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January 26, 2023 | Author: Anonymous | Category: N/A
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STORIA RIA DEL DELL L’AR ’ARTE TE STO MEDIEVALE

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Capitolo 1 — Occidente e Oriente tra TardoAntico TardoAntico e AltoMedioevo

Anche se diversi monumenti antichi sono andati perduti o sono parzialmente modificati, Ravenna possiede un notevole numero di edifici databili alla fase finale del mondo antico. Inoltre alcuni hanno conservato la decorazione originaria, così da poterne percorrerne gli spazi interni e osservarne immagini e ornamentazione. A) Il Maus Mausole oleoo di Gal Galla la Plac Placidi idiaa

Il piccolo edificio cruciforme che prende il nome dalla sua imperatrice, la figura di massimo spicchio agli inizi del V secolo. L’edificio arriva a noi quasi del tutto intatto, l’aspetto esterno è quasi mai semplice; un paramento murario in laterizio animato da arcate cieche; questa essenzialità che caratterizzerà tutti gli edifici sacri di Ravenna, contrasta il fasto dell’interno. Mentre la zona inferiore delle pareti è rivestita da pregiati marmi gialli, le lunette dei quattro bracci della croce, le volte e le cupole sono interamente rivestite da mosaici a fondo blu.

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Nella lunetta di fronte all’ingresso viene raffigurato San Lorenzo, vestito con toga, si dirige verso una graticola, lo strumento con cui venne martirizzato; dalla parte opposta raffigurati o un armadio aperto lascia intravedere, resi in prospettiva, i 4 libri dei 4 Vangeli. Ci sono scene figurate anche nelle altre lunette ; sorpresa l’entrata, Gesù, raffigurato come buon pastore, ma con l’abito delle cerimonie di corte, siede tra alcune pecore. Nei bracci laterali, entro ornamenti vegetali e foglie d’acanto, due cervi si abbeverano. I sottarchi e le volte sono rivestiti da una impressionante serie di motivi decorativi, elaborate variazioni di forme vegetali o geometriche. La decorazione della volta difronte al Buon Pastore ; su un fondo si distende una sequenza di pattern, motivi decorativi replicati che ricordano la forma dei cristalli di neve. Sul tamburo della cupola, quattro coppie di apostoli in toga - si riconosco Paolo e Pietro - alzano la mano destra e guardano la croce aurea che campeggia entro un cielo stellato, al centro della cupola stessa. Attorno alla croce sono raffigurati i 4 esseri viventi descritti nell’apocalisse di San Giovanni i quali assumono le forme di aquila uomo - toro e leone. Tutte questi mosaici un senso di tono differenti ma del tutto adatte alla destinazione funeraria dell’edificio: - L’esempio del Santo Martire - La pacatezza del Buon Pastore misericordioso - La confortante bellezza della natura animale e vegetale - Le visioni della Apocalisse - L’esaltazione L’esaltazione della Croce = simbolo del sacrificio di Gesù e della certezza di una vita ultraterrena.

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Crollato L’impero Romano D’Occidente Teodorico imperatore degli Ostrogoti scelse Ravenna capitale. Ravenna promuoveva una intensa attività edilizia con costruzioni che, nella struttura è nella decorazione adottata no un linguaggio del tutto in linea con la tradizione artistica tardo antica. B) Sant’ Apollinare Nuovo Si tratta di un edificio a tre navate. Esternamente si presenta con una facciata a salienti, realizzata in laterizio, nella parte superiore si trova, esattamente al centro, una grande e larga  bifora in marmo, sormontata da altre 2 piccole aperture, l’una a fianco dell’altra. Colonne portanti in marmo bianco che creano un notevole contrasto con l’edificio vero e proprio scuro. Nella parte anteriore destra rispetto alla Basilica, si innalza verso il cielo un campanile dalla pianta circolare in mattoni. La navata centrale, larga il doppio di quelle laterali terminava con un abside semicircolare all’interno e poligonale all’esterno che fu decorata con l’aspetto attuale nel 18secolo. La navata mediana è delimitata da 12 coppie di colonne poste una difronte all’altra che sorreggono archi a tutto sesto. Riguardo la parte decorativa; - Le pareti della navata centrale sono divise in 3 fasce ben distinte dalle decorazioni musive ; 4

 

- la fascia più alta è decorata da una serie di riquadri intervallati dal motivo allegorico di un padiglione con 2 colombe e presentano scene della vita di Cristo e sono particolarmente curati nei dettagli. - la fascia mediana è composta da riquadri tra le finestre che incorniciano solide figure di Santi e Profeti dalle vesti ombreggiate e panneggiate. Essi, nonostante l’indefinito oro, si dispongono su un piano prospettico.

- la fascia inferiore, la più grande, è anche quella maggiormente manomessa. Sulla parete di dx è raffigurato il Palazzo di Teodorico Teodorico il quale riconoscibile dalla scritta latina. Gli edifici interni rappresentati sono monitorati in prospettiva ribaltata. Le colonne che sorreggono gli archi di questo palazzo sono candide e sbilanciate e terminanti con capitelli in Stile Corinzio, sopra gli archi che riportano motivi di angeli che tendono festoni floreali, si trova una lunga teoria di archetti  bassi protetti da parapetti e sormontati sormontati dal tetto in tegola. Sulla parete difronte è raffigurato il porto di Classe il quale era il più grande dell’adriatico e sede della flotta dell’impero romano. Sulla sinistra, i tasselli del mosaico compongono la figurerà di 3 imbarcazioni allineate verticalmente, che sostano sull’acqua azzurra in una insolita prospettiva a volo di uccello, che c he ne risalta l’ampiezza. Da ambedue parti esse sono protette da una coppia di alte torri in pietra. Continuando verso destra, si possono osservare le alte e possenti mura merlate cittadine, all’ interno del quale si intravedono edifici stilizzati, un anfiteatro - un portico - una basilica - una costruzione civile a pianta centrale. L’Abside venne distrutta da un terremoto e poi ricostruita e per questo motivo è priva completamente di mosaici.

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C) Basilica di San Vitale

L’edificio è a pianta ottagonale, preceduta da un lungo atrio, un nartece, appoggiato a uno degli angoli del poligono e in questo modo l’architetto potè ricavare, nello spazio tra il nartece e il corpo della chiusa, due piccole torri che contengono le scale per salire ai matronei. L’interno a pianta centrica, non suggerisce un’unica un’ unica direzione visiva, ma una pluralità di punti di vista, entro i quali quello verso il presbitero il quale è la zona riservata ai sacerdoti dove possiamo trovare una ricchezza di mosaici. La luce proveniente dalla cupola in alto, il rivestimento di marmi dalle venature colorate sulle pareti, gli stucchi di volte e sottarchi, le transenne traforate e naturalmente i mosaici, compongono uno spazio animato e multiforme del tutto ineditotronca in Occidente. Anche i capitelli a piramide rovesciata, non appartengono alla tradizione occidentale. Il raffinato traforo che assomiglia a un tessuto lavorato a merletto è la conferma di una visione artistica che predilige le forme quasi da annullare la consistenza del marmo. Tutte le pareti attorno all’altare, la volta sovrastante e l’abside sono rivestite di mosaici ; i colori squillanti e l’abbondanza dei motivi decorativi servivano a suggerire al fedele un ambiente paradisiaco;

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nel frattempo un organico programma iconografico, connetteva l’Antico Testamento e i Vangeli, la vita ecclesiastica ravennate e il potere imperiale. I mosaici accanto all’altare si incentrano infatti su scene di sacrificio dell’Antico Testame Testamento. nto. Nella conca absidale, San Vitale, il martire a cui è dedicata la chiesa, c hiesa, viene presentato da un angelo a Gesù, il quale giovanile qui, siede su un globo azzurro rappresentante l’universo. Qui Gesù allunga la mano per consegnare a San Vitale Vitale una corona; è un simbolo della vita eterna. Giusti tini nian anoo e Teo eodo dora ra.. 1) Gius Celebri mosaici che rappresentano Giustiniano da una parte e Teodora dall’altra - non si tratta come può essere di una cerimonia reale perché impossibile che Giustiniano venne a Ravenna. Nei 2 mosaici sono presenti elementi simbolici ed elementi realistici. Nel riquadro a sinistra dove è presente a L’imperatore vediamo a sinistra 5 soldati della guardia del corpo, ben visibile il monogramma di Gesù presente sui loro scudi - 2 figure indossano un mantello lungo bianco fino ai piedi - Giustiniano con un abito lungo e sfarzoso da cerimonia con un grande bacile tra le mani; il diadema, la fibula sulla spalla sono anche essi in oro. Il cerchio invece che contorna la sua testa, anche esso dorato, è un motivo glorificante. Accanto a lui sono presenti 3 membri del clero, tra cui un vescovo il quale tiene in mano un libro dei Vangeli con la copertina rivestita di gemme e un altro diacono che regge il turibolo in cui veniva bruciato l’incenso. Il mosaico difronte mostra 7 fanciulle riccamente vestite al seguito della regina Teodora Teodora che indossa un copricapo a forma di cesta con gioielli e perle per trattenere in modo ordinato i capelli. La regina ha in mano un calice anche esso tempestato di gemme e 7

 

sembra che si sta dirigendo verso qualcuno q ualcuno e questo porta a pensare che il gruppo è in movimento. La singolarità di questi mosaici non sta nel soggetto, ma nel fatto fa tto che gli artisti hanno voluto descrivere una processione quasi disinteressandosi all’effetto di movimento; i personaggi girati verso lo spettatore il quale attraverso lo sguardo gli comunicano il proprio grado attraverso gli abiti, diventa secondario la descrizione dei dettagli e persino la rappresentazione dello spazio.

  D) Sant’Apollinare in Classe La grande Basilica, la cui lunghezza è di 55,5 metri è preceduta da un atrio ed è costituita con mattoni scuri e lunghi. Accanto alla chiesa sorge il campanile cilindrico, realizzato nel X secolo con mattoni per la maggior parte di reimpiego. All’interno, la navata maggiore è larga il doppio delle due laterali, con 24 colonne di marmo greco dalle grandi venature grigio-azzurre; i capitelli, dello stesso materiale, hanno foglie d’acanto mosse e ripiegate su se stesse. La decorazione a mosaico si concentra c oncentra nella zona attorno all’altare, e in particolare nel catino absidale, dove troviamo due scene contigue, ma  ben distinte : in basso Sant’Apollinare il quale è raffigurato in piedi, vestito dagli abiti sacerdotali e nell’atto di pregare con le braccia aperte, come si faceva nel mondo pagano. Si dirigono verso di lui, da una parte e dall’altra, 12 pecorelle, simbolo dei fedeli affidati al vescovo come a un 8

 

pastore, simbolo dei fedeli affidati al vescovo come un pastore. Il prato verde e fiorito in cui si trovano le pecorelle prosegue alle spalle del Santo Vescovo e fa da sfondo alla scena narrata nei Vangeli della Trasfigurazione in cui Pietro - Giacomo e Giovanni, simboleggiati qui come 3 pecorelle, accompagnano Gesù su di un monte, dove accade un evento miracoloso ; Gesù muta il proprio aspetto risplendendolo di luce nel momento in cui appaiono Mosè e Elia. La straordinaria difficoltà nel rappresentaree questa scena agli artisti porta a rappresentarla con Gesù rappresentar sostituito con una grande croce gemmata inserita assieme a 99 stelle in un disco a sfondo azzurro. Gli alberi - cespugli e fiori sono elementi descritti uno per uno come dettagli separati uno rispetto agli all’altro e non parti di un unico ambient ambientee naturale. Qui si nota l’arte bizantina che si distacca da quella classica per un suo proprio linguaggio.

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E) Santa Sofia a Costantinopoli

Anche oggi spicca questa opera architettonica e il suo aspetto è segnato dalla presenza delle grandi torri, i minareti aggiunti quando la chiusa si è trasformata in una moschea nel 1453 e colpisce la geniale suddivisone degli interni, che sorprende ancora di più delle dimensioni, della grandezza e dei colori dei marmi utilizzati per ricoprire i muri. La facciata della basilica è orientata ad ovest, davanti si possono vedere alcuni resti dell’antica costruzione. Per la parte interna vennero utilizzati marmi policromi per ricoprire la parte superiore, invece per la parte riguardante le navate laterali vennero utilizzati mosaici a fondo d’oro. La navata centrale si presenta come un vasto ambiente coperto da una cupola centrale, cui 2 semi cupole laterali le quali conferiscono una pianta ellittica, queste semi cupole poggiano su 4 grandi pilastri e in parte su dei pilastri secondari: sono segnate da altre nicchie minori che terminano in quattro piccole absidi agli angoli della navata centrale. Lo slancio verticale, aggiunto alla sovrapposizione dei volumi sferici conferisce all’insieme dell’edificio una grande leggerezza ed estrema eleganza.

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Fiancheggiano la navata centrale 2 navate laterali, sormontate da tribune. Complessivamente si contano nella basilica, alte all’incirca 20 metri - 107 colonne colonne.. Si notin notinoo i capitelli capitelli scolpiti. Grandi lastre di marmo rivestono il pavimento che al tempo era rivestito da mosaici abbinati a marmo di diverso colore. Nella navata laterale si trova la cosiddetta Colonna di San Gregorio. Si esce da Santa Sofia attraverso un vestibolo un tempo riservato all’imperatore. Dal piano terra, e ancora meglio dalle gallerie, si ha modo di ammirare gli splendidi mosaici di Santa Sofia, risalenti al periodo bizantino e cristiano successivo e raffiguranti il Cristo, Maria, i Santi, imperatori e imperatrici. Oltre a questi mosaici Santa Sofia emoziona anche per i grandi medaglioni di calligrafia turca presenti in totale 8, tutti riproducenti i nomi sacri mussulmani e li troviamo nella più pura espressione arabo-islamica, grandi e circolari, appesi alle alte pareti delle gallerie superiori.

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Capitolo 2 — I Longobardi

I manufatti longobardi più antichi provengono quasi unicamente da corredi funerari. I longobardi poco inclini a stanziarsi, per un certo periodo vissero fuori dai centri urbani e quindi, per il periodo successivo al loro arrivo nella penisola, non resta traccia di iniziative architettoniche. Essi prediligevano le oreficerie; esibire oggetti in oro e pietre preziose significava dimostrare la propria posizione sociale e il prestigio acquisito. I longobardi deponevano accanto al defunto - spesso in una fossa sotto terra - oggetti che erano appartenuti in vita. - Fibule = L’orafo ha realizzato una serie di minutissimi alloggiamenti in oro, entro cui ha inserito pietre di un vivace colore rosso. La decorazione si sviluppa lungo 3 corone attorno al tondo centrale, c entrale, che doveva contenere una pietra preziosa.

- Le crocette auree = Queste crocette sono oggetti tipici della cultura longobarda e si tratta di piccole lamine d’oro a forma di croce con  bracci di uguale lunghezza : a volte sono lisce, a volte caratterizzate da motivi vegetali di derivazione tardo antica, tutte decorazioni ottenute imprimendo una matrice a stampo sulla lamina metallica.

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fronta ntale le di di Agi Agilul lulfo. fo. A) Il fro

Nonostante le piccole dimensioni, questa è una delle testimonianze più importanti e antiche di questo periodo. Al centro Agilulfo ( re dei Longobardi ) siede sul trono, affiancato da 2 guardie armate di lancia e scudo e una minuscola scritta lo identifica. Il sovrano tiene una spada con la sinistra e porta la destra all’altezza del petto, nel gesto che per tutto il medioevo indicherà una persona nell’atto di parlare. 2 figure alte gli si avvicinano con le gambe a compasso, nel tentativo faticoso di indicare che stanno volando. Infine seguono a destra e sinistra due coppie di offerenti che portano corone sormontate da croci e chiudono la scena 2 torri che simboleggiano il palazzo o la città in cui si svolge l’evento.

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B) La copertina dell’evangeliario di Teodolinda

I due lati della copertina presentano un’elaborata cornice costituita da alveoli che contengono granati ; entro la cornice si trova una croce a  bracci espansi fittamente punteggiata di pietre pietre preziose e smalti; in parallelo ai bracci orizzontali sono poi inserite lamelle con un’iscrizione che ricorda la fondazione di una Basilica. Infine nei 4 spazzi accanto ai  bracci della croce sono incastonati altrettanti altrettanti cammei, a loro volta  bordati da cornici a squadra. L’oro L’oro e le gemme servono a esaltare il tema della Croce; la loro preziosità circonda di luce il segno cristiano per eccellenza ; lo splendore dei materiali diviene così uno splendore simbolico.

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C) Un altare offerto da Ratchis Sul fronte dell’altare è scolpita la scena della maestà del Signore : 4 angeli provviste di occhi sorreggono una mandorla, una sorta di aureola di forma ovale che nella iconografia cristiana serve a glorificare il personaggio che ne è circondato. Dentro la mandorla ci sono altri 2 cherubini e un Cristo in atteggiamento benedicente; sopra il suo capo si stende la mano destra di Dio. Sui lati dell’altare sono raffigurati “la visitazione” e “l’adorazione” e la Vergine in entrambe le scene è contraddistinta da un piccolo segno di croce inciso sulla fronte. Sulla lastra posteriore, due croci gemmate a  bracci espansi affiancano un’apertura per le reliquie dei santi. In tutte le scene l’assenza di proporzioni, l’estrema semplificazione dei volti, i gesti scoordinati e improbabili; nello stesso tempo i soggetti scelti sono tutt’altro che semplici a cominciare dalla scena frontale. Presente un dislivello tra gli schemi compositi i e la loro resa formale.

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D) Il fonte battesimale di Callisto

Il fonte è a pianta ottagonale, come già i battisteri paleocristiani e ravennati; il coronamento consiste in 8 archetti sostenuti da colonnine e capitelli. I 7 archetti presentano una finissima ornamentazione con pavoni, grifi e altri animali affrontati, secondo schemi ricorrenti anche nella decorazione dei tessuti, non mancano motivi di decorazione classica

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E) Il tempio di Cividale

Questo Tempio Tempio è costituito da una aula alta circa 10 metri e coperta da una volta a crociera; il Presbitero, più basso è invece coperto da 3 volte a  botte, che all’interno sono sorrette da architravi architravi e da coppie di colonne. L’edificio aveva in origine un aspetto ricco e sontuoso, a cominciare dal rivestimento in lastre marmoree che abbelliva le pareti fino a quasi 3 metri di altezza. Nella zona alta della parete nord-occidentale del tempio corrono due fregi paralleli in stucco con fiori e 8 petali in cui erano inserite piccole ampolle in vetro; i due fregi inquadrano, al centro una finestra con semi colonne, capitelli corinzi e un archetto, sempre in stucco. Tra i due fregi da una parte e dall’altra della finestra, sono raffigurate in alto rilievo 6 sante in piedi, quelle più vicine alla finestra indossano una tunica e un velo sul capo e sono leggermente girate e aprono le mani in segno di devozione rivolte verso il centro della parete.

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Le altre 4 sante sono ritratte frontalmente e indossano abiti raffinati, diademi sul capo e stringono nelle mani una croce e una corona. Una larga aureola circonda il capo di tutte le 6 figure femminili Più in basso, sopra la porta di ingresso, un elaborato archivolto ancora in stucco alterna cornici con fiorellini a un raffinatissimo raffi natissimo fregio con grappoli e fogli di vite; quest’ultimo è trasformato, come il coronamento dell’archivolto a foglie stilizzate

croce di Desidero F) La croce

Grande croce gemmata, ha una struttura in legno rivestita da una lamina in metallo cui sono applicate gemme e pietre preziose; proprio la modalità di inserimento delle pietre “a tappeto” è un elemento che fa pensare ad analoghe oreficerie della prima età carolingia. Presente un piccolo tendo alla base della croce con i ritratti su foglia d’oro raffigurante una dama dall’alta aristocrazia nei suoi ricchi abiti, affiancata da 2 figli.

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3 — L’età Carolingia  

A) L’alt ’altar aree d’oro d’oro e arg argent entoo

L’altare è rimasto nel luogo originario, mantenendo nei secoli la stessa funzione: in buone condizioni di conservazione, presenta iscrizioni che ci forniscono informazioni sulla nostra storia. I quattro lati dell’altare sono rivestiti da una decorazione estremamente varia nei materiali, nelle tecniche, nei temi narrati per immagini. Lamine d’oro e di argento lavorate a sbalzo sono lavorate a sbalzo e sono  bordate da cornici con smalti a colori sgargianti, filigrane e pietre pietre preziose; sono anche presenti alcuni pezzi di reimpiego. La fronte - il lato anteriore dell’altare è divisa in 3 scomparti; in quello centrale le cornici formano una croce che contiene la figura del Cristo trionfante e 4 esseri dell’apocalisse secondo Giovanni (aquila - uomo toro e leone) che simboleggiano gli evangelisti. Nei 4 spazi al di fuori della croce si raggruppano, a 3 a 3 i 12 apostoli; nei 19

 

2 compartimenti laterali, 12 formelle d’oro a profilo rettangolare raccontano episodi della vita del Cristo Su 2 fianchi, una croce gemmata compresa entro una losanga è circondata da piccole figure di santi e di angeli. Il retro dell’altare è suddiviso in 3 scomparti; in quelle laterali, 12 formelle d’argento dorato raffigurano episodi della vita di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano. Decisa differenza di linguaggio delle scene sbalzate sul lato anteriore rivolto verso i fedeli e quelle del lato posteriore. Nel primo vediamo e dai movimenti animati; sul lato posteriore il linguaggio si fa più pacato e solenne, mentre corpi e oggetti acquistano un risalto maggiore. Non mancano episodi più vivaci come quelli in cui si raccontano la fuga e il ritorno di Sant’Ambrogio a Milano. Il compartimento centrale del lato posteriore è uno dei punti più importanti dell’altare ; ospita la finestrella formata delle 2 piccole ante che si aprivano per consentire il controllo delle reliquie di Sant’Ambrogio. Le due ante presentano 4 tondi; in alto gli arcangeli Michele e Gabriele, sotto a sinistra Sant’Ambrogio - vestito con i parametri vescovili che incorona l’arcivescovo del tempo e la sua testa è circondata da un’aureola di forma quadrata.

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4) Il Romanico Se in età tardo-antica e a Ravenna i muri delle chiese e dei battisteri erano formati da filari di mattoni, in età Romanica, quando la presenza di cave lo consente, vengono invece costruiti in pietra: i conci, talora rifiniti con estrema cura, rivestendo all’esterno le strutture, assicurando ad esse una solidarietà che assume anche un valore simbolico; la stabilità dell’edificio è anche l’inalterabile l’ inalterabile robustezza dei principi da parte della comunità dei fedeli. Procurarsi la pietra non era affatto semplice, come dimostra il caso di Modena, M odena, dove per realizzare i parametri esterni del Duomo, si fece grande ricorso ai monumenti romani, recuperati recuperati attraverso scavi. Superfici murarie così compatte correvano il rischio di apparire troppo uniformi: per questo gli architetti ripresero dalla tradizione classica la soluzione delle lesene, adatte a scompartire ordinamento una superficie della parete, inoltre animarono spesso i parametri murari con file di archetti pensilina, che a volte poggiano su piccole mensole figurate. La facciata è la parte più rilevante dell’esterno, accoglie i portali strombato d’ingresso; a volte è una facciata a spioventi, annuncia cioè all’esterno la suddivisione interna in navata maggiore e navate laterali ; 21

 

altre volte, è una facciata a capanna. Entrambe sono traforate da aperture di vario tipo. Compattezza e saldezza sono obbiettivi che gli architetti si prefiggono anche all’interno degli edifici. Il mezzo più efficace per ottenerle è coprire le navate con ampie volte in mattoni o in pietra: adottare la volta a crociera è una scelta che comporta una serie di conseguenze nella struttura generale degli edifici. Nelle chiese romaniche, perciò, il sistema dei sostegni cambia profondamente proprio perché deve reggere pesi più considerevoli; la concentrazione basecolonna-capitello ereditata dal mondo antico diventa sempre meno frequente, e lascia il posto a pilastri dal profilo complesso. Lo spazio tridimensionale definito da una volta e dai 4 pilastri che ne portano il peso è la campata; il succedersi di campate dà luogo, perciò, a uno spazio caratterizzato da volumi distin distinti ti e concatenati, uno spazio ben diverso da quello pacato e uniforme delle basiliche paleocristiane. In certi casi, poi, l’organismo degli interni si complica ancora di più perché gli architetti arricchiscono lo spazio interno delle chiese con gallerie. Le pareti interne, presentano una organizzazione del tutto nuova e una articolazione più complessa rispetto a quelli alto medievali. Uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano l’arte romanica è il rapporto tra architettura e scultura. Anche nei templi greci e romani queste due dimensioni dialogavano, ma ma entro un perimetro prefissato; prefissato; nelle chiese romaniche, invece, la scultura si distende, tanto all’esterno quanto all’interno. Ci sono spazi privilegiati per la scultura, ma non esistono neppure limiti netti; possiamo trovare bassorilievi T Taranto aranto su una facciata, quanto sugli altri lati della chiesa o all’interno. I portali sono spazi prediletti. Quello che accade ai capitelli è indicativo, ereditato dalla architettura romana, quello corinzio continua ad avere un ruolo importante, ora con un trattamento canonico. 22

 

B)  San Marco a Venezia B)

Dall'esterno, diviso in tre differenti registr registrii — piano inferiore, terrazza, cupole — prevale la larghezza, poiché in una città come V Venezia, enezia, che appoggia su un terreno sabbioso, si tendeva a realizzare gli edifici in larghezza, dal peso più equilibrato. È infatti lunga 76.5 metri e larga 62.60 (al transetto), mentre la cupola centrale è alta 43 metri (28,15 (28, 15 all'interno). La facciata presenta due ordini, uno al pian terreno che è scandito da cinque grandi portali che conducono all'atrio interno. Quella centrale è decorata in senso monumentale. Il secondo ordine forma una terrazza percorribile e presenta quattro arcate cieche più una centrale in cui si apre una loggia che ospita la quadriga. La pianta della basilica è a croce greca con cinque cupole distribuite cupole distribuite al centro e lungo gli assi della croce e raccordate da arconi (come nella chiesa dei Santi Apostoli dell'epoca Apostoli dell'epoca di Giustiniano , modello evidente per la basilica veneziana). Le navate , tre per braccio, sono divise da colonnati che confluiscono verso i massicci pilastri che sostengono le cupole; non sono realizzati come blocco unico di muratura ma articolati a loro volta come il modulo principale: quattro supporti ai vertici di un quadrato, settori di raccordo voltati e parte centrale con cupoletta.

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Le pareti esterne e interne sono invece sottili, per alleggerire il peso dell'edificio sul delicato suolo veneziano, e sembrano quasi diaframmi tesi tra pilastro e pilastro, a reggere la balaustra dei matronei; non hanno una funzione di sostegno, solo di tamponamento. Pareti e pilastri sono completamente rivestiti,ha nelun registro inferiore, con lastredisegnato di marmicon policromi. Il pavimento rivestimento marmoreo moduli geometrici e figure di animali mediante le tecniche dell'opus sectile e dell'opus tessellatum; sebbene continuamente restaurato, conserva alcune parti originali del XII secolo. Il pavimento riflette motivi dell'iconografia classica, comuni nell'area alto-adriatica (ruote, quadrati, esagoni, ottagoni, cornici decorate a rombi, immagini di animali simbolici del cristianesimo medievale) con altri che risentono di influssi  bizantini (le otto grandi lastre in marmo proconnesio proconnesio del piedicroce e le altre dodici di marmo greco sotto la cupola dell'Ascensione). Elementi occidentale sono spaziali, la cripta,eche interrompe la ripetitivitàdidiorigine una delle cinque unità la collocazione dell'altare, non al centro della struttura (come nei martyrion bizantini), ma nel presbiterio. Per questo i bracci non sono identici, ma sull'asse est-ovest hanno la navata centrale più ampia, creando così un asse longitudinale principale che convoglia lo sguardo verso l'altare maggiore, che custodisce le spoglie di San Marco. Dietro l'altare maggiore, rivolta verso l'abside, è esposta la Pala d'oro, che fa parte del T Tesoro esoro di San Marco. Il gruppo di colonne istoriate che reggono il ciborio sopra l'altare maggiore, riproducono modelli paleocristiani, con citazioni anche ricalcate, o anche fraintese. Questo revival appositamente ricreato è da inquadrare nel desiderio di Venezia di riallacciarsi con l'epoca di Costantino assumendosi l'eredità dell'Impero cristiano dopo aver conquistato Costantinopoli. Il presbiterio è separato dal resto della basilica da un'iconostasi, ispirata alle chiese bizantine. È formata da otto colonne in marmo rosso  broccatello e coronata da un alto Crocifisso Crocifisso e da statue di Pier Paolo e  Jacobello dalle Masegne, capolavoro della scultura gotica. Dal presbiterio si accede alla sagrestia e a una chiesetta del XV secolo dedicata a San Teodoro, realizzata da Giorgio Spavento, che ospita una Adorazione del Bambino di Giambattista Tiep Tiepolo. olo. 24

 

Degni di nota anche i pilastri a ridosso del portale, sui quali Sebastiano da Milano scolpì motivi vegetali. All'inizio del transetto destro, collegato al Palazzo Ducale, si trova l'ambone delle reliquie, da dove il neo eletto doge si mostrava ai veneziani. navata Qui sinistra si trovano la cappella di San l'altare del Nella Sacramento. è il pilastro in cui fu ritrovato nelClemente 1094 il e corpo di San Marco, come raccontato negli interessanti mosaici della navata destra (da dove si entra negli ambienti del Tes Tesoro oro di San Marco). Nei mosaici del ritrovamento del corpo del santo (XIII secolo), in due scene, viene mostrato l'interno della basilica e sono raffigurate la preghiera d'invocazione e quella di ringraziamento del doge, del patriarca con il suo clero, dei nobili e del popolo. All'inizio del transetto sinistro c'è invece l'ambone doppio per la lettura delle Scritture; seguono, nella navata destra, la cappella di San Pietro e la cappella della Madonna un'icona bizantina giunta Venezia enezia dopo la Quarta Crociata eNicopeia, oggetto di devozione. Sul lato norda ciV sono gli ingressi alla cappella di Sant'Isidoro di Chio e alla cappella Mascoli. M ascoli. La decorazione musiva della basilica copre un arco di tempo molto ampio ed è probabilmente dettata da un programma iconografico coerentemente unitario. I mosaici più antichi sono quelli dell'abside (Cristo pantocratore, rifatto però nel XVI secolo, e figure di santi e apostoli) e dell'ingresso (Apostoli ed Evangelisti, di cui si è detto sopra), realizzati alla fine dell'XI secolo da artisti greci e veneziani, e che mostrano affinità ai mosaici, per esempio, della Cattedrale Ursiana di Ravenna (11 (1112) 12) o a quelli degli Apostoli nell'abside della Cattedrale di San Giusto a Trieste. Gli Apostoli con la Theotokos e gli Evangelisti probabilmente decoravano l'ingresso centrale alla basilica ancora prima della costruzione del nartece. I restanti mosaici dell'edificio vennero aggiunti nella seconda grande campagna decorativa a partire dalla seconda metà del XII secolo, da artisti bizantini e veneziani. L'atrio presenta Storie dell'Antico testamento, le tre cupole sull'asse longitudinale apoteosi divine e cristologiche, gli arconi relativi presentano episodi dei Vangeli, Vangeli, le cupole laterali storie di santi.

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La Cupola della Pentecoste (la prima a ovest) venne realizzata entro la fine del XII secolo, forse riproducendo le miniature bizantine di un manoscritto della corte bizantina. La cupola centrale è detta dell'Ascensione, mentre quella sopra l'altare maggiore dell'Emanuele, e furono decorate dopo quella della Pentecoste.della Cupoletta della Genesi Successivamente ci si dedicò all'istoriazione dell'atrio (1220-1240 circa), seguendo fedelmente le illustrazioni della Bibbia Cotton (un altro revival paleocristiano).[11] Sulle volte e i cupolini successivi si sviluppano le storie degli antichi patriarchi: Noè, Abramo, Giuseppe, Mosè. Questo cupolino della Genesi è geometricamente scandito in tre fasce circolari concentriche attorno a una decorazione a scaglie dorate al centro. Il racconto è suddiviso in ventisei scene sopra le quali corre il testo biblico in latino che comincia con le parole: "In principio Dio creò il cielo e la terra. Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque". Seguono in successione giornate dellaidentificata creazione,-in ognuna delle quali è presente la figura dileDio creatore, secondo l'iconografia orientale - nel Cristo giovane dall'aureola crociata e dalla croce astile, Parola vivente del Padre, e con lui, fin dall'origine, creatore dell'universo, come si legge all'inizio del Vangelo di Giovanni. Il transetto nord, realizzato in seguito, ha la cupola dedicata a San Giovanni Evangelista e Storie della V Vergine ergine negli arconi. Quello sud presenta la cupola di San Leonardo (con altri santi) e, sopra la navata destra, Fatti della vita di San Marco. In queste opere e in quelle coeve della tribuna gli artisti veneziani introdussero sempre maggiori elementi occidentali, derivati dall'arte romanica e gotica. Più tardi sono i mosaici delle cupolette di Giuseppe e di Mosè, nel lato nord dell'atrio, probabilmente della seconda metà del XIII secolo, dove si cercano effetti grandiosi con una riduzione delle scenografie architettoniche in funzione della narrazione. Altri notevoli mosaici decorano il Battistero, la Cappella Mascoli e la Cappella di Sant'Isidoro. Le ultime decorazioni musive sono quelle della Cappella Zen (angolo sud dell'atrio), dove avrebbe operato di nuovo un maestro greco di notevole perizia. Molti mosaici deteriorati furono in seguito rifatti mantenendo i soggetti originali. Alcuni dei cartoni furono realizzati da Michele Giambono, 26

 

Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Paolo Veronese, da Jacopo Tintoretto e dal figlio Domenico. Tiziano e il Padovanino prepararono invece i cartoni per i mosaici della sagrestia. I mosaici del XII secolo sono di matrice greca e sono opera di artisti che, per comodità dimaestro riferimento, possono essere chiamati dell'Emanuele, dell'Ascensione, maestro dellamaestro Pentecoste, affiancati da molti aiuti. Al primo si attribuiscono la cupola dell'Emanuele, l'emiciclo absidale, le cappelle laterali con le storie marciane, petriane e clementine e nei transetti i miracoli di Cristo. Al secondo le storie della Passione e l'Ascensione, le cupole laterali e il martirio degli Apostoli sulla volta e sul lunettone meridionali del piedicroce della basilica, al terzo infine la cupola della Pentecoste e probabilmente le due volte occidentali, ridecorate nel Rinascimento con l'Apocalisse di Giovanni e il Paradiso. Dopo il Duecento avviene una traduzione linguaggio musivo, passando greco al si latino", per del opera di artisti artistico come Paolo V Veneziano. eneziano. Tale Tale"dal traduzione approfondisce nel ciclo della cappella di S. Isidoro e trova compimento sia per opera di Paolo Uccello, sia nella cappella dei Mascoli, verso la metà del Quattrocento, ove si registra la presenza di Andrea del Castagno.[13] I mosaici dell'interno, per lo più del XII secolo, si ispirano ai princìpi dell'arte bizantina. Il nucleo centrale, narrante la storia della salvezza cristiana, spazia dalle profezie messianiche alla seconda venuta (parusia) di Cristo giudice alla fine del mondo e ha i suoi punti focali nelle tre grandi cupole della navata principale: cupola del Presbiterio, dell'Ascensione e della Pentecoste. La sua lettura va fatta dal Presbiterio verso la facciata, da est a ovest, seguendo il corso del sole, al quale è simbolicamente associato Cristo che è il sole perpetuo per gli uomini. Nella cupola del Presbiterio troviamo i profeti che, attorno a Maria annunciano i testi delle loro profezie. V Vicino icino a Maria, in atteggiamento orante e in posizione centrale, Isaia, indicando il giovane imberbe al centro della cupola, pronuncia le parole: "Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emanuele, Dio con noi" (7,14); e Davide, capostipite della discendenza regale di Israele, indossante le sontuose vesti dell'imperatore di Bisanzio, proclama la regalità del 27

 

 bambino che da lei nascerà "Il frutto delle tue viscere porrò sul mio trono" (salmo 132, 11). Lo stesso tema iconografico ritorna sulle pareti della navata centrale: dieci quadri in mosaico, magnifiche opere del XIII secolo (i pinakes), presentano, sulla parete destra, la Vergine, su quella sinistra, il Cristo Emanuele, circondati rispettivamente da quattro profeti. Il compimento delle profezie ha inizio nelle scene raffiguranti l’annuncio dell'angelo a Maria e segue con l'adorazione dei Magi, la presentazione al tempio, il  battesimo di Gesù nel fiume Giordano sulla volta sopra l'iconostasi (mosaici rifatti su cartoni di Jacopo Tintoretto).[14] Nei due transetti, sulle pareti e le volte, sono tradotti in numerose immagini gli atti di Gesù a conforto dei malati, dei sofferenti, dei peccatori. Sulle volte sud e ovest sotto la cupola centrale sono riuniti i fatti conclusivi vita di Gesù: l'ingresso Gerusalemme, l'Ultima Cena, la lavanda deidella piedi, il bacio di Giuda e la acondanna di Pilato. Il grande pannello dell'Orazione nell'orto è del XIII secolo. Al centro della basilica stanno le scene della Crocifissione e della Discesa agli inferi (anastasi, in greco) con la grande immagine di Cristo vittorioso sulla morte, nonché la raffigurazione della Resurrezione. Nella cupola dell'Ascensione nel cerchio stellato al centro c'è Cristo, seduto su un arcobaleno, portato verso l'alto da quattro angeli in volo. Al di sotto, fra splendidi alberi rappresentanti il mondo terreno, stanno i dodici Apostoli con la Vergine e due angeli. Tra le finestrelle, sedici figure femminili, danzanti, sono la personificazione di virtù e beatitudini: fra le tante presenti, si ricordano la fede, la giustizia, la pazienza, la misericordia e la carità incoronata in vesti regali con l'iscrizione in latino “madre di tutte le virtù”. La terza cupola è quella della Pentecoste dove lo Spirito Santo, al centro con l'etimasia, nel simbolo della colomba scende sotto forma di lingue di fuoco sugli apostoli. Alla base, tra le finestrelle, sono rappresentati gruppi di popoli che ascoltarono, ciascuno nella propria lingua, il messaggio cristiano.[15] 

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Al sommo della cupola, al centro di un nimbo costituito da cerchi concentrici, i simboli del trono, del libro e della colomba alludono al Padredel assiso sul trono cieli,Santo al V Verbo erbo la cui parola è condensata nel libro Vangelo, Vangelo, allo dei Spirito che inaugura la nuova fase della storia umana evocata con l'immagine della colomba che, recando il ramoscello d'ulivo, aveva annunciato la fine del diluvio e un futuro di vita e di pace. Sulla contro-facciata interna è presente il motivo iconografico bizantino della Deesis (Intercessione) nel quale San Marco sostituisce il tradizionale san Giovanni Battista.[16] Nella navata destra del presbiterio un mosaico bizantineggiante del XII secolo rappresenta il trafugamento del corpo di San Marco da Alessandria d'Egitto a V Venezia. enezia. Sono rappresentati i veneziani Tribuno Tribuno e Rustico, assistiti daicassa; loro il complici alessandrini, che pongono il corpo del santo in una trasporto di questa al grido kanzir ("carne porcina” in arabo); il ribrezzo dei doganieri musulmani per la merce immonda, il naviglio che lascia Alessandria; la burrasca in mare presso l'estuario; l'accoglienza festosa a Venezia.[17] Il Cristo Pantocratore nel presbiterio sta al centro di un trono gemmato, con la mano destra alzata in segno di benedizione e la sinistra che tiene il Libro aperto, ornato di pietre preziose che simboleggiano lo straordinario valore spirituale ed escatologico del suo annuncio. Attorno quattro evangelisti scrivono l'inizio del proprio V Vangelo. angelo. Al di sotto si trova la Vergine Vergine Maria, orante, e ai suoi lati due donatori: il doge Ordelaffo Falier e l'imperatrice bizantina Irene d'Atene. Tutte le scene musive, immerse nell'oro che, secondo la tradizione orientale è simbolo della luce divina, sono completate da iscrizioni in lingua latina: brani biblici, puntualmente trascritti o ripresi in forma riassuntiva dalla Vulgata di san Girolamo, oppure bellissime preghiere e invocazioni in forma poetica medievale. Le varie scene musive hanno esplicazioni in versi leonini.[18] Tali iscrizioni sono presenti anche nell'atrio.

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- Monumento ai tetrarchi.

Il monumento ai tetrarchi è un doppio gruppo statuario in porfido rosso egiziano, costituito da quattro figure in altorilievo, collocate all'angolo del tesoro di San Marco, in piazza San Marco, a Venezia. L'altezza delle figure è di 1figure, metroche e 36costituiscono cm Le quattro un gruppo unitario, vennero scolpite, come si è detto, a partire da un materiale lapideo, il porfido, che sin dall'età di Tiberio era associato frequentemente ed in maniera esclusiva alla figura imperiale ed utilizzato per i progetti monumentali di Roma e, in seguito, di Costantinopoli, dati il colore rosso dello stesso e la sua preziosità. Il gruppo proviene da Costantinopoli e fu trasportato a Venezia dopo la conquista della città nel 1204 ad opera delle truppe crociate. Le quattro figure di imperatore hanno lo stesso abito, in un atteggiamento rigido e impassibile che ricorda le divinità orientali. 30

 

Sono caratterizzate dal copricapo pannonico, dal paludamentum e dalla corazza coi baltei gemmati; le corazze erano anticamente abbellite da foglie d'oro; gli imperatori impugnano saldamente una spada riccamente adorna, la cui elsa è a forma di testa d'aquila, secondo un modello probabilmente originedestra sasanide. coppie l'imperatore che poggia di la mano sullaNelle spalladue sinistra dell'altro è  barbato, a voler probabilmente segnalare segnalare l'età più anziana dell'Augusto rispetto ai Cesari. Le teste sono simili, con gli occhi che ospitavano paste vitree; esse presentano comunque alcuni tratti di individuazione fisiognomica, ma nonostante ciò non è possibile identificare con certezza quale figura appartenga all'uno o all'altro tetrarca per la scarsità di confronti e l'astrattezza della rappresentazione. L'opera viene attribuita a maestranze egiziane, anche per la loro specializzazione la durissima pietra del porfido. Il gruppo è considerato, oltrenel chetrattare il simbolo della tetrarchia stessa, un capolavoro della scultura tardoantica, dove sono evidenti le caratteristiche di essenzialità, simbolismo e pittoricismo di quest'epoca di "rottura" nella tradizione artistica, priva ormai quasi del tutto di richiami allo stile ellenistico. Nonostante la stilizzazione sia ben avanzata, le forme non arrivano a essere troppo essenziali, spoglie, e mantengono un ricco volume. La loro fissità, l'assenza di dettagli immediati e veristici rendono l'insieme particolarmente adatto a simboleggiare l'eternità e la solidità del nuovo assetto imperiale che la tetrarchia si proponeva.

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C) Sant’Ambrogio a Milano

Il materiale è povero mattoni diversi colori, pietradie costruzione intonaco bianco) e la (principalmente provenienza è locale: condiesso si costruiscono anche gli edifici che costellano la campagna dei dintorni. Rispetto alla chiesa originale paleocristiana del IV secolo, la nuova  basilica dell'XI secolo ereditò scrupolosamente scrupolosamente la pianta: tre navate absidate senza transetto con quadriportico antistante. La pianta interna della basilica è longitudinale e (se si escludono le absidi) ha le stesse dimensioni del portico antistante. La Basilica di Sant'Ambrogio appare oggi come un caso isolato di modello per il romanico lombardo, poiché altri esempi uguali sono ormai andati distrutti o radicalmente trasformati. 32

 

Di sicuro fu un esempio per i futuri sviluppi dell'architettura romanica nell'area di influenza lombarda che allora superava i confini regionali odierni, comprendendo anche parti dell'Emilia e del Piemonte. Pur legata alla tradizione della basilica del IV secolo su cui è stata costruita, Sant'Ambrogio l'espressione di un intenso rinnovamento architettonico, soprattuttoènella concezione dell'illuminazione e dello spazio. Da un lato, infatti, la luce proviene principalmente dai finestre di dimensione avanzate della facciata, mentre i matronei ne bloccano il passaggio laterale. L'effetto che ne deriva è l'accentuazione delle masse strutturali, soprattutto al fondo, dove maggiore è l'ombra. D'altro canto, lo spazio non è più concepito al modo paleocristiano, in modo unitario e mistico, ma umano e razionale. La facciata a capanna è larga e schiacciata. Presenta due logge sovrapposte: quella inferiore ha cinque arcate uguali e si ricongiunge con il perimetro del portico, pur avendo leggermente piùinterno alte, mentre quella superiore haqueste cinquearcate arcate che scalano in altezza assecondando il profilo degli spioventi. Presenta anche degli archetti pensili, cioè file di piccoli archi a rchi a tutto sesto che "ricamano" la cornice marcapiano e gli spioventi. Il quadriportico antistante aveva un tempo la funzione di raccogliere i catecumeni al cospetto della chiesa. Tuttavia, dai primi anni del 1111 secolo i fedeli venivano ormai battezzati fin dalla nascita, per questo il suddetto spazio perse la sua funzione originale assumendo un ruolo nuovo, come scoperto dove si radunavano i cittadini per discutere e per assemblee religiose o civili. Dalla loggia superiore della facciata il vescovo dava la sua benedizione ai cittadini, mentre le cariche pubbliche potevano interloquire con la folla. Vi sono presenti eleganti arcate sostenute da pilastri fiancheggiati da semicolonne. Tutte Tutte le membrature del portico sono ben evidenziate, anche coloristicamente. Le arcate hanno doppia ghiera, le cornici sono sorrette da archetti pensili analoghi a quelli della facciata, mentre sottili lesene si profilano sulle superfici superiori, dividendole con regolarità. Nella decorazione dei capitelli sono combinati elementi pre-romanici (come i motivi a intreccio) a soggetti più originali come rappresentazioni 33

 

di animali o elementi vegetali, con un accentuato senso del volume. Spesso sull'angolo del capitello è raffigurata una sola testa, dalla quale escono poi due corpi sui rispettivi lati. Lungo le pareti è sistemata una nutrita collezione lapidaria, tratta per lo più in di loco. Sono visibili bassorilievi del basso impero di (tra da cuiritrovamenti uno con scene vendemmia) e, in alto, frammenti di affreschi fine secoli XII e XIII; sul fianco sinistro, stemmi e scudi araldici di famiglie gentilizie milanesi, lapidi funerarie di canonici e cortigiani sforzeschi, molte delle quali in origine all'interno della basilica. T Tra ra i due portali centrale e sinistro si trova il sarcofago di Pier Candido Decembrio, del XV secolo. Il campanile di destra, detto dei monaci, risale al IX secolo e ha l'aspetto austero tipico delle torri di difesa. Quello di sinistra, detto dei canonici, è più alto e risale al XII secolo. La sua ideazione è probabilmente da attribuire stesso architetto che ha progettato la basilica, poiché riprende inallo verticale gli stessi concetti del quadriportico, mentre gli ultimi due piani sono stati aggiunti solo nel 1889. Nella cella è conservato un pregevole concerto campanario di 5 bronzi in tono di Do3 maggiore crescente, fusi nel 1755 dal milanese Bartolomeo Bozzi. I due campanili sono uno degli omaggi più riconoscibili in Italia allo stile transalpino delle doppie torri scalari in facciata, derivato dal W Westwerk estwerk carolingio Risalente al XII secolo, il tiburio di Sant'Ambrogio divenne un modello per quelli successivamente costruiti nell'area lombarda. Collocato in corrispondenza della quarta campata, ne riveste la cupola. Di forma ottagonale, presenta due ordini di logge e decorazioni effettuate con varie disposizioni di mattoni. L'interno venne strutturato secondo le più avanzate novità d'Oltralpe, con l'uso di volte a crociera a costoloni, nelle quali ogni elemento confluisce in una struttura portante apposita, con un'architettura rigorosa e coerente. In sostanza, ogni arco delle volte poggia su un semipilastro o una semicolonna propria, poi raggruppati nel pilastro a fascio, la cui sezione orizzontale non è quindi casuale, ma legata strettamente alla struttura dell'alzato. Le volte delle navate laterali, con campate dette minori, che hanno un'area pari ad un quarto dell’area 34

 

delle campate dette centrali presenti nella navata centrale, poggiano su pilastri minori e reggono i matronei. Questi ultimi occupano tutto lo spazio eventualmente disponibile per il cleristorio: lo sviluppo in altezza ne risulta bloccato ma, coerentemente con lo forma sviluppo complessivo, la luce si tende lungo l'asse maggiore (la stessa plastica dei pilastri polistili è subordinata a questa illuminazione bassa) e passa dalle finestre della facciata (qui, peraltro, filtrata dalle logge) e dal tiburio (come detto, successivo). In corrispondenza del tiburio, nell'ultima campata della navata centrale, si trova il presbiterio con, al centro, l'altare maggiore, realizzato tra l'824 e l'859 da Vuolvino, con prezioso paliotto aureo in rilievo con pietre incastonate su tutti e quattro i lati, celebre opera di oreficeria carolingia. L'altare è sormontato dal ciborio[7] di epoca ottoniana, commissionato dall'arcivescovo di Milano Angilberto II, dal quale prende il nome. Esso poggia su quattro colonne in porfido rosso e presenta, sulle quattro facce, altorilievi in stucco raffiguranti figure ed episodi del Cristo Nel catino absidale, si trova un mosaico, parzialmente ricostruito dopo la seconda guerra mondiale riutilizzando i resti di quello precedente distrutto dalle bombe, risalente al IV secolo ma più volte modificato entro il IX secolo. Al centro vi è il Pantocratore tra i santi Gervaso e Protaso e, ai lati, scene della vita di Sant'Ambrogio. L'attuale cripta, ipogea rispetto all'altare maggiore, venne costruita nella seconda metà del X secolo, durante i lavori di risistemazione dell'area absidale della basilica per meglio accogliere le spoglie dei santi che qui ancora oggi sono venerati: Ambrogio, Gervaso e Protaso. Tracce di una cripta nella basilica sono riconducibili già all'epoca di Sant'Ambrogio in quanto si sa che fu lo stesso santo milanese nel 386 a prelevare i corpi di San Gervaso e San Protaso dalla loro originaria sepoltura e a tumularli solennemente sotto l'altare della nuova basilica, in un sarcofago di marmi pregiati che egli aveva disposto già per la propria sepoltura. I martiri Gervasio e Protasio erano stati sepolti originariamente nel vicino sacello dei santi Nabore e Felice, all'interno del cimitero ad martyres, sul suolo che sarà poi occupato dalla chiesa di San Francesco Grande (demolita nel XVIII secolo).

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Quando sant'Ambrogio morì nel 397 egli stesso venne sepolto di fianco ai due martiri, in una tomba separata, sia perché già in vita aveva goduto di acclarata santità, sia per sottolineare la sua vicinanza ai due santi quali egli avevainridato sepoltura. Delle ai reliquie si perse seguitodegna traccia e solo nel IX secolo l'arcivescovo Angilberto II individuò e riconobbe le reliquie e le traslò in un unico sarcofago di porfido, che venne appoggiato sopra le due sepolture precedenti ma con un differente orientamento, anche a seguito degli sviluppi strutturali della basilica. L'aspetto attuale della cripta è dovuto agli interventi del XVIII secolo promossi dal cardinale Benedetto Erba Odescalchi, arcivescovo milanese, e da quelli ottocenteschi che seguirono al ritrovamento dell'antico sarcofago ed alla ricollocazione dei corpi di Sant'Ambrogio, San Gervaso e San Protaso, all'interno di un vano ricavato sotto il ciborio, dove si trova un'urna d'argento con i corpi dei santi, eseguita nel 1897 da Giovanni Lomazzi su progetto di Ippolito Marchetti. Sul pavimento della cripta si trova anche una lapide che ricorda il luogo ove originariamente si trovava sepolta santa Marcellina, sorella di Ambrogio le cui spoglie riconosciute dal cardinale Odescalchi nel 1722, vennero traslate in una cappella della navata destra appositamente dedicata.

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D) Il Duomo di Modena

La facciata è a salienti che riflettono la forma interna delle navate, con tetti spioventi ad altezze diverse. Due poderose paraste dividono la facciata in tre campiture. Il centro è dominato dal portale maggiore, sovrastato da un protiro a due piani con un'edicola dalla volta a botte. Il protiro è retto da due leoni stilofori (cioè reggenti una colonna ciascuno) di epoca verosimilmente antica (forse copie di sculture romane). Viene qui ripresa l'allegoria tipicamente greca che faceva della colonna un simbolo dell'uomo: la colonna è posta infatti sopra il leone e sormontata a sua volta dal protiro tridimensionale, che rappresenta la Trinità. Trinità. Ciò voleva significare che l'uomo è un essere intermedio, a metà strada tra Dio e l'animale. Questo motivo di derivazione classica si ripete poi tutt'intorno all'edificio. Lo stesso modello è ripreso anche nella Porta Regia sul fianco. I portali non presentano lunette, mentre sono decorati da sculture gli altri elementi. Numerosi rilievi, tra i quali i quattro celebri pannelli con le Storie della Genesi di Wiligelmo, decorano la facciata. Questi rilievi sono posti al di sopra dei portali laterali e a fianco di quello centrale, sono suddivisi in dodici parti, che vanno dalla rappresentazione di Dio in una mandorla fino al diluvio universale.

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Il grande rosone venne aggiunto nel XIII secolo assieme ai due portali laterali, che comportarono lo spostamento dei pannelli di Wiligelmo. Notevoli sono le porte laterali, due sul fianco sud nella piazza Grande e una su quello nord. La Portacampionesi, regia non esisteva ed èsiopera dei maestri databilenelfraDuomo il 1209 di e ilLanfranco 1231 mentre svolgevano anche i lavori nel presbiterio. Presenta all'esterno alcuni gradini ed è di marmo rosa, diverso dal colore bianco della superficie del Duomo. Minore, rispetto alle altre porte, è la sua decorazione scultorea, mentre molto maggiore è la sua imponenza architettonica: a strombo, delimitato da una serie di colonne tutte diverse, di cui le due prime di diametro maggiore sono sorrette da due grandi leoni stilofori, spoglie antiche recuperate da un edificio di epoca romana, che stringono la preda fra le zampe e rappresentano nell'iconografia medioevale la lotta fra il diavolo e l'uomo o fra questo e Dio. Il tutto è sormontata da un imponente protiro. La più piccola Porta dei Principi è ornata nell'architrave da un  bassorilievo raffigurante episodi della vita di San Geminiano. Sullo stesso lato sporge un pulpito opera del 1500-1501 di Giacomo da Ferrara e Paolo di Giacomo che ha sulla cassa i simboli degli Evangelisti. Sul fianco settentrionale, in via Lanfranco, si trova la Porta della Pescheria, sormontata dal protiro retto da due colonne su leoni stilofori, che ha negli stipiti bassorilievi ispirati ai dodici mesi dell'anno e tralci vegetali abitati da animali reali e fantastici. La torre campanaria di tipo lombardo è indipendente.

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La chiesa è a tre navate prive di transetto e con un presbiterio (l'area dove si trova l'altare liturgico) in posizione sopraelevata, che suggerisce la presenza della cripta. A ciascuna navata corrisponde un'abside. La copertura era anticamente a capriate lignee e venne sostituita con volte a crociera a sesto che acuto durante il XV secolo.Presenza finto matroneo hasoltanto la funzione di alleggerire la struttura, ilanche qualedi un riprende il motivo della loggia percorribile all'esterno. Sopra il matroneo vi è un cleristorio molto alto per rinforzare le volte a crociera. Infine il presbiterio è rialzato rispetto alla cripta, creando un pontile realizzato da maestri campionesi. La navata centrale presenta quattro grandi campate, di lunghezza doppia rispetto a quelle nelle navate laterali (che sono quindi otto). Le pareti che separano le navate sono scandite da archi a tutto sesto, poggianti su pilastri compositi alternati a colonne, e articolate da triplici arcate nel triforio, dove si simula un matroneo inesistente ripreso ripreso da modelli carolingi e ottoniani, e strette finestre nel cleristorio, dalle quali filtra la luce. L'uso di pilastri a fascio e colonne alternati è di solito funzionale alla costruzione delle volte, perché le volte della navata centrale, più ampie e pesanti, poggiano su pilastri, mentre le volte delle navate laterali scaricano su colonne o pilastri più piccoli. Nel caso del Duomo di Modena, all'epoca della costruzione, la scelta fu puramente stilistica, essendo anticamente coperta da capriate. Esistevano comunque quattro campate già delimitate da arconi, che ancora attraversano la navata e che creavano un ritmo nella struttura parietale, sottolineato anche dalle paraste che prolungano i pilastri, dalle membrature degli archi a tutto sesto e dalle trifore.

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Le sculture del Duomo di Modena sono parte integrante del complesso monumentale e costituiscono la più importante testimonianza del rinascere dell'arte scultorea su scala monumentale in Italia, punto di partenza per i successivi sviluppi artistici nel Nord-Italia N ord-Italia e oltre. I rilievi di Wiligelmo Wiligelm o ne fanno il caposcuola della scultura ilromanica inModena Italia. è Come altre grandi cattedrali romaniche o gotiche, duomo di stato definito "la Bibbia di pietra" o "la Bibbia dei poveri", perché, coi suoi simboli e le sue decorazioni scultoree, consentiva ai poveri e a tutti gli analfabeti di ricevere l'istruzione religiosa. Nella narrazione figurata "si prediligono fatti dell'Antico T Testamento estamento e del Nuovo Testamento Testamento accostati in un parallelismo che è cardine dottrinario della riforma partita da Cluny".[6] La facciata è dominata dalla decorazione marmorea plastica dovuta in gran parte a Wiligelmo, scultore modenese, che scolpì i quattro grandi rilievi con le Storie della Genesi, un tempo allineati molto probabilmente ai lati del portale centrale (dove ne sono collocati ancora due) e poi spostati con l'apertura dei portali laterali (gli altri due infatti sono al di sopra delle porte laterali). Le quattro scene, rappresentate sotto una galleria di archetti talvolta sorretti da colonnine nello sfondo, si leggono da sinistra a destra e sono: 1. Creazione dell'uomo, della donna e peccato originale, 2. Cacciata dal Paradiso Terrestre, 3. Sacrificio di Caino e Abele, uccisione di Abele e rimprovero divino, 4. Uccisione di Caino, l'arca del diluvio, uscita di Noè dall'arca. Sono attribuiti a Wiligelmo anche altri rilievi: • I Cervi che si abbeverano alla fonte, • Il rilievo con animali fantastici e una figura umana nuda che cavalca un mostro.

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Anche la decorazione del portale centrale è certamente di Wiligelmo. T Tra ra le raffigurazioni c'è quella di un tralcio di vite abitato che si sviluppa sugli stipiti, sull'architrave e sull'archivolto a simboleggiare che il fedele sta entrando nella "vigna del Signore", cioè nella redenzione. All'interno degli estipiti le dodici figure di profeti che previdero la i venuta di Cristo sono sono simboli delle fondazioni della Chiesa; pregevoli telamoni alla base degli stipiti, i capitelli delle semicolonne elicoidali e i profeti Enoc ed Elia che sostengono l'iscrizione dedicatoria della chiesa. Sempre di questo scultore sono i due genietti alati appoggiati su fiaccole fiacc ole rovesciate, certamente ripresi da modelli dell'antichità che egli doveva aver visto sui sarcofagi riemersi dalla necropoli romana, simboli funerari della morte e del lutto; accanto a quello di sinistra un uccello, che viene identificato con l'ibis, simbolo del cattivo cristiano, o col pellicano, che si richiama alla resurrezione di Cristo. Per rendersi conto dello stile immediatamente precedente a Wiligelmo Wiligelmo si possono vedere i capitelli di anonimi maestri lombardi nella cripta della cattedrale. La sua opera scultorea colpì certamente anche i suoi contemporanei che nell'iscrizione della famosa lapide con la data di fondazione del Duomo (con Enoc e Elia di Wiligelmo stesso), aggiunsero in caratteri più piccoli le sue lodi in latino medievale: "inter scultores quanto sis dignus onore - claret scultura nunc Wiligelme tua". Subito dopo l'ingresso nella navata settentrionale si erge a grandezza naturale e con le vesti e le insegne vescovili la statua lignea di San Geminiano, forse del XIV secolo, opera di un ignoto scultore. Più avanti sempre nella stessa navata il cosiddetto Altar Altaree delle statuine, una grandiosa ancona di terracotta risalente alla prima metà del Quattrocento, a forma di polittico gotico, opera di Michele di Niccolò Dini, detto anche Michele dello Scalcagna o Michele da Firenze, con figure di santi entro nicchie, una predella con scene della vita di Gesù e un alto e slanciato coronamento di pinnacoli. Al centro sopra l'altare è un piccolo dipinto su pietra della Madonna, in origine posto all'esterno. Più avanti verso la Porta della Pescheria è la Pala di San Sebastiano della prima metà del Cinquecento di Dosso Dossi, considerata uno dei capolavori d'arte sacra del pittore.

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Mostra il santo quasi in estasi nonostante il martirio, che rivolge il ca capo po alla Madonna e ai Santi su una nuvola che lo sovrasta. Evidenti sono gli influssi coloristici di Tiziano. Proseguendo ancora nella navata verso il presbiterio si può notare il sepolcro monumentale dell'abile condottiero di famiglia nobile modenese Rangoni, chea fu al servizio dei Veneziani Veneziani e anche del re di FranciaClaudio Francesco I e morì soli 28 anni; risale a circa il 1542 e fu costruito su disegno di Giulio Romano. All'inizio del presbiterio, già collocata all'esterno del Duomo presso la torre campanaria e trasferita all'interno nel 1897, si trova la statua di Agostino di Duccio che rappresenta il miracolo del Santo patrono che salva un bambino caduto dalla Ghirlandina acciuffandolo per i capelli (1442 circa). Nel presbiterio si trova anche il mirabile coro ligneo intarsiato del 1461-1465 opera degli esponenti di una dinastia di provetti ebanisti, i fratelli Cristoforo e Lorenzo Canozi, detti da Lendinara. Dotati di una tecnica raffinata dimostrano negli stalli intarsiati abilità compositiva e notevoli doti prospettiche derivate dagli studi di Piero della Francesca. Di Cristoforo sono anche i quattro pannelli intarsiati in legno appesi alle pareti del presbiterio che si caratterizzano per la capacità di rappresentaree le fisionomie dei ritratti dei quattro rappresentar q uattro Evangelisti oggetto degli intarsi. Degli ultimi decenni del Tr Trecento ecento è il polittico del pittore modenese Serafino de' Serafini situato nell'abside di sinistra e rappresentante l'Incoronazione della Vergine, Vergine, la crocefissione e Santi. Sotto al polittico si trova una lastra marmorea con la croce e animali che si fronteggiano del IX secolo, che proviene dalla prima cattedrale poi andata distrutta.

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All'ingresso della navata meridionale si trova un grande affresco attribuito a Cristoforo da Lendinara che, oltre che intarsiatore, fu anche pittore. L'affresco risalente circa al 1472-1476, fu scoperto casualmente nel 1822, ed è stato in parte danneggiato dai bombardamenti del 1944. Desumibile stilisticamente da spicca Piero della Francesca una Madonna aureolata d'oro che fra Santi; in altocontiene è rappresentato il Giudizio universale. Più avanti si trova il presepe di Begarelli (1527), dalla notevole finezza nelle molte figure ispirate all'arte classica e dalla composizione scenografica; alle figure, già dipinte di bianco per simulare il marmo, in un recente restauro (che ha suscitato qualche critica dei modenesi, sempre attenti alle vicende del loro Duomo), è stato tolto il colore c olore bianco, e ora appaiono del colore naturale della terracotta. Vicino si trova anche il monumento funerario di Francesco Maria Molza, poeta di nobile famiglia modenese, opera del 1516 di Bartolomeo Spani che lavorò anche a Reggio Emilia e a Roma. L'organo maggiore del duomo di Modena fu costruito nel 1934 dalla ditta Balbiani Vegezzi Vegezzi Bossi ed è stato restaurato dalla stessa nel 1984; in tale occasione, è stata realizzata una nuova consolle. Attualmente (2011), lo strumento, che è a trasmissione elettro-pneumatica, ha due consolle, una di fianco l'altar maggiore, l'altra nel coro, entrambe con due tastiere di 61 note ed una pedaliera concavo-radiale di 32. Le canne sono situate in due corpi differenti: quelle del Grand'Organo (prima tastiera) e del Pedale alla sinistra del coro, quelle dell'Espressivo (seconda tastiera) in cassa espressiva situata nella parte sottotetto dell'abside. Nel duomo di Modena si trova anche un secondo organo, costruito nel 1719 da Giandomenico Traeri. Lo strumento, di piccole dimensioni, è a trasmissione meccanica ed ha una tastiera di 45 note ed una pedaliera a leggio di 12, entrambe con prima ottava scavezza. Il pedale è privo di registri propri ed è costantemente unito al manuale. Vi è un terzo organo, costruito nel 2012 da Nicola Puccini, utilizzato prevalentemente per l'accompagnamento della Cappella Musicale del Duomo.

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La cripta è una vera e propria chiesa sotterranea a nove navate, cui si accede dalla navata centrale del Duomo scendendo alcuni a lcuni gradini. Ad eccezione della parte con il sepolcro di San Geminiano modificata nel 1700, è rimasta inalterata da quando q uando venne costruita tra il 1099 e il 1106. Vi si trova lai Madonna col Bambino, una servetta e due forse raffiguranti coniugi Porrini committenti del gruppo di santi, terracotta dipinta di Guido Mazzoni del 1480. È detto gruppo Porrini o, anche, Madonna della Pappa per il gesto familiare della goffa fantesca che soffia su una ciotola per rendere la temperatura della pappa al giusto valore prima di darla al Bambino. Notevole è l'originalità del tema trattato e il realismo delle figure di dimensioni uguali al vero. Sono da ammirare i capitelli delle numerose colonne, tutti diversi per forma e dimensioni: pochi sono in stile corinzio, gli altri sono con leoni, sirene, animali fantasiosi e uno con la Storia di San Lorenzo. Alcuni caratteri formali li assimilano alla scultura preromani preromanica ca lombarda, si può quindi concludere che sono opera dei lapicidi che scesero a Modena al seguito di Lanfranco, i cosiddetti Maestri Comacini.

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E) Duomo di Pisa

L'edificio che in origine era a croce greca con all'incrocio dei bracci una grossa cupola, oggi è a croce latina immissa a cinque navate con abside e transetto a tre navate, all'interno suggerisce un effetto spaziale simile a quello delle grandi moschee islamiche, grazie all'uso di archi a sesto rialzato, all'alternanza di fasce in marmo  bianco e nero e all'insolita cupola ellittica, di ispirazione moresca. moresca. La presenza dei due matronei rialzati nelle navate, con le solide colonne monolitiche di granito, è un chiaro segno di influenza bizantina. L'architetto Buscheto aveva accolto stimoli dal Levante islamico e dall'Armenia. La ricchissima decorazione comprende marmi multicolori, mosaici e numerosi oggetti di bronzo provenienti dal bottino di guerra, fra cui il Grifo utilizzato come est del tetto, preso a Palermo nel 1061. Gli archi a profilo acuto fanno riferimento ad influenze musulmane e del meridione d'Italia. Le arcate cieche con losanghe richiamano le analoghe strutture delle chiese dell'Armenia. La facciata di marmo grigio e bianco, decorata con inserti di marmo colorato, fu edificata da mastro Rainaldo. I tre portali sottostanno a quattro di loggette divise da cornici con tarsie marmoree, dietro i qualiordini si aprono monofore, bifore e trifore. 45

 

Le porte della facciata in bronzo massiccio furono realizzate da diversi artisti fiorentini nel XVII secolo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, fin dai tempi antichi i fedeli entravano nel Duomo attraverso la porta di San Ranieri, posta sul retro nell'omonimo transetto transetto,, di fronte al campanile. Questo perché i nobili della città si recavano alla cattedrale venendo da via Santa Maria che conduce proprio a quel transetto. T Tale ale porta fu fusa intorno al 1180 da Bonanno Pisano, ed è l'unica porta scampata all'incendio del 1595 che danneggiò pesantemente la chiesa. La porta di San Ranieri è decorata con 24 formelle raffiguranti storie del Nuovo Testamento. Testamento. Questa porta è una delle prime prodotte in Italia nel Medioevo, dopo l'importazione di numerosi esempi da Costantinopoli, (ad Amalfi, a Salerno, a Roma, a Montecassino, a V Venezia...) enezia...) e vi si ammira una sensibilità tutta occidentale, che si stacca dalla tradizione  bizantina. Sopra le porte ci sono quattro file di gallerie aperte, con, in cima, la Madonna con Bambino e, negli angoli, i quattro evangelisti. La tomba di Buscheto si trova a sinistra della porta nord della facciata. L'interno, suddiviso anteriormente in 5 navate e con transetto e abside a 3 navate, è rivestito di marmi bianchi e neri, con colonne monolitiche di marmo grigio e capitelli di ordine corinzio. Ha un soffitto a cassettoni dorati seicenteschi, in legno dorato e dipinto, dei fiorentini Domenico e Bartolomeo Atticciati; reca dorato lo stemma dei Medici. Presumibilmente l'antico soffitto presentava una struttura con capriate lignee a vista. Nel punto di incontro tra i transetti e il corpo centrale si innalza la cupola, decorata con la rara tecnica di pittura a encausto[7] (o cera su muro)[8], dall'immagine di Vergine Vergine in gloria e santi dai pisani O Orazio razio e Girolamo Riminaldi (1627-31). La cupola ha subito un restauro che è terminato nel 2018. Le colonne granitiche in stile corinzio fra la navata e l'abside provengono dalla moschea di Palermo, bottino dei Pisani nella battaglia della Cala nel 1063. Il grande mosaico absidale del Cristo in trono tra la V Vergine ergine e san Giovanni è reso famoso dal volto di san Giovanni, di Cimabue nel 1302 e sopravvisse miracolosamente all'incendio del 1595. 46

 

Proprio quel San Giovanni Evangelista fu l'ultima opera realizzata da Cimabue prima della morte e l'unica di cui esista una documentazione certificata. Evoca i mosaici delle chiese bizantine e anche quelle normanne, come Cefalù e Monreale, in Sicilia. Il mosaico, in buona parte realizzato da Francesco da Pisasulla fu terminato da V Vincino incino raffigurazione della Madonna parte sinistra (1320).da Pistoia con la Tra le opere medievali scampate all'incendio figurano l'affresco con Madonna con Bambino del pisano Maestro di San Torpè nell'arco trionfale, e sotto di esso il pavimento cosmatesco, vera rarità fuori dai confini del Lazio. Fu realizzato in tarsie marmoree con motivi geometrici ad "opus alexandrinum" (metà del XII secolo). Altri frammenti di affreschi tardo medioevali sono sopravvissuti, tra i quali San Girolamo su uno dei quattro piloni centrali e San Giovanni Battista, un Crocifisso San Cosimo e Damiano sul pilone vicino alla porta di ingresso, parzialmente nascosto dalla bussola. Il pergamo, capolavoro di Giovanni Pisano (1302-1310), sopravvissuto all'incendio, fu però smontato durante i lavori di restauro e non fu rimontato fino al 1926. Con la sua articolata struttura architettonica e la complessa decorazione scultorea, l'opera è una delle più vaste narrazioni per immagini trecentesche che riflette il rinnovamento ed il fervore religioso dell'epoca. Nelle formelle, leggermente ricurve, sono scolpiti con un linguaggio espressivo gli episodi della Vita di Cristo. La struttura è poligonale, come negli analoghi esempi precedenti, nel battistero di Pisa, nel duomo di Siena e nella chiesa di Sant'Andrea di Pistoia, ma per la prima volta i pannelli sono leggermente incurvati, dando un'idea di circolarità nuova nel suo genere. Altrettanto Altrettanto originali sono: • la presenza di cariatidi, figure scolpite al posto delle semplici colonne, che simboleggiano le Virtù; • l'adozione di mensole a volute in luogo degli archetti per sostenere il piano rialzato; • il senso di movimento, dato dalle numerosissime figure che riempiono ogni spazio vuoto. Per queste qualità unite alla sapiente arte a rte narrativa delle nove scene è generalmente considerato il capolavoro di Giovanni e più in generale della scultura gotica italiana. 47

 

Il pergamo commissionato a Giovanni sostituì uno precedente, realizzato da Guglielmo (1157-1162), (1157-1162), che ffu u inviato nel duomo di Cagliari. Non essendoci documentazione di come fosse il pergamo prima dello smantellamento, esso è stato ricostruito in una posizione diversaeda quella originaria e, sicuramente, con leNon partisinon stesso ordine orientamento di come era stato pensato. sa senello possedesse o meno una scala sempre in marmo.

F) Il battistero di Firenze Il battistero ha una pianta ottagonale, con un diametro di 25,60 m, quasi la metà di quello della cupola del Duomo. L'ottagono è già figura tipica dei battisteri, soprattutto medievali e di ispirazione bizantina, di cui l'ipotesi più probabile è quella di ricordare "l'ottavo giorno" della settimana, che nel Nuovo Testamento Testamento del Cristianesimo è simbolo di Resurrezione ed Eternità. La necessità di un edificio di vaste dimensioni si spiega con l'esigenza di accogliere la folla che riceveva il battesimo solo in due date prestabilite all'anno. Anticamente era sopraelevato di alcuni gradini, scomparsi con l'innalzamento graduale del piano del calpestio, che Leonardo da Vinci aveva pensato di ricreare studiando un modo per sollevare in blocco l'edificio e ricreare una nuova piattaforma[10]. L'edificio è coperto da una cupola ad otto spicchi, mascherata all'esterno dall'attico e coperta da un tetto a piramide schiacciata. Sul lato opposto all'ingresso sporge il corpo dell'abside rettangolare (scarsella).

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L'ornamento esterno, in marmo bianco di Carrara e verde di Prato, è scandito da tre fasce orizzontali, ornate da riquadri geometrici, quella mediana occupata da tre archi per lato, nei quali sono inserite superiormente finestre con timpani. Ai pilastri in verde del registro inferiore corrispondono poligonali in marmo strisce bianche e nere in quello superiore, reggenti colonne gli archi a tutto sesto. I pilastri angolari, originariamente in pietra serena, furono poi rivestiti pure di marmo. Si tratta di uno spartito di gusto classico, usato già in altri monumenti romanici come la facciata di San Miniato al Monte, che testimonia il perdurare a Firenze della tradizione architettonica della Roma antica Nonostante il battistero sia considerato la matrice del “Romanico fiorentino”, alcune caratteristiche della sua architettura non hanno riscontro altrove. La disposizione di colonne e capitelli – differenziati per tipologia e per colore del marmo – non è né uniforme né casuale, ma come nella architetture architetture della Tarda antichità è finalizzata a indicare precise gerarchie spaziali. All'interno l'asse principale est-ovest è indicato dal contrapporsi dell'arcone e della coppia di colonne con capitelli compositi ai lati della Porta del Paradiso (in tutti gli altri casi abbiamo invece capitelli corinzi, eccetto uno probabile frutto di restauro); un secondo asse di simmetria obliquo sudest-nordovest è invece indicato dai fiori dell'abaco dei capitelli corinzi di pilastro, che sono di tre tipi differenti. All'esterno All'esterno le finestre a edicola si differenziano per forma, tipo di capitelli e colonne, c olonne, e colore dei marmi impiegati, secondo un ordinamento molto complesso che distingue i lati obliqui da quelli volti ai punti cardinali e tra questi il lato est, con l'ingresso principale, differenziato in tutto dagli altri. La disposizione simmetrica di differenti tipi di capitelli si riscontra anche nei tre lati volti a sud dell'attico, verosimilmente eseguiti per primi perché rivolti alla città. Le tre porte bronzee, realizzate secondo un programma figurativo unitario nell'arco di più di un secolo, mostrano la storia dell'umanità e della Redenzione, come in una gigantesca Bibbia figurata. L'ordine narrativo, sconvolto dal cambiamento di posizione delle singole porte, va dalle Storie dell'Antico T Testamento estamento nella porta est, a quelle del 49

 

Battista nella porta sud, fino a quelle del Nuovo T Testamento estamento (Storie di Cristo) nella porta nord[10].

- Porta sud, di Andrea Pisano

La porta è suddivisa in 28 formelle, disposte su sette file di quattro, q uattro, con scene inquadrate da una cornice a losanga lobata (anche nota come «compasso gotico»). Le prime 20 formelle narrano episodi della vita di San Giovanni Battista, iniziando da quelle del battente sinistro e proseguendo poi nel battente destro, mentre le altre 8 recano personificazioni delle virtù teologali con quattro l'aggiunta dell'Umiltà nella penultima fila suitredue battenti, e delle virtù cardinali,(24), nell'ultima fila di formelle in basso[11]. Realizzata dal 1330 al 1336, con questa opera lo scultore aggiornò la tipologia dei portali romanici inserendo nelle ventotto formelle quadrate cornici mistilinee (il cosiddetto "quadrilobo"), tipiche dell'arte gotica, racchiuse a loro volta da altre cornici quadrate. Ne risulta una continua tensione, tra linee rette e spezzate. Per quanto riguarda le immagini vere e proprie, l'artista realizzò figure singole o gruppi con uno stile sobrio e raffinato, memore del gusto di Nicola e Giovanni Pisano. Ogni composizione rappresenta un'opera a sé stante, in cui da un fondo liscio si staccano i personaggi. 50

 

In particolare, la figura della Speranza, risponde appieno all'iconografia finora stabilita: è vista di profilo e il suo corpo è proteso verso il cielo, così come le sue braccia e il suo sguardo; anche se non si vede, si capisce che a porle la corona è un angelo; è anch'essa alata, ma al contrario dello slancio cheapervadeva la Virtù giottesca (presente nella cappella deglidi Scrovegni Padova), questa risulta seduta, sebbene il suo abito ricco panneggi, lasci presagire un leggero spostamento verso l'angelo. La cornice è stata portata a termine, su disegno di Lorenzo Ghiberti da suo figlio Vittorio Ghiberti, e dalla bottega. In essa si nasconde un messaggio teologico molto complesso che si può legare alle scene in vita (battente di destra per chi esce) e in morte (battente di sinistra) di Giovanni Battista[1 Battista[11]. 1]. La porta è coronata da un gruppo scultoreo, con il Battista col carnefice durante l'esecuzione e Salomè, di Vincenzo Danti (1571), restaurate nel 2008 e da allora conservate c onservate nel Museo dell'Opera del Duomo e sostituite da copie all'esterno[11]. Sulle colonne ai lati della porta sud sono scolpiti in leggero bassorilievo due rettangoli: sono due misure di lunghezza in uso nell'alto medioevo: il piede longobardo ("piede di Liutprando") e quello fiorentino[11]. fiorentino[11]. Poco più avanti, sul lato sud vicino all'abside, si vede incassato alla base, sull'esterno, un sarcofago scolpito, forse di epoca romana, con una scena di navi e persone, probabilmente la rappresentazione della vendemmia e del carico di botti su una nave

 

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- Porta nord

  In modo analogo alla porta di Andrea Pisano, anche questa è suddivisa in 28 formelle, con scene inquadrate dalla medesima cornice a losanga lobata. Le prime 20 formelle superiori narrano storie del Nuovo Testamento, e si susseguono nelle file su entrambi i battenti e a partire dalla fila inferiore; le ultime due file mostrano i quattro evangelisti (penultima fila) e quattro Dottori della Chiesa (ultima fila). Questa porta si trovava originariamente ad est e fu spostata poi a nord vista la  bellezza dell'ultima porta eseguita, la porta del Paradiso[13]. Sulla porta nord si trova il gruppo con la Predica del Battista, di Giovanni Francesco Rustici (1506-1511), opera in cui l'artista dimostrò tutto il suo apprezzamento verso gli effetti morbidi e chiaroscurali derivati dal suo maestro Leonardo da Vinci: Vinci: il dolce indicare l'alto del Battista è stato ad esempio messo in relazione con il San Giovanni del Louvre[13]. Sulla finestra centrale si trova l'emblema dell'Arte di Calimala, ovvero l'aquila che tiene con gli artigli una balla di mercanzie (il “torsello”

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-Porta del Paradiso (est), di Lorenzo Ghiberti

La porta è suddivisa in 10 ampi riquadri rettangolari, disposti su cinque file, ciascuno dei quali, con le incorniciature ornate da tondi con teste di profeti, occupa l'intera larghezza di un battente. I riquadri presentano scene dell'Antico Testamento, Testamento, che si susseguono su entrambi i battenti da sinistra a destra e dall'alto in basso[13]. La porta fu danneggiata dall'alluvione del 1966 e i rilievi sono attualmente sostituiti da copie, mentre gli originali, restaurati, si trovano nel Museo dell'Opera del Duomo. La porta è sormontata dal gruppo scultoreo del Battesimo di Gesù di Andrea Sansovino (1502) con angelo aggiunto di Innocenzo Spinazzi (1792). Presso la porta est (porta del Paradiso) sono presenti due colonne in porfido, attualmente spezzate, che furono donate da Pisa come ringraziamento per l'aiuto che Firenze le aveva prestato contro gli infedeli in una spedizione alle Baleari nel 1115.

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L'interno è a pianta ottagonale, con un diametro di 25,6 metri. La decorazione interna è ispirata agli edifici romani, come il Pantheon, con un ampio uso di specchiature marmoree policrome. È suddivisa, come all'esterno, in tre fasce orizzontali, la più alta però coperta dalla cupola, mentre la fascia mediana è occupata in daitrematronei. le e di pareti sono suddivise verticalmente zone perInferiormente mezzo di lesene colonne monolitiche in granito e in marmo cipollino di spoglio (come gran parte dei marmi del rivestimento), con capitelli c apitelli dorati che reggono l'architrave. Le pareti, tripartite da colonne e raccordate agli angoli da doppi pilastri scanalati in marmo, presentano un rivestimento marmoreo a due colori alternati in fasce e altre forme, bianco di Carrara e verde di Prato. Sopra le bifore si trovano tarsie geometriche, databili a prima del 1113, a giudicare dall'iscrizione sul sarcofago del vescovo Ranieri[14]. Il fonte battesimale in origine occupava il centro del pavimento, dove si trova un ottagono in cocciopesto. Il pavimento presenta tarsie marmoree di grande pregio, di gusto orientalizzante, con motivi geometrici, fitomorfi e zoomorfi spesso legati ad animali di fantasia, ispirati ai tessuti provenienti dal Mediterraneo meridionale e orientale. Essi furono realizzati in tutta probabilità dalle stesse maestranze che lavorarono anche, fino al 1207, in San Miniato al Monte[14]. Dal 1048, su iniziativa di Strozzo Strozzi, esisteva nel battistero un orologio solare: attraverso un foro praticato nella cupola, i raggi solari colpivano nel corso dell'anno i segni dello zodiaco su una lastra di marmo collocata presso la porta nord, il riquadro zodiacale che oggi è in corrispondenza della porta est, in seguito al rifacimento del XIII secolo. Sulla lastra è riportato il verso palindromo "en giro torte sol ciclos et rotor igne"[14]. Un'altra caratteristica del battistero che non ha riscontri nell'architettura romanico-gotica è la relazione architettonica tra le facciate, che – sia all'interno che all'esterno – non sono raccordate da nodi strutturali (gli attuali pilastri bicolori esterni sono un rifacimento: in origine erano in arenaria e separavano le facciate contigue incrostate di marmi), ma sono invece intese come unità bidimensionali indipendenti e solo accostate – all'interno addirittura separate da un vuoto angolare – in modo da esaltare l'architettura del battistero come puro solido geometrico. 54

 

L'altare maggiore è in stile neoromanico e venne creato da Giuseppe Castellucci ai primi del XX secolo recuperando frammenti originali e sostituendo il precedente altare barocco di Girolamo Ticciati con gruppo scultoreo raffigurante il Battesimo di Cristo e angeli (1732, oggi esposto nel Museo dell'Opera delin Duomo)[9]. Davanti all'altare grata lascia intravedere i sotterranei, cui si trovano gli scavi della una domus romana con pavimenti a mosaici geometrici, venuta alla luce durante gli scavi del 1912-1915 I mosaici più antichi sono quelli della volta dell'abside: vennero realizzati a partire dal 1225 dal frate francescano Jacopo. Al centro, entro una struttura a ruota decorata con elementi vegetali, è raffigurato l'Agnus Dei circondato dalla Madonna e da Apostoli e Profeti; ai due lati, San Giovanni Battista in trono (a sinistra) e la Madonna col Bambino in trono (a destra). Il rivestimento a mosaico della cupola fu impresa difficile e dispendiosa; i lavori iniziarono forse intorno al 1270 e si conclusero agli inizi del secolo successivo. Presenta otto spicchi ed è rivestita da mosaico su fondo dorato. Su una fascia superiore sono raffigurate le Gerarchie angeliche; su tre degli spicchi è raffigurato il Giudizio universale, dominato dalla grande figura del Cristo giudice: sotto i suoi piedi avviene la resurrezione dei morti, alla sua destra i giusti sono accolti in cielo dai patriarchi biblici, mentre alla sua sinistra si trova l'inferno con i suoi diavoli. Gli altri cinque spicchi sono suddivisi in altri quattro registri orizzontali, dove sono raffigurate a partire dall'alto: Storie della Genesi, Storie di Giuseppe, Storie di Maria e di Cristo e Storie di San Giovanni Battista. Furono impiegate, secondo alcuni, maestranze veneziane, coadiuvate sicuramente da importanti artisti locali che fornirono i cartoni, come Coppo di Marcovaldo, autore dell'Inferno, Meliore per alcune parti del Paradiso, il Maestro della Maddalena e Cimabue, cui sono attribuite le prime Storie del Battista. I mosaici dei matronei furono eseguiti tra il 1300 e il 1330 e raffigurano, sulle pareti e sulla volta, Angeli e Santi.

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4 - Il Gotico

E’ quella fase dell'architettura europea caratterizzata da particolari forme strutturali ed espressive, in un periodo compreso fra la metà del XII secolo e, in alcune aree europee, i primi decenni del XVI secolo. Diversamente da quanto avvenne per l'architettura romanica, definita policentrica e senza una regione europea che ad essa si possa definire come più rappresentativa, è invece quasi possibile identificare una località e un "padre" dell'architettura gotica. La ricostruzione del coro dell'abbazia di per Saint-Denis, vicino aSuger Parigi, nel 1137 è terminata nell'anno 1144 opera dell'abate Suger, , è iniziata infatti generalmente considerata come la data di inizio di questo stile, che da lì a poco si diffonderà prima nelle diocesi dell'Île-de-France e poi nel resto della Francia, in Inghilterra, nell'Impero e nel resto d'Europa, incontrando resistenze significative solo in Italia. Uno stile consapevolmente diverso da quello precedente, caratterizzato dall'uso intensivo di tecniche costruttive già usate (come l'arco a sesto acuto e la volta a crociera), ma in un sistema coerente e logico e con nuovi obiettivi estetici e simbolici. La novità più originale dell'architettura gotica è la scomparsa delle spesse masse murarie tipiche del romanico: il peso della struttura non veniva più assorbito dalle pareti, ma veniva distribuito su pilastri 56

 

all'interno e nel perimetro, coadiuvati da strutture secondarie come archi rampanti e contrafforti. Lo svuotamento della parete dai carichi permise la realizzazione di pareti di luce, coperte da magnifiche vetrate, alle quali corrispondeva fuori un complesso reticolo di elementi portanti. A part ire dai soli pilastri adifascio si romanico: dipana un gli sistema contrafforti piùpartire ampio e diversificato quello archi di rampanti, i ben pinnacoli, i piloni esterni, gli archi di scarico sono tutti elementi strutturali, che contengono e indirizzano al suolo le spinte laterali della copertura, con conseguente alleggerimento delle murature di riempimento, che presentano un numero maggiore di aperture. Ma la straordinaria capacità degli architetti gotici non si esaurisce nella nuova struttura statica messa a punto: gli edifici, svuotati dal limite delle pareti in muratura, poterono svilupparsi in uno slancio verticale, arrivando a toccare altezze ai limiti delle possibilità della statica. La cattedrale più alta costruita è quella di Beauvais le cui volte raggiungono un'altezza di ben 48,5 metri (la Cattedrale di Notre-Dame di Parigi ne misura 33). Questa caratteristica non fu una novità assoluta e si sviluppò probabilmente sviluppò probabilmente da chiese con verticalità preminente già nell'epoca romanica, in Normandia e in Inghilterra (che (che all'epoca formavano un'unità politica comune). Strumenti essenziali per questo sviluppo "aereo" furono: • l'uso massiccio dell'arco a sesto acuto in uso già in epoca romanica, per esempio in Borgogna e nell'Italia meridionale, (in Sicilia: ad ogiva, nel Duomo di Cefalù 1131) , che permette di scaricare il peso sui piedritti generando minori spinte laterali rispetto ad un arco a tutto sesto. Oltre alle minori spinte laterali, rispetto all'arco classico a tutto sesto quello acuto presenta una decisiva serie di vantaggi che gli architetti gotici hanno saputo sfruttare con grande senso pratico ed estetico e che gli derivano dal suo particolare schema geometrico. Esso, infatti, è costituito dall’intersezione di due archi di cerchio aventi lo stesso raggio, cosicché con la medesima curvatura è possibile realizzare archi con differenti ampiezze e altezze, come mostrato chiaramente da Villar Villard d de Honnecourt nel suo taccuino. Questa unificazione delle curvature permette un’elevata standardizzazione dei conci in pietra e delle armature 57

 

provvisorie, semplificando, economizzando e velocizzando in tutte le sue fasi il procedimento di costruzione, aspetti tanto più vantaggiosi se si tiene conto che tali strutture sono solitamente realizzate a grandi altezze, con tutte le difficoltà di cantiere che ciò comporta. La normalizzazione curvature degli archieconsente inoltre di livellare a piacimentodelle le basi e le chiavi di archi volte aventi ampiezze diverse, rendendo possibile coprire ambienti dalle piante più svariate e dunque una stupefacente varietà tipologica. La particolare forma dell’arco acuto, infine, approssima abbastanza  bene, dal punto di vista della pratica realizzazione, quella dell’ellisse, consentendo così di realizzare in maniera più agevole e precisa gli archi di intersezione fra volte incidenti, penetrazioni di finestre, ecc., così come anche le sagomature e i conci delle vele di riempimento.







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Tutto ciò si rivela decisivo nell'adozione della volta a crociera ogivale a pianta rettangolare (la cosiddetta “barlongue”) in alternativa a quella quadrata, che sancisce la definitiva differenza tecnica ed estetica tra la struttura romanica e quella gotica, consentendo a quest’ultima, insieme alle altre soluzioni esterne quali l’arco rampante, il contrafforte e il pinnacolo, la caratteristica riduzione della presenza muraria e l’elevazione delle altezze, a vantaggio delle penetrazioni luminose (finestre, rosoni, ecc.). ( la volta a crociera ogivale, che può creare anche campate rettangolari o poligonali invece di quadrate e con l'uso di nervature e costoloni. gli archi rampanti innestati su contrafforti esterni, che ingabbiano la costruzione disponendosi dinamicamente attorno a navate ed absidi. I pinnacoli (o guglie) collocati in posizioni strategiche sui contrafforti, elementi di cui, oltre all'indubbia valenza estetica, s’è riconosciuta una preziosa valenza strutturale in quanto riescono a ridurre le tensioni destate localmente dalle spinte del vento e delle volte, e a verticalizzare significativamente la direzione di queste ultime a vantaggio di statica.

 

In Inghilterra si ebbe in seguito un ulteriore sviluppo della volta a crociera con la volta a sei spicchi e poi a raggiera o a ventaglio: tutte soluzioni che permettevano una migliore distribuzione del peso a favore di una maggiore altezza. Ciò che rende affascinante l'architettura gotica ètecnologiche. la stretta corrispondenza fra idee estetiche e innovazioni L'obiettivo di rendere gli interni degli edifici sacri luminosi e ampi è raggiunto grazie all'utilizzo, sempre più perfezionato e rivoluzionario, dei principi costruttivi della volta a crociera e dell'arco acuto. L'integrazione di queste due tecniche permetterà la costruzione di flessibili campate rettangolari (non più soggette alla limitazione dell'impiego della forma quadrata come in età romanica) e la costituzione di organismi architettonici puntiformi, senza cioè che il muro abbia più funzioni portanti, svolte unicamente dai pilastri, riservando ai muri esterni una mera funzione di tamponamento. L'assenza di carico da parte della volta sui muri perimetrali, assorbito dai pilastri e dai contrafforti esterni, permetterà la sostituzione della pietra del muro col vetro delle finestre, che raggiungeranno dimensioni mai viste prima. Tutto il sistema di spinte e controspinte generato dalle volte a crociera e dai contrafforti, realizzati con pinnacoli e archi rampanti spostati all'esterno, costituirà un altro capitolo dell'estetica gotica, strettamente legata ad un pragmatismo strutturale che affascinerà gli ingegneri del ferro e dei nuovi materiali del XIX secolo. L'architettura gotica continentale viene suddivisa in diverse fasi: • Protogotico • Gotico classico • Gotico francese • Tardo gotico

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A)Basilica di Saint-Denis

l’esempio più importante di questa prima fase è la basilica di St. Denis essendo stata scelta come luogo dell’incoronazione, viene ristrutturata per l’occasione, era il borgo più importante dell’intera Neustria. Per l’occasione la chiesa viene trasformata in maniera da presentarsi in una dimensione degna di ospitare una cerimonia così illustre, é la chiesa che diventata sempre di più l’emblema dell’architettura francese per le epoche successive perché durante la sua esistenza continua ad avere un peso rilevante per le esperienze successive. Ha una grande trasformazione durante varie età fino ad assumere il ruolo attuale di grande chiesa gotica nel XIII secolo, questa fase ha completamente eliminato le preesistenze precedenti (solo con la guerra furono scoperte parti più antiche e si è potuto costruire le fasi di costruzione). La prima chiesa fu elevata nel 475 da Santa Genoveffa sulla tomba di San Dionigi, al quale era dedicata una chiesa semplice che radunava una serie di tombe oggetto precedentemente di un culto all’aperto, sorgeva infatti in un’area cimiteriale; questo nucleo si amplia in età carolingia, con la trasformazione di una chiesa in tre navate e conclusione absidale, in piena linea con le ricerche della basiliche romane.  Una seconda fase si può identificare quando la basilica di Santa Genoveffa sarebbe stata ampliata verso ovest intorno al 550 e chiusa da 60

 

questo lato da un profondo nartece rettangolare, destinato a pantheon della dinastia merovingia (come dimostra il ritrovamento della tomba della regina Aregonda e i resti della struttura con apparecchio murario regolare a piccoli blocchi). Secondo altri sarebbe stato Dagoberto ad ampliare la cappella nel 630 per ospitare la suabasilicale, tomba e aquella degli altri re merovingi, costruendo una chiesa a pianta tre navate, munita di coro ad est riccamente decorato e concluso da un’abside semicircolare. La riforma introdotta a metà dal VII secolo dalla regina Bathilde, contribuì a richiamare una folla sempre maggiore di fedeli presso la tomba di San Dionigi, in questo modo il monastero di ingrandì, creando una vera e propria cittadella monastica. Per la sua importanza a SaintDenis fu educato Pipino III, per volontà del padre Carlo Martello.  Nella terza fase si arriva alla chiesa carolingia, Fulrado amplia la chiesa preesistente la conoscenza nei dettagli dell’organismo carolingio appare difficile per le successive aggiunte, demolizioni ed alterazioni in genere avvenute durante i secoli; quello che gli studi dei vari studiosi e le fonti (in particolare nei Miracula sancti Dyonisii) ci permettono di dire è che la chiesa era articolata in tre navate divise da otto colonne da arcate e poggianti su basi squadrate e scolpite (le ( le cui diverse altezze lasciano supporre che i fusti delle colonne siano stati di altezza variabile, che potevano essere elementi di spoglio provenienti da altri edifici merovingi oppure deliberatamente utilizzati per affermare un senso di continuità storica). La larghezza complessiva era poco più di venti metri, con la navata centrale larga 10 e le navate laterali 5; l’interno della basilica era attraversato al centro da un muro trasversale che divideva la navate centrale dal transetto, questo si sviluppava ad est (trasversalmente all’asse del corpo basilicale, per una lunghezza di circa 28 metri). All’estremità orientale si trovava un’abside semicircolare traforata da una serie di finestre; l’abside sormonta una cripta semianulare con corridoio assiale come quelle romane, solo che qui la fossa “a caput” era sostituita da una piattaforma sulla quale erano posti i sarcofagi di San Dionigi e dei suoi discepoli.I resti della parte occidentale sono ancora più frammentari, secondo alcuni studiosi essa sarebbe stata costituita da 61

 

tra ambienti, corrispondenti alla divisione interna delle navate (destinati a luoghi di sepoltura); Carlo Magno avrebbe poi esteso questa parte, costruendo un blocco formato da sei ambienti e sormontati da due torri (che forse vennero ricostruite nell’XI secolo, prima dell’intervento dell’abate Suger). Nella chiesa carolingia fu realizzato uno dei primi esempi di transetto continuo, inspirato dalle due basiliche paleocristiane di San Pietro e San Paolo fuori le mura; il rimando a questo elemento architettonico era qualcosa di nuovo per la terra franca (abituata a prendere spunto dalle coste meridionali ed orientali del Mediterraneo). Si avverte però un diverso senso spaziale in quanto il veloce movimento orizzontale delle  basiliche romane è qui in qualche modo compromesso della presenza presenza di grandiosi volumi a più piani del presbiterio e della facciata (che si presentano adesso come due poli contrapposti). Un’altro elemento contraddistingue Saint-Denis da San Pietro a Roma, ovvero il fatto che nella basilica costantiniana il sistema transetto-coro è orientato ad ovest, mentre a Parigi est, in quanto i costruttori avevano utilizzato l’abside della vecchia struttura merovingia, Un’ondata di rimandi a Roma dovuta a motivi politici ma anche ideologici, perché andava l’idea di una renovatio imperi sotto l’egemonia del regno carolingio, questa politica era mal vista dalla curia romana, poiché il papato cominciava ad intravedere una autonomia da parte dell’impero, Carlo Magno inizia ad avere un’atteggiamento autonomo, questa doppia condizione si avverte anche nell’architettura come nell’abbazia di Lorsch nella quale appare evidente questo atteggiamento.

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B) Cattedrale di Noyon  Noyon 

La pianta è a croce latina. Il coro è costituito da tre campate rettangolari oltre al fondo semicircolare ed è circondato da un deambulatorio su cui si affacciano delle cappelle rettangolari nella parte rettilinea e semicircolari nella parte curvilinea, secondo raggi (chapelles all'incrocio disposte del transetto era ai pianta quadrata.rayonnantes). La volta I piloni di sostegno dell'incrocio del transetto e della prima campata del coro e del deambulatorio sono stati rafforzati e contraffortati inoltre dalla presenza delle scale che permettono di raggiungere le tribune del coro. In origine era infatti prevista la costruzione di due torri in questa posizione, che tuttavia non furono mai realizzate. Nelle dieci campate della navata i sostegni erano alternativamente pilastri a fascio, più robusti, e colonne, adatti alle originali volte a crociera ogivali esapartite. L'elevazione era costituita da quattro livelli: arcate verso le navate laterali, tribune (matroneo), triforio e finestre alte (claristorio). 63

 

In origine non erano previsti all'esterno archi rampanti che furono aggiunti nel XIV secolo in seguito al rifacimento delle volte della navata centrale, divenute rettangolari: le volte a crociera ogivali che coprono le tribune erano sufficienti a contraffortare le originarie volte esapartite. Le arcate delle tribune che si affacciano sulla navata centrale c entrale sono costituite da bifore ogivali, ornate da un oculo trilobato, mentre le arcate del triforio sono a tutto sesto e così le due arcate delle bifore che costituiscono le finestre del claristorio e le simili finestre delle navate laterali. Il coro presenta una simile elevazione a quattro livelli, con alcune differenze: le arcate delle tribune sono ugualmente bifore, ma prive dell'oculo, nella parte rettilinea, e sono a singola arcata ogivale nella parte curvilinea. Ugualmente le finestre del claristorio sono nel coro a una sola arcata a tutto sesto. I bracci del transetto, ciascuno a tre campate rettangolari, presentano presentano un'insolita terminazione absidata, probabilmente ispirata dalla cattedrale di Tournai. Tournai. In elevato sono presenti anche qui quattro livelli: finestre basse, triforio e due serie di finestre alte. Qui le arcate del triforio sono trilobate e quelle delle bifore che costituiscono le finestre sono ogivali. La navata è preceduta da una sorta di piccolo transetto in corrispondenza della facciata, con tre campate trasversali. Sulle navate laterali si aprono delle cappelle, dovute ad aggiunge successive: sei sul lato nord e tre più ampie e più tarde sul lato sud. Quella centrale del lato sud (cappella di Notre-Dame-de-Bonsecours) risale al XVI secolo ed è particolarmente ricca di decorazioni. Le navate laterali, il deambulatorio e le cappelle del coro sono tutte coperte da volte a crociera ogivali. I capitelli sono decorati da foglie d'acanto e da foglie lisce con cima ricurva. Le chiavi di volta, in particolare nel deambulatorio, sono ornate da teste e motivi decorativi scolpiti. La facciata, preceduta da tre arcate di un portico che inquadrano i portali, aveva sculture andate per la maggior parte perdute. Le lunette dei portali recavano rilievi con il Giudizio universale (portale centrale) e con Morte, risurrezione e trionfo della V Vergine ergine (portale sud). 64

 

C) La cattedrale di Laon

Ma la vera innovazione architettonica e compositiva appare nella cattedrale di Laon, costruita fra il 1160 ed il 1204, con torre lanterna, quattro torri, coro rettangolare e la facciata che diventerà prototipo di fronti altogotiche. La scelta compiuta a Laon è quella di realizzare un’immagine dell’interno omogenea e fortemente segnata, riducendo l’ampiezza delle campate, marcando in modo decisivo le linee verticali ed articolando tutto l’insieme, per ottenere una lunga fuga prospettica lungo la navata, svolta secondo un ritmo scandito e serrato. La prevalenza di questa soluzione è così marcata che la forma esapartita delle volte e la differenza fra i fasci di colonnini non riescono ad incidere sugli effetti d’insieme. Un corpo longitudinale tripartito con navata centrale molto più ampia e alta che conduce verso un transetto ampio è tripartito esattamente come il corpo ed esso perpendicolare; all’edificio è possibile accedere ac cedere anche dai due bracci dei transetti dotati anch’essi, come la facciata principale di due torri e di un nartece a quattro campate. Le pareti della navata mediana sono scandite su quattro livelli: arcate a tutto sesto, forum, f orum, triforio e ampie finestre.

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Il coro a terminazione dell’edificio, inizialmente a tre navate, è stato ingrandito a dieci, di conseguenza il transetto interseca il corpo longitudinale quasi al centro.

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E) Cattedrale di Notre-Dame di Parigi

La cattedrale di Parigi, costruita tra il 1163 e il 1250, è stata una delle prime grandi chiese gotiche, venuta immediatamente dopo la ricostruzione del coro della basilica di Saint-Denis da parte dell'abate Sugerio, considerato il "padre" del gotico.[114] Notre-Dame, a sua volta, divenne esempio per moltissime costruzioni gotiche successive.[17] La cattedrale ha pianta a croce latina con transetto poco sporgente, profondo coro terminante con un'abside semicircolare e cinque navate; le quattro navate laterali si congiungono intorno all'abside formando un doppio deambulatorio. La cattedrale parigina si presenta in uno stile non ancora del tutto maturo, ancora con elementi di derivazione romanica, tra cui soprattutto le colonne cilindriche: la sua navata, infatti, non risulta slanciata e luminosa come quella delle cattedrali del gotico maturo, in cui i pilastri polistili permettono la presenza di volte più alte e di grandi vetrate;[116]  con l'aggiunta delle cappelle, non presenti nel progetto originario, venne meno l'illuminazione delle navate laterali e quindi si dovettero sostituire sostituire le monofore della navata centrale con più grandi bifore.[117] Notre-Dame presenta anche alcune differenze rispetto alla basilica di Saint-Denis, come nell'area del deambulatorio, doppio per entrambe le chiese, dove nella prima le cappelle radiali sono ben definite, mentre nella seconda sonoqueste leggermente integrate campate, condividendo  inoltre con la voltasporgenti a crociera;ed vi è nelle la presenza di un matroneo ben

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definito, differente da quello della cattedrale di Sens (delle bifore che danno su un locale sottotetto)[119] e con finestre più articolate rispetto a quelle del matroneo della cattedrale di Noyon (bifore nella navata e nel coro, monofore nell'abside). Un elemento architettonico peculiare della cattedrale di Parigi sono gli archi rampanti, secondo alcuni autori qui sperimentati per la prima volta;[121] secondo altri, invece, sarebbero stati utilizzati per la prima volta nella chiesa abbaziale di Saint-Germain-des-Prés, poco distante da Notre-Dame, il cui coro venne consacrato nel 1163 da papa Alessandro III.[122] La struttura della cattedrale è interamente in calcare luteziano, pietra tipica dell'area di Parigi, con malta di calce come legante.[123] La facciata principale della cattedrale è rivolta ad ovest[26] e venne costruita a partire dall'episcopato di Eudes de Sully, Sully, successore di Maurice de Sully ma con lui non imparentato:[3] iniziata nel 1208, venne completata nel 1250 con la costruzione della torre sud.[14] È leggermente inclinata verso sinistra, a causa del cedimento delle fondamenta.[126] Il prospetto della cattedrale misura 43,5 metri di larghezza e 45 di altezza (escluse le torri) ed è suddiviso in quattro ordini orizzontali da cornicioni.[127] In basso, si aprono i tre portali, che da sinistra sono il portale della Vergine Vergine (l'unico dei tre sormontato da una ghimberga), il portale del Giudizio universale e il portale di Sant'Anna.[128] Essi sono ogivali e strombati e le porte sono divise in due fornici da un trumeau. I portali sono alternati a contrafforti quadrangolari, ciascuno dei quali decorato da una nicchia all'interno della quale vi è una scultura, risalente ai restauri ottocenteschi; le statue nelle nicchie raffigurano, da sinistra, Santo Stefano,[130] l'Allegoria della Chiesa[131] (con in mano la croce e il calice), l'Allegoria della Sinagoga [132] (con gli occhi bendati da un serpente) e San Dionigi.[26][133] Al di sopra dei portali, si apre la galleria dei Re,[134] costituita da 28 statue dei re di Giudea separate da colonnine. Più in alto, vi sono tre finestre, al centro un rosone e ai lati due bifore, precedute da una balconata con balaustra. L'ultimo livello della facciata è costituito da una serie di slanciate bifore sorrette da colonne con capitelli scolpiti, sormontata da una balconata detta galleria delle Chimere, posta a 46 metri di altezza e così chiamata per le statue

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raffiguranti delle chimere volute da Eugène Viollet Viollet-le-Duc; -le-Duc;[135] tra queste, ve n'è una raffigurante Strige che, nelle leggende dell'antica Roma, era un uccello notturno di cattivo auspicio che si nutriva di sangue e carne umana.

Il portale del Giudizio universale è il portale centrale della facciata occidentale. È il più recente dei tre portali della facciata e venne realizzato tra il 1210 e il 1240; nel 1771-2, su progetto di Jacques-Germain Soufflot venne alterato con la creazione di un unico fornice e ricondotto alle caratteristiche originarie durante il restauro ottocentesco diretto da Viollet-le-Duc. A ridosso del trumeau vi è la statua detta Le Beau-Dieu (in italiano: il Dio bello), opera di Adolphe-V Adolphe-Victor ictor Geoffroy-Dechaume che la realizzò su disegno di Viollet-le-Duc. Essa raffigura Cristo in posizione eretta, con la mano destra in atto di benedizione e la sinistra che tiene il libro dei Vangeli, Vangeli, e poggia su un piedistallo raffigurante le Arti liberali. Nella parte inferiore della strombatura vi sono dodici statue, sei per lato, raffiguranti i Dodici Apostoli, rifacimento ottocentesco di quelle originarie, distrutte durante la Rivoluzione francese.[138] Al di sotto di esse si trovano ventiquattro bassorilievi disposti su due ordini sovrapposti e raffiguranti dodici virtù (ordine superiore, rappresentate come figure femminili) a ciascuna delle quali è correlato il rispettivo vizio (ordine inferiore, rappresentate attraverso concrete scene di peccato).[139] L'archivolto è decorato con le Schiere celesti, ad eccezione

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della fascia inferiore di destra, ove vi è una raffigurazione dell'Inferno, alternato a due dei cavalieri dell'Apocalisse.[138] La decorazione della lunetta, ordinata su tre fasce decorative sovrapposte, tratta il tema del giudizio finale in riferimento ai capitoli 24 e 25 del Vangelo secondo Matteo. Nell'architrave è raffigurata la risurrezione dei morti che, svegliati da due angeli che suonano la tromba, escono dalle rispettive tombe.[140] Nella fascia decorativa superiore vi sono, al centro, l'arcangelo Michele e Satana che, con una  bilancia, pesano le anime,[25] tra i beati (a sinistra) e i dannati (a destra). [138] In alto, al centro, assiso in trono, si trova Cristo giudice, vestito con una tunica che lascia vedere le stigmate, i cui piedi poggiano sulla Gerusalemme celeste; ai suoi lati stanno, in piedi, due angeli che portano i segni della sua Passione: la Croce (angelo di destra) e i chiodi e la Lancia di Longino (angelo di sinistra). [141] Alle due estremità sono raffigurati la Madonna e Giovanni Evangelista inginocchiati. Gran parte delle sculture dei due ordini inferiori sono state distrutte nel 1771 da Soufflot e ricostruite nel secolo successivo in base ai disegni di quelle originarie.[138] Alcuni frammenti del primitivo apparato decorativo a rilievo sono attualmente esposti presso il Museo di Cluny Cluny..[142]

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Il portale della Vergine è il portale di sinistra della facciata. Venne realizzato tra il 1210 e il 1220 e, danneggiato durante la Rivoluzione francese, è stato ripristinato nel corso dei restauri ottocenteschi.[143] La decorazione a rilievo della lunetta è disposta su tre ordini sovrapposti. vi è, al centro,gotico la raffigurazione dell'Arca ai dell'AlleanzaNell'architrave posta sotto un baldacchino sorretto da colonnine; lati, trovano posto a sedere a sinistra tre profeti e a destra tre re di Giudea, con in mano le prefigurazioni della venuta di Cristo.[144] Nella fascia superiore è raffigurata la scena della dormizione di Maria, ovvero la teoria sostenuta da una parte dei teologi, che Maria non sarebbe veramente morta, ma sarebbe soltanto caduta in un sonno profondo prima di essere assunta in cielo.[145] Al centro della scena, vi è il corpo di Maria che viene sollevato dal sepolcro da due angeli per essere portato in Paradiso; intorno e alle spalle di esso si trovano gli apostoli[143] tra i quali all'estrema sinistra Paolo, sotto un fico, e Pietro e, all'estrema destra, sotto un olivo, Giovanni. Al centro, Gesù che indica il ventre della madre, dal quale venne generato.[146]  Nella parte superiore della lunetta, è raffigurata l'Incoronazione di Maria: la Madonna siede in trono di fianco a Cristo e viene da lui  benedetta e le consegna lo scettro, mentre mentre un angelo pone sulla sua testa una corona. Ai lati, due angeli cerofori inginocchiati.[143] Nella parte inferiore della strombatura si trovano otto statue, ciascuna delle quali è sormontata da un baldacchino con arco trilobato e alta guglia. Quelle di sinistra raffigurano, dall'esterno, l'imperatore Costantino e San Dionigi, affiancato da due angeli e con la testa in mano, simbolo del suo martirio;[147] a destra, dall'esterno, sono raffigurati San

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Silvestro papa, Santa Genoveffa, Santo Stefano e San Giovanni Battista. [148] Intorno alla porta e sotto le statue sono raffigurati il ciclo della vita dell'uomo con i segni zodiacali, i mesi dell'anno e le stagioni.[149]  L'archivolto è decorato con figure fi gure di santi ricostruite durante il restauro del XIX secolo.[144] Il trumeau è decorato con una statua raffigurante la Madonna col Bambino, strettamente collegata alla soprastante Arca dell'Alleanza in quanto Maria è, come l'arca, il frutto di una promessa fatta da Dio al suo popolo[143] e alle sculture sottostanti, in quanto nuova Eva.[150] La statua poggia su piedistallo poligonale con episodi di Adamo ed Eva nel Giardino dell'Eden: a sinistra la creazione di Eva da una costola di Adamo (Gen 2,20-22), al centro la tentazione di Adamo ed Eva (Gen 3,1-7) e a destra la cacciata di Adamo ed Eva (Gen 3,22-24); nella scena della tentazione, al posto del serpente nel ruolo di tentatrice si trova Lilith, personaggio non presente nel racconto biblico ma in alcuni miti mesopotamici e babilonesi; secondo gli antichi ebrei Lilith sarebbe stata la prima moglie di Adamo, poi ripudiata per aver rifiutato di essere sottomessa al marito, ed in seguito a ciò sarebbe diventata un demone notturno.[151]  

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Portale di Sant'Anna

Il portale di Sant'Anna è il portale di destra della facciata occidentale. È il più antico dei tre ingressi e l'apparato scultoreo venne realizzato tra il 1140 e il 1150 per uno spazio più piccolo ed in seguito completato.[152]  Anche questo portale subì danneggiamenti durante la Rivoluzione francese e venne restaurato nel XIX secolo. L'apparato decorativo scultoreo della lunetta tratta di Maria e dei suoi genitori Anna e Gioacchino ed è articolato su tre piani sovrapposti. Nell'ordine inferiore, scolpito nel XIII secolo per raccordare la decorazione già esistente al nuovo portale, sono raffigurate Scene del matrimonio di Gioacchino ed Anna;[153] in quello mediano, invece, del XII secolo, da sinistra l'Annunciazione a Maria, la Visitazion Visitazionee ad [152]

Elisabetta, Natività di Gesù, l'Annuncio ai Pastori, Erode e i minori Magi.   Nella partelasuperiore, all'interno di una lunetta di dimensioni rispetto a quelle della lunetta del portale, è raffigurata al centro, sotto un  baldacchino, la Madonna in trono col Bambino, con ai lati due angeli turiferari e, alle estremità della composizione, il vescovo Maurice de Sully con il decano del capitolo Barbedour e, sul lato opposto, inginocchiato, Luigi VII;[154] secondo un'altra interpretazione, potrebbero essere il vescovo San Germano e il re Childeberto I.[153] Intorno alla lunetta del XII secolo vi è un rilievo del secolo successivo con ai lati elementi vegetali e al centro due angeli. Alla baseindella trovano luogo otto statue ottocentesche disposte duestrombatura gruppi di quattro ciascuna: quelle di sinistra,

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dall'esterno, raffigurano il profeta Elia, la vedova di Sarepta (Lc 4,25), Salomone e Pietro apostolo; quelle di destra, dall'esterno, il profeta Isaia, una Sibilla, (oppure un re e Betsabea),[153] il re Davide e Paolo apostolo. Il trumeau presenta una statua raffigurante San Marcello che schiaccia il drago;[155] le[153] due porte dispongono di finiture in ferro battuto risalenti al XIII secolo. Galleria dei Re

La galleria dei Re è posta al di sopra dei portali e consiste in un loggiato formato da ventotto archi trilobati poggianti su colonnine; all'interno di ciascuno di essi si trova una statua, alta 3,5 metri,[160] raffigurante uno dei re di Giudea;[161] sebbene questi siano stati venti, probabilmente il loro numero venne arbitrariamente accresciuto fino a farlo coincidere con quello dei re di Francia fino a Filippo il Bello.[162] L'unico re identificabile è Davide, il quattordicesimo da sinistra, che poggia i piedi sopra un leone.[162] Gli archi sono disposti asimmetricamente nei tre campi dettati dai quattro contrafforti della facciata: al centro e a sinistra sono in gruppi di otto, mentre a destra sono sette.[161] Le statue attualmente visibili risalgono al restauro ottocentesco e furono realizzate su disegno di Eugène Violle Viollet-le-Duc t-le-Duc dopo che quelle originarie erano andate distrutte nel 1793 durante la Rivoluzione francese in quanto ritenute raffigurazioni dei re di Francia;[162] i resti di quest'ultime furono fortuitamente rinveuti nel 1977 durante i lavori di restauro nei sotterranei della sede della Banque Française du Commerce Extérieur in rue de la Chausséè-d'Antin, nel IX arrondissement,[163] e attualmente sono esposti presso il Museo di Cluny Cluny.. Al di sopra della galleria dei Re vi è una balaustra con archetti ogivali poggianti su colonnine dai capitelli scolpiti.

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Alle sue spalle trovano luogo alcune sculture: in corrispondenza del rosone, vi è un gruppo scultoreo ottocentesco composto da una Madonna col Bambino fra due Angeli cerofori; in corrispondenza di ciascuna delle due grandi bifore laterali, Adamo (a sinistra) ed Eva (a (a destra). Al di sopra della galleria dei Re, in asse con il portale del Giudizio universale, si apre il rosone, che dà luce alla navata centrale della cattedrale ed è il punto focale di tutta la facciata;[127] il suo diametro è di 9,7 metri.[124] La vetrata venne realizzata intorno al 1220, e fu oggetto di restauro nel XVI secolo; venne in gran parte rifatta nel corso dei restauri di Viollet-le-Duc.[165] L'iconografia è incentrata sulla celebrazione del mistero dell'Incarnazione, della quale è simbolo la creazione stessa. La composizione è dominata dai numeri 3 e 12, ripresi dallo Speculum Maius di Vincenzo di Beauvais, opera in cui essi rappresentano rispettivamente il mondo di Dio e l'Incarnazione.[166] L'iconografia[167] si sviluppa su tre cerchi concentrici con, nel mezzo, la Madonna in trono col Bambino.[168] Nel cerchio interno, sono raffigurati dodici profeti; in quello mediano, entro ventiquattro tondi, vi sono i vizi e i segni zodiacali; in quello esterno, entro altrettanti campi a forma di croce c roce greca con angoli smussati, si trovano le virtù e i mesi dell'anno. Al di sopra della galleria delle chimere, si elevano le due torri campanarie a pianta quadrangolare, leggermente asimmetriche, con quella di destra (torre sud, terminata nel 1250) leggermente più stretta rispetto a quella di sinistra (torre nord, terminata nel 1240). [169] All'altezza del cleristorio della navata centrale della chiesa, all'interno di ciascuna delle due torri, vi è una sala coperta con volta a crociera con otto vele ed illuminata dalla rispettiva bifora di facciata posta al fianco del rosone.[135] Esternamente sono caratterizzate dalle celle campanarie che danno sull'esterno con due monofore ogivali per ogni facciata. Il coronamento, che si trova a 69 metri di altezza dal suolo[124] e che si raggiunge tramite 378 gradini,[125] è piano, con un basso tetto ad ottuplo spiovente di dimensioni minori e balaustra scolpita decorata con gargolle.

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Secondo vari architetti e studiosi, tra i quali Eugène V Viollet-le-Duc, iollet-le-Duc, nel progetto originario era previsto un coronamento a cuspide, come nelle altre cattedrali gotiche francesi.[170] Lo stesso Viollet-le-Duc aveva presentato un progetto per realizzare tale copertura ispirata alla cuspide della torre di destra della cattedrale di Chartres, che però non venne eseguito.[49] Le fiancate della cattedrale rispecchiano la struttura interna della chiesa, a cinque navate con matroneo e cappelle laterali,[20] con tre livelli distinti: il più alto corrisponde al cleristorio della navata centrale; quello intermedio corrisponde al matroneo con finestre a lunetta ogivale; quello inferiore corrisponde alle cappelle, con quadrifore fornite di ghimberga. Le cappelle sono ricavate nello spazio tra i contrafforti.[171] Questi sono a pianta rettangolare e sono sormontati da pinnacoli aggiunti nel XIV secolo[172] e restaurati ed in parte ricostruiti da Eugène Viollet Viollet-le-Duc. -le-Duc.[52] I contrafforti vennero costruiti insieme agli archi rampanti a partire dal 1220 per assolvere ad un doppio scopo: il primo di carattere statico, il secondo di carattere pratico.[121]  Poiché erano state aperte nel cleristorio della navata centrale grandi  bifore al posto del doppio ordine di rosoni rosoni e monofore, i contrafforti e gli archi rampanti avevano il compito di rafforzare la struttura scaricando al suolo le spinte dell'edificio.[173] Dal punto di vista pratico, gli archi vennero concepiti ed utilizzati anche come scolo delle acque meteoriche[171] e perciò dotati di una gargolla, un doccione avente le sembianze di un mostro.[174] Gli archi rampanti sono doppi: quello superiore corrisponde alla navata centrale, quello inferiore al matroneo. L'abside, costruita tra il 1163 e il 1180, è la parte più antica della cattedrale ed è stata rimaneggiata nel XIII secolo con la costruzione delle cappelle radiali, dei contrafforti e degli archi rampanti.[14] L'abside si articola su tre livelli che seguono la struttura interna della chiesa:[207] quello inferiore corrisponde alle cappelle radiali e alla navata esterna del deambulatorio ed è caratterizzato da quadrifore, ciascuna sormontata da una ghimberga; quello mediano, costituito dal matroneo presenta delle trifore, anch'esse con ghimberga; l'ultimo corrisponde al cleristorio dell'abside, formato da alte bifore leggermente strombate.[117]

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Gli archi rampanti, in totale quattordici, sono frutto di un rifacimento trecentesco di quelli del XIII secolo ed hanno un raggio di 15 metri.[173]  La loro particolarità è quella di essere doppi, con un unico contrafforte sormontato da un pinnacolo che serve due archi: l'arco superiore, più ampio rispetto a quello inferiore, collega il contrafforte alla navata centrale, quello inferiore al matroneo; in corrispondenza della cappella centrale, vi sono due piccoli archi disposti ad angolo acuto.[121] Non si ha la certezza se gli archi rampanti dell'abside e del transetto siano stati costruiti contemporaneamente o successivamente rispetto alla chiesa; tuttavia, secondo l'ipotesi più accreditata, essi furono costruiti soltanto in un secondo momento, a partire dal 1230, essendo la struttura in grado di sorreggersi autonomamente.[208] Sino all'incendio del 15 aprile 2019 che lo ha distrutto integralmente, il tetto della cattedrale era ancora quello originario, sostituzione della copertura provvisoria dei tempi del vescovo Maurice de Sully (il quale alla sua morte lasciò per la sua costruzione 50.000 livre tournois) terminata nel 1326 con l'installazione delle tegole, costituite da lastre di piombo con uno spessore di 5 millimetri; il suo peso totale era di 210.000 chilogrammi. Per la realizzazione del telaio di sostegno della copertura, in legno di quercia, è stato stimato l'impiego di circa 1.300 querce, q uerce, corrispondenti a 21 ettari di foresta. Esso, insieme a quello della chiesa di Saint-Pierre-deMontmartre (1147), (1147), era uno dei più antichi della città, essendo stato ricostruito a partire dal 1220 con il materiale (risalente all'VIII o al IX secolo) di uno più antico. Dei telai originari, realizzati tra il 1220 e il 1240, erano rimasti quelli nell'area della navata e del coro, mentre quelli del transetto e di sostegno alla flèche erano frutto della ricostruzione ottocentesca, sotto la direzione di Eugène Violl Viollet-le-Duc. et-le-Duc. L'inclinazione dei due spioventi era di 55° e, lungo la linea di colmo si trovava un fregio metallico riccamente decorato.[209] Sulla crociera, in corrispondenza dell'incontro tra il tetto del transetto, quello del coro e quello della navata centrale, si elevava la flèche. La struttura originaria, costruita nel 1250 circa con la funzione di terzo campanile, era stata demolita nel 1792.[210] Successivamente ne fu costruita un'altra nel 1858-1859 dal carpentiere Bellu e dagli Ateliers

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Durand su disegno di Eugène Viollet-le-Duc, che si era ispirato alla cattedrale di Orléans; è andata completamente distrutta nel corso dell'incendio del 15 aprile 2019.[211] La flèche ottocentesca aveva un'altezza di 45 metri e pesava 750 tonnellate. La struttura portante in legno era appoggiata direttamente sui quattro pilastri della crociera. La sua base era costituita da un doppio ordine di finestre, bifore in quello inferiore e monofore in quello superiore. La copertura degli spioventi e l'intero rivestimento esterno della guglia erano in piombo.[212]  Sulla sua sommità, a 96 metri di altezza da terra, si trovava una statua in rame raffigurante un gallo (danneggiata ma non distrutta dall'incendio[213]), contenente una spina tratta dalla Corona di spine e due reliquie di san Dionigi, di santa Genoveffa ivi collocate nel 1935 su iniziativa dell'arcivescovo di Parigi cardinale Jean Verdier.[210] La flèche era affiancata da quattro gruppi di statue in rame realizzate da Adolphe-Victor Adolphe-V ictor Geoffroy-Dechaume e raffiguranti i dodici apostoli (le tre statue interne di ciascun gruppo, alte ciascuna quasi 3 metri[214]) e i simboli dei quattro evangelisti (la statua più esterna di ogni gruppo);[210]  a differenza di tutte le altre, che erano rivolte verso la città, la statua di San Tommaso, Tommaso, il cui volto riproduce le fattezze di Eugène Viollet-le-Duc, era girata verso la guglia.[215] Le sculture sono sopravvissute all'incendio del 15 aprile 2019 in quanto erano state rimosse quattro giorni prima per il restauro.[216] La navata maggiore, alta 32 metri e larga 12,[124] si articola in cinque campate, ciascuna delle quali è coperta da una volta a crociera a sei vele; le navate laterali, invece, sono coperte con c on volta a crociera a quattro vele ed hanno ciascuna otto campate; sotto ognuna delle due torri della facciata occidentale si trova un'unica campata quadrata con volta a crociera a otto vele, comune alla coppia di navate laterali corrispondenti. [20] Nella prima campata della navata esterna di destra, addossato alla parete, si trova il cosiddetto Crocifisso di Napoleone III; la scultura, commissionata da Napoleone III di Francia, è in bronzo e poggia su una colonna marmorea.[217] Sul lato opposto, nella prima campata della navata esterna di sinistra, vi è una statua marmorea raffigurante la Madonna col Bambino, di scultore anonimo, sostenuta anch'essa da una

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colonna.[218] La prima campata della navata centrale è occupata dalla cantoria in pietra che sorregge l'organo maggiore, con parapetto ligneo scolpito, ricostruita su progetto di Viollet-le-Duc.[219] Sotto la settima arcata di destra della navata centrale, si trova il pulpito ligneo neogotico, anch'esso realizzato su progetto di Viollet-le-Duc.[33]  A ridosso del pilastro pilastro di destra della crociera, nella navata centrale, si trovava la statua equestre di Filippo il Bello, poggiante su una piattaforma sorretta da due colonne; la scultura, distrutta durante la Rivoluzione francese, era stata offerta dal re come ex voto dopo la vittoria ottenuta presso Mons-en-Pévèle nel 1304 contro le truppe della Contea delle Fiandre.[220] Sotto l'arcata che divide la navata laterale interna di destra dal transetto, a ridosso del pilastro di sinistra, vi è il Memoriale dei soldati dell'Impero  britannico morti durante la prima guerra mondiale, una lapide ornata con lo stemma reale del Regno Unito che commemora il milione di soldati britannici morti in Francia e per la maggior parte ivi sepolti. L'inaugurazione si tenne il 7 luglio 1924 1 924 alla presenza dell'allora principe di Galles il futuro Edoardo VIII del Regno Unito.[221] Lapidi similari si trovano in diverse altre cattedrale francesi (la prima venne apposta nel 1922 dalla Commonwealth War Graves Commission nella cattedrale di Amiens) e nel 1926 ne venne collocata una all'interno dell'abbazia di Westminster, a Londra.[222] Le navate sono divise da pilastri di forme differenti. I cinque pilastri più vicini al transetto, risalenti alla fine del XII secolo, sono quelli più antichi e riprendono la forma cilindrica di quelli dell'abside e del coro; la parte superiore è costituita da un capitello scolpito con foglie d'acanto.[223] I quattro pilastri più vicini alla facciata, invece, vennero costruiti intorno al 1220 e, mentre i primi tre sono polistili, il quarto riprende la forma dei pilastri antichi con l'aggiunta di una colonnina dalla parte della navata centrale; anche gli otto pilastri del XIII secolo terminano in alto con capitelli con foglie d'acanto.[223] I lampadari risalgono al XIX secolo e sono in bronzo dorato.[224] Al di sopra delle navate laterali interne, vi è il matroneo, coperto da volta a crociera con quattro vele, che affianca il transetto e continua intorno all'abside e il coro. Le due gallerie, nell'area relativa al

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piedicroce, si aprono sulla navata centrale con trifore ogivali (nella prima campata con una bifora per lato). Soltanto le finestre del matroneo di destra dispongono di un'ulteriore apertura circolare, nel caso delle trifore sopra il fornice centrale, nel caso delle bifore in asse con la colonnina.[225]  Il matroneo è illuminato dall'esterno attraverso delle finestre a forma di lunetta ogivale all'interno della quale si articolano più rosette circolari (solo nella prima campata si trova una monofora); le vetrate che le chiudevano vennero realizzate negli anni 1960 da Jacques Le Chevallier contemporaneamente a quelle della navata centrale.[56] Il cleristorio della navata centrale è costituito da due finestre per parete per ciascuna campata (ad eccezione della prima, priva di aperture all'infuori di due piccoli oculi a forma di quadrilobo); esse sono di tre tipologie: monofore, bifore e rosoni. Le monofore appartengono al cleristorio originale del XII secolo e sono poste all'inizio e alla fine della navata; nei pressi del transetto, sotto di esse vi sono dei rosoni che non danno sull'esterno, ma su un ambiente sottotetto;[20] la ricostruzione del cleristorio originario è frutto dei restauri ottocenteschi.[226] le bifore, in totale sei per lato, vennero aperte tra il 1225 e il 1250 per favorire una migliore illuminazione dell'interno della navata.[14] Le vetrate, rimosse dopo l'incendio dell'aprile 2019, vennero realizzate in stile astratto da Jacques Le Chevallier tra il 1952 e il 1967 ed installate tra il 1963 e il 1967,[227] contemporaneamente a quelle del matroneo, e sono tutte l'una diversa dall'altra.[228] Esse sostituivano quelle settecentesche, trasparenti con bordo blu decorato con gigli e monogrammi mariani, installate in luogo di quelle del XIII secolo, policrome, che raffiguravano personaggi stanti.[229] Le vetrate attuali, realizzate a partire dal 1964 e occupanti complessivamente una superficie di oltre 400 metri quadri,[230] furono ideate in progressione, dalla controfacciata, dove predomina il colore  blu, al transetto, dove vi è prevalenza del colore rosso, rosso, avendo come tema la Gerusalemme celeste in relazione al XX secolo.[56] L'artista volle tradurre in un linguaggio moderno quello delle antiche vetrate medioevali, anche per ovviare all'aspra polemica che era stata suscitata dalla volontà di installare opere di arte contemporanea all'interno di un

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monumento storico. Lungo le navate laterali esterne, si aprono varie cappelle, ricavate intorno al 1225 nello spazio tra i contrafforti:[231] nell'area del piedicroce esse sono complessivamente quattordici, sette per lato, a pianta quadrangolare, coperte con volta a crociera a quattro vele e illuminate ciascuna da una bifora o quadrifora esternamente sormontata da una ghimberga.[20] Le vetrate a grisaille (presenti in tutte le cappelle eccetto quella di Sant'Anna) furono realizzate nel 1864-1865 su disegno di Eugène Viollet-le-Duc Viollet-le-Duc da Édouard Didron (cappelle di sinistra) e Alfred Gérente (cappelle di destra). Tra il 1630 e il 1707, quasi ogni anno, la corporazione degli orafi parigini donò alla cattedrale il 1º maggio, come omaggio alla Madonna, un dipinto con scene tratte dagli Atti degli Apostoli; tali pitture, chiamate Mays, erano in totale settantasei e trovavano collocazione nelle cappelle laterali, nelle cappelle radiali e sopra le arcate della navata e del deambulatorio; attualmente rimangono nella cattedrale tredici dipinti, situati nel transetto e nelle cappelle del piedicroce.[232] La prima cappella di sinistra, già dedicata a san Leonardo, è il battistero; [233] al centro di essa si trova il fonte battesimale (1860), realizzato in  bronzo dallo scultore Louis Bachelet su disegno disegno di Eugène V Viollet-leiollet-leDuc; caratterizzato dalla forma a quadrilobo della vasca, la quale è sorretta da colonnine, è decorato alla base dalle statue degli Evangelisti ed è sormontato da una statua raffigurante raf figurante San Giovanni Battista.[234] Di fianco al fonte, si trova il cero pasquale, poggiante su un candelabro in stile moderno, opera di Jean e Sébastien Touret.[235] Sulle pareti laterali dell'ambiente si trovano due dipinti: a sinistra vi è la Discesa dello Spirito Santo di Jacques Blanchard, donata dalla corporazione degli orafi per il maggio 1634;[236] a destra, invece, l'Adorazione dei pastori di  Jérome Francken (1585).[237] La seconda cappella di sinistra è dedicata a san Carlo Borromeo;[238]  all'interno di essa si trovano due dipinti: sulla parete di sinistra vi è uno dei quadri dono della corporazione degli orafi, raffigurante San Paolo che acceca il falso profeta Barjesu e converte il proconsole Sergio, di [239]

Nicolas Loirdi(1650);  sulla raffigurante parete di destra, soprastante vi èdel una tavola Lubin Baugin, raffi gurante la Pietà, risalentel'altare, alla metà

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XVII secolo.[240] Davanti alla quadrifora, poggiante su un piedistallo, vi è una statua marmorea raffigurante San Carlo Borromeo realizzata nel 1867 da Adolphe-Victor Geoffroy-Dechaume Geoffroy-Dechaume che prese come modello il canonico e arciprete della cattedrale Claude-Marie-Charles Deplace.[241] Monumento funebre di Léon-Adolphe Amette di Hippolyte Lefèbvre (1923) nella cappella di San Vincenzo de' Paoli La terza cappella di sinistra, già dedicata a santa Genoveffa,[242] prende il nome attuale di cappella della Santa Infanzia dall'omonima opera missionaria fondata nel 1843;[243] sopra l'altare vi è un gruppo scultoreo marmoreo raffigurante l'episodio biblico del Sinite parvulos ad me venire, di Adolphe-Victor Adolphe-Victor Geoffroy-Dechaume (18 (1864). 64).[244] Sulla parete opposta, vi è la tavola della Flagellazione di San Pietro e San Silvano, di Louis Testelin, Testelin, donata dalla corporazione degli orafi nel 1655.[245] Sopra la mensa dell'altare è posta una teca contenente le reliquie di san Paolo Tchen, martire in Cina nel 1861 e canonizzato da Giovanni Paolo II nel 2000, che furono portate nella cattedrale nel 1920; [246] nella cappella sono esposte due tele realizzate dal cinese Yin Yin Xin nel 2017, facenti parte di un ciclo intitolato Métamorphoses e raffiguranti San Paolo Tchen (a lato dell'altare) e Santa Madre con suo Figlio (sotto la quadrifora, secondo l'iconografia di Nostra Signora di Cina).[247] Segue la cappella dedicata a san Vincenzo de' Paoli.[248] A pavimento, a ridosso della parete di fondo si trova il Monumento funebre di LéonAdolphe Amette, Amette, cardinale e arcivescovo di Parigi dal 1908 al 1920;[249] la statua, realizzata da Hippolyte Lefèbvre nel 1923, raffigura il cardinale inginocchiato rivestito della cappa magna.[250] Sull'altare, la cui mensa è sorretta da due colonnine, vi è una statua, anch'essa marmorea, di San Vincenzo de' Paoli realizzata intorno al 1864 da Adolphe-V Adolphe-Victor ictor Geoffroy-Dechaume.[251] Sulla parete opposta vi è il dipinto Sant'Andrea che gioisce alla vista della croce del suo martirio di Louis-Gabriel Blanchard, dono della corporazione degli orafi per il maggio 1670.[252] La cappella successiva, già intitolata a san Giuliano l'ospitaliere e a santa Maria Egiziaca, è attualmente dedicata a Nostra Signora di Guadalupe, la cui immagine è raffigurata nel mosaico collocato sopra l'altare[253] e realizzato di neluna 1949 dallo recante Studio del vaticano, vennedel arricchita corona sia imosaico gigli francesi, sia che i simboli

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Messico (quella attuale è una copia dell'originale, custodita nel tesoro della cattedrale).[254] Sulla parete opposta, invece, vi è il dipinto donato dalla corporazione degli orafi per il maggio 1687, il quale raffigura la Predicazione del profeta Agabo a San Paolo, di Louis Chéron.[255] Nella cappella si trovano anche un ritratto di San Juan Diego Cuauhtlatoatzin, che secondo la tradizione avrebbe ricevuto l'apparizione della Madonna di Guadalupe,[256] e una copia di Dante Meza del Señor de Los Milagros, patrono di Lima e del Perù, donata nel 2014.[257] Lapide del canonico Etienne Yver Yver nella cappella di Santa Clotilde La sesta cappella di sinistra, già di Santa Caterina d'Alessandria,[258] è dedicata a san Landerico, il quale è raffigurato in una statua (di Adolphe-Victor Adolphe-V ictor Geoffroy-Dechaume, 1865) in atteggiamento  benedicente, con i paramenti liturgici e le insegne episcopali.[259] Nella cappella si trovano due dipinti donati dalla corporazione degli orafi, Il figlio di Sceva percosso dal demonio,[260] di Mathieu Elyas (1702) e la Crocifissione di Sant'Andrea di Charles Le Brun (1647).[261]. L'ultima cappella di sinistra è dedicata a santa Clotilde, la cui statua policroma, di Claude Anthime Corbon (1864), è posta sopra l'altare.[262]  Sotto la quadrifora che si apre nella parete di fondo, trova luogo la Lapide del canonico Etienne Y Yver ver,, opera di anonimo, risalente al 1468[263]  e monumento storico di Francia dal 1905. [264] Già situata nella demolita cappella di San Nicola adiacente al chiostro, la lastra marmorea è decorata con un bassorilievo raffigurante il cadavere c adavere del defunto mangiato dai vermi e, sopra, il canonico nel suo sarcofago affiancato da Santo Stefano e San Giovanni; in alto, a lto, Cristo giudice in trono  benedicente circondato dalle schiere schiere angeliche mentre con la sinistra tiene il libro della vita e in bocca ha due spade incrociate. La prima cappella di destra, già cappella della corporazione degli orefici, è dedicata al loro patrono, Sant'Eligio di Noyon.[265] Il 1º maggio 1963, gli orefici di Parigi donarono a questa cappella l'altare, il crocifisso e i due candelabri dorati, questi ultimi caratterizzati dal fatto di sporgere dalla parete cui l'altare è addossato, realizzati da Philippe Kaeppelin.[266] In una nicchia posta sotto la quadrifora che dà luce all'ambiente, si trova la statuae raffigurante il santo dedicatario, anch'essa dagli orafi nel 1963 dagli stessi restaurata nel 2005 dopo che eradonata stata danneggiata da

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un atto vandalico; il 13 dicembre di ogni anno, memoria liturgica di sant'Eligio, essa viene portata in processione all'interno della cattedrale. [267] Sulla parete di destra, vi è il dono degli orefici per il maggio del 1651, una tavola raffigurante la Lapidazione di Santo Stefano, opera di Charles Le Brun.[268] La cappella che segue è dedicata a San Francesco Saverio; l'altare, realizzato come il confessionale su disegno di Eugène Viollet-le-Duc, è sormontato da una statua del 1860 di Adolphe-Victor Geoffr GeoffroyoyDechaume raffigurante San Francesco Saverio che battezza; questa cappella, come la successiva dedicata a Santa Genoveffa, è adibita a luogo per la Confessione e per il dialogo con i sacerdoti.[269] La cappella di Santa Genoveffa ospita varie opere d'arte. Sulla parete di destra vi è la Crocifissione di San Pietro, dipinto donato per il maggio 1643 dalla corporazione degli orafi e realizzato da Sébastien Bourdon; la composizione è caratterizzata da un'elevata dinamicità dei personaggi, tipica dello stile barocco.[270] Sulla parete opposta, al centro, vi è una statua marmorea raffigurante la santa dedicataria della cappella, di Adolphe-Victor Adolphe-V ictor Geoffroy-Dechaume (1865 circa);[271] questa è affiancata da due dipinti: a sinistra il Martirio di Santa Caterina d'Alessandria di  Joseph-Marie Vien Vien (1752) e a destra il Martirio di San Bartolomeo, di Lubin Baugin (1650 circa).[272] La quarta cappella di destra è dedicata a san Giuseppe, il quale è raffigurato insieme a Gesù fanciullo in una statua policroma di AdolpheVictor Geoffroy-Dechaume (1865), posta al di sopra dell'altare, sulla parete di sinistra dell'ambiente.[273] Sulla parete opposta vi è un dipinto raffigurante la Predicazione di San Pietro a Gerusalemme, opera di Charles Poërson e dono della corporazione degli orafi per il maggio 1642; San Pietro è raffigurato mentre predica all'interno del Tempio Tempio di Gerusalemme, caratterizzato quest'ultimo dalla presenza di due colonne tortili simili a quelle del baldacchino della basilica di San Pietro in Vaticano, di Gian Lorenzo Bernini.[274] Su una mensola addossata alla parete di fondo vi è un ostensorio monumentale,[275] realizzato su disegno di Viollet-le-Duc Viollet-le-Duc nel 1868 da Placide Poussielgue-Rusand e [232] donato alla cattedrale

degli orafi parigini per il maggio dell'anno 1949.

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Segue la cappella di San Pietro apostolo.[276] Il suo altare, addossato alla parete di sinistra, è caratterizzato dalla presenza di una boiserie in legno scuro, risalente al XVI secolo e facente parte dell'arredamento dell'antica sala capitolare della cattedrale; questa presenta una fitta decorazione a  bassorilievo, con figure di santi ciascuna all'interno di una propria nicchia con arco a tutto sesto. Sulla sommità, vi è una statua lignea di San Pietro che tiene in mano la croce, simbolo del suo martirio (1865 circa, di Claude Anthime Corbon su disegno di Adolphe-Vi Adolphe-Victor ctor Geoffroy-Dechaume).[277] Sulla parete opposta vi è il dipinto di Aubin Vouet Il centurione Cornelio ai piedi di San Pietro, donato dagli orafi parigini per il maggio 1639.[278] La sesta cappella che si apre sulla navata laterale di destra è quella dedicata a Sant'Anna, madre di Maria.[279] La vetrata policroma che chiude la quadrifora fu realizzata dal mastro vetraio Édouard Didron su disegno di Viollet-le-Duc Viollet-le-Duc nel 1864 e raffigura l'Albero di Iesse. Sulla parete di destra si trova il dipinto del maggio 1637, la Conversione di San Paolo, opera di Laurent de La Hyre.[280] La statua di Sant'Anna con Maria bambina è di Adolphe-Victor Adolphe-Victor Geoffroy-Dechaume (1864) e nella cappella si trova anche un medaglione proveniente dal mausoleo di Charles de la Grange-Trianon Grange-Trianon (canonico morto nel 1733 e sepolto nella cappella di Santa Clotilde), realizzato nel 1752 da Henri Nicolas Cousinet. Sopra l'altare, il quale è addossato alla parete di sinistra, vi è la Natività della Vergine, Vergine, pala dei Fratelli Le Nain (1640 circa).[281] La settima e ultima cappella di destra è dedicata al Sacro Cuore di Gesù ed ospita la statua di Adolphe-Victor Adolphe-Victor Geoffroy-Dechaume Cristo mostra le sue piaghe (1864) e un dipinto su tela dell'artista contemporaneo Hubert Damon raffigurante Gesù Crocifisso, Albero della V Vita ita (2004), commissionato dall'arcivescovo cardinale Jean-Marie Lustiger in occasione della missione diocesana di quell'anno.[266] Il transetto della cattedrale si compone di due bracci simmetrici e della volta a crociera, per una lunghezza totale di 48 metri ed una larghezza di 14 metri (2 metri in più rispetto alla larghezza della navata).[124] Ciascuno dei due bracci laterali si compone di due campate; quella esterna, sporgente dal corpo di e,fabbrica dellasuperiore cattedrale, è coperta voltaè a crociera a quattro vele nella parte delle pareti con laterali,

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decorata con finestre cieche disposte su due ordini, una quadrifora in quello superiore e tre bifore in quello inferiore.[282] Le pareti della campata interna, invece, presentano uno schema analogo a quello della navata, con in basso due arcate che danno sulle navate laterali e sul deambulatorio (queste ultime sormontate da ghimberga); al di sopra di esse il matroneo con trifore nella parete occidentale e bifore in quella orientale; più in alto il cleristorio, composto da due livelli, quello inferiore con monofore e quello superiore con rosoni circolari.[283] La crociera, già sormontata dalla flèche, era coperta da una volta a crociera con quattro vele sorretta da spessi pilasti polistili, in gran parte crollata durante l'incendio del 15 aprile 2019; questa venne integralmente ricostruita nel XVIII secolo[284] ed era caratterizzata dalla presenza, al centro della chiave di volta, di un dipinto raffigurante raf figurante Nostra Signora di Parigi su fondo stellato, con intorno quattro sculture barocche dorate ciascuna delle quali raffigurava una testa d'angelo.[285] Il coro, dal punto di vista architettonico, segue lo schema della navata. Esso è composto da due campate, ciascuna delle quali è coperta da volta a crociera con sei vele (parzialmente danneggiate nell'incendio dell'aprile 2019 con la caduta di alcune pietre), e termina con l'abside semicircolare, divisa da pilastri polistili in cinque sezioni, ciascuna delle quali corrisponde ad una vela della volta e ad una cappella radiale del deambulatorio.[20] Le pareti del coro e dell'abside seguono anch'esse lo schema della navata centrale del piedicroce: in basso si trovano le arcate ogivali poggianti su pilastri cilindrici con capitello che li mettono in comunicazione con il deambulatorio; più in alto vi è il matroneo, che si apre sull'interno della chiesa con delle bifore, particolarità peculiare della cattedrale di Parigi e dell'abbazia di Saint-Remi a Reims, e, sull'esterno, nell'area dell'abside con delle trifore,[117] in quella del coro c oro da rosoni circolari.[225] Il cleristorio è interamente composto da alte  bifore, ad eccezione della coppia composta da monofora e rosone presente nella prima campata del coro.[20] Oltre il transetto, le due coppie di navate laterali continuano fino a congiungersi intorno all'abside formando un doppio deambulatorio;[300] nella sesta campata della navata meridionale interna, a pavimento, si trova il cenotafio del cardinal Luis[301] Ernest Dubois di Henri Bouchard (1929).

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L'attuale assetto del coro e dell'abside è dovuto prevalentemente agli importanti lavori di restauro condotti su progetto di Robert de Cotte tra il 1708 e il 1725 1 725 per adempiere al voto di Luigi XIII,[31] con alcune modifiche successive. Nel corso dei restauri settecenteschi, vennero realizzati in stile barocco il nuovo altare maggiore e il rivestimento marmoreo delle arcate intorno ad esso. [14] Già nel secolo precedente, su commissione del cardinale Richelieu, erano stati realizzati quattordici arazzi raffiguranti scene della vita della Vergine, poi venduti nel 1739 alla cattedrale di Strasburgo; quattro di essi, raffiguranti l'Annunciazione, la Visitazione, l'Assunzione e l'Incoronazione di Maria, sono stati esposti all'interno del transetto della cattedrale di Parigi dal 27 luglio 2013 all'8 settembre successivo per gli 850 anni dalla fondazione della chiesa. A partire partire dal 1715, anno in cui vennero realizzate e installate le tre grandi sculture della Pietà, di Luigi XIII e Luigi XIV XIV,, il canonico de La Porte commissionò vari artisti otto tele per decorare le pareti del coro: l'Annunciazione a Claude Guy Hallé, la Visitazione a Jean Jouvenet, la Natività e l'Adorazione dei Magi a Charles de La Fosse, l'Assunzione e Gesù nel tempio a Antoine Coypel, la Fuga in Egitto e la Purificazione a Louis Boullogne II.[N 8][303] Nel 1753 vennero realizzati i nuovi stalli lignei del coro e venne demolito lo jubé, costruito nel XIV secolo da Raymond du Temple Temple ed in seguito modificato con aggiunte barocche.[304] Durante i restauri ottocenteschi, Eugène Viollet-le-Duc eliminò il rivestimento  barocco degli archi e sostituì la mensa barocca barocca dell'altare con una nuova in stile neogotico.[14] Le vetrate policrome del cleristorio del coro e dell'abside, rimosse precauzionalmente in seguito all'incendio del 15 aprile 2019,[305] vennero installate durante i restauri ottocenteschi sotto la direzione di Eugène Viollet-le-Duc, che volle sostituire tutte le vetrate trasparenti del XVIII secolo per ripristinare lo stato delle cose medievale.[306] La realizzazione delle vetrate che chiudono le tre bifore dell'abside venne affidata a Laurent-Charles Maréchal; esse sono incentrate sulla Madonna e raffigurano la Glorificazione della V Vergine ergine (al centro), l'Annunciazione (a [307]

sinistra) e la Visitazione (a destra).

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Luigi Filippo di Francia, nel 1841, donò alla cattedrale un tappeto monumentale per coprire il pavimento del coro; il manufatto era stato realizzato tra il 1825 e il 1833 su disegno di Jacques-Louis de La Hamayde de Saint-Ange dalle prestigiose manifatture della Savonnerie e dei Gobelins.[308] Esso consiste in una superficie di oltre 200 metri quadrati sulla quale sono raffigurati elementi architettonici, floreali e simboli della Chiesa cattolica. In seguito ad un intervento di restauro, l'opera venne esposta per la prima volta dopo trent'anni nel gennaio 2014.[309] Fino al giugno 2018[310] nelle celebrazioni feriali venivano utilizzati un semplice altare marmoreo cubico, posto al centro del coro, e l'ambone realizzato da Jean e Sébastien T Touret ouret per il presbiterio della crociera,[235]  successivamente rimossi. Il coro è attualmente destinato anche alla celebrazione del sacramento del battesimo:[311] infatti, non viene più utilizzato il fonte battesimale ottocentesco situato nella prima cappella laterale di sinistra, ma uno più moderno, mobile, realizzato nel 1987 dall'artista Goudji.[312] Il presbiterio originario della cattedrale, secondo la ricostruzione di Eugène Viollet-le-Duc, Viollet-le-Duc, si trovava nell'abside, separato dal coro da una  balaustra traforata:[313] l'antico altare maggiore, del XIII secolo, era circondato da una tenda e, dietro ad esso, in posizione sopraelevata all'interno di un baldacchino in stile gotico, vi era il reliquiario di San Marcello, al quale si accedeva tramite una scala a chiocciola in legno.[314]  Tra il 1698 e il 1700, era stato elaborato da Jules Hardouin Mansart un progetto, mai realizzato, per un nuovo presbiterio da collocarsi non più nell'abside, ma nell'area della crociera; questo sarebbe stato notevolmente sopraelevato rispetto al resto della chiesa con una confessione davanti all'altare maggiore, il quale sarebbe stato sovrastato da un baldacchino simile a quello della chiesa del V Val-de-Grâce, al-de-Grâce, opera di François Mansart, prozio di Jules Hardouin,[315] ispirato al baldacchino della basilica vaticana del Bernini.[316] Nel corso dei restauri della prima metà del XVIII secolo condotti da Robert de Cotte, C otte, venne costruito un nuovo altare in sostituzione di quello medievale con paliotto raffigurante Cena (rimosso e, alle sueentro spalle, il gruppo scultoreo La Pietà [317] Nel con Luigi XIIIl'Ultima e Dio Padre il 1715). 1803, in

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sostituzione dell'altare distrutto durante la Rivoluzione francese, ne venne costruito uno nuovo, in marmo bianco, decorato con bassorilievi dorati raffiguranti la Resurrezione di Gesù al centro e Angeli con gli strumenti della Passione ai lati e, sul tabernacolo, l'Agnello di Dio.[318]  Viollet-le-Duc costruì un nuovo altare in stile neogotico, attualmente in loco.[319] Dopo il Concilio Vaticano II, su progetto di monsignor Jehan Revert, canonico e maestro di cappella,[320] il presbiterio venne spostato dall'abside, dove tuttavia rimase l'altare antico, alla crociera, dove venne utilizzata stabilmente a tale scopo una struttura provvisoria, già in uso per le celebrazioni minori,[321] con un altare in legno sostituito, durante l'episcopato di Jean-Marie Lustiger, Lustiger, arcivescovo di Parigi dal 1981 al 2005, da uno più piccolo, il cui paliotto era costituito da un bassorilievo in pietra[322] riproducente l''Incoronazione della V Vergine'' ergine'' dai bassorilievi del fianco sinistro della cattedrale, attualmente nella chiesa parigina di Saint-Joseph des Nations.[323] Nel 1989 l'allestimento del presbiterio venne ulteriormente cambiato, con nuovi arredi in stile moderno, opera di Jean e Sébastien T Touret: ouret: l'altare, in bronzo, venne posizionato sopra una pedana ottagonale preceduta da cinque gradini, con sulla destra l'ambone e sul lato opposto sette candelabri;[235] la nuova cattedra era addossata al pilastro di sinistra della crociera, di fianco alla statua marmorea di San Dionigi di Parigi.[324] Successivamente, nel 2004, l'area è stata ulteriormente modificata su progetto di Jean-Marie Duthilleul e Benoît Ferré, con la rimozione della statua di San Dionigi, della cattedra moderna e della cancellata di divisione fra la crociera e il coro, la realizzazione di nuovi ambone e sede e lo spostamento dell'altare.[325][326]   Nel corso dell'intervento, è stato allestito un presbiterio provvisorio nell'ultima campata della navata centrale, con al centro un altare mobile in legno dipinto.[327] Il presbiterio attuale: al centro l'altare maggiore, a sinistra l'ambone e a destra la sede con la statua di Nostra Signora di Parigi Il presbiterio della cattedrale occupa la metà orientale della crociera ed è rialzato rispetto al piedicroce, della quale ha la medesima pavimentazione; al centro, sopraelevato due gradini, trova l'altare maggiore. Essoulteriormente venne realizzato da Jean eda Sébastien T Touret ouretsi

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in stile moderno, è integralmente in bronzo ed ha la forma di un parallelepipedo rettangolo;[328] la parte anteriore e le due fiancate sono decorati ad altorilievo con i Quattro Evangelisti (lato anteriore), Ezechiele e Geremia (fiancata sinistra) e Isaia e Daniele (fiancata destra), mentre quella posteriore è liscia. La croce moderna d'altare, mobile, è appoggiata al centro della mensa e reca al centro un bassorilievo raffigurante la Cena di Emmaus. A ridosso del pilastro di sinistra del coro, vi è l'ambone, dalle semplici forme moderne, costituito da base in marmo e da un leggio in bronzo, al quale si accede mediante alcuni gradini anch'essi in bronzo; esso è sovrastato da tre sculture lignee raffiguranti San Dionigi di Parigi tra i Santi Eleuterio e Rustico, anch'esse dei Touret.[235] L'altare e l'ambone sono stati notevolmente danneggiati durante l'incendio del 15 aprile 2019, schiacciati dalle pietre della volta della crociera crollata per il collasso del tetto e della flèche. [329] Sul lato opposto, di fianco al parallelepipedo marmoreo che costituisce la sede per i celebranti non vescovi, vi è la statua marmorea di Nostra Signora di Parigi, poggiante su una colonna, risalente al XIV secolo e portata nella cattedrale nel 1818 per decorare il trumeau del portale della V Vergine, ergine, poi collocata da Viollet-le-Duc nella sua posizione attuale, ove nel XII secolo si trovava un altare dedicato alla Vergine. [330] La statua è in marmo e presenta solo alcune tracce dell'originaria policromia sugli ornamenti del manto, ripristinate nel 2004 durante un intervento di ripulitura effettuato in occasione del rifacimento del presbiterio;[331] essa raffigura Maria incoronata che tiene sul braccio sinistro il Gesù Bambino con il globo e nella mano destra un fiore.[332] Durante il periodo pasquale viene posizionato nel presbiterio, tra l'altare e l'ambone il candelabro del cero pasquale, realizzato da Placide Poussielgue-Rusand su disegno di Viollet-le-Duc nella seconda metà del XIX secolo;[333] in bronzo dorato, è caratterizzato da una base triangolare e da una ricca decorazione a girali vegetali in stile neomedioevale.[334] In corrispondenza delle prime tre arcate del coro, sui due lati, si trovano gli stalli che compongono il coro ligneo; in totale 78 (52 nell'ordine superiore e 26 in quello inferiore), il loro ordine venne invertito dopo la demolizione dello jubé, che114. comportò anche di parte dei [335] I primi seggi, che in origine erano duel'eliminazione seggi di entrambe le serie

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sono sormontati da un baldacchino e circondati da un parapetto; quello di destra ospita la cattedra dell'arcivescovo di Parigi, mentre quello di sinistra viene utilizzato durante le concelebrazioni da vescovi ospiti.[322] I seggi superiori sono sormontati da un'elaborata boiserie, realizzata su disegni di René Charpentier e Jean Dugoulon da Luois Marteau (a destra) e di Jean Noel (a sinistra); la decorazione si articola all'interno di riquadri con un'iconografia incentrata sulla vita della Vergine, intorno ai quali si trovano dei bassorilievi raffiguranti gli strumenti della Passione di Gesù e i simboli del re di Francia.[336] All'interno dei riquadri di sinistra, a partire dalla crociera sono raffigurate le seguenti scene: la Natività della Vergine, la Presentazione di Maria al Tempio, Sant'Anna che istruisce sua figlia, lo Sposalizio della Vergine con Giuseppe, l'Annunciazione, la Visitazione, Visitazione, la Natività di Gesù, e l'Adorazione dei Magi.[337] All'interno dei riquadri di destra, a partire dall'abside, sono raffigurati i seguenti episodi: Maria ai piedi della Croce, la Deposizione di Gesù dalla Croce, la Discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, l'Assunzione della Vergine, Vergine, l'Allegoria della Religione (raffigurata con una donna inginocchiata), l'Allegoria della Prudenza (rappresentata da una donna con in mano un serpente), l'Allegoria dell'Umiltà (raffigurata con una donna con in mano lo scettro miracoloso) e l'Allegoria del Dolore (rappresentata da una donna con la testa bassa).[338] La boiserie dei due seggi vescovili presenta due bassorilievi: a sinistra San Dionigi e i compagni Rustico ed Eleuterio; a destra la Guarigione di Clodoveo I per intercessione di san Germano.[339] Le parti della boiserie rimosse dopo la demolizione dello jubé si trovano nella torre sud della facciata, fa cciata, nella sala soprastante la prima campata delle due navate laterali.[340] Nell'abside si trova ancora il presbiterio settecentesco, con pavimento in marmi policromi raffigurante lo stemma del re di Francia;[343] al centro, vi è il neogotico altare della Pietà, già altare maggiore (attualmente utilizzato per alcune celebrazioni feriali in alternanza con l'odierno altare maggiore), decorato con archetti trilobati poggianti su semicolonnine; originariamente, sopra la mensa, lungo il lato opposto alla navata, vi era un rialzo per collocarvi i candelabri e il crocifisso, con una fitta decorazione vegetale a bassorilievo, rimosso dopo Concilio Vaticano II.[344] Alla sinistra dell'altare, ove trovava luogo la ilcattedra fino

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alla realizzazione dell'attuale presbiterio, vi è il tabernacolo in stile neogotico. I manufatti vennero realizzati su disegno di Viollet-le-Duc, che presentò il progetto nel novembre 1857.[345] Sotto l'arcata centrale dell'abside, vi è il gruppo scultoreo della Pietà, opera di Nicolas Coustou che lo realizzò tra il 1714 e il 1715.[346] La scultura è in marmo di Carrara e poggia su un basamento decorato da un bassorilievo dorato raffigurante Gesù deposto dalla Croce C roce e portato nel sepolcro; quest'ultimo proviene dalla chiesa dell'ex convento dei cappuccini situato nei pressi di place V Vendôme, endôme, per la quale lo realizzò François Girardon.[347] Nel gruppo marmoreo di Custou, Maria appare addolorata per la morte del figlio, il cui corpo lei tiene sulle ginocchia; di fianco a lei si trovano due angeli, l'uno sostiene la mano sinistra di Gesù, l'altro porta la Corona di spine.[348] Alle spalle del gruppo scultoreo, vi è la grande Croce in bronzo dorato realizzata da Marc Couturier nel 1993, [349] sormontata dalla Gloria dello stesso autore (1997). [33] Sotto di essa, nel deambulatorio, vi è il marmoreo monumento funebre del vescovo Simon Matifas de Bucy Bucy,, degli inizi del XIV secolo restaurato nel 2014 dall'atelier Arcoa,[350] mentre nelle campate limitrofe vi sono due medaglioni bronzei realizzati da Henri Navarre nel 1953 che commemorano rispettivamente i cardinali c ardinali Jean V Verdier erdier (sud) e Emmanuel Suhard (nord). Nell'abside, ai lati della Pietà vi sono altre due statue in marmo bianco, entrambe del 1715: la statua di sinistra raffigura Luigi XIV inginocchiato, di Antoine Coysevox;[351] la statua di destra, invece, ritrae Luigi XIII nell'atto di offrire la corona alla V Vergine, ergine, Guillaume Coustou.[352] Queste ultime due statue e quella q uella della Pietà vennero rimosse nel 1793 e ricollocate nella cattedrale nel 1815, quelle dei sovrani su nuovi piedistalli completati nel 1816 con lo stemma del re di Francia.[353] Davanti ai sei pilastri dell'abside vi sono altrettante statue in bronzo raffiguranti degli angeli. Ognuno di essi tiene in mano un oggetto specifico di quelli usati durante la Passione di Gesù: da sinistra, il primo porta la Lancia di Longino, il secondo i Chiodi, il terzo la canna per bere, il quarto la Corona di spine, il quinto la spugna e il sesto il Titulus crucis. La cappella posta in Al asse con l'altare è dedicata alla Madonna [369] dei Sette Dolori. centro di essa maggiore trova luogo l'altare, in stucco

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dipinto policromo, sulla cui mensa poggia un dipinto di scuola italiana del XIX secolo del Volto Volto di Cristo; mentre sul suo dossale è raffigurata la Deposizione di Gesù dalla Croce, al di sopra di esso vi è la statua della Vergine Addo Addolorata. lorata. [370] Alla sua sinistra vi è il seicentesco monumento funebre del maresciallo di Francia Alberto Gondi;[371] posto simmetricamente ad esso si trova quello di Pierre de Gondi, cardinale e arcivescovo di Parigi. Sulla parete di destra, vi è un affresco del XIV secolo, di autore ignoto, raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra i santi Dionigi e san Nicasio mentre accoglie l'anima del vescovo Simon Matifort de Bucy.[372] Gli stalli lignei risalgono al XVIII secolo e si trovavano in origine nel coro della cattedrale. In ciascuna delle tre campate della cappella si apre un'ampia quadrifora verso l'esterno; queste sono chiuse da vetrate policrome ottocentesche, realizzate da Alfred Gérente, che riproducono quelle del XIV secolo. I soggetti delle composizioni attuali sono: la Vita della V Vergine ergine Maria (vetrata centrale), i Pellegrinaggi a Notre-Dame (vetrata di destra, su disegno di Louis Charles Auguste Steinheil), con nel rosone l'Assunzione di Maria, e Sibille e profeti che annunziarono la venuta di Gesù (vetrata di sinistra).[307] Dal 2008 all'interno della cappella è custodita la reliquia della Corona di spine.[373] Questa venne portata a Parigi nel 1239 da Luigi IX di Francia, il quale, per custodirla, fece f ece costruire la Sainte-Chapelle, dove la reliquia rimase fino alla Rivoluzione francese, quando q uando venne prima depositata presso l'abbazia di Saint-Denis, poi, in seguito al Concordato del 1801, consegnata nel 1804 all'arcidiocesi di Parigi.[81] 

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Monte  F) Castel del Monte 

L'edificio è a pianta ottagonale (lato esterno: 10,30 m intervallo tra le torri più diametro di ogni torre: 7,90 m) e a ogni spigolo si innesta una torretta a sua volta ottagonale (lato 2,70 m), mentre l'ottagono che corrisponde alla corte interna ha lati la cui misura varia tra i 6,89 m e i 7,83 m. Il diametro del cortile interno è di 17,86 m. Il diametro dell'intero castello è di 40 m, mentre il diametro di ogni torre è di 7,90 m. Le torri sono alte 23 m e superano di poco l'altezza delle pareti del cortile interno (20,50 m). Lo spazio interno è suddiviso in due piani, rialzati rispetto al piazzale antistante di 3 e 9,5 metri rispettivamente. Le stanze, trapezoidali, sono divise da muri che congiungono gli spigoli dell'ottagono interno e gli spigoli di quello esterno, dove si impostano le omologhe torri. Il problema della copertura delle stanze è risolto scomponendo il trapezio iniziale in un quadrato centrale e due triangoli laterali. Il quadrato centrale è coperto da una volta a crociera, mentre i due triangoli laterali sono sovrastati da due spicchi di volta a botte per ciascuna stanza. Al centro di ogni volta a crociera, nell'intersezione tra i costoloni, fuoriesce dall'intradosso una chiave di volta "estradossata" diversa per ogni stanza. I costoloni c ostoloni non hanno una funzione di portanza statica, ma solo decorativa. Le volte a botte sono costruite seguendo l'andamento dei muri esterni relativi a quella parte della costruzione.

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Per quanto adiacenti, i due tipi di volte utilizzate sono completamente indipendenti: nell'intersezione tra le stesse, infatti, si può notare come  come  l'orditura presenti una discontinuità, provocata da una sfasatura nella composizione delle due coperture contigue. Il piano di imposta della volta è sottolineato da una cornice, ripresa anche nel capitello sopra le colonne portanti. La comunicazione tra il piano inferiore e quello superiore è assicurata dalla presenza, non in tutte le otto torri, delle scale a chiocciola. Le scale si sviluppano secondo un senso antiorario e constano di 44 gradini trapezoidali che si dipartono, ognuno in un unico masso lapideo, da una colonna centrale del diametro di circa 22 centimetri. Il piano superiore, per quanto ricalchi la struttura del piano inferiore, si presenta più raffinato e curato: i costoloni che sorreggono le volte sono più slanciati, ed ogni sala è vivacemente illuminata dalla presenza delle finestre bifore o, in un caso (il lato che guarda verso Andria), trifora. Queste finestre erano divise da eleganti colonnette che l'architetto Luigi Vanvitelli pensò di adoperare per "qualche giocosa ffonte onte circondata da porticato gotico in uno dei boschetti del giardino della Reggia di Caserta"[17]. La particolarità di queste finestre è la presenza di gradini e di sedili che le fiancheggiano. Lungo le pareti di ogni sala corre un sedile al di sotto della base delle colonne. Degno di particolare attenzione, all'interno del castello è il marchingegno di manovra dell'antica saracinesca di chiusura del portale principale, visibile con tutti i cavedi necessari, all'interno della muratura portante, per lo scorrimento delle catene che lo sostenevano. Come già detto, il castello è composto da otto torri, in cima a cinque di esse vi erano delle cisterne, mentre le restanti tre torri servivano ad ospitare falconieri e soldati.[18] Il portale di ingresso principale si apre sulla parete della struttura ottagonale orientata approssimativamente ad est, vale a dire di fronte al punto in cui sorge il sole in coincidenza degli equinozi di primavera e d'autunno. Ad esso si accede attraverso due rampe di scale simmetriche, disposte "a tenaglia" ai lati dell'ingresso, ricostruite nel 1928.

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A differenza differenza del semplice ingresso secondario dalla parte opposta, orientata a ponente dell'edificio (costituito da un semplice portale ad arco a sesto acuto), l'ingresso principale è decorato con due colonne scanalate che sorreggono un finto architrave su cui si imposta un frontone di forma cuspidale. Ogni parete presenta due finestre: una monofora in corrispondenza del primo piano e una bifora per il secondo piano, non sempre in asse tra loro. Da questa regola si discostano le facciate orientale ed occidentale (quelle in cui sono posti i due portali) che non presentano la monofora, e la facciata settentrionale, che presenta una trifora (dal lato che guarda verso Andria) per il secondo piano. Ulteriori feritoie sono presenti sulle torri, per dare luce alle scale a chiocciola interne. Dal punto di vista strutturale le mura tra le torri si ergono direttamente dal terreno, mentre le torri presentano uno zoccolo, messo in risalto nella parte superiore da una cornice in stile gotico. Ad ulteriore prova della perfezione strutturale dell'edificio si può notare come le tangenti ai lati del cortile interno si incontrano precisamente al centro delle torri ottagonali. Nel cortile interno la compattezza delle mura è attenuata solo dalla presenza di tre ingressi nella parte inferiore e tre "porte finestre" nella parte superiore. La sensazione all'interno del cortile è che tutto il primo piano funga da zoccolo per il piano superiore, alleggerito dalla presenza di archi ciechi. In alcuni resoconti scritti esistono indicazioni circa l'esistenza di una vasca, o fontana, al centro di questo cortile, secondo alcuni anch'essa ottagonale e costituita da un unico blocco di marmo (come descritto dal Troyli[19] nel 1743), poi distrutta. Le poche testimonianze, d'altra parte, appaiono imprecise e contraddittorie.[20] Al di sotto del piano di calpestìo c alpestìo del cortile è presente una grande cisterna per la raccolta delle acque piovane, aspetto tenuto in gran conto in questo edificio tanto che erano presenti altre cinque cisterne di raccolta all'interno delle torri; quella al di sotto del cortile interno è l'unica rimasta funzionante.Le alte pareti da cui è formato il cortile interno danno l'idea di trovarsi all'interno di un pozzo, che nella simbologia medioevale rappresentava la conoscenza.

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La decorazione dell'edificio, in origine assai ricca ma oggi quasi del tutto scomparsa, si segnala per le chiavi di volta dei costoloni, decorate con creature mitologiche e motivi vegetali, caratteristici del realismo della tarda scultura sveva, di ispirazione romaneggiante (come il Busto di Barletta). Architettura Architettura e scultura tradiscono influenze dell'edilizia francese e di quella cistercense. Ricche cornici in porfido decorano le porte. La struttura è composta principalmente da tre diversi materiali, la cui disposizione non è casuale ma è studiata per l'effetto cromatico che ha nell'osservatore: • la pietra calcarea è il materiale preponderante, dal momento che di questo materiale sono composte tutte le strutture architettoniche e alcuni elementi decorativi. Tale Tale materiale dona alla costruzione una colorazione che va dal bianco al rosato, a seconda del periodo del giorno in cui si osserva l'edificio; • il marmo bianco o con leggere venature, oggi presente solo in rare decorazioni nelle sale, doveva rappresentare in passato il materiale di cui era costituito tutto l'arredo e le decorazioni dell'edificio; • la breccia corallina, che dona un'importante nota di colore alla struttura. In passato l'effetto della breccia corallina doveva essere più marcato, dal momento che tutti gli ambienti erano rivestiti di lastre di questo materiale.

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5) La Scultura A) Nicola Pisano e l’Ambone di Pisa Realizzato da Nicola Pisano nel 1260, il Pulpito del Battistero di Pisa rappresenta una concezione nuova e assolutamente originale, sia per l'impostazione d'insieme che per lo stile scultoreo. Si compone di una cassa di forma esagonale sostenuta da sette colonne corinzie, sei corrispondenti agli spigoli dell'esagono ed una centrale, collegate da archi a tutto sesto trilobati. Si tratta di un'opera in cui si fondono in un unico organismo l'architettura degli elementi strutturali, la scultura e il colori bianco del marmo e rosso del granito. I fusti delle colonne sono in granito rosso, mentre i capitelli, finemente lavorati, e le basi sono in marmo bianco, ma le colonne si distinguono tra loro perchè sono alternativamente poggianti o una base esagonale o un leone stiloforo, mentre la colonna centrale poggia su una base ornata di figure accovacciate. Gli elementi gotici come gli archetti trilobati, i capitelli dalla ricca ornamentazione naturalistica, le cornici e gli elementi romanici come i leoni stilofori sono fusi insieme armonicamente, con un senso della misura tipicamente classico. Sopra i capitelli figurano ad altorilievo le Virtù e il Battista, mentre nei pennacchi sono realizzati a rilievo più basso i Profeti e i Quattro Evangelisti. La cassa esagonale, aperta su un lato, per consentire l'ingresso al pulpito, presenta cinque lastre figurate, separate con tre eleganti colonnine di granito rosso su ogni spigolo. Nelle lastre Nicola ha realizzato l' Annunciazione e Natività, l'Adorazione dei Magi, la Presentazione al tempio, la Crocifissione e il Giudizio.

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I rilievi riprendono temi tradizionali, ma sono interpretati con uno stile nuovissimo. La lavorazione a rilievo si sviluppa su un'equilibrata alternanza di superfici levigate e distese e volumi scabri. Le figure sono possenti, eroiche, ma si muovono con torsioni e atteggiamenti sciolti. La composizione segue un chiaro ordine geometrico, l'esecuzione raggiunge livelli qualitativi altissimi, per l'abilità e la finezza dei particolari realizzati con una tecnica impeccabile, in cui nella minuzia dei dettagli si riscontra anche un largo uso del trapano.

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B) L’ambone a Siena

La struttura venne ripresa dal precedente pulpito del battistero di Pisa, terminato dallo stesso Nicola Pisano nel 1260. La base è ottagonale e le scene dei pannelli principali sono, a partire dal ponte di accesso al pulpito: 1. Visitazione e Natività 2. Adorazione dei Magi 3. Presentazione al Tempio e Fuga in Egitto 4. Strage degli Innocenti 5. Crocifissione 6. Giudizio Universale - gli Eletti 7. Giudizio Universale - i Dannati Sugli spigoli ci sono figure che sporgono maggiormente rispetto alle figure dei pannelli.

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Tali figure sono, dallo spigolo confinante con il ponte di accesso al pulpito: A. Madonna Annunciata (alla destra del ponte) B. San Paolo tra i discepoli Tito e Timoteo C. Madonna col Bambino D. Due Angeli E. Cristo Mistico F. Simboli dei Quattro Evangelisti G. Cristo Giudice H. Angelo (alla sinistra del ponte) Queste figure rappresentano sovente elementi narrativi tra le scene. Ad esempio, la coppia dell’Angelo e della Madonna M adonna Annunciata agli spigoli confinanti con il ponte rappresentano, nel complesso, la scena dell’Annunciazione che precede quella della Natività immediatamente successiva. Allo stesso modo il Cristo Mistico raffigurante l'eucaristia, si pone sullo spigolo tra la Strage degli Innocenti e la Crocifissione. Anche gli Evangelisti dopo la scena della Crocifissione C rocifissione raffigurano idealmente la diffusione della Parola di Dio dopo la sua morte, per non parlare del Cristo Giudice nel mezzo ai due pannelli del Giudizio Universale. Le figure degli spigoli permettono quindi un continuum narrativo, oltre che decorativo. Il pulpito poggia su nove colonne dotate di capitelli in stile corinzio. La colonna centrale poggia su uno zoccolo ottagonale adornato con le figure della arti liberali e della filosofia. Queste raffigurazioni sono presenti per la prima volta su un soggetto di arte sacra e trovano un loro significato in quanto arti nobili in grado di elevare il cristiano verso Dio. Quattro delle otto colonne laterali poggiano su leoni stilofori e le altre quattro direttamente sul terreno. Le colonne erano originariamente in marmo e nel corso del XIV secolo sostituite con l'attuale diaspro colorato. Le otto colonne laterali sorreggono archi a tutto sesto trilobati sui cui sguanci sono presenti coppie di Profeti o Evangelisti (questi ultimi riconoscibili per i simboli corrispondenti del leone alato, toro, angelo e aquila). Tra Tra gli archi, sopra i capitelli sono invece presenti figure spesso sedute raffiguranti Virtù. È interessante che le(Fortezza, Virtù non sono solo quelle teologali (Fede, Speranza e Carità)notare e cardinali

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Temperanza, Giustizia e prudenza), ma anche di altra natura (ad esempio la Logica), altro segno di un'ulteriore convinzione che espressioni dell'intelletto umano potessero elevare l'uomo a Dio. Rispetto al precedente pulpito del battistero di Pisa, ultimato dallo stesso artista nel 1260, il pulpito di Siena presenta importanti differenze differenze architettoniche, di struttura e stilistiche, pur essendone una chiara derivazione. La base è ottagonale, anziché esagonale, e la descrizione si arricchisce dei pannelli della Strage degli Innocenti e della dilatazione del Giudizio Universale in due pannelli (presente come pannello unico a Pisa). Venne abolita la struttura a pannelli isolati, a favore di uno schema più continuo e animato, intervallato solo da sculture di figure più grandi e rese ad alto rilievo sugli spigoli, anziché dalle cornici e terne dalle semicolonnine pisane. Questo garantisce un unicum narrativo, oltre che decorativo, come già visto. Significativa è anche la presenza delle personificazioni di sette arti liberali e della filosofia (sullo zoccolo centrale basso) e della Logica (sopra uno dei capitelli). Queste figure, assenti a Pisa dove sullo zoccolo centrale erano presenti telamoni umani e animali, mostrano una crescente convinzione che tali arti potessero contribuire a facilitare la ricerca di Gesù Cristo. Una delle differenze stilistiche più importanti riguarda la struttura dei rilievi dei pannelli principali, molto diversa rispetto a quella q uella di Pisa, con scene molto affollate nelle quali i piccoli personaggi sono disposti su ben quattro o cinque piani sovrapposti, secondo un ritmo molto concitato, sottolineato anche da gesti animati ed espressioni corrucciate. Le figure hanno perso la solennità classicheggiante di quelle di Pisa, hanno gesti e movimenti più realistici e intrattengono rapporti più diretti ed umanizzati con le figure circostanti. A titolo di esempio possiamo citare il Cristo Crocifisso, più sofferente sotto il peso del proprio corpo, e della Madonna della Natività, con le  braccia disposte in modo più naturale e il volto meno fiero, intento a rivolgere l'attenzione verso il bagnetto del piccolo sottostante.

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Diversa è anche la postura di Simeone che accoglie il piccolo nella scena della Presentazione al Tempio: Tempio: molto rigido a Pisa intento a raccogliere la solennità del momento, leggermente piegato sul proprio corpo per osservare meglio il bambino qui a Siena. Anche la Madonna addolorata della scena della Crocifissione è ben diversa. Svenuta per il proprio dolore in entrambi i casi, ma qui lo svenimento è accompagnato da una torsione del busto più naturale e una caduta più libera del braccio. La ricerca di maggiore affollamento e drammaticità da parte di Nicola Pisano ha permesso anche l'aggiunta di piccole scene aggiuntive nei vari pannelli, come la Visitazione nella scena della Natività e della Fuga in Egitto nella scena della Presentazione al T Tempio, empio, entrambi assenti a Pisa. È significativa anche la scelta della Strage degli Innocenti e di un nuovo pannello del Giudizio Finale, come pannelli aggiuntivi nel passaggio da sei a otto lati: entrambe le scene ben si prestavano alla maggiore ricerca di sovraffollamento e drammaticità. Molte fonti parlano di un'opera "classicheggiante" a Pisa e "goticheggiante" a Siena, anche se è forse più corretto parlare di una diversa ispirazione classica: per Nicola, gotico e classico non sono due estremi in antitesi, probabilmente anzi i nuovi schemi compositivi sono frutto di uno studio su rappresentazioni di battaglia su sarcofagi del III secolo; a Siena inoltre il retaggio classico è meno forte f orte di Pisa ed è possibile che i committenti avessero optato per una rappresentazione più patetica e sovraccarica.

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C) Cimabue Cimabue, pseudonimo di Cenni di Pepo  (Firenze, 5 o 19 settembre 1240 circa – Pisa, 24 gennaio 1302), 1302) , è stato un pittore italiano. 1)Crocifisso di San Domenico ad Arezzo

La croce riporta l'iconografia del Christus patiens , cioè un Cristo morente sulla croce, con gli occhi chiusi, la testa appoggiata sulla spalla e il corpo inarcato a sinistra. Il torace è segnato da una muscolatura tripartita, le mani appiattite sulla croce e i colori preziosi, sia per l'uso dell'oro che del rosso. I lati della croce sono decorati con figure geometriche che imitano una stoffa. Ai lati del braccio orizzontale della croce sono presenti i due dolenti a mezzo busto in posizione di compianto, che guardando lo spettatore piegano la testa e l'appoggiano a una mano. Sono la Vergine e san Giovanni evangelista a sinistra e destra rispettivamente, entrambi vestiti con l'agemina. In alto è presente la scritta I.N.R.I. per esteso (Hic est Ihesus Nazarenus Na zarenus Rex Iudeorum). Nel tondo in alto è raffigurato il Cristo benedicente. Quest'opera di Cimabue è fortemente ispirata al Christus C hristus patiens di Giunta Pisano nella basilica di san Domenico a Bologna. Il corpo di Cristo, il tipo di panneggio e la decorazione della croce derivano da Giunta e la croce aretina potrebbe apparire come una semplice imitazione se non fosse per la particolare flessione, che si sforza di trovare uned equilibrio fra ma realismo con effetto più dinamico espressivo, ancheediintellettualismo, geometrica purezza.

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Giunta infatti arcuò ancora maggiormente il corpo di Cristo, che ormai deborda occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Inoltre Cimabue riesce ad imprimere maggiore volumetria all'intera figura e alle singole parti del corpo, dotando i muscoli di un vigore ed una possanza solo parzialmente raggiunti prima. Ciò è conseguito grazie ad un pittoricismo che fa uso di righe scure molto sottili, parallele e concentriche, tracciate con la punta del pennello, la cui densità si fa più alta nelle zone scure e più rada nelle zone chiare del corpo. Il corpo è diviso in aree circoscritte e ben distinte, quasi come i pezzi di un'armatura scomponibile. Nelle zone di contatto tra zone diverse, per esempio al confine tra i muscoli pettorali e il costato, si passa improvvisamente da un'alta ad una bassa frequenza di righe sottili, mentre all'interno della stessa area, per esempio entro il muscolo pettorale, si ha un gradiente, un passaggio graduale che crea una modulazione chiaroscurale ben precisa e autonoma. Questo pittoricismo crea una pittura densa e pastosa, un corpo bronzeo, come una lamina a sbalzo su una superficie piana, raggiungendo una tensione muscolare e una volumetria ancora più marcate rispetto alla croce di Giunta a Bologna. Anche il volto e la capigliatura non sono risparmiati da questo pittoricismo esasperato. I peli della barba, riuniti in tante ciocchettine sottili in Giunta, sono qui così fini da essere dipinti singolarmente e fondersi con le linee dei chiaroscuri degli zigomi. Le ciocche dei capelli si sfrangiano in ciocchettine sempre più minute, un effetto ben più marcato rispetto alla precedente croce giuntesca. Più dolce è il volto di Cristo, anche se ottenuto con uno stile ancora asciutto, quasi "calligrafico". La smorfia di dolore è più realistica, in ossequio alle richieste degli ordini mendicanti. il colore è steso in un tratteggio sottile che imprime al volto uno stacco dalla tavola. Lo studio recente, rigoroso e dettagliato di Luciano Bellosi[1] , ha permesso di stabilire come il crocifisso sia da ricondurre alla fase giovanile del pittore, sia da considerare la primissima opera tra quelle sopravvissute ed attribuite oggi a Cimabue e databile quindi attorno al 1270.

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A rivelare rivelare una datazione così precoce sono le crisografie bizantine presenti nel perizoma di Cristo e nelle vesti dei due dolenti, motivi che Cimabue non adotterà più nelle opere successive, a partire già dal crocifisso di Santa Croce che è considerata la sua seconda opera, di poco anteriore al 1280. Anche il pittoricismo summenzionato ereditato da Giunta Pisano diventa più fluido nelle opere immediatamente successive, con passaggi chiaroscurali sempre più morbidi. Questo già a partire dal Crocifisso di Santa Croce. Sui volti di tutte le figure sono presenti una cavità profonda a forma f orma di cuneo, nel punto in cui il sopracciglio incontra la base del naso e sopra il labbro superiore della Vergine Vergine è presente una striscia bianca che produce l'effetto di uno sdoppiamento. Questi tratti bizantineggianti, che Cimabue ha ereditato dal maestro o artista ispiratore Giunta Pisano, sono ancora presenti nel Crocifisso di Santa Croce, ma scompariranno nelle opere successive. Ma è soprattutto il profondo solco che dall'angolo dell'occhio attraversa tutta la guancia ad essere rivelatore in questo senso: questo tratto arcaico è presente su tutti i volti di questo crocifisso, solo accennato sul volto della Madonna dolente (ma assente sugli altri volti) nel crocifisso fiorentino e del tutto assente a partire dalla Maestà del Louvre, collocabile intorno al 1280.

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2)Crocifisso di Santa Croce

La croce riporta l'iconografia del Christus patiens, cioè un Cristo morente sulla croce, con gli occhi chiusi, la testa appoggiata sulla spalla e il corpo inarcato a sinistra. Il corpo è longilineo e sinuoso e i colori sono arricchiti di una tonalità verde scuro che lo rendono cadaverico, in linea con la concezione dell'opera. Il perizoma è trasparente e rivela le anatomie sottostanti. I lati della croce sono decorati con figure geometriche che ricordano un drappeggio. Ai lati del braccio orizzontale della croce sono presenti due dolenti a mezzo busto in posizione di compianto, che guardando lo spettatore piegano la testa e l'appoggiano a una mano. Sono la Vergine e san Giovanni evangelista, a sinistra e destra rispettivamente. In alto è presente il cartiglio I.N.R.I. per esteso. Il tondo in alto (la cimasa) è perduto. Il soppedaneo in basso non è decorato. Alle sue estremità sono presenti deidescritta riquadrisopra raffiguranti persone a cristo Anche la nuova modalità con cui c uilel'artista usacare la punta del pennello per le modulazioni chiaroscurali avvicina l'opera alla Maestà del Louvre e alle opere successive, post-datando l'opera rispetto al crocifisso aretino. Il superamento di altri retaggi dell'arte bizantina, come la separazione netta tra i muscoli di braccio e avambraccio e la linea continua a dividere il palmo della mano e l'avambraccio, contribuiscono a post-datare l'opera rispetto al crocifisso aretino. Indicative sono anche le vesti dei tre personaggi raffigurati: nessuno ha abiti con l'agemina, ampiamente utilizzata nel crocifisso di Arezzo e mai più usata in tutte le opere successive del maestro.

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3)Maestà di Santa Trinita

La Maestà di Santa T Trìnita rìnita (oppure Madonna di Santa Trìnita) Trìnita) è un'opera di Cimabue dipinta su tavola, databile tra il 1280 e il 1300, conservata agli Uffizi di Firenze. Raffigura la Madonna in trono con il Bambino, contornata da nove angeli, e presenta in basso, quattro profeti a mezzo busto. Si tratta di una tempera su tavola e misura 385x223 cm. L'iconografia è quella bizantina della Madonna Odigitria, cioè in greco "che indica la via", perché mostra la Vergine (che secondo la tradizione può essere in piedi o in trono) che indica il Bambino: la Madonna simboleggia la Chiesa e il Bambino la Via, la Verità Verità e la Vita. La Madonna è dipinta in ieratica frontalità. Il trono è raffigurato secondo una visione frontale innovativa, con una grande cavità al centro e visto in una prospettiva intuitiva secondo un inedito senso tridimensionale (le precedenti Maestà cimabuesche presentano ancora un trono in assonometria). Lo scranno assume così una possanza nuova, di vera massa architettonica, impreziosita dai decori cosmateschi e calligrafici. Questa prospettiva centralizzata, traguardo di Cimabue maturo, venne ripresa di lì a poco da Giotto, Duccio di Buoninsegna e poi dagli artisti trecenteschi.

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Il trono crea un vero e proprio palcoscenico dove sono inquadrati, al di sotto di archi, quattro profeti, affacciati di busto in uno spazio realisticamente definito. L'oro dietro di loro, anziché generare la consueta piattezza, sembra suscitare la sensazione di vuoto, facendo sì che paiano affacciarsi da delle finestre/grotte piuttosto che stare schiacciati contro una parete. Essi sono riconoscibili dal cartiglio che recano in mano, contenenti versi del Vecchio Vecchio T Testamento estamento allusivi a Maria e all'Incarnazione di Cristo: appaiono come testimoni che certificano l'evento prodigioso con le loro profezie, ed evocano la discendenza del Salvatore dalla loro stirpe. Il primo, con il cartiglio "Creavit Dominus Novum super terram foemina circundavit viro" è Geremia, a cui seguono al centro Abramo ("In semine tuo benedicentur omnes gentes") e David ("De fructu ventris tuo ponam super sedem tuam", e infine a destra Isaia ("Ecce virgo concipet et pariet"). I due profeti centrali sono composti e solenni, quasi ripresi a discutere i misteri della concezione e della verginità. Quelli laterali si torcono a guardare verso l'alto, con una caratterizzazione assolutamente nuova; coi loro sguardi creano un triangolo che ha il vertice alla base del trono di Maria. Può darsi che il complesso delle quattro figure abbia una precisa spiegazione dottrinale: i patriarchi al centro rappresentano la capacità raziocinate dell'uomo, che si interroga sui misteri dell'incarnazione, mentre i profeti ai lati hanno sciolto ogni dubbio avendola potuta contemplare nella sua pienezza, e ne sono rapiti misticamente. Le teste degli angeli sono inclinate ritmicamente verso l'esterno o l'interno, evitando la rappresentazione di profilo, riservata allora solo alle figure secondarie o negative (di lì a poco Giotto abbatterà questo principio). Ricordano da vicino gli angeli della Maestà di Cimabue affrescata nella Basilica inferiore di Assisi. I loro corpi sono solidi, modellati da un chiaroscuro delicatamente sfumato e fluido (altra novità introdotta da Cimabue) nei panneggi delle vesti. I colori rosso e blu delle loro vesti indicano la loro sostanza, ossia la fusione di fuoco ed aria. La tavola mostra stile maturo di Cimabue, in cui l'artista mostrò il superamento più lo spinto della rigidità bizantina verso formule più sciolte

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e umanizzate, che fecero di Cimabue secondo Vasari il primo a superare la "scabrosa, goffa e ordinaria [...] maniera greca". La visione frontale del trono, il volto della Vergine disteso e sereno, i dettagli del volto smussati e i chiaroscuri sfumati pongono l'opera lontana dai canoni bizantini da cui Cimabue seppe gradualmente affrancarsi. Rispetto alle precedenti Maestà di Cimabue è presente una profondità prospettica maggiore: nel trono sono presenti tre piani verticali a profondità crescenti, contro i due piani delle opere precedenti. Il piedistallo e i gradini del trono hanno anche un design concavo e scavato in profondità nella loro parte frontale. Il trono ha una visione frontale e rivela entrambi i lati interni e non è più in tralice. È cambiata anche la disposizione degli angeli, non più semplicemente uno sopra l'altro, ma adesso intorno al trono, disposizione che fa percepire una profondità maggiore. Le figure sono dilatate rispetto a prima, verso un maggiore realismo. Le pieghe delle vesti non sono più tese e fascianti come nella Maestà del Louvre del 1280 circa, ma si adagiano ampie e cadenti, come quelle tra le gambe di Maria, oppure appaiono meno arcuate, come nel manto blu che copre la sua testa. Ricompaiono le crisografie bizantine sul manto  blu, ma stavolta solo a scopi decorativi, inserendosi tra le ampie pieghe volumetriche. Le lumeggiature dorate dell'agemina suggeriscono i tocchi della luce sul manto della Madonna e la veste del Bambino, di grande fluidità ricchezza inventiva. Anche i echiaroscuri facciali sono più efficaci ed aumentano il contrasto. C'è anche una maggiore caratterizzazione anatomica dei volti a smussare gli spigoli e particolareggiarne i tratti (si noti ad esempio il taglio a livello della narice che si insinua entro la pinna del naso o l'accenno di sorriso, finora assenti in Cimabue). Pur con questi miglioramenti, si nota una certa refrattarietà alle innovazioni stilistiche e tecniche di Duccio di Buoninsegna e Giotto. Questa Maestà non ha la raffinatezza figurativa delle due opere degli anni '80 di Duccio, ovvero la Madonna di Crevole e la Madonna Rucellai, néGiotto, la decoratività della seconda Anchefatica le novità dell'allievo già manifeste a partiredidalqueste. 1290, fanno a

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comparire. I contrasti raggiunti qui da Cimabue, ad esempio, non sono resi secondo i principi dell'unica fonte luminosa. Né sembrano le pieghe trovare la loro migliore adagiatezza sopra i corpi. Gli sguardi rimangono vaghi. Limitata è anche la gamma cromatica nel complesso, soprattutto se confrontata con gli immediati sviluppi della nascente scuola senese o con la tavolozza di Giotto. Cimabue di fatto sembra arroccarsi dietro ai suoi stessi stereotipi, quelli che lo avevano reso celebre e che però adesso cominciavano a farlo apparire antiquato.

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E) Giotto Giotto di Bondone conosciuto semplicemente come Giotto (Colle di Vespignano, 1267 – Firenze, 8 gennaio 1337) è stato un pittore e architetto italiano. 1)Madonna di San Giorgio alla Costa La Madonna di San Giorgio alla Costa è un dipinto a tempera e oro su tavola (180x90 cm) attribuito a Giotto, databile al 1295 circa e conservata nel Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte a Firenze. Attualmente è esposta nel nuovo Museo dell'Opera del Duomo a Firenze.

La Vergine è rappresentata su un trono marmoreo (in parte perduto a seguito della mutilazione) decorato con motivi cosmateschi (elemento che ricorre anche nei seggi dei Dottori della Chiesa nella V Volta olta dei Dottori di Assisi, a differenza dei tradizionali seggi lignei nella pittura cimabuesca). Il trono non è raffigurato in tralice, ma frontalmente con i lati aperti, come le pagine di un libro. Al trono è fissato, mediante gancini, un drappo di broccato che nasconde in parte il trono e attenua l'effetto tridimensionale. Il drappo è animato da una fettuccia dorata che disegna poligoni o figure curve di colore blu scuro o rosso. Il trono è coronato da una cuspide decorata, con la gattonatura la cui sommità si intravede appena dietro il nimbo della Vergine.

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La Vergine Vergine è in posizione Odeghetria, ovvero mostra il Bambino alla sua sinistra, appoggiandolo sul ginocchio sinistro, mentre questi è raffigurato frontalmente in posizione composta e solenne, come se fosse un Bambino già adulto, con un rotulo nella mano sinistra e il segno della  benedizione con quella destra. La Vergine Vergine è avvolta nel suo manto blu (il maphorion) sopra la cuffia rossa che le copre la testa. Un elemento originale rispetto alla tradizione  bizantina è lo sporgere di due ciocche di capelli dalla cuffia rossa della Madonna. La sua testa si torce leggermente verso il Bambino, senza rinunciare a guardare l'osservatore, l'osservatore, in una postura del tutto nuova rispetto, sia alla precedente Madonna di Borgo san Lorenzo che alle precedenti opere di Cimabue e di Duccio di Buoninsegna. Il suo volto è disteso e nasconde un accenno di sorriso che può essere percepito come malinconico o sereno. Il bambino è vestito di blu e porta un mantellino rosa. La sua posa composta e solenne è tradita dall'irrequieto movimento del piede destro. Gli angeli hanno una raffigurazione a metà strada tra quella pienamente frontale e di profilo. Vestiti Vestiti di blu cinerino, portano il “loros” incrociato sul petto, dove un intreccio geometrico a fettuccia dorata delimita spazi con decorazioni incastonate, in azzurrite e cinabro. Le ali sgargianti passano dai colori scuri delle penne più in basso (remiganti), al colore chiaro e vivace delle penne in alto (copritrici) che vanno via via scurendosi ancora più in alto. Le chiome ramate sono voluminose ed energiche. loro dita liscio, adunche aggrappano un gattone del trono o si appoggianoLesul bordo in maniera del tutto realistica. Le decorazioni incise a stilo sull'orlo delle aureole e ai bordi della cuspide sono particolarmente curate, con segni che sembrano voler imitare i caratteri della scrittura araba (nota all'epoca da tessuti e maioliche importati) e altre forme mistilinee con animali fantastici ("grilli") che sembrano citare esempi transalpini legati al gotico francese (noti tramite i manoscritti miniati, le oreficerie e le vetrate). Anche i dettagli più minuti trovano spazio, come le cordicelle e gli anellini che reggono la stoffa foderante il trono.

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Il dipinto contiene i caratteri tipici della produzione giovanile di Giotto, con una solida resa della volumetria dei personaggi le cui attitudini sono più naturali che nella tradizione bizantina precedente, arrivando a ricordare le sculture coeve di Arnolfo di Cambio. Guardando questa tavola, si ha come l'impressione, per la prima volta, che l'ampia veste blu di Maria sia stata presa da una sedia della sala in cui l'opera è esposta e gli si sia stata gettata addosso. Il passaggio chiaroscurale tra il collo, il mento e il volto, segue un percorso nuovo rispetto alle opere precedenti di Cimabue e Duccio di Buoninsegna, per non parlare di Coppo di Marcovaldo. I volti sono decisamente più avanzati nello spazio dei loro rispettivi colli, come se protendesser protendesseroo dalla tavola. L'abilità nell'utilizzo delle tinte chiaroscurali e nella resa delle volumetrie che avevano contraddistinto Cimabue fino ad allora, trovavano in Giotto la sua massima realizzazione. Questo fu conseguito senza il pittoricismo cimabuesco basato su sottilissimi filamenti, bensì con una pennellata più grossa e bagnata, a dare tratti fluidi e sintetici al tempo stesso. Il trono è inserito in una prospettiva centrale, formando quasi una "nicchia" architettonica che suggerisce un senso della profondità, anche se non ai livelli della successiva Madonna Ognissanti. Anche il principio dell'unica fonte luminosa, sconosciuta ai pittori precedenti, rende le figure e la loro collocazione nello spazio più realistici. La fisionomia dei volti è nuova. Scompare la forcella che lega il naso alla fronte e le labbra sono infondono uno sguardo concentrato e fisso. La carnose. MadonnaGli haocchi una leggera torsione del collo verso il bambino ma non rinuncia ad osservare lo spettatore, assumendo una postura aggraziata ed elegante, addolcita dall'accenno di sorriso. Un'altra novità riguarda i due angeli. Per quanto arcaizzante fosse la collocazione di due piccoli angeli a mezzobusto dietro al trono, queste due piccole figure non hanno più una rappresentazione ostinatamente frontale (o meglio a tre quarti), ma quasi di profilo, diciamo a due quarti.

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2) Crocifisso di Santa Maria Novella Il Crocifisso di Santa Maria Novella è una delle croci sagomate (tempera e oro su tavola, 578x406 cm) di Giotto, databile al 1290-1295 circa e conservato nella navata centrale della basilica di Santa Maria Novella a Firenze. Si tratta di una delle prime opere note nel catalogo dell'artista, allora circa ventenne. La Croce di Giotto è considerata un'opera fondamentale per la storia dell'arte italiana, in quanto l'artista approfondisce e rinnova l'iconografia del Christus patiens (già introdotta nell'arte italiana nella prima metà del Duecento da Giunta Pisano). Giotto infatti abbandonò l'iconografia del Cristo inarcato a sinistra, per dipingerlo in una posa più naturalistica, con l'intera figura che sprofonda verso il basso e piega il dorso e la testa in avanti, gravata dal suo stesso peso. I bordi del braccio longitudinale della croce sono decorati da motivi geometrici che ricordano una stoffa, mentre ai lati del braccio trasversale troviamo, come di consueto, i mezzobusti dei due dolenti, la V Vergine ergine e Giovanni Evangelista. In basso, sulla base trapezoidale, le rocce in prospettiva formano una  base naturalistica rocce aride, alludentemedioevale al monte Calvario, suCalvario cui è conficcata la croce.diSecondo la tradizione sul monte era collocata la tomba di Adamo il primo uomo. Il sangue di Cristo scende in rivoli dalla croce e si infiltra tra le rocce, per poi arrivare alla cavità che contiene le ossa di Adamo, come simbolo della redenzione dell'uomo dal peccato, grazie al sacrificio di Cristo. Giotto abbandonò l'iconografia del Cristo inarcato a sinistra tipica di Giunta Pisano e Cimabue, per dipingerlo in una posa più naturalistica: tutto il corpo sprofonda verso il basso come è evidenziato dalle braccia che corrono oblique e non più parallele al terreno. La testa ciondola in avanti rispetto anziché essere appoggiata sulla spalla e anche il busto sporge in avanti al ventre e al bacino in un doloroso abbandono.

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Le ginocchia sono piegate in avanti sotto il peso del corpo, seguendo un'ispirazione legata alla tradizione scultorea (di Giovanni Pisano ad esempio), piuttosto che quella tradizionalmente legata alla pittura  bizantina. Giotto dispose le gambe incrociate e bloccate da un solo chiodo sui piedi, in una maniera già usata da Nicola Pisano nella lunetta della Deposizione nel portale sinistro del Duomo di Lucca (1270 ( 1270 circa). Colpiscono anche i dettagli delle mani che, ormai prive di forza, hanno le dita mollemente proiettate in avanti rispetto ai palmi inchiodati alla croce, con un'illusione prospettica mai vista prima. Il Cristo di Giotto è più tridimensionale ed occupa uno spazio più voluminoso rispetto a quelli precedenti di Cimabue. I chiaroscuri sono resi con una stesura di sottili filamenti, come usava fare anche Cimabue, ma decisamente più impastati a rendere passaggi fumosi tra le zone chiare e quelle più scure. Inoltre c'è per la prima volta un'attenzione per l'unica fonte di luce e tutti i passaggi chiaroscurali sono resi tenendo conto della sua provenienza. Durante il restauro dell'opera sono state evidenziate alcune particolarità rimaste, fino ad allora, sconosciute, tra cui l'estrema raffinatezza di una  bottega che si avvaleva di maestranze esperte e raffinate e il cambiamento in corso d'opera da parte di Giotto nella impostazione più allungata e reclinata della figura di Cristo (fatto (f atto che comportò un cambiamento anche della struttura lignea già costruita). I due dolenti alle estremità dei bracci della croce sono raffigurati più in tralice di e non hannodipiù visione frontale del crocifisso di Santa Croce Cimabue 15 quella anni prima. Sono più volumetrici grazie alla posa, agli ampi rigonfiamenti del panneggio, all'attenzione per la provenienza dell'unica fonte di luce.

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3)Cappella degli Scrovegni La cappella degli Scrovegni è un luogo di culto cattolico che si trova nel centro storico di Padova e ospita un celeberrimo ciclo di affreschi di Giotto dei primi anni del XIV secolo, considerato uno dei capolavori dell'arte occidentale. La navata è lunga 20,88 m, larga 8,41 m, alta 12,65 m; la zona absidale è formata da una prima parte a pianta quadrata, profonda 4,49  m e larga 4,31 m, e da una successiva, a forma poligonale a cinque lati, profonda 2,57 m e coperta da cinque unghiature nervate[1]. Dal 2006 la Cappella degli Scrovegni è candidata a diventare il secondo sito di Padova del Patrimonio dell'UNESCO (il primo è l'orto botanico del XVI secolo) L'aula si presenta interamente affrescata su tutte e quattro le pareti. Giotto stese gli affreschi su tutta la superficie, organizzati in quattro fasce dove sono composti i pannelli con le storie vere e proprie dei personaggi principali divisi da cornici geometriche. La forma f orma asimmetrica della cappella, con sei finestre solo su un lato, determinò il modulo della decorazione: una volta scelto di inserire due riquadri negli spazi tra le finestre, si calcolò poi l'ampiezza delle fasce ornamentali per inserirne altrettanti di eguale misura sull'altra parete[6]. Il ciclo pittorico, incentrato sul tema della salvezza, ha inizio dalla lunetta in alto sull'Arco Trionfale, Trionfale, quando Dio decide la riconciliazione ccon on l'umanità affidando all'arcangelo Gabriele il compito di cancellare la colpa di Adamo con il sacrificio di suo figlio fatto uomo. Prosegue con le Storie di Gioacchino ed Anna (primo registro, registro, parete sud), le Storie di Maria (primo registro, parete nord), ripassa sull'Arco T Trionfale rionfale con le scene dell'Annunciazione e della Visitazione, Visitazione, cui seguono le Storie di Cristo (secondo registro, pareti sud e nord), che continuano, dopo un passaggio sull'Arco Trionfale (Tradimento di Giuda), terzo registro, pareti sudsie nord. L'ultimo riquadro della Storia Sacra èsul la Pentecoste. Subito sotto

apre il quarto registro con i monocromi dei vizi (parete nord) e i 117

 

monocromi delle virtù (parete sud). La parete ovest (o controfacciata) reca il grandioso Giudizio Universale. le scene hanno una composizione narrativa più semplice e chiara e un minor affollamento dei personaggi. Si assiste a un maggiore affinamento dei mezzi espressivi, ad una più forte padronanza della composizione per gli effetti narrativi, dei gesti, delle posture, delle espressioni, della cromìa. Le figure hanno un volume ancora più reale che ad Assisi, avvolte da ampi mantelli attraverso cui si capisce la modellazione dei corpi sottostanti. La stesura pittorica è più morbida e densa, con un modellato più fuso che dà alle figure un risalto più pieno e meno tagliente [6]. Le scene hanno la solennità degna della loro sacralità, i volti e i gesti mostrano i moti più intimi dell'anima. Le figure protagoniste sono sempre maestose e importanti, in un inimitabile equilibrio tra la gravitas della statuaria classica e le eleganze della cultura gotica, con espressioni sempre concentrate e profonde. Più libero è l'approccio alle figure di contorno, vivacissime nelle fisionomie, nei gesti e negli atteggiamenti[6]. Senza rinunciare all'alta intonazione narrativa, l'artista mette in luce in queste figure particolari di crudo realismo tipici della vita di tutti i giorni. Giotto coglie lo sguardo e i sentimenti dei personaggi che partecipano alle scene da protagonisti, manifestando ognuno la propria personalità tanto che dai volti traspaiono lo stupore, il dolore, la disperazione, la gioia,dil'attesa, spiritualità, i più diversipiù sentimenti. Anche le architetture sfondo,launa delle caratteristiche evidenti di Giotto, non presentano più incertezze e concessioni allo sfondo irreale. Sono chiare e reali, proporzionate con le figure che interagiscono con esse. Per esempio nella Presentazione della Vergine al Tempio vi sono più forme combinate che creano un notevole gioco di vuoti e pieni, con zone aperte in piena luce e recessi coperti in una fitta ombra. Anche la Cacciata dei mercanti dal T Tempio empio presenta un'articolata costruzione tridimensionale (eloquente è il gesto minaccioso del Cristo infuriato che alza il pugno), oppure nella scena delle Nozze di Cana.

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La prospettiva è meno aggettante rispetto agli affreschi di Assisi, ma ciò è da mettere in relazione con il minor spazio della cappella rispetto alla Basilica superiore di san Francesco e alla necessità di circoscrivere maggiormente l'alta intonazione narrativa delle scene. Un altro raggiungimento tecnico di questi affreschi è la rappresentazione dell'aureola in scorcio prospettico nelle figure di profilo, in sintonia con il rispetto dello spazio in tutte le raffigurazioni. raf figurazioni. I preziosi pigmenti che da tutto il bacino del Mediterraneo M editerraneo arrivavano a Venezia furono sicuramente approvvigionati per il lavoro del maestro a Padova: rosa, gialli, arancioni e l'azzurrite [10] , che dà un tono intenso agli sfondi dei cieli. Nel celeberrimo Compianto sul Cristo morto i personaggi hanno espressioni di vero dolore e i loro gesti amplificano con realismo la drammaticità della scena. La composizione appare molto raffinata, con un gioco di linee oblique parallele che indirizzano lo sguardo dello spettatore inequivocabilmente verso il nodo della scena, dove Maria abbraccia con incredula disperazione le spalle e le braccia del figlio morto. Le pose dei personaggi sono quanto mai varie: san Giovanni di profilo con le braccia spalancate in una costernata c osternata sorpresa, la donna con le mani sotto al mento, la misteriosa figura di spalle in primo piano a sinistra. Alcuni hanno notato come le pose patetiche del Compianto siano derivate probabilmente da un sarcofago antico a Padova, il Sarcofago di Meleagro, ma comunque Giotto ha dimostrato un pieno dominio per l'espressione valoriper universali. Anche innella altre pittura scene Giotto usa figure didispalle, dare alle scene ritmo e l'effetto di quotidiana casualità nella quale lo spettatore possa riconoscere il proprio mondo. Nella famosa scena dell'Incontro alla Porta d'Oro rappresentò con gesti teneri il primo bacio dell'arte italiana (e ultimo per lungo tempo). Dietro di loro un'emblematica figura coperta da un mantello nero mostra soltanto metà del suo volto, mentre a sinistra un pastore sta arrivando: colto durante il movimento è raffigurato solo per metà nella scena. Un altro straordinario momento è quello della Cattura di Cristo, dove un gioco di lineeincrocio simili a faccia q uelleadel quelle Compianto, lo sguardo al serratissimo faccia tra Cristofae convergere Giuda.

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Si può quindi dire che Giotto ha attuato una riscoperta del vero (il vero dei sentimenti, delle passioni, della fisionomia umana, della luce, e dei colori) nella certezza di uno spazio misurabile, anticipando la prospettiva del Quattrocento. 3.1) Il bacio di Giuda È compreso nelle Storie della Passione di Gesù del registro centrale inferiore, nella parete destra guardando verso l’altare. La scena, una delle più note dell'intero ciclo, è ambientata all'aperto. Nonostante la cospicua partecipazione di personaggi, il nucleo centrale è perfettamente individuabile grazie all'uso delle linee di forza (come Caifa a destra che indica) e dell'ampia campitura di colore giallo della veste di Giuda, che si sporge in avanti, al centro, per baciare Gesù in modo da permettere alle guardie di riconoscerlo e catturarlo. Il volto di Giuda, giovane e pacato nelle scene precedenti, è qui ormai trasfigurato in una maschera bestiale, ed ha perso definitivamente l'aureola. All'immoto e intenso contatto visivo tra Gesù e il suo traditore si contrappone l'agitazione delle turbe di armati tutto intorno, generando un effetto di violenta drammaticità. Solo osservando un secondo momento ci si accorge delle altre scene di corredo, come quella di Pietro Pietro che  che taglia l'orecchio a Malco , un servitore del Sommo Sacerdote, con un coltello, afferrato per il mantello da un uomo curvo e di spalle, col capo coperto da un mantello grigio. Ben orchestrati sono i gruppi di armigeri, composti affastellando le teste (un tempo con colori metallici negli elmi, oggi anneriti) e soprattutto intuibili dal più numero di lance, bastoni e fiaccole che tra si levano aria. Un po' scandite sonoalabarde, le figure del gruppo di destra, cui si in

vede un uomo che suona il corno. 120

 

Sebbene l'iconografia risulti tradizionale, in questa scena Giotto ne rinnovò profondamente il contenuto, immettendovi una straordinaria tensione psicologica e drammatica.

2.2)Incontro alla Porta d’Oro Le Storie di Gioacchino e Anna si ispirano al Protovangelo di san Giacomo e allo Pseudo Matteo (in latino) e al De Nativitate Mariae, che si ritrovano poi anche, rielaborati, nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Varazze. Modelli iconografici furono poi manoscritti miniati di origine bizantina, magari attraverso le derivazioni occidentali, anche se l'artista rinnovò profondamente tali modelli applicando la sua sensibilità moderna, in linea con i principi degli ordini mendicanti. Dopo essere stato cacciatonon dalbenedetto T Tempio empio didaGerusalemme per essere ritenuto sterile (e quindi Dio), Gioacchino si rifugiò in ritiro presso i pastori delle montagne. Nel frattempo Anna, convinta di essere rimasta vedova, aveva avuto un miracoloso annuncio da un angelo che le aveva rivelato che presto avrebbe avuto un bambino. Nel frattempo anche Gioacchino aveva sognato un angelo, che lo confortava come Dio avesse ascoltato le sue preghiere e dovesse tornare a casa dalla moglie. La scena mostra dunque l'incontro tra i due, che secondo lo Pseudo Matteo (3,5), avvenne davanti alla Porta d'Oro o Porta Aurea (She'ar Harahamim) di Gerusalemme, dopo che entrambi erano stati avvisati da messaggeri divini.

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Da sinistra proviene infatti Gioacchino, seguito da un pastore, e da destra Anna, seguita da un gruppo di donne diversificate per classe sociale, studiate accuratamente nelle acconciature e negli abiti. I due consorti vanno incontro l'uno all'altro e, subito fuori dalla porta, su un ponticello, si scambiano un affettuoso bacio, che allude alla procreazione (senza macchia): infatti Anna rimase subito dopo incinta. L'architettura della porta ricorda l'arco di Augusto di Rimini ed è uno degli indizi che collocano il soggiorno del pittore nella città romagnola prima di arrivare a Padova. Celebre è la naturalezza della scena, col pastore che incede per metà tagliato fuori dalla scena (a sottintendere uno spazio più grande di quello dipinto), o col bacio e l'abbraccio reciproco della coppia, sicuramente il più realistico dipinto fino ad allora e che rimarrà tale per quasi due secoli. Molto lodata dalla critica è stata la scelta di disegnare la coppia come una "piramide plastica" dalla grande forza espressiva. Emblematica è la figura vestita di nero, colore raro in Giotto, che si copre metà del volto col mantello: forse un'allusione allo stato di vedovanza tenuto fino ad allora da Anna. La luce ha un ruolo chiave nella composizione, definendo il volume delle figure e anche la profondità spaziale, come mostrano i pilastri posteriori delle altane nelle torri, dipinti in ombra. Prevalgono le tinte pastello e molto curati sono i dettagli, soprattutto nel gruppo delle ricche donne. Bilanciato con sapienza è il rapporto tra figure e architettura, che non è un semplice sfondo, ma il vero palcoscenico dell'azione, abitato dai personaggi.

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2.3)Presentazione di Maria al Tempio Tempio La dedica della cappella alla Vergine della Carità spiega la presenza del ciclo di storie mariane che, sommate a quelle dei genitori Gioacchino e Anna, costituiscono la più estesa rappresentazione fino ad allora dipinta in Italia. Le Storie di Maria, dalla nascita allo sposalizio, si ispirano alla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Il Tempio di Gerusalemme è lo stesso rappresentato nella prima scena, quella della Cacciata di Gioacchino, ma qui visto da un punto diverso. Siamo infatti all'entrata, dove fronteggia il pulpito raggiungibile dalla scala marmorea, col ciborio dalle colonnette tortili più arretrato. Maria adolescente sale i gradini del Tempio Tempio accompagnata dalla madre (indossante un mantello di un rosso inteso da cui sporge la sua solita veste arancio), seguita da un servo che tiene sulla schiena un cesto pieno di panni e dallo sguardo del padre Gioacchino. Essa viene accolta dal sacerdote che le tende le  braccia e da serie di ragazze come periodo al Tempio Tempio diuna Gerusalemme per levestite fanciulle erasuore: infattiilsimile a untrascorso ritiro monastico e nelle storie mariane sottolinea il suo restare vergine, vergine, uscendovi solo per sposare l'anziano Giuseppe, che quindi (è sottinteso) non la possederà. Un tocco di quotidianità è offerto dai passanti, come quelli di schiena a destra che osservano indicando e chiacchierando tra di loro. La scena ha un suo fulcro evidenziato anche dall'architettura, evitando le rigidità della simmetria, con una semplificazione delle superfici di grande efficacia, con un rapporto calibrato tra architettura e figure che la popolano.

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La gestualità è lenta e calcolata, i colori sono chiari, intrisi di luce, la plasticità delle figure è accentuata dal chiaroscuro e dal disegno robusto.

3) Maestà di Ognissanti La Madonna di Ognissanti è un dipinto a tempera e oro su tavola (335x229,5) di Giotto, databile al 1310 circa e conservato agli Uffizi di Firenze, dove è scenograficamente collocato a poca distanza da analoghe pale di Cimabue (Maestà di Santa Trinita) Trinita) e Duccio di Buoninsegna (Madonna Rucellai). Anticamente si trovava nella chiesa di Ognissanti a Firenze, da cui il nome. l confronto con le opere precedenti dà un valido metro di come l'arte di Giotto si muovesse ormai verso un radicale rinnovamento della pittura, anche se non mancano stilemi arcaici come il fondo oro e le proporzioni gerarchiche, ultime dovute forse alla alla necessità mostrare il maggior numeroqueste possibile di fedeli attorno Vergine. Ildi tema della Maestà è reinterpretato con grande originalità, incentrato sul recupero della spazialità tridimensionale degli antichi e sul superamento della frontalità bizantina. La Madonna e il Bambino hanno un volume solido, ben sviluppato in plasticità, dal netto contrasto tra ombre e lumeggiature, molto più che nella vicina opera di Cimabue (la Maestà di Santa T Trinita) rinita) di circa dieci anni anteriore. Il peso così terreno delle figure è evidenziato dalla gracilità delle strutture architettoniche del trono. Raffinati sono i colori, come il bianco madreperlaceo della[2]veste, il blu di lapislazzuli del manto, il rosso intenso della fodera .

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Maria è una matrona che, in maniera del tutto originale, accenna quasi un sorriso, dischiudendo appena le labbra e mostrando da uno spiraglio i denti bianchi[3]. Le figure sono incorniciate da un raffinato trono cuspidato, creato secondo una prospettiva intuitiva ma efficace, che accentua la profondità spaziale, nonostante il fondo oro[2]. Esso si ispira a Cimabue, ma ha anche una straordinaria somiglianza con quello della Giustizia della Cappella degli Scrovegni. Originalissima è poi la disposizione dei due santi nell'ultima fila, visibili solo attraverso il traforo del trono, che assomiglia a un trittico richiuso o a un ciborio ornato di incrostazioni marmoree. Tutti gli sguardi degli angeli convergono verso il centro del dipinto, con l'innovativa rappresentazione di profilo di alcuni di essi, una posizione riservata solo alle figure sinistre (Giuda, i diavoli...) nell'arte bizantina. Essi hanno in mano doni per la Madonna: una corona, un cofanetto prezioso e vasi con gigli (simboli di purezza) e rose (fiore mariano): i vasi sono tra i primi esempi in ambito medievale di "natura morta", già sperimentata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni. A differenza differenza delle opere più antiche, Giotto ricava uno spazio pittorico nel quale dispone con verosimiglianza gli angeli e i santi: essi sono ancora rigidamente simmetrici, ma non lievitano ormai più uno sull'altro, né sono appiattiti, ma si collocano con ordine uno dietro all'altro, ciascuno diversificato nella propria fisionomia, finemente umanizzata rivelando un'inedita attenzione al dato reale. sorpassato la La tecnica pittorica è molto avanzata ed ha completamente schematica stesura tratteggiata del Duecento, preferendo una sfumatura delicata ma incisiva e regolare, che dà un volume nuovo alle figure. Il senso del volume ottenuto col chiaroscuro, le forme scultoree, quasi dilatate, e la semplificazione delle forme saranno il punto di partenza per le ricerche di Masaccio.

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4)Polittico Stefaneschi

Il Polittico Stefaneschi è una tempera su tavola (78x89 cm pannello centrale, 168x83 pannelli laterali e 45x83 gli scomparti della predella) di Giotto e aiuti di bottega, realizzata nel 1320 circa; era destinato alla prestigiosissima collocazione dell'altare maggiore dell'antica basilica di San Pietro in Vaticano ed oggi è conservato nella Pinacoteca Vaticana (inv. 40120). La scelta delle scene verte essenzialmente su san Pietro, titolare della  basilica, e san Paolo, l'altro apostolo le cui reliquie si trovano a Roma, simboli della Chiesa cattolica romana stessa; ad essi venivano ad aggiungersi il Cristo, ovviamente, e gli altri apostoli maggiori. Non è assolutamente sicuro quale fosse il recto e quale il verso, ma le ipotesi più accreditate indicano il lato col Cristo in trono come recto, cioè il lato destinato alla visione dei canonici dall'altare, mentre il verso, con il san Pietro, titolare della chiesa, visto dai fedeli nella navata.

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Sul recto: • Al centro Cristo in trono con angeli e un offerente ai suoi piedi (riconoscibile nello stesso Stefaneschi). Le figure si assiepano attorno al santo come nelle Maestà, accennando ac cennando una disposizione in cerchio che dimostra un adattamento alle nuove concezioni spaziali. • Nei pannelli laterali la Crocifissione di san Pietro. Il martirio di Pietro viene rappresentato secondo l'iconografia tradizionale, a testa in giù; la scena, a cui assiste un folto gruppo di astanti, è posta tra due edifici identificati nella Piramide V Vaticana, aticana, detta Meta Romuli, un mausoleo piramidale ancora esistente al tempo di Giotto in prossimità del Vaticano e il Terebinto. I due edifici erano tradizionalmente legati al martirio di Pietro. In alto l'anima dell'apostolo è portata in cielo entro un nimbo da angeli. La figura della donna che stende dolorosamente le braccia fin dietro la schiena è ripresa dalla Crocifissione con cinque francescani della basilica inferiore di Assisi. la Decollazione di san Paolo in cui la scena è ambientata in un paesaggio tra due colli ed è presente una piccola costruzione a pianta centrale; anche in questo caso il santo nella cuspide è raffigurato mentre sale in cielo portato da !

!



angeli. A sinistra sinist ra Plautilla, sullache cime di una ripidadall'aria, montagnola, riceve una benda plana gonfiata lasciata cadere dal santo durante la salita al cielo. I tre scomparti della predella raffigurano la Vergine Vergine in trono col Bambino tra angeli, San Pietro e san Giacomo in posizione centrale, e ai lati cinque apostoli per parte. La disposizione in un'unica fila, in piedi e ritmati, ricorda le teorie di santi dei mosaici  bizantini.

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Sul verso: • Al centro San Pietro in trono tra angeli e offerenti (il committente presentato da san Giorgio, essendo cardinale di San Giorgio al Velabro, e il pontefice Celestino V, in abito monacale, presentato da san Silvestro, intenti a offrire a Pietro il modellino del trittico e un manoscritto); la ripresa della posa di Cristo, sull'altro lato, simboleggia come Pietro ne sia il vicario (e quindi i papi suoi discendenti). Il modellino del polittico è in tutto e per tutto uguale al vero e vi compare, a sua volta, anche il minuscolo committente inginocchiato: si tratta di uno di più antichi esempi di effetto Droste. • Nei pannelli laterali San Giacomo e san Paolo a sinistra, Sant'Andrea e san Giovanni Evangelista a destra. • Nella predella, l'unico pannello superstite riproduce Santo Stefano e due Santi non identificabili. Nelle cuspidi sono presenti tondi con angeli e santi o profeti. Il polittico venne ideato dal maestro, ma dipinto probabilmente principalmente dagli aiuti della sua bottega[4] , ed è caratterizzato da una certa aderenza alla tradizione per quanto riguarda le iconografie, probabilmente legata al carattere ufficiale dell'opera. Notevole appare la varietà cromatica, a scopo decorativo, ma le figure presentano una minor evidenza plastica rispetto ad altre opere di Giotto; l'importanza del ! !

luogo amonumentali cui era destinato imponeva delevidenza. fondo oroCuratissimo dal quale le è figure si stagliano conl'uso grande l'impianto decorativo, tanto che ha fatto pensare alla presenza di un aiuto di formazione senese. Più probabilmente è da mettere in relazione innanzitutto con la destinazione del polittico, specchio e celebrazione della potenza e sontuosità della corte pontificia[5]. Nell'opera le forme sono solide e solenni, dimostrando l'incontro con la scuola di pittura locale e con la statuaria classica, e non mancano alcune citazioni dell'antico, come la Piramide V Vaticana aticana nell'episodio della Crocifissione di Pietro (ripresa peraltro dalla tradizione iconografica, usata già ad esempio da Cimabue C imabue negli affreschi della basilica superiore di Assisi).

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La ieraticità sacramentale di alcune figure, da alcuni vista come indizio della presenza di collaboratori, venne probabilmente adottata consapevolmente dall'artista, per rispondere alla particolare destinazione dell'opera, dimostrando così la sua versatilità.

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