Cesare Brandi - La Teoria Del Restauro

March 16, 2017 | Author: Giada Di Trinca | Category: N/A
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Cesare Brandi – “La teoria del Restauro” (1963) ed. Einaudi

INTRODUZIO NE

La Teoria del Restauro di Cesare Brandi, si fonda su alcune specificazioni che risultano profondamente innovative e risolutive di molte aporie che la pratica del restauro, nella varietà delle situazioni e delle occorrenze, propone. Alcuni snodi più importanti: l’opera d’arte, come prodotto dell’attività umana, impone una duplice valutazione, da una parte essa è un atto che rimanda ad un certo tempo e luogo, quelli della sua materiale realizzazione, e si rivela altresì alla coscienza situandosi in un luogo e in uno spazio determinato. È quello che Brandi chiama l’istanza storica. Nel contempo però, assume una valenza specifica corrispondente al fatto basilare dell’artisticità per cui l’opera è opera d’arte. Ed è questa l’istanza estetica. Non è determinante la funzione pratica che essa può avere e mantenere, come accade per esempio per l’architettura. Con il primo principio del restauro, non si vuole subordinare ad una particolare concettualizzazione del fenomeno artistico la qualificazione metodologica del restauro. Si vuole eccettuare l’opera d’arte con la sua specificità che l’indagine storica e critica rivela, rispetto alla innumerevole serie dei manufatti che rinviano alla creatività dell’uomo. È il restauro dell’opera d’arte critica in atto, che si rivolge ai suoi materiali costitutivi, nel modo come essi si sono mantenuti, ed è solo questo il campo legittimo della sua attività. L’assioma famoso si restaura solo la materia dell’opera d’arte implica l’indispensabile coinvolgimento della conoscenza scientifica e tecnica intorno ai materiali costitutivi dell’opera, al loro comportamento nel tempo e alla selezione e alla determinazione dei procedimenti tecnici e dei materiali di restauro da utilizzare. È inoltre fondamentale perché sancisce il principio che il restauro non può interferire minimamente sui significati dell’opera, che sono molteplici e indefinibili una volta per tutte; bensì può e deve unicamente interessarsi dei suoi componenti materiali, intendendo per tali i materiali costitutivi dell’opera d’arte. La giusta considerazione e rivalutazione della realtà materia, non può per Brandi, farla diventare protagonista assoluta della valutazione, indipendentemente dall’elaborazione formale che ha ricevuto. Non sono dunque la complessità o la ricercatezza dei materiali, oppure la perfezione di un processo esecutivo a costituire da soli il pregio e il significato di un prodotto determinato, bensi la qualificazione di un’opera d’arte dipende dalla possibilità di lettura che offre l’interazione tra scelte materiali e tecniche, organizzazione semantico-funzionale, struttura formale realizzata. L’apprezzamento e la valutazione storico-estetica del ciclo cimabuesco di Assisi o del Cenacolo di Leonardo, prescinde dagli errori tecnici di realizzazione e si rilevano nonostante lo stato di conservazione in cui ci sono pervenuti. È sotto questo punto di vista che occorre intendere la differenziazione che Brandi propone tra aspetto e struttura della materia. Non è ad esempio l’identità di un materiale che può giustificare nel restauro la legittimità di un rifacimento. In casi estremi inoltre, la conservazione dell’opera d’arte può comportare la modifica o il sacrificio di sue parti o caratteristiche strutturali, quando queste non interferiscono in alcun modo con la qualificazione dell’aspetto o dell’opera. Il rudere è l’esempio di caso-limite della perdita dell’unità potenziale d’immagine, per il quale l’unico imperativo è unicamente la corretta ed efficace conservazione delle sue vestigia materiale. La divaricazione tra restauro inteso come rifacimento e restauro inteso come semplice

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conservazione dello status quo è davvero superata con una nuova individuazione di metodo che determina un nuovo equilibrio. Altro problema affrontato da Brandi, è quello della legittimità delle rimozioni di aggiunte o rifacimenti. Distingue nettamente il significato e il valore dei due termini: “l’aggiunta può completare, o può svolgere, soprattutto in architettura, funzioni diverse da quelle iniziali; nell’aggiunta non si ricalca, si sviluppa piuttosto, o si innesta. Il rifacimento invece, tende a riplasmare l’opera, intervenire nel processo creativo originario, rifondere il vecchio e il nuovo, così da non distinguersene e da abolire o ridurre al minimo l’itervallo di tempo che distacca i due momenti”. Storicamente “la conservazione dell’aggiunta deve considerarsi regolare: eccezionale la rimozione”. Il rifacimento, per il fatto che tende generalmente a retrodatarsi e costituire fondamentalmente un falso storico, non ha legittimità alcuna nell’operazione di restauro, a meno che la sua eliminazione non comporti un danno per l’originale o lo restituisca in condizioni fortemente frammentarie o di rudere. Anche la determinazione e i limiti della pulitura delle superfici di un manufatto di rilevanza artistica, e il mantenimento della patina, sono affrontati alla luce della stessa dialettica. Sia per l’stanza estetica, che per quella storica la pulitura trova il suo limite nel rispetto della patina, che è il segno del passaggio del tempo sui materiali. Legata al mantenimento della patina, è per Brandi la necessità di salvaguardare nella pulitura, tutti i materiali costitutivi, comprese le vernici originali, fossero esse colorate o no, e le ultime finiture a velatura. La determinazione più corretta e sicura della metodologia di intervento, non impedisce infine una considerazione particolare dei problemi di quello che Brandi chiama Restauro Preventivo, tutta la serie, cioè di provvidenze ed attenzioni di salvaguardia ambientale e fisica delle opere di interesse artistico e storico, al fine di evitare, per quanto è possibile, l’intervento di restauro vero e proprio, comunque è da considerarsi soluzione ultima e non priva di possibili conseguenze traumatiche.

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1. CONCETTO DI RESTAURO

S’intende generalmente per restauro qualsiasi attività svolta per prolungare la conservazione dei mezzi fisici ai quali è affidata la consistenza e la trasmissione dell’immagine artistica, e si può estendere il concetto fino a comprendere la reintegrazione quanto più possibile approssimativa di una mutila immagine artistica. Un Restauro è quindi qualsiasi intervento volto a rimettere in efficienza un prodotto dell’attività umana (SCHEMA PRECONCETTUALE). Progredendo allora dal preconcettuale al CONCETTO, bisogna distinguere i diversi prodotti umani. Si avrà dunque un restauro relativo ai manufatti industriali e uno relativo alle opere d’arte:

Manufatti Industriali:

Opere D’arte:

Le finalità del restauro per i manufatti industriali sono quelle di risarcimento e ripristino, fare in modo cioè di ristabilirne le funzionalità iniziali.

l’opera d’arte è un manufatto cui viene riconosciuta una importanza storica. Il fine dell’opera di restauro è quindi rivalutare tale importanza storica ed estetica e far si che la conservazione di tale messaggio possa persistere in futuro. L’opera d’arte condiziona quindi il restauro e giammai l’opposto poiché l’opera d’arte pone una duplice istanza, estetica e storica; non è quindi necessaria, nell’opera d’arte, l’istanza dell’utensilità, basilare per gli altri prodotti umani.

L’Opera D’arte si eccettua in modo definitivo dalla comunanza con gli altri prodotti dell’attività umana grazie al RICONOSCIMENTO che la coscienza ne fa come Opera D’arte. Il prodotto umano è la davanti ai nostri occhi, ma può essere classificato genericamente fra i prodotti dell’attività umana, finché il riconoscimento che la coscienza ne fa come Opera D’arte, non lo eccettua in modo definitivo dalla comunanza con gli altri prodotti. Questa è la caratteristica dell’opera d’arte in quanto non si indaghi nella sua essenza, ma in quanto entra a far parte del mondo della vita, e cioè nel raggio di esperienza individuale. Riferito a John Dewey, “Art as experience”, Brandi afferma: “Un’opera d’arte è attualmente e non solo potenzialmente un’Opera D’arte, quando vive in qualche esperienza individualizzata, in quanto pezzo di marmo, pergamena o tela, essa rimane identica a se stessa attraverso gli anni. Ma come opera d’arte essa viene ricreata ogni volta che viene sperimentata esteticamente” ciò significa che fino a quando non avviene il riconoscimento, l’opera è Opera D’arte solo potenzialmente. Da ciò dipende il seguente corollario: “qualsiasi comportamento verso l’opera d’arte, compreso il Restauro, dipende dall’avvenuto riconoscimento o no dell’Opera d’Arte come Opera D’arte”. Ma se il comportamento verso l’opera d’arte è legato strettamente al giudizio di artisticità, anche la qualità dell’intervento sarà determinata da tale giudizio. Al contrario dei manufatti industriali, L’OPERA D’ARTE CONDIZIONA IL RESTAURO, GIAMMAI L’OPPOSTO. Riguardo il riconoscimento, rispetto agli altri manufatti, l’opera d’arte si pone in una duplice Istanza: (1) L’ISTANZA

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ESTETICA che risponde al fatto basilare dell’artisticità; e (2) L’ISTANZA STORICA che le compete come prodotto umano attuato in un certo tempo e luogo e che in un certo tempo e luogo si trova. Non è necessario aggiungere l’Istanza dell’utensilità. L’aver ricondotto il Restauro in rapporto diretto con il riconoscimento dell’Opera d’Arte, permette di darne la definizione: 1° PRINCIPIO DEL RESTAURO:

“Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica in vista della sua trasmissione al futuro”. Dal punto di vista del riconoscimento, il lato artistico ha la prevalenza, mentre dal punto di vista conservativo, è il lato fisico che ne assicura la trasmissione nel futuro. Si vuole eccettuare l’opera d’arte, con la sua specificità che l’indagine storica e critica rivela, rispetto all’innumerevole serie di manufatti che rinviano alla creatività dell’uomo. La Consistenza Fisica deve necessariamente avere la precedenza perché rappresenta il luogo stesso della manifestazione dell’immagine e ne assicura la trasmissione al futuro, ovvero la possibilità di quella rivelazione. Visto quindi l’importanza primaria della consistenza fisica, si pone immediatamente l’imperativo categorico della Conservazione (che tuttavia si presenta come un restauro preventivo), si rivolge in primo luogo alla consistenza materiale in cui si manifesta l’immagine. La CONSERVAZIONE si snoda su una gamma infinita che va dal semplice rispetto, all’intervento più radicale, sempre con lo sforzo massimo affinché possa durare il più a lungo possibile. Donde si chiarisce il primo e fondamentale assioma: 1° ASSIOMA:

“Si restaura solo la materia dell’opera d’arte” Ma i mezzi fisici a cui è affidata la trasmissione dell’immagine, non sono affiancati a questa, sono anzi ad essa coestintivi, non c’è la materia da una parte e l’immagine dall’altra. Tale assioma implica l’indispensabile coinvolgimento della conoscenza scientifica e tecnica intorno ai materiali costitutivi delle opere, è inoltre fondamentale perché sancisce il principio che il restauro non può interferire minimamente sui significati dell’opera che sono molteplici e indefinibili; la qualificazione di un’opera dipende dalla possibilità di lettura che offre l’interazione tra scelte materiali e tecniche, una organizzazione semantico-funzionale, struttura formale realizzata. Qualora le condizioni di un’Opera si rivelino tali da esigere il sacrificio di una parte di quella sua consistenza materiale, il sacrificio o comunque l’intervento dovrà essere compiuto secondo l’ISTANZA ESTETICA, e sarà questa istanza, la prima in ogni caso, perché la singolarità dell’opera d’arte rispetto agli altri prodotti non dipende dalla sua consistenza materiale o dalla duplice storicità, ma dalla sua artisticità, donde, una volta perduta questa, non resta che un relitto. D’altro canto, non può essere sottovalutata nemmeno l’istanza storica che è duplice:

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la prima è l’atto della creazione e fa capo all’artista, e la seconda è l’insistere nel presente della coscienza dell’opera, e fa capo al tempo e al luogo dove in quel momento viene riconosciuta come opera d’arte. Il periodo intermedio tra la creazione e il presente che continuamente si sposta in avanti nel tempo, sarà costituita da altrettanti presenti storici, che sono divenuti passato, ma del cui transito l’opera dovrà aver conservato le tracce. L’ISTANZA STORICA, si riferisce ad entrambi le storicità. Il contemperamento delle due istanze rappresenta la dialettica del restauro proprio in quanto momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte come tale. Detto ciò si può enunciare il secondo principio del Restauro: 2° PRINCIPIO DEL RESTAURO:

“Il restauro deve mirare al ristabilimento della unità potenziale dell’opera d’arte, purchè ciò sia possibile senza commettere un falso artistico o un falso storico, e senza cancellare ogni traccia del passaggio dell’opera d’arte nel tempo”

2. LA MATERIA DELL’OPERA D’ARTE

Il fatto che i mezzi fisici di cui ha bisogno l’immagine per manifestarsi, rappresentino un mezzo e non un fine, non deve esimere dall’indagine di che cosa costituisca la materia rispetto all’immagine. Sarà necessaria una conoscenza scientifica nella sua costituzione fisica solo nel momento in cui si procederà all’intervento di restauro, ma preliminarmente e soprattutto rispetto al Restauro, va definito che cosa sia la materia in quanto rappresenta contemporaneamente il tempo e il luogo del Restauro. Nel caso di un dipinto su tavola, in cui la tavola sia talmente porosa/tarlata da non offrire più un supporto conveniente, la pittura sarà la materia come aspetto, la tavola materia come struttura. In questo caso specifico, la distinzione tra aspetto e struttura sarà molto evidente, occorre considerare l’opera d’arte come un unicum. Un altro esempio: un edificio gettato a terra da un terremoto e che, nella grande quantità degli elementi superstiti e nelle testimonianze autentiche, si presti tuttavia ad una ricostruzione od anastilosi. In questo caso, l’aspetto non può essere considerato solo la superficie esterna dei conci, ma questi dovranno rimanere conci, non solo in superficie. Tuttavia la struttura muraria interna potrà cambiare per garantirsi da futuri eventi sismici, e perfino la struttura interna delle colonne, se ve ne siano, o delle travature. Molti errori funesti sono dipesi dal fatto che non si era indagata la materia dell’opera d’arte nella sua bipolarità di aspetto e struttura. Una radicata illusione ha fatto considerare come identici, ad esempio, il marmo ancora non resecato da una cava, e quello che è divenuto statua: mentre il marmo non resecato possiede solo la sua costituzione fisica, e il marmo della statua ha subito la trasformazione radicale d’essere veicolo di una immagine, si è storicizzato per dato e fatto dell’opera dell’uomo, e fra il suo sussistere come carbonato di calcio e il suo essere immagine, si è aperta una incolmabile discontinuità. Chi allora crede, per il solo fatto di avere identificato la cava dove fu tratto il materiale di un monumento antico, di essere autorizzato a trarne ancora per un rifacimento del monumento stesso, ove di rifacimento si tratti e non di restauro, si vedrebbe giustificata la sua pretesa dal fatto che la

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materia è la stessa: LA MATERIA NON SARA’ AFFATTO LA STESSA, ma in quanto storicizzata dall’opera attuale dell’uomo, a questa e non alla più lontana epoca apparterrà, e, per quanto chimicamente la stessa, sarà diversa e arriverà ugualmente a costituire un falso storico ed estetico. Un altro errore è considerare la materia quella che genera o comunque determina lo stile. Un simile sofisma deriva dalla mancata distinzione della struttura dall’aspetto e dall’assimilazione della materia in quanto veicolo della forma, alla forma stessa. Si veniva in definitiva a considerare l’aspetto che la materia assume nell’opera d’arte come funzione della struttura. La distinzione basilare dell’aspetto dalla struttura può arrivare talora ad una dissociazione tael che l’aspetto preceda paradossalmente la struttura, ma solo in quei casi in cui l’opera d’arte non appartenga al novero di quelle dette figurative, come la poesia e la musica, nelle quali la scrittura, - che peraltro non è il mezzo fisico proprio a quelle arti, ma il tramite – fa precedere, e sia pure in aspetto simbolico, l’aspetto all’effettiva produzione del suono della nota o della parola.

3. L’UNITA’ POTENZIALE DELL’OPERA D’ARTE

Il secondo principio postulato per il Restauro, contempla il ristabilimento dell’unità potenziale dell’opera d’arte. L’Opera è nel mondo e ne avviene la ricezione di una coscienza. Solo allora, dovendosi attuare un intervento di Restauro, che si pone il problema se all’opera d’arte è da attribuirsi l’unità dell’intero o del totale. Se infatti l’opera non dovesse concepirsi come un intero, dovrebbe considerarsi come un totale, e in conseguenza risulterebbe composta di parti. Tale opera può effettivamente presentarsi come composta da parti, fino al punto che, come in un polittico, queste possono materialmente staccarsi l’uno dall’altra, in quanto originariamente concepite come staccate. Ma si faccia il caso di un’opera che, diversamente da u polittico o da un pezzo di oreficeria, sia composta da parti che, prese singolarmente, non abbiano nessun valore di forma, come per esempio le tessere di un mosaico o i conci di una architettura, questi, una volta sciolti dalla concatenazione formale, rimangono inerti e non trattengono nessuna traccia dell’unità in cui erano stati cementati dall’artista. In questo caso limite, l’opera non può essere considerata come un totale, ma bensì come un intero. Secondo il Restauro si deduce che, se l’unità che compete all’opera d’arte è quella dell’intero e non del totale, anche se fisicamente frantumata, dovrà continuare a sussistere potenzialmente come un tutto in ciascuno dei suoi frammenti, e questa potenzialità sarà esigibile in proporzione diretta alla traccia formale superstite del frammento. Ove materialmente l’opera d’arte risulti divisa, si potrà cercare di sviluppare la potenziale unità originaria che ciascuno dei frammenti trattiene proporzionalmente alla sopravvivenza formale ancora recuperabile in essi. Riguardo agli interventi integrativi, questi devono sottostare a entrambi le istanze, estetica e storica, che, nel reciproco contemperamento, dovranno determinare il momento in cui si dovrà arrestare l’intervento e il modo di contemperarlo per evitare una offesa estetica o un falso storico. Da qui, tre principi fondamentali: 1) l’integrazione deve essere sempre e facilmente riconoscibile; l’integrazione deve restare invisibile alla distanza, ma immediatamente riconoscibile non appena si proceda ad una visione ravvicinata;

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la materia dellopera d’arte è insostituibile in quanto è aspetto e non per tutto quanto è struttura; 3) ogni intervento di Restauro, non deve rendere impossibili, anzi deve facilitarne i futuri. Si pone quindi con quest’ultimo il problema delle Lacune. Una lacuna è fenomenologicamente una interruzione del tessuto di un opera. Alla mutilazione dell’immagine, si aggiunge una svalutazione intrinseca all’immagine, per cui ne soffrono anche le parti intatte. La prima soluzione empirica, fu quella della tinta neutra, ma tale soluzione fa acquisire autonomia alla lacuna che invece dovrebbe essere ricostruita per ridare unità all’opera ma che, come le parole tra parentesi quadra in filologia letteraria, dovrà essere sempre riconoscibile ad occhio nudo. La lacuna non deve comporre con i colori del dipinto, cosicché compaia sempre ad un livello diverso da quello del dipinto stesso: o più avanti o più indietro. Se appare una macchia su un vetro posto davanti ad un dipinto, questa macchia, che pure toglie visibilità di quel che c’è sotto, come una lacuna, poiché è percepita ad un livello diverso da quello del dipinto, fa percepire la continuazione del dipinto al di sotto della macchia. Perciò, se otterremo di dare alla lacuna una colorazione che invece di accordarsi, o di non eccellere sui colori del dipinto, se ne stacchi violentemente nel tono e nella luminosità, se non nel timbro, la lacuna funzionerà come la macchia sul vetro: farà percepire la continuazione della pittura al di sotto della lacuna. Questa soluzione, per quanto escogitata d’intuito, ha ricevuto l’avvallo e la spiegazione della Gestalt-psychologie, in quanto appunto mette afrutto un meccanismo spontaneo della percezione.

4. IL TEMPO RIGUARDO ALL’OPERA D’ARTE E AL RESTAURO

Già si è chiarito che è duplice la storicità dell’opera d’arte, ora può essere puntualizzato con maggiore precisione che 3 sono i tempi da tenere in considerazione affinché l’intervento di Restauro possa inserirsi legittimamente sull’opera d’arte. Il primo tempo consiste nella 1° STORICITA’: è la durata dell’estricazione durata dell’estricazione dell’opera d’arte mentre dell’opera d’arte mentre viene formulata dall’artista; viene formulata dall’artista; il secondo abbraccia 2° STORICITA’: abbraccia l’intervallo che intercede l’intervallo che intercede tra la fine del processo fra la fine del processo creativo e il momento in cui la nostra coscienza attua la ricezione dell’opera d’arte. Il creativo e il momento in cui la nostra coscienza periodo intermedio tra la creazione e questo presente attua la ricezione dell’opera d’arte; il terzo storico, che si sposta continuamente in avanti, sarà tempo, infine, consiste nella ricezione medesima costituito da altrettanti presenti storici che son diventati della coscienza. Molti interventi dannosi, sono passato, ma del cui transito l’opera dovrà avere conservato le tracce; derivati dal fatto del non aver riconosciuto i tre tempi e di aver considerato il tempo dell’opera 3° STORICITA’: è la ricezione medesima della coscienza. d’arte come il presente storico. È chiaro che in nessun modo, l’intervento di Restauro può reinserirsi nel momento della formulazione dell’opera. Problemi sottili propone invece la seconda storicità; sembrerebbe infatti che il lasso di tempo che intercorre tra la creazione e il presente storico, non possa rientrare nella considerazione dell’opera d’arte come oggetto estetico. Nella sua fisicità, l’opera d’arte può avere subito particolari alterazioni durante questo lasso di tempo. Queste alterazioni dovranno essere considerate alla luce delle due istanze, ma non potranno mai dar luogo alla pretesa di inserire l’intervento di

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restauro su questo secondo tempo. Tuttavia questo tipo di restauro è stato fatto, e si chiama Restauro di Ripristino, che vuole appunto abolire il lasso di tempo fra la conclusione dell’opera d’arte e il presente. Esclusi i primi due tempi, l’unico momento legittimo per l’azione di restauro è quello del presente stesso della coscienza del ricevente. Il restauro, per essere legittimo, non dovrà presumere né il tempo come reversibile, né l’abolizione della storia. L’intervento di Restauro è esso stesso un intervento storico, per il fatto di essere azione umana e di inserirsi nel processo di trasmissione dell’opera d’arte al futuro. Questa esigenza storica, dovrà tradursi non solo nella differenza delle zone integrate, ma nel rispetto della patina che può concepirsi come lo stesso sedimentarsi del tempo sull’opera, e nella conservazione di campioni dello stato precedente al Restauro.

5. IL RESTAURO SECONDO L’ISTANZA DELLA STORICITA’

Il Rudere è il caso limite della perdita dell’unità potenziale dell’immagine, per il quale l’unico imperativo è unicamente la corretta ed efficace conservazione delle sue vestigia materiali. Con Rudero, non si definisce una mera realtà empirica, ma si enuncia una qualifica che compete a cosa che sia pensata simultaneamente sotto l’angolo della storia e della conservazione, e ciò non solo e limitatamente alla sua consistenza astante, ma nel suo passato, da cui trae il suo unico valore la sua presenza attuale in se priva o scarsissima di valore, e nel futuro a cui deve essere assicurata: donde, non potrà dirsi Rudere se non cosa che testimoni di un tempo umano, anche se non sia esclusivamente riferibile ad una forma perduta e ricevuta dall’attività umana. In tal senso non potrebbe chiamarsi rudero il carbon fossile, in quanto avanzo di una foresta preumana, o lo scheletro di un animale antidiluviano, ma lo sarà la querce secca alla cui ombra stette il Tasso, o se esistesse, il sasso con cui David uccise Golia. Rudere è tutto ciò che testimonia della storia umana, ma in un aspetto assai diverso e quasi irriconoscibile rispetto a quello originario. L’opera d’arte, ridotta allo stato rudero, vede dipendere per la massima parte la sua conservazione, quale rudero, dal giudizio storico che la involge, donde la sua equiparazione, sul piano pratico, ai prodotti dell’attività umana che non furono d’arte, ma che, pur nella loro attuale inefficienza, mantengono almeno una parte del loro potenziale storico, che nell’opera d’arte, con la fatiscenza delle vestigia estetiche, appare invece come il risultato di una declassazione. Il restauro rivolto al rudero non può essere che consolidamento e conservazione dello status quo (INTERVENTO DIRETTO secondo le pratiche proprie del restauro preventivo). Accanto all’intervento diretto, vi è un INTERVENTO INDIRETTO che interessa lo spazio-ambiente del rudero, e che per l’architettura diviene problema urbanistico e per la scultura, problema di presentazione e ambiente. Ma il problema cruciale, secondo l’istanza storica, consiste nella conservazione o nella rimozione delle aggiunte e in secondo luogo nella conservazione o nella rimozione dei rifacimenti. La ricostruzione, il ripristino non sono neppure da trattarsi in tema di restauro; l’attività di restauro deve quindi iniziare proprio dove l’opera d’arte finisce, e cioè da quel momento limite in cui l’opera d’arte, ridotta a vestigia, sta per ricadere nell’informe; l’aggiunta sarà tanto peggiore quanto più si avvicinerà al rifacimento, e il rifacimento sarà consentito quanto più si allontanerà dall’aggiunta e mirerà a costruire un’unità nuova su quella vecchia. Dal punto

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di vista storico, l’aggiunta e l’interpolazione subita da un’opera d’arte,non è che una nuova testimonianza del fare umano e del transito dell’opera nel tempo: in tal senso l’aggiunta non interferisce da quello che è il ceppo originario, e ha gli stessi diritti di essere conservata. La rimozione, seppure risulti un’atto dovuto, in realtà è la distruzione di un documento. Dal punto di vista storico, anche la conservazione della patina, come conservazione di quel particolare offuscamento che la materia riceve attraverso il tempo ed è quindi testimonianza del tempo trascorso, non solo è auspicabile, ma tassativamente richiesta.

6. IL RESTAURO SECONDO L’ISTANZA ESTETICA

Nel caso in cui un rudero si colleghi ad un’altra opera d’arte da cui riceve e a cui impone una speciale qualificazione spaziale, bisogna inevitabilmente considerare la sua importanza estetica. In alcuni casi, l’opera d’arte mutila ridiscende ad oggetto costitutivo (e così, nel seicento vennero comprese e utilizzate le rovine romane nel giardinaggio e nel paesaggio). È perciò sbagliato credere che ogni colonna spezzata possa essere legittimamente rialzata, quando invece l’ambiente dove questo dovrebbe accadere ha raggiunto storicamente e esteticamente un assestamento che non deve essere distrutto, ne per la storia, ne per l’arte. Il rudero, anche per l’istanza estetica, non deve essere trattato come rudero, e l’azione da compiere deve restare conservativa e non integrativa.

“l’aggiunta può contemplare o può svolgere, soprattutto in architettura, funzioni diverse da quelle iniziali; nell’aggiunta non si ricalca, si sviluppa piuttosto, s’innesta. Il rifacimento invece tende a riplasmare l’opera, interviene nel processo creativo originario, rifonde il vecchio e il nuovo così Da non distinguersene e da abolire o ridurre al minimo l’intervallo di tempo che distacca i due monumenti”. L’aggiunta, è da conservare in modo regolare, mentre è eccezionale la sua rimozione, il rifacimento, poiché tende generalmente a costituire un falso storico, non ha legittimità alcuna nell’operazione di restauro, a meno che la sua rimozione non comporti un danno per l’originale. Posto che la trasmissione dell’immagine avviene per dato e fatto della materia, e che il ruolo della materia è d’essere trasmittente, permettendo all’immagine di giungere allo spettatore, la materia in se e per se non dovrà mai fare aggio sull’immagine, ma restare ad essa subordinata. Anche la determinazione e i limiti della pulitura delle superfici di un manufatto di rilevanza artistica, e il mantenimento della patina, sono affrontati alla luce della stessa dialettica. Sia per l’istanza estetica, che per quella storica la pulitura trova il suo limite invalicabile nel rispetto della patina, che è nel segno del passaggio del tempo sui materiali costitutivi dell’opera, con le conseguenti modificazioni che essi assumono, ma è anche, dal punto di vista estetico quella impercettibili sordina posta alla materia, che si vede costretta a tenere il suo rango più modesto nel senso dell’immagine. Legata al mantenimento della patina, è per Brandi la necessità di salvaguardare, nella pulitura, tutti i materiali costitutivi, comprese le vernici originali, fossero esse colorate o no e le ultime finiture a velatura.

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7. LO SPAZIO SECONDO L’OPERA D’ARTE

8. IL RESTAURO PREVENTIVO

L’opera d’Arte, in quanto figuratività, si determina in una autonoma spazialità che è la clausola stessa della realtà pura. Questa spazialità arriva allora ad inserirsi nello spazio fisico che è il nostro stesso spazio. Ma proprio questa condizione di non partecipazione nello spazio, costituisce per l’opera d’arte la fonte di una infinità di problemi relativi, non alla sua spazialità, che è definita una volta e per sempre, ma proprio al punto di sutura fra questa spazialità e lo spazio fisico. Il primo intervento che noi dovremmo considerare, non sarà quello diretto sulla materia stessa dell’opera, ma quello volto ad assicurare le condizioni necessarie a che la spazialità dell’opera non sia ostacolata al suo affermarsi entro lo spazio fisico dell’esistenza. Attaccare o staccare un quadro dalla parete, togliergli o mettergli una cornice, mettere o levare un piedistallo ad una statua, aprire uno spazio o un largo, sono tutte operazioni di restauro e naturalmente non solo come atti positivi, anzi, il più delle volte decisamente negativi come quelli contrassegnati dallo smontaggio o rimontaggio in altro luogo di una architettura.

Non bisogna cascare nell’errore di considerare il restauro preventivo come profilassi che, attuata come una vaccinazione, possa immunizzare l’opera d’arte nel corso del suo tempo. L’opera d’arte risulta composta da un certo numero e quantità di materia, che per un imprecisato e imprecisabile concorso di circostanze, possono subire alterazioni di vario genere; la possibilità di prevenzione di queste alterazioni, dipende proprio dalle caratteristiche fisico e chimiche delle materie. Il concetto di restauro preventivo, rispetto alla semplice prevenzione, ha una accezione più ampia, che non può prescindere dal “riconoscimento dell’opera d’arte”. Questo toglie il restauro dall’empirismo dei procedimenti, e lo assimila alla critica d’arte e alla conoscenza scientifica. Pertanto, è solo a titolo pratico che si distingue un restauro preventivo da uno effettivo eseguito sul dipinto, in quanto, l’uno e l’altro, valgono per l’unico e indivisibile imperativo che la coscienza si pone all’atto del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua doppia istanza estetica e storica. Il restauro preventivo è anche più imperativo, se non più necessario di quello di estrema urgenza, perché è volto proprio ad impedire quest’ultimo, il quale difficilmente potrà realizzarsi con il salvataggio completo dell’opera. Con ciò si sono già definite tre grandi direzioni di massima che potranno convogliare le indagini relative all’attuazione pratica delle misure preventive, cautelative, proibitive. Il restauro delle pitture e dei manufatti artistici tende ad identificarsi sempre più col puro intervento conservativo dei materiali originari costitutivi. Ricapitolando, quello che Brandi chiama restauro preventivo è una serie di provvidenze e attenzioni di salvaguardia ambientale e fisica delle opere di interesse artistico al fine di evitare, per quanto possibile, l’intervento di restaur vero e proprio, comunque da considerarsi soluzione ultima e non priva di possibili conseguenze traumatiche.

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Tra le critiche alla teoria del restauro, si rimprovera al Brandi, una visione elitaria che avrebbe del restauro, per nulla attenta al tessuto storico e culturale minore. Per l’architettura, ad esempio, la specificità del restauro si deve ricollegare alla funzionalità che deve essere necessariamente mantenuta; ma la funzione d’uso è caratteristica propria anche di un dipinto, di un oggetto di oreficeria, di una scultura. Secondo i critici quindi, l’estensione della metodologia elaborata da Brandi, alla problematica architettonica, come accade nell a”carta del restauro” del 1972, peccherebbe di eccessivo rigorismo causato da una troppa meccanica assimilazione, dai principi derivanti dalla conoscenza, dall’esperienza, dalla specificità del restauro degli oggetti d’arte. Anche per gli archeologi, i limiti della teorizzazione formulata da brandi derivano dall’essere irrimediabilmente estraneo all’archeologia per diversità di referenti e ottica disciplinare, al punto da non considerare quanto sarebbe frutto di più recenti riflessioni e preoccupazioni e di climi culturali diversi dal suo presunto idealismo.

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LA FALSIFICAZIO NE

Si fraintende in genere la falsificazione come storia dei metodi di fabbricazione dei falsi, invece che allontanarsi dal giudizio del falso. Ciò che risulterà subito esplicito è che il falso non è falso finché non viene riconosciuto per tale, non potendosi infatti considerare la falsità come una proprietà inerente all’oggetto, in quanto che, anche nel caso limite in cui la falsità si faccia consistere precipuamente in una diversa consistenza materiale, come per le monete, la falsità risulta comparativamente alla lega che compone le monete autentiche, ma la diversa lega in se non è falsa, è genuina. Sicche fu giudicato delittuosa la fabbricazione di sterline che avevano la stessa

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Cesare Brandi – “La teoria del Restauro” (1963) ed. Einaudi

percentuale aurea delle stelline autentiche, nonché una assoluta identità di conio, ma la cui falsità dipendeva dal fatto che non erano uscite dalla zecca inglese e che la sostituzione dei falsari, in questa attività, non poteva non essere bollata dalla legge, nonché non vi fosse nessuna frode nel peso dell’oro. Pertanto la falsità si fonda sul giudizio. si riconosce nel giudizio di falsità un giudizio problematico, col quale ci si riferisce alle determinazioni essenziali che il soggetto dovrebbe possedere e non possiede, ma che invece si pretenderebbe che possedesse, onde nel giudizio di falsità si stabilisce la non congruenza del soggetto al suo concetto, e l’oggetto stesso è dichiarato falso. Era indispensabile premessa riconoscere come la falsità stia nel giudizio e non nell’oggetto, in quanto non si giustificherebbe altrimenti come uno stesso oggetto, senza variazioni di sorta, possa essere considerato imitazione o falsificazione, a seconda della intenzionalità con cui fu prodotto o fu messo in circolazione. Si possono dare perciò tre casi fondamentali: 1) produzione di un oggetto a somiglianza o a riproduzione di altro oggetto, oppure nei modi o nello stile di un determinato periodo storico o di determinata personalità artistica, per nessun altro fine che una documentazione dell’oggetto o il diletto che s’intende ricavarne; 2) produzione di un oggetto come sopra, ma con l’intento specifico di trarre altrui in inganno circa l’epoca, la consistenza materiale, o l’autore; 3) l’immissione nel commercio o comunque diffusione dell’oggetto, anche se non sia stato prodotto con l’intenzione di trarre in inganno, come di un’epoca autentica, di epoca o di materia, o di fabbrica, o di autori, diversi da quelli che competono all’oggetto in se. Al primo di questi casi corrisponde la copia e l’imitazione. Il secondo e il terzo caso individuano le due accezioni fondamentali del falso. Solo nella fattispecie, potrà allora distinguersi il falso storico dal falso artistico, che nel falso storico finisce per presentarsi come una sottospecie, dato che ogni opera d’arte è anche monumento storico, e dato che l’intenzione di trarre in inganno è identica nei due casi. In conclusione, la storia della falsificazione dovrà farsi tenendo in conto le copie e le imitazioni, non soltanto le falsificazioni certe, e ciò non solo per la sostanziale identità dei procedimenti impiegati, in un caso e nell’altro, ma per altri due ordini di ragioni: la difficoltà a provare il dolo, che è essenziale per il giudizio di falso; l’impossibilità di escludere, anche nei periodi più remoti della civiltà, un’intenzionale produzione di falsi, dato che le civiltà è altresì sinonimo di commercio e dunque di una scala, per rozza che sia, di valori sui quali immediatamente si esercita la malizia umana.

LA CARTA DEL RESTAURO 1972

1931 – Conferenza internazionale di Atene per il Restauro; lo stesso anno, in Italia, viene elaborato un documento chiamato “Carta del Restauro” le cui norme, sebbene rivolte ai monumenti, potevano facilmente essere estese a tutte le altre opere. Tuttavia tale documento, non ebbe mai efficacia vincolante, ne venne mai recepito in una legge. Ne diversamente avvenne quando, coscienti della necessità di condurre il restauro con precisi criteri tecnici e metodologici si creò, nel 1938, l’Istituto Centrale del Restauro a Roma e si incaricò una commissione ministeriale di elaborare delle norme unificate che abbracciassero tutte le arti figurative, poiché le metodologie suggerite dal primo, e le norme elaborate dalla seconda, furono solo

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Cesare Brandi – “La teoria del Restauro” (1963) ed. Einaudi

saltuariamente osservate, e non certo da tutto il paese, dove spesso continuarono a esistere tenaci tradizioni locali. Dopo gli anno cinquanta, la prassi operativa dell’ICR, la lucida teorizzazione di Brandi, l’acquisita consapevolezza che i beni culturali costituiscono un patrimonio comune, e quindi devono essere tutelati in modo uniforme, portò alla formulazione di nuove norme deontologiche sfociate in un documento chiamato la “Carta del Restauro” emanato nel 1972 per il quale: 1) RESTAURO è considerato ogni attività volta a prolungare il più a lungo possibile, la vita di un’opera d’arte; 2) Viene privilegiata la PREVENZIONE, ovvero dei provvedimenti che non implichino interventi diretti sull’opera. La TERAPIA PREVENTIVA tesa ad impedire il restauro; 3) Sono PROIBITE le alterazioni e la rimozione delle patine, mentre sono AMMESSE le aggiunte di parti accessorie con funzione statica; le puliture non devono giungere mai alla nuda superficie della materia, e devono rispettare, in caso di pitture, patine ed eventuali vernici antiche.

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