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AL DI LA DEL DETTO
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Collana diretta da CARMINE Dr SANTE
Leggere e interpretare i grandi testi e temi dell'umanita - soprattutto quelli ebraicocristiani, patristici, dogmatici, agiografici, teologici, filosofici, poetici e letterari - significa scavarli come pozzi, perforarli come roccia, per portare allo scoperto il non detto che celano, illoro dire ancora oggi.
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LA CITTA
Prima Edizione © 2004 Seeonda Edizione © 2006 Terza Edizione © 2008 Quarta Edizione © 2009 Nuova versione rivista dall'autore
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L'origine di questa libretto e un seminario svoltosi presil Centro Sant'Apollinare di Fiesole. La registrazione delle relazioni di Massimo Cacciari e stata trascritta e sistemata, con un lungo e accurato lavoro, da Tonino Nasuto, e poi ancora rivista dal responsabile del Centro; cronologicamente, infine, si consideri che nella presente riedizione l'autore ha apportato un' ulteriore correzione al testo, integrandolo di nuovi brani che completano il senso dell' opera. Malgrado il testa conservi volutamente un certo stile 'parlato', si presenta non scevro di difficolta, dovute alla complessita del tema, che a volte sembra rasentare la contraddizione. Si tenga percio presente quanta il relatore diceva all'inizio della sua esposizione: "Fin dalle sue origini, la citta e 'investita' da una duplice corrente di 'desideri': desideriamo la citta come 'grembo', come 'madre', e insieme come 'macchina', come 'strumento'; la vogliamo 'ethos' nel senso originario di dimora e soggiorno, e insieme mezzo complesso di funzioni; Ie chiediamo sicurezza e 'pace' e insieme pretendiamo da essa estrema efficienza, efficacia, mobilita. La citta e sottoposta a contraddittorie domande. Voler superare tale contraddittorieta e cattiva utopia. Occorre invece darle forma. La citta nella sua storia e il perenne esperimento per dar forma alla contraddizione, al conflitto". so
POLIS E CNITAS: LA RADICE ElNICA E LA CONCEZIONE MOBILE DELLA CIlTA
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bene cominciare da alcune precisazioni storico-terminologiche, perche padare in generale di citta non ha molto senso. Non esiste la Citta, esistono diverse e distinte forme di vita urbana. Non a caso "citta" si dice in diversi modi. Per esempio, in latino non c'e un corrispondente del greco p6lis. La differenza tra Ie due lingue riguarda l'origine della citta ed e una differenza essenziale. Quando un greco pada di p6lis intende indicare anzitutto la sede, la dimora, il luogo in cui un determinato genos, una determinata stirpe, una gente (gens/ genos), ha la propria radice. Nella lingua greca il termine p6lis risuona immediatamente di un'idea forte di radicamento. La p6lis e quel luogo dove una gente determinata, specifica per tradizioni, per costumi, ha sede, ha il proprio ethos. In greco ethos e un termine che mostra la stessa radice del latino sedes, e non ha nessun significato semplicemente morale, come invece il mos latino. I mores latini sono tradizioni, costumi; l'ethos greco, ben prima e ben piu originariamente di ogni costume
e di ogni tradizione, e la sede, illuogo dove la mia gente ha la sua tradizionale dimora. E la p6lis e proprio illuogo dell' ethos, illuogo che da sede ad una gente. Questa determinatezza ontologiea e genealogica del termine p6lis non e presente nellatino civitas. La differenza e radicale, perche nel latina civitas, se si riflette bene, si manifesta la pravenienza della citta dal civis. I cives formano un insieme di persone che si sana raccolte per dar vita alla citta. Benveniste, il grande linguista indoeuropeo, ha messo cia bene in evidenza ancora malta tempo fa. Non esiste dunque madame la ville, come non esiste monsieur Ie capital a madame la terre. Civitas e un termine che deriva da civis, quindi in qualche modo appare come il pradotto dei cives nel lara convenire insieme in uno stesso luogo e darsi medesime leggi. Invece in greco il rapporto e assolutamente rovesciato, perche il termine fondamentale e p6lis e quello derivato e polites, il cittadino. Notare la perfetta corrispondenza fra la desinenza di polites e di civitas; ma nel secondo designa la citta, nel primo il cittadino. I ramani vedono fin dall'inizio che la civitas e cia che viene pradotto dal mettersi insieme di diverse persone satta medesime leggi al di la di ogni determinatezza etni-
ca a religiosa. Questa e un tratto assolutamente caratteristico e straordinario della Costituzione ramana rispetto a tutta la storia delle citta greche ed ellenistiche precedenti. Ed e fondamentale per intendere poi tutta la forza politica della storia ramana, l'accento politico, nel sensa nostra del termine, che domina la storia ramana. Nella civilta greca la citta e fondamentalmente l'unita di persone dello stesso genere, e quindi si puo capire come p6lis, idea che rimanda a un tutto organico, preceda l'idea di cittadino. ARoma invece fin dalle origini - e questa dice 10 stesso mito fondativo ramano - la citta e il confluire insieme, il canvenire di persone diversissime per religione, per etnie, ecc., che concordano soltanto in forza della legge. E il grande mito della Concordia ramana che domina Livia ed e a fondamento dell'intera storiografia romana. Se leggiamo, infatti, il primo libro della storia di Roma Ab urbe condita, questa concezione appare chiarissima, e dopa diventera un tema fondamentale di tutta la politologia e filosofia politica europea. II primo dio a cui viene eretto un tempio aRoma e il dio Asylum. Roma si fonda attraverso l'opera concorde di persone che erano addirittura state bandite dalle lara citta, che erano dunque esuli,
raminghi, profughi, banditi, e che confluiscono in un medesimo luogo, fondando Roma. Questo aspetto domina tutta la storia romana: l'idea di cittadinanza non ha a1cuna radice di carattere etnico-religioso. Certo c'erano gli schiavi, ma tra i liberi si e cittadini al di la di ogni distinzione di stirpe 0 di credenze. Questo e un unicum rispetto alIa storia delle citta greche ed ellenistiche prima di Roma; in seguito, attraverso l'influenza romana ,questa concezione delIa cittadinanza si diffonde anche nelle altre citta e in tutto il bacino del Mediterraneo, quando diventa "nostro". II percorso si conclude con la famosa Costituzione antoniniana di Caracalla nei primi decenni del III secolo d.C., in cui tutti i liberi che abitano nei confini dell'impero diventano cives romani, siano essi africani, dell' Asia minore, spagnoli, galli, ecc., a prescindere completamente da ogni determinatezza etnicoreligiosa. Precedentemente all'influenza romana e al suo dominio non troviamo niente di tutto questa: in nessuna delle poleis greche, dove prevale invece il pr~cipio 'appartengo a quella p6lis perche n ha sede 11 mio genos'. Ovviamente, non viene esclusa la p~ssibilita di stabilire foedera, patti fra Ie citta, ma ClascunadO ( 0' , f 1 esse CI0 e ondamentale per capire -10 -
la storia delIa Grecia) rimane sostanzialmente a se per via del radicamento di stirpe e di genere. La conseguenza e l'isolamento di ciascuna p6lis dall'altra. Ci sono Ie Olimpiadi, Ie grandi feste, e pero Ie citta greche rimangono isole, e solo per brevissimi periodi possono federarsi sotto la pressione di eventi estremi particolarmente drammatici (per esempio, all'inizio del V secolo a. C. a causa delle guerre persiane), 0 perche una di esse assume l'egemonia seppure per poco (1'egemonia ateniese dura pochissimo, quella spartana ancora menD). Vi e quindi un'impossibilita da parte delle citta greche di dar vita ad unita federate pili ampie, proprio perche ognuna non e una civitas, non puo assorbire e integrare in se il diverso. Chi nella p6lis e libero ma non appartiene al genos ha la condizione del meteco, di ospite, molto simile a quella che avevano gli ebrei e i cristiani nelle citta musulmane. A1cuni storici ritengono, infatti, che il diritto di ospitalita nelle citta musulmane, per cui esse diventano per secoli citta veramente multiculturali e multireligiose nel bacino del Mediterraneo, derivasse proprio dall'istituzione dell'ospitalita presente nelle citta ellenistiche per 10 straniero libero, completamente tollerato e riconosciuto in possesso dei propri diritti persona Ii, del-
Ie proprie tradizioni e libero di praticare il proprio culto, ma senza I'esercizio dei diritti politici. Ci troviamo dunque di fronte a questa grande distinzione che ci porta a domandarci cosa intendere per citta: darle un valore fortemente etnico oppure intenderla nel senso di civitas? Quando pensiamo alIa democrazia ateniese, non dobbiamo dimenticare che essa funzionava sulla base di un'idea etnica e religiosa, mentre nella prospettiva romana si tratta di un prod otto artificiale: cioe si diventa cittadini a pieno titolo, aventi tutti i diritti, semplicemente perche si concorda di sottostare a quelle leggi e di obbedire a quel regime: concordia ha questo significato. Naturalmente la sede Roma, l'Urbs, ha un grande valore simbolico; fa parte dei doveri imprescindibili del civis venerarla. E il centro dell'impero, dove ci sono Ie grandi istituzioni politiche (il Senato, la Repubblica e poi l'imperatore), ma non vi abita una determinata stirpe 0 razza, che in quanto tale abbia il dominio; il suo prima to non deriva in alcun modo da ragioni come quelle che facevano ritenere ad un ateniese che Atene fosse davvero il cuore, il valore fondamentale, dell'Ellade. Altra idea interessante, che nasce propno. in
questo contesto, e che la citta e "mobile" nella sua stessa essenza. Uno degli epiteti pili significativi delIa tarda romanita e appunto quella di Roma mobilis, proprio perche questa estrema dinamicita nel mito stesso delle origini Ie permette di immaginarsi e costruire il proprio mito attraverso la sintesi degli elementi pili disparati. Tutto 10 sforzo di Virgilio, tutta l'ideologia augustea, e fondata sull'idea delle origini, e Ie origini di una citta sono sempre la sua potissima pars (come e detto nel Codice di Giustiniano), la parte pili forte, perche I'origine e cia che fonda la citta. Ma Ie origini di Roma, come l'ideologia augustea Ie rappresenta, stanno appunto nella confluenza di popoli diversi; gli stessi latini non sono i nemici che vengono conquistati e sottomessi. La promessa di Zeus a Giunone e che i troiani saranno S1 i vincitori, ma poi verranno a loro volta assorbiti dalla lingua e dal nome dei latini. E Enea che si reca presso gli etruschi a pregarli per la loro alleanza: e tutta una confluenza di elementi diversi, di tradizioni e lingue diverse, ed e per l'appunto questa la civitas. Sotto una stessa idea, anzi sotto una stessa strategia (pili che un'idea fondativa), perche cia che mette insieme questi cittadini COS1 diversi non e la loro originemail fine comune. La citta proiettata
LA RADICE ETNICA E LA CONCEZIONE
nel suo futuro mette insieme i cittadini, non il passato delIa gens, non il sangue. Ci si trova insieme per perseguire un fine: percio Roma mobilis. Tutto cia e detto chiaramente nel grande poema virgiliano. Ma qual e il fine da raggiungere? La risposta e: imperium sine fine. Dai luoghi piu diversi, dall'Europa, dall' Africa e dalI'Asia, si converge concordi per permettere aRoma di espandere i suoi confini: che l'impero romano non abbia contini ne spaziali ne temporali. Impero non significa impero di polizia, dominio esercitato con Ie armi: in Virgilio impero senza fine vuol dire che Roma deve dare Ie leggi a tutto il mondo, a tutto l'orbe, che l'Urbs deve diventare cia che da Ie leggi, cia che imp one la concordia sotto la legge a tutto il mondo. Implicita in quest'idea e che cia che regge la civitas non e un fondamento originario quanto un obiettivo: si sta insieme perche attraverso la concordia prodotta con Ie nostre leggi possiamo mirare ad un grande fine, Roma mobilis. Non e esattamente questo che la Chiesa imita? Essa e la grande ed eterna costruzione del diritto r~mano; percio i Padri vedevano come provvidenzlale ~oma. La struttura giuridica delIa Chiesa e essenzlalmente romana e non puo che essere tale.
MOBILE DELLA CITrA
E grandiosa l'idea che cia che ci mette assieme, ci accomuna, non e nulla di originario, ma soltanto un fine. Ed esso non e altro che la 'globalizzazione': fare dell'orbis una urbs, affinche il cerchio magico che nelle poleis rinserrava e imprigionava dentro i confini delIa citta coincida con il cerchio del mondo, in tutta la sua dimensione spaziale e temporale. Questa e la grande idea romana ormai entrata nel DNA dell'Occidente, del tutto inestirpabile, essendo appunto diventata l'idea fondamenta Ie delIa stessa teologia politica,implicita nello spirito di missione,di evangelizzazione. Naturalmente questa mobilita puo avere successo soltanto se associata all'idea di civitas augescens,di citta che sempre cresce: altro termine chiave ed emblematico su cui a volte mi sono soffermato con gli amici romanisti, e che domina nei nostri linguaggi e nel nostro patrimonio culturale. Esso e inconcepibile rispetto alIa p6lis: leggendo Platone ed Aristotele, ci si rende conto come per loro fosse drammatico il problema di una crescita eccessiva delIa polis; come avrebbe potuto,allora, mantenersi radicata nel suo genos? Nella Repubblica e nelle Leggi di Platone, nella Politica di Aristotele il problema e quello di mantenere i caratteri spazialmente controllabili delIa p6lis, altrimenti
tutta la sua costruzione sarebbe crollata. Invece il carattere fondamentale, programmatico delIa civitas e quello di crescere; non c'e civitas che non sia augescens, che non si dilati, che non de-liri (la lira e il soleo, il segno che delimitava la citta;"delira" chi esce dalla lira, chi oltrepassa i sicuri confini delIa citta). La civitas, quindi, per sua natura e augescens, non e concepibile per un romano una civitas che non de-liri! II criterio fondamentale del genos e ineliminabiIe nella formazione delIa p6lis, anche in Platone e in Aristotele. Che la p6lis sia formata da anima Ii politici dotati di logos va da se, ma ill6gos e quel10 greco. I greci, in tutta la loro storia, sono quasi esc1usivamente monoglotti. L'impero romano e, invece, programmaticamente bilingue (questo e un tratto interessantissimo, se 10 confrontiamo con il carattere culturale dell'impero americano,almeno nella sua leadership). In tutta la letteratura greca, dal I al VI secolo d. c., non sono citati gli autori latini, non e citato Virgilio, ne Orazio, Ovidio, Lucrezio: praticamente e sostanzialmente sono quasi tutti ignoratio La cultura greca continuava a ritenere che il proprio 16gos , in quanto appartenente nei suoi vari dialetti a quel genos e caratterizzante quel genos, fosse universale proprio in quanta COSl
"radicato". COSltutt'uno con la propria "sedes", col proprio ethos (nel senso detto sopra). Cioe il 16gos aveva per i greci un significato anche etnico, non era affatto un semplice strumento per caleolare e comunicare. Non avevano aleuna concezione strumentale del linguaggio.II linguaggio era cia che Ii caratterizzava in quanto elleni nei confronti dei barbari. Non si possono scindere i due aspetti: da una parte l'ethos, dall'altra ill6gos. Uno degli elementi fondamentali dell' ethos greco e il suo linguaggio, che ha quelle caratteristiche di misura, articolazione, ricchezza, che e l'unico linguaggio che i greci, soprattutto nel V secolo, avvertono come capace di parresia (il parlare franco, libero). L'unico 16gos capace di produrre dialogos, in cui l'elemento dialogico, del convincimento, delIa persuasione, e fondamentale. Negli altri linguaggi si sentiva piuttosto il timbro del comando, delIa tirannide, 0 dell'informe, come nella grande terra asiatica, spazio geografico dell'indistinto, non organizzata per p6leis autonome, gelose delIa propria autonomia, dei propri culti, di cui sentivano la specificita. Certo che c'era l'Olimpo comune, ma non capiremmo nulla delIa mitologia greca se non sapessimo quanto era localizzata, "terri torializza ta"la sua forma (quante era-
no Ie tombe di Erac1ein giro per la Grecia, quante quelle degli altri eroi?). Questa era la Grecia: una famiglia fatta di distinzioni gelose, di differenze. E questa era la sua debolezza, per cui questo miracolo dura fino alla guerra del Peloponneso. II nomos, la legge, che ha radice terranea (nomos e il pascolo) e proprio, come hanno spiegato Schmitt e tanti altri, la spartizione dell a terra. La legge e originariamente quel processo per cui ci si divide la terra, il pascolo. Si articola la terra indistinta e 10 si fa sulla base di un logos. E chiaro che il nomos terraneo deve rispecchiare una giustizia pili alta: questa e il discorso dei filosofi (Erac1ito,Empedoc1e, e altri), che pero 10 dec1inano sempre in polemica con la loro polis, con i loro concittadini. Essi non sanno ascoltare il Logos e percio rimangono in-fanti. La morte di Socrate fu il grande peccato delIa polis, che per difendere la propria Costituzione condanna i1giusto. II nomos dell a polis, agli occhi del filosofo, di colui che dice "ascolta il logos", "combina il nomos della polis a Dike celeste", era esc1usivamente terraneo. Questo e cia che afferma la filosofia fino a Platone, mentre Aristotele volta pagina, facendo una fenomenologia delle Costituzioni politiche. Plat one non e ascoltato, la sua
Repubblica, come suprema indicazione di cia che la polis dovrebbe essere per funzionare secondo misura e giustizia, rimane del tutto irreale rispetto al funzionamento della polis in carne e ossa. Inoltre il radicamento terraneo era un riferimento simbolico fortissimo, perche il genos e i1 logos significavano quei miti, quelle tradizioni, quei costumi. Dov' e che i greci imparavano a leggere e scrivere se non su Gmero e su Esiodo? La testimonianza di tutta la filosofia greca e che il rapporto con la Dike cosmica, urania e sempre incerto e problematico. Sulla radice di polis se ne dicono di tutti i colori. Il nostro Vico diceva che il termine era formato sulla stessa radice di polemos, la guerra; cosa che ha ripetuto Schmitt e tanti altri dopo di lui. Certo la radice di polis, se e indoeuropea, indica la pluralita e la molteplicita. Ma e del tutto incerto che sia una radice indo-europea 0 mediterranea 0 semitica, mesopotamica, accadica. E no to che moltissimi termini greci, toponomastici e non, hanno radice non indoeuropea, ma mediterranea, pelasgica, accadica. E probabilmente anche questo, perche in accadico ci sono vari nomi con questo etimo che indicano la rocca, il castello, illuogo fortificato.
LA CITTAEUROPEA: TRA DIMORA E SPAZIO DI NEGOTIUM
L
a prospettiva europea si sviluppa sostanzialmente non dalla posizione greca ma da quella romana. Noi, infatti, pensiamo la citta come un luogo nel qua Ie persone diverse convengono nell'accettare e obbedire a una legge. 11diritto europeo si sviluppa tutto sulla base di quest'idea che deriva pari pari dal diritto romano. Non solo il diritto europeo, anche quella grande istituzione occidentale che e la Chiesa, e tutta dominata da quest'idea. Sia la citta dell'uomo che la citta di Dio non sono in a1cun modo interpretate sulla base di parametri di tipo etnico. La Chiesa, dice Agostino, nel suo pellegrinaggio accoglie in se, senza fare a1cun conto delle differenze etniche, di lingua e costume. E tuttavia, questa posizione pone un grosso problema dal punto di vista delle modalita dell'abitare. E come portassimo in noi la nostalgia delIa polis, delIa citta-dimora; il che entra in conflitto con la tensione verso l'universalita. Noi pensiamo che la citta per avere dimensioni umane debba in
qualche modo ricordare la p6lis. Quanta retorica sulla p6lis, sulla politica che viene da p6lis (tutti i politici ripetono questo ritornello). Vogliamo ritornare ad uno spazio ben definito, a un territorio ben delimitato che permetta scambi sociali, relazioni sociali ricche e partecipate? Nella p6lis questo avveniva sulla base di quel criterio non indifferente, che si tende a dimenticare, secondo cui a decidere nelle assemblee erano in pochi; quando erano in tanti si limitavano a qualche migliaio nell' agora a scambiarsi cariche, a prendere libere decisioni insieme (non pili di 20 mila erano in Atene i liberi che vi abitavano). E questa l'idea di citta che vogliamo coltivare, 0 e la grande idea romana, gente diversa che viene da tutte Ie parti, che parla tutte Ie lingue, che ha diverse religioni, un'unica legge pera, un senato, un imperatore e una missione? Quale riferimento scegliamo: l'origine 0 il fine, il Iegame di stirpe 0 la legge? Questo e il dilemma: la comunita si forma attraverso semplici patti tra diversi interessi, attraverso armistizi,tregue,comp romessi precari? Questa e una prima questione da porre in discussione. C'e una seconda tensione che caratterizza il nostro rapporto con la citta; e questa e pili specifica della citta moderna. Quando si parla di citta, noi
appartenenti alle civilta urbane (le prime testimonianze archeologiche di vita urbana nell' ambiente mediterraneo risalgono a 3500-4000anni a.c.; siamo da soli 6000 anni dunque in una civilta urbana che ha i suoi cieli, Ie sue fioriture, Ie sue crisi) abbiamo sempre avuto un atteggiamento duplice e contraddittorio nei confronti di questa forma di vita associata: da una parte ci rivolgiamo alla citta come a un luogo nel quale ritrovarci, riconoscerci come comunita, un luogo accogliente, un 'grembo', un luogo dove sostare bene ed essere in pace, una casa (la casa come idea regolativa con cui fin dalle origini ci siamo avvicinati a questa rivoluzionaria forma di vita associata); dall'altra, sempre pili la consideriamo una macchina, una funzione, uno strumento che ci permetta col minimo d'impedimento di fare i nostri negotia, i nostri affari. Da un lato la citta come un luogo di otium, luogo di scambio umano, sicuramente fattivo, attivo, intelligente, una dimora insomma, e da un altro illuogo dove poter sviluppare nel modo pili efficace i nee-otia. Alla citta continuiamo cioe a chiedere due cose opposte. Ma questo e caratteristico della storia della citta: quando essa delude troppo e diventa solo negozio, allora cominciano Ie fughe dalla cit-
ta, CoS!ben testimoniate dalla nostra letteratura: Ie areadie, Ie nostalgie per una pili 0 meno mitica eta non-urbana; d' altra parte quando invece la citta assume davvero i connotati dell' agora, del luogo d'incontro ricco simbolicamente e dal punto di vista comunicativo, allora immediatamente ci affrettiamo a distruggere questo tipo di luogo, perche contrasta con la funzionalita delIa citta come mezzo, come macchina. Che cosa e avvenuto nella storia urbanistica degli ultimi secoli? Dal ,400 al '900 c'e stata la distruzione, in nome delIa citta strumento, di tutto cia che nella citta precedente impediva questo movimento, ostacolava Ie dinamiche dei negotia. In tutte Ie citta europee, in modo sistematico e programmatico, in maniera pili 0 meno violenta, e avvenuto questo. In Italia e accaduto meno che altrove, malgrado tutto; e non perche amassimo di pili il nostro passato, ma semplicemente perche abbiamo avuto uno sviluppo ritardato, e quindi la violenza dell'impatto dell'industria-mercato sulla citta antica e stato pili lento rispetto ad altri paesi. Prima di discutere di scelte urbanistiche dobbiamo percio porci la domanda: che cosa chiediamo alIa citta? Chiediamo di essere uno spazio nel quale ogni forma di ostacolo al movimento, alIa
mobilitazione universale, allo scambio, sia ridotto ai minimi termini, 0 chiediamo ad essa di essere uno spazio in cui ci siano luoghi di comunicazione, luoghi pregnanti dal punto di vista simbolico, dove vi sia attenzione all'otium? Si chiedono purtroppo entrambe Ie cose con la stessa identica intensita, ma entrambe non sono proponibili in alcun modo insieme, e quindi la nostra posizione nei confronti delIa citta appare ogni giorno di pili letteralmente schizofrenica. Questo non vuol dire che essa sia "disperata", anzi e molto affascinante perche chissa cosa saltera fuori. E una contraddizione talmente acuta che potrebbe essere la premessa di qualche nuova creazione. COS!e stato anche nel dissolversi delIa forma urbana del mondo antico: la dissoluzione radicale di quelle forme ha dato vita al nuovo spazio urbano continentale europeo, attraverso istituzioni che nessuno si sarebbe mai sognato 0 inventato ( nuove idee di diritto,nuovi rapporti di dominio,nuove forme di comunita,come quella monastic a, fondamentale nel promuovere nuovi modelli di sviluppo urbano). Puo darsi che questa nostra domanda cos! "violentemente" contraddittoria sia foriera di soluzioni creative, non in continuita con la storia che ci
sta aIle spalle. Invito sempre gli urbanisti e gli architetti a ragionare in questi termini, non in termini 0 di conservazione, tentando disperatamente di ritagliare dei frammenti di agora, oppure di avallo acritico dell'universale mobilitazione: modo di pensare gli opposti come fossero due facce delIa stessa medaglia, perche il futurismo e il conservatorismo totale si sono sempre perfettamente accompagnati in tutto, in urbanistica, in arte, in politica, dovunque. Invece e necessario partire dalla contraddittorieta di questa domanda e cercare di valorizzarla in quanta tale, facendola esplodere. E meglio fare dei progetti di architettura e di urbanistica in cui mettere in evidenza di fronte al pubblico il carattere contraddittorio proprio delIa domanda che esso esprime, senza coprire e mistificare questa situazione, senza credere di superarla con qualche fuga in avanti 0 ritornando al passato di Atene. Non ci sara pili agora.
aoggi possiamo ancora parlare di citta? Forse in Halia e ancora possibile in qualche caso, Firenze per esempio; ma gia per Milano, Roma, Napoli, Palermo, e difficile farlo. La metropoli tardo antica, Roma mobilis, l'Urbs che delira dal suo solco, ha molti caratteri in comune con quanto verra a dire. La storia europea delle citta fino all'epoca barocca mostrera una citta che,invece, in qualche modo somiglia a quella del palazzo di Siena, descritto nell' affresco di Lorenzetti del Buon governo: e una citta dove l'elemento di comunione,di dialogo e presente, al di la dell'''aura'' chiaramente mitica in cui viene espresso (anche in quella citta c'erano conflitti; la stessa vicinanza e un fattore essenziale di inimicizia). Quella citta viene distrutta dall'impeto congiunto di industria e mercato ed appare cos! la metropoli, la Grofistadt, dominata dalle due 'figure' chiave, i due "corpi" che la regolano: l'industria e il mercato. Come nella citta medievale la cattedrale e il palazzo del governo 0 il palazzo del popolo, cos!nel-
M
la citta moderna Ie presenze chiave sono i luoghi della produzione e quelli dello scambio. Tutto si articola intorno ad essi come fattori capaci di conferire pregnanza simbolica all'insieme. Ma nello stesso tempo la citta si organizza e si regola intorno a questi momenti; intorno ad essi si costituisce un'urbanistica, si elaborano interventi di programmazione intorno a questi fattori dominanti che permettono,in quanto "valori noti", la soluzione delIa "equazione". Si sa, infatti, che l'industria ha determinate esigenze localizzative, comporta determinate funzioni, abitative anzitutto, che vanno sistemate in un certo modo, attraverso un' edilizia di un certo tipo. E COs!10 spazio si organizza intorno a questi corpi relativamente noti, rigidi, fissi. In fisica si direbbero 'carpi galileiani' di riferimento, e la metafora non e estemporanea, poiche proprio Einstein c'invita a ragionare, sulla base di una metafara riguardante la storia delIa citta, del passaggio da una relativita ristretta ad una generale:e la prima e quella in cui i corpi di riferimento permettono ancora delle metriche che riguardano l'intero sistema. L'evoluzione verso la metropoli e stata possibile perche il punto di partenza delIa citta europea e stato non la p6lis greca ma la civitas romana. La no-
stra idea di citta e totalmente romana, e civitas mobilis augescens, e quanto cia sia fondamentale 10 dimostra la storia delle trasformazioni urbane, delle rivoluzioni politiche che hanno la citta al centro, a differenza che in altre civilta, dove la forma urbis si e modificata proprio per l'influenza,o meglio l'assalto, delIa civilta occidentale. Le civilta urbane dell' antichita a noi note sono ricchissime, ma stabili nelle loro forme: tutte dimostrano il radicamento terraneo, sia Ie grandi citta mesopotamiche che quelIe orientali (Kyoto, Shangai, Pechino erano megalopoli quando Londra e Parigi erano ,per gli standard attuali, poco pili chevillaggi, pero Ie loro forme sono rimaste per secoli e secoli relativamente stabili). Le incredibili rivoluzioni delIa forma urbis derivano da quest' approccio alIa citta che si ha con I'apparire delIa civitas romana. Le forme urbane europee occidentali derivano dai caratteri delIa civitas. La citta contemporanea e la grande citta, la metropoli (questo e infatti il tratto caratteristico delIa citta moderna planetaria). Ogni forma urbis tradizionale e stata dissolta. Una volta erano assolutamente diverse Ie forme delIa citta (vedere la divers ita di Roma, Firenze, Venezia). Ora c'e un'unica forma urbis, 0 meglio un unico processo di dissoluzione di ogni identita urbana.
Questo processo (che, come vedremo, giunge al suo compimento nella ciWHerritorio, la citta postmetropolitana) ha la sua origine nell'affermazione delIa centralita del nesso tra luogo di produzione e mercato. Ogni senso delIa relazione umana si riduce alIa produzione-scambio-mercato. Qui ogni relazione si concentra ; allora ogni luogo delIa citta e visto, progettato, riprogettato, trasformato, in funzione di queste variabili fisse, del loro Valoreo I luoghi simbolici diventano questi soltanto,e scompaiono quelli che erano i luoghi simbolici tradizionali, soffocati dall' affermazione dei luoghi dello scambio, espressione delIa mobilita delIa citta, del Nervenleben, delIa vita nervosa delIa citta. Le nuove costruzioni sono massicce, dominano, sono fisicamente ingombranti, grandi contenitori (immaginate l'architettura delle tipiche grandi citta industriali,il fascino che ovunque esercita l'architettura-fabbrica), la cui essenza consiste pero nell' essere mobili, nel dinamicizzare tutta la vita. Sono corpi che producono un' energia mobilitante, scardinante, sradicante. Queste presenze dissolvono 0 mettono fra parentesi quelle simboliche tradizionali che, infatti, si riducono ai centro storico. E cos1che nasce il'centro storico': mentre la citta si articola ormai in base alIa presenza do-
minante e centrale delle produttive e di scambio, la memoria diventa museD e cessa cos1 di essere memoria, perche la memoria ha senso quando e immaginativa, ricreativa, se no diventa appunto una clinica in cui mettiamo i nostri ricordi. Abbiamo "ospedalizzato" la nostra memoria, cos1come Ie nostre citta storiche, facendone musei.
LA CITTA- TERRITORIO (0 LA POST-METROPOLI)
A
ggi siamo in una fase successiva. Mentre nelle metropoli queste presenze ancora articolavano 10 spazio, fondavano delle metriche ben riconoscibili nella dialettica centro-periferia, erano i criteri dominanti delIa urbanistica c1assica dell' '800 -'900 (Ie diverse funzioni produttive, residenziali, terziarie), oggi questa possibilita e completamente saltata. La citta-territorio impedisce ogni forma di programmazione di questo genere. Si e ormai in presenza di uno spazio indefinito, omogeneo, indifferente nei suoi luoghi, in cui accadono degli eventi sulla base di logiche che non corrispondono pili ad a1cun disegno unitario d'insieme. E questi eventi in quanto tali si modificano con una rapidita incredibile: la fabbrica non era certo la cattedrale, non aveva la stabilita dei vecchi centri delIa forma urbis, ma una certa stabilita l'aveva. Adesso la rapidita delle trasformazioni impedisce che nel giro di una generazione si conservinG memorie del passato. Cia comporta che ormai siamo in una situazione in cui casa
e non-casa si connettono, dimora e non-dimora sono due facce delIa stessa medaglia. Questo processo, pur avendo nell'Occidente il suo centro propulsore, raggiunge ormai tutti i continenti. Nel 1950 Ie citta al mondo con pili di un milione di abitanti erano 83, e di queste 50 erano nei paesi industrializzati. Oggi Ie citta con pili di un milione di abitanti sono 300e la gran parte e nei paesi poveri. Nel 2015 avremo 33 citta sopra i 20 milioni di abitanti e 27 di queste saranno nei paesi poveri. Fatte come? Estrapolando dalla situazione attuale,sarebbe anche troppo facile prevederlo: vastissime aree architettonicamente indifferenziate rigurgitanti di funzioni di rappresentanza,finan ziarie,direzionali,con accatastate intorno aree periferiche residenziali," ghettizzate" Ie une rispetto aIle altre,aree commerciali di massa," avanzi" di produzione manifatturiera. II tutto collegato da "eventi" occasionali,al di fuori di ogni logica urbanistica e amministrativa.Le "case" per la grande massa saranno quelle del mini-appartamento standardizzato. Come recitava una pubblicita in Senegal:" comprate Ie nostre case COS1 piccole, perche ci potrete stare con moglie e figlio, e potrete finalmente rifiutare di ospitare i parenti quando vengono dalle campagne". Queste periferie per
il ceto medio-basso-burocratico, ceto che rap presenta una delle patologie pili inaudite dei paesi sottosviluppati (in Africa Ie burocrazie pubbliche impiegano dieci volte pili persone di quanto non erano impiegate nel periodo coloniale), sono la conseguenza del processo di mega-urbanizzazione di quelle zone, perche hanno distrutto risorse e culture locali e moltiplicato Ie rendite. Questo e il piano di questi territori: da una parte centri direzionali, rap presentati vi, terziari, alIa occidentale; dall' altra, periferie popolari, alIa occidentale, con tempi di degrado di pochi anni; infine Ie bidonvilles. Altro modello e l'unica citta, come in Giappone, dove lungo la costa non c'e soluzione di continuita dal nord fino a Hiroshima. U la citta coincide con tutto il territorio. Non vi e alcun dubbio che il territorio dove abitiamo costituisca una sfida radicale a tutte Ie forme tradizionali delIa vita comunitaria. Lo sradicamento che produce e reale. Tutte Ie forme terranee tendono a disciogliersi nella rete delle relazioni temporali (vedi pili oltre). Ma per questo e necessario che 10 spazio assuma appunto I'aspetto di una forma a priori, equivalente e omogeneo in ogni suo punto, e cioe che scompaia la dimensione delluogo, la possibilita di definire luoghi all'inter-
no dello spazio, 0 di caratterizzare quest'ultimo secondo una gerarchia di luoghi simbolicamente significativi. Ora, e possibile vivere senza luogo? E possibile abitare dove non si danno luoghi? L'abitare non ha luogo la dove si dorme e qualche volta si mangia, dove si guarda la televisione e si gioca col computer domestico; illuogo dell'abitare non e l'alloggio. Soltanto una citta puo essere abitata; ma non e possibile abitare la citta, se essa non si dispone per l'abitare, e cioe non 'dona' luoghi. IIluogo e dove sostiamo: e pausa - e analogo al silenzio in una partitura. Non si da musica senza silenzio. II territorio post-metropolitano ignora il silenzio; non ci permette di sostare, di 'raccoglierci' nell'abitare. Appunto, non conosce, non puo conoscere distanze. Le distanze sono il suo nemico. Ogni luogo al suo interno sembra destinato ad accartocciarsi, a perdere di intensita fino a trasformarsi in null'altro che in un passaggio, un momenta delIa 'mobilitazione' universale. Sei in una citta che e casa e non e casa, in cui stai e non stai, che vivi come una contraddizione. Quali Ie conseguenze? Affrontare il problema con l'idea di restaurare luoghi, nel senso tradizionale del termine, e un modo regressivo e reazionario.
Oppure si puo applaudire al processo in corso e dire «che bello!» alIa sua dinamica, al movimento di dissoluzione dei luoghi prepotentemente in atto. "Ormai viviamo nell'anti-spazio; i nostri insediamenti si muovono tutti nel cyber-spazio; dobbiamo immaginare Ie nostre case come dei sensori" (sono Ie parole dell'architetto americano Mitchell nel suo libro La citta dei bytes); ma questa futurismo informatico e l'altra faccia dell'atteggiamento conservatore reazionario, che vagheggia la restaurazione dell' agora e delIa polis. Mettere in forma siffatta contraddizione in modo da poterla vivere e comprenderla, e non soltanto patirla e subirla, e un problema. Un problema teorico che va affrontato. Continuando noi ad essere dei luoghi, come possiamo non volere dei luoghi? Pero, i luoghi desiderabili non possono pili essere quelli delIa polis e neanche pili quelli delIa metropoli industriale. Devono essere luoghi nei quali i caratteri delIa mobilitazione universale possano essere rappresentati.
Ma perche abbiamo bisogno di luoghi? Per qualcosa che attiene alIa nostra stessa dimensione fisi-
ca piu originaria. Intendo riferirmi alIa physis nel senso piu proprio (fisica viene da physis, che e la natura). E mai concepibile uno spazio-senza-luogo se e vero, come e vero, che 'resiste' quelluogo assolutamente primo che e il nostro corpo? Come risolvere questo luogo nel continuum temporale? o come ridurlo a funzione meramente dipendente dal suo dispiegarsi? Se siamo luogo, come potremmo non ricercare luoghi? La filosofia del territorio post-metropolitano sembra esigere la nostra metamorfosi in pure anime, 0 in pura dynamis, energia intellettuale. E, chissa, la nostra anima e forse davvero a-aikas, senza casa, come l'eros platonico, ma ... il nostro corpo, la ragione del nostro corpo? E il noma de stesso non ha comunque a che fare con illuogo? Passa dall'uno all'altro, non si arresta in nessuno - ma conosce pur sempre luoghi. E che cosa rappresentavano i suoi grandi tappeti, se non la casa, illuogo delIa sua casa, che 10 seguiva dovunque e in cui essenzialmente abitava? Puo essere che si giunga ad un punto - come gia avvenuto nelle 'profezie' fantascientifiche - in cui il nostro corpo sia trasmissibile come qualsiasi altra informazione. Allora, forse, il problema delIa sua specifica ragione, e dunque delluogo e dell'abitare, sara 'risolto'. Ma quell'uomo sara davvero
oltre-uomo in tutto e per tutto? Possiamo immaginarlo in 'trasmissione' perenne, 0 non dovra, in qua1che punto, in qua1che momento, 'prendere terra'? Sara perennemente insonne e peregrinante, come Ie anime in volo intorno al Poeta nel Paradiso, 0 dovra ancora sostare? E dove? In stazioni di 'ricaricamento'? In distributori di energia? 0 in luoghi, ancora? Ma qua Ii luoghi? Poiche e evidente che quest'uomo non potra mai riconoscere come propri i luoghi degli antichi spazi urbani e neppure quelli delle antiche metropoli. Ecco, allora, il grande, affascinante, problema con cui si misurano tutti coloro che, con consapevolezza critica e filosofica, affrontano la prospettiva del territorio post-metropolitano, sotto i diversi profili amministrativi, urbanistici, architettonici. Nessuna reazionaria nostalgia per la 'ben fondata' terra dell'Urbs; nessuna nostalgica volonta di restaurare-recuperare i luoghi dell'antica citta: cio potrebbe dar luogo solo a vernacoli 'localistici', ad una Heimatkunst, un'arte regionale ormai vuota, insensata. Ma, altrettanto, nessuna 'fuga al futuro', nessuna ideologia dell"infuturarsi'! Una simile tendenza fa dell' architettura un puro gioco formale, Ie fa perdere ogni potenza costruttiva, ogni serieta e responsabilita. Che fare, allora?
Nello spazio metropolitano sussisteva ancara una precisa gerarchia tra edifici 0 'contenitari' che svolgevano la funzione di carpi di riferimento. Sull' 'orologio' di questi corpi si scandiva la metrica dell'insieme. L'urbanistica contemporanea si e sempre pili 0 meno mossa sull' arientamento che essi garantivano, cercando di razionalizzare l'uso dello spazio sulla laro base. Ogni corpo-edificio di riferimento e chiamato a svolgere un compito definito, ha qualita e proprieta specifiche. Sotto questo profilo 10 spazio metropolitano non differisce essenzialmente da quello urbano - se non per il fatto che esso ne trascende tutti i vecchi confini, slanciandosi lunge Ie direttrici del suo movimento. Queste sono Ie contraddizioni che obbligano ad andare oltre la metropoli. Da un lato, l'essenza di questa consiste nell'irradiarsi in uno spazio come pura forma a priori; dall'altro, questa suo irradiarsi viene costantemente contraddetto dalla 'gravita' dei corpi di riferimento che la occupano. Per essere all' altezza di questo compito urbanistico bisogna affrontare, 0 almeno individuare, un problema filosofico fondamentale: e possibile I'eliminazione dello spazio fintanto che siamo corpi? Chiediamo al mondo esterno di dissolversi in virtu ale, mentre continuiamo ad essere il luogo
del nostro corpo, qualche migliaia di miliardi di molecole che ci compongono aventi una certa forma spaziale. Come possiamo far convivere illuogo che siamo con I'eliminazione esterna di ogni luogo? Problema essenziale. Si potrebbe fare delIa fantascienza intelligente alIa Philip K. Dick: una volta che riuscissi a trasmettermi come un fax 0 come una e-mail, il problema sarebbe risolto. Se potessimo trattare il nostro carpo come un'informazione tra Ie altre, il problema sarebbe risolto, dal momenta che siamo ormai padroni delle infarmazioni, delIa loro manipolazione e trasmissione. Ma non e quello che sta avvenendo? La scienza medica non sta trattando il carpo come un insieme di infarmazioni? Molti parlano di biopolitica, di una trattamento delIa vita sulla base di prospettive e apparati tecnico-politici. E questo, lungi dalI'essere fantascienza, e gia realta (la fantascienza seria ha sempre realisticamente trattato di idee-limite e regolative); questa prospettiva e nei fatti: tecnicamente e politicamente il nostro corpo e gia trattato come un complesso di informazioni. Dobbiamo affrontare questa paradosso filosofico ed estetico. L'energia che sprigiona il territorio post-metropolitano e essenzialmente de-territorializzante, anti-spaziale. Certo e possibile affermare
che questa processo era gia iniziato con la metropoli moderna, ma soltanto oggi tende ad esprimersi nella sua compiutezza. Ogni metric a spaziale e avvertita come un ostacolo da oltrepassare. L'idea regolativa e sempre pili quella di una 'angelopoli' assolutamente sradicata. Questa e anche l'idea regolativa, 0 la filosofia di base, delle tecnologie informatiche; per esse, anzi, il superamento del vincolo spaziale non rappresenta che il primo passo verso il superamento anche di quello temp orale, verso, cioe,la possibilita di una forma della comunicazione davvero compiutamente angelica (infatti, gli angeli s'intendono reciprocamente senza mediazione alcuna, nella immediatezza del semplice pensare). Una tale forma di comunicazione rende 10 spazio perfettamente indifferente e omogeneo. Esso non presenta pili alcuna 'densita' particolare, alcun 'nodo' significativo. E naturalmente l'effetto di questa sua eliminazione consistera nella perfetta trasparenza e affidabilita delle informazioni. Infatti, se esse non incontrano pili alcun ostacolo, se non debbono pili venire 'trasportate', non subiranno pili fraintendimenti 0 equivoci. Il mito 0 l'ideologia della perfetta de-territorializzazione si accompagna a quello di una forma im-mediata di comunicazione, 0 meglio della totale eliminazione
del fra-intendersi nell'intendersi. Ma, ahime, 10 spazio si vendica di questa voglia di ubiquita! Si vendica in due modi: anzitutto nel senso che non ci muoviamo pili nelle citta, per problemi di traffico (si, ogni giorno siamo costretti a scoprire che siamo ancora dei corpi, e ci muoviamo con mezzi che sono ancora dei corpi che non possono compenetrarsi: Ie illusioni che con Ie tecnologie informatiche Ie nostre esigenze di movimento fisico verrebbero ridotte si stanno sostanzialmente rivelando pura ideologia, perche pili eresee la velocita d'informazione, pili aumenta, sembra, il desiderio di movimento fisico e di ubiquita). Lo spazio si vendica, allora, immobilizzandoci nelle citta. Ma si vendica anche per un altro verso: Ie architetture che si fanno dappertutto contrastano radicalmente quest'ansia di movimento e di "spiritualizzazione" risultando spesso di una grevita monumentale unica. Si costruiscono corpi rigidis simi,ingombranti,momovalenti. L'architettura ha un anelito, paradossale e patetico, per la simbolicita dell'edificio (a Berlino e possibile vedere, al di la della qualita specifica dei singoli contenitori, il trionfo dell' enfasi e della monumentalita, come si fosse voluta la nuova Acropoli o"imitare" il Senato americano). Illinguaggio architettonico, al di la
della qualita di questa 0 quell'architetto, quando interviene su scala urbana, 10 fa con una filosofia che contraddice totalmente questa tendenza all'universale mobilitazione. Semmai sono i grandi maestri del Moderno che avevano pensato degli edifici davvero trasparenti, "passaggi" .Ma cia avviene per una ragione essenziale:l' esigenza di presenze forti, significative e simboliche, nel territorio post-metropolitano e indice di un'esigenza psicologica insuperabile, che tuttavia fa a pugni con quella della ubiquita.
Questo problema e stato affrontato, ma Ie risposte continuano ad apparire inadeguate. L'esistenza post-metropolitana continua ad essere 'congelata' in spazi chiusi. Ai contenitori tradizionali se ne aggiungono altri, ma con la medesima logica. I contenitori si dispongono secondo ordini e motivazioni diverse rispetto a quelle che ancora presiedevano l'organizzazione metropolitana, ma contenitori rimangono. Aumenta l'occasionalita, l'apparente arbitrio della loro collocazione, ma la loro qualita e sempre quella: ognuno ha proprieta relativamente fisse, statiche. Continua ad essere
un 'corpo' di riferimento, 0 a pretendere di esserlo (con sempre maggiore fatica, poiche nell'indifferenza del territorio e ormai pressoche impossibile emergere davvero). Si moltiplica, allora, l'enfasi, la retorica del contenitore, e pili questa aumenta, pili risalta la sua poverta simbolica. La persistenza di questi spazi chiusi, la resistenza che questi 'corpi' esercitano contro il dispiegarsi della vita post--metropolitana, e sempre pili chiaramente intollerabile. Spazio chiuso, naturalmente, non e soltanto l'edificio definito in base a una funzione, a una sola 'proprieta'; e anche, e pili ancora, il quartiere 'residenziale' e basta; spazi chiusi sono i parchi divertimento, dove il divertimento stesso viene 'cronicizzato', come la malattia negli ospedali, l'istruzione nelle scuole 0 nei campus, la cultura nei musei e nei teatri. II fenomeno e particolarmente evidente nell'evoluzione della citta americana, ma 10 e un po' dappertutto. Di fronte all'intensificazione, forse insostenibile, di questa vita nervosa e nell'impossibilita di trovare luoghi nello spazio-tempo del territorio, chi puo vive per una parte della sua giornata in questa mobilitazione universale e poi fugge in quelle che i sociologi americani chiamano Ie gated communities (comunita chiuse). Ci si chiu-
de da qualche parte, ci si rinserra la sera, appena il livello di reddito 10 permette, in un luogo-prigione.Quanto pili fisiologicamente in-secura e la vita nella citta-territorio,tanto pili si cerca il sine-cura impossibile delIa" dimora". In Italia siama solo agli inizi, ci sana ancora pochi esempi di questa fenomeno, ma negli USA e dilagante. I ricchi hanna abbandonato Manhattan, vanna nel paesetto del New Jersey e passano come in un fortin a la serata alIa TV,e il giorno dopa si reimmettono nel traffico metropolitano: questa e la loro vita. Questa bisogno di comunita chiuse probabilmente risponde ad un' esigenza profonda delIa nostra psiche, perche non e facile vivere nella mobilitazione universale, vivere in una metric a semplicemente temporale. Ma la contraddizione e evidente: se 10 spazio chiuso dice, per un verso, bisogno di comunita, per l'altro dice bisogna di privacy: sia quanta a stile dl vita sia quanta a concezione e pratica del diritto. Come facciamo a parlare di citta, cercando di dare a questa termine una valenza comunitaria, se la citta e regolata da forme di diritto privata? Se e cosl, allora e solo un insieme di persone che intrecciano relazioni sulla base del reciproco interesse,
come delle aziende che si relazionano attraverso i contratti commerciali. E che la teoria del diritto pubblico si vada riducendo a forma contrattuale ,e ormai processo inevitabile. Pero e un bel problema, perche allora la nostra non e una p6lis a una civitas, ma, come diceva Platone,si riduce a una semplice sinoichia, una coabitazione. Siamo delle persone indifferenti Ie une aIle altre, che pero coabitano; regoliamo i nostri rapporti sulla base del diritto privata. Ma se e cOSInoi ci "muoviamo" in qualcosa che ci ostiniamo a chiamare citta,ma "sostiamo", abitiamo in un condominia. Siamo a questa punta? Qualcuno dice che l'indifferenza del condominia e il minor male, perche laddove ci sana legami forti, simbolici,abbiamo sempre finito col farci la guerra, mentre nel condominia al massimo si fanno baruffe. Nella radice del condominia c'e solo la pluralita, mentre in quella delIa citta c'e probabilmente anche polemos, la guerra. Insomma, Ie guerre civili sana pili frequenti nelle citta che nei condomini E questa potrebbe anche far ben sperare.
fIChe cosa abitiamo noi oggi?" si chiedono i teorici pili avveduti. Abitiamo citta? No, abitiamo territori. Dove finisce una citta e ne comincia un'altra? I confini sono puramente amministrativi e artificiali, non hanno alcun senso ne geografico, ne simbolico, ne politico. Abitiamo territori indefiniti, e Ie funzioni vi si distribuiscono alI'interno, al di la di ogni logica programmatoria, al di la di ogni urbanistica; si localizzano a seconda di interessi speculativi, di pressioni sociali, ma non secondo un disegno urbanistico, che, anche nei grandi maestri delI'urbanistica, derivava proprio dal fatto che si poteva ragionare sulla base di quelle fondamentali funzioni. Pili che scomparse, quelle funzioni si sono diffuse e disseminate: la de-industrializzazione, la fine di quelle presenze produttive colloro carattere massiccio, ha prodotto non la scomparsa delIa produzionemail fatto che essa non sia pili concentrata in alcuni spazi, essendo ovunque, essendosi disseminata. Anche Ie funzioni di scambio sono dappertutto. Certo, polarita esistono ancora in questo 'spazio'; esistono ancora attivita che possiamo definire 'centrali', e che orientano intorno a se Ie forme
di connessione, la mobilita, ecc.. Ma sempre pili queste polarita possono organizzarsi ovunque. Gli eventi prodotti dalle decisioni di investimento produttivo, commerciale, amministrativo, ecc., possono localizzarsi ormai senza tener conto degli assi tradizionali di espansione delIa citta. I ruoli di centro e di periferia possono scambiarsi incessantemente; e questi scambi avvengono occasionalmente, 0 sulla base di logiche mercantili e speculative, che rifiutano ogni 'griglia' precostituita di funzioni. II territorio continua a 'specializzarsi', ma al di fuori di ogni progetto complessivo. E davvero la morte di tutte Ie 'codificazioni' del Movimento Moderno, del suo pensare la citta come aggregazione successiva di elementi, dalI'abitazione alI'edificio, al polo funzionale, alIa citta intera come 'contenitore di contenitori'. E la morte di ogni astratta tipologia. Che significa questo? E necessariamente la fine di ogni 'forma' comunitaria, 0 un processo di liberazione dai vincoli che la caratterizzavano? E uno scatenamento degli "spiriti animali" del sistema, oppure proprio esso fa segno ad un intelletto generale capace di 'riprendere terreno' in forme diverse dal passato, libero da ogni fisso, terraneo radicamento? In altri termini, il territorio post-
metropolitano e la negazione di ogni possibilita di luogo oppure potranno 'inventarsi' luoghi propri del tempo in cui la loro vitalita sembra essersi negata? La citta e ovunque; ergo, non vi e pili citta Non abitiamo pili citta, ma territori (verrebbe da usare un'etimologia sbagliata! territorio da terreo, aver paura, provare terrore). La possibilita stessa di fissare confini alIa citta appare oggi inconcepibile, a, meglio, si e ridotta ad un affare puramente tecnico-amministrativo. Chiamiamo citta questa' area' per ragioni assolutamente occasionali. I suoi confini non sana che un mero artificio. II territorio post-metropolitano e una geografia di eventi, una messa in pratica di connessioni, che attraversano paesaggi ibridi. II 'limite' delIa spazio post-metropolitano non e data che dal'confine' cui e giunta la rete delle comunicazioni; man mana che la rete si dirada possiamo dire di 'uscire' dalla post-metropoli, ma e evidente che si tratta di un 'confine' sui generis: esiste soltanto per essere superato. Esso e in perenne crisi. In questa sensa si puo dire, can una formula paradossale, che viviamo in un territorio de-territorializzato. Abitiamo dei territori la cui metrica non e pili spaziale; non c'e pili alcuna possibilita di de-
finire, come per la metropoli antica, i percorsi di diffusione a di 'deliria' secondo assi spaziali precisi (qui il centro, Ii la periferia). II madelIa d'irradiazione dal centro, secondo determinati assi, prevedeva che a mana a mana che si usciva dal centro, lungo vie ben definite,quasi antichi canali, incontravi Ie funzioni residenziali, industriali, ecc. Queste logiche, tipiche della sistemazione urbana e metropolitana, sana tutte saltate. Le stesse funzioni si possono ritrovare dappertutto, specie se si accentua il grande problema del riuso dei vecchi spazi industriali; si possono allora trovare funzioni ricchissime e centraIi nell'antica periferia (vedi il caso della Pirelli a Milano, dove puo sorgere ... la Scala!). Ogni metrica tradizionale e completamente saltata. Non c'e nessun disegno urbanistico in base al quale si fa la Scala a Sesto San Giovanni; occasionalmente Ii si e determinato un vuoto che andava coperto, ed e sorta I'occasione per farIo; in futuro potra essere coperto can un supermercato, can un ufficio, can una universita e COS1 via. Non si sa, non si puo sapere, non e predittibile cosa accadra per coprire quel vuoto. La sviluppo della citta da metropoli a territorio non e dun que programmabile: questa e il dramma di tutti gli architetti e gli urbanisti. La difficolta - 51 -
non dipende dalla loro incapacita 0 dalla volonta politica degli amministratori, dipende dall'impossibilita di programmare. Anche perche travalica ogni confine amministrativo; i confini amministrativi sono tutti fittizi, artificiali, ma continuano ad esserci, e cia rende ancora pili impossibile una seria programmazione perche non e in nessun modo dato di sapere-calcolare dove,per esempio, finiscano i confini di Firenze e dove inizia Scandicci. La perdita di 'valore simbolico' delIa citta cresce proporzionalmente; assistiamo, 0 ci sembra di assistere, a uno sviluppo senza meta, cioe, letteralmente, insensato, ad un processo che non presenta alcuna dimensione 'organica'. E davvero la metropoli dell'intelletto astratto, domina to soltanto dal 'fine' delIa produzione e dello scambio di merci. E assolutamente 'naturale' che il 'cervello' di un tale sistema consideri ogni elemento spaziale come un ostacolo, un'inutile zavorra, un residuo del passato, da 'spiritualizzare', da 'volatilizzare'. Ma, nello stesso tempo, e per la medesima ragione, cia produce l'improgrammabilita dell'insieme. Sui nessi tra Ie parti,sulla logica delle relazioni, che e l'essenziale, nessuno e sovrano. Domina il gioco per definizione imprevedibile degli interessi pri-
vati. La'occupazione" del territorio non conosce pili alcun nomos (poiche nomos, legge - non dimentichiamolo - significa all' origine suddivisione - spartizione di un territorio 0 'pascolo' [nomos] determina to).
Chi e stato a Tokyo, a San Paolo, a Shanghai sa che non ha pili alcun senso parlare di citta. Sono territori, e noi abitiamo ormai territori la cui metrica non pili alcun senso spaziale, ma solo semmai temporale. Tutti i nostri conti Ii facciamo in base al tempo, non allo spazio; nessuno indica pili la distanza da una citta bens! il tempo che s'impiega a raggiungerla. Lo spazio e diventato soltanto un ostacolo. Certo esso si vendica di queste nostre metriche temporali, perche 10 spazio possiede un'inerzia, come sapevano sempre i filosofi:non ci si puo completamente sradicare e volare, almena, per il momenta, per coprire piccole distanze. La vendetta dello spazio e che noi 10 sentiamo come un impedimento, una dannazione. Pensiamo, infatti, alIa felicita come all' essere ubiqui. Questo e un grande problema, perche da un lato la nostra mente ormai ragiona in termini di ubiquita, e
quindi vive 10 spazio come una dannazione, d'altra parte chiediamo che la citta si organizzi per luoghi e per di pili accoglienti. Ma come fanno dei luoghi accoglienti, simbolicamente ricchi, a non costituire degli ostacoli spaziali? Chiediamo di attraversare la citta in tempo reale, e pera vogliamo che sia bella. Non e possibile costruire in un luogo il cupolone del Brunelleschi e nello stesso tempo che esso sia attraversabile all'istante. Cia pua accadere solo in una citta puramente virtuale, con un bello disincarnato, come quello che s'erano immaginati alle porte di Venezia per i giapponesi: sbarcati dall'aeroporto, invece di andare in citta, sarebbero entrati in una specie di sala cinematografica tridimensionale e avrebbero visto un film su Venezia. Certo una citta come Venezia resiste alla trasformazione in pura virtualita, ma questo e un grandissimo problema perche gia 10 sforzo nella citta moderna era quel10 di trasformare la citta in via (alla fine dell"800 la trasformazione di tutte Ie grandi citta europee consisteva in questo). Oggi abbiamo necessita di trasformazioni pili ancor pili radicali, perche la domanda di mobilita e cresciuta COS1 a dismisura grazie alle nuove tecnologie da entrare in conflitto con 10 spazio,
soprattutto laddove esso e resistente oppure non trasformato in precedenza. Inoltre, nello spazio post-metropolitano Ie funzioni assumono l'aspetto di eventi, anche per la trasformazione rapidissima del territorio stesso: pili che localizzare una funzione n avviene qualcosa, si costruisce un supermercato che e un evento e nel giro di qualche anno al posto del supermercato sorge dell'altro. COS1a Shanghai, COS1 a Tokyo, ci sono eventi pili che edifici: e uno spazio che si organizza secondo misure temporali per eventi e il territorio si presenta come una collazione di eventi. E' l'ultima fase della citta moderna, nel suo evolversi metropolitano, irradiante dal suo centro,capace di travolgere ogni antica persistenza. Ma si assiste a un fenomeno che, a un certo punto, appare irreversibile: questa espansione si fa sempre pili occasionale, sempre menD programmata e governabile. Pili la 'rete nervosa' metropolitana si dilata, pili divora il territorio circostante, pili il suo 'spirito' sembra smarrirsi; pili essa diventa 'potente', menD sembra in grado di ordinare-razionalizzare la vita che vi si svolge. L'intelletto metropolitano subisce una sorta di 'crisi spaziale', che e perfettamente analoga a quella
che subisce 10 Stato Leviatano, 10 Stato moderno nella sua sovranita territorialmente determinata. I poteri che determinano la crescita metropolitana faticano sempre pili a 'territorializzarsi', a 'incarnarsi' in un ordine territoriale, a dar vita a forme di convivenza leggibili-osservabili suI territorio, spazialmente. Si chiede agli abitanti del territorio di reagire con immediatezza, come un "sano" sistema nervoso, al variare dello stimolo, al variare della presenza odella forma con una velocita che non ha nessun paragone con altro momenta della nostra civilta urbana. E tuttavia continuiamo a chiedere alla nostra citta, di offrirci luoghi di accoglienza,"lunghe durate", come se la nostra corteccia cerebrale da un lato avesse sviluppato queste forme di mobilita impetuosa, violenta, ma dall' altro in qualche zona profonda del cervello continuasse ad esserci il bisogno di casa, di protezione: una dissociazione che ormai attiene alla nostra struttura fisiologica. Ma intanto il tempo della metropoli contrasta drammaticamente con la sua organizzazione spaziale, con la 'pesantezza' dei suoi edifici, con la massa dei suoi contenitori. Le masse della metropoli non si trasformano in energia, ma anzi l'assorbono, la consumano. Esattamente I'opposto di
cia che avveniva nella citta, dove esisteva corrispondenza tra i tempi delle funzioni, dei lavori, delle relazioni, e la qualita delle architetture, dove l'architettura arricchiva, potenziava la qualita dell'insieme. Dobbiamo ritrovare questa corrispondenza, ma e impossibile fado riproponendo una forma urbis tradizionale. Dobbiamo 'inventare' corrispondenze, analogie tra il territorio post-metropolitano, in cui viviamo, ed edifici, luoghi dove poter abitare; dobbiamo 'inventare' edifici che siano luoghi, ma luoghi per la vita post-metropolitana, luoghi che ne esprimano e riflettano il tempo, il movimento.
Viviamo ossessionati da immagini e miti di velocita e ubiquita, mentre gli spazi che costruiamo insistono pervicacemente nel definire, delimitare, confinare. Abbiamo bisogno di luoghi dove abitare, ma questi non possono essere spazi chiusi che contraddicono il tempo del territorio in cui, ci piaccia 0 meno, viviamo. Quale intrico di difficolta e di problemi! Lo spazio metropolitano era ancora, per usare una metafora tratta dalla fisica contemporanea,
uno spazio 'a relativita ristretta'; quello del territorio post-metropolitano dovra essere uno spazio a 'relativita generale'. Qui non solo qualsiasi edificio deve poter valere come corpo di riferimento, ma i corpi debbono potersi 'de-formare' 0 trasformare durante illoro movimento. La distribuzione della materia in questo spazio mutera cosl costantemente e imprevedibilmente. Lo spazio complessivo risultera dall'interazione dei suoi diversi corpi: elastici, 'de-formabili', capaci di 'accogliersi' l'un l'altro, di penetrare gli uni negli altri, spugnosi, molluscolari. Ognuno sara polivalente non solo in quanto ingloba in se diverse funzioni, magari 'confinandole' di nuovo al suo interno, imprigionandoIe in se, ma in quanto intimamente in relazione con l'altro da se, in quanto capace di rifletterlo. Ogni parte, in un tale spazio, e come una monade che accoglie in se l'intero, che tiene in se la logica dell'intero: una individualita universale. Non si tratta affatto, percio, di un' operazione tutta ideologica di soppressione del confine: qualsiasi corpo presenta confini, pena l'annullarsi. Ne si tratta di confondere 'anarchicamente' Ie relazioni tra i diversi tempi dei diversi luoghi. Si tratta piuttosto di accordare senza confondere, facendo vivere l'intero, la forma dell'intero, nella qualita di ogni parte.
Non potremmo mai sentirci abitanti in luoghi segregati dal complesso del territorio; in luoghi 'protetti' finiremmo col sentirci ancora pili alienati che in un vagone di metropolitana. Non cerchiamo luoghi separati, chiusi, protetti, per sentirci a casa. E neppure, appunto, potremo mai abitare un treno, un' automobile, una stazione, un aeroporto ... Potremmo forse abitare 11dove la compiutezza formale delluogo s'accorda all'universalita delle informazioni che vi riceviamo, laddove l'individuale stesso ci comunica l'universale. Possibile immaginarlo? Dobbiamo progettare i nostri edifici come insediamento nell'anti-spazio della rete informatica, come nodi della rete, polivalenti, interscambiabili. Dobbiamo costruirli come sensori, quasi interfacce di computer. Pili ricca e complessa sara l'informazione che ne riceviamo, pili mobile nel tempo, menD 'radicata' a proprieta rigide, pili problemi ci suscitera la loro presenza, pili essi risponderanno all'esigenza insopprimibiIe dell' abitare. Ma l'abitare nostro, di questo tempo - del tempo del "general Intellect" e della Mobilitazione universale - non e, ne mai diventera, l'utopia del totale sradicamento del tempo da ogni metrica spaziale e della disincarnazione della nostra anima.
Queste sono cattive gnosi, figlie di un'ingenua fede 0, meglio, di una superstizione nel 'progresso tecnologico'. Per il territorio post-metropolitano abbiamo bisogno di quella architecturae scientia di cui gia padavano gli antichi: capacita di costruire luoghi adeguati all'uso, luoghi corrispondenti aIle esigenze e ai problemi del proprio tempo. Allora politici e architetti dovrebbero cercare di superare la monofunzionalita, pensare ad edifici davvero polivalenti. Esiste invece ancora l'ospedale, la scuola, l'universita, il museo, il teatro, gli uffici del Comune: si continua a progettare e a intervenire architettonicamente, politicamente, urbanisticamente, per separatezze, creando corpi rigidi. Cia solo il fatto di dire che l'edificio dev'essere polifunzionale, che deve servire a pili usi,che dev'essere usato da persone e funzioni diverse (giovani, vecchi, uno che fa un mestiere, uno che ne fa un altro), gia questo renderebbe quelluogo pili coerente con la forma di vita attuale. Del resto gia una volta, a Firenze 0 a Venezia, la residenza non era mai solo tale, era anche magazzino, negozio, bottega. La meravigliosa polifunzionalita del monastero era molto pili avanti delle cose che facciamo noi: era ospedale, albergo, luogo di culto, stazione, posta, mercato, scuo-
la, universita, tutt'insieme. Noi invece, come si e gia osservato, clinicizziamo tutto: la clinica per Ie opere d' arte, quella per gli studenti, l'altra per i malati, per i patiti d' opera che vanno a teatro. Tutto e rigido in un territorio in cui non c'e pili alcun luogo. Da parte del pubblico s'avverte il bisogno di dare valenze simboliche alIa citta, allora il politico-amministratore risponde con teatri, universita, ospedali, ecc. E "soffrendo" il gia-costruito, la citta esistente, che occupa spazio per Ie sue strade, i suoi parcheggi e i suoi nuovi "contenitori". Dietro i quali non esiste pili la persona e la comunita tra persone. Al pili, esisteranno "comitati" di interesse, a difesa di interessi assolutamente privati. Un luogo assume valore simbolico, all' opposto, quando esiste tra Ie persone un ethos comune, se non una vera religio civilis. E' impossibile altrimenti costruire palazzi comunali, tribunali, teatri. E anche chiese. Non e insomma possibile costruire dei luoghi che abbiano valenza simbolica in uno spazio post-metropolitano. Bisogna forse iniziare a progettare a bassa voce, modestamente, "in borghese", rinunciare aIle grandi pretese simboliche, che minacciano ad ogni istante di cadere nel ridicolo. E provare a combinare pili funzioni nel costruire edifici. Se questo dia soddisfazione alIa
nostra esigenza di luoghi non saprei dido. So che oggi viviamo in queste contraddizioni stridenti, in queste dissociazioni.
LA PROSPETTIVA GNOSTICA: l' ABITARE UMANO TRA TERRA E CIELO.
B
enche sembri nostra convinzione eterna non poter fare a menD dello spazio esterno, non e detto che non ci si riesca. Non e questa forse l'aspirazione fondamentale delIa nostra civiWt? Non e un caso che, per quante sottigliezze storiografiche si possano immaginare, il tono fondamentale delIa nostra cultura, greca, ellenistica, cristiana, e il sospetto e il dubbio sulle "ragioni del corpo",se non illoro rifiuto. La prospettiva gnostica di de-territorializzare i corpi e davvero l'ideologia dominante oggi nel progetto tecnico-scientifico. II nostro destino consiste in un radicale sradicamento da ogni condizione terranea. Se si riflette sulle dominanti delIa cultura contemporanea, questo si nota dovunque: dal discorso appena fatto sulla citta alIa rappresentazione artistica astratta, allo spirituale nelI'arte, si manifesta 10 sradicamento dalle condizioni estetico-sensibili. Siamo circondati da ordini senza radicamento (Ordnung senza Ortung, come direbbero Schmitt 0 Junger). Questa prospettiva gnosti- 63-
ca domina ovunque. Non ha nulla a che fare can la prospettiva giudaica e giudaico-cristiana originale; pero e impossibile non vedere la presenza di questa pensiero nella sviluppo dell'Europa e delIa cristianita. Infatti la filosofia e la teologia cristiana non e disgiungibile, nei suoi sviluppi, dal platonismo e neoplatonismo. Pur non essendo dualistica, non c'e dubbio che la prospettiva del platonismo cristiano esiga il ritorno alIa patria non terranea. Siamo cives futuri, la vera cittadinanza e nel futuro, questa e Agostino, e tutta la tradizione cristiana. La nostra radice e in alto (arbor inversa: un albero capovolto). La nostra cittadinanza, la nostra polit€ia, e nei cieli. C'e una fondamentale riserva rispetto ad ogni radicamento terrane 0, ad ogni possibilita di dire 'la mia patria e qui'. Questa dubbio radicale nei confronti di ogni cittadinanza terranea e la ragione per cui i romam ritenevano 'atei' gli ebrei e i cristiani, rifiutando questi di riconoscere il valore delle divinita pagane, incluse quelle delIa civitas nel suo carattere mobile, augescens. I cristiani rifiutavano di rendere il culto alIa citta, perche questa citta non e la Citta celeste. I romam sana sempre stati tolleranti can tutti i culti, non c'e segno delIa minima persecuzione nei confronti di nessuna religione in tutta la sto-
ria romana, fuorche nei confronti dei cristiani. E vero che i romani hanna operata massacri anche nei confronti degli ebrei (ne170 e nel140 d.C); ma la ragione e che questi si sana piu volte ribellati. Invece Paolo invita i cristiani a non fare la guerra all'impero, e in secoli di persecuzione non c'e un solo "attentato" cristiano all'autorita romana. La grande strategia cristiana e stata di disfare l'impero romano dall'interno, senza la minima opposizione politica, senza mai scendere suI suo terreno, come invece gli ebrei. Gli ebrei combatterono a volte l'impero in nome dell'atteso regno messianico di stampo nazionalista; i cristiani intesero sostituirlo attraverso l'attesa escatologica del regno celeste. Giuliano l'apostata e un caso del tutto anomalo, e un vera reazionario, non e un romano, e un greco, e in feroce polemica contra il Senato romano, e per la polis, vede la grecita ancora come propria stirpe. Non ama Roma ma Atene, non ama la citta che cresce e si espande, e un nostalgico delle lettere e delIa polis. La sua e un'utopia regressiva e non si puo leggere come reazione romana al cristianesimo. Grande romano e invece Costantino che cerca appunto can il cristianesimo di alimentare la renovatio imperii can sede aRoma; e la cosa sembra riu-
scirgli. Costantino spera che, diventata particolarmente forte e potente, possa, come Ie altre religioni, costituire carburante nuovo, nuovo alimento nella grande fucina del diritto romano. Ma cos! non fu, perche l'universalismo cristiano e intransigente. Cosa stupefacente anche per il patriziato romano, il cristianesimo, una volta pienamente legittimato e riconosciuto, imp one per la prima volta nell'ambito dell'impero una religione di Stato. II concetto di religione di Stato e tipicamente cristiano, Roma non 10 conosce, aRoma c'erano numerosi culti. Cie impedisce la realizzazione del disegno costantiniano cos! come Costantino l'aveva auspicato. Quando alcuni scienziati sostengono che il nostro destino non e terraneo e che noi siamo inevitabilmente chiamati a colonizzare tutto l'universo, che la nostra casa non e il pianeta-terra, questo e il timbro fondamentale di tutte Ie grandi gnosi. E una gnosi secolarizzata, la dottrina salvifica gnostica e sostanzialmente nichilistica, cioe non e un fine determinato, una civitas futura precisa, ma quella delIa gnosi e proprio una nostalgia dell' andare, dello sradicarsi infinito, delIa spiritualizzazione. La Vergeistung, la trasformazione di tutti i nostri rapporti comunitari in rapporti spirituali, cioe de-
territorializzati, incorporei, e il tratto caratteristico delIa metropoli, come insegnavano i grandi sociologi di fine Ottocento. I nostri scambi avvengono sempre pili in una dimensione comunicativa che evita la mediazione corporea. Lo spazio che si va via via contraendo, "catastrofizzando"in tempo, potrebbe subire una sorta di collasso gravitazionale, una contrazione, uno spasmo. Ci sono civilta in grado oggi di controbattere a questa tendenza fondamentale? L'Islam e una religione universalistica esattamente come il cristianesimo, il suo scopo e di realizzare il Dar-el-Islam (la terra dell' Islam) su tutto il globo. Da questo punto di vista e un concorrente, ma la concorrenza non e controtendenza. L'Islam dunque non e 'l'altro'. La distinzione secondo cui la globalizzazione non e I'occidentalizzazione del mondo, e una delle tesi pili discusse e discutibili, perche finora non e data nessun a evidenza empiric a che la sostenga. Finora la globalizzazione e stata occidentalizzazione. Huttington dice: se la globa1izzazione sara occidentalizzazione, ci sara 10 scontro di civilta perche quelli che non si riconoscono nella civilta occidentale si opporranno alIa globalizzazione. Egli non nega pere che la globalizzazione si sia
finora realizzata come occidentalizzazione. Sottolinea anzi che tutte Ie resistenze finora incontrate dalla globalizzazione derivano dal fatto che essa si presenta come occidentalizzazione. Da cia Ie reazioni, in particolare dell'Islam. E possibile pensare una modernizzazione che non sia occidentalizzazione, sapendo che ormai Occidente non ha alcun significato geografico, e dobbiamo intenderlo solo come dominio delIa tecnica, delIa razionalita tecnico-scientifica totalmente anonima, impersonaIe? Da Max Weber in poi bisogna ragionare COS1 quando si pensa all'Occidente. Questo Occidente si va globalizzando. C'e una via al dominio delIa razionalita tecnico-scientifica che non sia occidentale? E possibile la scissione tra tecnico-economico e cultura? Da un punto di vista storico e filosofico e una sciocchezza sostenere la scissione, perche significa interpretare 10 sviluppo tecnico-scientifico-economico occidentale come qualcosa di totalmente astratto da ogni presupposto culturale, filosofico e religioso. Alcune correnti riformistiche presenti nell' Islam hanno disperatamente cercato di pensare una via alIa modernizzazione non occidentale, scindendo l' aspetto tecnico-economico da quello culturale (interiorizzare la tecnica, la razionalita scientifi-
ca, il meccanismo di mercato dell' occidente, continuando ad essere islamici). Non ci si e riusciti nel modo pili assoluto. Questo tragico fallimento deriva dai vizi originari delIa colonizzazione, dell'imperialismo, 0 deriva da incapacita politica, da miopia culturale? E certo che un'interpretazione in chiave meramente tecnico-economica delIa tecnica edell' economia e insostenibile suI piano storico e filosofico, poiche sappiamo che La Tecnica e in se massimamente filosofica,e il prod otto di una visione del mondo, di secoli di filosofia, di teologia, di cultura e di civilta. Ne e prova, tra l'altro, la diversa reazione suscitata dalla globalizzazione in differenti contesti culturali. Sembra che nei paesi islamici, in certi paesi africani ecc., la possibilita dell'introduzione delIa razionalita tecnico-scientifica possa produrre infarto delle forme culturali pre-esistenti, mentre non e stato COS1 nell' Oriente asiatico e in Giappone, dove Ie culture precedenti sono rimaste vive in qualche modo all'interno del processo di occidentalizzazione. Le loro forme di cultura, di civilta e di religione, permettevano questa simbiosi. Non e detto, quindi, che la razionalita occidentale distrugga Ie forme culturali precedenti, ma non si pua altrettanto affermare che ci sia una separabilita di principio tra l'aspetto cul-
turale e quello tecnico-economico di una civilta. Ritorna qui, nella sua figura piu drammatica, il problema dei rapporti tra spazio e tempo. Si pone cioe la questione se sia raggiungibile un nuovo ordine spaziale a partire dall'assunzione del primato del tempo nelle nostre esistenze, nella nostra esperienza vissuta. Anzitutto, non possiamo dare per scontato che questo trionfo del tempo non si dispieghi fino alle estreme conseguenze. Questo esercizio mentale per cui davvero il tempo possa sussumere in se l' esperienza spaziale, non e una domanda filosoficamente vuota. Kant mantiene un difficilissimo equilibrio fra spazio e tempo, ma anche in lui finisce per essere riconosciuto il primato del tempo, perche Ie forme dello schematismo, che sono il perno delIa ragione pura e di tutta la filosofia kantiana, e che garantiscono il passaggio dalle categorie al fenomeno permettendo dunque la costruzione di una scienza delIa natura, sono forme del tempo; 10 schematismo avviene nel tempo, non nella spazio. E poi il tempo domina la filosofia contemporanea: in Essere e tempo Heidegger riconosce che l'unica via di accesso all'essere e temp orale, mentre 10 spazio nella stessa opera e considerato come prodotto, pura immagine delIa temporalita dell' esserci, come se
mancasse qualunque topologia. Da questa punto di vista c'e un nesso forte fra Rosenzweig, filosofo ebreo, e Heidegger, come se il primo anticipasse il secondo sostenendo che la prepotente affermazione del tempo produce tutto l'insieme delle nuove, particolari esperienze spaziali. Questa potrebbe essere una via di ricerca, non c'e dubbio. Perche il tempo possa aprirsi a queste nuove dimensioni spaziali occorre che sia un tempo particolare. Non puo essere un tempo kantiano, forma a priori come 10 spazio, indifferente ed equivalente in tutti i suoi istanti; dev'essere il tempo liturgico, che e discontinuo, costantemente 'deciso', un tempo ri-tagliato, non indifferente e omogeneo. II tempo di Kant, come 10 spazio, e una dimensione omogenea e indifferente in tutti i suoi punti, il tempo di Rosenzweig e quello liturgico, che afferma che un giorno e diverso da un altro. Se si ha un'idea di tempo di questo genere, allora quel tempo si puo combinare ad uno spazio, altrimenti no. Altrimenti si riflette su quello spazio-tempo indifferente e vuoto in cui ogni punto equivale all'altro ed e misurabile sulla base degli assi cartesiani. Quindi per avere un'esperienza liturgica del tempo, e per avere un'idea di tempo che permetta la sua traduzione in spazio, occorre
ethos ed ethnos, ebraismo. E nella polemica di Rosenzwieg nei confronti del cristianesimo si afferma appunto che i cristiani hanno uno spazio liturgico apparente, poiche per essi la civitas peregrina, pur essendo scandita, non ha radici etniche, non ha un ethos: cristiani si diventa, ebrei si nasce, dice Rosenzweig a ragione. Se questa prospettiva per noi minaccia 1'" infarto", come possiamo rimediare? L'inserimento di un tempo liturgico forte, certo che e una via d'uscita. Pero se abbiamo in mente 10 schema di Rosenzweig, e bene ricordare che quello schema si afferma come proprio dell' ebraismo, non anche del cristianesimo. E su questa punto, e su pochi altri fondamentali, che Rosenzweig, dopo vari approcci al cristianesimo, se ne distacca, vedendo 1'incompatibilita fra Ie due vie. Puo allora la liturgia trattenere 1'infarto? Che il cristianesimo veda la terra come spazio di missione, per usare un' espressione di Rosenzweig, e che quindi sia davvero nel senso della globalizzazione, pare indubitabile. Ci sono vari modi e forme di intendere questa terra come terra di missione, ma non esiste la possibilita da parte di un cristiano d'intendere la terra come ethnos. (Era questa l'eterna polemica con 1'amico Sergio Quinzio). -72 -
ua1cuno si chiedera se in tutta questa problematica urbanistica sia ancora presente l'esigenza di bellezza che sembra avere da sempre caratterizzato l'idea e la pratica dell'abitare. Rispondo che bisogna intendersi suI termine 'bellezza',intorno ai suoi significati. Le bellezze sono tante, come tante sono Ie forme della citta. Oggi siamo alla ricerca di un bello che si colloca in una dimensione puramente estetica (bello e cia che piace, che e gradevole), ma la bellezza non ha solo questa significato fenomenico-estetico. Nella classicita non era COSl: ka16n aveva tutt'altro significato per il greco antico. Ka16n significava 'guarda come e costruito forte', 'guarda come sta eretto', 'guarda come e ben radicato': questo esprimeva il termine. Qua1cosa che e formato, articolato, costruito in modo perfetto, e percio puo durare. E non era un giudizio soggettivo, doveva invece emergere obiettivamente. Allora cosa vogliamo dalla nostra citta? che sia bella in questa secondo significato? Perche possa emergere un bello in questa accezione, bisognerebbe che i nostri edifici esprimessero
Q
pienamente la nostra vita, Ie sue ragioni, altrimenti il bello e una cosa incatturabile e indefinibile. Nel significato c1assicodel kal6n c'erano dei metri, delle misure, dei canoni, un solido fondamento oggettivo, non una soggettiva adesione estetica. Quell' edificio rientra 0 non rientra in quel grande l6gos? Rispetta quell6gos che trascende ogni opera particolare oppure no? Una statua, un tempio era bello se corrispondeva a quei canoni che trascendevano la posizione estetica soggettiva. Lanostracitta da questopunto di vistae,invece,la patria della varietas. Cia nei grandi trattati architettonici del'SOO(e poi nella costruzione della citta barocca) viene menD il canone e ogni norma e artificiale, convenzionale. Nella citta intesa come territorio il nostro bello e affidato alla varietas. Non possiamo assolutamente pensare di restaurare delle misure, dei l6goi, delle relazioni, che abbiano valore canonico. Le nostre norme, misure, metriche, non possono avere che un carattere artificiale, convenzionale. E impossibile rimontare la corrente e costruire monumenti. Ma la varietas puo essere una varietas che piace. L'Alberti stesso, nell' opera De re aedficatoria, dice: "guardate che il c1assiconon e quello che pensano gli antiquari".
11 c1assicoe anche varieta di forme, e puo essere concinnitas, un canto sinfonico (cum cano: canto insieme). L'idea del bello come concinnitas emerge nel'400-'SOO.Dobbiamo and are in quella direzione. Sperimentarla di nuovo.
POLIS E CIVITAS: LA RADICE ETNICA MOBILE DELLA CITTA
LA ClTrA
NEGOTIUM
EUROPEA:
E LA CONCEZIONE
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TRA DIMORA
E SPAZIO DI
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II corpo e illuogo . . . . . Spazi chiusi e spazi aperti. II territorio indefinito . . . Spazio e tempo . . . . . . Un'indicazione: la polivalenza degli edifici. LA PROSPETTIVA TERRA E ClEW
GNOSTICA:
L' ABITARE UMANa
37 44 48
53 57
TRA
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22. 1.
CARMINE
2.
CARMINE
3. 4.
ARMIOO
5.
CARMINE
MAsSIMO
Parola che parla (2004) Francesco e la musica (2004) RIZZI, Laicita. Un'idea da ripensare (2004, II ed. 2006) CACCIARI, La cittil (2004, II ed. 2006, III ed. 2008) DJ SANTE, Gesu come incontrarlo nei vangeli
(2004, II ed. 2007)
6.
ALBERTO GALLAS,
7. 8.
CARMINE
DI SANTE,
Bonhoeffer. L'uomo, il teologo, il profeta (2005) Eucarestia. L'amore estremo (2005)
CARMINE
DI SANTE,
11. 12. 13.
Parole di luce. Segnavia dello Spirito (2005) THOMAS MICHEL, Un cristiano incontra I'Islam (2005) ROBERTO MANCINI, II senso del tempo e il suo mistero (2005) SALVATORE CURRO, Decidersi per il dono (2006) CARMINE DI SANTE, Coppia e gratuitil (2006) ARMIDO RIZZI, Cuomo di fronte alIa morte (2006)
14.
LUIGI ACCATTOLl-
9. 10.
JISO FORZANI,
La compassione Buddhista, il perdono cristiano (2006) 15. GIUSEPPE BARBAGLlO, Amore e violenza, il Dio Bifronte (2006) 16. ANNA ROSSI-DORIA, Le donne nella modernitil (2007) 17.
ADRIANA
CAVARERO,
II Femminile negato. La radice delIa violenza Occidentale (2007) 18. FABRIZIO FABRlZI, Liberare Dio (2007) 19. MARCO DAL CORSO, Per un cristianesimo altra (2007) 20.
LILIA SEBASTIANl,
Nella notte mi istruisci. II sogno nelle Scritture sacre (2007) 21. GIANNINO PlANA, La sessualitil umana. Una proposta etica (2007)
ALIOTTA
- ANGELA
LIA,
10 Paolo scrivo a voi ragazzi. Una lettera di Saulo di Tarso (2007-2008)
DI SANTE,
DI SANTE,
MAURIZIO
23.
MAClE)
BIELAWSKI,
La luce divina nel cuore. 1ntroduzione alIa Filocalia (2007) 24. CARMINE DI SANTE, Dio si racconta. L' amore trinitario (2008) 25.
SALVATORE CURRO,
Dire Dio deponendo Ie pietre. Sullinguaggio religioso (2008) DARIO VIVIAN, Non nominare il nome di Dio (2008) ARMIDO RIZZI, Giobbe. Un libro Polifonico (2008) 28. ROBERTO MANCINI, Desiderare il futuro (2008) 26. 27. 29.
ANDREA
GRILLO
- MATTEO
FERRARI,
La riforma liturgica e il Vaticano II. Quale futuro? (2009) 30. ARMIDO RIZZI, Teologia del Novecento (2009) 31.
ANDREA
GAGLIARDUCCI,
La musica dell'altro, sinfonia delle differenze (2009) 32. VINCENZO ALTOMARE la parala liberatrice. La pedagogia di Paulo Freire (2009)
QUESlD VOLUMETIO
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IMPAGINATO E STAMPAlD
IN
VILLA VERUCCHIO (RJMINl) DA PAZZINI STAMPATORE EDlTORE LUGU02009
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