Cap. 2.2 - Strabismi Latenti. Le Eteroforie
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Gli strabismi e le anomalie della motilità oculare...
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GLI STRABISMI
Riccardo Frosini
Struttura Organizzativa Dipartimentale Complessa di Oftalmologia Pediatrica Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi - Firenze
Mattia Pasti
Struttura Organizzativa Dipartimentale Complessa di Oftalmologia Pediatrica Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi - Firenze
Strabismi latenti. Le eteroforie
Saverio Frosini
Struttura Organizzativa Dipartimentale Complessa di Oftalmologia Pediatrica Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi - Firenze
Considerazioni generali Negli strabismi convergenti (esotropie) o divergenti (exotropie) l’angolo di deviazione può essere più o meno variabile a seconda dei momenti, delle modalità di esame, dell’impiego di lenti e così via, ma una deviazione degli assi visivi è costantemente presente e con essa anche le anomalie sensoriali ad essa associate (soppressione, corrispondenza retinica anomala, assenza di stereopsi fine, eventualmente ambliopia). La deviazione può essere talora evidente, tal altra invece quasi del tutto assente, ma anche in tale condizione le anomalie sensoriali permangono: in tal caso parleremo quindi di eterotropie intermittenti. Queste, pertanto, rientrano dal punto di vista fisiopatologico, diagnostico e terapeutico nell’ambito delle eterotropie: ne tratteremo comunque brevemente anche in questo capitolo, in particolare per quanto riguarda la diagnostica differenziale e il trattamento. Nelle eteroforie (o strabismi latenti), invece, la condizione usuale è quella di un normale alline-
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amento degli assi visivi sull’oggetto fissato con rapporti sensoriali binoculari normali: soltanto impedendo la normale fusione (mediante cover test, schermi traslucidi o vetro rosso denso) si evidenzia la deviazione oculare. Soltanto in rari casi in presenza di eteroforie di ampiezza molto elevata a spesso presenti si può rilevare una più o meno evidente ambliopia, più frequente se concomita una anisometropia, ma con rapporti binoculari normali. La condizione detta di ortoforia, in cui l’allineamento degli assi visivi si mantiene anche in assenza di stimolo fusivo, è più spesso ideale piuttosto che reale, tanto che le eteroforie (strabismi latenti) possono essere considerati una condizione parafisiologica, tale è la loro prevalenza nella popolazione normale che si calcola essere dell’ordine del 70-80%. La posizione di riposo degli occhi, intesa come la posizione che i bulbi assumono in assenza di stimolazione visiva (nel buio, dietro a schermi traslucidi, nel “sognare ad occhi aperti”), è solitamente in lieve divergenza o, meno frequentemente, in lieve convergenza. Le più frequenti eteroforie si svolgono sul piano orizzontale: in convergenza (esoforie) o in divergenza (exoforie), ma si possono riscontrare anche in verticalità (iperforie o ipoforie destre o sinistre a seconda che l’ostacolo alla fusione induca un innalzamento o un abbassamento dell’OD o dell’OS), ovvero intorno all’asse antero-posteriore (incicloforia se l’asse verticale dell’occhio occluso si inclina in senso nasale, excicloforia se in senso temporale) (Figura 1). Nella patogenesi delle eteroforie sembrano giuocare un ruolo rilevante tre tipologie di elementi: anatomici, accomodativi e innervazionali, talora da soli, più spesso variamente combinati fra loro. I fattori anatomici (talora definiti anche “statici) sono legati alla conformazione dell’orbita e del suo contenuto, alla disposizione della muscolatura estrinseca e delle sue inserzioni bulbari, alla struttura dell’apparato ligamentare e fasciale che fra loro variamente combinati impongono ai bulbi oculari, in assenza di fusione, una posizione di riposo da Bielschowsky definita “relativa”. I fattori accomodativi possono essere alla base di un’eteroforia nel caso siano non corretti (o non adeguatamente corretti), o in presenza di
Figura 1. (a) ortotropia; (b) ortoforia, (c) esoforia OD; (d) exoforia OD; (e) iperforia OD; (f) ipoforia OD; (g) incicloforia OD; (h) excicloforia OD
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una anomalia del rapporto fra accomodazione e convergenza di origine accomodativa (rapporto AC/A). Ipermetropie ipocorrette possono indurre un’esoforia, miopie non corrette una exoforia; un eccessivo rapporto AC/A può essere responsabile di una esoforia più marcata per vicino, e così via. Meno ben definiti i cosiddetti fattori innervazionali, che comprendono sia elementi quali anomalie della fusione sensoriale o della coordinazione motoria binoculare, sia componenti psicogene o più chiaramente legate allo stato di salute generale e allo stress. Negli scorsi decenni c’è stato un ampio confronto fra ricercatori a proposito del possibile ruolo della cosiddetta disparità di fissazione nella patogenesi delle eteroforie. La disparità di fissazione è una condizione che si riscontra anche nella visione binoculare normale quando, in presenza di fusione periferica, piccoli stimoli presentati separatamente alle due fovee non vengono localizzati nello stesso punto, ma in punti diversi e distanti fra loro pochi minuti di arco sia in esodisparità che in exodisparità. Nel primo caso si avrebbe una tendenza all’esoforia, nel secondo alla exoforia, ma niente di conclusivo è stato definitivamente stabilito. La grande maggioranza delle eteroforie è del tutto asintomatica: si ammette che soltanto il 10% degli strabismi latenti provochi sintomi che ne consigliano il trattamento. Questo elemento riveste in clinica una grande importanza: si assiste sovente infatti alla erronea imposizione di terapie riabilitative in pazienti con eteroforia del tutto priva di sintomi con conseguente inutile
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impegno di risorse e, talora, con la messa in evidenza in pazienti psicologicamente labili, di una condizione latente precedentemente del tutto ignorata.
Esoforia Nell’esoforia (strabismo latente convergente), i meccanismi fusivi in divergenza correggono continuamente la tendenza spontanea degli assi visivi a convergere inviando opportuni stimoli alla muscolatura oculare estrinseca. L’eliminazione dello stimolo fusivo ostacola questa correzione e, di conseguenza, la deviazione si fa evidente. In condizioni abituali il paziente esoforico ha una visione binoculare del tutto normale e gli assi visivi appaiono paralleli. Nella maggior parte dei bambini la perdita dell’allineamento oculare diviene evidente soltanto eseguendo il cover-test sia alternante che monolaterale. Il test crea una situazione nella quale lo spostamento dell’occlusore non lascia alla fusione l’opportunità di restaurare il parallelismo degli assi visivi e quindi si evidenzia l’esodeviazione (Figura 2). Questa si ripristina invece quando l’occlusore viene allontanato (Figura 2). Si tratta di una condizione che, come abbiamo visto, è solitamente del tutto asintomatica e che non necessita di alcun trattamento. Più raramente l’esoforia si scompensa spontaneamente in uno strabismo evidente. Ciò può avvenire, in particolare, in caso di stress, di stati febbrili, di affaticamento eccessivo o in presenza di un
Figura 2. Esoforia. In visione binoculare c’è ortotropia (a), l’interposizione dello schermo traslucido di Spielmann (b) interrompe la fusione e fa comparire l’esodeviazione dell’OD
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vizio refrattivo ipermetropico misconosciuto o inadeguatamente corretto. L’esoforia diventa allora frequentemente sintomatica, poiché il paziente è costantemente sottoposto ad uno sforzo per mantenere la visione binoculare. I tratti della sintomatologia sono quelli tipici dell’astenopia, con cefalea, senso di tensione retrobulbare, arrossamento oculare, talora diplopia. In tal caso può essere indicato un idoneo trattamento. Le esoforie possono mostrare un angolo uguale per lontano e per vicino (tipo basale), un eccesso di convergenza con deviazione più marcata da vicino oppure un deficit di divergenza con deviazione più evidente per lontano.
Principi di terapia delle esoforie Nel tipo basale si rivela spesso utile la correzione di un’eventuale, anche se modesta, ipermetropia e dell’astigmatismo sovente ad essa associato, prescrivendo la massima correzione tollerata rispetto a quella cicloplegica. Negli eccessi di convergenza di tipo ipoaccomodativo è fondamentale la correzione con bifocali, o meglio mediante lenti progressive, da ridurre gradualmente nel tempo, ma un simile trattamento può rivelarsi utile anche in presenza di una accomodazione normale. Si possono prescrivere anche opportuni esercizi ortottici, sia al sinottoforo che nello spazio, intesi a migliorare la capacità fusionali, ma i loro risultati sono spesso poco soddisfacenti e solitamente temporanei. Si possono usare i prismi a base esterna di entità appena inferiore alla deviazione per lontano (nel deficit di divergenza) o alla deviazione per vicino negli eccessi di convergenza, da ridurre gradualmente nel tempo. Nei casi ribelli e particolarmente fastidiosi è possibile ricorrere alla chirurgia. Solitamente l’intervento consiste in una recessione bilaterale dei retti mediali negli eccessi di convergenza, ma si può ricorrere ad interventi monolaterali combinati di recessione/resezione sull’occhio che maggiormente converge, privilegiando la recessione del mediale negli eccessi di convergenza e il rinforzo del laterale nei deficit della divergenza. Il criterio di guarigione è la rarefazione o l’annullamento della deviazione spontanea (più raramente anche al cover test monolaterale) e
il mantenimento dei normali rapporti sensoriali binoculari.
Esotropia intermittente Il bambino affetto da esotropia intermittente è in realtà uno strabico, nel quale l’angolo di deviazione è talora così piccolo da essere inapprezzabile. Il più spesso si tratta di microtropie che intermittentemente si scompensano in tropia ad angolo ben visibile anche ad occhi profani. In condizioni di ortotropia (assi visivi apparentemente paralleli), però, la visione binoculare non è perfetta, la stereopsi (valutata con Stereotest a punti aleatori, tipo Lang, TNO o Random dot E test) è assente, ai vetri striati di Bagolini si riscontra CRAA (Corrispondenza Retinica Anomala Armonica) con un piccolo scotoma foveale dell’occhio deviato. In condizioni di esodeviazione evidente si riscontra talora una doppia corrispondenza retinica anomala, più spesso c’è invece soppressione. L’acuità visiva dell’occhio che devia è generalmente ridotta rispetto all’occhio fissante e pertanto necessita di trattamento antiambliopico. Raramente questi pazienti sono sintomatici, è assai più frequente che siano i genitori a riferire la presenza di una deviazione oculare che va e che viene, specie da vicino o quando il bambino è più stanco o ammalato. Principi di terapia delle esotropie intermittenti Il trattamento consiste nella correzione dell’ipermetropia che spesso si riscontra, nell’impiego di lenti bifocali o progressive se la deviazione per vicino si riduce con una lente positiva di potere più elevato, mentre sono del tutto inefficaci gli esercizi ortottici. Qualche volta si assiste ad un progressivo miglioramento spontaneo della deviazione fino all’adolescenza, talora invece la situazione gradualmente peggiora e la deviazione diviene costante. Si può ricorrere alla chirurgia se ogni altro trattamento risulta inefficace e i periodi di esotropia sono molto frequenti e disturbanti o se, come può avvenire, la deviazione diviene permanentemente manifesta. La scelta cade su una miopessia retroequatoriale (Fadenoperation) sui retti interni se è presente un eccesso di convergenza, mentre si può ricorrere ad una banale recessio-
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ne/resezione se l’angolo per lontano e per vicino sono uguali. Il dosaggio dell’intervento si basa sulla misura dell’angolo massimo, misurato con l’eventuale correzione. Il criterio di guarigione è la rarefazione o l’annullamento della deviazione spontanea (più raramente anche al cover test monolaterale), la isoacuità o comunque una anisoacuità con visus normalizzato nell’occhio dominato, ma con la persistenza dei preesistenti rapporti sensoriali binoculari anomali.
Exodeviazioni latenti Mentre le esoforie compaiono con frequenza relativamente scarsa, le exoforie risultano invece essere molto più frequenti e per questa ragione costituiscono il capitolo più rilevante delle eteroforie. Le stesse exodeviazioni nella maggioranza dei casi (circa l’80%) non si presentano affatto in modo costante, bensì con un andamento intermittente. A periodi più o meno lunghi in cui la deviazione è manifesta si alternano periodi in cui gli occhi appaiono perfettamente ortotropici. Si riconoscono due tipi di deviazioni periodiche: l’exoforia propriamente detta e l’exotropia intermittente (indicata anche in letteratura come exoforia-tropia). Come vedremo più avanti non è affatto escluso (anzi secondo molti è frequente) il passaggio dalla prima alla seconda: per questa ragione dedicheremo congruo spazio ad ambedue le forme.
Exoforia L’exoforia è un’exodeviazione mantenuta allo stato latente dalla riserva di convergenza fusionale: la rottura della fusione comporta la messa in evidenza della deviazione (Figura 3). La sua comparsa è precoce. Spesso i pazienti che poi svilupperanno un’exotropia intermittente e, in seguito, anche costante, sono stati in precedenza exoforici. L’entità della deviazione può essere maggiore per lontano e per vicino o uguale per lontano e per vicino, analogamente a quanto vedremo per le exotropie intermittenti, ma in genere l’incomitanza di lateralità è meno netta. Il punto prossimo di convergenza (PPC) può
Figura 3. Exoforia. In visione binoculare c’è ortotropia (a), l’interposizione dello schermo traslucido di Spielmann (b) interrompe la fusione e fa comparire l’exodeviazione dell’OS
essere normale o allontanato, per questo il suo valore ha scarso significato nella diagnosi di exoforia. Le ampiezze di fusione in convergenza possono essere sia notevoli che scarse, mentre quelle in divergenza sono solitamente normali. In fase di parallelismo è presente una fusione bifoveale e si mette in evidenza una stereopsi normale anche con i test più fini. Come già sottolineato più volte questo è un carattere distintivo importante con l’exotropia intermittente. Durante la fase della deviazione è spesso presente diplopia o visione sfuocata ed il paziente si lamenta con frequenza di forti disturbi astenopici. Questi sono correlati con un circolo vizioso che sovente si instaura. Avviene che per fondere le due immagini e non vedere doppio, il paziente exoforico ricorre alla convergenza accomodativa quando ha esaurito le sue risorse di convergenza fusionale, in particolare se queste non sono molto sviluppate. Nel far questo, l’eccesso di accomodazione che così si esercita provoca un an-
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Figura 4. Il circolo vizioso che provoca i forti disturbi astenopici del paziente exoforico
nebbiamento visivo. A questo punto il soggetto rilascia l’accomodazione (e quindi la convergenza accomodativa) per tornare a vedere nitidamente. Conseguentemente torna a vedere doppio e così il circolo vizioso riprende (Figura 4). Talora l’exoforia tende a divenire manifesta soprattutto nella visione per lontano. Questa condizione è presente anche nel bambino, ma solitamente non risulta molto fastidiosa. Lo diventa invece nel giovane adulto, specie in condizioni di luminosità eccessivamente elevata o, inversamente, in condizioni crepuscolari o notturne. Questo crea particolare disturbo durante alcune attività, come ad esempio la guida di veicoli, attività sportive come il giuoco del calcio o del tennis. Se, come spesso avviene, l’exoforia è maggiore e più frequente per vicino, il disturbo diviene invece evidente anche nel bambino. Mentre leggono, questi piccoli pazienti soffrono di lacrimazione e di bruciori oculari e spesso chiudono un occhio per eliminare la diplopia. Sovente smettono di leggere a causa di una sonnolenza che fa seguito alla sintomatologia descritta. Tutto questo rischia di incidere sfavorevolmente anche sul rendimento scolastico e necessita quindi di un adeguato trattamento. La valutazione clinica delle exoforie necessita di un esame strabologico approfondito che non prevede soltanto il cover test alternante e monolaterale per lontano e per vicino, ma anche una accurata misura delle ampiezze fusionali in convergenza.
I pazienti che mostrano una sintomatologia più marcata per vicino, devono essere sottoposti anche ad una precisa determinazione delle ampiezze accomodative e quindi del punto prossimo di accomodazione per riconoscere la eventuale presenza di una sottoclasse specifica di insufficienze di convergenza, quella chiamata ipoaccomodativa. Poiché questa forma, a differenza della più frequente insufficienza di convergenza primitiva (o motoria), non risponde al trattamento antisoppressivo e agli esercizi di convergenza fusionale, è opportuno riconoscerla per poter pianificare opportunamente la terapia. L’insufficienza di convergenza ipoaccomodativa si presenta di solito in adolescenti o giovani adulti. Sostanzialmente questi pazienti risultano affetti dalla combinazione di un deficit primitivo dell’accomodazione e secondario della convergenza. Essi sono talora la fase finale di una esotropia con eccesso di convergenza di origine ipoaccomodativa: nelle fasi iniziali il paziente presenta per lontano un angolo nullo o una lieve foria in eso o in exo, per vicino una netta esoforia-tropia. Questa è dovuta al tentativo di reclutare la massima accomodazione possibile, con conseguente eccesso di convergenza secondario. Spontaneamente o a seguito di un trattamento (per loro di grande sollievo soggettivo) con lenti bifocali o progressive, al momento della iperconvergenza segue la fase del totale “rifiuto di accomodare”, e quindi del totale “rifiuto di convergere” (Figura 5). Per inciso, per quanto possa sembrare parados-
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Figura 5. Il circolo vizioso che crea forti disturbi astenopici nell’insufficienza di convergenza
sale, l’unica terapia proponibile è proprio l’uso di lenti bifocali, all’inizio associata a prismi base nasale da ridurre gradualmente, per poi passare ad una progressiva riduzione anche dell’addizione bifocale, riduzione che però non è sempre ben tollerata. Per la diagnosi di insufficienza di convergenza primitiva (o motoria) è necessario impiegare uno specifico test, la misurazione del PPC (punto prossimo di convergenza) soggettivo ed obiettivo. Il PPC obiettivo si misura facendo fissare al paziente una sorgente luminosa puntiforme, che viene avvicinata ai suoi occhi lungo la linea mediana finché questi divergono. Con un righello appoggiato al margine orbitario temporale si misura la distanza alla quale avviene questo fenomeno (Figura 6). Il PPC soggettivo si misura nello stesso modo, ma ponendo davanti all’occhio dominante del paziente un vetro rosso. Inizialmente egli vedrà un’unica sorgente luminosa rossastra, ma, avvicinandogliela ulteriormente, ad un certo punto egli percepirà due luci, una bianca ed una rossa, in diplopia crociata. Il valore della distanza a cui ciò avviene, misurata con il solito righello, sarà la misura del PPC soggettivo. Normalmente i due PPC hanno valori simili che si aggirano fra 50 e 100 mm, mentre nell’insufficienza di convergenza motoria il PPC soggettivo è più lontano dagli occhi rispetto all’oggettivo. La differenza fra i due valori misurati potrà offrire una valutazione grossolana della gravità del deficit di convergenza. In genere l’efficacia della
terapia è inversamente proporzionale alla gravità del deficit. Spesso il valore del PPC obiettivo è normale nell’insufficienza di convergenza, per cui la sua determinazione non ha grande valore diagnostico se non integrata del soggettivo. Le ampiezze fusionali per vicino sono invece sempre ridotte, per cui assumono un valore diagnostico rilevante.
Figura 6. Misurazione del punto prossimo di convergenza (PPC) oggettivo: si chiede al paziente di fissare al una sorgente luminosa puntiforme, che viene avvicinata ai suoi occhi lungo la linea mediana. Con un righello appoggiato al margine orbitario temporale (a) si misura la distanza alla quale la convergenza diviene impossibile e gli occhi divergono (b)
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Principi di terapia delle exoforie Come regola generale, se il paziente con exoforia è asintomatico, non si richiede alcun trattamento, avendo ovviamente corretto accuratamente l’eventuale ametropia. Se invece il paziente presenta dei sintomi, il trattamento dipende dalla natura dei sintomi stessi e dal loro comparire per lontano, per vicino, o per ambedue le distanze di fissazione, e inizia sempre con una precisa valutazione e correzione dell’ametropia. È nel trattamento delle exoforie che gli esercizi ortottici trovano il loro maggiore e più efficace campo di applicazione. In genere si iniziano in ambiente ospedaliero per poi proseguire su istruzioni dell’ortottista-assistente di oftalmologia anche a domicilio. Nel caso più comune, quello dell’insufficienza di convergenza in cui il paziente possiede un’ampiezza accomodativa normale per l’età, si assegnano prismi a base esterna di entità tale da consentire una visione singola. Il paziente fissa una mira posta progressivamente più lontano finché riesce a mantenerne un’immagine singola. Con il prisma davanti ad un occhio e il filtro rosso davanti all’altro, il paziente si esercita ad avvicinarsi sempre più alla mira mentre cerca di farla rimanere singola. Se la sintomatologia si presenta solo per lontano, si possono ancora impiegare i prismi, da aumentare gradualmente iniziando con un prisma inferiore di 3-5 D rispetto alla deviazione per lontano.
Un altro efficace tipo di esercizio per l’insufficienza di convergenza è la lettura con la barra. Il soggetto tiene un oggetto verticale, come ad esempio una matita, a mezza via fra gli occhi ed il testo da leggere. Se fonde, vede la pagina tutta intera, se invece sopprime, improvvisamente parte della pagina gli scompare, coperta dalla matita. La cognizione della diplopia fisiologica può essere impiegata come strumento antisoppressivo: il paziente deve soltanto essere istruito a visualizzare la immagine in diplopia crociata della matita. Uno strumento molto semplice che consente di effettuare efficaci esercizi, in particolare per vicino, è la cosiddetta plaquette, messa a punto da Jaqueline Mawas e, in sostituzione della barra per la lettura, ma utilizzabile anche per lontano, la lunette licorne della stessa autrice. Gli esercizi di convergenza associati con tecniche antisoppressive devono essere ripetuti per cicli di almeno 10 minuti ciascuno per tre volte al giorno. Il paziente deve essere rivisto a intervalli di un mese. Se i risultati degli esercizi non consentono l’eliminazione dei problemi legati all’insufficienza di convergenza, possono essere prescritti prismi a base interna: questi devono avere il minimo potere necessario per raggiungere una visione binoculare senza astenopia. In alternativa si possono prescrivere esercizi di salto in convergenza che si fondano sulla percezione della diplopia fisiologica (Figura 7).
Figura 7. Esercizio del “salto in convergenza” nel trattamento dell’insufficienza di convergenza. Il paziente guarda il campanile (b) e vede il francobollo in diplopia crociata, guarda il francobollo (c) e vede il campanile in diplopia omonima
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Il paziente osserva un oggetto ad alcuni metri di distanza e, contemporaneamente, tiene il braccio teso davanti a sé con in mano una matita o un altro piccolo oggetto di fissazione. Vedrà così l’oggetto come singolo e la matita, invece, doppia. A questo punto gli si richiede di spostare lo sguardo sulla matita: vedrà allora semplice la matita e doppio l’oggetto lontano. La matita può essere sostituita vantaggiosamente da un dischetto di carta colorata incollato sul vetro di una finestra. Si ripete il ciclo per 25 volte, cercando ad ogni ciclo di avvicinare sempre di più la matita (o di avvicinarsi sempre di più al dischetto applicato al vetro). Gli esercizi di convergenza associati con tecniche antisoppressive devono essere ripetuti per cicli di almeno dieci minuti ciascuno per tre volte il giorno. Oltre a risentire positivamente dell’uso dei prismi, le exoforie con pseudoeccesso di divergenza sono probabilmente l’unico tipo di exodeviazione in cui possono essere impiegate con successo anche le lenti negative, in particolare quando il rapporto AC/A è elevato. Si possono aggiungere lenti da -2.00 a -4.00 D alla correzione del vizio refrattivo. Queste debbono essere portate per periodi assai lunghi (oltre un anno) e poi ridotte con estrema gradualità. Se la fusione è robusta, come talora accade, i risultati possono essere anche definitivi. Facendo riferimento alla fotofobia, all’effetto dissociante della luce intensa e ad alcuni studi epidemiologici che hanno messo in relazione le exodeviazioni con un soleggiamento medio elevato, sono state impiegate anche lenti scure: i risultati, per quanto riguarda l’entità della deviazione, sono stati modesti nel lungo periodo, ma la capacità di controllo sulla deviazione in presenza di luce intensa ed il comfort dei pazienti sono spesso migliorati apprezzabilmente, per cui la loro prescrizione può essere utile, almeno all’aperto e nei mesi estivi. Abbiamo già accennato in precedenza al possibile impiego di prismi e lenti bifocali nel trattamento dell’insufficienza di convergenza ipoaccomodativa. Molto raramente, e solo in casi particolarmente ribelli, oppure se i prismi necessari risultano di potere troppo forte, si può ricorrere alla chirur-
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gia anche per la correzione delle exoforie, ma i risultati non sempre sono completamente soddisfacenti: spesso è necessario sovradosare la chirurgia fino ad ottenere una esotropia con diplopia omonima della durata di alcune settimane per raggiungere un risultato utile e duraturo nel tempo. Ovviamente non tutti i pazienti (e non tutti i chirurghi!) sono disposti a ciò.
Exotropia intermittente Definita anche come exoforia-tropia, in particolare nella letteratura francese, si presenta, nella fase in cui la deviazione è presente, con un angolo variabile, un’incomitanza di lateralità, una corrispondenza retinica anomala armonica (o una soppressione se la deviazione è importante). Durante la fase del parallelismo (e qui sta uno dei caratteri fondamentali della diagnostica differenziale con le exoforie), non c’è fusione bifoveolare per soppressione centrale e la visione stereoscopica è molto debole. Questo significa che la risposta può essere normale a test di stereopsi grossolana di tipo naturale che coinvolgono anche la periferia retinica come il test delle due matite, ma sono assenti le risposte agli stereoscopi a punti aleatori senza riferimenti fusionali, come lo Stereotest di Lang, il TNO, il Random dot E test. Questi pazienti non si lamentano solitamente di disturbi astenopici che sono eventualmente lievi e non presentano diplopia neppure transitoria. Uno dei disturbi che si presentano con maggiore frequenza è la fotofobia: quando la luce è intensa compare una exotropia evidente ed essi tendono a serrare l’occhio dominato. La ragione di questo comportamento è spesso riferita alla comparsa di diplopia, ma non ci sono elementi certi che suffraghino tale ipotesi. È comunque probabile che la luce intensa abbagli la retina riducendo così i poteri fusionali e facendo il tal modo comparire la deviazione. I principali elementi diagnostici derivano dall’impiego del cover-test e della misura del rapporto AC/A eventualmente integrati dal test dell’occlusione prolungata. Il cover-test monolaterale è la tecnica di elezione nelle exotropie intermittenti, e deve essere eseguito a 33 cm, a 5 metri, ed anche utilizzando riferimenti molto lontani, osservabili da una fine-
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stra, come la punta di un campanile, una torre lontana, un albero solitario. Per mettere in evidenza le eventuali forme alfabetiche e le incomitanze di lateralità, il cover test deve essere eseguito anche nello sguardo in alto, in basso e nelle lateroversioni. Lo si esegue meglio facendo muovere la testa al paziente nelle direzioni opportune piuttosto che spostando la mira di fissazione. La misura del rapporto AC/A è preferibilmente eseguita con il metodo della eteroforia: data PD la distanza interpupillare in centimetri, v e l le deviazioni, rispettivamente, per vicino e per lontano misurate al cover test monolaterale e D la distanza del punto di fissazione da vicino in diottrie sferiche, si applica la formula AC/A=PD+ (v – l /D). Tale metodo è più indicato rispetto all’usuale metodo del gradiente in cui la differenza fra le deviazioni per lontano e per vicino viene misurata addizionando la correzione del paziente con una lente di +3,00D. Con tale metodo, infatti, non si interrompono i legami fusionali, cosa che avviene invece con il metodo dell’eteroforia. Occorre eseguire il test usando ottotipi per vicino (eventualmente per illetterati) controllando sempre che il soggetto veda nitidamente il carattere o la figura fissata. Nel bambino si rivelano assai utili il cubo e la stecca di fissazione di Lang (Figura 8). Le exodeviazioni periodiche sono caratterizza-
Figura 8. Il cubetto (a) e la stecca di fissazione (b) di Lang
te, al pari delle exoforie, da un comportamento dell’angolo in visione da lontano ed in visione da vicino molto differenziato, e da queste differenze dipende in buona parte il loro trattamento. Sulla base del cover-test prismatico si possono distinguere quattro forme cliniche: • deviazione indifferente, quando l’angolo è uguale da lontano e da vicino: probabilmente si tratta della condizione di più frequente riscontro nella pratica clinica; • eccesso di divergenza quando l’angolo per lontano supera quello per vicino di più di 15 diottrie. Questa forma è in realtà abbastanza rara (sembra che non interessi più del 5% dei casi), mentre in molto spesso, come vedremo, basta il test di occlusione prolungata per rendersi conto che si tratta in realtà di uno pseudoeccesso di divergenza; • pseudoeccesso di divergenza, si tratta di soggetti di tipo a), cioè con angolo per lontano uguale a quello per vicino, che traggono però vantaggio da un meccanismo accomodazioneconvergenza intatto. Questo consente loro di avere un angolo minimo o nullo per vicino, mentre presentano una deviazione molto evidente per lontano allorché rilasciano completamente l’ accomodazione. Per consentire la diagnosi differenziale fra eccesso di divergenza vero e pseudo eccesso di divergenza, essenziale per decidere sulla terapia, in particolare quella chirurgica, si usa il test dell’occlusione prolungata (cosiddetto di Marlow, meglio di Scobee-Burian). Questo consiste nel bendare per 1 o 2 ore un occhio e nel misurare l’angolo al cover-test prismatico prima e dopo il bendaggio. Quando si misura la deviazione dopo il bendaggio occorre scoprire l’occhio bendato avendo già posto l’occlusore impiegato per il cover-test sull’altro per evitare che la fusione modifichi nuovamente la situazione. In circa il 50% dei pazienti questo test svelerà una deviazione per lontano molto simile a quella per vicino escludendo così l’ipotesi di un eccesso di divergenza vero. • insufficienza di convergenza, quando l’angolo per vicino supera l’angolo per lontano di un valore superiore a 15. Questa condizione si ritrova in letteratura in proporzioni molto va-
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riabili che vanno dal 10% al 50%, in parte forse per le diverse tecniche diagnostiche, ma in parte forse per le diverse caratteristiche etniche (sembrano più frequenti negli Stati Uniti che in Europa, e probabilmente più frequenti nella razza nera che in quella bianca forse a causa della diversa conformazione delle orbite). Certamente i soggetti di razza caucasica vanno più frequentemente incontro all’esotropia mentre quelli di razza asiatica hanno un tasso di exodeviazioni nettamente più elevato. Principi di terapia delle exotropie intermittenti Anche l’exotropia intermittente necessita, come primo passo, della correzione della eventuale ametropia. Possiamo tentare di aiutare la fusione con esercizi anti-soppressivi, il più semplice (e probabilmente anche il più efficace) dei quali è l’occlusione temporanea dell’occhio dominante. Essa risulta particolarmente utile negli eccessi di divergenza veri e negli pseudo eccessi di divergenza ove si ottengono risultati anche molto buoni e talora duraturi mediante una occlusione di 3-4 ore al giorno dell’occhio dominante per 3-4 mesi. Il trattamento può essere eventualmente ripetuto, specie nei casi in cui sia presente anche una moderata ambliopia. L’unico rischio é, in particolare nell’adulto, di annullare totalmente lo scotoma di soppressione e di provocare una diplopia che, in assenza di un’adeguata fusione, diventa difficile da dominare sia con i prismi che con la chirurgia. Per questa ragione l’occlusione non deve essere protratta a lungo se inefficace. Nei bambini più piccoli, entro il 3° - 4° anno, possono essere impiegati utilmente i prismi. Questi vengono prescritti a base interna, di valore appena minore dell’angolo di deviazione e ridotti progressivamente: si cerca cioè di far leva sulla convergenza fusionale, legata ad una binocularità presente in particolare in periferia, per ridurre l’angolo di deviazione. Talora i risultati sono positivi, ma nella maggior parte dei casi, solo temporanei. Molto discusso, come abbiamo già accennato all’inizio di questo capitolo, è l’impiego di un’addizione negativa alla correzione schiascopica del bambino: in questo caso è sulla convergenza accomodativa che si tenta di far leva per ridur-
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re la deviazione. L’addizione negativa può essere usata nei casi di pseudoeccesso di divergenza, dove cioè è in giuoco un elevato rapporto AC/A, ma i risultati sono sovente scarsi, temporanei e ottenuti spesso a prezzo di disturbi astenopici altrimenti assenti. Il suo impiego è più spesso indicato nelle divergenze consecutive postoperatorie, ove è necessario un costante controllo, ma con possibili risultati definitivi. Il ruolo degli esercizi di convergenza, storicamente considerati una panacea, deve essere ricondotto a più giuste proporzioni. La loro fortuna è soprattutto legata all’insufficienza funzionale idiopatica di convergenza, una condizione nelle quale gli occhi per lontano sono perfettamente ortoforici ed in cui il disturbo, spesso con evidente sintomatologia astenopica, si presenta soltanto da vicino. Si tratta di solito di giovani, spesso donne, che traggono dal trattamento ortottico risultati rapidi e duraturi. Si potrebbe pensare, quindi, di poterli applicare con successo anche nei soggetti che presentano exotropie intermittenti con deficit di convergenza nei quali, infatti, mantengono una parziale efficacia. Si tratta però di pazienti in cui, oltre al deficit di convergenza è presente anche un deficit della fusione, legato alla deficitaria cooperazione bifoveale, che impedisce di mantenere i risultati ottenuti se non ripetendo gli esercizi anche tre o quattro volte l’anno. Spesso, anche nelle exotropie intermittenti, la correzione definitiva consiste in un atto chirurgico. Prima di effettuarlo è necessario astenersi per almeno 3 mesi da ogni terapia che imponga una convergenza forzata (esercizi di convergenza, prismi a potere decrescente, lenti negative) perché una contrattura dei retti mediali porterebbe ad una sottostima dell’angolo di deviazione, con conseguente rischio di sottocorrezione o di recidiva a breve distanza di tempo. Gli esercizi antisoppressivi, come l’occlusione, e gli esercizi di fusione vicino all’angolo oggettivo potranno invece rivelarsi utili nello stabilizzare i risultati della chirurgia. Principi di trattamento chirurgico delle exodeviazioni periodiche Le exodeviazioni periodiche possono essere ope-
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GLI STRABISMI E LE ANOMALIE DELLA MOTILITÀ OCULARE
rate anche a scopo funzionale per creare le condizioni per una ripresa della visione binoculare e per eliminare, o almeno di ridurre, i disturbi astenopici così frequentemente presenti. Nei tipi con deviazione indifferente (nei quali cioè l’angolo per lontano e quello per vicino si equivalgono) oppure negli pseudo-eccessi di divergenza valgono in genere le regole che si impiegano per correggere le exodeviazioni costanti. In caso di eccesso di divergenza, cioè quando l’angolo misurato da lontano è maggiore di quello misurato per vicino, l’intervento più indicato è la recessione bilaterale dei retti esterni. Per angoli compresi fra 10° e 15° si effettuerà una recessione bilaterale di 5.5 mm, fra 15° e 20° di 6.06.5 mm, fra 20° e 25° di 7.0-7.5 mm, fra 25° e 30° di 8.00 mm. Al disopra di tali valori si dovrà prendere in considerazione una resezione graduata (1mm = 1.6°) del retto mediale dell’occhio dominato, che potrà essere eventualmente anche rinviata ad un secondo tempo operatorio. In caso di insufficienza di convergenza, l’azione sarà diretta a rinforzare i retti mediali mediante resezione del loro tendine, tenendo come regola che 1mm di resezione bilaterale corrisponde ad un effetto motorio di 3° o 4°. La resezione bilaterale dei retti interni è l’intervento di elezione anche in caso di exoforia-tropia, talora anche in casi ribelli di exoforia. Occorre però ricordare che, nella maggioranza dei casi di exoforia, ne deve conseguire una diplopia omonima (in caso contrario il risultato è quasi certamente insufficiente a lungo termine), della quale il paziente
deve essere avvertito e che richiede l’impiego di prismi base esterna o l’impiego di una sovracorrezione positiva nel periodo postoperatorio immediato. Le recidive sono sempre possibili, anche di fronte a indicazioni corrette e tecniche chirurgiche adeguate. Sembra che un trattamento ortottico con esercizi che stimolano la convergenza (prismi, lenti negative, sinottoforo) possa essere utilmente impiegato in caso di recidiva iniziale, ma la nostra esperienza è piuttosto negativa in tal senso e talora, a distanza di anni, si rivela indispensabile una seconda chirurgia.
Iperforia Meno frequenti delle eso- ed exoforie sono le forie verticali. Quando in condizioni dissociate l’OD apparirà più alto parleremo di iperforia destra (o ipoforia sinistra, o iperforia OD/OS), viceversa di iperforia sinistra (o ipoforia destra, o iperforia OS/OD) con OS più alto (Figura 9). La sintomatologia, se presente, comporta spesso diplopia verticale intermittente ed astenopia. La diagnosi differenziale va posta con la deviazione verticale dissociata (DVD) in cui è assente la visione binoculare, la condizione è frequentemente bilaterale anche se asimmetrica e spesso è reliquato di una eso- o exotropia precoce operate o, comunque, corrette. La diagnosi differenziale va posta inoltre con i deficit paretici di verticalità compensati dalla fusione: in questi non si osserva alternanza dell’iperforia, sovente è presente visione binoculare e la deviazione è
Figura 9. Iperforia. In visione binoculare c’è ortotropia (a), l’interposizione dello schermo traslucido di Spielmann (b) interrompe la fusione e fa comparire l’iperforia dell’OD
Capitolo 2 • Gli strabismi |
solitamente di forte intensità. In genere la fusione verticale è modesta e completamente sfruttata per mantenere l’allineamento oculare in condizioni normali e pertanto è difficile fare conto su un suo ulteriore aumento mediante esercizi ortottici. Solitamente entro le 10-12 Δ si impiegano prismi verticali. Al disopra di tale entità si ricorre alla chirurgia dopo esatta valutazione del quadro motorio.
Cicloforia Come abbiamo accennato, si definisce come incicloforia quella condizione in cui la rottura della fusione provoca una rotazione del polo superiore della cornea verso l’interno e come excicloforia quando il polo superiore della cornea ruota temporalmente. La sintomatologia è soli-
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tamente di tipo astenopico, più raramente domina la diplopia. Solitamente la patogenesi risiede in un deficit dell’obliquo superiore o dell’obliquo inferiore, talora, invece, si riscontra un astigmatismo mal corretto per quanto riguarda l’asse. In questo caso, a cui occorre pensare in sede di diagnosi differenziale, la soluzione consiste in una precisa correzione soggettiva dell’asse del cilindro. In caso di deficit della ciclorotazione occorre una precisa determinazione alla croce di Maddox del quadro clinico. Nel caso coesista un’importante componente verticale in posizione primaria, si può cercare di migliorare la sintomatologia usando prismi verticali analogamente alle forie verticali. Se questi non hanno successo occorre orientarsi verso la correzione chirurgica.
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