Cap. 1.1 - Fisiologia e Fisiopatologia Della Visione Binoculare
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Gli strabismi e le anomalie della motilità oculare...
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Capitolo 1 • Due occhi e una percezione: vantaggi e limiti |
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DUE OCCHI E UNA PERCEZIONE: VANTAGGI E LIMITI
Emilio C. Campos
Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Visivo Direttore, Scuola di Specializzazione in Oftalmologia Alma Mater Studiorum – Direttore Unità Operativa di Oftalmologia Universitaria, Policlinico S. Orsola-Malpighi - Bologna
Fisiologia e fisiopatologia della visione binoculare
Laura Sapigni
Unità Operativa di Oftalmologia Universitaria Policlinico S. Orsola-Malpighi – Bologna (Dir. Prof. Emilio C. Campos)
Visione binoculare normale La visione binoculare è quella condizione caratterizzata dall’uso simultaneo di entrambi gli occhi con fissazione bifoveale. Le condizioni necessarie affinché si instauri sono • Corretta sovrapposizione dei campi visivi • Corretto sviluppo neuromuscolare • Normale sviluppo delle vie ottiche • Nitidezza e dimensioni delle immagini retiniche simili in entrambi gli occhi Un adeguato sviluppo della visione binoculare porta a notevoli vantaggi funzionali: 1. Il campo visivo binoculare è molto più ampio di quello monoculare. 2. Avendo gli occhi frontalizzati, e un’emidecussazione delle fibre dei nervi ottici, quando i due occhi funzionano assieme, esiste la possibilità di avere una fusione sensoriale. 3. Come epifenomeno, abbiamo la possibilità di percepire il senso della profondità, cioè la stereopsi. 4. La visione binoculare, un fatto sensoriale, è
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mantenuta dalla coordinazione perfetta dei vari muscoli oculomotori estrinseci, mediante aggiustamenti della posizione degli occhi. Si ha quindi anche una componente di tipo sensorio-motorio, che viene definita come fusione motoria. La trattazione classica definisce la visione binoculare come organizzata in tre livelli di complessità crescente. Sono il Grado I, II, III di Worth, ove il Grado I = percezione simultanea; il II = fusione e il III = stereopsi. Tali concetti sono oggi superati. È stato dimostrato che la percezione simultanea non è il primo “gradino” di una binocularità, poiché quando essa viene misurata entrano in gioco numerosi artifizi introdotti della tecnica strumentale impiegata, che rendono la risposta del paziente qualitativamente non sempre valida. D’altra parte la fusione (Grado II) è mal definita, poiché si può confondere la componente sensoriale con quella sensorio-motoria. Infine la stereopsi riflette sì un grado elevato di cooperazione binoculare, ma è una funzione che, di fatto, noi utilizziamo entro i 6 metri di distanza, dipendendo essa dalla distanza interpupillare.
Rappresentazione soggettiva dello spazio Presupposto per una visione binoculare singola è la definizione della localizzazione spaziale. La retina può essere divisa in un numero infinito o meglio legato al numero dei recettori retinici - di elementi retinici. Ogni elemento localizza oggetti nello spazio in un’unica direzione rispetto al campo visivo. La fovea è l’unico elemento retinico che ha il potere di localizzare gli oggetti nella posizione principale di sguardo (al centro del campo visivo). Cioè solo ciò cui guardiamo usando la fovea è visto come al centro del campo visivo steso. Tutti i punti extrafoveali localizzano gli oggetti a destra, a sinistra, in alto e in basso rispetto al centro del campo visivo (localizzazione oculocentrica). Dunque la fovea ha la direzione localizzativa principale rispetto agli altri elementi retinici. Da notare che questo avviene sia in visione monoculare, che in quella binoculare. Vedremo come questa preminenza della fovea
possa esser perduta, in visione binoculare, nello strabismo. Nella rappresentazione soggettiva dello spazio esiste anche la localizzazione egocentrica. Noi consideriamo noi stessi come al centro del nostro spazio visivo e le immagini di tutti gli oggetti che cadono sulla nostra retina ciclopica (cioè la retina teorica che combina le immagini dei due occhi) sono riproiettate mentalmente nello spazio. L’egocentro è importante per correlare lo spazio visivo alla localizzazione del corpo. Nell’egocentro viene preso a riferimento, lo ripetiamo, il corpo, mentre nella localizzazione oculocentrica è l’occhio ad essere l’elemento di riferimento. Quando si stimola la fovea, si ha la sensazione che l’oggetto che determina tale stimolazione sia disposto nella direzione verso la quale è diretta la fovea. Così, guardando dritti davanti a noi, se guardiamo a destra un oggetto, esso risulta essere a destra rispetto a noi, ecc. Ciò consente una localizzazione direzionale. Tutti i punti extrafoveali hanno una capacità localizzativa determinata dai loro rapporti geometrici con la fovea stessa. Quanto detto sopra vale in visione monoculare e in visione binoculare. Da notare che l’egocentro non è alterato neanche nello strabismo concomitante, mentre esistono delle perturbazioni dell’egocentro nello strabismo paralitico. Quando si fa fissare il paziente con l’occhio paretico, si ha un eccesso di localizzazione nel campo d’azione del muscolo paretico e richiedendo al paziente di indicare con un dito l’esatta posizione in cui si trova la mira di fissazione egli, nel campo d’azione del muscolo paretico, sbaglierà per eccesso portando il dito oltre la mira stessa (Past-pointing o test della falsa localizzazione dell’immagine); in questo caso sarà possibile avere maggiori informazioni su quale sia il muscolo paretico anche in pazienti monocoli che non accusano diplopia. Per ogni distanza di fissazione (cioè per ogni tipo di convergenza degli assi visivi) possiamo costruire una superficie fronto-parallela su cui sono i punti oggetto, le cui immagini cadono su elementi retinici dei due occhi che hanno un’identica localizzazione spaziale. Questa superficie si chiama oroptero (Figura 1) e gli elementi retinici che localizzano nella stessa direzione si di-
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cono corrispondenti. Un punto oggetto disposto sull’oroptero verrà visto binocularmente in modo singolo. Per ottenere dunque una visione binoculare singola sono essenziali due presupposti: 1. che immagini sufficientemente simili di oggetti cadano su punti retinici corrispondenti; 2. che le immagini degli oggetti siano convogliate al cervello ove queste immagini devono essere amalgamate. Tale amalgamazione si definisce fusione sensoriale.
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confusione, perché sulle due fovee cadono sostanzialmente immagini diverse. Questo sintomo è spesso correggibile mediante la soppressione dell’immagine di un occhio o meglio il soggetto è in grado di trascurare una delle due immagini. Un esempio tipico è quanto avviene durante l’oftalmoscopia diretta, quando l’esaminatore tiene aperto l’occhio davanti al quale non c’è l’oftalmoscopio, ma non è disturbato da questo fatto. La differenza di grandezza tra le immagini dei due occhi è importante per spiegare la perdita della binocularità che si ha in caso di aniseiconia. Questa situazione è dovuta al fatto che le immagini dei due occhi sono di grandezza diversa (un occhio miope con occhiale correttivo e l’altro occhio emmetrope; o un occhio afachico corretto con occhiale e l’altro fachico ed emmetrope). Noi sopportiamo un massimo di differenza di grandezza tra le immagini dei due occhi di circa il 5%. Oltre tale limite di aniseiconia, si crea una rivalità retinica che disturba la binocularità. In un bambino ciò determina la soppressione di un occhio, mentre in un adulto crea diplopia.
Stereopsi - diplopia fisiologica Figura1. L’Oroptero. I punti oggetto disposti su di esso (A, B, F) formano immagini su punti retinici corrispondenti (aa, bb, ff). Quelli al di fuori dell’oroptero, come C, incidono su punti retinici disparati (come cc1) (Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e terapia. 2002)
Quando si proietta un punto oggetto, eguale per i due occhi, su elementi retinici non corrispondenti, cioè disparati, si ha diplopia. Ciò è dovuto al fatto che gli elementi stimolati nei due occhi localizzano spazialmente in modo diverso. Ebbene, i punti oggetto che producono la sen-
Fusione sensoriale, rivalità retinica e aniseiconia Il cervello riceve impulsi dai due occhi e li trasforma in una sensazione unica. Se con degli artifizi (che vengono peraltro spesso usati nella diagnostica strabologica) si proiettano su punti corrispondenti dei due occhi immagini diverse, la fusione sensoriale non si verifica più e si ha il fenomeno della rivalità retinica. La diversità delle due immagini può essere dovuta a colore diverso, alla luminanza diversa, a contorni o dimensioni diverse. La rivalità retinica causa
Figura 2. L’Area di Panum (Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e terapia. 2002)
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sazione di diplopia sono al davanti e all’indietro dell’oroptero. Peraltro, vi è un’area ristretta al di qua ed al di là dell’oroptero, in cui vi sono punti oggetto che, pur stimolando necessariamente luoghi retinici lievemente disparati, mantengono la binocularità e inoltre forniscono il senso stereoscopico per disparità laterali: quest’area ristretta si chiama area di Panum (Figura 2). Da notare che gli oggetti al di fuori dell’area di Panum sono visti in diplopia omonima, se sono più distanti di quest’area dall’osservatore e in diplopia crociata, se sono più vicini all’osservatore. Quindi noi esperiamo continuamente diplopia. Solo non ce ne rendiamo conto. Questa diplopia è definita come fisiologica.
Fusione motoria Essa viene facilmente confusa nella letteratura strabologica colla fusione sensoriale. In realtà la fusione motoria è rappresentata da movimenti disgiuntivi o vergenze. Quando l’immagine di un oggetto cade su punti retinici non corrispondenti, cioè disparati, si ha, come detto, diplopia. Onde riportare le immagini su punti corrispondenti, si effettuano appunto dei movimenti disgiuntivi, che vengono definiti movimenti fusionali. Lo stimolo per la fusione è sensoriale, perché è costituito dalla stimolazione di punti retinici disparati che sono al di fuori dell’area di Panum. Il meccanismo che elimina la diplopia è motorio. Dunque la fusione motoria è un’entità sensorio-motoria. I movimenti fusionali si verificano in convergenza, divergenza e verticalità. Quelli in convergenza, gli unici ad essere volontari (mentre gli altri sono riflessi psico-ottici), sono i più sviluppati. La capacità di compiere un movimento fusionale efficace è legata all’entità della disparità delle immagini. Per quanto detto sopra, se le immagini di un oggetto cadono su punti retinici corrispondenti, non sarà necessario compiere un movimento fusionale. I punti corrispondenti hanno un valore motorio eguale a zero. Ad esempio le due fovee hanno un valore motorio zero. Il valore motorio tra due elementi retinici dei due occhi aumenta con la disparità. Se le immagini sono rappre-
sentate su elementi retinici con valore motorio troppo elevato, il movimento fusionale non è più efficace. C’è dunque un limite di disparità, proprio per ogni individuo, oltre il quale la fusione non raggiunge il suo scopo. Si definisce così l’ampiezza fusiva di un individuo, che ha come limite inferiore l’estensione dell’area di Panum e come limite superiore una disparità eccessiva. L’ampiezza fusiva può essere determinata usando prismi o strumenti di tipo aploscopico, cioè con strumenti che siano in grado di presentare stimoli diversi ai due occhi, che possano essere opportunamente mossi. La determinazione dell’ampiezza fusiva con prismi si fa facendo scorrere una stecca di prismi a base esterna, partendo dal prisma a potere più basso, davanti ad uno dei due occhi del soggetto e facendolo fissare un oggetto. Si determinerà il valore del prisma che induce una diplopia non compensabile. Il prisma di potere immediatamente più basso della stecca definisce l’ampiezza fusiva in diottrie prismatiche. Si può anche rilevare il punto di recupero della fusione, facendo scorrere la stecca prismatica a partire dal prisma a potere più alto e chiedendo al soggetto quando scompaia la diplopia. Questa informazione può essere utile nei pazienti con exodeviazioni, per stabilire la riuscita di un intervento. La determinazione dell’ampiezza fusiva va fatta per lontano e per vicino: il soggetto deve cioè fissare prima uno stimolo a 6 m e poi a 33 cm. L’aploscopio usato per eccellenza è il sinottoforo. Per valutare la fusione motoria con questo strumento, si muoveranno i bracci del sinottoforo dalla posizione zero e si chiederà al soggetto di riferire quando compaia la diplopia. Si leggerà la posizione del braccio spostato sulla scala graduata e si otterrà l’ampiezza fusiva del soggetto esaminato. La fusione motoria entra in gioco fondamentalmente in due casi: 1. Per mantenere l’allineamento degli assi visivi, quando si voglia tenere a fuoco un oggetto che si allontani o avvicini all’osservatore: in questo meccanismo, per quanto concerne la convergenza, entra in gioco anche l’accomodazione, che alla convergenza è legata in ma-
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niera riflessa. Una determinata entità di accomodazione (A) produrrà una convergenza accomodativa (CA). Vi è un rapporto, costante in ogni soggetto, che lega i due fenomeni e che si può scrivere CA/A. Un alterato rapporto CA/A può essere responsabile di uno strabismo, quando vi sia una deviazione per lontano inferiore a quella per vicino. 2. Per compensare uno strabismo latente, le cosiddette eteroforie. Queste situazioni sono rappresentate da una deviazione obiettiva degli assi visivi, che viene compensata dalla fusione motoria. In tal modo i soggetti eteroforici possono avere egualmente una visione binoculare singola normale. Quando però si interrompe, spontaneamente o artificialmente, la fusione motoria, la deviazione diventa manifesta e si trasforma in eterotropia.
Fisiopatologia della visione binoculare e sintomatologia L’allineamento degli assi visivi si perde per numerose cause. Qui ci interessa spiegare le alterazioni che si verificano nella visione binoculare in caso di strabismo manifesto, cioè eterotropia (particolarmente concomitante) e quali sono gli adattamenti soggettivi instaurati dal paziente strabico, per ridurre al minimo gli svantaggi della deviazione stessa.
Diplopia e confusione Quando si instaura uno strabismo concomitante o paralitico, l’individuo, bambino o adulto, ha diplopia e confusione (Figura 3). La confusione è dovuta al fatto che sulla fovea dell’occhio deviato cade un’immagine diversa da quella che colpisce la fovea dell’occhio fissante. In altre parole un occhio punta da una parte e uno dall’altra. La diplopia è dovuta al fatto che l’immagine che cade ad esempio sulla fovea dell’occhio fissante, non cade più sulla fovea dell’occhio deviato, ma su un punto extrafoveale. Questo punto, per quanto esposto prima, localizza gli oggetti nello spazio in una direzione diversa da quella della fovea. Ecco spiegato il motivo per cui si ha diplopia.
Figura 3. Confusione e Diplopia in caso di esotropia destra. La fovea di OS (f) è diretta verso un oggetto diverso da quello che incide sulla fovea di OD (f1). La fovea di OS (f) localizza in un luogo diverso dall’area extrafoveale X di OD su cui cade la stessa immagine (Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e terapia. 2002)
Soppressione Sia la diplopia che la confusione sono sintomi estremamente spiacevoli. Il bambino ha la capacità di eliminarli, mediante scotomi di soppressione (Figura 4) che si instaurano con estrema rapidità e solo in visione binoculare. Sono questi dei fenomeni di inibizione attiva che si verificano a livello corticale e fanno sì che le zone del campo visivo dell’occhio deviato che creerebbero diplopia e confusione vengano neutralizzate. È da sottolineare che la ricerca degli scotomi da soppressione va effettuata solo con tecniche che alterino in maniera insignificante le condizioni di visione abituale del paziente. Molto spesso sono stati impiegati dei metodi per mappare gli scotomi da soppressione che sono “dissocianti” secondo la definizione di Bagolini. In altre parole è spesso accaduto che uno scotoma da soppressione sia stato artificialmente provocato, mentre in realtà non era presente. Ciò avviene particolarmente con metodi d’esame della
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Figura 4. Soppressione: scotomi da soppressione, per evitare diplopia e confusione (Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e terapia. 2002)
visione binoculare che introducono forti elementi di rivalità retinica. Un dato importante è che se uno scotoma da soppressione è realmente presente, esso è in genere di tipo assoluto e non relativo. Ciò è stato dimostrato con varie tecniche, ma è anche intuitivo se si pensa che mai accade che un bambino strabico veda spontaneamente doppio in rapporto all’intensità dello stimolo.
Corrispondenza retinica anomala Oltre alla soppressione esiste anche un altro meccanismo ad azione antidiplopica, definito come corrispondenza retinica anomala (C.R.A.) che si attua soprattutto nello strabismo concomitante; è più radicato in quello congenito ed è anch’esso presente solo in visione binoculare. La C.R.A. è un adeguamento soggettivo del paziente alla deviazione strabica. Nello strabico, elementi retinici che erano corrispondenti perdono tale proprietà. Una nuova corrispondenza si instaura tra elementi retinici che erano disparati (Figura 5). Si ha cioè una variazione del potere localizzatorio degli elementi retinici dell’occhio
deviato con uno “slittamento” del potere stesso, che interessa sia la fovea che la periferia. In altre parole, le due fovee perdono il loro potere direzionale comune. La fovea dell’occhio fissante viene a corrispondere ad un’area più o meno estesa dell’occhio deviato. A sua volta la fovea dell’occhio deviato acquisisce il potere localizzatorio di un’area extrafoveale dell’occhio fissante. La finalità di tutto questo complesso riarrangiamento è inizialmente, quella di evitare la diplopia. Se, come già detto, in un paziente strabico l’immagine di un oggetto visto dalla fovea dell’occhio fissante cade su un’area extrafoveale dell’occhio deviato, in caso di esotropia, quest’area sarà nasale rispetto alla fovea. Pertanto, finché il paziente ha una corrispondenza retinica normale, localizzerà l’immagine dell’occhio deviato temporalmente rispetto a quella dell’occhio fissante (diplopia omonima). Quando si instaura una C.R.A., quest’area extrafoveale acquisisce la capacità di localizzare oggetti nello spazio nella stessa direzione della fovea dell’occhio fissante e scompare quindi la diplopia. Questo fenomeno è strettamente binoculare, poiché la localizzazione anomala scompare occludendo l’occhio fissante. La C.R.A. è - lo ripetiamo - un adeguamento soggettivo alla deviazione obiettiva. Può esistere una C.R.A. armonica ed una disarmonica. La prima sarebbe una compensazione soggettiva totale alla deviazione obiettiva, mentre la seconda sarebbe un adeguamento solo parziale. Cosa significa tutto ciò? Il paziente con corrispondenza normale localizza correttamente solo correggendo completamente la deviazione strabica, con metodi aploscopici o con prismi. Il paziente con C.R.A. armonica non vede doppio e localizza in maniera anomala con l’occhio deviato, senza nessuna correzione della deviazione, cioè nelle sue condizioni di visione abituale. Infine il paziente con C.R.A. disarmonica elimina la diplopia e ha un potere localizzatorio anomalo, solo correggendo parzialmente la deviazione strabica. Se vogliamo usare la terminologia classica, diremo che un paziente con corrispondenza normale avrà un angolo obiettivo eguale a quello soggettivo. Un paziente con C.R.A. armonica avrà un angolo obiettivo X e un angolo soggettivo eguale a zero; mentre un paziente con C.R.A. disarmo-
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nica con un angolo obiettivo X, avrà un angolo soggettivo a metà strada tra X e zero. Si credeva che la C.R.A. disarmonica fosse un tipo rudimentale di adeguamento soggettivo, non ben riuscito. In realtà si è visto che la differenza tra C.R.A. armonica e disarmonica si osserva sovrattutto al sinottoforo ed è verosimile che sia legata a caratteristiche proprie dello strumento. Noi pensiamo che questa discrepanza possa essere spiegata in altri termini. Nella C.R.A. non c’è più una corrispondenza tra un punto dell’occhio fissante ed uno dell’occhio deviato. Invece ad un punto dell’occhio fissante corrisponde un’area più o meno estesa dell’occhio deviato. All’interno di quest’area si possono verificare delle variazioni del potere localizzatorio, per cui una corrispondenza che sembrerebbe disarmonica non lo è. In altre parole se si muove un oggetto da A verso B, la sua immagine si muoverà all’interno dell’area retinica dell’occhio deviato da a verso b , mantenendo la stessa localizzazione spaziale. Se uno va a misurare la C.R.A. in termini di differenza tra angolo obiettivo e soggettivo, troverà una C.R.A. disarmonica o armonica a seconda del punto all’interno dell’area sopraddetta, sulla quale in quel momento è proiettato lo stimolo. Fino a non molti anni fa si pensava che la C.R.A. coesistesse sempre con uno scotoma da soppressione e che fosse nient’altro che un tentativo abortivo di binocularità. Bagolini e collaboratori hanno dimostrato invece che la C.R.A. è spesso l’unico meccanismo antidiplopico presente negli strabismi a piccolo angolo - senza nessuno scotoma da soppressione. Peraltro la soppressione prevale negli strabismi a grande angolo. (Questi risultati si sono potuti ottenere esaminando i pazienti con tecniche non “dissocianti”, e particolarmente usando i vetri striati).
Visione binoculare anomala La corrispondenza retinica anomala sostiene una visione binoculare anomala (così definita da Bagolini) nei pazienti con strabismo a piccolo angolo. Gli Autori francesi la chiamano “union binoculaire”. Vi è cioè una sovrapposizione anomala dei campi visivi dei due occhi, che consente una fusione sensoriale, nonostante lo strabismo. Molti di questi pazienti, se esaminati con tecniche op-
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Figura 5. Corrispondenza retinica anomala. L’area extrafoveale di OD, in caso di esotropia, ha acquisito potere localizzatorio identico a quello della fovea f di OS (Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e terapia. 2002)
portune, non mostrano di avere alcuno scotoma da soppressione. Ciò si è potuto evidenziare sia esaminando i pazienti nello spazio, (con tecniche simili a quelle impiegate per studiare l’oroptero, usate da Bagolini) che con metodi di perimetria binoculare nell’esotropia e nell’exotropia che ho impiegato io. Questi pazienti hanno un’area di visione binoculare singola simile a quella di Panum del normale. Essa fu definita pertanto da Bagolini come pseudo-area di Panum. La visione binoculare anomala peraltro, se consente una fusione sensoriale, non da però in genere la stereopsi - o se questa è presente essa è di tipo molto grossolano. Inoltre un paziente con visione binoculare anomala, sostenuta da C.R.A., che abbia uno strabismo non alternante, può divenire ambliopico, se non seguito opportunamente. Infatti non è solo il non-uso di un occhio (che si ha nella soppressione), ma anche un uso anomalo che può creare un’ambliopia.
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Compensazione dei prismi Movimenti di vergenza anomali È esperienza comune che correggendo esattamente un angolo di strabismo, particolarmente nell’esotropia a piccolo angolo, con dei prismi, si noti spesso che dopo alcuni minuti, ore o addirittura giorni, il paziente ha compensato o “mangiato” i prismi, e dimostri di nuovo la deviazione strabica iniziale. Si sa anche che accade molto spesso che un intervento chirurgico su uno strabismo a piccolo angolo è quasi del tutto inefficace, mentre la stessa entità di intervento in uno strabismo a grande angolo, porta ad un risultato molto più favorevole. Sia la compensazione dei prismi che questo meccanismo che si contrappone al buon esito della chirurgia, sono stati interpretati da Bagolini e da me come di origine fusionale motoria. La compensazione dei prismi è un tentativo che il paziente fa di tornare alla sua situazione di base, che è stata disturbata dall’applicazione dei prismi stessi. Prova ne è il fatto che la compensazione si verifica nei pazienti esotropici, non solo quando si applichino prismi a base esterna a scopi diagnostici o terapeutici, ma anche come dimostrai con Zanasi quando siano posti a base interna, in alto o in basso a livello sperimentale. È certo che questi movimenti disgiuntivi sono molto più rudimentali di quelli normali. Pure hanno con essi molte caratteristiche comuni. I movimenti disgiuntivi sopra descritti esistono prevalentemente negli strabismi a piccolo angolo, ove vi è dal punto di vista sensoriale, una C.R.A. Ecco che queste due entità, C.R.A. e movimenti disgiuntivi anomali, interagiscono per mantenere costante lo strabismo a piccolo angolo e conseguentemente la visione binoculare ano-
mala. Si può dire che la visione binoculare normale è sostenuta dal punto di vista sensoriale da una corrispondenza retinica normale e dal punto di vista sensorio-motorio della fusione motoria normale. Si potrà dire allora anche che la visione binoculare anomala è sostenuta dal punto di vista sensoriale dalla C.R.A. e dal punto di vista sensorio-motorio dai movimenti disgiuntivi anomali.
Utilità pratica della visione binoculare anomala Vediamo ora perché è importante il sapere che lo strabico, con un piccolo angolo di deviazione, ha una cooperazione binoculare, anche se di tipo anomalo. Il paziente con strabismo congenito non è in grado di acquisire una visione binoculare normale, anche dopo l’attuazione di prolungate e costose terapie. D’altra parte anche il paziente con strabismo insorto più tardivamente, in cui la terapia non sia stata attuata pochissimo tempo dopo l’insorgenza dello strabismo stesso, difficilmente riacquista una visione binoculare normale. Il motivo di tutto ciò è dovuto al fatto che una C.R.A. può essere normalizzata e i movimenti disgiuntivi anomali possono essere sradicati - però non in tutti i pazienti. Quello che è quasi impossibile ricostituire, è la fusione motoria normale. In mancanza di essa, ove gli assi visivi non siano perfettamente paralleli si rischia una diplopia a volte irriducibile se il bambino ha superato gli 8‑12 anni di età. È per questo che bisogna considerare come un buon risultato finale per uno strabico, una deviazione a piccolo angolo, esteticamente irrilevante. Infatti in tal modo il paziente potrà in ogni caso avere un “comfort” binoculare, anche se non di tipo ottimale.
BIBLIOGRAFIA
1. Campos EC. Strabismo. Manuale di diagnosi e terapia. Bononia University Press. 2002
2. Noorden GK von and Campos EC. Binocular vision and ocular motility. Mosby. 2001
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