Biffi I. - Eucaristia in San Tommaso Dottore Eucaristico. Teologia, Mistica e Poesia1

April 6, 2017 | Author: Paul Hollywood | Category: N/A
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INOS BIFFI L'EUCARISTIA IN SAN TOMMASO "DOTTORE EUCARISTICO"

INOS BIFFI

L'EUCARISTIA IN SAN TOMMASO "DOTTORE EUCARISTICO" Teologia, mistica e poesia

CANTAGALLI

Grafica di copertina: Alessandro Bellucci Redazione: Tommaso Gordini © Edizioni Cantagalli Giugno 2005

ISBN 88-8272-225-2 Stampato nel mese di Giugno da Edizioni Cantagalli - Siena

E D I Z I O N I CANTAGALLI Via Massetana Romana, 12 Casella Postale 155 53100 Siena Tel. 0577 42102 Fax 0577 45363 http://www.edizionicantagalli.com e-mail: [email protected]

PREFAZIONE

Al mistero eucaristico Tommaso ha dedicato la sua più acuta ricerca teologica, la sua pietà più appassionata e la sua più lirica ispirazione. L'Eucaristia gli appare di una ricchezza inesauribile: è «il sacramento della passione di Cristo», il «memoriale della sua morte», «la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i sacramenti», il «segno del massimo amore», «il sostegno della nostra speranza», la «perfetta comunione con la passione», «l'alimento spirituale», «il dolce ristoro spirituale», «il principio dell'incorporazione a Cristo», «il bene comune spirituale di tutta la Chiesa», «il sacramento della carità e dell'unità ecclesiale», «il cibo che divinizza l'uomo e lo inebria di divinità». Questo volumetto, però, non offre una ricerca esauriente sulla dottrina eucaristica del Dottore angelico. Si limita a tracciarne un breve profilo, quasi un assaggio di una teologia ampia ed elaborata, rimasta ancora non poco sconosciuta; persino si direbbe rimossa in questi decenni postconciliati, quando un diffuso giudizio superficiale e sommario, più esattamente un pregiudizio, ha emarginato Tommaso dalla teologia, liquidandolo come medievale e "scolastico".

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In realtà, una frequentazione diretta e assidua delle opere dell'Angelico, collocate storicamente e teoreticamente comprese, conduce a ben altre conclusioni. Così, a riguardo dell'Eucaristia, sono circolate valutazioni di una ignoranza mirabile e singolare. Chi ne studi il tema nel "Commento alle Sentenze" (che qui non esaminiamo) nella Summa Theologiae, nelle Lecturae sul Vangelo di Matteo, su quello di Giovanni e sulle Lettere di Paolo, oltre che nell'Ufficio del Corpus Domini, si trova di fronte a una teologia dove convengono largamente sia la Scrittura — nella sua lettera e nel suo spirito —, sia il richiamo ai testi della tradizione patristica orientale e occidentale — in gran parte reperibili anche nella Catena Aurea di Tommaso ai due evangelisti ricordati -, sia i ripetuti riferimenti liturgici: il tutto disposto, certamente, nel contesto della Scolastica, con le sue questioni e i suoi strumenti di riflessione, la sua filosofia. La riflessione tomista porta senza dubbio i segni del tempo in cui venne elaborata — con le discussioni che il metodo e le risorse scolastiche imponevano e con qualche limite che ne derivava —; ma, riconosciuto questo, la teologia dell'Eucaristia secondo l'Angelico risalta soprattutto come esposizione e proposizione fedele e trasparente della tradizione eucaristica della Chiesa nella molteplicità dei suoi aspetti. Si può dire che neppure un suo frammento è stato trascurato o è andato perduto. Le analisi condotte da Tommaso con l'ausilio della filosofia - la metafisica, la logica, la teoria del linguaggio — non solo non vanificano e non impoveriscono «il 6

mistero della fede», ma lo esaltano, lo illuminano e lo illustrano, rendendolo in qualche modo plausibile e dicibile: compresa la tanto discussa "transustanziazione", che nella sua "ovvietà" e "sottigliezza", mira a rendere pensabile come, grazie alla "definizione" di Cristo e all'azione dello Spirito, nella permanenza delle specie il pane divenga e si possa chiamare il Corpo del Signore, e il vino divenga e si possa chiamare suo Sangue. Solo che, per avvertire questo, occorre affrontare un percorso assai impegnativo e che resta da fare: quello di una analisi attenta e particolareggiata delle opere del "Dottore Eucaristico" - come Pio XI lo chiamava nella Studiorum Ducem —, o del "Mistico dell'Eucaristia", come anche si potrebbe felicemente definire. Il nostro piccolo libro, pur nato da una lettura assidua delle opere di Tommaso, intende solo offrire, come dicevamo, un assaggio della sua contemplazione di quel «memoriale della morte del Signore», nel quale domandava di poter trovare una fonte inesauribile di vita e una dolcezza da gustare senza fine. Nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore 2005, Anno dell'Eucaristia INOS BIFFI

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CAPITOLO PRIMO

L'EUCARISTIA: «MEMORIA DELLA PASSIONE DI CRISTO», COMPIMENTO E VERTICE DI TUTTI I SACRAMENTI

1. La teologia eucaristica di Tommaso d'Aquino risalta su ogni altra per limpidità e acutezza; ma egli non solo la seppe elaborare magistralmente: la contemplazione dell'Eucaristia fu così intensa che giunse ad aprire la sua vena poetica e a infondere gli accenti della lirica in un ineccepibile e rifinito linguaggio dogmatico, e ne vennero sequenze e inni che tutti conosciamo e ancora cantiamo. D'altronde una pietà vivissima verso il Corpo e il Sangue di Cristo accompagnò la vita del "Dottore Eucaristico" — come venne chiamato 1 —, suggellata, in certo modo, proprio da una appassionata preghiera al SS. Sacramento. Secondo il biografo Guglielmo di Tocco, prima di ricevere il viatico, nella foresteria dell'abbazia cisterciense di Fossanova — dov'era arrivato, ormai esausto e consumato dalle fatiche dello studio e dell'insegnamento — Tommaso elevò questa preghiera: «Ti ricevo, prezzo della redenzione dell'anima mia; ti ricevo, viatico del mio pelCfr. PIO XI, Enciclica Studìorum Ducem (Encbiridion delle Encicliche, 5, Pio XI 1922-1939, EDB, Bologna 1995, pp. 112-113).

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legrinaggio: per tuo amore ho studiato, vegliato e lavorato»2. 2. Ma chi studia attentamente i testi di Tommaso dedicati all'Eucaristia, ed entra in familiarità con essi, non fatica ad accorgersi che la precisione dei concetti e il rigore delle analisi non solo non spengono la sua emozionata passione per il SS. Sacramento, ma, al contrario, la manifestano e ne sono un segno perspicuo ed eloquente. Se il contesto teologico, con i suoi dibattiti e i suoi problemi, moltiplica le questioni — anche le più sottili e persino, a nostro giudizio, ora, superflue —, si avverte che, dopo le loro ramificazioni e discussioni, esse alla fine sono ricondotte al cuore della teologia eucaristica cattolica sul «memoriale della passione di Cristo {{passionis Còristi} hoc sacramentum est memoriale)» (STb, III, 76, 2, 2m), così come da questo cuore erano dipartite. Ripercorrendo gli scritti di Tommaso dedicati a quel memoriale, e riconducendone il contenuto a unità, ci si accorge di disporre della sintesi più luminosa e più completa della fede cattolica sul mistero dell'Eucaristia, e che sono prive di fondamento le critiche sulla sua prevalente riduzione a filosofia, che avrebbe impoverito la riflessione eucaristica di Tommaso, distraendola dalla concretezza e dalla suggestione della Scrittura, della liturgia o della tradizione patristica.

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"Sumo te pretium redemptionis anime mee, sumo te viaticum peregrinationis mee, prò cuius amore studiti, uìgilauì et laboraui; te predicaui, te docili, nichil unquam cantra te dixi" (Ystoria sancti Thome de Aquino de Guillaume de Tocco (1323), e. XLVII, Édition critique, introduction et notes de Claire le Brun-Gouanvic, Pontificai Institute of Mediaeval Studies, Totonto 1996, p. 198).

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3. Per l'intelligenza dell'Eucaristia in Tommaso d'Aquino importa anzitutto rilevare a che punto dell'orbo disciplinae la collochi o dove la innesti nel disegno teologico della sua Somma di Teologia, dalla quale parte questa nostra presentazione della dottrina eucaristica dell'Angelico. Com'è ovvio, tra i sacramenti, i quali, a loro volta, vengono considerati dopo la cristologia, e significativamente dopo la teologia dei misteri di Cristo: i sacramenti, infatti, «ricevono la loro efficacia dallo stesso Verbo incarnato» {STh, III, 60, intr.)\ al quale hanno il compito di incorporare: «Coi sacramenti della legge nuova l'uomo viene incorporato a Cristo» {STh, III, 62, 1, e.)4. Essi «fluiscono dallo stesso Cristo, ereditandone una certa somiglianza» {STh, III, 60, 6, 3m) 5 ; anzi «i sacramenti operano in virtù della passione di Cristo, che in certa misura viene congiunta agli uomini {applicatur) mediante i sacramenti» {STh, III, 6 1 , 1, 3m)6. Tommaso lo va ripetendo: «I sacramenti della Chiesa in maniera speciale derivano la loro efficacia dalla passione di Cristo, la cui energia viene come innestata in noi {nobis copulatur), quando riceviamo i sacramenti» {STh, III, 62, 5, l) 7 ; «La passione di Cristo si collega — unisce — con noi attraverso

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Ab ipso Verbo incarnato efficaciam habent (STb, III, 60, intr.). Per sacramenta novae legis homo Christo incorporatur (STh, III, 62, 1, e.) Sacramenta novae legis {...} ab ipso Christo effluunt et quandam similìtiidinem ipsìus in se habent (STh, III, 60, 6, 3m). Sacramenta {...} operantur in virtute passionis Chrìsti, et passio Christi quodammodo applicatur hominibus per sacramenta, secundum illud Apostoli, Rom 6, [3]: Quìcumque baptizati sumus in Christo lesu, in morte ipsius baptizati sumus (STh, III, 61, 1, 3m). 7 Sacramenta Ecclesiae specialiter habent virtutem ex passione Christi, cuius virtus quodammodo nobis copulatur per susceptionem sacramentorum (STh, III, 62, 5, 1).

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la fede e i sacramenti»; se ne avvera, cosi, una sua «continuazione» (continuatio) (STh, III, 62, 6, e ) . Egli anche preciserà, trattando del battesimo: «Il battesimo trae la sua efficacia dalla passione di Cristo e dallo Spirito Santo» (STh, III, 66, 12, e.)8. 4. Ed ecco, secondo una lettura su tutta la storia della salvezza, la splendida affermazione di Tommaso: «Il sacramento è un segno commemorativo di ciò che è preceduto, ossia la passione di Cristo; è segno dimostrativo di ciò che avviene in noi mediante la passione di Cristo, ossia la grazia; ed è segno profetico (prognosticum), cioè prenunziativo (praenuntiativum) della gloria futura» (STh, III, 60, 3, e.)9. Quello che Tommaso qui afferma di ogni sacramento, in modo speciale lo dirà, anzi, lo canterà per l'Eucaristia: «Questo sacramento ha un triplice significato: l'uno rispetto al passato, in quanto è commemorativo della passione del Signore, che fu un vero sacrificio, e per questo viene denominato sacrificio; l'altro rispetto al presente, ed è l'unità ecclesiale, alla quale gli uomini sono aggregati con questo sacramento, per cui è definito comunione; il terzo significato riguarda il futuro, dal momento che questo sacramento prefigura la fruizione di Dio, che avverrà nella patria, per cui è chiamato viatico: questo infatti ci apre la via per arrivarvi. Ne consegue che si chiama anche eucaristia, cioè buona grazia, poiché la Bapstìmus (...) aquae efficaciam habet a passione Cbrìsti et a Spiritu Saticto (STh, III, 66, 12, e). 9 Sacramentum est signum rememorativum eias quodpraecessit, salice/ passionis Còristi, et demonstrativum eius quod in nobis effititur per Còristi passionem, scilicet gratiae, et prognosticum, idest praenuntiativum, futurae gloriae (STh, III, 60, 3, e.)

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vita eterna è grazia di Dio, come si afferma in Rom. 6 [23}, o perché contiene realmente Cristo, che è pieno di grazia» (STh, III, 73, 4, e.)10.

5. Nell'Eucaristia si ritrova compiutamente presente l'evento cristiano e ne è la perfetta iniziazione. Il fatto che nella trattazione dei sacramenti essa succeda al battesimo e alla confermazione, non impedisce che sia «il sacramento» per eccellenza, (STh, III, 65, 3, e ) , che «porta a perfezione tutti gli altri sacramenti», ossia «il vertice» o «il compimento dei sacramenti» (ibid.)11, al quale tutti gli altri sono relativi. «L'Eucaristia è come la perfezione della vita spirituale e il fine di tutti i sacramenti» (STA, III, 73, 3, e.)12. E la ragione — spiega san Tommaso — sta nel fatto che, mentre in questi opera l'energia — la «vis» o «virtus» della passione di Cristo —, nell'Eucaristia è presente «Cristo in persona» (ibid., 1, 3m)13; secondo il linguaggio scolastico, è presente sostanzialmente, quale «bene comune 10

Hoc sacramentum habet trìplkem significationem. Unam quidem respectu praeterìti, inquantum scilicet est commemoratìvum dominiate passionis, quae fuit veruni sacrificium {•••}• Et secundum hoc nominatur sacrificium. Aliarti autem significationem habet respectu rei praesentis, scilicet ecclesiasticae unìtatis, cui homines congregantur per hoc sacramentum. Et secundum hoc nominatur communio vei synaxis {...}. Tertiam autem significationem habet respectu futuri, ìnquantum scilicet hoc sacramentum est praefigurativum fruitionis Dei, quae erti in patria. Et secundum hoc dicitur viaticum, quia hocpraebet nobis viam illucpervenìendi. Et secundum hoc etiam dicitur Eucharìstia, idest bona grafia, quia gratia Dei est vita aeterna, ut dicitur Rom. 6 {23}, vel quia realiter continet Christum, qui estplenus gratia» (STh, III, 73, 4, e). "Potissimum inter alia sacramenta (STh, III, 65, 3, e);potissimum etperfectivum est omnium aliorum (ibid., se). Eucharìstia {...} est quasi consummatio spiritualis vitae et omnium sacramentorum finis (STh, III, 73, 3, e). Eucharìstia continet aliquid sacrum absolute, scilicet ipsum Christum (STh, 73, 1, 3m).

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spirituale di tutta la Chiesa»14 {STh, III, 65, 3, lm), al fine di «portare l'uomo alla piena comunione col Cristo della passione» {ibid., 3, 3m)15. 6. Ossia, se la radice di ogni sacramento è la passione di Cristo, l'Eucaristia è di questa il segno perfetto. Ecco le nitide parole dell'Angelico: della passione del Signore, «essa è il sacramento perfetto in quanto contiene il Cristo che ha patito (il «Christus passus»)» {ibid., 5, 2m)' 6 ; l'Eucaristia «in quanto contiene realmente lo stesso Cristo — e si tratta precisamente del "Christus passus" - perfeziona tutti gli altri sacramenti, nei quali il valore di Cristo {vìrtus Còristi) viene partecipato» {ibid., 1, e.)17; «Mentre stava per allontanarsi dai discepoli nella sua figura fisica, Gesù lasciò loro se stesso nella forma del sacramento» 18 . Egli lo ha istituito perché «occorreva che in ogni tempo ci fosse presso gli uomini un segno rappresentativo della passione del Signore», visto che «non ci potè mai essere salvezza senza la fede nella passione di Cristo» {ibid., 5, e.)19.

Bonum commune spirituali! totius Ecclesiae continetur substantialiter in ipso Eucharistiae sacramento (STh, III, 65, 3, lm). 15 Eucharistia est sacramentimi passionis Christi prout homo perficitur in unione ad Christumpassum (STh, HI, 3, 3m). 1 Eucharistia est sacramentum perfectum dominicae passionis, tanquam continsns ipsum Christum passum (STh, III, 5, 2m). 17 Hocsacramentum, quodipsum Christumrealitercontinet {...}est perfeethumomnium sacramentorum aliorum, in quìbus virtus Christiparticipatur (STh, III, 75, 1, e ) . 18 Quando ipse Christus in propria specie a discipulis discessurus erat, in sacramentali specie seipsum eìs reliquit (STh, III, 73, 5, e ) . Quia sine fide passionis Christi nunquam potuit esse salus, secundum illud Rom 3, {25}: Quem proposuit Deus propitiatorem per fidem in sanguine ipsius. Et ideo oportuit omni tempore apudhomines esse aliquod repraesentativum Dominicae passionis (STh, III, 73,5, e ) .

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San Tommaso anche scrive: «Cristo, durante il tempo di questo nostro pellegrinaggio, non ci ha privati della sua presenza corporale, ma in questo sacramento ci unisce a sé attraverso la verità del suo corpo e del suo sangue», considerati sempre nella loro condizione sacrificale; ora, «una così familiare unione di Cristo con noi rende questo sacramento il segno del massimo amore e il sostegno della nostra speranza» {STh, III, 75, 1, e.)20.

7. Tommaso usa spesso i termini «sacramento», «rappresentazione» {repraesentatió) e «rappresentativo» (repraesentativus), «memoria», «memoriale»: non per indicare un semplice e labile richiamo di una realtà in ogni caso passata, ma la verità di una presenza reale — sostanziale — dell'avvenimento della passione nella persona del Cristo che ha patito. La teologia — a partire specialmente da Casel — amerà affermare che l'Eucaristia è il sacramento dell'«evento» della passione. Ritengo che, in linguaggio diverso e senza l'esplicita successiva tematizzazione, la teologia di Tommaso dica la stessa cosa, ossia insegni che, nella modalità dei segni, raggiungendo e ricevendo il «Cristo che ha patito», si entri in reale comunione con quell'evento. «I sacrifici dell'antica legge contenevano il vero sacrificio della passione Quia maxime proprium amicitiae est convivere amìcis, ut Philosophus dicit IX Ethic., suampraesentiam corporalem nobìs repromittit inpraemium {...}. Nec tamensuapraesentia corporali in bac peregrinatone destituita sed per veritatem corporis et sanguinis sui nos sibi coniungìt in hoc sacramento. Unde dicit, loan. 6 {5 7}: Qui manducai meam carnem et bibit meum sanguinem, in me manet et ego in eo. Unde hoc sacramentum est maximae caritatis signum, et nostrae spei sublevamentum, ex tam familiari coniunctione Chrìsti ad nos (STh, III, 75, l , c ) .

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di Cristo soltanto nella modalità della figura»; mentre «il sacrificio della nuova legge istituito da Cristo ebbe in più la prerogativa di contenere lui stesso che ha patito, non solo nella forma di un segno o di una figura, ma nella verità» (ibid., 1, e.)21. 8. È come dire che nell'Eucaristia è veramente ed efficacemente in azione il sacrificio di Cristo. Il valore, l'efficacia, della passione di Cristo si riscontrano nell'Eucaristia sul fondamento della presenza appunto del «Cristo che ha patito». Per Tommaso, abbiamo visto, in ogni sacramento è "ravvivata" la passione di Cristo; nell'Eucaristia questo avviene perché a istituirne l'attualità è personalmente il Cristo della passione, o il Cristo che ha patito e che vi è "disponibile". Il profilo antiberengariano è con chiarezza evocato da Tommaso, ed esattamente in esso il linguaggio della "rappresentazione" si risolve realisticamente in quello della "ripresentazione". E ancora, a sottolineare il realismo della presenza della passione, egli scrive: «Ciò che è rappresentato attraverso questo sacramento è la passione di Cristo {Quod repraesentatur est passio Christi); per ciò esso produce nell'uomo l'effetto che la passione di Cristo ha prodotto nel mondo. È il motivo per cui, a commento del passo di Giovanni 19, 34: "Subito uscì sangue e acqua", il Crisostomo dice: "Poiché da qui hanno avuto inizio i sacri ' Sacri fida {•••} veteris legis illudverum sacrificìum passionis Cristi contingebant solum in figura, secundum illud Heb. 10 {1}: Umbram habens lex futurorum honorum, non ipsam rerum imaginem. Et ideo oportuit ut aliquid plus haberet sacrificium novae legis a Christo institutum, ut scilicet contineret ipsum passum, non solum in significatione velfigura, sed etiam in rei veritate (STh, III, 75, 1, e.)-

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misteri, quando ti accosti al tremendo calice, accostati esattamente come per bere dallo stesso costato di Cristo"» (STh, III, 79, 1, e.)22. 9. Le parole di Tommaso, attinte al Padre greco, non potrebbero essere più perspicue ed emozionanti. Come là dove torna ad asserire: «Identica è la vittima che ha offerto Cristo e che offriamo noi» (STh, III, 83, 1, l m f ; e questo spiega perché «in questo sacramento diventiamo partecipi del frutto della passione del Signore: in una orazione segreta domenicale, infatti, si dichiara: "Ogni volta che si celebra la memoria di questa vittima, è in atto — o si trova in esercizio — l'opera della nostra salvezza"» (STh, III, 83, 1, e.)24; «È prerogativa di questo sacramento che nella sua celebrazione avvenga l'immolazione di Cristo», la quale invece nell'Antico Testamento si attuava solo in modo figurato (ibid., 1, e.)25. Un'immolazione reale — noi oggi diciamo —, che non ripete quella del Calvario, ma che è la stessa nella modalità del sacramento.

Dicit Chrysostomus: Quia hinc suscipìunt principìum sacra mysteria, cum accesseris ad tremendum calkem, velab ipsa bibiturus Christi costa ita accedas (STh, III, 79, 1, e ) . 2ì Sicut Ambrosius {...} dicit, una est hostia, quam scilicet Christus obtulit et nos offerimus (STh, III, 83, 1, lm). Per hoc sacramentum participes efficimur fructus dominìcae passionis. Linde et in quadam dominicali oratìone secreta dìcitur: Quoties huius hostiae commemoratio cetebratur, opus nostrae redemptionis exercetur (STh, III, 83, 1, e.)Poterat Christus dici immolari etiam in figuris veteris testamenti {...}. Sed {•••} proprium est buie sacramento quod in eius celebratione Christus ìmmoletur (STh, III, 83, l,c).

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CAPITOLO SECONDO

AL PRINCIPIO DELL'EUCARISTIA: L'ISTITUZIONE E LA SIGNORIA DI CRISTO. IL MINISTERO ECCLESIALE IN SUO NOME

1. L'Eucaristia — come ogni sacramento — trova la sua possibilità e la sua origine non in una capacità o decisione della Chiesa, ma nella volontà di Cristo che l'ha istituita. Né potrebbe essere diversamente: nessuno può pretendere il Corpo dato da Cristo o disporre del suo Sangue sparso, ma solo accoglierli da lui come dono, così come può unicamente ricevere come grazia la virtus passionis Còristi — l'efficacia e il valore della passione di Cristo — in atto in ogni sacramento. San Tommaso non cessa di richiamarlo e già lo abbiamo sottolineato: «I sacramenti della Legge nuova scaturiscono da Cristo personalmente» {STh, III, 60, 6, 3m) ! , e riescono per la sua iniziativa, anzi per la sua presenza. L'apparato sacramentale, che alla fine si risolve e si esprime nell'azione della Chiesa, dipende tutto, "strumentalmente", dalla causa «assoluta e perfetta», o dall'«agente principale», e quindi da Gesù Cristo, e radicalmente dal suo essere Dio: «Ottiene la sua efficacia spi1

Sacramenta novae legis {,..} ab ipso Christo effluunt (STh, III, 60, 6, 3m).

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rituale dalla benedizione di Cristo» (STh, III, 62, 4, 3m) 2 , scrive Tommaso, il quale precisa: ciò che rappresenta il nucleo essenziale e quindi necessario per l'esserci del sacramento «è stato istituito da Cristo stesso, che è Dio e uomo» (STh, III, 64, 2, lm) 3 . «È Cristo che opera l'interiore efficacia dei sacramenti, in quanto Dio e in quanto uomo» (ibid., 3, e.)4. In quanto Dio opera nei sacramenti in virtù della sua autorità originaria —per auctorìtatem —, per cui si deve dire che «Dio solo è l'istitutore dei sacramenti» (ibid., e.)5; «la consacrazione dei sacramenti proviene da Dio stesso» (STh, III, 83, 3, 8m) 6 : lui, infatti, solo «penetra nell'anima dove risiede l'effetto del sacramento» e «da lui solo deriva la grazia che è l'effetto del sacramento» (STh, III, 64, 1, e.)7; e in quanto uomo strumentalmente, mediante il merito e l'efficienza — meritorie et effettive — della sua passione (ibid., 3, e ) . 2. Va però osservato — continua Tommaso — che l'umanità di Gesù è congiunta personalmente a Dio: ecco perché nei sacramenti risalta, rispetto a qualsiasi altra causalità, in particolare rispetto agli «strumenti estrinseci quali sono i ministri della Chiesa», il potere della ministerialità principale (potestas ministerii principalis), o «l'eccel2

Sacramentum consequiturspìritualem virtutem ex benedktione Cbristi(STh, III, 62,4,

3m). Ea quae sunt de necessitate sacramenti, sunt ab ipso Christo instituta, qui est Deus et homo (STh, III, 64, 2, lm). Interiorem sacramentorum effectum operatur Christus (STh, III, 64, 3, e ) . 5 Deussolus {...est} instìtutorsacramentorum (STh, III, 64, 2, e ) . Consecratio eorum est ab ipso Dea (STh, III, 83, 3, 8m). Solus Deus operatur interiorem effectum sacramenti {...}, quia solus Deus illabitur animae, in qua sacramenti effectus consistit (STh, III, 64, 3, e).

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lenza del potere {excellentia potestatis)» di Cristo. In altri termini: il suo primato e la sua "signoria" {ibid., 3, e ) . Egli è il Signore nei sacramenti. Ed esattamente per questo egli potè conferire e far operare nei sacramenti il merito e la forza della sua passione; per la medesima ragione i sacramenti valgono a santificare nel nome di Cristo, il quale solo, avendo elargito ad essi questo merito e questa efficacia, li potè istituire, d'altronde non legandosi all'apparato dei sacramenti stessi per operarne, come abbiamo visto, l'anteriore effetto», la cui attuazione appartiene esclusivamente a lui.

3. I ministri della Chiesa non hanno una loro virtus, non è di loro pertinenza purificare dai peccati e conferire la grazia: «Questo lo compie Cristo», in forza del suo potere {sua potestate): si tratti di ministri personalmente santi, o di ministri personalmente indegni i quali, non per questo, impediscono la comunione con la Chiesa e la configurazione a Cristo, secondo la finalità dei sacramenti, destinati non a rendere conformi al ministro ma a Cristo {ibid., 5-6). Ogni altro genere di azione nel sacramento — come quella di chi lo celebra o lo riceve - è segnata dal carattere della ministerialità dipendente: «opera soltanto nella modalità del ministero (per modum ministeri?)» {ibid., 1, 3m), senza una propria signoria. Gli apostoli e i loro successori «sono vicari di Dio», ai quali — come non è dato di istituire un'altra Chiesa o di trasmettere un'altra fede — non è concesso di istituire altri sacramenti: «La Chiesa di 21

Cristo è edificata dai sacramenti sgorgati dal costato di Cristo appeso alla croce» (ibid., 2, 3m).

4. Nel medesimo contesto va compreso il senso della "forma" del sacramento: la forma ha il compito di dire o specificare, riscattandolo dalla sua genericità, il senso del gesto sacramentale — o della "materia" — o, come scrive Tommaso, la determinazione del «significato delle realtà sensibili (significalo rerum sensibilium)» (STh, III, 60, 6, e ) : «grazie alle parole si attua il significato delle cose (per verbaperficitursignificano rerum)» (ibid., 2m). Ora, il principio di questo significato o definizione è ancora una volta Gesù Cristo e la relazione con lui, che solo — istituendolo — ha detto che cos'è il sacramento, continuando a dirlo, con la sua presenza, in ogni celebrazione, in cui l'istituzione in certo senso prosegue. Nei sacramenti si usano realtà «determinate dalla istituzione divina» (ibid., 5, e ) ; essi raggiungono il loro effetto santificante non per «una qualche energia inserita nella loro natura, ma per la divina istituzione» (ibid., 2m) 8 .

5. Tutto questo, se vale per ogni sacramento, si avvera in misura esemplare e compiuta per il «sacramento principale (potissimum inter sacramenta)», che di tutti i sacramenti è come la sorgente e il vertice. All'Eucaristia Tommaso applica questa sua dottrina sulla signoria di Cristo nei sacramenti, sulla forma e sul ministro, anche se, forse più giustamente, si dovrebbe dire che 8 Ad sanctificationem {res sensibile*} non ordinantur ex aliqua virtute naturaliter indita, sedsolum ex institutione divina {STh, III, 60, 5, 2m).

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all'Eucaristia stessa egli ha attinto le componenti di ogni sacramento. Nel «memoriale» o «sacramento della passione» — sacramentum dominicele passionis; memoriale dominicae passionis - (STh, III, 73, 5, 2m e 3m), a differenza che negli altri sacramenti — già abbiamo visto — è presente «Cristo in persona (continet {,..} ipsum Christum)» (ibid. 1, 3m), ed è la ragione per la quale l'Eucaristia «è il sacramento perfetto della passione del Signore (sacramentum perfectum dominicae passionis)» (ibid., 5, 2m) ed è quindi, in maniera unica, azione personale di Cristo e manifestazione del suo primato. Con rara e invidiabile chiarezza Tommaso può scrivere: «La forma di questo sacramento è pronunziata a nome dello stesso Cristo che parla, perché si comprenda che il ministro nel compiere questo sacramento altro non fa che proferire le parole di Cristo» (STb, III, 78, 1, e.)9. Le parole sono dette esteriormente o sacramentalmente, dal ministro, ma traggono la loro forza o efficacia da Cristo, attualmente presente e operante, di là dalla sembianza sacramentale. 6. Dunque, «chiunque sia il sacerdote che pronunzia queste parole», «è come se le pronunziasse Cristo presente» (ibid., 5, e.)10, dal quale scaturisce la loro «forza operativa (virtus fattiva)» (ibid.).

Forma huius sacramenti profertur ex persona ipsius Christi loquentis, ut detur intelligi quod mìnister in perfectione huius sacramenti nihil agìt nisi quodproferì verba Christi (STb, III, 78, 1, e). 10 Ac si Christus eapraesentialiterproferret (STh, III, 78, 5, e.)

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Spiega Tommaso: come la Parola di Dio (sermo Dei) ha operato la creazione, così la stessa Parola sacramentalmente «opera nella consacrazione» (ibid., 2, 2m). Non si tratta, allora, — come invece si va superficialmente affermando da qualcuno — di attribuire un valore magico a queste parole in se stesse: esse sono efficaci per il fatto che fu Cristo a pronunziarle 11 , ed ora, nella sembianza sacramentale, le pronunzia il ministro, ma ex persona Christi prolata (jbid., 2, 4m). 7. Nella forma — sottolinea ancora il Dottore angelico — si dice: «mìo corpo», indicando la persona che parla: ma con questo «ci si riferisce alla persona di Cristo», in nome del quale tali parole sono articolate (ibid., 2, 4m) 12 . Né questo vuol dire che egli consideri superfluo tutto l'insieme della prece in cui tali parole sono inserite. Un'ampia questione è da lui dedicata a un suggestivo commento all'intiero rito eucaristico, con l'illustrazione minuziosa dei vari significati dei gesti e delle parole (STh, III, 83), d'altronde con la persuasione che nella sua specifica e perfetta identità il sacramento è definito dalla forma, in cui esso risalta quale «Corpo di Cristo» e quale «Sangue di Cristo». 8. La dottrina sul celebrante, che parla e agisce nel sacramento dell'Eucaristia in assoluta dipendenza dal primato di Cristo, viene ripresa e accentuata da Tommaso nella questione relativa al ministro (STh, III, 82), la cui azione, proprio per questo — come già sopra affermava a proposito dei sacramenti in generale — riesce di là dalla sua 1 12

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No» {habent} vini nisi ex Christiprolatione (STh, III, 78, 1, lm). Exprimiturpersona Christi, excuiuspersonahaecproferuntur(STh, III, 78, 2,4m).

santità o indegnità personale. Citiamo anzitutto questo bel testo dove Tommaso precisa che il sacerdote è colui al quale «in virtù dell'ordinazione è conferito il potere di consacrare questo sacramento nel nome di Cristo; infatti, viene costituito nel grado di coloro ai quali è stato detto dal Signore: "Fate questo in memoria di me"»13. Egli «è l'immagine di Cristo, a nome e in virtù del quale pronunzia le parole della consacrazione, per cui egli è in certo modo sacerdote e, insieme, vittima» (STh, III, 83, 1, 3m)14. Ecco perché risulta valida anche la consacrazione di un «cattivo sacerdote (malus sacerdos)»: «La preghiera {oratió) è santa ed efficace in quanto proferita nel nome di Cristo (ex persona Còristi)» (STh, III, 82, 5, 3m)15, senza, d'altra parte, che sia dimenticata la dimensione ecclesiale del sacramento stesso. L'Angelico non manca di ricordare che «l'orazione nella Messa è proferita dal sacerdote in nome di tutta la Chiesa, della quale il sacerdote è ministro»16: da qui la sua validità in ogni caso, com'è per «tutte le altre orazioni pronunziate nelle azioni liturgiche in cui rappresenta la Chiesa» (ibìd., 6, e.)17; «impersona tutto il popolo cattolico» (STh, III, 8 3 , 5 , 12m)18.

Sacerdoti, cum ordinatur, confertur potestas hoc sacramentum consecrandi in persona Cbristi: per hoc enim ponitur in gradu eorum quibus dictum est a Domino: Hoc facile in meam commemorationem (STh, III, 82, 1, e ) . 1 Sacerdos gerit imaginem Christi, in cuius persona et virtute verba pronuntiat ad consecrandum. Et ita quodammodo idem est sacerdos et bastia (STh, III, 83, 1, 3m). Benedictio sacerdotìs {...} in quantum {...} proferìur ex persona Christi est sancta et efficax (STh, III, 82, 5, 3m). Oratio in missa profertur a sacerdote in persona totius Ecclesiae, cuius sacerdos est minìster (STh, III, 82, 6, e). Omnes aìiae eìus orationes quasfacit in ecclesiasticis officiis, in quibus gerit personam Ecclesiae (STh, III, 82, 6, e ) . 1 Gerit personam totius populi catholici (ST, III, 83, 5, 12m).

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9. Secondo le parole di Pascasio, riferite e condivise da Tommaso, che le attribuisce ad Agostino, «in quel che concerne il mistero del corpo e del sangue di Cristo il sacerdote buono non compie qualche cosa di più e quello cattivo qualche cosa di meno, dal momento che quel mistero si compie non per il merito di colui che consacra, ma per la parola del Creatore e per la forza dello Spirito Santo»: il sacerdote, dunque, — commenta san Tommaso — «consacra questo sacramento non in virtù propria, ma quale ministro di Cristo, a nome del quale (in cuius persona) consacra questo sacramento. Diventando cattivo, un sacerdote non cessa per ciò stesso di essere ministro di Cristo: il Signore ha infatti dei ministri e dei servi sia buoni sia cattivi. Uno può essere ministro di Cristo anche se non è giusto. E questo può avvenire perché a operare e a valere nel sacramento è l'eccellenza — noi l'abbiamo chiamata la signoria — di Cristo (hoc ad excellentiam Christi pertinet)» (STA, III, 82, 5, e.)19.

10. Il linguaggio scolastico, "tecnico", dell'Angelico non deve impacciare e impedire di cogliere il perspicuo e luminoso contenuto della sua dottrina, del resto espresso in formule limpide e felici. Il sacramento, in particolare l'Eucaristia, è un atto personale di Gesù Cristo Signore. Egli ne è il ministro originario; da lui, dalla sua presenza deriva tutto il valore del sacramento; i celebranti dipendono da lui, e tutta l'azione sacramentale è a suo servizio. >9 Sacerdos consecrat hoc sacramentum non in virtutepropria, sedsicut minister Christi in cuius persona consecrat hoc sacramentum. Non autem ex hoc ipso desinit aliquis esse minister Christi quod est malus: habet enim Dominus bonos et malos ministros seu servos {...}. Potest ergo aliquis esse minister Christi etiam si iustus non sit. Et hoc ad excellentiam Christi pertinet (STh, HI, 82, 5, e).

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Se nella liturgia non emergesse la figura di Cristo, che ne è al principio ed è realmente presente a renderla valida; se i "santi segni" non portassero la sua impronta e non trovassero la loro ragione in lui; se dovessero prevalere — accentrando in se stessi l'interesse — i ministri della Chiesa e la comunità, con le loro espressioni brillanti, le loro inventive, la loro affaccendata attività, e da questo si misurasse la riuscita del sacramento, non avremmo più la liturgia cristiana, tutta dipendente dal Signore e tutta sospesa alla sua presenza creatrice. Anche per questo aspetto l'insegnamento di Tommaso rimane in tutto il suo non superato splendore e nella sua attualità.

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CAPITOLO TERZO

GLI EFFETTI DELL'EUCARISTIA: LA COMUNIONE CON LA PASSIONE DI CRISTO E L'UNITÀ DELLA CHIESA

1. Per esporre gli effetti dell'Eucaristia, e quindi la ragione della sua istituzione, Tommaso si pone in particolare alla scuola della tradizione eucaristica dei Padri greci e latini - Cirillo d'Alessandria, Giovanni Crisostomo, Ambrogio, Agostino, Giovanni Damasceno — che mostra di conoscere e di fruirne largamente e con singolare finezza.

Egli parte dalla considerazione del suo contenuto, «che è Cristo». Come, venendo visibilmente nel mondo, egli vi ha recato «la grazia e la verità» {Gv 1, 17), così il «Verbo principio vivificante», «con la sua venuta sacramentale nell'uomo, vi opera la vita di grazia», com'è detto in Giovanni (6, 58): «Chi mangia di me, vivrà per me» {STh, III, 79, 1, e ) . Questo sacramento mira a rendere «l'uomo perfetto attraverso la sua unione con Dio» (ibid., Ira) 1 . Anzi, Tommaso giunge a dire che «nessuno ha la grazia prima di aver ricevuto questo sacramento, se Perficitur spirituali* vita, ad hoc quodhomo in seipsoperfectus existatper coniunctionem adDeum (STh, III, 79, 1, lm).

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non altro con un certo qual voto fatto personalmente, come nel caso degli adulti, o tramite la Chiesa, trattandosi di bambini» (ibid.)1. D'altra parte, come abbiamo visto, l'Eucaristia propriamente ripresenta Cristo nella sua passione — quod repraesentatur est passio Christi —, per cui nell'uomo che riceve questo sacramento «si compie quello che la passione ha operato nel mondo» {ibid., 79, 1, e.)3. La comunione eucaristica associa, quindi, al mistero della passione del Signore.

2. La forma conviviale del sacramento — dove il Corpo e il Sangue di Cristo sono «vero cibo» e «vera bevanda» — sta, poi, a indicare come effetto sul piano della vita spirituale quello ottenuto col sostentamento della vita corporale: «alimenta, fa crescere, ricrea e allieta», e così «nutre la sostanza della nostra anima» (Ambrogio), e «si offre a noi che desideriamo toccarlo, mangiarlo e abbracciarlo» (Giovanni Crisostomo), (ibid.). Attingendo quindi al Damasceno — per il quale l'Eucaristia è simile al «carbone ardente» di Isaia — e a Gregorio Magno - che parla dell'operosità dell'amore divino —, Tommaso prosegue: «La grazia spirituale è donata dall'Eucaristia insieme con l'ardore della carità»; ecco perché «questo sacramento, considerato nella sua efficacia, non soltanto conferisce l'abito della grazia e della virtù, ma anche lo rende attivo, secondo le parole di Paolo, 2 Cor 3, [14}: "La carità di Nec aliquis habet grattarti ante susceptionem huius sacramenti, nisi ex aliquo voto ipsius, velperseipsum, sicut adulti, ve/voto Eccksìae, sicutparvuli (STh, III, 79, 1, lm). 3 Per hoc sacramentum repraesentatur quod est passio Christi {...}. Et ideo effectum quod passio Christi fecit in mundo, hoc sacramentum facit in homine (STh, III, 79, 1, e).

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Cristo ci spinge". Per cui dalle risorse di questo sacramento (ex virtute huius sacramenti) l'anima viene spiritualmente ristorata, in quanto si trova deliziata e, in certo modo, inebriata dalla dolcezza della bontà divina, com'è detto nel Cantico 5, [1]: "Mangiate, amici, e bevete, e inebriatevi, o carissimi"» (ibid., 2m) 4 . Tommaso ci ha lasciato in queste righe, composte e misurate, com'è nel suo stile, uno dei suoi testi più toccanti e ispirati: l'Eucaristia avvera l'intimità sponsale del Sacro Cantico. In precedenza aveva scritto, e già vi abbiamo accennato, che questo sacramento, nel quale avviene «una unione così familiare di Cristo», «è il segno dell'amore più grande e il sostegno della nostra speranza» (STh, III, 75, 1, e.)5. 3. Si avverte chiaramente, in queste espressioni, la vena dei canti eucaristici del Dottore angelico, dove — come vedremo — la precisione del linguaggio teologico si fonde con gli accenti lirici e la passione mistica a dare una poesia sublime. «L'Eucaristia è ricevuta saporosamente, in un contesto di amore, di gioia e di ardore. Vi troviamo l'abbozzo di tutta una letteratura eucaristica di cui san Tommaso, cantore di questo sacramento, è uno dei più significativi testimoni» 6 (Raulin).

Ex virtute huius sacramenti anima spiritualiter reficitur, per hoc quod anima delectatur et quodammodo inebriatur dulcedine bonitatis divinae, secundum illud Cant. 5 {1}; Comedite, amici, et bibite; et inebriamini, carissimi (STh, III, 79, 1, 2m). Hoc sacramentum est maximae carìtatis signum et nostrae spei sublevamentum, ex tam familiari coniunctione Christi adnos (STh, 75, 1, e ) . A. RAULIN, in Thomas d'Aquin, Somme Théologique, t. 4, Du Cerf", Paris 1986, p. 614, nota 4.

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Continuando, Tommaso aggiunge che la grazia dell'Eucaristia non manca di rifluire sul corpo7: già ora (in praesenti), offrendo «le nostre membra a Dio quali strumenti di giustizia» (Rm 6, 13) e «in futuro, quando il nostro corpo otterrà l'incorruzione e la gloria dell'anima» (STh, III, 79, 1, 3m) 8 . Un ultimo esito è suggerito dalla compagine delle specie eucaristiche risultanti dalla fusione di una moltitudine di grani e di acini, ed è l'unità e la carità. Tommaso cita al riguardo la nota e mirabile esclamazione di Agostino: «O sacramento della pietà, o segno dell'unità, o vincolo della carità» (ibid.).

4. Su questo ordito fondamentale l'Angelico persegue, sviluppa e ribadisce tutta un'ampia e minuta trama di frutti eucaristici. Anzitutto il conseguimento della vita eterna e della gloria: il significato di questo sacramento rispetto al futuro è quello di prefigurare «la fruizione di Dio, che si avrà nella patria, per cui lo si definisce viatico, in quanto ci dona la via per arrivarci» (STh, III, 73, 4, e.)9. - Si comprende questo effetto considerando, in primo luogo, il contenuto del sacramento, ossia Cristo e la sua passione (ipse Chrìstus et passio eius repraesentata): ora, osserva Tommaso, «fu Cristo stesso mediante la sua pas7

Ex anima {...} redundat effectus gratiae in corpus (STh, III, 79, 1, 3m). Et infuturo corpus nostrum sortietur incorruptionem et glorìam animae (STb, III, 79, 1, 3m). 9 Hoc sacramentum est praefìgurativum fruitionis Dei, quae erit in patria. Et secundum hoc dicitur viatkum, quia hocpraebet nobis viam illueperveniendi (STh, III, 73, 4, e.)-

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sione ad aprirci l'ingresso della vita eterna» 10 , esattamente com'è detto nella lettera agli Ebrei: l'eredità eterna è stata assicurata da Cristo, quale mediatore della Nuova Alleanza, con la sua morte redentrice (Eb 9, 15), e l'Eucaristia è appunto, secondo le parole dell'istituzione e della forma, il calice del Sangue della nuova ed eterna alleanza. — Se poi si considerano l'aspetto conviviale del sacramento, e quindi la refezione prodotta dal cibo spirituale {refectio spiritualis cibi), e l'unità espressa nelle specie del pane e del vino (unitas significata per species panis et vini), si deve constatare che sono realtà imperfette o incomplete, in attesa di trovare compimento nello stato glorioso11. La parola di Cristo: «Chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6, 52) si sta già attuando, ma solo parzialmente: la vita eterna è ora in atto sotto forma di pegno (SU, III, 79, 2, e.)12. 5. Il seguito della riflessione è particolarmente illuminante per l'intelligenza del senso dell'Eucaristia. Sacramento della passione di Cristo, L'Eucaristia ha come fine quello di renderci adesso personalmente "compazienti" con lui, perché a questa compassione, come avvenne per il Signore, succeda anche per noi il suo destino di gloria. In altri termini, Gesù ha istituito l'Eucaristia per lasciarci il mistero e la grazia della Croce, unica e impreteribile via per la risurrezione, come lo fu per il Figlio Ipse Christusper suampassionali aperuit nobis adìtum vitae aeternae {STh, III, 79, 2, e). Habentur quidem inpraesenti, sedimperfette;perfecte autem in statu gloriae (STb, III, 79, 2, e ) . 12 Cfr. l'antifona del Corpus Domini: 0 sacrum convivium, in quo Còristi sumitur; recolitur memoria passionis eius; mens impletur grafia: et futurae gloriae nobis pignus datur.

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dell'uomo. Il testo di Tommaso è dì una invidiabile perspicuità: «La passione di Cristo, in forza della quale opera questo sacramento, pur essendo la causa adeguata (sufficiens) della nostra gloria, non ci introduce subito in essa, dovendo noi "prima soffrire con Cristo", per poi "essere con lui glorificati", com'è detto in Rom 8, {17]; così, questo sacramento non ci introduce subito nella gloria, ma ci dà la capacità di giungervi» (ibid., lm) 13 . Propriamente, quindi, l'Eucaristia non è il sacramento della risurrezione del Signore; egli è presente in essa indubbiamente come Signore risorto, ma in atto di renderci consorti del suo sacrificio mediante il dono del suo Corpo dato e del suo Sangue sparso, quali viatico della gloria: motivo per cui — commenta Tommaso — «questo sacramento è chiamato viatico (viaticum dicitur)» (ibid.).

6. Sacramento della passione — «fonte e causa della remissione dei peccati (fons et causa remissionis peccatorum)» — l'Eucaristia ha in se stessa, obiettivamente, il potere di sciogliere da qualsiasi colpa (virtus ad remittenda quaecumque peccata). Dal profilo soggettivo, tale esito è tuttavia precluso, secondo Tommaso, a chi riceva questo «nutrimento spirituale» — destinato a chi è in stato di vita (quod non est nisi viventis) — in una condizione di morte spirituale (non vivit spiritualiter) (ibid., 3, e ) : nella comunione «l'uomo riceve ì} Passio Cbristi, ex cuius virtute hoc sacramentum operatur,est quidem causa sufficiens gloriae, non tamen ita quod statim per ipsam introducami ad gloriam, sed oportet ut prius simul compatiemur, ut postea simul et glorificemur, ut dicitur Rom. 8 {17}; ita hoc sacramentum non statim nos in gloriam introducit, sed dat nobis virtutem perveniendi ad gloriam (STh, IH, 79, 2, lm).

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dentro di sé Cristo quale nutrimento spirituale, e questo non compete a chi è morto per i peccati» {ibid., 2m)14. La stessa incoerenza si verifica tra questo sacramento, istituito per unire a Cristo, e la condizione di chi sia «affettivamente legato al peccato mortale (in affectu peccanti mortali ter)» (ibid., e ) . In due casi è però possibile che l'Eucaristia valga a rimettere il peccato mortale: quando se ne concepisca il desiderio — il votum —, o quando — pur in peccato mortale ma senza che se ne abbia coscienza e non vi sia ad esso attaccamento — si acceda al sacramento «con devozione e riverenza» (devote et reverenter): allora l'Eucaristia dona «la grazia della carità», suscita una vera contrizione e, di conseguenza, la remissione dei peccati (ibid.)l\ In ogni modo — afferma l'Angelico — essa è per coloro che sono spiritualmente vivi, a differenza dei sacramenti del battesimo e della riconciliazione. 7. D'altra parte, si può osservare che l'Eucaristia, proprio come «nutrimento spirituale», rappresenta il vertice della presenza e della comunione alla passione di Cristo, chiamata «fonte e causa della remissione dei peccati» e quindi della vita "spirituale". Se c'è, allora, un sacramento a cui si debba riconoscere la virtù di generare alla grazia, questo è l'Eucaristia. E infatti essa è già obiettivamente e prelusivamente in atto nel battesimo, così come realmente si "riflette" nella riconciliazione. Si tratta, con1

Per hoc sacramentum homo sumit in se Christum per modum spirituali! nutrimenti, quod non competit mortilo in peccato (STh, III, 79, 3, 2m). Devote et reverenter accedens, consequeturper hoc sacramentum gratiam caritatis, quae contritionem perficiet et remissionem peccatorum (STh, IH, 79, 3, e ) .

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seguentemente, di comprendere in tutto il suo significato la dottrina di Tommaso stesso sull'Eucaristia quale «sacramento perfetto in quanto contiene il Cristo che ha patito {Christus passus)» (STh, III, 73, 6, 2m) - potissimum inter alia sacramenta (STh, III, 65, 3, e); potissimum et perfectivum est omnium aliorum (ibid., se), o quale «compimento», termine di convergenza e «fine di tutti i sacramenti» (STh, III, 73, 3, e ) . In altre parole, l'Eucaristia, in cui è esaurientemente contenuta la passione redentiva di Cristo, è già in opera in forma anticipata, rendendo spiritualmente vivi, nel battesimo; e in forma, per così dire, "riflessa" nella riconciliazione. Se la funzione del battesimo — precisa ulteriormente il Dottore angelico — è quella di iniziare la vita spirituale (ad inchoandam spiritualem vitam), quella dell'Eucaristia è di portarla a termine (ad consummandam ipsam); «per il fatto stesso che i bambini che ricevono il battesimo sono dalla Chiesa ordinati all'Eucaristia». Tommaso giunge a scrivere: «Come essi credono con la fede della Chiesa, così per l'intenzione della Chiesa desiderano l'Eucaristia, e di conseguenza ne ricevono il frutto»16. Da qui la natura e la grazia eucaristica del battesimo stesso. D'altronde sia il battesimo sia l'Eucaristia sono «sacramento della morte e della passione di Cristo (sacramentum mortis et passionis Christi)». 1 Ex hoc ipso quodpueri baptizantur, ordinantur per Ecclesiam ad Eucharistiam. Et sic, sicut ex fide Ecdesiae credunt, sic ex intentione Ecdesiae desiderant Eucharistiam, et per consequens recìpìunt rem ipsius {STh, III, 73, 3, e ) .

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Tommaso anche rileverà che il battesimo lo è «in quanto l'uomo viene rigenerato in Cristo in virtù della sua passione (prout homo regeneratur in Christo virtute passionis eius)», mentre l'Eucaristia lo è «in quanto in essa è portata a compimento l'unione dell'uomo col Cristo nella sua passione (prout homo perfìritur in unione ad Christum passum)» iibid., 3m)17. 8. Altri effetti Tommaso riconosce all'Eucaristia. - L'effetto di rimettere i peccati veniali. L'Eucaristia è un «cibo nutriente» (cibus nutriens). Analogamente a quanto avviene sul piano materiale, anche «sul piano spirituale ogni giorno in noi qualche cosa va perduto, sotto l'impulso della concupiscenza, coi peccati veniali, che diminuiscono il fervore della carità» ifervor caritatis): ebbene, «questo pane — ed è il pensiero di sant'Ambrogio — viene assunto quotidianamente "per riparare l'infermità quotidiana"»: una riparazione o una crescita di grazia quale risultato obiettivo, un opus operatum, del sacramento. Ma Tommaso si appella a un'altra ragione, che mi parrebbe non possa non intrecciarsi con la prima: frutto — o res — di questo sacramento, egli dice, è la carità, intesa non solo come carità abituale - a sua volta obiettivamente "toccata" dalla comunione al Corpo di Cristo —, ma come atto o, appunto, «fervore della carità», che è l'antitesi del peccato veniale (STh, III, 79, 4, e ) , rimesso, allora, nella misura dell'amore con cui il Corpo di Cristo Baptismus est sacramentum mortis et passionis Christi prout homo regeneratur in Christo virtute passionis eius. Sed Eucharistia est sacramentum passionis Christi prout homo perficitur in unione ad Christum passum (STh, IH, 73, 3, 3m).

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è ricevuto. L'Angelico avverte che, se effetto dell'Eucaristia è anche «un certo attuale e dolce ristoro spirituale» iquaedam actualis refectio spiri tualis dulcedinis), questo «viene certamente impedito se si accede a questo sacramento con la mente distratta {mente distracta) dai peccati veniali» {STh, III, 79, 8, e ) . — Altri effetti dell'Eucaristia ai quali solo accenniamo: la remissione della pena dei peccati, «nella misura della devozione e del fervore» {ibid., 5, e ) ; la preservazione dai peccati futuri, in quanto, unendo a Cristo, quale «cibo e medicina spirituale», essa «rinvigorisce la vita spirituale dell'uomo» {ibid., 6, e.)18 e accresce la carità {auget cantatevi) {ibid., 3m); inoltre: il giovamento anche a quelli che non si comunicano, a motivo del carattere sacrificale dell'Eucaristia, dove si ritrova «la passione di Cristo nella quale egli si è offerto come vittima a Dio» {ibid., 7, e.)19. Si direbbe che in questi articoli Tommaso rimane come assorto e ammirato a contemplare tutte le risorse dell'Eucaristia, nella quale egli vede «il bene comune spirituale di tutta la Chiesa {bonum commune spirituale totius Ecclesiae)» {STh, III, 65, 3, lm). 9. Ma un altro fondamentale aspetto va ricordato. Pur non trattandone in maniera esplicita nella questione sugli effetti, ripetutamente san Tommaso presenta la comunione ecclesiale come senso o riuscita ultima — res — dell'Eucaristia. «L'Eucaristia è detta sacramento della 1

Hocsacramentum {...}per hoc quod Christo coniungitper gratiam, roborat spiritualem vitam hominis, tanquam spirituali! cibus et spirituali; medicina (STh, III, 79, 6, e ) . 19 In hoc sacramento repraesentaturpassio Christi, qua Christus "obtulit se hostiam Deo", ut dicitur Ephes. 5 {2} (STh, III, 7, e ) .

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carità, che è il vincolo della perfezione» (STh, III, 73, 3, 3m)20 — egli scrive —: ma non si tratta solo della carità individuale, ma della carità che costituisce la Chiesa: «L'Eucaristia è il sacramento dell'unità ecclesiastica» (STh, III, 82, 2, 3m)21. L'affermazione ricorre: «effetto di questo sacramento è l'ingresso alla vita eterna (introitus ad vitam aeternam)» ; «è l'unione del popolo cristiano a Cristo (unto populi christiani ad Christum)» (STh, III, 74, 6, e ) ; o «popolo congiunto con Cristo (populus adunatus Christo)» (ibid., 7, e ) ; il suo significato quanto al presente è «l'unità ecclesiastica, alla quale gli uomini sono associati grazie a questo sacramento, per cui viene denominato comunione o sinassi» (STh, III, 73, 4, e.)22; nell'Eucaristia «il popolo viene incorporato a Cristo (populus Christo incorporatur)» (STh, III, 74, 8, 2m) - e lo simboleggia nel rito la mistione dell'acqua col vino —. Ricorrendo alla distinzione tra il «sacramento» (sacramentum) e la «realtà del sacramento» — noi diremmo tra il rito (signum) e il suo risultato o la sua riuscita -, Tommaso asserisce: «La realtà (res) del sacramento è l'unità del corpo mistico, senza la quale non ci può essere salvezza (unitas corporis mystici, sine qua non potest esse salus): a nessuno, infatti, è aperta la porta della salvezza fuori dalla Chiesa, come fuori dall'arca, che significa la Chiesa,

Eucharistia diàtur sacramentum caritatis quae est vinculum perfectionis (STh, III, 73, 3, 3m). n Eucharistia est sacramentum unitati* ecclesiasticae (STh, III, 82, 2, 3m). 22 Aliam significationem habet respectu reipraesentis, scilicet ecclesiasticae unitati*, cui homines congregantur per hoc sacramentum et secundum hoc nominatur communio ve! synaxis (STh, III, 73, 4, e ) .

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nel caso del diluvio» (STh, III, 73, le.) 23 . E altrove: «Duplice è la realtà di questo sacramento: una significata e contenuta, ossia Cristo stesso; e una significata e non contenuta, cioè il Corpo mistico di Cristo, che è la comunione dei santi (corpus Christi mysticum, quod est societas sanctorum). Chi dunque riceve questo sacramento, per ciò stesso mostra di essere unito a Cristo e incorporato alle sue membra, il che avviene quando si abbia la fede formata (ravvivata dalla carità)»24: motivo per cui chi riceve l'Eucaristia senza questa fede, ossia in peccato mortale, contraddice il sacramento ifalsitatem in hoc sacramento committit) (STh, III, 80, 4, e ) . Veramente si potrebbe rilevare che, essendo contenuto nei sacramento Gesù Cristo Capo, vi è, in un certo senso, contenuto anche il suo Corpo mistico, come amava sottolineare sant'Agostino. Una volta ancora, Tommaso ha raccolto e conservato con fedeltà e lucida consapevolezza la dimensione ecclesiale dell'Eucaristia, che «fa la Chiesa».

23 Res sacramenti est unitas corporis mystici, sine qua non potest esse salus. Nulli enim patet aditus salutis extra Ecdesiam, sicut nec in diluvio absque arca Noe, quae significai Ecdesiam (STh, III, 7 3 , 3 , e). Duplex autem est res huius sacramenti {...} Una quìdem quae est significata et contenta, sctlicet ipse Christus; alia autem est significata et non contenta, scìlicet corpus Christi mysticum, quod est societas sanctorum. Quicumque ergo hoc sacramentum sumit, ex hoc ipso significai se esse Christo unitum et membris eius incorporatum. Quod quìdem fit per fidem formatam (STh, III, 80, 4, e).

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CAPITOLO QUARTO

LA COMUNIONE SPIRITUALE

1. La partecipazione all'Eucaristia è riuscita, secondo san Tommaso, quando la comunione sacramentale si risolve in comunione spirituale. Ci sono infatti due modi di ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo, l'uno puramente sacramentale, l'altro anche spirituale. Col primo si riceve «solo il sacramento, senza il suo effetto (solum sacramentum sine effectu eius)»; col secondo si assume il sacramento e la sua efficacia profonda, la sua res: allora abbiamo la «manducazione spirituale nella quale si percepisce l'effetto di questo sacramento, consistente nell'unione con Cristo attraverso la fede e la carità» (STh, III, 80, 1, e.)'. Diversamente, avremmo una comunione imperfetta e incompiuta: l'intenzione del sacramento resterebbe innaturalmente monca e sospesa. La manducazione sacramentale è maturata ed è inclusa nella manducazione spirituale. 2. Tommaso osserva che quest'ultima è possibile anche attraverso il suo desiderio: «ci sono alcuni che mangiano questo sacramento spiritualmente, prima di assumerlo sacramentalmente». Avviene — e vale anche [Spirituali* manducatiti} per quam aliquis percipit effectum huius sacramenti, quo spiritualiter homo Christo coniungìturperfidem et caritatem (STh, III, 80, 1, e ) .

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per il battesimo — quando ci sia il desiderio di ricevere l'Eucaristia {desiderium sumendi ipsum sacramentum); ma anche già prima della sua istituzione era possibile comunicarsi ad essa spiritualmente, secondo la dottrina di Paolo sui Padri che hanno mangiato il «cibo spirituale» e bevuto la «bevanda spirituale» (1 Cor 10, 2, ss.). Certo, il Dottore angelico ha un concetto forte di desiderio, ben altro che una vaga e superficiale aspirazione. Ecco perché può affermare: «Tutti sono tenuti a mangiare almeno spiritualmente (omnes tenentur saltem spiritualiter manducare), dal momento che questo significa essere incorporati a Cristo. Senza il voto di ricevere questo sacramento non ci può essere salvezza per l'uomo (sine voto penipiendi hoc sacramentum non potest homini esse salus)» (ibid, 11, e.)2. D'altra parte, egli precisa, all'efficacia del desiderio non succede l'inutilità della «manducazione sacramentale», poiché la «recezione del sacramento attua con maggior pienezza l'effetto del sacramento (plenius inducit sacramenti effectum)» (ibid., 1, 3m). La condizione perfetta e normale è quella dell'Eucaristia che riesce quando il sacramento raggiunge l'intenzione profonda che vi si trova iscritta, ossia la comunione efficace e quindi "spirituale" con la passione di Cristo. Da qui il valore non tanto della ripetizione del sacramento come tale — oggi la chiameremmo liturgismo — quanto della sua efficacia, che coincide con la carità: 2

Omnes tenentur saltem spiritualiter manducare {hoc sacramentum}, quia hoc est Christo incorporai. {...}. Spiritualis autem manducatio includit votum seu desiderium penipiendi hoc sacramentum {...}. Et ideo sine voto penipiendi hoc sacramentum non potest homini esse salus (STh, III, 80, 11, e ) .

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un'Eucaristia che non accresca o non sia in funzione di questa carità riuscirebbe sterile. Ed è come dire la serietà e quasi la "drammaticità" della celebrazione, radicalmente e originariamente destinata a toccare la vita nella sua relazione con il mistero del Signore crocifisso, prima che a esaltare la "ludicità" dell'uomo o il suo stare in compagnia. 3. Del più vivo interesse, per la stessa intelligenza dell'economia del sacramento, è l'illustrazione che Tommaso fa della manducazione o assunzione spirituale, quando si chiede se anche gli angeli assumano spiritualmente questo sacramento. Risponde che vi è una «manducazione spirituale {manducare spiritualiter)» non mediata dal sacramento e dalla fede, e consistente nell'unione con Cristo attraverso la carità perfetta e la sua visione immediata: e questa è la manducazione spirituale degli angeli, non la nostra: «noi un pane simile lo aspettiamo nella patria» iibid., 2, e.)3. Ma se è vero che gli angeli spiritualmente mangiano Cristo — etsi spiritualiter manducent Cbristum — la manducazione spirituale che loro compete non è quella che avviene col desiderio del sacramento, com'è per noi. Senza dubbio «alla comunità del Corpo mistico appartengono sia gli uomini sia gli angeli», ma questi «nell'aperta visione», quelli invece «nella fede», «che vede la

3

II latino di Tommaso è di una suggestiva traspatenza: Angeli spiritualiter manducant ipsum Christum, inquantum eì uniuntur fruitìone perfectae caritatis et visione manifesta — quem panem expectamus in patria — non per [idem, sicut nos hic ei unimur (STh, III, 80, 2, e ) .

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verità "come in uno specchio e in maniera confusa"» e a cui sono consoni i sacramenti (ibid., 2m). Dove c'è la visione non c'è la mediazione della fede e del sacramento e quindi una manducazione spirituale di Cristo che avvenga col desiderio dell'Eucaristia.

4. Ma un'altra considerazione di Tommaso è particolarmente originale e illuminante, quella in cui attribuisce alla manducazione spirituale di Cristo fruita dagli angeli la funzione di modello rispetto alla nostra manducazione sacramentale. La comunione eucaristica sacramentale — egli osserva — è ordinata, come a fine, alla comunione celeste con Cristo, già goduta dagli angeli. Ne consegue che «la manducazione di Cristo con la quale lo assumiamo in questo sacramento in certo modo deriva dalla manducazione di Cristo di cui beneficiano gli angeli in patria. Per ciò si dice che l'uomo mangia "il pane degli angeli"» {ibid., 3m): questo, infatti, anzitutto e originariamente, riguarda gli angeli, che ne fruiscono secondo il suo aspetto proprio; è invece derivatamente pane degli uomini, che ricevono Cristo nella forma del sacramento {ibid., 2, lm). Quaggiù gli uomini colgono la presenza di Cristo mediante la fede; gli angeli lo avvertono presente con la visione immediata (ibid.). Un primo punto interessante di questa dottrina è la natura cristologica della beatitudine degli angeli e quindi la loro aspirazione a lui: anch'essi sono saziati e appagati dalla visione di Gesù Cristo. Cristo è il Pane di tutti. Non vi è felicità che possa prescindere da lui o desiderio che non ne sia l'aspirazione. 44

Un secondo punto è il carattere, in certo modo, transitorio del sacramento eucaristico, che contiene realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, ma come in uno stato di provvisorietà e di precarietà, «fin che venga» (1 Cor 11, 26), in attesa cioè che la realtà del Signore e la comunione con lui (res del sacramento), da celate divengano manifeste, convertendosi in soddisfacente visione. 5. D'altra parte, nell'Eucaristia, «per tutto il tempo in cui le specie rimangono, il corpo di Cristo rimane presente» (ibid., 3, e.)4, per cui non si sottrae neppure a quanti non lo ricevano degnamente. In modo efficace, tuttavia, vi partecipano solo coloro che, mediante la fede animata dalla carità, sono uniti vitalmente a Cristo e al suo «Corpo mistico che è la comunione dei santi» (ibid., 4, e.)5. «Chiunque assume questo sacramento — scrive Tommaso —, mostra per ciò stesso di essere congiunto con Cristo e di essere incorporato con le sue membra» 6 . Fare diversamente significherebbe contraddire o smentire il sacramento. Proprio perché questo non avvenga, devono accedervi unicamente quelli che hanno con Cristo un legame "reale" e non solo la disponibilità per un puro vincolo sacramentale (ibid,, 4m), privo dell'«amore fervente, che si richiede in questo sacramento (fervor diketìonis, qui requiritur in hoc sacramento)» (ibid., 5, 2m).

Manentibus speciebus, corpus Christisub eis esse non {... desinit} (STh, III, 80, 3, e ) . Corpus mysticum, quod est societas sanctorum {STh, III, 80, 4, e.)Quicumque ergo hoc sacramentum sumit, ex hoc ipso significat se esse Christo unitum et membris eius incorporatur (STh, IH, 80, 4, e).

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Resta, però, che per san Tommaso il massimo ostacolo alla mensa eucaristica è il peccato di infedeltà, cioè di colui che ha rigettato la fede e quindi si è separato dalla comunione ecclesiale, quando invece l'Eucaristia è «sacramento dell'unità ecclesiale (sacramentum ecclesiasticae unitatis)» (ibid., e ) . 6. L'Angelico si chiede anche se il sacerdote possa negare il Corpo di Cristo a un peccatore. La sua risposta rivela quanto in lui sia vivo il senso del rispetto per il fedele e per il suo "diritto" eucaristico inerente alla sua condizione di battezzato. Risponde: quando si tratti di un peccatore manifesto — egli fa il caso, per esempio, di un pubblico usuraio, di un pubblico ladro — la «sacra comunione» non dev'essere data; quando invece il peccatore non sia manifesto, questi conserva il diritto, acquisito nel battesimo, di prendervi parte: «Siccome ogni cristiano scrive san Tommaso — per il fatto stesso di essere battezzato viene ammesso alla mensa del Signore, non è lecito sottrargli il proprio diritto, se non per una causa manifesta» (ibid., 6, e.)7. «Le colpe occulte non possono essere punite pubblicamente, ma vanno rimesse al giudizio di Dio» {ibid., lm) 8 . «Il sacerdote, che è al corrente del peccato — egli continua — lo può ammonire in privato oppure può richiamare in pubblico tutti in maniera generale a non acco-

7

Cum enim quilibet christianus ex hoc ipso quod est baptizatus sit admissus ad mensam Dominicam, nonpotest eis ius suum folli nisipro aliqua causa manifesta (STh, III, 80,6, e). 8 Occulta nonpossuntpublicepuniti, sedsunt iudicio divino reservanda {STh, HI, 80, 6, lm).

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starsi alla mensa del Signore, prima del pentimento e della riconciliazione della Chiesa» (ibid., e.)9. A questo punto, vista la sottolineatura da parte di Tommaso del valore del desiderio (desiderium) dell'Eucaristia, potremmo domandarci: tale desiderio non potrebbe essere operante anche in quei fedeli i quali — posti in una situazione morale ed ecclesiale che impedisce il convito eucaristico ma che, di fatto, non è immediatamente risolvibile — sono tuttavia realmente pentiti delle scelte fatte? In tal caso quel desiderio non renderebbe loro fruibile, per via non sacramentale, la grazia o la "realtà", dell'Eucaristia? 7. Quanto l'Angelico scrive sulla comunione dei bambini e sulla comunione frequente, coincide esattamente con le disposizioni di Pio X, di quasi sette secoli dopo, e colpisce per la sua intelligente apertura. Per il primo caso afferma: «Quando i bambini incominciano a disporre di un certo uso della ragione, così da poter essere devoti verso questo sacramento, si può donare loro questo sacramento» (ibid., 9, 3m)'°. Forse, scrivendo queste parole, egli ripensava alla sua puerizia trascorsa nell'abbazia di Montecassino, dove certamente aveva ricevuto con devozione l'Eucaristia. Vale per lui il principio: non si deve negare il sacramento a chi abbia un sia pur piccolo uso della ragione con la possibilità, quindi, di una devozione (aliqua devo9

Potest tamen sacerdos qui est conscius criminis, occulte monere peccatorem occultum, vel etiam in publico generaliter omnes, ne ad mensam Domini accedant antequam poeniteant et Eccksiae reconcilientur (STh, III, 80, 6, e ) . 10 Quando iam pueri ìncipiunt aliqualem usum rationis habere, ut possint devotionem concipere huius sacramenti, fune potest eis hoc sacramentum conferri (STh, III, 80, 9, 3m).

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tio), per quanto esigua, nei suoi confronti. E quand'anche l'uso della ragione non sia più in atto, se in precedenza si è constatata una "devozione" eucaristica, il sacramento va conferito in punto di morte, come viatico — ma, veramente, non si vede perché solo in tale circostanza —. L'Eucaristia non si deve, invece, amministrare a chi non abbia mai avuto l'uso di ragione. L'Angelico sa che i "Greci" si comportano diversamente sia nel caso dei bambini appena nati sia di quanti sono da sempre totalmente privi di ragione; astenendosi dal giudicare in merito, egli mantiene la persuasione che a questi «non si devono dare i sacri misteri», osservando che non ne hanno un discapito spirituale {aliud detrimentum vitae) (ibid.), dal momento che con il battesimo, diventando membri del Corpo di Cristo, sono già diventati partecipi del Corpo e del Sangue di Cristo. In realtà, proprio per questo motivo, non si vede con quale coerenza essi si debbano privare dell'Eucaristia, che, obiettivamente, rappresenta il compimento del battesimo stesso, a sua volta conferito non in una condizione di coscienza e di libertà e quindi di "devozione". Se vale per l'Eucaristia, la ragione della "devozione" dovrebbe valere anche per il battesimo. 8. Per la comunione quotidiana risalta ancora la "magnanimità" eucaristica di san Tommaso. Il sacramento, la cui virtus è «fonte di salvezza per gli uomini» — egli dice -, «è vantaggioso riceverlo ogni giorno, così che ogni giorno se ne colga il frutto {utile est quotidie ipsum suscipere, ut homo quotidie eius fructumpercipiat)» {ibid., 10, e ) , ed è citato a conferma sant'Ambrogio (De sacr., 48

IV, 6): «Se ogni volta che si effonde il sangue di Cristo, si effonde per la remissione dei peccati, poiché sempre ho peccato, sempre lo devo ricevere, sempre devo avere la medicina». Dal profilo di chi si comunica: è richiesto che «si accosti a questo sacramento con grande devozione e venerazione»; «se uno, quindi, avverte in sé queste disposizioni, è cosa lodevole che lo riceva ogni giorno {laudabile est quod quotidie sumat)» {ibid., lm). Tommaso ripete questa affermazione: «Poiché tutti i giorni l'uomo ha bisogno della virtù salutifera di Cristo, egli può lodevolmente ricevere tutti i giorni questo sacramento» {ibid.); «Come ogni giorno si assume il cibo corporale, così è lodevole ricevere quotidianamente questo sacramento» {ibid.), nel quale «il memoriale della passione di Cristo ci è dato sotto forma di cibo, che viene assunto ogni giorno {memoriale passionis Còristi per modum cibi)» {ibid., 2m): è un rilievo di penetrante lucidità: ogni giorno si prende parte al convito che ha come contenuto la passione di Cristo — ogni giorno si mangia la passione di Cristo —, ed è la nostra manna quotidiana, come avveniva per il popolo ebraico nel deserto {ibid.).

9. Quanto alla «venerazione» — precisa Tommaso —, essa deve comprendere «un timore unito all'amore», ossia: un timore filiale, che genera l'«umiltà della venerazione {humilitas reverendi)», e un amore che genera il «desiderio della comunione {desiderium sumendi)». E l'uno e l'altro atteggiamento — e quindi sia la comunione quotidiana sia l'astensione temporanea — esprimono la venerazione verso questo sacramento. Ma l'Angelico manife49

sta chiaramente la sua predilezione, rilevando che «l'amore e la speranza, a cui continuamente ci invita la Scrittura, sono tuttavia da preferirsi al timore» 11 ; e infatti, a Pietro che esclamava: «"Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore", Gesù rispose: "Non aver paura"» {ibid., 3m). In definitiva, quando ci siano l'«amore e la speranza», la comunione quotidiana è un bene. N o n sarebbe conforme al Vangelo starsene lontani facendo prevalere il timore. Questo non sarebbe una «umiltà lodevole» {ibid., 11, lm) 12 . È sorprendente come questo così lucido insegnamento di Tommaso sia stato nei secoli passati lungamente disatteso.

1

' Amor tamen et spes, ad quae semper Scriptum nosprovocat, praeferuntur timori (STh, IH, 80, 10, 3m). Nonpotest esse laudabili* humilitas si cantra praeceptum Christi et Ecclesiae aliquis a comunione abstineat (STh, III, 11, lm).

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CAPITOLO QUINTO

LA CONVERSIONE EUCARISTICA E IL MODO DI PRESENZA DI CRISTO

1. Alla conversione eucaristica, e quindi al modo con cui Cristo è presente nel sacramento, Tommaso dedica diversi articoli: le loro tematiche e la loro minuta argomentazione ci possono sorprendere e dare l'impressione di una loro superfluità, soprattutto di fronte all'assenza di questioni che noi oggi giudichiamo di ben maggiore importanza e interesse, come una più ampia trattazione della natura sacrificale dell'Eucaristia o della sua significazione ecclesiale. Ma occorre osservare che l'urgenza eucaristica più viva riguardava allora la presenza reale, sulla quale nel secolo XI aveva aperto la discussione Berengario, «il primo inventore» (STb, III, 75, 1, e ) , scrive Tommaso, dell'eresia di una presenza puramente sotto forma di segno (in signo); né mancavano questioni molto pratiche, bisognose, a loro volta, di una precisazione sull'esatta modalità della presenza di Cristo nell'Eucaristia. Era quindi ovvio che la teologia vi si dovesse soffermare.

2. Il problema, veramente, si pone sempre, a partire dalla considerazione stessa dell'Eucaristia, dove nessun mutamento è percepibile dal profilo fenomeno51

logico (quello delle specie, o degli accidenti o delle apparenze); dove, tuttavia, all'interno della prece e del rito eucaristico, la fede, senza la minima ombra di dubbio, professa l'avvenuta trasformazione dell'identità o entità del pane e del vino — o della loro "sostanza", secondo il linguaggio scolastico — nella identità o entità — o nella "sostanza" — del Corpo e del Sangue di Cristo. Si tratta di una conversione «sostanziale» (substantialis), incomparabile e assolutamente soprannaturale, operata solo dalla virtù divina': in essa «tutta la sostanza del pane si converte in tutta la sostanza del corpo, e tutta la sostanza del vino in tutta la sostanza del sangue di Cristo» {ibid., 4, e.)2. Passaggio, dunque, di «sostanza» ossia di «entità» — id quod est entitatis (ibid., 3m), secondo il latino di Tommaso — dove a operare è «la forza dell'agente infinito, che ha la capacità di agire sull'ente in tutta la sua totalità» {ibid.)0. D'altronde non sorprende una conversione «assolutamente soprannaturale»: essa è nella linea della generazione e del parto verginale del corpo di Cristo trascendenti, secondo le parole di sant'Ambrogio, citate da Tommaso, l'ordine naturale, sottratti, come dichiara il Crisostomo, ugualmente menzionato, alle leggi della necessità terrena {ibid.).

Non est similis conversionibus naturalibus, sed est omnino supernaturatis, sola Dei virtute effecta (STh, III, 7 5 , 4 , e ) . 2 Tota substantia panis convertitur in totani substantiam corporis Cbristi, et tota substantia vini in totani substantiam sanguinis Christi (STh, III, 75, 4, e ) . Virtute agentis infiniti, quodhabet actionem in totum ens (STh, HI, 75, 4, 3m).

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3. «In questa mutazione — riconosce l'Angelico — le cose difficili sono più numerose che non nella creazione»4, e lo è in particolare il fatto che in essa, oltre ad avvenire una conversione totale del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, una realtà viene tutta trasformata in un'altra, permangono le specie senza il loro soggetto adeguato (STh, III, 75, 8, 3m)\ Per quanto possano essere ramificati i soggetti trattati, la risoluzione è unitaria: grazie alle parole «pronunziate a nome (expersona) di Cristo» (STh, III, 78, 1, e.) - o «come se fosse Cristo presenzialmente a proferirle» (ìbid., 5, e.)6 — e grazie alla «forza dello Spirito Santo (virtute Spiritus Saneti)» (ibid., 4, lm).

4. Nessun indizio esteriormente percepibile - ossia nulla di «ciò che appare mediante i sensi» (quod sensu apparet) — attesta l'avvenuta conversione eucaristica. E, infatti, a ogni livello sperimentabile le specie del pane e del vino permangono veramente. Esse stanno a significare la destinazione conviviale del Corpo e del Sangue di Cristo, e, insieme, a rendere possibile lo stesso convito mediante una manducazione reale, che, pure, non coincide con una dilacerazione fisica — cafarnaitica — del Corpo del Signore. Una tale manducazione non sarebbe una salvifica e vivificante comunione con lui. Nel Commento alle parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «E lo Spirito che dà la vita; la carne non giova a nulla» (Gv 6, In hac conversione suntplura diffidila quam in creatione (STh, III, 75, 8, 3m). Non solum quodtotum convertitur in illudtotum, ita quod nihil prioris remaneat [...] sedetiam [...] quodaccidentia remaneat corrupta substantia (STh, IH, 7 5 , 8 , 3m). b Acsi Christus eapraesentialiterproferret (STh, III, 78, 5, e.)5

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63), Tommaso scriverà: «Il Signore diceva che avrebbe dato se stesso come cibo spirituale, non nel senso che non ci sia nel sacramento dell'altare la vera carne di Cristo, ma perché viene mangiato con una modalità spirituale e divina»7.

5. A sostenere la conversione eucaristica, di là da ogni mutazione esteriore, è quindi la pura fede, che non si ferma ai sensi, ma giunge a «ciò a cui i sensi non arrivano» {STh, III, 75, 5, 3m) 8 . Ripete l'Angelico: «I sensi non possono cogliere che il vero corpo di Cristo e sangue siano presenti in questo sacramento; lo può solo la fede che si basa sull'autorità divina» iibid., 1, e.)9: si tratta di «accogliere nella fede le parole del Salvatore», secondo l'affermazione di Cirillo alessandrino citata da Tommaso, — il quale ancora annoterà che l'Eucaristia «è chiamata sacramento della fede, perché soltanto per fede si ritiene che il sangue di Cristo è davvero presente in questo sacramento» (STh, 78, 3, 6m)10.

6. Avvenuta la conversione eucaristica sul piano della sostanza, Cristo, coerentemente, è presente nell'Eucaristia «al modo della sostanza», non con l'estensione della quantità, com'è per gli altri corpi. Dominus dicebat daturum se eis sicut spiritualem cibum, non quia sit in sacramento altaris vera caro Christi, sed quia quodam spirituali et divino modo manducatur (Super loannem, VI, lect. Vili, IV, n. 992); eh. p. 103, nota 1 per l'edizione. 8 {ld} adquodsensus non attingit (STh, III, 7 5 , 5 , 3m). 9 Verum corpus Christi et sanguinem esse in hoc sacramento non sensu reprehendi potest, sed sola fide, quae auctoritati divinae innititur (STh, III, 7 5 , 1 , e). Quod sanguis Christi secundum rei verìtatem sit in hoc sacramento, sola fide tenetur (STh, ni, 78, 3, 6m).

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In altre parole: il sacramento, da un lato, contiene Cristo integralmente {totus Christus): «È assolutamente necessario affermare secondo la fede cattolica che in questo sacramento Cristo è presente nella sua integrità» {STb, 16, 1, c.) n E lo è, con questa sua integrità, sia nella specie del pane, sia in quella del vino, sia in ogni loro parte. Lo conferma la prassi ecclesiale della frazione del pane consacrato e l'assunzione distribuita o successiva del calice. Inoltre, se Cristo è presente integralmente nel sacramento, ne consegue che lo è con tutta la sua quantità dimensiva; in caso contrario non avremmo presente Gesù Cristo nella sua realtà. Dall'altro lato, tuttavia, precisa san Tommaso - e lo attestano ancora una volta la fenomenologia o l'esperienza — con questa sua quantità dimensiva Cristo non si trova nell'Eucaristia secondo la modalità naturale, ma secondo una modalità propria {secundum modum proprium), dove il tutto è presente nel tutto e le singole parti nelle singole parti. Cioè «le dimensioni del corpo di Cristo non vi si trovano secondo il modo della commisurazione che è proprio della quantità» {ibid., 4, 3m)12, ma lo è «al modo della sostanza, la cui natura è presente tutta nel tutto e tutta in ogni parte» {ibid., lm) 13 .

1 ' Ormino necesse est confiteri secundum fidem catholicam quod totus Christus sit in hoc sacramento (STb, III, 76, 1, e). 12 Secundum modum commensurationis, qui est proprius quantitati (STb, III, 76, 4, 3m). 13 Per modum substantiae, cuius natura est tota in tato et tota in qualibetparte {STh, III, 76, 4, lm).

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7. Sempre per questa sua presenza sacramentale al modo della sostanza, si deve affermare che il Corpo eucaristico di Cristo «non è affatto presente localmente» {ibid., 5, c.)M, cioè non si commisura nella sua quantità estensiva a un luogo che lo contenga e lo delimiti; cosi come neppure si può dire che esso sia, per se stesso, soggetto a qualsivoglia forma di movimento o di mutazione {ibid., 6, e.)15: la scomparsa delle specie consacrate comporta sì il venir meno della presenza del Corpo del Signore, ma non implica in esso movimento o mutazione {ibid., 3m). È la stessa ragione per la quale il Corpo di Cristo presente nell'Eucaristia può essere veduto solo con l'occhio spirituale {oculus spiritualis) {ibid., 7, e ) ; non, quindi, da un occhio corporeo, che percepisca con i sensi o con la facoltà dell'immaginazione {ibid.)16. Trattandosi, cioè, di una presenza soprannaturale, unicamente un "occhio" soprannaturale è in grado di percepirla, e perciò l'intelletto divino e l'intelletto beato, partecipe per grazia di tale chiarità. «Invece dall'intelletto dell'uomo nella condizione di pellegrino sulla terra non può essere veduto se non tramite la fede, come le altre realtà spirituali» {ibid.)". Una volta ancora basta la «sola la fede» (solafides).

1

Nullo modo corpus Christi est in hoc sacramento localiter (STh, III, 76, 5, e ) . Non movetur Christus per se secundum locum {...}; neque per se movetur, secundum esse quod habet in hoc sacramento, quacumque alia mutatìone (STh, III, 76, 6, e ) . Corpus Christi secundum modum essendi quem habet in hoc sacramento neque sensu neque imaginationepercepibile est, sedsolo intellectu, qui dicitur oculus (STh, III, 76, 7, e). 17 Ab intellectu autem hominis viatoris nonpotest conspici nisi per/idem, sicut et caetera supernaturalìa (STh, III, 76, 7, e ) . 15

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E siamo così riportati alla radice della professione eucaristica, tutta dipendente dalla Parola di Cristo.

8. Certo, la riflessione di Tommaso è stata indubbiamente sottile, ma la presenza di Cristo sarebbe pensabile diversamente, senza riflessioni di questo genere, all'interno della "sufficienza della fede"? Si va rimproverando a Tommaso di aver usato una terminologia filosofica nella considerazione del "mistero" eucaristico, col rischio che questo venga ridotto. La verità è tutt'altra: proprio per conservare in tutta la sua "interezza" questo mistero del Corpo e del Sangue del Signore, egli ha cercato di "comprenderlo" e di dirlo con l'ausilio di una riflessione e di un linguaggio che potesse render conto proprio delle certezze della fede, dell'esperienza e della prassi della Chiesa. La Chiesa crede che nell'Eucaristia è presente realmente il Corpo e il Sangue di Cristo; essa è certa che, spezzando il pane consacrato, nella permanenza delle specie, distribuisce nella sua integrità, di là dalla frammentazione, il Corpo di Cristo; ancora, essa conserva quel "Pane", specialmente per distribuirlo come Corpo di Cristo nel viatico e per adorarlo. E la fede stessa che induce alla riflessione e spinge alla ricerca delle sue "ragioni", senza d'altra parte che queste ragioni o altre migliori stemperino il mistero, rendendolo accessibile alla filosofia, secondo il senso e l'intenzione della teologia, intesa sempre non a ridurre il dogma cristiano alle dimensioni della ragione, ma a introdurre la ragione stessa nell'impenetrabile luce della Parola di Dio, 57

nel caso nostro nella luce di quella Parola sulla quale unicamente la conversione eucaristica è stabilita.

9. Le molteplici e non solubili difficoltà di una tale conversione continuano a permanere; l'inesauribile e insondabile mistero dell'Eucaristia rimane sospeso tutto alla decisione della fede, che non vede; e tuttavia l'Angelico è convinto che la dottrina della mutazione totale "sostanziale" e della presenza del Corpo di Cristo «al modo della sostanza» in qualche misura lo rendano concepibile e dicibile, e specialmente che solo con tale interpretazione si possa salvaguardare in tutta la sua verità l'affermazione della fede che Tommaso rende con le parole di sant'Ambrogio: «In quel sacramento c'è Cristo» (ibid, 1, se.)18.

10. Sia il cristiano che intraprenda questo tipo di riflessione — il teologo —, sia il cristiano che vi rinunzi, si ritrovano alla fine nella comunione e nella confessione dell'identica fede eucaristica. È questa che per l'uno e per l'altro costituisce il solo e sufficiente fondamento — sola fides sufficit —. Ma importa rilevare prima di tutto che lo sforzo teologico trova il suo impulso proprio in quella fede eucaristica condivisa; e, poi, che anche chi non si dedichi a tale sforzo espressamente o per professione, se vuole conservare integralmente l'insegnamento e comprendere la prassi eucaristica della Chiesa, può avvertire che, nelle sue linee fondamentali, la riflessione di Tommaso sulla 18

58

In Uh sacramento Christus est [De mysteriis, 9, 58] (STh, III, 76, 1, se).

transustanziazione ne è una illustrazione preziosa: quasi una "necessità" per poterlo plausibilmente pensare e manifestare. N o n per nulla il Concilio di Trento accoglierà, nel suo contenuto fondamentale, questa dottrina di Tommaso, nella convinzione che sia un linguaggio singolarmente felice e adeguato per dire la fede eucaristica della Chiesa: «Questa conversione, affermano i Padri tridentini, è chiamata dalla santa Chiesa cattolica in modo conveniente e appropriato — adattissimo (convenienter et proprie, aptissime) — transustanziazione» 19 .

11. Si dirà che è un linguaggio tecnico di scuola, legato a una teologia datata, che porta dei chiari segni culturali. In realtà si tratta di avvertire che, tramite quel linguaggio, si trova detto con particolare adeguatezza e pertinenza un contenuto che non è datato. Senza dubbio si può congetturare o ricercare un linguaggio differente, ma a condizione che esprima chiaramente il medesimo dato di fede: i termini e concetti quali "transignificazione" e "transfinalizzazione" giustamente furono riconosciuti, da sé soli, inadeguati e riduttivi a tale fine. Né, per altro, occorre che tutto un simile linguaggio passi nell'abituale catechesi, a cui in ogni caso dovrà premere che la verità eucaristica a ogni livello sia trasmessa nella sua integrità e precisione, e che la conclusione sia che nell'Eucaristia si riceve, nella forma del convito, veramente e unicamente Gesù Cristo, «Pane della vita» {Gv "DENZINGER-HÙNERMANN, 1642. 1652.

59

6, 48), nel suo donarsi sacrificale «per la vita del mondo» (Gv 6, 52). 12. Quanto a san Tommaso, possiamo constatare come le sottili, oggettive e incontentabili analisi di scuola, suscitate dalla fede della Chiesa e dalla sua fede, non hanno spento o raffreddato la sua devozione verso il Corpo e il Sangue del Signore. In lui il teologo, quasi lo specialista dell'Eucaristia, si è fuso a fare tutt'uno col fedele, che dinanzi ad essa effonde le sue lacrime, il suo canto e la sua pietà.

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CAPITOLO SESTO

PRESENZA IN VIRTÙ DEL SACRAMENTO E COMUNIONE AL CALICE

1. C'è un aspetto della dottrina eucaristica dell'Angelico sul quale importa soffermare l'attenzione, ed è la distinzione che egli fa tra quello che nell'Eucaristia è presente «in virtù del sacramento stesso» {ex vi sacramenti) e quello che lo è «per naturale concomitanza» {ex naturali concomitantia). In virtù del sacramento, ossia, direttamente, secondo l'indicazione della forma, sotto le specie del pane e del vino sono presenti rispettivamente la sostanza del Corpo di Cristo e la sostanza del Sangue di Cristo, quali termini immediati della conversione eucaristica; per naturale concomitanza è, invece, presente quanto «si trova di fatto congiunto {quod est realiter coniunctum)» {STh, III, 76, 1, e.) con la sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, e cioè l'anima e la divinità. Come afferma testualmente san Tommaso: «Poiché la conversione del pane e del vino non hanno come termine la divinità o l'anima di Cristo, ne consegue che la divinità o l'anima di Cristo non si trovano in questo sacramento in virtù del sacramento, ma della reale concomitanza» {ibid.)\

Quia conversio panis et vini non terminatur ad divinitatem vel anìmam Christi, consequens est quod divinitas vel anima Christi non sit in hoc sacramento ex vi sacramenti, sed ex reali concomitantia {STh, III, 76, 1, e ) .

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2. Come si vede, l'Angelico interpreta le parole di Cristo «corpo» e «sangue» in conformità non alla mentalità semitica, biblica, ma a quella occidentale. Secondo la prima mentalità «corpo», dice tutta la realtà concreta di Gesù, posta in stato sacrificale e offerta come cibo ai commensali dell'Ultima Cena; allo stesso modo anche il «sangue» sta a indicare tutta la sua vita, non trattenuta per sé, ma sacrificalmente "versata". L'Eucaristia è sacrificio non perché da una parte stia il Corpo e dall'altra, separatamente, il Sangue di Cristo; ambedue le consacrazioni esprimono il carattere sacrificale. Così nel vangelo di Luca: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (22, 19); «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi» (22, 20). Si deve dire, perciò, che «in virtù del sacramento» o «in virtù delle parole» nell'Eucaristia è presente sia con l'una sia con l'altra consacrazione Gesù Figlio di Dio nella condizione sacrificale, senza ricorso alla «virtù della concomitanza», e che, in qualsiasi tempo si celebri l'Eucaristia, essa è, secondo il significato e il contenuto della sua istituzione, sacramento del sacrificio di Gesù.

3. Non deriva da questo che la seconda consacrazione sia superflua o che lo sia la comunione al calice. Il sacramento è costituito da tutt'e due i segni assunti da Cristo nella cena pasquale per l'istituzione dell'Eucaristia. Essi si devono considerare non separati o alternativi, ma uniti. «Il pane e il vino — afferma Tommaso — sono due segni distinti, ma rispetto alla forma e alla perfezione sono un segno solo (forma/iter et perfective unum)» {STh, III, 73, 2, 2m). 62

Ecco perché l'Angelico afferma che la comunione alle due specie è "conveniente", o consentanea {convenit), alla natura e alla perfezione del sacramento (STh, III, 80, 12, e.)2. 4. Da quanto abbiamo detto, e proprio in virtù del sacramento, la sola comunione, sotto la specie del pane, al «Corpo dato» è, senza dubbio, assunzione del sacrifìcio di Cristo; e tuttavia essa è giustificata unicamente da ragioni pratiche: «Poiché nel popolo cristiano, che è andato moltiplicandosi, — scrive san Tommaso — ci sono vecchi e giovani e bambini, alcuni dei quali non sono tanto accorti da usare le necessarie cautele nel ricevere questo sacramento, prudentemente in alcune chiese si osserva la norma di non dare al popolo il sangue, ma di farlo consumare al solo sacerdote» {ibid.). Questi, però, precisa lo stesso Tommaso, «non deve assolutamente assumere il corpo di Cristo, senza il sangue» {ibid.f. Se al popolo che non comunica al calice non proviene alcun «detrimento» {detrimentum), è per due ragioni: perché sotto l'una e l'altra specie è contenuto tutto Cristo e perché «il sacerdote offre e assume il sangue a nome di tutti» {ibid., 3m) 4 . In ogni caso, se la mancanza della comunione al calice da parte di tutto il popolo cristiano è dovuta a motivazioni prudenziali {provide observatur) (ibid., e), tale comunione, per sé, dovrebbe essere la norma. E viene da chiedersi se veramente alla perfezione del sacramento sia suf2 3

In utroque [corpore et sanguine] consistitperfectiosacramenti (STh, 111,80,12, e ) . Nullo modo debet corpus Christi sumere sine sanguine (STh, III, 80, 12, e ) . Sacerdos in persona omnium sanguinem offert et sumit (STh,, III, 80, 12, 3 m).

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ficiente che comunichi al calice il sacerdote, come scrive Tommaso: «Non toglie nulla alla perfezione di questo sacramento se il popolo riceva il corpo senza il sangue, purché il sacerdote consacrante riceva l'uno e l'altro» (ibid., 2 m ) \ La comunione al calice concorre alla compiutezza del sacramento.

Nihil derogai perfezioni huius sacramenti si populus sumat corpus sine sanguine, dummodo sacerdos consecrans sumat utrumque (STh, III, 80, 12, 2m).

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CAPITOLO SETTIMO

L'EUCARISTIA NEL COMMENTO A MATTEO: AL PRINCIPIO L'ISTITUZIONE DI GESÙ

1. Se la Summa Theologiae ci offre la sintesi, secondo Yordo disciplinae, della dottrina teologica di Tommaso d'Aquino, i Commentari biblici ci danno il luogo dove egli la veniva primariamente attingendo, del resto secondo il regime della scuola teologica medievale, dove la Scrittura rappresentava per eccellenza il Libro del "maestro", definito esattamente «maestro in sacra Pagina». Per conoscere la teologia eucaristica di Tommaso come nel suo istituirsi, importano quindi particolarmente le sue "letture", come di consueto analitiche, teologiche, e tutte punteggiate di quaestiones — sul Vangelo di Matteo, sulle Epistole di Paolo, con i loro racconti dell'istituzione, e sul Vangelo di Giovanni, col capitolo sesto sul Pane di vita. Incominciamo dalle prime due "letture", e precisamente dalla "lettura" sul capitolo 26 di Matteo, probabilmente degli anni 1269-1270, e da quella sul capitolo 11 della Prima Lettera ai Corinti, riportata da Reginaldo da Piperno e risalente forse agli anni 1265-1268.

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2. Nel capitolo 26 del Vangelo di Matteo — il cui commentario nelle attuali edizioni si presenta con un testo, fissato dagli uditori dalla viva voce, non sempre accurato e talora inesatto 1 - Tommaso trova il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia. Nella sua analisi - condotta con larga attenzione alle fonti antiche già da Tommaso raccolte nella Catena Aurea2 — si ritrovano sostanzialmente i contenuti e le questioni eucaristiche ricorrenti nella Summa Theologiae, indizio, come sembra, della vicinanza di composizione delle sue opere. 3. L'Eucaristia è istituita, secondo Matteo, nel contesto dell'antica cena pasquale. Gesù «costituì il sacramento nuovo dopo il sacramento antico» (post constitutionem veteris testamenti novum constituit), perché apparisse la successione della «verità rispetto alla figura» (succederet veteri sacramento, sicut veritas figurae) (Gerolamo); perché quella istituzione «si imprimesse nella memoria, dal momento che le cose che si ascoltano per ultime, si stampano più profondamente nella memoria» (Agostino) (n. 2168) 3 . Nell'antica Pasqua veniva mangiato l'Agnello come cibo; Cristo, come cibo offre il proprio Corpo, presente non semplicemente «nella forma di un segno» {sub signó) — avrebbe in questo caso un maggior realismo la «figura» 1

Citiamo da: S. THOMAE AQUINATIS, Super Evangelium S. Matthaei Lettura, Marietti, Taurini-Romae 1951 (con la numerazione). 2 Cfr. Exposìtio in Matthaeum in: S. THOMAE AQUINATIS, Catena Aurea in Quatuor Evangelia, I, Marietti, Taurini-Romae, 1951. 3 Voluit ut infigeretur memoriae: quae enim ultimo audiuntur, altìus infiguntur memoriae (n. 2168).

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che non «la verità» —, ma realmente, quale vero Agnello, come «figura e verità» (figura et veritas) (n. 2172); né la manducazione del Corpo di Cristo comporta irriverenza, poiché non il Corpo di Cristo si trasforma nel nostro corpo, ma noi siamo trasformati in lui (Agostino) 4 . A motivo, poi, del realismo della presenza del Corpo di Cristo, il sacramento eucaristico è «il fine e la perfezione di tutti i sacramenti (finis et perfectio omnium sacramentorum)»: «in questo sacramento egli si trova sostanzialmente», mentre gli altri sacramenti — tutti portati al loro compimento nell'Eucaristia 5 — «contengono Cristo per partecipazione» (n. 2173) s . 4. Quanto alla scelta del pane e del vino, elementi e cibi principali comuni a tutti — così riteneva Tommaso — essa si spiega per il fatto che Cristo volle la celebrazione eucaristica «da parte di tutti e in tutto il mondo» (ab omnibus ubique terrarum), essendo, del resto, comune anche l'olio per l'unzione, proveniente da molte olive, a significare «l'unità della Chiesa da una moltitudine di fedeli (unitas Ecclesiae ex multitudine fidelium)» (Agostino) (n. 2175). E, ripetendo la persuasione di sant'Ambrogio, il Dottore angelico può allora osservare che «i nostri sacramenti sono più vecchi dei sacramenti dell'antica legge: questi ebbero origine da Mosè e Aronne, mentre i sacramenti della nuova legge

«Nec tu me in te mutabis skut cìbum carnis tuae, sed tu mutaberis in me» (Confess. 7, 10). Nullum est sacramentum quoti non perficitur in Eucharistia (n. 2173). Alia enim sacrameyita Cbristum continent per participationem, in isto autem est Christus secundum substantiam (Pseudo-Dionigi) (n. 2173).

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da Melchisedec, che offrì ad Abramo il pane e il vino» (Ambrogio) (n. 2175) 7 . 5. Nella benedizione del pane — «Gesù prese il pane, lo benedisse» —, Tommaso, che non si pone propriamente nella prospettiva biblica della benedizione del pane e quindi del rendimento di grazie, illustra un triplice significato. Essa, benedicendo il frutto della terra, revoca la maledizione di Genesi 4, 17 — «Maledetto sia il suolo» (Remigio) -; concerne il contenuto del sacramento - Cristo, «benedetto» come «colui che viene nel nome del Signore» (Mt 2 1 , 9) -; e, in terzo luogo, evoca il frutto del sacramento, cioè i fedeli, ai quali trapassa la benedizione del Signore, come dal capo alle membra (n. 2176) 8 . 6. La frazione del pane, per parte sua, richiama «il mistero della passione» — «poiché nella passione sono state perforate le membra (in passione perforata sunt membra)» —: mistero che fu oggetto della libera scelta di Cristo - «Fu offerto perché lui lo volle» (Is 53, 7) (Agostino, Remigio). La «frazione dall'unità alla moltitudine» sta inoltre a indicare l'espandersi del Verbo, che, restando uno e semplice, è venuto nella nostra molteplicità (venti in istam multitudinem); e raffigura, quale effetto, la divisione delle grazie, permanendo uno lo Spirito (1 Cor 12, 24) (Pseudo- Dionigi) (n. 2177).

Nostra sacramenta magis sunt antiqua quam sacramenta veteris legis, quia sacramenta veteris legis babuerunt initium a Moyse et Aaron, sedsacramenta novae legis a Melchisedec, qui obtulit Abrahampanem et vinum (n. 2175). 8 Per ìstum {fructum} benedkuntur fideles, et transit a capite ad membra (n. 2176).

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7. Come si può vedere, Tommaso — che pure aveva affermato il primato del senso letterale o storico su cui si devono fondare gli altri sensi (STh, I, 1, 10) — assume e fa proprio il metodo esegetico evidentemente accomodatizio, ereditato dai Padri e che gli è offerto dalle sue fonti. Nella sua elaborazione teologica egli ne fa ancora largo uso, ricercando nei dati storici quanto è pertinente al "mistero" (pertinet ad mysterium) (n. 2194). L'arbitrarietà dell'accomodazione, d'altra parte, non manca di essere occasione o motivo per l'illustrazione di validi e profondi aspetti del mistero cristiano, nel caso nostro dell'Eucaristica. 8. Il pane è da Cristo dato «ai suoi discepoli», perché questo sacramento, come è compiuto unicamente dal «sacerdote consacrato», così «non dev'essere amministrato se non a chi è battezzato»; anzi, gli infedeli — come avveniva nella Chiesa primitiva che ammetteva i catecumeni solo fino al Vangelo — «neppure devono essere ammessi a vedere questo sacramento». Tra questi discepoli si ammette, più plausibilmente, che vi fosse anche Giuda, perché con questo gesto della benignità di Gesù fosse distolto dal suo peccato e anche — osserva san Tommaso — «per insegnare alla Chiesa che la partecipazione a questo sacramento non deve essere negata a quanti siano peccatori ancora occulti: non spetta infatti agli uomini giudicare sulle cose occulte» (Remigio) (n. 2179) 9 .

Ut daret Ecclesiae documentimi ut, dum esset oaultus peccator, quod non prohìberetur a recepitone huius sacramenti: homines enim non habent iudicare de occulth (n. 2179).

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9. Nelle parole di Gesù: «Prendete e mangiate: questo è il mio corpo», san Tommaso trova anzitutto l'invito alla «comunione spirituale», «poiché non deve essere ricevuto se non nella fede e nella carità»10, secondo quanto è detto in Giovanni (6, 55) «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui»; alla comunione però «non solo in forma spirituale, ma anche in forma sacramentale {non solum spiritualiter, sed etiam sacramentaliter)» (Agostino). Nelle parole «questo è il mio corpo» Cristo indica la «verità» del sacramento (designat veritatem). Esse sono la forma del sacramento e sono «parole del Signore, perché nelle parole del Signore viene effettuato il sacramento» 11 . «Se la parola di Elia ebbe tale forza da far discendere dal cielo il fuoco, molto di più — osserva san Tommaso — la parola del Signore avrà la forza di trasmutare un corpo in un altro» (Ambrogio) (n. 2180) 12 . Ed è indubbio — egli continua — che questa forza si trova nelle parole, dal momento che «il sacerdote non le usa a nome proprio, ma a nome di Cristo»13. Al riguardo, Tommaso precisa ulteriormente che tale forza non è immanente e autonoma in quelle parole considerate in se stesse; queste operano come una causa strumentale, dove l'efficacia è passeggera, transeunte, provenendo dall'agente principale, che la possiede in modo permanente e completo. Le parole, d'altronde, fanno m

Non debet accipi {corpus} nisi infide et cantate (n. 2180). In verbìs Domini sacramentum conficitur (n. 2180). 12 Si verbum Eliae tantam virtutem habuit quodfaceret ignem de caek discendere, multo magis verbum Deipoterit transmutare unum corpus in aliud (n. 2180). Sacerdos pergit in persona Còristi, et non utitur verbis in persona propria, sed in persona Còristi (n. 2181). 11

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parte del sacramento e «i sacramenti sono cause, ma non come quelle principali, bensì come le cause strumentali, che hanno un potere mobile e incompleto, derivante da un altro soggetto» (n. 2181) 14 . È, quindi, Cristo che sempre conferisce l"'energia" consacratoria alle parole: «Questo è il mio corpo», esattamente come nella istituzione, proferendole il sacerdote appunto in persona Còristi. Si può allora dire che esse posseggono tale energia radicandosi sulla «potestà di Cristo che vi è presente» (2181) 15 . E ancora a proposito della forma, Tommaso sottolinea che, mentre al di fuori dell'Eucaristia la materia non si trova trasformata, anche se in qualche caso è consacrata, si ha il sacramento e la comunicazione della grazia solo con l'effettivo esercizio o l'"uso" sacramentale — il lavacro, l'unzione, ecc. - nell'Eucaristia. Ne consegue, per l'Angelico, che le parole «Prendete e mangiate» non fanno parte della forma: i discepoli prendono e mangiano il Corpo di Cristo, già disponibile nel sacramento avvenuto, grazie alle parole di Cristo (n. 2183).

10. Tommaso si sofferma quindi sulla sottile questione del significato del termine «questo» (hoc) nell'espressione: «Questo è il mio corpo», per affermare che il pronome, all'inizio, indica indeterminatamente la sostanza del pane, che risulta determinata alla fine come Corpo di Cristo, per il passaggio dalla forma del pane alla Sacramenta sunt causae, non skut causae principales, sed instrumentales, ab alio trameuntes (n. 2181). ^Potestas Christi {...} quae ibi assistit (n. 2181).

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forma del Corpo di Cristo, nella permanenza degli accidenti o delle specie. L'Angelico precisa che quelle parole non si esauriscono sul piano del segno, senza toccare la realtà (non ad sensum, sed ad intellectum); non si limitano a indicare il pane, lasciato intatto nella sua sostanza e assunto solo come simbolo del Corpo di Cristo (non nisi ad significandum): sarebbe contro la natura dei «sacramenti della nuova Legge», che «causano quello che significano»16. Neppure, proferite dal sacerdote, tali parole si riducono a una pura narrazione "materiale", a una citazione. Se cosi fosse, non avremmo il sacramento, che comporta l'applicazione delle parole alla materia presente, com'è detto in Agostino: «La parola accede agli elementi e si attua il sacramento» 17 . In realtà: esse sono pronunciate come memoria storica (recitative), conferendo ad esse un significato attuale, "formale", (significative) ({verbo} dicuntur et simul recitative et significative), e con una risultanza efficace. Occorre, infatti, distinguere da un lato le parole umane, e dall'altro le parole sacramentali, equivalenti alle parole divine, dal momento che il sacerdote «parla nel nome di Cristo e agisce come se Cristo fosse presente» 18 . Le parole umane hanno soltanto la prerogativa della significazione, non dell'efficienza; le parole divine, invece, — e quindi quelle sacramentali — sono dotate di potere

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Sacramenta novae legis efficiunt quod significant (n. 2184). Accedit verbum ad elementum, et fit sacramentum (In lohann. eu. tract., 80, 3; n. 2184). 1 Loquitur in persona Còristi, et peragit oc si Christus esset praesens (a. 2184). 17

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significativo e insieme fattivo19. Nelle parole del sacramento opera la stessa forza divina. Ecco perché il sacerdote «parla e insieme opera»20. Il frutto è la trasmutazione della sostanza, nella permanenza delle specie, senza soggetto: secondo il testo limpido di Tommaso: «Comune è l'accidente, differente la sostanza. La sostanza viene trasmutata, rimane, come realtà comune, l'accidente» (n. 2184)21. 11. L'Angelico passa quindi alla illustrazione di altri aspetti sulla modalità della presenza del Corpo di Cristo, di cui è ampiamente trattato nella Summa Theologiae. Diverse annotazioni seguono a commento della consacrazione del vino. La prima osservazione è per dire che il sacramento eucaristico «non è stato istituito per essere compiuto sotto una sola specie, ma sotto due», perché anche «la refezione spirituale» avvenga compiutamente col cibo e la bevanda; perché col sangue separato dal corpo l'Eucaristia risalti come «commemorativo della passione del Signore (rememorativum dominicae passionis)» (Remigio). Tommaso aggiunge un'altra, discutibile ragione, presa dall'Ambrosiaster: siccome il sangue indica l'anima, mentre «il pane è offerto per la salvezza del corpo», «il sangue per la salvezza dell'anima» (n. 2191), restando vero — come sappiamo — che «sotto la Verbum humanum est solum significativum, sed dìvìnum sìgnìficatìvum et factìvum (ti. 2184). Verba sacramentalia habent virtutem a virtute divina. Unde simul dicit, et ex divina virtute facit (ri. 2184). 1 Commune est aaidens, differens est substantia. Unde substantia transmutatur, commune aaidens manet (ri. 2184).

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specie del pane è contenuto il corpo di Cristo in virtù del sacramento, e il sangue in virtù della concomitanza», e viceversa. Rilevando, quindi, la mistura dell'acqua con il vino, come plausibilmente aveva fatto Cristo — «nelle regioni calde è costume di non bere vino senza temperarlo con acqua» — ne coglie la pertinenza sia nel fatto che questo sacramento «è commemorativo della passione del Signore» e «dal fianco di Cristo uscì sangue e acqua» (Gv 19, 34), sia come simbolo di quanto esso produce in noi, cioè la nostra comunione con la passione: questo sacramento — scrive Tommaso — «è commemorativo della passione di Cristo, e, perciò, ci trasmette gli effetti della passione di Cristo», che ci ha lavato dai peccati e ci ha redenti nel sangue22. E a ciò si aggiunge un altro valore simbolico: l'unione del popolo a Cristo attuata dal sacramento eucaristico, nel quale «è contenuta l'unità della Chiesa» (Ambrogio, Remigio) (nn. 2193-2194) 23 .

12. Successivamente, a proposito del «rese grazie», Tommaso afferma che il ringraziamento fu elevato da Gesù per la sua passione, per l'istituzione del sacramento eucaristico, e, infine, per l'effetto della passione: la «salvezza di tutto il mondo» (n. 2196). C'è, poi, un significato nel gesto della consegna del calice: «intese 22

htud {sacramentum} significat memoriampassionis Christi; ergo inducit in nos effeaus passionis Christi. Effectus autem est duplex, abluere et redimere. Redemit nos per sanguinem suum. {...} abluit sordes (n. 2193). Per istud sacramentum populus unitur Christo; ideo per istam admixtionem signatur populus unìri Christo; in hoc {sacramento} unitas ecclesiastica continetur (nn. 2193-2194).

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mostrare che il frutto della passione doveva essere, attraverso gli uni, amministrato agli altri» (n. 2197) 24 .

13. Nello studio delle parole a consacrazione del calice — «Questo è il mio sangue dell'alleanza...» —, l'Angelico mette in luce la similitudine e la differenza tra il sangue dell'antica e della nuova alleanza. Anche Mosè offrì il sangue dell'alleanza del Signore per la salvezza del popolo (Es 24, 8), ma quello era sangue di vitelli, questo è il Sangue di Cristo, e quindi efficace per la remissione dei peccati (Crisostomo, Remigio). Anche quello era sangue di un'«alleanza tra Dio e gli uomini», di un testamento: ma quello suggellava la promessa di «beni temporali (de temporalibus)», questo la promessa di «beni celesti e superni (de caelestìbus et supernis)»; per cui quello fu un patto vecchio, «col quale gli uomini non venivano rinnovati, ma piuttosto invecchiati» (n. 2202)25. Questo fu, invece: — un patto nuovo — secondo la profezia di Geremia (31, 31): «Io concluderò un'alleanza nuova» -; — un patto suggellato nel sangue, fondamento della nostra fiducia (Eb 10, 19), dove la promessa ha avuto la conferma nella morte di Cristo26;

Per hoc significavit quod fructus suae passionìs decebat per alias alii ministrar! (n. 2197). 25 No» innovabantur homines, sed magis inveterabantur (n. 2202). 'Per mortem Còristi confirmata est repromissio (n. 2202).

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— un patto eterno, perché riguardante «un'eredità eterna», «oppure Cristo che è eterno» 27 ; - un patto non ristretto a Israele, ma destinato anche alle genti: il sangue di Gesù è versato «per la moltitudine»; esso ha in se stesso (si consideretur sufficientia) la capacità di purificare e di propiziare per tutti (Remigio) (n. 2202).

San Tommaso non manca di aggiungere un rilievo anche sull'inno detto da Gesù e dagli apostoli al termine del convito pasquale: quell'inno rappresenta ciò che nella celebrazione vien detto dopo la comunione; «i fedeli, quindi, devono aspettare sino alla fine della messa», e non lasciarla prima del ringraziamento (n. 2205).

14. Tommaso, così, ha commentato la coena sacramentalis (ibid.) secondo il vangelo di Matteo, illuminandola con un'ampia documentazione biblica — sostanzialmente quella sulla quale ancora oggi l'istituzione eucaristica viene innestata — e interpretandola alla scuola di una larga tradizione che, anche là dove non sia esplicitamente e analiticamente citata, egli ha di fronte e consulta nella Catena Aurea, in cui l'ha raccolta. Nella teologia dell'Angelico confluisce largamente il senso eucaristico della Chiesa, che essa per parte sua ripensa e riespone, non senza approfondimenti e linguaggio nuovi, secondo le necessità della fede del suo tempo. 1

Potest referri vel ad haereditatem aeternam vel ad Christum, qui aeternus est (n. 2202).

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CAPITOLO OTTAVO

L'EUCARISTIA NEL COMMENTO ALLA PRIMA LETTERA AI CORINZI

I Nel capitolo 11 della Prima Lettera ai Corinti 1 Tommaso ritrova il racconto dell'istituzione dell'Eucaristia già commentata nella Lectura sul Vangelo di Matteo — arricchito di altri aspetti del mistero eucaristico. Vi si riscontreranno, quindi, alcuni temi già rilevati, che per altro l'Angelico trovava e riportava in larga parte dalle Glosse che li avevano raccolti dalla tradizione. In tal modo egli si disponeva nella continuità dell'interpretazione eucaristica che lo aveva preceduto, lasciandovi l'impronta dottrinale, soprattutto "teologico-speculativa", con una serie di sviluppi e di approfondimenti. 1. Sull'affermazione di Paolo relativa alle divisioni dei fedeli di Corinto per cui, dice, «Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore», l'Angelico osserva, citando Agostino: «Il sacramento dell'Eucaristia [...] è "sacramento di unità e di 1

Citiamo da: Super Primam Epistola»! ad Corìnthios Lectura in: S. THOMAE AQU1NATIS, Super Epistolas S. Pauli Lectura, Marietti, Taurini-Romae 1953 (con la numerazione). Cfr. THOMAS d'AQUIN, Commentaire de la Première Epttre aux Corinthiens, Du Cerf, Paris 2002.

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carità", e quindi non è idoneo per quelli che sono in rissa tra di loro»2; essi stanno insieme «corporalmente, ma non spiritualmente {in unum corpore, non animo)» (n. 630). Riferendo, quindi, un'altra esegesi — ossia: non è lecito accedere alla cena del Signore, o «assumere i sacri misteri {sumere sacra mysteria)» (n. 634), dopo aver già pranzato —, Tommaso rinviene tre ragioni per le quali nell'Ultima Cena la consumazione del pasto ha preceduto l'istituzione dell'Eucaristia. «Cristo ha dato questo sacramento dopo la cena dell'Agnello Pasquale», perché «la figura precede la verità {figura praecedit veritatem)»: la verità è il Corpo di Cristo e tutto quello che precede ne è l'ombra {Col 2, 17); perché, così, potè passare direttamente da questo sacramento alla passione, «di cui questo sacramento era il memoriale {{passionis} hoc sacramentum est memoriale)»; e, infine, perché «questo sacramento si imprimesse nei cuori dei discepoli, ai quali donò se stesso nel suo ultimo distacco da loro»3. Il digiuno dalla mezzanotte fu istituito dalla Chiesa per «la riverenza verso un così grande sacramento {in reverentiam tanti sacramenti)» (n. 631). 2. Sul disprezzo gettato «sulla Chiesa di Dio» — evocato da Paolo — col non mangiare nelle proprie case, e sull'umiliazione di chi non ha nulla, Tommaso annota: «Per Chiesa di Dio si può intendere la comunità dei fedeli Eucharistiae sacramentum {...} est "sacramentum unitatis et charitatis" {eh. In loann. eu. tract., 26, ò), et ideo non competit dissentientibus (n. 630). 3 Ut arctius imprimeretur hoc sacramentum in cordibus discipulorum, quibus ipsum tradidit in ultimo suo recessu (n. 631).

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o il luogo sacro, che non deve essere disprezzato [...}. Questi, invece, gettavano disprezzo su tutti e due, consumando, alla presenza della comunità dei fedeli, in un luogo sacro, i loro pasti» 4 ; «Non è lecito — e viene richiamato il comportamento di Gesù contro i venditori al tempio {Gv 2, 16) e la Regola di Agostino {Ep 211, 7) - il far servire a usi profani la casa di Dio deputata a usi sacri»5, a meno che ricorra una necessità (n. 636). Ma anche il prossimo si trova, in tal caso, disprezzato, in particolare i poveri, «che arrossivano, perché, mentre gli altri mangiavano e bevevano lautamente, essi rimanevano affamati davanti a tutta la moltitudine» (n. 637). Rimane il principio: «La cena del Signore è comune a tutta la famiglia»6; nessuno la può considerare come propria o come un bene "privato" {quasi suam, idest quasi propriam) (n. 639).

3- Le parole di Paolo: «uno ha fame, l'altro è ubriaco», riferite già all'assunzione del pane e del vino consacrati, danno a Tommaso l'occasione per sottolineare che nel sacramento «non permane la sostanza del pane e del vino insieme con la sostanza del corpo e del sangue di Cristo» (n. 642): affermarlo «contrasta con le parole della Scrittura {hoc repugnat verbis Scripturae)»; d'altra parte, le specie del pane e del vino, come dopo la consacrazione Potest hic sumi Ecclesia tam prò congregatitele fidelium quam prò domo sacra, quae non est contemnenda {...}. Isti autem utrumque contemnebant, dum, praesente conventu fidelium, in hoc loco sacro convivia celebrabant (n. 637). Non enim est libitum domum Dei, quae est deputata sacris usibus, communibus usibus applicare (n. 636). Coena Domini est communis toti familiae quasi suam, id est, quasipropriam vindicans (n. 639).

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miracolosamente rimangono senza la loro sostanza propria, così, altrettanto miracolosamente, possono nutrire e inebriare come se essa fosse presente (nn. 642-643). «Miracolosamente (miraculose)» (n. 643) — scrive il Dottore angelico —: le sue impegnative spiegazioni eucaristiche, dense di rigorosi concetti ed elaborate con preciso linguaggio, alla fine si affidano al miracolo come all'unico e ultimo fondamento della professione e della certezza della fede. L'argomentazione — come egli la chiama nella questione che apre tutta la Summa Theologiae (I, 1, 8), dedicata alla natura della teologia e al suo metodo — non gli ha offerto delle "prove", ma solo delle "plausibilità", che lasciano intatto e inarrivabile il mistero: «La nostra fede si fonda sulla rivelazione fatta agli apostoli e ai profeti, autori dei libri canonici» (ibid., 2m) 7 . 4. Nella dichiarazione di Paolo che quello che insegna sulla «dominica mena» lo ha ricevuto dal Signore, Tommaso trova il risalto della «dignità di questo sacramento» (n. 646), del quale «Cristo personalmente è l'istitutore» (n. 647) 8 . L'apostolo non ha fatto altro che trasmettere ai Corinzi quanto è avvenuto all'origine. L'insegnamento eucaristico dell'apostolo risale a Cristo, «autore di questa dottrina {auctor buius doctrinaé)» (n. 645) e signore dei sacramenti. Tommaso ricorda qui i quattro aspetti esattamente della signoria, o «potestà di eccellenza {excellentiae pote7

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Innititur autemfides nostra revelationi apostolis et prophetis factae (STh, I, 1,8, 2m). Institutor autem sacramenti est ipse Chrìstus (n. 647).

stas)», esercitata da Cristo nei sacramenti. Operano, anzitutto, in essi la sua «energia e i suoi meriti» 9 ; è nel suo nome, inoltre, che l'azione sacramentale riceve un valore sacro10; d'altra parte, anche a prescindere dal sacramento, egli ne può comunicare l'effetto11; a lui, infine, appartiene l'istituzione di un nuovo sacramento (institutio novi sacramenti). «In modo particolare, era di pertinenza di Cristo l'istituzione diretta e personale del sacramento eucaristico, dal momento che in esso viene offerto il suo Corpo e il suo Sangue, secondo quanto è detto in Gv 6, 52: "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo"» (n. 647)12. 5. Né manca, secondo Tommaso, di una sua "ragione" il tempo dell'istituzione: era «notte», e proprio «in virtù di questo sacramento l'anima viene illuminata (per virtutem enim huius sacramenti anima illuminatur)»; ed era «la notte del tradimento», in cui Cristo «veniva consegnato alla passione, tramite la quale passò al Padre»: ora, questo sacramento «è memoriale della passione» (n. 648)13.

Virtus et merita {Christì operantur} in sacramentis (n. 647). In nomine eius {sanctificatur} sacramentum (n. 647). u Effectum sacramenti sine sacramentopraeberepotest (n. 647). 1 Specialiter {...} congruebat ut hoc sacramentum ipse in sua persona institueret, in quo corpus et sanguis eius communkatur. Unde et ipse dicìt, lo VI, 52: Panis quem ego dabo vobis, caro mea est prò mundi vita (n. 647). 13 Quando tradebatur ad passionem, per quam transivit ad Patrem, hoc sacramentum, quod est memoriale passionis, insìtuit (n. 648).

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6. Passando quindi a commentare il gesto di Gesù, che «prese il pane», l'Angelico incomincia a illustrare la necessità dell'Eucaristia. Letta la realtà dei sacramenti come versione per la vita spirituale di quanto avviene per la vita materiale 14 — per cui alla generazione fisica corrisponde la rinascita battesimale, in cui «Cristo rigenera per la salvezza»15, alla crescita corrisponde la confermazione che dà lo Spirito Santo «per la corroborazione» — si comprende, come proporzionata all'alimentazione del corpo, la "refezione" della vita spirituale mediante l'Eucaristia, dove, sotto le specie, «Cristo è presente con la sua sostanza» (nn. 650-651) 16 . Una presenza di Cristo sotto le specie, al fine di poter essere assunto spiritualmente, senza la derisione degli infedeli e nell'invisibilità che accresce il merito della fede (n. 652). E una presenza sotto le due specie per tre ragioni: — Primo, perché 1'«alimentazione spirituale» con «un cibo spirituale» e «una bevanda spirituale», risultasse perfetta17, a similitudine dell'alimentazione corporale che avviene col cibo e la bevanda. — Secondo, perché l'Eucaristia risaltasse nel suo significato di «memoriale della passione del Signore {memoriale dominicele passionis) ». — E terzo, perché apparisse l'effetto salutare di questo sacramento, destinato a salvare sia il corpo sia l'anima, 1

Corporalia sunt quaedam similitudines spirituaiium (n. 650). Christus regenerat ad saluterà (n. 651). Similiter vita spiritualispersacramentum Eucharistiae reficitur; {in quo} Christus est secundum suam substantiam (n. 651). 17 Hoc sacramentum {...} propter eius perfectionem {...}, curri sit spiritualis refectio, debet habere spiritualem cibum et spiritualem potum (n. 653). 15

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inclusa nel sangue (n. 65 3)18: una ragione, quest'ultima, che l'Angelico, come sappiamo, attinge dall'Ambrosiaster.

L'uso, poi, del pane e del vino si ritrova "conveniente" essendo questi gli alimenti più comuni — com'è dell'acqua e dell'olio —; nel pane, che «rafforza il cuore dell'uomo», e nel vino che «infonde allegrezza», è, inoltre, simboleggiata l'efficacia del sacramento eucaristico (virtm huius sacramenti), mentre i molti grani e i molti acini da cui sono formati il pane e il vino «significano l'unità della Chiesa, costituita da molti fedeli»"; e, infatti, secondo il ripetuto insegnamento di Agostino, «in modo speciale l'Eucaristia è il sacramento dell'unità» (n. 654)20.

7. In particolare, il gesto di Cristo che prende il pane è significativo sia della sua oblazione volontaria alla passione, di cui parla Isaia (53, 7), e di cui il sacramento eucaristico è memoriale 21 , sia del «potere ricevuto dal Padre» — che tutto gli aveva consegnato (Mt 11, 27) «di istituire questo sacramento» 22 . Il rendimento di grazie è invece un invito esemplare «a ringraziare per tutte le cose che ci vengono date da

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Valet enim ad salutem corporis, et ideo offertur corpus: et valet ad saluterà animat, et ideo offertur sanguis (ri. 653). Panis, qui ex multis granisfit, et vinum ex multis uvis, significant Eccksiae unitatem, quae constituitur ex multis fidelibus (ri. 654). Est autem haec eucharìstia specialiter sacramentum unitatis et caritatis, ut dicit Augustinus, Super Ioannem {Traci., 26, 13] (n. 654). Ipse volontarie passionem accepit, cuius hoc sacramentum est memoriale (n. 656). Ipse accepit a Patre potestatem istituendo hoc sacramentum (n. 656).

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Dio»23, mentre la frazione del pane è stimolo a spezzare il pane all'affamato (n. 656). Quanto all'affermazione che Cristo prima spezzò il pane e quindi pronunziò le parole della consacrazione, mentre nella celebrazione eucaristica il pane viene spezzato dopo, Tommaso ritiene che tali parole siano state pronunziate in contemporanea coi gesti — concomitanter —, e che Paolo ricorda il «rese grazie», ma tralascia il «benedisse», perché lo include nella stessa espressione: «Questo è il mio corpo». In realtà "benedire" e "rendere grazie" biblicamente coincidono. Interessante il rilievo — ripetutamente richiamato dall'Angelico - che Gesù ha consacrato l'Eucaristia con le stesse attuali parole del celebrante: «Il sacerdote, mentre consacra, non pronunzia queste parole come a nome proprio, ma come in rappresentanza di Cristo consacrante» (n. 657)24.

8. L'invito del Signore: «Prendete e mangiate» è reso da Tommaso in questi termini: «La partecipazione a questo sacramento non vi spetta per un potere o un merito umano: proviene da una singolare grazia divina»25, mentre osserva che tali parole non appartengono alla forma del sacramento. Negli altri sacramenti la materia non è trasformata, e il sacramento avviene quando essa viene effettivamente usata sul soggetto, che appare, così, suscettivo della grazia santificante; nel caso invece dell'Eu3 /« quo datur nobis exemplum gratias agendì de omnibus quae nobis divinìtus dantur (n. 656). Sacerdos, dum consecrat, non proferì ista verba quasi ex persona propria, sed quasi ex persona Christi consecrantis (ri. 657). 25 Non ex potestate vel merito humano competit vobis usus huius sacramenti, sed ex eminenti Dei beneficio (n. 659).

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caristia il sacramento «si compie nella stessa consacrazione della materia, in cui è contenuto lo stesso Cristo, che è il fine di tutta la grazia santificante» (n. 660)26. Quanto alle parole: «Questo è il mio corpo»: stanno a indicare «la verità e il contenuto del sacramento» (ibid.)27.

9. Su di esse Tommaso istituisce una serie di considerazioni teologiche. Anzitutto per affermare che «veramente in questo sacramento si trova il corpo di Cristo nel quale il pane si è trasmutato» 28 . Viste le parole di Cristo: «Il mio corpo è veramente cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6, 56), «è eretico {haereticum est)» — afferma l'Angelico — ritenere che «il corpo non è presente in questo sacramento secondo verità, ma puramente nel segno», come se Cristo avesse detto: «Questo è il segno e la figura del mio corpo» (n. 662)2S. Altrettanto infondata è la posizione di quanti reputano che «vi si trovi veramente il corpo di Cristo, ma insieme con la sostanza del pane»30; e neppure si può ammettere che la presenza del Corpo di Cristo risulti in virtù di un annichilamento della sostanza del pane o di una sua risoluzione nella preesistente materia: Dio, secondo l'affermazione di Agostino, non è «l'autore della

In qua contìnetur ipse Christus, qui est finis totius gratiae sanctificantis (n. 660). Continent veritatem et continentiam sacramenti (n. 660). 28 Oportet igitur dicere quod corpus Christi vere sit in hoc sacramento per conversionem panis in ipsum (n. 662). Hoc est signum et figura corporis mei (n. 662). 30 Est ibi vere corpus Christi sed simul cum substantia panis (n. 662). 21

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tendenza al non essere»31, senza dire che, in questa prospettiva, non ci sarebbe una conversione e un inizio di presenza tramite un moto locale, inammissibile trattandosi di una presenza di sostanza.

10. Tommaso si sofferma ulteriormente a sottolineare che la conversione eucaristica riveste un'assoluta singolarità: mentre le mutazioni naturali comportano una mutazione nella forma {secundum formam), o sostanziale o accidentale, permanendo la materia come elemento comune 32 , nella conversione eucaristica avviene il contrario: tutta la sostanza del pane e del vino viene convertita nel Corpo e nel Sangue di Cristo, non permanendo nessun elemento comune, per cui «questa conversione è definita conversione sostanziale o transustanziazione»". In essa, «mutata la sostanza, rimangono gli accidenti, senza il loro soggetto proprio. Questo avviene grazie alla potenza divina, la quale, come causa prima, li sostiene senza la loro causa materiale»34. In tal modo il Corpo e il Sangue di Cristo, trovandosi non nella loro specie propria, ma in quella del pane e del vino (in specie aliena) possono essere assunti come cibo e bevanda (n. 663). Quanto alle specie, sotto cui rimane unicamente il Corpo di Cristo, «persistono nella precedente condi31

Deus non est auctor tendendì in non esse (LXXXÌH Quaest, q. 21, PL 40, 16) (n.

662). Actio naturae {...} non se extendit nisi ad immutandum aliquid secundum formam vel substantìalem vel accidentalem, unde omnis conversio naturalis dkìtur esse formalis (n. 663). 33 Dicitur ìsta conversio substantialis seu transubstantiatio (n. 663). Virtute divina, quae sicut causa prima sustentat ea sìne causa materiali (n. 663).

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zione»35: conservano, quindi, le loro primitive dimensioni e le loro «qualità sensibili», quasi fossero nel loro soggetto adeguato. Ne consegue che nella «frazione dell'ostia» esse vengono veramente spezzate, senza che ne risulti toccato il Corpo di Cristo36. Questo Corpo «si conserva integro sotto qualsiasi parte [dell'ostia} divisa»37, essendo presente nella modalità sostanziale e non dimensionale, restando, per altro, vero che anche le dimensioni del Corpo di Cristo sono "consequenzialmente" presenti, in quanto «non sono separate dalla sua sostanza». Osserva san Tommaso: «Come prima della consacrazione tutta la verità della sostanza e della natura del pane si trovava presente sotto qualsiasi parte delle sue dimensioni, così, dopo la consacrazione, tutto il corpo di Cristo si trova presente sotto qualsiasi parte del pane spezzato» (n. 664)38. 11. La frazione del pane non manca — aggiunge Tommaso - di un suo significato: essa indica: «la passione di Cristo, per la quale il suo corpo venne spezzato dalle ferite»39; «la distribuzione dei doni di Cristo, da lui stesso provenienti» 40 ; e — secondo uno sbrigativo e sommario allegorismo, allora diffuso, della frazione in tre parti — le

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Remanent skutprius fuerant (n. 664). Corpus autem Christi non attingitur ab huiusmodi fractione (n. 664). Totum remanet sub qualibet parte ditnensionum divinarum (n. 664). Sicut ante consecrationem tota veritas substantiae et natura panis erat sub qualibet parte dimensionum, ita post consecrationem totum corpus Christi est sub qualibet parte panis divisi (n. 664). Significai {...} primo quidem passionem Christi, per quam corpus eiusfuit vulneribus fractum (n. 665). 0 Distributionem donorum Christi ex ipsoprogredientibus (n. 665). 3

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tre "porzioni" di Chiesa: pellegrinante, gloriosa e purgante (n. 665).

II 1. Tommaso riprende la questione sulla verità dell'espressione: «Questo è il mio corpo {de ventate huius locutionis)» (n. 666), e a suo giudizio l'unica interpretazione valida è quella che la intende come significativa e operativa della presenza del Corpo di Cristo mediante una conversione di sostanza: «Le forme dei sacramenti — egli scrive — non sono soltanto significative, ma anche operative; significando, operano»41; nel caso dell'Eucaristia, a partire dalla sostanza indeterminatamente indicata col pronome "questo" 42 , le parole della consacrazione (verba consecrationis) operano una conversione, per la quale continua a permanere come elemento comune non una sostanza, ma soltanto le specie del pane e del vino43: «Ciò che prima della consacrazione era contenuto sotto questi accidenti non era il corpo di Cristo: corpo di Cristo lo diventa grazie alla consacrazione» (n. 669)442. Quelle parole non possono riferirsi a «quanto c'è al principio dell'asserzione» e quindi voler dire: «Questa sostanza del pane è il mio corpo» - il che sarebbe falso 1

Formae sacramentorum non solum sunt significativae, sed etiam factìvae: significando enim efficiunt (a. 669). Poniturpronomen, quod significai substantiam sine determinata specie (n. 669). 3 Accidentia, quae etprius fuerunt etpostea manent (n. 669). Nani ante consecrationem id quod erat contentum sub bis accidentibus non erat corpus Christi, quod tamen fit corpus Cbristi per consecrationem (n. 669).

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(nn. 666, 668) —. E neppure riferirsi a quanto ci sarà «alla fine dell'asserzione» e voler dire: «Questo mio corpo è il mio corpo», il che è vero anche prima della consacrazione. Allo stesso modo, non può ritenersi fondata un'esegesi che le intenda in senso puramente narrativo, come una rievocazione storica del passato — materialiter et recitative -, senza riferimento al presente: resterebbe intoccata la materia e non avremmo il sacramento, che proviene dall'accesso della forma alla stessa materia — secondo la nota affermazione di Agostino: «La parola, accede all'elemento e ne risulta il sacramento» 45 . Tali parole vanno invece formalmente, ossia "attualmente", connesse «alla materia presente (ad materiam praesentem)» e la loro attuale efficacia ha una sua ben precisa ragione: «Il sacerdote le proferisce in rappresentanza di Cristo, dal quale hanno derivato la loro efficacia; è così che esse hanno ora la medesima efficacia di quando Cristo le ha pronunziate: il valore operativo incluso in queste parole non svanisce né col mutare del tempo, né per il variare dei ministri»46. Ugualmente, il senso delle parole: «Questo è il mio corpo» non può essere quello puramente simbolico, ossia: «Questo pane designa il mio corpo»47. Verrebbe allora a mancare l'efficacia sacramentale, e si avrebbe 5 Accedit verbum ad ekmentum et fit sacramentum {In lohann. eu. traci., 80, 3) (n. 667). Proferì auttm ea sacerdos ex persona Cbristi, a quo virtutem sumpserunt, ad ostendendum quod eandem efficaciam habent, sicut quando Christus ea protulìt. Non enim vìrtus bis verbis collata evanescìt, neque temporis diversitate, neque ministrorum varietate (n. 667). 1 Designai corpus meum (ri. 668).

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la presenza del Corpo di Cristo solo «sub signo», quando, al contrario, «i sacramenti operano quello che simboleggiano» (n. 668)48. 3. Tommaso precisa ancora, a proposito della consacrazione: «La consacrazione non avviene col fatto che la materia consacrata si limiti a ricevere una certa energia spirituale, ma nel fatto che viene transustanziata, secondo l'essere, nel corpo di Cristo»49. Di là da tutto quanto possa essere fenomenologicamente sperimentato riguardo al pane, per cui da questo profilo si constata che non è mutato nulla, sul piano dell'essere; della realtà — e quindi dell'identità — il pane è diventato, e perciò è, il Corpo di Cristo. E siamo nel cuore del mistero, che le parole faticano a dire. La riflessione sull'Eucaristia, al fine di custodire e illustrare la chiara e ferma persuasione della fede della Chiesa, ha estremamente impegnato l'intelligenza e la ragione teologica, e ritengo felicemente: nella "precarietà" e "tecnicità" dei suoi concetti e del suo linguaggio, la dottrina eucaristica di Tommaso mi pare rappresenti quanto di più alto, di più plausibile e di più "devoto" sia stato scritto.

4. In queste riflessioni mi pare specialmente rilevante e illuminante quanto Tommaso afferma sulla permanenza del valore delle parole di Cristo, che non patiscono 8

Cum sacramenta effìciunt quodfigurant (n. 668). Consecratio autem non fit per hoc, quod materia consecrata solam suscipit aliquam virtutem spiritualem, sed per hoc quod transubstantiatur secundum esse in corpus Christi (a. 670).

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estenuazione col passare del tempo o per la mutazione dei luoghi. Viene riconosciuta ad esse un'efficacia permanente. Importa, d'altra parte, osservare che non si tratta di una capacità operativa "magica", annessa a tali parole assolutamente o astrattamente considerate. Esse valgono in precise condizioni: quando, cioè, concretamente siano pronunziate - secondo una chiara intenzione ed entro un altrettanto chiaro contesto - da parte del sacerdote quale rappresentante di Cristo — in persona Christi —, sacramentalmente e quindi realmente presente con la sua potestas excellentiae. Secondo le parole dell'Angelico nella Summa Theologiae: «Chiunque sia il sacerdote che pronunzia queste parole», «è come se le pronunziasse Cristo presente», dal quale scaturisce la loro efficacia operativa' 0 .

5. La dichiarazione di Cristo: «[Il mio corpo] che sarà consegnato per voi» «tocca — commenta san Tommaso — il mistero di questo sacramento: è, infatti, il sacramento che rappresenta la passione divina, in cui egli ha consegnato per noi il suo corpo alla morte» 51 ; mentre il mandato: «Fate questo in memoria di me» equivale all'invito a ricordare «il tanto grande beneficio, per ottenere il quale Gesù si è consegnato per noi alla morte» (n. 671)".

Ex prolatione ipsius Christi haec verba virtutem consecrativam sunt consecuta a quocumque sacerdote dìcuntur, acsi Christus ea praesentialiter proferret (STh, IH, 78, 5, e.)Tangit mysterium buìus sacramenti. Est enim sacramentum rspraesentativum divinae passionis, per quam {Christus)- corpus suum tradidit in mortem prò nobìs (n. 671). 52 T
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