Caccia Alle Streghe

February 4, 2017 | Author: Sergio Savini | Category: N/A
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Storia delle persecuzioni fattucchieristiche...

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Caccia alle streghe

Aculei

Aculei Una visione pungente della storia.

Collana diretta da Alessandro Barbero

Quando il passato torna a trafiggere come una lama.

1. FRANCO CARDINI, Cristiani perseguitati e persecutori, pp. 188. 2. MATTEO SANFILIPPO, Faccia da Italiano, pp. 148. 3. ANDREA NICOLOTTI, I Templari e la Sindone. Storia di un falso, pp. 188. 4. OSCAR DI SIMPLICIO, Luxuria. Eros e violenza nel Seicento, pp. 172. 5. SERGIO VALZANIA, Fare la pace. Vincitori e vinti in Europa, pp. 136. 6. GUSTAVO CORNI, Fascismo. Condanne e revisioni, pp. 136. 7. LUCIANO CANFORA, Gramsci in carcere e il fascismo, pp. 308. 8. MARINA MONTESANO, Caccia alle streghe, pp. 188.

Stregoneria e caccia alle streghe. Storia di una persecuzione.

Caccia alle streghe

Volumi pubblicati:

MARINA MONTESANO insegna Storia medievale all’Università di Messina. Tra le sue pubblicazioni: Supra acqua et supra ad vento. Superstizioni, maleficia e incantamenta nei predicatori francescani osservanti (Italia, sec. XV) (Roma 1999), La lunga storia dell’Inquisizione (Roma 2005) con Franco Cardini.

ISBN 978-88-8402-757-3

€ 12,50

9 788884 027573

marina montesano

Volumi di prossima pubblicazione: 9. RENATA DE LORENZO, Borbonia felix. Il Regno delle Due Sicilie alla vigilia del crollo.

Il volume indaga il fenomeno storico della stregoneria e la conseguente caccia alle streghe, partendo dal mondo antico e ripercorrendone le tracce fino all’età piú recente. Alla luce di un’attenta analisi delle fonti, degli scritti e delle azioni dei protagonisti di lontane vicende, Marina Montesano delinea un quadro in cui la “caccia” emerge, da una parte come un elemento costitutivo della modernità, dall’altra come una risposta a esigenze riaffioranti nella società in epoche diverse. Non solo e non tanto nel “barbaro Medioevo”, dunque, quanto e soprattutto in epoche in cui il trionfo della ragione e del diritto dovrebbero avere il sopravvento. A tal fine l’autrice prende in esame, per un confronto, alcuni casi contemporanei che presentano elementi assai simili alle persecuzioni antistregoniche dei secoli passati.

Marina Montesano

Il volume indaga il fenomeno storico della stregoneria e la conseguente caccia alle streghe, partendo dal mondo antico e ripercorrendone le tracce fino all’età piú recente. Alla luce di un’attenta analisi delle fonti, degli scritti e delle azioni dei protagonisti di lontane vicende, Marina Montesano delinea un quadro in cui la “caccia” emerge, da una parte come un elemento costitutivo della modernità, dall’altra come una risposta a esigenze riaffioranti nella società in epoche diverse. Non solo e non tanto nel “barbaro Medioevo”, dunque, quanto e soprattutto in epoche in cui il trionfo della ragione e del diritto dovrebbero avere il sopravvento. A tal fine l’autrice prende in esame, per un confronto, alcuni casi contemporanei che presentano elementi assai simili alle persecuzioni antistregoniche dei secoli passati.

ac u le i COLLANA DIRETTA DA

a l e s s a ndro b a r b e ro

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marina montesano

caccia alle streghe

SALERNO EDITRICE ROMA

Composizione presso Grafica Elettronica, Napoli Copertina: Concept and graphic design: Andrea Bayer Illustrazioni: Andrea Conforzi

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edizione digitale: settembre 2012 ISBN 978-88-8402-781-8 a

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edizione cartacea: aprile 2012 isbn 978-88-8402-757-3

Tutti i diritti riservati - All rights reserved Copyright © 2012 by Salerno Editrice S.r.l., Roma

A Giovanni, per trent’anni d’amicizia

P ROLOGO*

Nel 1983 a Manhattan Beach, sobborgo benestante di Los Angeles, Judy Johnson, madre di un bambino in età prescolare, si rivolse alla polizia locale denunciando che suo figlio era stato sodomizzato dal­ l’insegnante della scuola materna McMartin, Ray Buckey. La scuola era un istituto di ottima reputazione, a conduzione familiare, fondato dalla nonna dell’accusato, Virginia McMartin; la madre, Peggy McMartin Buckey, ne era l’amministratore. La Johnson mosse la stessa accusa, non è chiaro se contestualmente, al suo ex marito; inoltre affermò che altre persone nella scuola avevano avuto rapporti sessuali con animali e commesso vari abusi; Ray Buckey sarebbe anche volato in aria. Nei mesi successivi gli addebiti si arricchirono di convegni con streghe, capri, infanticidi rituali, altri abusi sessuali. La polizia con­dusse una perquisizione a casa di Buckey, sequestrandovi alcuni oggetti, ma non trovò prove e non poté procedere all’arresto. Tuttavia indirizzò una lettera a duecento famiglie di bambini che avevano frequentato l’istituto, informandole che i figli potevano essere stati vittime di abusi sessuali e chiedendo ai genitori di interrogarli in merito. In particolare, domandavano di riportare qualsiasi informazione fornita dai bambini circa i comportamenti di Ray Buckey: per esempio, se si fosse allontanato con uno di loro dalla classe o se l’avesse legato. Prevedibilmente, la lettera scatenò un’ondata di panico anche al di fuori della cerchia dei destinatari. I genitori cominciarono a tempestare i figli di domande e diverse centinaia di bambini furono condotti al Children’s Institute International, una clinica che si occupa di terapia degli abusi, gestita dal dottor Kee MacFarlane, la cui tecnica di indagine prevedeva, fra l’altro, lunghi interrogatori con bambole “sessualmente corrette”. Nella primavera del 1984 si giunse a dichiarare che 360 bambini avevano subito molestie sessuali; un’assistente della clinica affermò, producendo alcune foto, che minuscoli segni presenti nella regione anale erano stati causati da penetrazione. Nel frattempo, anche il bagaglio delle allegazioni che risultavano dagli in­terrogatori dei bambini si complicava: non sarebbero stati solo abu9

prologo sati, ma costretti a rituali satanici durante i quali avevano visto streghe volare, avevano volato in palloni aerostatici, visto gli imputati bere sangue e mutilare animali, erano stati rinchiusi in bare calate sottoterra, erano stati condotti attraverso un armadio dentro tunnel sotterranei che conducevano a cimiteri in cui avevano luogo orge e omicidi; diverse indagini furono portate avanti per localizzare questi tunnel sotto la scuola, ma senza risultati (nonostante a distanza di anni associazioni di genitori dichiarino di averli invece individuati). Nel marzo del 1984 Virginia McMartin, Peggy McMartin Buckey, Ray Buckey, sua sorella Peggy Ann Buckey e le insegnanti Mary Ann Jackson, Bette Raidor e Babette Spitler vennero formalmente accusate di 115 capi d’imputazione, poi saliti a 321, commessi a danno di 48 bambini. Nei venti mesi di audizioni preliminari il procuratore Lael Rubin presentò l’impianto generale dell’indagine; ma le testimonianze dei bambini evidentemente non reggevano e nel 1986 un nuovo procuratore le giudicò inconsistenti, lasciando cadere tutte le imputazioni a carico di Virginia McMartin, Peggy Ann Buckey, Mary Ann Jackson, Bette Raidor e Babette Spitler. Ray Buckey e sua madre rimasero invece in custodia cautelare in attesa di giudizio fino al 1990, quando anche gli addebiti contro di loro furono reputati troppo deboli, sebbene con una giuria divisa. A nulla era valso il fatto che nel 1986 la prima accusatrice, Judy Johnson, fosse stata rinvenuta morta nella sua abitazione per complicazioni legate al suo alcolismo cronico; le era stata inoltre diagnosticata una forma di schizofrenia, ma a lungo l’accusa era riuscita a tener nascosto il fatto. Il processo risultò il piú lungo e il piú costoso nella storia degli Stati Uniti; gli imputati fecero causa allo stato per i danni subiti, ma la clinica che aveva condotto gli interrogatori dei bambini non poteva, secondo la giurisprudenza locale, esser ritenuta in alcun modo responsabile, neppure economicamente (nonostante le parcelle presentate per le perizie fossero sostanziose). La vita degli imputati e probabilmente di molte delle famiglie coinvolte (numerose fra le quali hanno continuato a ritenere vere le accuse) era intanto distrutta; la scuola rasa al suolo.1 Mentre il processo McMartin seguiva questo tortuoso sviluppo, negli Stati Uniti il panico per il complotto e gli abusi satanisti si diffondeva, colpendo soprattutto altri istituti per l’infanzia. Una investi10

prologo gazione condotta nel 1988 registrava già un paio di centinaia di casi; circa un decennio piú tardi, su un totale di dodicimila denunce per abusi rituali legati al satanismo, nessuno aveva retto alle indagini e ai processi.2 Ovunque vi fossero accuse lanciate da bambini, la reazione iniziale era che le testimonianze infantili sono sempre sincere, nonostante l’assenza assoluta di segni di violenza; segni che, soprattutto nel caso di sodomia su bambini in età prescolare, dovrebbero risultare evidenti senza possibilità di dubbio. Molti fra questi casi, perciò, sfociarono in processi simili al primo, con lunghe detenzioni cautelari e altre vite distrutte. Nel frattempo, dagli Stati Uniti, l’ondata di isteria era passata all’Inghilterra e poi al resto d’Europa: 3 l’Italia ha registrato casi molto simili e almeno uno, clamoroso (senza streghe che volano, ma con tanto di uomo nero, tunnel e fughe dalla scuola verso località misteriose), è ancora aperto. Soltanto verso la metà degli anni Novanta, l’avvio di nuove procedure sul modo corretto di interrogare i bambini, basate sul concetto che essi possono essere al contempo (e spesso involontariamente) facilmente manipolati e manipolatori, sembra aver posto un freno alla follia collettiva. Chissà: se le parti in causa avessero letto qualcosa dei processi baschi o svedesi del Seicento, dei quali parleremo, dove gli accusatori erano soprattutto bambini, la loro opinione si sarebbe modificata. O forse no. In fondo, la caccia alle streghe di Salem non aveva seguito dinamiche differenti e certo non si può dire che l’episodio sia ignoto negli USA. In tanti si sono interrogati sulle ragioni di questa ondata di panico di massa. Si è chiamato in causa il successo, evidente proprio a partire dai primi anni Ottanta, di libri-denuncia nei quali si esponevano casi in cui pazienti in cura presso analisti e psicologi, o seguiti dai servizi sociali, sembravano ricordare abusi subiti nell’infanzia, la rimozione dei quali sarebbe stata la causa dei loro problemi correnti. Il primo è stato probabilmente Michelle Remembers (1980), scritto da Michelle Smith e dal suo psichiatra e poi marito Lawrence Pazder, che è stato consulente per l’accusa proprio nel processo McMartin e che sul “ritorno” di memorie rimosse ha costruito un’intera carriera: salvo dichiarare nel 1990 che la convinzione delle presunte vittime circa la realtà dei fatti era piú importante dell’effettiva veridicità degli stessi. Pazder era (è morto nel 2004) un cattolico che si diceva convinto 11

prologo del­l’esistenza di un complotto satanista e di circoli dediti all’abuso rituale su bambini. Proprio il forte impegno di gruppi religiosi cristiani (non solo cattolici: anzi, il fondamentalismo evangelico ha avuto un peso anche maggiore) oltranzisti, organizzatori e promotori di questo tipo di idee, sembra esser stato una delle cause dell’isteria collettiva. Diversi assistenti sociali e psichiatri che hanno portato avanti perizie molto dubbie erano legati a questi circoli. In altri casi può aver avuto un peso il fattore economico; oppure l’aver mal compreso e applicato peggio teorie mediche e psicanalitiche. Prendiamo il caso del pediatra Bruce Woodling, chiamato quale perito nel caso di Bakersfield, in California; dove, nel 1982, accuse di abusi sessuali partite da un bambino e dalla nonna, con problemi mentali, avevano scatenato il panico giungendo a coinvolgere un numero sempre piú alto di famiglie. Per sostenere l’accusa, il medico aveva condotto test su due fratellini di sei e nove anni, dichiarando l’avvenuta sodomia in base alla teoria ottocentesca (ampiamente screditata) del “riflesso anale”, secondo la quale una sollecitazione dell’area, con un riflesso conseguente, era prova della violenza subita. Inutile dire che anche in questo caso gli imputati furono assolti, ma alcuni dei bambini, ormai allontanati dai genitori, finirono per crescere in case-famiglia. Rimane oscuro il perché un cosí alto numero di famiglie sia disposto a aderire senza alcuna prospettiva critica a questo tipo di narrazione. È stato ipotizzato che il senso di colpa legato al dover lasciare per ragioni lavorative bambini molto piccoli alle cure di estranei possa aver innescato meccanismi di transfert per cui, con l’occasione delle accuse, il desiderio di credere all’arcana minaccia avrebbe avuto via libera.4 È ovviamente uno spunto, insufficiente da solo per un soggetto che meriterebbe ancora ulteriori analisi. Ma il punto che soprattutto conviene sottolineare è l’influenza di specifiche opere scientificoletterarie e di mode intellettuali nel creare un clima propizio agli addebiti: scritti e teorie sono un fattore importante per comprendere come nascono le cacce alle streghe. I casi contemporanei di panico collettivo legati a presunti abusi rituali satanisti rivelano forti legami con la caccia alle streghe intesa come fenomeno storico, che nel nostro sentire comune tendiamo a relegare in un passato lontano dalla nostra epoca, fra Medioevo ed età 12

prologo moderna. Con la bolla Summis desiderantes, promulgata da Innocenzo VIII nel 1484, e la trattatistica di fine Quattro-primi del Cinquecento (il Malleus maleficarum degli inquisitori domenicani Jakob Sprenger e Heinrich Krämer, il Tractatus de strigibus di Bernardo Rategno, ecc.), si cominciò ad affermare l’idea che i molteplici crimini commessi dalle streghe in accordo con il demonio fossero fenomeni differenti da quelli che i canonisti avevano registrato in passato: da poco tempo le streghe avrebbero dato vita a una vera e propria setta decisa a colpire la Cristianità come mai si era verificato prima. L’insistenza sulla “modernità” della setta delle streghe era importante perché tracciava una cesura netta rispetto allo scetticismo espresso in passato circa i reali poteri delle streghe. Ma fondamentale per comprendere la nuova concezione della stregoneria e l’avvio della caccia alle streghe è proprio il mutamento del clima culturale e del patrimonio di scritti condiviso dai dotti alla soglia dell’età moderna: col recupero, a partire dal Due-Trecento, di molti testi della tradizione classica greca e latina che circolavano nell’Occidente cristiano sotto forma di volgarizzamenti e che, assumendo nel Rinascimento uno status diverso rispetto al passato, finirono col diventare un elemento a sostegno della realtà dei poteri delle streghe. Generalmente, la percezione del fenomeno stregonico e della sua persecuzione si dibatte fra due poli: la visione riduttiva espressa da Voltaire (per il quale la persecuzione si arresta quando si comprende « qu’il ne faut pas brûler les imbéciles », ‘non bisogna bruciare le imbecilli’),5 oppure l’idea della caccia alle streghe come una sorta di offensiva contro l’universo folklorico. Alla luce di una piú attenta analisi delle fonti, degli scritti e delle azioni dei protagonisti di quelle vicende, è invece possibile tracciare un quadro generale dal quale la caccia emerge, per larghi tratti, da una parte come un elemento costitutivo della modernità, dall’altra come una risposta a esigenze riaffioranti nella società in epoche diverse. Non solo e non tanto nel “barbaro Medioevo”, quanto e soprattutto in epoche nelle quali ci piace pensare che il trionfo della ragione e del diritto abbiano il sopravvento.

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I « NON LASC ERAI VIVERE I MALEF IC I »

1. Le parole della stregoneria La tradizione europea ha conosciuto molti e diversi termini per indicare coloro che si occupano di pratiche magiche, affini a quell’ambito che in età moderna verrà identificato con la stregoneria. In anni recenti, i linguisti che lavorano intorno al progetto dell’Atlante delle lingue europee hanno provato a sintetizzare e spiegare il significato di tali termini, suddividendoli in base a una “mappa motivazionale”: chi sono le persone chiamate in un certo modo, quali azioni compiono, che origini hanno.1 Lo studio si focalizza sui termini che indicano le streghe, intese nel senso di esseri umani di genere femminile, non creature sovrannaturali o di genere maschile, anche se, sottolineano gli autori, non sempre questi confini sono facili da delineare. Possiamo aggiungere che le fonti, dall’antichità fino all’età moderna, difficilmente danno ragione di questa scelta: lo vedremo meglio in seguito.2 In linea generale, la Penisola iberica, la Francia, il Regno Unito e la Germania mostrano una omologazione quasi completa rispetto ai quattro tipi conosciuti nelle lingue standard di questi paesi, che sono rispettivamente: bruja, sorcière, witch, Hexe. Per quanto riguarda l’Italia, invece, le aree centro-settentrionali si attengono al tipo “strega”, quelle meridionali (soprattutto la Sicilia, aggiungiamo) a “magara”, con una fascia a separarle nella quale sono presenti parole legate alla divinità latina Diana, come per esempio “iana”; ch’era poi già nel mondo antico un termine popolare per indicare tale divinità, come attesta Varrone nel II secolo a.C., quando scrive che i “rustici” erano soliti appellare tale divinità Iana Luna.3 L’arco compreso tra il Mediterraneo e le Alpi conosce invece una varietà di nomi: “bazura” e “masca” si dividono la zona tra Liguria, Piemonte e Provenza; il francese sorcière gioca una notevole influenza nell’area, anche se il nome derivante dal movimento valdese (Vaudois) è ampiamente attestato in Svizzera. 15

caccia alle streghe Le aree nordiche fino alla Danimarca, e talvolta anche oltre, sono dominate dall’influenza del tedesco; altrove mostrano caratteri piú antichi: trolljerring in norvegese e trollkäring in svedese significano ‘moglie di troll’ (cioè di una creatura sovrannaturale delle mitologie nordiche); nel Nord della Norvegia si incontra gandkjerring ossia ‘donna che pratica arti “magiche” lapponi’, al pari di runkjerring, che associa le pratiche magiche alle rune, cioè alla scrittura rituale dei germani, tenendo presente che originariamente rún aveva il significato di ‘mistero, segreto’. In Finlandia un termine antico è noita, che sembra legato allo sciamanesimo lappone. Nell’area linguistica slava, infine, si trovano prestiti dalle regioni limitrofe per quanto riguarda le zone liminari; mentre in quelle interne prevalgono termini che designano in modo trasparente il tipo di azione perpetrata. Passiamo rapidamente a esaminare le cosiddette “mappe motivazionali”. La prima si riferisce contemporaneamente al genere e all’età: ciò che le fonti medievali e moderne latinamente indicano con il termine vetula, che dà sovente una connotazione negativa all’espressione “donna anziana”. Si vedano per esempio l’ucraino baba, il polacco ciota, il gaelico strap, che originariamente hanno, appunto, solo quel significato, ma che verranno nel tempo assimilati al concetto di stregoneria. Vi è poi l’ampia gamma di termini che mostrano un nesso con il tema della trasformazione in animali; è un campo semantico per noi particolarmente interessante, che include l’italiano “strega” (con paralleli in rumeno, albanese, serbocroato, sloveno, ladino, greco), ed è connesso al latino strix. Esso crea un rapporto tra le strigidae, uccelli notturni, e le figure femminili che si trasmutano in animali rapaci per compiere malefici di vario genere, soprattutto legati all’infanticidio o al rapimento di cadaveri di bambini. È il caso esemplificato perfettamente dal celebre passo del Satyricon di Petronio: Quando avevo ancora una testa di capelli cosí, che da ragazzo io facevo la bella vita, muore il bambino del mio padrone, un ragazzino affettuoso, per dio una perla come non ce ne sono. Mentre quella poveraccia della madre lo stava piangendo e noi eravamo in moltissimi lí intorno a vegliarlo, ecco che all’improvviso sentiamo urlare le streghe (strigae). Era come un cane che insegue una lepre. C’era con noi uno della Cappadocia, uno spilungone, tutto

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i · « n on lascerai vivere i malefici » muscoli e niente paura, e cosí forte che riusciva a sollevarti un toro imbestialito. Questo qui, allora, impugnata coraggiosamente la spada e proteggendosi con cura la mano sinistra con la veste, si precipita fuori della porta e infilza per bene una di quelle donne, proprio qui nel mezzo, che dio me lo conservi! Noi sentiamo un gemito, ma – non è una bugia, ve lo giuro – delle streghe nemmeno la traccia. Ma appena rientra dentro, il nostro marcantonio si va ad accasciare sul letto col corpo pieno di lividi, come se lo avessero preso a frustate, perché evidentemente lo aveva toccato una mano stregata. Sprangata la porta, noi ce ne torniamo alla nostra veglia, ma quando la madre fa per abbracciare il corpicino del figlio, mette avanti le mani e trova soltanto un fantoccio di paglia. Niente piú cuore, niente piú intestino, niente di niente: era chiaro che le streghe si erano portate via il bambino e al suo posto avevano messo quel fantoccio di paglia. Vi prego, mi dovete credere: esistono realmente queste donne che ne sanno una piú del diavolo, queste creature della notte (nocturnas) che sconvolgono ogni cosa.4

Caratteristiche delle strigae sono dunque l’emettere grida particolari, l’essere creature notturne, l’essere intoccabili (lo schiavo che prova a colpirle ha la peggio: anzi il testo precisa che morirà poco dopo), il sostituire il corpo con un fantoccio. Alinei, nell’Atlante delle lingue eu­ ropee, propone che originariamente le strigidae fossero uccelli totemici che avrebbero assunto nel tempo connotazioni negative; un ricordo di tale credenza starebbe nell’idea popolare, testimoniata (e rifiutata) da Plinio, che gli strigidi lascino « cadere il latte nella bocca dei piccoli dal loro seno ».5 Contrariamente a “strega”, il tedesco Hexe ha un’etimologia complicata e misteriosa. Comunemente si lega all’alto tedesco Hagazussa, formato da Haga (con il significato di ‘barriera, palizzata’ che chiude un campo) e dus 6 o dusius,7 che indicano uno spirito; l’insieme si legherebbe quindi a un attributo che in futuro sarà tipico delle streghe: il bastone del volo magico. Piú di recente Alinei ha invece richiamato l’attenzione sull’omofonia tra Hagazussa e il medio olandese Hagetisse, che significa ‘lucertola’, ma che talvolta assume anche il senso di “strega”. Poiché la lucertola è uno degli assai numerosi animali in cui si credeva che le streghe potessero mutarsi, il senso conterrebbe comunque l’idea originaria dello steccato che circonda un campo (sul quale la lucertola si arrampica) e insieme quella della metamorfosi in animale. 17

caccia alle streghe Assai problematico è il castigliano bruja con le sue forme regionali: poco chiaro l’etimo, anch’esso oggi tendenzialmente legato all’idea della trasformazione in animale. Partendo dal presupposto che in castigliano tutti i termini legati all’ambito magico sono di origine latina, sono stati esclusi nessi con parole estranee a tale tradizione, anche se mostrano similitudini formali: secondo Alinei, bruja deriverebbe quindi dal latino brucola, diminutivo di bruchus, e indicherebbe dunque la larva di un bruco; ma la questione sembra ancora aperta. In inglese, invece, wizard/witch deriva dal sassone e dall’Old English wicca/wicce, e ha una radice sapienziale (che corrisponde al latino sa­ ga). Infine, il francese privilegia sorcier/sorcière, che deriva dal latino: originariamente a Roma erano detti sortilegus/sortilega coloro che trae­ vano le sortes (tavolette o bastoncini recanti un responso, che si estrae­ vano da un pozzo o da un’urna) o, piú in generale, i divinatori. Se già il panorama delle lingue volgari presenta una complessità significativa, chi studia i prodromi della caccia alle streghe e si rivolge alle fonti medievali e anche d’età moderna, s’imbatte in un’ulteriore difficoltà linguistica: una larga parte delle testimonianze sono in latino, il che costringeva spesso gli estensori dei testi a uno sforzo di traduzione che può risultare fuorviante. Il senso di alcune parole deriva da determinati contesti culturali, e viene certo diluito e appiattito quan­do volto in latino. Vediamo dunque quali sono le parole alle qua­ li sarà opportuno prestare maggiore attenzione. Se in termini moderni possiamo affermare che l’ambito d’indagine che c’interessa è quello magico-stregonico, quando ci rivolgiamo al passato notiamo che entrambe queste parole sono problematiche. Partiamo da “magia”. Il termine magus/maga, cosí come tutti quelli da esso derivanti, non compare di frequente nelle fonti medievali. Originariamente i greci l’avevano mutuato dal mondo persiano nel quale, secondo Erodoto, i mágoi erano una casta sacerdotale.8 I greci ne ampliarono però il significato intendendo con esso, spesso in accezione negativa, coloro che praticavano arti occulte. Il Vangelo di Matteo parla di mágoi provenienti da Oriente, quindi presumibilmente dalla Persia stessa. Di conseguenza, il primo mondo cristiano ereditò la doppia definizione: i magi come maghi oppure come sacerdoti, poi legati alla tradizione e al culto delle reliquie dei Re Magi. 18

i · « n on lascerai vivere i malefici » Questa seconda accezione, però, si esaurisce e si fossilizza nel contesto delle rievocazioni della Natività, mentre la prima, che collega i magi alle arti occulte, diviene predominante. Ai primi del IV secolo Lattanzio scrive delle « arti esecrabili » dei magi « e di coloro che il popolo chiama malefici ».9 A cavallo tra VI e VII secolo il vescovo Isidoro di Siviglia riprende la definizione, chiarendola cosí: « Zoroastro, re della Battriana [regione della Persia], fu il primo dei maghi […]. I maghi sono detti dal popolo malefici per la grandezza delle scelleratezze ».10 La definizione sarà ripresa alla lettera nel 1140 dal Decretum del monaco camaldolese Graziano, lavoro sistematico di rior­ ganizzazione dei canoni (cioè delle leggi) fin lí disordinatamente o quantomeno episodicamente emanati da concili e pontefici, divenuto da allora la base della legislazione ecclesiastica. Nel testo si legge infatti: « I magi sono coloro che il popolo chiama malefici dalla moltitudine delle scelleratezze commesse ».11 Ma chi sono questi malefici a cui gli autori cristiani equiparano con tanta sicurezza i maghi? Il maleficus o la malefica sono coloro che praticano una magia dotata, come indica l’etimologia stessa del vocabolo, di valenze esclusivamente negative; il che non esclude la possibilità che si servano dei loro strumenti per fini positivi. La magia è infatti costantemente ambivalente, e chi è in grado, per esempio, di far piovere in caso di siccità, è anche in grado di scatenare grandinate per rovinare il raccolto dei vicini. I maleficia non dovrebbero quindi includere, ad esempio, le pratiche con finalità taumaturgiche. Ma, in realtà, nell’ambito culturale cristiano tutte le pratiche di magia vengono stigmatizzate perché se ne avverte il legame con il paganesimo, e perché questo legame corrisponde a una connivenza con il demonio. D’altra parte non solo la Bibbia, ma anche la legislazione romana antica avevano stigmatizzato e temuto il maleficium: il concetto preesisteva largamente alla sua interpretazione cristiana. È dunque a entrambi questi contesti che dobbiamo ora rivolgerci. 2. Maleficio e veneficio nella Bibbia L’antimagismo ebraico, cosí come si configura nel Vecchio Testamento, traeva la sua origine dalla lotta d’Israele contro i circostanti 19

caccia alle streghe popoli pagani e contro il suo stesso, rinnegato passato d’idoli e di sacrifici. Per chiarire quali potessero essere le suggestioni magiche circostanti Israele, basterebbe indagare sui popoli che con esso erano entrati in contatto nei due millenni precedenti il Cristo: gli Egizi, gli Hittiti, le popolazioni abitanti l’area siriaco-fenicio-palestinese, gli Assiro-babilonesi, i Medo-persiani, le culture di sintesi siro-ellenistica e poi ellenistico-romana, tutti pregni di valori magici. Il Dio d’Abramo si poneva di fronte alle altre divinità come Dio unico e onnipotente; padrone della natura, comandava su tutto e non poteva essere sottomesso ad alcuna coercizione umana. Il carattere magico delle altre religioni rispetto a quella d’Israele, e allo stesso tempo l’inu­ tilità, la vanità e pertanto l’empietà della magia, si qualificavano da soli, secondo la legge ebraica, appunto nel confronto con l’onnipotenza dell’unico Dio. I libri che siamo soliti definire del “Vecchio Testamento” risentono tutti, in maggiore o minor misura, della polemica dei profeti ebrei contro tutto quel che sapesse di “magia operativa” e di divinazione; polemica tanto piú intransigente in quanto politeismo e magia avevano pesato a lungo sul passato del popolo d’Israele, come provano le stesse oscure, reticenti allusioni della Bibbia. I tipi di magia e di divinazione con i quali il mondo israelitico era entrato in contatto erano numerosi, e molti sono i termini che la letteratura biblica usa per designarli: tutto quel che per esempio riguardava il mondo sotterraneo o gli “spiriti dei morti” era visto con il massimo sospetto. Questi i principali passi nei quali la magia è condannata: 1) « Non si trovi in mezzo a te chi sacrifichi nel fuoco suo figlio o sua figlia, né chi eserciti la divinazione, interpreti i sogni, né auguri, né malefici, né incantatore, né chi consulta i pythones, né i divinatori » (Dt., 18 10-12). 2) « Non rivolgetevi ai maghi o agli arioli (indovini), rendendovi impuri con essi. Io sono il Signore vostro Dio » (Lv., 19 31). 3) « Un uomo o una donna tra voi che sia posseduto da spirito “pythonico” o indovino sia messo a morte: li lapiderete. Il loro sangue ricada su di loro » (Lv., 20 26-27). 4) « Non lascerai vivere i malefici » (Es., 22 17). 20

i · « n on lascerai vivere i malefici » Si tratta di una terminologia confusa e contraddittoria. La Pythoni­ ca divinatio della Bibbia latina si riferiva originariamente all’arte della Pythia, sacerdotessa dell’oracolo di Delfi, che riceveva rivelazioni da Apollo; il che, nell’interpretazione cristiana, equivaleva a dire dal demonio. La Bibbia ebraica usa il termine Oboth, nome proprio di una località toccata durante il cammino dell’Esodo, che avrebbe il significato di ‘pozzo’ o ‘contenitore d’acqua’: la Bibbia dei Settanta, in greco, lo traduce con engastromythoi, cioè ‘ventriloqui’, indicando dunque qualcuno che profetizza posseduto da uno spirito. La confusione fra la divinazione per mezzo degli spiriti e l’arte “pythonica” di Delfi si ritrova in san Gerolamo, il quale definisce la necromante di Endor, che evoca lo spirito di Samuele nel i Libro dei Re, come mulier habens pythonem. I Padri della Chiesa, da Origene a Eustazio di Antiochia a Gregorio di Nissa, discussero l’episodio e la natura di quel particolare commercio con l’Aldilà, la necromanzia, che consiste nella divinazione attraverso l’evocazione di defunti.12 Ma il significato della parola nekro­ manteia andò smarrito nel mondo latino medievale, dal momento che nekros venne progressivamente tradotto come nigrum.13 Di conseguenza, chi era esattamente un o una necromante? E chi un pythone o una pythonissa? Nel Decretum, Graziano collega correttamente que­ st’ultima al santuario di Apollo.14 Tuttavia, per complicare le cose, egli chiama femina ventriloqua sia la necromante di Endor, sia la schiava, incontrata da san Paolo, che divina per il suo padrone in cambio di denaro e della quale parlano gli Atti degli Apostoli, 16 16:15 rifacendosi letteralmente alla Bibbia dei Settanta, che definisce engastrimythia, ‘ventriloquia’, l’attività di entrambe queste donne. Ma il termine per noi piú interessante è “malefico”, che nella Bibbia ebraica è Mekhashefah, correttamente tradotto nella Bibbia dei Settanta come pharmakous: un termine che in latino verrebbe reso meglio da veneficus, ‘avvelenatore’, piuttosto che dal piú generico ma­ leficus. Il che apre una parentesi importante, non solo per l’interpretazione di questi testi, ma anche per la tradizione legislativa occidentale dei secoli successivi. Difatti, là dove la Bibbia ebraica attaccava gli avvelenatori, quella latina impiegava un termine che si prestava a un’interpretazione piú ampia. Ma saranno soprattutto le traduzioni 21

caccia alle streghe tarde nelle lingue volgari d’età moderna a stravolgere ulteriormente il passo, destinato a diventare il piú celebre nella condanna della stregoneria – ossia appunto: « Non lascerai vivere i malefici » – volgendo al femminile (malefica/-he) ciò che inizialmente era neutro. Soffermiamoci allora sul rapporto tra maleficio e veneficio. Nella recente Encyclopedia of Witchcraft, alla voce Potions, leggiamo: « Nell’antica Grecia l’uso di pharmaka (droghe o veleni) non era sempre magico, e il termine pharmakeia (il somministrare droghe o veleni) può essere diviso in tre categorie principali: usi magici, avvelenamento senza magia e la pratica medica o curativa ».16 In realtà, la distinzione non è cosí netta e immediata, né per il mondo greco, né per le civiltà e i secoli successivi; corrisponde invece a un bisogno di chiarezza tipico piuttosto della nostra cultura. E infatti a noi non parrebbe affatto ovvio che magia e avvelenamento abbiano qualcosa in comune, mentre nelle culture antiche l’accostamento è usuale. È la stessa lingua a mostrarci l’ambiguità della materia: un solo termine, pharmakon, indica tanto l’incantesimo a scopo curativo, quanto la medicina, nonché il veleno. La sua accezione è talmente carica di significati magici che nella società ateniese arcaica i pharmakoi erano anche le vittime rituali nutrite e condotte in giro per la città prima di essere lapidate – o scacciate a colpi di pietra – fuori dalla cerchia urbana.17 Nel lituano, con il quale in genere si può confrontare il greco antico, la medesima radice esita in buria e burti, con il significato di ‘fare scongiuri, incantesimi’.18 In tal senso, aveva ragione Jacques Derrida quando, ne La farmacia di Platone, notava come i due significati di “rimedio” e di “veleno” siano inseparabili;19 e forse – sebbene sia difficile dirlo con certezza – almeno in Platone ciò sembra trovare una giustificazione nell’innaturalità del rimedio (« Le malattie, qualora non comportino gravi pericoli, non si devono molestare con i farmaci »):20 nel senso che il filosofo sembra qui voler razionalizzare il termine, giustificando la pericolosità e la minaccia insita nel pharmakon con una spiegazione scientifica. E d’altra parte, nei Dialoghi, Socrate è spesso indicato come pharmakeus in rapporto alla magia della parola che gli è propria; ma è anche pharmakos, nel senso che diventerà il capro espiatorio di Atene quando sarà costretto al suicidio. Si può allora dire che il senso princi22

i · « n on lascerai vivere i malefici » pale della parola risiede proprio nella sua complessa ambiguità: magia e medicina, avvelenamento e cura, sono intimamente legati fra loro. Bisognerebbe forse spostare la nostra attenzione da ciò che la phar­ makeia è, al modo in cui viene recepita e giudicata. In particolar modo, la farmacia a base di elementi vegetali costituisce un’ottima palestra per capire quali sono i processi che inducono a condannare o a tollerare, a reputare una pratica minacciosa oppure no, a collocarla nell’ambito della magia o della medicina, della magia “nera”, cerimoniale, o di quella “bianca”, naturale. Anche questo è un processo che avrà un peso nella definizione tardomedievale e poi moderna della stregoneria. Le Sacre Scritture, con la loro apparente e totalizzante condanna della magia, in realtà contengono esse stesse passi in cui procedimenti magici vengono chiamati in causa. Nell’Antico Testamento l’uso medicinale/magico di piante è menzionato in diverse occasioni: la piú celebre è certamente la pianta duda’im, che a ragione la Vulgata traduceva con ‘mandragora’. Ruben la porta alla madre Lia, che non può piú avere figli, e sulla mandragora sorge una disputa con Rachele, anch’ella sterile; nonostante il passo affermi che il Signore diede loro nuovamente la fertilità, l’allusione ai poteri fecondatori della mandragora sembra piuttosto ovvia.21 L’apprezzamento per le proprietà medicinali delle piante emerge anche da altri passi: lungo il fiume che sgorga dal Tempio, nella profezia di Ezechiele, cresceranno alberi i cui frutti saranno cibo e le foglie medicina.22 In un lungo passo dell’Ec­ clesiastico, che celebra le virtú del medico e delle sue cure, leggiamo: « Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza ».23 Si potrebbe affermare che in questi passi gli autori fanno riferimento alle proprietà esclusivamente naturali delle piante; tuttavia l’autore dell’Ecclesiastico prosegue dicendo: « L’acqua non fu resa dolce per mezzo di un legno, per far conoscere la potenza di lui? »;24 e rinvia cosí al brano dell’Esodo in cui il Signore indica a Mosè un legno che rende potabili le acque del pozzo dell’oasi di Marah nelle quali è stato gettato.25 Il passo è stato commentato in molti modi, tanto in ambito ebraico quanto cristiano, spesso cercando di allontanare lo spettro di una sua possibile interpretazione magica: le acque amare 23

caccia alle streghe sarebbero simbolo dei cuori del popolo di Israele; oppure l’episodio sarebbe da interpretare come una prefigurazione del significato salvifico della crocifissione; o, ancora, il legno sarebbe semplicemente una pianta dotata di proprietà medicinali-purificatrici. In realtà, le proprietà magiche del legno nell’acqua non possono non ricordare il passo del Genesi – dal sapore magico difficilmente discutibile – in cui Giacobbe prende rami freschi di pioppo, mandorlo e platano, li scortica in modo da alternare la corteccia e il bianco sottostante, poi li mette nei truogoli dove gli animali al pascolo si abbeverano: « Mise i rami cosí scortecciati nei canaletti agli abbeveratoi dell’acqua, dove veniva a bere il bestiame, bene in vista per le bestie che andavano in calore quando venivano a bere. Cosí le bestie andarono in calore di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati ».26 La conoscenza delle proprietà (magiche e medicinali: non sembra esserci differenza) della natura, nonché la capacità di manipolarla, è insomma positiva; il prototipo di questa immagine può esser dato da Salomone, la cui sapienza è simboleggiata dal suo essere in grado di discettarne.27 Ma al tempo stesso chi conosce queste proprietà le può usare per fare il male: e allora la cura si trasforma in veneficio, e quest’ultimo diventa, per antonomasia, maleficio. 3. Streghe a Roma Se ci volgiamo al diritto romano, vediamo la stessa sovrapposizione tra maleficio e veneficio e il crescere trasparente di una forte preoc­ cupazione per gli effetti di tali pratiche nella società. Inizialmente, nel mondo romano la scelta delle attività da proibire era piuttosto semplice: era l’intenzione a contare; se la pratica era nociva, si incorreva nella condanna. Nell’età repubblicana, soprattutto, il discrimine fra lecito e illecito passava, per dirla con Fritz Graf, nella distinzione « tra le pratiche che aggredivano l’integrità delle persone o della loro proprietà mediante mezzi rituali […] e l’insieme delle altre pratiche, prive di intenzioni malefiche benché all’apparenza in tutto simili ».28 Le leggi delle Dodici Tavole, che ci sono pervenute in forma mutila attraverso testimonianze posteriori, condannano coloro che « incanta24

i · « n on lascerai vivere i malefici » no attraverso un carme malefico (malum carmen) » e che si appropriano con formule magiche del raccolto o del grano di un altro. Nel tempo, tuttavia, questo equilibrio si andò modificando. Nella tarda età repubblicana l’irrompere della magia ellenistica in generale, l’uso magico delle erbe in particolare – avvertito in relazione o in alternativa al loro uso medicinale – diedero luogo a una forma di psicosi diffusa. Cresceva la preoccupazione per la possibilità di nuocere a distanza: è in tale contesto che aumenta l’importanza del crimine di veneficium, testimoniato dalla Lex Cornelia de sicariis et veneficiis, voluta da Silla nell’81 a.C. La legge (che anche in questo caso non possediamo, ma conosciamo solo attraverso testimonianze piú tarde) è rivolta a condannare coloro che provocano morti ingiuste e, in particolare, gli assassinii a mezzo di coltello (sica) e gli omicidi che si servivano di mezzi occulti. Si trattava di una novità assoluta? A cavallo tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I d.C., Tito Livio riferisce un episodio che avrebbe avuto luogo nel 331 a.C., anno in cui molti personaggi di alto rango morirono misteriosamente; non si riusciva a venire a capo della ragione dei decessi fino a quando una schiava cominciò a parlare, denunciando alcune matrone, nelle cui case in effetti furono rinvenuti venena. Alcune fra loro dichiararono che si trattava di medicamenti ma, costrette a berli, ne morirono; il processo che seguí lo scandalo condusse alla condanna a morte di 170 donne: L’anno seguente fu terribile sia per l’inclemenza del tempo sia per le colpe commesse dagli uomini. Consoli erano M. Claudio Marcello e C. Valerio. Negli annali ho variamente trovato Flacco e Potito come soprannomi attribuiti a Valerio: quale sia la verità non è però molto importante. La notizia che vorrei sinceramente fosse falsa (e non tutti gli autori la riportano) è questa: che gli uomini la cui morte rese memorabile l’anno morirono non per la pestilenza, ma avvelenati. Ciò non ostante, siccome la notizia ci è stata tramandata, merita di essere riportata onde non togliere credibilità a qualche storico. Mentre i personaggi piú in vista della città contraevano la medesima malattia e morivano quasi tutti nella stessa maniera, un’ancella si presentò all’edile curule Quinto Fabio Massimo dicendo che gli avrebbe rivelato la causa del contagio che affliggeva i cittadini se egli le avesse garantito che quella denuncia non le avrebbe arrecato danno. Fabio riferí immediatamente la cosa ai consoli i quali la riportarono al senato, e alla donna venne data la

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caccia alle streghe garanzia richiesta, con l’approvazione generale dei senatori. Allora l’ancella rivelò che la città era in preda all’epidemia per colpa di criminose pratiche femminili, e che i veleni erano opera di alcune matrone: se l’avessero seguita, súbito, le avrebbero potute cogliere in flagrante. I senatori seguirono la delatrice e trovarono delle donne impegnate a cuocere filtri e altre pozioni na­ scoste. Portato il materiale nel foro e convocate una ventina di matrone nelle cui case le pozioni erano state rinvenute, due di esse, Cornelia e Sergia – entrambe di nobile famiglia – sostennero che si trattava di farmaci salutari. Ma poiché la delatrice confutava le loro affermazioni, vennero costrette a bere i preparati in modo da dimostrare al cospetto di tutti che le accuse dell’ancella erano false. Presero tempo per consultarsi e, in disparte, riferirono la cosa alle altre donne; poiché anche queste non erano contrarie a ingerire le pozioni, bevvero tutte d’un fiato, al cospetto del popolo, e morirono per le loro stesse pratiche delittuose. Le loro ancelle, immediatamente arrestate, fecero i nomi di un gran numero di matrone, centosettanta delle quali vennero giudicate colpevoli. Prima di quel giorno non si erano mai tenuti a Roma processi per avvelenamento. La cosa fu ritenuta un prodigio e venne considerata il prodotto di menti folli piú che criminali. E cosí, siccome negli annali veniva riportato che in passato, in occasione di secessioni della plebe, il dittatore aveva piantato un chiodo e che le menti degli uomini uscite di senno per la discordia erano tornate in sé grazie a quel rito di espiazione, si decise di nominare un dittatore per piantare il chiodo. La scelta cadde su Gneo Quintilio, il quale nominò maestro di cavalleria Lucio Valerio. Dopo aver piantato il chiodo, i due magistrati rinunciarono alla carica.29

Non sappiamo se la vicenda rispecchi un fatto veramente accaduto (lo stesso Livio non pare esserne certo) o piuttosto la preoccupazione coeva per questo tipo di pratiche; è interessante, sempre per quanto concerne l’esile distinzione tra magia positiva e negativa, che l’episodio si chiuda con un gesto, la “fissione del chiodo”, ch’era un rito antico legato a ricorrenze calendariali, ma aveva certamente un significato che potremmo definire magico: esso mirava infatti a immobilizzare gli eventi funesti e invocare un nuovo corso piú propizio. Tuttavia, almeno formalmente, assomigliava alle cosiddette tabellae defixio­ num greche e romane. Si trattava di lamine di piombo, considerato un metallo infausto, su cui si tracciava il nome della persona cui si voleva nuocere accanto a parole, segni e figure di maledizione; quindi si piantavano le lamine, per mezzo di chiodi (defixio da defigere : ‘pianta26

i · « n on lascerai vivere i malefici » re’) all’interno di sepolcri, in modo da farle giungere alle divinità infere. Si trattava, tecnicamente, di un sacrificio agli dèi dell’oltretomba, cui si dedicava la vittima del rito. Narra Tacito che la malattia e poi la morte di Germanico vennero attribuite a un maleficio, comprovato dal fatto che nella sua stanza furono rinvenute delle tabelle di piombo con scritture, insieme a ossa semicombuste, grumi di sangue e altri malefici che si credevano utili ad assicurare l’anima agli inferi.30 Ma torniamo al veneficium. Scrive ancora Graf: C’è innanzitutto il problema dell’ambito coperto dal termine veneficium, ossia la violazione di una persona mediante mezzi occulti […]. Plinio non è sicuro che si tratti davvero di magia, e Tacito parla costantemente di veneficium, senza mai impiegare una terminologia piú moderna (e per noi meno equivoca). Piú tardi, i giuristi decisero di sussumere nel delitto di veneficium la magia nel suo aspetto non romano di tecnica (ars), con tanto di specialisti e trattati. Al principio del III secolo, il giurista Paolo c’informa che la legge puniva anche il possesso di libri magici e i complici delle pratiche magiche. […] Questo movimento sfocia, a metà del IV secolo, in una nuova modificazione della terminologia: mentre il termine ufficiale rimane magus, la parola corrente è ora maleficus, ‘colui che fa il male’.31

La pena capitale, secondo Paolo, era infamante: i colpevoli venivano gettati alle bestie, crocifissi o bruciati vivi; condanne che sostituivano quella antica che consisteva presumibilmente nella flagellazione a morte.32 Nella Roma imperiale, in definitiva, era ancora la finalità negativa a qualificare la natura dell’atto, ma l’ambito dei timori si era allargato. Nuocere a qualcuno mediante formule magiche o mediante veleni era considerato sostanzialmente la stessa cosa, e si diffondeva l’idea che maleficia e veneficia costituissero una minaccia reale in seno alla società; tanto piú in quanto, agendo da lontano, potevano colpirne anche i vertici, pur se ben protetti. Nell’8 a.C. l’imperatore Augusto aveva fatto approvare la Lex Iulia maiestatis con la quale si configura­ va la lesa maestà non solo come reato rivolto contro lo stato, com’era in passato, ma specificamente contro la persona dell’imperatore; il reato era perseguito con pene gravissime. A cavallo tra II e III secolo il giurista Ulpiano lo discuterà a lungo, configurando con mag­giore 27

caccia alle streghe precisione il crimen maiestatis (piú tardi “di lesa maestà”);33 un’elabo­ razione poi recepita e sviluppata nei secoli medievali.34 Si tratta di un presupposto gravido di conseguenze per il giudizio su maleficia e ve­ neficia, in quanto esprimeva il timore che la figura stessa dell’imperatore fosse colpita a distanza e senza possibilità di difesa. Per i colpevoli del crimen maiestatis era previsto il rogo; vedremo piú avanti che proprio l’equiparazione, in età cristiana, tra maestà regia e maestà divina suggerí il rogo come pena per i colpevoli di eresia, e poi anche di stregoneria, quando le streghe a loro volta furono equiparate agli eretici. La letteratura offriva a sua volta potenti immagini di magia con le quali confrontare la durezza delle leggi. Non si tratta della tradizione “scientifica” rappresentata dalla Storia naturale di Plinio – il quale, anzi, dichiara la propria avversione per questo genere di pratiche –35 e, attraverso essa, da Dioscoride; si tratta piuttosto di descrizioni di riti, come quello attribuito da Plutarco ai sacerdoti mazdei, i quali « pestano nel mortaio un’erba chiamata Moly, invocando Hades e le tenebre, poi, mescolando quest’erba al sangue di un lupo sgozzato, la portano via e la gettano in un luogo in cui il sole non penetra ».36 La Eritto di Lucano raccoglie herbae nocentes con le quali afferma di poter porre fine alla vita di chiunque;37 nell’viii ecloga di Virgilio la confezione di un filtro d’amore richiede la presenza di un’effigie dell’amante di colei che celebra il rito, oltre a cera, creta, fili di lana, mescolati a verbena e incenso per un suffumigio iniziale, e poi ancora farro e herbae e vene­ na raccolti nella regione del Ponto (la patria di Mitridate, il re-avvelenatore): ma ancora una volta non si tratta soltanto di veleni nel senso stretto del termine, bensí di sostanze magiche, con le quali si dice fosse possibile mutarsi in lupi ed evocare le anime dai sepolcri.38 Forse nessuno meglio di Orazio riesce a descrivere la minaccia insita in queste pratiche: in una delle Satire, Canidia e Sagana si aggirano sull’Esquilino alla ricerca di ossa nell’antico cimitero in cui in tempi passati gli schiavi portavano i loro morti; appena la luna si mostra raccolgono « ossa […] e erbe che nuociono »39 e « con canti e veleni perdono gli animi degli uomini ».40 I venena non solo uccidono, ma “perdono gli animi”, ossia rendono folli. Nel v Epodo, sempre di Orazio, un infanticidio rituale permette alle officianti di prelevare il midollo e il 28

i · « n on lascerai vivere i malefici » fegato della giovanissima vittima, che uniranno a rami di caprifico e cipresso, a uova sporche di sangue di rana, a piume di strix, a ossa strappate alle cagne affamate, a erbe provenienti dall’Iberia orientalis, « ricca di veleni ».41 Si vanta anzi Canidia che « nessuna radice nascosta in luoghi impervi, nessuna erba m’è sfuggita ».42 La Medea di Seneca sceglie le erbe mortali, spreme e mescola veleno di serpenti e ripugnanti uccelli: cuore di lugubre gufo, viscere strappate alla rauca strige ancor viva. Questa maestra di delitti dispone le varie sostanze. Qui c’è forza rapace di fiamme, là gelido ghiaccio che intorpidisce. Ai veleni aggiunge parole non meno tremende. Eccola, ecco che fa sentire il suo passo di folle, ecco che canta gli incantesimi. Al suo primo accento il mondo ha un tremito.43

Gli esempi potrebbero continuare a lungo: il veleno e la magia erano indissolubilmente intrecciati.44 Oltre alle erbe venefiche, la letteratura faceva esplicito riferimento alla stregoneria con il suo bagaglio di infanticidi rituali, di vampirismo, di metamorfosi in animali, di voli al seguito di divinità notturne come Ecate. Ricordiamo nuovamente la Canidia e la Sagana oraziane, che sacrificano un bambino seppellendolo vivo e che per richiamare gli spiriti infernali sull’Esquilino sbranano a morsi un’agnella bruna, versandone il sangue in una fossa.45 Oppure il personaggio delle Metamorfosi di Ovidio che « sparge veleni di morte e succhi malefici, dall’Èrebo e dal Caos chiama a raccolta la Notte e gli dèi della Notte, invoca Ecate con lunghe grida selvagge ».46 Ancora, Ovidio nei Fasti afferma: Esistono famelici uccelli, non quelli che privavano di cibo la gola di Fineo, ma da loro derivano. Hanno la testa enorme, gli occhi fissi, i becchi adatti ai furti, le penne bianche, le unghie a uncino. Di notte volano e cercano bambini senza nutrici e violano quei corpi strappati alle loro culle. Si racconta che strappino coi becchi i corpi bianchi di latte, e abbiano la gola gonfia del sangue trangugiato. Il loro nome è striges, ma la ragione di questo nome deriva dal fatto che di notte sono solite stridere. Sia che, dunque, nascano come uc­ celli o lo diventino con un incantesimo, la vecchia Marsia si trasforma in uccello e si avvicina alla culla di Proca: Proca, nato in quei giorni, preda recente degli uccelli che succhiano petti bambini con avide lingue. Ma il bambino sfortunato piange e invoca aiuto, atterrita dalle grida del suo figlioccio la

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caccia alle streghe nutrice si precipita e scopre le sue guance graffiate da unghie aguzze. Che avrebbe potuto fare? Il colore della bocca era quello che una volta erano soliti avere i vecchi alberi che una straordinaria tempesta abbatté. Va da Cranea e racconta il fatto. Quella disse: « Allontana i tuoi timori, il tuo figlioccio sarà sano e salvo ». Le due donne si avvicinarono alla culla, il padre e la madre piangevano. « Fermate le vostre lacrime, io stessa lo curerò ». Subito tocca tre volte lo stipite in successione con rami di un albero, tre volte tocca la soglia con gli stessi rami, sparge di acqua l’accesso (e queste acque avevano poteri magici), tiene le interiora di una maialina di due mesi e dice: « O uccelli della notte, risparmiate le interiora del bambino; al posto del bambino, una piccola vittima. Un cuore per un cuore, vi prego accettate queste fibre in cambio di quelle, vi concediamo questa anima per una migliore ».47

Non sono da meno le streghe di Plinio e di Petronio che rubano i corpi dei neonati, li divorano, li dissanguano, ne sostituiscono i corpi con fantocci.48 O, infine, la maga Panfile e il suo laboratorio d’orrori descritti da Apuleio: Panfile, la mia padrona, già tutta invasata, se ne salí in un abbaino che sta dall’altra parte della casa, aperto a tutti i venti, con la vista a Oriente e agli altri punti cardinali, fatto apposta per quelle sue arti, e che ella, quindi, usa in tutta segretezza; e qui, per prima cosa, preparò con i soliti ingredienti i suoi infernali marchingegni, aromi d’ogni sorta, piastre di metallo con su incisi segni misteriosi, frammenti di navi naufragate, una ricca collezione di pezzi di cadaveri già pianti e sepolti, come nasi, dita da una parte, chiodi con su ancora attaccati pezzi di carne da un’altra, altrove il sangue rappreso di persone assassinate, perfino teste mozze sottratte alle zanne delle belve.49

Con l’unguento ricavato da questi elementi si unge e si muta in strix.50 4. Riti magici o riti pagani? È probabile che negli ultimi secoli dell’Impero d’Occidente, quelli della crisi politico-militare, la sensibilità verso i temi magico-stregonici si sia ulteriormente sviluppata, in particolare quando le vittime avrebbero potuto essere gli imperatori stessi: in un passo delle Storie, Ammiano Marcellino descrive il pugno di ferro e le efferatezze ordi30

i · « n on lascerai vivere i malefici » nate da Costanzo II, intorno alla metà del IV secolo, per proteggersi. Al punto, dice Ammiano, che: Se qualcuno indossava intorno al collo un amuleto per salvaguardarsi da febbri o altre malattie, ma fosse stato accusato (sulla base di testimonianze di gente malintenzionata) di passare accanto a una tomba nel pomeriggio in quanto venefico o per raccogliervi le orribili cose che si trovano presso i sepolcri o per la futile illusione delle anime dei morti che ivi camminano, sarebbe stato condannato a morte.51

Insomma, anche un semplice amuleto apotropaico poteva esser considerato il segno di una collusione con pratiche esecrabili, quali il ve­neficio, la raccolta di parti di corpi di defunti da utilizzare in pozioni malefiche, la necromanzia. Naturalmente, il fatto che Costanzo fosse ormai un imperatore cristiano non poteva che accentuare il sospetto e la condanna – di impronta biblica – per ogni atto di magia. È tuttavia ipotizzabile che una tendenza di questo tipo si sia sviluppata durante tutta l’età imperiale, come testimoniano proprio gli scritti citati del giurista Giulio Paolo;52 scritti che peraltro giocheranno un ruolo importante nella legislazione imperiale raccolta dai Codici di Teodosio e di Giustiniano, e che attraverso questi saranno recepiti nei secoli medievali e moderni. Alla metà del V secolo il Codice di Teodosio, raccogliendo gli editti dei secoli precedenti, detta norme imprescindibili nelle quali si intrecciano la condanna della magia e quella del paganesimo. Vengono condannati alla pena capitale malefici, incantatori, tempestari, coloro che turbano le menti attraverso l’evocazione dei demoni, divinatori e indovini di vario genere, coloro che celebrano riti notturni durante i quali invocano i demoni. Tra le cause che possono portare un uomo a ripudiare la moglie, secondo una legge di Costantino del 331, vi sono l’adulterio, l’essere una mezzana o una “medicamentaria” (cioè una venefica); mentre una donna può ripudiare il marito se dimostra che egli è un “medicamentario”, un violatore di sepolcri (nel senso già visto nel testo di Ammiano Marcellino) o un omicida. È interessante notare come il veneficio sia l’unico elemento comune, il che ne attesta ancora una volta la gravità agli occhi del legislatore.53 31

caccia alle streghe Il collegamento fra la condanna di maleficia e veneficia e la polemica contro il paganesimo è presente fin dall’inizio nella cultura cristiana. Nella Lettera ai Galati, san Paolo condanna i veneficia (col nome di pharmakeia) insieme all’idolatria.54 I primi concili cristiani di età tardoantica dedicano diversi articoli alla condanna di maleficia: per esempio, il canone 6 del concilio di Elvira (nei pressi dell’attuale Granada, in Spagna) del 306 rifiuta la Comunione a coloro che hanno ucciso qualcuno per maleficium, aggiungendo che tale crimine non può esser perpetrato « senza idolatria ». Ma la condanna cristiana dell’idolatria pagana investe anche le feste: un tema che non ci riguarderebbe, qui, se la polemica non fosse espressa in termini che prefigurano la futura condanna del sabba stregonesco. Già nel III secolo Tertulliano aveva lamentato come anche i cristiani seguissero le celebrazioni in onore di Saturno (i Saturnalia) e di Giano (le Kalendae Januarii). Verso la fine del secolo successivo, il vescovo milanese Ambrogio condannava, senza soffermarsi troppo a descriverle, le feste per le Kalendae Januarii che si svolgevano nella sua diocesi. Nella prima metà del V secolo Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna, dedicava un intero sermone a questi festeggiamenti, deprecando i cristiani che si abbassavano al rango di bestie: e il riferimento agli animali, piuttosto che un generico epiteto, sembra qui alludere all’abitudine di travestimenti di tipo carnevalesco. Una fra le testimonianze piú dettagliate e interessanti si deve a Massimo di Torino, vissuto a cavallo fra i secoli IV e V; in varie omelie egli ammonisce i fedeli a proposito della celebrazione delle calende, facendo anch’egli riferimento ai travestimenti animaleschi e alle inversioni di sesso: Non è vero forse che tutto quanto i ministri dei demoni compiono nei giorni delle calende è falso e folle, quando l’uomo, lasciato il suo vigore virile, si volge all’effemminatezza, quasi pentendosi di esser uomo? Non sono falsità o follie quando gli uomini, creati da Dio, si trasformano in gregge, in fiere, o in esseri mostruosi? Quando deturpano il decoro del volto, plasmato dalle mani di Dio, nello squallore di questi aspetti sconci? Affermano di prendere gli auspici, di giudicare il corso della loro vita da vuoti indizi, e dai segni degli uccelli e delle fiere ricavano il futuro. È noto che solo Dio conosce il futuro, e la sua legge vieta queste superstizioni.55

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i · « n on lascerai vivere i malefici » Altrettanto peculiare la testimonianza offerta da san Massimo a proposito del cosiddetto “Vinceluna”, ossia delle cerimonie che si svolgevano nel corso delle eclissi di luna per garantirne la ricomparsa, o piú che altro per manifestare l’attesa circa il corretto avvicendarsi dei cicli temporali: Quanto piú mi prodigo per condurvi alla saggezza, tanto piú sono costretto a udir confusione a causa vostra. Quando molti giorni fa mi sono incollerito per l’avarizia bramosa di molti fra voi, nello stesso giorno verso il vespero si sono sentite cosí alte grida concitate di popolo che sembravano voler giungere in cielo. Quando ho domandato cosa fosse tutto quel rumore, mi è stato risposto che le vostre grida prestavano soccorso alla luna in difficoltà, aiutata nella sua eclissi dalle vostre urla. Non ho potuto trattenermi dal ridere, e sono stato sorpreso da voi buoni cristiani che volete soccorrere Dio. In realtà gridavate perché quell’elemento non rovinasse a causa del vostro silenzio.56

Nei secoli successivi in diverse regioni europee altri vescovi avrebbero ripetuto ai loro fedeli lo stesso genere di accuse; tanto da indurre al sospetto che esistesse almeno in area mediterranea una cultura diffusa largamente omologata (a meno che non si voglia prendere in considerazione l’ipotesi che i vescovi riproponessero, senza elaborarli, identici modelli letterari). A cavallo fra i secoli V e VI sono i sermoni del vescovo Cesario d’Arles a offrire il quadro piú esaustivo delle credenze e delle pratiche non ortodosse comunemente seguite. Vi si fa riferimento, per esempio, alla fabbricazione e all’uso di phylacteria. È una parola greca derivante da phylax (‘guardiano, custode’), e dai latini tradotta amolimenta o amoleta (dal verbo amoliri, cioè ‘allontanare’), da cui deriva il nostro “amuleti”. Altrove Cesario si sofferma sui mezzi magici di cui le donne si servivano, piuttosto che affidarsi alla preghiera, per ottenere il concepimento; a tal fine usavano “erbe” accompagnate da “caratteri” o da “legature”, probabilmente sul tipo degli amuleti e dei filatteri. Cesario parla anche di persone battezzate che annullavano il valore del sacramento ricevuto continuando a celebrare culti pagani, quali i voti resi ad alberi, fonti e antichi santuari, cui si aggiungeva la pratica dei banchetti rituali. Si ha quindi l’impressione che il vescovo di Arles non dovesse fronteggiare soltanto la persistenza dei costumi pagani, ma anche un rifiuto – o quantomeno 33

caccia alle streghe un’indecisione – da parte di popolazioni abituate a una religiosità di tipo sincretico verso l’accettazione di una fede strettamente monoteistica. Impressione confermata, seppur indirettamente, da un altro sermone contro le sfrenate celebrazioni per le calende di gennaio, in cui Cesario passava in rassegna le divinità del paganesimo classico (Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno) per evidenziarne i caratteri lascivi, empi e sacrileghi.57 Il paganesimo, insomma, persisteva nella società cristiana: è probabile che l’incontro fra vecchi culti e nuova fede avesse dato vita a fenomeni acculturativi, in virtú dei quali si seguivano alcuni precetti cristiani, ma non si obliteravano neppure gli usi precedenti. In questo contesto, fra i costumi che i missionari consideravano comunque esecrabili, trovavano posto anche pratiche che già i legislatori romani avevano avversato in quanto malefiche, e la cui condanna ritorna pun­tualmente nelle leggi dei regni romano-barbarici. È a queste che ora ci volgeremo. 5. Barbari e masche Non è facile tracciare un quadro della stregoneria altomedievale, per il semplice fatto che la nostra visione è fortemente condizionata dall’idea moderna di “strega”. Tuttavia, la legislazione che permetterà la caccia alle streghe ha un’ampia serie di precedenti; non tutti mostrano una linea di continuità: anzi, nelle legislazioni altomedievali troviamo diverse norme che sembrano andare nella direzione opposta. Il risultato di questi molteplici incroci fra tradizioni differenti (per quanto con un sottile filo rosso che talvolta sembra legarle fra loro) condurrà alla nozione moderna di stregoneria, che ha alla base l’idea di un patto col diavolo o almeno di un intervento diabolico. Ma per l’età romano-barbarica ci confrontiamo con un complesso di informazioni che riguardano incantesimi mortali, magia tempestaria, residui di culti pagani, donne e uomini dotati di certi poteri sugli oggetti, la natura, gli esseri umani; non tutte queste tracce sono facili da decifrare e da porre in relazione a un contesto culturale a noi noto. Durante i secoli altomedievali molti regni si diedero codici scritti che generalmente riunivano le norme dei loro diritti consuetudinari 34

i · « n on lascerai vivere i malefici » e che potevano essere piú o meno influenzati dal diritto romano, secondo la codificazione teodosiana. In questi codici è comune trovare norme che condannano le pratiche di magia e i maleficia; ma se ne trovano anche altre in cui a esser censurate sono le credenze nell’effettivo potere di tali pratiche, cosí come vengono condannati coloro che accusano qualcuno di essere una strega o uno stregone. Queste norme hanno indotto a credere che il cristianesimo e le legislazioni altomedievali avessero una considerazione piú blanda, una maggiore tolleranza e anche una certa incredulità nei confronti di tali pratiche. Vedremo, alla luce di un’ampia serie di testimonianze, quanto tale assunto possa tenere alla disamina critica dei fatti. Nella Legge Salica, compilata verso la prima metà del VI secolo, il capitolo De maleficiis comprende: coloro che somministrano una pozione d’erbe a qualcuno affinché muoia e riescono nell’intento; coloro che somministrano una pozione d’erbe a qualcuno affinché muoia, ma non riescono nell’intento; chi commette un maleficio, genericamente o “con legature”; chi somministra a una donna una pozione sempre a base d’erbe affinché abortisca. Questi crimini sono puniti con il pagamento in solidi, secondo il principio del wergeld germanico (termine che le fonti del tempo latinizzano in guidrigildus), composizione in denaro che regolava anche i crimini di sangue: 200 solidi nel primo caso, 72 nei successivi.58 In questo testo non sembrano esservi dubbi circa la convinzione del legislatore (ed evidentemente della compagine sociale cui si rivolge) circa la realtà e l’efficacia delle pratiche; torna inoltre la parificazione tra l’avvelenatore e il malefico, cosí come abbiamo visto nella tradizione biblica e in quella romana antica. Omologazione presente anche in un altro passo, ancora piú interessante ai fini del nostro discorso. Nel capitolo De herburgium, termine che indica ‘coloro che avvelenano con le erbe e la magia’, leggiamo « che chiunque chiami un altro herburgium, cioè strioporcio, ovvero colui che si dice porti il calderone (eneo, prob. da leggersi aeneo) dove le streghe (strias) cucinano e non è in grado di provarlo, sia condannato al pagamento di 62 solidi e mezzo »; inoltre, « se qualcuno chiama una donna strega (stria), e non può provarlo, sia giudicato colpevole per solidi 187 e mezzo »; infine, « se una strega mangia un uomo, e viene 35

caccia alle streghe provato, sia giudicata colpevole per 200 solidi ».59 Anche in questo caso è evidente che il legislatore ritiene reale la possibilità che una donna sia una stria, distinguendo solo se si tratta di una maldicenza o se la donna in questione lo è davvero. Ma il primo passo apre molte questioni: da questo quadro si evince che la strega sembra essere in grado di mangiare un essere umano, il che rinvia a un insieme di credenze che l’avvicinano alle streghe di Petronio o alle lamie dell’antichità greca, figure in parte umane e in parte animalesche, rapitrici di bambini o fantasmi seduttori che adescavano giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. Lo strioporcio è invece colui che aiuta le streghe: il tema della “cucina di strega” diventerà comune in età moderna, come testimonia una delle scene piú celebri del Faust di Goethe, e probabilmente questo passo ne testimonia l’antichità, divenendo la prima immagine che si può legare a ciò che, secoli piú tardi, sarà il sabba delle streghe. Jacob Grimm collega il passo della Legge Salica con le antiche credenze germaniche relative soprattutto alla dea Freyja e alle völve, sacerdotesse alle quali si attribuivano doti di profetismo e si affidavano i sacrifici umani. Le leggi dei Visigoti e dei Burgundi, pure databili al VI secolo, sono fortemente debitrici rispetto al Codice teodosiano. I legislatori del re visigoto Chindasvindo scrivono che se un libero o uno schiavo preparano e danno a qualcuno una pozione avvelenata, uccidendolo, la pena sarà la morte; se invece la vittima scampa alla morte, il colpevole sarà rimesso alla potestà della vittima.60 In entrambi i casi, insomma, la condanna è pesante. Il paragrafo ne precede immediatamente un altro dedicato a « malefici o provocatori di tempeste », la cui opera viene punita con la flagellazione e la decalvatio.61 Il collegamento tra veneficia e maleficia per mezzi magici è dunque qui riprodotto. Le leggi dei Burgundi sono anche piú esplicite. Nel paragrafo sul divorzio leggiamo infatti che tre sono le cause che possono giustificare il ripudio del coniuge: dimostrare che questi sia un omicida, un violatore di sepolcri, un malefico/venefico (i differenti codici che hanno tramandato il testo alternano fra l’uno e l’altro termine, e anche questo è significativo).62 Il paragrafo riprende quasi integralmente il Codice teodosiano a proposito dei ripudi: questo tuttavia denomina medicamentarium il tipo di criminale che i Burgundi chiamano 36

i · « n on lascerai vivere i malefici » venefico.63 Entrambi i codici si richiamano all’inasprimento delle pene voluto da Costanzo per i reati connessi alla magia, cosí come racconta Ammiano Marcellino, il che spiega il riferimento preciso e contestuale ai venefici e alla violazione dei sepolcri, nei quali i malefici e le malefiche cercano ossa, denti e quant’altro per le loro pratiche. Un altro segnale del fatto che il connubio tra veneficio e magia è ben presente, seppure implicitamente, anche al legislatore burgundo. Di ambito franco e influenzata dalla Legge Salica, ma databile alla metà del VII secolo, è invece la Legge Ripuaria, nella quale si legge: « Se un uomo o una donna dei Ripuari attraverso il veleno o un altro ma­leficio danneggia (presumibilmente “rende folle”) qualcuno, componga il danno con il guidrigildo ».64 Anche in questo caso non vi è alcun dubbio circa la realtà dei poteri paralleli di venefici e malefici. Le leggi dei Longobardi, con l’Editto di Rotari del 643, offrono una testimonianza di grande importanza in quanto attestano per la prima volta il termine masca quale sinonimo di “strega”: « Nessuno pensi di poter uccidere un’aldia di qualcuno o una schiava in quanto strega (strigam), che si dice masca ».65 Il termine, attestato in fonti successive anche come talamasca, indica in origine una creatura mascherata, e parrebbe istituire un collegamento fra la stregoneria e le antiche pratiche rituali germaniche legate al mondo dei defunti, evocati appunto dalle maschere; una tradizione che si manterrà nei secoli successivi. Significativamente, il termine latino larva, che vuol dire appunto ‘maschera’, ma che esita nel significato moderno di embrione del bruco, verrà pure utilizzato quale sinonimo di “strega”, ma s’identifica innanzitutto con gli spiriti dei morti. Le larvae o lemuri sono gli spiriti dei morti della religione romana, considerati come una sorta di vampiri, ossia anime che non riescono a trovare riposo a causa della loro morte violenta. Secondo la credenza popolare tornavano sulla terra a tormentare i vivi, perseguitando le persone sino a portarle alla pazzia. Per tenere lontani questi spiriti erano state istituite delle feste chiamate Lemuria. La tradizione voleva che a istituire tali festività fosse stato Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso. I Lemuria ricorrevano il 9, 11 e 13 maggio; è molto probabile che queste siano le piú antiche feste dei morti celebrate a Roma. Ovidio le ricorda nei Fasti, scrivendo: 37

caccia alle streghe Sarà tempo dell’antico rito per celebrare i notturni lemuri […]. Quando è mezzanotte […] chi è memore dell’antico rito […] dopo aver deterso in acqua di fonte le mani, purificandole, si volta, e prima raccoglie fave nere, e le getta dietro le spalle, e mentre le getta dice: « Queste io lancio, e con esse redimo me e i miei congiunti ». Ripete questa formula nove volte senza guardarsi alle spalle. Si crede che l’ombra le raccolga e, non vista, lo segua. Di nuovo egli tocca l’acqua […] e prega che l’ombra esca dalla sua casa. Dopo aver pronunziato nove volte la formula « uscite ombre dei miei padri », si guarda alle spalle e giudica il rito compiuto con purezza.66

Il rituale si collega a quelli, ricordati nelle tradizioni popolari sino all’età moderna, della fame e della sete dei morti, che vanno placati con offerte apotropaiche. La sopravvivenza di questa credenza in epoca cristiana si accompagna con un tentativo di spostare l’accento dalla morte violenta alla colpa (anche se è significativo che la credenza popolare nelle apparizioni di fantasmi abbia continuato a preoccuparsi soprattutto dei casi di morte violenta). Nella Città di Dio Agostino ricorda che le anime degli uomini sono dette “lari” se in vita avevano avuto buoni meriti, “lemuri” o “larve” quando hanno agito mal­ vagiamente.67 Tornando all’Editto di Rotari, sembra evidente che al legislatore non interessa stabilire tanto la veridicità della credenza nelle streghe, quanto piuttosto difendere la proprietà dei liberi longobardi, visto che l’articolo stabilisce il divieto di uccidere donne che “appartengono” a qualcuno. Difficile quindi stabilire quale sia l’atteggiamento di fondo nei confronti del fenomeno, anche se due corollari sono possibili: 1) la credenza nelle streghe o masche era diffusa tra i Longobardi; 2) per masca in tale contesto si intende qualcosa di assimilabile o almeno collegato ai lemuri/larvae, ossia a revenants. Fra tardo Medioevo ed età moderna diventerà comune celebrare feste in cui si evocavano e si placavano i morti rappresentandoli in maschera, un esito delle quali è l’attuale festa di Halloween; perciò anche il nome di “masca” dato alle streghe in età piú tarde e in determinate aree, può nascere dal fatto che la stregoneria era collegata al timore del ritorno dei morti. Passiamo poi alla legge degli Alamanni, datatabile alla prima metà dell’VIII secolo, che sembra voler soprattutto preservare le donne dal rischio di diffamazione e di violenza che deriva dall’essere asso38

i · « n on lascerai vivere i malefici » ciate a certi delitti: « Se una donna chiama un’altra stria o erbaria sia durante un litigio sia in sua assenza, paghi dodici solidi »; « Se qualcuno accusa una donna libera del crimine di esser strega o erbaria, la prende e la tortura […] paghi ottocento solidi »; in caso si tratti di una schiava, la composizione scende a soli 15 solidi. Sebbene, come detto, la preoccupazione del legislatore sembri legata alla diffamazione, il definire tali attività come “crimini” dice che non se ne sottovalutava la realtà; cosí come, con tutta evidenza, non la sottovalutava la gente comune.68 6. Capitolari e penitenziali L’ambito carolingio presenta un cambiamento rispetto alla legislazione dei regni romano-barbarici, dovuto al ruolo di Carlo Magno e del suo successore Ludovico il Pio in seno alla Cristianità: Carlo è frequentemente definito, nelle cronache e nei documenti dell’epoca, « nuovo Mosè », « nuovo David » e « nuovo Costantino ». Egli insom­ma si sentiva e intendeva presentarsi non solo come prosecutore degli imperatori romani, bensí anche come principe del nuovo Israele. Né bisogna dimenticare – e qui torna potente il modello di David – che Carlo, in quanto unto col sacro crisma all’atto dell’incoronazione, era partecipe della sacralità sacerdotale: rex et sacerdos, secondo il modello di Melchisedech e del Cristo stesso. Il frequente interessarsi, con la sua legislazione, di questioni di teologia e d’etica ha proprio questo senso. Come protettore supremo della Chiesa, il sovrano franco convocava concili e si occupava attentamente di questioni dottrinarie, incluse quelle inerenti alle sopravvivenze del paganesimo. I testi legislativi che la sua curia produce paiono soprattutto mirati a recepire il dettato dei concili: e dunque non tanto a regolamentare i rapporti interni alle comunità, com’era stato per i regni romano-barbarici, quanto invece a contrastare quelli che venivano reputati residui di un paganesimo duro a morire. In certi casi, poi, quando si parla di aree nelle quali il cristianesimo era stato imposto solo di recente, tale preoc­ cupazione sembra ancora piú forte; è soprattutto il caso, come vedremo, delle norme rivolte ai Sassoni. Partiamo però da un testo di ambito franco, noto come Indiculus 39

caccia alle streghe superstitionum et paganiarum, del quale ben poco è dato sapere quanto ad autori e contesti, anche se è forse di qualche anno precedente all’età di Carlo Magno.69 Si tratta, come il titolo indica, di un semplice indice di “superstizioni”, che condanna quindi determinate credenze e pratiche ascritte ai pagani, e che rispecchia i precedenti e coevi testi conciliari dai quali potrebbe benissimo essere stato tratto di peso. Alcune delle pratiche prese in considerazione dalla fonte sono però interessanti perché rinviano al mondo celto-germanico, com’è evidenziato anche da certi termini: per esempio dadsisas per le cerimonie in onore dei morti; oppure la condanna « dei cerchi intorno ai luoghi abitati », con significato apotropaico nei confronti di minacce reali, ma anche probabilmente degli spiriti dei defunti; dei « simulacri che cospargono di farina » oppure « fatti di stoffa », dove si indicano forse immagini di divinità pagane alle quali cosí si rendeva omaggio. Soprattutto, per quanto qui ci interessa, vi è il riferimento al « pagano cursu che chiamano yrias, strappatisi di dosso scarpe e vestititi ». Yrias dovrebbe essere un errore del copista per “Friya” o “Freyja”, quindi una divinità germanica, al seguito della quale si credeva che alcune donne si recassero in un cursus notturno, che potrebbe anche essere un volo magico; un’idea che sarà chiarita da un passo del celebre Ca­ non Episcopi, e che – com’è noto – avrà grande importanza nella storia della stregoneria. Ne riparleremo. Nei capitolari, le norme di legge emanate dai sovrani franchi, ritornano spesso condanne contro pratiche pagane o magiche di varia natura. Nel Capitulare de villis, dell’800 circa, si legge: « Ogni giudice predisponga affinché uomini malvagi non possano in alcun modo nascondere le nostre sementi sotto terra o in altro luogo e a causa di ciò il raccolto risulti piú scarso. Similmente provvedano nei confronti di quelli che praticano altri malefici, affinché non possano piú farne ».70 Come interpretare questa norma? Potrebbe riferirsi a un semplice furto di sementi, oppure alludere all’idea che l’opera dei tempestari, cioè coloro che attraverso riti si ritenevano in grado di agire sui raccolti, fosse ritenuta una minaccia reale; un parere differente avrebbe espresso di lí a poco il vescovo Agobardo di Lione, il quale la riteneva invece una vana credenza popolare.71 Sembra andar contro il riconoscimento della realtà dei poteri ma40

i · « n on lascerai vivere i malefici » gici il capitolare del 785 con il quale si dettano le norme per la sottomissione dei Sassoni, contro i quali Carlo Magno aveva condotto per anni una guerra spietata. Vi si legge che « se qualcuno, ingannato dal diavolo, avrà creduto secondo la superstizione pagana che un uomo o una donna sia una strega e divori gli uomini; e perciò l’abbia bruciata, o ne abbia fatto mangiare le carni, o l’abbia mangiata, sarà punito con la sentenza capitale ».72 Bisogna tuttavia tener presente che lo scopo del documento era estirpare i costumi religiosi tradizionali dei Sassoni, dal momento che i Franchi imponevano loro, con la sconfitta, anche l’accettazione del cristianesimo. Si può notare come il termine striga venga utilizzato tanto per gli uomini quanto per le donne: l’estensore non riusciva evidentemente a trovarne un altro adatto a descrivere in latino il corrispettivo nella lingua dei Sassoni; il passo dimostra inoltre il timore che le popolazioni pagane nutrivano contro questo tipo di figure. In ogni caso, Carlo Magno poteva perfettamente ritenere assurda l’esistenza di streghe che mangiavano gli uomini, ed eccessiva l’uccisione di chi era sospettato di stregoneria, senza per questo negare la realtà di altri tipi di maleficio, tanto piú che in questa categoria rientrava da sempre anche un crimine concreto e reale come l’avvelenamento. In molti casi, infatti, i capitolari si richiamano espressamente al testo biblico: nella Admonitio generalis del 789 si legge che, « cosí come stabilito dal concilio stesso, non sia tollerata l’esistenza di venefici, maghi, incantatori e incantatrici ».73 Di qualche anno successivo (802?) un testo rivolto ai missi dominici, preposti a controllare l’obbedienza alle leggi nell’impero, che riprende espressamente il divieto biblico: « Sulle arti divinatorie e gli altri malefici. Abbiamo comando nella legge del Signore: “Non fare vaticinii” e nel Deuteronomio: “Non vi sia nessuno che consulti gli indovini o che osservi i sogni o presti attenzione ai vaticinii”; e cosí pure: “Nessuno sia mago, incantatore e consultatore di vaticini” ».74 Nel capitolare De examinandis ecclesiasticis, degli stessi anni, si invitano i sacerdoti ad astenersi « dalla fornicazione, dall’omicidio, dal furto, dallo spergiuro, dal maleficio, dai presagi e dagli incantesimi o da atti sacrileghi, dall’ubriachezza, dalla prostituzione, dalla rapina, dal sentimento dell’odio e dell’invidia ».75 O ancora, in un capitolare dell’812: 41

caccia alle streghe Per questo ordiniamo che non vi siano fabbricanti di pozioni, maghi, tempestari o incantatori; e che, dovunque si trovino, siano essi puniti e condannati. Similmente riguardo agli alberi, alle pietre e alle sorgenti, dove alcuni sciocchi fanno fiaccolate o altre forme di culto, ordiniamo espressamente che questa pratica infelicissima e odiata da Dio sia, ovunque riscontrata, soppressa ed eliminata.76

Un capitolare di Ludovico il Pio dichiara esser seguaci dei riti dei gentili « magi, arioli, sortilegi, venefici, divinatori, incantatori, divinatori dei sogni »;77 condanna inoltre come influenzati dal demonio coloro i quali « guastano le menti con pozioni d’amore, cibi o filatteri », insieme ai tempestari;78 un altro – sempre dell’età di Ludovico – equipara all’omicida chiunque renda pazzi somministrando veleno o erbe o con altro genere di malefici.79 A proposito delle pratiche magiche, diversi capitolari riprendono con qualche variante il celebre passo dell’Esodo, « Maleficos non patieris vivere »;80 altri aggiungono tuttavia un riferimento specifico ai venefici: « Maleficos et veneficos non sinere vivere »,81 cosí come nella Bibbia dei Settanta; oppure (da un sinodo di Metz dell’859) « omicidi, spergiuri, adulteri, venefici, sacrileghi non meritano di vivere ».82 In un capitolare italico dell’850 si legge che le malefiche, le quali dicono di instillare odio o amore nelle menti altrui, sono da considerarsi anche venenariae.83 In conclusione, appare evidente che agli occhi dei sovrani carolingi le pratiche malefiche sono strettamente collegate al paganesimo, e quindi all’istigazione diabolica, il che non significa affatto che siano da considerare come pure illusioni: anzi, proprio l’intervento del demonio può renderle mortalmente efficaci. Se ci volgiamo a un altro corpus giuridico, le leggi dei sovrani inglesi del X secolo, constatiamo una fede ancor piú netta nell’effettiva esistenza del maleficio. Coloro che vengono indicati con i termini di lybacs e morthdaeds (presumibilmente traducibile con ‘malefici’), se causano la morte di qualcuno e non possono negarlo, vanno condannati a morte secondo il codice di re Athelstan, del 924-939. Tra IX e X secolo, le leggi dei re Alfredo, Guthrum, Edoardo il Vecchio e Edmondo I ordinano che costoro siano banditi dal paese.84 Rivolgiamo ora la nostra attenzione ai penitenziali, testi di estensione e qualità differenti che il sacerdote usava per analizzare i pecca42

i · « n on lascerai vivere i malefici » ti e assegnare la penitenza ai fedeli confessati. I penitenziali di Finnian e di Colombano, il primo irlandese della metà del VI secolo, il secondo redatto sul continente poco piú tardi, assegnano quaranta giorni di digiuno per coloro che hanno aderito a riti pagani e diabolici (non sembra esserci alcuna differenza tra i due, secondo una tradizione bene affermata); coloro che, già puniti, ricadono nello stesso peccato, osserveranno una penitenza per tre Quaresime, portata a tre anni per quanti ancora persistono nell’errore. Un anno di penitenza è assegnato a chi fabbrica filtri per provocare passioni, mentre un aborto perseguito con mezzi magici può costare sei Quaresime di digiuno o una pena di sei mesi a pane e acqua (piú altri due anni senza carne né vino).85 Nell’Inghilterra della seconda metà del VII secolo il Penitenziale di Teodoro, monaco di Canterbury, minaccia tre anni di penitenza a coloro che hanno sacrificato ai demoni, anche qui intendendo presumibilmente le divinità precristiane; varie aggravanti possono condurre a una penitenza di dieci anni. Un anno è previsto per una donna che abbia praticato incantesimi o divinazione. Un altro penitenziale inglese dell’VIII secolo, detto “di Beda”, prescrive cinque anni per i chierici, fra tre e cinque per i laici che abbiano fabbricato amuleti o consultato indovini. Interessante per la terminologia utilizzata un insieme di penitenziali noti come Old English Penitentials, contenuti in diversi manoscritti:86 in alcuni passi si invita ad astenersi da lýblacas e attorcræftas, entrambe forme di magia che sembrano essere in relazione con il veneficio; il primo termine è verosimilmente connesso con quello di lybacs che compare nelle leggi. Si incontrano anche le forme wiccige e wiccecræfte per indicare la fabbricazione di filtri atti a suscitare passioni o mirate a veri e propri malefici. Il penitenziale francese detto “di Halitgar”, degli inizi del IX secolo, condanna a una penitenza di cinque anni un uomo che abbia reso pazzo un altro attraverso invocazioni demoniache; un tempestario è condannato a sette anni, tre dei quali a pane e acqua; la stessa pena è riservata a chi ha provocato la morte di qualcuno attraverso le arti magiche. Il penitenziale iberico di Silos, della stessa epoca, condanna a otto anni di penitenza chi abbia fatto immagini di demoni o li abbia consultati (di nuovo: dovrebbe trattarsi di divinità pagane), mentre 43

caccia alle streghe una donna che ha bruciato chicchi di grano sul luogo dove un uomo è morto al fine di proteggere i vivi farà penitenza per un anno: probabilmente ci si riferisce qui a una credenza simile a quella testimoniata da Ovidio nei Fasti. Al periodo tra la fine del IX e i primissimi anni dell’XI secolo appartengono due penitenziali per noi di particolare interesse: il trattato Sulla disciplina ecclesiastica di Reginone di Prüm e il Decretum di Burcardo di Worms. Il testo di Reginone include il cosiddetto Canon episcopi, di probabile origine renana e d’età carolingia, il quale condanna la credenza che esistano nella realtà donne in grado di volare in corteo di notte al seguito di una divinità celtica o germanica, latinamente identificata con Diana.87 Successivamente, Burcardo di Worms lo tramanda in una stesura leggermente piú lunga: Hai creduto o hai partecipato a quella superstizione della quale sono vittime certe donne scellerate, seguaci di Satana e ingannate dalle illusioni diaboliche. Esse pretendono e dichiarano di cavalcare nelle ore della notte piú profonda, con un’innumerevole folla di altre donne, insieme con la dea pagana Diana a cavalcioni di certi animali, e di percorrere col favore del silenzio notturno spazi immensi, e di obbedire ai comandi della dea come loro signora, e di stare al suo servizio in notti ben determinate.88

Il brano è inserito da Burcardo in una parte del suo scritto interamente dedicata alla condanna dei residui di paganesimo tra le popolazioni germaniche: divinazione, fabbricazione di amuleti, sacrifici presso fonti e alberi, osservanza di festività pagane e cosí via; a quest’ampia panoramica si uniscono richiami biblici e demonologici. Come già nel capitolare sassone del 785, emerge qui una contraddizione nell’atteggiamento dell’autorità cristiana, abituata a identificare le residue pratiche pagane con un criminale cedimento alle suggestioni del demonio. Per un verso, il Maligno è l’ingannatore per eccellenza, e dunque i cristiani debbono sapere che talune credenze, come quella nelle streghe divoratrici di uomini o nella cavalcata notturna, sono pure illusioni prodotte dal diavolo; per altro verso, non c’è dubbio che con l’aiuto diabolico i malefici possano davvero avvelenare o danneggiare in altro modo le loro vittime. Nel corso dell’XI secolo, qualche testimonianza può lasciar pensare 44

i · « n on lascerai vivere i malefici » che la preoccupazione di negare l’efficacia delle pratiche pagane prenda occasionalmente il sopravvento, portando a una negazione piú generalizzata della realtà dei malefici. Gregorio VII inviò un’epistola al re di Danimarca Harald III, ingiungendogli di non condannare a morte le donne accusate di aver causato tempeste e pestilenze, perché quelle calamità dovevano essere considerate punizioni divine, non frut­to di azioni umane.89 Al pari del pontefice, anche il dotto re d’Ungheria Coloman, che regnò tra 1095 e 1116, si mostrava scettico sull’esistenza delle streghe, quando faceva scrivere al suo legislatore il celebre passo: « Per quanto concerne le streghe (De strigis) non vi è nulla di vero, dunque non vi sia alcuna indagine »;90 ma, in ac­cordo con la tradizione ungherese, strigoi e boszorkány non sono creature umane (cioè malefiche), bensí vampiri e demoni notturni. Quindi ciò che Coloman afferma è che non si deve credere all’esistenza di figure della mitologia pagana. Per contro, il codice ungherese affidava alla legislazione civile veneficia e maleficia, passando a quella ecclesiastica pratiche necromantiche e divinatorie, nell’ottica della lotta, avvertita come pressante, ai costumi precristiani. 7. Conclusione Dalla disamina delle fonti altomedievali si può evincere un elemento importante che riguarda la presunta leggerezza (è quanto si legge sovente) con cui questi secoli avrebbero guardato ai fenomeni magico-stregonici. Al di là dei casi estremi, nei quali prevale la volontà di condannare il paganesimo negandogli ogni base di veridicità, i testi dei legislatori in realtà sembrano prendere questo tipo di accuse molto sul serio. Il punto è, semmai, che per quest’epoca non abbiamo molti riscontri pratici che ci possano testimoniare l’effettiva attuazione delle condanne. Resta insomma in larga parte ignoto se e quanti malefici o malefiche siano stati condannati a pene gravi. Dove e quando emergono alcuni riscontri, non paiono esserci dubbi: nell’anno 834, in occasione di una subitanea malattia di Ludovico il Pio, suo figlio Lotario I incolpò una suora, Gerberga, che venne annegata in quanto venefica e malefica.91 Nel 970 una donna e suo figlio furono accusati di maleficium: avrebbero fabbricato un fantoccio di pezza a im45

caccia alle streghe magine di uomo (il denunciante), per poi pungerlo con spilli al fine di ucciderlo a distanza; il figlio riuscí a fuggire, ma la madre venne processata, giudicata colpevole e annegata nel Tamigi presso il London Bridge.92 La morte improvvisa del re dei Franchi orientali, Arnolfo di Carinzia, nell’899, fu attribuita a un uomo e una donna che avrebbero compiuto atti magici: furono entrambi torturati e condannati a morte.93 Durante la prima metà dell’XI secolo re Ramiro I d’Aragona ordinò la messa a morte di numerose malefiche. Nel 1028, in Aquitania, una donna e alcuni suoi complici furono bruciati, dopo esser stati torturati, per aver causato con espedienti magici la malattia di Guglielmo di Angoulême; altrettanto avvenne un secolo piú tardi, nel 1128, per l’infermità del conte Teodorico delle Fiandre: una incan­ tatrix fu arsa sul rogo.94 Infine, nella norrena Laxdaela Saga, scritta in Islanda intorno al 1245, ma che narra vicende dei secoli precedenti, si racconta di come il protagonista Olaf Hoskuldsson (mercante e guerriero vissuto a cavallo tra X e XI secolo), insieme con i suoi uomini, avesse lapidato l’intera famiglia di un certo Kotkel, in quanto votata a varie forme di maleficium.95 Si tratta di episodi sporadici o della punta di un iceberg? Non è dato saperlo. Ma è quantomeno possibile evidenziare come il timore del maleficium nelle sue diverse declinazioni fosse diffuso nella società altomedievale. La lotta condotta dai legislatori e dalle autorità, tanto laiche quanto ecclesiastiche, contro i culti precristiani aveva però lasciato pratiche e credenze legate agli antichi paganesimi spoglie dei contesti che le avevano prodotte. L’unica spiegazione proposta era la seduzione diabolica; che poteva declinarsi, come abbiamo visto, tanto nel senso di affermare la totale illusorietà degli effetti, quanto, al contrario, nell’ammetterne la reale minaccia. Alla svolta dell’XI secolo, non era affatto ovvio quale direzione avrebbe preso il mondo cristiano; e potremmo anzi attenderci che la crescente razionalità del pensiero bassomedievale portasse al netto prevalere della prima tendenza. Avvenne invece, come sappiamo, il contrario, e questo proprio per l’influenza decisiva del contesto: quando, di lí a breve, l’attenzione tornerà a puntarsi insistentemente su tali “sopravvivenze”, esse verranno ricontestualizzate in forme nuove, con esiti del tutto imprevedibili. 46

II S ETTE ERETICALI, S ETTE STREGON IC H E

1. La magia equiparata all’eresia Narra il monaco Rodolfo, abate del monastero cistercense di Coggeshall dal 1207 al 1218,1 che in Francia, al tempo di re Luigi VII (11201180), una setta ereticale detta comunemente dei “pubblicani”2 si stava diffondendo in diverse province. Un giorno a Reims il chierico Gervasio di Tilbury (a sua volta autore dei celebri Otia Imperialia) nota una ragazza molto bella che si aggira da sola presso una vigna. Le fa dunque una profferta amorosa, che la ragazza rifiuta sdegnosamente, dichiarando di essersi votata alla verginità. Gervasio comprende allora che si tratta di un membro della setta e comincia a discutere con lei, quando il vescovo Guglielmo sopraggiunge con il suo seguito e, appreso il fatto, ordina la cattura della giovane. Il vescovo inizia dunque una disputa teologica per dimostrare la falsità dei proponimenti ereticali, ma la ragazza afferma di non essere all’altezza di sostenere il dibattito e indica colei che, in città, l’ha istruita. Anche l’altra donna viene condotta dinanzi al vescovo e alle domande particolarmente pressanti dei chierici su questioni teologiche e scritturali, nella sorpresa generale, risponde senza alcuna difficoltà, continuando a sostenere con convinzione, versatilità e intelligenza la tesi della sua setta. Entrambe vengono dunque rinchiuse in carcere e minacciate di morte se non ritratteranno. Il giorno dell’esecuzione, mentre stanno per esser condotte al rogo, la piú anziana delle due estrae un gomitolo di lana dall’abito, ne getta un capo oltre la finestra, tenendo l’altro saldamente nelle mani, e grida « prendi! ». Immediatamente viene sollevata e condotta attraverso la finestra in un rapido volo, sostenuta, dice il testo, « dagli stessi spiriti maligni che avevano portato in volo Simon Mago ».3 L’eretica portata in volo dal demonio: non certo scientemente, Rodolfo di Coggeshall aveva assemblato un’immagine destinata ad avere un certo successo nei secoli a venire. La sua preoccupazione al­ 47

caccia alle streghe l’epoca, tuttavia, era quella di screditare un movimento di dissidenza che inquietava le autorità laiche e religiose dell’epoca. Quelli che la cronaca chiama “pubblicani” sono in realtà catari, un gruppo al tempo ormai ramificato ben al di fuori dei confini francesi, e contro il qua­le, a partire dal 1209, sarebbe stata scatenata un’offensiva militare di ampie proporzioni. Ma torniamo indietro, al momento in cui si definisce, attraverso una normativa ad hoc, quali fossero le forme consentite di culto e di teologia cristiani. L’Editto di Tessalonica del 380 aveva statuito il cristianesimo come religione ufficiale dell’impero, confermando e completando le decisioni prese nel concilio di Nicea del 325. Oltre all’interdizione del culto prestato agli dèi tradizionali, esso ordinava la persecuzione contro quanti avessero sostenuto posizioni “eretiche”, cioè non conformi alle decisioni dei concili periodicamente riuniti dai vescovi che al tempo guidavano la Chiesa collegialmente; in termini giuridici ciò si tradusse in una serie di decisioni legislative riunite nel Codex Theodosianus, voluto fra 435 e 438 da Teodosio II e passate poi nel Corpus Iuris giustinianeo di un secolo successivo. Nel­l’Impero romano d’Oriente, la legislazione e i tribunali di stato avrebbero continuato a occuparsi direttamente della repressione dell’eresia. Venute invece meno, nella pars Occidentis, autorità e istituzioni imperiali, le gerarchie sacerdotali della Chiesa si trovarono a tutelare direttamente l’ortodossia, anche se in tale funzione esse coinvolsero a loro volta a piú livelli le istituzioni laicali; cosa normale, dal momento che ogni forma di potere era considerata comunque d’origine divina e dunque era dovere comune occuparsi del problema delle eresie. Furono Agostino e poi Isidoro di Siviglia a teorizzare che spettava ai principi far osservare con la forza della legge le verità di fede. Per gli eretici erano previste pene che andavano dall’esilio alla prigione, alla confisca dei beni, alla privazione dei diritti civili sino alla pena capitale. Quanto a quest’ultimo punto, come abbiamo ricordato, il diritto romano contemplava il rogo per chi si fosse reso responsabile del crimen maiestatis, l’alto tradimento nei confronti della massima autorità dello stato, che con la cristianizzazione veniva a esser considerata quella divina, suprema fons iuris. L’eresia era pertanto interpretata come tradimento nei confronti di Dio, e per questo condannata alla pena suprema. 48

ii · sette ereticali, sette stregoniche A partire dall’XI secolo, e con maggiore pervasività dal XII, una larga parte di Europa occidentale conobbe la diffusione di varie forme di dissenso religioso, che la Chiesa e le autorità laiche dichiararono subito eretiche. Lo scontro fra papato e impero, che si era consumato proprio a cavallo tra questi due secoli, aveva coinvolto in varie forme il laicato, mobilitato soprattutto dalla Chiesa riformatrice contro i vescovi filoimperiali. Le decisioni conciliari avevano però affrontato in minima parte il problema del ruolo dei laici all’interno della Chiesa e, piú in generale, della società cristiana: era questo il problema che affiorava con nuove istanze e nuove esigenze. A ciò si aggiungeva la necessità di una riforma effettiva della cura animarum; era opportuno uno sforzo verso la predicazione pubblica che, oltre a definirne le competenze e a preparare i sacerdoti allo scopo, riuscisse a mutarne i contenuti, aggiornandoli ai tempi; in larga parte, infatti, le raccolte di omelie e sermoni in uso erano ancora quelle compilate in età carolingia. Di fronte a queste carenze, i laici reclamavano in modo sempre crescente un proprio ruolo all’interno dell’ecclesia, scontrandosi però con la ferma volontà delle gerarchie ecclesiastiche di continuare a esercitare un controllo sui contenuti della predicazione, certificandone la conformità alle dottrine della Chiesa. I prodromi di tale richiesta si erano già manifestati; ma è soprattutto dalla metà del XII secolo che il problema si pose in tutta la sua urgenza con l’estendersi di fenomeni non-conformisti o propriamente ereticali, destinati a rimanere a lungo una ferita aperta nella Cristianità. Fra questi gruppi emerse quello dei catari, che rappresentava anche un credo filosofico-religioso nuovo per l’Europa occidentale e il cui arrivo sembra non potersi mettere del tutto in relazione con il clima politico del quale abbiamo detto; vi sono infatti notizie precedenti che ne denunziano l’operato. Arrivata in Occidente forse al seguito dei pellegrinaggi o portata da predicatori, probabilmente attraverso la penisola balcanica (il che spiega perché i suoi adepti fossero sovente conosciuti come “bulgari”), questa forma di dualismo manicheo era nota col nome di catarismo – dalla parola greca kàtharos, ‘puro’. I catari differivano dagli altri gruppi che, come i valdesi, sarebbero stati dichiarati eretici nel corso 49

caccia alle streghe del XII secolo, in quanto la loro critica alla Chiesa romana, tipica dei movimenti religiosi dissidenti, si accompagnava a una proposta teologica radicalmente diversa; sebbene il successo che riscuotevano fosse dovuto non tanto a tale differenza, quanto al fatto di trovare terreno fertile per una predicazione che appariva come una critica credibile al sistema e si strutturava come una sorta di antichiesa. I catari concepivano il mondo come dominato dalla lotta fra due princípi, quello dello Spirito, luminoso e benefico, e quello della Materia, oscuro e malefico. Il Dio creatore della materia era dunque un’entità negativa, poiché aveva imprigionato nella materia di cui sono composte le creature altrettanti frammenti spirituali, ch’era necessario liberare annientando l’involucro materiale che le avvolgeva. Per cui, allorché il “credente” cataro accedeva – attraverso la cerimonia del melioramentum – alla superiore categoria del “perfetto”, egli doveva cominciar coll’astenersi da qualunque contatto sessuale (a questo si riferiva il comportamento della ragazza narrato da Rodolfo di Coggeshall), poiché i suoi frutti perpetuavano la schiavitú dello spirito all’interno della materia; rifiutare qualunque tipo di cibo che fosse risultato dell’accoppiamento carnale (non solo la carne, ma anche le uova, il latte e i suoi derivati) e poi, quando fosse pronto, lasciarsi morire attraverso l’endura, un digiuno totale. È in una fra le regioni al tempo piú prospere, quella compresa tra Provenza, Pirenei e Linguadoca che l’austero credo dei catari si diffuse maggiormente, al punto da conquistare interi villaggi alla propria causa. La reazione della Chiesa e delle autorità civili fu rapida. I catari furono scomunicati nel concilio di Tolosa del 1119. A sua volta preoc­ cupato per il dilagare dell’eresia, l’imperatore Federico Barbarossa non esitò ad allinearsi sulle posizioni della decretale Ad abolendam, promulgata da Lucio III nel 1184 e base di quella che di lí a qualche decennio sarebbe stata la procedura inquisitoriale, nelle durissime norme delle sue Constitutiones: i detentori del potere a qualunque livello dovevano, pena la scomunica, punire obbligatoriamente i catari, allontanarli da eventuali pubblici uffici e confiscare i beni; mentre la gente comune era tenuta a sua volta a denunziare ai vescovi chiunque fosse sospetto d’eresia, e i vescovi stessi a visitare le diocesi allo scopo d’individuare gli eretici. 50

ii · sette ereticali, sette stregoniche L’ascesa al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, inaugurò una nuova fase della lotta antiereticale. Nel Midi francese il conte di Tolosa Raimondo VI favoriva gli eretici e per questo nel 1207 fu scomunicato. Due anni dopo, contro i catari di Linguadoca venne scatenata una crociata; roghi e saccheggi, accompagnati da una repressione inquisitoriale durissima, continuarono fino al 1244, quando cadde l’ultima piazzaforte catara, il castello di Montségur, strenuamente difeso, ma costretto infine ad arrendersi. Il 16 marzo 1244 duecento “perfetti” catari, che avevano rifiutato di pentirsi e di convertirsi, furono bruciati vivi ai piedi della fortezza. Si aprí allora un lungo periodo di persecuzione e di terrore: tuttavia, solo ai primi del XIV secolo si poté parlare di vera e propria cancellazione della Chiesa catara, non senza che la scia di paura e di risentimento lasciata dalla repressione si traducesse in un pullulare d’istanze nonconformistiche.4 Intanto, nel 1233, papa Gregorio IX aveva emanato una decretale, la Vox in Rama, indirizzata all’arcivescovo di Magonza, al vescovo di Hildesheim e a Corrado di Marburgo, un inquisitore che aveva il compito di dare la caccia agli eretici nell’episcopato di Magonza. Fino a poco tempo addietro si riteneva che il testo alludesse alla situazione degli Stedinger, contadini in rivolta nel Nord della Germania; oggi invece si pensa che le informazioni incluse nella bolla, fornite al pontefice da Corrado di Marburgo, si riferiscano agli eretici della valle del Reno. In particolare, le accuse riguardavano il conte Enrico II di Sayn, il quale si era appellato a un concilio di vescovi della regione, venendo assolto. Gregorio descrive i comportamenti di un gruppo ereticale non meglio specificato, i cui membri si riunirebbero in conventicole notturne durante le quali appaiono uomini misteriosi, rospi e gatti di dimensioni insolite: chiaramente delle apparizioni demoniache; agli animali rendono anche un omaggio particolare, un bacio sull’ano in segno di sottomissione. Poi spengono le candele e si danno a orge nelle quali tutti si accoppiano con tutti, senza distinzioni di genere e di ruolo. È la prima volta che in un documento ufficiale appare un’accusa di questo tipo e, se lo confrontiamo con il racconto di Rodolfo di Coggeshall, appare evidente che proprio nel clima di sospetto e di persecuzione innescato dalla lotta contro l’eresia e dall’istituzione dei tribunali d’inquisizione stavano prendendo – o ripren51

caccia alle streghe dendo – piede stereotipi destinati a grande fortuna nel contesto della caccia alle streghe.5 2. Demonomania Nel 1258 Alessandro IV espresse un parere negativo dinanzi alle richieste che gli pervenivano da diversi inquisitori, i quali gli domandavano se le loro ricerche dovessero o meno includere forme di magia. Il pontefice ribadiva che tali comportamenti non erano materia d’inquisizione, a meno che gli atti in questione non potessero esser tacciati di eresia. Ancora nel 1298 Bonifacio VIII avrebbe nuovamente emanato la bolla di Alessandro, ma sotto il suo stesso nome. È probabile che, durante le loro indagini, gli inquisitori si trovassero dinanzi a pratiche eterodosse nelle quali pensiero ereticale e pratiche magiche non erano facilmente distinguibili. Non mancano testimonianze a riguardo, anche se generalmente piú tarde. Per esempio, nell’insieme di processi contro i catari svolti tra 1318 e 1325 dall’inquisitore Jacques Fournier, futuro papa Benedetto XII, molte confessioni rivelano comportamenti eterodossi che noi classificheremmo come magicosuperstiziosi, piuttosto che come ereticali: i parenti tagliano le unghie e i capelli dei defunti perché convinti che il conservarli possa proteggere la casa; una donna ammalia il genero perché resti fedele alla figlia; una donnola che taglia la strada è vista come un cattivo presagio, cosí come una civetta che stride su una casa; il miagolio insistito dei gatti è la voce delle anime in pena.6 Credenze e comportamenti che presumibilmente non erano specifici dei catari, ma nei quali gli inquisitori si imbattevano durante le loro indagini sugli eretici. Se si volesse trovare un momento in cui, almeno simbolicamente, il problema del rapporto con il diavolo muta sensibilmente, bisognerebbe individuarlo negli anni Venti del Trecento, con la bolla Super illius specula di Giovanni XXII, nella quale l’anziano pontefice stigmatizzava coloro che stipulano un patto « con l’inferno » e all’insegna di questo immolano e adorano i demoni, fabbricano immagini, anelli, specchi e fiale: ossia oggetti atti a compiere malefici.7 Con la bolla, coloro che si rendono colpevoli di tali azioni sono equiparati agli eretici e al pari di questi sottoposti all’azione degli inquisitori e passibili 52

ii · sette ereticali, sette stregoniche di condanna al rogo. Si trattava di una mossa che chiudeva un ciclo durato alcuni decenni e che ancora a quel tempo sembrava azzardata. Giovanni XXII aveva infatti chiesto nel 1320 un parere a un consiglio di teologi, ponendo quattro questioni: colui che battezza un’immagine secondo il rito cattolico, ma per compiere un maleficio, dev’essere considerato solo autore di un sacrilegio oppure eretico? Colui che compie la stessa azione, ma su un cristiano, che viene quindi battezzato una seconda volta al fine di dargli il potere di cacciare l’epilessia, è sacrilego o eretico? Come considerare chi compie malefici con le ostie consacrate? Come considerare coloro che evocano i demoni per comandarli a nuocere a qualcuno? I pareri furono difformi: tradizionalmente, infatti, l’accusa di eresia riguardava la sfera dell’interpretazione dottrinale, non quella dell’azione. Dunque, dal punto di vista dogmatico, l’assimilazione del maleficio all’eresia comportava un netto cambiamento nella definizione di quest’ultima: le concezioni considerate eretiche non avevano bisogno di essere espresse, ma si deducevano, per cosí dire, dai comportamenti. Chi compiva maleficia con l’aiuto del diavolo era eretico perché implicitamente contraddiceva la dottrina della Chiesa che proibiva di cercare quell’aiuto.8 È probabile che Giovanni XXII, autore di questo cambiamento davvero rivoluzionario, nutrisse preoccupazioni anche personali nei confronti delle possibilità del maleficio. Nel decennio precedente egli aveva ordinato l’apertura di una procedura giudiziaria nei confronti del vescovo di Cahors, Hugues Géraud, per malversazione.9 Sapendo di avere poche possibilità di essere giudicato innocente, all’inizio del 1317 il vescovo decise di avvelenare il papa con l’aiuto di due complici che appartenevano al palazzo pontificio di Avignone. Si procurò delle statuette di cera e del veleno: il rito sarebbe stato prima praticato contro il nipote del papa, Jacques de Via (che morí nel giugno 1317). Successivamente, Hugues confezionò tre figurine di cera che rappresentavano, avendone ricevuto il nome, oltre a Giovanni XXII, i cardinali Bertrand du Poujet e Gancelme de Jean (quest’ultimo pure un nipote del pontefice); le figure avrebbero poi dovuto esser colpite e trafitte per nuocere alle vittime. L’attentato venne però scoperto e per questo il vescovo e i suoi complici furono condannati alla pena capitale sul rogo. 53

caccia alle streghe Ancora una volta veneficio e maleficio sono associati; entrambi infatti sono utilizzati per colpire a distanza e si configurano come esempio di crimen maiestatis. Nel secolo precedente (ossia in un’epoca di riscoperta del diritto romano), il legame tra la tradizione giuridica tardoantica e quella medievale in rapporto al maleficio-veneficio era stato sottolineato dall’imperatore Federico II di Svevia. Nel Liber Au­ gustalis, cinque paragrafi di legge sono dedicati alla sanzione del veneficio e dei pocula amatoria. Nel iii libro, per esempio, leggiamo che sarà da condannare alla pena capitale chiunque somministri, venda o possieda « sostanze (medicamenta) pessime e nocive che servono a far impazzire (ad alienandos animos) o veleni ».10 La fonte che ispira questo passo, al pari di molti altri testi legislativi del Medioevo occidentale, è la ben nota Lex Cornelia de sicariis et veneficiis. L’ispirazione della Lex Cornelia sembra emergere da un paragrafo del Liber Augustalis nel quale viene regolata la questione della liceità dei duelli, e in cui si afferma esplicitamente che gli omicidi « con mezzi occulti e veleni » si macchiano di crimen lesae maiestatis, cioè del crimine piú grave perché implica il tradimento:11 e nel diritto romano proprio il tradimento era punito tradizionalmente nel modo piú atroce.12 Inoltre, come la legge romana punisce il colpevole non soltanto sulla base del risultato, ma pure su quello dell’intenzione, anche le costituzioni federiciane statuiscono che « non andrà impunito chi preparerà pozioni d’amore o cibi nocivi anche se non lederanno alcuno ».13 D’altra parte, l’intera tradizione processuale e giuridica del tempo, cosí come dei secoli successivi, mostra quanto, al pari dell’età romana, il veneficium fosse considerato un crimine abominevole.14 Ma torniamo ora alla “rivoluzionaria” equiparazione tra magia e eresia. Un elemento fondamentale per comprendere tale cambiamento è dato dal diffondersi nella società e nella Chiesa di una preoccupazione crescente per il ruolo del demonio nel mondo. Il tema del patto fra l’uomo e il diavolo si diffuse per la prima volta nell’Europa occidentale nei secoli centrali del Medioevo. Nel X secolo la monaca Rosvita scrisse – riprendendo una tradizione di origine greca – la storia del diacono Teofilo. Caduto in disgrazia presso il suo vescovo, Teofilo non esita a firmare con il suo sangue, aiutato da un ebreo esperto in arti magiche, un patto col demonio, cui vende l’ani54

ii · sette ereticali, sette stregoniche ma in cambio del potere, come farà molti secoli dopo il dottor Faust di Goethe. In Occidente il patto tra Teofilo e il demonio veniva spesso rappresentato come un omaggio feudale, quell’atto che poneva di fronte un signore e il suo vassallo in un reciproco impegno di fedeltà. Trattandosi di un atto rituale considerato di grande valore, appare evidente come l’utilizzarlo in questo particolare contesto dovesse servire a suscitare sdegno e angoscia. Sebbene il tema del patto con il diavolo sia dunque antico, è nel corso del Duecento che esso comincia a comparire con maggiore intensità all’interno di exempla, prediche, opere letterarie; per esempio nel celebre Miracolo di Teofilo, un dramma liturgico composto dal poeta francese Rutebeuf e messo in scena per la prima volta intorno agli anni Sessanta del XIII secolo, nel quale si narra la vicenda del siniscalco Teofilo, dapprima irretito dal diavolo, poi pentito e redento.15 Un exemplum tratto da una raccolta degli anni Settanta del Duecento racconta la storia di un patto tra un uomo e il diavolo, suggellato da un bacio sulla bocca. Il diavolo promette al suo seguace di non fargli mancare mai niente, e dunque costui comincia ad arricchirsi rubando impunemente; se anche finisce per essere arrestato, il diavolo fa in modo che sia liberato subito. Tuttavia, un giorno, il diavolo lo lascia in prigione, promettendogli che l’aiuterà un attimo prima dell’impiccagione; e in effetti, quando l’uomo si trova ormai sul patibolo, gli fornisce la corda, la sola cosa della quale ha bisogno in quell’istante.16 La preoccupazione per la minaccia diabolica all’interno della società si accompagna a un’evoluzione della teologia al riguardo, teologia rimasta sostanzialmente stabile dal tempo di sant’Agostino (il quale nel De Divinatione Daemonum aveva spiegato che i diavoli, pur se privi di veri poteri profetici, possono avere prescienza del futuro grazie a una percezione piú raffinata, alla loro abilità di muoversi rapidamente e alla loro esperienza della realtà) sino alla Summa di san Tommaso. Il teologo domenicano sottolineava la necessità di rifutare qualunque accordo tra l’uomo e il diavolo: Il dominio della divina maestà, cui sono soggetti anche i demoni, implica che Dio può servirsi di essi come vuole. L’uomo invece non ha ricevuto il dominio sui demoni, per potersene servire come vuole: ma deve avere con essi

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caccia alle streghe una guerra dichiarata. Perciò in nessun modo è lecito all’uomo ricorrere all’aiuto dei demoni con accordi taciti o espressi.17

Alain Boureau ha individuato l’avvio del cambiamento nel cinquantennio tra 1280 e 1330: a suo avviso, sin dopo la metà del XIII secolo la teologia non aveva mostrato particolare interesse per l’azione dei demoni, al di là di alcune riflessioni sulla caduta di Satana e il problema del male. La situazione mutò sensibilmente intorno al 1270, quando apparvero i grandi trattati della scolastica, all’interno dei quali i poteri dei demoni e i loro rapporti con gli esseri umani sono ampiamente presi in considerazione, anche se Tommaso non accorda molto spazio alla loro azione. Successivamente, continua Boureau, fu l’opposizione della teologia francescana, e in particolare di Pietro di Giovanni Olivi, al tomismo e all’aristotelismo a far evolvere il pensiero in una direzione nuova, nella quale all’azione del diavolo nella storia e nella società era conferito ben altro e maggior peso.18 Nell’arco di questi decenni si ha dunque un mutamento del ruolo accordato al diavolo nella teologia e soprattutto, per quel che ci interessa, nella società. Il patto col diavolo, cosí come le orge e i rituali compiuti in suo onore ai quali già rimandava la Vox in Rama, divennero le modalità attraverso le quali una nuova compagine sociale, ormai equiparata a una setta ereticale, si metteva in contatto con e al servizio dei demoni. Non era però soltanto la teologia a dare adito a questa nuova concezione: v’erano fenomeni nuovi, o perlomeno come tali percepiti, che inducevano questa ondata di demonomania. La possessione demoniaca è una forma di rapporto con il demonio diversa dal patto, ma che si sviluppa parallelamente a esso. Come già ricordato, nel De Divinatione Daemonum sant’Agostino aveva spiegato in che modo i demoni acquisiscono i loro poteri di prescienza; questo bagaglio di conoscenze può essere comunicato agli uomini e alle donne, anche se Agostino rimane silente sui modi di tale passaggio. Come si trasmettono questi doni profetici? È importante ricordare che le pratiche di necromanzia, di divinazione attraverso i morti, erano trattate al tempo come apparizioni dia­ boliche. Si è già detto della confusione generata dalle differenti traduzioni di epoca tardoantica dell’episodio biblico della necromante di 56

ii · sette ereticali, sette stregoniche Endor. È molto probabile che la distinzione tra l’attività di una femina ventriloqua e quella di una mulier habens pythonem non fosse cosí importante agli occhi di autori e canonisti di quell’epoca: tra le differenti forme di divinazione (attraverso il volo degli uccelli, delle superfici riflettenti e cosí via), la gastromanzia non sembra esser stata all’ordine del giorno nell’alto Medioevo. La crescita d’interesse che i secoli bassomedievali registrano per questo tema si lega a quello piú ampio della profezia. I Padri della Chiesa avevano dibattutto sull’etimologia di “profeta”: derivava da phainō, ‘portare alla luce’, con il significato di rivelare qualcosa che deve ancora avvenire? Oppure da phēmi, ‘dichiarare’, nel senso di parlare per qualcun altro? Le profezie dei pagani si riteneva appartenessero alla seconda categoria (e infatti questo è l’etimo corretto), in quanto i demoni celati negli idoli parlavano attraverso falsi profeti.19 C’erano, naturalmente, anche i veri profeti, la cui voce parla nella Bibbia. Tuttavia, per i primi cristiani, dopo l’ultimo dei profeti, Giovanni Battista (Lc., 1-3), tutte le antiche rivelazioni avevano trovato la loro compiutezza nell’avvento del Cristo; l’età della Rivelazione era dunque chiusa, lasciando il campo a quella dell’esegesi. Nel corso del basso Medioevo, però, la Cristianità conosce nuovi profeti, e soprattutto profetesse: da Ildegarda di Bingen a Caterina da Siena, per citare le piú note. La loro chiaroveggenza apparteneva ovviamente alla prima categoria: portavano alla luce verità occulte; ma allo stesso tempo, anche la seconda accezione sembrava proliferare come all’e­ poca dei pagani, vista la grande diffusione di arti divinatorie varie. In fondo, coloro che divinavano il futuro, a meno che non fossero davvero ispirati da Dio, non erano differenti da pythones e pythonissae dell’età antica, in quanto, almeno dal punto di vista cristiano, era sempre il demonio a parlare attraverso di loro.20 Di conseguenza, nel momento in cui il dono profetico tornava a essere una realtà, anche il suo contrario – la profezia fuorviante, l’apparizione che sembra rivelarci la realtà e invece ci perde – acquista maggiore presenza all’interno delle nostre fonti. Le apparizioni del diavolo ne sono la principale esemplificazione. Il domenicano Thomas de Cantimpré scrisse il suo Bonum universale de apibus poco dopo la metà del Duecento. In un exemplum racconta di un diavolo che 57

caccia alle streghe sotto sembianze di monaco predice lunga vita a un cavaliere; sicuro del fatto suo, questi tarda a confessarsi anche se ammalato, fino a quando suo fratello non riesce a convincerlo dell’inganno diabolico. A quel punto il cavaliere si confessa e muore cristianamente.21 Nei cosiddetti Dits de Jehan de Saint-Quentin, testo anonimo dei primi del Trecento, abbiamo exempla costruiti come brevi novelle di stile e contenuti molto semplici. In una di queste, dopo un preambolo sull’importanza della confessione, si narra la storia di una donna di estrazione borghese che, in seguito alla morte del marito, è ridotta in miseria. Un giorno che se ne lamenta, il diavolo le appare sotto forma di mercante e domanda la causa della sua disperazione. Poi le promette di renderla ricca se eseguirà i suoi ordini: disturbare coloro che pregano in chiesa; ospitare tre poveri durante il giorno per cacciarli appena scende la notte; smettere di confessarsi; indurre preti e canonici alla fornicazione. Poiché la vedova riceve effettivamente le ricchezze promesse, mantiene tutti i suoi impegni. Un giorno si ammala ed è in punto di morte; il figlio, un chierico, vorrebbe confessarla, ma lei inizialmente rifiuta in virtú del patto; finisce poi per accettare e il figlio la lascia per cercarle un prete, ma in quel momento il diavolo appare e la strangola. Quando la trova morta, il figlio prega perché il Signore gli consenta di prender su di sé la penitenza della madre, poi si confessa. Un anno piú tardi la madre defunta gli appare per ringraziarlo di essersi accollato le pene del purgatorio.22 Il messaggio non potrebbe essere piú esplicito: sogni e visioni possono essere ingannevoli. Gli exempla comunicano insegnamenti semplici, ma considerati fondamentali in un’epoca in cui l’importanza della Chiesa nella vita civile era ancora assai parziale: la mediazione sacerdotale si afferma cosí come necessaria per distinguere il vero dal falso o per amministrare i sacramenti, anch’essi presentati come indispensabili. Anche i temi della finta profezia e dell’inganno del demonio finiscono per rafforzare la demonomania corrente; se da una parte sono meno gravi del patto con il diavolo, dall’altra sono piú insidiosi e richiedono una vigilanza costante. Ma non c’è soltanto la letteratura esemplare; vicende e atti processuali dimostrano come l’immagine del patto col diavolo stesse ormai passando dal livello letterario a quello sociale. Agli inizi del Trecento 58

ii · sette ereticali, sette stregoniche alcuni processi celebri sembrano unire le differenti linee che abbiamo visto emergere nel corso del secolo precedente. Nel 1303, per liberarsi non soltanto fisicamente del suo avversario, papa Bonifacio VIII, ma anche della sua memoria, il re di Francia Filippo il Bello si serve dei suoi sottoposti e alleati (Guillaume de Plaisians prima, Pietro Colonna poi) per costruire un castello di insinuazioni contro il pontefice. Tra queste, le accuse di commercio con il demonio occupano un posto di rilievo: Bonifacio avrebbe avuto un “familiare” (termine con il quale si indicava un demonio personale, parallelo e in versione satanica dell’angelo “familiare”, colui che agisce come custode individuale per ognuno). Il pontefice sarebbe stato iniziato alla negromanzia, e dunque al commercio con i demoni, da Bonifacio il Lombardo, un negromante vicentino. Cinque anni dopo, ancora Filippo il Bello: Guichard, vescovo di Troyes, venne accusato di aver complottato per uccidere la moglie del re, Giovanna di Navarra. Per compiere il misfatto si sarebbe recato da un mago, insieme a un altro religioso che trafficava con il demonio; invocato, il diavolo aveva consigliato a Guichard di far confezionare una immagine di cera, battezzarla con il nome della regina, poi pungerla con degli spilli: Giovanna muore. Si tratta di un episodio dai risvolti politici, come quello di Bonifacio VIII, atto a dare un segnale forte al clero secolare sui rapporti di forza? Non siamo in grado di dirlo con certezza, ma anche se cosí fosse, rimane il fatto che delinea un caso destinato a divenire tipico.23 Ancora, nel 1308 le accuse contro i Templari, elaborate nei primi mesi delle campagne d’arresto volute da Filippo il Bello ed eseguite un po’ in tutta Europa tra 1307 e 1308, si cristallizzarono in una lista di 127 articoli: si andava dall’adorazione di gatti alle pratiche oscene e orgiastiche, come il bacio sull’ombelico del Maestro da parte del novizio, che successivamente, nelle Grandes Chroniques de France, diviene il vero e proprio osculum infame sull’ano; dal rinnegamento del Cristo attraverso atti osceni e dissacratori verso la croce all’adorazione di idoli in Sua sostituzione. Sia che gli avvocati del re di Francia s’inventassero di sana pianta gli addebiti da muovere ai fratres, ispirandosi magari a fenomenologie e a casistiche dei processi inquisitoriali per eresia, sia che raccogliessero ed elaborassero confessioni in qualche 59

caccia alle streghe modo “autentiche”, per estorte che fossero, resta il fatto che l’insieme delle pratiche attestate non ha alcuna coerenza e consistenza. L’adora­ zione di animali o della misteriosa testa detta Baphomet rinviano ovviamente all’evocazione di demoni e all’omaggio a loro reso.24 Un in­ sieme insomma non lontano da quanto già delineato nel 1233 dalla Vox in Rama di Gregorio IX. È un processo altamente simbolico perché dimostra come a questo punto, ormai, demonologia, letteratura e realtà storica si andassero congiungendo secondo parametri comuni. 3. Papi, giuristi, teologi e inquisitori Il successore di Giovanni XXII, Benedetto XII, esperto in questioni ereticali per essere stato a lungo inquisitore nell’area pirenaica, proseguí sulla stessa linea, mostrando grande attenzione alle diverse forme di maleficio e di commercio con i demoni. Nel 1336 scriveva al vescovo di Parigi a proposito di un « nigromanticum de Anglia » colpevole di malefici e fatture; a un canonico di Mirepoix, nei pressi di Carcassonne, domandava di condurre un’inchiesta e procedere contro coloro che si fossero resi colpevoli di eresia, scisma, malefici, sortilegi, ovviamente accettando ormai l’equiparazione tra magia e eresia; l’anno successivo ricordava in altro documento l’attentato con le immagini di cera compiuto contro Giovanni XXII; nel 1338 scriveva a un certo Guglielmo Lombardo, prevosto della chiesa di Barjol nella diocesi di Fréjus, a proposito del caso di due donne della zona, Caterina Andrieva e Simona Ginota, sospettate di essersi date corpo e anima al demonio e di aver commesso in suo nome una serie di azioni nefande non meglio precisate: consigliava di indagare e punirle, ma con misericordia. Una lettera del 1339 rivela una storia complessa che ha per protagonista un chierico di Rieux (presso Tolosa) e alcuni monaci, che mossi dal desiderio di lucro avrebbero esercitato clandestinamente l’alchimia, stipulando un patto di reciproca fedeltà. Per tro­vare un tesoro nascosto in una montagna avevano fabbricato un’immagine di cera, alla quale avevano dato un nome, battezzandola; poi l’avevano posta in una cappella dedicata a santa Caterina. Tutto il caso mostra l’utilizzo, ovviamente proibito, di elementi liturgici con finalità magiche: un tratto tipico del tempo. In questa circostanza 60

ii · sette ereticali, sette stregoniche si raccomandava una punizione grave, che tuttavia, per quanto concerne i monaci, sembra limitarsi a una forma di clausura all’interno del monastero, in modo da non consentir loro la ripetizione dei crimini.25 Nel frattempo, almeno un manuale inquisitoriale, quello redatto nel 1324 dall’inquisitore di Tolosa Bernard Gui, mostra di aver recepito il cambiamento: benché la maggior parte del testo sia dedicata all’individuazione e alla repressione dell’eresia (quella catara in particolare aveva avuto i suoi centri principali proprio nell’area circostante), alcune sezioni parlano di sortilegi, malefici, divinatori e invocatori di demoni. Di questi ultimi si condannano in particolare l’omaggio e il patto; le pratiche magiche riguardano invece, ancora una volta, le immagini di cera, i carmina atti a incantare o curare, le tecniche per trovare o ritrovare cose nascoste o smarrite, le immagini che il piombo fuso forma nei liquidi e che servono a divinare, e cosí via.26 L’inclusione della magia all’interno del crimine ereticale, statuita dal papato e dall’inquisizione tra anni Venti e Trenta, non poteva lasciare indifferenti i giuristi, alcuni dei quali si impegnarono a definire la questione dal punto di vista del diritto. Fra i primi Oldrado da Ponte, originario di Lodi, che scriveva contemporaneamente a Gui, su richiesta di papa Giovanni XXII, in quanto commissario nella causa che concerneva i due vescovi Bertrando di Embrun e Raimondo di Saint-Papoul, accusati di sortilegio dagli inquisitori domenicani. La domanda che egli pone è se sortilegi e filtri d’amore siano da considerarsi eretici. La sua posizione è cauta: ricorda infatti come per sant’Agostino questo tipo di pratiche siano superstiziose piuttosto che eretica­ li; il discrimine passa attraverso l’evocazione dei demoni e l’aver loro posto domande sul futuro, in quanto ciò attribuisce alle creature quan­ to appartiene solo al Creatore. Tuttavia, se i demoni sono invocati per tentare la pudicizia di una donna (e quindi per la confezione dei fil­ tri), allora, poiché si chiama il diavolo a far ciò che gli è proprio, ossia tentare (infatti il Salvatore lo chiamava “tentatore”), è certamente un peccato mortale, ma non si tratta tuttavia di eresia manifesta.27 Una decina di anni piú tardi abbiamo il parere di un altro eminente giurista, Zanchino Ugolini, autore di un trattato Super materia here­ ticorum, nel quale un’ampia sezione è dedicata a « divinatori, incanta61

caccia alle streghe tori e simili ». Zanchino si esprime nettamente: « È eretico credere che una qualunque cosa sia divina, eccetto Dio, o che qualunque cosa possa essere creata o trasformata da altra causa che Dio, che è il Crea­ tore di tutte le cose, com’è mostrato nelle Scritture […]. Neppure è lecito adorare i demoni e ricevere responsi da loro ». Al pari degli eretici, coloro che si macchiano di questi crimini devono essere trattati con la massima durezza dai giudici secolari, che dovranno comminare loro la pena capitale e la confisca di tutti i beni.28 Al di là dell’estrema nettezza del dettato di Zanchino rispetto a quello di Oldrado, si può riflettere sul fatto che il passaggio a proposito della “trasformazione” poteva essere interpretato come una svalutazione – controcorrente per il tempo – circa il potere dei demoni, nella linea del Canon episcopi che negava la realtà della mutazione delle donne in animali. Una concezione destinata a esser sovvertita definitivamente solo nel corso del secolo successivo. A una data imprecisata a cavallo tra anni Trenta e Quaranta del Trecento appartiene il consilium attribuito al celebre giurista Bartolo da Sassoferrato, un apocrifo che ebbe tuttavia grande diffusione al tempo e che si distingue nettamente dai due precedenti. Il parere si apre con l’affermazione che la « mulier striga », che in latino è detta lamia, deve esser condannata alla pena capitale e bruciata, in quanto ha rinunziato al battesimo e al Cristo, e la legge evangelica prevale su tutte le altre leggi: il soggetto stesso, insomma, differisce poiché siamo per la prima volta dinanzi a una “strega”, non a invocatori di demoni, sortilegi, ecc. Lo pseudo-Bartolo chiama in causa la Lex Corne­ lia per giudicare questi casi di stregoneria; le azioni cui si riferisce sono la “fascinazione” di uomini e animali, in particolare di bambini: « si ritiene che [una strega] “stricasse seu fascinasse” i bambini con il suo tocco », uccidendoli, come denunciato dalle loro madri. Il parere richiesto al giurista riguarda infatti alcuni casi avvenuti nella diocesi di Novara. L’autore, tuttavia, non si pronunzia circa la veridicità o meno di questi poteri, tema sul quale rimanda all’opinione dei teologi; secondo la linea che abbiamo visto prevalere nel diritto romano tardo, è la volontà delle streghe a contare in vista della condanna.29 Nella seconda metà del Trecento un punto fermo nella trattatistica dell’inquisizione è data dal Directorium inquisitorum di Nicolas Eyme62

ii · sette ereticali, sette stregoniche rich, del 1376. Eymerich era stato nominato inquisitore di Aragona nel 1356; il testo è quindi la sintesi di vent’anni di esperienza “sul campo” ed era destinato a uno straordinario successo, visto che è stato ristampato fino al Settecento. Qual è, dunque, il parere di Eymerich? La sua posizione è netta, ma non estremista. Egli reputa come ereticali tutti gli atti che mostrino latria o dulia nei confronti dei demoni, ossia tutti gli atti in cui si manifesta l’adorazione o la venerazione che dovrebbe esser mostrata, rispettivamente, a Dio e ai santi. Restano tuttavia al di fuori di questa definizione maghi e divinatori come i chiromanti, che guardano le linee della mano per conoscere la condizione di quanti a loro si sono rivolti; non tutte le arti magiche sono tacciabili di eresia; il che potrà contribuire a spiegare una certa tendenza dei paesi cattolici, come si dirà in seguito, a non condannare alla pena capitale tutti gli accusati di questo genere di attività.30 Un altro momento fondamentale nella definizione della magia in rapporto al problema ereticale arrivò alla fine del secolo, quando nel 1398 la Facoltà di teologia di Parigi, altamente reputata in tutta Europa, pronunciò una condanna delle arti magiche. Dopo un lungo prologo si enunciano 28 articoli, dichiarando l’errore contenuto in ciascuno di essi; il commercio con i demoni ha ovviamente un ruolo di primo piano, mentre mancano accenni alla stregoneria come delinea­ ta già dallo pseudo-Bartolo. I teologi parigini emettevano il loro dotto parere alla luce di un secolo di intenso dibattito e di preoccupazione circa la pervasività del patto con i demoni e dei poteri magici conferiti da tale patto; la magia era stata peraltro evocata piú di una volta, proprio negli anni Novanta, ossia verso la metà della disastrosa Guerra dei Cent’anni, per curare – o magari per provocare? – le crisi di follia del re di Francia, Carlo VI. Alla luce di tutto questo, bisogna dire che il parere dei teologi appare entro certi limiti svalutativo dei poteri che il patto col diavolo avrebbe conferito: per esempio quando affermano l’erroneità della convinzione che le immagini di rame, piom­bo, oro o cera, battezzate e consacrate, possano avere virtú meravigliose (art. 19); oppure che certe sostanze, come il sangue, siano efficaci nel congiurare o scongiurare i demoni (art. 20).31 Agli inizi del Quattrocento, presumibilmente al 1405, si data il Tractatus de superstitionibus di Nicolaus von Jauer, professore di teologia 63

caccia alle streghe nelle Università di Praga e di Heidelberg. L’autore si sofferma a lungo sulle credenze nei poteri di donne e vetulae; a questo proposito fa riferimento all’idea che le lamie possano assalire, rapire, scambiare con “doppi”, dilaniare gli infanti nelle culle: si tratta però, a suo dire, degli stessi demoni, non di donne che si trasformano in questi esseri mostruosi.32 Nel 1409 una lettera di papa Alessandro V diretta all’inquisitore francescano Ponce Fougeyron è interessante soprattutto perché a essa faranno riferimento diversi trattatisti nel corso del secolo. Il pontefice denuncia l’eresia diffusa in varie regioni della Francia: « Cristiani e perfidi giudei […] hanno fondato nuove sette e compiono riti che sono ripugnanti per la religione cristiana »; nelle stesse regioni, continua il pontefice, vi sono « cristiani e giudei sortilegi, divinatori, invocatori di demoni, carminatori, congiuratori, superstiziosi, auguri, praticanti di arti nefaste e proibite ». Niente di nuovo, a un primo sguardo, se non per il fatto che in tale contesto Alessandro par­ la di questo insieme di malefici come di una « nuova setta ».33 Un’ulteriore, fondamentale svolta si registra a partire dagli anni Trenta del Quattrocento, con il concorso di una lettera di papa Eugenio IV e della pubblicazione di diversi trattati inquisitoriali dai caratteri sostanzialmente differenti rispetto a quelli visti sinora. Il pontificato di Eugenio IV si sviluppò in un periodo difficile per la Chiesa: egli aveva pessimi rapporti con il concilio di Basilea, che elesse contro di lui un altro papa, Felice V (il duca di Savoia Amedeo VIII);34 inoltre, negli stessi anni in Boemia cominciò il movimento di riforma ecclesiastica voluto da Jan Hus che presto sfociò in una guerra civile. La lettera di Eugenio è diretta a tutti gli inquisitori e denuncia coloro che si sono dati al « principe delle tenebre » che li ha resi « membri della sua setta »: Essi sacrificano ai demoni, li adorano, cercano e accettano responsi da loro, rendono loro omaggio e stipulano con essi un patto scritto o un altro genere di patto grazie al quale, con una sola parola, tocco o segno possono compiere qualunque maleficio ed essere trasportati dove vogliono, possono curare malattie, provocare intemperie e firmano altri patti per raggiungere i propri scopi nefandi. Perché possano raggiungere i propri scopi, fanno o fanno fare immagini atte a costringere i demoni, con le loro invocazioni perpetrano malefici, nei quali non si astengono dall’usare il crisma battesimale o l’euca-

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ii · sette ereticali, sette stregoniche restia e altri sacramenti. Fanno immagini di cera o di altri materiali che, attraverso le loro invocazioni, battezzano o fanno battezzare. A volte invertono la Santa Croce sulla quale nostro Signore fu crocifisso.35

Nel 1440 il pontefice scrisse un’altra lettera, questa volta rivolta al concilio di Basilea, nella quale denuncia Amedeo VIII accusandolo di non aver preso misure contro « gli uomini e le donnette che, abbandonato il Salvatore per seguire Satana sedotti dalle illusioni del demonio, si dice siano numerosissimi nelle sue terre e sono detti dal popolo stregule, stregoni o Waudenses ».36 Il pontefice non specifica a quali attività siano dediti, anche se non dovrebbero esser diverse da quelle denunciate nella lettera precedente; ciò che colpisce è l’utilizzo del tema per finalità di polemica politica, e l’impiego dei termini “stregule”, ossia streghe, e “valdesi”, dove appare chiaro che non ci si riferisce al “vecchio” movimento ereticale, ma si utilizza il nome come sinonimo di “streghe/stregoni”. Un utilizzo che trova diversi paralleli in aree vicine, quali il Delfinato, la Borgogna e soprattutto la Svizzera romanda: aree nelle quali i processi, proprio in quegli stessi anni, stavano divenendo numerosi. Insomma abbiamo qui un uso chiaramente politico dell’accusa di connivenza con la setta stregonica. Amedeo si sarebbe reso colpevole di lasciar crescere impunemente la nuova eresia demoniaca, mentre intorno alla Savoia si stavano prendendo ben altri provvedimenti. 4. Una nuova setta In effetti è proprio a queste aree limitrofe, in particolar modo alla Svizzera romanda, che bisogna volgersi per comprendere i cambiamenti in corso. Già diversi studiosi hanno sottolineato l’importanza dell’arco alpino nello sviluppo di alcuni motivi, come quello del sabba, centrali nella stregoneria moderna; ma un contributo fondamentale in questa direzione è stato dato nel corso dell’ultimo ventennio dagli studi di Agostino Paravicini Bagliani e della sua équipe a Losanna. Oltre a pubblicare gli atti di numerosi processi contenuti nel registro Ac 29 degli Archivi cantonali di Losanna, nei quali l’andamento comincia ad assumere i connotati di una caccia, essi hanno presentato 65

caccia alle streghe l’edizione critica di cinque testi nei quali l’esistenza di una setta di streghe e stregoni prende una consistenza nuova e meglio dettagliata. I testi in questione sono il rapporto di Hans Fründ (intitolato Rapport sur la chasse aux sorciers et aux sorcières menée dès 1428 dans le diocèse de Sion) sui processi che ebbero luogo nel Valais nell’anno 1428, scritto poco tempo dopo gli eventi; il Formicarius di Johann Nider, presumibilmente del 1436-’38; l’anonimo Errores Gazariorum [cioè dei catari], seu illorum qui scopam vel baculum equitare probantur, pure della seconda metà degli anni Trenta; il trattato Ut magorum et maleficiorum errores di Claudio Tolosano, del 1436 circa; infine Le Champion des Dames di Martin Le Franc, cominciato nel 1440 e terminato al piú tardi nel gennaio del 1442.37 Questi trattati hanno la peculiarità di rivolgersi a un’area geografica omogenea, compresa tra la Val d’Aosta, il Bernese, la diocesi di Losanna, il Valais e il Delfinato. Diversa è invece la provenienza, nonché la preparazione degli autori: Fründ e Tolosano appartenevano al laicato, gli altri erano ecclesiastici; Hans Fründ era un cronista di Lucerna che scriveva in tedesco; Claudio Tolosano un giudice del Delfinato; Nider un domenicano tedesco, originario della Svevia, professore all’Università di Vienna, dove scrisse il Formicarius, che ha prevalentemente un fine di edificazione morale, e non è dunque un trattato inquisitoriale come quelli di altri suoi confratelli. Per l’anonimo autore degli Errores Gazariorum è stata proposta l’identificazione con l’inquisitore francescano Ponce Fougeyron, a cui Alessandro V aveva inviato la lettera prima ricordata, il che tornerebbe con la polemica antiereticale che caratterizza il testo.38 Martin Le Franc, infine, era segretario di Amedeo VIII e prevosto di Losanna; di formazione uma­nistica, scrisse un’opera polemica sí, ma letteraria e improntata al divertissement. Il fatto che opere e autori cosí distanti gli uni dagli altri analizzino lo stesso ambito di eventi e di idee è già di per sé un dato straordinario; al quale si aggiunge la possibilità di mettere a confronto i loro testi con gli atti di numerosi processi della stessa regione e della stessa epoca. L’insieme di accuse mostra che la parificazione tra questo tipo di attività e l’eresia era ormai ampiamente accettata e attestata anche nel linguaggio utilizzato: per esempio si parla di riunioni in “scuole”, 66

ii · sette ereticali, sette stregoniche termine già impiegato per descrivere le assemblee dei valdesi. Apostasia, idolatria ed eresia sono i crimini che richiedono l’intervento degli inquisitori; ma, aggiunge il giurista Claudio Tolosano nella linea già enunciata dallo pseudo-Bartolo da Sassoferrato, i membri di quella setta sono colpevoli del Crimen maiestatis, e per questo le loro azioni sono anche di competenza dell’autorità laica. Inoltre, come lasciava già intendere la lettera di Alessandro V, si tratta di una nuova eresia, non di qualcosa di conosciuto. Il patto con il demonio è essenziale; secondo Nider questo patto viene stretto bevendo in comune una pozione fatta con i corpi di infanti assassinati. Altro fatto che accomuna tra loro i procedimenti attestati in queste opere è la prevalenza di elementi maschili nei ranghi della “nuova setta”: gli stregoni sono insomma prevalenti rispetto alle streghe, e dunque lo stereotipo della donna/strega difficilmente può essere confermato in questo ambito geografico-culturale. Insieme allo stretto legame con l’eresia, coloro che hanno studiato questi testi evidenziano, sulla scorta delle suggestioni di numerosi storici,39 che l’aspetto politico dei processi non può essere trascurato: siamo in presenza della costruzione di un potere accentrato, quello dei Savoia, in un’area prima frammentata; una situazione in fondo non lontana da quanto si è proposto per gli inizi del Trecento a proposito dei processi a sfondo magico che coinvolsero il regno di Filippo il Bello. La difficoltà e i timori che provenivano dal tentativo di imporre il nuovo potere centralista sulla situazione preesistente avrebbero generato la paura continua di complotti e ribellioni, e la caccia potrebbe essere un riflesso di questa situazione. Un’altra caratteristica mostrata da questi testi è il probabile legame con l’antigiudaismo dilagante nella regione, dove negli stessi anni gli ebrei videro peggiorare sensibilmente la propria condizione; il dato, particolarmente presente negli Errores gazariorum, potrebbe trovare riscontro nel riferimento alla synagoga quale luogo in cui streghe e stregoni incontrano il diavolo. Anche in questo caso un riferimento precoce alla connessione tra ebrei e cristiani nel compimento di malefici e nell’evocazione di demoni si trovava proprio nella lettera di Alessandro V. Ma soffermiamoci brevemente sul contenuto delle accuse e delle 67

caccia alle streghe confessioni. Numerosi sono gli elementi folklorici che emergono dalle testimonianze processuali: l’aver cavalcato lupi, oppure l’essersi trasformati in lupi per mezzo di un unguento ricavato da ossa e altre sostanze, oppure grazie all’insegnamento dei demoni; il ricorso a magia tempestaria e veneficio, spesso generalizzato: l’aver sparso nell’aria veleni che non sono quindi diretti contro una persona, ma contro l’in­ tera comunità. Le accuse di infanticidio e di cannibalismo nei confronti di bambini sono frequenti e costituiscono un tratto eminentemente stregonico: ne parleremo piú diffusamente nel prossimo capitolo. Infine, abbiamo le prime testimonianze inerenti il concetto di sabba (anch’esso un concetto evidentemente tratto dalla polemica antiebraica per via dell’assonanza con lo shabbat).40 Tolosano e gli Er­ rores Gazariorum fanno riferimento a conventicole di uomini e donne che si adunano attorno a demoni per i loro maleficia o per riti sacrileghi, ma è nel Formicarius che questo concetto è sviluppato in modo piú esplicito e dettagliato: gruppi di streghe si riuniscono intorno a uno spirito malefico per i loro riti che prevedono infanticidio e cannibalismo; Nider, tuttavia, è ancora scettico circa la realtà del volo magico, che giudica un’illusione diabolica. Il risultato della caccia di quegli anni, secondo la testimonianza di Fründ, fu drammatico: un centinaio di condanne a morte, anche se non vi sono mezzi per confrontare i suoi dati con i risultati dei processi a causa di una parziale sparizione degli atti. Si tratta quindi non delle prime condanne a morte per magia e stregoneria, ché altre ve n’erano state in quest’area e altrove, ma della prima caccia vera e pro­ pria. Non tutti i trattati in materia condivisero immediatamente le novità che provenivano dall’arco alpino; numerosi scritti dei decenni successivi sono ancora scettici: ad esempio il teologo domenicano Giordano da Bergamo, intorno al 1460, esprime un parere nettamente contrario all’idea che gli esseri umani possano trasformarsi in gatti o lupi, cosí come creduto da certe « opinioni dei moderni »;41 il suo contemporaneo Girolamo Visconti, autore di un Lamiarum sive stria­ rum opusculum, è critico verso l’idea della mutazione e del volo: le streghe sono apostate e eretiche, i loro maleficia reali, e per questo vanno condannate, ma il resto è fantasia;42 ancora, nel Tractatus de 68

ii · sette ereticali, sette stregoniche sortilegis, redatto verso il 1465, il canonista senese Mariano Sozzini, amico delle personalità piú eminenti della cultura del tempo, quali Leonardo Bruni e Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, si dichiara sí convinto dell’effettività dell’intervento demoniaco nei sortilegi, ma invita alla prudenza quando si giudichino coloro che praticano tali arti, in quanto spesso sono soltanto dei poveri illusi.43 Tuttavia, la teologia in materia andava rapidamente verso un’altra direzione: forse non maggioritaria, ma certamente avviata ad avere un peso nell’evoluzione del fenomeno. Intanto, nel suo Tractatus con­ tra daemonum invocatores, del 1450, l’inquisitore domenicano di Carcassonne, Jean Vineti, estrapolando una singola parte della trattazione demonologica di Tommaso d’Aquino, arrivava a dimostrare come possibile il volo magico indotto dal demonio, per concludere: « Da ciò si può evincere che quanto detto dal Canon episcopi non parla dei moderni eretici ».44 Nel 1458-’59 un altro inquisitore domenicano, Nicolas Jacquier, afferma nel Flagellum haereticorum fascinariorum la stessa posizione: i membri di questa nuova setta si preparano a recarsi alla « diabolica sinagoga » rinunciando al battesimo, adorando il demonio, rendendogli un culto sacrilego, offrendogli sacrifici; niente di tutto questo, afferma Jacquier, facevano le donne illuse delle quali parla il Canon episcopi. Ci si avviava insomma alla dismissione delle idee attestate dal Canon episcopi e lungamente accettate dalla tradizione ecclesiastica, attraverso l’affermazione, che abbiamo visto prender forma nel corso del Trecento per poi essere esplicitata agli inizi del Quattrocento, della novità del fenomeno. L’interessamento crescente degli inquisitori francesi non è casuale, in quanto nel frattempo una grande “caccia” stava iniziando in Francia, nella regione di Arras. Poco dopo la metà del Quattrocento un eremita era stato condannato per stregoneria; prima di morire, aveva confessato di aver avuto alcuni complici. Arrestati e sottoposti a tortura anche questi finirono per confessare il reato di stregoneria, denunciando a loro volta ulteriori complici. La caccia cominciò dunque a profilarsi in tutta la sua drammaticità, coinvolgendo un numero sempre piú alto di imputati. Chiamati “valdesi” (vaudois) come gli eretici del passato, essi venivano accusati di formare una setta criminale al servizio del demonio, che incontravano nel corso di riunioni 69

caccia alle streghe notturne alle quali giungevano in volo, a cavallo di piccoli bastoni, dopo essersi cosparsi di unguento magico. Durante il sabba rinnegavano la fede cristiana e prendevano l’impegno di commettere ogni genere di nefandezza: diffondere epidemie, rendere infecondi i campi, sterili gli uomini e le donne, e cosí via. L’inchiesta – che sino ad allora aveva toccato solo persone di ceto medio-basso – arrivò a una svolta nel 1460, quando vennero accusate alcune alte personalità locali. Anche per loro giunsero dure condanne, sebbene non quella capitale; la vicenda ebbe una tale risonanza da chiamare in causa il duca Filippo il Buono, che riuscí a porre un freno a quella che ormai appariva come una sorta di psicosi collettiva. Tuttavia, i condannati furono riabilitati dal tribunale di Parigi solo molti anni piú tardi, nel 1491.45 La vauderie di Arras del 1460 provocò lo scritto di Giovanni Tinctoris di Tournai – rettore dell’Università di Colonia – intitolato Tractatus de secta vaudensium, nel quale non si nega la possibilità che il volo sia reale.46 Donne e uomini coinvolti venivano accusati di crimini ormai divenuti uno stereotipo: patto con il demonio, rituali sacrileghi, magia tempestaria, malefici di ogni genere, infanticidio.47 La netta evoluzione registrata nel corso del XV secolo giunse a compimento negli anni Ottanta con la presa di posizione di papa Innocenzo VIII, contenuta nella bolla Summis desiderantes affectibus del 1484, e con la pubblicazione due anni piú tardi del Malleus maleficarum dell’inquisitore domenicano Heinrich Krämer.48 I due testi sono strettamente legati: gli inquisitori Heinrich Krämer e Jakob Sprenger avevano incontrato l’opposizione del clero locale dinanzi all’eccessivo zelo dimostrato nel perseguire streghe e stregoni nell’area della « Germania settentrionale cosí come nelle province, città, territori, regioni e diocesi di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema ».49 I Domenicani si rivolsero allora al pontefice il quale, in quest’occasione, promulgò la Summis desiderantes, che in diverse edizioni del Malleus sarebbe infatti comparsa come premessa. Nella bolla Innocenzo denuncia con forza uomini e donne i quali, datisi al diavolo, con i loro malefici e sortilegi danneggiano la fertilità di persone, rese sterili e impotenti, animali e campi. Le loro azioni insomma comporterebbero una minaccia per la vita stessa di intere comunità; di conseguenza il pontefice ordina che l’azione degli inquisitori 70

ii · sette ereticali, sette stregoniche sia agevolata, non ostacolata. Il Malleus maleficarum, pur non apportando alcuna novità assoluta rispetto a quanto visto sinora, è il primo manuale inquisitoriale interamente dedicato al solo fenomeno stregonico: dettaglia come si presenta e come dev’essere individuato e combattuto; rispetto all’insieme di testi precursori dell’arco alpino, il Malleus focalizza l’attenzione sulla stregoneria al femminile piuttosto che al maschile, sebbene quest’ultima sia tutt’altro che esclusa. Inoltre, la piena realtà degli effetti del patto diabolico, dei poteri magici e della mutazione in animali non è mai messa in dubbio. Anche Krämer liquida il Canon episcopi come avevano fatto alcuni dei suoi confratelli in precedenza.50 Non bisogna pensare che nei decenni successivi mancassero le opinioni critiche a proposito di queste posizioni; tuttavia l’adesione al teorema della totale realtà dei poteri stregoneschi avrebbe guadagnato progressivamente terreno. La ricerca di questa nuova setta ereticale necessitava però di inquisitori in grado di occuparsene; ma all’alba dell’età moderna le autorità civili non erano quasi mai ben disposte ad accogliere inquisitori nominati dai pontefici; di qui la creazione di apparati persecutori su basi statali, regionali, locali, che avrà grande peso, come torneremo a dire, sugli sviluppi della caccia alle streghe. Già nel 1501, per esempio, papa Alessandro VI dovette intervenire presso l’inquisitore domenicano di Lombardia, Angelo da Verona, affinché si portasse avanti la ricerca di uomini e donne che, datisi al demonio, mettevano in grave pericolo « persone, animali e campi » per mezzo dei loro riti; presumibilmente un segnale ai prelati e alle autorità civili del Nord Italia affinché non si opponessero all’azione degli inquisitori.51 5. Conclusione Nel corso della prima metà del Trecento l’accusa di eresia si estende ai rei di veneficio e maleficio, avvertiti come strettamente legati tra loro e caratterizzati dal concorso del demonio. Si creano le premesse perché gli inquisitori, abituati a combattere i movimenti dissidenti clandestini, equiparino anche i malefici e le malefiche ai membri di una setta. E poiché di quella setta, in precedenza, non si era mai senti71

caccia alle streghe to parlare, è naturale che si crei l’impressione d’essere di fronte a un fenomeno nuovo, a una setta nata da poco; avviene cosí che tutta una tradizione teologica, la quale affermava l’inesistenza della stregoneria o almeno la falsità di certi poteri attribuiti dal volgo alle streghe, possa essere tranquillamente messa da parte, in base all’argomento che la minaccia da affrontare è moderna e non aveva equivalenti in passato. È indubbio che nella costruzione di questo genere di accuse la dimensione politica è essenziale almeno quanto quella teologica. Il fatto che la parificazione tra magia, credenze precristiane ed eresia, alla luce della rievocazione dell’idea di crimen maiestatis, si sviluppi nei domini del papato e della corona di Francia agli inizi del Trecento non sembra casuale: entrambi erano ambiti nei quali si costruiva una nuova idea di monarchia in cui le forme di dissenso erano marginalizzate e perseguite in modo molto piú sistematico di quanto era avvenuto in passato. I problemi che dilaniavano il XIV secolo (guerre e instabilità sociali diffuse, carestie, pestilenze) ebbero certamente un ruolo nel preparare la società alle persecuzioni di questi marginali; ma la costruzione di tali unità territoriali e giurisdizionali di potere non è una causa secondaria; anzi finisce per saldarsi con l’esistenza nella società europea di un forte timore per il potere del maleficio già rilevato per i secoli precedenti. L’apparato giuridico e teologico, insomma, sembra soprattutto fornire un mezzo per coagulare il tutto, alla luce di un nuovo apparato di credenze demonologiche e della predisposizione a utilizzarle, quando necessario, per finalità politiche. Sul fronte processuale già il Trecento conobbe diversi episodi di condanne per maleficia giudicati alla stregua di crimini ereticali. Fra i tanti possibili casi, ricordiamo il processo contro un uomo, Giovanni Grassi, perseguito da un inquisitore francescano che lo accusava di aver stipulato un patto con il demonio e arrestato a Villeneuve-lèsAvignon, località posta dall’altra parte del Rodano rispetto ad Avignone, intorno al 1375. Grassi si salvò confessando il suo crimine. Poiché giudicato in quanto eretico, la piena confessione gli dava diritto ad aver salva la vita. Tuttavia, dieci anni piú tardi fu arrestato di nuovo a Milano, con accuse simili, dall’inquisitore che operava in San­t’Eustorgio. Incarcerato come relapsus, cioè come un eretico che incorre per la seconda volta nello stesso crimine, venne di conse72

ii · sette ereticali, sette stregoniche guenza condannato alla pena capitale e consegnato al podestà cittadino che lo fece bruciare.52 Oppure quello d’un abitante del castello di Rigomagno (o Rugomagno o Riomagno) in Valdichiana, testimoniato verso il 1383 dal canonista e inquisitore senese Francesco Petrucci, che si era fatto prestare e aveva trascritto un libro « pessimo de malíe e d’engromatie » contenente formulari per l’evocazione di demoni.53 Pressoché speculare il caso d’un anno dopo a Firenze, dove Niccolò di Consiglio, reo di pratiche medico-magiche ed evocatorie, fu consegnato dall’inquisitore al braccio secolare per esser bruciato sul rogo; vent’anni dopo, nel 1404, un altro praticante di magia e detentore di libri d’evocazioni se la cavò con un giro infamante per la città, la mitra ereticale sulla testa. Sino al Quattrocento inoltrato, tuttavia, i processi per maleficia non assumono ancora caratteri propriamente stregonici; con eccezioni importanti come quelli dell’arco alpino. Contemporaneamente, però, in Italia l’accusa di stregoneria si andava arricchendo di altri dettagli, in parte simili ma non identici a quelli di cui si è detto sinora. Ne parleremo nel prossimo capitolo.

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III I L RITORNO DI CAN I DIA

1. La Signora dell’Abbondanza Romeo. Ho fatto un sogno questa notte! Mercuzio. Anch’io. Romeo. Ebbene, che hai sognato? Mercuzio. Che i sognatori spesso mentono… Romeo. Quando dormono e sognano cose vere. Mercuzio. Ecco: la regina Mab è certo venuta da te. Mab, levatrice delle fate, appare non piú grande d’un’agata che splende sull’indice a un priore. In volo, la tira una muta d’invisibili farfalle sul naso di chi dorme. Le ruote del cocchio girano con raggi di lunghe zampe di ragno. Sono le redini di lieve ragnatela, il mantice d’ali di cavallette, i finimenti d’umidi raggi di luna; un osso di grillo serve per la frusta, la sferza è una membrana, cocchiere un moscerino in livrea grigia grande meno della metà del verme che gonfia il dito alle fanciulle pigre. Il suo cocchio è un guscio di nocciola: uno scoiattolo che lavora il legno o un vecchio lombrico, da tempo assai lontano, fanno i piccoli carri delle fate. E cosí Mab galoppa, notte dopo notte, dentro i cervelli degli amanti, ed essi sognano d’amore, o sulle ginocchia dei cortigiani che allora sognano inchini e cerimonie o sulle dita dei legali che allora sognano compensi, o su labbra di donne che allora sognano baci: labbra che spesso Mab copre di bollicine perché fiatano aria di guaste confetture. Talvolta galoppa sul naso a un cortigiano

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iii · il ritorno di canidia che allora sogna l’odore d’una buona carica, o s’avvicina al naso d’un prelato che dorme, e lo sfiora piano con la coda d’un porcellino della decima, ed ecco il sogno d’un nuovo beneficio. Altre volte passa sul collo d’un soldato, che allora sogna gole nemiche tagliate, brecce, imboscate, lame spagnole, bridisi con tazze profonde cinque braccia; poi risuona di colpo un tamburo al suo orecchio: il soldato si scuote impaurito e si sveglia, bestemmia una preghiera e s’addormenta ancora. Questa è Mab, la stessa che di notte arruffa le criniere dei cavalli e impasta, nei luridi e grassi crini, nodi d’elfi, che a scioglierli portano sventura; Mab è la strega che se trova supine le ragazze le costringe all’abbraccio, ed è cosí che insegna a “portare” per la prima volta; e le fa donne di buon “portamento”. Questa è colei… Romeo. Basta, basta, Mercuzio! Taci! Tu parli di nulla. Mercuzio. Parlo, infatti, dei sogni, figli della mente in ozio, che nascono da una vana fantasia la quale ha natura leggera come l’aria e piú incostante del vento, che ora è in amore sul grembo gelido del Nord, e poi sdegnato se ne va sbuffando con la faccia al Sud, fresco di rugiada.1

William Shakespeare, da geniale manipolatore delle tradizioni folkloriche qual era, nella Queen Mab del Romeo e Giulietta ripropone la figura di Dame Habonde, la domina Abundantia che aveva popolato sogni, paure, credenze dei secoli centrali del Medioevo. Contemporanea­ mente al diffondersi del nonconformismo religioso nella società, infatti, i testi dell’epoca mostrano anche un crescente interesse verso la registrazione di tradizioni che sembrano derivare dal paganesimo, ormai sconfitto nella sua organicità, ma non senza lasciare tracce anche profonde nell’immaginario e nel costume delle popolazioni europee. 75

caccia alle streghe Nel XII secolo, il Canon episcopi riportato da Reginone di Prüm e da Burcardo di Worms veniva incluso nel Decretum di Graziano con una sola modifica: accanto a Diana compare Erodiade, l’avversaria di Giovanni Battista, che entrerà cosí nell’immaginario legato alla stregoneria. Le donne credono infatti di volare « nelle ore notturne con Diana dea dei pagani, oppure con Erodiade »; forse però il nome deriva da una contrazione tra Hera e Diana, Herodiana, poi assimilata a Erodiade. D’altra parte lo stesso Burcardo, riferendo intorno alle medesime credenze, in un altro passo aveva sostituito Diana con una divinità germanica, Holda-Perchta, legata al ciclo rituale morte-rinascita, i cui nomi pure faranno capolino in molti processi per stregoneria di quell’area e di secoli piú tardi. Jacob Grimm ha raccolto diverse tradizioni in proposito: sostanzialmente, in alcuni momenti dell’anno (in particolare nella dodicesima notte, ossia quella dell’Epifania) si credeva che queste divinità, in compagnia di un seguito, visitassero le case propiziando l’abbondanza in cambio di doni.2 All’incirca negli stessi anni anche Giovanni di Salisbury denunzia nel Polycraticus coloro che credono nel corteo di donne al seguito di una “nocticula o di Erodiade”;3 nocticula va in realtà corretto in noctiluca, ossia lux in nocte, quindi la luna, vale a dire Diana. Anche se resta la domanda: è solo l’errore di un copista, oppure Giovanni di Salisbury inverte la sillaba perché pensa a una “creatura della notte”? In ogni caso, spiega Giovanni, queste donne asseriscono di celebrare convivi notturni e di darsi a varie attività. Per comprendere tali credenze ci è d’aiuto la letteratura del XIII secolo; per esempio Guglielmo d’Alvernia, che nel De universo parla di una domina nocturna detta “Abbondanza”, che di notte visita le case; per lei vengono lasciati cibi e bevande – commettendo idolatria, aggiunge Guglielmo, perché tali offerte vanno in realtà agli “spiriti maligni”.4 È il domenicano Stefano di Bourbon a mostrare la coincidenza tra la tradizione del Canon episcopi e quella della Signora dell’Abbondanza: egli scrive infatti di mulieres al seguito di Diana, aggiungendo « che sono dette buone cose ». Il domenicano racconta che nella parrocchia di Besançon si narrava la storia di certe donne che penetravano nelle case e cantavano « Prendi uno, restituisci cento »; un parrocchiano avrebbe dunque ingiunto alla moglie di chiudere gli 76

iii · il ritorno di canidia occhi, in quanto « sono le buone cose, e centuplicheranno i nostri beni ».5 All’incirca negli stessi anni anche Vincenzo di Beauvais, proprio richiamando il Canon episcopi, ne collega il testo alla credenza nelle « buone cose » e agli errori che pertengono ai sogni: « All’inganno che si ha nei sogni appartiene l’errore di quelle donne che dicono di andare in ore notturne con Diana, Erodiade e altre persone che chiamano “buone cose” ».6 La Signora dell’Abbondanza compare anche nel Roman de la Rose, testo tardo-duecentesco, dove il parallelo con la Queen Mab shakespeariana è particolarmente evidente, perché il credere nel suo errare notturno è sinonimo di perdita dell’intelligenza e di cedimento all’irrazionalità dei sogni: Ne credon molti, ed è follia, d’essere a notte streghe (estries) in via erranti insieme a Dame Abonde, e dicono che in tutto il mondo chiunque terzo nato è è in questa condizione che tre volte a settimana va come il destino andar lo fa; ed entrano nelle dimore, né di chiavi e sbarre han timore, ma se n’entrano per fessure, per gattaiole e fenditure; ed escon dai corpi le anime, e vanno con le buone dame per luoghi aperti e abitazioni, e ne danno queste ragioni: che le varie cose vedute non gli sono al letto venute, ma son le loro anime che hanno pena e che per il mondo vanno. E mentre sono in tale errare, come credere voglion fare, se il corpo gli rivolteranno le anime entrarci non sapranno. Ma questa è follia troppo orribile, ed è cosa che non è possibile,

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caccia alle streghe ché il corpo umano è cosa morta se l’anima dentro non porta; dunque è cosa certa e non vana che chi tre volte a settimana questo tipo d’errare fa muore tre volte e tre vite ha in una settimana; e se è cosí come detto è, dunque ha spesso risurrezione chi è di questa congregazione.7

Benché il poeta giudichi folie orible ciò che racconta, le sue informazioni sono utili: le buone donne sono creature sovrannaturali, guidate da Dame Habonde; si crede che i terzogeniti, tre volte ogni settimana, siano chiamati a seguirle, abbandonando i propri corpi e in tal guisa entrando a piacimento anche all’interno di edifici serrati. Queste dominae nocturnae e la loro Signora dell’Abbondanza richiamano le fate del mondo celtico che propiziano la ricchezza,8 ma si legano anche al tema – a lungo conservato in numerose aree d’Europa – del “cibo dei morti”: le anime dei defunti (perché di questo si tratta) visitano le case in determinati giorni dell’anno e per proteggersi è necessario lasciar loro cibo, acqua, latte.9 Il tema è bene attestato sino a tempi moderni; non è un caso infatti che in molte tradizioni europee quelli che oggi sono i doni natalizi fossero portati, nel periodo dedicato ai morti, direttamente da costoro. Cosí avveniva ancora nel Novecento inoltrato in Sicilia, dove dolcetti, sovente in forma di ossa, venivano regalati ai bambini il 2 novembre; in certe zone d’Italia questi biscotti esistono ancora, ma il loro nome originario non è piú compreso o si è voluto censurarlo, e anziché “ossa dei morti” vengono chiamati “ossa da mordere”. È la stessa tradizione che ricompare, in forma commercializzata e tramite la cultura statunitense, nella festa di Halloween, originata dalla ricorrenza celtica di Samhain, nella quale la celebrazione per il nuovo anno, il primo novembre, si univa a quella per i morti e per la rinascita. Già i romani nel I secolo d.C. avevano unito la festa dei celti, a quel punto sottomessi dall’impero, con quelle romane dei Feralia, che commemoravano i morti, e di Pomona, divinità legata alla fertilità. C’è da chiedersi se la 78

iii · il ritorno di canidia somiglianza di tradizioni che si ritrova tra le aree mediterranee d’Europa e quelle celto-germaniche appartenga a un sostrato arcaico comune, o se invece non sia stata proprio l’acculturazione romana a uniformarle (un’ipotesi peraltro non esclude l’altra). Anche nel corso del Trecento diverse fonti segnalano che le due tradizioni, quella del Canon episcopi e quella della Signora dell’Abbondanza, sono in realtà la stessa cosa, o almeno tali sono divenute nel corso dell’elaborazione letteraria e canonistica dei secoli precedenti. Ma a questo punto appare evidente anche la loro assimilazione alla stregoneria. Per esempio, il predicatore domenicano Jacopo Passavanti torna sul tema denunziando che: Ben si truovano alcune persone, e spezialmente femmine, che dicono di sé medesime ch’elle vanno di notte in brigata con questa cotale tregenda, e compitano per nome molti e molte di loro compagnia; e dicono che le donne della torma che guidano l’altre, son Erodía che fece uccidere san Giovanni Batista, e la Diana antica dea de’ Greci.10

In un altro passo, richiamando ancora la « tregenda », compare un fugace riferimento a « chi va di notte in tregenda colle streghe »;11 si tratta evidentemente della medesima tradizione, e dunque le donne della “brigata”, o forse le loro “guide”, possono essere identificate come “streghe”. Un altro predicatore, Domenico Cavalca, all’incirca negli stessi anni, narra un exemplum che vede quale protagonista Germano d’Auxerre: il sant’uomo è ospitato in una locanda dove di sera si apparecchiano le mense per le streghe e i fantasmi che appaiono sotto le sembianze dei vicini. Il santo scopre e rivela l’inganno che sta dietro a queste che, nella sua ottica, altro non sono se non apparizioni diaboliche.12 In questo caso la parola “streghe” sembra essere utilizzata per indicare spiriti di defunti; in un altro suo scritto, questa volta un trattato sui peccati, il Cavalca condanna « chi getta sorti, o crede che sieno streghe » (ossia chi crede nell’esistenza delle streghe), e continua: « che come si trova per molte leggende, le demonia si trasformano le notti in varie spezie d’uomini, o di bestie per seminare questi errori, e mettere guerra ». Tuttavia, per il predicatore v’è ben di peggio rispetto a queste che rimangono essenzialmente vane credenze, sebbe79

caccia alle streghe ne costituiscano peccato mortale: perché « sopra a tutti, e principalmente, dispiacciono a Dio li malifici, cioè quelli li quali per arte, o per opera del diavolo, come Dio per occulto giudicio permette, mutano le menti, facendo o impazzare, o innamorare altrui, e commuovono gli elementi e le creature, sicché pare che facciano miracoli ».13 La sfera del maleficio, insomma, è ancora considerata cosa differente e ben piú grave. 2. La “tregenda”, il “corso”, il “gioco” Quel che nel Passavanti è la « tregenda », nel Decameron diviene « l’andare in corso ». Nella nona novella dell’ottava giornata si consuma la burla: « Maestro Simone medico, da Bruno e da Buffalmacco, per esser fatto d’una brigata che va in corso, fatto andar di notte in alcun luogo, è da Buffalmacco gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi ».14 All’insegna dell’inversione comica, la brigata che va in corso è composta di uomini, non di donne, e invece di portare ricchezze, arraffa tutto ciò che trova, beni materiali e soprattutto belle donne: Maestro, io nol direi a molte persone come noi facciamo, ma di dirlo a voi, perché siete amico e so che ad altrui nol direte, non mi guarderò. Egli è il vero che il mio compagno e io viviamo cosí lietamente e cosí bene come vi pare e piú; né di nostra arte né d’altro frutto, che noi d’alcune possessioni traiamo, avremmo da poter pagar pur l’acqua che noi logoriamo; né voglio per ciò che voi crediate che noi andiamo a imbolare, ma noi andiamo in corso, e di questo ogni cosa che a noi è di diletto o di bisogno, senza alcun danno d’altrui, tutto traiamo, e da questo viene il nostro viver lieto che voi vedete. Il medico udendo questo e, senza saper che si fosse, credendolo, si maravigliò molto; e subitamente entrò in disidero caldissimo di sapere che cosa fosse l’andare in corso; e con grande instanzia il pregò che gliel dicesse, affermandogli che per certo mai a niuna persona il direbbe […]. Dovete adunque, – disse Bruno – maestro mio dolciato, sapere che egli non è ancora guari che in questa città fu un gran maestro in nigromantia, il quale ebbe nome Michele Scotto, per ciò che di Scozia era, e da molti gentili uomini, de’ quali pochi oggi son vivi, ricevette grandissimo onore; e volendosi di qui partire, ad istanzia de’ prieghi loro ci lasciò due suoi sofficienti discepoli, a’ quali impose che ad ogni piacere di questi cotali gentili uomini, che onorato l’aveano, fossero sempre presti. Costoro adunque servivano i predetti gentili

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iii · il ritorno di canidia uomini di certi loro innamoramenti e d’altre cosette liberamente; poi, piacendo lor la città e i costumi degli uomini, ci si disposero a voler sempre stare, e preserci di grandi e di strette amistà con alcuni, senza guardare chi essi fossero, piú gentili che non gentili, o piú ricchi che poveri, solamente che uomini fossero conformi a’ lor costumi. E per compiacere a questi cosí fatti loro amici ordinarono una brigata forse di venticinque uomini, li quali due volte almeno il mese insieme si dovessero ritrovare in alcun luogo da loro ordinato; e quivi essendo, ciascuno a costoro il suo disidero dice, ed essi prestamente per quella notte il forniscono. Co’ quali due avendo Buffalmacco e io singulare amistà e dimestichezza, da loro in cotal brigata fummo messi, e siamo. E dicovi cosí che, qualora egli avvien che noi insieme ci raccogliamo, è maravigliosa cosa a vedere i capoletti intorno alla sala dove mangiamo, e le tavole messe alla reale, e la quantità de’ nobili e belli servidori, cosí femine come maschi, al piacer di ciascuno che è di tal compagnia, e i bacini, gli urciuoli, i fiaschi e le coppe e l’altro vasellamento d’oro e d’argento, ne’ quali noi mangiamo e beiamo; e oltre a questo le molte e varie vivande, secondo che ciascun disidera, che recate ci sono davanti ciascheduna a suo tempo. […] Ma sopra tutti gli altri piaceri che vi sono, si è quello delle belle donne, le quali subitamente, purché l’uom voglia, di tutto il mondo vi son recate. Voi vedreste quivi la donna dei Barbanicchi, la reina de’ Baschi, la moglie del soldano, la imperadrice d’Osbech, la ciancianfera di Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedra di Narsia. Che vi vo io annoverando? E’vi sono tutte le reine del mondo, io dico infino alla schinchimurra del Presto Giovanni, che ha per me’ ’l culo le corna: or vedete oggimai voi! Dove, poi che hanno bevuto e confettato, fatta una danza o due, ciascuna con colui a cui stanzia v’è fatta venire se ne va nella sua camera. E sappiate che quelle camere paiono un paradiso a veder, tanto son belle; e sono non meno odorifere che sieno i bossoli delle spezie della bottega vostra, quando voi fate pestare il comino, e havvi letti che vi parrebber piú belli che quello del doge di Vinegia, e in quegli a riposar se ne vanno. Or che menar di calcole e di tirar le casse a sé per fare il panno serrato faccian le tessitrici, lascerò io pensare pure a voi! Ma tra gli altri che meglio stanno, secondo il parer mio, siam Buffalmacco e io, per ciò che Buffalmacco le piú delle volte vi fa venir per sé la reina di Francia, e io per me quella d’Inghilterra, le quali son due pur le piú belle donne del mondo; e sí abbiamo saputo fare che elle non hanno altro occhio in capo che noi. Per che da voi medesimo pensar potete se noi possiamo e dobbiamo vivere e andare piú che gli altri uomini lieti, pensando che noi abbiamo l’amor di due cosí fatte reine; senza che, quando noi vogliamo un mille o un dumilia fiorini da loro, noi non gli abbiamo prestamente. E questa cosa chiamiam noi vulgarmente l’andare in corso; per ciò che sí come i corsari tolgono

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caccia alle streghe la roba d’ogn’uomo, e cosí facciam noi; se non che di tanto siam differenti da loro, che eglino mai non la rendono, e noi la rendiamo come adoperata l’abbiamo.15

Dal punto di vista linguistico, Boccaccio gioca qui con l’ambiguità dell’espressione « andare in corso ». Nella sua accezione piú comune essa si riferisce all’attività dei corsari, come parrebbe dire la conclusione del brano, anche se l’espressione usata da Boccaccio è attestata ugualmente – sebbene piú di rado – per il volo stregonico;16 ma allo stesso tempo Bruno e Buffalmacco esplicitano che loro non vanno a rubare (« imbolare »), ma prendono ciò che piú gli aggrada senza danno. Il sottofondo magico della novella è sottolineato dal collegamento con la tradizione letteraria che faceva di Michele Scoto un “negromante” in grado di dispensare beni con l’ausilio delle sue arti: un tema sul quale torneremo nel prossimo paragrafo. Inoltre, nel prosieguo della novella, la beffa di Bruno e Buffalmacco allude con maggior chiarezza al tema del convivio con il demonio: E acciò che voi siate d’ogni cosa informato, egli verrà per voi una bestia nera e cornuta, non molto grande, e andrà faccendo per la piazza dinanzi da voi un gran sufolare e un gran saltare per ispaventarvi; ma poi, quando vedrà che voi non vi spaventiate, ella vi s’accosterà pianamente; quando accostata vi si sarà, e voi allora senza alcuna paura scendete giú dello avello, e, senza ricordare o Iddio o’santi, vi salite suso, e come suso vi siete acconcio, cosí, a modo che se steste cortese, vi recate le mani al petto, senza piú toccar la bestia. […] Buffalmacco, il quale era grande e atante della persona, ordinò d’avere una di queste maschere che usare si soleano a certi giuochi li quali oggi non si fanno, e messosi in dosso un pilliccion nero a rovescio, in quello s’acconciò in guisa che pareva pure uno orso; se non che la maschera aveva viso di diavolo ed era cornuta.17

Boccaccio poteva certo permettersi di scherzare sul tema dell’andare in corso, sebbene esso stesse ormai assumendo caratteri sempre piú inquietanti. Anzi, un dato che colpisce è la sorte differente di un altro motivo di origine precristiana che pure somiglia per molti versi al nostro: la “caccia feroce” e la masnada di Hellequin. A partire dall’XI secolo, diversi testi ne parlano: ricordiamo almeno Rodolfo il Glabro,18 il Chronicon Saxonicum,19 il Chronicon Uraugiensis di Ekkeardo 82

iii · il ritorno di canidia d’Aura,20 Orderico Vitale,21 Walter Map.22 Si tratta di eserciti composti da defunti, lascito di antiche tradizioni germaniche; come testimonia la lingua norvegese, che chiama tale esercito Asgardsreien, cioè ‘l’armata di Asgard’, uno dei nove mondi delle saghe norrene, nel quale risiedono gli dei e che contiene il Valhalla; secondo l’Edda di Snorri, i guerrieri di valore, scelti dalle Valkyrie al momento della morte, passano il tempo combattendo fra loro, in attesa del Ragnarök, la battaglia finale nella quale fiancheggeranno Odino. Tuttavia, mentre gli autori ecclesiastici piegano un motivo tanto inquietante qual è quello dell’esercito dei morti a fini esemplari e moralizzatori, il corteo di « donne scellerate » al seguito di una divinità notturna, le « cose buone » della Signora dell’Abbondanza, vengono valutate differentemente, tacciate prima di irrealtà e di superstizione, poi gradualmente accusate di far parte di un’illusione diabolica e piú tardi di una realtà, neppure piú di un’illusione, ordita dal demonio. È infatti opinione comune che la tradizione del Canon episcopi e della Signora dell’Abbondanza costituirebbe l’origine dell’idea del volo magico al sabba. Ed è in effetti probabile che questo sostrato antico sia confluito nella creazione dell’idea stessa di stregoneria; ma alcuni distinguo sono opportuni, perché non tutti i trattatisti dei quali abbiamo parlato nel capitolo precedente sono concordi nel giudicare tali tradizioni. Bernard Gui si limita a includere nella sua lista delle pratiche proibite, da investigare perché collegate alla divinazione, ai sortilegi e all’invocazione di demoni, « quelle donne che chiamano bonas res e che, come si dice, vanno di notte ».23 Piú interessante quanto scrive a riguardo Nicolaus von Jauer, il quale denunzia coloro che chiudono i vasi contenenti cibo per timore che arrivino le Signore Habundie e Sazia e lo mangino: non sono che demoni, afferma il teo­ logo, e dunque né mangiano né bevono.24 Altri segnali giungono dai processi. Negli anni Ottanta del Trecento, a Milano, gli inquisitori domenicani sottoposero a giudizio due donne, Pierina de Bugatis e Sibillia Zanni, per azioni connesse a pratiche magiche. Le due vennero condannate a pene leggere, ma arrestate nuovamente nel 1390 e, con le stesse accuse, poco piú tardi. Nel corso di nuovi interrogatori, confessarono di aver partecipato a un gioco, un ludus, durante il quale avevano prestato omaggio a una Si83

caccia alle streghe gnora del gioco, una domina ludi, chiamata Madona Oriente oppure Diana o Erodiade. Pierina nomina anche uno spirito, Lucifello, e sull’intero scenario pesa ormai l’idea di un connubio con il demonio. Emergono anche elementi di natura precristiana assai interessanti, come l’idea che le ossa degli animali racchiuse e non spezzate nella pelliccia possano venire resuscitate attraverso un cerimoniale: una credenza bene attestata nelle culture sciamaniche asiatiche. In quanto relapsae, le due furono condannate a morte e consegnate al podestà.25 Insomma in questa fase l’interpretazione di tale tradizione non è ancora univoca, anche se la tendenza alla demonizzazione è evidente. Diana, Abbondanza e le altre sono considerate demoni: il livello di pericolosità attribuito al connubio tra queste figure e le donne (talvolta gli uomini) che fanno parte del loro seguito dipende ampiamente dal progredire delle idee demonologiche, come si è argomentato nel capitolo precedente. Anche nel processo milanese, la condanna riguarda comunque i malefici commessi piú che il ludus e l’andare in corso. Tuttavia si stanno già radunando gli elementi essenziali per creare il contesto e la narrazione, i materiali per costruire l’immagine della stregoneria. Sono stati chiamati in causa quali prefigurazioni del sabba anche i racconti delle danze e dei banchetti di figure fatate (cui si ricollegano i miti del Venusberg e dei Monti sibillini) che tanto hanno acceso la fantasia dei folkloristi dell’Otto-Novecento quali possibili sopravvivenze di culti agrari. Uno dei piú interessanti ci viene dalle Storie me­ morabili di Rudolf von Schlettstadt, un testo dei primi anni del Trecento: alcuni monaci inviano un servo fuori dal monastero per una commissione, ma questi è colto dal maltempo e si deve fermare presso un piccolo villaggio. Qui una donna si prende cura di lui. Ma attorno a mezzanotte la sua ospite si alzò e, prendendo un unguento da un barattolo, sotto gli occhi del servo, unse un piccolo vaso e vi si sedette sopra […]. Dopo un po’, pronunciata una certa formula magica, il vaso si sollevò e, librandosi lievemente nell’aria, la condusse via. Alla vista di ciò il servo rimase stupito […] andò velocemente al barattolo e, cosí come aveva fatto la donna […] si sedette sopra la sella dell’asino e […] quando l’ebbe raggiunta, questa paciosamente lo salutò dicendogli tra l’altro « non mangiare né bere assolutamente nulla e non dire alcunché: ciò infatti potrebbe volger-

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iii · il ritorno di canidia si a tuo danno ». Egli infatti aveva trovato la sua ospite in un bel prato in compagnia di cavalieri e dame, giovani e fanciulle che, con cembali e danze, banchettavano in grande abbondanza.26

È il racconto del viaggio di un mortale in un regno fatato – di qui i divieti imposti dalla sua accompagnatrice –, con il particolare importante dell’unguento, che pure diventerà un motivo tipico del sabba. In alcuni episodi dalle danze si passa a orge rituali che ricordano da vicino il racconto della Vox in Rama.27 È il caso dell’exemplum narrato da Stefano di Bourbon, e a quanto ci dice appreso direttamente in Alvernia: una donna è condotta in un sotterraneo buio dove uomini e donne si riuniscono al lume di candele attorno a un bacile d’acqua. Dopo aver giurato fedeltà al demonio, compare un gatto che con la coda schizza l’acqua e spegne le luci, dando inizio all’orgia.28 Si tratta di un contesto fantastico oppure ereticale? Se nel caso presentato dal domenicano non è del tutto chiaro, lo diventerà piú tardi, quando Bernardino da Siena durante il ciclo di prediche svolto a Siena nel 1427, racconterà una storia analoga riferendola con certezza a eretici piemontesi: La sera di notte si ragunano tutti uomini e donne in uno luogo, e fanno uno brudetto di loro, e hanno uno lume, e quando lo’ pare tempo di spegnarlo, lo spengono, e poi a chi s’abatte s’abatta, sia chi vuole. […] Chiamansi quelli del barilotto. E questo nome si ha perché eglino pigliaranno uno tempo dell’anno uno fanciullino, e tanto il gittaranno fra loro de mano in mano, che elli si muore. Poi che ha morto, ne fanno polvere, e mettono la polvare in uno barilotto, e danno poi bere di questo barilotto a ognuno.29

3. Magia, astrologia e reazione antimagica I pontefici e i legislatori che nel corso del basso Medioevo equiparano magia ed eresia avevano almeno in parte la convinzione di trovarsi al cospetto di un fenomeno nuovo, dinanzi al quale si rendeva necessario anche un rinnovamento delle misure da adottare. Il diffondersi di una nuova scienza magica, non sempre legata al maleficio, potrebbe esser stato un elemento importante, che per noi va a completare il quadro della situazione: inquisitori e legislatori, insomma, 85

caccia alle streghe non si sarebbero soltanto occupati delle vecchie pratiche precristiane sopravvissute alla diffusione della nuova fede, quanto piuttosto della congiunzione tra queste e un nuovo universo magico che si affacciava alle porte d’Europa. A partire dai secoli XI e XII, e poi con maggior forza nel corso del Duecento, il risorgere dei traffici mediterranei, la reconquista della Penisola iberica e le crociate, l’organizzazione di scuole cattedrali e soprattutto di Università, contribuirono in modo diverso ma sempre incisivo alla reintroduzione in Occidente di branche della cultura scientifico-filosofica di matrice classica o tardoantica, veicolata dalla riscoperta di molti testi greco-latini, passati magari attraverso elaborazioni e traduzioni arabe ed ebraiche.30 Verso la fine del XII secolo, per esempio, Gherardo da Cremona aveva tradotto dall’arabo una settantina di opere, fra cui numerose di argomento astrologico. Sempre nel corso del XII secolo, in certi ambienti l’interesse per la filosofia – soprattutto neo-platonica – si accompagnava all’indagine nel campo delle discipline “magiche”, intese come piú profondi metodi di ricerca delle cause occulte che producono i fenomeni naturali. Fu nell’ambito della scuola di Chartres che si elaborò la dottrina dell’uomo come “microcosmo”, secondo la quale la Provvidenza ordina i quattro elementi di cui è composta la materia (aria, acqua, terra, fuoco) per portare ordine e armonia nel cosmo; al termine di questa creazione, l’uomo è plasmato con ciò che resta dei quattro elementi e diviene dunque sintesi (microcosmo, appunto) del cosmo intero, con il quale si crea un’affinità che consente una serie infinita di rispondenze tra uomo e natura. Su questo assunto si fondava anche l’apprezzamento dei filosofi di Chartres e dei loro molti discepoli – diretti e indiretti, che in futuro ne raccoglieranno l’eredità – per la magia naturale, intesa come scienza sperimentale.31 Le rispondenze tra uomo e natura consentirebbero infatti al primo di intervenire sulla seconda, per conoscerla e per manipolarla; e la natura stessa, lungi dall’essere materia inanimata, è tutta percorsa da un comune principio vitale.32 L’eredità della scuola di Chartres in materia di magia naturale trovò in seguito numerosi cultori: nel XII secolo si deve ricordare soprattutto Giovanni di Salisbury; nel successivo, almeno Vincenzo di Beauvais, Alberto Magno, Ruggero Bacone. Nei loro scritti, accanto 86

iii · il ritorno di canidia all’apprezzamento per la magia naturale, compariva per la prima volta una chiara distinzione fra questa e la magia di tipo cerimoniale, inficiata dalla minaccia demoniaca e dunque ovviamente illecita. Giovanni di Salisbury, per esempio, nelle pagine del Policraticus condannava la divinazione, in quanto essa si avvaleva dell’intermediazione dei demoni. Quale esemplificazione egli racconta un episodio vissuto come protagonista da bambino: un sacerdote dedito alla divinazione voleva compiere le sue pratiche servendosi di due giovanetti, appunto Giovanni e un ragazzetto appena piú grande; spalmava loro un unguento sulle unghie per vedervi materializzare segni, nomi e immagini demoniache. La distinzione fra magia naturale – lecita – e magia cerimoniale – illecita perché demoniaca – non era però sempre facile. Ruggero Bacone dedicò un trattato – intitolato Segreti dell’arte della natura e confuta­ zione della magia – alla distinzione tra i due ambiti e alla condanna della magia cerimoniale, considerata essenzialmente come una truffa; al contrario, egli valutava in modo positivo le figure di guaritori e guaritrici tradizionali, esperti di una medicina naturale che si basava su antiche conoscenze empiriche.33 Tuttavia, il confine risultava in realtà davvero assai labile; e la facilità con cui lo si accettava nel Duecento, almeno per ciò che riguarda i nostri autori, dipendeva in larga parte dalla scarsa conoscenza della cultura “popolare”, in cui invece la manipolazione degli elementi naturali era raramente disgiunta da pratiche rituali. Ed è di questo che si sarebbero resi conto, tra Trecento e Quattrocento, predicatori e inquisitori forse meno dotti e interessati alle scienze, ma certo piú critici verso il mondo tradizionale proprio perché a esso piú vicini. Al contrario, gli enciclopedisti duecenteschi come Vincenzo di Beauvais e Alberto Magno, partecipavano in pieno alla grande scoperta delle corrispondenze tra uomo e natura; con questa giustificavano e facevano proprie, ad esempio, le credenze del mondo tradizionale circa i poteri delle “pietre” (quali il corallo, la malachite, il diamante, l’ambra), sorretti in questa loro convinzione da testi antichi – su tutti la Storia naturale di Plinio – o dagli enciclopedisti altomedievali che ne avevano epitomizzato le conoscenze. Fra l’altro, entrambi questi autori – seppur con qualche scetticismo il secondo –, al pari di 87

caccia alle streghe Bacone, sulla scorta di un testo schiettamente magico qual era la Ta­ bula smaragdina, prendevano in seria considerazione le credenze alchemiche circa la possibilità di trasmutare i metalli e di ottenere artificialmente l’oro, partendo dalla Materia Prima che non è dotata di alcun attributo e aggiungendo a essa i caratteri del piú pregiato fra i metalli. Anche a Bologna e a Padova, tradizionali sedi dello studio del diritto, si svilupparono interessi per l’aristotelismo e la nuova cultura scientifica; nella seconda metà del XIII secolo a Bologna insegnò l’autore del Liber astronomicus, Guido Bonatti, originario di Forlí, che – profondamente influenzato dalla letteratura araba – individuava nell’astrologia la chiave di ogni sapere; nella stessa città, alcuni decenni piú tardi, fu professore Cecco d’Ascoli, anch’egli astrologo, che salí sul rogo nel 1327 con l’accusa di eresia: una delle imputazioni piú gravi che gli venivano addossate dal tribunale dell’Inquisizione riguardava l’aver sostenuto che Cristo era nato, come chiunque, provvisto di un tema astrologico e che tutta la sua vita era già segnata nel suo oroscopo, che Cecco aveva anche calcolato. A Padova operò invece il medico e astrologo Pietro d’Abano (1257-1315), che per le sue teorie assai ardite – anch’esse di origine arabo-ebraica – in materia di previsioni astrologiche evitò la pena capitale, ma non il carcere in cui concluse la sua esistenza. Sempre nel XIII secolo, Michele Scoto fu il personaggio di maggior rilievo scientifico alla corte di Federico II. La sua figura è ancora in parte misteriosa: sappiamo tuttavia che prima di arrivare a Palermo aveva soggiornato a Toledo e a Bologna, dove si era già distinto per la sua opera di traduttore e per gli studi in campo astrologico. Su di lui fiorirono storie di magia, in cui egli era spesso associato al suo imperatore. Si disse, ad esempio, che una volta a Bologna Michele aveva invitato a un banchetto molti gentiluomini senza apparecchiare alcuna vivanda, e all’improvviso spiriti da lui evocati avevano servito pietanze prese dalla mensa dei principali re d’Europa. In altre storie Michele è trasformato in un mago tempestario. Quale fosse il reale rapporto dello Scoto con le pratiche magiche non è del tutto chiaro; è certo, però, che la damnatio memoriae ne ha accentuato i caratteri di “mago nero”, contraddetti almeno indirettamente dalla fitta serie di 88

iii · il ritorno di canidia legami che lo Scoto intrattenne con la Curia papale, presso la quale risiedette nel 1215; Onorio III e Gregorio IX si erano anche interessati a fargli ottenere benefici ecclesiastici. Non si trattava d’altro canto di pure e semplici invenzioni prive di fondamento. Difatti, nel Liber introductorius si dimostrò profondo conoscitore di pratiche di magia cerimoniale alle quali, ancorché ammettendone il contrasto con la dottrina cattolica e il segno demoniaco, credeva fermamente, pur lasciandoci nel dubbio se egli le praticasse in prima persona o invece se ne astenesse. Oltre alle sedi universitarie, le nuove scienze, e fra queste anche quelle a carattere magico-astrologico, vennero coltivate grazie all’aiuto di sovrani illuminati; oltre alla corte federiciana, va rammentata quella di Alfonso X detto il Savio, re di Castiglia e di Leon. La Spagna della reconquista era un crocevia di culture, cristiana, ebraica e araba, e dunque terreno fertile per le traduzioni e l’acquisizione di nuove conoscenze; tra Duecento e Trecento operavano grandi personalità quali Raimondo Lullo (1235-1315) e Arnaldo da Villanova (1238-1311 ca.), entrambi al pari di Ruggero Bacone animati da una profonda tensione mistica che sfociava nell’interesse per le discipline magicocabbalistiche e alchemiche. Prima dell’ascesa al trono, Alfonso era vissuto per molti anni in quella Toledo che era il crogiuolo di tutte le scienze e le arti ispaniche. Sotto il suo regno, tra 1252 e 1284, vennero tradotti e analizzati numerosi testi di tal genere; allo stesso sovrano si attribuisce la composizione di un lapidario e, soprattutto, per sua volontà fu tradotto in spagnolo e in latino un testo arabo di magia astrale, il Gāyat-al-hakīm tradotto in latino come Picatrix, destinato ad avere grande diffusione nell’Occidente tardomedievale. In esso non era solo espressa una concezione di tipo teorico-filosofico sull’organizzazione del cosmo, ma v’erano anche numerose indicazioni e formule di magia pratica operativa.34 Alcune fra queste nuove arti magiche dovevano apparire particolarmente pericolose e ripugnanti. Su tutte la necromanzia, ossia la divinazione attraverso l’evocazione dei morti, che nell’interpretazione corrente dei secoli medievali corrispondeva all’evocazione di demoni che si presentavano al necromante come spiriti di defunti. Tuttavia, allo stesso tempo, il significato originario della parola Nekro­ 89

caccia alle streghe manteia andò smarrito nel mondo latino medievale, dal momento che, come detto, nekros venne progressivamente tradotto come ni­ grum e la “negromanzia” assunse dei caratteri piú generici, che l’avvicinano al concetto contemporaneo di “magia nera”. Ma di quali strumenti si servivano i “necromanti” (o “negromanti”), di cosa era fatta la loro arte? Se è vero che le testimonianze in negativo sono forse prevalenti, è comunque possibile identificarne certi caratteri di fondo a partire da alcuni libri che venivano usati dagli stessi “maghi”. Fra questi, i piú celebri sono quelli che si riteneva tramandassero notizie sui presunti poteri magici del biblico re Salomone. Al leggendario sovrano si attribuiva infatti la stesura di numerosi testi magici, come il cosiddetto Testamentum Salomonis, che descrive i demoni principali e il modo per sottometterli al proprio volere; abbiamo notizia anche di un Liber Salomonis, bruciato nel 1350 su ordine di papa Innocenzo VI. Nel suo Speculum astronomiae Alberto Magno ne ricordava numerosi, la gran parte dei quali non è giunta sino a noi. La Clavicula Salomonis era forse il piú noto di tutti; la copia manoscritta piú antica, in greco, risalente al XII-XIII secolo, è oggi conservata presso il British Museum di Londra. Ne esistono tuttavia numerose varianti, molte delle quali pubblicate a stampa nei secoli successivi. L’origine sembra esser stata prevalentemente ebraica, con interpolazioni greco-egiziane, o piú in generale orientali, e solo remotamente cristiane. Le preghiere devote a Dio si accompagnano a una accentuazione della necessità, per l’officiante il rito, di requisiti di castità, digiuno e nitore; tuttavia la finalità appariva tutt’altro che devota, essendo sovente rivolta a procurarsi mezzi magici per seminare morte, discordia e distruzione. L’appello ai demoni perché conferiscano volontà e potere si accompagna in modo blasfemo ai richiami – attraverso preghiere e formule – ai profeti dell’Antico Testamento e allo stesso Dio, chiamati a maledire i demoni al fine di costringerli a obbedire alla volontà dell’evocatore.35 L’astrologia non presentava apparentemente le stesse minacciose incognite della magia necromantica. Tuttavia essa divenne, in modo crescente a partire dal Duecento, una fenomeno preoccupante. In seno alla Chiesa la tradizione antiastrologica aveva radici lontane. Ma contro di essa – e contro l’interesse che suscitava – si era espresso 90

iii · il ritorno di canidia chiaramente soprattutto Tommaso d’Aquino, sottolineandone l’incompatibilità con il libero arbitrio; le sue tesi erano state ampiamente accolte in una compagine importante della cultura tardomedievale, qual era la corrente umanistica che faceva capo a Coluccio Salutati. In particolare si denunciava la cosiddetta astrologia “catarchica”, propugnata fra Tre e Quattrocento da astrologi come Guido Bonatti e Pietro d’Abano, e che ribaltava il principio basilare di quella “genetliaca”, in cui l’uomo è soggetto agli influssi astrali; qui invece, grazie alla teo­ ria delle electiones (katarchài), l’astrologo era in grado di scegliere il momento piú favorevole per intraprendere un’azione, sottraendosi all’egemonia degli astri.36 Ma ciò che colpiva particolarmente non erano tanto le teorie o le applicazioni di singoli astrologi, quanto l’ampio consenso che queste tecniche andavano raccogliendo presso le élites di potere. L’uso della magia e dell’astrologia per scopi politici era diffuso in molti fra i comuni e le signorie medievali; sono stati pubblicati gli elenchi dei pagamenti che la città di Siena effettuava tra Due e Trecento a maghi e astrologi, alcuni dei quali incaricati di operare malefici contro le città rivali. Molte delle testimonianze a tal proposito, tuttavia, ci vengono ancora dagli ultimi secoli del Medioevo. È noto e significativo il carteggio intercorso nel 1474 tra Galeazzo Maria Sforza e i suoi ambasciatori, nel quale il duca di Milano commentava con ira e preoccupazione i pronostici a lui sfavorevoli elaborati dagli astrologi Girolamo Manfredi, Marsilio da Bologna e Pietro Bono Avogaro. D’altra parte, fra Tre e Quattrocento – e il XVI secolo non sarebbe stato differente – Università e corti erano aperte e interessate alla scienza astrologica, cosí come nei secoli precedenti avevano mostrato le già ricordate esperienze di Federico II e di Alfonso X in Castiglia. Gli atenei bolognese, pavese, parmense, padovano; i Medici a Firenze, i d’Este a Ferrara, i Gonzaga a Mantova, i Montefeltro a Urbino, i Visconti e i già citati Sforza a Milano, i sovrani aragonesi a Napoli e gli stessi pontefici provenienti dalle piú nobili famiglie italiane: tutti si avvalsero dell’opera di famosi astrologi. Nelle corti europee alcune forme divinatorie connesse soprattutto con l’astrologia avevano anche un ruolo pubblico e ufficiale: il “punto” stellare si rilevava costantemente quando si fondavano cinte murarie o edifici, prima d’intraprendere 91

caccia alle streghe un viaggio o di cominciare una battaglia; nel Trecento Carlo V di Francia volle a Parigi un collegio di astrologi per formulare oroscopi e tradurre in volgare i migliori testi sull’argomento; e nel secolo successivo Mattia Corvino d’Ungheria fece lo stesso alla sua corte di Buda. 4. Erbe e veleni Fra i molti casi in cui il confine tra lecito e illecito sembra difficile a tracciarsi vi è quello dell’utilizzo di elementi naturali come per esempio le erbe, che possono avere un effettivo potere curativo, ma possono pure essere impiegate all’interno di composti a scopo malefico. Un ambito al quale abbiamo già prestato attenzione nel primo capitolo a proposito delle leggi dei regni romano-barbarici. La tradizione, anche colta, dei secoli centrali del Medioevo non sembra porsi troppi problemi a riguardo. Prendiamo il caso, certo peculiare ma anche indicativo, della badessa renana Ildegarda di Bingen, la quale nei Physica e nel Cause et cure offre un sorprendente patrimonio di conoscenze sulla natura e la funzione di una quantità di elementi: le piante, in primo luogo, ma anche gli animali, le gemme, i metalli, dei quali si indaga appunto il rapporto con l’uomo, la funzione che possono avere nel fornire una gamma di terapie. Laurence Moulinier e Peter Dronke hanno condotto gli studi piú approfonditi su questi testi, giungendo alla conclusione che Ildegarda, in un impianto generale che riconduce alla teoria galenica, riecheggia una quantità di autori e raccolte del mondo classico e post-classico, ma che rimane sostanzialmente impossibile identificarne modelli precisi e diretti; e questo nonostante si sia riusciti a individuare alcuni testi dai quali Ildegarda potrebbe aver tratto idee specifiche. Gli stessi studi hanno mostrato i contatti fra Ildegarda e le nuove scienze provenienti dal mondo arabo. Essendo ancora in quest’epoca la medicina monastica la principale a disposizione non solo per il clero, ma anche per i laici, non stupisce che i nuovi trattati avessero una diffusione piuttosto rapida nella rete dei monasteri, inclusi quelli tedeschi.37 In testi di medicina anglosassoni quali il cosiddetto Leechbook di Bald e il Lacnunga, del X-XI secolo, le pratiche terapeutiche sono in92

iii · il ritorno di canidia trise di rituali pagani, e mescolano ampi riferimenti alla tradizione classica con conoscenze derivanti dal sostrato celto-germanico, pur inserendo preghiere e formule che sono invece cristiane.38 Come nota Richard Kieckhefer, in queste fonti la preparazione di un farmaco comporta l’osservanza di un tabú: la purezza dell’officiante è importante, cosí come il non raccogliere certe sostanze servendosi del ferro; oppure appaiono rilevanti considerazioni di magia simpatica, per cui ad esempio la capacità di guarire di un animale è legata alla sua forza; o, ancora, l’individuazione di periodi propizi per la scelta degli ingredienti:39 in questo caso è probabile che, sulla tradizionale individuazione del “tempo chiaro”, il tempo sacro agli antichi dèi, quando le piante giungono al massimo della loro efficacia magica, si siano gradualmente sovrapposte considerazioni di tipo astrologico che pro­venivano dalle nuove scienze. Alcuni amuleti, composti di pietre, elementi vegetali o animali possono avere una funzione apotropaica, rafforzata magari da preghiere, scongiuri, invocazioni, simboli cristiani. Il caso di Ildegarda di Bingen è in tal senso esemplare e particolare al tempo stesso. Numerose fra le pratiche terapeutiche da lei proposte presentano i caratteri appena enunciati (magia simpatica, osservanza di tabú, ecc.), anche se ovviamente non troviamo nella sua opera se non formule e scongiuri di impronta cristiana. Rispetto alle erbe, ma anche alle altre sostanze naturali, l’atteggiamento di Ildegarda è enunciato in apertura ai libri di Physica: le sostanze che si trovano in natura hanno un carattere di complementarietà rispetto all’essere umano e contengono in sé poteri speciali. Il ricorso di Ildegarda alla magia è sembrato evidente alla critica, in particolare quando si parla delle virtú delle gemme: secondo un criterio moderno, infatti, se alle piante tendiamo ad attribuire almeno proprietà terapeutiche, benché magari accompagnate da riti che oggi classifichiamo come superstiziosi, facciamo fatica a estendere alle gemme tali caratteristiche. La peculiarità di Ildegarda sta proprio nella concezione della magia terapeutica che emerge dai suoi scritti. In modo non dissimile dallo pseudo-Alberto Magno del Liber aggregationis,40 la badessa è infatti profondamente convinta che le sostanze naturali siano detentrici di virtú che è necessario apprendere. Le sostanze naturali, organi93

caccia alle streghe che e inorganiche, sono colme di potenzialità; colui che le conosce può manipolarle magicamente a fini nocivi; allo stesso modo, però, si possono apprendere procedimenti per mettere in atto una vera e propria contromagia. Una contromagia talmente potente che manipolando gli elementi, ovviamente con l’aiuto divino, al quale bisogna costantemente rivolgersi, è possibile contrastare il demonio ed esorcizzarlo. In questo Ildegarda è un caso piuttosto raro per il suo tempo, in quanto nella sua opera è presente un’attenta valutazione dei poteri della magia. Anche rispetto alla tradizione tardomedievale, che oscillerà gradualmente da una svalutazione del fatto magico a una preoccupata accettazione dello stesso e dunque alla sua persecuzione, il criterio di Ildegarda è molto diverso e attinge (difficile dire quanto consapevolmente) a una tradizione piú antica: quella cioè del mondo romano di età repubblicana, con il suo peculiare discrimine fra lecito e illecito al quale abbiamo accennato nel corso del primo capitolo. Agli occhi di Ildegarda, insomma, il discrimine tra magia illecita e magia lecita (o, se vogliamo, contromagia) sembra risiedere nel fine: la presenza di un rito è necessaria in entrambi i casi, e dunque ciò che ci porta a distinguere il bene dal male, la medicina dalla magia, sta soltanto nell’utilizzo che scegliamo di farne.41 Nella Summa theologica di san Tommaso abbiamo una presa di posizione circa la distinzione tra naturalità e magia: Se ci si limita a usare esseri naturali per produrre effetti che si ritengono proporzionati alle loro capacità naturali, non è cosa né superstiziosa, né illecita. Ma se si aggiungono segni, parole o altre vane osservanze, le quali non possono avere nessuna efficacia d’ordine naturale, allora l’azione è superstiziosa e illecita.42

In apparenza sembra una distinzione netta, che richiama quanto detto pocanzi a proposito del pensiero di tanti autori del Duecento; nella realtà delle pratiche quotidiane, tuttavia, il confine doveva essere assai meno chiaro: come giudicare infatti le pratiche svolte, magari con innocenza, da buoni cristiani, nelle quali tuttavia formule, caratteri e quant’altro accompagnavano la raccolta e l’utilizzo delle piante? Ildegarda di Bingen è un primo, forte segnale di come la realtà fosse ben piú complessa. E si rimane ancora nell’ambito di una magia volta 94

iii · il ritorno di canidia a fini positivi. Ma cosa succede quando le sostanze naturali vengono manipolate non solo o non tanto per guarire, quanto per nuocere? Se da una parte la tradizione veterotestamentaria sembrava avvalorare l’ipotesi della bontà delle piante, mettendo la sordina alla loro implicita pericolosità, già san Paolo poneva i pharmakeia, che la Vulgata traduce con veneficia, fra le opere della carne:43 introducendo il sospetto verso tale ambito, ben radicato nel mondo greco, all’interno della tradizione cristiana. Proprio la letteratura greco-romana alludeva a manipolazioni inquietanti e terribili delle sostanze naturali, come si è visto nel corso del primo capitolo. Nelle fonti antiche herbae e ve­ nena finiscono spesso per coincidere; e ciò che rende piú sospetto il loro impiego è il fatto che si mescolano a elementi capaci di generare orrore, come le ossa dei morti, umani e animali. È questo a gettare un’ombra sui molti philtra che dal XII-XIII secolo riempiono le pagine della letteratura, come per l’Isotta del Tristano di Gottfried: figlia di una maga nonché maga lei stessa, sino a finire vittima della sua stessa arte.44 Philtra che in genere non vengono descritti con precisione dagli autori, e che difficilmente potrebbero contenere gli stessi intrugli; ma che non potevano fare a meno di richiamare il peso di una tradizione, quella greco-romana, a quel tempo tornata viva e apprezzata. Ma al di là delle narrazioni letterarie, descrizioni assai simili a quelle dei testi antichi cominciano a farsi largo in alcuni atti processuali: l’imputata in un processo irlandese del 1324-’25 è accusata di aver confezionato unguenti e polveri atti a uccidere o a far innamorare con – fra l’altro – erbe, intestini di gallo, unghie di cadaveri, capelli e panni di bambini morti prima del battesimo.45 All’incirca negli stessi anni, secondo una cronaca francese, ebbe luogo un famoso processo contro ebrei e lebbrosi accusati di aver avvelenato i pozzi: nel veleno, oltre a sangue umano e urine, entrano tre erbe delle quali gli imputati non rivelano la natura.46 5. Il ritorno degli antichi Il Canon episcopi, la Signora dell’Abbondanza, l’andare in corso, le orge rituali sono elementi che da soli non arrivano a spiegare il carico di orridi maleficia che si attribuiranno di lí a poco alle conventicole di 95

caccia alle streghe streghe e stregoni. Il fatto è che la cultura del Rinascimento, della quale inquisitori domenicani e francescani Osservanti sono pienamente partecipi, introdurrà rispetto al passato un elemento altrimenti assente: l’immagine della strega classica, delle lamiae, delle empusae, delle schiere di Ecate. È all’Italia che dobbiamo volgerci per trovare il tassello mancante in questo mosaico, perché è qui che sarà proposto precocemente questo elemento della stregoneria, probabilmente perché piú tenace era l’eredità romana. Nel consiglio dello pseudo-Bartolo da Sassoferrato, il giurista parla di bambini « fascinati e stricati » e richiama esplicitamente a supporto la terza Ecloga di Virgilio, con riferimento al passo che recita « non so quale malocchio mi strega i teneri agnelli ».47 Ma è nel secolo successivo che questo motivo prende una consistenza maggiore, in particolare grazie alla predicazione del francescano osservante Bernardino da Siena. Nell’opera di Bernardino il riferimento a fenomeni che possiamo ormai definire “stregonici” è piuttosto frequente; tuttavia il francescano, in linea con la tradizione ecclesiastica dei secoli precedenti, ne afferma l’irrealtà. Si tratta, ripete in diverse occasioni, di illusioni diaboliche che inducono molti a credersi in possesso di poteri particolari. Nel 1426, Bernardino si recò a Roma per rispondere di fronte a papa Martino V dell’accusa di eresia. Il pontefice ne proclamò l’innocenza, e successivamente il senese tenne un trionfale ciclo di prediche nella città. In questa occasione si svolse il processo contro una donna, Finicella, che si concluse con la condanna al rogo. Le notizie intorno a tale vicenda derivano da diverse fonti. Per quanto riguarda gli scritti degli Osservanti, abbiamo le testimonianze offerte dallo stesso Bernardino l’anno successivo – nel ciclo senese del 1427 – e poi nel Seraphim padovano del 1443, e quella di Giacomo della Marca; inoltre c’è una fonte esterna all’ordine, la Cronaca di Stefano Infessura, testimone diretto degli avvenimenti. Nella predicazione del ’27 Bernardino racconta ai suoi concitta­ dini: Avendo io predicato di questi incantamenti e di streghe e di malie, el mio dire era a loro come se io sognasse. Infine elli mi venne detto che qualunque per-

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iii · il ritorno di canidia sona sapesse niuno o niuna che sapesse fare tal cosa, che, non acusandola, elli sarebbe nel medesimo peccato. […] E come io ebbi predicato, furono acusate una moltitudine di streghe e di incantatori. […] E fune presa una fra l’altre, la quale disse e confessò senza niuno martorio, che aveva uccisi da xxx fanciulli col succhiare il sangue loro; e anco disse che n’aveva liberati lx; e disse che ogni volta che ella ne liberava niuno, ogni volta si conveniva dare uno membro al diavolo per sagrificio, e davane uno membro di bestia […]. E piú anco confessò, che ella aveva morto el suo propio figliulo, e avevane fatto polvare, de la quale dava mangiare per tali faccende. E perché pareva cosa incredibile che una criatura avesse fatti tanti mali, fu voluto provare se era vero. Infine fu domandato chi ella aveva ucciso. Ella diceva chi, e cui figliuoli ellino furono, e in che modo, e a che tempo ella li aveva morti. […] E disse del modo come ella andava innanzi d’in su la piazza di Santo Pietro, e ine aveva certi bossogli d’unguenti fatti d’erbe che erano colte nel dí di santo Giovanni e nel dí de la Asunzione. Infine io li ebbi in mano, e ponendomeli al naso elli putivano per sí fatto modo, che ben parevano cose di diavolo, come erano. E dicevano che con essi s’ognevano, e cosí come erano onte, lo’ pareva essare gatte, e non era vero; però che il corpo loro non si rimutava in altra forma, ma ben lo’ pareva a loro.48

Il racconto è articolato piuttosto chiaramente. L’accusa di stregoneria si riferisce all’infanticidio e alla presunta metamorfosi in animale. Gli incantamenta, invece, riguardano la raccolta di erbe “magiche” e l’azione di guaritrice. In entrambi i casi, però, non sembra esservi una reale soluzione di continuità tra le due sfere: le erbe raccolte servono a preparare unguenti stregonici, e la guarigione dei bambini è collegata a rituali demoniaci. Pur rimanendo distinte sotto il profilo terminologico, nel caso specifico di Finicella le pratiche incantatorie e stregoniche appaiono come un tutt’uno. Nel Seraphim predicato a Padova nel 1443, Bernardino fornisce ulteriori elementi sul caso della donna romana e finisce per delineare uno statuto della strega destinato a rimanere classico. Dall’episodio sono trascorsi poco meno di vent’anni, e il racconto appare letterariamente molto piú elaborato, acquisendo una notevole forza drammatica. L’accusa riguarda ormai soprattutto la pratica d’infanticidio, dinanzi alla quale Bernardino cosí si pronuncia: Coloro che gridano vendetta sono i bambini fassinati o strigati ed è verissimo che i bambini sono fascinati dalle vecchie diaboliche […]. Non bisogna poi

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caccia alle streghe omettere che certe donne scellerate convinte da Satana e sedotte dalle illusioni del demonio e da visioni fantastiche credono e dicono di recarsi con Diana nelle ore notturne, ecc.49

Il riferimento al Canon Episcopi è qui evidente e pressoché letterale. Bernardino riporta anche un presunto dialogo, confessato da Finicella, tra il diavolo e lei: « “Cosa vuoi?”; e lei deceva: “Voglio che liberi questo bambino da infortuni e disgrazie”; e il diavolo rispondeva: “Sono ben pronto, ma voglio che tu mi dia un membro di una persona e che lo sacrifichi a me” ». Confessa inoltre che lei e altre donne si recavano presso un ponte e deliberavano « “di uccidere un bambino figlio del tale”, e andavano e lo uccidevano. […] E diceva che prendevano forma di gatte, ma non è vero perché rimangono come sono a casa loro e il diavolo dà loro un sonno profondo e le illusionni, ecc. ».50 Insomma, il volo magico al seguito di Diana e la metamorfosi sono credenze destituite di fondamento e indotte dal demonio. I crimini, nondimeno, rimangono reali; e Bernardino, parlando ai senesi di Finicella, si esprime in un modo che ai nostri occhi appare ambiguo in quanto non smentisce la confessione della donna, la quale ammette di aver ucciso trenta fanciulli « col succhiare il sangue loro ». E nel Se­ raphim aggrava la sua posizione parlando di « bambini fascinati e stregati », asserendo che ciò è « verissimo ». La trasposizione sul piano operativo del topos letterario della “strega” porta conseguenze rilevanti. Al principio del 1426 Bernardino predicò in Umbria, a Montefalco, Spoleto e Todi. In quest’ultima città contribuí alla riforma degli Statuti e si impegnò nel perseguire l’attività di una certa Matteuccia di Francesco; sono gli atti dello stesso processo, celebrato due anni dopo, a ricordarlo. Non abbiamo alcuna reportatio di questo ciclo, ma è molto probabile che Bernardino abbia agito come a Roma. Matteuccia di Francesco venne giudicata e condannata in quanto « donna di pessima condizione, vita e fama, pubblica incantatrice, fattucchiera, maliarda e strega ». Se i primi capi d’accusa si riferiscono a malefici, la stregoneria implica la sua andata allo stregatum, devastando infanti, succhiando il sangue di molti lattanti in diversi luoghi e tempi, e recandosi con altre streghe al noce di Benevento e presso

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iii · il ritorno di canidia altri alberi di noce, ungendosi con un certo unguento fatto di grasso di avvoltoi, sangue di nottole, sangue di bambini ancora lattanti e altre cose.51

Questi, in sintesi, i crimini stregonici di Matteuccia; dei bambini dissanguati per preparare gli unguenti si parla a piú riprese, circostanziando in cinque casi i fatti con i nomi dei genitori e le località in cui sarebbero stati perpetrati gli omicidi. Soprattutto, però, nel testo non si avanzano mai dubbi sulla realtà del fenomeno stregonico; è proprio Matteuccia che « divenuta strega […] sotto forma di gatta » dissangua i bambini nelle culle. L’insistenza sull’accusa di stregoneria è chiaramente legata all’efficacia della predicazione francescana dell’Osservanza. In particolare, va ascritto a Bernardino l’aver creato un legame cosí forte tra l’attività cui erano dedite queste donne e l’immagine della strix tratta dalla letteratura classica: una sorta di vampiro che dissangua e uccide i bambini. Si può pensare che esistesse nel territorio italiano una memoria folklorica profonda relativa a questo ambito, della quale queste donne, prima ancora del giurista o del predicatore, erano testimoni? È molto probabile: il domenicano Bernardo da Como dice che è opinione del popolo che streghe e stregoni possano mutarsi in gatti o in altro genere di animali. Ma ciò che qui soprattutto interessa è come l’apprezzamento della cultura classica che fioriva nell’Italia umanistica e rinascimentale non facesse che incrementare e dare un fondamento nuovo, un fondamento reale a tali memorie.52 Come nel caso dei filtri confezionati con erbe e sostanze immonde, anche qui la letteratura degli antichi sosteneva tutte queste convinzioni. 6. Conclusione Gli scritti degli antichi, insomma, fungevano ormai da modello non solo letterario, ma anche quale paradigma per la comprensione della realtà coeva. Un esempio perfetto di tale corrispondenza si può vedere nel dialogo di Giovanfrancesco Pico della Mirandola Strix sive de ludificatione daemonum (del quale conosciamo anche una versione volgarizzata: La strega o vero de gli inganni de demoni ),53 composto nel 1523. La forma dialogica, tipica peraltro della letteratura umanistica, 99

caccia alle streghe trovava un precedente di grande rilevanza nel Tractatus de Pythonicis Mulieribus di Ulrich Molitor, professore di diritto all’Università di Costanza, composto intorno al 1489. Giovanfrancesco era il nipote del celebre Giovanni Pico della Mirandola; di formazione umanistica, aveva ricevuto in eredità dal padre un piccolo feudo in prossimità di Modena. Sostenitore della realtà della stregoneria, assistè personalmente ai processi modenesi del 1522-’23 e vide l’inquisizione di settantatrè fra uomini e donne, di cui almeno dieci finirono condannati al rogo. In quegli anni l’Emilia assisté a numerosi processi per stregoneria, che dettero materiale anche all’inquisitore domenicano Bartolomeo da Spina per la sua Quaestio de strigis. Come dicevamo, il Dialogo è notevole perché rileva il nesso tra la stregoneria quale emerge dai testi antichi e il fenomeno moderno. Quello che per lo studioso moderno è uno strumento esegetico fondamentale in quanto evidenzia una delle fonti di ispirazione per la formazione dello stereotipo della strega, al Pico fornisce una prova della veridicità della stregoneria: un dato non incomprensibile se si riflette sul peso che la riscoperta del mondo classico giocava in tutta la cultura del tempo. In un continuo gioco di rimandi, la tradizione classica avvalorava la stregoneria moderna, e quest’ultima a sua volta serviva a dar consistenza ai testi che giungevano dal mondo antico. Verso gli inizi del Seicento, discutendo circa la verità dell’esistenza di figli generati da donne con demoni incubi e succubi, il frate milanese Francesco Maria Guaccio cita a sostegno figure mitologiche o divinità del mondo antico: dalle ninfe a Enea, a Bacco a Romolo, inserendo nella lista anche Maometto e Lutero.54 E, parlando di streghe, aggiunge: « L’esperienza insegna, infatti, che esse sono ben note per apparizioni e visioni spaventevoli, come gli antichi hanno tramandato: Aristomene in Apuleio, Plinio il Vecchio e il Giovane ».55 Ma anche al di là dell’Italia questo modello cominciò a conoscere una certa diffusione. Jean Bodin, grande giurista e procuratore del re di Francia, era un accanito sostenitore della realtà dei poteri stregonici; aveva partecipato personalmente in qualità di giudice a un processo per stregoneria, e questa esperienza doveva averlo ancor piú radicato nelle sue idee. A sostegno delle sue tesi egli compose nel 1580 la Démonomanie des sorciers, un trattato di grande effetto in cui concorro100

iii · il ritorno di canidia no a dar forza alle sue tesi tanto le Sacre Scritture quanto gli autori classici e i Padri della Chiesa. Scrive infatti: Vediamo i processi intentati contro le streghe di Germania, di Francia, d’Italia, di Spagna nei quali troviamo per iscritto e vediamo tutti i giorni testimonianze infinite […] e le confessioni nelle quali persistono sino alla fine coloro che sono stati messi a morte; che per la gran parte sono persone ignoranti o vecchie donne che non avevano certo letto Plutarco o Erodoto o Filostrato né le leggi di altri popoli né parlato alle streghe di Germania e d’Italia, per accordarsi cosí bene in tutto e su tutti i punti come fanno. Non avevano letto S. Agostino […] il quale dice che non bisogna dubitare […] che i demoni e gli spiriti maligni possano copulare carnalmente con le donne, che i greci chiamano Efialti e i latini incubi, succubi e silvani; e i galli Dusii (è la parola che usa S. Agostino) gli uni in guisa d’uomini, gli altri di donne, sulla cui copulazione tutte le streghe sono d’accordo che avviene, non mentre dormono, ma nella veglia […]. Ancora è ben strano che le streghe depongano e siano d’accordo che gli spiriti maligni si mostrano in forma d’uomini, ordinariamente neri e piú alti degli altri, oppure come nani: come ha lasciato per iscritto Agricola circa gli uomini del suo tempo. […] Ancora le streghe non hanno letto le Storie di Plinio il Giovane e le Epistole di Plutarco, Floro, Appiano e Tacito.56

Insomma, le confessioni sono credibili perché trovano riscontro, oltre che in altre testimonianze indipendenti, nelle parole dei Padri della Chiesa e degli autori del mondo antico. Tra l’altro, l’idea di una stregoneria “al femminile”, che lo stesso Malleus maleficarum promuove con convinzione, potrebbe essersi imposta almeno in parte a causa del modello classico: è un argomento sul quale torneremo nel prossimo capitolo. Vediamo insomma a partire da questo momento un doppio registro: il modello dei vaudois testimoniato dai processi e dai trattati dell’arco alpino da una parte, quello della strix dall’altra. Destinati a fondersi molto spesso in età moderna, ma anche ad avere esiti differenti: alcune regioni d’Europa, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, non sperimenteranno mai, infatti, una stregoneria declinata prevalentemente al femminile. Rimane comunque la conclusione, che oggi può suonare paradossale e amara, che il rinnovato interesse dell’Europa rinascimentale per l’eredità classica si tradusse anche in un robusto impulso alla credenza nella realtà della stregoneria.

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IV P ERS EC UZ ION I E MODERN ITÀ

1. « Madre di cosí tante streghe » Alla fine del Quattrocento la teoria e l’apparato giuridico atti a perseguire i rei di stregoneria erano ormai formati in via definitiva. La trattatistica continuò a indagare e stigmatizzare il fenomeno, ma dagli inizi del secolo successivo è il diffondersi dei processi in Europa a richiamare la nostra attenzione. Il primo dato di cui dobbiamo prendere atto, sul quale la storiografia contemporanea ormai concorda pienamente, è l’estrema differenziazione nella gravità degli effetti della caccia alle streghe nelle diverse regioni d’Europa; cui segue la constatazione che il diffondersi dei processi non ebbe scansioni cronologiche identiche. In linea generale, però, si può schematicamente ipotizzare uno sviluppo in tre fasi: un diffondersi sporadico di processi e condanne capitali che termina intorno al 1550-1560; un incremento notevole tra quest’epoca e il 1660, fase che costituisce l’apice della caccia alle streghe in Europa; dopo questa data e fino alla metà del XVIII secolo si ha una diminuzione generalizzata dei processi, ma anche il loro arrivo in regioni precedentemente risparmiate. Sempre per quanto concerne la diffusione geografica, un dato che colpisce subito è l’estrema concentrazione in un’area ben specifica: quella tedesca del Sacro Romano Impero, comprendente territori cattolici quanto protestanti, vide un numero di condanne a morte per stregoneria pari a quante se ne registrarono nel resto d’Europa. È una disparità che doveva colpire anche i contemporanei, se il gesuita Friedrich von Spee poteva scrivere, nella serrata critica alle modalità dei processi tedeschi espressa nella Cautio criminalis del 1631, che la Germania sembrava essere « tot sagarum mater »: ‘madre di cosí tante streghe’. Prima di seguire, seppure per sommi capi, quali furono le tendenze della caccia alle streghe nelle diverse aree d’Europa, è opportuna una stima generale sul numero di vittime complessivo: nonostante la 102

iv · persecuzioni e modernità pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime, nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40.000 e le 60.000.1 Le cifre che offriamo per i singoli paesi si riferiscono a una stima mediana tra queste due; daremo anche per ogni area la cifra totale (necessariamente approssimativa) della popolazione intorno al 1600, utile perché permette di calcolare la ratio pro capite delle esecuzioni. Ovviamente, la ricerca non è al medesimo stato di avanzamento per tutte le aree prese in considerazione, sebbene sia opinione comune che un completamento delle indagini potrebbe al limite spostare la cifra di un 20%, non di piú. Infine, al numero già alto delle vittime complessive bisogna aggiungere coloro che morirono come conseguenza del trattamento durante la detenzione e i casi di “morte sociale” di quanti, pur non venendo condannati alla pena capitale, erano sottoposti a pene molto gravi qua­li l’esilio perpetuo; nonché i casi, presumibilmente numerosi, di linciaggi e assassinii di individui sospettati di stregoneria, nei quali le autorità laiche ed ecclesiastiche non avevano alcun ruolo: un settore difficile da indagare per ovvie ragioni. Cominciamo dall’Austria. Pur molto composito, il territorio austriaco aveva un’unica autorità, quella degli Asburgo, e una sola confessione, la cattolica: due dati che servono a spiegare la minore incidenza dei processi rispetto alla vicina Germania. I processi per stregoneria condussero all’esecuzione di circa 1900 persone su una popolazione intorno ai due milioni, condannate in base alla Constitutio Cri­ minalis Carolina voluta da Carlo V nel 1532; le autorità ecclesiastiche ebbero dunque un’influenza scarsa nella persecuzione, al contrario di quelle laiche locali. Al pari della vicina Boemia, per la quale mancano dati precisi, l’Austria conobbe un deciso decremento delle persecuzioni intorno alla metà del Settecento grazie all’esplicita volontà di Maria Teresa d’Asburgo.2 Passiamo ora al nucleo principale di territori nei quali le persecuzioni antistregoniche diedero luogo al maggior numero di processi e di vittime. Sono soprattutto due i fattori che pesarono sulla storia della stregoneria nella Germania del Sacro Romano Impero: la Riforma – con il conseguente conflitto tra cattolici e protestanti – e 103

caccia alle streghe l’estrema frammentazione del potere politico. Entrambe queste situazioni, seppur in modo diverso, finirono per incrementare e aggravare il fenomeno. Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla stregoneria. Tuttavia, nei loro scritti e nel loro pensiero, Satana ha un ruolo di grande rilievo; nessuno dei due riformatori elaborò una forma di demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un potere reale nel mondo, sempre vivo e presente, che era necessario contrastare con ogni mezzo; i riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione. È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici dei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una caccia intensa e determinata. Inoltre, la frequente compresenza in molte aree di gruppi cattolici e riformati creava gravi situazioni di tensione, e l’accusa di stregoneria poteva esser la conseguenza – cosciente o meno – di tali situazioni, spingendo membri di una comunità a scagliare accuse contro gli esponenti dell’altra: è quanto si verificò, per esempio, a Freudenberg, dove il vescovo di Würzburg, Julius Echter van Mespelbrunn, rivolse l’accusa contro elementi della comunità protestante, nel tentativo di prostrarla e cosí rafforzare il cattolicesimo. Tuttavia, non è il caso di stabilire un nesso troppo rigido tra l’affermarsi della Riforma, con i conseguenti conflitti, e l’incremento della caccia alle streghe. Nella Germania meridionale cattolica il fenomeno fu piú intenso rispetto all’area settentrionale protestante; bisogna quindi considerare il secondo fattore, e cioè l’estrema frammentazione politico-amministrativa, per l’appunto piú presente a Sud che a Nord. La scarsa concentrazione del potere ne causava la debolezza, e questo faceva sí che ogni città potesse comportarsi verso il problema con un certo grado di autonomia, e soprattutto con la quasi assoluta certezza di non dover poi render conto del proprio operato, dando luogo ad abusi. Inoltre, un incremento dei processi si avverte chiaramente in occasione di peggioramenti climatici e cattivi raccolti o carestie come quelli della cosiddetta “piccola era glaciale” dei primi decenni del Seicento: per esempio in molte aree in cui la viticultura era un elemento importante per l’economia, ma era allo stesso tempo praticata in condizioni di difficoltà climatica, grandinate e gelate im104

iv · persecuzioni e modernità provvise portavano alla ricerca di capri espiatori, e streghe e stregoni accusati di magia tempestaria ne facevano le spese. Proprio in questi casi si avverte la differenza tra zone, come la Baviera cattolica o il Württemberg luterano, nelle quali un potere centrale funzionante poneva forti veti alle istanze popolari di persecuzione, contrapposte a quelle in cui le autorità erano invece incapaci di un’azione del genere: questo si verificò in Franconia e in Renania, dove le comunità di villaggio si organizzarono autonomamente e le autorità, timorose di rivolte, lasciarono fare. Il medesimo scarso peso delle autorità determinò procedure di coercizione e di tortura (che comunque la legge carolina permetteva per il crimen exceptum, ossia nei casi che si ritenevano particolarmente gravi) sovente smodata, tale da non consentire altro se non confessioni e denunce a catena. La grande maggioranza dei processi si svolse tra Sei e Settecento; tra gli epicentri vi furono le città e le circoscrizioni di Würzburg, Bamberga, Eichstätt, Ellwangen, Treviri, Colonia, Magonza. La cifra totale delle vittime si aggira tra le 22.000 e le 25.000 (c’è chi si spinge fino a ipotizzarne 30.000) su un totale di 16 milioni di abitanti.3 Sanguinosa anche la caccia nel ducato del Lussemburgo, che pure era parte del Sacro Romano Impero, con una stima di 358 condanne.4 Una menzione a parte va riservata al Liechtenstein, piccolo territorio incuneato tra Svizzera, Austria e Germania. A partire dal 1613, sotto il dominio dei conti di Hohenems, quest’area sperimentò un secolo di terrore; immiserito dalle carestie, dalla peste e dalle conseguenze della Guerra dei Trent’Anni, il Liechtenstein contava una popolazione di sole tremila unità e i processi per stregoneria condussero alla condanna a morte di circa 300 persone, pari alla media piú elevata che si conosca. Anche in questo tragico caso le autorità sembrano essere andate incontro a precise richieste provenienti dal basso; la caccia colpí spesso intere famiglie, in quanto si riteneva che la stregoneria fosse ereditaria.5 La Danimarca sembra aver subito l’influenza della Germania, anche se l’opinione sulle cifre reali delle esecuzioni è controversa per l’incompletezza dei dati; Behringer dà 1000 condanne su poco piú di mezzo milione d’abitanti, mentre la storiografia danese non propone cifre complessive. Il corso degli eventi è caratterizzato dall’alternanza 105

caccia alle streghe fra legislazioni molto eterogenee in materia; è estremamente importante il fatto che dal 1547 fosse proibito l’utilizzo della confessione di streghe per incriminare qualcuno, nonché la proibizione della tortura per ottenere confessioni. Tuttavia nel 1617 la legge si inasprí, inserendo la condanna all’esilio perpetuo per coloro che si fossero serviti di arti magiche e l’esecuzione capitale per quanti avessero stretto un patto con il diavolo.6 Nel resto della Scandinavia i processi per stregoneria furono introdotti intorno alla metà del Cinquecento, partendo dalla Danimarca. In linea generale si può dire che la caccia alle streghe non raggiunse mai le proporzioni drammatiche della Germania; soprattutto grazie alla scarsa presenza di conflitti fra poteri centrali e periferici, il fenomeno rimase sostanzialmente sotto controllo. In Svezia il caso piú antico che si ricordi risale al 1471, ma i processi rimasero pochi e registrarono un incremento tardivo soprattutto nel corso del Settecento. In tutta la sua storia non dovrebbero esserci state piú di trecento vittime su una popolazione di 800.000 unità, due terzi delle quali concentrati in due celebri episodi che ebbero luogo tra 1668 e 1676 nel Nord del paese e nella contea di Bohuslän; si tratta di casi piuttosto originali per il fatto che molte fra le persone coinvolte come accusatori e accusati erano bambini: ne riparleremo. A causare gli eventi fu certo un incremento nell’ossessione satanista e un impiego della tortura, sino a quel momento estraneo alla legislazione del paese; le persecuzioni si conclusero solo grazie all’intervento dei poteri centrali.7 Sino a pochi anni or sono, la Finlandia era ritenuta un paese estraneo alla caccia alle streghe; mentre in altre parti d’Europa l’approfondimento delle analisi ha generalmente portato a ridimensionare il numero delle vittime, per il caso finlandese le cose sono andate in senso opposto. Come per la Svezia, da cui dipendeva, dopo la metà del Seicento il peso delle teorie demonologiche si fece avvertire anche in Finlandia, trasformando i consueti processi per magia, tradizionali per il paese sino a quell’epoca, in qualcosa di molto differente. Tuttavia, l’esclusione della tortura per ottenere confessioni e il controllo dell’alta corte, che confermò meno della metà delle sentenze capitali, porta a stime che variano fra un po’ meno e un po’ piú di cento condanne a morte per una popolazione stimata sulle 350.000 unità.8 106

iv · persecuzioni e modernità Ben piú alte le cifre complessive per la Norvegia: circa 350 vittime su 400.000 abitanti. Scarsamente attestati fino all’arrivo della Riforma nel 1537, i processi per stregoneria si intensificarono tra 1550 e 1700. Come in altri paesi luterani, la legge mosaica fu aggiunta al codice penale, portando a punire con la morte non solo la stregoneria, ma anche numerosi altri crimini avvertiti come contrari alla morale: furto, adulterio, incesto, bestialità, blasfemia. Sebbene l’uso della tortura fosse teoricamente proibito per estorcere confessioni, numerose furono le eccezioni alla regola. È poi da segnalare la brutalità della caccia scatenata nella regione settentrionale del Finnmark, parte della Lap­ponia, che contava una popolazione di appena 3000 persone intorno al 1600, tanto norvegesi quanto sami; le vittime furono infatti 92, quasi un terzo del totale registrato in Norvegia, sebbene – contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare – i sami venissero accusati meno dei conterranei (e soprattutto delle conterranee) norvegesi, reputati piú inclini al maleficium. Si può quindi ipotizzare che in questo come in altri casi lo sciamanesimo, certo presente fra queste popolazioni, non fosse reputato tra gli elementi importanti per far scattare le persecuzioni.9 Altro caso di paesi vicini, ma con saldi straordinariamente differenti di vittime è dato dai Paesi Bassi considerati nelle due realtà nazionali attuali: l’Olanda e il Belgio. La parte settentrionale, al pari di quella meridionale, era sotto il governo asburgico spagnolo, ma la rivoluzione condusse nel 1568 all’indipendenza. Le nuove teorie demonologiche raggiunsero il paese intorno al 1500, ma buona parte delle autorità ecclesiastiche e laiche le considerarono con sospetto, restando ancorate alla tradizione precedente in materia. Negli anni Quaranta del XVI secolo si ebbero i primi cruenti episodi, con successivi picchi periodici; ma dal 1609 in poi non si registrano piú condanne, fatto che rende l’Olanda il primo paese a liberarsi dalla caccia alle streghe. Le stime totali delle esecuzioni variano tra le 160 e le 200 su una popolazione di un milione e mezzo. I Paesi Bassi meridionali rimasero invece sotto il controllo spagnolo dalla fine del Quattrocento per tutto il periodo che qui ci interessa. La regione era – ed è – linguisticamente suddivisa tra una parte meridionale francofona, nella quale i processi ebbero inizio prima (biso107

caccia alle streghe gna fra l’altro ricordare che Arras, dove a metà Quattrocento si era scatenata una delle prime persecuzioni, appartiene a quest’area) e l’area fiamminga dove cominciarono solo intorno al 1589. L’intensità però fu simile, cosí come il tipo di accuse nelle quali il patto con il diavolo aveva un ruolo centrale; alla fine del XVI secolo ebbe un forte impatto nella regione la pubblicazione dei Disquisitiones magicae libri sex del gesuita Martín Del Rio, originario di Anversa, che attribui­ va peso e realtà al fenomeno stregonico. Il risultato complessivo pone quest’area tra quelle in cui la caccia fu piú efferata, nonostante non mancassero tentativi del governo centrale di arginare la piaga: a quanto pare i tribunali locali erano sufficientemente saldi da non farsi influenzare. La stima attuale di 2500 vittime per una popolazione totale di circa un milione trecentomila unità potrebbe esser destinata a salire non poco; il paragone con i Paesi Bassi settentrionali offre dunque un contrasto particolarmente forte.10 La caccia alle streghe nelle aree orientali non è stata oggetto di studi pari, per numero e valore, a quelli dedicati alle altre regioni d’Europa; tuttavia, il quadro d’insieme è abbastanza chiaro. Guadagnati alla cristianizzazione e all’urbanizzazione generalmente piú tar­ di rispetto all’Occidente, i territori orientali recepirono tardivamente anche la preoccupazione verso il fenomeno stregonico; l’arco cronologico coperto fu di un secolo, all’incirca tra 1650 e 1750, cioè da quando vi vennero introdotti elementi demonologici provenienti da Occidente. Gli stati in cui le persecuzioni furono piú generalizzate e violente risultano essere quelli a piú stretto contatto con la Germania, e cioè soprattutto la Polonia e l’Ungheria. In altri territori in cui non ebbero molta presa le tesi demonologiche correnti, il fenomeno fu quasi del tutto assente. Mentre nel resto d’Europa ormai si levavano aspre critiche verso i processi contro le presunte streghe, in Polonia la caccia raggiungeva i suoi vertici;11 questa involuzione si deve, con ogni probabilità, al fatto che fino alla metà del Seicento i tribunali ecclesiastici – generalmente piú moderati di quelli laici – mantennero la giurisdizione su tali questioni; piú difficile invece valutare quanto influirono i conflitti tra protestanti e cattolici, che si inasprirono grossomodo nello stesso periodo. Le persecuzioni portarono alla condanna capitale di circa 4000 persone (ma potrebbe essere una sti108

iv · persecuzioni e modernità ma al ribasso) su una popolazione sotto i tre milioni e mezzo. Minore l’incidenza in Ungheria, con circa 1100 esecuzioni su quasi quattro milioni di abitanti.12 Per i Balcani, l’unica regione che si può prendere in considerazione è la Croazia, all’epoca che ci interessa divisa tra Ottomani, Asburgo e Venezia; nel corso del Seicento anche in questi territori, ma ovviamente solo in quelli cristiani,13 si diffusero le teorie demonologiche moderne e si ebbero diversi processi, che sembrano aver toccato soltanto la zona asburgica e assai poco quella veneziana. Scarso entusiasmo mostravano anche le autorità civili in Russia, nonostante la consueta spinta dal basso e alcuni tentativi della Chiesa ortodossa di ottenere misure piú draconiane: l’intero territorio non dovrebbe aver conosciuto piú di trecento esecuzioni su un totale di popolazione difficile da definire con precisione per quei secoli, ma data la dimensione del territorio si può concludere per una bassissima ratio pro capi­ te.14 Risultati simili si hanno per il Granducato di Lituania, che includeva per quei secoli le attuali Bielorussia, Ucraina, Lettonia, Transnistria e parti della Polonia e della Russia, oltre ovviamente alla Lituania stessa. Le prime norme antistregoniche apparvero nel 1529 e non furono abolite sino al 1776; la popolazione era in gran parte ortodossa anche se i granduchi erano cattolici. I dati sono sporadici, tanto da non lasciare possibilità di statistiche, ma non fanno pensare a una rea­ le incidenza delle persecuzioni e delle condanne a morte. Concludiamo col piccolo territorio estone, sottomesso al dominio svedese dagli inizi del Cinquecento sino al 1721, quando passò alla Russia: dati incompleti attestano lo svolgimento di 140 processi tra 1520 e 1725, con meno di un terzo di condanne a morte.15 2. « Nova holocausta »? Nell’Europa mediterranea e occidentale il totale delle condanne è decisamente piú basso che nelle aree centro-orientali, con un’unica, forte eccezione: la Confederazione elvetica e l’arco alpino, area per la quale ai primi del Cinquecento il giurista Andrea Alciati aveva parlato di « nova holocausta » in rapporto alle vittime di una locale caccia 109

caccia alle streghe alle streghe. Olocausti che invece restarono assenti dalle aree in cui operavano il Sant’Uffizio o l’Inquisizione spagnola: nonostante uno stereotipo duro a morire pretenda il contrario. Cominciamo questa rapida carrellata dall’Italia, un’area per la quale possiamo contare su dati non completi, ma comunque sufficienti per alcune considerazioni di massima. Nella penisola furono celebrati alcuni fra i primi processi per stregoneria, come quelli ricordati in relazione alla predicazione di Bernardino da Siena. Tuttavia, nonostante l’alto numero di accuse del genere mosse fra i secoli XV e XVII, le condanne gravi risultano relativamente poche: merito di processi piú cauti e regolari, dovuti all’istituzione della Santa Inquisizione romana a partire dal 1542, che difficilmente arrivavano alla condanna a morte. Una prima fase a cavallo tra XV e XVI secolo sembra esser stata quella piú intensa, con diverse accuse che includevano l’infanticidio, il maleficio e il sabba. I processi conobbero un’attenuazione nei decenni centrali del Cinquecento, per riprendere con una qualche maggiore intensità intorno agli anni Novanta, segnati da una terribile carestia. All’incirca nello stesso periodo, come si è detto, si conobbero picchi ben piú gravi in alcune zone della Germania, anch’essi strettamente legati a lunghi periodi di maltempo e di cattivi raccolti; fenomeni che sembrano esser divenuti piú frequenti in diverse aree d’Europa tra 1580 e 163016 e ai quali fece seguito la tragica ondata di peste del 1630. L’incremento sembra essere stato comune all’intera penisola, o almeno a buona parte di essa; è in questo torno di tempo che si ebbero alcuni episodi celebri, come quello delle streghe di Triora, iniziato nel 1589, durante un periodo di carestia e di elevata mortalità infantile. Il processo si dipanò lentamente, tanto da suscitare la protesta della comunità locale che avrebbe visto di buon occhio rapide condanne, e da richiedere l’invio di giudici da Genova – dalla quale Triora all’epoca dipendeva. Non si conosce la conclusione precisa dell’episodio, che vide alcune donne morire in carcere per le pesanti condizioni cui erano sottoposte, ma pre­sumibilmente la caccia ebbe fine con l’intervento dell’Inquisizione romana. Negli stessi anni l’area ligure conobbe un aumento di inquietudine nei confronti del fenomeno stregonico, e di conseguenza un incremento delle persecuzioni. 110

iv · persecuzioni e modernità Dopo il 1650 i processi diminuirono di nuovo sensibilmente, secondo un trend comune a molte altre aree d’Europa. Un’eccezione alla bassa densità di processi e condanne si registra nelle aree alpine ita­lofone, che sembrano già condividere istanze proprie dei territori settentrionali limitrofi, e che in alcuni casi erano sotto giurisdizioni legate alla Confederazione elvetica. Il Seicento fu per quest’area il periodo di maggior incrudelimento delle persecuzioni. L’Archivio di Poschiavo – una località dei Grigioni attualmente un Cantone italofono della Svizzera, legato alla Confederazione a partire dagli inizi del Cinquecento – ha conservato ampia documentazione dell’azione inquisitoriale compiuta nell’area limitrofa, che comprende una regione oggi divisa dal confine nazionale, ma in passato accomunata dalla lingua e dalle tradizioni comuni, nonché dal fatto di appartenere alla diocesi comasca. È difficile trovare motivazioni univoche per spiegare l’eccezionalità delle persecuzioni, che non è da interpretare esclusivamente come frutto della volontà dei tribunali, ma vide invece l’attiva partecipazione di intere comunità. Si deve piuttosto riflettere sull’estrema povertà della regione, dove la peste del 1630 uccise circa metà della popolazione, già provata da un decennio di conflitti interreligiosi; sulle dispute tra cattolici e riformati, che creavano e mantenevano intense situazioni di conflitto; infine, sulla marginalità culturale dei Grigioni, dove le probabili sopravvivenze di tradizioni precristiane potevano attirare il sospetto degli inquisitori e predisporre le comunità alla credulità in materia. Se si escludono le aree alpine, le condanne a morte in Italia nell’intero periodo della caccia alle streghe furono poche centinaia. Se invece si includono aree ad alta densità di caccia alle streghe, quali la Sa­ voia e i Grigioni, la cifra sale notevolmente per attestarsi intorno alle 2500 unità per una popolazione totale di tredici milioni. Oltre al ruolo positivo di moderazione esercitato dal Sant’Uffizio, un’altra possibile spiegazione consiste nella presenza relativamente scarsa di accuse che includevano il volo al sabba: l’uso della tortura al fine di far denunciare gli altri partecipanti al volo magico è infatti ciò che innesca l’effetto domino delle accuse e delle condanne a catena. Tuttavia il territorio italiano, cosí diviso politicamente e culturalmente, nonché sottoposto a tante giurisdizioni differenti, poco si presta a consi111

caccia alle streghe derazioni generalizzanti; a questo bisogna aggiungere che la ricerca, contrariamente a quanto si riscontra per altri paesi, renderebbe necessari numerosi approfondimenti.17 Non troppo diversa la situazione in Spagna, che, pur non esente dalla mania antistregonica, registrò un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale: i tribunali erano infatti assai restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne piú blande. Inoltre, le accuse erano sempre piú simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria per cosí dire “moderna”, cioè corredata di patti e omaggi demoniaci, volo magico, uccisioni di bambini, ecc. Nel 1526 un concilio svoltosi a Granada dichiarò impossibile il volo magico e affermò che secondo la maggior parte dei giuristi le streghe non esistono. Quando a Barcellona, nel 1549, l’inquisizione locale e le autorità civili condannarono al rogo alcune streghe, la Suprema (ossia il supremo concilio dell’Inquisizione, che dipendeva dalla Corona, non da Roma) reagí punendo i giudici. La Catalogna, tuttavia, in diversi periodi mostrò un’attitudine indipendente e pronunciò condanne alla pena capitale: una recrudescenza si ebbe tra 1618 e 1622, in concomitanza con una sequenza di cattivi raccolti. Anche in Aragona, dove i tribunali civili subirono poco l’influenza dell’Inquisizione, il numero di vittime fu superiore rispetto ad altre aree, sebbene non sia possibile ipotizzare stime. Le regioni iberiche in cui vi fu un maggior numero di episodi di stregoneria furono quelle basche che, come le zone alpine per l’Italia, sembrano per molti versi un capitolo a parte rispetto al resto del pae­ se. Qui troviamo un forte legame con le aree prossime del Midi francese, e le accuse mosse dalle autorità riguardano pratiche stregoniche vere e proprie piuttosto che operazioni di magia tradizionale. Soprattutto, le cime pirenaiche sono spesso ricordate, tanto in processi svoltisi nella Francia meridionale quanto sul versante spagnolo, come meta del volo magico e sede del sabba. Un episodio celebre ebbe luogo nella Navarra pirenaica, iniziato nel 1610 con l’arrivo in Spagna di rifugiati baschi che scappavano dall’infuriare di una caccia oltreconfine. Diverse streghe furono condannate, tanto da attirare l’attenzione della Suprema, che inviò nella regione l’inquisitore Alonso de 112

iv · persecuzioni e modernità Salazar Frías. Quando questi arrivò, nel 1611, circa 1800 persone si presentarono autodenunciandosi come streghe e stregoni; sul totale, 1384 erano bambini sotto i quattordici anni. I risultati dell’indagine furono racchiusi in un rapporto nel quale si chiamavano in causa ragioni di sanità mentale e si consigliava estrema cautela perché, sostanzialmente, non vi era traccia di stregoneria nella regione, se non da quando si era cominciato a parlarne. Nel 1624 l’istruttoria si concluse riaffermando le posizioni del concilio di Granada e la caccia ebbe fine. Quante furono le streghe condannate a morte in Spagna? Non è possibile una stima complessiva; piú di cento in Catalogna nei soli anni 1610-1625, ma venti-trenta sotto l’Inquisizione negli oltre cento anni tra 1498 e 1610. In totale le condanne a morte dovrebbero aggirarsi intorno alle trecento per una popolazione di circa otto milioni.18 Un’altra zona a bassa densità di caccia alle streghe è l’Inghilterra. Nella common law inglese la stregoneria divenne un reato soltanto sotto Enrico VIII con una legge del 1542, anche se in precedenza si erano registrati processi per maleficia. Rigettata con la salita al trono di Edoardo VI nel 1547 insieme ad altre norme di re Enrico, la stregoneria tornò a essere considerata un reato durante il regno di Elisabetta I, nel 1563: la pena di morte era prevista per l’uccisione di esseri umani attraverso atti stregonici, ma prevedeva pene minori per coloro che avessero arrecato danni non mortali; la normativa fu tuttavia inasprita nel 1604 e le nuove leggi rimasero in vigore sino al 1736. Il diritto inglese e scozzese non prevedeva l’impiego della tortura per comprovare l’accusa, il che sicuramente evitò denunce a catena, anche se a livello locale sono probabili eccezioni alla regola. L’Inghilterra conobbe il suo periodo peggiore tra 1645 e 1647, quando un certo Matthew Hopkins, denominato Witchfinder General (un titolo che tuttavia non fu mai approvato ufficialmente dalle autorità), intraprese insieme a un collaboratore, John Stearne, e talvolta a una donna, Mary Phillips, una campagna antistregonica nelle contee orientali: sebbene una completa ricostruzione dei fatti non sia possibile, si ritiene che Hopkins abbia sottoposto a giudizio circa 250 sospette, mettendone a morte almeno un centinaio. Il Witchfinder cominciò la sua attività in modo indipendente da ogni autorità statale; si era d’al113

caccia alle streghe tra parte negli anni dell’intollerante e cruenta rivoluzione di Oliver Cromwell, i controlli delle autorità centrali erano inesistenti e nelle regioni coinvolte molti prelati di tendenze moderate e antiparlamentariste erano stati sostituiti da giovani e zelanti Puritani; condizioni che sicuramente lasciarono via libera a Hopkins, il quale era tuttavia chiamato dalle comunità affinché le liberasse da coloro che erano sospettate di stregoneria. L’impiego di mezzi coercitivi insoliti per l’Inghilterra spiega l’alto numero di condanne, cosí come l’accentuarsi degli elementi demonologici nelle confessioni, anche se l’idea del sabba rimane sostanzialmente assente in questi pseudoprocessi cosí come in quelli regolari svolti in Inghilterra in altri periodi e contesti.19 In Scozia un picco simile, se non piú grave, si registra per gli anni 1658-’62, e in particolare fra 1661 e 1662, durante gli anni finali dell’occupazione inglese e quelli della restaurazione al trono di Carlo II, ed è forse da legarsi, come in Inghilterra, a un incremento dello zelo religioso: diverse centinaia di persone, in prevalenza donne, furono giudicate e spesso condannate.20 In totale, fra Inghilterra e Scozia, le esecuzioni capitali per stregoneria, sempre sull’intero arco cronologico preso in considerazione, furono 1500 per una popolazione stimata intorno ai sette milioni. Il caso della Francia è difficile da valutare come quello italiano, sebbene per ragioni differenti o addirittura opposte. Nonostante l’episodio di Arras rappresenti uno dei primi casi di caccia alle streghe su larga scala, nel complesso il regno di Francia mostrò una politica di grande cautela nei confronti del fenomeno, sicuramente dovuta allo stretto controllo esercitato dal Parlamento di Parigi al quale si rivolgevano appelli e domande di grazia alla conclusione di processi tenuti dai Parlamenti locali. Il Parlamento emise un centinaio di condanne a morte, nessuna dopo il 1625, confermando cioè solo un quinto delle sentenze che lí arrivavano.21 A far pendere la bilancia verso la fine della caccia alle streghe pesò sicuramente la tragica vicenda di Loudun. Nel 1632 la Madre superiora di un convento di Orsoline mostrò segni di squilibrio che vennero interpretati da lei stessa e da altre suore come possessione diabolica; si sottopose a pubblici esorcismi guidati dai frati cappuccini, che fini114

iv · persecuzioni e modernità rono per contagiare altre suore; esse accusarono di stregoneria un canonico locale – personaggio influente, ma anche criticato per il suo libertinismo –, Urbain Grandier, che si era inimicato il cardinale Richelieu esprimendo pubblicamente un parere critico verso la sua politica. Nonostante la tortura Grandier negò ogni addebito, ma nel 1634 venne ugualmente condannato al rogo. I molti dubbi suscitati dalla vicenda – per gli interessi politici sottesi, per la volontà dei cappuccini di colpire Grandier, per la perturbata personalità della Superiora – diedero comunque luogo al dibattito in tutta la Francia e contribuirono a influenzare i giudici affinché ponessero un freno definitivo alla caccia.22 Se si considera il totale delle vittime, non si superano le 300-500 esecuzioni capitali nell’intero regno, con alcuni picchi dovuti a singoli episodi: celebre la caccia organizzata nei Paesi Baschi dal giudice di Bordeaux Pierre de Lancre negli anni 1609-’10, che portò alla morte accertata di dodici individui, tre dei quali preti, e ad alcune decine di casi insicuri.23 La cifra sale se si volge lo sguardo ai territori limitrofi, oggi parte del territorio francese, ma che nei secoli in questione si trovavano sotto giurisdizioni diverse: addizionate a quelle del regno, il totale salirebbe allora a 5000 condanne su una popolazione complessiva di circa venti milioni di abitanti. Nel solo Delfinato, ad esempio, limitrofo alle aree alpine nelle quali molti fra i primi processi ebbero luogo, ne furono celebrati diverse centinaia.24 La FrancaContea, francofona ma appartenente agli Asburgo di Spagna, conobbe un centinaio di processi prima del 1600, e quasi 800 tra 1600 e 1660, in un periodo cioè in cui le autorità spagnole dei Paesi Bassi autorizzarono processi per maleficia o per aver preso parte al sabba, con una percentuale del 60% di condanne a morte.25 L’Alsazia-Lorena, i cui territori erano suddivisi tra differenti autorità (Asburgo d’Austria, principi-vescovi sia protestanti sia cattolici, duchi di Lorena e cosí via), mostrano le stesse cifre elevate del Sacro Romano Impero, piuttosto che quelle moderate del regno di Francia. I soli duchi di Lorena, per esempio, processarono per stregoneria circa 2000 persone, condannandone a morte oltre 1400.26 Come per la Francia, appare ugualmente impossibile considerare la Svizzera attuale come un insieme unitario, in quanto per i secoli in 115

caccia alle streghe cui si svolse la caccia alle streghe la Confederazione era un’entità diversificata sotto il profilo tanto politico-religioso quanto linguistico, anche se tali differenze non sempre pesarono in modo direttamente proporzionale. Per questo motivo alcuni cantoni si avvicinano a quelle aree tedesche in cui lo scarso peso del goveno centrale aveva dato luogo ad abusi. Una delle zone piú segnate fu il Pays de Vaud, dove il fenomeno si era mostrato assai precocemente in tutta la sua gravità, con circa 2000 condanne alla pena capitale fra Quattro e Settecento. Non sembrano emergere forti differenze in base a lingua e confessione religiosa: nella cattolica Lucerna, fra 1550 e 1675, si celebrarono 505 processi che terminarono per metà con esecuzioni capitali; nella Neuchatel protestante tra 1568 e 1677 si celebrarono 360 proccessi, con 243 esecuzioni; nella Ginevra calvinista sino al 1661 si ebbero 337 processi, che diedero esito però a un numero minore di morti: 68, pari al 21%. Alla situazione dei Grigioni si è già accennato a proposito dell’Italia: aggiungiamo solo che fra 1600 e 1750 si conoscono 545 processi terminati con 246 esecuzioni. La cifra totale per la Svizzera si situa tra le 3500 e le 4000 condanne su una popolazione di un milione di abitanti complessivi.27 Alcune aree dell’Europa occidentale rimasero quasi totalmente escluse dalla caccia: una decina di vittime in Portogallo e quattro accertate in Irlanda, entrambi paesi con un milione di abitanti circa; 22 in Islanda, che ne contava tuttavia la metà.28 Sebbene la colonizzazione europea possa aver avuto un peso nell’esportare alcune delle idee in materia stregonica in territori dove prima esse erano sconosciute, l’interazione con le culture locali consegue risultati troppo differenti perché li si prenda in considerazione in questa sede. Unica eccezione per il New England americano, che alla fine del Seicento può difficilmente esser considerato un luogo extraeuropeo, dati i forti legami culturali che i coloni conservavano con la propria terra d’origine. Il caso piú grave, nonché il piú noto, è quello di Salem, ma nella regione si ebbero altri 61 processi per stregoneria nel corso del XVII secolo. Nel 1691 a Salem alcune ragazzine avevano tentato esperimenti di divinazione; successivamente erano state colte da turbe e strane visioni, che gli adulti interpretarono come causate da malefici; dietro indicazione delle stesse giovani venne116

iv · persecuzioni e modernità ro incarcerate tre donne. Ma i fenomeni non cessarono con i primi arresti, e anzi le denunce finirono per coinvolgere oltre 150 persone di differenti villaggi e cittadine. Diciannove furono le condanne a morte per impiccagione, alle quali si deve aggiungere l’uccisione di un accusato in assenza di condanna; l’ingresso – sia pur marginale – di personaggi latori di una cultura “altra” rispetto a quella europea (in questo caso due schiavi di origine caraibica) ha un peso ben minore rispetto alle considerazioni che si possono fare circa il particolare tipo di comunità – chiusa, ossessionata da preoccupazioni demoniache – che i Puritani avevano creato nel New England. A scatenare l’episodio contribuí molto lo smodato interesse che percorreva la comunità per i trattati in materia di stregoneria e di possessione, anche se oggi si tende a dare un forte peso alle tensioni di tipo socio-economico e alle liti di vicinato che all’epoca attraversavano la comunità. La caccia fu interrotta solo dall’interessamento alla vicenda di alcuni pastori che – mossi da considerazioni giuridiche sull’inadeguatezza dei procedimenti osservati – ne accelerarono la fine, nonostante l’opposizione di molti, nonché dall’intervento delle autorità laiche; lo stesso governatore Phips ordinò la sospensione dei processi in corso, forse anche perché accuse di stregoneria erano ormai arrivate a toccare sua moglie.29 3. Celestina e i bambini Le varie regioni d’Europa, oltre a sperimentare una diversa intensità delle persecuzioni, registrano attraverso i processi anche modelli differenti di stregoneria. In linea generale si può affermare che i processi si intensificarono e le condanne si aggravarono se e quando venne adottato il modello di stregoneria dominato dall’idea del patto con il diavolo e del sabba; ossia quando venne accolto in pieno quel sistema di pensiero che abbiamo visto affermarsi nella trattatistica al­la fine del Quattrocento. Ma questo non accadde ovunque allo stesso modo: le accuse mosse a streghe e stregoni variano profondamente, al pari dei soggetti che vengono incriminati a seguito di tali accuse. Cominciamo dalla questione del genere, che tanto ha interessato e ancora interessa chi si occupa di caccia alle streghe;30 come sappiamo, 117

caccia alle streghe infatti, sono comuni le interpretazioni di tale fenomeno alla luce di un generale attacco di misoginia che avrebbe preso piede alla fine del Medioevo e imperversato nei due secoli successivi. Se molti trattati, a cominciare dal Malleus maleficarum, mostrano indubbiamente un atteggiamento di pregiudizio nei confronti delle donne, sospettate piú degli uomini di esser soggette al patto demonico, bisogna sottolineare che le eccezioni furono molte; e, come sempre, alle eccezioni è importante prestare attenzione. In generale, le stime europee ci dicono che il 75% circa delle vittime furono in effetti donne; tuttavia alcune regioni si distaccano o addirittura invertono questa tendenza.31 In Carinzia, per esempio, due terzi degli accusati di stregoneria erano uomini, spesso dediti al vagabondaggio e alla mendicità; in Normandia, Islanda, Estonia e Russia la maggioranza è ancora piú schiacciante. Se anche in Russia gli accusati erano sovente vagabondi, accattoni o stranieri, comunque dei marginali, in Normandia si trattava spesso di pastori legati a una delle attività piú redditizie per la regione, la produzione del formaggio, e in misura minore di fabbri; non mancavano poi i preti. In altre aree, come il Senese o la Finlandia, le corti raccoglievano accuse di maleficia perpetrati da uomini, ma condannavano in misura maggiore le donne. Alcune aree germanofone occidentali che vanno dal Belgio alle Alpi registrano pure un numero non maggioritario, ma pur sempre elevato di uomini. Cosí come bisogna considerare alcuni episodi particolari: nella Svizzera romanda le prime cacce perseguono soggetti maschili, e non donne, forse perché il carattere che emerge con maggior evidenza è il legame esistente tra le accuse di eresia conosciute nei secoli precedenti in queste stesse terre a carico dei valdesi e l’imputazione di stregoneria. Strettamente legate al genere maschile erano anche le accuse di licantropia, nella quali antiche credenze diffuse in molte aree d’Europa venivano demonizzate e legate all’idea del sabba. Sebbene a metà Cinquecento Olaus Magnus avesse scritto di una “epidemia” di uomini-lupo nei territori baltici, incontriamo processi per licantropia in aree ben piú centrali dell’Europa: la Franca-Contea, per esempio, conobbe numerosi processi durante i quali gli imputati vennero accusati di aver commesso omicidi dopo essersi trasformati in uominilupo con la complicità del demonio.32 118

iv · persecuzioni e modernità Al di là del numero non basso di uomini condannati, ciò che conta comprendere per non interpretare la caccia alle streghe come una contesa tra generi è che il pregiudizio antifemminile può essere stato una concausa nella creazione di un apparato persecutorio, ma è ben lungi dall’essere la spiegazione dell’intero fenomeno. Non bisogna dimenticare infatti il ruolo di accusatori e persecutori: se giudici e teologi erano uomini, appare chiaro (e su questo torneremo) che la spinta per intensificare la caccia proveniva nella maggior parte dei casi “dal basso”; e le comunità che invocavano sovente un maggiore accanimento contro streghe e stregoni erano composte di donne come di uomini. Per quanto concerne l’età degli accusati, bisogna dire che nell’immaginario collettivo la strega-tipo è personificata da Celestina, protagonista dell’omonima opera scritta da Fernando de Rojas ai primi del Cinquecento. Celestina, dopo una vita trascorsa come meretrice, si dedica a fare la mezzana e la fattucchiera: è « una vecchia barbuta che si chiama Celestina, fattucchiera, astuta, sagace in ogni sorta di malvagità. Ho idea che siano piú di cinquemila le verginità che si sono ricomposte e disfatte per opera sua in questa città. E spingerà e istigherà alla lussuria le dure rocce, se vuole ».33 Le sue pratiche appartengono soprattutto all’ambito della magia erotica e si servono di erbe medicinali o velenose, ma anche delle ossa dei morti e del grasso dei bambini. Pur trattandosi di uno stereotipo, non è del tutto distaccato dalla realtà, anche se bisogna sottolineare la difficoltà di una ricostruzione seriale dell’età degli accusati, in quanto i giudici non registravano spesso tale dato. Accuse verso donne, e in misura minore uomini, di età intorno o superiore alla cinquantina (che per i parametri del tempo si poteva reputare matura) sembrano esser state percentualmente piú frequenti di quelle dirette ad altre fasce d’età. Le spiegazioni possono esser varie e non sempre divergenti: la condizione economica, sociale, maritale può rivestire un peso, ma non pare esserci uno standard permanente; le accuse possono colpire donne sole o sposate, ricche e povere, anche se in generale individui appartenenti agli strati sociali subalterni sembrano piú frequentemente reputati colpevoli; a volte potrebbe trattarsi di donne che già da tempo erano sospettate di 119

caccia alle streghe stregoneria, ma che vengono accusate solo in età piú tarda, quando sono piú deboli o sole o perché se ne presenta l’occasione. Si è ipotizzato un legame con il trasformarsi del corpo nella menopausa, uno stato che l’infertilità avrebbe reso repellente e sospetto agli occhi di una società legata all’idea di generazione; inoltre alcune teorie mediche della prima età moderna ritenevano il corpo in menopausa come tossico, poiché avrebbe trattenuto il sangue mestruale, reputato velenoso.34 Anche in questo caso, tuttavia, non va dimenticato il peso esercitato dallo stereotipo di età antica (o come tale inteso: è il caso del poema trecentesco De vetula, attribuito a Ovidio)35 della vetula, evidente proprio nella Celestina, ma ben presente anche in molta iconografia relativa al fenomeno stregonico e al contempo di chiara ispirazione classica. Un’ispirazione che poteva condurre a un doppio registro figurativo, come mostra per esempio l’opera di Albrecht Dürer: l’incisione Le quattro streghe (1497) ritrae quattro donne giovani e nude, con un chiaro richiamo alla sensualità di molte figure della mitologia pagana che esercitavano la magia, mentre un’incisione di poco successiva, Strega che vola all’indietro a cavallo di una capra (1500 ca.), raffigura una vecchia con i seni cadenti.36 Infine, un dato che spesso non viene preso in considerazione, ma che potrebbe essere tanto un sintomo quanto un fattore condizionante nel conferire una connotazione di genere alla stregoneria, almeno nell’Europa protestante che leggeva la Bibbia tradotta in volgare, risiede nell’interpretazione di un celebre passo dell’Esodo, spesso citato in diverse legislazioni antistregoniche. « Maleficos non patieris vivere » si legge nella Vulgata di san Gerolamo, e la lezione è riprodotta nello stesso modo dalla revisione Clementina del 1592. Al contrario, tutte le traduzioni in volgare cambiano il testo passando dal maschile di “malefici”, che può valere per entrambi i sessi, a un ben piú specifico e sessualizzato Witches/Zauberinnen; il che indica una percezione fortemente orientata in tal senso, soprattutto se si pensa che questi volgarizzamenti riprendevano in considerazione le fonti ebraiche e greche in cui si parlava rispettivamente di mekhashefah e di pharmakous, che piú corretto sarebbe stato tradurre ‘venefici’ (comunque al maschile/ neutro). Già nel 1395 la Bibbia di John Wycliffe riporta « Thou schalt not suffre witchis to lyue », ‘Non lascerai vivere le streghe’; la traduzio120

iv · persecuzioni e modernità ne luterana (completata da Martin Lutero e da diversi suoi collaboratori nel 1534) rende la frase con « Die Zauberinnen sollst du nicht Leben lassen » (‘Non lascerai vivere le incantatrici’; al pari della Bibbia di Zwingli, del 1531-’40: « Eine Zauberin sollst du nicht am Leben lassen », ‘Non lascerai vivere un’incantatrice’), dove Zauberin è, appunto, piuttosto “incantatrice” che “strega”, ma ha comunque una connotazione al femminile; tutte le traduzioni in inglese, dalla Miles Coverdale (1535), alla Bishop’s Bible (1568), alla Bibbia di Ginevra (1557-1560) sino a quella di re Giacomo (1611) offrono invariabilmente witch. È evidente che da questo non si possono trarre conclusioni di causa-effetto: in Italia la stregoneria era prevalentemente femminile, nonostante la fedeltà alla Bibbia latina; anche se è vero che la norma dell’Esodo non sembra esser stata cosí cogente, dal momento che almeno il Sant’Uffizio non si accaní contro il fenomeno. In alcuni paesi protestanti, calvinisti e anglicani si condannarono uomini oltre che donne; ma allo stesso tempo la legge mosaica veniva inclusa nei codici penali. Insomma, se il rapporto di causa-effetto manca, è pur vero che in un discorso su stregoneria e genere il problema delle traduzioni in volgare rimane un dato da prendere in considerazione. Esso testimonia che nell’immaginario collettivo la strega era ben piú presente dello stregone. Uomini e donne, vecchi e giovani: un posto di rilievo nella storia della stregoneria va assegnato agli adolescenti, talvolta addirittura ai bambini, che furono sia vittime sia accusatori in diverse occasioni. Vittime ipotetiche e vittime reali: una delle attività tipiche attribuite a streghe e stregoni era l’uccisione rituale di infanti, secondo il modello della stregoneria di matrice classica, durante il sabba oppure per trarne elementi (sangue, grasso) necessari alla confezione di unguenti di varia natura. Nell’ “affare dei veleni”, celebre caso che nel 16791682 scosse la Francia, colpí diversi membri (soprattutto donne) dell’aristocrazia e giunse fino a toccare la corte di Luigi XIV, l’infanticidio rituale durante una serie di messe nere officiate da un prete spretato fu la piú grave delle accuse mosse all’ex favorita del re, nonché madre di sette dei suoi figli, Madame de Montespan, che attraverso queste cerimonie avrebbe mirato a riconquistare l’amore del sovrano. L’affaire condusse a 36 esecuzioni capitali, 34 esili e 4 condan121

caccia alle streghe ne al remo; una sessantina di persone che avevano mosso le accuse a Madame de Montespan furono rinchiuse in una fortezza in modo da evitare il processo e la fuga di ulteriori notizie. Nonostante nel caso entrassero sicuramente interessi politici, non è da escludere che alcuni dei maleficia dei quali gli imputati erano accusati fossero stati effettivamente commessi:37 l’infanticidio rituale, che ha sicuramente un valore topico nei processi di stregoneria, non può essere del tutto escluso in casi estremi. Vi sono poi i casi in cui ragazzi o addirittura bambini assumono il ruolo di vittime delle persecuzioni. In Germania se ne segnalano numerosi: il piú grave occorse tra 1627 e 1629 a Würzburg, dove furono condannati a morte in diversi episodi 119 adulti e 41 giovanissimi, due terzi dei quali di genere maschile, e fra loro numerosi studenti. Tra le vittime due sorelline di neppure dieci anni. In numerosi episodi i bambini fungono da principali accusatori: nei processi inglesi, scozzesi e del New England sono molti i bambini “posseduti” che accusano altri di stregoneria. Ma soprattutto si devono ricordare due celebri cacce, quella basco-navarrese del 1525, quando diverse testimonianze infantili condussero all’impiccagione di circa 40 presunte streghe (e nella stessa regione questa dinamica si ripeté piú volte), e quella svedese del 1668 (che si protrasse, arrivando a toccare la stessa Stoccolma, per quasi un decennio): in quest’ultima occasione centinaia di bambini mossero a vicini e genitori l’accusa di essersi recati al sabba, o di esserci andati essi stessi su loro istigazione; la propagazione del panico spingeva molti genitori a forzare i figli affinché rivelassero altri dati alle autorità. Poiché la legge svedese non dava valore alle testimonianze di giovani sotto i 15 anni, ma d’altra parte il caso sembrava grave ed eclatante, si decise di frazionare il peso di tali denunce secondo l’età: quella di un quattordicenne valeva la metà della testimonianza di un adulto, e cosí a scendere. Quando la caccia ebbe termine, la Corte reale decise di condannare uno dei testimoni, tredicenne, all’impiccagione.38 Non sembra emergere una specificità nel ruolo dei bambini rispetto al contenuto delle accuse di stregoneria; ma è il caso di considerare come la giovanissima età renda ancora piú manipolabili e suggestionabili, non diversamente da quanto si è riscontrato per i casi di presunto abuso rituale in tempi recenti. 122

iv · persecuzioni e modernità 4. « Si balla, si chiacchiera, si cucina, si beve, si fa all’amore » Il tipo di azioni imputate a streghe e stregoni conosce varianti regionali. Abbiamo visto in precedenza qual è l’origine del concetto di sabba e da quali aree (l’arco alpino) esso dovrebbe provenire in quanto elaborazione dotta; ma evidentemente tale elaborazione, passando attraverso trattati e predicazione, si diffuse per l’Europa; e la sua diffusione sembrava trovare riscontro nelle confessioni di molti presunti stregoni e streghe che a loro volta erano latori di un bagaglio di reminiscenze (diciamo folkloriche, pur sapendo che il termine è assai scivoloso) che assomigliavano pericolosamente alla descrizione “dotta” del sabba, con il suo volo magico, magari a cavallo di un bastone o di un animale, o con la mutazione in bestie. In particolare, la figura della strega a cavallo di un bastone (o di una scopa, o di un forcone, o di un mestolo da paiolo) emerge già nel corso del Quattrocento e diverrà particolarmente diffusa grazie all’iconografia; il bastone potrebbe rinviare alla dimensione casalinga attribuita al ruolo femminile (e alla sua inversione), cosí come essere strumento magico: una sorta di bacchetta che a volte ritroviamo anche nelle rappresentazioni del sabba o in quelle di magia tempestaria. Gli elementi orgiastici che confluiscono nel sabba sono resi perfettamente da un passo del Faust di Goethe nel quale si descrive la Notte di Walpurga (fra 30 aprile e 1° maggio): « Si balla, si chiacchiera, si cucina, si beve, si fa all’amore. Dimmi tu, dove si potrebbe trovare di meglio? ». La piacevolezza del sabba è presente nelle confessioni di molti accusati: nella caccia esplosa nei paesi baschi francesi nel 1609, il giudice Pierre de Lancre si convinse dell’esistenza di una setta diabolica di streghe, molte delle quali gli avevano descritto i loro accoppiamenti con il demonio e come questi fossero risultati gradevoli,39 nonostante diversi trattatisti li avessero in altre occasioni descritti come dolorosi. Il fatto che nel Faust a suggerire la gradevolezza del raduno sia in realtà Mefistofele getta un’ovvia luce oscura sull’intera faccenda; e il coro delle streghe (al quale risponde il coro di stregoni) intona: « La strada è larga come una piazza, guarda che razza di ressa pazza! Punge il forcone, la scopa gratta, il bimbo soffoca, la madre schiatta ». 123

caccia alle streghe Pare ormai accertato che il racconto del sabba non fosse una pura invenzione di giudici e inquisitori, i quali anzi talvolta reagirono con scetticismo alle confessioni degli accusati. Quando l’ondata di panico antistregonico varcò il confine spagnolo richiamando l’attenzione e le persecuzioni delle autorità locali, l’inquisitore Alonso de Salazar Frías intervenne rendendosi conto dell’inconsistenza delle accuse e delle confessioni, spesso volontarie. Per convincere le stesse presunte streghe dell’inanità delle loro testimonianze, ne condusse alcune sui luoghi che avevano indicato quali mete del sabba, mostrando loro quanto poco corrispondessero nella realtà a ciò che avevano immaginato e raccontato. Queste narrazioni dovevano risalire almeno in parte a tradizioni di origine precristiana, alcune tracce delle quali sembrano emergere dagli incartamenti. I casi piú noti sono quelli esemplificati da Carlo Ginzburg con i “benandanti” friulani e da Gustav Henningsen con le “donni di fori” siciliane: nel primo abbiamo gruppi di contadini che, forse in quanto nati “con la camicia”, ossia con il sacco amniotico, si reputava fossero in grado di combattere contro i “malandanti”, ossia gli stregoni cattivi, proteggendo la comunità e i raccolti; nel secondo si parla di gruppi di donne che si riteneva avessero il potere di trasformarsi in animali, volare, guarire e divinare in una sorta di “sabba bianco” nel quale incontravano creature fatate. Entrambi i fenomeni richiamarono l’attenzione dell’inquisizione (inquisizioni locali che in molti casi trasmisero gli atti al Sant’Uffizio per i “benandanti”, all’Inquisizione spagnola in Sicilia) che ovviamente tendeva a interpretare in chiave demonica i “voli”, nonostante la pervicace resistenza delle parti in causa. Mentre Ginzburg interpreta la credenza dei “benandanti” come un residuo di rituali sciamanici ed estatici,40 Henningsen argomenta che nessuno fra questi culti – e in particolare certo non quello siciliano – mostra i segni principali dello sciamanesimo: lo sciamano va volontariamente in trance, è un personaggio singolo, detiene un ruolo pubblico nella comunità. Le “donni di fori”, cosí come tutti i racconti attinenti al sabba, sono invece fenomeni collettivi, che riguardano gruppi di individui, e il “volo” corrisponde a un sonno assai profondo nel corso del quale le donne sognano. In regioni in cui credenze sciamaniche sono certamente presenti, come nelle regioni 124

iv · persecuzioni e modernità lapponi del Nord della Norvegia e della Finlandia, le pratiche collegate trovano posto di rado negli atti dei processi; segno se non altro di una mancanza di interesse dei giudici a riguardo.41 La testimonianza siciliana e l’interpretazione di Henningsen, che parla di « dream cult » piuttosto che di sciamanesimo, sembra essere corroborata dal celebre esperimento del medico napoletano Giambattista Della Porta, scettico sulla realtà del fenomeno stregonico, il quale scrive nel suo Magia naturalis (1558) di aver pagato una donna che aveva fama di strega affinché compisse la preparazione al sabba: la osservò quindi ungersi vigorosamente con un unguento e crollare in un sonno profondo dal quale non era possibile risvegliarla; una volta sveglia, gli avrebbe raccontato di aver volato sopra montagne e mari. Della Porta annotò anche la formula per preparare l’unguento, che oltre a grasso di bambino e sangue di pipistrello, conteneva anche alcune piante che possono indurre un sonno allucinogeno. Il demonologo Johann Nider e un medico scettico specializzato in farmacologia e in botanica, Andrés de Laguna, offrono testimonianze su stati di sonno profondo indotti con l’uso di droghe. Sarebbe tuttavia riduttivo derubricare l’intero complesso del sabba a effetto di droghe allucinogene; anche in questo caso, può trattarsi di un elemento presente e che ha in qualche misura contribuito, ma non certo determinante.42 Infine, contro la tesi dello sciamanesimo (o almeno contro un suo impiego come spiegazione onnicomprensiva) c’è anche il fatto che le tradizioni delle quali si è detto nel capitolo precedente, e che vanno dal Canon episcopi alle bonae ress sembrano alludere all’idea di un rapporto con il tema del ritorno dei morti sulla terra e la partecipazione dei vivi al loro corteggio; mentre lo sciamanesimo prevede, al contrario, un viaggio dei vivi nell’Aldilà. Un probabile sostrato precristiano è forse individuabile anche attraverso la scelta dei luoghi indicati per il sabba, alcuni dei quali assursero a fama internazionale. È il caso del Brocken (o Blocksberg o Bocksberg), la cima principale della catena dello Hartz, in Sassonia, dove secondo la tradizione si riunivano le streghe nella notte di Walpurga e dove infatti anche Goethe ambienta il sabba del Faust. Probabilmente tali credenze affondano le radici nell’antica mitologia germanica e potrebbero collegarsi a residui di credenze nelle Valchirie, 125

caccia alle streghe le quali scortavano le anime dei defunti che nella notte del primo maggio si voleva vagassero in corteo. È invece immaginario il Blåkulla (‘la montagna nera o blu’: blå indica entrambi i colori in epoche diverse) reso celebre dall’ondata di processi svedesi del 1668-’76; forse originariamente legato all’isola di Blå Jungfrun (‘Vergine nera o blu’)43 ma nel tempo collegato a località differenti. Migliaia di possessioni e voli diretti al sabba avrebbero avuto come meta tale luogo immaginario; complice forse il folklore locale nel quale si credeva che le persone potessero esser portate magicamente sino alla mitica terra dei troll e che fossero in grado di mutarsi esse stesse in troll. E proprio la trollkäring, la ‘moglie di troll’, era figura collegata alle arti magiche. A livello regionale, tuttavia, i luoghi indicati come punto d’arrivo e di svolgimento del sabba sono numerosi: Akelarre per i baschi; Domen nel Finnmark norvegese; Kyöpelinvuori, la ‘montagna dei fantasmi’, dove le donne defunte cacciano, in Finlandia. Almeno un luogo meridionale va però ricordato e circostanziato. Dal Quattrocento in poi, infatti, il noce di Benevento è stata la piú celebre fra le destinazioni citate dalle streghe italiane per il sabba. La tradizione “magica” di Benevento si può far risalire agli anni del principato longobardo; la Vita del vescovo Barbato, del IX secolo ma ambientata nel VII, afferma che i Longobardi, guidati dal principe Romualdo, praticavano un culto dendrolatrico, o presumibilmente sacrificavano un animale a Wodan appendendolo a un albero. L’albero sacro dei Longobardi tuttavia non era un noce; l’identificazione avvenne soltanto nel Seicento, quando gli scritti del medico beneventano Pietro Piperno portarono – spesso con criteri inattendibili – alla sovrapposizione dei due motivi. È stato anche ipotizzato un collegamento tra il sabba quattrocentesco e un culto isiaco precristiano, a dire il vero poco convincente perché durante almeno quindici secoli mancano attestazioni di tale persistenza. Le notizie intorno a Benevento come luogo di diabolici incontri notturni risalgono, a quanto sappiamo, al secondo decennio del Quattrocento; ne accenna Bernardino da Siena durante una predica a Siena nel 1427, ma in modo piuttosto confuso. Piú interessante la testimonianza offerta dagli atti del processo contro Matteuccia da Todi, la quale con altre streghe si 126

iv · persecuzioni e modernità recava presso il noce di Benevento, dicendo: « Unguento, unguento / mandame a la noce de Benivento, / supra aqua et supra ad vento / et supra ad omne maltempo ».44 Oltre al volo verso il sabba e alle cerimonie che vi si sarebbero svolte, molti altri erano i crimini di cui streghe e stregoni potevano essere accusati; anzi in numerosi processi il sabba, pur cosí centrale per la demonologia, cede il passo a maleficia piú tradizionali. La magia tempestaria cosí come la fabbricazione di pozioni e veleni sono molto frequenti, come si è notato piú volte, e corrispondono a timori radicati nelle popolazioni ben piú del sabba e del suo corredo demonologico. Entrambi sono crimini che possono esser commessi a distanza e in modo occulto, e che emergono ovunque vi siano crisi di vario genere: da un aumento della mortalità infantile, alle carestie, al prolungarsi delle intemperie; fenomeni che peraltro in genere si colle­ gano tra loro creando stati di ansia collettiva. La fama negativa e il sospetto potevano condurre a additare come responsabili persone marginali, o che per tradizione erano ritenute in grado di esercitare arti magiche (e alle quali magari qualche volta gli stessi accusatori potevano essersi rivolti), o con cui si erano instaurate tensioni di vicinato.45 Persino l’apparenza delle streghe e i segni da individuare per riconoscerle potevano variare fortemente. Per esempio, il cosiddetto “marchio del diavolo” o “marchio della strega” era un’anomalia della pelle che si riteneva fosse il segno lasciato dal demonio sul corpo dell’iniziato al momento del patto. Motivo relativamente poco noto nei primi tempi della “caccia”, attestato per esempio in Italia, divenne frequente a partire dal Cinquecento inoltrato in molte zone d’Europa.46 I sospettati venivano spogliati e rasati completamente per individuare il marchio; oppure potevano venire punti piú o meno dolorosamente per individuare zone di insensibilità, pure considerate un lascito del demonio. Una variante curiosa di tale credenza è quella relativa al terzo capezzolo, che sarebbe servito ad allattare i “demoni familiari”: è una variante particolarmente presente in Inghilterra, da dove passò poi nel New England, per sparire tra la fine del Seicento e i primi del Settecento. A tale proposito, non si può fare a meno di notare come secondo alcuni naturalisti del mondo classico, Plinio in 127

caccia alle streghe testa, fosse diffusa la credenza che le strigidae porgessero le mammelle agli infanti:47 per avvelenarli, come precisa Sereno Sammonico nel II-III secolo d.C.48 Al contrario Isidoro di Siviglia, evidentemente confondendosi in base a un’etimologia sbagliata, attesta che la Strix nocturna è « uccello detto popolarmente amma (nutrice) perché ama i bambini; perciò si dice anche che offra il latte ai neonati ».49 Un’altra conferma del rapporto tra credenze stregoniche moderne e mondo classico? 5. « Il ne faut pas brûler les imbéciles » Nel corso del Settecento, mentre in alcune regioni d’Europa i processi per stregoneria continuavano, numerose voci contrarie si levavano. Dovendo assumere un parere come paradigmatico del cambiamento si potrebbe ricorrere alle parole lapidarie di Voltaire, il quale nel Dizionario filosofico dedicava molte pagine a magia, superstizioni, stregoneria; vale la pena riportare il suo parere su quest’ultima: La magia, la stregoneria passarono presto dall’Oriente all’Occidente e si diffusero ovunque. Si chiamava sabbatum presso i romani una specie di stregoneria che veniva dagli Ebrei, confondendo cosí il loro giorno sacro con i loro segreti infami. È da lí infine che tra le nazioni moderne esser strega e andare al sabba divenne la stessa cosa. Delle miserabili donne di villaggio, prese in giro da truffatori, e ancor piú dalla debolezza della loro immaginazione, credettero, dopo aver pronunciato la parola abraxa ed essersi spalmate di un unguento fatto di escrementi di vacca e di pelo di capra, di poter andare al sabba durante il sonno su un manico di scopa, di adorare un caprone e di prendervi il loro piacere. Questa opinione era universale. Tutti i dottori pretendevano che fosse il diavolo a trasformarsi in caprone. È quanto si può vedere nelle Disquisitions del Del Rio e in altri autori. Il teologo Grillandus, uno dei grandi promotori dell’inquisizione, citato dal Del Rio, dice che le streghe chiamano il caprone Martinet. Egli assicura che una donna che si era data a Martinet montava sul suo dorso e veniva trasportata in un istante per l’aria fino a un luogo chiamato “noce di Benevento”. Ci sono libri e misteri di streghe. Ne ho visto uno sul cui frontespizio v’era disegnato piuttosto male un caprone e una donna in ginocchio dietro di lui. In Francia questi libri si chiamano Gri­ moires, e altrove Alfabeto del diavolo. Quello che ho visto non conteneva che quattro foglietti dai caratteri quasi indecifrabili, piú o meno simili a quelli

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iv · persecuzioni e modernità dell’Almanacco del pastore. La ragione e una migliore educazione sarebbero state sufficienti per estirpare in Europa una tale stravaganza; ma al posto della ragione si impiegavano i supplizi. Se le presunte streghe avevano il loro grimoire, i giudici avevano il loro codice delle streghe. Il gesuita Del Rio, dottore di Lovanio, fece stampare le sue Disquisitions magiques nell’anno 1599: pretende che tutti gli eretici siano maghi, e raccomanda spesso che li si sottoponga alla tortura. Non dubita che il diavolo si trasformi in caprone e che accordi i suoi favori a tutte le donne che gli si presentano.50

Il philosophe francese non era stato certo né il primo né il solo a denunciare i processi per stregoneria. Voci critiche si erano già alzate nel corso dei due secoli precedenti: nella prima metà del Cinquecento il già ricordato giurista Andrea Alciati, chiamato a dare un parere sui processi in corso in Valtellina, era rimasto colpito dalla durezza del trattamento inflitto agli accusati e dal numero di esecuzioni compiute; pur ritenendo che effettivamente qualcuno fra loro si fosse reso colpevole di maleficia con mezzi magici, a suo dire la maggior parte erano accusati di aver danzato sotto un albero e di essersi recati in volo al ludum (il sabba degli inquisitori), imputazioni che egli reputava assurde. Le opinioni di Alciati vennero riprese da altri critici della caccia alle streghe, su tutti dal medico brabantino Johann Wier il quale scrisse nella seconda metà del Cinquecento due trattati (il De praestigiis daemonum e il De lamiis) in cui affermava che il demonio esercita il suo potere confondendo le menti delle presunte streghe (vittime anche degli effetti allucinogeni degli unguenti utilizzati nelle loro povere pratiche magiche, e/o affette da melancolia), ma anche inducendo nella società tanta credulità verso il fenomeno. Wier era stato influenzato dal suo maestro, anch’egli fiero oppositore della caccia alle streghe, l’astrologo, alchimista e filosofo Agrippa di Nettesheim. Queste teorie provocarono la violentissima reazione di Jean Bodin, che nella Démonomanie des sorciers giunse ad accusarlo di essere egli stesso uno stregone.51 Le voci che già nel Cinquecento si erano levate a denunciare gli eccessi della caccia alle streghe si fecero piú forti e presenti nel secolo successivo. Il gesuita tedesco Friederich von Spee scrisse e pubblicò tra 1628 e 1631 un trattato in latino intitolato Cautio criminalis.52 Il gesui­ ta era stato testimone di numerosi processi per stregoneria, sovente 129

caccia alle streghe conclusisi tragicamente con la condanna al rogo. Alla luce di quanto visto, egli aveva maturato posizioni negative rispetto alla realtà delle pratiche stregoniche; Spee muoveva le sue critiche da un punto di vista prettamente giuridico, ritenendo che le denunce contro le streghe e la conduzione dei processi dessero luogo solitamente a gravi abusi, in quanto viziati da un pregiudizio di fondo che reputava l’imputato colpevole prima che si producessero prove valide. Alle critiche condotte dal punto di vista dell’equità giuridica si affiancarono quelle di alcuni intellettuali – quali il prevosto di Digne e filosofo scientista Pierre Gassendi e il teologo e filosofo cartesiano Nicolas Malebranche – che credevano di poter individuare la natura delle confessioni delle streghe in affezioni provenienti da droghe allucinogene, dalle condizioni di povertà e ignoranza, nonché dall’ossessione satanica che permeava la cultura del tempo. Il loro pensiero apriva la strada a una critica piú radicale dei poteri della magia e del pensiero magico, ormai interpretato come pura e semplice superstizione. I testi in quest’ottica piú significativi provengono dall’Italia e dalla Francia. Nella prima si distinse presto la personalità di Ludovico Antonio Muratori, che nell’ambito della sua monumentale opera intitolata Antiquitates italicae Medii Aevi (1738-1743) dedicava un capitolo alle “superstizioni”; sotto questa dicitura l’erudito modenese includeva tutte le operazioni magico-stregoniche, frutto dell’ignoranza e della superstizione di poveri ignoranti. Parzialmente d’accordo con le sue tesi si dichiarava Girolamo Tartarotti, che altrettanto mosso dalla volontà di porre fine agli orrori della caccia alle streghe, operava nel suo Congresso notturno delle lammie, del 1749 (e due anni piú tardi nell’Apologia scritta a difesa del medesimo), una distinzione tra la magia – a suo dire possibile – e la stregoneria, del tutto illusoria. Il nobile veronese Scipione Maffei, piú radicale di entrambi, negò invece in numerosi scritti la realtà di tutte le credenze di tal genere: il Vecchio Testamento parlava, è vero, della magia e della necessità di estirparla con ogni mezzo, ma la venuta del Cristo aveva liberato per sempre l’umanità da queste nefandezze. Maffei era forse il piú vicino ai contemporanei francesi, quali Montesquieu e soprattutto Voltaire, altrettanto radicali nel bollare come sciocche superstizioni tutti gli eventi dei secoli passati: tanto le credenze delle streghe 130

iv · persecuzioni e modernità quanto quelle dei loro accusatori. La caccia alle streghe non era stata altro, insomma, che una grande truffa, resa possibile dall’ignoranza e dall’imbecillità, dall’oscurantismo che solo l’Età dei Lumi era stata in grado di superare. Anzi, secondo Voltaire « la sola filosofia ha guarito infine gli uomini da questa abominevole chimera, e ha insegnato ai giudici che non bisogna bruciare le imbecilli ».53 Non si deve tuttavia dimenticare che la filosofia da sola serve a spiegare poco: il freno a molti episodi di caccia alle streghe venne, come si è detto piú volte, dalla capacità dei giudici di attenersi alle procedure, di non curarsi della pressione “dal basso”, di valutare accuratamente i fatti in un clima spesso non facile. Talvolta a costo della loro stessa vita: come nel caso del giudice di Treviri Dietrich Flade il quale, durante una recrudescenza di denunce e processi cominciata per volontà dell’arcivescovo Johann von Schönenberg nel 1587, aveva giudicato con lievità e spesso liberato numerosi imputati giudicati innocenti; accusato a sua volta di stregoneria e di collusione con il demonio, nel 1589 fu torturato, strangolato e bruciato sul rogo. 6. Conclusione Si può forse dire che almeno in un senso Voltaire coglieva nel segno, seppur utilizzando categorie di giudizio (l’ “imbecillità”) rozze e inadeguate. Nei processi per stregoneria la costruzione ideologica che parte dal patto con il diavolo per arrivare sino al sabba si incontra con idee, miti, credenze e timori presenti nella popolazione; l’influenza è reciproca ed evidente a piú livelli. Nei processi per stregoneria sembra assottigliarsi il dislivello tra “alto” e “basso”, sembra venir meno quell’idea di società e di cultura “a due livelli” che ancora informa una parte della letteratura a riguardo. Tribunali e comunità locali chiedevano sovente a gran voce la persecuzione di streghe e stregoni. E quando l’autorità si mostrava tenera, succedeva che si facessero “giustizia” da soli: i linciaggi di “malefici” e “malefiche”, già presenti nella società altomedievale che ancora non conosceva la costruzione demonologica con la quale ci siamo confrontati, sono attestati lí dove le autorità non ritenevano opportuno procedere, e conti131

caccia alle streghe nuarono a lungo dopo la fine dell’epoca della caccia alle streghe. Nella Danimarca di re Cristiano III, dopo un periodo di tumulti politici e di guerre civili, a partire dagli anni 1540 diversi testimoni danno notizia di violente persecuzioni organizzate dai contadini, impegnati a cacciare le streghe « come se fossero lupi », secondo le parole di un consigliere del sovrano, Peder Palladius. Nello Jutland, nel solo anno 1543, i contadini linciarono 52 donne per la stessa ragione; tre anni dopo, in seguito ad altri casi, il sovrano decise di intervenire per porre fine alla mattanza. Quando il Parlamento di Parigi rifiutava di approvare le condanne a morte, capitava che nelle campagne i linciaggi ponessero fine al dibattito. Nell’Olanda, che dal 1608 non celebrava piú processi per stregoneria, linciaggi di streghe sono segnalati persino nelle città: ad Amsterdam nel 1624, a Rotterdam nel 1628, nel villaggio di Huizen ancora nel 1746. Nell’Ungheria sotto il dominio ottomano, che non prevedeva processi per stregoneria, i linciaggi ovviavano al problema. Senza contare che alcune pratiche come l’ordalia, praticata in diverse regioni europee, che consisteva nell’immergere le presunte streghe nell’acqua (se colpevoli, l’elemento le avrebbe rifiutate, se innocenti sarebbero rimaste sott’acqua), erano generalmente ritenute illegali dalle autorità, ma attestate a livello popolare. In realtà, l’aver relegato nell’ambito della “superstizione” l’insieme di tali credenze, se ha avuto l’indubbio e ovvio merito di aver dato il colpo finale alla caccia alle streghe, ha anche creato un distacco tra cultura d’élite e cultura diffusa (o “popolare”, se si vuole per comodità continuare a utilizzare un termine dallo statuto semantico assai dubbio) che nei due secoli successivi andrà radicalizzandosi, rendendo per noi sempre piú difficile comprendere un mondo in cui la contrapposizione fra quelle due culture non era affatto cosí netta.

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EP I LOGO

Una certa immagine romantica, poi passata alla letteratura del Novecento, vedeva la stregoneria come un portato (quando non addirittura un culto) del mondo folklorico, demonizzato da teologi e inquisitori. Alla luce di quanto detto in queste pagine, sembra evidente che pensare semplicemente a due compagini culturali (una folkloricosubalterna e una dotta-elitaria) che si confrontano è estremamente riduttivo; come scriverebbe Clifford Geertz, è una descrizione esigua, e noi abbiamo bisogno di una “descrizione densa” (thick descrip­ tion),1 cioè di un’analisi che tenga conto dell’estrema complessità che ci si para dinanzi. I novellieri toscani del Trecento di media istruzione – con l’ovvia eccezione del Boccaccio –, che sovente liquidano con qualche battuta quelle pratiche dei rustici, del vulgus, che i dottissimi domenicani del Duecento avevano invece dibattuto con interesse, appartengono alla cultura dotta contrapposta a quella folklorica? 2 Gli autori che fra XII e XIV secolo riempiono i loro scritti di mirabilia a base di piante magiche, miracoli, creature fatate, masnade di fantasmi, in quale categoria vanno posti? Il topos della vetula, che dal Duecento in poi incontriamo con frequenza nei racconti, processuali e non, di maleficium, è un prodotto della cultura folklorica o non piuttosto un portato della riscoperta della cultura classica, nella quale esso era ben presente? E il nucleo di racconto dal quale si sviluppano l’orgia della Vox in Rama o la storia del “barilotto” narrata da Bernardino da Siena, è solo l’immaginazione di frati fobici, oppure cela un nocciolo di verità? Non è una domanda improbabile: in ambito religioso, le orge rituali sono un motivo polemico comune, ma anche una pratica conosciuta e ricorrente, dai baccanali antichi fino alla setta dei khlysty russi dei primi del Novecento. Il celebre testo piccardo del XV secolo noto come Evangiles des Quenouilles,3 partecipando dello stesso spirito critico dei novellieri italiani, canzona le superstitiones, le credenze fantastiche delle donne, e parla esplicitamente della Signora dell’Abbondanza, anzi ne fa una delle protagoniste-narratrici. Ma intanto, nella stessa regione si accendevano i primi roghi contro la setta dei vaudois-sorciers. Si tratta di 133

epilogo percorsi paralleli che non si incontrano. L’offensiva antistregonica, cioè, non sembra coincidere, se non sporadicamente e per casi precisi, con una offensiva antifolklorica; anzi, testimonia semmai l’appartenenza di teologi e inquisitori alla stessa cultura degli imputati. E d’altra parte, l’Europa che emergerà dalle persecuzioni antistregoniche mostrerà un patrimonio di credenze e concezioni ben poco mutato rispetto ai secoli medievali: tanto che i grandi etnografi e folkloristi dell’Ottocento poterono repertoriarlo in lungo e in largo, e a quei repertori noi oggi attingiamo per poter trovare un riscontro a quanto leggiamo nelle fonti dell’età premoderna. Se è indubitabile che elementi rituali e credenze presenti nella cultura tradizionale europea confluirono a forgiare l’immaginario della nascente caccia alle streghe, i soli elementi folklorici non bastano però a spiegare il fenomeno. I temi della metamorfosi dei corpi, dell’infanticidio rituale, dell’avvelenamento delle fonti, della magia tempestaria che essicca i campi e impedisce la generazione di uomini e animali, cioè i temi che rendono la setta delle streghe descritta nei trattati e nei processi una cosa temibile e ben diversa dal passato, erano illustrati con dovizia di particolari nelle letture consuete del pubblico colto del Rinascimento; e quelle letture erano i classici della letteratura greco-romana, ben piú dell’innocuo Canon episcopi. La rinascita dell’interesse per il mondo classico e le sue testimonianze, insieme alla preoccupazione per la magia “alta” (la negromanzia, la divinazione, l’astrologia, ecc.), sono elementi concorrenti la cui importanza non sempre emerge con chiarezza nella storiografia sul tema. Alla luce di tutto quanto detto sinora, appare evidente la difficoltà di offrire una spiegazione monocausale per la caccia alle streghe dei secoli XV-XVIII (e dintorni): sebbene questa strada sia stata abbondantemente percorsa, è opportuno sottolineare come essa venga ormai rifiutata dalla storiografia specialistica. Di alcune di queste tendenze abbiamo già reso conto: il modello di persecuzione imposta “dall’alto” non tiene e la sola analisi dell’apparato ideologico dei demonologi e degli inquisitori non spiega l’insieme dei fenomeni. Nel campo della storia intellettuale della stregoneria alcune considerazioni importanti erano state proposte da Hugh Trevor-Roper, il quale 134

epilogo scriveva tenendo presenti le tragedie del Novecento europeo quando notava: La caccia alle streghe europea dei secoli XVI e XVII è un fenomeno che lascia perplessi: un avvertimento per coloro che vorrebbero semplificare gli stadi del progresso umano. A partire dal XVIII secolo abbiamo avuto la tendenza a vedere la storia europea, dal Rinascimento in poi, come la storia di un progresso, e quel progresso è sembrato esser costante. Ci possono esser state varianti locali, ostacoli locali, intoppi occasionali, ma il disegno generale è quello di un avanzamento costante. Continuamente, seppur irregolarmente, la luce ha la meglio sull’oscurità. Rinascimento, Riforma, Rivoluzione scientifica segnano gli stadi della nostra emancipazione dalle pastoie del Medioevo. Questo è abbastanza naturale. Quando guardiamo al passato vediamo naturalmente prima questi uomini, queste idee che puntano verso di noi. Ma quando guardiamo piú a fondo, quanto appare piú complesso questo cammino! Né il Rinascimento né la Riforma né la Rivoluzione scientifica sono, secondo i nostri parametri, puramente o necessariamente progressivi. Ognuno ha la sua doppia faccia come Giano. Ognuno è un composto di luce e di oscurità. Il Rinascimento non era solo un revival delle lettere pagane, ma anche dei misteri pagani. La Riforma non era solo un ritorno al secolo indimenticabile degli Apostoli, ma anche ai secoli poco edificanti dei re d’Israele. La Rivoluzione scientifica era attraversata da misticismo pitagorico e fantasie cosmologiche. E sotto la superficie di una società sempre piú sofisticata quali passioni e credulità infiammabili troviamo, a volte liberate spontaneamente, a volta mobilitate volontariamente! La credenza nelle streghe è una di queste forze. Nei secoli XVI e XVII non era, come i profeti del progresso potrebbero supporre, la sopravvivenza di un’antica superstizione in attesa di dissolversi. Era una nuova forza esplosiva che si espandeva costantemente e spaventosamente con il passare del tempo. In quegli anni di apparente illuminazione c’era almeno un quarto del cielo nel quale l’oscurità stava vincendo decisamente la sua battaglia a spese della luce.4

L’aver sottolineato come la stregoneria fosse ben altro che un fenomeno residuale di “età oscure” non era cosa da poco; ma a trent’anni di distanza dall’apparizione di quello scritto, Stuart Clark ha approfondito e al contempo portato in tutt’altra direzione le conclusioni di Trevor-Roper notando come, in realtà, le idee sui poteri del demonio e sulla stregoneria di età moderna siano perfettamente compatibili con l’apparato intellettuale di quell’epoca. Lo dimostra l’acuta analisi 135

epilogo del pensiero di filosofi della natura tardo-seicenteschi quali Robert Boyle e Joseph Glanvill, favorevoli alla libertà di ricerca e alla tolleranza religiosa, e al contempo sostenitori della realtà dei poteri stregonici:5 il Saducismus triumphatus di Glanvill, pubblicato postumo nel 1681, esercitò una forte influenza sul Discourse on Witchcraft (1689) di Cotton Mather e, attraverso questi, sull’intera vicenda di Salem. Dall’altro lato, gli studi di Robin Briggs hanno invitato a spostare l’attenzione dalla storia intellettuale a quella “dal basso”, perché la stregoneria si comprende soprattutto se la si considera come il risultato di una costruzione mentale, nel senso di sociale e psicologica, nella quale l’intera società – non solo i demonologi – era protagonista. Piú che cercare una spiegazione generale alla caccia alle streghe, la prospettiva è concentrare l’attenzione su situazioni locali (la Lorena, nel suo caso) per cogliere i meccanismi che a essa conducevano, analizzando i modi di pensare e di vivere, le tensioni e i conflitti intercomunitari.6 Condizioni climatiche e carestie, guerre e povertà, considerazioni sul genere e sull’età, intreccio tra costruzioni ideologiche e cultura “popolare”, droghe allucinatorie e ansie sociali: tutti questi e probabilmente molti altri fattori hanno concorso nel determinare gli accadimenti della grande stagione della caccia alle streghe. Gli studi che vengono condotti attualmente sulla stregoneria in Africa, dopo quelli “classici” degli etnologi struttural-funzionalisti della prima metà del secolo scorso (Richard Evans-Pritchard su tutti),7 vedono gli antropologi confrontarsi con comunità che hanno subito rapidi e traumatici cambiamenti dovuti ai processi di colonizzazione e decolonizzazione, nonché al gravissimo imperversare di epidemie e carestie che sovente caratterizza larga parte del continente africano. Le stesse credenze in materia di stregoneria sono sensibilmente mutate, e spesso sono proprio le popolazioni indigene a mettere in connessione l’aggravarsi dei fenomeni stregonici o il loro radicale mutamento con il sopraggiungere degli europei. Studi come quello di Peter Geschiere (che prende in considerazione i Maka del Camerun e lo sviluppo della loro reputazione di stregoni a partire dalle prime contaminazioni con la colonizzazione tedesca)8 sulla modernità della stregoneria africana postcoloniale, intesa in rapporto all’ingresso del 136

epilogo mondo globale in tali società, potrebbero offrire spunti per comparazioni e per importanti distinguo anche nella storia della caccia alle streghe europea. In un breve quanto controverso libro apparso nel 1979, La Condi­ tion postmoderne. Rapport sur le savoir, il filosofo francese Jean-François Lyotard affermava come l’epoca nella quale siamo entrati, quella postmoderna, fosse caratterizzata dal venir meno delle metanarrazioni, quelle grandi narrazioni metafisiche (quali l’illuminismo, il nazionalismo, l’idealismo, il marxismo) che hanno ispirato e giustificato ideologicamente, nell’epoca moderna, le utopie rivoluzionarie.9 Senza entrare nello specifico della teoria e del dibattito intorno al pensiero di Lyotard, si può notare come il termine “metanarrazione” sia ormai utilizzato in altri campi, piú ristretti rispetto a quello filosofico, per indicare un sistema coerente di narrazioni interrelate che condividono il desiderio di risolvere un conflitto o uno stato d’ansia, o di fornire una spiegazione di eventi, stabilendo aspettative in accordo con le forme consuete e condivise di un discorso retorico. La ragione per la quale si possono definire la caccia alle streghe e la stregoneria come una metanarrazione sta nel fatto che esse rispondevano a conoscenze e aspettative generalizzate a piú livelli nella società: il che favoriva le confessioni, e allo stesso tempo permetteva di pensare che un racconto o una testimonianza che non confermassero le proprie attese fossero da interpretare come reticenti. L’estrema varietà di concause, insomma, sembra configurare stregoneria e caccia alle streghe come una sorta di grande narrazione. Non solo nel senso che la costruzione demonologica forní alla società europea moderna un discorso all’interno del quale interpretare il mondo; ma anche e soprattutto nel senso che l’intera società del tempo, o una buona parte di essa, produsse una metanarrazione nella quale collocare e ricomporre, dando loro un senso (a volte consapevolmente, piú spesso inconsapevolmente), un insieme di fenomeni diversificati: dalle mire politiche alle liti di vicinato, dal problema del male e della sofferenza al sospetto per i marginali, con l’immensa gamma di ragioni che si possono trovare nelle zone di grigio tra tali estremi. Nel corso del Novecento, i motivi per confrontare i processi per stregoneria con vicende contemporanee sono stati numerosi, come si 137

epilogo vede dalle diverse metafore letterarie prodotte. Il Maestro e Margherita di Michail Afanas’evic] Bulgakov (1891-1940), pubblicato postumo soltanto nel 1966, è ambientato nella Mosca degli anni Trenta e, tra le diverse storie parallele di cui si compone, una vede l’apparizione a Mosca del diavolo Woland (un richiamo a Goethe, cosí come il nome di Margherita) che, in compagnia di alcune figure demoniache, con la sua presenza e azioni dissolve l’ordine pseudo-razionale su cui si regge la società moscovita. È proprio a Woland che si rivolge Margherita, accettando di divenire strega e partecipare al sabba pur di ottenere il ricongiungimento con il Maestro del quale è innamorata, perseguitato dalle autorità politiche e infine rinchiuso in un manicomio. Bulgakov da una parte utilizzava il tema stregonico e il Faust per portare avanti un discorso critico contro il regime e la società sovietici; dall’altra abbracciava un’idea romantica della stregoneria come possibile afflato di liberazione dalla costrizione dell’autorità. Soprattutto, però, è il dramma teatrale The crucible (Il crogiuolo), pubblicato da Arthur Miller nel 1953, a fornire l’esempio piú esplicito di come la stregoneria potesse servire quale metafora. Il drammaturgo statunitense adatta la vicenda di Salem per raccontare fra le righe la vita politica e sociale dell’America della Guerra fredda, in cui la caccia alle streghe del senatore McCarthy aveva messo sotto accusa la condotta del mondo intellettuale e dello spettacolo. In una efficace campagna, McCarthy spingeva gli accusati a coinvolgere con nuove denunce un numero sempre maggiore di individui, proprio come gli inquisitori avevano costretto le presunte streghe a denunciare i loro complici o avevano assecondato con la loro spregiudicatezza gli odi di vicinato o le dispute politiche, edificando su di questi la persecuzione. Nel caso del Crogiuolo, l’interpretazione della stregoneria che Miller aveva in mente era quella del potere che usa ogni strumento coercitivo per perseguire i propri interessi politici. Tanto Bulgakov quanto Miller, insomma, criticavano le metanarrazioni del loro tempo utilizzandone una del passato. Anche il nostro tempo non è però esente da metanarrazioni simili: diverse situazioni si adattano a esser comprese attraverso questo tipo di meccanismo, tanto per suggerire che l’era della caccia alle streghe non è confinata nel buio Medioevo o nella dilaniata età moderna, nella Russia sovie138

epilogo tica o nell’America della Guerra fredda. Nei casi di presunti abusi rituali satanisti che hanno scosso l’Occidente in tempi recenti, e ai quali abbiamo accennato nel Prologo, l’intenzione persecutoria proveniente dall’autorità si incontra a metà strada con una volontà “dal basso” di aderire, per motivi disparati, a tale narrazione. Su un piano piú ampio, alcuni autori, soprattutto statunitensi, hanno proposto che per il mondo musulmano contemporaneo il fondamentalismo islamico potrebbe rivestire questo tipo di funzione: sarebbe insomma una grande narrazione totalizzante atta a costruire e motivare la propria base di consenso.10 Non è opportuno discutere la tesi in questa sede. Si può tuttavia notare come il discorso sia facilmente reversibile: e se al-Qaeda e il fondamentalismo islamico fossero invece, per l’Occidente, una nuova grande narrazione? Quella che consente di legare insieme in un unico intreccio un atto terroristico a Londra con uno in Yemen; un rapimento in Mauritania con l’incendio di una chiesa in India; la condanna a morte di un cristiano in Pakistan con il “problema del velo” in Europa. Episodi distanti geograficamente e culturalmente, per connettere i quali sarebbe quantomeno necessario proporre documentazione circa l’esistenza effettiva di legami; e per il terrorismo bisognerebbe individuare ed esporre i passaggi di ordini e denaro; si dovrebbero individuare i vertici e la catena di comando di tale complotto internazionale. Ci si accontenta invece di parlare di gruppi “affiliati” ad al-Qaeda, lasciando l’intera faccenda in una genericità indistinta e senza interrogativi. Intanto, tutto questo ha riportato in auge in Occidente il problema della tortura, giudicata accettabile se somministrata per nostro conto, ma lontano dai nostri occhi, in un carcere egiziano o in una base militare sperduta. E, allo stesso modo, la certezza del diritto e delle procedure, che piú della filosofia sembrava aver posto un freno alla caccia alle streghe, si arresta a Guantanamo e dinanzi alla definizione di “nemici combattenti”. Lo “scontro di civiltà” e al-Qaeda si presentano insomma come metanarrazioni che risolvono banalmente fenomeni complessi e non riconducibili a spiegazioni monocausali; ma che per l’opinione pubblica occidentale vanno incontro all’ansia diffusa dovuta all’incertezza economica, culturale e demografica che la attanaglia, trasferendo139

epilogo la sul nemico esterno e interno: lo “straniero culturalmente non assimilabile che ci invade” (opposto allo “straniero come ricchezza” della retorica inversa). In conclusione, può darsi che le ideologie totalizzanti del Novecento siano morte, certamente la caccia alle streghe è finita, ma le grandi narrazioni dei nostri tempi postmoderni godono di ottima salute. Forse attendono soltanto un Bulgakov in grado di cantarle.

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note Bibliografia

NOTE

PROLOGO * Le ricerche per la stesura di questo libro sono state possibili grazie al Lila Wallace – Reader’s Digest Publications Subsidy. 1. P. & S. Eberle, The Abuse of Innocence: The McMartin Preschool Trial, Buffalo (N.Y.), Prometheus Books, 1993. Per un legame con la caccia alle streghe di età moderna cfr. H. Sebald, Witch-Children: From Salem Witch-Hunts to Modern Courtrooms, ivi, id., 1995. 2. Ovviamente non si vuole qui affermare l’irrealtà di violenze su bambini da parte di estranei o familiari, che sono purtroppo realtà all’ordine del giorno: si sta evidentemente parlando di fenomeni di ordine differente che riguardano abusi rituali; e anche riguardo a questo è forse opportuno precisare che culti dediti ad abusi possono anche esistere, ma sono ben lungi dall’avere diffusione e dinamiche simili a quelle qui descritte. 3. Sull’Inghilterra è attendibile J.S. La Fontaine, Speak of the Devil: Tales of Satanic Abuse in Contemporary England, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1998. 4. S. Baringer, The Metanarrative of Suspicion in Late Twentieth Century America, New York, Routledge, 2004, pp. 63-88. 5. Tutte le traduzioni, salvo diversa indicazione, sono mie.

CAPITOLO I 1. R. Caprini-M. Alinei, Sorcière, Koldunja, Witch, Hexe, Bruja, Strega, in Atlas lingua­ rum europae, dir. W. Viereck et alii, Roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, 2007, i/7 pp. 169-216. 2. Di tale difficoltà sono perfettamente coscienti Caprini e Alinei, che scrivono infatti: « We want to underline immediately that the authors of the map and commentary found that various choices were made – as the ALE organization requires – by the National Committees » (‘Vogliamo sottolineare immediatamente che gli autori della mappa e del commento hanno trovato che diverse scelte erano state già fatte – come l’organizzazione dell’ALE richiede – dai comitati Nazionali’; ivi, p. 169). 3. Varrone, De re rustica, i 37. 4. Petronio, Satyricon, 63. 5. Plinio, Naturalis historia, xi 95 232. 6. Cosí nel dialetto tedesco di Westfalia. 7. Cosí nel Mediolatino di Gallia. 8. Erodoto, Hist., i 101. 9. Lattanzio, Div. Inst., ii 17 1. 10. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, viii 9 9. 11. Concordantiam Discordantium Canonum seu Decretum Gratiani, in Patrologiae cursus

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note completus […]. Series Latina (d’ora in avanti PL), accurante J.-P. Migne, Parisiis, apud J.-P. Migne, 1844-1864, 187, ii, c. xvi, q. 5, col. 1352. 12. J.-Cl. Schmitt, Le spectre de Samuel et la sorciére d’En-Dor. Avatars historiques d’un récit biblique: i Rois 28, in « Etudes Rurales », 105-106 1987, pp. 37-64; La maga di Endor, a cura di M. Simonetti, Firenze, Nardini, 1989; J.-Cl. Schmitt, Les revenants. Les vivants et les morts dans la société médiévale, Paris, Gallimard, 1994. 13. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, ii-ii q. 95 a. 3. 14. Ivi, p. ii q. iv c. i. 15. Concordantiam Discordantium Canonum, cit., ii q. iii c. vi. 16. M. Johnson, Potions, in Encyclopedia of Witchcraft. The Western Tradition, ed. by R.M. Golden, Santa Barbara, ABC-Clio, 2006, iii pp. 925-27. 17. J. Bremmer, Scapegoat Rituals in Ancient Greece, in « Harvard Studies in Classical Philology », 87 1983, pp. 299-320; B. McLean, On the Revision of Scapegoat Terminology, in « Numen », 37 1990, pp. 168-73. 18. G. Semerano, Le origini della cultura indoeuropea, ii/1. Dizionario della lingua greca, Firenze, Olschki, 1994, p. 303. 19. J. Derrida, La farmacia di Platone, in Id., La disseminazione, trad. it. Milano, Jaca Book, 1985, pp. 163-71. 20. Platone, Timeo, 89b. 21. Gen., 30 1-24. Cfr. H.F. Clark, The Mandrake Fiend, in « Folklore », 73 1962, pp. 25769; C. Boureux, Les plantes de la Bible et leur symbolique, Paris, Éditions du Cerf, 2001. 22. Ez., 47 12. 23. Sirach, 38 4. 24. Ivi, 38 5. 25. Es., 15 24-25. 26. Gen., 30 38-39. 27. iii Reg., 4 33. 28. F. Graf, La magia nel mondo antico, trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 54. 29. Livio, Ab Urbe condita, 8 18. Per un commento cfr. L. Monaco, Veneficia matrona­ rum. Magia, medicina e repressione, in Sodalitas. Studi in onore di Antonio Guarino, Napoli, Jovene, 1984, pp. 2013 sgg. 30. Tacito, Annales, ii 69. 31. Graf, La magia nel mondo antico, cit., p. 53. 32. E. Cantarella, I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 213-22. 33. Ulpiano, Digesto, 48 tit. 4 s 1. 34. M. Sbriccoli, Crimen lesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano, Giuffrè, 1974. 35. Plinio, Naturalis historia, xxv 25. 36. Plutarco, De Iside, e. 26. 37. Lucanio, Farsalia, vi. 38. Virgilio, Ecloghe, viii. 39. Orazio, Satire, i 8. 40. Ibid.

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note 41. Orazio, Epodi, v. 42. Ibid. 43. Seneca, Medea, 731 sgg. 44. Per una esemplificazione piú ampia si rinvia a A.M. Tupet, La magie dans la poésie latine, Paris, Les Belles Lettres, 1976; G. Luck, Il magico nella cultura antica, trad. it. Milano, Mursia, 1994; Graf, La magia nel mondo antico, cit.; U. Lugli, La magia a Roma, Genova, Ecig, 1996. In particolare, sulla stregoneria greca e romana, vd. risp. A. Bernard, Sorciers grecs, Paris, Fayard, 1991; L. Cherubini, Strix. La strega nel mondo antico, Torino, Utet, 2010. Sul rapporto fra la magia legata all’uso delle piante nel mondo antico e in quello altomedievale è essenziale F. Cardini, Le piante magiche, in L’ambien­ te vegetale nell’alto medioevo. Atti delle Settimane di Studi del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 30 marzo-5 aprile 1989, Spoleto, Cisam, 1990, pp. 623-58. 45. Orazio, Satire, i 8. 46. Ovidio, Metamamorfosi, xiv 179. 47. Ovidio, Fasti, vi 131-43. 48. Plinio, Naturalis historia, xxxiii 62; Petronio, Satyricon, 63. 49. Apuleio, Metamorfosi, iii 17. 50. Ivi, iii 21. 51. Ammiano Marcellino, Storie, xix 12 14. 52. È l’ipotesi ben argomentata di J.B. Rives, Magic in Roman Law. The Reconstruction of a Crime, in « Classical Antiquity », 22 2003, pp. 313-39. 53. Codex theodosianus, 9 16 0, 3 16 1. 54. Gal., 5 20-21. 55. Corpus Christianorum, Serie latina, xxiii. Maximi Taurinensis ‘Sermones’, xxx-xxxi, studio et cura A. Mutzenbecher, Turnhout, Brepols, 1972, pp. 116-23. 56. Ibid. 57. Corpus Christianorum, Series latina, l. Cesarii Arelatensis ‘Sermones’, ed. G. Morin, Turnhout, Brepols, 1953, pp. 224-27. 58. Lex Salica, hrsg. von K.A. Eckhardt, in MGH. Leges Nationum Germanicarum, Hannover, Hahn, iv/2 1969, p. 66. 59. Lex Salica, hrsg. von J. Merkel und J. Grimm, Berlin, W. Hertz, 1850, p. 34. 60. Lex Visigothorum, hrsg. von K. Zeumer, in MGH. Leges Nationum Germanicarum, cit., i 1902, p. 259. 61. Ibid. 62. Leges Burgundionum, hrsg. von L.R. von Salis, in MGH. Leges Nationum Germa­ nicarum, cit., ii/1 1892, p. 144. 63. Codex theodosianus, iii 16 1. 64. Lex Ribuaria, hrsg. von F. Beyerle und R. Buchner, in MGH. Leges Nationum Germanicarum, cit., iii/2 1954, p. 131. 65. Edictus Langobardorum, hrsg. von F. Bluhme, in MGH. Leges, Hannover, Hahn, iv 1868, p. 48. Su masca cfr. R. Caprini, La strega mascherata, in Masca, maschera, masque, mask. Testi e iconografia nelle culture medievali, a cura di R. Brusegan, M. Lecco, A. Zironi, num. mon. di « L’immagine riflessa. Testi, società, culture », 9 2000, pp. 59-73. L’aldia è una figura di non-libera nel regno longobardo.

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note 66. Ovidio, Fasti, v 421-544. 67. S. Agostino, Città di Dio, ix 11. 68. Lex Alamannorum, hrsg. von G.H. Pertz, in MGH. Leges, cit., iii 1858, p. 36. 69. Indiculus superstitionum et paganiarum, hrsg. von A. Boretius, in MGH. Leges. Capitularia regum Francorum, Hannover, Hahn, i 1883, pp. 222-23. 70. Capitulare de villis et curtis, hrsg. von A. Boretius, ivi, i pp. 82-91. 71. Agobardo di Lione, Liber de grandine et tronituis, in PL, 104, col. 151. 72. Capitulatio de partibus Saxoniae, hrsg. von A. Boretius, in MGH. Leges. Capitula­ ria regum Francorum, cit., i p. 68. 73. Admonitio generalis, hrsg. von A. Boretius, ivi, i p. 52. 74. Capitolare missorum item speciale, hrsg. von A. Boretius, ivi, i p. 104. 75. Capitula de examinandis ecclesiasticis, hrsg. von A. Boretius, ivi, i p. 110. 76. Ansegisi abbatis capitularium collectio, hrsg. von A. Boretius, ivi, i p. 402. 77. Additamenta ad Hludowici Pii capitularia, hrsg. von A. Boretius und V. Krause, in MGH. Leges. Capitularia regum Francorum, Hannover, Hahn, ii 1897, p. 44. 78. Ivi, p. 45. 79. Additamenta ad Capitularia regum Franciae orientalis, hrsg. von A. Boretius und V. Krause, ivi, ii p. 241. 80. Ex., 22 18. 81. Capitularia regum Franciae occidentalis (Karoli II), hrsg. von A. Boretius und V. Krause, in MGH. Leges. Capitularia regum Francorum, cit., ii p. 345. 82. Additamenta ad Capitularia regum Franciae occidentalis (Karoli II), hrsg. von A. Boretius und V. Krause, ivi, ii p. 444. 83. Additamenta ad Capitularia regum Italiae, hrsg. von A. Boretius und V. Krause, ivi, ii p. 122. 84. The Laws of the Earliest English Kings, ed. by F. Levi Attenborough, New York, AMS Press, 19743; The Laws of the Kings of England from Edmund to Henry I., ed. by A.J. Roberton, ivi, id., 19742. 85. Les “libri paenitentiales”, éd. par C. Vogel, Turnhout, Brepols, 1978. 86. Consultabili online: http://www.anglo-saxon.net/penance/. 87. Reginonis Prumiensis De ecclesiasticis disciplinis et religione christiana libri duo, in PL, 132, col. 352. 88. Burchardi Wormatensis Corrector et medicus (Decretorum liber xix), in PL, 140, coll. 963-64. Cfr. C. Vogel, Pratiques superstitieuses au début du XIe siècle d’après le ‘Corrector sive medicus’ de Burchardus, évêque de Worms (965-1025), in Études de civilisation médiévale (IX-XII siècles): Melanges offerts à Édmond-René Labande, Poitiers, Centre d’études supérieurs de civilisation médiévale, 1974, pp. 751-61. 89. S. Gregorius VII, Registrum, in PL, 148, coll. 563-65. 90. A Szent István, Szent László és Kálmán korabeli törvények és zsinati határozatok forrásai (Függelék: a törvények szövege), ed. Z. Levente, Budapest, Kiadja a Szent-István-Társulat tud. és irod. osztálya, 1904, p. 153. 91. Vita Hludovici imperatoris, hrsg. von G.H. Pertz, in MGH. Scriptores, Hannover, Hahn, ii 1829, p. 639. 92. Ms. 60, Society of Antiquaries, London, fols. 54v-55r.

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note 93. Annales Fuldenses, hrsg. von G.H. Pertz, in MGH. Scriptores, cit., i 1826, p. 414. 94. J. Hansen, Zauberwhan, Inquisition und Hexenprozess im Mittelalter, und die Entste­ hung der grossen Hexenwerfolgung, Aalen, Scientia, 19642, pp. 116-19. 95. Laxdaela Saga, ed. by M. Magnusson and H. Pálsson, Harmondsworth, Penguin, 1969, pp. 135 sgg.

CAPITOLO II 1. Ma la sua cronaca sembra esser stata redatta verso la fine del secolo precedente: Radulphi de Coggeshall Chronicon Anglicanum, ed. by J. Stevenson, London, Rolls Series, 1875. 2. I Pubblicani erano gli ebrei, guardati con disprezzo dalla loro gente, che collaboravano con l’Impero romano. Cfr. la parabola del Fariseo e del Pubblicano in Lc., 18 9-14. Non è noto per quali ragioni il termine, attestato con questo significato in Inghilterra, sia passato a indicare i catari: Gervase of Tilbury, Otia Imperialia: Recreation for an Emperor, ed. by S.E. Banks and J.W. Binns, Oxford, Oxford Univ. Press, 2002, pp. xxvii-xxviii; possiamo tuttavia supporre che si tratti di un errore dell’autore o di un copista: “pubblicani” invece di “pauliciani”, il cui nome poteva essere storpiato talvolta in “pobliciani”, setta manicheista armena: N.G. Garsoian, The Paulician Heresy. A Study in the Origin and Development of Paulicianism in Armenia and the Eastern Provinces of the Byzantine Empire, The Hague, Mouton, 1967. 3. At., 8 9-25. Rodolfo tuttavia non si riferisce agli Atti degli Apostoli, ma agli apocrifi Atti di Pietro, nei quali viene narrata la morte di Simon Mago. Nel Foro, per dimostrare i suoi poteri, Simon Mago levita in alto nei cieli, ma l’apostolo Pietro chiede a Dio di frenarne il volo, e Simone cade rompendosi le gambe. A quel punto la folla, parteggiando per Pietro, lo lapida. 4. Per una dettagliata analisi del catarismo cfr. M. Roquebert, L’épopée cathare, Paris, Librairie Académique Perrin, 2006-2007, 5 voll. Per il collegamento con la storia dell’inquisizione: F. Cardini-M. Montesano, La lunga storia dell’Inquisizione, Roma, Città Nuova, 2005. 5. Gregorius IX, Registrum, hrsg. von G.H. Pertz, in MGH. Epistolae saeculi XIII selectae, Berlin, Weidmannsche Buchhandlung, i 1883, pp. 432-33. 6. Le registre d’inquisition de Jacques Fournier (évêque de Pamiers). 1318-1325, éd. par J. Duvernoy, La Haye, Mouton, 1978, 3 voll., i pp. 255, 283, 309; iii pp. 766-67, 787. 7. J. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte des Hexenwahns und der hexen­ verfolgung im Mittelalter, Bonn, C. Georgi, 1901, pp. 5-6. 8. A. Boureau, Le pape et les sorciers: une consultation de Jean XXII sur la magie en 1320, Rome, École française de Rome, 2004. 9. E. Albe, Autour de Jean XXII: Hugues Géraud, évêque de Cahors. L’affaire des poisons et envoûtements en 1317, Cahors, J. Girma, 1904. 10. Die Konstitutionen Friedrichs II. Für das Königreich Sizilien, hrsg. von W. Stürner, in MGH. Leges const., Hannover, Hahn, ii (suppl.) 1996, p. 435. 11. Ivi, p. 341.

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note 12. Cantarella, I supplizi capitali, cit., passim. 13. Die Konstitutionen Friedrichs II. Für das Königreich Sizilien, hrsg. von W. Stürner, in MGH. Leges const., cit., ii (suppl.) p. 436. 14. Utile a proposito F. Collard, Le crime de poison au Moyen Âge, Paris, Puf, 2003. 15. Rutebeuf, Il miracolo di Teofilo, a cura di A. d’Agostino, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2000. 16. Liber exemplorum ad usum praedicantium, in Ms. lat. 16481, Paris, Bibliothèque nationale de France, Sermo 78, f. 116r. 17. S. Agostino, De Divinatione Daemonum, iia-iiae q. 96 a. 2 ad 3. 18. A. Boureau, Satan hérétique. Histoire de la démonologie (1280-1330), Paris, Odile Jacob, 2004; cfr. anche J.B. Russel, Il diavolo nel Medioevo, trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1999. 19. A. Vauchez, Saints, prophètes et visionnaires. Le pouvoir surnaturel au Moyen Age, Paris, Albin Michel, 1999. 20. Sul sospetto concernente il profetismo femminile e un possibile legame con la caccia alle streghe cfr.: G.M. Jantzen, Power, Gender and Christian Mysticism, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1997; N. Caciola, Discerning Spirits: Divine and Demonic Possession in the Middle Ages, Ithaca (N.Y.)-London, Cornell Univ. Press, 2003; D. Elliott, Proving Woman: Female Spirituality and Inquisitional Culture in the Later Middle Ages, Princeton (N.J.), Princeton Univ. Press, 2004; G. Klaniczay, The Process of Trance, He­ avenly and Diabolic Apparitions in Johannes Nider’s Formicarius, in Procession, Performance, Liturgy, and Ritual, ed. by N. van Deusen, Ottawa, Claremont Cultural Studies, 2007, pp. 203-58. 21. Les exemples du Livre des abeilles, ed. H. Platelle, Turnhout, Brepols, 1997, pp. 265-66. 22. Dits en quatrains d’alexandrins monorimes de Jehan de Saint-Quentin, éd. par B. Munk Olsen, Paris, Société des Anciens textes français, 1978, pp. 105-12. 23. Sulla vicenda si veda A. Provost, Domus Diaboli. Un évêque en procès au temps de Philippe le Bel, Paris, Belin, 2010. 24. Cfr. B. Frale, L’ultima battaglia dei Templari. Dal codice ombra d’obbedienza militare alla costruzione del processo per eresia, Roma, Viella, 2001; Ead., Il papato e il processo ai Tem­ plari. L’inedita assoluzione di Chinon alla luce della Diplomatica pontificia, ivi, id., 2003. 25. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., pp. 8-15. 26. Bernard Gui, Manuel de l’Inquisiteur, éd. par G. Mollat, Paris, Les Belles Lettres, 1964, 2 voll. 27. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., pp. 55-59. 28. Ivi, pp. 59-63. 29. Ivi, pp. 64-65. Cfr. M. Ascheri, Streghe e “devianti”: alcuni consilia apocrifi di Bartolo da Sassoferrato?, in Scritti di storia del diritto offerti dagli allievi a Domenico Maffei, a cura di M. Ascheri, Padova, Antenore, 1991, pp. 203-34. 30. Nicolas Eymerich, Le manuel des inquisiteurs, éd. par L. Sala-Molins, Paris-La Haye, Mouton, 1973, pp. 47-77. 31. L. Thorndike, University Records and Life in the Middle Ages, New York, Columbia Univ. Press, 1944, pp. 261-66.

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note 32. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., pp. 67-71. 33. Ivi, pp. 16-17. 34. W. Stieber, Pope Eugenius IV, the Council of Basel and the Secular and Ecclesiastical Authorities in the Empire, Leiden, Brill, 1987; sulla stregoneria in Savoia cfr. M. BrocardPlaut, Diableries et Sorcelleries en Savoie, Le Côteau, Editions Horvath, 1986. 35. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., pp. 17-18. 36. Ivi, pp. 19-20. 37. L’imaginaire du sabbat. Édition critique des textes les plus anciens (1430c.-1440c.), éd. par M. Ostorero et alii, Lausanne, Univ. de Lausanne, 1999. Cfr. anche: E. Maier, Trente ans avec le diable: Une nouvelle chasse aux sorciers sur la Riviera lémanique (1477-1484), ivi, id., 1996; S. Strobino, Françoise sauvée des flammes? Une Valaisianne accusée de sorcellerie au XV e siècle, ivi, id., 1996; Inquisition et sorcellerie en Suisse romande. Le registre Ac 29 des Archives cantonales vaudoises (1438-1528), éd. par M. Ostorero, K. Utz Tremp, G. Modestin, ivi, id., 2007; M. Ostorero, « Folâtrer avec les démons  ». Sabbat et chasse aux sorciers à Vevey en 1448, ivi, id., 2008. 38. M. Ostorero, Itinéraire d’un inquisiteur gâté: Ponce Feugeyron, les juifs et le sabbat des sorciers, in « Médiévales » 43 2002, pp. 103-18; Ead., The Concept of the Witches’ Sabbath in the Alpine Region (1430-1440): Text and Context, in Demons, Spirits, Witches, iii. Witchcraft Mythologies and Persecutions, ed. by É. Pócs and G. Klaniczay, Budapest, Central European Univ. Press, 2008, pp. 15-34. 39. Cfr. almeno W.R. Jones, Political Uses of Sorcery in Medieval Europe, in « The Historian », 34 1972, pp. 670-87; R. Muchembled, Le Roi et la Sorciere. L’Europe des Buchers. XV e-XVIIIe Siecles, Paris, Gallimard, 1979; A. Borst, Anfänge des Hexenwahns in den Al­ pen, in Id., Barbaren, Ketzer, und Artisten: Welten des Mittelalters, München, Piper, 1988, pp. 262-86; J. Chiffoleau, Amedee VIII ou la Majeste impossible?, in Amedee VIII-Felix V, premier duc de Savoie et pape (1383-1451), éd. par B. Andenmatten et A. Paravicini Bagliani, Lausanne, Bibliothèque Historique Vaudoise, 1992, pp. 19-49. 40. Quanto alla parola, la prima menzione sembra esser comparsa in un processo francese del 1446: cfr. Ostorero, The Concept of the Witches’ Sabbath in the Alpine Region, cit., p. 28. 41. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., pp. 195-200. 42. Ivi, pp. 200-7. 43. Ivi, pp. 212-15. 44. Ivi, pp. 124-30. 45. Ivi, pp. 149-83, 188-95. 46. Ivi, pp. 183-88. 47. F. Mercier, La Vauderie d’Arras. Une chasse aux sorcières à l’Automne du Moyen Âge, Rennes, Presses Univ. de Rennes, 2006. 48. In passato attribuito al lavoro congiunto di Heinrich Krämer e Jakob Sprenger, il Malleus è oggi prevalentemente ascritto al primo: G. Jerouschek, Heinrich Kramer (Institoris), in Encyclopedia of Witchcraft, cit., iii pp. 612-13. 49. Innocentii VIII Summis desiderantes, in Magnum Bullarium Romanum, Augusta Taurinorum, ex Typographia Regia, 1860, v pp. 296-98. 50. Heinrich Institoris, Malleus Maleficarum in Tres Divisus Partes, Frankfurt a.M.,

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note apud Nicolaum Bassaeum, 1580. Un’ottima traduzione annotata è Id., Der Hexenham­ mer: Malleus Maleficarum, hrsg. von G. Jerouschek, W. Behringer, W. Tschacher, München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 2000. 51. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., pp. 30-31. 52. G. Farinelli-E. Paccagnini, Processo per stregoneria a Caterina de’ Medici. 1616-1617, Milano, Rusconi, 1989, pp. 21-22. 53. P. Piccolomini, Documenti senesi sull’Inquisizione, in « Bullettino senese di storia patria », 15 1908, pp. 237-42; G. Severino, Note sull’eresia a Siena fra i secoli XII e XIV, in Studi sul medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen, Roma, Ist. Storico Italiano per il Medio Evo, 1974, ii p. 905; G. Sanesi, Un episodio di eresia del 1383, in « Bullettino senese di storia patria », 93 1986, pp. 384-88.

CAPITOLO III 1. W. Shakespeare, Romeo e Giulietta, trad. it. di S. Quasimodo, Milano, Mondadori, 2001 i iv, pp. 46-51. 2. J. Grimm, Teutonic Mythology, English translation London, George Bell & Sons, 1888, iv pp. 1367-70. 3. Joannis Saresberiensis Polycraticus sive de nugis curialium et vestigiis philosophorum, in PL, 199, col. 436. 4. Guilielmi Alverni De universo creaturarum, in Id., Opera omnia, Aureliae, F. Hotot, 1674, p. 1066. 5. Stephanus de Borbone, Tractatus de diversis materiis praedicabilibus, cura et studio J. Berlioz and J.-L. Eichenlaub, Brepols, Turnhout, 2002, p. 311. 6. Vincentius Bellovacensis, Speculum morale, opera et studio theologorum benedictinorum Collegij Vedastini in alma Academica Duacensi, Duaci, Baltazaris Belleri, 1624, coll. 1111-17 (rist. an. Graz, Akademische Druck-u. Verlagsanstalt 1964). 7. Guillame de Lorris-Jean de Meun, Le Roman de la Rose, éd. par E. Langlois, Paris, Firmin-Didot, 1922, pp. 229-30. Citiamo qui la traduzione proposta da Pietro G. Beltrami (http://www.webalice.it/pietro_beltrami/Rosa/Rosa_Indice.html, vv. 18425-60), con la sola variante « Dame Abonde » per il suo « donna Abbondo ». 8. Sulla trasformazione e la demonizzazione subita da questi temi nel corso del Medioevo cfr. L. Harf-Lancner, Morgana e Melusina. La nascita delle fate nel Medioevo, trad. it. Torino, Einaudi, 1989; J.-Cl. Schmitt, Medioevo superstizioso, trad. it. RomaBari, Laterza, 2004, pp. 145 sgg. 9. Cfr. W. Deonna, Croyances funeraires. La soif des mort. Le mort musiciens, in « Revue de l’Histoire des Religions », 119 1939, pp. 53-81; O. Cavalcanti, Cibo dei vivi, cibo dei morti, cibo di Dio, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995; B. Tragni, Il cibo dei morti, Bari, Palomar, 2006. 10. Fra Iacopo Passavanti, Lo specchio della vera penitenza, a cura di F.L. Polidori, Firenze, Le Monnier, 1856, p. 319. 11. Ivi, p. 317. 12. Domenico Cavalca, Esempi, a cura di M. Ciccuto, in Racconti esemplari di predi­

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note catori del Due e Trecento, a cura di G. Varanini e G. Baldassarri, Roma, Salerno Editrice, 1993, iii p. 72. 13. Domenico Cavalca, Specchio de’ peccati, a cura di F. Del Furia, Firenze, Tip. all’Insegna dell’arte, 1828, p. 77. Da qui anche le citazioni precedenti. 14. Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Milano, Mondadori, 19956, 2 voll., viii 9. 15. Ibid. 16. Vocabolario della lingua italiana già compilato dagli Accademici della Crusca, a cura di G. Manuzzi, Firenze, appresso David Passigli e socj, 1833, i/1 p. 829. L’espressione « [ire] ad cursum Diane » è attestata nel processo ai cosiddetti “benandanti”: C. Ginzburg, I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino, Einaudi, 1966, p. 22. 17. Boccaccio, Decameron, ed. cit., viii 9. 18. Rodolfo il Glabro, Cronache dell’anno Mille (Storie), a cura di G. Cavallo e G. Orlandi, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, 1989, p. 255. 19. Chronicon saxonicum, seu Annales rerum in Anglia præcipue gestarum, ed. E. Gibson, Oxford 1692 (rist. an. Whitefish [MT], Kessinger Publishing, 2009), p. 232. 20. Ekkehardi Uraugiensis Chronica, ed. G. Waitz, in MGH. Scriptores, Hannover, Hahn, iv 1869, p. 256. 21. Orderici Vitalis Historia ecclesiastica, ed. by M. Chibnall, Oxford, Oxford Univ. Press, 1969-1978, 6 voll., iv pp. 212-15. 22. Walter Map, Svaghi di corte, a cura di F. Latella, Parma, Pratiche, 1991, pp. 134 sgg. 23. Bernard Gui, Manuel, cit., ii p. 22. 24. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., 69. 25. Farinelli-Paccagnini, Processo per stregoneria a Caterina de’ Medici, cit., pp. 20 sgg. Per un ampio commento cfr. C. Ginzburg, Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino, Einaudi, 1989, pp. 68-70, 77, 79. 26. Rudolf von Schlettstadt, Storie memorabili, a cura di S.M. Barillari, MilanoTrento, Luni, 1998, p. 127. 27. E che affondano le radici in un passato lontano; già i cristiani erano stati accusati, nel mondo antico, di cerimonie e rituali omicidi e orgiastici: difendeva le comunità cristiane da tali accuse infamanti Tertulliano, Apologeticum, vi. 28. Stephanus de Borbone, Tractatus, cit., p. 311. 29. Bernardino da Siena, Prediche volgari sul Campo di Siena 1427, a cura di C. Delcorno, Milano, Rusconi, 1989, ii pp. 793-94; sull’Osservanza francescana e la stregoneria cfr. M. Montesano, Supra acqua et supra ad vento. Superstizioni, maleficia e incanta­ menta nei predicatori francescani osservanti (Italia, sec. XV), Roma, Ist. Storico Italiano per il Medio Evo, 1999. 30. C.H. Haskins, La Rinascita del XII secolo, trad. it. Bologna, Il Mulino, 1972; G. Garancini, Natura, uomo, scienza nella Rinascita del XII secolo, Monza, Bietti, 1974. 31. T. Gregory, Anima mundi. La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Firenze, Sansoni, 1955; É. Jeauneau, L’âge d’or des écoles de Chartres, Chartres, Houvet, 1995; M. Lemoine, Intorno a Chartres. Naturalismo platonico nella tradizione cristiana del XII secolo, Milano, Jaca Book, 1998.

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note 32. Sulla magia in quest’epoca cfr. L. Thorndike, The History of Magic and Experi­ mental Science, New York-London, Macmillan, 1923, 8 voll.; P. Zambelli, L’ambigua na­ tura della magia, Milano, Il Saggiatore, 1991; R. Kieckhefer, La magia nel Medioevo, trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1993; Schmitt, Medioevo superstizioso, cit, 1993; F. Cardini, De­ moni e meraviglie. Magia e stregoneria nella società medievale, Bitonto, Edizioni Raffaello, 1995; G. Federici Vescovini, Medioevo magico. La magia tra religione e scienza nei secoli XIII e XIV, Torino, Utet, 2008. 33. Ruggero Bacone, I segreti dell’arte della natura e confutazione della magia, Milano, Arché, 1945. 34. E. Garin, Un manuale di magia: “Picatrix”, in Id., L’età nuova. Ricerche di storia della cultura dal XII al XVI secolo, Napoli, Morano, 1969, pp. 387-419. 35. R. Kieckhefer, Forbidden Rites. A Necromancer’s Manual of the Fifteenth Century, University Park (Pa.), Perm State Univ. Press, 1998. 36. E. Garin, Le “elezioni” e il problema dell’astrologia, in Id., L’età nuova, cit., pp. 421-27; cfr. anche Id., La cultura del Rinascimento, Bari, Laterza, 1967; C. Vasoli, I miti e gli astri, Napoli, Guida, 1977. 37. P. Dronke, Problemata Hildegardiana, in « Mittellateinisches Jahrbuch », 16 1981, pp. 97-131; Id., Donne e cultura nel Medioevo, trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1986; Hildegard of Bingen. The context of her thought and art, ed. by C. Burnett and P. Dronke, London, The Warburg Institute, 1998. 38. M.L. Cameron-S. Keynes-A. Orchard, Anglo-Saxon Medicine, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 2006. 39. Kieckhefer, La magia nel Medioevo, cit., p. 86. 40. Le Liber de virtutibus. Herbarum lapidum et animalium (Liber aggregationis). Un texte à succès attribué à Albert Le Grand, éd. par I. Draelants, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2008; cfr. anche I. Draelants-A. Sannino, Albertinisme et hermétisme dans une anthologie en faveur de la magie, le ‘Liber aggregationis’: prospective, in Mélanges offerts a Hossam Elkhadem par ses amis et élèves, éd par. F. Daelemans et alii, Bruxelles, Archives et Bibliothèques de Belgique, 2007, pp. 223-55. 41. Per una trattazione piú accurata cfr. M. Montesano, Malattie e rimedi negli scritti di Ildegarda di Bingen, in Terapie e Guarigioni in età normanno-sveva, a cura di A. Paravicini Bagliani, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2010, pp. 215-33. 42. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, ii-ii q. 96 a. 2. 43. Gal., 5 20. 44. Gottfried Von Strassburg, Tristano, a cura di L. Mancinelli, Torino, Einaudi, 1985. 45. A Contemporary Narrative of the Proceedings Against Dame Alice Kyteler, Prosecuted for Sorcery in 1324, ed. by T. Wright, London, Camden Society, 1843, p. 31; The Sorcery Trial of Alice Kyteler, ed. by L.S. Davidson and J.O. Wards, Binghampton-New York, Center for Medieval and Early Renaissance Studies, 1993, p. 28. 46. Continuateur de la Chronique de Guillaume de Nangis, in F.-P.-G. Guizot, Collection des mémoires relatifs à l’histoire de France, Paris, Dépot central de librairie, 1823-1834, xiii pp. 349-50. 47. Virgilio, Bucoliche, iii.

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note 48. Bernardino da Siena, Prediche volgari, cit., ii pp. 1007-9. 49. Bernardino da Siena, Seraphim, Bergamo, Biblioteca civica « Angelo Mai », Cod. Delta V 23, pr. xxvii, ff. 171r-173v. 50. Ibid. 51. D. Mammoli, Processo alla strega Matteuccia di Francesco, 20 marzo 1428, Todi, s.e., 1969. 52. Hansen, Quellen und Untersuchungen zur Geschichte, cit., p. 196. 53. Cfr. le due edizioni: Giovanfrancesco Pico della Mirandola, La strega o vero de gli inganni de demoni, a cura di I. Li Vigni, Genova, Ecig, 1988, e Id., Strega o delle illu­ sioni del demonio, nel volgarizzamento di Leandro Alberti, a cura di A. Biondi, Venezia, Marsilio, 1989, pp. 57-98. 54. Francesco Maria Guaccio, Compendium maleficarum, a cura di L. Tamburini, Torino, Einaudi, 1992, pp. 86-87. 55. Ivi, p. 93. 56. Jean Bodin, De la Démonomanie des Sorciers, Paris, chez Jacques du-Puys Libraire Iuré, 1587, cfr. http://digital.library.cornell.edu/cgi/t/text/text-idx?c=witch;idno= wit022, 16.

CAPITOLO IV 1. Per le differenti cifre proposte e per un profilo generale cfr. J.B. Russel, Witchcraft in the Middle Ages, Ithaca-London, Cornell Univ. Press, 1972; R. Kieckhefer, European Witch Trials: Their Foundations in Popular and Learned Culture, 1300-1500, London, Routledge, 1976; New Perspectives on Witchcraft, Magic, and Demonology, ed. by B.P. Levack, New York, Garland, 2001, 6 voll.; Witchcraft and Magic in Europe, ed. by B. Ankarloo and S. Clark, Philadelphia, Univ. of Pennsylvania Press, 1999-2003, 2 voll.; W. Behringer, Witches and Witch-Hunts, English translation Cambridge, Polity Press, 2004; B.P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, trad. it. Roma-Bari, Laterza, 2007; una raccolta di saggi molto recente su vari aspetti qui affrontati è Chasses aux sorcières et démonologie. Entre discours et pratiques (XIV e-XVIIe siècles), éd. par M. Ostorero, G. Modestin, K. Utz Tremp, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2010. 2. E.M. Kern, Austria, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., i pp. 70-75. 3. Hexen und Hexenprozesse, hrsg. von W. Behringer, München, Deutscher Taschenbuch, 19953; W. Behringer, Witchcraft Persecutions in Bavaria: Popular Magic, Reli­ gious Zealotry and Reason of State in Early Modern Europe, English translation Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1998; L. Roper, Witch Craze: Terror and Fantasy in Baroque Ger­ many, New Haven-London, Yale Univ. Press, 2004. 4. M.S. Dupont-Bouchat, La répression de la sorcellerie dans le Duché de Luxembourg aux XVIe et XVIIe siècles, in Id., Prophetes et sorciers dans les Pays-Bas, XVIe-XVIIIe siecle, Paris, Hachette, 1978, pp. 41-154. 5. O. Seger-P. Putzer, Hexenprozesse in Liechtenstein und das Salzburger Rechtsgu­ tachten von 1682, Wien, Österreichischer Kunst und Kulturverlag, 1987. 6. G. Henningsen, Witch Hunting in Denmark, in « Folklore », 93 1982, pp. 131-37;

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note Behringer, Witches and Witch-Hunts, cit., p. 150; J.C.V. Johansen, Denmark, in Encyclo­ paedia of Witchcraft, cit., i pp. 265-69. 7. P. Sörlin, Wicked Arts: Witchcraft and Magic Trials in Southern Sweden, 1635-1734, Leiden, Brill, 1998; Id., Sweden, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., iv pp. 1092-96. 8. M. Nenonen, “Envious Are All the People, Witches Watch at Every Gate”: Finnish Witches and Witch Trials in the 17th Century, in « Scandinavian Journal of History », 18 1993, pp. 77-91; Id., Finland, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., ii pp. 373-77. 9. L.H. Willumsen, The Witchcraft Trials in Finnmark, Bergen, Varanger Museum and Skald Publisher, 2010. 10. Prophètes et sorciers dans le Pays-Bas XVIe-XVIIIe siècle, éd. par M.-S. Dupont-Bouchat, W. Frijhoff, R. Muchembled, Paris, Hachette, 1978; La sorcellerie dans les PaysBas sous l’Ancien Régime: Aspects juridiques, institutionnels et sociaux, éd. par M.-S. DupontBouchat, Courtrai, UGA, 1987; M. Gijswijt-Hofstra-W. Frijhoff, Witchcraft in the Netherlands from the Fourteenth to the Twentieth Century, Rotterdam, Univ. Press, 1991. 11. J. Tazbir, Hexenprozesse in Polen, in « Archiv für Reformationsgeschichte », 71 1980, pp. 280-307. 12. É. Pócs, Fairies and Witches at the Boundary of South-Eastern and Central Europe, Helsinki, Suomalainen Tiedenkatemia, 1989; Witch-Beliefs and Witch-Hunting in Central and Eastern Europe, ed. by G. Klaniczay-É. Pócs, Special Issue of « Acta Ethnographica Hungarica. An International Journal of Ethnographica », 3 1991-1992; É. Pócs, Between the Living and the Dead: A Perspective on Witches and Seers in the Early Modern Age, Budapest, Central European Univ. Press, 1999. 13. L’Islam conosce l’esistenza di jinn, entità già contemplate nel mondo arabo preislamico, alle quali però la tradizione musulmana prevalente assegna poteri assai limitati. Fra tutti i jinn emerge la figura di Iblis, paragonabile a quella di Lucifero, di cui parla la sura Al-Khaf (‘La Caverna’): « E quando dicemmo agli angeli: “Prosternatevi davanti ad Adamo”, si prosternarono, eccetto Iblis, che era uno dei demoni e che si rivoltò all’Ordine di Allah. “Prenderete lui e la sua progenie come alleati in luogo di Me, nonostante siano i vostri nemici? Un pessimo scambio per gli ingiusti” » (xviii 50). Sebbene sia innegabile l’esistenza di una demonologia musulmana, che ha fra l’altro influenzato profondamente la magia cerimoniale europea, a partire dal Gāyat-alhakīm-Picatrix (per il quale rinviamo a quanto scritto sopra, cap. iii par. 3), nel mondo musulmano sembrano assenti preoccupazioni demonolatriche paragonabili a quelle sviluppatesi in ambito cristiano. 14. R. Zguta, Was There a Witch-Craze in Muscovite Russia?, in « Southern Folklore Quarterly », 40 1977, pp. 119-27; Id., Witchcraft Trials in Seventeenth-Century Russia, in « American Historical Review », 82 1977, pp. 1187-207; W.F. Ryan, The Bathhouse at Mid­ night: An Historical Survey of Magic and Divination in Russia, University Park (Pa.), Pennsylvania State Univ. Press, 1999. 15. N. Slizh, Lithuania, grand Duchy of, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., iii pp. 658-59; W. Monter, Estonia, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., ii pp. 325-26. 16. Climatic Variability in Sixteenth-Century Europe and its Social Dimension, ed. by C. Pfister, R. Brázdil, R. Glaser, Dordrecht, Kluwer Academic Publishers, 1999. 17. G.A. Brucker, Sorcery in Early Renaissance Florence, in « Studies in the Renaissan-

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note ce », 10 1963, pp. 7-24; J. Tedeschi, The Roman Inquisition and Witchcraft: An Early Seven­ teenth-Century “Instruction” on Correct Trial Procedure, in « Revue de l’histoire des religions », 200 1983, pp. 163-88; G. Bonomo, Caccia alle streghe: le credenza nelle streghe dal sec. XIII al XIX con particolare riferimento all’Italia, Palermo, Palumbo, 19863; R. Martin, Witchcraft and the Inquisition in Venice, 1550-1650, Oxford, Oxford Univ. Press, 1989; G. Romeo, Inquisitori, esorcisti e streghe nell’Italia della Controriforma, Firenze, Sansoni, 1990; G. Zanelli, Streghe e società: nell’Emilia e Romagna del cinque-seicento, Ravenna, Longo, 1992; D. Gentilcore, From Bishop to Witch: The System of the Sacred in Early Modern Terra d’Otranto, Manchester, Manchester Univ. Press, 1992; R. Gemmo, Streghe e magia: episodi di opposizione religiosa popolare sulle Alpi del Seicento, Biella, ELF, 1994; M. Centini, Stre­ ghe, roghi e diavoli: I processi di stregoneria in Piemonte, Cuneo, L’arciere, 1995; D. Gentilcore, Healers and Healing in Early Modern Italy, Manchester, Manchester Univ. Press, 1998; O. Di Simplicio, Inquisizione, stregoneria, medicina: Siena e il suo stato (1580-1721), Siena, Il Leccio, 2000; Id., Autunno della stregoneria. Maleficio e magia nell’Italia moderna, Bologna, Il Mulino, 2005; R. Decker, Witchcraft & the Papacy. An Account Drawing on the Formerly Secret Records of the Roman Inquisition, English translation s.l., Univ. of Virginia Press, 2008. 18. S. Haliczer, Inquisition and Society in the Kingdom of Valencia, 1478-1834, Berkeley, Univ. of California Press, 1990; G. Henningsen, L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, trad. it. Milano, Garzanti, 1990; W. Monter, Frontiers of Heresy: The Spanish Inquisition from the Basque Lands to Sicily, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1990; J. Caro Baroja, Le streghe e il loro mondo, trad. it. Parma, Pratiche, 1994; H. Kamen, The Spanish Inquisition: A Historical Revision, New Haven-London, Yale Univ. Press, 1997. 19. K. Thomas, Religion and the Decline of Magic, New York, Scribners, 1971; R. Deacon, Matthew Hopkins: Witch-Finder General, London, Muller, 1976; Witchcraft and Hyste­ ria in Elizabethan England: Edward Jorden and the Mary Glover Case, ed. by M. MacDonald, London, Routledge, 1991; J. Sharpe, Instruments of Darkness: Witchcraft in Early Modern England, Philadelphia, Univ. of Pennsylvania Press, 1996; G. Geis-I. Bunn, A Trial of Witches: A Seventeenth-Century Witchcraft Prosecution, London, Routledge, 1997; M. Gibson, Reading Witchcraft: Stories of Early English Witches, London, Routledge, 1999; G. Durston, Witchcraft and Witch Trials: A History of English Witchcraft and its Legal Per­ spectives, 1542 to 1736, Chichester, Barry Rose Law, 2000; F. Valletta, Witchcraft, Magic, and Superstition in England, 1640-70, Aldershot, Ashgate, 2000; J. Sharpe, Witchcraft in Early Modern England, London, Longman, 2001. 20. P.G. Maxwell-Stuart, Satan’s Conspiracy: Magic and Witchcraft in Sixteenth-Cen­ tury Scotland, East Lothian, Tuckwell, 2001; Id., An Abundance of Witches: The Great Scottish Witch-Hunt, Stroud, Tempus, 2005; B.P. Levack, Witch-hunting in Scotland: Law, Politics and Religion, London, Routledge, 2007. 21. R. Mandrou, Magistrats et sorciers en France au XVIIe siècle: une analyse de psychologie historique, Paris, Seuil, 1968; A. Soman, The Parlement of Paris and the Great Witch Hunt (1565-1640), in « Sixteenth Century Journal », 9 1978, pp. 31-44; Id., La décriminilisation de la sorcellerie en France, in « Histoire, économie et société », 4 1985, pp. 179-203; R. Muchembled, Sorcières, justice et société aux 16e et 17e siècles, Paris, Imago, 1987; R. Briggs,

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note Communities of Belief: Culture and Social Tensions in Early Modern France, Oxford, Clarendon Press, 1989; A. Soman, Decriminalizing Witchcraft: Does the French Experience Furnish an European Model?, in « Criminal Justice History », 10 1989, pp. 1-22; A. Soman, Sorcelle­ rie et justice criminelle: Parlement de Paris (16e-18e siècles), London, Variorum, 1992; W. Monter, Judging the French Reformation: Heresy Trials by Sixteenth Century Parlements, Cambridge (Mass.), Harvard Univ. Press, 1999. 22. R. Rapley, A Case of Witchcraft: The Trial of Urbain Grandier, Montreal, McGillQueen’s Univ. Press, 1998. 23. F. Bordes, Sorciers et sorcières: Procès de sorcellerie en Gascogne et Pays Basque, Toulouse, Edition Privat, 1999. 24. P. Paravy, Faire Croire: quelques hypothèse de recherche basées sur l’étude des procès de sorcellerie du Dauphiné au XV e siècle, in Faire Croire: modalités de la diffusion et la reception des messages religieux du XIIe au XV e siècle, Rome, École française de Rome, 1981, pp. 119-30; Ead., Streghe e stregoni nella società del Delfinato nel XV secolo, in Poteri carismatici e informali. Chiesa e società medioevali, a cura di A. Paravicini Bagliani e A. Vauchez, Palermo, Sellerio, 1992, pp. 78-92. 25. B. Rochelandet, Sorcières, diables et bûchers en Franche-Comté aux XVIe et XVIIe siècles, Besançon, Cêtre, 1997. 26. E. Delcambre, Le concept de sorcellerie dans le Duché de Lorraine au XVIe et au XVIIe siècle, Nancy, Société d’Archéologie lorraine, 1948-1951, 3 voll.; R. Briggs, Witchcraft and Popular Mentality in Lorraine, 1580-1630, in Occult and Scientific Mentalities in the Renaissan­ ce, ed. by B. Vickers, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1984, pp. 337-49. J.-Cl. Diedler, Démons et sorcières en Lorraine: le bien et le mal dans les communautés rurales de 1550 à 1660, Paris, Messene, 1996. 27. Oltre ai lavori citati nei capitoli precedenti sui processi tardo-quattrocenteschi, cfr. W. Monter, Witchcraft in France and Switzerland: The Borderlands During the Reforma­ tion, Ithaca (N.Y.), Cornell Univ. Press, 1976. 28. P. Byrne, Witchcraft in Ireland, Cork, Mercier, 1975; J.P. Paiva, Bruxaria e super­ stição: num país sem “caça às bruxas” 1600-1774, Lisboa, Notícias, 2007; Ó. Fiorvardardóttir, Iceland, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., iii pp. 533-34. 29. S.J. Fox, Science and Justice: The Massachusetts Witchcraft Trials, Baltimore (Md.), Johns Hopkins Univ. Press, 1968; R. Weisman, Witchcraft, Magic, and Religion in Sevente­ enth Century Massachusetts, Amherst (Mass.), Univ. of Massachusetts Press, 1984; R. Godbeer, The Devil’s Dominion: Magic and Religion in Early New England, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1992; L. Gregg, The Salem Witch Crisis, New York, Praeger, 1992; B. Rosenthal, Salem Story: Reading the Witch Trials of 1692, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1993; P.C. Hoffer, The Devil’s Disciples: Makers of the Salem Witchcraft Trials, Baltimore (Md.), Johns Hopkins Univ. Press, 1996; Id., The Salem Witchcraft Trials: A Legal History, Lawrence (Kans.), Univ. Press of Kansas, 1997; L.W. Carlson, A Fever in Salem: A New Interpretation of the New England Witch Trials, Chicago, Ivan R. Dee, 1999. 30. S. Clark, The ‘Gendering’ of Witchcraft in French Demonology: Misogyny or Polarity?, in « French History », 5 1991, pp. 426-37; W. Elspeth, The Witch ‘She’/the Historian ‘He’: Gender and the Historiography of the European Witch-Hunts, in « Journal of Women’s Hi-

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note story » 7 1995, pp. 77-101; M. Ostorero-C. Chene, Démonologie et misogynie. L’émergence d’un discours spécifique sur la femme dans l’élaboration doctrinale du sabbat au XV e siècle, in Les femmes dans la société européenne. Die Frauen in der europäischen Gesellschaft. 8e Congrès des Historiennes suisses. 8. Schweizerische Historikerinnentagung, éd par. A.-L. Head-König et L. Mottu-Weber, Genève, Droz, 2000, pp. 171-96. 31. Gli studi piú aggiornati sul tema sono W. Monter, Toads and Eucharists: The Male Witches of Normandy, 1564-1660, in « French Historical Studies », 20 1997, pp. 563-95; Witchcraft and Masculinities in Early Modern Europe, ed. by A. Rowlands, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2009; R. Schulte, Man As Witch. Male Witches in Central Europe, ivi, id., 2009. 32. C. Oates, The Trial of a Teenage Werewolf, Bordeaux, 1603, in « Criminal Justice History », 9 1988, pp. 1-29; A. Plakans, Witches and Werewolves in Early Modern Livonia, in Rätten: En Festskrift till Bengt Ankarloo, red. L.M. Andersson et alii, Lund, Nordic Academic Press, 2000, pp. 255-71. 33. Fernando de Rojas, La Celestina, trad. it. Milano, Rizzoli, 1994, p. 97. 34. E. Bever, Old Age and Witchcraft in Early Modern Europe, in Old Age in Pre-Indu­ strial Society, ed. by P.N. Sterns, New York, Holmes and Meier, 1982, pp. 150-90; L. Roper, Oedipus and the Devil: Witchcraft, Sexuality and Religion in Early Modern Europe, London, Routledge, 1994; A. Rowlands, Witchcraft and Old Women in Early Modern Germany, in « Past and Present », 173 2001, pp. 50-89; Ead., Age of Accused Witches, in En­ cyclopaedia of Witchcraft, cit., i pp. 16-20; R. Briggs, Witches and Neighbors: The Social and Cultural Context of European Witchcraft, New York, Viking, 20022. 35. J. Agrimi-C. Crisciani, Immagini e ruoli della “vetula” tra sapere medico e antropologia religiosa, in Poteri carismatici e informali, cit., pp. 223-61. 36. C. Zika, The Appearance of Witchcraft. Print and Visual Culture in Sixteenth-Century Europe, London-New York, Routledge, 2007. 37. J.-C. Petitfils, L’affaire des Poisons: crimes et sorcellerie au temps du Roi-Soleil, Paris, Librairie Académique Perrin, 2010. 38. W. Monter, Les enfants au sabbat: bilan provisoire, in Le sabbat des sorciers en Europe: XV e-XVIIIe, éd. par N. Jacques-Chaquin et M. Préaud, Paris, Jérôme Millon, 1993; R.S. Walinski-Kiehl, The Devil’s Children: Child Witch-Trials in Early Modern Germany, in « Continuity and Change », 11 1996, pp. 171-89; R. Kieckhefer, Avenging the Blood of Children: Anxiety over Child Victims and the Origins of the European Witch Trials, in The Devil, Heresy and Witchcraft: Essays in Honor of Jeffrey B. Russell, ed. by A. Ferreiro, Leiden, Brill, 1998, pp. 91-109. 39. Pierre de Lancre, Tableau de l’inconstance des mauvais anges et demons, Paris, Nicolas Buon, 1612, pp. 142, 344. G. Henningsen, The Greatest Witch-Trial of All: Navarre, 1609-14, in « History Today », 30 1980, pp. 36-39. 40. Ginzburg, I benandanti, cit.; Id., Storia notturna, cit.; sui “benandanti”si vedano anche le considerazioni di F. Nardon, Benandanti e inquisitori nel Friuli del Seicento, Trieste, Univ. di Trieste, 1999. 41. Henningsen, L’avvocato delle streghe, cit. 42. E. Bever, Drugs and Hallucinogens, in Encyclopaedia of Witchcraft, cit., i pp. 296-98. 43. Secondo una leggenda locale sarebbe stata chiamata cosí dai marinai per esor-

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note cizzare il nome Blåkulla, mentre oggi il “blu” è giustificato con il colore dei licheni che vi crescono. 44. Per le notizie sui luoghi del sabba cfr. la bibliografia di riferimento per i singoli paesi. 45. Briggs, Witches and Neighbors, cit. Ma cfr. anche l’ormai classico N. Cohn, Euro­ pe’s Inner Demons: The Demonization of Christians in Medieval Christendom, Chicago, Univ. of Chicago Press, 2000. 46. M. Ostorero, Les marques du diable sur le corps des sorcières (XIV e-XVIIe siècles), in La peau humaine. Micrologus. Nature, Sciences and Medieval Societies, a cura di A. Paravicini Bagliani, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2005, pp. 359-88. 47. Plinio, Naturalis historia, xi 232. 48. Sereno Sammonico, Liber medicinalis, 1035-36. 49. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, xii 7 42. 50. Voltaire, Dictionnaire Philosophique, s.v. Bouc. Bestialité, Sorcellerie, in www.voltaire-integral.com. 51. S. Anglo, Melancholia and Witchcraft: The Debate between Wier, Bodin, and Scot, in Folie et déraison à la Renaissance. Colloque international sous les auspices de la Fédération internationale des instituts et sociétés pour l’étude de la Renaissance, novembre 1973, Bruxelles, Univ. de Bruxelles, 1976, pp. 209-28. 52. Friedrich von Spee, Cautio Criminalis oder Rechtliches Bedenken wegen der Hexen­ prozesse, München, Deutscher Taschenbuch, 2000. 53. Voltaire, Dictionnaire Philosophique, s.v. Bouc. Bestialité, Sorcellerie, cit.

EPILOGO 1. Cfr. C. Geertz, Interpretazione di culture, trad. it Bologna, Il Mulino, 1987. 2. Sull’atteggiamento dei novellieri cfr. M. Montesano, “Fantasima, fantasima che nella notte vai”. La cultura magica nelle novelle toscane del Trecento, Roma, Città Nuova, 2000. 3. Les Évangiles des quenouilles, éd. par M. Jeay, Paris, Vrin, 1985. 4. H. Trevor-Roper, The European Witch-craze of the Sixteenth and Seventeenth Cen­ turies, in Id., The Crisis of the Seventeenth Century: Religion, the Reformation and Social Chan­ ge, Indianapolis, Liberty Fund, 2001, p. 62. 5. S. Clark, Thinking with Demons: The Idea of Witchcraft in Eearly Modern Europe, Oxford, Oxford Univ. Press, 1997. 6. Briggs, Witches and Neighbors, cit. 7. R. Evans-Pritchard, Witchcraft, Oracles and Magic Among the Azande, Oxford, Oxford Univ. Press, 1937; Id., The Nuer: A Description of the Modes of Livelihood and Political Institutions of a Nilotic People, Oxford, Clarendon Press, 1940. 8. P. Geschiere, The Modernity of Witchcraft: Politics and the Occult in Postcolonial Africa, Charlottesville, Univ. of Virginia Press, 1997; sull’idea che l’accusa di stregoneria e l’essere vittima di stregoneria si leghino nelle società africane moderne al processo di individuazione dei singoli come fenomeno di costruzione di destini individuali, diver-

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note si da quelli comunitari, cfr. P. Jorion, Le sujet dans la parenté africaine, in Aspects du malai­ se dans la civilisation, Paris, Navarin, 1987, pp. 174-81. 9. J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, trad. it. Milano, Feltri­ nelli, 2002. Per una centrata critica al concetto cfr. J. Habermas, Modernity versus Post­ modernity, in « New German Critique », Special Issue on Modernism, 22 1981, pp. 3-14. 10. La lettura piú recente che va decisamente, a partire dal titolo stesso, in tale direzione, è J. Halverson-H.L. Goodall Jr.-S.R. Corman, Master Narratives of Islamist Extremism, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2011.

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indici

I N DIC E DEI NOM I Agobardo di Lione: 40, 146. Agostino, santo: 38, 48, 55, 56, 61, 146, 148. Agrimi Jole: 157. Agrippa di Nettesheim: 129. Albe Edmond: 147. Alberto Magno: 86, 87, 90. Alciati Andrea: 109, 129. Alessandro IV, papa: 52. Alessandro V, papa: 64, 66, 67. Alessandro VI, papa: 71. Alfonso X il Savio, re di Castiglia e Leon: 89, 91. Alfredo il Grande, re del Wessex: 42. Alinei Mario: 17, 18, 143. Alonso de Salazar Frías: 113, 124. Ambrogio, santo: 32. Ammiano Marcellino: 30, 31, 37, 145. Andematten Bernard: 149. Andersson Lars M.: 157. Angelo da Verona: 71. Anglo Sydney: 158. Ankarloo Bengt: 153. Apuleio da Madaura: 30, 145. Arnaldo da Villanova: 89. Arnolfo di Carinzia, re dei Franchi: 46. Ascheri Mario: 148. Athelstan, re d’Inghilterra: 42. Augusto Gaio Giulio Cesare Ottaviano, imperatore: 27. Avogaro Pietro Bono: 91. Baldassarri Guido: 151. Banks S.E.: 147. Barbato, vescovo: 126. Barillari Sonia Maura: 151. Baringer Sandra: 143. Bartolomeo da Spina: 100. Behringer Wolfgang: 105, 150, 153. Benedetto XII, papa: 52, 60. Bernardino da Siena, santo: 85, 96, 97, 98, 99, 110, 126, 133, 151, 153.

Bernardo da Como: 99. Bernardo Rategno: 13. Bertrand du Poujet: 53. Bertrando di Embrun: 61. Bever Edward: 157. Beyerle Franz: 145. Binns James Wallace: 147. Biondi Albano: 153. Bluhme Friedrich: 145. Boccaccio Giovanni: 82, 133, 151. Bodin Jean: 100, 129, 153. Bonatti Guido: 88, 91. Bonifacio VIII, papa: 59. Bonifacio il Lombardo: 59. Bonomo Giuseppe: 155. Bordes François: 156. Boretius Alfred: 146. Borst Arno: 149. Boureau Alain: 56, 147, 148. Boureux Christophe: 144. Boyle Robert: 136. Brázdil Rudolf: 154. Bremmer Jan: 144. Briggs Robin: 136, 155, 156, 157, 158. Brocard Plaut Michele: 149. Brucker Gene A.: 154. Bruni Leonardo: 69. Brusegan Rosanna: 145. Buckey Peggy Ann: 10. Buckey Ray: 9, 10. Bulgakov Michail Afanas’evic :] 138. Bunn Ivan: 155. Burcardo di Worms: 44, 76, 146. Burnett Charles: 152. Byrne Patrick: 156. Caciola Nancy: 148. Calvino Giovanni: 104. Cameron Malcolm Laurence: 152. Cantarella Eva: 144, 148. Caprini Rita: 143, 145.

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indice dei nomi Cardini Franco: 145, 147, 152. Carlo II, re d’Inghilterra: 114. Carlo V, imperatore: 103. Carlo V, re di Francia: 92. Carlo VI, re di Francia: 63. Carlo Magno, imperatore: 39, 40, 41. Carlson Laurie Winn: 156. Caro Baroja Julio: 155. Caterina Andrieva: 60. Caterina da Siena, santa: 57. Cavalca Domenico: 79, 150, 151. Cavalcanti Ottavio: 150. Cecco d’Ascoli: 88. Centini Massimo: 155. Cesario d’Arles: 33, 34. Chene Catherine: 157. Cherubini Laura: 145. Chiffoleau Jacques: 149. Chindasvindo, re visigoto: 36. Ciccuto Marcello: 151. Clark H.F.: 144. Clark Stuart: 135, 153, 156, 158. Claudio Tolosano: 66, 67, 68. Cohn Norman: 158. Collard Franck: 148. Coloman, re d’Ungheria: 45. Colonna Pietro: 59. Corman Steve: 159. Corrado di Marburgo: 51. Costanzo II, imperatore: 31, 37. Crisciani Chiara: 157. Cristiano III, re di Danimarca: 132. Cromwell Oliver: 114. D’Agostino Alfonso: 148. Davidson L.S.: 152. Deacon Richard: 155. De Bugatis Pierina: 83. Decker Rainer: 155. De Laguna Andrés: 125. Delcambre Etienne: 156. Delcorno Carlo: 151. Della Porta Giovanbattista: 125. Del Rio Martín: 108, 128, 129.

Deonna Waldemar: 150. Derrida Jacques: 22, 144. Deusen Nancy van: 148. Di Simplicio Oscar: 155. Diedler Jean-Claude: 156. Dioscoride Pedanio: 28. Draelants Isabelle: 152. Dronke Peter: 92, 152. Dupont-Bouchat Marie-Sylvie: 153, 154. Dürer Albrecht: 120. Durston Gregory: 155. Eberle Paul: 143. Eberle Shirley: 143. Eckhardt Karl August: 145. Edmondo I, re d’Inghilterra: 42. Edoardo VI, re d’Inghilterra: 113. Edoardo il Vecchio, re del Wessex: 42. Ekkeardo d’Aura: 82, 151. Elisabetta I, regina d’Inghilterra: 113. Elliott Dyan: 148. Elspeth Whitney: 156. Enea Silvio Piccolomini: vd. Pio II. Enrico VIII, re d’Inghilterra: 113. Erodoto: 18, 143. Eugenio IV, papa: 64. Eustazio di Antiochia: 21. Evans-Pritchard Richard: 136, 158. Eymerich Nicolas: 62, 63, 148. Farinelli Giuseppe: 150, 151. Federici Vescovini Graziella: 152. Federico I Barbarossa, imperatore: 50. Federico II di Svevia, imperatore: 54, 88, 91. Felice V, papa: 64, 65, 66. Ferreiro Alberto: 157. Filippo IV il Bello, re di Francia: 59, 67. Filippo il Buono, duca di Borgogna: 70. Finicella: 97, 98. Fiorvardardóttir Ólina: 156. Flade Dietrich: 131. Fougeyron Ponce: 64, 66. Fournier Jacques: vd. Benedetto XII.

178

indice dei nomi Fox Sanford J.: 156. Frale Barbara: 148. Frijhoff Willelm: 154. Fründ Hans: 66, 68. Gancelme de Jean: 53. Garancini Gianfranco: 151. Garin Eugenio: 152. Garsoian Nina G.: 147. Gassendi Pierre: 130. Geertz Cliffod: 133, 158. Geis Gilbert: 155. Gemmo Riberto: 155. Gentilcore David: 155. Gerberga: 45. Germanico, imperatore: 27. Germano d’Auxerre: 79. Gerolamo, santo: 21, 120. Gervasio di Tilbury: 47, 147. Geschiere Peter: 136, 158. Gherardo da Cremona: 86. Giacomo della Marca: 96. Gibson Marion: 155. Gijswitjt-Hofstra Marijke: 154. Ginota Simona: 60. Ginzburg Carlo: 124, 151, 157. Giordano da Bergamo: 68. Giovanna I, regina di Navarra: 59. Giovanni XXII, papa: 52, 53, 60, 61. Giovanni di Salisbury: 76, 86, 87, 150. Giulio Paolo: 27, 31. Giustiniano, imperatore: 31. Glanvill Joseph: 136. Glaser Rüdiger: 154. Godbeer Richard: 156. Goethe Johann Wolfgang von: 36, 123, 125, 138. Golden Richard: 144. Goodall Bud: 159. Gottfried von Strassburg: 95, 152. Graf Fritz: 24, 27, 144, 145. Grandier Urban: 115. Grassi Giovanni: 72. Graziano, monaco camaldolese: 19, 21, 76.

Gregg Larry: 156. Gregorio VII, papa: 45, 146. Gregorio IX, papa: 51, 60, 89, 147. Gregorio di Nissa: 21. Gregory Tullio: 151. Grillandus (Paolo Grillandi): 128, 129. Grimm Jacob: 36, 76, 145, 150. Guaccio Francesco Maria: 100, 153. Guglielmo d’Alvernia: 76, 150. Guglielmo di Angoulême: 46. Guglielmo Lombardo: 60. Gui Bernard: 61, 83, 148, 151. Guichard di Troyes: 59. Guillame de Lorris: 150. Guillaume de Plaisians: 59. Guizot François Pierre Guillaume: 152. Guthrum I, re dell’Anglia orientale: 42. Habermas Jürgen: 159. Haliczer Stephen: 155. Halverson Jeff: 159. Hansen Joseph: 147, 148, 149, 151, 153. Harald III, re di Danimarca: 45. Harf-Lancner Laurence: 150. Haskins Charles H.: 151. Head-König Anne-Lise: 157. Henningsen Gustav: 124, 125, 153, 155, 157. Hoffer Peter Charles: 156. Hopkins Matthew: 113, 114. Hugues Géraud: 53. Hus Jan: 64. Ildegarda di Bingen: 57, 92, 93, 94. Infessura Stefano: 96. Innocenzo VIII, papa: 70, 149. Isidoro di Siviglia: 48, 128, 143, 158. Jackson Mary Ann: 10. Jacques de Via: 53. Jacques-Chaquin Nicole: 157. Jacquier Nicolas: 69. Jantzen Grace M.: 148. Jauer Nicolaus von: 63, 83. Jean de Meum: 150.

179

indice dei nomi Jeauneau Édouard: 151. Jerouschek Günter: 149, 150. Johansen Jens Christian: 154. Johnson Judy: 9, 10. Johnson Marguerite Mary: 144. Jones William R.: 149. Jorion Paul: 159. Kamen Henry: 155. Kern M. Edmund: 153. Keynes Simon: 152. Kieckhefer Richard: 93, 152, 153, 157. Klaniczay Gábor: 148, 149, 154. Kotkel: 46. Krämer Heinrich (Institor): 13, 70, 71, 149. Krause Victor: 146. La Fontaine Jean: 143. Lancre Pierre de: 115, 123, 157. Lattanzio Lucio Cecilio Firmiano: 19, 143. Lecco Margherita: 145. Le Franc Martin: 66. Lemoine Michel: 151. Levack Brian P.: 153, 155. Levente Závodszky: 146. Levi Attenborough Frederick: 146. Li Vigni Ida: 153. Lotario I, imperatore: 45. Lucano Marco Anneo: 28, 144. Lucio III, papa: 50. Luck Georg: 145. Ludovico il Pio, imperatore: 39, 42, 45. Luigi VII, re di Francia: 47. Luigi XIV, re di Francia: 121. Lutero Martin: 104, 121. Lyotard Jean-François: 137, 159. Macdonald Michael: 155. MacFarlane Kee: 9. Maffei Scipione: 130. Magnusson Magnus: 146. Maier Eva: 149.

Malebranche Nicolas: 130. Mammoli Domenico: 153. Mandrou Robert: 155. Manfredi Girolamo: 91. Manuzzi Giuseppe: 151. Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice: 103. Marsilio da Bologna: 91. Martin Ruth: 155. Massimo di Torino: 32, 33. Mather John Cotton: 136. Matteuccia di Francesco: 98, 126. Mattia Corvino, re d’Ungheria: 92. Maxwell-Stuart P.G.: 155. McCarthy Joseph: 138. McMartin Buckey Peggy: 9. McMartin Virginia: 9, 10. Mercier Franck: 149. Merkel Johannes: 145. Mespelbrunn Julius Echter van: 104. Michel Roquebert: 147. Michele Scoto: 82, 88. Migne Jacques Paul: 144. Miller Arthur: 138. Modestin Georg: 149, 153. Molitor Ulrich: 100. Mollat Guy: 148. Monter William: 154, 155, 156, 157. Montesano Marina: 147, 151, 152, 158. Montespan Françoise-Athénaïs de Rochechouart de Mortemart, marchesa di: 121, 122. Montesquieu Charles-Louis de Secondat, barone di: 130. Morin Germain: 145. Mottu-Weber Liliane: 157. Moulinier Laurence: 92. Muchembled Robert: 149, 154, 155. Muratori Ludovico Antonio: 130. Mutzenbecher Almut: 145. Nardon Franco: 157. Nenonen Marko: 154. Niccolò di Consiglio: 73. Nider Johann: 66, 67, 68, 125.

180

indice dei nomi Oates Caroline: 157. Olaf Hoskuldsson: 46. Olaus Magnus: 118. Oldrado da Ponte: 61. Olsen Birger Munk: 148. Onorio III, papa: 89. Orazio Quinto Flacco: 28, 144, 145. Orchard Andy: 152. Orderico Vitale: 83, 151. Origene Adamanzio: 21. Ostorero Martine: 149, 153, 157, 158. Ovidio Publio Nasone: 29, 37, 44, 120, 145, 146. Paccagnini Ermanno: 150, 151. Paiva José Pedro: 156. Palladius Peder: 132. Palsson Hermann: 147. Paolo, santo: 21, 32, 95. Paravicini Bagliani Agostino: 65, 149, 152, 156. Paravy Pierre: 156. Passavanti Jacopo: 79, 80, 150. Pazder Lawrence: 11. Pertz Georg Heinrich: 146, 147. Petitfils Jean-Christian: 157. Petronio: 16, 30, 143. Petrucci Francesco: 73. Pfister Christian: 154. Phillips Mary: 113. Phips William: 117. Piccolomini Paolo: 150. Pico della Mirandola Giovanfrancesco: 99, 100, 153. Pietro Crisologo: 32. Pietro d’Abano: 88, 91. Pietro di Giovanni Olivi: 56. Pio II, papa: 69, 153. Piperno Pietro: 126. Plakans Andrejs: 157. Platelle Henri: 148. Platone: 144. Plinio il Vecchio: 17, 28, 30, 87, 145, 158. Plutarco: 28.

Pócs Éva: 148, 154. Polidori Filippo Luigi: 150. Préaud Maxime: 157. Provost Alain: 148. Pseudo-Alberto Magno: 93. Pseudo-Bartolo da Sassoferrato: 62, 63, 67, 96. Putzer Peter: 153. Raidor Bette: 10. Raimondo VI di Tolosa, conte: 51. Raimondo di Saint-Papoul: 61. Raimondo Lullo: 89. Ramiro I, re d’Aragona: 46. Rapley Robert: 156. Reginone di Prüm: 44, 76, 146. Richelieu Armand-Jean du Plessis, cardinale di: 115. Rives James B.: 145. Rochelandet Brigitte: 156. Rodolfo di Coggeshall: 47, 50, 51, 147. Rodolfo il Glabro: 82, 151. Rojas Fernando de: 119, 157. Romeo Giovanni: 155. Romualdo, duca: 126. Roper Lyndal: 153. Rosvita, monaca: 54. Rotari, re dei Longobardi: 37, 38. Rowlands Alison: 157. Rubin Lael: 10. Rudolf Buchner: 145. Rudolf von Schlettstadt: 84, 151. Ruggero Bacone: 86, 87, 88, 89, 152. Russell Jeffrey Burton: 148, 153. Rutebeuf: 55, 148. Ryan W.F.: 154. Sala-Molins Louis: 148. Salis Ludwig R. von: 145. Salutati Coluccio: 91. Sammonico Quinto Sereno: 128, 158. Sannino Antonella: 152. Savoia Amedeo VIII, duca di: vd. Felice V. Sayn Enrico II, conte di: 51.

181

indice dei nomi Sbriccoli Mario: 144. Schmitt Jean-Claude: 144, 150, 152. Sebald Hans: 143. Seger Otto: 153. Semerano Giovanni: 144. Seneca Lucio Anneo: 29, 145. Sforza Galeazzo Maria: 91. Shakespeare William: 75, 150. Sharpe James: 155. Shönenberg Johann von: 131. Shulte Rolf: 157. Silla, imperatore: 25. Simonetti Manlio: 144. Slizh Natallia: 154. Smith Michelle: 11. Snorri Sturluson: 83. Socrate: 22. Soman Alfred: 155, 156. Sörlin Per: 154. Sozzini Mariano: 69. Spee Friedrich von: 102, 129, 158. Spitler Babette: 10. Sprenger Jakob: 13, 70, 149. Stearne John: 113. Stearns Peter N.: 157. Stefano di Bourbon: 76, 85, 150, 151. Stevenson Joseph: 147. Stieber Joachim W.: 149. Stürner Wolfgang: 147, 148.

Tito Livio: 25, 26, 144. Tommaso d’Aquino: 55, 56, 69, 91, 94, 144. Tragni Bianca: 150. Trevor-Roper Hugh: 134, 135, 158. Tschacher Werner: 150. Tupet Anne-Marie: 145. Ulpiano Eneo Domizio: 27, 144. Utz Tremp Kathrin: 149, 153. Valletta Frederick: 155. Varanini Giorgio: 151. Varrone Marco Terenzio: 15, 143. Vasoli Cesare: 152. Vauchez André: 148, 156. Vickers Brian: 156. Viereck Wolfgang: 143. Vincenzo di Beauvais: 77, 86, 87, 150. Vineti Jean: 69. Virgilio Publio Marone: 28, 96, 144, 152. Visconti Girolamo: 68. Vogel Cyrille: 146. Voltaire (François Marie Arouet, detto): 13, 128, 130, 131, 158.

Tacito Publio Cornelio: 27, 144. Tamburini Luciano: 153. Tartarotti Girolamo: 130. Tazbir Janusz: 154. Tedeschi John: 155. Teodorico delle Fiandre, conte: 46. Teodoro di Canterbury, santo: 43. Teodosio II, imperatore: 31, 48. Tertulliano Quinto Settimio Fiorente: 32, 151. Thomas de Cantimpré: 57. Thomas Keith: 155. Thorndike Lynn: 148, 152. Tinctoris Giovanni: 70.

Walinski-Kiel Robert S.: 157. Walter Map: 83, 151. Ward John O.: 152. Weisman Richard: 156. Wier Johann: 129. Willumsen Liv Helene: 154. Woodling Bruce: 12. Wright Thomas: 152. Wycliffe John: 121. Zambelli Paola: 152. Zanchino Ugolini: 61, 62. Zanelli Giuliana: 155. Zanni Sibillia: 83. Zeumer Karl: 145. Zguta Russell: 154. Zika Charles: 157. Zironi Alessandro: 145. Zwingli Huldrych: 121.

182

I N DIC E

Prologo

9

I. « Non lascerai vivere i malefici » 1. Le parole della stregoneria 2. Maleficio e veneficio nella Bibbia 3. Streghe a Roma 4. Riti magici o riti pagani? 5. Barbari e masche 6. Capitolari e penitenziali 7. Conclusione

15 19 24 30 34 39 45

II. Sette ereticali, sette stregoniche 1. La magia equiparata all’eresia 2. Demonomania 3. Papi, giuristi, teologi e inquisitori 4. Una nuova setta 5. Conclusione

47 52 60 65 71

III. Il ritorno di Canidia 1. La Signora dell’Abbondanza 2. La “tregenda”, il “corso”, il “gioco” 3. Magia, astrologia e reazione antimagica 4. Erbe e veleni 5. Il ritorno degli antichi 6. Conclusione

74 80 85 92 95 99

IV. Persecuzioni e modernità 1. « Madre di cosí tante streghe » 2. « Nova holocausta »? 3. Celestina e i bambini 4. « Si balla, si chiacchiera, si cucina, si beve, si fa all’amore » 183

102 109 117 123

indice 5. « Il ne faut pas brûler les imbéciles » 6. Conclusione

128 131

Epilogo

133

Note

143

Bibliografia

160

Indici Indice dei nomi

177

184

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