Beniamino Maggiore

July 19, 2023 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Riccardo di San Vittore Vittore

LA GRAZIA DELLA CONTEMPLAZIONE O IL «BENIAMINO MAGGIORE»

LIBRO PRIMO Capitolo I La contemplazione e la sua importanza   Ci piace rivelare in qualche parte la mistica arca di Mosè, se ci è lecito, partendo dal dono della sua ispirazione che ha la chiave della scie sc ienz nza, a, pe perr me mezz zzo o de dell ll’e ’esp spos osiz izio ione ne del del no nost strro opus opusco colo lo;; e se qualcosa ancora giace riposto in questo santuario delle arcane cose divine e compendio delle scienze, tale che possa essere svelato dalla nostra misera mente per l’utilità di qualcuno, non ci spiacerà esporlo e commentario pubblicamente. Molte cose invero sono già state dette intorno a questo argomento. Ne restano tuttavia ancora molte di cui si può trattare con vantaggio. Che Ch e co cosa sa seco second ndo o il sign signif ific icat ato o al alle lego gori rico co qu ques esta ta arca arca de desi sign gnii misticamente o in qual modo significhi Cristo, già fu detto prima di noi dai dottori della Chiesa e fu trattato da persone più profonde. Né tuttavia temiamo diraincorrere nella inesattezza dovuta a temerarietà, se tr trat atti tiam amo o anco ancora de dell mede medesi simo mo argo argome ment nto o da dall pu punt nto o di vist vista a morale. Tuttavia, Tuttavia, affinché la trattazione più specifica ditale argomento ci riesca più gradita e il nostro desiderio ci tragga a una ammirazione più completa, pensiamo a quello che dice di lei giustamente quel profeta che la chiama arca della santificazione: Sor Sorgi, gi, o Sig Signor nore, e, verso il luogo del tuo riposo, tu e l’arca della tua santità (Sal. 132,8). L’arc L’a rca a della della san santif tifica icazio zione ne rit riteni eniamo amo tragg tragga a il no nome me da una cos cosa a appunt app unto o chiama chiamata ta ar arca ca della della santif santifica icazio zione? ne? Qualun Qualunque que essa essa sia sia,, dovete considerare attentamente e meditare profondamente sul fatto che è chiamata arca della santificazione, voi, a cui il nostro Dottore insegna dicendo: Siate santi come lo sono io (Lv. 11,44). Voi dunque che vi santificat santificate e oggi, domani domani e il terz terzo o gior giorno, no, non considerat considerate e con neg ne gli lig gen enzza ch che e cosa cosa sig signi nifi fich chii ci ciò ò che che è chi chiam amat ato o ar arca ca della ella

 

santif sant ific icaz azio ione ne.. Ma se si cred crede e al di diri ritt tto o di Mo Mosè sè,, sa sapp ppia iamo mo ch che e chiunque la tocchi sarà santificato (Es. 19). Se le cose stanno così, ogni popolo cerca di toccarla, dal momento che da lei esce la virtù della santificazione. Oh, se si potesse trovare qualcuno tra voi che, solo, come quello della stirpe di Ramathaim, vestito della veste della gloria, come conviene al sommo pontefice, sia degno di entrare nel sancta sanctorum, sanctorum, affinché possa non solo vede ve derre, ma an anch che e tocca occarre quell uella a che che è ch chia iam mata ata ar arca ca de dell lla a santificazione e sia purificato dalle sue colpe. Ma che dovrei dire di colui che ha ricevuto la chiave della scienza da colui che può aprire, in modo tale che possa vedere che cosa si trova all’interno di questa arca di santificazione? Ritengo infatti che in questa arca sia riposto qualcosa di prezioso. Bramerei molto sapere che cosa sia questa arca che può santificare coloro che vi si accostano, a tal punto da essere chia ch iama mata ta gi gius usta tame ment nte e arca arca de dell lla a sant santif ific icaz azio ione ne.. Per quel quel che che concerne la sapienza poi non dubito che sia proprio essa quella che vi vinc nce e la malv malvag agit ità à (Sap (Sap.. 7) 7).. E so, so, pari parime ment nti, i, ch che e ch chiu iunq nque ue abbi abbia a raggiunto la salvezza, all’inizio è stato sanato dalla sapienza (Sap. 9). E an anch che e ques questo to si sa co con n suff suffici icien ente te ce cert rtez ezza za:: che che ness nessun uno o può può piacere a Dio, se non ha in sé la sapienza. Chi potrebbe dubitare che è compit com pito o della della santif santifica icazio zione ne pur purifi ificar care e l’u l’uomo omo da ogn ognii su sua a col colpa, pa, liberare la mente da ogni malvagità e cattiveria? Queste infatti sono le cose che avviliscono l’uomo. È poi purificato dalla sapienza dal momento che, divenendo più forte, vince il male come colui che si comporta con forza, fino alla fine, e dispone ogni sua cosa armoniosamente (Sap. 8). E questo purgarsi è la medesima cosa, come io credo, che purificarsi. Il Signore, quando diede le direttive a Mosè Mo sè per per cost costru ruir ire e il tabe taberrnaco nacolo lo,, in inna nanz nzit itut utto to gli gli inse insegn gnò ò come come costruire l’arca, affinché da questo capisse che tutte le altre cose dovevano essere fatte secondo quella. Ritengo che l’arca fosse il più insign ins igne e e il princi principal pale e santua santuario rio,, per perché ché conten conteneva eva il tab taber ernac nacolo olo dell de ll’a ’all llea eanz nza. a. Du Dunq nque ue se qual qualcu cuno no rice ricerrca qual quale e gr graz azia ia po poss ssa a significare quel luogo sacro, che fu più degno di tutti gli altri, gli si presenta la risposta, a meno non dubiti che Maria ha sceltofacile la parte migliore. Ma inche chequalcuno cosa consiste questa parte migliore che Maria ha scelto (Lc. 10), se non nel contemplare quanto soave è il Signore (Sal. 33)? Infatti mentre Marta, come dice la Scrittura, si affaccendava, Maria sede se deva va ai pi pied edii del del Si Sign gnor ore e e asco ascolt ltav ava a le su sue e par parole. ole. Perta ertant nto o conosceva ascoltando la somma sapienza di Dio nascosta nella carne che con gli occhi della carne non aveva potuto vedere, e intendendola la ved vedev eva, a, e, in qu ques esto to modo odo seden edend do e ude den ndo, do, si dav ava a alla alla contemplazione della somma verità. Questa è la parte che non è mai sottratta agli uomini eletti e perfetti. Questa invero è l’attività che non è chiusa da nessun confine. Infatti là contemplazione della verità incomincia in questa vita, ma si compie nella futura con inesauribile contin con tinuit uità. à. Per mez mezzo zo dunque dunque della della contem contempla plazio zione ne della della verità verità,,

 

l’uomo è educato alla giustizia e si perfeziona per la gloria. Vedi dunq du nqu ue, qua uant nto o gi gius usta tam mente ente è da inte intend nder ersi si la graz azia ia de dell lla a contemplazione in quel luogo sacro che si antepone a tutti gli altri nella casa di, Dio per la sua dignità. O grazia singolare! O grazia da preferirsi particolarmente dal momento che da lei siamo santificati ora e beatificati in futuro. Se dunque si intende rettamente nell’arca della santificazione la grazia della contemplazione, giustamente tale grazia è ricercata per il fatto che chi l’accoglie in sé non solo è purificato, ma anche santificato. E senza dubbio nulla può purificare ugualmente il cuore da ogni attaccamento terreno, nulla infiamma ugualmente l’animo all’amore celeste. Essa è assolutamente quella che purifica, quella che santifica in modo tale che l’uomo, l’uomo, attraver attraverso so la continua contemplazione della verità sia puro per il disprezzo del mondo, e santo per l’amore a Dio.

Capitolo II Perché sia utile e gradita questa grazia a chi vi si addentra Ma quella stessa Davide èa.detta della Mosè Mo sè è de dett tta a arca arche ca da dell dell’a ’all llea eanz nza. Ma arca pe perrch ché é arca arsantificazione, ca,, pe perrché ché arca arda ca dell’alleanza, né di chiunque, ma del Signore? Sappiamo poi che ogni cosa preziosa, l’oro, l’argento e le pietre preziose si sogliono riporre in una arca. Se dunque esaminiamo in che cosa consistano i tesori della sapienza e della scienza, parimenti troveremo al più presto un luogo in cui riporre tesori di tal genere. Quale sarà l’arca adatta a questo compito, se non l’intelligenza umana? Questa arca dunque è costruita e resa preziosa dall’insegnamento divino, dal momento che l’intelligenza umana è spinta alla grazia della contemplazione dall’ispirazione e dalla rivelazione divina. Ma quando ci addentriamo in questa grazia durante questa vita, che cosa d’altro riceviamo se non alcuni pegni di quella futura pienezza, in cui saremo sar emo questa sempr sempre egrazia ded dediti itiquasi a una per perenn enne e della con contem templa plazio zione? ne? Ricevi Riceviamo amo dunque come pegno divina promessa, quasi come pegno della divina predilezione, quale vincolo dell’alleanza e segno di reciproco reciproco amore. Vedi quanto giustamente sia chiamata arca dell de ll’a ’all llea ean nza del Si Sig gnor nore quell uella a nell nella a qua uale le e per la qua uale le si rappresenta tale grazia. Per la qual cosa deve volentieri prepararsi a sopp so ppor orta tarre qual qualun unqu que e fa fati tica ca ch chii desi deside dera ra o pe pens nsa a di rice ricever vere e un pegno di così grande predilezione. Non dubito che chiunque sia tra voi un obbediente ebreo che serva volentieri per sei anni per una tale grazia, nel settimo sarà liberato, in modo da poter d’allora in poi dedicarsi alla contemplazione della verità. E se invero si trova fra voi qualcuno che sia Giacobbe, o che possa essere ritenuto degno di tal nome, vale a dire che sia uomo forte e valoroso in combattimento, coraggioso nella lotta, nemico dei vizi, in modo tale da vincere alcuni ostacoli con la fortezza e abbatterne altri con l’astuzia, costui servirà

 

senz’altro volentieri per sette anni, e sette per una tale grazia, in quan qu anto to gli gli se semb mbrreran eranno no poch pochii i gi gior orni ni in rapp rappor orto to alla alla inte intens nsit ità à dell’amore, perché possa, anche se tardi, giungere all’abbraccio di Rachele. Chi infatti vuol giungere al suo abbraccio deve servire per lei sette anni e sette, per imparare a liberarsi non solo dall’e azioni cattive, ma anche dai vani pensieri. E molti, anche se sanno liberarsi dai leg legami ami cor corpor porali, ali, tuttav tuttavia ia rie riesco scono no mol molto to raram rarament ente e a ess esser ere e padroni del loro cuore poiché non sanno fare il Sabato nei giorni prescritti, e pertanto non mettono in pratica ciò che si legge nel Salmo: Siat Siate e li libe beri ri e cont contem empla plate te perc perché hé io sono sono il Sign Signor ore e (Sal. 45,11). E  E  coloro che si liberano dal corpo, ma si lasciano trasportare ovunque dal cuore, non meritano affatto di vedere quanto è dolce il Signore, quanto è buono il Dio di Israele,  verso coloro che sono giusti (Sal. 72). E per questo i nemici deridono il loro Sabato (Lam. 1). Ma il vero Giacobbe non cessa di lavorare, finché raggiunga il fine del suo desiderio, servendo presso il vero Labano, veramente puro, perché glorificato, lui che il Padre ha glorificato presso di sé con lo splendore che ebbe prima della creazione del mondo (Gv. 12). Egli dovette patire e così entrare nella sua gloria (Lc. 24), affinché all’aspetto servile sovrapponesse il candore della gloria, e fosse veramente puro, più più bi bian anco co dell della a neve eve (S (Sal al.. 50), 50), in inco corron onat ato o di on onor ore e e glor gloria ia,, e diventasse bello non solo davanti ai figli degli uomini, ma anche davanti agli spiriti degli angeli, e tale che a lui gli angeli desiderino volgere lo sguardo (1 Pt. 1). Vedi quanto grande sia questa grazia, per la qu qual ale e tant tanto o pa pazi zien ente teme ment nte, e, tant tanto o vo vole lent ntie ieri ri si lavo lavora ra e ch che e si acquista con tanta fatica e con tanta gioia si possiede. E di tale grazia invero Mosè tratta con linguaggio figurato in parecchi luoghi delle Scritture; ma la distingue più pienamente con mistica descrizione là dove la divide in generi.

Capitolo III caratteristica della contemplazione contemplazion e pensare e in che La cosa differisce dalla meditazione e dal Affinché  po poii poss possia iamo mo me megl glio io comp comprrende enderre ci ciò ò ch che e si deve deve dir dire intorno alla contemplazione, e più giustamente giudicare, dobbiamo ricercare prima in che cosa consista, con determinazioni o definizioni, e po poii in che che co cosa sa diffe ifferrisca isca dal alla la med meditaz itazio ion ne e da dall pen ensa sarre. Dobb Do bbia iamo mo pert pertan anto to sape saperre che che un solo solo e me mede desi simo mo argo argome ment nto o possiamo considerano in un modo con il pensiero, approfondirlo in un altro con la meditazione, e contemplano in un altro con la contemplazione. E queste tre attività differiscono molto tra loro nel modo mo do,, anch anche e se ha hann nno o in co comu mune ne la ma mater teria ia.. Infa Infatt ttii into intorrno alla alla stes tessa mate materria agis agisce ce in un modo modo il pen enssier iero, in un altr altro o la meditazione, e in un modo di gran lunga diverso la contemplazione. Il pens pe nsie ierro vaga vaga qua qua e là là,, dapp dapper ertu tutt tto, o, attr attrav aver erso so vie vie so soli lita tari rie, e,

 

lentamente, senza preoccuparsi della meta. La meditazione si affanna attraverso luoghi spesso aspri e impervi verso il fine da raggiungere con grande impegno dell’animo. La contemplazione con libero volo si aggira con mirabile agilità dovunque l’impeto la trascina. Il pensiero striscia, la meditazione cammina e spesso corre. La contemplazione invece sorvola tutto e quando vuole si libra al sommo. Il pensare è senza fatica e risultato. Nella meditazione vi è la fatica col risultato. La contemplazione resta senza fatica con risultato. Nel pensiero c’è il perregri pe egrina narre, nell nella a medi medita tazi zion one e la rice ricerrca, ca, ne nell lla a co cont ntem empl plaz azio ione ne l’ammirazione. Dall’immaginazione proviene il pensiero, dalla ragione la meditazione, dall’intelligenza la contemplazione. Ecco codeste tre facoltà: immaginazione, ragione, intelligenza. L’intelligenza occupa il posto più elevato, l’immaginazione il più basso, la ragione quello di mezzo mez zo.. Tutt utto o ciò che so sotto ttostà stà al sen senso so inf inferi erior ore e nec necess essari ariame amente nte sottostà anche al senso superiore. Da ciò consegue che tutto ciò che è compreso dall’immaginazione, tutto questo e molte altre cose che si trovano al di sopra, sono comprese dalla ragione. Similmente ciò che è compreso dall’immaginazione o dalla ragione, cade sotto il controllo dell de ll’i ’int ntel elli lige genz nza, a, qu ques esto to e tutt tutto o ciò ciò che che qu ques este te du due e faco facolt ltà à no non n poss po sson ono o comp comprrende enderre. Co Cons nsid ider era a dunq dunque ue quan quanto to larg largam amen ente te si espanda il raggio della contemplazione, che illumina ogni cosa. E spesso capita che riguardo allo stesso argomento l’uno se ne occupi perr me pe mezz zzo o de dell pens pensie ierro, l’ l’al altr tro o con con la me medi dita tazi zion one, e, l’al l’altr tro o co con n la contemplazione, benché gli argomenti siano esaminati non per vie diverse, ma con diverso moto. Il pensiero passa sempre da una cosa al all’ l’al altr tra a con con movi movime ment nto o in inco cost stan ante te,, la me medi dita tazi zion one e pe pers rsis iste te co con n persev per severa eranza nza intor intorno no a un solo solo ar argo gomen mento, to, la con contem templa plazio zione ne si al alla larrga a innu innumer merev evol olii cose cose so sott tto o il ragg raggio io di un un’u ’uni nica ca visi vision one. e. E invero per mezzo dell’intelligenza la capacità della mente si espande nell ne ll’i ’imm mmen ensi sità tà e si acui acuisc sce e l’ l’ac acut utez ezza za de dell ll’a ’ani nimo mo di co colu luii ch che e contempla in modo tale che può comprendere molte cose e riesce a pene pe netr trar are e an anch che e qu quel elle le pi più ù diffi difficil cili. i. In Infa fatt ttii no non n vi pu può ò mai mai es esse serre contemplazione senza la partecipazione dell’intelligenza. Come infatti dall’intelligenza proviene capacità all’occhio delladeriva menteladicapacità fissarsi negli oggetti corporei, cosìladalla sua stessa potenza di dilatarsi dal solo intuito, nelle cose corporee alla comprensione di cose infinite. Infine ogni qualvolta l’animo di colui che contempla si dilata alle cose più basse o si eleva alle più alte, ogniqualvolta si acuisce verso le più misteriose, o, con mirabile agilità, quasi senza indugio, è rapito attraverso innumerevoli argomenti, non dubitare che tutto questo gli è possibile per una qualche facoltà dell’intelligenza. Ho detto queste cose per coloro che ritengono indegno far rientrare queste cose inferiori nella sfera dell’intelligenza o ritenerle in qualche modo connesse alla contemplazione. T Tuttavia uttavia si dice più precisament precisamente e e prop propri riam amen ente te cont contem empl plaz azio ione ne quell quella a ch che e si rifer riferis isce ce alle alle cose cose sublimi, dove l’animo si serve dell’intelligenza pura. È tuttavia sempre contem con templa plazio zione ne anche anche quand quando o si rif riferi erisce sce a cos cose e o per loro natura natura

 

manife mani fest ste, e, o no note te pe perr mezz mezzo o dell dello o st stud udio io,, o ch chia iarre pe perr divi divina na rivelazione.

Capitolo IV Definizione delle singole facoltà, contemplazione, meditazione, pensiero Mi pare pertanto che si possa dare una definizione di tal genere. La contemplazione consiste nella libera perspicacia della mente volta con ammirazione ammirazione agli spettacoli spettacoli della sapienza, sapienza, come piacq piacque ue a quel famoso filosofo del nostro tempo, che l’ha definita con queste parole: la contemplazione è la perspicace e libera intuizione dell’animo che si dilata in ogni senso verso le cose da prendere in considerazione; la medi me dita tazi zion one e in inve vece ce è l’ l’at atte tenz nzio ione ne prec precis isa a de dell lla a me ment nte e into intorrno a qualcosa da analizzare, fatta con insistenza, ovvero: la meditazione è previ previden dente te ana analis lisii dell’a dell’anim nimo o occ occupa upato to int intens ensame amente nte nel nella la ric ricer erca ca della verità; il pensiero invece è lo sprovveduto sguardo dell’animo che è volto al basso e che divaga. Si vede pertanto che a queste tre facoltà è comune e quasi elemento sostanziale un aspetto dell’animo. Quando infatti non si considera nulla con la mente, non si può dire o affermare affermar e nulla. È comune poi alla contemplazione e alla meditazione, l’occuparsi di cose utili e il dedicarsi assiduamente soprattutto agli studi della sapienza o della scienza. Ma in questo invero sogliono differ dif ferir ire e soprat soprattut tutto to dal pensie pensiero ro,, che è sol solito ito in momen momenti ti iso isolat latii la lasc scia iars rsii an anda darre a cose cose in inet ette te e friv frivol ole e e, se senz nza a alcu alcun n fren freno o di discrezione, volgersi con interesse a ogni cosa. E d’altro canto è però comune alla contemplazione e al pensiero volgersi qua e là con libero movi mo vime ment nto o e seco second ndo o una una spon sponta tane nea a incli inclina nazi zion one e e non non esse esserre trattenuti dal loro impetuoso dirigersi qua e là da nessun ostacolo e diff diffic icol oltà tà.. Diff Differ eris isco cono no po poii sopr soprat attu tutt tto o pr prop opri rio o in qu ques esto to da dall lla a medi me dita tazi zion one, e, la cui cui anal analis isii si attu attua a se semp mprre co con n qual qualch che e fati fatica ca e attività operosa, sia nell’apprendere le misteriose, cose più ardue conpenetrare difficoltà dell’animo, sia nell’irrompere nelle più sia nel nelle più nascoste. Accade tuttavia spesso che nel vagare dei nostri pensieri, l’animo incontri qualcosa che desidera intensamente sapere, e vi si soffermi insistentemente. Ma mentre la mente, soddisfacendo al suo desiderio, si dedica a una ricerca di tal genere, già pensando supera la misura del pensiero e il pensiero passa alla meditazione. Suole poi accadere qualcosa di tal genere anche per quel che riguarda la meditazione. Infatti la verità, ricercata tanto a lungo e finalmente conseguita, la mente suole accoglierla con avidità, ammirarla con esaltazione e indugiare a lungo ad ammirarla. E questo è già, nel meditare, superare la meditazione e passare dalla meditazione alla contemplazione. È pertanto proprio della contemplazione stare fissa con ammirazione nello spettacolo della sua letizia. E in questo si vede la sua differenza tanto dalla meditazione quanto dal pensiero. Infatti il

 

pensiero, come già si è detto, si distrae sempre qua e là con incedere errab errabond ondo, o, mentr mentre e la med medita itazio zione ne ten tende de sem sempr pre, e, con movime movimento nto fisso, alle cose ulteriori.

Capitolo V Come il modo della contemplazione si attui multiformemente Ma innalz innalzand andosi osi que quell sagace sagace rag raggio gio del della la con contem templa plazio zione ne sem sempr pre e dalla grandezza dell’ammirazione verso qualcosa, tuttavia questo non si attua sempre in un solo modo né uniformemente. Infatti quella vivacità di intelligenza che si trova nell’animo di colui che contempla, con mirabile agilità ora va, ora viene, ora quasi si gira intorno, ora poi quasi si raccoglie in unità e si fissa immobilmente. E se analizziamo giustamente l’apparenza di questa cosa, la vediamo ogni giorno nei volatili del cielo. Puoi vederne alcuni alzarsi verso l’alto, altri tuffarsi in basso e ripetere spesso i loro stessi movimenti di ascesa e discesa. Puoi vederne alcuni volgersi ora a destra ora a sinistra, ora in questa, ora or a in qu quel ella la di dirrezio ezione ne pi pieg egan ando dosi si poco poco in av avan anti ti,, o qu quas asii no non n muoversi per nulla, e ripetere molte volte gli stessi movimenti in ogni direzion dir ezione, e, per molti istan istanti. ti. Puoi, vederne altri spingers spingersii in avanti in gran fretta. Ma poi li vedi con la stessa velocità e tornare indietro, e spesso compiere la stessa cosa e continuare e protrarne con lunga frequenza le stesse sortite e gli stessi ritorni. Puoi vedere come si volgono in giro e quanto improvvisamente e quanto spesso ripetono gli stessi giri e ne compiono dei simili, ora un poco più internamente, ora un poco più ristretti, e sempre ritornano nello stesso luogo. Puoi vedere come altri stanno sospesi a lungo in uno stesso luogo con ali tremanti e spesso vibranti, e quasi immobilmente stanno fermi con un agitarsi mobile e, soffermandosi molto a lungo nello stesso luogo su cuii sono cu sono po posa sati ti non non va vann nno o pi più ù lo lont ntan ano o come come se se semb mbra rass sse e ch che, e, nell’eseguire la loro azione con insistenza, esclamassero: È bene per  noii esse no essere re sopra qui qui (Lc. (L c. 9, 9,33 33). ). Si Simi milm lmen ente te a qu ques esto to esem esempi pio o varia de dell lle e similitudini esposte, il volo della nostra contemplazione multiformemente e si forma in vario modo in rapporto alla varietà dell de lle e pe pers rson one e e degl deglii in inte terressi essi.. Ora Ora asce ascend nde e da dall ba bass sso o in alto alto e discend ende dall’alto in basso e passa con l’agilità della sua considerazione ora dalla parte al tutto e ora dal tutto alla parte e, per quel che è necessario sapere, ora trae argomento dal più, ora dal meno. Ora poi si volge in questa e ora nella parte opposta, e trae la conoscenza dei contrari dalla scienza dei contrari ed è solita variare l’esplicarsi del suo ragionamento in rapporto al vario modo degli opposti. Talvolta avanza fino alle cose più oltre e subito ritorna a quelle più indietro, purché possa comprendere dagli effetti, ora dalle cause di qualunque genere o dalle conseguenze la misura o la qualità di ogni cosa.  Talvolta  Talvolta la nostra speculazione è quasi condotta in modo circolare, circolare,

 

quando si considerano intorno a una cosa quali elementi le siano comuni ad altre e quando la ragione è tratta e volta a determinare una qualunque cosa sia sulla base delle cose simili che sulla base di quelle che si comportano similmente o accadono in concomitanza. Allora poi la nostra attenta riflessione si ferma quasi immobile in uno stesso luogo, dal momento che l’attenzione di colui che contempla indugia volentieri intorno all’essenza di ogni cosa e all’analisi e alla ammi am mira razi zion one e de dell lle e sue sue pr prop opri riet età. à. Ma affi affinc nché hé no non n semb sembri ri ch che e le nostre parole vogliano opporsi alla filosofia umana o allontanarsi dalle affer aff ermaz mazion ionii del della la dottri dottrina na cattol cattolica ica e dal ten tenor ore e della della semplic semplicità ità,, dir diremo emo fo fors rse e pi più ù como comoda dame ment nte e per perché ché as asce cend nder ere e e disc discen ende derre, andare e tornare, volgersi ora qua ora là, ora volgersi in giro e infine stare fissi su un solo argomento, altro non sia se non passare con somma agilità con la mente ora dal basso in alto o dall’alto in basso, ora dai principi alle ultime cose e viceversa, ora dalle cose diverse ai generi diversi dei meriti o dei premi, ora analizzare con attento esame gli gli elem elemen enti ti circo circost stan anti ti e conn connes essi si di og ogni ni co cosa sa,, o inf infin ine e talv talvol olta ta saziare l’animo con la novità di qualche ricerca o con l’ammirazione della novità. Vedi certamente ciò che anche prima abbiamo detto, cioè come l’azione della nostra contemplazione incominci e si sviluppi sempre in rapporto a un determinato argomento, mentre l’animo di colui col ui che contem contempla pla indugi indugia a volent volentier ierii nel nello lo spe spetta ttacol colo o della della sua letizia, mentre fa sempre in modo o di rientrare spesso in se stesso o di rimanere immobile a lungo sullo stesso argomento. Ascolta per quel che concerne il modo di contemplazione che in certo qual modo si realizza avanti e indietro: Gli animal animalii ava avanza nzavan vano o e rit ritorn ornava avano no in maniera simile alla folgore balenante (Ezech. 1,14). E ascolta anche riguardo al modo in cui l’animo è rapito verso cose diverse e, volando ora in questa, ora in quella parte, con mirabile agilità, è volto a cose contrarie: Ris Risple plende nderan ranno no i giusti giusti e correr correrann anno o com come e sci scinti ntille lle nel canneto (Sap (Sap.. 3, 3,7) 7).. Quan Quanto to a qu quel el modo modo di co cont ntem empl plaz azio ione ne ch che e avviene quasi in alto e in basso, il Salmista lo espresse con poche parole: Salgono fino al cielo e scendono fino agli abissi (Sal. 106,26). Circa quel modo contemplazione si Alza volge circolo, ammonisce quelladivoce profetica cheche dice: in quasi giro i in tuoi occhi, tie guarda guar da (Is. 60,4). Allora poi il raggio raggio della contemplazion contemplazione e sta fisso quasi in un solo luogo, là dove Abacuc sperimenta in se stesso: Il sole e la lu luna na stet stette tero ro nell nella a lo loro ro sede sede (A (Ab bac ac.. 3,11 3,11). ). Ec Ecco co or orma maii ch che e abbiamo chiarito con determinazioni e definizioni in che cosa consista la contemplazione. Ci resta ora da dividerla in specie e analizzare di conseguenza quanti siano i generi della contemplazione.

Capitolo VI Quanti e quali siano i generi della contemplazione Sei  poi sono i generi delle contemplazioni, assolutamente divisi tra

 

lor loro. Il prim primo o si trov trova a ne nell ll’im ’imma magi gina nazio zione ne ed è se seco cond ndo o la so sola la immaginazione. Il secondo è nell’immaginazione secondo ragione. Il terzo è nella ragione secondo immaginazione. Il quarto è nella ragione secondo ragione. Il quinto è sopra, ma non fuori ragione. Il sesto è al di sopra della ragione e sembra essere fuori ragione. Due dunque sono nella immaginazione, due nella ragione, due nell’intelligenza. La nost nostra ra co cont ntem empl plaz azio ione ne si svol svolge ge se senz nza a du dubb bbio io ne neii lim limit itii de dell lla a immaginazione, allorché consideriamo l’aspetto e l’immagine delle cose visibili, quando analizziamo stupendoci e analizzando vediamo con stupore quante siano queste cose corporali ché attingiamo col sens se nso o co corp rpor oreo eo,, quan quanto to gr gran andi di,, quan quanto to dive divers rse, e, quan quanto to be bell lle e e piacevoli e veneriamo ammirando e venerando ammiriamo in tutte queste la potenza, la sapienza, la munificenza di quella superessenza cr crea eatr tric ice. e. Al Allo lora ra dunq dunque ue la nost nostra ra cont contem empl plaz azio ione ne è conn connes essa sa all’immaginazione e si forma secondo la sola immaginazione, quando non ricerchiamo nulla con l’argomentazione e non analizziamo nulla col ragionamento, ma la nostra mente corre qua e là liberamente, là dove do ve l’am l’ammi mira razi zion one e la ra rapi pisc sce e in ques questo to gene generre di sp spet etta taco coli li.. Il secondo genere di contemplazione poi è quello che invero si basa sull’immaginazione, ma si forma e procede secondo ragione, la qual cosa accade quando ricerchiamo e troviamo la ragione per quel che concerne quelle cose che consideriamo nell’immaginazione, e che già abbiamo detto essere pertinenti al primo genere di contemplazione, e poi, scopertala e conosciutala, la consideriamo con ammirazione. Nel primo genere dunque indaghiamo, ricerchiamo e ammiriamo le cose stesse, nel secondo la loro ragione, il loro ordine, la loro disposizione e la causa, il modo e l’utilità di ciascuna cosa. Questa contemplazione dunque dun que con consis siste te nel nell’i l’imma mmagin ginazi azione one,, ma second secondo o rag ragion ione, e, poi poiché ché proc pr oced ede e ra razio zioci cina nand ndo o in into torn rno o a quel quelle le co cose se ch che e so sono no comp comprres ese e nell’immaginazione. E benché riguardo a qualcosa sembri consistere nella ragione anche questa contemplazione, nella quale si ricerca la ragione delle cose visibili, tuttavia si dice rettamente che si basa sull’ su ll’im imma magi gina nazi zion one, e, poic poiché hé qual qualun unqu que e co cosa sa in es essa sa ce cerrchiam chiamo o o troviamo raziocinando, senza dubbio la conformiamo quellecose cose che esaminiamo nella immaginazione, mentre intorno aaquelle e per esse insistiamo nel raziocinio. Abbiamo detto che il terzo genere di contemplazione è quello che si forma nella ragione secondo immaginazione. Invero noi ci serviamo di questo genere di contemplazione quando ci innalziamo attraverso la somiglianza delle cose visibili alla speculazione delle cose invisibili. Questa speculazione è basata sulla ragione, poiché si addentra per mezzo dell’attenz dell’attenzione ione e dell’a dell’analis nalisii solo in quelle cose che sono al di là dell’immaginazione, si volge solo alle cose invisibili, cioè a quelle che si comprendono per mezzo della ragione. Ma si dice che si forma second sec ondo o immagi immaginaz nazion ione, e, poiché poiché in que questa sta spe specul culazi azione one si tra trae e la somiglianza dall’immagine delle cose visibili, affinché l’animo se ne giovi per l’analisi delle cose invisibili. E invero giustamente si dice che

 

tale con tale contem templa plazio zione ne è nella nella rag ragion ione, e, ma sec second ondo o immagi immaginaz nazion ione, e, benché ben ché si sv svilup iluppi pi razioc raziocina inando ndo,, poiché poiché ogn ognii suo ragion ragioname amento nto e ar argom goment entazi azione one trae trae fondam fondament ento o dall’i dall’imma mmagin ginazi azione one,, e in essa essa si rafforza e trae la sostanza della sua analisi e delle sue affermazioni dalla proprietà delle cose immaginabili. Il quarto genere di contemplazione è quello che si forma nella ragione ed è secondo ragione: la qual cosa si attua quando, allontanato ogni intervento dell’immaginazione l’anima si volge a quelle cose che non ha cono conosc sciu iuto to,, ma che che la ment mente e coll colleg ega a co coll rag agio ion namen amentto, o comp co mprrende ende co con n la ra ragi gion one. e. Ci dedi dedich chia iamo mo a un una a sp spec ecul ulaz azio ione ne di questo que sto gener genere e quand quando o consid consideri eriamo amo le nos nostr tre e cose cose invisi invisibili bili che conosciamo per esperienza e comprendiamo con l’intelligenza; e dalla loro lor o con consid sidera erazio zione ne ass assur urgia giamo mo alla alla contem contempla plazio zione ne del delle le ani anime me celesti e infine dei buoni intelletti. Questa contemplazione poi si fonda sulla ragione perché, allontanate le cose sensibili, si volge solo alle intelligibili. E questa contemplazione invero pare prendere inizio e aver fondamento in quelle nostre cose invisibili che notoriamente l’animo umano conosce per esperienza o comprende con comune intelligenza. Ma solo in rapporto a questa parte si dice giustamente che ch e qu ques esta ta cont contem empla plazi zion one e si ba basa sa anch anche e su sulla lla ragio ragione ne,, po poic iché hé queste stesse nostre cose invisibili sono capite dalla ragione e in ques qu esto to su supe pera rano no pochi pochiss ssimo imo,, la mi misu sura ra de dell razi razioc ocin inio io.. E qu ques esta ta contem con templa plazio zione ne pr proce ocede de sec second ondo o la sol sola a rag ragion ione, e, poiché poiché colleg collega, a, ragion rag ionand ando o via via via,, alle alle cose cose invisi invisibil bilii con conosc osciut iute e per esp esperi erienza enza quel qu elle le no non n co cono nosc sciu iute te per per espe esperi rien enza za.. Allo Allont ntan anat ato o og ogni ni aiut aiuto o dell’immaginazione; sembra che la nostra stessa intelligenza per la prima volta in questa azione conosca se stessa per mezzo di se stessa. Infatti, per quanto essa non sembri mancare nei precedenti generi di contemplazione, tuttavia non si trova quasi in nessuna cosa se non nella ragion ragione e che medit medita a o anche nell’immaginazi nell’immaginazione. one. Là ci si serve di essa come d’uno strumento e si vede come per mezzo di uno specchio. Qui invece opera per se stessa e si contempla quasi nel suo aspetto. Qui dunque si volge al basso, non avendo nulla per cui discenda in che basso per se genere stessa. di contemplazione è quello che si Abbiamo più detto il quinto trova sopra ragione e tuttavia non oltre ragione. Ascendiamo a questo gene ge nerre di cont contem empl plaz azio ione ne con con l’ l’el elev evar arsi si de dell lla a me ment nte, e, qu quan ando do conosc con osciam iamo o per divina divina rivela rivelazio zione ne que quelle lle cos cose e che non possia possiamo mo comp co mprrende enderre pi pien enam amen ente te con con la ragi ragion one e uman umana a e an anal aliz izza zarre intera int eramen mente te col no nostr stro o ra ragio gionam nament ento. o. Tali son sono o quelle quelle cos cose e che crediamo sulla natura della Divinità e sulla sua semplice essenza comp co mprrovan ovando dole le con con l’ l’au auto tori rità tà dell delle e divi divine ne Scri Scritt ttur ure. e. La no nost stra ra cont co ntem empl plaz azio ione ne dunq dunque ue al allo lora ra ve vera rame ment nte e tras trasce cend nde e la ragi ragion one, e, quando l’anima, per mezzo dell’elevazione della mente, contempla ci ciò ò che che tras trasce cend nde e i li limi miti ti dell della a capa capaci cità tà um uman ana. a. Tut utta tavi via a si de deve ve ritenere al di sopra della ragione, ma non fuori della ragione, dal momento che l’umana ragione, non può opporle ciò che si scorge per

 

mezzo dell’acutezza dell’intelligenza, e anzi facilmente si acquieta e indugia nella sua testimonianza. Il sesto genere della contemplazione è quello che analizza le cose che stanno al di sopra della ragione e paiono essere fuori, e anche contro ragione. Soprattutto in questa somma e altissima contemplazione, l’anima veramente esulta, quando conosce le cose che provengono dall’irradiazione della luce divina e considera quelle alle quali tutta l’umana ragione contrasta. Sono di tal genere quasi tutte quelle cose che dobbiamo credere intorno alla Trinità. E quando l’umana ragione rifle flette intorno a queste, sembra non fare niente altro che contraddirsi.

Cap. VII Che cosa sia comune ai diversi generi di contemplazione Due pertanto di questi generi si fondano nell’immagine, poiché si volgo vo lgono no so solo lo agli agli ogge oggett ttii se sens nsib ibil ili. i. Due Due si fo fond ndan ano o ne nell lla a ragi ragion one e perché attendono solo alle cose comprensibili. Due poi poggiano solo sull’intelligenza, poiché si volgono solo alle cose intelligibili. Chiamo sensibili tutte le cose visibili e percettibili con un senso corporeo. Chiamo poi comprensibili le cose invisibili, tuttavia comprensibili con la ragione. E chiamo, in questa sede, intelligibili le cose invisibili e in inco comp mprrensi ensibi bili li al alla la uma man na rag agio ione ne.. Fra que uest stii sei ge gene nerri di contemplazione dunque, i quattro inferiori riguardano soprattutto le cose create. I due sommi invece concernono le cose increate e divine. Par arim imen enti ti tra tra i prim primii qu quat attr tro o i du due e supe superi rior orii rigu riguar arda dano no le co cose se invisibili, i due infimi invece le cose visibili e corporee. Infatti i due generi più bassi senza dubbio hanno come oggetto le cose visibili e create. I due generi più elevati invece si interessano soprattutto alle cose invisibili e increate. I due generi di mezzo poi soprattutto sono volti alle cose invisibili e create. Oserei dire quindi che, per quel che concerne le cose invisibiliin enessun create, vi sono chee non possono essere comprese modo dallaalcune ragionecose umana per ques qu esto to ten end dono ono al alla la ca cate tego gorria dell delle e cose cose inte intell llig igib ibil ilii e pa paio iono no rig igua uarrdar dare pi piu uttos ttosto to i due somm sommii ge gen neri eri di co con ntem templaz plazio ione ne.. Similmente per quel che concerne quelle cose somme e increate, appaiono esservene alcune accessibili alla ragione umana; per questo si dev devono ono annove annoverar rare e tra le cose cose int intell elligi igibili bili e pai paiono ono soprat soprattut tutto to adattarsi, ai due generi di contemplazione che abbiamo definito «di mezz me zzo» o».. Ai du due e prim primii pert pertan anto to pa parre es esse serre co comu mune ne il fatt fatto o ch che e entrambi sono volti alle cose visibili. Tuttavia in questo soprattutto paiono differire, nel fatto che il primo invero suole correre qua e là sotto l’impulso dell’ammirazione senza alcun apporto della ragione. Nel secondo invece quando si tratta di quelle cose che sono agitate nella mente per mezzo dell’immaginazione si richiede e si esige la ragion rag ione e che con conduc duce e all all’am ’ammir mirazi azione one le cose cose pri prima ma fam famili iliar armen mente te

 

note; il secondo e il terzo hanno questo in comune, ma singolare rispetto a tutti gli altri, il fatto che in entrambi parimenti sembrano mescolarsi tra loro l’immaginazione con la ragione e la ragione con l’imma l’immagin ginazi azione one.. Differ Differisc iscono ono invece invece nel fat fatto to che nel sec second ondo o la ragione, come si è detto, pensa e si rivolge alle cose visibili, mentre nel terzo la ragione è tratta dalle cose visibili all’analisi delle cose invisibili. In questo spesso da cose invisibili siamo volti a cose invisibili e proviamo alcune cose con altre. In codesto genere dall’analisi delle cose visibili passiamo alla conoscenza delle invisibili. È chiaro che è elemento comune al terzo e quarto genere l’occuparsi delle cose invisibili e intelligibili, ma che essi differiscono nel fatto che nel terzo genere invero la ragione si mescola all’immaginazione; nel quarto invece si mescola l’intelligenza pura alla ragione; nel quarto e quinto la ragione e l’intelligenza convergono e si accordano. Ma nel quarto dalla ragione trae impulso l’intelligenza. Nel quinto invece la ragione non previe viene mai l’intel ellligenza, ma la segue, o spesso la accompagna. Infatti ciò che prima si conosce per divina ispirazione, è confermato poi dalla affermazione della ragione. Nel quinto e nel sesto è elemento comune il fatto che entrambi vertono intorno alle cose co se in inte tell llig igib ibil ili. i. Ma nel nel quin quinto to in inve verro la ra ragi gion one e uman umana a pa parre abbastanza consenziente. Nel sesto invece ogni umana ragione pare essere contrastante a meno che non sia sorretta dalla unione con la fede.

Capitolo VIII Le caratteristiche di ogni genere È ca carrat attteris eristi tico co poi del ella la prim prima a co cont ntem empl plaz azio ion ne l’am l’amm mirar irare e sempli sem plicem cement ente e sen senza za alc alcun un ele elemen mento to raz razion ionale ale le cos cose e visibi visibili. li. È prop proprio rio della della sec second onda a inter interess essars arsii col rag ragion ioname amento nto del della la rag ragion ione e delle cose visibili. È proprio della terza ascendere attraverso le cose visibili alleento invisibili ragionamento. Èeproprio della trarre col ra ragi gion onam amen to da col cose cose in invi visi sibi bili li al altr tre in invi visi sibil bili i e quarta pr proc oced eder ere e alla al la conoscenza delle cose ignote attraverso la conoscenza di quelle note. È proprio della quinta guidare la ragione alla conoscenza delle cose intelligibili. È proprio della sesta trascendere e quasi calpestare ogni umano ragionamento nella conoscenza delle cose intelligibili. È poi elem elemen ento to comu comune ne dei dei prim primii tre tre gene generi ri di co cont ntem empl plaz azio ione ne il no non n at attu tuar arsi si se senz nza a l’ l’in inte terv rven ento to dell’ dell’im imma magi gina nazi zion one; e; ne nell pr prim imo o infa infatt ttii l’immaginazione si trova quasi al di sotto della ragione. Nel secondo accoglie la ragione. Nel terzo l’immaginazione ascende alla ragione. Parimenti, essendo elemento comune degli ultimi tre il non attuarsi senza l’intelligen l’intelligenza za pura, nel primo di essi (cioè nel quarto) la stes stessa sa intelligenza si inclina alla ragione. Nel quinto innalza a sé la ragione. Nel sesto l’intelligenza trascende la ragione e quasi l’abbandona sotto di sé. Essendo elemento comune ai quattro generi di mezzo il non

 

attuarsi senza la ragione, nel secondo genere di contemplazione la ragione scende verso l’immaginazione, quasi fino in fondo. Nel terzo trae con sé l’immaginazione fino quasi alle cose più alte. Nel quarto accoglie e conduce l’intelligenza che quasi scende su di lei. Nel quinto la ragione ascende all’intelligenza quasi sopra se stessa, e indugia con lei nei suoi elementi sublimi. Nel primo pertanto l’immaginazione riposa in se stessa, come anche l’intelligenza. Nel sesto si raccoglie in sé e indugia su se stessa. Nel secondo la ragione scende al di sotto di sé. Nel qui quinto nto ess essa a asc ascend ende e sop sopra ra sé. Nel ter terzo zo l’imma l’immagin ginazi azione one ascende al di sopra di sé. Nel quarto l’intelligenza scende al di sotto di sé. Nel primo l’immaginazione occupa un posto infimo e solitario. Nel seco se cond ndo o la ra ragi gion one e scen scende de al ba bass sso. o. Ne Nell terz terzo o l’im l’imma magi gina nazi zion one e ascende al sommo. Nel quarto l’intelligenza scende in basso. Nel quinto la ragione ascende al sommo. Nel sesto l’intelligenza occupa un posto solitario e altissimo.

Capitolo IX In quale proporzione questi generi si corrispondano o come siano soliti mescolarsi fra loro Si deve notare che come gli ultimi due generi trascendono la ragione, così i due di mezzo ascendono al di sopra dell’immaginazione. E come quello più alto tra gli ultimi generi è solito non accogliere nessuna ra ragi gion one e uman umana, a, così così quel quello lo pi più ù el elev evat ato o de deii ge gene neri ri ch che e ab abbi biam amo o colloc col locato ato nel mez mezzo zo dev deve e esclud escluder ere e ogn ognii imm immagin aginazi azione one.. E com come e quello più basso tra i due generi ultimi e più elevati trascende la ragione e non è tuttavia fuori della ragione, così quello più basso dei due generi di mezzo trascende l’immaginazione, e tuttavia non si trova fuori dell’immaginazione. Parimenti, come i due generi di mezzo scendono nella pura e semplice intelligenza, così i due primi cioè i più bas assi si,, sce cend ndon ono o al di sott sotto o de dell razio azioci cin nio. io. Ch Chia iam mo semp emplic lice l’intelligenza che nondel haconcorso bisogno dell’aiuto della ragione pura quella che non ha bisogno dell’immaginazione. Maecome quello più alto tra i due generi di mezzo scende al di sotto della semplice inte intell llig igen enza za,, e non non res esta ta tutt tuttav avia ia qu qui, i, pe perrch ché é di qu quell elle e co cose se ch che e analizza alcune le comprende con la semplice intelligenza, altre le collega tra loro ragionando; così quello più elevato tra i due generi più bassi pare scendere al di sotto della ragione, né tuttavia fermarsi al di sott so tto o di es esssa, poic poiché hé è soli solito to rap appr pres esen enttare are alcu alcune ne cose cose co con n l’immaginazione e collegarne altre col ragionamento. Parimenti, come quello più basso dei due generi di mezzo è solito scendere e fermarsi al di sotto della semplice intelligenza, così quello più basso dei due generi più bassi è solito volgersi alla ragione. Infatti anche quello più basso tra i due generi più bassi suole volgersi alla ragione. Come il primo prende in considerazione solo quelle cose che la mente trae dall da ll’i ’imm mmag agin inaz azio ione ne col col ragi ragion onam amen ento to,, co così sì il se seco cond ndo o trae trae in

 

considerazione solo quelle che ha impresso nell’immaginazione per mezzo della sensazione. E non per questo si può dire che questo primo genere di contemplazione, il più basso, resta al di sotto della ragione o meglio del ragionamento quasi irrazionale e pare essere asso as solu luta tam mente ente cont contrro ra ragi gion one e es esse send ndo o dimo dimost stra rato to faci facilm lmen ente te conforme a ragione per la tensione, o anche per la disposizione. Ma tutt tu ttav avia ia in es essa sa,, come come si è de dett tto, o, pe perr qu quan anto to conc concer erne ne la su sua a caratteristica, non si collega nulla col ragionamento. Tuttavia quei generi di contemplazione che abbiamo distinto sono soliti talvolta mesc me scol olar arsi si tra tra lo loro ro e quel quella la norm norma a delle delle pr prop opri riet età à ch che e ab abbi biam amo o determinato è solita confondersi per l’una o l’altra commistione. È stat stato o tu tutt ttav avia ia nost nostrro co comp mpit ito o in ques questa ta se sede de ch chia iari rirre le si sing ngol ole e caratteristiche di ogni genere per rendere perspicuo l’argomento, e nondimeno mostrare che cosa avessero tali generi di comune o di simile.

Capitolo X Come a stento solo i perfetti possano accedere a tutti i sei generi di contemplazione contemplazione È ne nece cess ssar ario io che che ch chiu iunq nque ue desi deside deri ri ragg raggiu iung nger ere e il cu culm lmin ine e de dell lla a scienza conosca familiarmente codesti sei generi di contemplazione. E invero sulle ali di queste sei contemplazioni siamo sollevati al di sopra delle cose terrene verso le cose celesti. E non puoi avere alcun dubbio intorno al fatto di essere perfetto o meno se ancora te ne manca qualcuna. comunque bene per me e per tutti il possedere almeno una di queste tre coppie di ali. Chi mi darà le ali come a una colomba; e volerò e riposerò? (Sal. 54,7). So tuttavia che in quei due primi generi non è concesso con ali di tal genere volare dalle cose terrene alle celesti, e raggiungere e penetrare quelle ardue dei cieli. Infatti, come già già ab abbi biam amo o de dett tto o pr prim ima a per per quel quel che che conc concer erne ne i se seii ge gene neri ri di contemplazione, tutta l’analisi deiaffatto primi due volta invisibili. alle cose Dunque terrene e corporali e in essi non si tratta delleè cose perr quan pe quanto to spic spicch chia iamo mo vo voli li al alti tiss ssim imi, i, su subli blimi mi in or ordi dine ne alle alle co cose se terrrene con le due pri ter prime me ali della della con contem templa plazio zione, ne, noi dob dobbiam biamo o cionondimeno stimare un nulla il fatto di raggiungere soltanto ciò che fu conosciuto in modo eccellente anche dai filosofi di questo mondo. Convinciti di essere un animale terreno e non ancora celeste, finché ti accontenterai di queste due sole ali. Hai di che velare il tuo corpo, onde poter volare. Certo, se sei ancora un animale terreno, se fino a ora conservi un corpo terreno, se sei quale dice l’Apostolo, quando ammonisce di mortificarsi, sarà bene senz’altro avere al più presto di che poter velare tale corpo, quando lo vorrai e nasconderlo agli occhi del tuo ricordo: Mortificate – dice – le vostre membra terrene cioè la fornicazione, l’impurità (Col. 3,5). E in che cosa consiste poi il velare un corpo di tal genere sotto le ali designate delle contemplazioni, se

 

non nel temperare la concupiscenza delle cose del mondo attraverso la con consid sidera erazio zione ne del della la mut mutevo evolez lezza za uma umana na e gui guidar darla la inf infine ine all alla a diment dim entica icanza nza?? Consid Considera era,, come come credo credo,, qua quanto nto val valga ga un vel velar are e di questo ques to genere genere e un adombramento adombramento delle ali. Hai parim parimenti enti in quest queste e ali di che poter volare quando lo vorrai. Ed è certamente bene volar bene e allontanarti il più possibile dall’amore del mondo. E bene volano su queste ali coloro che considerano ogni giorno l’inganno della mutevolezza delle cose terrene e si allontanano dal desiderarle con un continuo ripensamento. Pertanto, benché non sia possibile volare su questo paio d’ali fino alle cose celesti, potrai forse tuttavia trovare nel loro remeggio un porto sicuro e tranquillo in cui riposarti. Sforzati su di esse per quanto puoi, affronta almeno l’estremità del mar are. e. Se pr pren end derò erò le mi mie e al alii sul far far de dell gior giorno no,, e mi pose serrò all’estremità del mare (Sal. 138,9). I punti estremi del mare, il confine del mondo è per ciascuno il venir meno della propria vita. Infatti ragg ra ggiu iung nger ere e i li limi miti ti del del mar mare al altr tro o non non è se non non aspe aspett ttar are e co con n desiderio la fine del mondo e la cessazione della vita terrena. E già aveva raggiunto a volo, come io credo, le lontananze marine colui che poteva dire veracemente: Desidero dissolvermi, ed essere col Cristo (Fil (Filip. ip. 1,23 1,23). ). Ri Rite teng ngo o che che tu abbi abbia a rice ricevu vuto to ques queste te du due e ali ali de dell lle e contemplazioni non invano, se hai potuto volare fino qui. Tuttavia ti deve sembrare poco l’aver ricevuto queste due ali; ma per dimostrare che sei un animale celeste preoccupati e studiati di averne almeno due paia, e allora sicuramente avrai il mezzo per volare alle cose celesti. Senza dubbio avevano quattro ali e per questo mostravano di esser ess ere e ani animal malii cel celest estii e non ter terre restr stri, i, que queii qua quattr ttro o ani animal malii che il profeta Ezechiele vide e, vistili, li descrisse: Quattro volti a ciascuno, disse, dis se, e a cia ciascu scuno no quattr quattro o ali (Ezech. (Ezech. 1,6 1,6). ). Con due poi poi,, com come e qui leggi, velavano il loro corpo: infatti con le altre due senza dubbio volavano. Così anche tu quando incomincerai ad avere già quattro ali, quando ti riterrai già un animale celeste, e riterrai di possedere già un corp co rpo o cele celest ste, e, nond nondim imen eno o tutt tuttav avia ia sfor sforza zati ti di ve vela lano no sott sotto o le ali ali suddette. Vi sono infatti corpi celesti e corpi terrestri, e altra è la gloria di quelli celestidella e altra la gloria quellidifferisce terrestri.dall’altra Altra è laper luce del sole, altra quella luna, e unadistella la luce (1 Cor. 15). Se dunque tutto il tuo corpo sarà splendente, non avendo avend o in sé alcuna part parte e di tenebre tenebre,, tuttavia tuttavia sarà utile nascon nasconderlo derlo agli occhi dell’umana superbia, e temperare l’orgoglio della stima di sé con la considerazione della mutevolezza delle cose umane. Non sa infatti l’uomo la sua fine, ma come i pesci vengono presi all’amo, e gli uccelli vengono presi al laccio, così gli uomini vengono colti dalla sventura quando essa li sorprende all’improvviso (Eccl. 9,12). Pertanto è bene per l’uomo dissimulare i suoi beni, e non avere alcu alcuna na pr pres esun unzi zion one e de dent ntrro di sé ci cirrca i su suoi oi me meri riti ti,, e se semp mprre mantenersi in umiltà. Col primo paio di ali l’uomo dunque veli il suo corpo, col secondo, voli al cielo. Perché infatti quei due generi di contem con templa plazio zione ne che abbiam abbiamo o colloc collocato ato in mezzo mezzo non dovre dovrebbe bberro

 

innalzare l’uomo alle cose celesti e invisibili, dal momento che, come abbiamo detto, trattano solo delle cose invisibili? Ogni uomo volto alle cose co se de dell llo o sp spir irit ito o si sfor sforzi zi dunq dunque ue se semp mprre di vo volg lger ere e og ogni ni su suo o desi de side deri rio o e in inte terres esse se al alle le co cose se ce cele lest sti, i, affi affinc nché hé po poss ssa a dir dire co con n l’A l’Apost postol olo: o: E la nost nostrra ci citt ttad adin inan anza za è ne neii ci ciel elii (F (Fil ilip ip.. 3,2 3,20). 0). E nondimeno se ti appresti a penetrare con lo stesso Apostolo fino al terzo cielo (2 Cor. 12), non presumere mai di poterlo fare su queste due paia di ali. È necessario senza dubbio che colui che desidera e brama volare fino ai segreti del terzo cielo e agli arcani della Divinità, sia fornito di tutte quelle ali delle sei contemplazioni di cui abbiamo tr trat atta tato to prim prima. a. E in ogni ogni ca caso so solo solo i pe perf rfet etti ti po poss sson ono o a st sten ento to possedere in questa vita queste ali delle sei contemplazioni. E nella vita futura tutti gli eletti le avranno, tanto tra gli uomini quanto tra gli angeli, tanto che si può dire veracemente di entrambe le nature che sei ali possiede l’una e sei ali l’altra.

Capitolo XI Mistica descrizione dei primi quattro generi dl contemplazione Per quel che concerne dunque questi sei generi di contemplazione Mosè, come mi sembra, ne tratta con mistica descrizione, quando secondo il comando divino ordinò che fosse fatta quell’arca materiale, ma invero mistica. Il primo dunque è indicato nella fabbricazione dell’a del l’arc rca, a, il second secondo o nel nell’in l’indor dorarl arla, a, il terzo terzo nel nella la cor corona ona del dell’a l’arc rca; a; comprendiamo il quarto per mezzo della propiziazione. Il quinto e il sesto per mezzo dei due cherubini. Se poi osserviamo l’aspetto e la fattura materiale, certamente di quelle sei opere costruite con le mani, solo la prima è fabbricata in legno, tutte le altre sono in oro. E così poi tutte quelle cose di cui consta il primo genere di cont co ntem empl plaz azio ione ne,, le atti atting ngia iamo mo con con la sens sensaz azio ione ne corp corpor orea, ea, e le ra rapp pprresen esenti tiam amo o co con n l’ l’im imma magi gina nazi zion one, e, quan quando do vo vogl glia iamo mo.. In Infa fatt ttii colleghiamo col ragionamento tutte le coseintelligenza. da cui si originano tutte le altre, o le comprendiamo con la semplice Pensa dunque quale differenza vi sia tra il legno e l’oro, e forse capirai quanto opportunamente codeste siano rappresentate rappresentate nel legno, quelle invece siano configurate nell’oro. L’oro brilla di per sé con grande chiarore, il legno non ha in sé nessun chiarore se non per il fatto che accende il fuoco e alimenta la fiamma apportatrice di luce. Così senza dubbio l’immaginazione non ha in sé alcuna luce, alcuna fama, se non il fatto che risveglia la ragione al discernimento e suole dirige dir igerla rla all’in all’inves vestig tigazi azione one del della la scienz scienza. a. Giu Giusta stamen mente te dun dunque que si rappresenta nell’indora orare il legno quel secondo gener ere e di contemplazione, nel quale si ricerca la ragione delle cose visibili. Che cos’altro è infatti la ragione delle cose visibili e immaginabili, se non qualche doratura, per così dire, del legno? E altrettanto giustamente la corona dell’arca può rappresentare misticamente il terzo genere di

 

contemplazione, nel quale siamo soliti ascendere attraverso le cose visi visibi bili li alle alle in invi visi sibi bili li e assu assurrger gere alla alla lo lorro cono conosc scen enza za gu guid idat atii dall’i dal l’imma mmagin ginazi azione one.. Infatt Infattii la cor corona ona veniva veniva fis fissat sata a al leg legno no sul sulla la part pa rte e più più al alta ta de dell’ ll’ar arca ca,, tutt tuttav avia ia supe supera rava va le pa part rtii più più alte alte de dell lla a struttura in legno con un’altra estensione. Così Co sì qu quel el ge gene nerre di co cont ntem empl plaz azio ione ne ch che e si attu attua a ne nell lla a ra ragi gion one e secondo l’immaginazione, invero si basa sull’immaginazione, mentre trae la ragione dalla somiglianza delle cose immaginabili e costruisce quasi una scala per la quale può ascendere alla speculazione delle cose invisibili. Il propiziatorio poi da ogni parte e in ogni luogo è sovrap sov rappos posto to al legno legno e per pertan tanto to abbast abbastanz anza a con conveni venient enteme emente nte in esso si configura quel genere di contemplazione che, al di là di ogni immaginazione, si attua nella ragione secondo ragione. E come il propiziatorio (come si conviene, al coperchio dell’arca), non scende mai al di sotto del legno, né può essere confitto nel legno, così questa contemplazione, superando ogni immaginazione e non permettendo la mescolanza con alcunché, contempla e si volge solo alle cose invisibili.

Capitolo XII Come si designano misticamente i due generi più alti di contemplazione I du due e ulti ultimi mi gene generi ri di co cont ntem empl plaz azio ione ne poi poi ve veng ngon ono o espr espres essi si da dall lla a figura angelica. E giustamente invero ebbe una forma non umana ma angelica quella struttura dell’opera che dovette rappresentare per somiglianza quei generi di contemplazione, la cui materia supera ogni ragione umana. Si deve ora notare come quei quattro generi suddetti siano congiunti in uni nità tà.. Co Code dest stii due due ul ulti timi mi in inve vece ce so sono no se sep par arat atii e co coll llo oca cati ti separatamente. E invero in quei primi quattro generi di contemplazione ognidall’uno giorno progrediamo nostro zelo e con divino, e passiamo all’altro. Ma per in codesti ultimi due,l’aiuto tutto dipende dalla grazia ed essi si trovano assolutamente lontani e del tutto separati da ogni attività umana, in quanto ciascuno accoglie cele ce lessti tial alme men nte e si ri rive vest ste e div ivin inam amen ente te di un una a co cond ndiz izio ione ne di somigl som iglian ianza za angeli angelica. ca. E forse forse non a caso caso questa questa ult ultima ima str strutt uttura ura dell’opera e figura angelica prese il nome di cherubino, forse perché senza l’aggiunta di questa suprema grazia nessuno può raggiungere la pienezza della scienza. Ma poiché dei due cherubini uno si dice che sta da una parte, l’altro dall’altra, in modo tale che si capisce che uno è a de dest stra ra,, l’ l’al altr tro o in inve vece ce a sini sinist stra ra,, cons consid ider era, a, di gr graz azia ia,, qu quan anto to convenientemente si oppongono da parti opposte, e sono collocati di fronte a somiglianza naturalmente di quelle cose fra le quali alcune paiono concordare con la ragione, altre opporsi. Ma forse qualcuno continuerà a cercare che cosa convenga intendere in ciò. Vedi dunque

 

che non a cas che caso in quel quel cher cheru ubi bino no che che stav tava a des estr tra a si dev eve e identificare quel genere di contemplazione che è sopra la ragione, e non tuttavia fuori della ragione. In quello invece che è a sinistra si deve intendere quello che è sopra la ragione, e pare essere fuori della ragione. Sappiamo poi che la parte sinistra è più spesso nascosta sotto alcune vesti, la destra invece è più frequentemente esposta all’aperto. Per cui giustamente si intendono nella sinistra le cose più nascoste, nella destra quelle più manifeste. Le più manifeste poi si accordano con la ragione, le più nascoste invece le sono opposte. Identifichiamo dunque giustamente il quinto genere di contemplazione nel cherubino destro. E non meno giustamente può intendersi il sesto nel cherubino sinistro. E forse tali spiega spi egazio zioni ni pos posson sono o bas bastar tare e per gli animi animi più dot dotti ti per int intend ender ere e quelle cose che dovremmo dire intorno all’arca di Mosè o alla grazia dell de lla a cont contem empl plaz azio ione ne.. Ma po poic iché hé ab abbi biam amo o temp tempo o e pa parl rlia iamo mo per per coloro che hanno tempo non ci deve rincrescere ripetere ancora le stesse cose con un supplemento utile e forse necessario per alcuni, e dedicandoci più liberamente alla stessa materia, aggiungere qualcosa con una trattazione più ampia.  Trattiamo  Trattiamo dunque della contemplazione secondo la consuetudine di chi contempla; non trattiamo di sfuggita un tale argomento e uno spetta spe ttacol colo o tan tanto to bel bello lo.. Abbia Abbiamo mo sintet sintetizz izzato ato questi questi argom argoment entii con brevità riassuntiva per le persone occupate; per chi ha tempo invece le spieghiamo più ampiamente con ripe ipetizioni, per ev eviitare contemporaneamente sia di trattenere inopportunamente i viandanti fr frett ettolo olosi, si, sia di incalz incalzar are, e, sen senza za che lo deside desiderin rino, o, gli esp esplor lorato atori ri assset as etat atii di novi novittà. Ora Ora dun dunque que torni orniam amo o ai sin ing gol olii gen ener erii di contemplazione e trattiamo anzitutto il primo.

LIBRO SECONDO Capitolo I Il primo genere di contemplazione consiste nella considerazione e ammirazione delle cose visibili Il primo genere di contemplazione pertanto consiste nella consid con sidera erazio zione ne e ammira ammirazio zione ne del delle le cose cose corpor corporali ali in tut tutti ti que quegli gli elementi che giungono all’animo attraverso i cinque sensi corporei. Questo invero è il più basso fra tutti i generi e deve essere proprio di coloro che sono all’inizio. Da questo infatti devono cominciare coloro che sono ancora inesperti, per poter à poco a poco ascendere alle cose più alte. A questo genere di contemplazione pertanto si riferisce ogni ammirazione del Creatore che nasce dalla considerazione delle cose cos e cor corpor porali ali e si des design igna a in quest questa a de descr scrizi izion one e del dell’a l’arc rca a con la

 

struttura dei legni. E con una distinzione abbastanza opportuna si desi de sign gnan ano o me medi dian ante te i le legn gnii queg quegli li elem elemen enti ti ch che e si rife riferi risc scon ono o all’immaginazione, come mediante l’oro si designano quegli elementi che paiono concernere la ragione. Questa arca poi non può essere costruita con qualunque tipo di legno, ma solo coi pregiati legni di acacia. È pertinente poi ai legni incorruttibil bili ogni ricer ercca perfettamente onesta. Legni incorruttibili sono ogni considerazione sulle cose, ogni trattazione che non porti alcuna corruzione della mente e custodisca l’integrità della sincerità e della verità. Pertanto in così co sì gr gran ande de molt moltit itud udin ine e dell delle e cose cose visi visibi bili li,, fra fra tant tantii ge gene neri ri di spetta spe ttacol coli, i, cia ciascu scuno no ved veda a che cosa cosa scegli sceglier ere, e, si guar guardi di dal por porre re dinanzi agli occhi della mente qualcosa per cui contamini la purezza del suo cuore. Deve dunque allontanare gli stimoli dei piaceri dalla sua su a co cons nsid ider eraz azio ione ne co colu luii ch che e de desi side dera ra go gode derre de dell ll’e ’ete tern rnit ità à de dell lla a purezza interiore. Ogni cosa che stimoli l’avidità, solletichi la gola, infiammi la lussuria, eviti di ricordarlo di frequente. Senza dubbio si volge convenientemente alla contemplazione del mondo e delle cose che sono nel mondo colui che attraverso la considerazione delle cose mondane giunge al disprezzo delle cose mondane. Questo frutto di una un a co cont ntem empl plaz azio ione ne di tal tal gen genere ere cer cercò e tro trovò que uell gr gran and de contem con templa plator tore e delle delle cose cose mondan mondane, e, che lasciò lasciò scritt scritto: o: Vanità anità del della la vanità (Eccl. 1,2). Non si dedica invano alla contemplazione della vanità colui che da ciò che considera in basso assurge alla lode del Creatore e lo trova in ogni sua opera mirabile, lodevole, amabile. Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! (Sal. 8,2): ecco quanto mirabile. Dal sorgere del sole fino al tramonto, sia lodato il nome del Signore (Sal. 112,3): ecco come è lodevole. Giusto è il Signore in tutte le sue vie, e santo in tutte le sue opere (Sal. 144, 17): ecco quanto è amabile. Legni dunque rigidi, legni robusti, legni durevoli sono tutte le considerazioni che rafforzano il vigore della mente, la rinvigoriscono alla costanza, la confermano nella perseveranza. Sono infine legni alieni da ogni corruzione, legni che ch e non non cont contra ragg ggon ono o ma macc cchi hia a di in inde degn gnit ità à né vizi vizio o di fals falsit ità. à. Co Conv nvie iene ne dunq nque ue aini le legn gniriere acac aclido acia legn le i leinco incor rse ru rutt ttib ibil ili i oree og ogni ni. asse as serz rzio ione ne du ve vera ra, , ogni og par pa erdi e vali va doia,,into inai torn rno ogni alle al co cose corp co rpor ee. Dun Du nque que qu que esta sta ar arca ca di sapie apien nza deve eve es esssere ere fatt fatta a co con n leg legni inco incorr rrut utti tibi bili, li, di sent senten enze ze in inco conf nfut utab abili ili,, affin affinch ché é in inte tend ndia iamo mo tu tutt tte e queste cose che appaiono nel mondo fatte da un sol Dio e create dal nulla, in tutto questo non dicendo nulla che si allontani dal vero.

Capitolo II Come sia copiosa la materia di questa contemplazione, e in che modo i filosofi si esercitano in essa Questa contemplazione ha dunque come materia, come già si è detto, tutte quelle cose che il senso corporeo può attingere. Ricca invero la

 

materia, e selva non piccola. Tutti si affannino, vi penetrino a uno a uno, nessuno sia impedito, ciascuno scelga ciò che più ammira. Infatti perr og pe ognu nuno no è sovr sovrab abbo bond ndan ante te il mate materi rial ale e pe perr co cost stru ruir irsi si l’ar l’arca ca.. Ciascuno tuttavia impari a scegliere legni incorruttibili, affinché non pensi nulla contro la vera tradizione. Intorno a questa stessa selva filosofi di varie nazioni studiarono, desiderando scegliere il materiale perr la loro pe loro cost costru ruzio zione ne e cost costru ruir ire e anch anch’e ’ess ssii pe perr sé l’ar l’arca ca della della sapi sa pien enza za.. Inco Incomi minc ncia iarrono ono du dunq nque ue a tagl taglia iarr legn legni, i, a sp spia iana narl rli, i, a connetter conne tterli, li, defin definendo, endo, dividendo, dividendo, argo argomenta mentando, ndo, a scop scoprir rire e molte cose, a formularle e tramandarle. Costruirono pertanto molte arche, fo form rmul ulan ando do molt molte e sent senten enze ze e cost costit itue uend ndo o innu innumer merev evol olii sc scuo uole le fi filo loso sofi fich che. e. En Entr tran ando do dunq dunque ue in quel quel bo bosc sco o ombr ombros oso o e fitt fitto o si dedicarono a innumerevoli innumerevoli questioni, e Dio concesse il mondo alla loro ricer ric erca ca (Eccl. (Eccl. 7), ma fallir fallirono ono nel nelle le lor loro o disser dissertaz tazion ionii (R (Rom. om. 1), e venn ve nner ero o me meno no ne nell ll’i ’inv nves esti tiga garre co con n quel quel tipo tipo di rice ricerrca (Sal (Sal.. 63 63), ), poiché l’uomo non può scoprire l’opera compiuta da Dio dall’inizio alla fine. Rivelò invece Dio stesso per mezzo del suo spirito a chi volle, quando volle, quanto fu necessario sapere intorno a queste cose. Che c’è da stupirsi infatti se hanno potuto compiere un’opera degna di ammirazione coloro che sono stati eruditi dallo Spirito di Dio, non volend vol endo o seguir seguire e il loro loro spirit spirito, o, né proce proceder dere e sul sulla la bas base e del delle le lor loro o meditazioni? Anche ai nostri tempi sono sorti alcuni pseudofilosofi, inventori di menzogne, che, volendo procurarsi fama, cercarono di trovare cose nuove. Né si preoccupavano tanto di asserire il vero, quanto piuttosto di trovare delle novità. Pertanto, presumendo dei loro sensi, credettero di poter costruirsi da sé l’arca della sapienza, e procedendo nelle loro scoperte, tramandarono pareri nuovi, ritenendo che. con loro fosse sorta e morta la sapien ienza. Ed ecco che imputridirono gli elementi dell’arca di tutti questi sapienti, per il fatto che non erano di legni di acacia, vale a dire non erano fatti di legni incorruttibili. Ed ecco che divennero stolti tutti i principi di T Taneos, aneos, per il fatto che Dio ha reso stolta la sapienza di questo mondo. Infatti è tanto vana quella un tempo famosa filosofia del mondo, che ogni gior giorno no molt moltis issi simi mi suoi suoi diasse asnon sert rtor orii di dive veng ngon ono o suoi su oi se deni denigr grat ator i, e detestandola professano credere in niente altro non inori, Gesù Cris Cr istto e nel ella la sua sua cr cro oci ciffissi issio one. ne. Ed ecco ecco che molt moltii ch che e prim prima a cost co stru ruiv ivan ano o ne nell ll’o ’off ffici icina na di Aris Aristo tote tele le,, fina finalm lmen ente te co con n più più sa sagg ggio io consiglio imparano a battere nell’officina del Salvatore, e coloro che prima fabbricavano vasi di oltraggio, ora imparano a fabbricare vasi di gloria, ogni giorno confessando a Dio, nei versi del salmo, che si pentono di aver compiuto un’opera degna di vergogna, e di essere stati a lungo fabbricatori di menzogne. Dove sono ora, di grazia, le scuole filosofiche degli accademici, degli stoici, dei peripatetici? Dove sono le loro arche? Ecco che ormai tutti costoro hanno dormito il loro sonno, e tutti questi uomini non hanno trovato alcuna ricchezza nelle loro mani (Sal. 75) e hanno lasciato ad altri le loro ricchezze, e le loro case sono per sempre i sepolcri (Sal. 48). Ed ecco sono imputriditi

 

tutti con le loro arche perendo insieme alle loro dottrine e tradizioni. Ma l’arca di Mosè rimane ora salda come non mai, mai più salda di ora, come colei che è confermata dall’autorità della verità cattolica, per il fatto che è fatta con legni di acacia, cioè con legni imputrescibili e inco incorrrutt ruttib ibil ili, i, e ogni ogni su sua a espo esposi sizi zion one e e do dott ttri rina na è fo forrma mata ta da sentenze veraci e da asserzioni non comuni Ecco abbiamo analizzato di qual materia esseredebba fatta, essere’ conseguentemente impariamo in che misura e indebba che modo fatta, affinché, secondo l’esempio di Mosè, seguiamo in tutte queste cose non il nostro senso, ma l’insegnamento del precettò divino, Ritorniamo pertanto ora a quel genere di contemplazione che sappiamo essere il più basso, e il primo, e pertanto quello caratteristico di coloro che iniziano, che abbiamo anche detto si rappresenta in questa descrizione dell’arca per mezzo della sola compagine dei legni. le gni.

Capitolo III Della triplice divisione della prima speculazione Questa  speculazione pertanto si considera in triplice modo. Il primo riguarda le cose, il secondo le opere, il terzo i costumi. Quello che concerne le cose riguarda la lunghezza dell’arca. Quello che concerne le opere si rapporta alla larghezza. Quello che concerne i costumi all’al all ’altez tezza. za. Sappia Sappiamo mo infatt infattii che la lun lunghe ghezza zza vie viene ne nat natur uralm alment ente e prima della larghezza. Similmente la larghezza occupa un posto di precedenza in rapporto all’altezza. Infatti si può pensare la lunghezza senza la larghezza e la larghezza senza l’altezza, benché nell’essenza delle cose non possano essere separate minimamente tra loro. Ma né può pu ò es esse serv rvii né si pu può ò pe pens nsar are e l’ l’al alte tezz zza a se senz nza a la larg larghe hezz zza, a, o la larghezza senza la lunghezza. Infatti si intende la semplice lunghezza quando la quantità, passando da un punto a un altro e attraverso soli punti, si protrae finalmente una linea nel solo pensiero. Parliamo semplice larghezza quando in distendiamo la quantità di linea in linea di e per sole linee con la mente e la dilatiamo in superficie. Infatti, come la linea lin ea è lun lunghe ghezza zza senza senza lar larghe ghezza zza,, così così la sup superf erfici icie e è lar larghe ghezza zza senza altezza. L’altezza poi si ha quando la quantità si addensa di superficie in superficie, e rende il corpo solido, tale che assume le tre dimensioni. Chi pertanto considera giustamente queste cose, capisce abbastanza chiaramente, che la lunghezza viene naturalmente prima della larghezza e la larghezza dell’altezza. Così invero quell’analisi che si attua intorno alle cose viene naturalmente prima di quella che si attua circa le opere e di quella circa i costumi. Chi infatti non sa che le cose cose stes stesse se,, anch anche e ne nell temp tempo, o, so sono no ante anteri rior orii na natu tura ralm lmen ente te all’azione che esse svolgono? Similmente gli stessi costumi sia buoni sia malvagi sogliono e debbono invero essere considerati in rapporto alle opere. Infatti senza dubbio le azioni degli uomini riguardano in

 

gran parte i buoni costumi se sono ordinate e moderate; se invece sono disordinate e smodate, riguardano parimenti i cattivi costumi. Da cui si desume facilmente che come è anteriore l’analisi delle cose a quel quella la de dell lle e oper opere, e, così così na natu tura ralm lmen ente te è an ante teri rior ore e l’an l’anal alis isii de dell lle e opere a quella dei costumi. Giustamente pertanto si è detto che la considerazione delle cose è rapportabile alla lunghezza della nostra arca, considerazione delle opere alla larghezza, la considerazione inveceladei costumi alla sua altezza.

Capitolo IV Come il primo grado di questa ricerca si consideri nella materia, forma e natura La  prima analisi poi fra quelle tre si suddivide in tre parti. Pertanto la prima ricerca di questa suddivisione riguarda la materia, la seconda la fo forrma, ma, la terz terza a la natu natura ra.. Ric icon onos osci ciam amo o faci facilm lmen ente te con con la vist vista a corporea la materia e la forma. Infatti distinguiamo senza errore la pietra dal legno, il triangolo dal quadrato. Per quel che concerne ciò che si riferisce alla natura in parte è manifesto al senso, in parte in inve vece ce è nasc nascos osto to pi più ù prof profon onda dame ment nte e ed è di pe pert rtin inen enza za de dell lla a ragione. Naturalmente si considera la natura intrinseca alla qualità dell de lle e co cose se,, come come la form forma a cons consis iste te in un una a qu qual alit ità à es estr trin inse seca ca.. La qualità qualit à più inter interna na delle cose poi si percepisc percepisce e in gran parte con uno dei sensi corporei, come i sapori col gusto, gli odori con l’olfatto. Per quel che concerne poi l’essenza che giace nascosta più prof pr ofon onda dame ment nte e im impr pres essa sa in inti tima mame ment nte e ne nell lle e co cose se,, l’uo l’uomo mo non non potrebbe mai coglierla con un senso del corpo, anche se non avesse peccato. Tuttavia la potrebbe vedere facilmente con l’acutezza del suo su o in inge gegn gno o se l’ l’oc occh chio io de dell lla a ragi ragion one, e, os oscu cura rato to da dall lla a nu nube be de dell peccat pec cato, o, non fosse fosse avvolt avvolto o nelle nelle ten tenebr ebre e del dell’e l’err rror ore. e. Ma tal talvol volta ta avvolti dalle tenebre della ignoranza, quando analizziamo qualcosa che la riguarda, Èlachiara intuiamo più che vederla per attraverso le conoscenze dell’esperienza. pertanto la ragione cui la lunghezza della nostra arca, secondo l’insegnamento divino non debba o meglio non possa avere se non due cubiti e mezzo. Qui infatti la scienza umana ha un cubito intero dove ha la certezza, dove è capace di affermare con qualche senso ciò che è necessario sapere. Il senso corporeo ha dunque un cubito nella visione della materia. Ha un altro cubito nella considerazione della forma, ha un mezzo cubito nella percezione della natura, che non penetra se non in parte. Essa infatti è in parte, come si è detto, esposta al senso, in parte alla ragione. Queste tre cose pertanto, cioè materia, forma e natura, poic ich hé si trovano contemporaneamente nella sostanza corporea e non possono essere divise tra loro, si estendono quasi in una linea, e mostrano di riferirsi alla lunghezza dell’arca.

 

Capitolo V Quello che si considera il secondo grado nell’attivit nell’attività à della natura e dell’operosità dell’operosità umana Pertanto la mente esercitata secondo questa triplice considerazione, che si riferisce all’analisi delle cose, deve conseguentemente passare all’analisi delle opere, affinché avendo imparato a estendere la sua ri rice cerrca sia sia al alle le oper opere e na natu tura rali li che che a qu quel elle le arti artifi fici cial ali, i, po poss ssa a la larghezza della nostra arca accogliere la misura di una grandezza predeterminata. Altra è infatti l’attività della natura e altra l’attività dell’operosità umana. Possiamo riconoscere facilmente l’attività della natu na tura ra a es esem empi pio o nell nelle e pi pian ante te,, negl neglii albe alberi ri e ne negl glii an anim imal ali; i; ne nell lle e piante nel modo in cui crescono e si sviluppano; parimenti negli alberi nel modo in cui mettono fronde, fiori, e producono frutti; negli animali nell modo ne modo in cui cui co conc ncep epis isco cono no e gene genera rano no,, ne nell fatt fatto o ch che e alcu alcuni ni nascono e altri muoiono. Infine ogni qualvolta consideriamo in che modo tutto ciò che è nato muore, e cresciuto invecchia, impegniamo la nostra mente nell’analisi dell’attività naturale. L’opera artificiale, cioè prodotta dalla attività umana, la si considera a esempio nei lavori di cesello, nelle pitture, nella scrittura, nell’agricoltura e in tutte le altre opere artificiali, nelle quali troviamo innumerevoli elementi, per cui dobbiamo degnamente ammirare e venerare la degnazione del dono divino. L’attività naturale pertanto e quella artificiale, poiché cooperano vicendevolmente tra loro, si congiungono quasi tra loro da una un a part parte e e da dall ll’a ’alt ltra ra e si unis unisco cono no vice vicend ndev evol olme ment nte e co con n mutu mutua a contemplazione. È infatti vero che dall’attività naturale prende l’avvio l’attività umana e su essa si fonda e per essa si rafforza, e l’attività natu na tura rale le tr trae ae vant vantag aggi gio o da quel quella la uman umana a pe perr es esse serre mi migl glio iorre. Nell’opera artificiale la scienza umana ha un cubito; poiché se non fo foss sse e ca capa pace ce ditrovare. co comp mprrende en rlo, o, non non naturale lo av avrreb ebbe be poté na natu tura ralm lmen ente te nemmeno potuta Maderl nell’opera non avere un inte interro cu cubi bito to,, poic poiché hé non non la comp comprrende ende se non non in pa part rte. e. Ca Capi pisc sce e facilmente che cosa nasce da ogni cosa: infatti non ricerca né i frutti nella vite, né i rami nelle messi, né il frumento sugli alberi. Tuttavia quando sarà mai in grado di spiegare l’essenza di queste o in che modo una qualunque cosa sia solita nascere da un’altra? Dunque l’acutezza del nostro ingegno si diffonde tutto all’intorno in questa duplice considerazione del naturale e dell’artificiale e qua e là in molti modi con mirabile vivacità di intelligenza la larghezza della nostra arca arca ri rice ceve ve,, una una misu misura ra che che le conv convie iene ne seco second ndo o la no norrma de dell precetto divino.

Capitolo VI

 

Come il terzo grado di questa speculazione consista tanto negli ordinamenti umani quanto in quelli divini Pertanto dopo la prima analisi che si riferisce alle cose e la seconda che si riferisce alle opere, segue la terza che si basa sui costumi e che abbiamo giàpertanto detto riferirsi all’altezza della nostra arca. La divino disciplina dei costumi ha tratto origine in parte dal comando e in parte da quello umano. Alle istituzioni divine si ricollegano gli atti di ossequio a Dio, e qualunque sacramento della Chiesa. Alle istituzioni umane si riferiscono le leggi umane, le consuetudini, le norme, i decreti, i diritti civili, e molte altre cose di tal genere. L’ordinamento umano per la vita inferiore, quello divino per la superiore. Quello per ottener otten ere e la salv salvezza ezza e la tranq tranquillit uillità à della vita tempo temporale, rale, questo per ra ragg ggiu iung nger ere e la salv salvez ezza za e la pi pien enez ezza za de dell lla a eter eterna na be beat atitu itudi dine ne.. Nell Ne ll’o ’ord rdin inam amen ento to um uman ano o la scie scienz nza a uman umana a pu può ò av aver ere e un cubi cubito to,, poiché non può capire ciò che trova; nei sacramenti divini la scienza uman um ana a ha due due cu cubi biti ti.. Al Altr tro o è in infa fatt ttii ciò ciò ch che e più più es este terrname nament nte e scorgiamo nella cosa o nell’opera, e altro è quella virtù spirituale che si trova nascosta internamente. Puoi credere pertanto all’essenza del sacr sa cram amen ento to che che si trov trova a na nasc scos osta ta inte interrna name ment nte, e, ma no non n puoi puoi comprenderla completamente, e perciò non puoi estendere la tua scienza in questo senso fino a un intero cubito. Quest’ultima analisi poi che si riferisce ai costumi riguarda l’altezza della nostra arca, come già abbiamo detto. In realtà infatti quando l’ordinamento umano asseco ass econda nda que quello llo divino divino,, l’a l’anim nimo o tra trae e gio giovam vament ento o da ent entram rambi bi e tende in alto. Infatti l’animo che sta attaccato agli elementi che si riferiscono alla prima e seconda analisi, senza dubbio giace ancora in basso. Ma quanto più perfettamente sta attaccato a quelle cose che riguardano la terza, tanto più senza dubbio ascende sempre a cose più alte. Ma si deve notare che l’attività naturale e l’ordinamento divino hanno un intero cubito nella cosa, ma non possono averne se non no n la me metà tà nell nella a nost nostra ra co cono nosc scen enza za.. E di co cont ntrro poi poi l’at l’atti tivi vità tà artificiale l’ordinamento umano hanno appena un nella cosa co sa,, ma ene po poss sson ono o av aver ere e un uno onein inte tero ro ne nell lla a no nost stra ra mezzo co cono nosc scen enza za.. Quando dunque l’animo si è pienamente esercitato in questa triplice analisi, ha ricevuto in ogni senso una grandezza conveniente alla misura della nostra arca. Mostra di essere immerso in questo genere di contemplazione il Profeta, quando ha detto: Ho meditato su tutte le tu tue e op oper ere e (Sal (Sal.. 142, 142,5) 5).. E al altr trov ove e di dice ce:: Poich oiché é mi ha haii alli alliet etat ato, o, o Si Sig gnor nore, con con le tue op oper ere e (Sal (Sal.. 91,5 1,5), e alt altrove nell’ ell’am amm mirar irarle le esclama: Come sono belle le tue opere, o Signore, tutte le hai fatte in sapienza sapie nza (Sal. 103,24), 103,24), e molte cose intorno alle stesse stesse opere opere nello stesso salmo menziona dilungandosi. Possiamo dunque giustamente suddividere tutto questo primo genere di contemplazione in sette gradi. Il primo infatti consiste in quell’ammirazione delle cose che nasce dalla considerazione dellache materia. secondo invece consiste in quell’ quell’ammir ammirazion azione e delle cose nasce Ildalla consider considerazion azione e della

 

forma. E il terzo in quella ammirazione delle cose che è suscitata dalla considerazione della natura. Il quarto grado poi di questa contemplazione sta nella considerazione e ammirazione delle opere circa l’attività della natura. Il quinto anche consis istte nella consid con sidera erazio zione ne e ammira ammirazio zione ne delle delle opere opere,, ma sec second ondo o l’atti l’attivit vità à dell’operosità umana. Il sesto grado consiste nella considerazione e amm ammira irazio zione ne delle istitu istituzio zioni ni eumane um ane..istit Il uzioni set settim timo inf infine ine rig riguar uarda la consideraz consi derazione ionedel eleammirazion ammir azione delle istituzion i odivin divine. e. Ques Questi ti da sette gradi di ascesa si presentano innanzi a coloro che vogliono salire il monte del Signore o entrare in quel tempio di Ezechiele. Coi sette gradi si entra attraverso le porte più esterne nell’atrio più esterno. E nei sette gradi, dice, vi è la sua salita. Ecco dunque su quali gradi all’ all’in iniz izio io debb ebba insi insisstere ere chi chi de desi sid der era a im impa parrar are e l’ar l’arte te della ella contemplazione. In che modo poi questo genere di contemplazione parta par ta dall’i dall’imma mmagin ginazio azione, ne, e pr proce oceda da second secondo o l’imma l’immagin ginazi azione one,, è argomento del libro precedente e qui non sarà necessario dilungarsi.

Capitolo VII Come il secondo genere di contemplazione consista nel considerare e ammirare la ragione delle cose visibili Ora poic Ora poiché hé abbi abbiam amo o gi già à espo espost sto o ne nell mi migl glio iorr mo modo do poss possib ibil ile, e, le argomentazioni che ci pareva di dover riprendere intorno al primo gener gen ere e di con contem templa plazio zione, ne, pas passia siamo mo al sec second ondo o che già abb abbiam iamo o detto si designa con la doratura dell’arca. Se dunque è chiaro che il primo pri mo gener genere e di con contem templa plazio zione ne si rif riferi erisce sce all’as all’aspet petto to delle delle cos cose e corpor cor poree, ee, di con conseg seguen uenza, za, come come credo credo,, si cap capisc isce e che il sec second ondo o genere di contemplazione consiste nel considerare la ragione delle stesse cose. Ci occupiamo dunque della doratura della nostra arca ogni qualvolta indaghiamo la ragione delle cose visibili e trovatala, indugiamo ad ammirarla, ogni qualvolta considerandola la capiamo e capendola poniamoordinate, mente a quanto siano fatte, tutte quanto convenientemente quanto mirabilmente sapientemente disposte le cose di questo edificio del mondo. Doriamo la nostra arca, quando consideriamo di ogni cosa la causa, il modo e l’affetto, l’utilità e la ragione. Oh, di quanto oro della scienza abbondava! E ne aveva a sufficienza per dorare tutta la sua arca colui che veracemente diceva: A me Dio diede la facoltà di parlare... Egli stesso infatti mi diede gli elementi della scienza vera, affinché conoscessi la disposizione del mondo, e le proprietà degli elementi, l’inizio e la fine, e il mezzo dei tempi,, i muta tempi mutamenti menti delle vicissitudini vicissitudini e le divisioni dei tempi tempi,, il cors corso o dell’anno e la disposizione delle stelle, la natura degli animali e le ire delle bestie, la forza dei venti e i pensieri degli uomini, e le differenze dei virgulti e le virtù delle radici (Sap. 7, 15-20). Infine ascolta che cosa co sa po poii espo espone ne, , tale affin affinch ché é tu capi ca pisc sca a più più nell’indorare ch chia iara rame ment nte eladisua qu quan anta ta sovrabbondanza di possesso abbondava arca:

 

E ho conosciuto, dice, tutte le cose che sono nascoste, e impreviste (ibid ibid). ). La doratura dunque della nostra arca consiste nel contemplare la ragione delle opere divine, dei giudizi, dei sacramenti, e nondimeno delle azioni e degli ordinamenti umani. Siamo dunque pronti, secondo l’insegnamento di Pietro, a rendere ragione di quella fede, a chiunque lo chieda, e di quella speranza che sono in noi (1 Pt. 3) e già abbiamo dorato le parti piùinalte ‘e ultime della nostra arca, poiché abbiamo imparato a porla onore ed evidenza, esponendo la ragione dei divini sacramenti, e dei giudizi.

Capitolo VIII Quanto sia ricca la materia di questa contemplazione Chi dun Chi unqu que e ha gi già à raggi aggiun unto to il secon econdo do mo mome men nto di qu ques esta ta cont co ntem empl plaz azio ione ne si trov trova a abba abbast stan anza za co copi pios osam amen ente te in un una a tale tale ri ricc cche hezz zza a di mate materi rial ale, e, in cui cui ap apri rirre le ve vele le de dell lla a su sua a rice ricerrca e muov mu over ere e il na navi vigl glio io dell della a sua sua di diss sser erta tazi zion one. e. Ch Chii infa infatt ttii no non n vede vede quanto largamente si apre il campo ditale analisi, quanto si estenda questo mare grande e vasto? Nell’ammirazione di questa immensità il Pr Profe ofeta ta esc esclam lama: a: I tuoi tuoi giu giudiz dizii sono sono abi abissi ssi insond insondabi abili li (Sal. (Sal. 35, 35,7). 7). Senza dubbio abissi insondabili, e grandi giudizi nascosti di Dio, molti perr nu pe nume merro, grandi andi per pr pro ofond fondit ità, à, as asso solu luta tam men ente te in infi fin niti, iti, completamente imperscrutabili. Di qui quei meravigliosi spettacoli di coloro che vedono cose mirabili nel profondo. Quante cose mirabili infatti credi che vedano in questa profondità coloro che solcano il mare con le navi, svolgendo la loro attività in molte acque? Certo sono molti coloro che vengono a questo mare grande e spazioso, ma alcuni per traversare, altri per pescare. Per traversare invero coloro che desiderano passare da una nazione all’altra e da un regno a un altro popolo. Ma coloro che tra loro sono pescatori di uomini vengono se senz nza a du dubb bbio pedunque r pe pesc scar are, e, agett ge ttan ando dooralea lo lor ro reti etidell’imbarcazione pe perr la ca catt ttur ura. a. Gettando la io reteper ora destra sinistra seco se cond ndo o il pr prec ecet etto to del del Si Sign gnor ore, e, ca catt ttur uran ano o spes spesso so una una gran grande de moltitudine di pesci, racchiudendo e tirando in secco i sensi sfrenati e i sentimenti ingannevoli. Ma non gettano sempre le stesse reti, così come co me non non le ge gett ttan ano o se semp mprre pe perr la st stes essa sa ca catt ttur ura. a. Or Ora a du dunq nque ue gettano le reti delle argomentazioni, ora delle esortazioni, talvolta per provare qualcosa di vero, talvolta per biasimare qualcosa di falso, talvolta per mettere in luce qualcosa di nascosto, talvolta per esaltare qualco qua lcosa sa di giusto giusto,, tal talvol volta ta per sconsi sconsiglia gliare re qua qualco lcosa sa di ing ingius iusto to.. Costoro invero invero che hanno imparato a compiere un’azione di tal genere in molte acque, costoro, dico, sono coloro che vedono cose mirabili nel profondo. Da costoro infatti è tratta la sapienza dal profondo. As Asco colt lta a so ciònoch che e di dice ceiche qu quel gran ande de cont co,ntem empla plato torreTutto de dell ahaisa sapi pien enza Quanto Qua nto sono magnif mag nifich e el le gr tue ope opere re, Sig Signor nore! e! utt o lla fat fatto to za: in:

 

sapienza (Sal. 103,24). Tutto, Tutto, dice, hai fatto in sapienza. Senza dubbio erano mirabili le cose che aveva visto colui che così esclamava. Aveva Aveva visto certo cose mirabili nel profondo e traeva la sapienza dai recessi nascosti, colui che osserva tutti i fatti in sapienza, e senza dubbio  dubbio   sa atting att inger ere e all alla a sapien sapienza za con for fortez tezza za da una est estre remit mità à all all’al ’altra tra,, e dispone ogni cosa armoniosamente. Ecco come appariva in tutte le operecome divineaiquest’oro della sapienza, brillavasapienza l’oro della sapienza, ecco suoi occhi la luce della divina aveva tutto svel sv elat ato o. Senz Senza a dubb dubbio io cost costui ui avev aveva a be ben n co cono nosc sciu iuto to e po pote teva va facilmente dorare la sua arca, anzi è chiaro che aveva già dorato sufficientemente da ogni parte la sua arca colui che era costretto a esclamare così per la grandezza della sua ammirazione: Tutto hai fatto in sapienza. Sforziamoci anche noi, per quanto possiamo, e impegniamoci nel dorare la nostra arca, affinché appaiano anche a noi tutte le divine opere fatte in sapienza, affinché per quanto è possibile capiamo, e quando non è possibile capire, almeno senza esitazione crediamo tutte le cose fatte in sapienza, crediamo che non solo ciò che fa, ma anche tutto ciò che permette che accada non avvi av vien ene e mai mai senz senza a una una caus causa a razi razion onal ale, e, né si attu attua a se senz nza a un una a giustizia divina, anche se nascosta.

Capitolo IX Come i filosofi si siano esercitati nella materia di questa contemplazione E ritengo non si debba passare sotto silenzio in che modo i sapienti di questo mondo si siano preoccupati di dorare le loro arche, affinché nasca in noi vergogna se non ci dedichiamo alla doratura della nostra arca. Si preoccupavano molto pertanto, gli stessi filosofi delle genti di capire la sapienza nascosta, indagando le cause occulte delle cose e, penetrando con l’acutezza del loro ingegno fino ai più riposti recessi della natura, estraevano l’oro dal profondo. dunque indagare le cause nascoste delle cose, a Incominciarono trovarle e chiarirle e a a dete de terrmina minarre co con n as asse serz rzio ioni ni no non n du dubb bbie ie og ogni ni elem elemen ento to ince incert rto. o.  Trovar  Trovarono ono pertanto, investigando, molte cose profonde e degne di ammirazione, come la causa del terremoto, la forza per cui i mari profondi si gonfiano, e trovando molte altre cose in questo modo e affidandole agli scritti, fecero in modo di tramandarle ai posteri. In tal modo poterono dunque dorare la loro arca in gran parte (ma solo esternamente). Infatti avevano scarso interesse e nessuna possibilità di dorarla all’interno: presto mancò loro il denaro, né avevano tanta abbondanza di oro da poterla dorare all’interno, ed era mancato loro il dena de narro anch anche e pe perr do dora rarl rla a in inte tera rame ment nte e al di fu fuor ori. i. In Infa fatt ttii no non n era era caratteristica della stessa facoltà trovare le ragioni fisiche delle cose e discernere le cause occulteledella giustizia neglidelle eventi chesecondo accadono. È molto diverso ricercare cause nascoste cose un

 

criterio fisico, e comprovarle, ed è di gran lunga diverso non ignorare la ragione dei giudizi divini. La ricerca della natura si riferisce alla doratu dor atura ra est ester erna na della della nostra nostra ar arca, ca, l’affe l’afferm rmazi azione one della della giu giusti stizia zia di divi vin na alla alla dor orat atur ura a intr intrin inse secca. Rigu iguar ard do a qu ques esta ta er errraro arono gravemente coloro che ritennero che ogni cosa accadesse per caso piuttosto che per volere divino, e, consacrando un’ara alla Fortuna, credettero che che la dea non si occupasse delle cose umane per il fatto che vedevano accadevano parimenti beni e mali al buono e al malvagio, ai giusto e all’ingiusto, a chi immolava vittime e a chi non se ne curava; e lo stesso i cui occhi interrogano i figli degli uomini fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, fa piovere parimenti sui giusti e gli ingiusti. Ma noi che abbiamo già abbondanza di oro, tanto perr qu pe quel el ch che e co conc ncer erne ne il fr frut utto to de dell lle e no nost strre fati fatich che e qu quan anto to de dell lle e spoglie degli Egiziani, provvediamo a dorare la nostra arca, non solo esternamente, ma anche internamente. Consideriamo come nella sua sapienza abbia fatto tutte queste cose, come la sua sapienza abbia fondato la terra, e la prudenza abbia rafforzato i cieli, come dalla sua sapienza siano sprofondati gli abissi, e le nubi si accre-scano per la evapor eva porazi azione one,, e abbiam abbiamo o dor dorato ato la nostra nostra arca, arca, ma dal dall’e l’este stern rno. o. Consideriamo poi che tutte le vie del Signore sono la misericordia e la verità, come sia giusto il Signore in tutte le sue vie, e santo in tutte le sue ope opere re,, e l’a l’abbi bbiamo amo dorata dorata all all’in ’inter terno no.. Com Come e pen pensi si che abbia abbia dorato nella sua arca tutta la bellezza dei legni, colui che avendo chiaramente inteso, affermava costantemente del Signore che la sua misericordia è su tutte le sue opere? (Sal. 144). Sforziamoci anche noi, secondo l’esempio del Profeta di coprire ogni cosa con l’oro, e nasconderla sotto il metallo prezioso, benché in confronto alla ragione e disposizione divina, per la quale ogni cosa è stata fatta, la bellezza di tutte le cose esterne appaia ai nostri occhi poca o nulla.

Capitolo X Le distinzioni della seconda contemplazione contemplazione Quando  prim prima a abbiamo abbiamo parlato parlato del primo genere di contemplaz contemplazione, ione, lo abbiamo distinto in sette gradi. Sarebbe lungo trattare con esattezza di ciascuno e in che modo l’arca debba mostrarsi dorata in tutti i sensi tanto in lunghezza quanto in larghezza o in altezza. Ma, per non dilungarci troppo, pensiamo sia megl me glio io fr frat atta tant nto o tral tralas asci ciar are e tali tali co cose se.. Se qu qual alcu cuno no po poii de desi side dera ra acci ac cing nger ersi si a ques questa ta op oper era a e vuol vuole e dora dorarre la su sua a arca arca,, nu null lla a gli gli impedisce, per quel che concerne le scienze umane e le dottrine profane, di prendere l’oro della scienza, purché sappia liberarsi da ogni scoria di falsità e vanità e ricercare intimamente la, piena e perfetta purezza, quale richiede la dignità di questa opera. Abbiamo detto poidelle che la doratura della arca consiste neltutta determinare la ragione cose visibili. Chinostra poi ignora che quasi la filosofia

 

umana si prefigge soprattutto di trovare con la sua ricerca perspicace le cause nascoste delle cose visibili e di metterle in luce? Vedi quanto grandi e quanto molteplici ricchezze di dottrina e tesori di scienza abbiano ammassato e riposto quei famosi ingegni dei filosofi e te li abbiano tramandati perché te ne servissi in tal modo. Tutte queste cose co se pe perrò, come come ab abbi biam amo o d’ d’et etto to,, no non n po poss sson ono o bast bastar are e alla alla so sola la doratura esterna dell’arca. Se poi dorarla è meglio che tu ricerchi ricer chi il materiale mater ialedesideri per conseguir conse guire e anche tal fineall’interno, nelle opere dei teologi cristiani piuttosto che in quelle dei filosofi pagani. Ma come i teso tesori ri di quel quelli li non non ba bast stan ano o a dora dorarre inte interrna name ment nte e l’ar l’arca ca,, co così sì nemmeno i tesori di codesti possono bastare a conseguire tale scopo. Infatti né quelli poterono comprendere completamente la nascosta natura delle cose, né codesti riuscirono a penetrare perfettamente la nascosta giustizia di Dio. Ma ecco che ti mostriamo ancora un tesoro che abbiamo scoperto sovrabbondante e per nulla manchevole per questo scopo. Certo quando verrà meno l’oro dell’intelligenza, non potrà mancare l’oro della fede. Se potessi anche leggere e ricordare tutti i detti dei filosofi e i trattati della religione cattolica, tuttavia tr trove overrest estii nei più nas nascos costi ti reces recessi si del della la nat natura ura e neg negli li arcan arcanii dei giud giudiz izii di divi vini ni in innu nume merrev evol olii cose cose,, la cui cui ca caus usa a no non n rius riusci cirresti esti a penetrare. Ma ciò che non puoi capire, puoi crederlo. Vedi come siano giuste e ordinate secondo la regola della fede quelle cose di cui tutt tu ttav avia ia non non puoi puoi cono conosc scer ere e la caus causa. a. Perta ertant nto o si dice dice:: Se no non n crederete, non capirete (Is. 7,9). Credi dunque col beato Giobbe, che nulla avviene in terra senza causa (Gb. 5), credi che i giudizi del Signore sono veri e giustificati in se stessi (Sal. 18), e avrai dotato la tua arca fuori e dentro.

Capitolo XI La caratteristica della seconda contemplazione Abbiam Abbi amo o poi poi de dett tto o ch che e qu ques esto to gene generre di co cont ntem empl plaz azio ione ne ha in comune col precedente il fatto che dipende dall’immaginazione e che si sofferma a considerare le cose visibili e immaginabili. Tuttavia si differenziano soprattutto per il fatto che in quello non si ricerca nulla col ragionamento, ma tutto è secondo la guida dell’immaginazione; ques qu esto to,, inve invece ce,, è in inte tess ssut uto o di ra ragi gion onam amen ento to e si fo forrma se seco cond ndo o ragione. Quello pertanto è nell’immaginazione secondo immaginazione, questo invece nell’immaginazione secondo ragione. Si deve poi notare che neppure in quella parte in cui poggia sulla fede piuttosto che sull’intelligenza, neppure in quella, dico, supera mai i limiti delle sue caratteristiche. Conoscendo infatti con la vivacità della sua intelligenza che innumerevoli opere di Dio sono ben distinte e ordinate,essere innumerevoli suoi giudizi e veri anche tra quelle cose che capisce giuste, considera chegiusti sono giuste quelle cose la

 

cui ragione non riesce a penetrare. Vedi dunque che questa analisi neppure là dove segue le vestigia della fede si distacca molto dal corso del suo ragionamento. Pertanto questa ricerca di cui trattiamo procede secondo ragione, tanto che anche la stessa immaginazione pare disporsi e ordinarsi in essa secondo ragione. Infatti nella prima il pensiero segue la sola immaginazione là dove la guida l’ammirazione, mentre in questa lagion stessa immaginazione informata, disposta en mode mo dera rata ta da dall lla a ragi ra one. e. Quan Qu ando do in infa fatt ttii èqu qual alcu cuno no rice ricer rca co con silenziosa investigazione la ragione delle cose visibili, non solo le dispone in ordine diverso rispetto a come le ha percepite col senso, ma anche spesso se le configura in forma diversa. Come pertanto nella prima ricerca l’immaginazione trae con sé il pensiero, così in codesta la ragione guida e dispone l’immaginazione. Dunque diciamo che entrambe consistono nella immaginazione, poiché entrambe vi fanno riferimento nell’intento o nella ricerca: rappresentiamo le cose con l’immaginazione ogni qual volta vogliamo. Dovunque infatti l’animo è tratto in questa duplice ricerca attraverso vari va rie e imma immagi gini ni,, semp semprre lo sgua sguarrdo di co colu luii ch che e rice ricerrca è vo volt lto o all’immaginazione per il proposito e l’inclinazione del suo intento.

Capitolo XII Il terzo genere di contemplazion contemplazione e Ma ora veniamo al terzo genere di contemplazione. Ci si rifà a questo genere di contemplazione ogni volta che attraverso le cose visibili del mondo, conosciamo le’ cose invisibili di Dio, affinché risulti evidente ciò che troviamo scritto, che le cose invisibili di Dio sono viste e comprese dalla creatura del mondo per mezzo delle cose che sono state create. Giustamente poi questa contemplazione che per ascendere alle cose invisibili si avvale del sussidio della similitudine corporea e, per così dire, si eleva dico, in alto quasi salendo la scala proprietà dei corpi, giustamente, una contemplazione di taldelle genere si configura nella corona dell’arca, che invero nella parte inferiore è unita al legno, ma nell ne lla a pa part rte e su supe peri rior ore e ol oltr trep epas assa sa la misu misura ra del del legn legno. o. La co corrona ona dunque cinge la parte superiore dell’arca e in una parte scende sotto il legno, nella parte superiore invece supera il limite del legno. Così indubbiamente questa ricerca si piega spontaneamente all’indagine delle proprietà delle cose corporee, per avere il modo di trarre da cod co dest este la so somi mig gli lian anza za a quel quelle le.. Dunq unque es esp pand anden endo dosi si più largamente, racchiude in sé le limitazioni delle cose inferiori, ma non conten con tenta ta di que quelle lle cose cose che tra trae e dal dalla la som somigl iglian ianza, za, com compr prova ovando ndo al alcu cune ne co cose se con con al altr tre e co con n l’ l’ar argo gome ment ntaz azio ione ne e co colle llega gand ndol ole e co coll ragionamento, mediante il procedimento consequenziale oltrepass oltrepassa a di molto corporea trascende con una profonda analisi le partiogni più somiglianza alte della nostra arca.e In questo modo pertanto la corona

 

dell’arca si appoggia mentre si eleva in alto, poiché l’animo di colui che contempla è aiutato non poco a comprendere le cose invisibili dalla somiglianza delle cose visibili. Allora poi la corona si espande in larghezza e si erge in altezza più dell’arca, quando il contemplatore perspicace comprende chiaramente che i beni invisibili sono superiori nel numero e nell’essenza rispetto a quelli visibili. Di gran lunga infatti è troppo sovrabbondante grandezza beni invisibili perché possa ess esser ere e rap rappr prese esent ntata ata in la così cos ì grand grande e dei mol moltit titudi udine ne di sim simili ilitud tudini ini di ogge og gett ttii corp corpor orei. ei. Tutta uttavi via a tutt tutte e le co cose se co corp rpor oree ee hann hanno o qu qual alch che e somi so migl glian ianza za con con i beni beni in invi visi sibi bili li,, ma alcu alcune ne hann hanno o per per co così sì dir dire un’infima somiglianza, molto lontana e quasi estranea. Altre invece ne hanno una più vicina e manifesta, e quanto più vicina, tanto più evidente; e sopra queste cose, altre ancora ne hanno una vicinissima e strettamente congiunta, per così dire, e impressa molto addentro, tanto da sembrare non solo vicine alle cose invisibili, ma strettamente connesse e partecipi più che accostate. Da quelle stesse cose dunque che ch e si avv vvic icin inan ano o di più a quel quelle le e che che por orttano ano più più evide viden nte l’im l’imma magi gine ne dell delle e cose cose in invi visi sibi bili li,, do dobb bbia iamo mo trar trarrre se senz nz’a ’alt ltrro la somiglianza, affinché la nostra intelligenza possa ascendere a quelle cosse che co che non co con nosci osciam amo o pe perr espe esperrienz ienza a tra ram mite ite qu quel elle le ch che e conosciamo, vale a dire la corona dell’arca non scende fino alle sue parti più basse e tuttavia le si congiunge in quelle più alte.

Capitolo XIII Come in questo genere di contemplazione l’uomo incominci a diventare spirituale In questo primo stato l’uomo è distolto dall’essere animale e impara a diveni div enire re spiri spiritua tuale, le, nell’a nell’atti ttimo mo in cui inc incomi ominci ncia a a com compar parar are e gli elementi spirituali e a rimuovere il suo modo di sentire, preoccupandosi di conoscere sempre più le cose che -sono in alto e non soprae tralasciare la terra. Certo costapiù molta abbandonare cose consuete i pensieri bassifatica tra quelli abituali, perlevolare dalle cose terrene a quelle celesti con una profonda meditazione. Qui per la prima volta è la sapienza di Dio, che insegna all’uomo la scie sc ienz nza; a; qu quel ella la luce luce ch che e il illu lumi mina na ogni ogni uo uomo mo che che vien viene e in qu ques esto to mondo, incomincia a mostrarsi  e a infondere nella mente i suoi raggi e, talo talora ra so sott ttra raen endo dosi si,, a nasc nascon onde ders rsii di nu nuov ovo. o. Freque equent ntem emen ente te pertanto illumina l’animo e lo eleva in alto, e di nuovo lo abbassa e lo abbandona a sé. Ma di nuovo inaspettatamente ritorna, e quando non lo si sperava si presenta, e si mostra splendente. Incomincia qui infine a formarsi quasi una anticipazione della mirabile visione agli occhi di colui che contempla, e come un’aquila spinge a volare i suoi piccoli con co n il suo suo co cont ntin inuo uo volo volo,, e si vol olg ge in va varrie par arti ti e in infi fiam amm ma innanzitutto l’animo di colui che contempla al desiderio elevarsi in alto, e talvolta lo plasma perfettamente per un completo di volo. Qui per

 

la prima volta l’animo recupera la pristina dignità, e rivendica a sé l’onore innato della sua libertà. Che cosa infatti è tanto incompatibile con uno spirito razionale, che cosa tanto indegnamente soggetto a schi sc hiav avit itù ù qu quan anto to il fatt fatto o ch che e qu quel ella la cr crea eatu tura ra ch che e è se senz nza a du dubb bbio io spirituale ignori le cose spirituali e il fatto che essa, che è stata creata per i beni sommi e invisibili, non riesca nemmeno ad assurgere alle contemplazioni invisibili e chiaramente tanto meno al’assidua soffermarvisi? Di qui, come credo, risulta abbastanza abitudine di questa cont co ntem empl plaz azio ione ne,, che che occu occupa pa il terz terzo o po post sto, o, che che gius giusta tame ment nte e è designata tramite la corona e convenientemente è chiamata corona, poiché con essa si incorona l’animo vittorioso. E non appena riceve la corron co ona a dell della a sc scie ienz nza a spir spiritu itual ale, e, cias ciascu cuno no può può sali salirre, tram tramit ite e la contemplazione della mente, dalle miserie di questo esilio alla libertà delle gioie invisibili. Alla fine quello spirito razionale che era stato a lung lungo o nelle nelle tene tenebr bre e e nell’ nell’om ombr bra a dell della a mo mort rte, e, inca incate tena nato to ne nell lla a miseria, scosse finalmente le tenebre dell’ignoranza, spezza le catene dell de lla a co conc ncup upis isce cenz nza, a, pe perr me mezz zzo o de dell lla a su sua a ec ecce cell llen enza za,, e gu guid ida a i prigionieri alla fortezza spezzando le porte di bronzo, infrangendo le sbar sb arrre di fe ferrro di una una in inve vete tera rata ta co cons nsue uetu tudi dine ne e su supe perrando ando le ristrettezze della abitudinarietà. Attraverso la battaglia di una infinita moltitudine di infimi desideri e di pensieri carnali dovunque accorrenti e dappertutto frapponentisi, erompe violentemente, e finalmente a fatica ripara nella dimora del suo diritto, mentre si raccoglie tutto sulla su lla so sogl glia ia de dell lla a abit abitaz azio ione ne cele celest ste, e, pe perr po poter tere e qu quin indi di co coii su suoi oi compagni, trionfatori simili a lui, salmodiare con fiducia: La nostra dimora è nei cieli (Filip. 3,20).

Capitolo XIV La distinzione delle cose che riguardano questa speculazione Bisogna non è eprescritta misura alla corron co ona, a, poi ma osservare nel nel fatt fatto o che stes stesso so ch che la co corrona onalcuna a ve veng nga a indi indica cata ta,, nostra vien viene e deter det ermin minata ata anc anche, he, pratic praticame amente nte,, la sua mis misur ura. a. La cor corona ona deve deve infa infatt ttii ci cing nger ere e l’ l’ar arca ca tutt tutt’i ’int ntor orno no;; deve deve pe perr qu ques esto to aver avere e la su sua a lunghezza e la sua larghezza. Per questo ha la dimensione dell’arca ci cioè oè du due e cubi cubitti e mezzo ezzo in lung lunghe hezzza e un cub cubito ito e mez ezzo zo in larghe lar ghezza zza.. Non possia possiamo mo però però val valuta utarre la su sua a alt altezz ezza a all allo o ste stesso sso modo mo do,, pe perrché ché no non n dobb dobbia iamo mo co cons nsid ider erar arla la alta alta co come me l’ar l’arca ca.. No Non n sarebbe infatti una corona se ricoprisse tutta l’arca e se non ornasse solo la sua parte più alta. Come poi abbiamo detto sopra, è proprio di questa que sta spe specul culazi azione one tra trarr rre e il contem contempla plante nte dal dalle le cos cose e visibi visibili li all alle e in invi vissib ibil ilii e sal alir ire e dall dalla a cons consid ider eraz azio ione ne delle elle co cosse vis isib ibil ilii alla alla conoscenza del ellle cose più alte attraverso una appropriata simi si mili litu tudi dine ne.. e Se dustessa nque ue una un a stes stessa sa memo me mori ria a èlarelat el ativ iva a alle alle edu due e dimensioni unadunq corona copri secondo longitudine la

 

latitudine l’arca, che cosa dobbiamo intendere se non che dobbiamo ritrovare la ragione della similitudine per investigare le cose più alte in tutto ciò che abbiamo detto riguardare la lunghezza e la larghezza della nostra arca? Come s’è detto riguarda la lunghezza dell’arca, la considerazione della materia, della forma e della natura. Riguarda la sua su a lar largh ghez ezza za l’ l’at atti tivi vità tà de dell lla a natu natura ra e de dell lla a vo volo lont ntà. à. Da tu tutt tto o ci ciò ò possiamo ebili dobbiamo trarre similitudini le cose cos e inv invisi isibili e, qua quando ndo avremo avrragionevoli emo acq acquis uistat tato o in ciòper grand grinvestigare ande e fac facilit ilità, à, corron co oner erem emo o la nost nostra ra arca arca.. S’ S’è è dett detto o ch che e rigu riguar arda dano no l’al l’alte tezz zza a dell’arca, nella considerazione dei costumi, i precetti umani e divini, così che l’arca della nostra intelligenza, risulta avere un cubito dileggi umane e mezzo di leggi divine. Ma perché la corona tocca solo la parte superiore dell’arca, se non perché i precetti umani hanno una lontana e vaga somiglianza con la dimensione invisibile e spirituale? Chi ignora che ciò che vale nel tempo non ha valore categoriale nell’eternità? Tutte le cose visibili sono state create da Dio e disposte al fine che servissero in questa vita e indicassero i beni futuri; donde accade che l’opera del lavoro in quanto imita la natura, porta in sé una parvenza della realtà futura. Del resto le istituzioni umane sono lontane dalla somiglianza delle cose invisibili, di quanto coloro che le ritrovarono non pensarono nulla di divino. Tutte le volte che tuttavia troviamo in ciò qualche similitudine che ci sollecita alle cose invisibili, facciamo attenzione che non cada per caso in qualche considerazione di quelle cose che abbiamo sopra detto essere relative alla lunghezza e larghezza dell’arca. Bisogna poi notare quanto alle divine istituzioni che alcune dobbiamo intenderle semplicemente e non ricercare in esse niente di mistico, altre debbono essere accolte secondo il senso dell de lla a lett letter era a e, d’ d’al altr tra a part parte, e, debb debbon ono o indi indica carre an anch che e un sens senso o mistico. Poiché dunque nei comandamenti più sublimi e più profondi si richiede una mistica intelligenza, è prescritto in altezza quel mezzo cubito della nostra arca, che viene decorata nella sua parte più alta da una corona aurea. Ma poiché si può in questo trarre una certa similitudine dalle proprietà delle cinque considerazioni sopraddette, per questo la corona si distende in lunghezza e larghezza, affinché possa completamente circondare l’arca.

Capitolo XV Questo genere di contemplazione si divide in cinque gradi Questo genere di contemplazione si divide in cinque gradi secondo le caratteristiche di quelle cinque considerazioni sopra ricordate e si può cercare in queste la ragione di similitudini nella ricerca delle cose invisi inv isibili bili.. Qua Quando ndo inf infatt attii la sim similit ilitudi udine ne vie viene ne acc accolt olta a da qua qualco lcosa sa verrso qu ve qual alco coss’a ’alt ltrro, vien viene e forma ormata ta in va varri modi, di, sec econ ondo do le carat caratteris tiche quelle cons iderazioni Innan Innanzitut zitutto to la simili similitudin tudine e vieneteristiche presa per di quello checonsidera la cosa è zioni. in se. stessa. Quindi la similitudine

 

in un secondo e terzo grado è relativa a ciò che è implicito nelle cose. Il secondo grado poi è relativo a ciò che è implicito nella cosa, ma in modo estrinseco; il terzo è relativo a ciò che è implicito nelle cose, ma in modo intrinseco. Il quarto grado è relativo a ciò che sussiste per mezzo delle cose ma secondo, necessità; il quinto per un disegno della volontà. Il primo modo di questo ragionare in tale speculazione viene dalla stesse; proprietà della materia. Il secondo e il terzo dalla qualitàtratto delle cose il secondo però dalla qualità estrinseca, cioè dalla forma, il terzo dalla qualità intrinseca, cioè dalla natura. Il quarto modo poi viene tratto da ciò che c’è nella cosa stessa e viene da essa, secondo una naturale azione; il quinto infine da ciò che si compie con una azione volontaria. Si trae una similitudine dalla proprietà della materia in questo passo della Scrittura: Le sue gambe sono come colonne di marmo, fondate su base di oro (Cant. 5,5). La qualità estrinseca consiste infatti nel colore e nella figura; viene tratta una similitudine dal colore in questo passo: Lo sp spos oso o mio mio è ca cand ndid ido o e roseo (Cant. 5,10). Viene tratta una similitudine dalla figura, laddove è loda lodata ta la qual qualit ità à dell della a sacr sacra a Sc Scri ritt ttur ura a co con n mist mistic ica a de desc scri rizi zion one: e: L’aspetto delle ruote e la loro conformazione era come pietra di Tarsis, e una stessa la figura di tutte e quattro, e il loro aspetto era quello di una ruota dentro un’altra ruota (Ezech. 1,16). Osserva che la qualità estrinseca riguarda solo la vista e che la qualità intrin int rinsec seca a riguar riguarda da tut tutti ti gli altri altri sensi. sensi. È relat relativa iva all all’ud ’udito ito que questa sta simi simili littud udin ine: e: Ecco cco la voc voce ch che e ud udii ii era era co com me ca cant nto o di ci cita tarred edii accompagnati dai loro strumenti (Apoc. 14,2). All’odorato è relativa la similitudine con la quale la Sapienza parla di sé: Come cinnamomo e come balsamo aromatico ho esalato profumo e quasi scelta mirra ho diffuso soave odore (Eccli. 24,15). Dalla delizia del gusto è tratta la similitudine della sapienza che dice di sé: Il mio spirito è più dolce del miele e la mia eredità è meglio del miele e del favo (Eccli. 24,27). tratta dal tatto questa similitudine: Come unguento sul mio capo, che scende sulla barba, la barba di Aronne (Sal. 132,2). Queste cose sono dette di una intrinseca qualità per quella parte che i sensi del corpo possono attingere. L’attività naturale è volta in similitudini, quando la voce del Signore promette al Profeta: Come scendono la pioggia e la neve dal cielo e quivi non ritornano, ma riempiono la terra e la fanno germinare e danno il seme a chi semina, il pane a chi mangia, così la mia parola uscirà dalla mia bocca (Is. 55,10). La similitudine è tratta da una attività volontaria quando l’Apostolo dice: Siamo stati edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, mentre Gesù Cristo è la stessa suprema pietra angolare (Ef. 2,21). Queste cose si son dette della ragione delle similitudini nella fabbricazione della nostra corona, (come si è visto sopra nell’indorare l’arca), e quasi ci siamo sforzati di spa parrgere ere i se semi mi del ella la dott dottrrina, ina, per perché ché tu pos osssa racco accog glier liere e abbo ab bon ndant dante e mess messe e di scie scienz nza. a. In Infa fatt ttii pe perr po potter tratta attarre tale ale ar argom goment ento o esauri esaurient enteme emente nte,, occ occor orre rere rebbe bbe una opera opera spe specif cifica ica.. L’argomento infatti richiede una attenzione tanto maggiore quanto

 

più in questo ragionamento è implicita la ragione della speculazione. È ovvio d’altra parte che in questa speculazione e in quella che segue è contenuta la più grande consolazione degli uomini spirituali nel nostro tempo. Pochi infatti sono coloro che possono assurgere ai due ulti ultimi mi gene generi ri di co cont ntem empl plaz azio ione ne.. Chi Chi dunq dunque ue vuol vuole e inda indaga garre più più pienamente, si ricordi che come la corona dell’arca la sua corona deve avere quattro lati.

Capitolo XVI Le cose che riguardano questa speculazione possono possono essere distinte in un altro modo Ma è diverso notare in questa corona il fatto che dobbiamo intendere in lei la pienezza dei beni invisibili. La corona infatti circondava da ogni parte il propiziatorio, e lo includeva tutto al suo interno. Infatti quanto qua nto alla alla compos composizi izione one del dell’a l’arc rca, a, il propi propizia ziator torio io rappr rapprese esent nta a il coperchio dell’arca stessa, e cioè una tavola aurea fatta d’un sol blocco di oro purissimo che va dalla parte inferiore alla superiore dell’arca e come s’è detto era cinto da ogni parte da una corona aurea. Per queste due ultime cose, cioè la corona e il propiziatorio, inte intend ndia iamo mo du due e gene generi ri di cont contem empla plazi zion one, e, uno uno relat elativ ivo o ai be beni ni invisibili, l’altro alle sostanze invisibili negli spiriti angelici e umani. Cosa significa dunque il fatto che la corona cinge da ogni lato il propiziatorio se non che la beatitudine dei giusti comprende in sé ogni loro desiderio? Fino a quando viviamo tra i poveri elementi di questo mondo estendiamo i nostri desideri al di là della nostra gioia, poiché sono so no mo molt lto o pi più ù le cose cose ch che e desi deside deri riam amo o di qu quel elle le ch che e poss possia iamo mo raggiungere in questa vita. Ma la moltitudine degli spiriti superni non este es tend nde e i suoi suoi de desi side deri ri al di là là’’ dell della a su sua a gioi gioia, a, po poic iché hé non non pu può ò comprendere comprender e l’immensità e l’infinità della sua felicità e la corona della sua beatitudine La tutta quanta la cinge non racchiudendola nel seno della sua grandezza. gioia loro consiste solo nella contemplazione del Cr Creat eator ore, e, ma anche anche nel nella la contem contempla plazio zione ne del delle le su sue e cr creat eatur ure. e. Infatti trovano mirabile Dio in ogni sua opera; per questo venerano ciò che ammirano, ammirano nella venerazione le opere grandi del Dio che amano. Trovano dunque non solo nelle creature incorporee, ma anch an che e nell nelle e crea creatu turre co corp rpor oree ee mo moti tivi vi di me mera ravi vigl glia ia e di gius giusta ta venerazione del nostro Creatore. Altre sono dunque le cose che essi vedono sopra di sé, altre quelle che vedono in sé, altre quelle che vedono sotto di sé. Ma tutte queste cose insieme contemplano e ammira amm irano no nel nella la letizia letizia.. Si ralleg rallegran rano o del della la div divina ina con contem templa plazio zione. ne. Gioiscono insieme del reciproco incontrarsi e vedersi e si dilettano nel vedere le cose corporali. La parte più bassa della corona che scende sottoessi il propiziatorio si unisce inferiori; al legno, la indica gioiosa visione che hanno nellee creature partequella media della corona

 

che si congiunge al propiziatorio rappresenta l’ardentissimo desiderio d’amore che essi hanno dalla gioia della reciproca visione. La parte più alta della corona, che si eleva oltre il propiziatorio, indica quella gioi gioia a inef ineffa fabi bile le che che essi essi prov provan ano o ne nell lla a co cont ntem empl plaz azio ione ne de dell loro loro Crea Cr eato torre. Impa Impari riam amo o ad am ammi mira rarre nella nella co cont ntem empl plaz azio ione ne co come me i cittadini di quella grande beatitudine vedano senza limiti tutto ciò che è sotto di loro e comprendano l’ordine e la ragione di tutto ciò che vedono dall’alto; come godano infinitamente del ritrovarsi insieme in una inscindibil inscindibile e carità; carità; come ardano ardano insaziabi insaziabilment lmente e nel desiderio desiderio della visione della divina luce, e avremo con ciò coronato la nostra arca. Pensiamo in che modo escono, come entrano e come trovano i pascoli, e avremo portato a termine la corona della nostra arca in modo opportuno. Certo i pascoli spirituali sono ritrovati non solo nelle cose interiori, ma anche in quelle esteriori, nelle cose corporali. Senza dubb du bbio io i be beni ni co corp rpor oral ali, i, in quan quanto to so sono no simi simili li ai be beni ni in invi visi sibi bili li e incorporei, possono offrire pascoli spirituali agli spiriti. Se infatti i beni visibi vis ibili li non avesse avessero ro alcuna alcuna som somigl iglian ianza za con quelli quelli inv invisi isibil bili, i, non potrebbero per nulla portarci alla visione dei beni invisibili; sta scritto anzi che le cose invisibili di Dio sono viste e intese per mezzo delle cose che sono state fatte. Che poi se queste non fossero per certo aspetto molto diverse, non sarebbero mutevoli e insufficienti; è molto più più gr gran ande de cert certam amen ente te la di diss ssom omig igli lian anza za dell della a so somi migl glia ianz nza a ed è infinitamente lontana la felicità del nostro mondo rispetto alla futura pienezza. Per questo la parte superiore dell’arca tocca appena la corona, mentre invece sono unite le parti inferiori, affinché la parte più alta delle une e la parte più bassa delle altre parlino non solo parzialmente, ma totalmente per mezzo delle loro similitudini.

Capitolo XVII In questa speculazione ci serviamo della similitudine corporea  Tra  T il secondo il terzo di contemplazione, c’è la dimensione diracui abbiamoegià detto genere sopra, che riguarda l’immaginazione nel suo aspe as pett tto o razio azion nal ale; e; ci ciò ò si man manifes ifestta nella ella rag agio ione ne,, ma seg egu ue l’imma l’immagin ginazi azione one.. In que questa sta specul speculazi azione one l’anim l’anima a ten tende de all alle e cos cose e invisibili, per mezzo delle cose che scruta in molti modi e si sforza di raggiu rag giunge ngere re.. Tale specu speculaz lazion ione e è all all’in ’inter terno no dell della a rag ragion ione, e, per perché ché insiste nella ricerca di ciò che il senso corporeo non può comprendere. comprendere. Sicc Siccom ome e pe però rò la ra ragio gione ne no non n gi giun unge ge alla alla co cono nosc scen enza za de dell lle e co cose se invisibili senza l’aiuto delle similitudini corporali, per quest’aspetto la ragione segue l’immaginazione e si lascia portare da essa nel suo corso, quasi come da una guida nel viaggio. Mentre infatti l’immaginazione rappresenta alla ragione la forma delle cose visibili e la prepara alla ricerca delle cose invisibili sulla base delle similitudini, in certo la sur porta làbe dove essa nonco sapeva andare sola. La ragi ra gion one e modo no non n as assu rger gerebbe eb ma mai i al alla la cont ntem empl plaz azio ione ne da de dell lle e  cose

 

invisibili, se l’immaginazione non le offrisse forma delle cose visibili e non traesse una similitudine verso quelle cose, formando il senso della sua ricerca. Per questo il nostro uomo interiore chiama l’uomo esteriore sua guida, quando dice: Ma tu, uomo amico, conosciuto, sei la mia guida (Sal. 55,14). È certo che, per il senso corporeo, l’animo non può giu giunge ngere re all alla a conosc conoscenz enza a dell’uo dell’uomo mo esteri esterior ore; e; a rag ragion ione e dunque l’uomo suanon e senza il su suo o mi mini nist ster ero, o, interiore o an anzi zi chiama senz senza a ill’uomo suo suo esteriore ma magi gist ster ero, o, noguida n giun giunge ge alla alla cono co nosc scen enza za dell delle e cose cose vi visi sibi bili li.. Ma ne nemm mmen eno o pu può ò giun giunge gerre alla alla conoscenza delle cose invisibili, senza conoscere quelle visibili. Tutte le vo volt lte e du dunq nque ue ch che e l’ l’uo uomo mo in inte teri rior ore e vien viene e co cost strretto etto da dall’ ll’uo uomo mo este es terrio iorre pe perr mezzo ezzo de dell senso enso corp orporeo oreo,, ad ac acco cogl glie ierre un una a esperi esp erienz enza, a, seg segue ue la su sua a gui guida. da. Senza Senza dub dubbio bio il sen senso so del della la car carne, ne, precede il senso del cuore, se l’anima non cogliesse, per mezzo del senso corporeo, qualche esperienza, non troverebbe nulla di cui poter pensare. Ma non è meraviglia se il senso del corpo conduce il senso del cuore là dove può andare. Ma questo poi è particolarmente particolarmente ammirevole, che la co cond nduc uce e là dove dove eg egli li non non pu può ò sali salirre. Il se sens nso o corp corpor oreo eo non non comprende ciò che è incorporeo, ma a ciò la ragione non sale senza l’aiuto del senso corporeo, come abbiamo già detto sopra. Certo, se l’uomo non avesse peccato, il senso esteriore aiuterebbe il senso interiore nella conoscenza. Adamo accolse infatti Eva in suo aiuto. Ma altro è averlo compagno nel viaggio, altro è volerlo come guida nel proprio cammino. Infatti, poiché Eva contro il consiglio e il comando divino trasse dietro di sé il suo uomo, piegandolo alla sua volontà, Adamo fu indebolito dalla pena della sua prevaricazione e da allora deve seguirla e fino a oggi ha bisogno del suo quotidiano magistero. D’altra D’altr a parte non solo  non viene confuso dalla sua guida, ma anzi se ne gloria, quando, seguendola, si crea la via delle similitudini corporee verrso la con ve contemp templa lazi zio one del elle le co cose se in invi vissibil ibili: i: L’u L’uomo omo ami mico co e conosc con osciut iuto o è la mia guida (Sal. (Sal. 55,14) 55,14).. È abbastanza chiaro, credo, come all’uomo interiore la sua guida sia amica e conosciuta. Pensa ora come la vita del corpo muova incontro al moto del cuore e troverai perché siano amici. L’animo muove a sua volontà il piede o la mano; al suo cenno si girano gli occhi; a suo arbitrio si muove la lingua, si muovono le labbra e tutte le altre membra del corpo. E cosa c’è di più dissimile in natura, se non proprio lo spirito e il corpo? E d’altra parte c’è tale perfetta concordia che non c’è quasi differenza tra la volontà, che qualcosa accada e la realizzazione cioè tra il muoversi e il volersi muovere. Un solo membro del corpo c’è che non ubbidi ubb idisce sce al comand comando o del dell’u l’uomo omo int interi erior ore, e, nel nella la pa parte rte nel nella la qua quale le regna il piacere carnale. Ma quando con l’aiuto divino avrà potuto reprimere, per mezzo di una moderata penitenza, la sua ribellione, immedi imm ediata atamen mente te osa dir dirlo lo una unanim nime, e, e chi chiama amarlo rlo uom uomo o del della la sua pace. Dice la Scrittura: uomo della mia pace. Ecco perché è unanime. Ma in che modo egli è conosciuto? È noto che

 

qualunque cosa avvenga in qualsiasi parte del corpo, dovunque ci sia un dolore o un piacere, subito l’anima ne è consapevole e non può rimanerle nascosto nulla di ciò che prova il senso corporeo. E come il moto del cuore si manifesta per il moto del corpo, così ogni senso del corpo entra rapidamente nell’anima. Come in ogni azione il moto del corpo segue il comando del cuore, così ogni sensazione corporale entra nell’anima; e prova comedella nessuna o nessun resti nascosto all’anima la rapidità sua offesa tristezza e dellapiacere sua letizia. Infatti come accade in uno stesso momento di volersi muovere e di muoversi, così in uno stesso momento soffrono il corpo e il cuore e in uno stes stesso so momen momento to ci si rallegra rallegra interior interiormente mente ed ester esterior iormente mente.. Sceg Sc egli li se me mera ravi vigli gliar arti ti di pi più ù della della cele celebr bre e ob obbe bedi dien enza za de dell co corp rpo o all’anima o della così rapida conoscenza dell’anima nei confronti del corpo. Con mirabile obbedienza il moto del corpo quasi previene il desi de side deri rio o de dell ll’a ’ani nima ma.. Con Con perf perfet etta ta co cono nosc scen enza za l’an l’anim imo o qu quas asii preavverte tutto ciò che il corpo sente. Il nostro uomo interiore ha una perfetta conoscenza del suo uomo esteriore. Ma in ciò motivo di meraviglia, non però motivo di gloria. Non è una grande gloria che l’an l’anim imo o co cono nosc sca a quel quelle le cose cose ch che e pi piac acci cion ono o o disp dispia iacc ccio iono no al su suo o corpo, ma è grande senza dubbio che l’anima cominci a riconoscere sull su lla a ba base se di mo molt lta a espe esperi rien enza za in che che mo modo do po poss ssa a mo mode dera rarre il desiderio della carne nelle necessità e a contrastarlo nel superfluo affinché non susciti a se stessa un nemico, nella sua trascuratezza, e non nutra un ribelle. O se troppo il corpo lo affligge, essa tolga di mezzo completamente il suo compagno e si liberi del suo aiutante. Certo alla perfezione di questa conoscenza l’animo a stento con molti argomenti dopo molte sperimentazioni può giungere; ma una volta che l’abbia acquistata ne trae non piccolo vantaggio. Senza di essa Adamo non avrebbe potuto avvalersi rettamente del suo aiuto; per questa conoscenza l’uomo esteriore viene condotto alla noia delle delizie dell’Egitto, talvolta, a dimenticarsene e si abitua a rallegrarsi degli alimenti spirituali. Ciò può sembrare ammirevole o piuttosto incredibile. Ma se non si crede a me si creda a chi è esperto. Sentiamo dunque colui che era esperto e prestiamogli attenzione: Uomo della mia pace nel quale speravo e che mangiava il mio pane (Sal. 40,10). E altrove: Egli prendeva con me il cibo piacevole e camminavamo amici nella casa di Dio (Sal. 54,15). Quali sono dunque i pani che il nostro uomo interiore presenta all’esteriore, all’esteriore, e con quali cibi lo ristora, lo dice la Scrittura Scrittura:: Le mie lacrime furono il mio pane di giorno e di notte, mentre mentr e mi chiedono ogni giorno dov’è il tuo Dio (Sal. 41,4). E altrove dice dice di qu ques esti ti pani pani::  Alzatevi dopo che avete riposato, voi che mangiate il pane del dolore (Sal. 126,2). L’uomo interiore mangia tale pane talvolta da solo, talvolta costringe con molta fatica anche il suo compagno a mangiare con sé. Il solo spirito mangia il suo pane quan qu ando do si duol duole e dei dei pecc peccat atii suoi suoi,, ma no non n può può ve vers rsar are e ne ness ssun una a lacrima. Mangiano insieme il pane del dolore e prendono insieme lo stesso cibo quando l’uomo interiore geme profondamente e, al suo

 

gemito,, l’u gemito l’uomo omo esteri esterior ore e versa versa molte molte lacrim lacrime. e. Prima Prima dun dunque que ogn ognii uomo si raccoglie nel pentimento per il timore, poi per l’amore. Il pentimento del timore è umano, il pentimento per amore ha una sua dolcezza. Chi dunque si pente solo per il timore si pasce di cibi solo spirituali niente affatto dolci. Ma chi già versa lacrime per il desiderio dell de lla a gi gioi oia a es este terrna si ri rist stor ora a con con do dolc lcii ci cibi bi sp spir irit itua uali li.. Qu Quan ando do quell’uomo ha tali tali ci cibi bi pu può òinteriore a ra ragi gion one e cominciato cant cantar are: e: Egli Egali ristorare pren prende deva vail suo do dolci lcicompagno ci cibi bi.. Co Con n con tali tali ricerche entrambi gli uomini avanzano verso la purezza tanto più, quanto più velocemente corrono. corrono. A chi rettamente intende appare chiaramente da ciò che si dirà che la mali ma lign gnit ità à de degl glii spir spirit itii malv malvag agii turb turba a la pa pace ce di tant tanta a pe perf rfet etta ta conc co ncor ordi dia a dell della a car carne e de dello llo spir spirit ito. o. L’uo L’uomo mo inte interi rior ore e cr crea eato to a immagine di Dio piange sull’uomo amico, sull’uomo della sua pace e manda non su di lui, ma su altri la lancia della sua maledizione, perché infierisce su coloro per la cui crudeltà ha perduto la pace. Tu uomo amico e mia guida, a me conosciu conosciuto to che prendevi prendevi insieme con me i dolci cibi e camminavamo in accordo nella casa del Signore. Questo dice la Scrittura e aggiunge dopo: Venga la morte su di loro (Sal. 55,14-16). Non dice sopra di te, ma sopra quelli. Si vendica di coloro per la cui colpa ha perduto la consorte della sua pace. Spesso infatti gli spiriti maligni invidiosi della pace dello spirito straziano la carne con rapida e veemente tentazione; turbano la pace dello spirito e trasformano l’amico in nemico, la guida in seduttore, fanno ignoto colui che era noto, e fanno nemico l’amico. Ma ecco mentre vogliamo vedere a fondo la Scrittura, veniamo spinti a gu guar arda darre le cose cose cir circo cost stan anti ti.. Infa Infatt ttii ment mentrre l’or l’ordin dine e razio raziona nale le rich richie iede de di di dirre qual qualco cosa sa in into torn rno o al alla la gu guid ida a de dell’ ll’uo uomo mo este esteri rior ore, e, l’oscurità l’osc urità delle parole parole costr costringe inge la nostra nostra espos esposizione izione a esten estendersi dersi di poco.

Capitolo XVIII Questo genere di contemplazione riguarda l’immagina l’immaginazione zione secondo la ragione Ora torniamo a ciò che abbiamo lasciato, cioè al modo nel quale l’immaginazione delle cose visibili ci aiuta nella ricerca delle cose invisibili. L’uomo esteriore infatti nel corso della sua ricerca, aiuta l’uomo interiore perché gli porge una immagine delle cose invisibili per mezzo delle cose visibili. E mentre compie questo suo dovere di guida lo conduce, per la via delle similitudini, là dove non osa entrare. Così spesso i servi precedono nella via i loro signori fino alla reggia e tuttavia mentre questi entrano nelle stanze del palazzo, quelli restano fuori. È chiaro dunque come noi dobbiamo intendere questo genere di cont co ntem empl plaz azio ione ne nell nella a le ra ragi gion one e invisibili seco second ndò òe tuttavia l’im l’imma magi gina nazi zion one, e, po poic iché hé vediamo con la mente cose dalla similitudine

 

delle cose visibili le intuiamo. Che cosa infatti potrei dire della forma delle cose visibili se non che è una immagine delle cose invisibili? Poniamo che ci sia qualcuno che dica di non aver mai visto un leone e che però desidera vederlo; se gli si mostra una conveniente immagine dell leon de leone, e, ce cert rto o eg egli li sapr sapreb ebbe be come come do dove verl rlo o pens pensar are. e. Qu Quin indi di eg egli li considera i lineamenti del disegno e si immagina nella mente le solide membra esteriormeenl’animale te e civivo. ò chC’è e una pensgrande a. Cosdifferenza ì in quetra sto ciògeche nerevede di cont co ntem empl plaz azio ione ne c’ c’è è molt molta a di diff ffer eren enza za tra tra le co cose se invi invisi sibi bili li ch che e pensiamo nella mente e le cose che vediamo per mezzo dell de ll’i ’imm mmag agin inaz azio ione ne.. D’ D’al altr tra a part parte e pren prendi diam amo o da qu ques este te ce cert rte e similitudini per esprimerle. Ecco perc erché questo genere ere di contemplazione è nella ragione secondo l’immaginazione.

Capitolo XIX In che modo riguardi il permesso o la grazia divina tutto ciò che il raggio della contemplazione contemplazione intuisce L’ordine razionale richiede che si dicano alcune altre cose dei cerchi e dei vertici, affinché venga mantenuto nell’esposizione lo stesso ordine che l’auto l’autore re sac sacro ro vol volle le man manten tener ere e nel nella la des descri crizio zione. ne. Inn Innanz anzitu itutto tto bisogna considerare quali siano i lati dell’arca, affinché possiamo di conseguenza conoscere quali cerchi dobbiamo porre in essi: per arca, come abbiamo detto sopra, intendiamo la grazia della cont co ntem empl plaz azio ione ne.. Poi oich ché é du dunq nque ue il ragg raggio io dell della a co cont ntem empl plaz azion ione e s’irradia dall’alto e si dilata in ogni parte per la capacità della mente che si solleva, tutte quelle cose che possono essere contemplate riguar rig uardan dano o eviden evidentem tement ente e questa questa ar arca. ca. È div divers ersa a con consid sidera erazio zione ne quella per la quale prestiamo attenzione a ciò che ogni giorno accade di giusto e di ingiusto; ed è una considerazione molto diversa quella per la quale consideriamo ciò che è comodo e scomodo agli uomini. L’ug L’ugua uagl glia ianz nza a e l’ l’in ineg egua uagl glia ianz nza a erig erigon ono o due due pa parreti eti op oppo post ste e e altrettanto fanno la prosperità e l’avversità. È mirabile come la buona e la ca catt ttiv iva a volo volont ntà, à, seco second ndo o la volo volont ntà à di Di Dio o che che gius giusta tame ment nte e dispone, siano contrastate dall’avversità o dalla prosperità, in modo che ch e no non n sopr soprav avan anzi zino no la misu misura ra dell dell’o ’orrdine dine divi divino no,, cr cres esce cend ndo o all’infinito. Pensa ora come nella nostra arca le pareti si stendano in lunghezza e la larrghez ghezza za,, e le due due al altr tre e par pareti eti acco accost stan ando dovi visi si per per trav traver erso so le chiudo chi udono no entr entro una cer certa ta misura misura.. Second Secondo o questa questa sim simili ilitud tudine ine,, la disposizione divina serve al desiderio delle diverse volontà, affinché trovino lo spazio di estendersi e le avversa perché non sopravanzino la misura predeterminata. Affinché infatti non ci dissolviamo come abbiamo già detto, siamo legati dal vincolo della brama e impediti dalla necessità. lasciamo molte cose per non perdere ciò che amiamo, Spesso e molteinfatti cose per non incorrere in quelle che odiamo.

 

Dove dunque l’avversità e la perversità si scontrano formano l’angolo della nostra arca, dove la prosperità e la perversità si incontrano formano un altro angolo. L’incontro dell’uguaglianza e della prosperit prosperità à forma il terzo angolo. L’incontro dell’equità e dell’avversità congiunge il quar quarto to.. Al pr primo imo ango angolo lo veng vengon ono o fer ferma mati ti i ma malv lvag agi; i; al qu quar arto to vengono ben indirizzati i buoni, al secondo vengono umiliati i malvagi, al ll’av ter te rzo vità, en engo no non pr pro teco ttiirret i ti.bu buon oni. i. infa rep epr obicorr ven engo gon nsser oero, fer ferm ati atni da dall’ avve vers rsit à, gono ma no notett corr etti . Se inIfatt tti i rsiobi correg egge gess o, non no sarebb sar ebber ero o repr reprobi obi;; ma per mezzo mezzo dell’a dell’avve vvers rsità ità i buo buoni ni vengon vengono o corretti nelle loro debolezze, e anche sollecitati verso cose migliori. Anzi per mezzo della prosperità i cattivi si chiudono in se stessi e sono umiliati da Dio. I buoni invece per mezzo della prosperità vengono sollecitati a cose buone e protetti dal male. Pertanto il primo angolo è relat elativ ivo o alla alla pu puni nizio zione ne,, il seco second ndo o alla alla dist distru ruzi zion one, e, il terz terzo o all alla a protezione, il quarto alla correzione. È chiaro che vengono indicati da Mosè come lati quelle pareti, che misurano la lunghezza dell’arca. Come infatti nella composizione dell’arca queste due pareti sono più gran gr andi di,, co così sì ne nell si sign gnifi ifica cato to tras trasla lato to e ne nell lla a co cont ntem empl plaz azio ione ne dell della a verità, la loro dignità è più alta. Chi ignora infatti che è molto più importante la capacità di discernere il giusto e l’ingiusto che quella di disc discer erne nerre tra tra l’ l’ut util ile e e l’ l’in inut util ile? e? La prim prima a rigu riguar arda da le pa parreti eti ch che e misur mis urano ano la lun lunghe ghezza zza dell’a dell’arrca. Inf Infatt attii ciò che riguar riguarda da l’u l’util tile e e l’inutile è relativo alle pareti che misurano la larghezza dell’arca. Ai due du e lati lati dell’ dell’ar arca ca ri rigu guar arda da og ogni ni cons consid ider eraz azio ione ne in into torn rno o a ciò che che avviene di giusto e di ingiusto; ma ciò che, accade di giusto è per volere di Dio, ciò che accade di ingiusto accade solamente per il suo permesso.

Capitolo XX La sapienza di Dio è semplice e una, ma viene condotta nella contemplazione contemplazion e con diverse considerazioni, prendendo diversi nomi: scienza, prescienza, disposizione, predisposizione Poiché dunque sappiamo già il significato dei lati dell’arca e dei suoi quattro angoli, cerchiamo quali siano quei quattro anelli che debbono essere collocati nei singoli angoli. È noto che l’oro supera ogni metallo per il suo splendore. Ma cosa c’è di più chiaro e splendente se non prop pr opri rio o la sa sapi pien enza za di divi vina na?? No Non n trov trovia iamo mo anzi anzi nu null lla a ch che e le si sia a paragonabile. Da questo oro prendiamo la materia per diverse opere, quando consideriamo la sapienza divina che in se stessa è semplice e una, in diverso modo. Benché la sapienza sia semplice e una, talora viene chiamata ora prescienza, ora scienza, ora predestinazione, ora destinazione. Così una sola cosa è distinta in diversi modi, perché possa essere compresa, almeno in parte, dalla nostra debolezza. La scienza è ciò con cui la sapienza ogni cosa; la prescienza ciò con cui dall’eterno prevede ogni conosce cosa; la predestinazione ciò con cui

 

dall’eterno destina ogni uomo alla vita o alla morte; la disposizione è ciò per cui nulla viene lasciato nel disordine. Questi modi della nostra considerazione li volgiamo in circolo, quando vediamo che nell’ordine della divina sapienza l’inizio concorda con la fine. La divina prescienza nella sua provvidenza non viene mai meno; la divina predestinazione nel suo proposito non cade mai, la sua scienza non sbaglia mai nel suo giudizio e la sua muta mai suodubbio disegno. Il circolo si piega su disposizione se stesso danon ogni parte e nel senza in esso non si trova né l’inizio né la fine. Entrambe quelle considerazioni cionondimeno riguardano questi circoli, perché in ogni contemplazione divina la mente nostra non può trovare l’inizio e la fine. Il giro di questi anelli ha un punto centrale, perché ogni divina ricerca non deve mai allontanarsi dalla definizione dell’unica semplice verità in ogni cosa. Questi anelli comprendono ogni cosa in sé stessi e chiudono ogni cosa nel loro seno. Questi sono quei quattro anelli che Mosè per divina rivelazione ordina di porre ai quattro angoli.

Capitolo XXI La divina sapienza secondo i diversi modi della contemplazione contemplazio ne appare talvolta ammirevole, ammirevole, talvolta piena di gioia Due di questi anelli sono situati da un lato, due dall’altro. Ogni anello dunque è destinato a un suo posto particolare, benché tutti servano perr po pe port rtar are e l’ l’ar arca ca.. Qui Qui in infa fatt ttii ogni ogni an anel ello lo deve deve av aver ere e un lu luog ogo o particolare, affinché appaia più ammirabile rispetto agli altri o più giocondo alla nostra considerazione. Infatti ogni anello dal suo posto dove dov e solleci sollecita ta maggio maggiorr ammira ammirazio zione, ne, gen genera era min minor ore e fel felici icità. tà. Pe Perr questo due anelli stanno su un lato, gli altri sull’altro. Sopra abbiamo detto che a un lato riguardano le cose che avvengono per il permesso di Dio, e all’altro quelle che avvengono per la volontà di Dio. Pertanto sull lato su lato de dell per permess messo o ci sono sono gl glii anell anellii de dell lla a pr pres esci cien enza za e de dell lla a sci cien enza za,, sul sul la lato to del ella la vo volo lont ntà à di divi vina na ci sono sono gli an anel elli li della ella predestinazione predestinazio ne e della destinazione. Vuoi uoi sa sape perre qu quan anto to retta ettame ment nte e e ordi ordina nata tame ment nte e gli an anel elli li de dell lla a scie sc ienz nza a e de dell lla a pres presci cien enza za ri rigu guar arda dano no sopr soprat attu tutt tto o le cose cose che che avve av veng ngon ono o pe perr il perm ermes essso di Dio Dio? Pen enssa dun unqu que e di qua uan nta ammirazione sia degno ciò che ha potuto preconoscere dall’eternità tu tutt tte e le co cose se nell nella a lo loro ro in innu numer merev evol ole e mo molt ltit itud udin ine e e va vari riet età. à. Ma Ma,, benc be nché hé la pres presci cien enza za sia sia in en entr tram ambi bi mi mira rabi bile le,, è tu tutt ttav avia ia più più ammirabile nelle cose cattive che in quelle buone. Le cose cattive infa infatt tti, i, poic poiché hé av avve veng ngon ono o per per in ingi gius usti tizi zia, a, av avve veng ngon ono o solo solo pe perr il perrmesso pe sso, no non n mai per per la volo volont ntà. à. Pen enssa du dunq nqu ue di qu quan anta ta ammirazione sia degno Colui che ha potuto preconoscere ciò che ha lasciato all’altrui volontà anzi alla che ancora e ch che e egli eg li non non av avr reb ebbe be ema mai i fa fatt tto. o. volontà Egli Egli infa infatt ttii no non n ha non ma maii esisteva, fatt fatto, o, la

 

volontà volont à cattiv cattiva, a, benché benché per permet metta ta che ess essa a sus sussis sista. ta. Cer Certo to noi ci meravigliamo meno che egli possa dall’eternità conoscere ciò che avrebbe fatto in una infinita molteplicità che egli preconoscesse ciò che pose sotto il potere altrui e sotto una contraria volontà. Che dir diremo emo dunq dunque ue de dell lla a sua sua sc scie ienz nza, a, che che pu può ò co comp mprren ende derre, co come me sappiamo, la qualità, il modo, l’ordine, il luogo, il numero di tutte le cose semplice visione? O veramente ammirevole! Se poi cerchi dove in la una scienza appaia più ammirevole alla nostra considerazione, chi non vede che nelle cose occulte di Dio è più ammirevole che nelle cose manifeste? Che cosa è guardare guardare continuamente i segreti pensièri degli uomini, cioè gli affetti, le volontà e le intenzioni, e non poter nascondere nessun moto del cuore alla vista della scienza divina? Quando Dio guarda i buoni pensieri degli uomini e la loro volontà, non trova ciò che egli vi ha posto. I buoni affetti del cuore egli stesso li sollecita e coopera con essi. Ma è degno di meraviglia soprattutto il fatto che egli non ignora nulla di ciò che egli stesso non ispira nei cuori umani. Questo è quel singolare motivo di ammirazione nella profondità della scie sc ienz nza a divi divina na,, il fatt fatto o ch che e no non n può può rima rimane nerrgli gli na nasc scos osto to null nulla a nell’abisso profondo e tenebroso dei cuori dei malvagi. Ecco perché gli anel an elli li de dell lla a pr pres esci cien enza za e dell della a scie scienz nza a ha hann nno o post posto o sul sul lato lato de dell perm pe rmes esso so,, do dove ve s’è s’è dett detto o ch che e si trov trovan ano o le co cose se magg maggio iorm rmen ente te ammirevoli. Gli altri anelli della predestinazione e della disposizione divina devono essere in un altro lato e non c’è bisogno di un lungo discorso per spiegarlo. Per tacere infatti di quelli che appaiono più degni di meraviglia, chi può negare che siano più pieni di gioia quelli che sono il simbolo delle cose che servono alla salvezza degli eletti? Noi consideriamo più volentieri, veneriamo più giocondamente, più ardentemente amiamo, più grandemente onoriamo la ragione della di divi vin na pr pred edes esti tin naz azio ione ne e destin stinaz azio ione ne nell nella a red eden enzi zio one, ne, nel miglio mig lioram rament ento, o, nel nella la glorif glorifica icazio zione ne di color coloro o che deb debbon bono o esser essere e salvat sal vatii piu piutto ttosto sto che nella nella ripro riprovaz vazion ione, e, deizio deizione, ne, dan dannaz nazion ione e dei malvagi. La predestinazione riguarda particolarmente questo lato così che solo la preordinazione suole essere vista relativa alla vita e solo impropriamente, la si riferisce all’altra parte. La disposizione divina, benché riguardi entrambe e benché non lasci nulla di disordinato agisce intenzionalmente solo nei confronti della salvezza degli eletti. Ecco si è detto oramai in quali lati si debbano porre gli anelli.

Capitolo XXII In quale speculazione la divina prescienza e la scienza appaiono più ammirevoli Forse ancora questi anelli richiedono che si chiarisca dove debbano essere collocati. Guarda se, per una speciale sovraeminenza, il primo anel an ello lo dell de lla asecondo; pr pres esci cien enza za non non della stia stia predestinazione nel nel prim primo o an ango golo lo;; terzo, l’an l’anell ello ol’anello de dell lla a scienza nel l’anello nel

 

della disposizione nel quarto. Abbiamo detto sopra che l’incontro delle avversità e delle iniquità, fanno il primo angolo e che tale angolo frena i malvagi, ma non li corregge. Se dunque ti volgi alla prescienza di Dio che cosa vi troverai di maggiormente ammirabile? Che cosa frena i malvagi, per mezzo delle avversità dei mali, se si sa già che essi non vorranno mai pentirsi della loro malvagità? Quali parole a essi es si ri rivo volg lge e la pate patern rnit ità, à, che con con prevede qual qualii prec precet etti ti raffr raffren a e eterni? co con n qual quSe alii minacce atterrisce coloro destinati aiena mali dunque nella divina prescienza non trovi qualcosa di cui meravigliarti maggiormente, non c’è motivo per cui tu ti meravigli che essa resti strret st etta ta a qu ques esto to an ango golo lo.. Anco Ancora ra so sopr pra a ab abbi biam amo o mo most stra rato to ch che e l’incontro della prosperità e della malvagità fanno il secondo angolo e che questo angolo non riguarda affatto né l’umiliazione né il diletto dei malvagi. Ora volgi gli occhi dell’intelligenza alla considerazione della scienza divina e molto attentamente guarda e meravigliati. È veramente magnifico il fatto che Dio vede sempre i mali degli uomini che pure odia e detesta, ma non può forse l’onnipotenza di Dio frenare tanti mali che la sua onnipotente sapienza non può ignorare e che l’onnipotente bontà non può affatto amare? A questi grandi motivi di meraviglia si aggiunge che egli concede ai malvagi i beni temporali per mezzo dei quali moltiplicano le loro malvag mal vagità ità,, cos cosa a fra fra tut tutte te detest detestabi abilis lissim sima. a. Inf Infatt attii i ben benii tem tempo poral rali, i, come abbiamo detto sopra, si risolvono in loro in mali; i malvagi vengono allora umiliati da Dio. Forse la scienza divina non vede come i malvagi abusino dei suoi doni? Chi potrebbe mai dire ciò? Guarda quanto sia difficile considerare con degna ammirazione tali cose e troverai come debba essere strettamente unito e fissato l’anello della scienza divina a questo angolo.

Capitolo XXIII In quale speculazione la divina predestinazione appare più gioiosa Il terzo angolo, come abbiamo sopra detto, risulta dall’incontro della giustizia con la prosperità ed è relativo alla consolazione e protezione deii buon de buoni. i. Gu Guar arda da da ques questo to an ango golo lo a qu quel ello lo oppo oppost sto o e pr pres esta ta attenzione ora a questo ora a quello, perché tu possa presto trovare trovare la ragione della posizione e intenderla bene. In questo angolo i buoni veng ve ngon ono o ai aiut utat atii da dall lla a pros prospe peri rità tà del del mond mondo; o; in quell quello o op oppo post sto o i malv ma lvag agii ve veng ngon ono o fl flag agel ella lati ti dall dalle e avve avvers rsit ità. à. Pres Presta ta atte attenz nzio ione ne ed esamina bene la pietà di Dio e la sua severità, la pietà verso i buoni, la severità verso i malvagi. Quale severità egli ha verso coloro che conduce verso le pene eterne se non li risparmia nemmeno in questa vita temporale, non senzadipene? E quanto è pio verso i buoni, quanto li che aiuta selascia non lascia sorreggerli conegli i beni temporali

 

pur aven pur avendo doli li gi già à preo preorrdi dina nati ti al bene bene eter eterno no?? Cons Consid ider era a qu qual ale e è, quanto è grande, quanto è pio predestinare gratuitamente costoro al bene eterno, mentre gli altri sono reietti, e tuttavia non negare i beni temporali nella loro utilità. Che cosa si può trovare di più dolce e di liet lieto o in qu ques esta ta pred predes esti tina nazi zion one e di divi vina na?? Gi Gius usta tame ment nte e du dunq nque ue in quel qu ell’ l’an ango golo lo la di div vin ina a pred predes esti tin naz azio ione ne viene iene desc descrritta itta co come me preminente, laddovequesto si parla della aureo prosperità utilità per gli eletti. Giustamente anello tieneeildella postosua in quell’angolo, dove appare più splendente e pieno di letizia.

Capitolo XXIV In quale speculazione la divina disposizione appaia maggiormente gioconda Veniamo al quarto angolo, nel quale l’avversità prova l’onestà. Esso riguarda la correzione correzione dei buoni, come s’è detto. Infatti, poiché i buoni non passano senza macchia questa vita e poiché possono sempre miglio mig liorar rare, e, nonos nonostan tante te sia siano no per perfet fetti, ti, han hanno no in que questo sto angolo angolo un motivo di purificarsi e di esercitarsi. L’ultimo dei nostri anelli è infisso in questo angolo. Se lo confrontiamo con quello opposto, troveremo prest presto o la ragio ragione ne che ricer ricerchia chiamo mo.. Nell’a Nell’ango ngolo lo opp oppost osto o i mal malvag vagii pros pr ospe pera rano no;; in qu ques esto to i buon buonii so sono no pu puni niti ti;; in qu quel ello lo i ma malv lvag agii si allontanano maggiormente da Dio per i beni che posseggono, mentre avrebbero dovuto più ardentemente amarlo. In quest’angolo motivi per i quali l’ardore dell’amore si sarebbe dovuto spegnere nei buoni lo infiammano maggiormente. Infatti quanto più vengono acerbamente presi dal male del mondo, tanto più si accendono nell’amore verso Dio. Ammira come nei malvagi l’amore di Dio si raffreddi per causa dei benefici e come nei buoni s’accresca nonostante i mali del mondo. Senza dubbio l’amore di Dio s’accrebbe in Lorenzo che patì l’incendio più che in Nerone che diede il comando; anzi in Lorenzo divampò per mezzo dell’incendio, in Nerone venne meno per il potere che gli era stato concesso. E ciò è ancora più grande e molto più ammirabile, forse l’amore di Dio si rafforzò nel martire per tanta pena più che per qualsiasi altra cosa o per qualsiasi gloria temporale: da dove tale ammirevole scelta? Vedi come il Creatore mostri, la sua sapienza nel sorreggere gli eletti sulla base di opposti valori. È bene confrontare questo angolo con gli altri e lodare nel confronto l’ordine della divina disp dispos osiz izio ione ne.. Nel Nel prim primo o ango angolo lo i catt cattiv ivii ve veng ngon ono o colp colpit itii ma no non n corretti. In questo i buoni vengono colpiti e purificati. Per qual motivo gli stessi flagelli correggono nei buoni le colpe medesime che non poss po sson ono o af affa fatt tto o co corrreg egge gerre ne neii malv malvag agi? i? An Anzi zi per perch ché é la picco piccola la fiamma delle pene temporali eletti una piccola ruggine, mentre nei malvagi il terrore purifica acerbo negli e l’immenso fuoco dell’eternità

 

non possono purificar purificare e i reprobi? reprobi? Una causa simile ha un effetto così divers div erso, o, perché perché la rag ragion ione e del della la dis dispo posiz sizion ione e div divina ina,, pur essend essendo o unica, appare nei dannati più giusta che pia e negli eletti più pia che severa. Ecco abbiamo oramai confrontato questo quarto angolo con il primo e con co n il se seco cond ndo, o, ora ora conf confro ront ntia iamo molo lo co con n il terz terzo. o. Ne Nell terz terzo o an ango golo lo dunque i buoni ricevono i benefici a lorosono consolazione; nelquarto quartosono essi sono provati dalle avversità. Nel terzo sorretti, nel eser es ercit citat ati, i, ne nell ll’u ’uno no ri ripo posa sano no do dolc lcem emen ente te,, ne nell ll’a ’alt ltro ro co comb mbat atto tono no duramente; nell’uno ricevono doni, come coloro che si apprestano a combattere, nell’altro combattono per acquistare la vittoria e la palma dell de ll’e ’ete tern rna a retri etribu buzio zione ne.. In quel quell’ l’an ango golo lo rice ricevo vono no i do doni ni divi divini ni e dive divent ntan ano o debi debito tori ri ve vers rso o Di Dio, o, in qu ques esto to per per il me meri rito to dell della a lo lorro pazienza e della loro fortezza diventano, per così dire, creditori al cospetto della giustizia divina. Non mi resta che ricevere la corona di giustizia che mi renderà in quel giorno il Signore, giusto giudice (2  Tim. 4,8). Che renderà, renderà, dice, e non: darà; e dice: Giudice giusto e non: giud giudic ice e pio. pio. Ma pe perr di dive vent ntar are e gi gius usto to de debi bito torre di un così così gran grande de premio, egli si fece spontaneamente donatore di tale merito. Pensa dunque che Dio ha ardentemente cercato, ha agito incessantemente, ha lavorato con mirabile arte per fare liberi i servi, per trasformare coloro che sono miseri per debiti, ricchi di merito ed eredi del regno dei cieli. Questa è una sufficiente ragione, penso, per cui quell’anello dell de lla a divi divina na di disp spos osiz izio ione ne sia sia post posto o in qu ques esto to ango angolo lo,, do dove ve pe perr le piccole difficoltà della vita solleva l’uomo al premio eterno. Perciò questo anello d’oro è più splendente e più bello. Per questo la divina disp dispos osiz izio ione ne ap appa parre pi più ù gl glor orio iosa sa a co colo lorro che che gioi gioisc scon ono o ne nell lla a tribolazione e. nelle offese. Da quanto abbiamo detto dei lati e degli angoli dell’arca si vede oramai chiaramente come in un lato gli anelli della del la presc prescien ienza za e della della scienz scienza a app appaio aiono no più amm ammira irabili bili e com come e nell’altro gli anelli della predestinazione e della disposizione appaiono maggiormente pieni di letizia.

Capitolo XXV Una grande ammirazione e una grande esultazione debbono sempre accompagnare la contemplazione contemplazione Penso Pens o che non sar sarà à fatico faticoso so tr trova ovare re qu quali ali man manici ici debban debbano o ave avere re questi anelli e in quali lati debbono stare. Essi saranno soprattutto degni di ammirazione o soprattutto ricolmi di gioia a seconda se stiamo su un lato o sull’altro. Sia dunque grande la nostra ammi am mira razi zion one e e gran grande de la nost nostra ra esul esulta tanz nza a a se seco cond nda a di qu quan anto to richiede la contemplazione delle opere divine. I manici siano forti e robusti, tali con che possano bastare a portare il peso. Facciamo dei manici delle travi di legno, non con bacchette di dunque canne.

 

Devono essere fatti, anzi, non d’un legno qualsiasi, ma del legno di acacia in modo che siano inflessibili e incorruttibili. Due buoni manici, da entrambe le parti saranno l’ammirazione quotidiana e una grande, continua esultanza. Essi debbono essere forti e dorati; siano fatti con la forza della costanza, siano volti alla giustizia, siano ricoperti dell’oro della sapienza; siano forti nella giustizia, retti nell’equità, splendenti per l’intelligente discrezione. In prudente tali maniciel’oro brilla discrezione. piacevolmente perché ha un grande valore la provvida La nost no stra ra am ammi mira razi zion one e sia sia atte attent nta a ne nell disc discer erni nime ment nto o pe perrch ché é non non ammiriamo come prescienza o scienza di Dio nulla che sia falso. Sia at atte tent nta a e di disc scrreta eta la nost nostra ra gi gioi oia a affi affinc nché hé non non vene veneri riam amo o co come me pred pr edes esti tina nazi zion one e o di disp spos osiz izio ione ne di divi vina na nu null lla a di va vano no.. La gioi gioia a e l’ammirazione devono essere lungi da ogni falsità, e senza alcuna vanità. Non dobbiamo ammirare o venerare alcuna falsità o vanità come prescienza o scienza o predestinazione o disposizione di Dio, e avremo così ricoperto d’oro i manici dell’arca. T Tali ali manici siano inseriti negli anelli e, secondo il comando divino, non ne siano mai sfilati. Ci sia sempre la tua ammirazione nella visione della prescienza e della scie sc ienz nza a di Dio, Dio, e ci sia sia semp semprre gi gioi oia a ne nell lla a co cons nsid ider eraz azio ione ne dell della a predesti pre destinazio nazione ne e della disposizi disposizione one divina. divina. Trov roverai erai sempr sempre e nelle prime motivi d’ammirazione, nelle seconde di letizia. Non si dà in alcun luogo maggior motivo di ammirazione e di letizia. Certo puoi trovare in entrambi qualcosa di meraviglioso o piacevole; infatti, benché ogni manico aderisca strettamente a uno dei due lati, non sono, per altro, reciprocamente molto distanti. In essi sia dunque la tua ammirazione e la tua gioia; e siano sempre inseriti negli anelli d’oro e godrai del comandamento divino.

Capitolo XXVI Secondo il modo dell’ammirazione o dell’esultazione varia il modo della contemplazione Con questi manici la nostra arca viene portata dovunque, e viene soll so llev evat ata a o post posta a a ter terra ra.. Cert Certo o nell nella a co cont ntem empl plaz azio ione ne e ne nell lla a consid con sidera erazio zione ne delle delle cose cose div divine ine,, quanto quanto più prove proverai rai un una a gio gioios iosa a merravig me avigli lia, a, tant tanto o pi più ù vole volent ntie ieri ri ti so soff ffer erme mera raii a inda indaga garre co con n attenzione per essere illuminato. Tutte le volte che il tuo animo è rapito dall’ammirazione a diverse cose, e si sofferma con gioia a ogni cosa, la tua arca viene portata attorno e la tua contemplazione si dilata. L’ammirazione ti rapisce alle cose più alte e più profonde e ti tiene con gioia in quella ricerca; la tua arca viene sollevata in alto, perché la tua intelligenza percepisce le cose più sottili. Quando la tua ammi am mira razi zion one e e la tua tua gi gioi oia a ve veng ngon ono o me meno no,, vien viene e depo depost sta a l’ar l’arca ca,, poiché cessa della la rivelazione divina. In questo la qualità e la quantità nostra ammirazione e dellamodo, nostrasecondo esultanza, l’arca

 

viene portata in giro o sollevata o deposta, perché la rivelazione si attua att ua e l’in l’intel tellig ligenz enza a vie viene ne illumin illuminata ata in mod modo o divers diverso o sec second ondo o il desiderio dell’animo.

Capitolo XXVII Nella contemplazione di tutte le cose mutevoli è necessario riferirsi strettamente alla considerazione della divina sapienza È meritevole di considerazione il fatto che molto convenientemente vengono subito indicati gli anelli e i manici dell’arca, dopo che sono stati mostrati i tre generi della contemplazione, perché, come si è mostrato sopra, tutto ciò sorge dalla visione della realtà sensibile. Chi ignora che la molteplice varietà di questo mondo si trova in una gran gr ande de co conf nfus usio ione ne e che che tutt tutto o ac acca cade de eg egua ualm lmen ente te al gius giusto to e all’ingiusto, al buono e al malvagio, a colui che offre vittime e a colui che ch e disp disprrezza ezza il sacr sacrif ific icio io?? Il bu buon ono o vive vive come come il pe pecc ccat ator ore e e lo spergiuro come quello che ha detto la verità. Qual è quest’ordine delle cose, anzi quant’è grande questa confusione in tutto ciò per cui ai buoni capitano beni e mali così come ai cattivi? A tal punto la nebb ne bbia ia di ta tall conf confus usio ione ne ob obnu nubi bila la la vist vista a de degl glii sp sprrovve ovvedu duti, ti, ch che e qualcuno addirittura dubita e diffida che Dio si preoccupi di tutto ciò. Per questo l’antichità costruì altari in luoghi sacri alla Fortuna. Certo se ai buoni accadessero solo le cose buone e ai cattivi solo le cose cattive, anche gli sprovveduti vedrebbero che ciò sarebbe giusto. Se poi ai buoni capitassero talvolta alcuni malanni, e ai cattivi capitasse talvol volta qualcosa di buono, farebber ero o assai poca fatica a compr com prend ender erne ne la ragion ragione. e. Sembr Sembrer erebb ebbe e con congru gruent ente e con la div divina ina giustizia portare ai premi eterni solo coloro che sono provati dalle fatich fat iche. e. Or Ora a poi, poi, poiché poiché un’ un’uni unica ca sor sorte te coglie coglie ugu ugualm alment ente e tut tutti, ti, il pensiero umano si perde nell’abisso dei giudizi divini. Se infatti la divi divina na gius giusti tizi zia a non non ig igno nora ra i di dive vers rsii co comp mpor orta tame ment nti, i, pe perrch ché é no non n dispensa cose diverse? Se Dio prevede la fine dei malvagi, se ne ha preordinati altri alla vita, perché largisce anche ai malvagi qualcosa della sapienza e i doni degli altri carismi spirituali, e permette che molti degli eletti, spogliati delle ricchezze delle loro virtù, giacciano nei vizi? Se dunque in questi dubbi ci aggrappiamo fortemente agli anelli dell’arca, cioè della fede, raggiungeremo assai presto uno stato di sicurezza. Se ci stringiamo fortemente a questi anelli, se crediamo che Dio sa ogni cosa, e ogni cosa dispone dall’eternità, ordinandola, potremo facilmente prevedere come tutto ciò confermi ed esalti la sua sapienza. In tale tenebrosa caligine, non c’è nulla che possa rimanere nascosto alla sua scienza o alla sua prescienza, nulla che frapponga qualche ostacolo, nella selva di tali turbamenti, al corso della suo ordine, perché le dell de lla a sua mutev utdisposizione evo ole lezzza si e gdel iung iunga a al lu luog ogo o de desstin titra nato atotutte sen enz zadifficoltà alc lcun una a

 

deviazione, attraverso sentieri dell’equità e della pietà.

LIBRO TERZO Capitolo I La materia della quarta contemplazione e la sua proprietà Dopo aver parlato degli anelli e dei manici, dobbiamo parlare del quarto qua rto gen gener ere e di contem contempla plazio zione. ne. È chi chiar aro o che questo questo gener genere e di cont co ntem empl plaz azio ione ne,, come come abbi abbiam amo o gi già à de dett tto, o, rigu riguar arda da le es esse senz nze e invisibili, cioè gli spiriti angelici e umani. Sono considerevoli la loro materia e la loro scienza. Questa è infatti quella nobilissima creatura, fatta a immagine di Dio, preposta a ogni altra creatura, fatta per il sommo som mo bene, bene, destin destinata ata a ralleg rallegrar rarsi si del dello lo ste stesso sso Creat Creator ore e d’o d’ogni gni bene. La scienza di tutte le altre creature guarda come dal basso la scienza di queste; per quanto si accresca, per quanto si innalzi, non giunge mai alla vetta ditale altezza. Tale scienza è indicata per mezzo dell pr de prop opiz izia iato tori rio o ch che e è no non n so solo lo do dora rato to,, ma fatt fatto o pr prop opri rio o di or oro o purissimo. Si comanda di farlo di oro purissimo e con ciò ti si ordina di avere in queste considerazioni un’intelligenza purissima. Che cosa farebbe qui l’immaginazione, che crea e ordina soltanto immagini corporali? Lasc La scii il ca camp mpo o di tale tale ri ricer cerca ca l’ l’im imma magi gina nazi zion one e che che fo forrma tant tante e fantasie, che crea ogni giorno tante nuove forme di cose corporee, che rinnova quelle di cose già viste e le dispone a piacere suo in molti modi. In questa speculazione non viene dalla moltitudine di queste immagini alcun vantaggio, anzi, solo un ostacolo. Perché ti accosti impreparato a tale compito? Perché con tanta inopportunità ti accosti a tale contemplazione? Sai tu avvalerti della pura intelligenza? Se non sai mod modella ellare re l’oro l’oro pur puro, o, non entrar entrare e in que questa sta off offici icina. na. Tu non sai puri pu rifi fica carre l’or l’oro o e semp semprre turb turbii la pura pura inte intell llig igen enza za.. Il tu tuo o or oro o è fr fram ammi mist sto o al alla la sc scor oria ia,, anzi anzi,, non non hai hai alcu alcuna na abbo abbond ndan anza za di or oro. o. Dobbiamo fare il nostro propiziatorio di oro purissimo, e non hai nulla da portare per costruirlo. Non c’è bisogno in questo della tua piccola opera indisciplinata. Non hai l’oro e non conosci l’arte. Finché presenti qualcosa che non è oro, non faremo la nostra opera; prendi quel che è tuo e vai. Non abbiamo bisogno in questo di pelli di capra né di pelli di montone, né di legno. Benché tu sia molto ricco, anche se hai molte di queste cose, non puoi tuttavia avere molto oro e non puoi aiutare coloro color o che modellano l’or l’oro. o. La lana delle capre, sporca sporca e fetid fetida a per il piacere carnale, una volta purificata con ogni cura può aiutare i pentiti nella loro orazione. Esempi delle passioni le pelli degli arieti, arro arrossate ssate dal loro stesso sangue, possono aiutare coloro che sono afflitti da qualsiasi tribolazione. Leo opere dilte misericordia, tagliate via dalla alla se selv lva a del mond ndo e vo volt epietà al alla lae di giu iust stiz izia ia,, pos osso sono no esse esser re

 

vantaggiose per coloro che sono solleciti. Ma il ricordo di tutte queste cose può piuttosto turbare che aiutare gli animi volti a questo nuovo gener gen ere e di contem contempla plazio zione. ne. Qua Quanto nto più dim diment entich ichiam iamo o le immagi immagini ni corp co rpor oree ee,, ta tant nto o pi più ù pr prof ofon onda dame ment nte e e tant tanto o più più libe libera rame ment nte e ci soll so llev evia iamo mo nella nella medi medita tazi zion one e al di sopr sopra a de dell lle e co cose se oc occu cult lte e de dell lle e essenz ess enze e mon mondan dane. e. Pu Purif rifich ichii dun dunque que il suo or oro o e cerchi cerchi di pur purifi ificar care e l’intelletto da ogni intrusione immagini corporali desideral’uomo fare il propiziatorio. Chi mi darà di di trovare l’uomo delle chi ricchezze, perfettamente esperto, al quale non manchi, cioè, né l’oro né l’arte per fare il propiziatorio con il quale si deve coprire la nostra arca? Chi è colu coluii che che sa pu puri rifi fica carre il suo suo oro oro da og ogni ni sc scor oria ia,, co colu luii che che sa puri pu rifi fica carre il su suo o cu cuor ore e dall dalle e fa fant ntas asie ie se seco cond ndo o qu quan anto to rich richie iede de la dignità dell’opera e l’autorevolezza del comando? Chi sa compiere l’opera nell’esatta misura divinamente indicata? Chi sa fissare il suo cuore nella visione delle cose celesti, abbandonati i bassi pensieri mondani, e volgere attorno i raggi della speculazione secondo quella ampi am piez ezza za ch che e esig esige e tale tale sp spec ecul ulaz azio ion ne? Chi tro trova in sé tan antta abbondanza di oro, chi ha un’intelligenza così viva da poter fare in tutta la conveniente lunghezza e larghezza il propiziatorio, così che possa coprire l’arca; chi è colui che è volto alla concordia degli spiriti celesti e all’armonia delle gioie spirituali, così da poter dimenticare e da poter disprezzare ogni gloria umana e ogni umana saggezza? È un ottimo artefice, esperto nella purificazione dell’oro colui che tende a rimanere unito alle cose celesti, cercando di sapere solo le cose che sono sopra, affinché non si volga nemmeno col pensiero o con il desiderio, a nessuna bassezza. Non può restare nascosta a chi guardi con retta intelligenza la manifesta ragione per la quale questo genere di contemplazione supera gli altri tre da cui si è parlato sopra.

Capitolo II L’eminenz ’eminenza a del quarto genere di contemplazione conte mplazione che differisce differi sce dal primo e dal secondo Se vuoi vedere la differenza del quarto genere di contemplazione rispetto al primo, considera la differenza che sussiste tra l’oro e il legno. La prima parte dell’opera è fatta di legno, la quarta d’oro; la prima pri ma spe specul culazi azione one è inf infatt attii ind indica icata ta sim simbol bolica icamen mente te dal dalla la pri prima ma parte dell’opera, l’altro genere di speculazione dall’altra parte. Quanto differisce il corpo dallo spirito? Se c’è tanta differenza tra due corpi, l’oro e il legno, quale sarà la differenza tra il corpo e lo spirito? Paragona il sole con la pietra e potrai facilmente vedere quale sia la diff differ eren enza za dei dei corp corpii so somm mmii e degl deglii infi infimi mi.. Ep Eppu purre c’è c’è ma magg ggio iorr differenza tra il corpo e io spirito che tra qualsiasi corpo. Credo che la dif differ ferenz enza a dell delle e essenz ess siaqueste relat relativa ivadue alla allaspeculazioni dif differ ferenz enza a te del delle le mostri sci scienz enze. e. Quanta differenza cienze siae tra lo il

 

diverso mezzo. La prima s’avvale infatti dell’immaginazione, questa dell de lla a ra ragi gion one. e. Ma quan quanta ta di diff ffer eren enza za c’ c’è è tra tra l’im l’imma magi gina nazi zion one e e la ragione se non quanta ne esiste tra la signora e l’ancella, tra la vene ve nera rand nda a e l’ l’ig igno nomi mini nios osa, a, tra tra l’ l’er erud udit ita a e la va vana na?? Hai Hai vist visto o la sovraeminenza di questo genere di contemplazione rispetto al primo; ora osservane la differenza rispetto, al secondo. Guarda che cosa sia la doratura e era la acostruzione del propiziatorio aureo, conf co nfr ronta onta ladell’arca quar quarta ta oper op con con la seco second nda. a. Gu Guar arda da an anzi zi il luog lucioè ogo o d’entrambi. L’una infatti aderisce al legno, l’altra vi è sovrapposta. Ma l’una sorge dal basso, questa invece sta in alto, benché entrambe le opere siano fatte di oro. Infatti si cerca la ragione delle cose in tutte e due le speculazioni. Ma nell’una noi meditiamo la ragione delle cose visibili, nell’altra la dignità delle cose invisibili, sia essa occulta o manifesta. Noi dunque ricopriamo il legno con lo splendore dell’oro, quan qu ando do rifl riflet etti tiam amo o su sull lla a caus causa, a, su sull’ ll’or ordi dine ne,, su sull mo modo do de dell lle e co cose se,, ritrovandone la ragione. Ma noi collochiamo sopra il legno quell’opera nostra che è il propiziatorio perché, allontanate le immagini delle cose corporali, ci innalziamo con il sublime volo della nostra ricerca alle cosse più al co alte te e rim iman ania iamo mo in tale tale amm mmir iraz azio ione ne.. Qui dun unq que l’indoramento della nostra arca sorge a poco a poco dal basso e avanzando a poco a poco verso le parti più alte, giunge alla sommità. L’anima infatti dalla conoscenza delle cose visibili e dalla considerazione della vanità e della mutevolezza è costretta a fuggire ciò che ammira meno e a sfuggire il diluvio della accidentalità verso il ci ciel elo o d’ell d’ella a ve vera ra li libe bert rtà, à, ri ripo posa sand ndo o ne nell de desi side deri rio o de deii ve veri ri be beni ni.. È certissimo che, quanto più si osserva la mutevolezza del mondo, tanto più la si teme e tanto più la si fugge e la si disprezza. Benché infatti nel mondo vi siano innumerevoli cose poste per ordine divino, ve ne sono so no molt molte e al altr tre e che che de debb bbon ono o esse esserre dis dispr prez ezza zate te pe perr la lo lorro mutevolezza e fuggite nel timore di qualche danno. Che cosa significa il fatto che il propiziatorio non entra direttamente a contatto con il legno, ma ne resta separato da una intercapedine d’oro, se non che siamo respinti da ciò che è mutevole per mezzo della conoscenza e della contemplazione? Ecco il nostro propiziatorio è posto in alto, e s’innalza oltre ogni cosa. Sopravanza per presiedere a tutto, ed è posto perché in alto riposi. Sali anche tu al pensiero più alto, fissa il tuo desiderio nei cieli e allora troverai un luogo di riposo tranquillo e pieno di gioia.

Capitolo III La differenza e la sopraeminenza del quarto genere di contemplazione rispetto al secondo

Se fa facc ccia iamo mo atte attenz nzio ione ne ai simb simbol oli dell della adifferenza. se seco cond nda a Bisogna e de dell lla a dunque qu quar arta ta contemplazione possiamo trovare lai loro

 

che il prop che propiz izia iato tori rio o ci cioè oè il cope coperrchio chio de dell ll’a ’arrca ca,, no non n abbi abbia a qu quas asii spessore, anzi la doratura, ancorché ripetuta molte volte, non ha nemmeno una sua consistenza. Essa è quasi una illusione del senso ester est erno no.. Ciò che vie viene ne dorato dorato non non è ess esso o ste stesso sso d’o d’oro ro,, anc ancor orché ché appaia tale. In tal modo la più profonda scienza di certi sapienti gonfia e illude più che illuminare gli occhi degli stolti. Che cosa vale infatti la conoscenza delle cose esteriori, se non giova al alla conoscenza cose interiori? La tua scienza sarebbe stoltezza cospetto di Dio.delle Che cosa ti importa di conoscere ogni cosa, se ignori te stesso e il tuo Creatore? Perché tanto ti glori, o filosofo? Se vuoi gloriarti, devi farlo non in te, ma nel Signore (1 Cor. 4). Certo se questa tua sapienza è insipida, e se la tua dottrina è indotta nella conoscenza di te, se per caso ti parlasse di Dio, non ti farebbe gonf go nfio io di su supe perb rbia ia,, ma ti timi mido do.. Se vera verame ment nte e sei sei sa sapi pien ente te,, no non n desiderare conoscere la profondità, ma temi: Che cos’hai che tu non abbia ricevuto? Devi gloriarti in Colui dal quale hai ricevuto e devi glorificarlo. Perché ti glorii, quasi tu non avessi ricevuto? (1 Cor. 4,7). Se vorrò gloriarmi, non sarò stolto, dirò infatti la verità (2 Cor. 12,6). Vedi dunque quali nomi io abbia dal re, sono detto filosofo, amante dell de lla a sapi sapien enza za per perché ché ho de dett tto o al alla la sapi sapien enza za:: so sorrella ella mi mia; a; e ho chiamato la prudenza: amica mia. Sbagli, sbagli o filosofo: la pretesa acutezza ti ha ingannato, e la concupiscenza ha sconvolto il tuo cuore; questa che tu chiami sapienza è stoltezza presso Dio. Perché dunq du nque ue c’ c’è è post posto o pe perr es essa sa nell nell’a ’arrca de dell lla a sa sapi pien enza za?? Perch erché é c’è c’è bi biso sog gno di tal ale e dorat oratur ura a? Se si trat trattta solo di un uno o splen plendo dorre superficiale, che non ha alcuna consistenza, perché trova posto in tale opera? Ascolta dunque che cosa piace nella nostra opera e che cosa ci dispiaccia nella tua opera. La tua opera non ha il coperchio, tu non saii fa sa farre il pr prop opiz iziat iator orio io.. Ma cont conten ento to dell della a do dora ratu tura ra ti glor glorii de dell compimento dell’opera, e non sai continuare in quello che fai. Sei veramente degno di biasimo, perché hai cominciato a costruire e non puoi portare a termine l’opera. Stolto e insipiente, non sai o non vuoi sapere saper e che il vaso che non ha coper coperchio, chio, second secondo o il comando divino, deve de ve ve veni nirre rotto otto e a ra ragi gion one, e, poic poiché hé è se semp mprre tu tutt tto o sp spor orco co.. Tu purifichi, immondo filosofo, la parte esterna del tuo vaso, e dentro è pieno d’ogni sporcizia, e contento della fama, non ti sforzi di purificare la co cosc scien ienza za.. La tua tua arca arca è sp sple lend nden ente te all all’e ’est ster erno no,, ma dent dentrro è sporca, perché non ha il coperchio. Tu, che cogli la fama e trascuri. la cosc co scie ienz nza, a, no non n vedi vedi che che è nece necess ssar ario io far fare qu ques este te co cose se senz senza a trascurare le altre? Splenda la tua arca di fuori, m splenda anche di dentr den tro. o. Spl Splend enda a di fuori fuori perché perché è scritt scritto: o: Spl Splend enda a la vos vostr tra a luc luce e davanti agli uomini, uomini, etc. (Mt. 5,16). E  E splenda dentro perché è scritto: Ecco   fariseo, pulisci prima quel che è dentro il calice e il piatto, Ecco  perché sia pulito come fuori (Mt. 23,25). La nostra arca dev’essere dora do rata ta,, ma non non bast basta a do dora rarl rla. a. Infa Infatt ttii se senz nza a il co coper perch chio io no non n può può conservar are e la sua pulizia. Cerc erca dunque, secondo ndo il divino insegnamento, di fare, il propiziatorio cioè il coperchio quale conviene

 

che abbia l’arca della sapienza. Filosofo immondo, se vuoi conservare pura internamente l’arca della sapienza, se desideri conservare la purezza del cuore, sali a questo quarto grado della contemplazione che viene indicato per mezzo del propiziatorio dell’arca. Sopra abbiamo già detto che questa è quella speculazione che è relativa alle sostanze invisibili, cioè agli spiriti umani e angelici. in questa speculazione, tu torni a te stesso edInnanzitutto, entri nel tuo cuore, impara a stimare ilaffinché tuo spirito. Cerca di sapere che cosa tu sei, che cosa avresti dovuto essere, che cosa avresti potuto essere. Che cosa avresti potuto essere per natura, come tu sia per la colpa, che cosa avresti dovuto essere per la tua volontà, che cosa ancora tu potresti essere per la grazia. Impara a conoscere dal tuo spirito che cosa tu debba stimare degli altri spiriti. Questa è la porta e la scala, l’ingresso e la salita; per essa si entra nell’intimità e ci si solleva alle cose più alte; questa è la via verso la sommità della speculazione, questa è l’arte per costruire l’arca, l’arte per la quale si recupera e si conserva la purezza del cuore. Vedi certamente che abbiamo chiamato quest’opera coperchio dell’arca a buon diritto, poiché con esso difendiamo la purezza dei cuore. Se la tua arca dorata avesse per coperchio tale propiziatorio, se la tua filosofia avesse il criterio della purezza, certo a noi risulterebbe assai gradita. Ma sanno avvalersi della filosofia molto meglio i nostri teologi che i filosofi del mondo. Infine ascolta che cosa piaccia nella nostra opera e che cosa debba piacere nella doratura dell’arca. Innanzitutto la doratura è posta sopra il legno, in secondo luogo è posta sotto il propiziatorio, in terzo luogo è posta tra il legno dell’arca e il propiziatorio. È posta sul legno affinché risplenda e nasconda la concupiscenza dei tuoi occhi, e sia un velo per i tuoi occhi affinché essi, aprendosi, non vedono la vanità. È posta sotto il propiziatorio affinché porti in alto, e la scienza delle cose inferiori serva alla scienza delle cose superiori, e con molto esercizio l’occhio della mente si faccia più acuto nel comprendere le cose più alte. È posta tra il propiziatorio e il legno affinché li divida e sollevi l’anima umana dall’amore delle cose inferiori, affinché, caduto dal punto più alto, non se ne vada sedotto dietro le sue concupiscenze e diventi errabondo senza meta sulla terra.

Capitolo IV Come il quarto grado della contemplazione contemplazione differisca e sovrasti il terzo Abbiamo oramai confrontato il quarto grado della contemplazione con il primo e con il secondo; lo si confronti ora con il terzo. Ma forse faccia fac ciamo mo meg meglio lio se ci volgiam volgiamo o ai rispet rispettiv tivii sim simbol boli. i. Rif Rifer erend endomi omi dunque ai simboli, cioèparlo alla doratura alla trovo una grande grand e differenza differ enza.. Non del fatt fatto o eche la corona cor corona ona d’oro, viene infissa nel

 

legno, poiché s’è già mostrato che è la figura del terzo modo della contemplazione. Il quarto grado, del quale ora parliamo, cerca di vincere ogni immaginazione con l’altezza della sua ricerca. Di qui, per l’espressione della similitudine, il nostro propiziatorio non deve né appoggiare né venire affisso al legno. Passo piuttosto al fatto che la corron co ona a so sorg rge e in al alto to e il prop propiz izia iato tori rio, o, rima rimane nend ndo o ap appo pogg ggia iato to,, si esp espand ande econtemplazione largam largament ente e tutt’i tut t’into ntorn rno, o, cos così che della nel nella la sicurezza, dol dolce ce soavit soailvità à di questa l’anima trova ilì luogo porto nascos nas costo to di una gra grande nde tra tranqu nquill illità ità;; una cos cosìì insoli insolita ta e ine inespe spert rta a giocondità porta il desiderio del cuore alla quiete e lo raccoglie nella pace. Ma voglio notare la grandezza d’entrambi. Non posso negare che essi non differiscono nella qualità della materia, ma sono molto diversi per la quantità. Entrambi sono fatti d’oro perché entrambi i generi di speculazione sono relativi alla ragione. Ma poco è l’oro con il quale è costruita la corona se è confrontato con la quantità d’oro del propiziatorio. Infine la misura di quest’ultimo viene determinata tanto in lunghezza quanto in larghezza dal divino magistero. Della grandezza della corona invece non si dice nulla, e il divino discorso fa soltanto un cenno alla sua fabbricazione, perché chi può comprendere comprender e comprenda e la faccia ciascuno come può. Credo che se la sua altezza avesse potuto innalzarsi fino a un mezzo cubito, il divino discorso non avrebbe taciuto. Ma il Signore conosce la sua opera; né poté sfuggire a colui che amministra all’uomo la scienza quanta povertà d’oro debba sopportare in quest’opera l’uomo e come angusti siano i sensi per tale contemplazione. Quale uomo troverà lo strumento per comprendere quella pace che supera ogni senso? Con quale senso comprende ciò che l’occhio non vide né l’orecchio poté udire né salì mai nel cuore dell’uomo (Is. 64; 1 Cor. 2)? Infatti quando Paolo, e chiunque gli sia simile, si eleva sopra se stesso, è rapito fino al terzo cielo, certo quei segreti di cui gli uomini non possono parlare non li ricerca per mezzo dello spirito suo, ma Dio per mezzo del suo spir sp irit ito o gl glie ieli li ri rive vela la.. Ma qual qualun unqu que e co cosa sa se seco cond ndo o qu ques esto to modo modo l’intelligenza umana attinga nel trascendimento di sé, lo comprende pochissimo per la pochezza della sua capacità in questo genere di speculazione. Infine riguarda un altro genere di speculazione, non questo, qualsiasi cosa che l’umana esperienza veda nel rapimento. Qual meraviglia se l’esiguità della scienza in quella considerazione soprattutto angustia la mente dell’uomo che è incapace per la sua povertà di vedere ciò che ricerca? La me ment nte e uman umana a sa ch che e qual qualun unqu que e co cosa sa ra racc ccog ogli lie e into intorrno alla alla conoscenza delle cose invisibili col ragionamento o qualsiasi cosa trovi con la similitudine delle cose visibili, è, in confronto alla verità, un niente. Per questo alla corona non è prescritta nessuna misura mentre nella descrizione del propiziatorio tanto diligentemente viene indi indica cata ta.. Cr Cred edo o ch che e sia sia dato dato di in inte tend nder ere e ch chia iara rame ment nte e pe perrché ché in questa opera vi sia tanta penuria di oro.

 

Capitolo V Quanto importi rimanere con forza in questa contemplazione e come la mente s’avanzi a essa dalla meditazione e dalla conoscenza di sé Chii po Ch poii ce cer aver avere e in abbo abbond anza za nella l’or l’oro o quarta de dell lla a sa sapi pien enza za de deve ve, secondo le rca suediforze, rimanere andan lungo meditazione e, lavorare molto nella costruzione del propiziatorio. È gradito infatti in questa opera chi spontaneamente offre non solo ciò che basta, ma anche più di quello che è necessario. Non potrà mai mancare l’oro a colui che insisterà con forza in quest’opera. Se ne cerchi la ragione, eccola. Quando cominci a dedicarti assiduamente alle spirituali visioni e ad assurgere per il tramite della meditazione nel tuo spirito alla contemplazione degli spiriti e cominci a confrontare in questo modo le cose spirituali tra loro, cominci tu stesso a essere spirituale, anzi, senza dubbio ti perfezionerai in questa contemplazione perché avevi già cominciato a essere spirituale nella precedente speculazione. Sai bene che l’uomo spirituale giudica ogni cosa; e quale sarà questa scie sc ienz nza a e qual quale e abbo abbond ndan anza za d’ d’or oro o pu può ò giud giudic icar are e og ogni ni co cosa sa?? No Non n sorpassa forse la nostra mente il fatto che il regno di Dio è dentro di noi? Non è forse dentro di noi anche l’oro? Ti sei forse dimenticato che il regno di Dio è come il tesoro ritrovato nel campo? Ecco da dove ti vi vien ene e l’ab l’abbo bond ndan anza za dell’ dell’or oro: o: scav scava, a, va’, va’, ve vend ndii qu quel ello lo ch che e ha haii e compera il campo e cerca il tesoro nascosto. Spendi volentieri per la libertà del cuore tutto ciò che ami e che desideri nel mondo. Comprato Comp rato il campo, campo, scava scava in profondità, profondità, con la gioia di chi scopr scopre e un tesoro.. Bisogna cercare il tesoro in profondità, poiché la sapienza vien tesoro fuori dal segreto. Ma, me misero, dove troverò l’oro per dorare l’arca, per la corona, per il propiziatorio? Non ho né oro né argento, come potrò fare tutte queste cose? Come posso procurarmi l’oro? Non so scavare e mi vergogno di mendicare. So cosa fare. Andrò da mio Padre, dal Padre della misericordia i cui doni sono perfetti, che dà abbondantemente a tutti e non rinfaccia il dono. Libero dunque al suo cospetto la mia preghiera e denuncio la mia povertà davanti a lui, e la mia mancanza d’oro: Signore tu conosci la mia insipienza e la mia sost so stan anza za è come come un null nulla a dava davant ntii a te; te; damm dammii l’in l’inte tell llig igen enza za,, o Signore, sono ricco d’oro. Custodisci l’anima mia perché sono debole, ed ho il propiziatorio che desidero. O quanta abbondanza di oro ebbe colui che poté contare sulla verità: Ho compreso al di sopra di tutti i dott do ttor ori. i. Ho co comp mprreso eso più dei dei vecc vecch hi per ercché ho cerc cercat ato o i tu tuoi oi comandamenti (Sal. 118,99-100). O quale propiziatorio aveva colui che salmodiava con fiducia al suo Signore: Mi hai protetto dalle congiure dei malvagi, dalla moltitudine degli operatori di iniquità (Sal. 63,3). Tardi certamente, ma fece pure un pr prop opiz izia iato tori rio o Paolo aolo ch che e co conf nfes essa sava va ap aper erta tame ment nte: e: No Non n so sono no consapevole nulla (1 Cor. 4,4). Senzasua il consiglio coscienza non avrebbe disaputo mondare l’anima e senza della il propiziatorio

 

aureo non avrebbe potuto conservare puri i segreti del cuore. Ma nei temp tempo o in cu cuii pers perseg egui uitò tò la Ch Chie iesa sa di Dio cr cred edo o ch che e fo foss sse e se senz nza a propiziatorio. Ma fu considerato motivo d’indulgenza il fatto che non sapeva quello che faceva e non aveva l’oro per farsi il propiziatorio. E in seguito, come poteva fare il propiziatorio quando, aperti gli occhi, non vedeva nulla? Ma dopo che ebbe riacquistata la vista dei suoi occhi (At. 9),mira divenne cheevede la sua povertà e, per il resto, volse la sua versol’uomo se stesso apprese nell’esperienza che senza dubbio il regno dei cieli è dentro di noi. Trovato il tesoro nascosto nel camp ca mpo, o, dive divenn nne e ri ricc cco o e co comi minc nciò iò a poss possed eder ere e mo molti ltiss ssimo imo or oro o e argento. In seguito egli si gloriò non tanto dell’oro quanto del tesoro:  Abbiamo questo tesoro in vasi di creta (2 Cor. 4,7). O uomo delle ricchezze, o veramente glorioso. Non era forse ricchissimo fra tutti gli uomini d’oriente costui che parlava tra i perfetti? Ma che diremo di colui che non tardi come Paolo, ma dalla sua giovinèzza si fece un propiziatorio per mezzo del quale conservò la purezza del cuore, così da dire: Non mi rimprovera il mio cuore in tutta la mia vita (Gb. 27,6)? Se tu desideri soddisfare il comando del Signore preserva con cura il tuo cuore e avrai cominciato a fare il propiziatorio come lo vuole il Signore. Guarda come Davide possa ed esserti d’esempio: meditato nella notte nel mio cuore e meditavo esaminavo il mioHo spirito (Sal. 76,7). Meditava Davide con il suo cuore. Medita tu con il tuo. Scava ques qu esto to camp campo, o, guar guarda da in te stes stesso so.. Se Senz nza a du dubb bbio io con con ques questo to insistente esercizio troverai il tesoro nascosto nel campo.

Capitolo VI Come dalla speculazione di sé ci si procura l’intelligenza delle cose spirituali o la si ritrova dopo averla perduta Per questo esercizio cresce l’abbondanza di oro, viene moltiplicata la scienza, viene aumentata la sapienza. Da questo esercizio del cuore, l’occhio viene mondato, l’ingegno acuito, l’intelligenza dilatata. Non può valutare bene nessuna cosa colui che ignora se stesso. Non sa che ogni gloria mondana giace sotto i suoi piedi colui che non pensa alle condizioni della sua dignità. Non sa nulla dello spirito angelico, non sa nulla dello Spirito divino colui che non pensa al suo spirito. Se non no n puoi puoi en entr trar are e in te stes stesso so,, come come po potr trai ai pe pens nsar are e le co cose se più più profonde di te o quelle che sono sopra te stesso? Se non puoi entrare nell prim ne primo o tabe tabern rnac acol olo, o, come come pu puoi oi entr entrar are e ne nell se seco cond ndo, o, ci cioè oè ne nell Santissimo? Se non puoi ancora fare grandi passi per salire con il Signore Gesù o almeno con Mosè sul monte altissimo, con quale presunzione ti prepari a volare verso il cielo? Torna a te stesso prima di presumere di pensare le cose che sono sopra te stesso. Il sorgere del sole rischiara l’orizzonte prima salire in alto. Persua questo si dice in Salom Salomone: one: Sale e tramonta il di sole e torna alla dimora, e

 

sempre rinasce (Eccl. 1,5). Per questo il sole torna al suo luogo per rinascere e, rinascendo, sale a poco a poco fino a toccare il vertice del cielo: Sorge e tramonta il sole e torna al suo luogo. Il sole sorge quando qua ndo l’inte l’intelli lligen genza za della della verità verità viene viene isp ispira irata ta nel cuo cuore re,, e il sol sole e tramonta quando il raggio dell’intelligenza viene sottratto. Ma dopo il tramonto il sole torna nella sua dimora per rinascere. Tale posto del sole l’anima. Dall’anima l’intelligenza viene dalla ègrazia divina. Cos’altronasce è il fatto che il solequando torni alla sua visitata dimora se non che l’intuito della mente si volge alla considerazione di sé? Dopo il tramonto il sole torna al suo luogo perché, tolta la grazia divina, l’occhio della mente ritorna alla considerazione di sé. La divina grazia si sottrae per un certo tempo perché l’uomo possa sapere che egli non è nulla, e da solo non può nulla. Ma dopo il ritorno, il sole rinasc rin asce e perché perché con la consid considera erazio zione ne del della la propr propria ia deb debole olezza zza,, la perduta intelligenza viene nuovamente attinta.

Capitolo VII L’intell ’intelligenza igenza raggiun raggiunta ta nella specula speculazione zione di sé si dilata a ogni cosa Il sole rinascendo guadagna a poco a poco le regioni più alte perché per mezzo della conoscenza di sé l’intelligenza sale alla contemplazione delle cose celesti. Ma quando è salito in alto, resta qui ben volentieri poiché viene colmato dalla gioia della stupenda visi visio one dell delle e cose ose sopr soprac acel ele esti. sti. Per que quest sto o si esp span ande de ver erso so mezzogiorno e non si volge ad aquilone. Gioconda è la regione meridiana per l’eccesso della luce e per il fervore del giorno, perché è molto bello e dolce contemplare gli ordini degli spiriti beati, che si rallegrano nella luce e nella capacità del Signore.   La regione d’aquilone non ha nulla di tutto ciò, ma è sempre nelle tenebre tenebre e dannata dannata da un continuo freddo, freddo, perché perché in tali region regionii sono so no pun unit itii i cuo cuori dei mal alv vag agi, i, fred freddi di di maliz alizia ia,, ci ciec echi hi pe perr l’ignoranza. Dunque non solo non percorre quella regione, ma poiché non è tratto da alcun desiderio verso quell’inaccessibile luogo, si volge tuttavia per vedere da lontano le cose che sono là e sappia con quan qu antta ca cau utela tela de deb bba ev evit itar arle le.. In orient iente e ab abbi biam amo o avu vutto la conoscenza dei nostri costumi e il discernimento delle virtù e dei vizi. Nel mezzogiorno contempliamo i premi dei meriti dei buoni, la gioia deii ci de citt ttad adin inii ce cele lest sti, i, i mist mister erii dei dei segr segret etii divi divini ni.. A se sett tten entr trio ione ne conosciamo la retribuzione dei meriti dei malvagi, la fine degli spiriti maligni e degli uomini reprobi. Vedi quanto sia importante per l’uomo la piena conoscenza di sé? Da questa s’avanza verso la conoscenza di tutte le cose celesti, terrestri e infernali.

Capitolo VIII

 

Dei tre sensi per i quali si svolge la conoscenza di sé Se dunque vuoi volare fino al secondo o anche fino al terzo cielo, devi passare per il primo. Lo spirito infatti scruta ogni cosa, anche la prof pr ofon ondi dità tà di Dio Dio (1 Cor Cor. 2) 2).. Se du dunq nque ue ti pr prep epar arii a sc scru ruta tarre la profondità prima alla del tuo Pravo malv ma lvag agio io èdi Dio, il cuor cuvolgiti ore e de dell ll’u ’uom omo o eprofondità impe impers rscr crut utab abil ile e spirito. (G (Grr. 17 17,9 ,9). ). eÈ imperscrutabile se non per colui che è spirituale. L’uomo spirituale giudica ogni cosa e non è giudicato da nulla perché solo gli uomini spirituali sono degni di vedere le opere di Dio e le meraviglie della sua pro pr ofo fond ndit ità. à. In qu que esta sta profo ofondit ndità à tro trover verai molte lte co cosse deg degne d’ammirazione, qui si può trovare un altro mondo, un mondo nuovo. C’è una nuova terra, un cielo e non uno solo, ma il secondo e il terzo. Ed è primo cielo quello della immaginazione, il secondo quello della ragione, il terzo quello dell’intelletto. L’immaginazione infatti tiene il posto del primo cielo, la ragione del secondo, l’intelligenza del terzo. Rispetto agli altri il primo è grossolano e corpulento, in certo modo palpabile e corporeo, perché porta con sé ciò che è immaginoso e fantasioso e mantiene le similitudini delle cose corporali. Gli altri due cieli sono in confronto a questo molto più fini e lontani dalla sua grossezza corporea. Così il cielo di fuori che noi diciamo firmamento senza dubbio è visibile e corporeo, ma è il primo e il più basso di tutti. Quello che è dunque la terra rispetto a questo cielo visibile è il senso corpor cor poreo eo ris rispet petto to al ciclo ciclo intern interno, o, fan fantas tastic tico, o, imm immagi aginar nario io.. Inf Infatt attii come questo visibile cielo comprende nella grandezza del suo seno ciò che la terra genera e nutre, così l’immaginazione racchiude le similitudini di tutto ciò che il senso tocca o desidera. Nel primo cielo sono contenute tutte le immagini e le similitudini delle cose visibili. Nel secondo si trovano le ragioni delle cose visibili e le ricerche e le definizio zioni delle cose invisi isibili li.. Al terzo sono relati ative alla comprensione comprension e e la contemplazione di tali cose invisibili.

Capitolo IX Il senso intellettuale che solo può vedere le cose invisibili L’occhio dell’intelligenza è quel senso con il quale vediamo le cose invisibili non come con l’occhio della ragione con il quale cerchiamo e troviamo le cose segrete e lontane, come, a esempio, le cause in riferimento agli effetti o gli effetti in riferimento alle cause e molte altr altre e cose cose che che co comp mprrendi endiam amo o ra ragi gion onan ando do.. Ma co come me co coll se sens nso o corp co rpor oreo eo siam siamo o so soli liti ti vede vederre invi invisi sibi bilm lmen ente te,, pr pres esen enzi zial alme ment nte e e corporalmente, così il senso intellettuale comprende le cose invisibili invisi inv isibilm bilment ente e ma prese presenzi nzialm alment ente e ed ess essenz enzial ialmen mente. te. Ma questo questo occhio a sélailvista velo dalla opacopenetrazione dei peccati enei di tutti desideriintellettuale della carneha chedavanti allontana divinii

 

segreti, se la divina degnazione non ve lo ammetta per la sua utilità o per l’altrui. Lo testimonia il Profeta che diceva al Signore:  Apri i miei occhi (Sal. 118,18). Certo dà prova con questo di avere gli occhi velati, se chiede che siano liberati dal Signore. L’anima vede dunque con questo occhio le cose che sono al di qua del velo, cioè le sue cose invisibili, le cose che sono in lei stessa, ma non tutte perché non tutte sono al di qua velo. Consel’occhio con ill’essenza quale vede cose della sua intimità nondel vede però stessa cioè dellalesua anima. Si può dubitare che con quest’occhio della intelligenza vedremo le cose che abbiamo detto essere al di là del velo o che occorra un altro occhio od un altro senso per vedere le cose invisibili di Dio? Ma chi dice che c’è un senso per le cose inferiori e un senso per quelle superiori, veda di dimostrarlo. Per questo credo, si confonde tanto spesso il senso della parola intelligenza; infatti ora si restringe il signif sig nifica icato to rif rifer erend endolo olo sol solo o all alle e cose cose superi superiori ori,, ora sol solo o alle alle cos cose e inferiori, e ora lo si riferisce a entrambe le dimensioni. Questa duplice intuizione delle cose superiori e inferiori è come la vista dei due occhi in un solo capo. Lo strumento duplice di tale senso ha un duplice effetto, e qualunque co cosa sa vo vogl iamo mo sc sceg egli ere, e, non nonin im impe pedi disc sce, e, per r éaltr altro, o,n di dirca re ch che e entr en tram ambi biglia so sono no vo volt lti i lier al cielo cielo inte telle llett ttua uale le. . Ppe erch erché non no si dica di questo cielo ha due soli, bisogna credere, come a proposito degli altri, che in questo cielo supremo la speculazione più sublime e sottile è una grande sorgente di luce, e la speculazione più bassa e meno chiara ha una luce minore.

Capitolo X La visione intellettuale e la sua sopraeminen sopraeminenza za Quest’ultimo e sommo cielo ha il suo giorno ed ha la sua notte, e se lo lo guar gu ardi diam amo, o, finc finché hé siam siamo o in ques questa ta vita vita,, av avrrem emo o la no nott tte e fino fino a quando, compiuto il suo corso, l’aurora rosseggiante abbia fugato le tenebre. Questa notte verrà illuminata come giorno perché qualunque giorno dei cieli inferiori è superato dalla chiarità di questa notte. Dio ha fatto la luna e le stelle nella potestà della notte e per questo questa notte è luce nelle mie delizie. Essa ha infatti la sua luna, cioè il luminare inferiore di cui sopra abbiamo indicato il luogo, ha le sue stelle che diffondono la loro luce in modo vario, come le diverse rive rivela lazi zion oni. i. Ma colo colorro ch che e do dorm rmon ono, o, do dorm rmon ono o nell nella a no nott tte e e no non n possono vedere le luci del cielo e non possono cantare con il Profeta al Signore: Poiché vedrò i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fondato (Sal. 8,4).  8,4).  Né potranno cantare: Nella notte mi alzerò per professarti (Sal. 118,62). Che dirò dell’uomo che invano aspetta il giorno e non vede la luce dell’aurora? Color Coloro o che sono come costui, fluisce il fuoco, saranno e non dispersi vedrancome no ilcera solche e. B eati nella coloroquale cheè caduto cantano

 

fiduciosamente al mattino di questo giorno:  Al mattino verrò davanti a, te e vedrò, poiché tu o Dio non ami l’iniquità (Sal. 5,5). Credo che alludesse al mezzogiorno di questa giornata colui che diceva al suo diletto: Dimmi dove hai la tua mensa, dove dormi nel mezzogiorno o tu che la mia anima ama (Cant. 1,6).  1,6).  Credo che volesse indicare la mattina di questo giorno colui che diceva di aver sentito un grande desiderio: al mattino (Is.lo 38,13). tragioito? tutti voi ha esultato perSperavo vedere fino questo giorno, chi ha vistoChi ed ha Certo egli è grande, chiunque egli sia. Nessuno, fino a che siamo in questa carne, credo abbia potuto raggiungere questo mezzogiorno, benché ne abbia visto l’aurora. Certo, chiunque di voi sia potuto giungere alla luce di questo giorno, quando è sorto il sole dal cielo, vedrà quanto sia dolce la verità e bello bel lo per gli occhi vedere la luce del sole. Il sole di questo giorno ha una nascita, ma non conosce il tramonto, il giorno non ha sera, benché cominci dall’aurora. Il cielo dei cieli non conosce che il giorno. Ma è meglio un giorno sulla soglia di quel cielo che migliaia di giorni nei cieli inferiori. Infatti il secondo cielo ha molti giorni e innumerevoli notti, a seconda del sorgere o del tramontare del sole. Così il primo cielo ha la sua luna in un certo tempo cielo e il suo sole conosce tramonto. MaQuando il sole einfatti la luna del terzo e ultimo stanno fissi nellail loro dimora. le luci di questo cielo sono giunte alla sommità fissano il loro corso né mai volgono al tramonto. Se dunque il regno dei cieli è dentro di noi, se possiamo trovano in noi stessi, dove sarà cercato più giustamente, più prestamente trovato, più sicuramente posseduto che in questo cielo più alto? Credo che tutte le regioni di quel regno abbondino d’oro, perché è simile il regno dei cieli a un tesoro nascosto nel campo. Se infatti cerchi con amore il tesoro della sapienza e l’oro della scienza, dove potresti trovarne maggiore abbondanza se non in questo ques to cielo più alto? Dove potrebbe potrebbe meglio risp risplende lendere re la luce della sapienza che nella immagine sua, nella sua opera più perfetta, cioè nella nel la cr creaz eazion ione, e, nella nella reden redenzio zione, ne, nella nella glo glorif rifica icazio zione ne dell’a dell’anim nima? a? Dalla visione di queste cose si può vedere quale sia quella sublimità dello spirito angelico e quella grandezza sopraeminente dello spirito divino. In nessun luogo appare più vicina, né si vede più chiaramente che da queste altezze quale sia la suprema ed eterna beatitudine dei cittadini del cielo. In nessun luogo meglio che da questo altissimo cielo lo spirito che vuole indagare vede le invisibili altissime cose di Dio, che vengono intese per mezzo delle cose che sono state fatte. In nessun luogo da lui creato appare più sublime la sua potenza, più mira mi rabi bile le la su sua a sapi sapien enza za,, pi più ù li liet eta a la su sua a mi mise seri rico cord rdia ia ch che e nell nella a creazione, redenzione, glorificazione dell’anima. Puoi vedere da dove tu possa trarre quella abbondanza di oro che ti ho promesso prima, cioè come tu possa sollevarti dalla considerazione e dalla conoscenza dello spirito tuo alla conoscenza e alla contemplazione dello spirito angelico e dello spirito divino.

 

Capitolo XI La triplice distinzione della quarta speculazione Poiché sappiamo già dove possiamo trovare abbondanza d’oro per una così grande opera, vediamo cosa il Signore ci ordina quanto alla lunghezza e alla larghezza delche propiziatorio, e perché tacerà della sua alt altezz ezza. a. Se oss osserv erviam iamo o la nat natur ura, a, pot potrremo appre apprende ndere re com come e dobbiamo avviarci all’indagine nella dimensione spirituale. Vediamo certo nelle cose esteriori che ogni grandezza corporea comincia dalla lunghezza, cresce in larghezza, si compie in altezza. La lunghezza del propiziatorio, se non sbaglio, designa quelle cose che riguardano, l’inizio nella natura spirituale. La larghezza, poi designa quelle cose che riguardano il miglioramento, e l’altezza quelle che riguardano il compimento. Secondo queste tre cose che abbiamo detto possiamo fare nelle essenze spirituali una triplice distinzione dei doni divini. Innanzitutto la creatura spirituale è creata perché esista. In secondo luogo viene giustificata giustificata perché sia buon buona. a. In terz terzo o luogo è glori glorificat ficata a perché beata. Per la zion creazione dunque viene al zzo bene. Per me mezz zzo o sia dell della a gi gius usti tifi fica cazi one e vi vien ene e migl miglio iora rata ta;; avviata pe perr mezz me o dell de lla a glorificazione viene perfezionata nel bene. Il bene della creazione è per l’inizio, il bene della giustificazione per il miglioramento, il bene dell de lla a glor glorif ific icaz azio ione ne pe perr la pe perf rfez ezio ione ne.. I pr primi imi be beni ni so sono no do doni ni de dell Creatore, i secondi sono doni del Creatore e meriti della creatura, i terzi sono doni del Creatore e premi della creatura, perfezione dei doni, retribuzione dei meriti. I primi beni riguardano la lunghezza, i secondi riguardano la larghezza, gli ultimi l’altezza. Nei primi infatti la creatura razionale viene avviata alla perfezione della pienezza futura. Nei secondi migliora, cresce e si dilata. Negli ultimi poi viene innalzata alla gloria e in essa perfezionata.

Capitolo XII La distinzione all’interno di questo primo grado della contemplazione Vediamo dunque la lunghezza del propiziatorio che deve essere di due cub cu bit itii e mezz mezzo o. Quand uando o pens ensia iam mo, inda indag ghi hiam amo, o, dis iscu cuti tiam amo o, distin dis tingui guiamo amo i beni beni spirit spiritual ualii della della nostr nostra a cr creaz eazion ione e che abbiam abbiamo o sopra indicato, allora curiamo il nostro propiziatorio, quanto alla sua lunghezza, e gli diamo una certa misura. Nel far questo propiziatorio, occo oc corrre tene tenerr pres presen ente te una una trip tripli lice ce dist distin inzi zion one. e. Da Dall lla a st stes essa sa cond co ndiz izio ione ne de dell lla a sua sua crea creazi zion one, e, è na natu tura rale le,, pe perr og ogni ni cr crea eatu tura ra razionale, conoscere, il volere. alla Pensa dunque quanto necessario,l’essere, quanto èil giusto e conveniente bontà divina, dare èil

 

discernimento del bene e del male a una creatura così degna, a una natura così eccellente e insieme concedere la libertà d’arbitrio, così che il bene sia volontariamente ricevuto nel rendimento di grazia. Quando ti affatichi in questa discussione, lavori alla fabbricazione del tuo tu o pr prop opiz izia iato tori rio o. Sc Scru ruta tarre, cont contem empl plar are, e, am ammi mira rarre la libe libert rtà à dell’arbitrio, il discernimento nel giudizio e la sublimità dell’essenza, fare tutto ciò è costruire tuosua propiziatorio l’ordine la misura opportuna quanto ilalla lunghezza. secondo Mi meraviglio se enon t’accorgi quanto sia utile e necessaria l’assidua considerazione di tutto ciò. La mente infatti viene infiammata, illuminata, consolidata nel bene.

Capitolo XIII Come nel primo grado di questa contemplazione la mente debba esercitarsi: il valore di tale esercizio Pen ensa sa spes spesso so e con con forz forza a ri rice cerrca dilig diligen ente teme ment nte e la vo volo lont ntà à no non n soltanto tua, ma anche degli altri, per vedere se è buona o malvagia. Conosci come è la tua, perché tu sappia correggerla e anche tu conosca ciò di cui devi ringraziare. Medita sulle anime dei perfetti e anche dei malvagi, affinché da una opportuna considerazione risulti chiaramente che cosa convenga imitare od evitare. Guarda che cosa conosc con osci, i, con consid sidera era che cos cosa a ignori ignori.. Conosc Conoscii quanto quanto tu sop soprav ravanz anzii nell’ingegno lo spirito dei bruti e quanto tu sottostia nell’intelletto agli spiriti angelici. Se guardi quanto precedi il bruto nel valore e nel senso, canterai nei tuoi precordi: Benedirò il Signore che mi ha dato l’intelletto (Sal. 15,7).  15,7).  Se pensi all’intelligenza angelica, proclamerai: Signore conosci la mia ignoranza (Sal. 68,6). È dunque utile e necessario che io mediti sulla mia ignoranza, per sapere che cosa mi manca, e per dire col beato Giobbe: Se ignoro qualcosa, istruitemi (Gb. 6,24). Ma quando guardo in me stesso in che modo o quanto spesso mi ha manifestato i segreti della sua sapienza, l’anima mia magnifica il Signore che ci ha dato una conoscenza al di sopra degli uccelli e dei giumenti, perché egli stesso è colui che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Vedi certa mente quanto siano utili queste due considerazioni, cioè porre l’attenzione all’affetto della volontà razionale e al senso della ragione. Ma che dirò della terza considerazione nella quale ammiriamo e contempliamo l’es l’esse senz nza a dell’ dell’an anim ima, a, la natu natura ra dell dell’e ’ess ssen enza za e l’ec l’ecce celle llenz nza a de dell lla a natura nat ura?? Cr Credo edo che l’e l’espe sperie rienza nza pos possa sa ins insegn egnar are e a cia ciascu scuno no come come ques qu esta ta sp spec ecul ulaz azio ione ne poss possa a sost sosten ener ere e l’an l’anim ima a co cont ntrro il vizi vizio o e soll so llec ecit itar arla la al be ben ne. Cono Conosc sci, i, o uomo uomo,, la tua digni ignità tà,, me med dita ita sull’eccellenza della natura della tua anima, come Dio l’abbia fatta a sua immagine e somiglianza, come l’abbia sopra ogni creatura corporea e comincerai ad ammirare comeposta l’inclita vergine figlia di

 

Sion sia, venuta dal cielo, e allora comincerai a cantare: Che cosa ho nel cielo e che cosa ho voluto sulla terra? (Sal. 72,25). Qual Qu ale e mera meravi vigl glia ia,, se ne nell ri rico corrdo dell della a mi mia a cr crea eazi zion one e e da dava vant ntii all’anima mia, mi coglie un senso di confusione? Chi non si vergogna di avere asservito al corpo la signora del mondo, la cittadina del cielo, la diletta di Dio, di averla prostituita agli spiriti immondi, d’averla tenuta a lungochiunque sotto il giogo dellaalla servitù, nei desideri dellaavrà carne? Si meraviglierà penserà sua anima, quando posto attenzione a che cosa è e a che cosa avrebbe dovuto essere. Viene di qua che si meraviglia del suo stato e di come è fatta, quasi signora delle genti, vedova, donna di provincia, caduta sotto il tributo. Credo che abbia voluto chiamarci a questa considerazione colui che disse: Che cosa è, Israele, che ti tiene nella terra dei nemici, per cui sei invecchiata in una terra straniera, ti sei contaminata con i morti, ti sei  posta accanto a loro che sono nella fossa? (Bar. 3,10-11). In questa triplice considerazione, dobbiamo, come s’è detto, portare a termine,il propiziatorio quanto alla sua lunghezza.

Capitolo XIV L’indicazione di quelle cose che non possono essere comprese in questo grado della speculazione Nella Nell a pr prim ima a e nell nella a seco second nda a cons consid ider eraz azio ione ne hai hai alla allarg rgat ato o la tu tua a conoscenza fino a un cubito, ma nella terza non ti è possibile. Dove in infa fatt ttii pu puoi oi trov trovar are e un uno o stru strume ment nto o idon idoneo eo pe perr ciò ciò ch che e occo occorrre conoscere, quivi senza dubbio raggiungi un cubito di rara certezza, perché puoi conoscere con l’esperienza la cosa. La tua scienza cresce a un cubito pieno, quando raggiunge per mezzo dell’esperienza la certezza. Ma l’esperienza a chi non insegna che cosa vuole o può conoscere? Non si può forse leggere nel proprio cuore? Ignori forse che ch e vu vuoi oi infi infini nite te cose cose,, non non vuoi vuoi infi infini nite te altr altre e co cose se,, ch che e co cono nosc scii innumerevoli cose e non ne conosci innumerevoli altre? Ma forse come vedi la tua volontà, come conosci il tuo pensiero, puoi anche vedere o conoscere la sostanza della tua anima? Chi, posto ancora in questa carne, ha visto o ha potuto vedere nella sua purezza qualsiasi sostanza spirituale? Senza dubbio l’intelletto umano è sotto questo aspetto cieco dalla nascita ed è necessario pregare ogni giorno il Signore:   Illumina i miei occhi (Sal. 12,3). Certo se qualcuno ha potuto vedere le cose spirituali che sono in questa corruttibile carne, fu cond co ndot otto to nel nel tras trasce cend ndim imen ento to sopr sopra a se st stes esso so,, pe perr il fatt fatto o che che l’intelletto umano ha visto il suo fine non per una propria volontà, ma perrché pe ché si è tras trasce ceso so pe perr mezz mezzo o di un una a divi divina na rive rivela lazi zion one. e. Ma qual qu alun unqu que e co cosa sa in ques questo to mo modo do l’ l’um uman ana a es espe peri rien enza za ha po potu tuto to to tocc ccar are, e, è ch chia iarro che che ciò ciò ri rigu guar arda da no non n ques questo to ge gene nerre de dell lla a co conntemplazione, un genere diverso. Per il tuo ingegno inma questa considerazione, perquanto quantotutuabbia abbiaesercitato proseguito

 

la tua ricerca, per quanto tu abbia dilatato in questo il tuo senso, non potrai estendere la tua conoscenza a un cubito pieno.

Capitolo XV Non dobbiamo trascurare nemmeno comprendiamo se non Inquelle partecose che non Molte Molt e sono sono le cose cose che che poss possia iamo mo ac acco cogl glier iere e da dall’ ll’au auto tori rità tà de dell lle e Scritture o provare con la testimonianza della ragione, che riguardano le proprietà dell’essenza spirituale. Cerchiamo dunque di sapere come e quanto possiamo conoscere, benché non sia possibile estendere la conoscenza fino a un cubito. E poco ciò che si può conoscere, ma molto mol to import important ante. e. Poco qua quanto nto alla alla defini definitiv tività ità,, mo molto lto qu quant anto o alla utilità. Non trascurare quello che puoi sapere di questo cubito, benché tu non lo possa mai portare al colmo. Per tacere delle altre cose che riguardano questa speculazione, in qual danno tu incorri, se ignori l’immo l’immorta rtalit lità à dell’a dell’anim nima? a? Se inf infatt attii non si cr crede ede nel nell’im l’immo morta rtalità lità dell’anima, si preparerà prepar erà concupiscenza? alla retribuzione retribuzioneChi futura? Chi frenerà la sua vita per nonchi seguire la sua renderà soddisfazione dell de lle e of offe fese se comp compiu iute te?? Ch Chii si avvi avvier erà à a gr gran andi di op oper ere? e? Chi Chi av avrà rà pazienza tra le molte difficoltà dei flagelli divini, se non crede nella vita vit a fut futura ura?? Tutto utto que quello llo che si dice dice del della la reden redenzio zione ne del gen gener ere e umano, tutto quello che si crede sui divini sacramenti, ciò che viene insegnato dalle divine istituzioni, quello che si attende dalle divine prom promess esse, e, tut tutto to ciò viene viene dis distr trutt utto, o, se si dis disper pera a del dell’i l’immo mmort rtalit alità à dell’anima. Se per questa vita soltanto speriamo in Cristo, siamo i più mise mi seri ri di tu tutt ttii gl glii uomi uomini ni.. Ecco Ecco ab abbi biam amo o lasc lascia iato to ogni ogni co cosa sa per per seguirlo, ma che cosa avremo se i morti non risorgono? Perché ci mortifichiamo per lui tutto il giorno, se non possiamo sperare da lui la corron co ona a di gi gius usti tizi zia, a, se la mort morte e de dell ll’u ’uom omo o è de defi fini niti tiva va,, e la su sua a condizione è uguale a quella delle bestie? Che vantaggio ne avrò per aver fatto grandi opere di sapienza e di giustizia? Non fanno forse megl me glio io co colo lorro che che ma mang ngia iano no e bevo bevono no e pa pass ssan ano o i lo lorro gior giorni ni nell ne ll’a ’all lleg egri ria, a, ba banc nche hett ttan ano o ogni ogni gio giorrno nel nel luss lusso, o, di qu quel elli li ch che e si mortificano tutto il giorno? Non è meglio forse andare alla casa dei banchetti, piuttosto che alla casa del lutto, se dopo questa vita l’uomo non ha nulla più delle bestie? Perché non vado per annegarmi nei piaceri, per godere di tutti i beni, se i morti non risorgono? Per Perché ché non ascolt asc oltiam iamo o vol volent entier ierii quella quella voce: voce: Man Mangia giamo mo e bev beviam iamo, o, dom domani ani infatti saremo morti (1 Cor Cor.. 15,32) 15,32)?? Vedi cer certam tament ente e qua quanti nti mal mali. i. veng ve ngon ono o se si du dubit bita a dell dell’im ’immo mort rtal alit ità à de dell ll’a ’ani nima ma.. No Non n dobb dobbia iamo mo affatto disprezzare quello che possiamo fare di questo cubito, benché non no n lo pos possia iamo mo co colm lmar are. e. Da qu ques esta ta tripli iplice ce con consi sid deraz erazio ione ne dell’essenza spirituale e dalla considerazione del suo discernimento e della sua volontà, si inizia l’opera del viene realizzato in una certa dimensione. Chi nostro dunquepropiziatorio ha esercitatoe la sua

 

anima anim a nella ella con consi sid der eraz azio ion ne di ques ueste co cose se,, ha co com mplet pletat ato o il prop pr opiz izia iato tori rio o quan quanto to al alla la sua sua lu lung nghe hezz zza. a. Si è de dett tto o or oram amai ai de dell lla a lunghe lun ghezza zza del propi propizia ziator torio, io, ora vol volgia giamoc mocii alla alla ric ricer erca ca della della sua larghezza.

Capitolo XVI La distinzione all’interno del secondo grado di contemplazione Ciò che abbiamo detto fin qui in ordine all’inizio dell’opera riguarda la lunghezza del propiziatorio. Ma il nostro bene, che comincia dalla creazione, viene dilatato dalla giustificazione e con ciò si mostra che esso è relativo alla larghezza del propiziatorio. L’opera nostra infatti non può essere compiuta senza entrambe le dimensioni. Non può essere mai portata alla perfezione, se il Creatore non coopera con la cr creat eatur ura. a. Il Cr Creat eator ore e potre potrebbe bbe certam certament ente, e, se vol voless esse, e, com compie piere re perfettamente così potuto tante e co così sì gr gran and di l’opera cos cose dda al se nulla ulstesso, la,, quan quando docome lo hahavo volu luto to.. creare Ma no noi, i, se pres pr esum umia iamo mo dell delle e nost nostrre forz forze e e la lavo vori riam amo o se senz nza a il su suo o aiut aiuto, o, ci affatichiamo invano. Lo dice Cristo nel Vangelo: Senza me non potete far nulla (Gv. 15,5).  15,5).  Perché Egli è colui che opera in noi e rende  perfetta la buona volontà (F (Filip. ilip. 2,13). Che cosa infatti potrò potrò da me stesso senza lui, se non posso nemmeno dire: Signore Gesù, al di fuori dello Spirito Santo (1 Cor. 12)? Egli è dovunque o opera tutto in tutti, secondo la sua volontà dà a ciascuno il suo (ibid). D’alt D’altra ra part parte e nell’opera nell’o pera della nost nostra ra gius giustifica tificazione zione,, richi richiede ede il nost nostro ro volontari volontario o consenso colui che dice: Se mi vorrete e mi ascolterete, mangerete i frutti della terra (Is. 1,19).  1,19). Quest’opera è affidata al libero arbitrio: Se il mio popolo mi avesse ascoltato, se Israele avesse camminato nelle mie vie, avrei umiliato i suoi nemici e avrei posto la mia mano su chi l’avversa (Sal. 80,14-15).  80,14-15).  Se infatti noi non facciamo nulla per questa opera, invano invochiamo il suo aiuto. Altro è fare, altro è aiutare. Che sign signif ific ica a in infa fatt ttii ai aiut utar are, e, se non non la lavo vora rarre co con n colu coluii ch che e op oper era? a? Comprese di averlo come coadiutore nel bene colui che disse: Mio aiuto e mio liberatore sei tu, o Signore, Si gnore, non indugiare (Sal. 69,2). Ogni giorno chiediamo il suo aiuto e diciamo nelle orazioni quotidiane:  Aiutaci tu, o Signore, che ci dai la salvezza (Sal. 78,9). È chiaro che quest’opera è resa perfetta nelle due dimensioni, perché il Creatore opera ope ra ins insiem ieme e all alla a sua cr creat eatur ura. a. L’oper L’opera a dun dunque que sca scatur turisc isce e dalla dalla volontà individuale e dalla grazia divina. Invano ci si affatica nella prop pr opri ria a libe libert rtà, à, se no non n si è sor sorretti etti da dall ll’a ’aiu iuto to divi divino no.. La no nost stra ra gius giusti tifi fica cazi zion one e vi vien ene e reali ealizz zzat ata a sull sulla a ba base se di un una a in indi divi vidu dual ale e deliberazione e insieme dell’ispirazione divina. Volere solo cose giuste è già essere giusti. Siamo chiamati ingiusti per la nostra sola volontà, benché siamo aiutati in duegiusti modi.o In due modi Dio collabora

 

con noi, interiormente ed esteriormente. Interiormente per mezzo di una segreta ispirazione, esteriormente per mezzo delle sue manifeste opere. Ma questa cooperazione, che si realizza esteriormente, non rig igua uarrda il gene generre di co con ntemp templa lazi zio one, per erch ché é occ cco orre far fare il prop pr opiz izia iato tori rio o di oro oro puro puro e tale tale oro oro è la sp spec ecul ulaz azio ione ne ne nell lla a pu pura ra intelligenza. Riassumendo, due sono le cose per mezzo delle quali si realizza il nostro propiziatorio, cioè la nostra personale volontà einlalarghezza divina ispirazione.

Capitolo XVII Nel secondo grado di contemplazione vi sono alcune cose che non possono essere comprese Abbiam Abbi amo o impa impara rato to ch che e co cosa sa sia sia la de deli liber beraz azio ione ne ne nell qu quot otid idia iano no esercizio e non possiamo dubitarne dopo tanta esperienza; per questo abbiamo esteso la nostra conoscenza sotto tale aspetto fino a un cubito. Ma chi può comprendere, fino a che siamo in questa vita in che v olonmodo tà vela rsograzia il bdivina ene? Pvisiti er qiluacuore nto cei solleciti sforziameo ispiri in qlauesua sta considerazione, non possiamo estendere la nostra conoscenza a un cubito perfetto. Come l’umana intelligenza potrebbe comprendere il modo della divina ispirazione, quando il Signore stesso nel Vangelo parla dell’incomprensibilità di tale cosa? Lo spirito - dice - spira dove vuole, ne odi la voce, ma non sai donde venga né dove vada (Gv. 3,8). Veniamo ammaestrati dunque intorno all’aiuto della grazia divina, per mezzo della autorità delle Scritture, che noi stessi sperimentiamo, nelle deficienze della nostra debolezza e nel chiaro effetto del suo ai aiut uto o. Per ques questo to mo moti tivo vo ci vi vien ene e so sott ttra ratt tta a la gr graz azia ia,, affi affinc nché hé la debolezza umana, che non può fare da sé stessa nulla di bene, insegni all’uomo a riconoscere di non potere nulla senza Dio. Per questo la grazia che è stata sottratta viene nuovamente concessa, affinché riconosciamo, per il suo effetto, che cosa possiamo essere per il dono di Dio. Perché mai ora possiamo, ora non possiamo fare una stessa cosa, se non perché ora abbiamo, ora non abbiamo l’aiuto della del la grazi grazia? a? È chiar chiaro o dunque dunque che non possia possiamo mo affatt affatto o dub dubita itare re dell de ll’a ’aiu iuto to de dell lla a graz graziia di divi vin na, bench enché é non po poss ssia iam mo affa affatt tto o comprendere come essa ci aiuti. Non possiamo dunque estendere l’opera della nostra considerazione fino a un cubito, perché la nostra intelligenza in tale ricerca non può giungere fino alla meta di una perfetta comprensione. È chiara dunque la ragione per la quale la larghezza del nostro propiziatorio non si estende a due cubiti, ma abbia secondo il comando divino la misura di un cubito e mezzo. Se dunque hai esercitato la tua anima in queste due considerazioni, hai compiuto in modo opportuno il tuo propiziatorio quanto alla larghezza.

 

Capitolo XVIII La prima e la seconda distinzione di questa contemplazione e le loro differenze Nessuno crede lalont stessa abbiamo sopr so pra a in indi dica cato to che su sull lla asiavolo vo ntà à e considerazione qu ques esta ta ch che e abbi abquella biam amo oche rife riferi rito to alla alla larghezza, intorno alla deliberazione. Infatti a quella riguarda ciò che si compie nella mente per la sola opera della natura, a questa invece ciò che in essa si compie in ragione della sua attività. Alla prima riguarda qualsiasi forza naturale dell’anima, a questa qualsiasi virtù conq co nqui uist stat ata a con con l’ l’im impe pegn gno o. A quel quella la infi infine ne so sono no relat elativ ivii i mo moti ti dell’animo che sono naturali, a questa i moti dell’animo che sono modera mod erati ti dalla dalla ragion ragione. e. Per questo questo sia siamo mo soliti soliti chi chiama amare re vol volont ontà à quella forza dell’anima che genera tanti affetti, variandoli in diversi modi. Similmente chiamiamo volontà il moto e, per così dire, l’atto dell de llo o st stru rume ment nto, o, e lo stes stesso so vo vole lerre. Ma non non è chia chiama mato to vo volo lont ntà à solamente il moto naturale dell’anima, ma anche ciò che viene da una deliberazione consenso la mancanza parole ci costringe ora adel dilatare, ora adell’anima. restringereMa il significato loro,divariandolo a se seco cond nda a dell della a nece necess ssit ità. à. Ma per per dist distin ingu guer ere e be bene ne che che co cosa sa dobb do bbia iamo mo ascr ascriv iver ere e a ques questa ta co cons nsid ider eraz azio ione ne,, og ogni ni co cons nsen enso so dell’anima e tutto ciò che deriva dal consenso dell’anima riguarda questa considerazione, così come il senso e qualsiasi moto dell’anima che sia contrario al consenso o al di fuori del consenso è relativo alla considerazione della lunghezza. Il bene della creazione, come sopra si è de dettto to,, deve deve es esssere ere cons consid ider erat ato o nell nella a lung lunghe hezz zza a de dell no nost strro propizia pro piziatorio torio;; il bene della giustificaz giustificazione ione deve esser essere e cons considera iderato to nella sua larghezza. Sappiamo che qualunque cosa è nell’anima al di fuori del consenso non può giustificare l’uomo. Riguarda dunque la prima considerazione riflettere sui beni dei quali la mente umana gode o di cui prova mancanza. Alla seconda considerazione riguarda la conoscenza dei beni che la mente ha per la sua virtù o che non può ancora avere. Credo che sia facile sia vedere che conoscere quanto sia sia ut util ile e e nec necessa essarria la fam famil ilia iari rità tà co con n tali ali co cons nsid ider eraz azio ioni ni e contemplarne sovente i motivi essenziali, palla prima considerazione l’uomo conosce a quali beni è naturalmente idoneo, e a quali mali egli sia inclinato, come debba fortemente cercare gli uni e come debba vigila vig ilare re insist insistent enteme emente nte contr contro o gli altri, altri, con quali quali ese eserrcizi possa possa migl mi glio iora rarre, da qu qual alii vi vizi zi poss possa a es esse serre co corrrot otto to.. Nell Nella a se seco cond nda a considerazione poi l’uomo comprende a quali colpe sia sottomesso e quali siano i suoi meriti e quali pene, quali premi debba aspettare, e quanto ogni giorno guadagni o perda, con quanta attività dell’anima egli si dia da fare per distruggere il male passato, per evitare quello presente, per prevenire quello futuro, con quanta costanza d’animo cerchi di recuperare il bene perduto, di custodire il bene posseduto. È una visione gradita, buona e piena edimoltiplicare letizia, secondo la

 

prima considerazione ricercare teoricamente le qualità dell’anima, i suoi pensieri e i suoi affetti; e ammirare tutto ciò. È una speculazione mag agn nif ific ica a e un gran andi disssim imo o dil ilet etto to aver avere e da dav van anti ti agli gli occ cchi hi,, conformemente alla seconda speculazione, tante virtù dell’anima e tant anti suo suoi eser serci cizi zi,, e tan tante sue sue ri rice cerrch che e e tan tanti su suoi oi mer erit itii e contemplare a lungo tutto ciò.

Capitolo XIX Non possiamo comprendere comprendere con nessun senso le cose che riguardano la terza definizione Ma è degno di considerazione il fatto che il’ Signore ha taciuto intorno all’al all ’altez tezza za del nostr nostro o propi propizia ziator torio, io, men mentr tre e ha ind indica icato to con tanta tanta precisione la lunghezza e la larghezza. Si è dimostrato sopra che riguardano questa considerazione le cose relative alla glorificazione, così come quelle relative alla giustificazione riguardano la larghezza. Ma quale uomo può comprendere la misura della nostra glor glorif ific icaz azio ione ne?? Chi Ch ha potu povita tuto to l’uomo sper sperim imen enta tarrpuò e inavere sé onemmeno negl neglii altr altriuna i la glorificazione? In iquesta non ar argom goment entazi azione one idonea idonea intor intorno no a essa essa né può spe sperim riment entarl arla. a. Per questo non è prescritta alcuna misura all’altezza dell’opera, perché il modo della nostra glorificazione non può essere compreso da nessuno deii nost de nostri ri se sens nsi. i. E cert certo o il prop propiz izia iato tori rio o deve deve av aver ere e un qual qualch che e spessore, ma non è confrontato con le altre dimensioni. Così abbiamo la certezza, sulla base della fede, della nostra glorificazione, benché non possiamo intenderne con l’intelligenza la quantità e la qualità. Ma l’umana avidità stima poco o niente affatto tutto ciò che non può provare con l’esperienza. Sappiamo che dopo la piena purificazione della del la cos coscie cienza nza,, dopo dopo molti molti eser esercizi cizi di giu giusti stizia zia,, la men mente te uma umana na comincia talvolta a sperare ciò che prima poteva a stento credere e in questo modo la misura del nostro propiziatorio sale in alto ed esso diventa solido. Credo che riguardi la solidità ditale propiziatorio il fatto che la mente comincia a gloriarsi nel Signore e a rallegrarsi non poco per la valida testimonianza della coscienza tanto da osare di dire: La nostra gloria è questa, la testimonianza della coscienza (2 Cor. 1,12).  Tu  Tu poi, se vuoi che il tuo propiziatorio propiziatorio salga in alto fino al punto di diventare già in questa vita convenientemente solido, non desistere mai, non riposare riposare mai, fino a quando quando tu non abbia ottenuto il pegno, per così dire di quella pienezza, fino a quando tu non abbia ricevuto le primizie dell’eterna felicità, fino a quando tu non abbia cominciato a gustar gus tare e la dol dolcez cezza za della della div divina ina soa soavit vità. à. Voll olle e ani animar marci ci a que questo sto desiderio desid erio colui che disse: disse: Gustate e vedete come è buono il Signore (Sal. (Sa l. 33, 33,9). 9).   Cr Cred edia iamo mo ch che e il tuo tuo prop propiz izia iato tori rio o ab abbi bia a un una a ce cert rta. a. grossezza se già hai gustato quanto é dolce il Signore. Ma per quanto tu sia cresciuto in questa grazia rispetto e avanzato in essa devi sempre stimano poco e ritenerlo un niente alla grandezza della futura

 

felicità. Questo è ciò che la Scrittura sacra indica tacitamente, non dicendo nulla dell’altezza del propiziatorio; col suo silenzio parla più chiaramente e suggerisce molto meglio, poiché qualunque cosa la ment me nte e umana ana fi finc nch hé è in ques questta vita vita pu può ò comp comprren end der ere e de dell lla a abbondanza della soavità interiore, deve stimarlo un niente. Tacendo parla chiaramente, perché non ritiene di doverci apertamente istruire sulla misura dell’opera che la debolezza umana in questa vita può appena iniziare.

Capitolo XX Come questo genere di contemplazione possa essere diviso in cinque gradi e le cose che sono relative al quinto grado Ma poiché abbiamo distinto quella prima considerazione che riguarda la lunghezza in tre parti, e la seconda che riguarda la larghezza in due parti, possiamo suddividere tutto questo genere di contemplazione a sua volta in gradi. Nel primo grado questa contemplazione co cons nsid ider eria iamo mocinque le co cose se ch che e ri rigu guar arda dano no ladiqu qual alit ità à de dell ll’a ’ani nima ma o le proprietà della sua essenza. Consideriamo cioè il fatto che la vita sia perpetua e non possa essere estinta da nessuna pena e da nessun tormento, il fatto che non solo essa può vivere in eterno, ma può anche animare alla vita e alla sensibilità il corpo, il fatto che non ha bisogno di nessun sostentamento, che sussiste eternamente senza aiuto, come si è diffusa per tutte le membra del corpo pur essendo una e semplice ed essenza individua, non composta di parti; e come essa sia in tutto il corpo come in un suo mondo, dovu vun nque interamente, così come Dio si trova interamente dovunque in ogni creatura sua; come in quel suo mondo muova e disponga ogni cosa secondo la sua sola volontà, così come nel mondo Dio regge ogni cosa col solo cenno della volontà, Egli che ha creato ogni cosa con il medesimo atto di volontà. Troverai in questa contemplazione molte altre cose degne di considerazione che non possono essere indagate senza ammirazione, né ammirate senza letizia. Qual meraviglia se troveremo nello spirito razionale molte cose stupende, poiché è la creatura più alta di Dio, fatta a sua immagine e somiglianza? Poiché Dio è ammirabile nelle sue opere, grande e lodevole in tutto il suo splendore, dove apparirà meglio l’altezza della sua virtù, che nella sua imm immagi agine, ne, cio cioè è nel nella la sua sim similit ilitudi udine? ne? Sen Senza za dubbio dubbio l’a l’atti ttivit vità à dell de ll’O ’Onn nnip ipot oten ente te Crea Creato torre, ch che e ap appa parre am ammi mira rabi bile le dovu dovunq nque ue,, si manifesta in ciò singolarmente splendente.

Capitolo XXI La considerazione di ciò che riguarda il secondo grado

 

Nel secondo grado di questa contemplazione si considera ciò che riguarda la conoscenza, o può servire allo studio della verità, e tutto ciò che concorre ad aumentare la scienza. In questa considerazione gi giu ustam stamen ente te amm mmir iria iam mo la mo mobi bili lità tà de dell pe pen nsi sier ero o, la ag agil ilit ità à d ell’immaginazion io e, l’acudella me memoria, dell ll’’ingela gno, no , le dell’intelligenza, capacità di discernimento, lencapacità vivacità e ogni cosa che susciti stupore e sia degna di ammirazione. Chi infatti può stimare e pensare degnamente, chi non si intimorisce nell’ammirazione di tale considerazione, se pone attenzione a quale sia la grande mobilità del pensiero umano, quale sia la sua velocità instancabile, che passa dialetticamente tra infiniti elementi, che non sosta in nessun momento, che attraversa così vasti spazi e così lunghi periodi di tempo con grande velocità, e quanto sia facile il passaggio e agile il discorso dalle cose supreme alle infime, dalle prime alle ultime e viceversa? Ma che diremo della agilità dell’immaginazione, che cosa potremo dirne degnamente, se essa rappresenta con tanta velocità un’immagine delle cose che suggerisce? Tutto Tutto ciò che l’anima asco as colt lta, a,gina tutt tuzion tto o eci ciò òlo che chra e ppr conc co ncep epis isce ceim da de dent ntr roente col co solo lo pens nsie ierrna o, l’im l’imma magi nazi one rapp resen es enta ta imme medi diat atam amen tel so se senz nza ape alcu alcuna difficoltà e ricerca le forme di qualsiasi cosa. È straordinario avere un’immagine con un colpo d’occhio di tante cose così grandi in un attimo e con la medesima facilità cancellarle dalla mente o variarle in modo multiforme, in diversi modi. L’anima per mezzo dell’i del l’imma mmagin ginazio azione ne ogni ogni gio giorn rno o crea crea un nuovo nuovo cielo cielo e una nuova nuova terra, secondo la sua volontà, e in quel mondo fantastico, quasi fosse un altro altro cr crea eato torre, po pone ne in ogni ogni mome moment nto o a su suo o arbi arbitr trio io infin infinit ite e cr crea eatu turre. Ci Cio ono non ndi dim meno eno, se pon onia iamo mo atte atten nzio zione all’ all’ac acu ume dell’ingegno troveremo assai presto che cosa dobbiamo ammirare in esso. Vedi che molte cose, anzi infinite, possono essere comprese dall’i dal l’inge ngegno gno umano, umano, ben benché ché non possan possano o esser essere e col colte te da nes nessun sun senso corporeo. Vedi come quell’acume dell’ingegno umano ricerchi solitamente cose profonde e penetri nelle segrete e svolga e illustri, manife man ifesta stando ndole, le, le cose cose com comple plesse sse,, confus confuse, e, os oscur cure e e pos poste te nelle nelle tenebre. L’intelletto entra nei segreti regni della natura nascosta e si accosta ai reconditi recessi con la sottigliezza della sua vivacità; in essi es si erom erompe pe e li attr attrav aver ersa sa,, cer cercand cando o se semp mprre di pe pene netr trar are e più più addentro e di salire più in alto. Guarda quante discipline scientifiche abbi ab bia a trov trovat ato, o, quan quante te ar arti ti abbi abbia a for formato mato e co comi minc ncer erai ai allo allora ra a meravigliarti e nell’ammirazione a smarrirti. Così ti accadrà se ti volgi a considerare la capacità della memoria e la sua ampiezza, perché la troverai senza dubbio ammirabile. Immensa è l’ampiezza del suo seno che comprende nel suo ambito tante sostanze, tante forme, tanti generi di cose, tante specie, tanti individui, tante proprietà, tante qualità, tante quantità, tante azioni e passioni, gli stati, i luoghi e tutto ciò la memoria e custodisce o ripresenta, dopo averlo a lungo custodito.nasconde Pensa quali siano le stanze del tesoro, come siano

 

numerose numer ose,, lar larghe ghe,, ampie, ampie, profo profonde nde,, alte, alte, se posson possono o racco raccogli glier ere e i tesori di tanta scienza, le gemme della sapienza, custodendo tutto senza sen za confon confonder dere. e. È indubb indubbiam iament ente e ammir ammirabi abile le la cap capaci acità tà del della la memoria, ma non meno ammirabile la vivacità dell’intelligenza. Si può comprendere la sua ammirabile grandezza da ciò che si è detto prima; infatti qualsiasi cosa è raggiunta dal senso, viene generata dal pensie pen siero ro;; qualsi qualsiasi asi cos cosa a è format formata a dalla dalla imm immagi aginaz nazion ione e e cer cercat cata a dall’in dall’ inge gegn gno, o, vi vien ene e ri rite tenu nuta ta dall dalla a memo memori ria. a. Di tu tutt tte e qu ques este te co cose se l’intelligenza coglie la notizia e a suo piacimento le considera o le contempla.

Capitolo XXII La considerazione di ciò che riguarda il terzo grado Nel terzo grado di questa contemplazione consideriamo la volontà dell de ll’a ’ani nimo mo ra razi zion onal ale, e, e i suoi suoi molt moltep eplic licii attr attrib ibut uti. i. Ch Chii infa infatt ttii pu può ò degnamente spiegare i suoi l’anima mutamenti e i colta suoi diversi moti?e di Pensi ciascuno da quali turbamenti sua sia ogni giorno qui comprenda come essa vani rapidamente. Ora è fiduciosa, ora cade nello scoramento, ora si consolida nella costanza, ora da improvviso timore si prostra. Ora l’ira la turba, ora una grande ira la esagita. Ma non è tant tanto o ammirevole ammirevole il fatto che nei diver diversi si momenti sia presa presa da diversi turbamenti o diverse tensioni, quanto piuttosto è soprattutto straordinario il fatto che, quasi nello stesso momento, essa viene presa da affetti contrari. Ora è presa dall’odio, ora dall’amore, ora è dist distra ratt tta a da dall lla a gi gioi oia, a, ora ora da dall lla a tris triste tezz zza. a. Sp Spes esso so ve vedi diam amo o tra tra le manifestaz manif estazioni ioni della nostra nostra gioia sopraggiun sopraggiunger gere e impr improvvis ovvisament amente e qualche motivo di tristezza che prende l’anima violentemente e la getta a terra e volge tutta la sua esultanza in dolore. Eppure non è tanto ammirevole il fatto che l’anima muti spesso in diversi affetti, quanto lo è il fatto che, per una stessa cosa, essa si lascia cogliere da affetti contrari. Una cosa molto amata diventa spesso oggetto d’odio, e ci ciò ò ch che e vi vien ene e ap appr prov ovat ato o e de desi side dera rato to arde ardent ntem emen ente te,, dive divent nta a rapidamente detestabile. Ma maggiore meraviglia è considerare che l’affetto medesimo di un uomo circa una medesima cosa può variare in diversi modi. Infatti s’ingrandisce o diminuisce secondo il momento. Lo stesso affetto cresce e decresce giungendo fino alla veemenza o scemando quasi completamente, per poi risorgere dopo essere quasi scomparso. Guarda come l’affetto umano possa essere grande nelle cose grandi, sublime nelle sublimi, piccolo nelle piccole, vile nelle vili; considera come sia grande e sublime quando si leva in alto, come sia piccolo e vile quando si abbandona e cade in basso. Quando s’innalza nell’audacia, lo vedrai disprezzare spesso anche la morte, e tra sommi peri pe rico coli li no non n aver avere e al alcu cuna na trep tr epid idaz azio ione ne.per . E unlotenue vedr vedrai ai trep trepid idar are eil improvvisamente nel silenzio della notte soffio, per

 

rumore di un ramoscello o la caduta di una foglia e perdere tutta la sua fermezza. Ma chi potrebbe enumerare tutte le qualità degli affetti umani e chi potrebbe indicarne tutte le variazioni? La varietà degli affetti è grande quanto lo è la varietà delle cose. Dunque sentiamo affetti diversi, nello sperimentare cose diverse. Il desiderio dell’affetto cambia infatti secondo il giudizio dell’approvazione.

Capitolo XXIII La considerazione delle cose che riguardano il quarto grado Nel qu Nel quar arto to grad grado o di qu ques esta ta cont contem empl plaz azio ione ne,, co cont ntem empl plia iamo mo e ammiriamo la virtù della deliberazione e come essa trasformi in virtù molt mo ltii af affe fett ttii dell dell’a ’ani nima ma,, ordi ordina nand ndol olii me medi dian ante te disc discer erni nime ment nto o e fissandoli nell’ambito della buona intenzione. La virtù infatti non è nient’altro che un affetto ben ordinato; per questo si ordina l’affetto medi me dian ante te il di disc scer ernim nimen ento to e lo si mode modera ra.. Do Dobb bbia iamo mo poi poi se semp mprre dedicarci alla ricerca della e insistere con forza in tale esercizio, affinché ognigiusta nostrodeliberazione affetto, liberandosi da tutto ciò che è illecito, venga, a essere relativo solo alle cose buone e affinché nell’ambito dei desideri leciti custodisca la modestia e l’equità. Non accade forse che in forza della deliberazione gli affetti cattivi siano frenati, sminuiti, annullati? Non accade sempre che per virtù della delibe del iberaz razion ione e gli affett affettii buoni buoni sia siano no nutrit nutriti, i, mig miglio liorat rati, i, con consol solida idati? ti? Guarda come la deliberazione condanni in eterno alcuni affetti e come ne esalti altri, secondo il suo compito che è di deporre i potenti dal lo lorro tr tron ono o e di esal esalta tarre gl glii um umil ili. i. Umil Umilia ia l’un l’uno o ed es esal alta ta l’al l’altr tro, o, sollevando il povero dalla polvere e togliendolo dallo sterco. È il suo compito ordin ina are la folla di tanti pensieri e di tanti affetti, sott so ttom omet ette terl rlii al alle le sue sue le legg ggii e al suo suo co coma mand ndo, o, far fare og ogni ni gior giorno no giustizia, dominare dal mare fino all’altro mare e dai fiumi fino ai confini della terra. È suo compito limitare, con grave punizione il desiderio carnale, reprimere i tumulti dei pensieri vaghi e accingersi ogni og ni gior giorno no al co comb mbat atti time ment nto o spir spirit itua uale le pe perr far fare ve vend ndet etta ta ne nell lle e nazioni e rimproverare i popoli. È suo compito reprimere i molti ribelli dell’a del l’anim nima a e il fasto fasto del dell’a l’arr rrog oganz anza, a, oppors opporsii virilm virilment ente e all all’es ’eser ercit cito o nemico dei vizi per legare i vizi capitali con ceppi e catene. Infatti deve non solo reprimere i vizi e coltivare le virtù, opporsi alla stirpe di Nabucodonosor con grande decisione, ordinare e custodire la casa di Davide Dav ide.. Pert ertant anto o giu giudic dicher herà à nelle nelle naz nazion ioni, i, le rie riempi mpirà rà di ro rovin vine e e getterà a terra la testa di molti. Ma sul trono e sul regno di Davide essa ess a dom domine inerà, rà, per confer confermar mare e e sorre sorregge ggere re nel giu giudiz dizio io e nel nella la giustizia. Chi poi potrebbe descrivere degnamente quanto sia terribile la folla delle virtù ordinata a esercito? Quanto sono forti le falangi delle virtù chee rovesciano carri di e il suo esercito, custodiscono fortificano ili carro delFaraone nostro Salomone? Migliaiache di

 

migliaia di beati circondano i carri di Dio, e il Signore è con loro sul santo Sinai. Ma se un’anima perfetta ha in questa vita tante virtù, quale sarà la perfezione delle virtù che avrà nella gloria della futura pien pienez ezza za?? Pen ensa sa qu quan anta ta sia sia l’ l’ab abbo bond ndan anza za de deii be beni ni fu futu turi ri,, tant tanto o corporali quanto spirituali, e quale sia la loro molteplice varietà e certo alla differenza dei beni corrisponderà la differenza degli affetti. Infatti non avremo gli stessi affetti verso i beni maggiori o quelli minori; laddove ogni nostro affetto sarà ordinato, così in ogni cosa senza dubbio sarà ugualmente moderato. Quale sarà il numero delle virtù in tanti affetti ordinati e moderati? Se puoi sollevarti a questa considerazione, mi meraviglierei se tu non credessi che sono migliaia di migliaia. Guarda dunque quale spettacolo sia e quanto sia bello che le anime sante, forti di molte virtù, che possano avere anche in futuro, siano da noi contemplate e ammirate.

Capitolo XXIV La considerazione di ciò che riguarda il quinto grado Nel quinto grado di ques questa ta conte contemplaz mplazione, ione, come abbia abbiamo mo già detto sopra, ammiriamo la qualità e il modo della grazia che ispira. Senza dubbio qualunque cosa buona si realizzi nel cuore dei buoni, è dovuta alla grazia dello Spirito Santo e ai suoi sette doni. Ecco un solo e medesimo Spirito ispira sempre e dovunque tante menti e dona i molteplici doni della sua grazia. Ecco lo Spirito medesimo in diversi modi informa le menti di tanti uomini e senza alcuna costrizione inclina la volontà di molti alla sua volontà e nella sua rivelazione la verità ver ità è conosc conosciut iuta a e la bon bontà tà ama amata. ta. Senza la coo cooper perazi azione one del della la grazia non siamo capaci di conoscere la verità e di amare la virtù. D’altra parte è grande e straordinario che qualsiasi opera virtuosa che in noi si compie, viene ascritta a nostro merito. In modo mirabile e incomprensibile lo Spirito inspira in noi la sua volontà cosicché debba essere considerato merito nostro qualsiasi cosa la grazia della sua bontà imprima o rigeneri in noi. Qualsiasi buona volontà si fonde al beneplacito divino in forza della grazia, salvo restando però la libertà dell de ll’a ’arb rbitr itrio io de dell ll’u ’uma mana na vo volo lont ntà, à, e senz senza a alcu alcuna na co cost stri rizi zion one; e; per per questo tutto ciò che nell’anima si compie per divina ispirazione nel libero consenso della mente, si converte in merito per la gloria futura. La grazia che coopera con noi nel suggerire il bene, pone in noi ciò che aumenta il debito, ciò che aumenta il merito e altre cose che riguar rig uardan dano o l’inizio l’inizio del pr premi emio. o. La divina divina ben benevo evolen lenza za aum aument enta a il debito della nostra servitù e ci rende a lui più soggetti, tutte le volte che aumenta in noi il dono della scienza e della sapienza. Ciò dunque aumenta aumen ta il debito, debito, piutt piuttosto osto che il merito. merito. Ma qual qualsiasi siasi virtù la bont bontà à divi divina na ci qualsiasi ispi ispiri ri,, aume aucosa ment nta a il divina meri merito to.soavità . E qu qual alsi sias asii divinamente co cosa sa de dell ll’in ’inte teri rior ore e dolcezza, della venga infusa

 

nelle nostre menti, risulta essere in certo modo l’inizio del premio. Un unico e medesimo Spirito compie tutto ciò; infatti la sua unzione ci insegna ogni cosa e la carità di Dio è posta nei nostri cuori, per mezzo dello spirito santo che ci è stato donato; ed è ovvio che qualsiasi gioia è nello Spirito Santo. Volete poi sapere più chiaramente per quale frutto lo Spirito Santo sia solito fecondare la nostra anima? Il  Il  frutto dello Spirito Spirito - di dice ce l’Apo l’Apost stol olo o - è  la ca cari rità tà,, la gioi gioia, a, la pa pace ce,, la  pazienza, la longanimità, la bontà (Gal. 5,22-23).  5,22-23).  Grandissime cose, innumerevoli cose opera in noi lo Spirito, distribuendole secondo la sua volontà.  Alcuni hanno dallo Spirito il dono della sapienza, altri il dono della scienza, altri la fede, altri la grazia di sanare, altri il dono delle opere buone, altri la profezia, altri il discernimento degli spiriti (1 Cor. 12,8),  12,8),  e, in questo modo, altre infinite cose. Guarda quanto sia ammirabile e salutare ricercare tali opere del divino Spirito e, nella loro lor o contem contempla plazio zione, ne, for fortif tifica icare re l’anim l’anima a nel nell’u l’umil miltà tà e nel nella la car carità ità.. L’an L’anim ima a av avan anza za ne nell ll’a ’amo morre di Dio Dio e nel nel disp disprrezzo ezzo di sé sé,, qu quan ando do conosce perfettamente e quando nota frequentemente di non potere nulla per se stessa. È ammirabile e desiderabilissima la grazia di Dio, per cui Egli compie compie in noi ogni opera buona, in modo che ogni nostra nostra buona abbiamo azione sia tanto chemolteplici nostra: i edoni suoi, i meriti nostri. Sopra detto chesua sono multiformi gli affetti del cuore umano. Lo Spirito del Signore li tempera a poco a poco ogni giorno nei suoi eletti, fondendoli in un’unica armonia, e li porta col plettro della sua grazia, quasi citaredo, modulandoli fino a quando risuoni nelle orecchie del Signore degli eserciti una dolce melodia di virtù, quasi musica di molti citaredi. Ma se tale mirabile armonia e molteplice consonanza sorge da un cuore in tanta pluralità di tanti af affe fett tti, i, qual quale e sarà sarà la cons conson ona a co conc ncor ordi dia a de dell lle e an anim ime e be beat ate, e, e la concorde consonanza in tanta moltitudine di tante migliaia di angeli, di tante anime sante esultanti che lodano il vivente nei secoli dei secoli? Tutte queste cose compie e dispone la multiforme grazia dello Spirito divino, che, come sopra si è detto, compie ogni cosa in tutto. Se in questi cinque gradi di contemplazione avremo esercitato i nostri sensi, se saremo preparati a tali speculazioni, certo avremo compiuto il nostro propiziatorio secondo il comando divino.

LIBRO QUARTO QUARTO Capitolo I Il quinto e il sesto genere di contemplazione Si deve ora trattare del quinto e del sesto genere di contemplazione, che Mosè indica in questa mistica due cherubini di oro battuto alle due estremità del descrizione. propiziatorio,Farai un cherubino da un

 

lato e uno dall’altro. Questi cherubini devono essere tutti d’un pezzo col propiziatorio, alle sue due estremità, con le ali in atto di coprire il  propiziatorio e con le facce rivolte l’una verso l’altra, sopra il  propiziatorio (Es. 5,18-20). Si può  può  ben cercare con forza di intendere questa descrizione e cogliere dalla similitudine proposta la regola della nostra dottrina, e trarre la forma e il modo della nostra opera dalle parole di questa descrizione. Credo infatti che sia proposto, in tali formule, qualcosa di grande e anzi di magnifico, poiché è indicata con tali parole, poiché imita la forma degli angeli: Farai due cherubini d’or d’oro o ba batt ttut uto. o. Veram eramen ente te dove dovett tte e es esse serre qu qual alco cosa sa di gr gran ande de,, di bellissimo bellis simo,, di sopr sopramond amondano, ano, qualco qualcosa sa di superior superiore e asso assolutam lutamente ente all’umana dimensione, se venne rappresentata per mezzo della forma angelica. Il cherubino significa infatti la pienezza della scienza; in tale parola viene indicato e proposto o, anzi, promesso qualcosa di grande dell de lla a se segr gret eta a e inti intima ma cono conosc scen enza za.. E do dobb bbia iamo mo os osse serv rvar are e ch che e chiamiamo cherubini non tutti gli angeli, ma i più alti, quelli che sono quasi uniti a Dio. La forma proposta del propiziatorio ci invita dunque non no n solo solo a ci ciò ò ch che e sta sta ol oltr tre e il mond mondo, o, ma ad addi diri ritt ttur ura a alle alle co cose se sopracelesti e invita la nostra intelligenza alla speculazione delle cose più È calte ertoe divine. che ciò  che riguarda questi due ultimi generi di contemplazione è sopra la dimensione umana, sopra la ragione e oltre le capacità dell’uomo. Per questo è stato necessario rappresentano nella similitudine con una immagine non umana, ma angelica. Se infa infatt ttii la ma mate teri ria a di ques questa ta sp spec ecul ulaz azio ione ne no non n sopr soprav avan anza zass sse e le strettezze dell’umano ragionamento, sarebbe stato meglio trarre il modello dell’opera da una forma umana, non angelica. Bisogna dunque che noi ci solleviamo sopra noi stessi e che saliamo con la contemplazione a ciò che sta oltre la ragione, se vogliamo fare un vo volo lo co con n la nost nostra ra in inte telli llige genz nza a anal analog ogo o a qu quel ello lo de degl glii an ange geli. li. Cerchiamo dunque ciò che sta oltre la ragione, che trascende la forza dell’umana ragione e la struttura del nostro raziocinio.

Capitolo II Trascendono l’umana ragione quelle cose che riguardano queste due ultime speculazioni Come vi so Come sono no ce cert rtam amen ente te de dell lle e cose cose ch che e sono sono al di so sott tto o dell della a ragione, così ve ne sono certamente di quelle che stanno al di sopra della ragione. E tra queste, ve ne sono altre, in una dimensione di mezzo, che possono essere raggiunte dalla ragione, e al di sotto della ragione che possiamo percepire con i sensi del corpo. Sono razionali soltanto le cose che investighiamo con la sola ragione. Sono sopra la ra ragi gion one e qu quel elle le ch che e im impa pari riam amo o per per mezz mezzo o dell della a rive rivela lazi zion one e o ch che e proviamo sulla base della sola autorità. Il bianco e il nero, il caldo e il

 

freddo, l’amaro e il dolce, li apprendiamo con il senso e non con la ragione. Il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, l’utile e l’inutile, li intendiamo ragionando, non con qualche senso del corpo. Ma che Dio sia trino nell’unità della sostanza non ce lo mostra né il senso né l’um l’uman ana a ragio agion ne. Piu iutt tto osto sto al alcu cuni ni lo sann anno pe perr me mezz zzo o dell della a rivelazione, altri lo credono sulla base della solo autorità. Sotto la ragione dunque sono le cose corporee, sopra la ragione le cose co se di divi vine ne.. È de dell tutt tutto o so sopr pra a la ragi ragion one e ciò ciò che che ness nessun un sens senso o corpor cor poreo eo può att atting inger ere e né alc alcun una a uma umana na rag ragion ione e può pen penetr etrar are. e. Sopr So pra a la ra ragi gion one e ciò che che cred credia iamo mo che che es esis iste te ve vera rame ment nte, e, e ch che, e, tuttavia, non possiamo provare con l’esperienza né comprendere con l’intelletto. E certo sono molte le cose divine nelle quali la ragione umana trova pace e che essa non vuol contraddire, e che accoglie come com e vere vere all alle e quali quali accon acconsen sente, te, ben benché ché non possa possa prova provarle rle con l’esperien l’esp erienza za né pienamente pienamente comprender comprenderle le con l’intellett l’intelletto. o. Po Possono ssono dunque ben dirsi al di sopra della ragione quelle cose che superano la pochezza della nostra capacità per la loro incomprensibile grandezza. In ciò tuttavia che la nostra pochezza non può comprendere, l’altezza angelica s’innalza in libero volo. Affinché dunque possiamo in qualche modo noi una forma animo somigliante a quella degli bisognaformare che noi in leviamo il nostro nell’ammirazione di taliangeli, cose, con celerità e abituiamo le ali della nostra contemplazione ai sublimi e veramente angelici voli.

Capitolo III Le cose che stanno sopra la ragione possono esse essere re distinte in due categorie. Ciò che è proprio d’ognuna di esse Rice Ricevi viam amo o l’ l’or ordi dine ne di divin vino o di fa farre due due cher cherub ubin ini, i, e siam siamo o co con n ci ciò ò avvertiti di cercare in ciò che sta sopra la ragione due generi di contemplazione. Volgiamoci alle cose che stanno sopra la ragione e troveremo trover emo che possono essere distinte in due categorie. Ve ne sono infatti di quelle che sono sopra la ragione ma non fuori della ragione, altre che sono sopra la ragione e fuori dalla ragione. Intendiamo innanzi tutto avvertire che quando diciamo che qualcosa di divino è al di fuori della ragione o contro la ragione, intendiamo sempre la ragione umana, non quella divina. Qualunque cosa infatti sia propria della suprema e divina essenza, sussiste per una somma e immutabile ragione. Molte sono le cose che crediamo della divina natura che tuttavia contrastano la ragione e la struttura del nostro discorso. Quale umana ragione comprende che il Figlio è coeterno al Padre e che è in tutto uguale a Colui dal quale ha l’essere, la vita e l’intelligenza? Molte sono le cose che analogamente possono essere scoperte al di sopra della ragione, apparentemente contrarie anzi alla ragione, se vengono pensate secondo le categorie umane.

 

Diciamo che sono sopra la ragione quelle cose che non possiamo provare con l’esperienza e non possiamo intendere pienamente nella nostra ricerca. Fuori della ragione sono per altro, quelle cose che vengono contraddette dagli esempi e dalle argomentazioni. Vengono meno, per queste, gli esempi e cadono le argomentazioni. Spesso noi ne proviamo la verità sulla base della autorità, le confermiamo con certi cer ti ar argo go men menti, ti, ce ne per persua suadia diamo mo con simili similitud tudini ini,, ma non pospossiamo comprenderle pienamente in sicura e comprovata intelligenza perché, come s’è detto, non possiamo provarle con nessun esempio, con co n ness nessun una a sp sper erim imen enta tazi zion one e trat tratta ta da ci ciò ò ch che e sa sapp ppia iamo mo per per esperienza. E di tali cose tuttavia veniamo persuasi ora per mezzo dei miracoli, ora per mezzo dell’autorità, o le apprendiamo per mezzo della rivelazione. Spesso infatti gli infedeli si sono convertiti per la moltitudine dei miracoli; i fedeli si sono persuasi per l’autorità delle Scritture; ma i profeti hanno avuto spesso molte rivelazioni divine. E però sono tali che nemmeno coloro che le hanno sapute per mezzo della rivelazione, le hanno potute mostrare agli altri se non per mezzo della fede. La loro testimonianza è suffragata dai miracoli più che dagli esempi, dall’autorità più che dalle argomentazioni, rivelazione che dal ragionamento. Sono cose tanto alte chedalla nessuna ricerca più umana può giungere a esse se non viene sorretta dalla divina rivelazione e da aute autent ntic iche he test testim imon onia ianz nze. e. Ma al alla la me ment nte e fede fedele le ch che e si si sia a sott so ttom omes essa sa a un tale tale ai aiut uto, o, molt molte e ra ragi gion onii ve verrra rann nno o inco incont ntrro, emergeranno molti argomenti che l’aiuteranno nella sua ricerca o la rassicureranno in ciò che ha trovato o difenderanno i suoi asserti. Per questo, credo, si può ben dire che tali cose sono oltre la ragione ma non fuori della ragione. Queste cose sono cosiffatte che una volta pro pr ovat vate e cr cred edut ute e sull sulla a bas base dei dei mir miraco acoli e dall’ all’au auttorit orità, à, se cons co nsul ulti tiam amo o sul sul lo lorro cont conto o l’ l’um uman ana a ragi ragion one e e ci disp dispon onia iamo mo ad accomodarci alle sue dimostrazioni, comincerà a cadere tutto ciò che la ragione della fede teneva prima per certo. Nella ricerca, nella discussione, nella asserzione di quelle cose la ragione umana non può assolutamente nulla se non si è sottomessa e fusa con la fede. Per questo dunque, per parlare in riferimento ai concetti umani, tali cose sono dette non solo sopra la ragione, ma anche fuori della ragione. Le prime dunque sono relative al quinto genere della contemplazione; le ultime invece riguardano il sesto.

Capitolo IV Le cose relative a questi generi di contemplazione sono prive di ogni elemento immaginifico Credo che ormai non manchi nella nostra esposizione il motivo per il quale questi cherubini debbano essere fatti di oro. Se infatti sono in

 

oro le cose che indicano ciò che viene compreso dalla ragione, molto più si conviene che siano auree le immagini che indicano ciò che tras trasce cend nde e la ra ragio gione ne.. Se sono sono aur auree le co cose se che che so sopr prav avan anza zano no l’im l’imma magi gina nazi zion one, e, tant tanto o pi più ù lo so sono no qu quel elle le ch che e sopr soprav avan anza zano no la ra ragi gion one. e. In ques questi ti due due gene generi ri di spec specul ulaz azio ione ne non non c’è c’è ni nien ente te di immaginario, niente di fantastico poiché ciò che si intuisce in questi due generi di contemplazione di gran lunga sopravanza i caratteri di ogni og ni sim similit ilitu udi din ne co corrpo porrea. ea. Se in inffatti atti que uell qu quar arto to gen ener ere e di contemplazione viene piuttosto velato che scoperto dalle immagini corporee, tanto più tali figurazioni debbono essere lontane da ciò che è molto più degno e molto più sublime. Ceda dunque l’immaginazione, anzi cessi completamente poiché non può aiutarci più in nulla. Cosa può fare infatti l’immaginazione, laddove la stessa ragione soccombe? Che cosa può fare l’immaginazione dove non c’è alcuna ombra di mutamento o di turbamento? Dove la parte non è minore al tutto, dove il tutto è universale quanto l’individuo, anzi dove la parte non è diminuita dal tutto, dove tutto non è costituito di parti poiché è semplice assolutamente, dove l’universale viene indicato come il particolare, dove il tutto coincide con i singoli, dove ogni cosa è uno e l’uno èazione ogni soccombe può fare qui l’imma l’immagin ginazi one??cosa, Sen Senza za dub dubbio bio l’umana non puòragione. affatt affatto o Cosa aiu aiutar tare, e, nel nella la intuizione di queste cose, anzi può porre solo degli ostacoli.

Capitolo V L’eccell ’eccellenza enza di questi due ultimi ulti mi generi di contemplazione contempl azione Si comprende facilmente quale sia l’eccellenza di questi due ultimi generi di speculazione poiché ogni loro considerazione o intuizione riguarda l’altezza delle cose divine. Pensi dunque chi può di quanto la scienza umana sia salita, quando merita di venire sollevata a questi gradi di contemplazio ion ne. Essa infatti nei primi gradi dell ella contem con templa plazio zione ne si avv avvia ia ver verso so la perfez perfezion ione, e, in que questi sti due ult ultimi imi raggiunge la perfezione e la pienezza. Nei primi due veniamo avviati alla alla co cono nosc scen enza za dell delle e cose cose este esteri rior orii e co corp rpor oral ali. i. Ne Neii du due e gr grad adii intermedi veniamo educati alla conoscenza delle creature invisibili e spirituali. Nei due ultimi gradi veniamo sollevati all’intelligenza della realtà sopraceleste, divina. Noi dobbiamo dunque cominciare dagli elem elemen enti ti no noti ti e ulti ultimi; mi; quin quindi di soll sollev evar are e a po poco co a po poco co la no nost stra ra conoscenza e salire per mezzo delle cose sensibili alla visione delle cose invisibili. Quando infatti tu abbia appreso la conoscenza delle cose esteriori e tu abbia esercitato i tuoi sensi nella dottrina che le riguarda, devi salire alle cose più alte e paragonarle alla conoscenza delle creature spirituali. Ma per quanto tu ti sia in questo nuovamente e pienamente esercitato secondo le tue possibilità, hai sempre la possibilità di salire più in alto. Restano dunque lontano queste cose

 

alte e divine; sforzati per quanto puoi di raggiungerle. Certo se ti sarai sollevato alla speculazione di queste cose, non potrai trovar trovare e nessuna cosa che stia oltre e alla quale tu possa ancora salire. Certo oltre Dio non c’è nulla e per questo la scienza non può salire oltre, più in alto. Se dunque i cherubini significano la pienezza della scienza vedi come gius giusta tame ment nte e quell quell’u ’ult ltim imo o el elem emen ento to de dell lla a no nost stra ra op oper era a si sia a de dett tto o cherubino nel quale sono indicati i supremi gradi di ogni conoscenza. Puoi ogni giorno avanzare nella conoscenza di Dio e in questo volo sublime puoi ogni giorno diventare sempre più sublime. Ma non puoi trovare alcuna luce al di sopra di questa contemplazione. Altro è infatti avanzare in tal genere di visione e allargare la conoscenza di Dio e altro è voler cercare qualcosa di altro e di più alto sopra questa, perché non potresti affatto trovarlo. trovarlo. Sopra Dio non c’è nulla e non può nemmeno esserci e non può essere pensato. Non c’è nulla di più alto in cu cuii la sc scie ienz nza a salg salga a o poss possa a sali salirre. La pien pienez ezza za du dunq nque ue dell della a scienza è conoscere Dio, la pienezza poi di questa scienza è pienezza di gloria, perfezione di grazia, eternità della vita: Questa è la vita eterna: che conoscano Te vero Dio e Colui che mandasti, Gesù Cristo (Gv. 17,3). Conosci chiscienza è il veroquesti Dio, èultimi il termine perfezione. Alla pienezzadunque di questa gradi di di ogni speculazione a poco a poco ci sollecitano e talvolta ci conducono. La perfezione di questa pienezza comincia in questa vita, ma nella vita futura si compie. Giustamente dunque la figura di questa opera è il Cherubino poiché ci avvia alla pienezza di ogni scienza.

Capitolo VI È arduo e difficile commisurare a sé la l a grazia in questi ultimi generi di contemplazione contemplazione Ma or ora a co cons nsid ider eria iamo mo per perché ché ci sia sia coma comand ndat ato o di far fare tali tali ul ulti time me immagini, cioè i cherubini, con il metallo duttile. Il metallo viene modellato con molti colpi, quasi come ferendolo e viene portato a poco a poco alla forma voluta battendo lungamente. Credo dunque che ciò sia perché dobbiamo raggiungere il segreto che desideriamo piuttosto con la compunzione che con la profonda ricerca, con i sospiri più più che che con con gl glii argo argome ment nti, i, co con n molt moltii ge gemi miti ti più più ch che e con con molt molte e argomentazioni. Sappiamo poi che nulla purifica il segreto del cuore, nulla la mente, nulla pulisce la nebbia dell’ambiguità, nulla porta la serenità del cuore megl me glio io e pi più ù pr pres esto to de dell ve verro pent pentim imen ento to de dell ll’a ’ani nima ma,, ci cioè oè dell della a profo profonda nda e int intima ima compun compunzio zione. ne. Dice Dice la Scr Scritt ittura ura:: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt. 5,8). Cerchi dunque la purezza del cuore chi desidera vedere Dio e chi vuole salire alla contemplazione delle cose divine. Occorre molta insistenza e molta diligenza in questa

 

assidu assi dua a ri ricer cerca ca pr prim ima a che che l’ l’an anim ima a poss possa a pu puli lirs rsii da og ogni ni sc scor oria ia di amore terreno e la bruci con la fiamma del vero amore, prima che purifichi l’oro della sua intelligenza e lo renda degno e idoneo a un compito così grande! Certamente e senza contraddizione non è facile né cosa da poco dare all’anima umana una forma angelica e passare al di sopra delle categorie mondane e umane, ricevere le ali spirituali ed elevarsi alla sommità. Molte volte è necessario gettare l’oro nel fuoco e nuovamente estrarlo e volgerlo da ogni lato battendolo con frequenti colpi, prima che possa dargli una forma angelica e produca il cherubino. Quanta prudenza e quanta cura nel formare la materia della nostra opera! Deve essere modellata ora dal divino amore, ora dal divino timore, perché l’animo non si sciolga in una eccessiva confidenza nel favore divino, né si raffreddi fino alla disperazione, indurito dal timore della severità divina e diffidi di poter giungere al compim com piment ento o dell’o dell’oper pera a inizia iniziata. ta. Con pruden prudente te os osser servaz vazion ione, e, con fr freq eque uent ntii rimp rimprrover overii bi biso sogn gna a vi vigi gila larre e insi insist ster ere e per perch ché é ne ness ssun un ecce ec cessso del ella la men ente te e nes nessuna suna diva divag gaz azio ione ne si na nasc sco onda nda all alla pers pe rspi pica caci cia a dell della a di disc scrrez ezio ione ne e per perché ché no non n pass passii se senz nza a es esse serre fo fort rtem emen ente te redar edargu guit ita a e puni punita ta.. Ma chi chi po potr treb ebbe be de degn gnam amen ente te desc de scri rive verrla e figura di qual quale e arte arcreature te e di celesti qual quale e non soll solleci ecitu tudi dine ne ci nella sia sia figura biso bisogn gno, o, affinché delle si trasformi di animali alati, affinché dunque l’anima umana non si deformi a loro immagine? Certo bisogna che prima si abitui a rimanere in cielo con le creature celesti e a non scendere agli aff affari terreni e alla preoccupazione delle cose esteriori (eccetto il caso dell’obbedienza o il dovere di carità) prima che abbia osato tentar di penetrare, in quegli angeli ang elici ci tr trasc ascend endime imenti nti,, gli altiss altissimi imi seg segre reti ti del dell’i l’inco ncompr mprens ensibi ibile le divinità.

Capitolo VII Inutilmente l’uomo si sforza di raggiungere tali altissime intuizioni, se non è sorretto dalla divina rivelazione Si comprende facilmente come la prerogativa di suprema eccellenza di questa ultima opera sopravanzi in dignità ogni altra cosa poiché imita in qualche modo l’altezza degli arcangeli in quella suprema gera ge rarrchia chia ce cele lest ste. e. Pensa ensa di chi chi sia sia cara caratt tter eris isti tico co assi assimi mila lars rsii alla alla ecce ec cell llen enza za di quell quell’o ’ord rdin ine e ch che e è imme immedi diat atam amen ente te un unit ito o alla alla lu luce ce suprema, che vede faccia a faccia e senza specchio, non in enigma. Che Ch e cos’è os’è ci ciò ò a cui cui og ogni ni gi gior orn no l’in l’inte tell llig igen enza za umana mana ten end de, assimi ass imilan landos dosii alle alle altiss altissime ime int intuiz uizion ionii del delle le men menti ti sop soprac racele elesti sti,, e talvo alvolt lta a per il favor avore e de dell lla a ben benevo evolen lenza divin ivina a è sollev llevat ata a a contemplare la grandezza della suprema maestà? maestà? Chi è idoneo a tutto ciò? Chi è degno artefice per tali opere, se la grazia divina non lo prev pr even enga ga e no non n lo segu segua? a? Al Altr tro o è far fare l’ar l’arca ca,, altr altro o è fo forrma marre i

 

cherubini. Che cosa sia ricoprire l’arca, rivestirla d’oro, cingerla con una un a co colo lon nna na,, sovr sovrap appo porrle un cope coperrchio chio poss ssia iam mo sa sape perrlo e lo proviamo con l’esperienza quotidiana; non sono infatti cose lontane dai nostri sensi. Machi ha visto o chi può vedere un cherubino e come possso fa po farre qu quel ella la for forma ch che e non po poss sso o ved veder ere? e? Io cr cred edo o ch che e nemmeno Mosè avrebbe potuto esprimerla se non l’avesse imparata dalla rivelazione. Per questo a lui viene detto: Guarda e fa’ ogni cosa come ti è stato mostrato sul monte (Es. 27). Dunque Mosè viene condotto sul monte egli viene mostrata per mezzo della rivelazione, prima che possa sapere che cosa debba fare. È necessario dunque salire al pensiero più alto e imparare dalla rivelazione del Signore nel trascendimento della mente che cosa sia ciò che si deve cercare e sospirare e a quale sublimità debba portare e abituare la sua anima. In Infa fatt ttii se una una sola sola volt volta a si vi vien ene e amme ammess ssii alla alla lumi lumino nosa sa glor gloria ia dell’altezza angelica e si è meritato di raggiungere la visione di quei raggi divini, con quali intimi, desideri, con quali profondi sospiri, con quali inenarrabili gemiti non si insisterà, con quale assiduo ricordo, con quale lieta ammirazione non si emulerà quella luce che si è vista e non si terrà nella mente con i sospiri, con la contemplazione fino al punto che non ci sidel siaSignore assimilati in quella dadel lucea luce, come dallo spirito (2 Cor. 3,18)?immagine, Dallo Spirito Signore, dice la Scrittura e non dal suo. Il modo migliore di compiere tale opera è di insistere con i sospiri e con i gemiti, se si vuole fare il cherubino con il duttile metallo. Compiere l’opera battendo duramente significa ot otte tene nerre mo molt lte e co cose se co con n il pent pentim imen ento to de dell cu cuor ore e dall dalla a piet pietà à de dell Signore tra quelle che nessuno potrebbe raggiungere raggiungere da sé. Nessuno tuttavia si ritenga in grado di compiere le opere predette o creda che di poco differiscano le cose formate dalla stessa materia, cioè dall’oro. Certo se si potesse trovare un metallo più prezioso dell’oro questa forma angelica sarebbe stata fatta con quello. La sopraeccellenza di quella dignità che poco viene indicata dalla materia, meglio viene indicata dalla forma. Ci è stato comandato dunque di fare un cherubino, cioè di fare un’immagine non di uomini o di qualsiasi angelo, ma degli spiriti sopraeccellenti, affinché la dignità di quest’ultima speculazione meglio appaia da tale similitudine.

Capitolo VIII Il quinto genere di contemplazione ammette la possibilità di una similitudine, ma il sesto genere sopravanza ogni caratteristica della similitudine stessa Credo che non si debba trascurare che di questi due cherubini Mosè viene informato dalla voce divina che dice:Dei dice: Dei cherubini uno stia su un lato e l’altro nell’altro (Es. 25,19). Debbono dunque essere posti nelle due parti opposte dell’arca e debbono coprire entrambi i lati del prop pr opiz izia iato tori rio. o. La stes stessa sa co cosa sa in infa fatt ttii inte intend ndia iamo mo per per arca arca e pe perr

 

propiz prop izia iato tori rio. o. Cer Cerch chia iamo mo dunq dunque ue qu qual alii si sian ano o qu ques esti ti du due e lati lati de dell propiziatorio per trovare quindi perché uno dei cherubini sta da una parte, l’altro dall’altra. Così come abbiamo già mostrato sopra, si deve intendere per propiziatorio quel genere di contemplazione relativo agli spiriti razionali. La creatura razionale infatti, tanto quella angelica quanto quella umana, è fatta a immagine di Dio; dell’uomo stesso è scritto:: Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, a immagine di scritto Dio lo creò (Gn. 1,27). Dell’Angelo scrive la Scrittura: Tu sei sigillo di  perfezione, pieno di sapienza e di onore nella delizia del paradiso di Dio (E (Ez. z. 28,1 28,12) 2).. Ecc cco o che che la na nattura ura an ange geli lica ca è dett etta reg egno no e similitudine anche per quella parte che non è rimasta nella verità. Il profeta Davide chiaramente lo proclama dicendo: Non c’è tra gli dei nessuno simile a te o Signore (Sal. 85,8). E Isaia dice apertamente: Poiché tutte le genti quasi non sono nulla al suo cospetto e sono stimate un niente (Is. 40,17). Perché Perché mai sono un nulla, se hanno in sé qualcosa di simile a Dio? Forse c’è nella Scrittura una contraddizione? No di certo. Infatti in Davide leggo: Dio, chi sarà simile a te? (Sal. 82,2). E trovo ancora in lui: È impressa su di noi la luce del tuo volto, o Signore (Sal. 4,7). Che cosa dunque possiamo raccogliere da tali diverse espressioni che siamo certaè dissimile misura simili, certa misura dissimilisedalnon Creatore? Anziper l’uomo da Dioper in molte cose e di lui sta scritto: L’uomo è immensa vanità (Sal. 38,6). E d’altra parte l’uomo è fatto a immagine di Dio (ibidem ibidem). ). Ecco in che modo gli è simile. Chi è l’uomo che può seguire il re, suo creatore? Ma nean ne anch che e un an ange gelo lo de dell ci ciel elo o può può pe perf rfet etta tame ment nte e somi somigl glia iarre al Creatore. Chi ti è simile o Signore nella forza? Chi è così grande nella santità, nella grandezza, nelle lodi? Chi è simile a Te che fai cose mirabili? (Es. 15,11). Vedi dunque se ciò in cui siamo simili a Dio non riguardi per caso un solo lato e se ciò in cui siamo dissimili non riguardi l’altro lato. Un lato del nostro propiziatorio può essere inteso come similitudine della divinità nelle sostanze razionali, l’altro lato indica la dissomiglianza nelle stesse sostanze rispetto alla suprema divinità. Per questo un cherubino sta da una parte, l’altro dall’altra; vedi ve diam amo o il come come e il per perché ché de dell lla a posi posizi zion one e di cias ciascu cuno no.. So Sopr pra a abbiamo detto che a un cherubino è relativa la contemplazione delle cose che sono sopra la ragione, ma non fuori della ragione. All’altro la contemplazione di ciò che sta sopra la ragione e fuori della ragione. È ovvio che la contemplazione ricordata per prima è molto più facile dell’altra e a essa dobbiamo volgerci innanzitutto. L’altra poiché è più diff diffic icil ile e deve deve es esse serre tent tentat ata a do dopo po.. La pr prim ima a è in indi dica cata ta da dall pr prim imo o cherubino, la seconda dal secondo cherubino. Il primo cherubino deve stare da un lato, il secondo dall’altro. Dunque un cherubino sta da un lato, quando il raggio della contemplazione si fissa in quelle cose che possono essere ricercate o confermate facilmente adattando a esse qualsiasi similitudine. Dall’altro lato sta il cherubino quando l’umana inte intell llig igen enza za si el elev eva a al alla la co cont ntem empl plaz azio ione ne di ci ciò ò ch che e pu può ò esse esserre piuttosto velato che scoperto dalle similitudini. Al primo lato è relativa

 

la considerazione delle similitudini e all’altro lato la considerazione dell de lla a di diss ssim imil ilit itud udin ine. e. È ov ovvi vio o ch che e le cose cose che che po poss sson ono o esse esserre comprese più facilmente che sono più vicine alla ragione e sono in armonia con lei possono essere indicate con qualche similitudine. Le altre invece tanto più si allontanano dalla ragione umana, quanto più tras trasce cend ndon ono o la po poss ssib ibili ilità tà di og ogni ni simi similit litud udine ine.. Perta ertant nto o il pr prim imo o cherubino sta nel lato della similitudine, il secondo cherubino dal lato della del la dissim dissimili ilitud tudine ine,, perché perché que quelle lle cos cose e che non sono sono fuori fuori dal dalla la ragione e ammettono qualche similitudine tocchino da vicino il lato della similitudine o vi si uniscano nella considerazione. Similmente le cose che sono o fuori o contro la ragione sopravanzano le caratteristiche di ogni similitudine e abbiano il lato della diss dissom omigl iglia ianz nza a vi vici cino no pe perr guar guarda darl rla. a. Se po poii l’un l’uno o e l’al l’altr tro o lato lato si vogl vo glio ion no rif ifer erir ire e al alla la des destra tra e all lla a sinis inisttra, ce cerrto tale ale nuo uova va similitudine ci conduce alla medesima conoscenza. La destra infatti suole essere più spesso usata nel lavoro e per questo appare più spesso. La sinistra invece resta per lo più nascosta sotto le vesti e più raramente si mostra. Dunque con la sinistra sono indicate le cose più occulte, con la destra sono indicate le cose meglio manifeste. Il primo cherubino è a sono destra perché fissa l’occhio della contemplazione nelle cose che non completamente estranee alla ragione. Il secondo cher ch erub ubin ino o è a si sini nist stra ra per perché ché cont contem empl pla a so solo lo qu quel elle le co cose se che che sembrano contraddire l’umana ragione.

Capitolo IX L’amore verso gli altri e verso se stessi viene ordinato da questi due generi di contemplazione Questi due generi di contemplazione ci rafforzano contro il male e ci aiutano alla virtù. Si legge infatti dei due cherubini: Coprono entrambi i lati del propiziatorio, aprendo le ali e ricoprendo l’oracolo (Es. 25,20). Quando Qua ndo copria copriamo mo qualco qualcosa, sa, lo faccia facciamo mo sol solita itamen mente te in due modi. modi. Possiamo infatti nasconderla o proteggerla e spesso, quando poniamo qualcosa a riparo del sole, ci difendiamo con l’ombra tanto dal calore quanto quant o dalla luce. Se dunque dunque in questi due gener generii di cont contempla emplazione zione noi riceviamo la grazia divina, se rimaniamo in essi secondo la grazia ricevuta, credo che essi saranno per noi come un riparo dal calore del giorn gio rno, o, e un rif rifugi ugio o sic sicur uro o nella nella tem tempes pesta. ta. Oh! fossim fossimo o rapit rapitii dal desi de side deri rio o am amor oros oso o ne nell lla a cont contem empl plaz azio ione ne e ne nell’ ll’am ammir miraz azio ione ne,, e trascendessimo noi stessi al punto che la nostra mente non potesse più conoscere se stessa, mentre guarda tali cherubini, al punto da dire, insieme con l’Apostolo: Se nel corpo o fuori del corpo non so, Dio lo sa (2 Cor. 12,3). Vedi quali profondità si celino sotto le ali di questi cherubini, se addirittura fanno dimenticare la conoscenza di sé. Ma se l’ombra di queste ali non può allontanare la vista della mente in tali

 

tras trasce cend ndim imen enti, ti, deve deve pe perr al altr tro o vela velarre lo sp sple lend ndor ore e dell dell’o ’orro de dell prop pr opiz izia iato tori rio o e temp temper erar arlo lo per per la nost nostra ra vist vista. a. Lo sp sple lend ndor ore e de dell propiziatorio è senza dubbio velato quando ciò che in noi risplende viene vie ne con consid sidera erato to in con confr front onto o all alla a luce luce etern eterna. a. Lo spl splend endor ore e del propiziatorio simboleggia il valore della natura spirituale; l’allargarsi delle ali sopra il propiziatorio indica l’altezza della divina sopraeccellenza. Qual meraviglia dunque se entrambi i lati vengono coperti da tale ombra? Infatti tutto ciò che si può scorgere in noi, simile o dissimile al divino, viene offuscato dal paragone con la realtà divi divina na st stes essa sa.. Il vela velame me rende ende so soli lita tame ment nte e mo mode dera rato to no non n solo solo io sple sp lend ndor ore, e, ma anch anche e il calo calorre; il tal tal mo modo do essi essi po poss sson ono o esse esserre sopportati dalla creatura. E accade spesso che noi non sappiamo mantenere la giusta misura nella stima o nell’amore di noi stessi. Ma dall’assidua contemplazione delle cose divine e dalla loro profonda ammirazione accade in noi che ogni eccesso venga contenuto. Credo che nessuna creatura razionale possa accettare di essere limitata alla vera e legittima misura dell’equità nella opinione che ha di sé o nell’amore della sua eccellenza, se non sa disprezzarsi, paragonandosi alle cose divine delle quali abbiamo parlato. Per questo vi perché dico che i due i lati del propiziatorio, in noi noncherubini c’è nulla coprono che non entrambi risulti imperfetto e imparagonabile rispetto alla grandezza e al valore della realtà divina. Come l’arca è coperta dal propiziatorio, così si comanda di coprire il prop pr opiz izia iato tori rio o con con l’ l’ap aper ertu tura ra delle delle al ali. i. Senz Senza a du dubb bbio io co come me da dall lla a contem con templa plazio zione ne del della la cr creat eatura ura spi spirit ritual uale e e del suo valor valore e è vin vinto to l’amore del mondo, così dalla contemplazione dell’essenza creatrice e della sua sopraeccellenza è frenato l’amore verso se stessi.

Capitolo X Con quanta avidità gli uomini spirituali sono soliti aspirare a questi due ultimi generi di contemplazione Senza dubbio i cherubini di cui abbiamo parlato coprono abbastanza i lati del propizia propiziatorio torio se non cessano di tenere bene aperte le ali. Che cosa significa aprire le proprie ali se non aspirare sempre e dovunque al alla la divi divina na ri rice cerrca e ri rima mane nerre semp semprre in es essa sa?? Cert Certo o gli gli uc ucce celli lli,, quan qu ando do vogl voglio iono no vola volarre, di dist sten endo dono no le lo lorro ali. ali. Così Così do dobb bbia iamo mo estendere le ali del nostro cuore per mezzo del desiderio e aspettare in ogni ora, anzi, in ogni momento, che il vento della rivelazione abbia spazzato via le nubi della nostra mente, e allontanata ogni caligine, abbia scoperto i raggi del vero sole. La mente, aperte le ali della sua contemplazione, si elevi volando verso le cose più alte e, fissato lo sguardo in quella luce eterna che irraggia dall’alto l’aquila nel suo volo, vol o, sup superi eri le nubi nubi del della la mondan mondana a mutevo mutevolez lezza. za. Dir Direi ei che seg segue ue pienamente il comando divino e, aperte le ali, si libra in alto quegli

 

che, ricevuta tale grazia, cerca di elevare il suo volo, per quanto può verrso qu ve ques esti ti due due ge gene neri ri di co cont ntem empl plaz azio ione ne,, affi affinc nché hé,, qu quan ando do sopraggiunga il tempo del divino beneplacito, sia pronto, egli che deve essere ammesso alla visione dei segreti divini. Dobbiamo infatti tendere non solo. a ciò che possiamo raggiungere in questa vita, ma anche a quella visione che speriamo per la vita futura e, in tale attesa, anelare a essa con forte desiderio. Per questo ci è data tale grazia, per questo ci viene infusa l’intelligenza delle cose eterne, af affi finc nché hé sapp sappia iamo mo ch che e in inst stan anca cabi bilm lmen ente te do dobb bbia iamo mo ce cerrca carre e desi de sid der erar are e co con n amo morros osa a atte attenz nzio ione ne.. Inv nvan ano o cr cres escce con con noi noi l’ab l’abbo bond ndan anza za de dell lla a di divi vina na co cono nosc scen enza za,, se no non n aume aument nta a in no noii la fiamma del divino amore. Deve dunque, in noi, crescere il diletto in ragione della conoscenza e crescere la conoscenza in ragione del dilett dil etto, o, e ogn ognii vanta vantaggi ggio o dell’u dell’una na cos cosa a dev deve e ser servir vire e al van vantag taggio gio dell’altra. Deve dunque l’anima perfetta e assiduamente volta alla contemplazione della suprema realtà, aspettare in ogni momento la fine fine del del su suo o per peregri egrina narre e l’ l’us usci cita ta dall dall’e ’erg rgas asto tolo lo per perch ché é po poss ssa a finalmente finalm ente vedere vedere faccia faccia a faccia ciò che ora vede in enigm enigma a e come nello specchio. Per questo Abramo sedeva nella soglia della sua tenda (Gn.entr 18), per stava soglia della suade grotta (3 Re 19) ed en tram ambi bi questo eran erano o Elia pron pronti ti a nella uscir uscire, e, nell nell’a ’att ttes esa a dell lla a ve venu nuta ta del del Signore. Entrambi aspettavano il Signore, uno nella tenda, l’altro nella caverna, ma entrambi erano sulla soglia, l’uno in piedi, l’altro seduto. Ci si rende conto, da ciò, che l’uno stimava questa vita una miseria, l’altro una milizia, che stimavano il peregrinare di questo mondo l’uno un carcere, l’altro una spedizione. Alcuni si considerano come in una spelonca e stimano la carne come un ergastolo, mentre sopportano con fastidio a molestia di questa vita. Altri fanno del loro corpo una tenda e si preparano a servire nell’esercito del Signore, e accettano con buona pazienza di vivere, affinché ciò serva al guadagno di Dio. L’uno vive con impazienza, l’altro con pazienza, poiché l’uno teme per sé, l’altro si volge ai guadagni divini. L’uno sta in piedi e molto fatica, l’altro sta seduto, e quasi non sente fatica e, come non curando, aspetta la venuta del Signore. L’uno e l’altro sono comunque sulla sogl so glia ia,, pr pron onti ti a usci uscirre. Per tace tacerre di co colo loro ro ch che e vivo vivono no vo vole lent ntier ierii dentro la loro tenda, se non anzi dentro il loro palazzo e ivi riposano con co n piac piacer ere, e, in insi sist stia iamo mo su sull fatt fatto o ch che e en entr tram ambi bi,, Ab Abra ramo mo ed Elia Elia,, temevano la venuta del Signore desiderandola, sia quello che sedeva sulla soglia e sopportava con pazienza il peso del servizio divino, sia quello che, stando sulla porta, aspettava il tempo della visitazione, inquieto nel desiderio e nell’impaziente attesa. Ascoltate come viveva nella impazienza colui che stava sulla soglia della caverna: Toglimi l’anima, o Signore, poiché io non sono migliore dei miei padri (3 Re 19,4).  19,4). Che cosa coprì il suo volto quando chi stava nell ne ll’a ’att ttes esa a si trov trovò ò da dava vant ntii al Si Sign gnor ore e ch che e pa pass ssav ava? a? O fo fors rse e alla alla pres pr esen enza za del del Si Sign gnor ore e egli egli cono conobb bbe e più più pe perf rfet etta tame ment nte e la su sua a imperfezione e si vergognò che apparisse? Hai tuttavia voluto vedere,

 

tu che hai temuto di essere visto. O quanti si credono già pronti e tuttavia nel momento della visitazione sono pieni di timore che in loro prima non esisteva, e temono di uscire, cosa che, invece, prima ardentemente desideravano.

Capitolo XI Dopo il molto desiderio non tutti si sollevano sopra se stessi per la visitazione della grazia Ecco si legge che chi aspetta il Signore non esce dalla porta e non corre incontro al Signore. Dalla spelonca, tuttavia, ma con il volto coperto, guardò innanzi ed esclamò la voce di Colui che passava, e colui che già sperava nel riposo, seppe quello che ancora doveva fare dalla rivelazione del Signore. Un altro poi balza incontro alla venuta del Signore, e corre incontro a colui che viene a volto scoperto, e lo introduce, e accoglie la promessa divina per il suo desiderio ardente; chiede Dio e,eiricevendo prescienza degli ev even enti ti al fu futu turi ri,,degli entr entra aeserciti ne nell segr sespiegazioni gret eto o di qu quei giud giudiz izii divi dilavini ni.. Che Che co cosa sa è volgersi al passaggio del Signore dalla propria tenda se non intendere con finezza la misura delle divine disposizioni e la grazia del suo aiuto da ciò che accade in se stessi secondo un disegno divino? Un violento terremoto segue lo spirito, e il fuoco segue il terremoto, e un sibilo lieve dell’aria segue il fuoco. Allora ci si accorge della presenza del Signore, perché la mente che è completamente scossa da grandi e mirabili avvenimenti, ed è presa da un eccessivo timore, o colta da un dolo do lorre tr trop oppo po gran grande de,, di nu nuov ovo, o, al di là d’og d’ogni ni sp sper eran anza za vien viene e ricondotta a una grande tranquillità e a una grande sicurezza. Allora non sa più che volere, e medita sull’azione della grazia e riconosce chiarissimamente che tutto ciò accade per volere di Dio. Abbiamo poi Dio stesso presente, ma come se passasse, quando non siamo in grad gr ado o di ma mant nten ener erci ci ferm fermii nella nella cont contem empl plaz azio ione ne di qu quel ella la luce luce.. Ascoltare la voce del Signore, o la voce del mezzo nel quale Egli parla, è conoscere quale sia la sua volontà perfetta e volta al bene. Ma, uscito dalla tenda, si fa avanti, verso la venuta del Signore e, venuto fuori, lo vede quasi faccia a faccia colui che condotto oltre se stesso, trascendendo la sua mente contempla la luce della suprema sapienza senza alcun velame, senza alcuna similitudine e non per mezzo dello specchio e in enigma, ma, per così dire, nella sua semplice verità. Volge il viso da fuori verso dentro, quando nel rimeditare ciò che ha vist visto o ne nell tr tras asce cend ndim imen ento to e ne nell di disc scut uter erlo lo con con fo forz rza, a, lo ren ende de comprensibile a sé e, ora sulla base della ragione, ora sul riferimento delle similitudini, lo conduce alla comune intelligenza. Viene ucciso il vitello di cui il Signore si ciba, quando la mente dell’uomo rafforzata in questi gradi di avanzamento, taglia qualcosa di ciò che ardentemente desidera e che prima custodiva premurosamente, lo taglia via dalle

 

proprie ricerche e dai propri costumi, per cui spera di poter rimanere perrfe pe fett ttam amen ente te unito nito al alla la di divi vina na co cont ntem empl plaz azio ione ne e di piac piacer ere e maggiormente a Dio. Noi facciamo sacrificio sacrificio al Signo Signore re quando, con le vitti vittime me delle nostre nostre virt virtù ù e co coll pr prop opos osit ito o d’ d’un una a vi vita ta pi più ù se serrrata, ata, nu nutr tria iamo mo in no noii la benevolenza della sua carità e l’accresciamo: Ecco Ecco   busso alla porta, se qualcuno mi aprirà, entrerò e cenerò con lui (Ap (Apoc. oc. 3,2 3,20). 0). Noi mangeremo, nella nostra casa insieme col Signore, quando volentieri ci of offr frir irem emo o a lui lui e serv servir irem emo o a ci ciò ò ch che e egli egli de desi side dera ra,, co cosi sicc cché hé aumentiamo in noi la sua benevolenza e la nostra fiducia in Lui. Dall’a Dal l’aume umento nto di que questa sta fid fiduci ucia, a, quasi quasi fos fosse se una grazi grazia a per lun lungo go tempo desiderata, la mente viene animata improvvisamente oltre la speranza e ogni previsione. Seguiamo il Signore che esce quando, rimanendo fermi con attenzione sull’intelligenza della realtà divina, perr ci pe ciò ò che che cont contem empl plia iamo mo dell della a lu luce ce di Di Dio, o, si siam amo o soll sollev evat atii a cont co ntem empl plar are e cose cose pi più ù al alte te sopr sopra a noi noi st stes essi si e ac acco comp mpag agni niam amo o il Signore che passa seguendo le tracce della grazia rivelante. Dopo l’uscita è possibile rimanere con il Signore che resta e restare uniti molto a lungo per mezzo della contemplazione alla luce rivelata in quello stato altezza. È con il Signore che resta colui il quale ha superato tuttadiquesta dimensione immonda di umana mutevolezza, di incertezza e ambiguità, levandosi in alto con la mente, e fisso in quella luce d’eternità, si assimila all’immagine che contempla. Dice l’Apostolo: Noi tutti  tutti  che guardiamo la gloria del Signore col volto scop sc oper erto to,, siam siamo o tras trasfo form rmat atii in qu quel ella la im imma magi gine ne da sp sple lend ndor ore e in splendore, come opera dello spirito del Signore (2 Cor. 3,18).

Capitolo XII Delle cose che sono intuite nel trascendimento della mente alcune possono essere piegate alla comune intelligenza, altre non lo possono Bisogna osservare che ora introduciamo in noi il volto di Dio, ora usciamo con lui. In Infa fatt ttii quel quello lo che che è cono conosc sciu iuto to de dell lla a luce luce di Di Dio o per per me mezz zzo o del del trascendimento della mente, talvolta è compreso anche dalla mente che ch e non non si si sia a in ci ciò ò in ineb ebri riat ata, a, e sp spes esso so da ciò ciò ch che e no noii sp spes esso so rimeditiamo, siamo condotti, per la grande ammirazio ion ne, all’entusiasmo della mente. Talvolta dunque introduciamo il volto di Dio posto fuori di noi, talvolta non lo introduciamo. Infatti si legge che Abra Ab ramo mo,, dopo dopo esse esserre usci uscito to la seco second nda a vo volt lta, a, no non n rico ricond ndus usse se il Signore. Vi sono infatti delle cose che trascendono l’umana ragione e che non possono essere da questa ricercate e tuttavia non sono, come co me s’è s’è de dett tto, o, fuor fuorii de dell lla a ra ragi gion one. e. Qu Quan ando do dunq dunque ue impa impari riam amo o qualcosa nel trascendimento della mente, riportiamo in noi la visione

 

avuta avut a sopr sopra a di noi, noi, se scop scopri riam amo o co con n la ra ragi gion one e ciò ciò che che prim prima a abbiamo intuito per mezzo della rivelazione. Ma vi sono delle cose che stanno oltre la ragione e fuori della ragione, che vengono apprese per mezzo della rivelazione, nell’estasi; di esse non possiamo cogliere la ragione, una volta che siamo ritornati a noi, nell’ambito d’ella umana dimensione e ne lasciamo come fuori la conoscenza raggiunta nella vision vis ione, e, sem sempli plicem cement ente e ne con conser servia viamo mo un cer certo to ric ricor ordo do.. Dic Dice e la Scrittura: Il  Il Signore se ne andò, dopo che ebbe parlato ad Abramo, ed egli eg li to torn rnò ò ne nell lla a sua sua tend tenda a (G (Gn. n. 18,3 18,33) 3).. Il Sign Signor ore e si allo allont ntan ana, a, e Abramo Abr amo ritor ritorna na qu quand ando, o, tolta tolta la gra grazia zia del della la riv rivela elazio zione, ne, il sen senso so intellettuale è richiamato al comune stato. La prima volta che uscì, Abramo, con molta fatica, obbligò a entrare nella sua tenda quegli che aveva visto. La seconda volta che uscì, dopo una lunga visione e un lungo colloquio, non poté condurlo con sé. Noi introduciamo Colui che abbiamo visto quando con la ragione pieghiamo un poco alla comune intelligenza la teofania rapidamente percepita. Ma Colui che è stato visto fuori non viene affatto introdotto, quando la rivelazione e la visione contraddicono ogni umana categoria tanto più drammaticamente quanto più viene confrontata con l’umana ragione. In tale speculazione, prima che l’anima ritorni alla sua dimensione consueta, il Signore si allontana e mostra la grandezza della sua incomprensibilità con la lontananza della visione. Questi due generi di cose che in queste due visioni sono conosciute per opera della divina rivelazione, sono relative a quei due cherubini dei quali si è parlato. Questa è la materia della quale devono essere formate le forme ange an geli lich che e e al alat ate. e. Co Con n qu ques esta ta mate materi ria a no noii fo forrmiam miamo o i ch cher erub ubin inii quan qu ando do im impa pari riam amo o i segr segret etii dell della a nost nostra ra fede fede o pe perr me mezz zzo o de dell lla a rivelazione o informati dai teologi, e ci abituiamo à condurre la nostra anim an ima a al alla la co cont ntem empl plaz azio ione ne,, e a in inna nalz lzar arla la all’ all’am ammi mira razi zion one, e, e a nutrirla; a umiliarla, a infiammarla nel desiderio delle cose divine. Dobbiamo dunque, secondo l’esempio di Abramo e di Elia aspettare la venu ve nuta ta del del Si Sign gnor ore e come come su sull lla a sogl soglia ia,, su sull lla a po port rta a de dell lla a no nost stra ra abitazione. Dobbiamo allargare le ali dei nostri cherubini, secondo il divino documento e affrettarci con rapidi passi, andando incontro alla venuta della grazia rivelante.

Capitolo XIII In ogni momento l’anima santa e contemplativa deve essere pronta a ricevere la grazia L’anima santa e veramente amica dello sposo deve aspettare con grande desiderio la venuta del suo diletto, dev’essere sempre pronta e deve correre a lui quando la chiama. Dev’essere trovata sempre pronta e sempre sollecita, perché quand’egli venga all’improvviso, non la trovi meno bella e meno ornata o per ercché non debba inquietarsi, d’una lunga attesa. Sono parole brutte e molto pesanti

 

perché ha un grande desiderio. Manda, rimanda, manda, rimanda; aspett asp etta, a, ancor ancora a aspett aspetta, a, aspett aspetta, a, ancora ancora asp aspett etta; a; anc ancor ora a un po’ po’;; ancora un po’  (Is. 28,10),  28,10),  sono le parole dell’anima pigra, tiepida, poco attenta e molto ingrata. Che cosa dice l’anima, trovata nelle sue macchie, quando si duole dell’esser prevenuta dalla venuta inopinata dello sposo e arr arrossisce ossisce di essere amata, meno bella? Certo, dice, avrei dovuto conoscere prima la tua venuta per accoglierti con solennità e perché potessi correrti incontro con la dovuta celerità. Annunciami in anticipo la tua venuta e informami infor mami dell’ora. dell’ora.  Fammi sapere prima che cosa tu vuoi che io faccia. Ci sia un messo che tra me e te, mi istruisca d’ogni cosa, non solo riguardo a me, ma anche riguardo a te. Mi insegni come si stia accanto a te e che cosa ti piacerà di me. Manda e rimanda; annunzia e nuovam nuovament ente e ann annunz unzia. ia. Ma non convie conviene ne agli agli ama amanti nti ign ignora orare re i reciproci desideri e non basta ascoltare una sola volta con l’animo inquieto per l’ardente desiderio. For orse se mo molt lto o ama, ama, molto molto desi deside dera ra l’ l’an anim ima a ch che e va chie chiede dend ndo o co con n petulanza importuna un nunzio tra lei e lo sposo. Vediamo dunque cosa fa. Ecco, secondo il suo desiderio molti messaggeri sono mandati e rimandati e talvoltanel segue le loroamore. istruzioni poter amplessi e scaldarsi reciproco Eccoper e già allegodere porte, degli ecco già bussa alle porte. Ecco la voce dello sposo tuo che batte:  Apri, sorella mia, amica mia, colomba mia, immacolata, il mio capo è pieno di rugiada, e miei riccioli di gocce e della notte (C (Can ant. t. 5,2) 5,2).. Ch Che e vantaggio ne viene dall’aver mandato’ avanti i messaggeri, se poi lo sposo trova la porta chiusa? Alla voce dello sposo, perché almeno non ti alzi subito e non apri per gettarti nelle sue braccia? Mi sono levata la tunica. Perché indossarla ancora? Mi son lavati i piedi. Perché sporcarli ancora? (Cant. 5,3). Aspetti dunque un poco, se vuole che lo accolga; egli bussa chiedendo di entrare e tu dici: Aspetta. Bussa ancora e tu dici: Aspetta di nuovo. Che c’è di grave, dici, se aspetta un poco? Temo che questo poco tu lo protragga per lungo tempo, fino a quando stancato della lunga attesa se ne vada. Lo manifestano la tua voce e il tuo tardo lamento.  Aprii il paletto della porta al mio diletto, ma lui era già  già andato (Cant. 5,6).  5,6). Ma ecco di nuovo torna, non considerando l’offesa di prima e sta dietro il muro, guarda attraverso le fine finest strre e il canc cancell ello. o. Lo se sent ntii chia chiama marre tu ch che e av avrres esti ti vo volu luto to accoglierlo, quando bussava. Ecco il tuo sposo; ti dice: sorgi in fretta, amica mia, colomba mia, bellissima mia e vieni (Cant. 2,10).  2,10).  Perché non sorgi subito, perché non corri, perché non lo accogli e non scambi baci? bac i? Pe Perc rché hé ancora ancora dic dici: i: Aspet Aspetta? ta? Ecc Ecco o ancor ancora a asp aspett etta a e anc ancor ora a chiama: Sorgi, sposa mia e amica mia, e vieni dal cavo della rupe nei nascondigl nasco ndiglii delle balze balze scos scoscese cese (Can (Cant. t. 2,14) 2,14)..  E cosa rispondi tu? Aspetta ancora un poco. Anima ingrata e duro cuore, fino a quando rattristi il tuo amico, fino a quando stanchi il tuo sposo; bussa e non vuoi aprire; chiama e non vuoi uscire. Bussa una volta e ancora e tu gli dici di aspettare, di aspettar aspettare e ancora un poco e un altro poco.

 

Un po’ in un luogo, un po’ in un altro, un po’ qui. Il tuo sposo è costretto a fare spesso e molto, ciò che tu chiami un poco e un poco. Infatti, allunghi il poco in molto e in questo modo inganni l’amico tuo, stanchi il tuo diletto. Oh quanto meglio che tu stessi attenta davanti alla porta, per aspettare con Abramo ed Elia la venuta del tuo diletto, per corrergli incontro quando viene e accoglie nell’esultanza. Dovresti cert ce rto o come come co colo lomb mba a del del tuo tuo di dile lett tto o nelle nelle ca cave vern rne e dell della a ru rupe pe,, ne neii nasc na scon ondi digl glii dell delle e balz balze e scos scosce cese se,, aper aperte te le ali ali e pr prot otes eso o il ca capo po,, guardare fuori e aspettare ansiosamente la venuta del tuo unico, con il canto e il gemito dei colombi. Ma forse i nostri cherubini non hanno ali, o se le hanno, non le hanno aperte. Forse non abbiamo ancora compiuto la nostra opera e non abbiamo ancora dato quella forma angelica a quell’unico blocco aureo secondo il comando del Signore.

Capitolo XIV Pochi hanno l’anima sempre pronta a ricevere la grazia  Taccio  Taccio di quelli che sono fuori, che non hanno potuto conoscere la dolcezza della grazia, che non ascoltano i suoi comandamenti dagli scritti e dalle parole dei dottori e tuttavia non hanno pace, chiedendo il tempo della penitenza nei loro peccati di ogni giorno. Tra questi alcuni alc uni asc ascolt oltano ano volent volentier ierii le parole parole di vit vita, a, ma nel nella la lor loro o ricer ricerca ca dicono: Manda e rimanda. E mentre ogni giorno accumulano peccati su peccati, chiedono di aspettare e aspettare ancora e domandano il temp tempo o per pent entir irssi e ogni gni gi gio orno rim riman and dan ano o il mom omen ento to de dell pentimento. Certo tutto il tempo di questa vita appare troppo piccolo alla mente carnal car nale e per soddis soddisfar fare e il deside desiderio rio.. E men mentr tre e un’ un’ani anima ma così così fatta fatta sciupa molto tempo, considerandolo un momento, parla alla divina pazi pa zien enza za di dice cend ndo: o: Un po poco co e an anco cora ra un po poco co.. Ma per per tace tacerre di costoro, che diremo di noi, che abbiamo accolto l’abito della religione, che ci siamo esercitati nella spiritualità, che abbiamo ricevuto i pegni dell’amore divino? Soprattutto noi che diremo se non abbiamo altro dove do verre ch che e legg legger ere, e, cant cantar are e e pr preg egar are, e, me medi dita tarre, sp spec ecul ular are e e contemplare nella libertà e vedere quanto è dolce il Signore? Non ci vergogneremo di dire stancando lo sposo nostro: Manda e rimanda, manda e rimanda ancora, aspetta e torna a aspettare, aspetta e to torn rna a a aspe aspett ttar are, e, anco ancora ra un po’, po’, anco ancora ra un po’  po’  (Is. (Is. 28 28,1 ,10) 0).. Og Ogni ni giorno voi che vi dedicate alla lettura e alla meditazione accogliete i suoi su oi me mess ssag agge geri ri,, cono conosc scet ete e la sua sua volo volont ntà. à. Og Ogni ni vo volt lta a ch che e dall dalle e profo profondi ndità tà del della la Scr Scritt ittura ura ric ricavi aviamo amo nuova nuova int intelli elligen genza za ric ricevia eviamo mo infatti i messaggeri dello sposo. Ogni nostra lettura, ogni nostra acuta meditazione è volta a ciò. Alcuni messaggeri vanno incontro a coloro che leggono, altri a coloro che ch e me medi dita tano no segr segret etii di divi vini ni e port portan ano o i co coma mand ndii de dell llo o sp spos oso o e

 

istruiscono intorno a ogni cosa. Spesso accade che la stessa Scrittura quando viene esposta in modo vario ci dice in uno stesso tempo molte cose, ci insegna che cosa lo sposo voglia che noi facciamo, ci infor inf orma ma allego allegoric ricame amente nte che cos cosa a egl eglii fac faccia cia per noi noi,, ci propo propone ne anagogicamente che cosa intende fare di noi. In questo modo spesso manda e rimanda a noi messaggeri e anzi molte cose annuncia per mezzo di un solo inviato. Spesso la sua volontà ci viene proposta sotto vari enigmi e in diverse figurazioni perché si imprima più fortemente nella mente. E mentre la stessa cosa ci viene detta e ripetuta in molti modi, egli manda e rimanda e molti sono coloro che accolgono questi nunz nu nzi. i. In un prim primo o tem tempo è diffi iffici cile le vo vole lerrsi co corrreg egg ger ere e o per negligenza si fa poco. Si desidera infatti raggiungere la ragione della gloria, ma non si desidera di essere edificati. Si desidera la scienza, ma non la santità, si desidera essere saputelli, più che santi. Mentre cercano con sforzi quotidiani nuovi accorgimenti e nuova intelligenza, chiedo chi edono no nella nella ric ricer erca ca lor loro o e nel lor loro o de desid sideri erio: o: Manda, Manda, rim rimand anda; a; manda, rimanda. Accogliamo ogni giorno questi nunzi e mentre ne vengono altri ancora ne chiediamo di nuovi e insistiamo al cospetto dell Sign de Signor ore e degl deglii eser eserci citi ti:: Mand Manda, a, rima rimand nda, a, ma mand nda a rima rimand nda. a. Ma quanto piùciè accusa grande eil ci numero dei messaggeri, tanto la nostra coscienza tormenta acerbamente. Ne più viene che ci disponiamo sempre a correggere la nostra vita, ma che tuttavia la rimandiamo sempre. E mentre ci proponiamo di fare ciò in futuro, accade che quel futuro sia sempre domani o forse non sia mai futuro. Spesso determiniamo un futuro nel quale correggere la nostra vita, e diciamo allo sposo: aspetta, aspetta. E quando quel futuro è diventato presente, diciamo: torna ad aspettare. Molti si propongono di svincolarsi dagli affetti estranei e dispersivi nei quali sono impastoiati e decidono di non ricadere in essi; intanto chiedono di aspettare un po’, chiedono cioè di perdere quegli affetti più che di tagliarli via, ma poi si danno da fare per riavere ciò che hanno perduto, e allora chiedono allo sposo di aspettare nuovamente un altro poco.il Certo dicono: un poco e un poco. Qualunque infatti non soddisfi desiderio, appare poco. Chiedono di essere cosa aspettati e nuovamente di essere aspettati un poco e un altro poco, un poco qui, un poco là, un po’ per un desiderio, un po’ per un altro e per un altro ancora, e per un altro momento e per un momento ancora. E così cantiamo al nostro sposo un’odiosa canzone: Aspetta, aspetta ancora; aspetta, aspetta ancora; un poco qui, un poco là. Quando credi che quest’ que st’ani anima ma pigra pigra e tie tiepid pida a potrà potrà formar formare e que quell’o ll’oper pera a col duttile duttile metallo, traendone la forma angelica mentre c’è bisogno per questo di allargare le ali e al comando del Signore non abbassarle mai dall’altezza della intenzione dei nostri desideri nella nostra ricerca?

Capitolo XV Dunque è molto difficile all’anima perfetta raccogliersi tutta

 

in se stessa e riposare nel solo desiderio della divinità A un impaziente desiderio è noiosa l’attesa non dico di un anno né di un mese, né di un giorno, ma anche di un solo momento. La speranza rimandata tormenta l’anima. La sposa del vero amico, la vera amica dell de llo o spos sposo o de deve ve esse esserre, come come ab abbi biam amo o de dett tto, o, semp semprre pr pron onta ta e preparata ad accogliere lo sposo che bussa, senza alcun rinvio e corrergli incontro con tutta celerità quando chiama Sappiamo che il vero amore è volto solo verso l’unicità della persona amata. Guarda di non cominciare ad allontanare la folla dei diversi pensieri quando egli ha già cominciato a bussare. Che dirai altrimenti quando sarà trovata acca ac cant nto o a te quel quella la foll folla; a; co cosa sa di dira raii se non: non: Asp spet etta ta,, to torrna ad aspett asp ettar are? e? Bisogn Bisogna a aspett aspettar are e e ancor ancora a asp aspett ettar are e di all allont ontana anare re la turba degli estranei, di far uscire i tuoi molti pensieri; tutti i pensieri che non sono di nostra utilità, vani e nocivi, sono estranei. I pensieri che sono a noi di qualche vantaggio sono a noi familiari. Ma perché l’am l’amor ore e ama ama la soli solitu tudi dine ne,, cer cerca un luog luogo o soli solita tari rio o e biso bisogn gna a allontanare tutta la folla dei pensieri e degli affetti per potersi unire co con n gr gran an libe libert rtà à e le leti tizi zia a al allo lo Aspetta, spos sposo. o. Qu Quan anto to sinuovamente de deve ve as aspe pett ttar are epo’ e quante volte bisogna ripetere: aspetta un qui, un po’ là? Un po’ in un luogo, un po’ in un altro. Un po’ nel giardino, un po’ nell’ingresso, un po’ nella stanza, fino a quando dopo lunga lun ga attesa attesa e molta molta stanch stanchezz ezza a entri entri nel nell’i l’inti ntimit mità à e rag raggiu giunga nga il luogo segreto. Un po’ nel giardino mentre la turba tumultuosa dei pensieri viene allontanata; un po’ nell’ingresso mentre s’adorna la stanza; un po’ nella stanza mentre si prepara il letto e lo sposo è costretto ad aspettare aspettare in questi luoghi un po’ e un altro po’, un po’ qui e un po’ là. Egli viene sentito dal giardino, viene visto nell’ingresso, baciato nelle stanze, abbracciato sul letto. Viene ascoltato per mezzo dell de lla a memo memori ria, a, vi vist sto o con con l’ l’in inte tell llig igen enza za,, ba baci ciat ato o co con n l’af l’affe fett tto, o, abbr ab brac acci ciat ato o co con n la pie iena na adesi desio one. ne. È udito dito ne nell ric icor ordo do,, vis isto to nell’ammirazione, baciato nell’amore, abbracciato nella gioia. O, se più più piac piace, e, è udit udito o ne nell lla a ri rivel velaz azio ione ne,, vist visto o ne nell lla a co cont ntem empl plaz azio ione ne,, baci ba ciat ato o nell nella a de devo vozi zion one e e abbr abbrac acci ciat ato o per per pa part rtec ecip ipar are e de dell lla a su sua a dolcezza. Viene ascoltato nella rivelazione fino a quando la sua voce che a ,poco a poco cresce abbia tacitato lo strepito della folla e venga udita essa sola, fino a quando quando spar sparisca isca tutta la folla tumult tumultuosa uosa e riman rimanga ga lo sposo solo con la sposa, e la sposa contempli solo l’amato. Viene visto nella contemplazione fino a quando l’anima si riscalda a poco a poco nella visione straordinaria e nella ammirazione, e via via si infiam inf iammi mi e tal talvol volta ta divent diventii incand incandesc escent ente, e, purifi purifican candos dosi, i, e ven venga ga rinnovata in tutta la sua interna bellezza e quella stanza interiore della abitazione venga ornata di porpora e di seta e di tendaggi preziosi, fino a quando, ornata la stanza e introdotto lo sposo, per la fiducia che cresce e per il desiderio che sollecita, non potendo ancora unirsi a lui immediatamente, corre a baciarlo con profonda devozione.

 

Lo sposo è molto baciato dalla devozione, mentre si prepara il letto fino a quando l’intimità dell’anima si raccolga alla suprema pace e alla tranquillità, fino a quando, stretto lo sposo al seno, essa si assimili alla sua divina dolcezza nel suo desiderio e lo spirito che si unisce al Signore diventi un solo spirito. Credo che avendo sperimentato tanta dolcezza e tanta intima soavità non possa quell’anima opporre alcun indugio allo sposo che bussa o stancano facendolo aspettare né possa più dire: Aspetta e torna a aspettare, poiché ogni indugio è troppo lungo e penoso anche per lei. In seguito con il patriarca Abramo e il prof pr ofet eta a Elia Elia star starà à pron pronta ta sull sull’in ’ingr gres esso so de dell lla a su sua a ca casa sa pe perr es esse serre sempre pronta ad accogliere lo sposo. In questo tempo quella nostra oper op era a comi cominc ncer erà à a mi migl glio iora rarre non non di po poco co e ad av avvi vici cina nars rsii alla alla perfezione perché i nostri cherubini cominciano già ad allargare allargare le loro ali e a elevarsi a volo quasi in ogni momento.

Capitolo XVI È quasi impossibile a qualsiasi anima trascendere se stessa Ma benché sia già pronta l’anima d accogliere lo sposo che viene, non so se sia anche pronta a corrergli liberamente incontro. Temo che per questo motivo debba dire allo sposo: Aspetta, torna ad aspettare, aspett asp etta, a, tor torna na ad aspett aspettar are, e, anc ancora ora un po’, po’, anc ancor ora a un po’. po’. Cr Credo edo infatti che non sia facile accoglierlo e seguirlo quando chiama. Altro è entrare con lui, altro è uscire incontro a lui. Nel primo caso l’anima torna a sé ed entra nell’intimità del suo cuore con lo sposo. Nell’altro caso vien condotta condotta fuori di se stessa e solle sollevata vata alla conte contemplaz mplazione ione delle cose sublimi. Che cos’è infatti entrare, se non raccogliersi tutta in se stessa? Che cos’è infatti uscire, se non trascendere tutta se stessa? Il fatto che l’anima entri nel letto col suo sposo e con lui resti nella solitudine e goda della sua dolcezza non è che il dimenticarsi di ogni og ni es este teri rior orit ità à e in lui inti intima mame ment nte e e gr gran ande deme ment nte e rall rallegr egrar arsi si.. L’an L’anim ima a ve vede de se stes stessa sa con con lo spos sposo, o, qu quan ando do,, dime diment ntic ica a d’og d’ogni ni esteriorità, volge il proprio desiderio nell’amore dello sposo per una sua libera scelta e infiamma il suo animo a tale affetto in forza di ciò che considera in se stessa. E sale nell’azione di grazia, considerando il bene e il male suo e di qui per la grazia ricevuta, per il perdono concesso scioglie i voti dell’intima devozione. Lo sposo viene condotto fino all’intimo quando viene amato per intimo affetto al di là di ogni cosa. Pensa che cosa hai amato più ardentemente nella tua vita, che cosa hai più desiderato, che cosa ti rallegrava più d’ogni altra cosa. Pen ensa sa dunq dunque ue se avve avvert rtii la stes stessa sa fo forz rza a de dell ll’a ’aff ffet etto to e la st stes essa sa grandezza del piacere quando ti infiammi nel desiderio del supremo amante, quando riposi nel suo piacere. Non c’è dubbio che se la forza del piacere non tiene la tua intimità nella vita divina, la tua anima la ravviva meno di quanto non fosse solita nei confronti degli affetti del

 

mondo. Se tu hai visto nel tuo cuore un piacere nei confronti delle cose divine più grande di quanto tu abbia mai provato nei confronti di qualsiasi altra cosa, guarda se non ci sia qualcos’altro in cui tu possa ra rall lleg egra rart rtii o co cons nsol olar arti ti.. Cert Certo o quan quando do veni veniam amo o pr pres esii da qu qual alch che e cons co nsol olaz azio ione ne este esterrna na,, il nost nostrro sp spos oso o no non n è inti intima mame ment nte e in noi. noi. Af Affre frettati ttati a chiamarlo chiamarlo nell’int nell’intimità imità del tuo cuor cuore, e, chiun chiunque que tu sia. Chi può negare che l’intimità del cuore abbia tali profonde possibilità, chi può negare che possa escludere qualsiasi altro piacere quando sia presa da un forte amore dello sposo unico? Certo se vuoi qualche estranea consolazione e la accetti, ami il tuo Dio forse molto, ma non come sposo unico. Egli allora non è introdotto nella tua intimità. Se dunque non ti sforzi di introdurlo in te, come puoi pretendere di seguirlo nelle sue altezze? Certamente è un segno del tuo scarso amore per il tuo sposo o di un minor amore suo verso di te se non sei ancora chiamato al trascendimento e se non meriti di seguirlo nel caso che ti chiami. Come puoi amare perfettamente, se non sei rapito al supremo desiderio e, anagogicamente, non trascendi te stesso? Ecco perché l’altezza della rivelazione divina è la manifestazione del suo amor amore: Non vi chiamo più servi, ma amici, poiché vi ho  partecipato tutto hodo udito mio Guar Gu arda da il sens se nso o ciò e che il modo mo dell dedal lla a padre ri rive vela lazi zion one e(Gv. secon sec15,15). ondo do la mi misu sura ra dell’amor dell’a more e divino: divino: Ma Mang ngia iate te,, o amic amici, i, e be beve vette e in ineb ebri riat atev evii o carissimi (Cant. 5,1). Ecco gli amici mangiano, ma gli amici carissimi non solo bevono, ma si inebriano. Certo quelli che mangiano mentre consumano il cibo sono condotti alla gioia non senza qualche indugio e qualche fatica, quelli che bevono con massima facilità e velocità pren pr endo dono no in sé ciò ciò che che be bevo vono no.. Per qu ques esto to colo colorro che che ma mang ngia iano no rappresentano quelli che raggiungono le delizie della verità solo con molt mo lto o stud studio io e lu lung nghe he me medi dita tazi zion oni. i. Bevo Bevono no in inve vece ce co colo lorro che che at atti ting ngon ono o co con n gran grande de fa faci cili lità tà e le leti tizi zia a da dall lla a divi divina na rive rivela lazi zion one e la bram br amat ata a soav soavit ità à de della lla veri verità tà.. Gl Glii amic amicii ma mang ngia iano no,, ma i ca cari riss ssim imii bevono perché secondo la misura del piacere viene dispensato il mo modo do ndimen de dell lla a to mani manife azio ne..ione L’ L’eb brez ezza de dell lla a me ment nte pr prod oduc uce e tica un trasce tra scendi mento e fest lastaz rivelaz rivione elazion eebbr della del lazadiv divini inità tà por porta tae nel nella la mis mistic a ebbrezza coloro che sono carissimi. Il Profeta indicò tale ebbrezza quando disse: So Sono no in ineb ebri riat atii dall dalla a ri ricc cche hezz zza a de dell lla a tu tua a ca casa sa e co coll torrente della tua delizia li disseti (Sal. 35,9).  35,9).  Se dunque desideriamo aver av ere e tale tale ebbr ebbrez ezza za e ra ragg ggiu iung nger ere e spes spesso so tale tale tras trasce cend ndim imen ento to cerchiamo di amare intimamente e sommamente il nostro Dio e in ogni ora tendere ere con gran desideri erio alla gioia della divin ina a contemplazione. Ciò sarà avere aperte le ali del cherubino. Ecco ormai quanta fatica e quali allegorie sono state necessarie perché i nostri cherubini aprissero le loro ali e costituissero un conveniente riparo al nostro propiziatorio.

Capitolo XVII

 

Ciò che è proprio del quinto genere di contemplazione Bisogna Bisogn a cercar cercare e per perché ché i cherub cherubini ini si gua guard rdano ano recip recipro rocam cament ente e e volgono il volto verso il propiziatorio: Si  Si  guardino reciprocamente con i volti rivolti verso il propiziatorio (Es. 25,20).  25,20).  Abbiamo detto sopra che al primo cherubino riguardano le cose che sono sopra la ragione, ma non fuori della ragione. Al secondo cherubino le cose che sono sopra sop ra la ragion ragione e e sembra sembrano no esser essere e fuo fuori ri del della la rag ragion ione. e. Sec Second ondo o ques qu esta ta dist distin inzi zion one e os osse serv rvat ate e che che al prim primo o ch cher erub ubin ino o rigu riguar arda da la spec sp ecul ulaz azio ione ne dell dell’u ’uni nità tà e de dell lla a semp sempli lici ciss ssim ima a es esse senz nza a di Di Dio. o. Al secondo cherubino riguarda la speculazione sulla Trinità; molte infatti sono le cose della Trinità che sono provate sulla base della Scrittura ma che sembrano contraddire ogni umana ragione. Per questo tali cose riguardano il secondo cherubin ino o e vengono soltanto contemplate, non razionalmente meditate. L’unità e la semplicissima natu na tura ra di Di Dio o be bench nché é sopr soprav avan anzi zino no l’um l’uman ana a inte intell llig igen enza za no non n la contra con traddi ddicon cono o e per questo questo rig riguar uardan dano o il pri primo mo cherub cherubino ino.. Cer Certo to crediamo che egli è l’altissimo, che è semplicissimo, unico e che nella sua e unica di bontà si trova ogni bene.nulla Quanto all’essenza nullasemplice v’è più semplice lui, quanto alla potenza più vasto di lui. Quan Qu anto to alla alla es esse senz nza a non non c’ c’è è null nulla a di più più se semp mpli lice ce di ci ciò ò ch che e è veramente e sommamente uno; quanto alla potenza nulla e più vasto di ciò che senza dubbio può ogni cosa. Guarda quanto sia difficile per l’umana ragione comprendere tutto ciò che è, e allora capirai quanto sia incomprensibile quella bontà nella quale c’è ogni bene. Sopra la ragione è comprendere come quel bene veramente semplice e unico sia ogni bene. D’altra parte la ragione umana accetta tale rivelazione e la conferma considerando e affermando e testimoniando che non sarebbe pieno né perfetto, né assolutamente sufficiente se in Lui, suprema ed eterna volontà, mancasse qualche bene. Ma come si può comprendere Egli che è immenso e infinito? Grande è il Signore, degno senso d’ogni può lode;percepire, la grandezza suaragione non ha può confine (Sal. 144,3). Ma quale quale comprendere come possa essere semplice se è immenso, e unico se è infinito; tuttavia la ragi ra gion one e te test stim imon onia ia ch che e è asso assolu luta tame ment nte e se semp mpli lice ce,, ch che e no non n è composto, perché ogni composto può essere diviso e ciò che può essere diviso può mutare. La ragione ammette che Dio è semplice, perché riconosce che deve essere immutevole, poiché egli è il bene massimo rispetto a ogni cosa: Presso di Lui non c’è mutamento né ombra di vicissitudine (Gc. 1,17). Se dunque è un bene immutevole è anche un bene semplicissimo. Ne viene che è sommamente semplice, perché è sommamente buono. Se dunque nulla c’è più semplice di lui, se è ciò di cui non si può pensare nulla di più spirituale, nulla di più profondo, Egli è conseguentemente ciò di cui non si può pensare nulla di più incomprensibile. Vediamo allora che, cosa venga da questo dupl du plic ice e ra ragio giona name ment nto o su sull lla a semp semplic licit ità à e su sull ll’im ’imme mens nsit ità, à, ov ovve vero ro sull’unità e sull’universalità. Se ogni cosa buona è in Lui, qualunque

 

cosa è in Lui è suprema bontà. Pertanto è suprema potenza, suprema sapienza, suprema bontà, suprema felicità. Perché poi Egli è somma semplicità, tutto ciò che è uno è Egli stesso. È la stessa cosa per Lui essere, vivere, intendere, poter essere buono ed essere beato; in questo Egli è incomprensibile. È potente, sapiente, buono e beato non per ragioni diverse. La sua potenza è tale per cui il suo volere del tutto si realizza in ogni cosa che vuole venga fatta. La sua sapienza è tale per cui si identificano il potere e il sapere. La sua bontà è tale per cui ogni cosa di cui si compiace è giusta e ogni cosa di cui si dispiace è ingiusta. La sua vita è tale per cui il suo essere è una sola cosa con la sua beatitudine. Nota anzi che se egli è veramente onnipotente egli è dovunque. Egli è potenzialmente dovunque e dove c’è un luogo e dove non c’è alcun luogo. Se poi è dovunque potenzialmente, lo è anch an che e es esse senz nzia ialm lmen ente te,, poic poiché hé id iden entic tiche he in Lu Luii so sono no la po pote tenz nza a e l’essenza. Essenzialmente è in ogni cosa e fuori d’ogni cosa e al di sopra e al di sotto di ogni cosa. Se è dentro ogni cosa, nulla è più segreto di Lui; se è fuori di ogni cosa, nulla è più lontano di Lui; se è sotto ogni cosa nulla è più nascosto di Lui, se è sopra ogni cosa, nulla è più sublime di Lui. Che cosa è dunque più incomprensibile, più segreto, piùnulla lontano, occulto,dipiù sublime se Egli è in ogni luogo, è piùpiù presente Lui; se EglidièLui? fuoriAnzi da ogni luogo, nulla è più assente di Lui. Ma c’è qualcosa di più assente e di più presente, di più presente e di più assente di Lui? Ma se nulla è più presente di Lui che è assentissimo, se nulla è più assente di Lui che è presentissimo, che cosa c’è di più mirabile e di più incomprensibile di Lui? E ancora, se il potere non è altro in Lui dalla felicità, dovunque c’ c’è è la su sua a su supr prem ema a pote potenz nza, a, c’ c’è è la su sua a su supr prem ema a feli felici cità tà.. La su sua a suprema felicità allora è dovunque. Ma come dunque può esserci nell’inferno luogo di infinita miseria o come può qualcuno essere misero se la suprema felicità non può mai mancargli? È mirabile e incomprensibile tutto ciò. La ragione prova molte cose, infinite cose dell’unità divina, ma non le comprende. Pertanto tali cose sono sopra la ragione; ma fuoriil primo della ragione; secondo quanto s’è detto sopra riguardano per non questo cherubino.

Capitolo XVIII Ciò che riguarda il sesto genere di contemplazione Circa la Trinità delle persone e la speculazione della Trinità, molte cose si credono e si asseriscono che però sono non solo sopra la ragione, ma anche, sembra, al di fuori della ragione. Crediamo in un solo Dio Padr Padre, e, Figlio e Spirito Santo; il Padre non nasce né procede da nessuno; il Figlio nasce dal Padre; lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio. Crediamo dunque la Trinità delle persone, nell’unità della sostanza. Altro è il Padre, altro è il Figlio, altro lo Spirito Santo e

 

tuttavia le tre persone non sono diverse. Tre sono le persone, ma una la so sost stan anza za,, una una l’ l’es esse senz nza, a, una una la na natu tura ra.. Cr Cred edia iamo mo tu tutt tto o ciò, ciò, lo prof pr ofes essi siam amo o e tale tale è la veri verità tà;; tutt tuttav avia ia la ragi ragion one e um uman ana a vien viene e contraddetta da questo postulato di fede. Se il Padre è ingenerato e il Figlio è l’unigenito, la sostanza del Padre sarà ingenerata e quella del Figlio generata? E poiché hanno entrambi una stessa sostanza sarà essa generata e non generata? O forse la sostanza genera se stessa ed è generata da se stessa? O forse la sostanza è generata e non generata, nasce e non nasce? Se diciamo che il Figlio nasce che cosa diremo della sua natività? La sua natività è eterna; Presso di lui non c’ c’è è mu muta tame ment nto o né om ombr bra a di camb cambiam iamen ento to (Gc (Gc.. 1,1 1,17). 7).   Se la sua natività non avvenne una volta, in che modo il Coeterno è uguale al Padre? Se non avverrà come sarà quella immutabile natura nella qual qu ale e qu qual alco cosa sa muta muta?? Se semp semprre è st stat ata, a, co come me rice riceve ve l’es l’esse serre dall’altr dall’a ltro o che non ha mai comincia cominciato to a esser essere, e, senza il quale il Pa Padre dre non avrebbe potuto essere? essere? E come la sua natività è perfetta, se deve ancora avvenire? O forse si rinnova sempre per poter essere sempre? Forse è mo molt ltep epli lice ce e infi infin nit ita a pe perrché ché è neces ecesssario ario rinn innovar ovarla la all’infinito? Tutto Tutto ciò che si dice della natività del Figlio, guarda se non possa detto circa cose la processione dello Spirito Santo.ci sembrano Ma se essere pensiamo queste secondo un criterio umano, impossibili. Se lo Spirito Santo ha lo stesso potere del Padre non può forse tutto ciò che può il Padre? Non può forse generare così come il Padre? O forse non può generare il Figlio, anzi tale Figlio che è onnipotente? O forse non lo vuole, ma lo può? Come allora possederà la somi somigl glia ianz nza a dell della a volo volont ntà à col col Padr adre, an anzi zi la pien pienez ezza za dell della a somigl som iglian ianza? za? In questo questo mod modo o trove troverai rai inn innume umere revol volii cos cose e circa circa la  Trinità  Trinità delle persone, che non solo sono incomprensibili, incomprensibili, ma anche contraddit contr addittorie torie.. Troverai roverai molte di tali cose incom incompren prensibili sibili circ circa a la  Trinità  Trinità delle persone e l’unione delle sostanze, nell’incarnazione del Verbo erbo.. Co Come me poss posson ono o l’ l’um uman anit ità à e la divi divini nità tà esse esserre un unit ite e in un una a persona? È forse qualcosa dell’uomo, o qualcosa di Dio, o qualcosa di entrambi? è qualcosa di entrambi, possonoSe le èdue nature in esso unirsi,Sepoiché è diverso dall’unocome e dall’altro? qualcosa di umano è creatura; se  se é qualcosa di Dio è sopra la creatura e non è più creatura. Se è qualcosa di Dio e dell’uomo non sarà forse qualcosa partecipe e non partecipe delle opposte dimensioni? La questione è molto profonda, fin qui non posta e tale forse che debba essere tacitata. Ma che diremo dell’anima di Cristo, che ha ricevuto ogni pienezza pienez za di grazia? grazia? Infatti tutto ciò che il Padr adre e ha per natu natura, ra, egli lo riceve per grazia. In lui abita ogni pienezza di divinità, corporalmente (Coloss. (Colo ss. 2). Se ha ricevuto ogni pienez pienezza za di grazi grazia a e ogni pienez pienezza za di sapienza, ha ricevuto anche ogni pienezza di potenza. Se dunque ha uguale pienezza di grazia, ha anche uguale pienezza di sapienza e dunque uguale pienezza di potenza. Se dunque ha uguale sapienza e uguale potenza rispetto al Padre (il che non si può negare), non sarà forse uguale ai Padre e la creatura non potrà essere uguagliata al

 

Creatore, cosa che non può affatto essere ammessa? Se ha uguale potenza e uguale sapienza, come non può essere a lui uguagliata in tutto? Ma che diciamo dell’anima di Cristo, quando circa il suo corpo, secondo le asserzioni di fede crediamo molte cose che la ragione umana giudica impossibili? Quando Cristo distribuiva il suo corpo ai suoi su oi disc discep epol oli, i, port portav ava a se stes stesso so ne nell lle e su sue e ma mani ni?? For orse se eg egli li ch che e portava era lo stesso che era portato? Quando veniva mangiato dai suoi discepoli, veniva forse ferito? O forse in ciò che veniva dato, egli rimaneva immutevole, così come era invisibile, benché ciò che veniva dato fosse visibile e mutevole? Dunque uno stesso corpo in uno stesso tempo era visibile e invisibile, mutevole e immutevole? Guarda quanto sia incomprensibile; e non ti sembrerà impossibile. Guarda in quanti luoghi lo stesso corpo di Cristo ogni giorno viene consacrato e in mo molt lte e pa part rtii di divis viso: o: come come Egli Egli può può es esse serre in ciò immu immute tevo vole le e incorruttibile? O forse, benché disperso in tanti luoghi, rimane integro, incor inc orrrotto otto e assolu assolutam tament ente e ind indivi iviso? so? Se dun dunque que oss osserv ervii in qua quanti nti luog luoghi hi sia, sia, in qu quan anti ti lu luog oghi hi po poss ssa a es esse serre pe perr lo st stes esso so po pote terre di santificazione, dove ti condurrà il pensiero se non ad ammettere che un unico e identico corpo può essere in infiniti luoghi a uno stesso tempo? D’altra parte ciò è contro ognidunque proprietà proprietà deicosì corpi e addirittura contro ogni proprietà degli spiriti. Se sono incomprensibili e apparentemente incredibili le cose che crediamo secondo verità del corpo di Cristo, di gran lunga trascendono ogni umana ragione la verità circa l’anima di Cristo. E sono molto più sublimi le verità riguardo la Trinità delle persone. Esse sopravanzano le strettezze della ragione umana e addirittura la stordiscono e per questo riguardano il secondo cherubino. Giustamente, come s’è detto, poiché le cose relative all’unità della sostanza divina sono relative al primo cherubino, quelle relative alla  Trinità  Trinità delle persone riguardano il secondo cherubino; la prima considerazione riguarda il quinto grado di contemplazione, la seconda il sesto.

Capitolo XIX Il reciproco apporto delle due ultime speculazioni Da qu ques este te du due e co cons nsid ider eraz azio ioni ni,, cioè cioè sul sul qu quin into to e se sest sto o gene generre di contemplazione, bisogna fare attenzione a dire ciò che riguarda un tipo di contemplazione senza distruggere ciò che riguarda l’altro. Così nel ragionare dell’unità della sostanza divina non dobbiamo perdere l’accorgimento trinitario e nel confermare la fede nella Trinità non dobbiamo perdere il concetto dell’unità sostanziale. I due cherubini debbono reciprocamente guardarsi e non devono volgere gli occhi della speculazione a nulla di diverso. Molti che comprendono il senso della unicità della suprema divinità, non vogliono accettare per fede la

 

 Trinità;  Trinità; e molti che comprendono il senso della Trinità, perdono il senso della unità. Ano dice: altro è il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo. Direbbe bene se si riferisce alla diversità della persona, ma non alla differenza, della sostanza. Egli perde cioè l’unità divina. Sabellio dice: Uno solo è Dio. Lo stesso Dio quando vuole è Padre, Figlio e Spirito Santo, ma egli è sempre uno. Costui cerca di svuotare la fede della Trinità. In tal modo i nostri Cherubini distolgono gli occhi dal reciproco guardarsi, perché con diverse proposizioni e con diversi ragionamenti asseriscono cose contrarie e reciprocamente opposte. Secondo il primo cherubino diciamo che Dio è uno, unico e che ha creato tutto dal nulla. Coi secondo cherubino affermiamo che altro è colu co luii ch che e gene genera ra e al altr tro o chi chi è gene genera rato to e altr altro o ch chii pr proc oced ede e da entrambi. Ma i due cherubini si guardano l’un l’altro, perché un unico Dio è trino nelle persone. Diciamo secondo il primo cherubino che Padre, Figlio, Spirito Santo sono uno in una sostanza, in una essenza, in una natura. Diciamo secondo l’altro cherubino che altro è il Padre come persona, altro il Figlio come persona, altro lo Spirito Santo come persona. Si guardino i cherubini reciprocamente e professino l’identità sostanziale insieme con l’alterità personale, poiché il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo non sono dèi, ma unico il secondo cherubino crediamo che latre sostanza delun Figlio sia Dio. unitaPer in una persona alla nostra sostanza. Secondo il primo cherubino affermiamo che una e unica è la sostanza delle tre persone Padre, Figlio, Spirito Santo. D’altra parte, crediamo nella reciproca intuizione che solo il figlio è veramente incarnato. Il cherubino guarda il cherubino, quando l’uno non no n cont contra radd ddic ice e ci ciò ò che che l’ l’al altr tro o affe afferrma. ma. Il ch cher erub ubin ino o guar guarda da il cherubino, quando il quinto genere di contemplazione asserisce dal canto suo certe verità senza voler affatto negare la verità dell’altro. I cherubini si guardano, quando i due ultimi generi di contemplazione si vengon ven gono o recip recipro rocam cament ente e incontr incontro o e affer afferman mano o concor concordem dement ente e la verità. Un cherubino guarda l’altro quando, come accade solitamente, la no nost stra ra sp spec ecul ulaz azio ione ne comi cominci ncia a dal dal pe penu nult ltimo imo grad grado o e ter termi mina na nell’ultimo o al contrario comincia dall’ultimo e scende al penultimo.

Capitolo XX Reciproco apporto delle ultime tre speculazioni I due cherubini non devono solo guardarsi reciprocamente, ma anche volgere il volto nel propiziatorio. I cherubini volgono il loro volto verso il propiziatorio quando i due ultimi generi di contemplazione traggono, in ciò che concordemente contemplano nella sublime realtà divina, da ciò che è relativo al quarto genere di contemplazione una similitudine razionale a testimonianza delle loro asserzioni. Il quarto genere di cont co ntem empl plaz azio ione ne è in indi dica cato to da dall prop propiz izia iato tori rio, o, co così sì co come me ne neii du due e cherubini intendiamo il quinto e il sesto. Come poi abbiamo detto

 

sopra, il quarto genere di contemplazione è relativo a ciò che si deve consid con sidera erarre del dello lo spi spirit rito o razion razionale, ale, ma cr creat eato. o. Il qui quinto nto e il ses sesto to gen ge nere ere di cont contem emp pla lazzione ione rig igu uar ard dano ano inv invece ece ciò ciò ch che e si dev eve e considerare dello spirito increato e divino. Poiché sappiamo che lo spirito razionale è fatto a immagine del Creatore, a ragione cerchiamo in esso una similitudine molto familiare e formiamo un certo criterio della nostra ricerca. Da quella natura, dico, nella cui condizione l’orma divina è fortemente impressa e assai chiaramente manifesta, traiamo con sicurezza la similitudine. Il fatto che i cherubini volgono il loro volto verso il propiziatorio significa che la creatura razionale si volge alla speculazione delle cose divine e che dalle similitudini trae molto vantaggio per l’intelligenza della divinità. Se ti meravigli del perché quel sovrano artefice di tutto ha voluto tante e così varie specie di cose e del perché le produsse fin dall’inizio del mondo dal nulla, pensa a com come e sia facile facile per l’anima l’anima um umana ana in ogni ogni mom moment ento o figura figurars rsii pér mezzo della immaginazione qualsiasi immagine e formare, come dal null nu lla, a, quas quasii crea creatu turre pa part rtic icol olar ari, i, tutt tutto o ci ciò ò ch che e vu vuol ole e senz senza a un una a preesistente materia. Ti sembrerà per questo meno strano ciò che prima ti sembrava incredibile. In ciò troverai che la cosa notevole è quel qu ella la ch che ri rise serv rvat ato ocome a sé un la veri ve rità tà Dio de dell lle epossa co cose se,, essere ci cioè oè lainsu supr prem ema a verità. See tihameravigli unico diversi luoghi, non diviso in parti, ma dovunque interamente, pensa come un’unica anima sia diffusa in tutto il corpo, ma non divisa, così che in ogni parte essa si trova interamente, pensa come si rapporta l’anima al corpo reggendolo come il suo mondo. Se dunque ti meravigli come Dio regge con un solo cenno della sua volontà senza contraddizione tutte le cose del mondo, pensa come anche l’anima muove e ordina le memb me mbra ra de dell corp corpo o se seco cond ndo o l’ l’ar arbit bitri rio o solt soltan anto to dell della a su sua a vo volo lont ntà. à. Perta ertant nto o uno uno stes stesso so modo modo d’ d’ag agir ire e cara caratt tter eriz izza za en entr tram ambi bi ne nell lla a simi simili litu tudi dine ne benc benché hé non non suss sussis istta una una perf perfet etta ta ug ugua uagl glia ianz nza. a. Il cherubino guarda al propiziatorio quando trae una similitudine dalla creatura razionale per la contemplazione del Creatore. Nella creatura razionale possiamo addirittura un’immagine Trinità. C’è infatti qualcosa che trovare viene dalla mente stessa, cioè ladella sua sapienza, e qualcosa che viene dalla sapienza e da lei stessa, cioè il suo amore. Ogni mente ama la sua sapienza e per questo l’amore della sua sapienza procede da entrambi. La sapienza viene dalla sola mente, l’amore viene dalla mente e dalla sapienza. Così il Figlio, che è la sapienza del Padre, nasce solo dal Padre; lo Spirito Santo, che è l’amore di entrambi, procede dal Padre e dal Figlio. In questo modo il seco se cond ndo o ch cher erub ubin ino o può può util utilme ment nte e vo volg lger ersi si ve vers rso o il pr prop opiz izia iato tori rio, o, poiché cerca la testimonianza della similitudine nella speculazione delle cose divine. Bisogna poi notare che quelle tre dimensioni della cr creat eatur ura a razion razionale ale non cos costit tituis uiscon cono o una una trinit trinità à di per person sone e come come invece avviene in Dio. Considera dunque che in tali speculazioni la similitudine relativa alla Trinità è sempre limitata da una più grande dissomiglianza. Ma non c’è da meravigliarsi che il secondo cherubino

 

tocchi più da vicino il lato della dissomiglianza e guardi più da lontano il lato della similitudine. Se vuoi considerare con meraviglia come il Figlio, cioè la sapienza del Padre, si sia incarnato, come sia venuto a noi senza allontanarsi dal Padre, considera nell’immagine della Trinità la sola sapienza della mente che prende voce umana, esce nella voce del corpo e viene riconosciuta, ricordata e tuttavia non si separa mai dalla mente dalla quale è nata. Nella mente ci sono molte cose per le quali il secondo cherubino deve volgersi al propiziatorio. Ecco ormai abbi ab biam amo o chia chiari rito to come come i due due cher cherub ubini ini de debb bban ano o recipr eciproc ocam amen ente te guardarsi secondo il comando del Signore e sappiamo anche per qual qu ale e ra ragi gion one e e per per qual quale e utili utilità tà de debb bban ano o vo volg lger ere e i lo loro ro vo volt ltii al propiziatorio.

Capitolo XXI Alla frequenza dei tre ultimi generi di speculazione si accompagna la frequenza delle divine rivelazioni Non si deve trascurare quello che viene promesso a Mosè dal Signore: Quindi io parlerò a te da sopra il propiziatorio, cioè in mezzo ai due Cherubini (Es. 25,22). Pensa quanto grande sia e quanto sia stato importante in ogni momento volgersi a Dio cercare e ricevere in qualsiasi necessità il consiglio divino e allora potrai accorgerti di come sia necessario e utile volgersi familiarmente a questi tre generi di speculazione: io ti parlerò da sopra il propiziatorio in mezzo ai due cher ch erub ubin ini. i. Se vuol vuole e dunq dunque ue aver avere e fami familia liari rità tà con con la rivel rivelaz azio ione ne,, ascenda l’uomo al suo pensiero più alto e, trascendendo con la mente quel propiziatorio, resti in mezzo ai due cherubini, in modo che per il terz terzo o ge gene nerre di co cont ntem empl plaz azio ione ne asce ascend nda a al qu quin into to e al se sest sto. o. La mente elevata sopra il propiziatorio è tra i due cherubini quando l’anima contemplativa, trascendendo non solo la creatura ma anche quella spirituale, si fissa nell’ammirazione dellacorporale suprema unità uni tà e del della la Trinità rinità.. Noi ci sollev solleviam iamo o sul propi propiziat ziatori orio o in que questo sto specchio di ammirazione, quando veniamo sollevati a una migliore conoscenza della divinità sia dall’indagine sulla creatura razionale sia dalla dal la consid considera erazio zione ne dell’i dell’imma mmagin gine e div divina ina.. Noi ci muo muovia viamo mo tr tra a il propiziatorio e i due cherubini, quando, raccogliendo dai tre ultimi generi di speculazione, avanziamo verso la perfezione di ognuna di esse. Dobbiamo dunque muoverci tra questi tre generi di specul spe culazi azione one e per lo spe specch cchio io del della la sup supre rema ma Trin rinità ità e del dell’u l’unit nità à penetrare molto addentro nella gloria della Trinità e dell’unità. Se rimeditiamo volentieri ciò che abbiamo conosciuto della dignità della creatura razionale e della degnazione del Creatore, se ammireremo spesso tutto ciò, meriteremo di conoscere quei generi di speculazione dalla dal la divina divina rivela rivelazio zione ne che prima prima non abbia abbiamo mo potuto potuto intend intender ere. e. Questo è ciò che ti è promesso nelle parole: Di là io parlerò a te.

 

Pensa dunque quanto sia utile rimeditare sempre la sacralità della nostra fede e tenerla presente, quando possiamo ottenere da ciò molte divine rivelazioni. Se dunque ciò che crediamo della Trinità dell’e persone e dell’unità della sostanza, per mezzo del trascendimento della mente, non lo, possiamo comprendere con pura e perspicua intelligenza, cionondimeno crediamolo per fede secondo quanto ci è tramandato dalla Chiesa cattolica. Per quanto è possibile rimeditiamolo spesso, affinché possiamo meritare in questa ricerca l’abbondanza delle rivelazioni divine. Credo che la consolazione delle rivelazioni divine non sarà affatto vana per coloro che vedono con l’occhio della fede il segreto del sacro, tanto più nella misura in cui, cont co ntem empl plan ando do co con n l’ l’oc occh chio io dell dell’i ’int ntel elli lige genz nza a e gu guar arda dand ndo o co coll tr tras asce cend ndim imen ento to de dell lla a ment mente, e, sann sanno o di no non n po pote terr so sodd ddis isfa farre il desiderio desid erio.. Chi dunque dunque compie compie l’uffi l’ufficio cio   di Mosè, chi accoglie la cura pastorale, chi deve condurre dalla terra di servitù il popolo del Signore secondo il divino comando e deve condurlo attraverso il deserto, introdurlo nella terra promessa, deve volare tra questi tre generi di contemplazione per poter sempre sapere che cosa debba fare tutte le volte che sarà necessaria una scelta tanto sul suo conto, quanto sul des destin tino oquale del sia pop popolo olo. . Se dun dunque des deside ideri ri econ conosc oscer ere ebene, dall’i dall’ispi spiraz razion ione e divina la volontà di que Dio, perfetta volta al sii sempre pron pr onto to e ingi ingino nocc cchi hiat ato o da dava vant ntii a ques questi ti tre tre ge gene neri ri di visi vision oni. i. Per questo esercizio meriterai forse di provare la verità della promessa del Signore: Di là parlerò a te.

Capitolo XXII In ogni genere di contemplazione il contemplante può trascendere se stesso

Benché Ben chédisia fam familia iliarre il trasce tra ndimen mento della la men mente te ai due ult ultimi imi generi contemplazione, escendi benché siatoaldel contrario caratteristico dei quat qu attr tro o prim primii gene generi ri sali salirre al alla la co cont ntem empl plaz azio ione ne se senz nza a alcu alcun na negazione della dimensione quotidiana del pensare, tuttavia spesso la contemplazione stessa si realizza, in tutti i gradi, in entrambi i modi. Infatti possiamo conoscere alcune delle cose divine per mezzo della rive rivela lazi zion one, e, anch anche e di quel quelle le che che sono sono relat elativ ive e ai pr prim imii ge gene neri ri di cont co ntem empl plaz azio ione ne nel nel tras trasce cend ndim imen ento to e al co cont ntra rari rio o le co cose se che che riguardano i due ultimi generi di contemplazione, possiamo condurle all’interno della dimensione comune del pensiero. Ma poiché le cose che riguardano i due ultimi gradi trascendono la possibilità di intelligenza umana, quando la mente umana conduce quelle cose nella dimensione normale del pensiero o al contrario, per poter vedere megl me glio io e pi più ù li limp mpid idam amen ente te,, si tras trasce cend nde e e si tras trasfo forrma, ma, de deve ve comunque mostrarsi non più nell’aspetto umano, ma in una forma ange an geli lica ca.. Ab Abbi biam amo o da Mosè Mosè l’ l’es esem empio pio che che tu tutt ttii qu ques esti ti ge gene neri ri di

 

contemplazione possono essere raggiunti nell’estasi. Abbiamo invece da Beseleel l’esempio tipico che possiamo contemplare senza alcun trascendimento della mente. Infatti Mosè vide per divina rivelazione entrambi i cherubini, salì al monte, entrò nella nube. Beseleel vide e compì quell’opera, ma di lui non si dice che sia salito ed entrato nella nube. Ma che cos’è salire il monte se non salire al pensiero più alto, seco se cond ndo o la prof profezi ezia? a? La nu nube be tocc tocca a tale tale mont monte, e, qu quan ando do cess cessa a la memoria di ogni cosa esterna. In questo monte Mosè resta sei giorni, e nel settimo viene chiamato al colloquio del Signore. Com’è noto in sei giorni compiamo le nostre opere, e nel settimo riposiamo. Sei giorni passiamo in questo monte, quando con molta fatica e forte volontà ci abituiamo a rimanere in questo stato sublime per lungo tempo. Si viene poi al settimo giorno, quando la grande elevazione della mente diventa una gioia e si attua senza alcuna fatica. Si giunge al se sett ttim imo o gio giorn rno, o, quan quando do in quel quello lo st stat ato o di su subl blim imit ità à l’an l’anim imo o si raccoglie in una grandissima tranquillità, così che non solo abbandona ogni preoccupazione, anzi sopravanza tutte le misure della possibilità umana. Si è ammessi al colloquio con il Signore, quando Egli chiama, allo allorrché ché pe perr di divi vina na is ispi pira razi zion one e e ri rive vela lazi zion one, e, si è in intr trod odot otti ti in quell’abisso dei giudizi divini. Mosèdi entra nella nube, quando la mente umana, assorbita dall’immensità quella luce divina, si assopisce nella dimenticanza di sé; così che puoi e devi giustamente meravigliarti del fatto che quivi la nube e il fuoco si trovino uniti, la nuvo nu vola la della della ig igno nora ranz nza a con con la nube nube dell’ dell’in inte tell llig igen enza za illum illumin inat ata. a. L’ignoranza e la dimenticanza delle cose conosciute si uniscono con la rivelazione e con l’intelligenza di ciò che era ancora ignoto. Infatti in uno stesso tempo l’intelligenza umana viene illuminata nei confronti delle cose divine e annebbiata nei confronti delle cose umane. Il Salm Sa lmis ista ta in indi dica ca con con po poch che e par parol ole e la pa pace ce,, l’an l’anne nebb bbia iame ment nto o e l’illuminazione dell’anima che viene sollevata: Dormirò nella pace in Lui e riposerò (Sal. 4,9).  4,9).  Veramente l’anima trova la pace quando, condotta sopra se stessa, non sente più gli affanni della debolezza umana. Dorme in questadipace assopita questa suprema tranquillità, si dimentica tutto quando, ciò che ha pensatoinnell’equilibrio. Chi dorme infatti non conosce le cose che gli stanno attorno e anzi non ricorda più se stesso. Giustamente dunque il sonno rappresenta il tras trasce cend ndim imen ento to dell della a ment mente; e; in ciò ciò l’an l’anim ima a si asse assent nta a da dall lle e su sue e occu oc cupa pazi zion onii e, come come pres presa a dal so sonn nno, o, lasc lascia ia le co cose se um uman ane e e con co nte tem mpl pla a le cos cose di divi vin ne. Dor Dorme in Lui qu quan and do ripo iposa ne nell lla a contemplazione e nell’ammirazione di Colui che è ciò che è e che solo può dire: Io sono Colui che sono (Es. 3,14). Ciò  Ciò  dunque indica Mosè per il settimo giorno; questo Davide chiama più apertamente pace e ciò che per Mosè è entrare nella nuvola, per Davide è addormentarsi. Mosè riposa nel Signore al quale si accosta Davide, indugiando presso di Lui. A somiglianza di Mosè, Davide, salendo sulla vetta del monte, entra nella nebbia e vede e contempla l’arca e i cherubini nella rivelazione del Signore, quando per il trascendimento e il rapimento

 

della mente nelle cose sublimi, viene innalzato dalla divina ispirazione a quei sei gradi della contemplazione che abbiamo descritto. A Mosè è detto: Guarda affinché tu faccia ogni cosa come ti è stata mostrata (Es.. 25, (Es 25,40) 40).. Su Sull mont monte e gl glii vi vien ene e mo most stra rata ta og ogni ni co cosa sa,, no non n solo solo i cherubini, ma anche l’arca. Questo è dunque quello che ho detto sopra, che tutto ciò che è relativo ai diversi generi di contemplazione, può essere intuito nella rivelazione del Signore, nel trascendimento della mente. Ma da Beseleel si può cionondimeno apprendere che a tutto ciò si può giungere senza alcun trascendimento, pervenendo alla contemplaz conte mplazione. ione. Che cosa significa significa infatti infatti fabbr fabbricar icare e l’ar l’arca, ca, rives rivestirla tirla d’or d’oro, o, ci cing nger erla la con con un una a co corrona, ona, copr coprir irla la co con n un pr prop opiz izia iato tori rio, o, aggiungere i cherubini, se non apprendere poco alla volta l’arte di entrare in tali generi di contemplazione e con molto studio e molta fatica apprendere bene le diverse cose, le une dopo le altre e alla fine comp co mple leta tarre l’ope l’opera ra,, fa face cend ndol olo o in tutt tutto o pe perf rfet etto to?? Ma pe perr tace tacerre dell’arca, che dire dei cherubini? Non si legge forse che per formarli o perché li vedesse formati, Mosè ascese il monte ed entrò nella nube? Si compren end de chiaramente che questi ultimi due generi di contemplazione dei quali è proprio il trascendimento della mente, possono talvolta venire costretti all’interno delle categorie dell’umano intendimento. Tutti i generi di contemplazione possono avvenire in entrambi i modi, con o senza il trascendimento della mente.

Capitolo XXIII Alcuni hanno eccezionalmente il dono del trascendimento; altri lo hanno come per virtù  Tra  Tra quanti conoscono il trascendimento di sé e l’estasi, alcuni vi accedono sotto l’azione della grazia, altri invece vi accedono sulla base bas eia.del loro o i gra grande sf orzo, o, ben inteso eso la cooper coo perazi della del la gr graz azia . Gli Glilor uni un hann hande nno o sforz qu ques esto to benint do dono no in via vicon a ec ecce cezi zion onal ale, e,azione gli glone i altr altri i lo posseggono quasi fosse frutto del loro potere. È eccezionale per colui che non può raggiungerlo, benché lo voglia, e a esso giunge per la chiamata della grazia; e senza una sua specifica ricerca. Si può dire invece che hanno la capacità di raggiungere il dono di tale grazia color col oro o che pos posson sono o far farlo, lo, in gra gran n par parte, te, con confor formem mement ente e all alla a lor loro o volontà. Del primo caso abbiamo l’esempio in Mosè, del secondo in Aronne. Mosè poté infatti vedere l’arca sui monte nella nube, per oper op era a de dell lla a so sola la gr graz azia ia ri rive vela lant nte e di Dio. Dio. No Non n poté poté infa infatt ttii ve vede derl rla a secondo ciò che egli voleva sulla base del suo potere. Aronne invece aveva la possibilità di entrare nel sancta sanctorum quante volte il suo ministero e la ragione lo richiedessero e vedere dentro tra il velo, l’arca del Signore. È noto che il sancta sanctorum aveva nel tempio dell de ll’a ’all llea ean nza un luog luogo o in inti timo mo e segr egretis etissi sim mo. Com ome e du dunq nque ue intend int endiam iamo o per la cima cima del mon monte te il vertic vertice e del dell’i l’inte ntelli lligen genza, za, cos cosìì

 

intendiamo per il sancta sanctorum l’intimità dell’intelligenza umana. Ma nell’ nell’an anim ima a um uman ana, a, l’ l’in inti timi mità tà e il vert vertic ice e so sono no la st stes essa sa co cosa sa.. Intendiamo dunque la stessa cosa per il vertice del monte e per l’oracolo dei tabernacolo dell’alleanza. Che cosa è dunque salire alla vett ve tta a del del mo mont nte e a en entr trar are e ne nell se segr gret eto o de dell tabe taberrna naco colo lo se no non n ascendere al vertice o all’intimità del pensiero e rimanervi? Per il primo tabernacolo intendiamo il comune stato d’animo; per il secondo intendiamo quello che pochi conoscono e che si attua sulla base di un trasce tra scendi ndimen mento to del della la mente. mente. Al pr primo imo è relat relativa iva la raz razion ionali alità, tà, al second sec ondo o il senso senso intelle intellettu ttuale ale.. Nel primo primo spe specul culiam iamo o int intor orno no alla alla nost no stra ra esse essenz nza a in invi visi sibi bile le,, ne nell seco second ndo o co cont ntem empl plia iamo mo la rea ealt ltà à invisibile di Dio. Ma il velo divide questi due stati, (quello comune a tutti e l’altro noto a pochi). Quando infatti veniamo rapiti sopra noi stes st essi si,, ov ovve verro dent dentrro no noii stes stessi si nell nella a divi divina na co cont ntem empl plaz azio ione ne,, dimentichiamo non solo ciò che è fuori di noi, ma anche ciò che è dentro di noi. E anzi, quando ritorniamo in noi stessi, non possiamo più ricordarci di ciò che abbiamo visto in quella luce, in quella verità. Ricordiamo sì qualcosa, ma come attraverso un velo, o attraverso la nebbia e non siamo in grado di comprendere il senso e il modo della nost no stra ra visi vision one. e. In mo modo do si sing ngol olar are, e, rico ricorrdand dando o non non rico ricorrdiam diamo o dimenticando ricordiamo, vedendo non vediamo a fondo, scrutando non scrutiamo fino in fondo, entrando non penetriamo. Vedi certo che la mente umana sia che entri nell’intimo luogo segreto, sia che esca da quello verso le cose esteriori, vedi, dico, che comunque passa attraverso il velo dell’oblio. È la stessa cosa entrare nella nube ed entrare nel velo. Benché dunque riguardi la stessa cosa, è diverso ciò che faceva Mosè da quello che faceva Aronne, in quanto il primo, giungeva a ciò solamente sulla base del beneplacito di Dio, l’altro invece vi giungeva per il suo ministero e, in gran parte, per la sua stessa volontà. Ma perché Aronne potesse entrare all’interno del velo quando volesse o dovesse, egli aveva preparato un abito pontificale a ciò idoneo. Tale abito pontificale simboleggia i meriti della virtù per i quali si può il ministero di tale grazia. Bisogna proceda non avere solo con l’abito pontificale, ma anche nella inoltre nebbia che del fumo fum o ar aroma omatic tico, o, sec second ondo o il comand comandame amento nto del Sig Signor nore, e, col colui ui che vuole entrare all’interno del velo, perché il momento del suo ingresso sia lieto per l’esalazione del suo desiderio, come per emanazione del fumo aromatico, benché giunga fino a disprezzarsi e ritenga che quasi nulla dell’ornamento dell’uomo interiore possa piacere. Per questo Mosè Mo sè la lasc scia ia il popo popolo lo ai pi pied edii del del mont monte e e Ar Aron onne ne lasc lascia ia l’ab l’abit ito o comune davanti all’ingresso del tabernacolo, lo stesso Mosè sale nel mont mo nte e co con n gl glii anzi anzian anii d’ d’Is Isra rael ele, e, e Aron Aronne ne en entr tra a co con n l’orn l’ornam amen ento to pontificale nel tabernacolo. Ed ha lo stesso significato il fatto che degli anziani solo Giosuè giunga alla vetta e solo con l’incenso si entri nel sancta sanctorum; sanctorum; ha lo stesso significato che l’uno entri nella nube, l’altro nel velo, poiché tra le due azioni, quanto al senso mistico, c’è solo la differenza che l’uno entrava nel segreto della rivelazione per la

 

chiamata del Signore, l’altro per una propria deliberazione.

LIBRO QUINTO Capitolo I Avanziamo Avan ziamo in tre modi nella grazia della contemplazione Avanziamo in tre modi nella grazia della contemplazione, talvolta per la sola grazia, talvolta con la grazia e la nostra volontà, talvolta sulla base di una dottrina altrui. Di questi tre modi abbiamo gli esempi di Mosè, Beseleel e Aronne. Mosè vide sul monte, nella nube l’arca per mezzo della sola rivelazione divina senza alcuna sua fatica; Beseleel formò col proprio lavoro l’arca che avrebbe potuto vedere; Aronne vide l’arca fatta dagli altri. Noi vediamo l’arca del Signore come Mosè, senza sen za alc alcuna una umana umana col collab labor orazio azione, ne, quando quando acc accogl ogliam iamo o il rag raggio gio della contemplazione sola rivelazione Signore. Ma l’es l’esem empi pio o di Be Bese sele leel eldalla mi migl glio iori riam amo o per per ildel no nost strro lavo lavor ro secondo in tale tale contemplazione, quando ci procuriamo tale possibilità nella medesima grazia con lo studio e il lavoro. Possiamo poi vedere l’arca del Signore in gra grazia zia del lav lavor oro o altrui altrui,, quando quando rim rimani aniamo amo sol solita itamen mente te in tal tale e grazia sulla base della tradizione degli altri. Ma per quanto riguarda il lavoro non dobbiamo pensare che noi possiamo fare qualcosa senza l’aiut l’a iuto o della della grazi grazia, a, perché perché qua qualsi lsiasi asi nostr nostra a att attivit ività à è fon fondat data a nel nella la grazia. Ma altro è riavere da Dio la grazia della contemplazione, altro è raggiungere la casa del Signore mediante la propria cooperazione. In tre modi noi otteniamo questa grazia: per divina ispirazione, con un prop pr opri rio o eser eserciz cizio io o su sull lla a ba base se di quan quanto to gli gli altr altrii ci tram traman anda dano no.. Bisogna poi notare che vengono elevati a questa grazia per opera del proprio il magistero diento nessuna dottrina, non veng ve ngon ono olavoro ra rapi piti tie senza fi fino no al tras trasce cend ndim imen to de della lla me ment nte. e.coloro Altr Altrii che inve invece ce s’avanzano nella stessa grazia sulla base di quanto è tramandato loro più più ch che e per per l’ l’ac acum ume e dell della a lo lorro ment mente e e sa salg lgon ono o spes spesso so fino fino al trasce tra scendi ndimen mento to della della mente. mente. Per que questo sto si leg legge ge che Bes Besele eleel el ha fabbricato l’arca, ma che non è mai entrato in essa. Aronne invece è entrato solitamente presso l’arca fatta dal lavoro altrui e collocata dentro i veli. Ecco noi abbiamo ereditato il compito di Beseleel in quanto cerchiamo di istruire nella ricerca della contemplazione e ci affatichiamo nella costruzione dell’arca. Ma tu mi sopravanzi di gran lunga in questa grazia, se, aiutato dalle cose che ascolti, puoi entrare fino ai veli interni, se ciò che abbiamo fatto all’aperto e che abbiamo compreso nel modo usuale, lo puoi comprendere più a fondo nel rapimento rapim ento della mente e veder vederlo lo quasi da dentro il velo velo.. Biso Bisogna gna poi notare che alcuni non possono in nessun modo comprendere le cose che hanno visto nel trascendimento della mente quando ritornano al

 

loro comune stato d’animo. Per questo Nabucodonosor ebbe in sogno una visione, ma, risvegliatosi, non poté più richiamarla alla memoria (Dan. 8). Altri possono invece facilmente ripensare quello che vedono nel trascendimento. Altri devono fare per questo un faticoso lavoro. Il Faraone ebbe la visione e la ricordò (Gn. 43).  Al  Al  contrario, Nabucodonosor recuperò con un grande sforzo il sogno che aveva dimenticato e Mosè che poté vedere chiaramente sui monte l’arca del Signore nella rivelazione, la conobbe e la vide poi familiarmente dopo esser sceso nella valle. Altri poi cominciano a conoscere con familiarità ciò che hanno di raro e di fortuito, ciò che raggiungono nel trascendimento di sé. Per questo Mosè entrò all’interno dei veli, presso l’arca del Signore che prima aveva visto nella nube solo alla chiamata rivelatrice di Dio. Molte sono le cose sacre, tra queste, che ora non possono né debbono essere trattate singolarmente.

Capitolo II La contemplazione può dilatare, mente sollevare e trasfigurare la La contemplazione può variare in tre modi. Essa infatti ora dilata la mente, ora la solleva, talvolta la trasfigura. Si ha un allargamento della mente quando l’acume dell’anima si allarga e si rafforza ma non sopravanza la misura dell’umana possibilità. La mente viene sollevata quan qu ando do la vi viva vaci cità tà dell dell’i ’int ntel elli lige genz nza, a, co colp lpit ita a da dall rag aggi gio o divi divino no,, sopravanza la misura senza per altro passare a un vero e proprio trascendimento della mente, così che vede ciò che è sopra se stessa, ma no non n si stac stacca ca co comp mple leta tame ment nte e dalla dalla dime dimens nsio ione ne norm normal ale e de dell pensiero. Si ha un trascendimento della mente quando la memoria deasfi llefigu crazi oszion eone, prestrap ntiassa vienin e uno meonostat e,o pnu erovoopeirra a ggiu diung elngib la ibil deivinal a tras tr gura e, treapas sa un stato nuov irrragg ile pensiero umano nella sua normalità. Sperimentano questi tre modi di cont co ntem empl plaz azio ione ne co colo lorro che che meri merita tano no di inna innalz lzar arsi si fino fino al pu punt nto o supremo di questa grazia. Il primo scaturisce dalla volontà umana, il terzo dalla sola grazia divina, il secondo dall’una e dall’altra, cioè dalla alla volo volont ntà à umana ana e dall dalla a graz razia divin ivina. a. Ne Nell prim imo o gra rad do fabbr fab brich ichiam iamo o l’arc l’arca a col nos nostr tro o lav lavor oro, o, qua quando ndo ci procu procuria riamo mo l’art l’arte e dell de lla a co cont ntem empl plaz azio ione ne co coll nost nostrro stud studio io e la no nost stra ra rice ricerrca ca.. Ne Nell secondo grado l’arca viene sollevata sulle spalle dei portatori e segue la nu nube be,, quan quando do,, nell nella a coop cooper eraz azio ione ne de dell lla a ricer ricerca ca um uman ana a e de dell lla a grazia della rivelazione (che per altro è precedente), il raggio della contem con templa plazio zione ne si dil dilata ata.. Nel terzo terzo grado grado l’a l’arc rca a vie viene ne portat portata a nel sancta sanct a sanc sanctorum torum e coll colloc ocat ata a dent dentro ro i ve veli li,, qu quan ando do l’ac l’acum ume e de dell contemplante entra nell’interiorità della mente e si dimentica delle cose esteriori con il velo dell’oblio del trascendimento. Il primo grado

 

riguarda la fabbricazione dell’arca, il secondo riguarda il sollevamento dell’arca, il terzo riguarda la sua introduzione all’interno dei veli. È riferito al primo grado ciò che Abramo ascolta dal Signore: Leva i tuoi occhi e guarda dal luogo in cui sei ad aquilone e a mezzogiorno, a oriente e occidente, tutta la terra che vedrai, io te la darò (Gn. 13, 14-15) 1415).. Al second secondo o grado grado si rif riferi erisco scono no queste queste alt altre re par parole ole:: Mosè ascese dalle steppe di Moab sul monte Nebo, sulla cima del Fasga, che si eleva dirimpetto a Gerico. E il Signore gli mostrò tutta la terra di Galaad fino a Dan (Deut (Deut.. 34,1). Si riferisce riferisce al terz terzo o grado il fatto che il Signore coprì con una nube splendente i testimoni della sua trasfigurazione, che aveva portato sull’alto monte; e anche si riferisce a questo terzo grado il fatto che Mosè venne accanto al Signore in mezz me zzo o alla alla nube nube (Mt. (Mt. 17 17). ). Abra Abramo mo ne nell pr prim imo o grad grado o no non n rice riceve ve il comando di salire al monte, né si legge che il Signore gli si sia mostrato, ma gli viene comandato di levare gli occhi dal luogo in cui era e di guardare la terra che avrebbe ricevuto. Non c’è nessun riferimento a una ascesa o a una manifestazione, né si indica un sollevamento della mente o una rivelazione divina. Dal luogo in cui siamo solitamente, noi solleviamo i nostri occhi quando nella nostra contemplazione non abbandoniamo la dimensione normale del nostro pensiero. La misura della nostra comprensione è il luogo nel quale noi ci tr trov ovia iamo mo pe perr mezz mezzo o dell dell’i ’int ntel elli lige genz nza. a.  No Noii co cons nsid ider eria iamo mo la grandezza dell’eredità che ci viene promessa, promessa, quando possiamo talora raggiu rag giunge ngere re l’a l’ampi mpiezz ezza a della della per perfezi fezion one e con i mer meriti iti del della la nos nostr tra a devozione e quando possiamo prevederla da lontano con gli occhi della nostra contemplazione. In queste parole della Scrittura non si allude a nulla che sopravanzi la capacità umana. Per questo lo si riferisce giustamente al primo grado di contemplazione. Ma il fatto che Mosè riceva il comando di salire il monte e il fatto che il Signore gli mos mostr trii la ter terra ra del della la prome promessa ssa,, indica indica chi chiara aramen mente te il sec second ondo o grado di contemplazione. La salita di Mosè sul monte è infatti il sollevamento della mente umana oltre il piano dell’umana possibilità. Quel Qu ella la emla an anif ifes esta tazi zion one e de del Si Sign gnor ore edalèSignore infa infatt ttiisignifica un una a illu ilconoscere lumi mina nazi zion one. e. Guardar Guardare terra promess promessa a lindicata la pienezza della futura rivelazione e rimanere in tale contemplazione. È dovuto alla volontà umana il fatto che Mosè salga sui monte; è dovuto in inve vece ce alla alla gr graz azia ia di divi vina na il fatt fatto o che che il Sign Signor ore e mo most stri ri la ter terra promessa; per questo tali parole della Scrittura alludono, come s’è detto, al secondo grado della contemplazione. Il fatto poi che Mosè salendo sul monte si sia accostato al Signore in mezzo alla nube, può essere inteso come il simbolo del terzo grado di contemplazione. Entrare infatti nella nube alla chiamata divina significa trascendere la mente e dimenticare tutte le cose circostanti nella nube dell’oblio. La medesima cosa è indicata dal fatto che una nube splendente avvolse i disc discep epol olii di Cr Cris isto to.. Una Una mede medesi sima ma nube nube adom adombr bra a ne nell lla a su sua a luce luce,, poiché illumina le cose divine e adombra quelle umane. La contemplazione ha dunque solitamente queste tre forme, cioè allarga

 

la mente, o la solleva, o la trasfigura: Leva i tuoi occhi e guarda (Gn. 13,14). Ecco il genere di contemplazione che allarga la mente. Chi sono   costoro che volano come nubi (Is. 60,8)?  sono 60,8)?  Ecco il sollevamento della mente mente.. Io Io   dis dissi si nel rap rapime imento nto:: Ogni Ogni uom uomo o è mendac mendace e (Sal. 115,11).  Ecco il trascendimento della mente. 115,11).

Capitolo III La dilatazione della mente La me ment nte e si di dila lata ta soli solita tame ment nte e in tre tre mo modi di:: co con n l’in l’inge gegn gno, o, co con n l’es l’eser erci cizi zio, o, con con l’ l’at atte tenz nzio ione ne.. Noi Noi ci pr proc ocur uria iamo mo la ca capa paci cità tà di raggiungere qualcosa, quando impariamo a fare qualcosa sulla base di una tradizione valida o di una intelligente ricerca. Ci esercitiamo quan qu ando do fa facc ccia iamo mo sì che che di dive vent ntii per per noi noi us usua uale le ci ciò ò ch che e abbi abbiam amo o raggiunto con l’ingegno e facciamo sì di essere sempre preparati nell’eseguire il compito. Noi poniamo attenzione, quando rimaniamo insistentemente con grande diligenza su ciò che ci prefiggiamo. primo grado è dunque il procurarsi la capacità di raggiungere il fineIl nell’ambito di qualsiasi disciplina. Il secondo grado è il raggiungere la familiarità nell’eseguire il compito. Il terzo grado è il rimanere con grande vivacità su ciò che sappiamo raggiungere e in cui anche siamo eser es ercit citat ati. i. In ques questi ti tre tre grad gradii l’ l’am ampi piez ezza za de della lla me ment nte e si dila dilata ta e diventa più capace nei confronti di ogni disciplina. Certo, quanto più ampiamente e meglio tu abbia appreso qualcosa, tanto più potrai dilatarti a comprendere cose più vaste e profonde. Cionondimeno è ovvio ovv io che qualsi qualsiasi asi discip disciplin lina a che ven venga ga app appre resa, sa, si raf raffor forza za con l’esercizio e viene in ciò dilatata e perfezionata. Anzi il fatto che noi possiamo vedere ora meglio ora peggio  in una disci disciplina, plina, nella quale siam siamo o es eser erci cita tati ti è do dovu vuto to al fa fatt tto o ch che e con con l’at l’atte tenz nzio ione ne cr cres esco cono no l’ampiezza l’acume mente. Il primo è l’apprendimento del dell’a l’arte rte,, il esec second ondo o ildella frequ frequent ente e eserc ese rcizi izio, o, grado il ter terzo zo una dil dilige igente nte e amorevole insistenza nell’esercizio stesso. Si riferisce al primo grado, cioè alla dilatazione della mente, quel Profeta che dice: Mettiti in un  punto da cui osservare, poni per te motivi d’amarezza, dirigi il tuo cuore sulla via retta nella quale hai camminato (Gr. 31,21). Ci si riferisce al secondo grado, quando si legge: Veglierò per custodirmi e mi porterò sulla torre e contemplerò e starò attento per sentire cosa mi sarà detto (Ac. 2,1). riferito al terzo questo passo: Passate ai lidi dei Chitteri e guardate, mandate a Kedar e considerate bene (Gr. 2,10 2,10). ). Il po pors rsii in un luog luogo o di ve vede dett tta a rapp rapprres esen enta ta il pr proc ocur urar arsi si la capacità di contemplare. Noi ci poniamo in vedetta per poter vedere lontano e per poter dilatare la nostra vista da ogni parte. Per questo dunque l’allargamento della mente è indicato nel porsi in vedetta. Che cosa significa poi stare sulla torre se non rendere usuale la capacità di speculare? Ciò che l’uno chiama posto di vedetta, l’altro

 

chiama chia ma to torr rre. e. Noi Noi infa infatt ttii co cost stru ruia iamo mo post postii d’os d’osse serv rvaz azio ione ne per per la sicu sicurrez ezza za di tutt tuttii o pe perr la sicu sicurrez ezza za pr priv ivat ata a e, gu guar arda dand ndo o da là, là, posssiam po siamo o preved eveder ere e da lo lon ntan tano per eric icol olii im immi min nent enti. Co Così sì noi costruiamo la vedetta della contemplazione per prevenire le insidie del tentatore. Ma altro è porre un luogo di vedetta e salirvi, altro è stare fermi in essa. La prima cosa è relativa alla acquisizione della disciplina, la seconda all’esercizio di essa. Chi poi non vede che il considerare con forza si riferisce al terzo modo della dilatazione della nostra mente: Mandate a Kedar e considerate bene? Giustamente ciò vien viene e com comanda andatto po poic ich hé dall dalla a for forza de dell lla a co con nsi side derrazio azione ne e dell’attenzione cresce e si allarga la capacità della mente. Se dunque testi tes ti con insist insistenz enza a in questo questo tr trifo iform rme e ava avanza nzamen mento to spi spirit ritual uale, e, ti aprirai a una grande perfezione e a una grande acutezza. Grande è l’allargamento della mente, ma grande anche è il diletto.

Capitolo IV Il sollevamento della mente Nondimeno poi quel modo di contemplazione che è il sollevamento della mente, procede per tre gradi: infatti l’umana intelligenza ispirata divinamente, irraggiata da quella luce celeste, talvolta si solleva al di sopra della scienza, talvolta al di sopra dell’attiva ricerca, talvolta al di sopra sop ra dell della a nat natura ura.. L’inna L’innalza lzamen mento to sop soprav ravanz anza a la sci scienz enza a qua quando ndo qualcuno di noi conosce qualcosa per mezzo della divina rivelazione, che oltrepassa la misura della propria conoscenza e intelligenza. Si innalza al di là dell’attiva ricerca quando l’intelligenza umana viene divinamente ispirata a ciò che nessuna ricerca può comprendere e che nessuna ricerca può procurare. Il seno della mente si allarga oltre la natura quando l’umana intelligenza,  isp ispira irata ta da Dio Dio,, sor sorpas passa sa la misura natura umanadella nel suo complesso nella sua attività. L’animadella si eleva al disopra scienza quandoesperimenta quanto qui è detto: Salga pure l’uomo al pensiero più alto, Dio sarà esaltato (Sal. 63,7-8). Dio viene esaltato davanti alla mente sollevata quando, per la sua rivelazione, viene mostrato qualcosa dell’altezza della sua divi divina na maes maestà tà,, il che che se senz nza a du dubb bbio io so sopr prav avan anza za la mi misu sura ra de dell lla a conosc con oscenz enza a abitua abituale. le. L’alte L’altezza zza della della div divinit inità à che è inf infini initam tament ente e trasce tra scende ndente nte non può mostra mostrars rsii nella nella nos nostr tra a con conosc oscenz enza a in modo modo sempre crescente ma nella nostra contemplazione può apparire in modo sempre più sublime. La mente trascende la sua stessa capacità, quando viene invasata secondo quanto è scritto:  Aprì le sue ali, le  prese e le portò sulle sue spalle (Deut. 32, 11). Certo non è della capacità umana scegliere il cammino dei cieli. Ma se non possiamo andare con le ali di coloro che ci portano, possiamo essere trasportati. Pertanto è al di là della nostra capacità, ma non al di là della nostra natura, fare viaggi attraverso il cielo. L’anima contemplativa sale al di

 

là della misura misura della sua capacità di ricerca, ricerca, quando la divina divina degnazi zion one, e, per per la mani manife fest staz azio ione ne de deii suoi suoi se segr gret etii e co con n l’ap l’aper ertu tura ra e l’in l’inna nalz lzam amen ento to de dell lle e sue sue al ali, i, la soll sollev eva a al ve vert rtic ice e de dell lla a sc scie ienz nza a sopraeminente, là dove nessuna capacità umana potrebbe andare. Ma la sollevazione della mente oltrepassò la natura umana, quando il Profeta disse nel suo desiderio: Chi Chi   mi darà ali di colomba, per volare e riposare? (Sal. 54,7). La stessa cosa promette il Signore per mezzo di Isaia: Coloro che confidano nel Signore muteranno la loro forza e avranno le ali come le aquile (Is. 40,31).  40,31).  Senz Senza a dubbio è al di là della natura umana avere le ali e volare in alto secondo il proprio desiderio. Cos’è poi ricevere le ali, quasi contro la natura, se non possedere una grande capacità di contemplare, quasi una propria virtù, affinché tu possa penetrare a tua discrezione nei punti più alti e segreti della scienza, in luoghi impraticabili all’umana capacità, con l’ala della tua perspicacia? Cominciamo a essere animali alati, quando, ricevuto il dono do no divi divino no de dell lla a graz grazia ia,, sopr soprav avan anzi ziam amo o la mi misu sura ra de dell ll’u ’uma mana na cond co ndiz izio ione ne co coll vo volo lo dell della a nost nostra ra cont contem empl plaz azio ione ne.. Og Ogni ni gene generre di profe profezia zia,, se si è realizz ealizzato ato anche anche senza senza una tr trasf asfigu iguraz razion ione e del della la mente, men te, rig riguar uarda da senz’a senz’altr ltro o questo questo ter terzo zo grado grado di inn innalz alzame amento nto.. E infatti sopra l’umana natura vedere il passato, ciò che non è già più; vedere il futuro ciò che ancora non è; vedere del presente ciò che è lontano dai sensi; vedere i segreti del cuore che sfuggono ai sensi; vedere di Dio ciò che è sopra il senso. Resta dunque il compito di cercare per quali motivi la mente possa trascendere e per quali gradi possa salire.

Capitolo V Per una triplice causa la mente umana trascende trascende se stessa

Per tre tre infatti ca caus use e per mi la pa parrgrandezza e veni veniam amo odella cond condot otti ti al tras trasce cend imen ento to de dell lla a mente: devozione, perndim la grandezza dell’a del l’ammi mmiraz razion ione, e, per la gra grande ndezza zza del dell’e l’esul sultan tanza za acc accade ade che la mente non sia più memore di sé e passi nella trascendenza, sollevata oltre se stessa. Per la grandezza della devozione la mente si eleva sopra se stessa, quando viene infiammata dal fuoco del desiderio celeste, così che la fiamma dell’amore intimo sale oltre la misura umana uma na e tog toglie lie dallo dallo stato stato nor normal male e l’anim l’anima, a, liq liquef ueface acendo ndola la com come e cera, e anzi, facendola sottile come fumo, la eleva in alto fino alle cose più alte. Per la grandezza dell’ammirazione l’anima umana viene cond co ndot otta ta sopr sopra a se stes stessa sa quan quando do,, ir irra ragg ggia iata ta da dall lla a luce luce divi divina na e sospesa nell’ammirazione della suprema bellezza, viene scossa da un grande stupore, così che viene rapita via dal suo stato normale e come un lampo, quanto più disprezza se stessa abbassandosi, tanto più viene riflessa in alto rapidissimamente per mezzo dei desiderio delle cose più alte e, rapita, si eleva oltre se stessa fino al cielo. Per la

 

grandezza della gioia e dell’esultanza, la mente dell’uomo trascende se stess stessa a qua quando ndo,, avendo avendo bevuto bevuto dell’a dell’abbo bbonda ndanza nza dell’i dell’inte nterio riore re soavità e anzi essendosene inebriata, diventa tutto ciò che è o che è stata, e viene portata alla trasfigurazione per l’eccesso dell’esultanza, e viene trasfigurata in un affetto sopramondano, rapita in uno stato di mirabile felicità. Noi non sentiamo in noi stessi tali trascendimenti, perché, come abbiamo detto sopra, siamo meno amati e amiamo meno. Se infatti, chiunque tu sia, ami pienamente e perfettamente, la gran gr and dezz ezza de dell tuo am amo ore e la for forza viva viva del tuo de dessider iderio io ti rapirébbero oltre te stesso, così come s’è detto sopra. Anzi se tu fossi stato pienamente degno dell’amore divino, se tu ti fossi mostrato meritevole di tal degnazione, forse egli avrebbe irraggiato gli occhi dell de lla a tu tua a inte intell llig igen enza za co con n il chia chiarrore ore de dell lla a su sua a luce luce,, ti av avrreb ebbe be inebriato con la soavità della sua interiore dolcezza, ti avrebbe rapito oltre te stesso e ti avrebbe elevato nella trascendenza alle supreme altezze. Abbiamo posto questi tre modi anagogici del trascendimento nel medesimo ordine in cui sono descritti misticamente nel cantico dei cantici. infatti riferito al primo modo questo versetto: Chi è costei che ch e sale sale at attr trav aver erso so il dese desert rto o co come me un una a virg virgol ola, a, di fu fumo mo,, ne nell lla a fragranza di mirra e di incenso e di ogni aroma di profumiere? (Cant. 3,6). Al secondo è riferito ciò che leggiamo: Chi è costei che s’avanza quasi aurora sorgente? (Cant. 6,9).  6,9).  Ed è riferito al terzo certamente il fatto che si legge alla fine: Chi è costei costei che sale dal deserto stillante stillante delizie, appoggiata al suo diletto? (Cant. 8,5).

Capitolo VI Il primo modo del trascendimento trascendimento scaturisce dalla grandezza della devozione

V olete poi conilosprimo cere modo megldi io trascendenza come poal ssiprimo amo versetto riferire convenientemente citato? Il primo modo di trascendere la mente si realizza, come avete visto sopra, per mezzo della forza del desiderio e per la grandezza della devozione. Il fumo sale sempre dal fuoco. Chi potrebbe negare, che l’amor l’amore e spirit spiritual uale e sia un fuoco? fuoco? Cer Certo to quell’ quell’ele elevaz vazion ione e della della mente alle cose più alte, che sorge dal calore del desiderio viene parago par agonat nato, o, se no non n erro erro,, al fumo. fumo. Cos’al Cos’altr tro o pot potre remmo mmo senz’a senz’altr ltro o inte intend nder ere e pe perr tale tale fumo fumo se no non n il desi deside deri rio o de dell lla a me ment nte e devo devota ta?? Dunque quasi fumo l’anima sale in alto, quando per l’amore forte il suo su o de desi side deri rio o la rap apis isce ce ol oltr tre e se stes stessa sa.. La vir virgo gola la,, co come me tu tutt ttii sappiamo, è sottile e diritta; perché dunque la tua salita sia simile alla virgola, il tuo desiderio sia unico e forte e sorga da un’intenzione ret etta ta.. Se poi poi inte intend ndia iamo mo per per mi mirr rra a la co cont ntri rizi zion one e de dell lla a ca carn rne; e; se intendiamo per incenso la devozione del cuore e per ogni aroma del profumiere la perfezione di ogni virtù, guarda come tutte queste cose

 

concor conc ordi dino no ne nell mede medesi simo mo sens senso o e come come poss possan ano o esse esserre inte intese se facilmente per se stesse. Infatti è abbastanza chiaro che chiunque sia pieno di carità non può non avere anche le altre virtù. Dice infatti l’Apostolo che la carità è la perfezione delle virtù. Bisogna poi notare che l’anima santa sale nel deserto come un fumo, quando volge il suo affetto nel desiderio dello sposo celeste da ciò che trova in se stessa di buono o cattivo. Quanto al merito maggiore è quell’elevazione della mente, che con l’aiuto della grazia sorge da un’intenzione propria; è più grande cioè di quella che scaturisce dalla sola rivelazione o da qualche ispirazione divina. Ma perché l’anima sia trovata degna delle altre cose, occorre che cominci da tale ascesa e salga innanzitutto, come dal deserto. Cionondimeno, perché essa sia come una virgola di fumo, benché cominci in mezzo al deserto, bisogna che sorga al disopra del desert erto. La mente, stessa non viene rapita al trascendimento, se non si eleva sopra se stessa, se non abbandona la sua normale dimensione, se, abbandonando la propria normalità, non fa un deserto così da salire nel deserto come un fumo sempre più in alto.

Capitolo VII Il primo modo di trascendimento si realizza talvolta per la sola forza del desiderio  Tale  Tale trascendimento della mente si realizza realizza ora per la forza del grande desiderio, ora per il calore del desiderio che si unisce alla divina ri rive vela lazi zion one. e. Perch erché é in infa fatt ttii quel quel fuoc fuoco o spir spirit itua uale le e inco incorp rpor oreo eo dell’amore divino non raggiunge nelle cose spirituali la stessa forza che ch e qu ques esto to fuoc fuoco o co corp rpor oreo eo ha soli solita tame ment nte e nel nel nost nostrro mond mondo? o? Sappiamo che questo fuoco corporeo viene acceso nei vasi nei quali venga posto un poco di liquore. In poi un primo momento comincia a sollevare dal fondo il liquore stesso, comincia a gettarlo per ogni dove e a poco a poco a sollevarlo in alto. E tutto il vaso viene colmato di fuoco fino alla sommità anche da poco liquore; ancora poi il fuoco solleva il liquore infiammato oltre il vaso, con violenza lo getta fuori, e lo sparge tutt’attorno. Così l’anima umana accesa dal fuoco divino va spesso in se stessa contro se stessa nel suo fervore, nel suo fremere, nel suo irrompere, nel suo lievitare, nel suo adirarsi con se stessa, nel suo disprezzarsi, nel suo sdegnarsi, nel suo abbassarsi, nel desiderare l’altezza, nel suo tendere a ciò che è oltre il mondo. Mentre arde e viene interiormente scossa, mentre mentre per il disprezzo delle cose inferiori viene respinta dalle più basse, mentre per il desiderio delle cose più alte viene attratta alle cose più alte, accade che spesso, come per una un a ra raff ffic ica a di vent vento, o, per per un trav travol olge gent nte e de desi side deri rio o l’an l’anim ima a vien viene e trascinata fuori di sé e oltre se stessa, completamente obliosa di sé, viene sollevata in estasi, rapita al cielo. In questo modo l’ardore del

 

desiderio celeste, mentre infiamma l’anima umana di amore divino, la solleva nel suo fervore oltre se stessa. Come possiamo provare con l’esempio di prima, ogni aroma del profumiere, gettato nel fuoco, in quanto viene consumato dalla fiamma vorace, viene sollevato per una tenue esalazione di fumo verso l’alto dalla forza del calore. Vedi come la natura interrogata e la Scrittura consultata dicano concordemente la medesima cosa? Dalla sola forza di un fervente desiderio può derivare solitamente il trascendimento della mente infiammata, così come abbiamo detto sopra.

Capitolo VIII Il primo modo di trascendimento talora avviene per la forza della devozione e per una congiunta rivelazione divina Accade talvolta che la mente trascenda se stessa quando il desiderio dell’a del l’anim nima a si uni unisce sce a qualch qualche e div divina ina rivela rivelazio zione, ne, sec second ondo o quanto quanto possia poss iamo mo inte intend nder ere e dall dalla a prim prima a usci uscita ta di Ab Abra ramo mo,, de dell lla a qu qual ale e abbiamo parlato sopra. Dice infatti la Scrittura: Il  Il  Signore apparve a lui che sedeva nella valle di Mambra, sulla soglia della tenda, nel mezzogiorno. Abramo levò gli occhi e gli apparvero degli uomini.  Avendoli visti, corse loro incontro dalla soglia della sua tenda (Gen. 18,1). Se intendiamo per la tenda la dimensione normale della mente umana, l’uscita d’Abramo dalla tenda, significa il trascendimento della mente stessa. In due modi veniamo condotti fuori di noi: ora infatti scendiamo sotto noi stessi, ora saliamo sopra noi stessi. Nel primo caso siamo legati alle cose mondane, nel secondo siamo ricondotti alle cose celesti. Ma come duplice è l’uscita, altrettanto duplice è il rito ritorn rno. o. Dall Dall’u ’una na e dall dall’a ’alt ltra ra usci uscita ta rito ritorn rnia iamo mo alla alla no nost stra ra tend tenda a quando, dopo gli affari mondani o dopo la contemplazione delle cose celesti, riportiamo gli occhi della nostra mente considerazione dei nostri costumi e, ragionando delle nostre cosealla intime, scrutiamo con cura come noi siamo. Intendiamo rettamente che cosa sia il ritorno dall mo da mond ndo, o, qu quan ando do legg leggia iamo mo nel nel Van ange gelo lo del del rito ritorrno del del figl figlio ioll prodigo: Quanti servi nella casa di mio padre hanno abbondanza di  pane, mentre io perisco per la fame (Lc. 15, 17). Riferiamo invece al ritor rit orno no dalle dalle cos cose e cel celest estii le parole parole di Pietr Pietro: o: Pietro, ritornato in sé, disse: Ora so veramente che il Signore mi mandò il suo angelo (At. 12,11).   Ecco l’uno e l’altro sono ritornati a sé, ma sono tornati a sé; 12,11). perché prima erano usciti da sé. Il primo infatti viene condotto in una regione reg ione lontana, lontano da sé; il secondo secondo dietro dietro la guida dell’an dell’angelo gelo viene vie ne sollev sollevato ato nel tr trasc ascend endime imento nto sopra sopra la com comune une dimens dimension ione e dell’umana possibilità. Uscendo al modo del figliol prodigo si scende alle cose più basse; ma uscendo di sé, come nel secondo caso, si viene sollevati fino alle cose più alte. Nel primo caso ci allontaniamo dal Signore, nel secondo caso ci avviciniamo a Lui. Che cos’è quella

 

uscita da sé per mezzo della quale si corre incontro al Signore, se non il trascendimento della mente umana, per mezzo del quale essa, rapita oltre se stessa, si fissa nella contemplazione dei segreti divini? Se dunque cerchiamo la causa di questa uscita, la troveremo subito. Infatti la visione che apparve da fuori senza dubbio la trasse alle cose esteriori. La causa invece dell’apparizione divina viene nascostamente indicata nel fatto che si dice che il Signore sia apparso ad Abramo che sedeva sulla soglia della sua tenda nel mezzogiorno. Vedi certamente che era grande il calore del giorno, quando il Signore gli appariva. Che cos’è questo calore del giorno, se non, la forza dell’ardente desiderio? Quell’amore Quell’amore che ama le tenebre e odia la luce, non deve essere chiamato calore del giorno. Sappiamo poi che: Chi male agisce odia la luce, e chi agisce secondo verità viene alla luce, affinché siano manifeste le sue opere, perché sono state fatte in Dio (Gv. 3,20-21). Il calore del giorno non è altro che l’amore ardente del vero, il desiderio del vero e supremo bene. Il patriarca Abramo era pres pr eso o da dall ca calo lorre del del mome moment nto, o, che che lo dist distog ogli liev eva a da dall lle e qu ques esti tion onii domestiche e lo faceva sedere sulla soglia, libero in certo modo da ogni affanno, così che poteva vedere le cose tutt’attorno. Quel fervore fa facceva eva pe perrcepi cepirre a lui lui che che lo desi desid der erav ava a il so soff ffio io de dell lla a divin ivina a rivelazione che gli leniva l’ardore del desiderio. Credo che tu veda come quel fervore dal quale egli era preso lo traeva là dove avrebbe potuto vedere i tre uomini, che egli seppe di dover adorare. Forse se avesse badato agli affari domestici, se fosse rimasto all’interno della sua tenda, non avrebbe visto quelle persone celesti, e, se non le avesse viste, non sarebbe uscito in quel momento. Due cose quindi concorrono concorr ono a un medesimo fine ed hanno offerto l’occasione della sua uscita: la forza del calore e la novità della visione. Secondo questa similitudine accade spesso nella mente umana, che mentre si arde perr il gr pe gran ande de in ince cend ndio io de dell desi deside deri rio o cele celest ste, e, si me meri rita ta di ve vede derre qualcosa per la divina rivelazione e si è aiutati a raggiungere quel trascendimento.

Capitolo IX Il secondo modo del trascendime trascendimento nto si realizza solitamente per la grandezza dell’ammirazione Si è pa parl rlat ato o del del tras trasce cend ndim imen ento to ch che e vien viene e da dall lla a gr gran ande dezz zza a de dell lla a devo de vozi zion one; e; ora ora bi biso sogn gna a parl parlar are e di quel quello lo ch che e scat scatur uris isce ce dall dalla a grandezza dell’ammirazione. Chi ignora da dove venga l’ammirazione, quando guardiamo qualcosa al di là di ogni speranza e sopra ogni possibilità di valutazione? La novità della visione e della cosa appena credibile suole portare la mente all’ammirazione quando si comincia a vedere ciò che a stento si può credere. Il trascendimento della mente che ch e scat scatur uris isce ce dall dall’a ’amm mmir iraz azion ione e vi vien ene e in indic dicat ato o ne nell lle e pa parrole ole,, de dell Cantico: Chi è costei che s’avanza come aurora che sorge? (Cant.

 

6,9). Che cos’è l’aurora, se non la nuova luce mista alle tenebre? E da dove dov e viene viene l’amm l’ammira irazio zione ne se non da una una imp impens ensata ata e inc incre redib dibile ile visione? L’ammirazione ha un’improvvisa luce mista alle tenebre; la luce della visione è mista a qualche tenebra ancora di incredulità e di incertezza incer tezza,, così che in modo mirabile mirabile la mente vede ciò che a stento può credere. Ma quanto più ammiriamo la novità della cosa, tanto più la oss osserv erviam iamo o con att attenz enzion ione; e; e qu quant anto o più la oss osserv erviam iamo, o, tan tanto to meglio la conosciamo. Cresce dunque l’attenzione dall’ammirazione e la co cono nosc scen enza za dall’ dall’at atte tenz nzio ione ne.. La ment mente e so sorrge co come me un’a un’aur uror ora, a, quando nell’ammirazione della visione a poco a poco si avanza nella conoscenza. L’aurora s’innalza poco a poco ed elevandosi si dilata, dilatandosi si fa più chiara; e in modo meraviglioso mentre si trasforma nel giorno per il suo gradua graduale le aument aumento, o, ces cessa sa di ess esser ere e aur aurora ora,, men mentr tre e div divent enta a qualcosa di più grande. Così l’umana l’ umana intelligenza, irraggiata della luce divina, mentre si solleva nella contemplazione delle cose, intelligibili, mentre si distende nella loro ammirazione, quanto più viene condotta verso le cose più mirabili e più alte, tanto più viene dilatata, e quanto più s’allontana dalle cose infime, tanto più si purifica e si solleva alle cose sublimi. Ma in questa elevazione, mentre la mente umana cresce alle alle cose cose pi più ù al alte te,, tras trasce cend nde e talo talora ra la mi misu sura ra dell della a su sua a um uman ana a capacità, e alla fine accade che si trasforma intimamente, venendo meno a se stessa, in un affetto sopramondano e va oltre se stessa. Come la luce mattutina crescendo non cessa di essere luce, ma cessa di es esse serre luce luce ma matt ttut utin ina, a, come come la stes stessa sa au aurror ora a ce cess ssa a di es esse serre aurrora, co au cossì l’ l’in inte tell llig igen enzza uman umana a per la gran ande dezzza della ella sua dilatazione, talvolta non già cessa di essere intelligenza, ma cessa di essere intelligenza umana. In modo mirabile e con un mutamento incomprensibile, essa diventa più che umana; nella contemplazione della gloria del Signore è trasformata dallo spirito del Signore nella sua immagine, da luce in luce (2 Cor. 3). Da ciò dunque vedi che opportunamente quel trascendimento della mente che sorge dalla grandezza dell’ammirazione viene misticamente là dove dice: Chi è costei che s’avanza, quasiindicato aurora che sorge? (Cant. 6,9). si

Capitolo X Il secondo modo del trascendimento trascendimento comincia talvolta dalla sola ammirazione e si compie in un ferventissimo des desiderio iderio di devozione Bisogna osservare che come quel primo modo di trascendimento del quale s’è detto sorge dalla devozione, questo del quale ora si parla non comincia dall lla a devozione ma in essa si compie. Per un grandissimo desiderio, sale alla contemplazione della verità, e per la ri rive vela lazi zion one e dell della a veri verità tà e per per la su sua a co cont ntem empl plaz azio ione ne l’an l’anim ima a si

 

accend acce nde e ad ad’’ una una gr gran andi diss ssim ima a de devo vozi zion one. e. For orse se la Sc Scri ritt ttur ura a ci suggerisce misticamente queste cose aggiungendo, al versetto citato sopra, queste altre parole: Bella come la luna, eletta come il sole (Cant. (Ca nt. 6,9). 6,9). Nes Nessun suno o s’a s’aspe spetti tti da me una per perfet fetta ta spieg spiegazio azione ne di queste parole, né di quelle che abbiamo riferito o che ricorderemo più avanti, ma si dirà solo ciò che richiede la ragione per la testimonianza della verità. L’aurora e la luna hanno luce, ma non hanno calore; il sole ha immensa abbondanza dell’una e dell’altra. Che cosa c’è di più splendente e di più caldo del sole? Quella ascesa della mente che viene indicata in questo passo, il cui punto più alto è paragonato al sole si compie solo nella suprema devozione benché prenda l’avvio dal solo splendore della verità. Come infatti nel grado precedente l’anima merita di assurgere alla contemplazione della somma verità, così in questa contemplazione piena di meraviglia, l’anima viene poco a poco miglior iorata e infiammata a una supre prema devozione. Consideriamo dunque nel sole la grandezza della luce e del calore, e raccogliamo in questo sollevamento un miglioramento della mente e anche il compimento della perfezione che comincia come dall’aurora e che s’avanza come il sole.

Capitolo XI Il secondo modo del trascendime trascendimento nto talora comincia dalla sola ammirazione e rimane nella medesim medesima a dimensione In ques questo to seco econdo trasc rascen endi dim mento ento de dell lla a men ente te no non n semp semprre l’avan l’a vanzam zament ento o giu giunge nge fin fino o alla alla perfez perfezion ione. e. Oss Osserv erviam iamo o nelle nelle cos cose e esteriori che cosa dobbiamo pensare circa le cose interiori. Se si mette un vaso d’acqua al sole, vedrai che esso riflette la luce ma non il calore. Così dunque molti ricevono i raggi della divina rivelazione, ma no non n per per ques questo to tu tutt ttii s’av s’avan anza zano no ugua ugualm lmen ente te ne nell ll’a ’amo morre. Il Creator Creatore tutte offre della a noi, ma dive divers rsii eeffe efdifett ttii a leseco secose cond nda a del deil doni mome moment nto osua e grazia de delle lle pe pers rson one. e. produce Os Osse serv rva a dall’esempio proposto che cosa compia in noi quel raggio della divina rivela riv elazio zione ne e del della la luce luce etern eterna, a, com come e sol sollev levii l’inte l’intelli lligen genza za umana, umana, ispirandola, sopra se stessa e, secondo l’esempio ricordato, te ne indichi il modo. L’acqua è il pensiero umano che scorre verso il basso se non viene ritenuta con forza. L’acqua raccolta nel vaso è il pensiero che ch e si volg volge e con con forz forza a al alla la medi medita tazi zion one. e. L’ac L’acqu qua a co così sì racc raccol olta ta simb simbol oleg eggi gia a la medi medita tazi zion one e del del cuor cuore. e. Il ragg raggio io de dell so sole le pe perv rvad ade e questa que sta acq acqua, ua, quand quando o la riv rivelaz elazion ione e divi divina na ispira ispira la med medita itazio zione. ne. Quando l’acqua riceve il raggio della luce superior superiore e e lo riflette in alto, quel qu el rag agg gio s’in s’inn nal alza za là dove ove es essa sa non può in ne nesssun sun modo modo ascendere. Molto grande è la differenza dell’acqua e della luce. E tuttavia a quel raggio di luce che viene riflesso, l’acqua dona qualcosa di sé: se essa è tremula, il raggio è tremulo; se è quieta, il raggio è quieto; se è molto limpida, il raggio è limpido; se è diffusa, il raggio

 

viene diffuso. Secondo questa similitudine la rivelazione di quella luce eterna e inaccessibile irradia il cuore umano e l’umana intelligenza, elev elevan ando dola la al di sopr sopra a di ogni gni dimen imenssione ione uman ana; a; e il rag aggi gio o dell de ll’i ’int ntel elli lige genz nza a pe perr l’ l’is ispi pira razi zion one e dell della a luce luce divi divina na,, pe perr il rifl rifles esso so dell’a del l’ammi mmiraz razion ione, e, vie viene ne rifles riflesso so dal basso basso all’al all’alto, to, dov dove e nes nessun suna a acutezza d’ingegno, nessuna capacità umana, nessun ragionamento può salire. Quanto più lo splendore della luce divina intimamente penetra penet ra la mente dell’uo dell’uomo, mo, tanto più rifle riflesso sso per la grandezz grandezza a della meraviglia, sollevato per l’estasi, esso balza nuovamente in alto nei segreti divini. È ovvio che quanto più e quanto meglio l’anima può raccogliersi nella pace e nella tranquillità, tanto più fermamente e tena tenace ceme ment nte e in ques questa ta so soll llev evaz azio ione ne si un unir irà à pe perr me mezz zzo o dell della a contemplazione alla luce suprema, senza dubbio quanto più l’anima è pura e quanto più diffonde il suo amore, quanto più è acuta, tanto più verrà trovata capace di contemplare le cose sopramondane e sopra celesti.

Capitolo XII Nel secondo trascendimento talora la divina rivelazione viene incontro alla nostra meditazione Bisogna notare che lo splendore della divina rivelazione talvolta viene incontro alla meditazione e talvolta la previene addirittura, cioè o aiuta colui che ricerca o suscita colui che è sonnolento e sveglia colui che dorme. Per questo la regina del Sud rivolge molte domande a Salo Sa lomo mone ne e ap appr pren ende de da lu luii la ri risp spos osta ta di tu tutt tto o ciò ciò ch che e veni veniva va prop propone onendo ndogli gli (3 Re 10). 10). Per questo l’angelo visitando nella luce Pietro legato in carcere, lo scosse dal sonno (At. 12). Che cosa dice la Scrittura della regina del Sud che venne per ascoltare la sapienza di Salo Sa lomo mone ne,, seChi non nonè questa che che Sa Salo lomo mone ne del le Sud, inse insegn gnò ò tutt tutto odiciò ciquella ò che che calda es essa sa domandava? regina signora regione, desiderosa di vedere Salomone? Chi è questa regina, se non ogni anima santa, che domina i sensi e i desideri della carne, i pensieri e gli affetti della mente, che arde d’amore per il re e per il vero Salomone, e che vuole ardentemente vederlo? Tale regina pone al re della suprema suprema sapienza molte questio questioni ni e molti enigmi, quando ognii ani ogn anima ma devot devota, a, fidand fidando o nell’a nell’aiut iuto o div divino ino,, ric ricer erca ca con forza forza la veri ve rità tà.. As Asco colt lta a ciò ch che e ch chie iede de quan quando do cono conosc sce e ne nell ll’o ’ora razi zion one e pe perr mezz me zzo o della ella di divi vina na rivel ivelaz azio ion ne ci ciò ò che che non po potr treb ebb be da so sola la conoscere. Vediamo allora che cosa della stessa regina ci dice la Scrittura: Vedendo la regina di Saba tutta la sapienza di Salomone, e la casa che aveva edificato, e il cibo della sua mensa, e le stanze dei servi, e l’ordine degli addetti alla sua corte, e le loro vesti e i sacrifici che egli offriva nel Tempo del Signore, rimase attonita (3 Re 10,4-5). La Scrittura dice: Vedendo la regina di Saba. Ecco ora con la parola

 

«vedendo» è descritto ciò che prima veniva proposto come domanda. Guarda che cosa ha visto e comprendi che cosa ha inteso. Dice il versetto: La regina di Saba vedendo tutta la sapienza di Salomone, ecc. ec c. Ecco Ecco quan uante e qual qualii cos cose è dato ato cono conosc scer ere e da dall lla a divin ivina a rivelazione all’anima devota e amorosa nella ricerca. Osserva come abbia abb ia con conosc osciut iuto o cose cose grandi grandi e ammira ammirabil bilii per isp ispira irazio zione ne div divina ina quell’anima che, osservando a lungo, nella grande ammirazione si sent se nte e ve veni nirr me meno no per per la mera meravi vigl glia ia.. Ecco Ecco co come me s’ s’av avan anza za e do dove ve giunge: prima chiede e ascolta, quindi vede e intende, infine ammira e vien meno; chiede ciò che vuole apprendere, contempla ciò che ammira, si stupisce così da venir meno e da trascendere la mente. Il primo grado è la meditazione, il secondo è la contemplazione, il terzo è l’es l’esta tasi si.. Ec Ecco co in qual qualii grad radi s’a ’av vanz anza l’an l’anim ima a uman ana; a; co con n la medi me dita tazi zion one e sa sale le al alla la cont contem empl plaz azio ione ne,, co con n la co cont ntem empl plaz azio ione ne all’ammirazione, con l’ammirazione all’estasi. Credo che sia un chiaro esempi ese mpio o del fatto fatto che per la grand grandezz ezza a del dell’a l’ammi mmiraz razion ione e l’u l’uomo omo raggiunge il trascendimento della mente.  Cos’altr Cos’altro o fu quel venir meno della regina di Saba, se non un venir meno alla dimensione normale del pensiero, trascendendosi? E perché accadde tutto ciò, se non per la molta ammirazione? Perché mai questa regina venne meno, se non perché il suo spirito la trascese? Torna qui alla memoria ciò che un altro dice di sé: Io Giovanni fui in spirito (Apoc. 1,10). Ecco Giovanni è se stesso in spirito e la regina del Sud al contrario viene meno nello spirito. Perché quello fu in spirito, e questa venne meno nello spirito? Chi potre potrebbe bbe dir dirlo lo chi chiara aramen mente? te?’’ Nessun Nessuno o mi potre potrebbe bbe sp spieg iegar are e chiaramente se Giovanni fu in spirito secondo la carne o secondo lo spirito; ma come potrebbe essere stato nello spirito secondo la carne, quando il corpo non può essere che in un luogo corporale? Se dunque egli è stato in un luogo secondo lo spirito, chi potrebbe spiegare perché lo spirito si dice che è nello spirito? Il corpo non rimane forse esanime quando comincia a non avere più lo spirito? Certamente la carne della regina non fu nemmeno un momento senza lo spirito, perché lo spirito potuto forselolospirito spiritosia fu senza losenza spirito? Spieghinon chiavrebbe può e come puòvivere. in cheOmodo nello spirito spirito e come lo spir spirito ito sia senza spirito, se l’una cosa si crede giustamente quanto a Giovanni e l’altra quanto alla regina. Forse il fatto che lo spirito sia nello spirito significa che esso si raccoglie dentro se stesso e che ciò che è relativo alla carne viene completamente dimenticato? E forse il fatto che lo spirito sia senza spir sp irit ito o sign signif ific ica a esse esserre fuor fuorii di sé e diff diffon onde ders rsii ol oltr tre e se st stes esso so e ignorare tutte le cose che accadono in sé ed entrare nel segreto della divinità? Non si asserisce forse giustamente che lo spirito è nello spir sp irit ito o qu quan ando do ci si di dime ment ntic ica a di tutt tutte e le co cose se este esteri rior orii e, ne nell lla a dimenticanza di tutto ciò che accade nel corpo, ci si interessa di quelle sole cose che sono relative allo spirito? Si dice giustamente che lo spirito non ha più se stesso, quando comincia a venir meno e quando comincia a passare a uno stato sopramondano e sopraumano;

 

con mira con mirabi bile le tras trasfi figu gura razi zion one e qu quel ello lo spir spirit ito o vien viene e me meno no alla alla su sua a umanità, salendo alla divinità, così che egli non è più lo stesso in quel tempo in cui si unisce a Dio. Colui che, si unisce al Signore è un solo spirito con Lui (1 Cor. 6,17). Colui che sperimenta questa unione può cantare: Vien meno l’anima mia nella tua salvezza (Sal. 118,81). È dunque nello spirito colui che sopravanza tale vertice. Ma lasciamo a chi è più esperto il chiarimento di tutto ciò.

Capitolo XIII Nel secondo modo di trascendimen trascendimento to la divina rivelazione talvolta previene la nostra meditazione Consideriamo  come la divina rivelazione talora prevenga la ricerca della nostra meditazione e come sollevi l’anima umana, gettata al di sott so tto o dell della a su sua a na natu tura ra e dell della a sua sua libe libert rtà, à, da dall lla a viol violen enza za de dell lle e tentazioni non solo alla sua naturale solidità, ma addirittura la sollevi oltre le misure dell’umana possibilità. Spesso infatti la mente umana, dopo molti esercizi, viene turbata da insistenti tentazioni e viene scos sc ossa sa e allo allont ntan anat ata a da dall lla a rocca occa dell della a su sua a sicu sicurrez ezza za e de della lla su sua a tranquillità, affinché non si glori miserabilmente e vanamente della propria fortezza nei continui successi della virtù. Per questo il beato Pi Pietr etro, o, pri princi ncipe pe degli degli aposto apostoli, li, dopo dopo innume innumere revol volii mer meriti iti e sub sublim limii miracoli, viene preso, legato, imprigionato. Ma, alla visita dell’angelo, viene mirabilmente liberato così come era stato prima crudelmente tormentato (At. 12).  12).  Volete sapere quali sono questi ceppi che talora legano leg ano le menti menti anche anche sublimi sublimi per i loro loro meriti meriti?? Chi igno ignora ra che la tentazione del piacere sorge ora da fuori, ora da dentro; da fuori per mezzo dei diversi diletti, da dentro per mezzo della suggestione; da fuori per il piacere della carne, da dentro per la suggestione della mente? Ora dunque la carne viene presa da un turpe vellicamento, ora tenel’anima bre deviene l car arccinsozzata ere, quada ndoun vturpe eniampensiero. o legati Noi dacadiamo i lacci nelle della concupiscenza e vogliamo lasciare la nebbia della nostra confusione sen enza za ri riu uscir scirci ci.. Ma quel quella la me men nte me merrita ita la rivel ivelaz azio ione ne della ella consolazione divina, se soffre le tenebre di tale confusione, non per una propria ignavia, ma per la protervia della malignità altrui. Una tale anima santa viene liberata quando giunge un messo divino se, per l’ispirazione della grazia, viene liberata dal peso della oppressione mediante la luce della rivelazione. L’angelo infatti è un nunzio. E anzi non è un nunzio qualsiasi, ma un nunzio divino per mezzo del quale conosciamo la volontà di Dio, siamo illuminati circa la conoscenza delle cose eterne e accesi del loro desiderio. Ma questo nunzio non conosce forse solo le cose celesti? O forse conosce anche le cose terrene? Ma chi conosce le cose più grandi, come può ignorare quelle più piccole? E una buona legazione quella che non solo può insegnare ogni cosa, ma anche persuadere a ciò che desidera colui che l’ha

 

mandata. Sentite quale legazione ci promette l’apostolo Giovanni: La sua unzione vi insegnerà ogni cosa (Gv. 2,27). Ma che cos’è questa unzione se non l’ispirazione divina? Questo è quel nunzio che a lungo abbiamo cercato, questa è la legazione veramente potente che può indurre l’anima umana alla verità, piegandola alla volontà divina. Tale messaggero libera l’anima dai legami della concupiscenza, la scioglie dalle tenebre della sua ignoranza c parimenti infonde quando vuole e come gli piace la conoscenza e l’amore delle cose eterne. Conobbe tali messaggeri colui che, nella sua liberazione diceva: Mi Mi   mandò messaggeri dal cielo e mi liberò (Sal. 56,4).  56,4).  Ma forse è desiderabile sape sa perre qual quale e fu qu quel ella la le lega gazi zion one e che che libe liberrò l’an l’anim ima a da dall lla a su sua a prigionia? Dio Dio   mandò la sua misericordia e la sua verità e liberò l’anima l’anim a mia (Sal. 56,4-5). 56,4-5).   L’ L’an ange gelo lo vien viene e con con la luce luce de dell lla a divi divina na miseri mis ericor cordia dia por portan tando do la ver verità ità.. La mis miseri ericor cordia dia por porta ta la ver verità ità e l’unzione insegna. Dio manda la sua misericordia e la sua verità e libera l’uomo dalla sua prigionia, cioè ispira la verità per mezzo della sua misericordia e con la verità rafforza l’anima nelle virtù. Chi mai è potuto sfuggire pienamente ai pericoli della sua anima, se non ha potuto meritare i benefici di questa legazione? Felice Pietro che non solo so lo ha meri merita tato to di ve veni nirre li libe bera rato to dall’ all’an ange gelo lo,, ma anch anche e po poté té seguirlo segui rlo.. Non tutti quell quellii che sono liberati liberati dall’angelo dall’angelo seguo seguono no le sue tracce. Non tutti gli apostoli liberati dall’angelo hanno seguito. Ma Piet Pi etrro ri rice ceve ve l’ l’or ordin dine e da dall suo suo ange angelo lo liber liberat ator ore e di se segu guir irlo lo.. Ch Che e significa ciò? vedere la via dell’angelo seguire i viventi celesti e alati. Pensa quali sono stati la liberazione e il miglioramento dell’angelo che precede e di chi segue, se né le guardie né le porte di ferro poterono trattenerli! Veramente angelico e più che umano è uscire dal carcere tenebroso dell’umana debolezza e passare attraverso i luoghi stretti e diff diffic icili ili dell dell’i ’imp mpos ossi sibil bilit ità. à. Pen ensa sa all all’u ’usc scit ita a de dell ll’u ’uom omo o prim prima a ch che e pecc pe ccas asse se o a quel quella la che che avr avreb ebbe be av avut uto o se no non n aves avesse se pe pecc ccat ato, o, attraverso la quale avrebbe potuto passare facilmente dal mondo al cielo, dai beni visibili a quelli invisibili, da ciò che è temporale a ciò che è eterno. Avrebbe la possibilitàdidientrare rimanere giorno con i cittadini del cielo nellaavuto contemplazione, neiogni segreti divini e di accostarsi alla gioia interiore del Signore. Pensa quindi come questa via che prima era facilmente praticabile, sia stata in seguito chiusa dalla severità divina dopo il peccato, dalle porte della dura necessità e dal dalle le cat catene ene del dell’i l’impo mpossi ssibil bilità ità.. Forse orse trove troverai rai che cosa cosa tu debba debba pensare di questa porta di ferro. Se non puoi scoprire tali cose, cerca di saperlo da coloro che conoscono questa porta di ferro per averla spes sp esso so at attr trav aver ersa sata ta e ch che, e, a somi somigli glian anza za di Piet Pietrro ch che e se segu guiv iva a l’angelo, l’hanno trovata spesso aperta. Tutto ciò è molto al disopra dell’uomo, poiché Pietro avanzò oltre se stesso e apprese ogni cosa con una esperienza particolare. In caso contrario, se cioè non fosse ritornato a sé dopo essersi trasceso, non sarebbe scritto di lui: E Pietro tornato in sé disse: Ora veramente so, ecc. (At. 12,11).  12,11).  Molte cose si sarebbero dovute dire a questo proposito. Ma basti l’aver

 

provat prov ato, o, con con la test testimo imoni nian anza za di Pie ietr tro o co come me talv talvol olta ta la divin divina a rivela riv elazio zione ne possa possa preve prevenir nire e la ric ricer erca ca del della’ la’ no nostr stra a med medita itazio zione ne e suscitare l’anima addormentata, sollevandola oltre se stessa dalla sua deiezione.

Capitolo XIV Il terzo modo del trascendimento si realizza solitamente per la grandezza della gioia Resta da mostrare, in terzo luogo, come la mente cada spesso in estasi e si trascenda per la grandezza della gioia e dell’esultanza. Questo, terzo modo del trascendimento mi pare che sia convenientemente indicato in quelle parole del Cantico dei cantici che abbiamo ricordato per ultime. Dice la Scrittura: Chi è costei che sale dal desert deserto o stilla stillante nte del delizi iziosi osi profum profumi, i, app appogg oggiat iata a al suo dilett diletto? o? (Cant. 8,5). Se giustamente si intende per deserto il cuore umano, che cosa sarà questa salita dai deserto se non il trascendimento d’ella ment me nte? e? L’an L’anim ima a sa sale le da dall dese desert rto o qu quan ando do so sopr prav avan anza za se st stes essa sa quando abbandonando se stessa, si immerge nel cielo per mezzo della contemplazione e della devozione, volgendosi alle sole cose divine div ine.. Ma viene poi indic indicata ata la causa causa di que questa sta salita salita nel fatto che cole co leii ch che e asce ascend nde, e, stil stilla la prof profum umii deli delizi zios osi, i, il ch che e rapp rapprres esen enta ta l’abbondanza e la pienezza delle gioie spirituali. Stillare delizie è la gioia divinamente donata e abbondantemente infusa della dolcezza. Non possono dare abbondanza di queste delizie né possono dare una vera gioia le false ricchezze. Non sarebbero false ricchezze quelle che donassero donasser o abbondanza di quella gioia. Hanno forse queste delizie coloro che credono, che sia gioia stare tra le ortiche? (Gb. 30,7).  30,7).  Anche gli empi possono avere le ricchezze esteriori e false, benché non possano avere affatto la vera gioia, a meno che v’è noi pace non riteniamo che(Is. sia48,22). falsa quella Il Signore dice: Non per gli empi Tutteprofezia: le volte che tu sei priv pr ivo o dell delle e ve verre inte interi rior orii deliz delizie ie,, anch anche e se ha haii ab abbo bond ndan anza za de dell ll’e ’e ricc ricche hezz zze e es este teri rior ori, i, pu puoi oi ca cant ntar are e con con il Prof Profet eta: a: So Sono no po pove vero ro e indigente (Sal. 85,1).  85,1).  Non era forse re potente e ricco, signore del popolo, colui che diceva queste cose? Quali saranno dunque quelle ricchezze e quali delizie potranno portare, se la loro abbondanza deve diventare povera e mendicare altrove la vera gioia? Io sono povero e mendico; il Signore è sollecito verso di me (Sal. 39,18). L’abbondanza di queste delizie e della vera gioia non puoi né sperarla né averla se non nell’interiore gioia dell’anima divinamente infusa di dolcezza: Chi è costei, che sale dal deserto stillando delizie? (Cant. 8,5).  8,5).  Non dice che ha delizie, ma che stilla delizie, poiché non qualsiasi esperienza di queste delizie, ma la loro stillante abbondanza fa sorgere e porta alla perfezione l’ascesa. È ovvio che, per quanto noi miglioriamo non possiamo avere sempre sempre queste delizie finché siamo in questa vita. Nel

 

tempo in cui l’anima è priva di tale abbondanza, non può assurgere al trascendi tras cendimento mento del quale quale parli parliamo, amo, poiché in ciò si richi richiede ede che stilli delizie. Cred Cr edo o an anzi zi ch che e al altr tro o si sia a ascen scend dere ere still tillan and do, e altr altro o st stil illa larre ascendendo, così come è diverso io stillare dalla causa dello stillare. L’abbondanza delle delizie è causa della salita, quando in ragione di quella divina dolcezza che sente nella sua intimità, l’anima santa, per la gioia e l’esultanza, non comprende più se stessa, al punto che la grandezza della letizia la dilata oltre se stessa e la rapisce nell’estasi. Così una grande e immensa gioia, crescendo sopra la dimensione umana, porta l’uomo sopra l’uomo, e sollevatolo al di là delle cose umane, lo pone tra le cose sublimi. Possiamo vedere la similitudine di questo trascendimento anche negli animali. Gli animali infatti, nei loro giochi, talvolta compiono dei salti rimanendo in aria per un certo tempo tem po.. I pesci, pesci, mentr mentre e gio giocan cano o nel nell’a l’acqu cqua, a, sal saltan tano o sopra sopra l’a l’acqu cqua, a, sorpassando i termini della loro naturale dimora e innalzandosi per un po’ nel vuoto. Così l’anima santa, mentre per la gioia interiore salta oltre se stessa, ment me ntrre è cost costrretta etta a tras trasce cend nder ersi si,, ment mentrre è so sosp spes esa a tra tra le co cose se celesti, mentre si immerge tutta nelle visioni angeliche, sorpassa i termini delle sue naturali possibilità. Per questo dice il Prof Profeta: eta: I monti esulteranno come arieti e i colli come agnelli (Sal. 113,4).  113,4).  Chi non vede che è sopra la natura o contro la natura che i monti e i colli saltino in alto, come arieti o agnelli che giocano, e che la terra salga in alto e si libri nel vuoto? Ma la terra sale oltre la terra, quando l’uomo è condotto sopra l’uomo, perché è stato detto all’uomo nella riprovazione: Sei terra e nella terra ritornerai (Gn. 3,19).  3,19).  Per quanto cresca in forza della virtù, per quanto salga in alto come i colli e come i monti, l’uomo è sempre terra e può essere detto terra fino a quando abita case di fango e fino a quando ha un ffondamento ondamento terreno. terreno. Dice la Sapienza: Per Perché ché ti insupe insuperbi rbisci sci,, terra terra e cen cenere ere (Eccl (Eccli. i. 10,9) 10,9)??  Se dunque ci contentiamo di una semplice esposizione, basta forse il dire che, il fatto che montiche e i negli colli saltino gli arieti e gli agnelli è la similitudine del ifatto uominicome perfetti e santissimi l’umana natura sale oltre se stessa e, per la grande abbondanza di gioia, si tras trasce cend nde. e. Ec Ecco co pe pens nso o ch che e ab abbi biam amo o chia chiari rito to il disc discor orso so con con un evidente esempio. Per la grandezza dell’esultanza talvolta si realizza un trascendimento della mente umana. Ma se sembra a qualcuno che si sia sia de dett tto o poco poco della della simi similit litud udin ine e dell delle e pe peco corre, pens pensii a qu quel elle le novantanove pecore che il supremo pastore lasciò in alto nel monte, quando cercò quella che era rimasta fuori. Si pensi dunque quanto sia cosa grande salire a somiglianza di quelle nell’impeto della gioia e assimilare questa nostra natura alla loro esultanza secondo l’angelica similitudine. Se infatti intendiamo negli arieti gli ordini supremi degli angeli e negli agnelli gli ordini inferiori, comprenderemo comprenderemo anche perché ques qu esti ti arie arieti ti,, ci cioè oè gl glii ordi ordini ni su supr prem emii de degl glii an ange geli li,, ne nell lla a da danz nza a mera me ravi vigl glio iosa sa dell della a lo loro ro gi gioi oia a e nell’ nell’es esta tasi si dell della a co cont ntem empl plaz azio ione ne,,

 

tras trasce cend ndon ono o se stes stessi si,, quan quando do gu guar arda dano no le co cose se su supe peri rior ori. i. Es Essi si vedono oltre se stessi la sostanza creatrice di tutte le cose e non trovano nulla in cui contemplare e ammirare la sua potenza e la sua sapienza meglio che in se stessi. Ma gli ordini minori degli angeli, che sono indicati negli agnelli, quando vengono portati oltre se stessi, vedono quegli spiriti che li sopravanzano in dignità e trovano in tale lor loro soll sollev evaz azio ione ne come come un uno o sp spec ecch chio io in cui cui sc scor orge gerre la mi mira rabi bile le suprema maestà; perciò la contemplano in questo specchio. Se poi intendiamo per monti gli uomini contemplativi e per colli gli uomini speculativi, è certo che opportunamente i monti esultano come gli arie arieti ti,, e i co coll llii come come gl glii agne agnell lli. i. Benc Benché hé la co cont ntem empl plaz azio ione ne e la speculazione siano spesso scambiate e poiché con ciò si vela il senso della Scrittura, diciamo con più precisione che speculazione significa guar gu arda darre per per me mezz zzo o di uno uno sp spec ecch chio io e cont contem empl plaz azio ione ne si sign gnif ific ica a vedere la verità senza alcun velame. I colli esultano come gli agnelli, quando la grande gioia interiore li solleva oltre se stessi fino a che possano vedere i segreti celesti nello specchio e in enigma (1 Cor. 13). I monti esultano come gli arieti, quando, essendo grandi, vedono nella trascendenza della loro gioia la pura e semplice verità. Questo i più piccoli lo possono vedere solo nello specchio, in enigma.

Capitolo XV Ogni trascendimento sopravanza sopravanza la misura della capacità e dei meriti dell’uomo Nessuno però pr pre esuma che tanta esultanza del cuore o il trascendimento dipendono dalle sue forze, o ne attribuisca a sé il merito. È chiaro che ciò non è opera del merito umano, ma del dono divino. Per questo colei che sale dal deserto si appoggia al suo diletto, il ch che e sig signi nifi ca Appoggiarsi ch che e s’a ’av vanza anza non non con co n le sue for rze, ze, ma pe per r la protezione difica lui. al diletto significa nonfo presumere affatto delle proprie forze. Per quanto mi sembra non si può nulla per la propria personale capacità e per la propria prudenza soprattutto là dove si tratta di salire dal deserto; ma non si può nulla nemmeno mentre si è nel deserto. Tutto ciò sa bene io sposo, e per questo la conduce in una nube di giorno e nella luce del fuoco di notte. Come potr po treb ebbe be essa essa sost sosten ener ere e il peso peso e il ca calo lorre de dell gior giorno no,, se non non all’ombra di colui che essa ama? o quale luogo potrebbe essere sicuro dal timore della notte, soprattutto nel deserto, dove c’è orrore e solitudine, se egli non mandasse la luce, la sua verità? Infine non avrebbe come moderare il calore della concupiscenza, se la virtù dell de ll’A ’Alt ltis issi simo mo no non n l’ l’ad adom ombr bras asse se.. Nond Nondim imen eno o le manc manche herrebbe ebbe la poss po ssib ibil ilit ità à di ill illum umin inar are e le tene tenebr bre e de dell lla a su sua a igno ignora ranz nza, a, se no non n vedesse la sua luce. Per questo sta scritto: Tu  dai la luce alla mia lanterna, o Signore e Dio mio, illumina le mie tenebre (Sal. 17,29).  17,29).  La

 

sposa accoglie dallo sposo i rimedi contro i due mali principali: la nube del refrigerio contro la concupiscenza e la luce della rivelazione contro l’ignoranza della mente. Spesso l’uomo conosce la via della verrit ve ità, à, ma no non n può pr pren end derla erla per perché ché vien viene e sviat viato o dalla alla su sua a concupiscenza; ed ha una conoscenza diurna, ma non ha la nube della frescura della grazia. Molti invece hanno lo zelo, ma non la conoscenza; costoro non sentono il turbamento della concupiscenza, e riposano nel refrigerio della notte; ma non hanno il fuoco. della grazia illuminante. È bene sperare nel Signore e non presumere di sé. Beati coloro che lo hanno avuto come velo nel giorno e come luce di stelle nella notte, poiché Egli ha posto una nube a loro protezione e un fuoco che rischiarasse la loro notte. Tutto ciò conosce bene la sposa e per questo s’appoggia al diletto suo; di lei sta scritto: Chi è cost co stei ei che che sale sale dal dal dese desert rto, o, still stillan ando do deli delizi zie, e, ap appo pogg ggia iata ta al su suo o diletto? (Cant. 8,5).

Capitolo XVI Nel terzo modo del trascendimento trascendimento tutto dipende dal dono divino Questa  sposa ha bisogno sempre dell’aiuto del suo sposo, al punto che essa non può fare nulla senza di lui; tuttavia ne ha bisogno soprattutto quando sale dal deserto, stillando delizie. Se infatti per dese de sert rto o inte intend ndia iamo mo il cuor cuore e uman umano, o, sa sali lirre da dall de dese sert rto o si sign gnifi ifica ca tr tras asce cend nder ere e se stes stessi si.. Che Che co cosa sa può può dunq dunque ue l’uo l’uomo mo là do dove ve si trascende dove la natura umana sopravanza la dimensione della sua possibilità? Mai la sposa s’appoggia maggiormente allo sposo come quando l’anima santa stilla delizie spirituali. Pensiamo a una fanciulla tenera e delicata, educata nell’abbondanza delle delizie, che viene introdotta cella vino dopo che si è per già la accostata al torrentee delle delizienella e che puòdel a stento camminare troppa debolezza che per l’eccessiva ebbrezza non può discernere che cosa debba fare. Non è forse questo l’esempio di colei che per l’abbondanza di delizie deve appoggiarsi al suo sposo? Qual meraviglia se l’abbondanza delle delizie la rende delicata? Essa è anzi più delicata di quanto si possa credere, creder e, al punto che nessuna gioia esteriore ha per lei alcun sapore e nessuna gloria del mondo può più consolarla. Per questo essa può dire: No Non n vuol vuol esse essere re cons consol olat ata a l’ l’an anim ima a mi mia a (Sa (Sal. l. 76, 76,3), 3), per perché ché veramente pensa: Ogni carne è  è  come fieno, e la gloria come fiore del fieno (1 Pt. 1,24).  1,24).  Alla fine l’anima ha noia della sua vita, quando non le è dato avere le delizie che desidera. La sua vita le è a noia, anzi le è od odio iosa sa,, quan quando do la su sua a gi gioi oia a inte interi rior ore e le vien viene e so sott ttra ratt tta. a. Pen ensa sa dunque che cosa significa essere abituati a delizie che non sono in proprio potere e senza le quali non v’è alcuna consolazione, benché siano tali da non poter essere raggiunte dall’umana capacità. Tutto ciò

 

che la consola e le porta gioia dipende dalla volontà altrui e da un dono dello sposo. Per questo s’appoggia alle forze di lui, dalla cui muni mu nifi fice cenz nza a ri rice ceve ve tutt tutto o ciò ch che e sp sper era, a, ch che e de desi side dera ra,, ch che e ama. ama. Quante volte in questo stato le viene detto, secondo la minaccia del Profeta: Manda, rimanda, manda, rimanda; aspetta ancora, aspetta; aspetta ancora, aspetta; ancora un po’, ancora un po’  (Is. 28, 10). È costretta ad aspettare e ad aspettare ancora, mentre il suo desiderio viene a lungo differito, mentre non può avere le sue delizie secondo il desiderio, né può temperare il desiderio della sua anima. Da ciò penso che appaia chiaramente che tutto ciò che si avverte o si pensa in questo trascendimento della mente è molto al di sopra dell’umana capacità.

Capitolo XVII Colui che si sia avanzato in questo grado di tale grazia, vi trova un grande aiuto Colui che è avanzato in questa grazia, quando sente che gli viene levata oltre misura, sa cosa debba fare per essere aiutato a ritrovarla. Sa anche come rendere la sua anima, per quanto sta in lui, adatta a ques qu esto to comp compit ito o. L’an L’anim ima a deve deve du dunq nque ue ritr ritrov ovar are e in se st stes essa sa l’esultanza con la meditazione del proprio cuore e richiamare alla memoria i doni divini, sollecitarsi con tale ricordo a una profonda e devota azione di grazia. Mentre dunque l’affetto del cuore si volge con piena devozione a testimoniare e magnificare il Signore, apre uno spiraglio per così dire, per mezzo del quale nel vaso del nostro cuore vengono infuse la celeste dolcezza e grande abbondanza della divina soavità. Per questo il profeta Eliseo, avendo chiesto la parola del Signore, sentendo di non avere in quel momento lo spirito di profezia, fece suonatore di cetra mentre cantavapotrebbe ebbe lo spirit spi rito ocondurre profe profetic tico oa sé nelun qua quale le par parlò lò (4 Re 3).  3).e  Forse qualcuno chiedere che cosa significhi il fatto che il profeta del Signore richiese un cantore o perché egli ebbe lo spirito di profezia, mentre quegli cantav can tava. a. Sappia Sappiamo mo che una una dolce dolce ar armon monia ia sol solita itamen mente te sol sollev leva a il cuore e richiama alla memoria la gioia. Senza dubbio quanto più l’am l’amor ore e de dell ll’a ’arm rmon onia ia pren prende de l’ l’an anim ima, a, tant tanto o più più l’ar l’armo moni nia a to tocc cca a l’affetto; e tanto più profondamente si è toccati dall’affetto, tanto più si è rinnovati ai suoi desideri. Che cosa dobbiamo pensare di quel profeta se non che l’armonia esteriore rinnovò il ricordo dell’armonia spirituale? La melodia richiamò e sollevò l’anima sua alla gioia. Perché Perché dunque non pensiamo della vera gioia spirituale ciò che sperimentiamo. del vano piacere corporale? Il solo ricordo del piacere carrna ca nale le ra rapi pisc sce e la ment mente e ne nell pi pia a cer cere de dell lla a ca carrne. ne. Ne Negl glii uo uomi mini ni spirituali la gioia spirituale ha la stessa o anzi una maggior efficacia. Quella melodia fu per il santo profeta come una scala che io sollevò

 

alla gioia già conosciuta e quella memoria che è per gli uomini carnali una rovina, fu per lui un’occasione di salita. Pensi chi può quanto profondamente e intimamente la memoria della dolcezza sopraceleste lo abbia raggiunto, mentre il cantore salmodiava; essa lo rapi sopra s stesso e riportò in lui lo spirito profetico.

Capitolo XVIII Ciò che può rinnovare tale grazia Chiunque tu sia, se hai solitamente abbondanza di gioie spirituali e se, appoggiata al tuo diletto, sali dal deserto e ti sollevi a visioni tr tras asce cend nden enti ti co con n una una gi gioi oia a impr improv ovvi visa sa e im impe pens nsab abil ile; e; se vien vienii innalz inn alzata ata dal dallo lo spi spirit rito o pr profe ofetic tico o e dal dalla la riv rivela elazio zione ne div divina ina;; imp impara ara dall’esempio del profeta che cosa tu debba fare in caso di necessità, affinché tu abbia a portata di mano il mezzo per riportare la tua anima alle sue delizie. Ma per dire brevemente ciò che di questo pensiamo, ricordiamo che il cantore è l’esaltazione del cuore in Dio. Volle che noi avessimo sempre un tale cantore colui che ha detto: Rallegratevi nel Signore ed esultate, o giusti, e gloriatevi tutti voi che siete retti di cuore (Sal. 31,11). Che cos’è condurre un cantore se non rinnov rin novar are e l’esul l’esultan tanza za del cuo cuore re con la medita meditazio zione ne e su susci scitar tare e la devozione del cuore con il ricordo dei beni divini o delle promesse? Facciamo salmodiare questo cantore, quando ci rallegriamo nel cuore nel cantare le lodi divine e, salendo all’azione di grazia, cantiamo le lodi dall’intimo del cuore a gran voce. Facendo questo appianiamo la via per la quale viene il Signore e accogliamo Colui che ci visita. Un sacrificio di lode mi onorerà e questa e la via per cui gli mostrerò la salvezza di Dio (Sal. 49,23). Salmodiando e lodando si prepara la via al Signore, per la quale Egli si degni di al venire a noi di rivelare suo mistero. Per questo è scritto: Cantate Signore e esciogliete unilsalmo al suo nome e preparate la via a Lui che sale oltre l’occaso (Sal. 67,5). Vuoi forse sapere che cosa significhi salire oltre l’occaso? Si suol chiamare occaso quella regione nella quale il sole tramonta e la luce diurna vien meno. Per occaso intendiamo dunque giustamente il venir meno dell’umana intelligenza. Ivi infatti il sole dell’intelligenza tramonta e nasconde il raggio della sua conoscenza e volge la luce del giorno nell’oscurità della notte, e toglie alla vista umana ogni cosa, quando lo spirito umano viene rapito e, venendo meno al senso comune, ignora che cosa si compia in se stesso. Il Signore sale nella nostra considerazione solo perché aumenta grandemente la nostra possibilità di conoscere con la rivelazione della sua grandezza. Quanto più ci rivela la sua altezza, tanto più ci innalza nella vista della nostra intelligenza. Sale oltre il tramonto quando rapisce l’uomo oltre se stesso, quando toglie il ricordo di tutto ciò che era conosci conosciuto uto secondo il comu comune ne criterio e

 

mostra nella trascendenza la sua altezza all’anima che in questa vita, nella dimensione puramente umana, non potrebbe mai comprendere. Cerchiamo dunque con grande vivacità spirituale di rallegrarci nei Signore, cerchiamo di cantare ai suo cospetto con intima devozione, affinché si degni di salire oltre il tramonto. Osserviamo quale cantore dobb do bbia iamo moviene co cond ndur urrre e come coeme de deve ve ca cant ntar are. e.spirito Ai su suoi oi salm salmie, i l’an l’mentre anim ima a spirituale addolcita viene presa nello irruente si apre il senso intellettuale alla divina ispirazione, si rinnova la grazia della profezia. Al suo salmodiare, alla sua spirituale armonia l’anima contemplativa, abituata alle visioni spirituali, comincia a rallegrarsi grandemente e, per la gran gioia, a danzare e a fare certi salti spiri irituali, levandosi da terra, volgendosi pienamente alla contemplazione delle cose celesti, nel trascendimento della mente. Per questo, come s’è detto, ciò che può rinnovare la mente può solitamente riportare la grazia perduta.

Capitolo XIX In quali gradi si realizza il trascendimento della mente umana Si è detto per quali motivi il trascendimento della mente si realizzi solita sol itamen mente. te. Ora dobbia dobbiamo mo dire dire soltan soltanto to in qua quali li gra gradi di si com compia pia l’ascesa. La mente nel trascendimento sale al di sopra del senso corporeo, al di sopra dell’immaginazione, al di sopra della ragione. Chi potrebbe negare che essa sorpassa il senso corporeo, l’immaginazione e la ragione, quando ciò è attestato dalla Scrittura? Se nel corpo o fuori del corpo Dio lo  lo  sa. Fui rapito fino al terzo cielo (2 Cor.. 12,3). La mente nel trascendimento sopravanza l’umana ragione: Cor ciò è attestato da colui che non sapeva pienamente discernere che cosa accadesse in se stesso. Ma è meglio lasciare a ingegni più acuti il chia ch iarerar rimen im ento to nte di dques qu este te, qeuest uestio ni,. Inpiu iutci tto tost oci is che chtrui euissce pres presu umer me e tem te m er aria iame men el elle le n,ostr ostre for foion rze ze. ciò òsto istr me meg glio liro l’esperienza di coloro che sono più esperti, poiché hanno sper sp erim imen enta tato to di dirretta ettame ment nte e la pi pien enez ezza za di qu ques esta ta sc scie ienz nza a e no non n l’hanno conosciuta sulla base di una dottrina altrui. Abbiamo aggiunto queste cose a quelle che abbiamo detto brevemente nel primo libro parlando a coloro che hanno il tempo di meditare e di ascoltare.

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