnamento si è poi sviluppato un repertorio solistico ispirato alle danze tradizionalmente eseguite sul triplo clarinetto sardo, le launeddas. Questo repertorio mette in evidenza un uso di accordature aperte legate fondalmente ai due modelli Mi2 Do3 Do3 Sol3 Do4 Mi4 e Mi2 Do3 Do3 Sol3 Si3 Mi4, naturalmente trasportati in basso in relazione all’accordatura base della

“chitarra gigante”. Sulla chitarra normale possono essere riportati seguendo i modelli del Do aperto (Do2 Sol2 Do3 Sol3 Do4 Mi4) e del dropped C (Do2 Sol2 Do3 Sol3 Si3 Mi4). È stato inoltre documentato anche un modello di dropped G (Re2 Sol2 Re3 Sol3 Si3 Mi4). Il colascione Un ultimo accenno vale la pena riservare a uno strumento ormai caduto in disuso, il “colascione” o “calascione”, un liuto a manico lungo spesso raffigurato tradizionalmente tra le mani di Pulcinella. Delle poche tracce lasciate da questo strumento in ambito popolare si sono occupati in particolare due testi: Il colascione sopravvissuto di Giuliana Fugazzotto e Roberto Palmieri (Orpheus, 1994) e Suoni che tornano

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– Calascione, tamburello ed altri strumenti della tradizione musicale a Caramanico e sulla Majella di Giuseppe M. Gala, Silvio Pascetta e Domenico Di Virgilio (Taranta, 2006). Come il bouzouki greco o il saz turco-persiano e il setar iraniano, il colascione sembra appartenere a una vasta famiglia di liuti a manico lungo mediterranei e orientali, generalmente a tre (o 4) ordini di corde intonate su fondamentale e quinta secondo lo schema prevalente I-V-VIII, destinati essenzialmente ad eseguire linee melodiche sopra un bordone di tonica e dominante. Andrea Carpi Lascia un commento

Calascione di Pratola Peligna (AQ), Raccolta G. Colella 1909, in Paola E. Simeoni e Roberta Tucci

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tecnica Da Please Please Me a Let It Be Un anno di Beatles Eccoci a scrivere di un lavoro che è iniziato online il 5 ottobre 2010 e terminerà dopo dodici mesi, durante i quali saremo in compagnia dei Fab Four, i Fantastici 4 (ops!), i Baronetti di Liverpool, i Favolosi Beatles! Si tende troppo spesso a dimenticare che gli ‘scarafaggi’ sono stati la prima vera poprock band il cui sound era quasi esclusivamente basato sull’utilizzo delle chitarre: tranne qualche sortita all’organo di John, il suono live del gruppo, soprattutto nei primi anni, era dato dalle sei corde. E allora eccoci qui, a giocare con i nostri miti, per una rubrica in dodici puntate, una al mese, che ci porterà ad analizzare il lavoro chitarristico di George, John e Paul, ma non solo. Considerazioni varie saranno fatte sulle singole canzoni, quando ci sembrerà opportuno, e sul modo di arrangiare strumenti e cori. Perché la musica non è fatta di sola chitarra,

per fortuna. Perché il 5 ottobre? Perché quel giorno del 1962 uscì il primo singolo inglese della band, “Love Me Do” / “P.S. I Love You”, per iniziare un’avventura che si concluse sette anni e molti primi posti più tardi. Ma perché dodici puntate se i dischi ufficiali sono tredici ed i singoli non presenti sugli album numerosi? Per poter chiamare la rubrica Un anno di Beatles! La suddivisione in dodici episodi è stata fatta da noi in modo del tutto arbitrario, come del tutto soggettivo sarà ciò che diremo. Sui Beatles è già stato scritto tutto e il suo contrario, non siamo depositari di chissà quale segreto. Ma l’amore per la loro musica, che ha segnato molti di noi, è una buona scusa per divertirci ancora cercando di vedere alcune cose da un punto di vista diverso. Come abbiamo diviso il tutto, lo scoprirete leggendoci in questo anno. Con l’amico cantante-chitarrista Davide Canazza di Laster Guitar andremo a spulciare fra

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le note suonate e quelle cantate, dividendo il lavoro fra i due siti Fingerpicking.net e Laster. it: su Laster ci sarà l’analisi del lavoro delle chitarre ‘elettriche’, su FP.net quello relativo alle ‘acustiche’ e considerazioni generali sulla musica. Una traccia di base sarà comunque comune per non spiazzare troppo chi leggerà gli articoli. Lungo il cammino proveremo a coinvolgere amici musicisti e giornalisti, se avranno piacere di aggiungere qualcosa. Non siamo degli ‘storici’ o dei maniaci di date, luoghi, strumenti e altro, ma cercheremo di comunicare nella maniera più semplice e diretta possibile quelle che sono le nostre opinioni ed emozioni al riguardo, discutibili, ma nostre. In fondo, è solo un gioco. Daniele Bazzani Lascia un commento

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tecnica Le 15 Regole d’Oro per il musicista

Meglio prevenire che curare… Ciao a tutti, prima di cominciare con degli esercizi sullo strumento (ancora un po’ di pazienza…) vorrei pubblicare alcune regole da prendere in considerazione, almeno in parte, per prevenire l’ ‘usura’ del chitarrista. Queste quindici regole mi sono state suggerite dalla fisiatra Rosa Maria Converti, responsabile dell’Ambulatorio Sol Diesis presso il Centro Don Gnocchi di Milano, specializzata nella cura e prevenzione delle patologie dei musicisti: 1. Praticare un riscaldamento e un allungamento muscolare mirato e globale prima di suonare. 2. Eseguire un riscaldamento progressivo allo strumento. 3. Evitare lunghi periodi di esecuzione (circa 40-50 minuti) ed effettuare pause di 5-10 minuti ogni ora. 4. Adottare posture corrette evitando posizioni non fisiologiche che generano compensazioni muscolari nefaste. 5. Assicurarsi un ambiente ergonomico adatto (sedia, illuminazione, leggio). 6. Variare il repertorio e gli stili di musica suonati. 7. Ricorrere se necessario ad accorgimenti tecnici: accessori ergonomici e modificazioni dello strumento. 8. Praticare dello stretching al termine delle esecuzioni. 9. Evitare variazioni brutali dei ritmi di lavoro, come periodi di lavoro intenso prima di concerti o esami, o come la ripresa eccessiva dopo un arresto prolungato. 10. Evitare dei lunghi periodi senza suonare, mantenere un’attività strumentale minima durante i periodi di riposo. 11. Mai suonare con dolore: il motto “No pain, no gain” è FALSO. 12. Prendere coscienza del proprio corpo, cercando di eliminare le tensioni muscolari presenti. 13. Controllare lo stress, l’ansia, la fatica. 14. Fare attenzione al trasporto di oggetti pesanti e alle attività fisiche di

una certa entità. 15. Nella vita quotidiana, conformarsi a regole generali di igiene (alimentazione e idratazione corretta, sonno necessario, attività fisiche regolari) e se possibile evitare alcool e tabacco. Quest’ultima è davvero dura! Ma cerchiamo di chiarire alcuni concetti espressi nelle “15 Regole d’Oro per il Musicista”. Il mio breve articolo ha come fine quello di stimolare l’interesse alla cura della nostra ‘macchina’. Ogni musicista è un mondo a sé e suggerire esercizi in generale non mi sembra appropriato. Quello che consiglio è di prendere atto di quali siano i nostri eventuali piccoli malesseri derivanti dall’attività musicale e cercare di capire meglio, insieme a un medico specializzato, quali possano essere i rimedi. Chi ha fatto della chitarra il proprio mestiere si ritrova in braccio lo strumento per ore, tutti i giorni, e deve aver ben presente che quest’attività può essere paragonata a quella di un qualsiasi lavoratore soggetto ad usura: per un piastrellista le ginocchia saranno probabilmente a rischio, per un chitarrista ci saranno altri problemi (a meno che non suoni in ginocchio!). In sostanza ognuno di noi dovrebbe ascoltarsi, non solo dal punto di vista musicale, e prendere coscienza di come affronta la propria performance: sono comodo mentre suono? La postura mi crea delle tensioni? Suono in apnea? Una determinata tecnica mi procura affaticamento, dei dolori? L’ansia da prestazione mi irrigidisce? Riesco a suonare al meglio senza riscaldamento? Il formato della chitarra è quello giusto per me? E via dicendo. Dopo un’attenta analisi si possono prendere dei provvedimenti, aiutati dal proprio buon senso e – perché no – da un esperto, onde evitare che cattive abitudini sfocino in patologie più serie. Non me la sento di consigliare esercizi o metodi specifici, non è il mio campo (il mondo è già pieno 56 chitarra acustica 1 duemilaundici

di tuttologi) e soprattutto non è detto che gli esercizi utili a me lo siano per qualcun’altro. Per quanto mi riguarda, utilizzo chitarre dal formato medio piccolo. Ultimamente uso la cinghia per chitarra anche quando suono da seduto. Prima di un’esibizione eseguo degli esercizi di stretching suggeriti dal mio fisioterapista, che coinvolgono mani, braccia, spalle e respirazione; e come riscaldamento sullo strumento suono lentamente alcuni semplici arpeggi. Se poi vogliamo ampliare la veduta, conosco musicisti di fama internazionale che, prima di ogni esibizione, fanno lunghe passeggiate per scaricare la tensione e ottimizzare la concentrazione; altri che si scolano tranquillamente litri di birra, ma quest’ultima tipologia di riscaldamento mi riesce difficile consigliarla… Per concludere: in generale ci occupiamo della chitarra e della sua manutenzione molto più di quanto non ci occupiamo dello strumento principale che ‘fa musica’, noi stessi. A presto! Davide Mastrangelo Lascia un commento

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tecnica Clarence White Un’introduzione essenziale allo stile Ecco un contributo per celebrare la musica del grande Clarence White. Questo lavoro fa parte di una piccola campagna che sto promuovendo su varie testate e durante i miei seminari, per ricordare ai chitarristi che Clarence White è un maestro della chitarra, e che dovrebbe essere rievocato e onorato nei festival e nei vari eventi dedicati a questo strumento. Non è stato facile raccogliere un’introduzione essenziale per raccontare musicalmente il suo stile. White ci ha lasciato una grossa mole di materiale e uno stile veramente complesso con molti arrangiamenti, licks e fraseggi. È stata per me una grande gioia trascorrere tante ore ascoltando la sua musica, per trascrivere frammenti significativi del suo modo di suonare. Il risultato è una piccola collezione di licks con strutture e tonalità diverse, che possono essere usati nella costruzione di un solo o nel backup di un brano. Quando si presta molta attenzione all’estetica di White e si analizzano le sue scelte musicali, la sua lezione può andare in profondità, molto oltre la semplice ripetizione delle sue note. Clarence White fu senza dubbio il primo chitarrista a innovare la tecnica del crosspicking, con una creatività molto più ampia di quella fino a quel momento sviluppata dai capostipiti dello stesso stile (George Shuffler, Doc Watson, ecc.). Il crosspicking nacque come un arpeggio su tre corde adiacenti con uno schema fisso ripetitivo (down-down-up) in cui la 57 chitarra acustica 1 duemilaundici

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Clarence White

Esempi melodia veniva possibilmente adattata per essere suonata sulla più grave delle tre corde, partendo in genere sul primo ottavo della battuta. Clarence usò il crosspicking in deliziosi brevi fraseggi di riempimento (esempi 1 e 2) o con funzione melodica (esempio 3) dove viene inserito in punti imprevedibili della battuta musicale (quasi mai sul tempo forte) intercalandolo ad altre tecniche e cercando le note di melodia anche sulle corde più acute della triade. Gli esempi 4 e 5 riguardano invece il raffinatissimo uso della tecnica dei double stops (parti in armonia su due corde adiacenti) sempre calibrata con perfetta dinamica e la giusta evidenza alla nota di melodia. Da notare come la scelta di Clarence non sia mai su una lunga serie ininterrotta di doppie note, ma come queste vengano alternate e interrotte ad arte con configurazioni diverse e uso di effetti. È anche importante vedere come egli riesca a personalizzare e dare nuova linfa ai fraseggi giocati sui patterns più tradizionali, come negli esempi 6 e 7 dove poche semplici note inaspettate rinnovano il suono dell’intera frase. Negli esempi 8, 9 e 10 ho voluto infine esemplificare alcune tra le sue frasi più famose, in cui traspare chiaramente il senso del gioco e dello scherzo, ma che nella velocità e chiarezza di esecuzione ottengono un effetto di grande virtuosismo e divertimento. Beppe Gambetta

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tecnica Basic Fingerstyle Considerazioni su un’antologia di brani facili A distanza di un anno dall’uscita del mio libro con cd Basic Fingerstyle – Antologia di brani facili per chitarra acustica edito dalla Carisch, sento l’obbligo di ringraziare tutti gli appassionati che hanno accolto con entusiasmo questa pubblicazione. Gli appunti che seguono sono riflessioni che ho sviluppato in relazione a questo progetto, distinzioni e spiegazioni di termini che spero risultino interessanti ai più. Allegato a questo articolo troverete un arpeggio iniziale tratto da Basic Fingerstyle. Raccomando di leggere le note di avvertenza in fondo alla pagina prima di iniziare a suonare. Buona lettura e buona musica! Perché una raccolta di brani facili? È auspicabile che, muovendo i primi passi con il fingerstyle, si incomincino ad affrontare esercizi e brani facili. In realtà, molti studenti sono attratti da brani impegnativi perché, guarda caso, sono anche quelli musicalmente più interessanti. Spesso questa

abitudine porta a scoraggiarsi in fretta, non avendo l’esperienza e le basi necessarie per affrontare esecuzioni del genere. In veste d’insegnante, ho sempre consigliato un percorso di brani che possa creare una base solida sulla quale muovere i passi successivi. Ho anche però riscontrato come sia difficile trovare brani semplici che risultino piacevoli da suonare. Ancor più un testo unico con simili contenuti. Mi limitavo, quindi, a raccogliere stralci di musica e tablature da testi diversi, che soddisfacessero almeno in parte le mie aspettative e quelle dei miei allievi. Ma simbologie diverse, diteggiature mancanti, carenza di supporti audio, mi hanno spinto alla realizzazione di questo progetto: una raccolta di brani stimolanti di primo repertorio, che consentisse di raggiungere una certa fluidità d’esecuzione in tempi ragionevoli e senza cadute di entusiasmo. Questo il mio obiettivo e spero, almeno in parte, d’esserci riuscito. Chitarra acustica e chitarra classica Sebbene questa raccolta sia dedicata alla chitarra acustica, risulta senz’altro fruibile anche dal chitarrista classico. Sappiamo come i due strumenti siano diversi nelle misure e nel suono. La chitarra classica con corde in nylon ha un manico più largo e una diversa spaziatura di corde. La chitarra acustica ha corde in metallo, il manico più stretto e richiede unghie molto resistenti. Chitarristi esperti possono utilizzare entrambi gli strumenti per diversi repertori e avere un suono più adatto a seconda dei casi. Ma, in una fase di studio iniziale, sarebbe preferibile decidere fin da subito la chitarra 59 chitarra acustica 1 duemilaundici

adatta alle nostre esigenze, perché cambiando poi strumento occorrerà del tempo per abituarsi alle diverse caratteristiche. Anche consultare un esperto o un liutaio per controllare l’intonazione e l’altezza giusta delle corde è un elemento che risulta decisivo per ottenere la massima soddisfazione dal proprio strumento. Termini e significati a confronto: dal fingerpicking al basic fingerstyle Il fingerpicking è nato come un insieme di tecniche di chitarra per eseguire il blues e il folk nordamericano. Quindi questo termine è da sempre associato a questo tipo di musica tradizionale. Il termine fingerstyle ha invece origini più recenti e si riferisce, genericamente, all’utilizzo delle dita della mano destra; ragion per cui questa parola viene associata ad un’altra che definisce il genere musicale: così si parla spesso di classic fingerstyle, fingerstyle jazz o celtic fingerstyle. Ad esempio il fingerstyle blues ha molto in comune con il fingerpicking, ma nei casi più frequenti si riferisce ad un blues contemporaneo o a nuovi arrangiamenti di vecchi blues, cioè non esattamente gli originali che fanno parte del traditional fingerpicking. Comunque, al di là di queste sfumature, i primi bluesman introdussero con il basso alternato, ostinato e walking, un importante elemento nell’arte di utilizzare le dita della mano destra: il ritmo. Oltre ad essere una tecnica polifonica che esegue melodia e basso allo stesso tempo, questa arte ha la caratteristica di essere poliritmica, cioè di produrre accenti diversi sulle due linee. È senz’altro questo uno dei motivi per cui generazioni di chitarristi

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Basic Fingerstyle

hanno evoluto e introdotto con successo questa tecnica anche in altri generi musicali. Basic Fingerstyle non esprime un genere musicale definito, bensì associa dei brani facili alla tecnica del fingerstyle.

Ma è inevitabile che, trattando principalmente di chitarra acustica, buona parte del materiale contenuto in questa raccolta derivi da generi tradizionali che, oltretutto, risultano da sempre i brani più adatti a un percorso

Esempi

didattico iniziale. Franco Morone

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Open String Arpeggio 1 (da Franco Morone, Basic Fingerstyle, Carisch, 2009, p. 14)

Il suono migliore è prodotto utilizzando le unghie e disponendo le dita in senso perpendicolare al piano armonico. Pizzicare le corde cercando di muovere solo la parte finale dell’indice, medio e anulare. In questo esercizio le note suonate dal pollice della mano destra hanno il gambo rivolto verso l’alto. ll pollice, segnalato con la lettera «p» pizzica rispettivamente 5a, 4a e 6a corda, l’indice la 3a, il medio la 2a e l’anulare la 1a corda.

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tecnica Accordare la chitarra Sulla nota La Ciao amici, questo è il primo articolo di una serie che consisterà in osservazioni maturate negli anni riguardo al suonare la chitarra. Questi suggerimenti vengono da lezioni nelle scuole e da lezioni private. Siete liberi di utilizzarli e/o di fare commenti sulla loro utilità. Potreste trovare questi suggerimenti utili o no. Ricordatevi che ci sono molti modi di suonare la chitarra, e che vi troverete a sviluppare il vostro stile personale e le vostre preferenze man mano che suonate. La prima cosa di cui vorrei parlare è l’accordatura della chitarra. Con l’andare del tempo, ho scoperto che la gente è diventata dipendente dagli accordatori elettronici. Anche se questi marchingegni sono utili, in un certo senso vi separano dal vostro strumento, al punto che – per sapere se siete accordati o no – finite per fare affidamento su una lancetta piuttosto che sul vostro orecchio. Io uso l’accordatore elettronico in determinate situazioni (quando suono dal vivo o in una stanza rumorosa) ma, al di là di questo, faccio affidamento sul mio orecchio. E vi consiglio di accordare alla vecchia maniera, per riuscire a

Gli armonici della corda La e le relazioni dell’armonico al VII tasto con il Mi basso e il Mi cantino (da “Tuning Guitar”, Wikimedia)

sviluppare una relazione più stretta fra il vostro orecchio (e il vostro cervello) e il vostro stumento. Non tutte le chitarre, specialmente quelle con corde di metallo, hanno manici perfettamente intonati. Ecco una cosa che mi piace fare quando accordo la chitarra: innanzitutto, per accordare la quinta corda, prendo un La utilizzando un diapason (nel caso la memoria non mi assista) o il pianoforte. Poi uso questo La come riferimento per accordare tutte le altre corde, tranne la sesta. Fare in questo modo aiuta anche a diventare più consapevoli nel localizzare il La su tutte le corde, acquistando così maggiore familiarità e disinvoltura sullo strumento. Allora, iniziamo: suoniamo l’armonico della quinta corda al dodicesimo tasto, l’armonico della quarta corda al settimo tasto, la terza corda Sol al secondo tasto, la seconda corda Si al decimo tasto, il Mi cantino al quinto tasto. Tutte queste note sono dei La e, facendo qualche aggiustamento con le meccaniche, dovrebbero suonare tutte uguali, ottava a parte. Ora che le prime cinque corde sono tutte correttamente accordate, vado alla sesta corda e suono l’armonico al settimo tasto, confrontandolo con la seconda corda a vuoto, che è un Si. Anche queste due note dovrebbero avere lo stesso suono. Ricapitolando, noi abbiamo accordato tutto lo strumento sulla nota La, ad eccezione della sesta corda, che è accordata sul Si. A questo punto, eseguo una regolazione fine dell’accordatura suonando un accordo di Do con il Sol al basso. È ben intonato questo accordo? Se non lo è, posso fare dei piccoli aggiustamenti per correggerlo. Come dicevo, i manici della maggior parte degli

strumenti non sono perfetti, e anche l’uso di un accordatore elettronico di alta qualità, che controlli individualmente ciascuna corda, potrebbe non farci ottenere necessariamente un accordo intonato alla perfezione. Col sistema che vi ho appena descritto, sarete più a contatto col vostro strumento, che ora potete ritenere ben accordato. Questo è un eccellente primo passo per diventare un chitarrista più sicuro di sé. Ma ora basta con le chiacchiere sulla chitarra. In un ambito più leggero, ultimamente sto gustando un po’ di cucina italiana, in preparazione del mio tour estivo in Italia. Sebbene stia registrando una canzone italiana con la mia amica Elaine, devo dire che – per parlare di cultura – cucinare piatti italiani è molto più semplice che imparare la lingua! Ha anche un sapore migliore. Lo spirito caldo e meraviglioso di questo paese ti entra dentro a ogni boccone! Eric Lugosch Nella versione online dell’articolo troverete un link per ascoltare Lugosch mentre accorda con il sistema appena illustrato (http:// ericlugosch.fingerpicking.net/files/ tuning.mp3)

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tecnica Quando iniziai a suonare il bouzouki

Quando iniziai a suonare il bouzouki, alla fine del 1990, ero convinto che quello strano strumento greco, che assomiglia a un mandolino di proporzioni smisurate, fosse un oggetto antico e che affondasse le sue radici nella tradizione ellenica. Mi chiedevo se fosse appartenuto al mondo di Atene o a quello di Sparta: le corde metalliche hanno un suono solido e compatto, ma nello stesso tempo lo strumento produce un caratteristico ‘sustain’ dal sapore vagamente lirico, dato essenzialmente dalle accordature aperte che fin dall’inizio avevo imparato a usare. Tutto questo nella mia fantasia mi lasciava nel dubbio, se assegnare le sue origini all’ars bellica spartana o all’orgoglio dell’artigianato ateniese. Scoprii con una certa delusione che il bouzouki fu costruito per la prima volta intorno al 1920, e che è quindi relativamente recente. Assomiglia molto al saz, tipico strumento turco, e ricorda solo da lontano il pandouris, antico liuto greco, entrambi a tre corde doppie. Il primo bouzouki, che utilizzava accordature aperte (DAD), aveva appunto tre corde doppie. Soltanto dopo la seconda guerra mondiale Manolis Chiotis, un virtuoso dello strumento, introdusse la quarta fila di corde, impiegando l’accordatura che da allora utilizzano normalmente i musicisti greci (DAFC),* uguale a quella delle prime quattro corde di una chitarra, un tono sotto. Accordato in questo modo, il bouzouki assume il suono di una dodici corde cui mancano i bassi e perde tutto il fascino che avevano i suoi antenati, il saz e il pandouris, anche se ovviamente risulta molto facile da imparare per chi sa già suonare la chitarra. Le rare volte che l’ho accordato in questo modo non ho avuto grandi soddisfazioni: tanto valeva suonare

la chitarra. Già, perché per ottenere il suono migliore da un bouzouki si deve cercare di far suonare il più possibile le corde libere. Provate ad accordarlo come nei brani di Fabrizio De André, “Crêuza de mä” (DADA) o “Jamín-a” (EBEB) e vi accorgerete della magia del suo suono. In quei brani vi renderete conto che sempre ci sono almeno due corde (doppie) che suonano libere. Ma molto spesso sono tre o addirittura quattro. Se, dopo averci provato, riaccordate il bouzouki ‘alla greca’ (DAFC), vi renderete conto che non c’è modo di ottenere le stesse sonorità. Negli anni ’60 anche gli irlandesi si appassionarono al bouzouki greco. Al punto da decidere di reinventarne una loro versione. Ma avevano imparato la lezione e utilizzarono da subito delle accordature aperte: la stessa DADA o, più frequentemente, DADG; solo più raramente lo accordano a intervalli di quinta: EADG. Naturalmente la loro versione è molto diversa da quella greca. Ha una cassa appiattita, con una conseguente differenza timbrica, e viene chiamato Irish bouzouki o anche cittern, in ricordo dell’antico liuto della tradizione irlandese. Se volete riprodurre le sonorità dell’album Crêuza de mä dovrete dotarvi di uno strumento greco e non irlandese, e con accordatura

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aperta. Se volete acquistare un bouzouki ne troverete di certo in qualsiasi negozio di strumenti musicali ben fornito. Ne vengono importati dalla Grecia, ma normalmente in questi modelli viene curata più l’apparenza (fregi e ornamenti) e meno la timbrica e la liuteria. In Italia esiste un unico produttore, Musikalia (www. musikalia.it) che ne ha di diversi tipi. Fra questi i più costosi non sempre sono i migliori. Eventualmente scegliete pure il modello più economico (902): ne possiedo un paio e suonano bene. Naturalmente il massimo è trovare un bouzouki Eko usato. Sono proprio quelli utilizzati da Mauro Pagani nell’album Crêuza de mä, ma sono pressoché introvabili, perché chi ne possiede uno se lo tiene ben stretto. Beh, ora sapete tutto del bouzouki. Non vi resta che trovarne uno e provare a suonarlo! Giorgio Cordini * Giorgio Cordini utilizza il criterio di indicare le accordature partendo dalla prima corda (quella generalmente più acuta). Lascia un commento

Cordini ad Acoustic Franciacorta 2008 foto di Elio Berardelli)

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tecnica Launeddas a sei corde Suonare con la chitarra la musica delle launeddas Quando, alla fine di gennaio, Reno mi propose di registrare una serie di videolezioni da pubblicare nel sito Fingerpicking. net, rimasi, allo stesso tempo, lusingato e stupito. Ci eravamo conosciuti pochi mesi prima, al festival Madame Guitar, ed avevamo scambiato poche parole alla fine della serata. Solo per un suo dichiarato interesse per la musica sarda, espresso in quella breve conversazione, gli spedii il mio manuale Musica Classica Sarda - Suonare con la chitarra la musica delle launeddas (Scuola Popolare di Musica di Testaccio, 2000) sicuro di fargli cosa gradita, perché so che non ci sono libri didattici che parlano di musica sarda e in particolare di chitarra. Pensavo che la

cosa finisse lì e quindi fu con mio grande stupore che ricevetti la sua proposta. Nelle conversazioni telefoniche che seguirono apprezzai molto le considerazioni di Reno a proposito del mio lavoro, non tanto perché erano degli espliciti complimenti, quanto perché centrava in pieno argomenti e motivazioni che, evidenti a miei occhi, sono stati molte volte per me difficili da far accettare ai miei interlocutori. Nei giorni successivi incominciai a pensare a come impostare il lavoro e, pur avendo una certa esperienza di insegnamento, mi sembrò subito impegnativo realizzare un intero videocorso. Non so se e in quale misura ci sia riuscito, ma spero comunque di suscitare almeno curiosità per un mondo magico e affascinante

come quello delle launeddas, triplo clarinetto che la tradizione sarda ci consegna dopo una storia lunga 3000 anni. Io che non sono sardo, per potermi confrontare con una cultura che non mi appartiene per nascita, ho dovuto utilizzare due sistemi di apprendimento che si sono rivelati egualmente efficaci: da una parte quello della musica colta e dall’altro quello della musica di tradizione orale. Il primo si è articolato in più punti: 1. Lo studio del libro di etnomusicologia The Launeddas (Akademisk Forlag, Copenhaghen, 1969) di Andreas Fridolin Weis Bentzon, che contiene informazioni e analisi teoriche riguardanti il mondo dei suonatori e trascrizioni di gran parte del loro repertorio. Testo prezioso e insuperato che consiglio vivamente a chi volesse approfondire l’argomento. 2. L’utilizzo della scrittura sul pentagramma per ‘catturare’ le suonate delle launeddas e poterle poi scomporre ed analizzare, per ordinare esercizi e ricordare diteggiature, ecc. 3. Lo studio delle tecniche per chitarra come quella classica o fingerpicking o dei chitarristi sardi, dalle quali imparare per elaborare poi soluzioni ad hoc. 4. Il confronto della musica delle launeddas con quelle di altre culture che, per evidenti affinità musicali (bordone fisso, musica modale, ciclo ritmico ecc.), hanno una seppur lontana parentela. Dall’altra parte, per quello che concerne il metodo “tradizionale” che è alla base della “trasmissione del sapere” nel mondo dei suonatori di launeddas, l’opportunità mi fu offerta dall’incontro

Nardi a Madame Guitar 2009 (foto di Riccardo Bostiancich)

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Launeddas a sei corde

con Dionigi Burranca, maestro di launeddas e ultimo rappresentante di una folta schiera di suonatori dell’area del Campidano. Malgrado la sua ‘nobile’ discendenza musicale, considerava l’interesse mostrato da degli “estranei continentali” non come un’intrusione fastidiosa, ma al contrario una novità che dava ancora più valore e prestigio alla cultura sarda. Per anni andai a trovarlo considerandolo come il mio principale punto di riferimento e fui ricambiato con grande generosità. I nastri delle lezioni registrate erano il mio piccolo tesoro, che portavo a casa dopo ogni viaggio e riempivano i mesi che dividevano un incontro dall’altro. Ricordo ancora, con struggente nostalgia, le prime lezioni nella sua bottega di calzolaio a Senorbì (nell’aprile 1978) quando, trascurando il lavoro sulle scarpe, afferrava una mancosedda [la più corta delle due canne melodiche delle launeddas] per correggere un passaggio o raccontava di come i suoi maestri sapessero improvvisare «così bene da suonare tre quarti d’ora con tre picchiadas [frasi]», o successivamente nella sua casa di Ortacesus dove restavo per ore ad ascoltarlo suonare e raccontare della sua vita di suonatore. Nei primi anni andavo con l’amico chitarrista Luca Balbo. Insieme suonavamo la musica delle launeddas appresa dal libro del Bentzon. Avevamo studiato e imparato gran parte delle trascrizioni: uno faceva la mancosedda, l’altro la mancosa [la più lunga delle due canne melodiche delle launeddas]: Dionigi apprezzava molto questo “esperimento”. In quegli anni il figlio più piccolo del maestro, Efisio, poteva avere allora 10-12 anni, suonava le launeddas per tradizione familiare più che per passione ed era molto attratto dalla chitarra. Efisio voleva provare a suonare

la chitarra come facevamo noi, Luca ed io. Tornato a Roma preparai degli appunti con le indicazioni di base. In un quaderno di fogli bianchi disegnai la griglia della intavolatura e su di essa scrissi gli esercizi delle launeddas per la chitarra. Buffo no? Il padre mi insegnava gli esercizi, io li facevo con la chitarra e poi li scrivevo per Efisio. Questo è stato il primo inconsapevole abbozzo del metodo che avrei poi elaborato e portato a termine molti anni dopo. La storia con Efisio finisce però che lasciò sia le launeddas che i miei appunti e cominciò a suonare rock con la chitarra elettrica nella cantina di un amico. Ora che Reno ed io siamo arrivati alla fine del montaggio e della verifica del materiale, ho voluto scrivere queste righe semplicemente per raccontare prima di tutto come è nato il progetto e per ribadire poi alcuni

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aspetti e informazioni espresse ‘a braccio’ e un po’ goffamente durante le riprese. Guardando le due lezioni introduttive potrete farvi un’idea chiara di qual è l’argomento trattato e, con degli esempi pratici, provare da subito la musica alla quale faccio riferimento. Nel resto delle lezioni c’è il metodo vero e proprio con esercizi e brani di repertorio. Sono presentate le metodologie e le soluzioni tecniche che sono state necessarie, non solo per la memoria e la conservazione della tradizione, ma anche per ispirazione, impulso e motivazione alla composizione di nuova musica. Ringrazio per lo spazio che mi è stato offerto e per l’attenzione di tutti. Massimo Nardi

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Dionigi Burranca (dal suo archivio personale, 1963)

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tecnica Registrare tre chitarre (uguali… anzi, no) Intervista a Beppe Massara, tecnico del suono di Guitar Republic Una cosa ho capito nel corso degli anni: registrare la chitarra è veramente complicato. A parte le varie teorie sull’uso della diretta da miscelare con il segnale del microfono (abbastanza? Pochissimo? Per nulla?), anche sul posizionamento del/i microfono/i ce n’è da dire, e ogni tecnico del suono ha le sue convinzioni. Di fronte a tanta variabilità, penso che non si possa far altro che continuare a raccogliere esperienze sul campo per ragionarci su. Così, con l’occasione del nuovo album di Guitar Republic (al secolo Sergio Altamura, Stefano Barone e Pino Forastiere), ho intervistato Beppe Massara, il fonico che ha registrato e missato il lavoro del trio e che tra l’altro, nel caso specifico, aveva a che fare con tre fonti sonore molto simili (tre Martin D-28) seppure suonate in modo molto diverso. Una differenza di tocco, accordature, parti e oggetti che

andava rispettata e anzi evidenziata in ogni brano. Insomma, un lavoro per nulla semplice nella sua essenzialità. Beppe Massara, che dal 2003 lavora nel suo Gel Studio di registrazione a Trani (stupenda cittadina in provincia di Bari, nota per la sua bianca cattedrale sul mare), nel corso della sua carriera di tecnico del suono ha realizzato vari lavori per chitarra (di tutti i tipi, classica, acustica, elettrica) incluso il recente Aria meccanica di Sergio Altamura, che - come anche in Guitar Republic - aggiunge al ‘normale’ fingerstyle l’utilizzo di archetto, ventole, dadi, bulloni, cd e altri oggetti vari per preparare la chitarra. Perché è così difficile registrare la chitarra? Mah… se il musicista è bravo, è facile registrare la chitarra. Il musicista bravo ha già il suono nelle mani. Poi, di solito, ha uno strumento buono e quindi è tutto più semplice, ed io… non devo

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fare danni! [ride] Per Guitar Republic come hai organizzato tutto il setup? Loro suonano tutti uno strumento uguale, che è una Martin D-28, e hanno gli stessi sistemi di amplificazione interna, dunque parliamo, più o meno, della stessa emissione sonora, la stessa sorgente come strumento. E quindi ho scelto di utilizzare gli stessi microfoni e preamplificatori per avere lo stesso suono per tutti; anche perché loro cambiano di ruolo spesso nei brani, dove per ruolo s’intende che ogni volta uno è più percussivo, o magari suona l’arco… … e quindi cambiano anche di postazione, alternandosi nella registrazione in due stanze separate. Sì, infatti; in questo modo, anche cambiando le postazioni di registrazione il setup rimane lo stesso. Comunque, come microfoni ho usato gli AKG 414, come preamplificatori gli Amek

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Registrare tre chitarre (uguali… anzi, no)

9098 disegnati da Rupert Neve; le DI sono invece amplificate con i Sunrise, un sistema piuttosto frequente per i chitarristi acustici, preamplificati con i Focusrite ISA 428, che è il nuovo prodotto derivante dall’ISA 110, sempre disegnato da Rupert Neve. E basta, poi altri piccoli segreti me li tengo per me… Le tre voci però, pur provenendo dallo stesso tipo di strumento, sono comunque molto diverse chitarristicamente parlando… Sì, ma appunto lì sta alla bravura del musicista di mantenere delle presenze importanti di suono anche quando fa delle cose, diciamo così, delicate; e poi, ovviamente, nel missaggio si equilibra ulteriormente. E la percussione forse è un altro problema per la registrazione, rischia di venire ripresa sbilanciata rispetto alla corda, no? Si, è per questo che si usa

infatti un microfono interno, un pickup e un microfono esterno su asta: in questa maniera, registrando sempre almeno due tracce per ogni strumento, si ha sempre la possibilità di gestire la cosa in modo ottimale, si riesce a trovare l’equilibrio. Come deve approcciare la registrazione un chitarrista? Innanzitutto impadronirsi tecnicamente dello strumento. Sono convinto che quando si suona bene in acustico con le mani, con un controllo reale, ci sono davvero pochi problemi in fase di registrazione. E poi, comunque, un chitarrista deve fare molti ascolti, ascoltare moltissimi dischi, sia del passato che del presente. Ci sono differenze con la chitarra classica? La chitarra classica è più problematica, secondo me, rispetto all’acustica. Anche una buona

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chitarra di liuteria, e cioè parliamo di valori elevati, può avere molti problemi timbrici, soprattutto di risonanze. Cos’è la chitarra per te? È uno strumento infinito, come il pianoforte, dalle capacità timbriche inesplorate. Non esiste un punto di arrivo e in questo senso, secondo me, il progetto Guitar Republic è al posto giusto nel momento giusto: è un disco molto innovativo, dove l’innovazione non è semplice sperimentazione o sperimentazione fine a se stessa, ma è proprio un modo nuovo di intendere lo strumento. Sarà sicuramente un ‘must’ nella collezione dei chitarristici acustici. Stefania Benigni

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tecnica Il PC per incrementare l’esperienza del chitarrista Un’introduzione al MIDI Quando i personal computer sono apparsi sulla scena, sono stato uno dei pionieri a costruirmi il mio primo PC nel 1977. Una delle mie speranze era di ottenere un programma di scrittura musicale per poter convertire le mie trascrizioni fatte a mano in spartiti di bell’aspetto. Questa speranza è diventata realtà quando Internet ha aperto i battenti a numerosi programmi di notazione. Ho cominciato a utilizzare TablEdit alla fine degli anni ’90 e, dal 1998 al 2002, ho curato l’archivio delle tablature sul sito web di TablEdit (www.tabledit.com). Ho avuto la fortuna di vedere tablature fatte da persone di tutto il mondo, alcune erano buone, altre meno. Il mio obiettivo era di collaborare con tutti coloro che sottoponevano trascrizioni all’archivio, per aiutarli a migliorare la qualità delle loro tablature. E rapidamente divenni conosciuto come il “Tabmeister”. Gli anni passati a curare l’archivio di TablEdit sono stati un

periodo molto gratificante della mia vita, e questo mi ha permesso di incontrare un gran numero di chitarristi meravigliosi. Due di loro sono membri conosciuti di Fingerpicking.net, Giovanni Pelosi e Daniele Bazzani. Con l’inizio di Fingerpicking.net 3.0, Reno voleva migliorare le tablature sul sito. Giovanni mi ha contattato ed io ho accettato di lavorare sulle tablature e di personalizzarle col logo di Fingerpicking.net. Man mano che delle tab saranno aggiunte al sito, spero che voi le troverete di qualità molto vicina a quella editoriale. Inoltre il mio obiettivo nei prossimi mesi è di presentare articoli sull’uso del PC per incrementare la vostra esperienza chitarristica. Una delle lamentele che ascolto più frequentemente è che il suono MIDI della chitarra ottenuto dai programmi di notazione musicale non è molto realistico. È facile comprendere che il suono di una corda di chitarra pizzicata, con le sue armoniche e le sue risonanze, è il più complesso che ci possa essere tra gli strumenti musicali. La maggior parte

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delle schede audio utilizzano dei software che sintetizzano i vari strumenti, e falliscono ben presto quando si arriva alle chitarre. Io ho avuto la fortuna di comprare una scheda audio Sound Blaster Live!, che utilizza soundfont per generare gli strumenti musicali, ed il risultato è che il suono MIDI è decisamente migliorato. Cos’è un soundfont? È semplicemente una raccolta di campioni audio di strumenti reali, che la scheda audio SB Live utilizza per inviare i suoni ai nostri altoparlanti. La maggior parte degli strumenti hanno campioni multipli, con ciascun campione dedicato a uno specifico ambito di frequenze. Per esempio, su una chitarra, un campione può essere utilizzato per generare note sul Mi cantino dalla posizione a vuoto fino al quarto tasto. Si potrebbe usare un secondo campione per le note dal quinto al decimo tasto, ecc. Avere un campionamento multiplo per uno strumento permette alla scheda audio di confrontare campioni diversi per tutte le note su tutte le corde della chitarra. In ragione della qualità

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Il PC per incrementare l’esperienza del chitarrista

del campionamento, si possono ottenere dei suoni MIDI molto realistici. Poche settimane fa, Daniele Bazzani mi ha scritto una e-mail per chiedermi aiuto circa qualche problema che aveva col MIDI. C’era anche un lungo ‘thread’, dove anche altri intervenivano con i loro consigli. Lui ha risolto il problema istallando una Sound Blaster. Mentre cercavo nella rete una soluzione al suo problema, ho scoperto due programmi gratuiti, che permettono a qualsiasi PC di utilizzare i soundfont per l’uscita MIDI verso gli speaker. Per cominciare, dovete scaricarvi LoopBe1 (http://www.nerds.de/ data/setuploopbe1.exe) e SyFonOne (http://www.synthfont. com/SyFonOneSetup.php) e salvarli nel vostro PC. LoopBe1 è un dispositivo software MIDI che lavora in modo simile a un cavo di collegamento. Riceve eventi MIDI da un programma e li inoltra ad un altro programma. SyFonOne è un player MIDI che utilizza soundfont per generare i suoni da inviare agli speaker. Entrambi i programmi sono di installazione standard per Windows, perciò dovrebbero risultarvi molto familiari. Installate LoopBe1 per primo e, quando avete finito, dovrebbe comparirvi un’iconcina nella cartella di sistema, nella parte in basso a destra dello schermo. Se l’icona c’è, LoopBe1 è istallato e siete pronti per SyFonOne. Se non appare, riavviate il PC. Il secondo passo è installare SyFonOne. Alla fine dell’installazione, quando appare la richiesta di eseguire il programma, cliccate la spunta dell’opzione, quindi cliccate su “Chiudi”. Notate che ora c’è una seconda icona (due barre verticali) sul system tray. La prima volta che avviate SyFonOne, sarete guidati passo per passo all’impostazione delle opzioni. La prima finestra che appare si usa per selezionare il soundfont, e dovreste vedere la scritta

“SYNTHGMS.SF2”. Questo è il soundfont di default fornito con SyFonOne, selezionatelo e cliccate su “Apri”. La finestra successiva spiega come interpretare l’icona di SyFonOne nella cartella di sistema. Quando SyFonOne viene aperto per la prima volta, l’icona è due barre verticali, il che indica che il programma non è attivato per ricevere eventi MIDI. Quando è attivato, ci sarà una barretta curva in cima alle barre verticali. Chiudete questa finestra per vedere la finestra principale di SyFonOne. La finestra principale è molto semplice. Ci sono quattro pulsanti sopra e due cursori del volume. I cursori del volume permettono di aumentare il volume dei suoni MIDI fino al 300%. Con la finestra aperta, cliccate sul pulsante “Play” per abilitare il programma ad accettare eventi MIDI. Notate che l’icona nella cartella di sistema, ora, ha la barretta curva sopra. SyFonOne adesso è pronto per inviare i suoni MIDI agli speaker. Prima di utilizzare il programma come vostro lettore MIDI, ci sono un paio di opzioni che devono essere configurate, quindi cliccate sul pulsante “Opzioni”. La parte superiore della finestra “Opzioni” mostra le porte di ingresso MIDI disponibili. Cliccate su “LoopBe Internal MIDI” per selezionarla. A destra del centro della finestra, sotto “Select Standard Audio Output Port”, c’è l’elenco dei dispositivi audio del vostro PC. Cliccate su un dispositivo per selezionarlo. A questo punto, dovete fare un breve test per verificare la vostra configurazione. Cliccate sul pulsante “Test” e dovreste sentire un beep continuo suonare per tre secondi. Se ci sono crepitii, o scricchiolii, aumentate i “Samples/Buffers” o aumentate il “Number of Buffers” e riprovate col test. Continuate questa fase finché non sparisca qualsiasi rumore che sporca il beep. Io raccomando di aumentare

il “Number of Buffers” prima di cambiare la dimensione del buffer. Se nessuno di questi assestamenti elimina gli scoppiettìi o i click, allora il vostro PC potrebbe essere troppo lento per questa configurazione. Chiudete la finestra “Opzioni” e ora siete pronti per usare SysFonOne come vostro lettore MIDI. Aprite il vostro programma di notazione. Prima di far suonare una tablatura, dovete settare le opzioni MIDI per usare LoopBe1 come dispositivo di uscita MIDI. Per questa discussione utilizziamo TablEdit, ma il procedimento è simile per tutti i programmi di notazione. In TablEdit, selezionate “MIDI Setup” dal menu “MIDI”. Nel menu “MIDI Out”, selezionate “LoopBe Internal MIDI”. Chiudete la finestra e avviate il playback di una tablatura per godervi i vostri nuovi suoni MIDI. Se avete bisogno d’aiuto per configurare LoopBe1 o SyFonOne, si possono trovare istruzioni dettagliate su Guitar SoundFont Central (http:// el-kay.com/soundfont/sf-forwin. htm). Potrete trovare informazioni aggiuntive sull’uso dei soundfont e anche una banca di soundfont supplementare (http://el-kay.com/soundfont/ sf-library.htm), che contiene un paio di soundfont creati da me. Questa configurazione funziona con i PC Windows. Ho cercato di trovare una configurazione analoga che funzioni sui Mac, ma non ho trovato una soluzione. Pensavo che ci fosse una possibilità di incorporare soundfont nel sistema operativo Mac, ma credo che sia specifica per GarageBand. Se qualcuno ha informazioni su un setup simile per i Mac, per favore ce ne parli. Buona fortuna, e divertitevi con i vostri nuovi suoni MIDI. Larry Kuhns

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tecnica Voicing aperti Un programmino per trovare accordi con corde a vuoto nelle accordature alternative Nell’era pre-Internet, uno degli appuntamenti da me preferiti era lo Speciale Chitarre che usciva ogni estate a luglio-agosto. Ogni volta un numero stracarico di interessanti articoli e trascrizioni sempre molto appetitose. Tra tutti quelli in mio possesso, il mio favorito – in assoluto un capolavoro per affinità di gusti e professionalità nei contenuti – è lo Speciale dell’estate 1988. Tra gli articoli di quel numero ce n’è uno, a pagina 32, intitolato “Tutti gli accordi in Sol aperto” e scritto niente-popò-di-meno-che da Reno Brandoni! In questo articolo, Reno mostra le posizioni di molti accordi nell’accordatura di Sol aperto, coadiuvato in questo (e, dopo anni di trasferelli, lo dice espressamente senza velarne la soddisfazione) dall’uso del computer… Da allora la tecnologia ha fatto passi da gigante e, in particolare, oggi i tempi sono ormai maturi per scrivere programmi usufruibili tramite Internet senza l’obbligo di essere distribuiti e installati nel proprio computer. La chitarra acustica è di per sé uno strumento che esalta il suono

delle corde a vuoto, particolarità questa che diventa ovviamente e obbligatoriamente necessario sfruttare negli arrangiamenti per chitarra acustica. Una mia necessità (e credo non solo mia) è individuare dei voicing che portino a suoni non scontati e contemporaneamente in armonia con il brano su cui sto lavorando. Studiando e/o praticando si riescono a interiorizzare alcune posizioni, ma ogni cambio di accordatura ci porta in un nuovo e sconosciuto mondo in cui tutto è da reinventare. Senza contare che il nostro personale studio potrebbe essere incompleto e forse ci preclude a priori un mucchio di sonorità interessanti. Ho così pensato di realizzare un programmino che illustri, per tutte le accordature, le posizioni ‘aperte’ degli accordi, cioè quelle che ne sfruttano le sonorità delle corde a vuoto. E questo per tutte le accordature, dalla standard alla meno utilizzata, a quella che tu e solo tu utilizzi. Il programmino non va dunque alla ricerca dell’accordo ‘x’ nell’accordatura prescelta, ma presenta dei voicing che cercano di sfruttare la potenza delle corde a vuoto per incoraggiare ed aiutare a scoprire posizioni con sonorità interessanti. Per far questo lavora sui seguenti parametri: 1. La famiglia di appartenenza dell’accordo (maggiore, minore, settima, minore settima, diminuita e semidiminuita). 2. La ‘forma’ dell’accordo, per indicare quali corde a vuoto utilizzare. 3. L’accordatura desiderata. Praticamente, scelta la famiglia, l’accordatura e una o più ‘forme’, ne calcola e visualizza i classici diagrammi degli accordi per chitarra. L’accordatura può essere

L’inizio della schermata di accordi in accordatura DADGAD

selezionata da un elenco precablato oppure personalizzata corda per corda. Di ogni accordo, oltre alla posizione sulla tastiera, sono visualizzati i gradi che lo compongono, nell’ordine dalla corda più bassa a quella più alta. La tonica dell’accordo (indicata con T), per intenderci quella che dà il nome all’accordo, è assunta essere la nota più bassa. Chi mastica un po’ di queste cose può trovare giovamento nel conoscere i singoli gradi che compongono l’accordo, mentre chi vuole astenersi dalla teoria può godersi i suoni in piena libertà, magari con l’indubbio vantaggio nel conoscere che quel suono rientra tra gli accordi maggiori, oppure minori, ecc. Ho ritenuto opportuno non indicare il nome dell’accordo. Infatti, trattandosi in molti casi di accordi incompleti, si sarebbero ottenute sigle complicate da leggere e senza alcun ulteriore benefit musicale. Il tutto con una interfaccia utente che, nei miei intenti, dovrebbe essere completamente intuitiva e scevra da ulteriori spiegazioni. Cosa c’è da aggiungere? L’elenco precablato delle accordature, oltre alla possibilità di essere ampliato, ne contiene alcune con nomi provvisori, in attesa di essere definiti con la vostra collaborazione. Ben vengano indicazioni in questo senso. Sarò felice di apportare modifiche o semplicemente rispondere ad eventuali vostri dubbi. Buon divertimento! Fulvio Montauti Il programma: h t t p : / / w w w. a u t o m a r w e b . i t / O p e n C h o r d s . aspx?keepThis=true&TB_ifram e=true&height=400&wid th=650 Lascia un commento

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tecnica Il ragtime classico

Ciao, sono Lasse Johansson, arrangiatore, insegnante e chitarrista. I miei articoli affrontano l’argomento del ragtime, del suo retroterra e del modo in cui può essere adattato e arrangiato per chitarra. Il ragtime era in origine musica per pianoforte. I suoi principali compositori furono Joe Lamb, James Scott e – sopra a tutti – Scott Joplin. Essi lo intendevano probabilmente come musica classica piuttosto che jazz, sebbene ragtime e jazz fossero nati più o meno contemporaneamente nel Sud degli Stati Uniti. A testimonianza di questo fatto Joe Stark, l’editore di molte composizioni di Joplin, arrivò al punto di dare a un ragtime di James Scott il titolo “Don’t Jazz Me Rag (I’m Music)”. Comunque la si veda, il ragtime ha giocato un ruolo importante e la sua influenza è stata un fattore determinante per la nascita del jazz. Esistono molti arrangiamenti per banda di ragtime classici e, inoltre, alcuni gruppi orchestrali li suonavano in modo jazzistico, così che si possono trovare dei ragtime nel repertorio di molti dei primi gruppi jazz. C’erano pure motivi pop di Tin Pan Alley, come “Alexander’s Ragtime Band”, e anche altre canzoni che avevano nel titolo la parola “Rag” ma avevano poco in comune con lo stile di Joplin. Joplin, in effetti, aveva obiettivi più ambiziosi, palesati dalle sue due opere A Guest of Honor e Treemonisha, nessuna delle quali fu mai eseguita nel corso della sua vita. La moda del ragtime era già alla fine quando iniziarono ad apparire i primi dischi di jazz, e pianisti come Fats Waller e James P. Johnson svilupparono un nuovo stile, lo stride piano. Ciò nonostante, il primo brano jazz mai pubblicato su disco, “Dixieland Jass Band One Step” (1917), in realtà

utilizzava come inciso una vera e propria composizione ragtime classica, “That Teasin’ Rag” di Joe Jordan. Quindi esiste un forte legame tra il jazz delle origini e il ragtime classico. Alla fine degli anni 1950 i chitarristi cominciarono a scoprire il ragtime classico e ad arrangiarlo per chitarra. Forse fu un tentativo per ampliare il discorso dei bluesrag, divenuti popolari quando artisti come Blind Blake e Rev. Gary Davis iniziarono a imporsi all’attenzione durante il movimento di revival della musica folk tradizionale americana. Si potrebbe in effetti definire il blues di Blind Blake come “chitarra ragtime”, ma il suo stile differisce dal classico ragtime pianistico dell’età d’oro. D’altra parte lo stesso Rev. Gary Davis conosceva il ragtime classico e fece delle versioni di “Maple Leaf Rag” di Joplin con il titolo “Make Believe Stunt”. All’inizio degli anni ’60, Dave Van Ronk fu uno dei primi ad arrangiare rag pianistici per chitarra. Il suo arrangiamento di “St. Louis Tickle” è ancora tra i preferiti di molti chitarristi ragtime. Più tardi Dave Laibman, Eric Schoenberg e altri registrarono rag per una o due chitarre. Presto il ‘tesoro’ ragtime fu pubblicato sotto forma di

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spartiti, e divenne disponibile per i pianisti e per i musicisti che lo rielaboravano per altri strumenti. Quando Stefan Grossman, che aveva registrato alcuni arrangiamenti di Laibman, fondò la Kicking Mule Records, molti chitarristi europei e statunitensi ebbero l’opportunità di incidere ragtime classici per chitarra tra la fine degli anni ’60 e gli anni ‘70. Cominciarono ad essere pubblicati libri di chitarra ragtime e l’interesse per il genere crebbe man mano che altre piccole etichette discografiche iniziarono a pubblicare dischi di ragtime. Per mostrarvi cosa sia la chitarra ragtime, ho scelto un arrangiamento della composizione “Harlem Rag” di Tom Turpin, uno dei primi rag ad essere stato pubblicato a stampa, nel 1897. La base del ragtime per pianoforte è la mano sinistra che suona la linea di basso e gli accordi con un solido andamento boom-chick in 2/4, mentre la mano destra suona la melodia sincopata sugli acuti. Ciò si adatta molto bene alla tecnica chitarristica del basso alternato, dove il pollice della mano destra mantiene un ritmo costante sulle corde basse (come la

Il ragtime classico mano sinistra del pianista) mentre le altre dita suonano la melodia e le note di armonia sulle corde alte. Nel ragtime è anche abbastanza comune trovare una linea di basso che varia e non si limita a suonare il basso alternato sulle note degli accordi. In alcuni ragtime complessi troverete molti movimenti contrappuntistici in cui la linea di basso è fondamentale. “Harlem Rag” presenta il più delle volte un basso boom-chick piuttosto basilare, ma con qualche passaggio di rilievo sui bassi quando si cambia accordo. La maggior parte dei chitarristi ragtime usa pollice, indice e medio della mano destra, ma non ci sono regole al riguardo. Alcuni grandi interpreti del genere come Doc Watson, Merle Travis e Rev. Gary Davis utilizzano solo pollice e indice con ottimi risultati. Altri aspetti, che i chitarristi classici definirebbero non ortodossi, sono l’uso del pollice della mano sinistra per tastare le corde basse e il fatto che alcuni chitarristi tengono il mignolo della mano destra appoggiato sulla tavola armonica. Vi prego di considerare che queste non sono in alcun modo delle regole cui dovete legarvi per la vita, ma semplici osservazioni circa le soluzioni adottate da molti chitarristi ragtime. ***

Leaf Rag”, la seconda composizione di Scott Joplin ad essere stata pubblicata e sicuramente quella che ha ottenuto maggior successo. In Danimarca il pubblico ha ascoltato cinque versioni differenti di questo classico: io ho suonato la mia, poi sono venute quelle di Duck Baker, Dave Laibman, Paul Banks e Nick Katzman. Era diventato quasi uno scherzo annunciare di continuo questo brano dal palco. Stranamente le nostre versioni erano tutte in tonalità diverse, a dimostrazione del fatto che trovare la tonalità più appropriata per arrangiare un brano per pianoforte sulla chitarra è estremamente difficile. “Maple Leaf Rag” fu composto in La bemolle, tonalità ostica per la chitarra fingerstyle. La mia versione è in La, quella di Dave in Re, quella di Duck in Do. Paul Banks ha suonato solo la prima sezione come introduzione ad un altro brano, ed era in Sol. Katzman ha suonato la versione di Rev. Gary Davis, “Make Believe Stunt”, in La. “Maple Leaf Rag” fu pubblicato a stampa per la prima volta nel 1899, solo due anni dopo che si iniziò a pubblicare spartiti di ragtime. Nel 1897 diversi editori fecero a gara per essere i primi a stampare un pezzo rag. Vinse “Mississippi Rag” di W. H. Krell che uscì a gennaio dello stesso anno. Sempre

Sono appena tornato dall’aver trascorso dei bei mesi estivi, partecipando anche ad alcuni festival chitarristici, quello di Stamford in Inghilterra, di Skarrildshus in Danimarca ed il mio seminario di Köveskal in Ungheria. L’incontro con altri insegnanti e studenti mi ha confermato una volta di più quanto interesse ed entusiasmo ci sia per la chitarra ragtime in questi luoghi. Molti chitarristi fingerstyle di adesso, infatti, non mancano di aggiungere brani di ragtime classico al loro repertorio. Prendiamo ad esempio “Maple 71 chitarra acustica 1 duemilaundici

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nello stesso anno, ma più tardi, fu pubblicato il primo ragtime scritto da un compositore afroamericano, quello che ho arrangiato per voi, “Harlem Rag” di Tom Turpin, stampato nel dicembre del 1987. “Harlem Rag” è stato pubblicato per la prima volta dall’editore De Yong di St. Louis, nell’arrangiamento di D. S. De Lisle. Il brano fu poi venduto a Stern di New York, che ne stampò due versioni leggermente differenti, una con l’arrangiamento di William H. Tyers. Avere versioni diverse dello stesso

spartito musicale ci permette di scegliere quella che ci sembra più adatta alla chitarra. Notate che nell’arrangiamento che vi propongo non ho voluto ripetere la terza e quarta sezione. Originariamente ambedue le sezioni erano presenti in due diverse versioni, di cui la seconda in qualche modo più complessa. Studiando la tablatura scoprirete che ho dovuto muovermi piuttosto avanti sulla tastiera, addirittura fino al XV tasto per una nota di corta durata. Tuttavia, nonostante la posizione avanzata, cerco sempre di suonare delle corde a vuoto, nei bassi o nella melodia, ogni volta che è possibile farlo musicalmente e tecnicamente. Lo faccio perché è importante per me creare

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Il ragtime classico

degli arrangiamenti che non siano troppo difficili da suonare. Nella terza parte troverete a volte una ‘melodia sui bassi’ parallela a una ‘melodia accordale’ suonata sui cantini. Linee di basso che vanno insieme alla melodia sono una caratteristica tipica del ragtime. A volte ciò risulta come due melodie suonate contemporaneamente. Nella misura 42 si trovano alcuni armonici al VII e XII tasto. Nell’ultima sezione gli stessi

una nota dell’accordo.

armonici sono nelle misure 54 e 62. Ho scritto i nomi degli accordi e vi invito a cercare di tenere le loro posizioni il più possibile, anche se non ne suonerete tutte le note. Questa è una pratica comune in questo stile, per il fatto che vi permette di ottenere un suono di chitarra più pieno, visto che vibreranno anche le corde che non saranno suonate. Un’altra ragione è che si noteranno di meno eventuali errori: se suonerete la corda sbagliata, suonerete comunque

Esempi

Buona fortuna! Lasse Johansson

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HarlemRag Arranged for guitar by Lasse Johansson

Tom Turpin

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HarlemRag, Tom Turpin Arrangiamento per chitarra di Lasse Johansson

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