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Gaetano Berruto

FONDAMENTI DI SOCIOLINGUISTICA

LA COLLOCAZIONE DELLA SOCIOLINGUISICA FRA LE SCIENZE DEL LINGUAGGIO Definizione della sociolinguistica La sociolinguistica è un ramo delle scienze del linguaggio ed il suo oggetto, in prima approssimazione, è lo studio di come parla la gente. Ma non è semplice definire rigorosamente questa scienza, dato che i suoi confini sono labili e sfociano in numerose altre discipline. È ovvio però che le due fonti d’’ispirazione principali sono la linguistica da una parte e la sociologia dall’’altra. Ci sono definizioni estremamente generiche ed altre estremamente restrittive, ed in ultima analisi le differenze vertono soprattutto sul ruolo che deve avere la linguistica, sull’’oggetto di studio e sui rapporti con le altre discipline. Troviamo tuttavia degli elementi comuni in tutte le definizioni dei vari autori: la sociolinguistica è un settore degli studi linguistici, appartiene alle scienze del linguaggio e non a quelle della società, i sociolinguisti si considerano prima di tutto (e sono) linguisti, il suo oggetto di studio non è ancora ben definito, ma in ogni caso comprende fenomeni linguistici visti sotto l’’angolatura della dimensione sociale. Dunque la sociolinguistica potrebbe essere così definita: un settore delle scienze del linguaggio che studia le dimensioni sociale della lingua e del comportamento linguistico, vale a dire i fatti e fenomeni linguistici che, e in quanto, hanno rilevanza sociale.

Ambito della sociolinguistica, aree e discipline contermini Nella sociolinguistica possiamo individuare dei grandi aree: la sociolinguistica in senso lato, che comprende la sociolinguistica in senso stretto e la sociologia del linguaggio, e la sociolinguistica in senso stretto. Per sociolinguistica in senso stretto si intende lo studio della natura e della manifestazione della variabilità linguistica, del rapporto tra lingua e stratificazione sociale, della covarianza tra fatti linguistici e variabili sociali (fondamentale è il concetto di variazione). Per sociologia del linguaggio, invece, si intende lo studio della distribuzione, della collocazione, della vita e dello status dei sistemi linguistici nelle società. Numerose discipline si pongono in rapporto con la sociolinguistica. Tra queste ricordiamo la dialettologia, la creolistica e la linguistica delle varietà, che si trovano tutte a livello di analisi di sistemi linguistici. Al livello dell’’analisi dell’’uso della lingua ci sono la linguistica pragmatica, l’’analisi della conversazione e l’’etnometodologia. Tra sociolinguistica, antropologia e etnografia c’’è l’’etnografia della comunicazione (a differenza della sociolinguistica, l’’etnografia della comunicazione vede la linguistica e la struttura sociale come inestricabilmente connesse). Comprensiva dell’’etnografia della comunicazione è l’’etnolinguistica, che si occupa dei rapporti più generali tra lingua e cultura. Un ultimo settore, che si sovrappone in particolare con la sociologia del linguaggio, è la psicologia sociale del linguaggio. Dopo questo analisi, è importante far notare che il contributo della sociologia alla sociolinguistica è rilevante, ma di gran lunga inferiore a quello della linguistica. La sociolinguistica è dunque una linguistica che tiene conto saliente dei fatti sociali. La sociolinguistica in senso lato comprende un po’’ tutti i campi citati, e dunque è una disciplina dai confini ampi ed eterogenei. Noi invece ci occuperemo della sociolinguistica in senso stretto.

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Rapporti tra sociolinguistica e linguistica Nell’’analisi dei rapporti tra sociolinguistica e linguistica troviamo due posizioni polari tra le quali si collocano numerose varianti. La prima delle due posizioni principali afferma la subordinatezza della sociolinguistica alla linguistica, ritenuta superiore. Uno dei principali esponenti di questa concezione è Chomsky, che sostiene l’’inutilità della sociolinguistica nella comprensione del linguaggio. La seconda posizione, all’’opposto, afferma che la linguistica deve necessariamente comprendere anche gli aspetti sociali, già nella sua fondazione. Questa è l’’opinione dell’’etnografia del linguaggio, che ritiene impossibile comprendere il linguaggio stesso prescindendo del suo contesto socio-culturale. In ogni modo, la sociolinguistica non è un’’““altra linguistica””, ma una disciplina che contribuisce alle conoscenze generali sul linguaggio al pari delle altre. La sociolinguistica e la linguistica teorica hanno pari dignità, e mentre la prima si occupa sostanzialmente dell’’uso della lingua, la seconda si rivolge invece agli aspetti formali della grammatica. A questo punto nasce la questione di trovare il punto di contatto tra lingua e società, ma questo è un problema ancora controverso. Secondo Labov e la linguistica formalista, non ci sarebbe alcun contatto: la lingua funziona indipendentemente dalla sua funzione socio-comunicativa. Secondo Hymes e la linguistica funzionalista, invece, tutto nella lingua sarebbe legato in qualche misura alla sua funzione socio-comunicativa. Fasold si pone a metà strada affermando che alcune parti dei fenomeni linguistici sono indipendenti dal contesto d’’uso mentre altre ne sono influenzate. Si può sostenere che la struttura della lingua sia divisa in tre sottogruppi: il primo (e più importante) in cui la grammatica è indipendente dai contesti extralinguistici e sociali; il secondo, in cui essa dipende dai contesti extralinguistici ma non da quelli sociali (di discreta rilevanza); il terzo, in cui essa dipende sia dai contesti extralinguistici sia da quelli sociali (di scarsa e non universale presenza). A questo livello, le possibilità d’’azione della sociolinguistica sono quasi irrilevanti. Se invece consideriamo la distribuzione degli usi delle strutture grammaticali, notiamo che teoricamente tutte le strutture linguistiche possono assumere significato sociolinguistico. Le possibilità sono due: se la sociolinguistica si concentra sugli aspetti del sistema grammaticale sensibili al contesto sociale, il suo ruolo è scarso, ma appaiato a quello della linguistica teorica; se invece studia l’’uso sociale e il valore sociale di un elemento realizzato dalla lingua, il suo ruolo è universale, ma essa deve basarsi sulle conclusioni della linguistica teorica.

Sociolinguistica in senso stretto e sociologia del linguaggio La sociolinguistica in senso stretto e la sociologia del linguaggio operano su dati radicalmente diversi. La prima lavora su oggetti linguistici concreti, su realizzazioni del sistema linguistico prodotte dai parlanti. La seconda invece analizza i sistemi linguistici stessi nel loro insieme, gli schemi comportamentali e gli atteggiamenti e i valori dei parlanti. In secondo luogo, la sociologia del linguaggio è molto più vicina alla sociologia della sociolinguistica in senso stretto, per interessi, metodi e rilevanza dei risultati. Hudson afferma che la sociolinguistica in senso stretto è ““lo studio della lingua in rapporto alla società””, mentre la sociologia del linguaggio è ““lo studio della società in rapporto alla lingua””. Inoltre, la sociolinguistica in senso stretto lavora a livello microsociolinguistico, cioè sulle produzioni dei parlanti vista in dettaglio, mentre la sociologia del linguaggio lavora a livello macrosociolinguistico, cioè sui rapporti tra ampie strutture linguistiche e ampie strutture sociali (studia i gruppi, non i parlanti singoli). Infine, la sociolinguistica in senso stretto può effettivamente dare origine a una teoria, mentre la sociologia del linguaggio ha in impianto decisamente tassonomico. La sociologia del linguaggio studierà la composizione linguistica delle nazioni, la costituzione dei repertori linguistici delle società, ecc., mentre la sociolinguistica in senso stretto studierà le singole produzioni dei parlanti.

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Due tipi di sociolinguistica: sociolinguistica correlazionale e sociolinguistica interpretativa Fin dalla nascita della sociolinguistica si ritrovano due correnti principali: la sociolinguistica correlazionale e la sociolinguistica interpretativa. La prima, rappresentata da Labov, si concentra sulla funzione linguistica: i fatti sociali vengono assunti come variabile indipendente e pertanto non sono studiati, in quanto essi influenzano direttamente quelli linguistici. La seconda, invece, rappresentata dall’’etnografia della comunicazione e in particolare da Gumperz, sostiene che i fenomeni sociali e quelli linguistici sono in correlazione tra loro non nel modo classico di causa-effetto, ma ognuno influenza reciprocamente l’’altro. La prima preferisce metodi quantitativi, mentre la seconda usa metodi qualitativi. Dall’’inizio degli anni ’’80 la visione qualitativa comincia ad essere la preferita, e si cerca di costruire su di essa un paradigma interpretativo.

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PROBLEMI E PRESUPPOSTI TEORICI DELLA SOCIOLINGUISTICA Statuto teorico della sociolinguistica È difficile costruire una teoria generale della sociolinguistica, perché essa si basa su elementi che derivano dalla cultura, che può differenziarsi notevolmente da un caso all’’altro. Se consideriamo l’’apporto della teoria sociolinguistica a quello della linguistica generale, questo apporto non può che essere scarso, ma se ci concentriamo sulla teoria della sociolinguistica in quanto tale, possiamo trovare alcune concezioni che si pongono ai confini tra sociolinguistica e linguistica strutturale-funzionale (Halliday) e tra sociolinguistica e linguistica antropologica (Hymes). La prima però è decisamente orientata verso la linguistica teorica, mentre la seconda appare eccessivamente astratta. La difficoltà di costruire una teoria sociolinguistica nasce dal fatto che si occupa di una massa sterminata, eterogenea e indeterminata di fenomeni, e dal fatto che questi fenomeni andrebbero spiegati da entrambi i punti di vista, sociale e linguistico. Quindi la teoria sociolinguistica dovrebbe occuparsi di formulare principi generali della correlazione tra fatti linguistici e sociali ed elaborare modelli di descrizione ed analisi della variazione sociolinguistica, producendo come obiettivo una tassonomia valida con concetti e criteri espliciti. Va notato che la bontà di una teoria sociolinguistica non dipende dalla bontà della teoria sociologica e/o linguistica su cui essa si basa, e anzi non ne avrebbe neppure bisogno, perché la sociolinguistica deve fondarsi su una teoria, appunto, sociolinguistica specifica e non di altre discipline. Da questo punto di vista appare poco accettabile una creazione di una teoria sociolinguistica derivante dall’’unione di teorie sociologiche e linguistiche. Ecco che nasce l’’esigenza di creare un corpus di regole e concetti definiti che possano cogliere regolarità sociolinguistiche ad alto livello.

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Il carattere delle descrizioni e spiegazioni in sociolinguistica Nella scienza esistono due grandi classi di spiegazioni: quelle basate sul rigido rapporto tra causa ed effetto (tipiche delle scienze naturali, considerate esatte, e proprie anche della linguistica teorica) e quelle dipendenti dall’’azione e dalla cultura umane (tipiche delle scienze umane e sociali e quindi anche della sociolinguistica). Le prime spiegazioni hanno la caratteristica di poter predire con sicurezza che, date certe premesse (explanans), si verificherà un certo fenomeno (explanandum), e dunque hanno validità universale. Esistono però altri tipi di spiegazioni, come quelle probabilistiche, che non possono basarsi su predizioni certe e sicure, ma possono avvalersi della statistica per dedurre quantitativamente la probabilità di un certo avvenimento. Il loro difetto è che non sono popperianamente falsificabili, ma sono comunque molto utilizzate in sociolinguistica. Ancora più utilizzate sono le spiegazioni funzionali (o teleologiche: un Y dipende da un X in ragione della sua funzione), in cui il rapporto tra explanans e explanandum si basa su elementi qualitativi. Esse hanno un valore predittivo molto debole. Le spiegazioni genetiche, infine, si basano sull’’asserzione che se si è verificato un explanandum, la sua origine è da ricercare nei fenomeni precedenti da cui deriva. Tutte queste spiegazioni, via via meno stringenti, sono usate in linguistica. A queste aggiungiamo l’’ermeneutica, che si basa sull’’intenzionalità umana. Non bisogna confondere le spiegazioni con le descrizioni, che sono comunque un passo fondamentale nella costruzione delle spiegazioni. Se da un lato le produzioni linguistiche sono facilmente osservabili e descrivibili, non altrettanto si può dire dei fattori culturali che entrano in gioco. Le spiegazioni normalmente usate in sociolinguistica sono generalmente di tipo probabilistico e quantitativo e quindi non dicotomico ma graduato. In secondo luogo, si tratta di spiegazioni relativistiche, dipendenti dalla cultura specifica in esame. In terzo luogo, si possono ritrovare elementi funzionali. Ancora, i fattori linguistici e quelli extralinguistici sono in co-occorrenza. Iktonen sostiene che la linguistica teorica non può essere avvicinata al modello delle scienze naturali, perché opera deduttivamente su entità astratte. Al contrario, è proprio la sociolinguistica che si può confrontare con le scienze naturali, perché opera deduttivamente su produzioni effettive dei parlanti. Downes invece sostiene che nella sociolinguistica esistono spiegazioni sociali riconducibili a quelle delle scienze naturali, ma hanno grande importanza anche quelle teleologiche, che fanno riferimento alle intenzioni razionali dei soggetti agenti. Questi due tipi di spiegazioni possono uniformarsi si assumiamo che le generalizzazioni empiriche siano soggette al paradigma teleologico. Secondo Keller la lingua sarebbe un fenomeno risultato di azioni umane ma non fine di intenzioni, quindi presenterebbe aspetti sia di un artefatto umano sia di un fenomeno naturale. È importante notare che però le spiegazioni ermeneutiche rischiano di generare una serie infinita di micro-eventi difficilmente generalizzabili che possono far perdere di vista la distinzione fondamentale tra analisi empirica e modelli teorici. La sociolinguistica ha infatti bisogno di una astrazione in opposizione alla mera raccolta dei dati empirici. In ogni caso, l’’importante è giungere alla comprensione delle cose, non tanto il metodo con il quale ci si arriva.

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““Excursus”” sul funzionalismo in linguistica La sociolinguistica basa la sua teorizzazione su spiegazioni funzionali. La linguistica si divide in due orientamenti teorici: il formalismo (la linguistica generativa di Chomsky) e il funzionalismo. Per il formalismo la funzione fondamentale del linguaggio è l’’espressione del pensiero; l’’accento è posto sulla struttura. Invece il funzionalismo si concentra sull’’uso, e ritiene che lo scopo a cui le lingue servono determini i loro caratteri specifici (ovviamente restando nell’’ambito sincronico). Il funzionalismo attribuisce quindi alla comunicazione un ruolo fondamentale, anche se questo determinismo è inteso in vari modi: alcuni autori intendono il funzionalismo come principio chiave di tutto il linguaggio, altri lo fanno intervenire solo in aree locali. In più esso può essere concepito come interno al sistema o come direttamente dipendente dall’’utente. I sociolinguisti tuttavia criticano il funzionalismo, soprattutto con Labov. Ma esso è stato utilizzato proficuamente anche in campo diacronico, per spiegare i mutamenti nel tempo della lingua, e risulta la posizione di gran lunga predominante. Le concezioni si dividono tra quelle che si riferiscono ad un processo in atto per cui un elemento è spiegato in termini del contributo che porta alla sopravvivenza della lingua, e quelle che si riferiscono a un teleologismo in senso forte, per cui il sistema linguistico tenderebbe verso uno stato di cosa (un fine) non ancora esistente. Dunque il funzionalismo è ampiamente impiegato come spiegazione in tutti i settori della linguistica, specialmente nella diacronia. Anche i fatti sociali hanno un ruolo importante e riconosciuto nel mutamento linguistico. La sociolinguistica quindi non può fare a meno del funzionalismo, data la rilevante quantità di contenuti sociali che la caratterizzano. Tuttavia anche in sociolinguistica ci sono pareri discordanti, che si pongono tra i due estremi rappresentati dalle posizioni massimaliste di Hymes e quelle minimaliste di Labov.

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Una lista di assiomi e postulati della sociolinguistica 1. Il sistema e le strutture linguistiche non sono direttamente osservabili, al contrario dell’’attività linguistica. Dunque la sociolinguistica si fonderà sia su dati empirici e oggettivi sia su dati non verificabili e soggettivi. È però opportuno che la ricerca cominci dai primi. 2. La lingua è appresa dal parlante sia nell’’ambito della collettività, sia grazie a capacità mentali proprie. La lingua è dunque proprietà sia individuale sia collettiva. 3. Ogni lingua, seppur nell’’ambito del suo sistema peculiare, conosce variazioni e differenze che causano la nascita di varierà differenti di lingua. 4. Ogni parlante conosce e usa più di una varietà di lingua. 5. Ogni persona parla una sua propria varietà di lingua; il parlante ideale di Chomsky non è colui che la conosce perfettamente ma colui che padroneggia più varietà di lingua in una comunità parlante eterogenea. 6. Le diverse varietà di lingua hanno diverso status e prestigio; non sono socialmente equipollenti. 7. Le conoscenze necessarie per conoscere e padroneggiare una lingua sono moltissime; dunque la sociolinguistica deve imporsi dei limiti nella ricerca e questi limiti sono costituiti dalle conoscenze e capacità riguardanti l’’uso sociale della lingua. 8. La lingua ha moltissime funzioni. 9. I diversi livelli di analisi del sistema linguistico non sono interessati allo stesso modo dagli influssi extralinguistici e in particolare sociali. Una scala dal meno esposto al più esposto potrebbe essere questa: morfologia, sintassi, fonologia, lessico, semantica, pragmatica. 10. Non tutte le unità di tutti i livelli di analisi variano nella stessa misura: la variabilità potenziale è massima per il lessico, alta per la fonologia e la pragmatica, ridotta per la sintassi e la morfologia. 11. Tutti i livelli di analisi della lingua possono avere rilevanza sociale, dall’’organizzazione generale del discorso ai tratti subsistemici. 12. L’’attività linguistica può essere anche un segno di identità sociale, mediante il quale un parlante si definisce e riconosce come membro di un gruppo. 13. Lo spazio sociolinguistico in cui si colloca ogni parlante è pluridimensionale, sia dal punto di vista sociale che linguistico. 14. La sociolinguistica è molto legata a una singola comunità, per cui i concetti e le unità d’’analisi possono variare secondo la diversa situazione socioculturale. 15. La sociolinguistica deve spiegare l’’insieme dei fatti sociolinguistici, in cui lingua e società si fondono; quindi in una certa parte la lingua stessa e in maggior parte l’’attività linguistica. 16. È normale che più sistemi linguistici coesistano in una sola società, realizzando a repertori multilingui.

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NOZIONI FONDAMENTALI E UNITÀ DI ANALISI Alcuni concetti sociolinguistici Comunità linguistica Nella comunità linguistica si studia non solo la lingua, come farebbe la linguistica teorica, ma l’’insieme della lingua più i parlanti e non con un riferimento astratto, bensì in un contesto reale. Una prima definizione di comunità linguistica può essere quella di una comunità sociale in cui sono condivisi determinati tratti linguistici. Ma quali sono questi tratti? Partendo da un punto di vista ampio, una comunità linguistica sarà l’’insieme di tutte le persone che usano una determinata lingua (strutturalisti americani). Restringendo il campo d’’esame, si possono considerare anche le varietà di lingua (Kloss) e le norme d’’uso (Fishman). Al punto di vista linguistico si può aggiungere quello sociale, introducendo un criterio sociogeografico. Dunque una comunità linguistica sarà formata dai parlanti di una stessa lingua che inoltre appartengono a una determinata entità politico-geografica (Ferguson). Esaminando anche i modelli di interazione, la comunità linguistica diventa un ““aggregato umano caratterizzato da un’’interazione regolare e frequente per mezzo di un insieme condiviso di segni verbali e distinto da altri aggregati simili a causa di differenze significative nell’’uso del linguaggio”” (Gumperz). Labov invece si concentra sugli atteggiamenti, definendo la comunità linguistica come ““un gruppo di parlanti che condivide un insieme di atteggiamenti sociali nei confronti della lingua””. Hymes introduce il fatto che in una comunità linguistica si condividono norme linguistiche e risorse verbali. Questi criteri portano a fondere la nozione di comunità linguistica con quello di gruppo, in cui si ritrovano sentimenti di appartenenza e autoidentificazione, con il risultato che ognuno può far parte di più comunità linguistiche. Nella sociolinguistica britannica dell’’ultimo decennio la comunità linguistica coincide con una somma di reti sociali, in cui ci possono essere diversi comportamenti e atteggiamenti linguistici. Notiamo che man mano che si passa da criteri oggettivabili ad altri meno osservabili la definizione si complica e restringe, accavallandosi con quella di gruppo e diventando considerabile solo a posteriori. Per noi, una comunità linguistica è ““un insieme di persone, di estensione indeterminata, che condividano l’’accesso ad un insieme di varietà di lingua e che siano unite da una qualche forma di aggregazione sociopolitica””, distinguendo tra comunità linguistica e gruppo.

Repertorio linguistico Il repertorio linguistico si può definire come ““l’’insieme delle risorse linguistiche possedute dai vari membri di una comunità linguistica, cioè la somma della varietà di una o più lingua impiegate presso una certa comunità sociale””. Il repertorio linguistico comprende anche i rapporti tra le varietà, le gerarchie e le norme di impiego (Gumperz). Anche l’’eventuale commutazione di codice entra nella definizione di repertorio linguistico. Per Gumperz il repertorio linguistico dovrebbe riferirsi anche e soprattutto al singolo parlante, ma è meglio riferirsi alla comunità.

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Varietà di lingua Ogni membro riconoscibile di un repertorio linguistico è una varietà di lingua. La varietà di lingua, ovviamente, deve fare riferimento sia all’’aspetto linguistico sia a quello sociale, quindi essa è la realizzazione di un sistema linguistico presso classi di utenti e di usi: comprende tutte le ““forme convenzionalizzate di realizzazione del sistema””. Per noi, una varietà di lingua è ““un insieme di tratti congruenti di un sistema linguistico che co-occorrono con un certo insieme di tratti sociali, caratterizzanti i parlanti o le situazioni d’’uso””. Questi tratti posso o essere molti o pochi, e caratterizzare le varietà non solo per la loro presenza o assenza, ma anche per la loro frequenza. Per determinare una varietà di lingua prima si individuano i tratti che si presentano assieme, poi si verifica la loro co-occorrenza con i tratti sociali oppure viceversa. I tratti linguistici di una varietà devono essere congruenti tra loro, cioè devono obbedire a specifiche regole di co-occorrenza e avere una certa omogeneità strutturale: non è possibile dire ad esempio scusi, vieni qui. La nozione di varietà di lingua è utile per discriminare lingue diverse, ma talvolta varietà di lingua con maggiore distanza strutturale possono essere ritenute ad esempio dialetti mentre altre con differenze minori sono considerate lingue diverse a tutti gli effetti. Questo accade a causa del fatto che la designazione di lingua dipende sostanzialmente da fattori extralinguistici, non c’’è un limite che segna con precisione quando si possa parlare di lingue diverse e quando di varietà della stessa lingua. In sociolinguistica una lingua è la somma di un nucleo invariabile del sistema linguistico comune a tutte le varietà più le parti specifiche di ogni sua varietà. Weinreich introduce a tal proposito il termine ““diasistema””. Il limite inferiore al quale si può ricondurre una varietà di lingua è il singolo individuo in una classe omogenea di situazioni. Per designare le abitudini linguistiche di un singolo parlante è stato introdotto il termine ““idioletto””, ma si tratta di un concetto piuttosto trascurato. Cardona lo definisce come ““somma delle variazioni personali rispetto ad uno standard linguistico””.

Competenza comunicativa Il concetto di competenza comunicativa risponde alla domanda: ““Che cosa vuol dire sapere una lingua?””. La sociolinguistica risponde affermando che saper una lingua non significa solo avere la capacità di produrre frasi grammaticalmente ben formate, ma anche essere in grado di usare le frasi in maniera adeguata alle situazioni. Hymes la articola in quattro parametri: se e quanto qualcosa è formalmente possibile, se e quanto qualcosa è realizzabile con i mezzi di esecuzione disponibili, se e quanto qualcosa è appropriato in relazione al suo contesto d’’uso e realizzazione e se e quanto qualcosa è realmente eseguito. Ma data la sua complessità, la competenza comunicativa fornisce un quadro di orientamento globale, non è l’’oggetto finale di descrizione del sociolinguista. È interessante confrontare la competenza comunicativa con la competenza linguistica di Chomsky (intesa come la conoscenza interiorizzata che un parlante ha della propria lingua materna, indipendentemente dal contesto). Ci sono tre interpretazioni possibili di questo rapporto: la prima ritiene che la competenza linguistica faccia parte di quella comunicativa, la seconda le pone sullo stessa livello e la terza, quella di Hymes, nega del tutto l’’esistenza della competenza linguistica bollandola come un’’astrazione. Tuttavia questa appare una posizione eccessiva. Un problema della competenza linguistica è quello dell’’appropriatezza situazionale. Infatti, per valutarla, il sociolinguista dovrebbe tenere conto di una miriade di fatti sociali e non, complicando oltremodo il proprio compito.

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Alcuni concetti sociali Queste nozioni costituiscono variabili indipendenti in termini di attribuzione agli individui di diverse caratteristiche socialmente rilevanti.

Situazione comunicativa La situazione comunicativa è un concetto teoricamente poco importante ma molto usato nelle descrizioni. La situazione (di cui quello comunicativo è l’’aspetto che interessa al sociolinguista) è l’’insieme di circostanze (concrete ed astratte) in cui avviene un evento di comunicazione linguistica; è il luogo specifico in cui l’’attività linguistica si esplica; ed è tipicamente data da una costellazione di componenti realizzantisi in simultaneità, suscettibili ciascuno di influenzare per qualche aspetto e in qualche maniera il comportamento linguistico messo in opera dai parlanti, nei quali occorre scinderla. Possiamo individuare quattro grandi categorie di componenti: mezzo, partecipanti, interazione comunicativa e argomento. Molto importanti sono gli aspetti legati ai partecipanti, perché essi possono rivelare lo status (cioè le proprietà attribuite a una data posizione sociale) e il ruolo (l’’insieme di comportamenti che ci aspetta da uno status). La psicologia sociale, con la teoria dell’’adeguamento, afferma che i partecipanti a un situazione comunicativa tenderebbero a limare le differenze nell’’espressione, parlando in modo più simile, per guadagnare l’’approvazione dell’’interlocutore e per negoziare un buon andamento dell’’interazione. Ma questa teoria non è molto accettata. Nella situazione comunicativa si possono distinguere tra gli aspetti personali (in cui i partecipanti non sono visti in base al loro status ma per se stessi; queste relazioni sono piuttosto libere da vincoli formali) e transazionali (in cui l’’accento è posto sulle relazioni di status e lo scopo è uno scambio di qualcosa; le regole che li governano sono piuttosto rigide) e tra quelli formali (quando ci si concentra sul rispetto delle regole sociali) e informali (quando le regole possono essere trascurate). Fishman accenna anche a una situazione comunicativa congruente (quando la messa in atto delle regole è appropriata al momento e al luogo) e incongruente (quando uno di questi tre aspetti non concorda con gli altri). In sociolinguistica la situazione comunicativa è il microcosmo effettivo in cui si attualizza l’’uso della lingua.

Dominio Il dominio è un insieme di classi di situazioni raggruppate intorno agli stessi campi di esperienza, e legate insieme da una gamma comune di obiettivi e obblighi (famiglia, vicinato, religione, lavoro, ecc.). La nozione di dominio si presta a completare una ideale scala tra livello microsociolinguistico e livello macrosociolinguistico: società

dominio

SOCIALE

situazione

evento ling.

atto ling.

LINGUISTICO

All’’estremo più alto troviamo la società, articolata in domini, costituiti da classi di situazioni, formate da eventi linguistici formati a loro volta da atti linguistici. La situazione comunicativa cuce insieme il sociale e il linguistico.

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Strato sociale, gruppo sociale, classe generazionale Per l’’analisi sociale del comportamento linguistico e per evitare eccessivi particolarismi microsociologici si utilizzano delle categorie più ampie dei singoli fatti che possono avere rilevanza sociale. Queste categorie possono essere divise in variabili sociali (relative alla diversificazione sociale vera e propria) e in variabili demografiche (che riguardano l’’effettiva distribuzione della popolazione non mediata da fatti sociali). Noi tratteremo tra le variabili sociali lo strato e il gruppo (oltre alla rete sociale e al gruppo etnico) e tra le variabili demografiche la classe generazionale (oltre alla provenienza geografica e al sesso). Il concetto di strato sociale, seppure intuitivamente semplice (se inteso come raggruppamento gerarchico di individui in cui si articola la società), in sociolinguistica può presentare dei problemi, per cui viene anche denominato in vari modi. Ciononostante, lo strato sociale è uno dei fattori fondamentali dell’’indagine sociolinguistica. Il gruppo, a differenza dello strato, non presenta gerarchie, ma designa compartimentazioni. Esso presuppone un territorio condiviso e delle comunicazioni tra i membri. Il gruppo dà sicurezza e coesione al suo interno, e naturalmente orienta il comportamento linguistico. La lingua è un simbolo dell’’identità di gruppo, e può essere utilizzata sia per affermare la propria appartenenza che per rimarcare le differenze con gli altri gruppi. Lo strato e il gruppo sociale si intersecano a vicenda. Ci possono essere più gruppi per un solo strato, e più strati in solo gruppo. A differenza dello strato, il gruppo è almeno in parte generato dall’’interno grazie alla volontà dei suoi membri di costituirlo. Una comunità linguistica è formata da più gruppi di parlanti. L’’età ha un ruolo evidente nella sociolinguistica, ed è costantemente tenuta presente. Ma è più difficile affermare che esistano varietà generazionali di lingua, definite dalla classe d’’età dei parlanti. Anche il sesso è una variabile fondamentale nella sociolinguistica. Una generalizzazione sulla base del sesso è quella che le donne tenderebbero a usare forme socialmente favorite, al contrario degli uomini. Un’’altra generalizzazione prevede che le donne non prendano l’’iniziativa allo stesso modo degli uomini e che siano più cortesi e standardizzate.

Rete sociale Il concetto di rete sociale è un affinamento di quello di gruppo. Per rete sociale si intende un insieme di persone che si conoscono e che hanno contatti, e precisamente l’’insieme con cui una persona di riferimento comunica. Alcuni autori accentuano la componente relazionale, altri la sua natura di gruppo. La rete è usata molto in sociolinguistica perché presuppone la comunicazione tra i parlanti e perché si pone a metà strada tra microsociolinguistica e macrosociolinguistica. La rete sociale presenta una serie di caratteristiche. Esse sono: la molteplicità di relazioni, la densità, la frequenza e la durata delle interazioni e la centralità della persona di riferimento. La rete sociale presenta una struttura a più strati: la prima zona (cella personale), al centro del network, comprende parenti stretti e amici intimi, la seconda (zona confidenziale), comprende parenti e amici a cui si è legati emozionalmente, la terza (zona utilitaristica) comprende persone con cui si intrattengono legami perché esse sono utili, la quarta (zona nominale), formata dalla persone che si conoscono senza avere grandi rapporti e la quinta (zona allargata) formata dalle persone che si conoscono solo parzialmente. La rete sociale è stata utile in sociolinguistica per studiare il comportamento e l’’atteggiamento linguistico, e anche nella scelta di lingua in situazioni plurilingui. Essa è indicata per spiegare i fenomeni di imitazione e l’’apprendimento linguistico, ed è l’’unico concetto che permette di rendere comprensibile il motivo per cui due persone con gli stessi caratteri sociali possono avere comportamenti molto differenti. Tuttavia la rete sociale non deve sostituirsi alle altre categorie, ma piuttosto affiancarsi ad esse, anche perché sembrerebbe che essa derivi dal concetto di classe sociale.

Queste nozioni sono suscettibili di influenzare il comportamento linguistico a un livello più astratto, non direttamente riferibile ai singoli parlanti.

Prestigio Il prestigio è la proprietà (di una persona, un gruppo, una professione, dei comportamenti, una varietà di lingua ma soprattutto di uno status) di essere degno di imitazione, perché valutato positivamente sulla base di caratteri favorevoli ad esso riconosciuti. Il prestigio dipende quindi dall’’atteggiamento dei membri di una comunità, non è un carattere oggettivo. Il contrario del prestigio è lo stigma. In sociolinguistica il prestigio è inteso come oscillante tra due estremi. Da una parte c’’è la classica definizione generica, intesa come buona valutazione, dall’’altra una lingua ha prestigio quando il suo possesso permette l’’ascesa nella scala sociale. Il prestigio di una lingua si fonda su almeno quattro fattori: gli atteggiamenti linguistici favorevoli dei parlanti, il valore di simbolo attribuito dalla comunità alla lingua, l’’essere veicolo di ampia e apprezzata letteratura e soprattutto l’’essere parlata dei gruppi sociali dominanti. Infatti essa, se considerata propria di questi ultimi, sarà sicuramente imitata dagli altri gruppi.

Atteggiamenti Un atteggiamento è uno stato mentale di predisposizione, organizzato attraverso l’’esperienza, che esercita un’’influenza dinamica, polarizzata in senso favorevole o sfavorevole sulla risposta di un individuo agli oggetti o situazioni con cui si trova ad avere a che fare. È importante non confondere gli atteggiamenti con le opinioni, che sono esplicite, contestualizzate e mutevoli. La scala di specificità prevede le opinioni, gli atteggiamenti, i valori e infine la personalità. Certamente però le opinioni possono fornire informazioni sugli atteggiamenti (che non sono direttamente accessibili al ricercatore, e che sono sempre riferiti ad un determinato ““oggetto””). Gli atteggiamenti sono formati da una parte cognitiva e razionale (credenze) e da una parte affettiva ed emozionale (che prevale). Gli atteggiamenti non sono unica causa dei comportamenti, ma solo una della cause (come predisposizione), insieme alle circostanze della situazione e alle norme e consuetudini della comunità sociale. Essi hanno una componente interazionale e, dato che sono acquisiti, sono suscettibili di mutare, anche se tendenzialmente sono stabili. Le loro funzioni possono ricondursi a quattro: utilitaristica (per guadagnare privilegi), di orientamento cognitivo (per imporre un ordine al mondo), di manifestazione dei valori e di difesa dell’’ego e dell’’identità. Un tipo particolare di atteggiamenti sono i pregiudizi, che si formano senza l’’esperienza diretta e sono basati su stereotipi, cioè su generalizzazioni prive di fondamento o errate associate a determinati caratteri. Gli atteggiamenti sono una componente fondamentale per determinare l’’identità linguistica dei parlanti, il loro comportamento e la loro posizione nella stratificazione sociale. Essi sono legati a molte variabili sociali e linguistiche (età, sesso, istruzione, abilità linguistica, ecc.). Per studiare gli atteggiamenti si utilizzano l’’inchiesta con questionario e l’’intervista, che però raccolgono opinioni e non atteggiamenti. Migliore è la tecnica del ““differenziale semantico””, consistente nell’’attribuire a un oggetto di valutazione una posizione tra sette comprese tra due categorie polari (bello-brutto, ecc.). Ma il metodo indiretto migliore è quello del matched guise. Introdotto da Lambert, consiste nel far ascoltare diverse voci a dei valutatori e nel chiedere a questi la loro opinione sulle persone che parlano collocandola nella posizione che sembra più adatta secondo categorie prestabilite. Il vantaggio consisterebbe nel fatto che si chiedono opinioni su un singolo individuo e non su un gruppo, manifestando così opinioni più spontanee. I raffinamenti metodologici portano questa tecnica, soprattutto nel caso del riconoscimento del ceto sociale di appartenenza dei parlanti stimolo, ad una attendibilità del 80%.

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LINGUA E STRATIFICAZIONE SOCIALE La nozione di classe sociale La classe sociale è uno dei più importanti parametri dell’’indagine sociolinguistica. In ogni società esiste una differente distribuzione dei beni e dei poteri, che causa disuguaglianza sociale. La stratificazione sociale è dunque l’’ordinamento gerarchico di insiemi di persone diversi nella società. Per classe sociale si intende dunque un insieme di persone che occupano circa la stessa posizione nella gerarchia sociale. In sociologia sono presenti due distinzioni fondamentali per questo concetto: quella di matrice marxista (basata sul conflitto di interessi, che si concentra sulle barriere sociali e sulla compattezza di classe) e quella funzionalista (basata sul consenso e sullo status, che accentua l’’unità sociale e la mobilità favorita dalla competizione individuale). Due proprietà della classificazione sociale sono la continuità (le classi sono dei costrutti teorici, in realtà la società è una curva uniforme) e la pluridimensionalità (l’’appartenenza a una classe sociale si evince in base a una serie di dimensioni, oggettive o soggettive. È raro comunque che tutte le dimensioni siano coerenti tra loro. Lo strato sociale è in aperta combinazione con le altre variabili socio-demografiche dell’’analisi sociolinguistica, sia in modo congruente sia conflittuale, e risulta essere la variabile più potente. Questo spiega la teoria di Labov secondo la quale i mutamenti linguistici avvengono dai ceti medi, valendo come affermazione inconscia della solidarietà di gruppo all’’interno della propria classe.

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La stratificazione sociale nelle indagini sociolinguistiche La sociolinguistica, adottando la nozione di classe sociale, deve confrontarsi con tre problemi: quali siano i criteri per stabilire la stratificazione, quanti e quali siano gli strati e come assegnare gli individui a un singolo strato. Negli anni ’’60 e ’’70, in sociologia, era diffusa una divisione basata sulla quantità dei mezzi a disposizione e sull’’influenza e potere connessi all’’attività svolta, che si articolava in tre strati fondamentali suddivisi a loro volta in due sottoclassi più uno strato di emarginati (alto ceto alto, basso ceto alto, ecc.). Importanti erano la valutazione sociale e il prestigio di cui si godeva. Sylos Labini imposta invece la sua divisione della società italiana sul modo in cui si ottiene un certo reddito. Dal punto di vista sociolinguistico, il primo a operare delle classificazioni è Labov, che opera sulla produzione e non sui consumi. I suoi indici, da correlare con le variazioni linguistiche, sono il reddito, il grado di istruzione e l’’occupazione. Trudgill segue questa impostazione, ma aggiunge agli indici di Labov il tipo di abitazione, il luogo di abitazione e l’’occupazione del padre. Le cinque classi che egli ottiene per il suo campione (media classe media, classe media inferiore, classe operaia superiore, media classe operaia, classe operaia inferiore) correlano assai bene con la variazione delle variabili considerate. È interessante che il vero salto nell’’occorrenza di forme non standard si ha tra le prime classi due e le ultime tre, cioè tra classe media e classe operaia. Dai suoi dati risulta che la somma di occupazione e grado d’’istruzione è già un indicatore attendibile. Milroy, invece, propone una classificazione a carattere qualitativo, improntata sui modi di vita (life-modes). Egli distingue tre raggruppamenti: il primo, proprio dei lavoratori autonomi con controllo della propria attività, si basa sulla solidarietà e si esplica con reti sociali molto strette; il secondo, proprio dei salariati senza controllo sulla produzione, vede il lavoro in funzione della famiglia e anch’’esso ha reti sociali molto dense; il terzo, proprio dei professionisti e dei salariati di alto livello, fa prevalere il lavoro sulla famiglia e le sue reti sociali hanno legami deboli. Nell’’indagine sociolinguistica è raro utilizzare indici numerici sofisticati come quelli di Labov e Trudgill. Di solito ci si basa solo su due fattori: tipo di attività svolta e livello d’’istruzione. Questo perché in sociolinguistica la classe sociale ha una funzione di riferimento e non di oggetto di studio in se stesso. Ciò non toglie che molti fatti sociali di grandi importanza sono difficili da oggettivare perché ““ideologici””, ma essi si possono in buona approssimazione ricavare dalla correlazione tra di essi e il tipo di scuola frequentata e l’’occupazione svolta. In conclusione, in sociolinguistica è sufficiente una stratificazione sociale poco dettagliata (per le questioni linguistiche basterebbe solo il grado d’’istruzione), perché non esistono rapporti diretti e causali tra strato sociale e lingua, ma solo probabilistici. Infatti non è possibile né corretto assegnare a ogni strato sociale una varietà di lingua.

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Modelli del rapporto fra lingua e stratificazione sociale Un modello sociologico Esistono dei tentativi di elaborare dei modelli teorici globali volti a correlare l’’appartenenza di classe a determinate varietà linguistiche. La più famosa di queste teorie è quella dei due codici di Bernstein, che ha avuto tre fasi di evoluzione. All’’inizio, per spiegare l’’insuccesso scolastico dei bambini del ceto operaio inglese in Inghilterra, Bernstein afferma che essi sono in possesso solo di un ““codice ristretto””, derivante da ruoli rigidi di mantenimento dei confini all’’interno della famiglia, tipici delle classi operaie. Il ““codice ristretto”” non permetteva a questi bambini di comprendere pienamente l’’insegnante. Invece i bambini delle classi superiori, educati verso una socializzazione più volta agli individui, svilupperebbero oltre al ““codice ristretto”” anche un ““codice allargato””, più confacente agli scopi educativi. Nella seconda fase i codici non sono più solo linguistici ma anche cognitivi, e sono intesi come modi di formulazione dell’’esperienza. Il principio che li genera non è più l’’appartenenza di classe ma la divisione del lavoro. Nel terzo periodo resta centrale la divisione sociale del lavoro, ma viene introdotto il concetto di ““relazione con la base materiale”” (i contesti specifici a cui si fa riferimento): più complessa è la divisione del lavoro e meno specifica e locale è la relazione tra un agente e la sua base materiale, tanto più indiretto è il rapporto tra significati e una base materiale specifica e maggiore la probabilità di un codice elaborato. I codici sono caratterizzati dai due parametri indipendenti della ““classificazione”” e dell’’““inquadramento””, intesi rispettivamente come la relazione tra le categorie referenziali di un contesto di riferimento (forte o debole) e la regolazione delle pratiche comunicative tra emittente e ricevente (anch’’essa forte o debole). La classificazione è basata sulla distribuzione del potere nella società e fornisce regole di riconoscimento, l’’inquadramento riguarda il controllo della comunicazione e fornisce regole di produzione. Il codice ora non è riferito a singoli enunciati, ma la rapporto tra di essi. È un principio regolativo che seleziona e integra significati rilevanti, forme di realizzazione e contesti evocativi. Ma il modello di Bernstein non sembra adatto a fondare una teoria sociolinguistica sui rapporti tra stratificazione sociale e linguaggio, perché decisamente sovradimensionato. Infatti basta considerare la diversità di esperienze culturali a cui è sottoposto un bambino di classe inferiore e uno di classe superiore per spiegare la diversità di accesso e possesso della lingua (che è un fenomeno culturale). Inoltre la nozione di codice non è univoca ma cambia continuamente nel pensiero di Bernstein, non è definita con chiarezza e precisione. Questo fatto, unito anche alle critiche di carattere sociologico (eccessiva generalizzazione) e al fatto che la teoria non è stata concepita come prettamente sociolinguistica, la rendono poco utile per questa scienza.

Un modello materialista Lo studioso italiano Sanga chiama in causa le classi sociali in senso marxista, cioè come gruppi distinti nel modo di produzione. Fondamentale nel marxismo è la divisione in struttura (i rapporti economici legati al modo di produzione) e sovrastruttura (il complesso culturale prodotto dalla struttura). La lingua, come prodotto culturale, fa parte della sovrastruttura, ed è chiaro che affermare il legame tra lingua e stratificazione sociale significa riconoscere che la lingua dipende dalla classe sociale. Ogni classe sociale ha un proprio registro, in ogni caso interni al sistema in quanto tale. Le varietà linguistiche nella società dipendono direttamente dalla divisione della società stessa in classi. Tuttavia il modello di Sanga, pur con spunti interessanti, è ancora troppo legato a un dogmatismo ideologico. Infatti egli ritiene la stratificazione causa della varietà linguistica, e inoltre la conclusione che la lingua faccia parte della sovrastruttura è una conclusione affrettata.

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Effetti della posizione sociale sull’’individuo parlante È innegabile che il linguaggio sia da una parte biologicamente determinato e dall’’altro socialmente imposto, qualificandosi come un potente indicatore sociale. Da come una persona usa la lingua si possono ricavare molte indicazioni sul suo stato sociale; questo a causa dell’’intrinseca variabilità della lingua stessa. Le interrelazioni tra linguaggio e stratificazione sociale che permettono queste indicazioni sono di tre ordini principali. Il primo riguarda le differenziazioni del sistema in base alla classe sociale dei parlanti, il secondo riguarda le interrelazioni a livello del comportamento linguistico individuale (cioè ciò che un parlante sa fare con la lingua) e il terzo concerne le interrelazioni a livello del repertorio linguistico a disposizione del parlante. Il secondo e il terzo ordine danno di solito luogo a una vera disuguaglianza linguistica. Infatti i tratti di sistema suscettibili di marcatezza sociale (primo ordine) non hanno di per sé statuto alto o basso, quindi non covariano in sintonia con la stratificazione sociale. Il giudizio che un parlante riceve utilizzandoli sarà dunque mediato dallo strato sociale con il quale correla. Invece la ““qualità”” della competenza comunicativa (secondo ordine) e la ricchezza dei repertori e delle varietà linguistiche (soprattutto quelle alte, terzo ordine) sono direttamente collegate con la classe sociale, e sono intrinsecamente legate alla classe sociale con cui correlano. La valutazione sarà data quindi di per sé. È chiaro che questi rapporti sono sempre da intendere in chiave probabilistica. Un discriminante molto importante è costituito dalla padronanza della lingua o varietà standard, che è indice di prestigio sociolinguistico.

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L’’ANALISI DELLA VARIAZIONE INTERNA ALLA LINGUA Dimensioni di variazione Le principali variazioni che permettono di riconoscere le diverse varietà di lingua sono quattro: la variazione diatopica (relativa alla distribuzione geografica dei parlanti), la variazione diastratica (relativa ai diversi strati socioculturali), la variazione diafasica (relativa alle diverse situazioni) e la variazione diamesica (relativa al mezzo usato: scrittura oppure oralità). Le più importanti sono la seconda e la terza. Le varietà diastratiche di lingua sono quegli insiemi congruenti di tratti linguistici che presentano significative correlazioni con tratti della collocazione dei parlanti nella società (connesse dunque allo strato sociale, al sesso, al gruppo, all’’etnicità, alla generazione, ecc.). Le varietà diafasiche si possono distinguere in due tipologie: la prima, riguardante i parlanti, il loro ruolo reciproco e il carattere relativo della situazione, detta registro, e la seconda, riguardante la sfera di attività, l’’ambito di discorso e l’’argomento di cui si parla, detta sottocodice. Una differenza importante tra varietà diastratiche e varietà diafasiche consiste nel fatto che un parlante possiede di solito una sola delle prime mentre può avere a disposizione molte delle seconde. La produzione di un parlante si colloca contemporaneamente lungo i tre assi della diatopia, della diafasia e della diastratia. Inoltre, le caratterizzazioni tipiche di uno dei tre assi possono assumere valore anche per uno degli altri due tipi di variazioni, perciò è utile introdurre una nozione sovraordinata ad essi ma sottoordinata a quella di lingua standard (la nozione di varietà substandard). Esiste una gerarchia tra le tre dimensioni, che vede al primo posto la diatopia, seguita dalla diastratia e infine dalla diafasia. Wunderli distingue una organizzazione primaria, comprendente la diatopia e la diastratia, che determina i caratteri specifici della varietà in questione, e un secondaria, comprendente la diafasia (suddivisa a sua volta nelle tre dimensioni del modo, della diamesia e dello stile), che si concentra sulla determinazione dei caratteri contingenti.

La nozione di continuum In sociolinguistica una concezione discreta, che preveda una divisione in categorie ben definite, è fuori luogo. Per questo è preferibile utilizzare la continuità, costituita da punti focali con una vasta periferia che sfuma senza limiti precisi nelle categorie vicine, a cui riferire i singoli casi a seconda della maggiore o minore condivisione delle proprietà. Il concetto di continuum si riferisce allo spazio di variazione di una lingua, che appare costituito da una serie ininterrotta di elementi varianti che fanno sì che le varietà di una lingua siano in sovrapposizione e si confondano impercettibilmente l’’una con l’’altra. I loro confini risultano dunque non ben determinabili. Nella creolistica, per l’’analisi di una lingua ci si basa su due varietà polari ben identificabili tra le quali si trova una gamma di varietà intermedie gradualmente sfumate l’’una nell’’altra. Il continuum è la somma di queste varietà. Questa concezione presuppone però una visione unidimensionale della variazione, cosa che la sociolinguistica rifiuta. Infatti un continuum sembra essere pluridimensionale, formato dall’’incrociarsi e il combinarsi di più assi di variazione. Caratteristica apparentemente paradossale del continuum è il fatto che in esso si ritrovano forzatamente dei punti focali discreti, i quali rappresentano il prototipo delle varietà principali. Attorno ad esse si addensano i tratti significativi che le rendono distinguibili dalle altre.

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Variabili sociolinguistiche La nozione di variabile sociolinguistica Labov intende per variabile sociolinguistica ogni modo differente di realizzare un’’unità o entità del sistema linguistico, in cui la differenza sia dovuta a fattori sociali; in altri termini, ogni variabile linguistica che vari in concomitanza con una sociale. Ogni diversa realizzazione effettiva di una variabile sarà una variante. Per classificare le variabili sociolinguistiche Labov costruisce le strutture sociolinguistiche, che rappresentano mediante un diagramma cartesiano il comportamento di una variabile sociolinguistica in un certo corpus, cioè su un campione linguistico concreto. In ascissa si pongono le diverse realizzazioni, mentre in ordinata si trovano gli stili contestuali. Si ritrovano più curve a causa del fatto che si considerano diversi strati sociali.

+ percentuale delle realizzazioni foniche non standard

classi socio-economiche

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+ -

+ percentuale delle realizzazioni foniche non standard

stili contestuali

+

Una distribuzione delle variabili di questo tipo, in cui la variazione è congiunta per stile e per strato, vengono chiamate da Labov ““contrassegni””. La sua tipica distribuzione, con le varianti non standard che aumentano in base allo scendere della classe sociale e nella scala dei registri, viene detta ““distribuzione di prestigio””. Una variabile che si comporti in questo modo viene detta ““variabile laboviana””. Tipico della distribuzione laboviana è lo stacco tra le due classi inferiori e le due superiori, come il comportamento simile nelle situazioni comunicative meno spontanee e invece molto differente in quelle più spontanee. La conseguenza di questo fatto è che le classi superiori conoscono una minore variazione diafasica, a causa di un forte senso della norma insito in questa comunità parlante.

classi socio-economiche -

+ -

+ percentuale delle realizzazioni foniche non standard

stili contestuali

Un altro tipo di configurazione di variabili sociolinguistiche è questo, in cui c’’è variazione sociale, ma non stilistica (cioè gli strati sociali si comportano in maniera diversa ma a prescindere dalle diverse situazioni). Labov chiama un variabile che varia socialmente ma non stilisticamente ““indicatore””.

+

classi socio-economiche

Invece quando non troviamo variazione sociale ma solo stilistica i diversi strati si differenziano poco o nulla tra loro, ma cambiano molto passando da una stile all’’altro. Labov chiama queste variabili ““stereotipi””.

+ -

stili contestuali

+

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