Armando Gentilucci_Introduzione Alla Musica Elettronica

February 10, 2017 | Author: fabrizio6111 | Category: N/A
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Musica elettronica...

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UNIVERSALE ECONOMICA FELTRINELLI

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ARMANDO GENTILUCCI

INTRODUZIONE ALLA MUSICA ELETTRONICA

Capitolo primo

Musica elettronica, concreta, su nastro

Prima edizione: settembre 1972 Quarta edizione: settrmbre 1983

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Copyright by

O Giangiacomo Felrrinelli Editore Milano

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Musica elettronica, musica concreta, musica sperimentale su nastro: questi termini, che definiscono esperienze artistiche recenti ma ormai "storiche." sono ancora circonfusi, nello status dell'attuale coscienza d'ascolto del fruitore comune e occasionale, da una nebbia di esoterismo tecnologico. L'equivoco (favorito magari, oltre che dall'ostentato scientismo polemico di alcuni musicisti "sperimentali" in anni sepolti anche se ancora vicini a noi, dal neoimpressionismo d'accatto di tante colonne sonore per documentari e film di fantascienza, cioè a dire dall'associazione esterna, superficiale almeno, tra determinati suoni prodotti elettronicamente e immagini riferibili al moderno foklorismo tecnologico) induce gran parte dei "non addetti ai lavorin a considerare le recenti esperienze elettroacustiche dell'avanguardia alla stregua di un'abdicazione dell'umano a vantaggio del culto feticistico, esclusivo, per la ricerca su inediti generatori di suono. A che titolo poi ciò avverrebbe, non è certo chiaro nella mente dell'ascoltatore poco provveduto: arida catalogazione di possibilità foniche o ebbrezza bruitistica, gusto machinrste o trntazione alchimistica al limite di una magia nera musicale? Naturalmente, quand'anche fosse vero che parte della produzione recente nasce o è nata all'insegna di una nuova "era dei ghiacci," come è stato detto, resterebbe da stabilire perché ciò avvenga: ma questo non è problema che riguardi esclusivamente la musica elettroacustica, quindi tale da giustificare timori specifici, circoscritti. Infatti, la produzione di nuovi suoni elettronici attraverso la conversione di vibrazioni elettriche in vibrazioni sonore, in sé e per sé costituisce un fenomeno al quale anche ascoltatori distratti o soperticiali si sono ormai assuefatti

attraverso l'ascolto sistematico della musica leggera tecnicamente piii aggiornata. I complessi pop e simili si distinguono l'uno dall'altro quasi esclusivamente per un particolare sound, mentre la struttura melodica, ritmica e armonica delle loro composizioni è pressoché standardizzata. L'uso dei sintetizzatori elettronici, che inserisce effetti sonori nuovi, e degli amplificatori, crea situazioni d'ascolto notevolmente piii complesse e interessanti. Al di là dei mezzi timbrici nuovi, degl'impasti inediti e quindi della maggiore disponibilità "materica" che contrassegna la musica pop sta però la somma dei nessi grammaticali e linguistici tradizionali: melodia, tonalismo o quanto meno modalismo diatonico, armonia basata su accordi elementari, ritmo simmetrico-continuativo (non si dice ovviamente del sistema temperato). Essi, nella produzione etichettabile all'insegna del consumo, anche in quella artigianalmente scaltrita, restano pressoché completamente intatti, dovendo assolvere a ben precise funzioni di conservazione culturale, di invito alla passività e di integrazione acritica rispetto al mondo cosi com'è. Solo in questo modo si può spiegare perché, rimanendo sul generico, quelle stesse ambientazioni sonore che nel campo "leggero" non ostacolano ma anzi favoriscono il successo dei vari "complessi," in quello della musica cosiddetta "seria" inducano a diffuse perplessità. Nel primo caso la novità timbrica ha un valore largamente sovrastrutturale sia pure vistosamente sottolineato e non privo di combinazioni abili; nel secondo, i mezzi elettronici e sperimentali in genere aprono un campo di possibilità su cui il musicista fa leva per operare radicali o quanto meno ulteriori (anche rispetto all'avanguardia storica) trasformazioni linguistiche. Le quali costituiscono dunque verosimilmente il vero motivo di preoccupazione per ascoltatori bloccati a schemi percet.tivi unilaterali; oppure magari, all'opposto, i veicoli di entusiasmi sospetti, dove la fascinosità misteriosa di suoni mai uditi viene associata con disarmante ingenuità alla sfera del misticismo, dell'incoilscio e simili (ascolto di tipo impressionistico, con tentazioni esoterico-simboliste). La musica costruita con materiali prodotti mediante generatori sonori di origine tecnica o comunque elaborati attra-

verso le apparecchiature elettroacustiche si affaccia sulla scena proprio in un momento preciso, in rapporto alla crisi storica della civiltà musicale europea e occidentale, in seguito all'emancipazione del rumore (o suono indeterminato) e all'accentuato timbrismo della corrente post-weberniana, vale a dire dell'avanguardia musicale del dopoguerra. Prima degli anni '50 i tentativi compiuti con le Onde Martenot, con il Trautonium, con l'organo Hammond non uscivano dalle rotaie del sistema temperato, vale a dire dalla divisione dell'ottava in dodici semitoni uguali, e solo arricchivano con strumenti alimentati da corrente elettrica la tavolozza timbrica di qualche aroma coloristico in piii, senza mettere in benché minima discussione le strutture-base del linguaggio musicale. Similmente, si diceva, sebbene ad un livello tecnologicamente piu complesso, avviene oggi con la musica leggera smaliziata. Non a caso i sintetizzatori di piccola portata sono dotati di una tastiera dove puntualmente si ritrovano le consuete dodici note del sistema temperato. Sarebbe errato anche assegnare il salto qualitativo intervenuto con l'utilizzazione dell'elettroacustica da parte di molti musicisti dell'avanguardia al perfezionamento tecnico. Ritenere, come qualcuno ha fatto, che l&sperimentazioni degli anni '50 siano il frutto esclusivo, e in un certo senso automatico, delle possibilità offerte dalla registrazione su nastro è sintomo di sbrigativo determinismo. Nessuna condizione materiale favorevole a che si realizzi la costituzione di un nuovo mondo sonoro può essere, di per sé, decisiva. L'intenzionalità formale, insomma, condiziona gli strumenti tecnici almeno nella misura in cui ne è condizionata: lo sviluppo non può mai ascriversi a un progresso automatico dei mezzi elaborativi, come avviene invece per gli organismi naturali. Per musica elettronica si deve intendere dunque non tanto un generico ricorso a strumenti il cui suono viene prodotto elettronicamente, bensi quell'esperienza compositiva che, muovendo dalle virtualità materiche intrinseche ai nuovi mezzi, ha realmente allargato e approfondito l'area delle foniche unitamente ai processi o~erazionali di composizione, ai moduli costruttivi. Se il suono elettronico non rappresentava certo di per sé una novità attorno al 1950, pure è in quegli anni che si chiarivano definitiva-

mente i termini di una diversa formulazione e strutturazione del materiale sonoro, in seguito alla produzione di timbri indeterminati e pertanto fuori del raggio d'azione del temperamento equabile, come allargamento del tendenziale materismo scaturito dalla dissociazione ~untillisticadello s ~ a z i o sonoro e di ricostituzione su nuove basi. Inoltre è determinante l'immissione massiccia del rumore, che acquista pari importanza rispetto al suono ad altezza determinata. I1 lettore si sarà accorto come questo libro, benché per motivi di semplificazione e di richiamo "suggestivo" a una dimensione particolare abbastanza esperibile dell'odierna ricerca sonora, faccia riferimento nel titolo alla sola mus i a elettronica, in realtà chiami in causa lo sperimentalismo acustico nel suo complesso e sia comprensivo quindi del concretismo e di ogni impiego del nastro elettromagnetico come serbatoio in grado di immagazzinare materiali di svariata provenienza da elaborare attraverso il montaggio, il mixaggio, ecc. Ciò si spiega con la genesi e lo sviluppo obiettivo del processo di impiego dei mezzi elettroacustici, con l'intrecciarsi di vari esperimenti sonori. Se infatti per un certo tempo la musica concreta e quella elettronica hanno rappresentato campi di ricerca diversi, talora addirittura opposti seppur avviati a una progressiva integrazione, dopo il 1960 si può parlare di assimilazione della prima da parte della seconda. Sempre piu la musica elettronica si è servita di rumori, sia attraverso apparecchiature autonome (generatore di rumori) e sia mediante registrazione attraverso il microfono di materiali precostituiti e di varia fonte, vere schegge sonore d'esistenza. Se all'inizio i concretisti soprattutto francesi guardavano alla musica elettronica pura come a un'asettica costruzione artificiosamente volta a ingigantire, dilatare il processo di ferrea razionalizzazione della musica seriale in campo vocale-strumentale, mentre gli "elettronici" li ripagavano della stessa moneta ritenendoli fermi a un grezzo gusto per facili suggestioni decadentistiche o naturalistiche, il successivo intrecciarsi di componenti provenienti dagli opposti campi ha permesso di puntare, al di là di ogni mero affinamento dei materiali in astratto, su un nuovo potere comunicativo.

Ma cosa si intende per musrca elettronzca e per musicrr concreta? Onde evitare confusioni e fraintendimenti va precisato il punto che riguarda affinità e differenze tra le due esperienze considerate allo stato puro, e dunque in una fase storicamente iniziale. Come già si è detto e si preciserà in seguito dettagliatainente, sebbene il clima storico accomuni questi due filoni di ricerca nati da differenti ma complementari temperie culturali e sempre piu spesso intersecati fino a confondersi o a relazionarsi al modo di momenti integrati o dialettizzati, purtuttavia vi sono caratteri specifici che esigono una distinzione preliminare chiara, sia pur essa provvisoria, schematica e da rimettere in discussione ogni qualvolta gli esempi musicali smentiscono, con le loro multiformi combinazioni, classificazioni rigide oggi insostenibili e largamente inattuali. Nella musica concreta allo stato puro il materiale sonoro di base è sempre precostituito: suoni e rumori provenienti da qualsiasi contesto, anche di natura esistenziale, cioè a dire ricavati dalla quotidianità, dalla natura, dalla tecnologia come da voci e strumenti tradizionali, vengono registrati con il magnetofono, immagazzinati e successivamente elaborati mediante la tecnica del montaggio e piu o meno denaturati. Al contrario, la musica elettronica pura si serve solo di suoni prodotti attraverso generatori di frequenza, di rumori. di impulsi, di onde. I suoni che ne derivano sono dunque totalmente nuovi. Tra i mezzi elaborativi comuni vanno citati tutti gl'interventi nel campo della stratificazione materica, dell'intensità, e poi ancora l'uso simultaneo di piu nastri, il mixaggio, il lavoro di forbici sul materiale fissato su nastro, con sezioni anche piccolissime montate secondo criteri soggettivi di composizione, retroversione del suono, sfumatura del suono, cancellazione di parte del nastro ad uso di modificazione e filtro d'altezza o timbrico, spazializzazione mediante altoparlanti. Inoltre si viene ad avere una possibilità di controllo assoluto delle durate, la cui misurazione avviene sulla base della lunghezza del nastro scorrevole. Le fiprazioni ritmiche irrazionali, anche quelle assolutamente non controllabili nel-

l'esecuzione viva (vocale o strumentale), fuori della portata della percezione sensibile, possono essere realizzate senza problema alcuno. Nel campo "concreto" come in quello di sintesi elettroacustica di molteplici fonti, suoni e "rumori" costituzionalmente votati alla dissolvenza (strumenti a percussione in metallo, vibrafono, campane, pianoforte, arpa e altri ancora) per la prima volta nella storia della strumentazione timbrica conoscono la possibilità del "crescendon attraverso la retroversione. Cosi come ( e si portano qui solo alcuni esempi molto elementari) viene rivoluzionato il tradizionale rapporto fonico tra le varie famiglie dell'orchestra. Un suono "colorato" pifi o meno come un flauto (suono sintetico), oppure un flauto "elettrificato," può sforare ed essere in primo piano anche rispetto a un blocco massivo di ottoni (trombe, corni, tromboni, tube, ecc.), che in condizioni "normali" lo avrebbero schiacciato rendendolo pressoché inudibile. Al di là del culto feticjstico per il suono sorgivo sta dunque anche la volontà di rivedere, mediante un rigoroso empirismo che da elementi comuni trae singolari impasti, fatti acustici non pifi dati una volta per tutte, non pi6 istituzionalizzati. I'remesso quanto sopra, se ne deduce che tanto nella musica elettronica pura quanto in quella concreta che non ricorra alla registrazione di suoni prodotti da strumenti o voci e poi deformati, denaturati e cosi via, scompare la figura dell'interprete. Questo aspetto non ha mancato di produrre una piu che legittima inquietudine in coloro i quali, pur senza feticizzare l'interprete in quanto deus ex machina, hanno avuto il sacrosanto timore che venisse meno proprio una tra le virtualità specifiche e difficilmente rinunciabili dell'attività musicale, vale a dire la possibilità di rivivere il testo in molteplici incarnazioni esecutive e in una sempre rinnovata, attiva tensione comunicativa. Si è temuto insomma che la musica finisse per assumere carattere fantascientifico, asettico, astratto da quel reale contatto fisico e umano che unisce interpreti e pubblico in un teatro, sala da concerto, luogo pubblico. Va peraltro detto che si tratta di un problema in larghis-

sima misura superato: gli sviluppi successivi, dall'iniziale entusiasmo esclusivo per il materiale tecnico, hanno mostrato la tendenza a integrare il nastro elettronico con l'esecuzione dal vivo. Si può parlare allora di un periodo iniziale di purismo sperimentale sia nel settore concreto sia in quello elettronico che si è protratto fin verso il 1960, a cui ha fatto seguito un'apertura verso molteplici integrazioni. Si spiega cosi come siano oggi largamente plausibili opere concertistico-rappresentative basate in larga parte su materiali elaborati in sede di studio elettroacustico, contrariamente a quanto avveniva anni addietro, allorché musiche squisitamente radiofoniche subivano la grottesca cerimonia rituale dell'ascolto collettivo di un nastro in sale semibuie. senza che intervenisse alcun apporto di natura gestualevisiva. La valvola rlettronicu, altrimenti detta triodo, è l'elemento fondamentale dei sistemi oscillanti elettrici da trasformare in frequenze percepibili acusticamente, udibili dall'orecchio umano come suoni. Negli studi di musica elettronica esistono alcuni tipi di generatori di suono: quello che produce, su ogni possibile frequenza, il suono sinusoidale puro, elemento pifi semplice del mondo elettroacustico; valvole che generano onde quadre, derivate dall'addizionarsi di armoniche dispari rispetto all'onda sinusoidale e dotate di timbro particolarmente aspro; e ancora onde a dente di sega, derivate dalla somma delle armoniche addizionate all'onda sinusoidale, rettangolari, triangolari. Abbiamo poi il generatore di suono bianco (detto anche rumore bianco), che contiene stratificate in blocco massivo e sincronico tutte le frequenze esistenti; e ancora il generatore di impulsi. Inoltre vi sono tutte le complesse apparecchiature per l'elaborazione: modulatori di frequenza, ampiezza, ad anello, camera d'eco, selettori di ampiezza, ecc. Tra le modalità operative di base, particolare rilievo ha il filtraggio, che può essere delle frequenze (da un blocco intensivo di suoni eliminazione delle acute, medie o gravi) e quindi anche timbrico. Particolare interesse dal punto di vista della stratificazione riveste la scoperta del suono bianco, che abbraccia la

totaliti dellu spazio acustico. Si pensi, per analogia, a t.luster in uno strumento a tastiera (pianoforte, organo. armonium, e simili), vale a dire alla percussione simultanea di numerosi tasti contigui: quest'ultimo non è che la pallidissima idea, il parente povero del corrispettivo elettronico, il quale non essendo soggetto al temperamento equabile, alla divisione dell'ottava in dodici semitoni uguali tra loro, rappresenta un serbatoio fonico omogeneo, compatto, che annulla ogni sia pur minimo interstizio tra suono e suono, non conosce vuoti nell'ambito delle frequenze. I l semitono cessa di essere l'intervallo minimo e sopravvengono invece, massicciamente, le divisioni infinitesimali del suono. Allorché i blocchi sonori costituiti di molteplici sovrapposizioni elettroniche sono in movimento e procurano quella sensazione di immobilità colorata però di continue rifrazioni, si può pensare, s'intende per semplice analogia descrittiva, alla dilatazione e moltiplicazione estrema del concetto di quadrato magico, ristretto però entro gli argini di un'ottava, o meglio di una settima maggiore: quadrato che all'interno del sistema temperato indica l'esaurimento continuo, verticale e orizzontale insieme, delle dodici note che formano il totale cromatico, cioè dell'intera gamma dei suoni usabili. Questa sorta di tabella indicava come attraverso il meccanismo razionale della serializzazione la materia potesse polverizzarsi combinatoriamente in un tessuto indistinto, al limite inorganico, proprio e paradossalmente per la sua compattezza "neutra": una sorta di actio non agens. Già nell'anticipazione "temperata" del quadrato magico, ma tanto piu nell'infinito universo elettronico, ogni barriera tra .ruono e rumore cade, si svuotano di valore le tradizionali categorie che privilegiavano all'estremo la trama melodica disegnata dalla successione degli intervalli e mantenevano in ombra una concezione magmatica ora invece sbalzante in primo piano al pari di ogni altra prospettiva di agglutinamento fonico. Si diceva in precedenza della necessità di distinguere i mezzi tecnici dalla loro utilizzazione e si è posto l'accento sulla fondamentale attitudine del compositore "sperimentale" a prendere coscienza preventiva del campo sonoro dischiuso dall'avvento dell'elettroacustica proiettandovi la pro-

pria intenzioiialità tormativa in un secondo teiilpo, A ricognizione materica avvenuta. I n realtà, e lo vedremo meglio pi6 avanti, l'emancipazione del compositore da quegli schemi mentali di articolazione strutturale che egli stesso approntava o aveva approntato in sede vocale-strumentale non è avvenuta di punto in bianco. Metodi compositivi preesistenti sono stati spesso una guida, hanno rappresentato una traccia di organizzazione a cui i musicisti sperimentali si sono aggrappati per cominciare una cauta presa di possesso del vasto campo sonoro inizialmente solo intravisto. Ma si è voluto poco fa precipitare le cose, nell'impazienza di delineare lo scarto innovativo nei procedimenti di composizione, estremizzando una linea di tendenza che invece si è fatta luce progressivamente, a continuo contatto con la vasta e peculiare nuova fonicità. I1 musicista si pone dunque oggi di fronte alle apparecchiature tecniche in maniera abbastanza salutarmente empirica. Abbiamo visto come egli goda di una disponibilità enorme nel campo delle frequenze: non piu dodici suoni selezionati nel corso dei secoli da quell'immensa riserva costituita dalla natura, bensi orizzonti sconfinati, combinazioni infinite, microintervalli a volontà, e anche timbri potenziali, impasti sonori nuovi a portata di mano, sebbene in questo settore I'elettroacustica abbia mantenuto meno di quanto sembrava promettere. Come primo rilievo occorre precisare che questa prassi sperimentale sul vivo di un virtuale patrimonio acustico di cui non è stata ancora fatta una mappa che non sia parzialissima, non ha precedenti nella storia della musica. I codici linguistico-musicali sui quali si fondavano le varie esperienze compositive prima dell'elettroacustica, erano frutto di una razionalizzazione, di una sintesi semplificatoria, di una riduzione estrema delle frequenze utili al far musica, che si estendeva poi agli altri parametri. Ora, come ha sintetizzato con esemplare chiarezza didascalica Luigi Rognoni, "il musicista sembra trovarsi in condizioni simili a quelle del pittore che manipola direttamente la materia-colore su una tavolozza e la fissa in un'unica e definitiva rappresentazione espressiva sulla tela. Cosi il musicista fissa su nastro magnetico il suo pensiero, una volta per sempre"; questo vale oggi soprattutto per la

costituzione del materiale timbrico e per le durate dei suoni, mentre dinamiche, effetti spaziali e perfino le altaze possono essere modulate in esecuzione dal vivo. L'atto del comporre riduce l'aspetto propriamente di manipolazione nei confronti di un materiale già definito e diviene anche la rivelazione dell'in sé della sostanza sonora. Resta inteso che è sproporzionato ritenere che la musica sperimentale ricavata da generatori di suono elettronici pretenda necessariamente di coprire l'intero arco problematico della musica nuova, gettando un colpo di spugna su tutto quanto è stato realizzato nel campo della musica strumentale e vocale piu avanzata. I principali compositori di musica elettronico-concreta sono autori anche di musica prodotta con mezzi piu "tradizionali." Bisogna poi tener conto che se, come si diceva sopra, in un primo momento è stata piuttosto frequente la tentazione di ritenere i mezzi sonori elettronici in grado di creare timbri in numero pressoché illimitato, fino a scoprire mediante la sovrapposizione dei suoni sinusoidali l'universo musicale intero, fino a disegnare una mappa totale delle possibilità coloristiche, oggi le cose sono un po' diverse. Ricerche di acustica hanno confermato che ad esempio i suoni sinusoidali, elementi-base della musica elettronica, non sono del tutto privi di timbro. Ne consegue che i suoni ottenuti sinteticamente con la sovrapposizione di suoni puri rinviano sempre alla fonte, hanno un inconfondibile "colore che ne svela l'origine tecnologica. I migliori musicisti d'oggi impegnati nel settore della musica sperimentale su nastro sanno che l'incarnazione della nuova musica con i materiali tecnologici non può compiersi interamente, pena gravi auto-limitazioni e auto-amputazioni. Questo fatto rappresenta una precisa coscienza della relatività dei problemi inerenti al campo specifico, in rapporto alla piu vasta scena musicale. Già si è parlato di progressiva integrazione; non si deve sottovalutare neppure l'influenza che certi agglutinamenti timbrico-materici desunti piu o meno dalle suggesti~nidella stratificazione elettronica hanno avuto nel ripensamento dello stesso suono delle voci, degli strumenti, nel modo di trattare l'orchestra e i cori. Ma di questo si riparlerà piu avanti. Uno scarto innovativo notevole coinvolge anche il campo "'

della notazione, che nelle composizioni elettroacustiche è pressoché assente, destituita di fondamento e di funzione. L'unica realtà è quella registrata sul nastro magnetico, data una volta per tutte. Se si eccettuano alcuni isolati tentativi di fissazione grafica (Stockhausen: Studio I I ; Evangelisti: Incontri di fasce sonore), si può dire che il musicista si limiti per lo piu ad appunti privati, del resto estremamente generici, freghi alla rinfusa difficilmente leggibili da altri, piani preparatori poi smentiti e riveduti, catalogazione della materia fonica, montaggio, ecc. Qualcosa di simile alla descrizione verbale di un pittore che, per ipotesi assurda, volesse renderci edotti, attraverso una sommaria descrizione fatta di parole e numeri, del lavoro che va svolgendo su vari materiali stratificati. Resta inteso, com'è facilmente intuibile, che il quadro sarebbe poi tutt'altra cosa rispetto alla spiegazione dei processi operazionali. Perché questo? A parte, ripetiamo, l'utilità assai relativa di una partitura elettronica, che ~ o t r e b b eservire al massimo come materia di studio, bisogna considerare le oggettive difficoltà (per non parlare di impossibilità, almeno allo stato attuale) che si incontrano qualora si voglia riportare graficamente con precisione una quantità di dati che vanno a situarsi fuori del sistema tradizionale. I1 numero delle frequenze acustiche si moltiplica vertiginosamente, la sovrapposizione di suoni in densi strati non consente di seguire e perciò indicare esattamente le singole componenti interne. Finché la composizione elettronica era ancora limitata entro ambiti ben circoscritti, volutamente schematica, esisteva ancora la possibilità di scrivere una partitura di accettabile approssimazione. Da un certo momento in avanti, la complessità dei mezzi impiegati (suoni sintetici mescolati con eventi fonici precostituiti, registrati e integrati mediante distorsione o manipolazione) non ha permesso che si sedimentasse una scrittura onnicomprensiva, ed è stata perciò una decisione saggia quella di rinviare sempre alla realtà tangibile della fissazione su nastro.

Cnpirolo secondo

Antecedenti storici: la progressiva rivalsa del "rumore"

I1 sistema musicale d'occidente, pur nell'avvicendarsi deile varie esperienze compositive, ha utilizzato per secoli, e anzi millenni, solo una parte minima del pressoché inesauribile potenziale sonoro a disposizione dell'uomo. I1 tetracordo e l'armonia (scala d'ottava formata da -due tetracordi) dell'antico sistema musicale greco, i modi gregoriani della liturgia medioevale, le tonalità maggiore e minore del sistema musicale in auge dalla fine del Rinascimento fino alle soglie del '900, l'atonalismo, la dodecafonia e perfino la serialità integrale, rappresentano stadi di un processo evolutivo tutto sommato rettilineo (benché certo alimentato e reso storicamente significante da contrasti, interne contraddizioni e magari ribaltamenti dialettici). Essi sfociano l'uno nell'altro disegnando sempre un cosmo linguistico di volta in volta diverso, magari opposto nelle soluzioni, e tuttavia incurvato su se stesso negli elementi fonici primari. DaIl'alternanza in varie combinazioni degl'intervalli di tono e semitono nelle scale diatoniche (modali o tonali che siano) al cromatismo sistemizzato dopo la rottura degli argini tonali nel metodo di comporre con i dodici suoni teorizzato da Arnold SchGnberg e dalla sua scuola espressionista (Alban Berg, Anton Webern), il campo delle altezze acustiche, in natura senza meno sterminato, era ristretto enormemente, affinché potesse costituirsi una ret- di relazioni precise e istituzionalizzate per sedimentazione storica tra i vari elementi della grammatica e sintassi musicale. Non a caso i greci, pur conoscendo e ~raticandoil genere enarmonico comprendente microintervalli, privilegiarono decisamente il diutonico, di piii facile esecuzione vocale e quindi meglio plasmabile. Ora noi sappiamo appunto che la teoria musicale greca ha costituito la ~iattaformateorica per l'intera

es~erienzamusicale d'occidente (attraverso la mediazione di ~e'veriiioBoezio). Nel sistema diatonico e in quello cromatico le sette e le dodici note avevano funzione analoga alle lettere dell'alfabeto: gli intervalli melodici. cioè le differenze di altezza acustica tra suono e suono, creavano nella successione diacronica-orizzontale e successivamente sincronicaverticale un preciso "racconto" che si estendeva nel tempo secondo precisi legamenti logici, facilmente memorizzabili. Vcro è che non in tutti i casi l'organicità del tessuto sonoro selezionato è stata ottenuta per la stessa identica via e per i medesimi scopi: nel sistema tonale, che ha retto grosso modo per tre secoli (da! 1600 al 1900), la scelta degli intervalli melodico-armonici è frutto di una funzionalizzazione preventiva dei vari gradi del!a scala in rapporto tra loro, secondo un alto quoziente di convenzionalità accettata per progressiva assimilazione culturale. (Per inciso, si ricorderà come la musica tonale, sui cardini della quale si basa tuttora la grandissima parte della produzione di consumo, rappresenti ancora ai giorni nostri per vasti strati di ascoltatori una sorta di "seconda natura. " ) Nella concezione che per comodità definiremo atonale, o piii specificatamente dodecafonico e seriale. i dodici suoni della scala cromatica hanno invece subito un processo di livellamento, parificazione e dunque in defintiva di defunzionalizzazione rispetto alla prassi contro la quale la nuova musica si rivolgeva: essi rappresentano una consistenza piii nuda del materiale, definiscono un campo d'azione straniato dalla globale istituzionalizzazione del linguaggio musicale imperniato sulla tonalità. Questo campo sonoro, costituzionalmente portato all'esaurimento continuo del totale cromatico, rimane tuttavia all'interno del sistema temperato, offrendosi alla manipolazione in maniera piii libera, aperta, non convenzionalmente vincolante: i dodici suoni, le dodici note, sono però ancora sempre gli stessi. È abbastanza comprensibile che, muovendo da siffatta base, la musica occidentale privilegiasse inoltre nettissimamente i suoni a frequenza definita rispetto a quelli ad altezza indeterminata, relegati sbrigativamente e anche spregiativamente tra i rumori; o meglio, utilizzasse questi ultimi con funzione accessoria, marginale. Si pensi soprattutto agli idio-

foni e ai membranofoni come supporti ritmico-percussivi. Quel che importa osservare può riassumersi allora schematicamente cosi: la grammatica musicale, fino alla metà circa del nostro secolo, ha preso in considerazione soltanto dodici suoni riportabili su varie ottave, operando una vastissima selezione su due fronti, uno per cosi dire interno all'immenso campo delle frequenze vibratorie possibili in un corpo acustico determinato, l'altro esterno. Quest'ultimo riguarda ovviamente il rumore o suono indeterminato, vale a dire quell'evento acustico composito per la simultanea presenza di piramidi di "armonici" differenziate, del quale si afferra unicamente la caratterizzazione timbricq e che quindi veniva assunto con ruolo piu o meno secondario, subalterno, prevalentemente ritmico. Perciò, se la musica della tradizione occidentale ha privilegiato la trama melodica e la struttura armonica (ossia il concatenamento di accordi costituiti da suoni prodotti simultaneamente, verticalizzati secondo criteri di affinità funzionale), il timbro puro è rimasto a lungo relativamente in ombra. I1 disegno, insomma, ha sempre prevalso sul colore, sul materiale "visivo" in quanto tale, se si tien ferma l'assai efficace analogia con la pittura. Non è forse vero che anche qui la soggezione dell'impasto coloristico, rispetto agli spazi preventivamente sagomati dalla matita, è stata per lungo tempo pressoché totale? Senza addentrarci troppo in una storia dello sperimentalismo pre-novecentesco, che rischierebbe di rendere frammentario e dispersivo (o al contrario ipertrofico) un discorso che vuole essere il piu possibile piano e funzionale, sarà bene tuttavia considerare come entro l'area stilistica di certo romanticismo musicale si siano venute configurando soluzioni impreviste ed eterodosse rispetto alla prassi compositiva del classicismo viennese, Beethoven escluso ( e prima ancora del barocco, Vivaldi escluso). Come non rivolgere la mente a Berlioz, alla sua irreqpieta fantasia timbrica, a quegli autentici strati di materia sonora dialetticamente contrapposti di cui le note sembrano puri supporti, secondo una prassi esattamente opposta rispetto a una tradizione la quale, anche se concedeva qualche spazio a seduzioni timbriche, lo faceva però a patto di lasciar colorare strutture perfettamente determinate e largamente definite dagli altri

parametri compositivi (melodia e armonia su base modaletonale, ritmo simmetrico e pulsante, distribuzione per volumi o spessori timbricamente uniformi o semplicemente differenziati "a scacchiera ")? L'affermazione progressiva del parametro timbrico, fino alla concezione magmatica del suono che presiede alla nascita dei primi esperimenti elettronici e concreti, muove dunque da componenti fattuali, operative e culturali diverse. Da una parte si verifica il sopravvenire parziale del timbrismo all'interno di un'area grammaticale-linguistica ancora tonale. Dall'altra, come si vedrà, lo sgretolarsi delle impalcature linguistiche tradizionali lungo l'arco novecentesco, fino alla riduzione materica del suono in seguito ad affastellamento fonico o scardinamento delle note musicali dalle loro funzioni (gradi delle scala diatonica) e conversione del!e medesime a puri eventi acustici, ad altezze frequenziali immemori costituzionalmente di qualsivoglia affinità elettiva che possa congiungere l'una alle altre o preventivamente disgiungerle. (Se l'espressiot~ismo viennese e le sue derivazioni hanno voluto privilegiare certa intervallistica dissonante rispetto a quella consonante, ciò è avvenuto come rivalsa e negazione nei confronti dello stadio linguistico precedente: questo riguarda una fase precisa, torrida della cultura musicale, e non caratteristiche intrinseche alla materia. Per cui è certamente piu esatto parlare di musica antitonale che non di musica semplicemente a-tonale.) Anticipando alcune conclusioni, s'è voluto dare un quadro piu ampio e sictetico del processo di rivalutazione del timbro e della materia acustica in sé e per sé considerata. Ma è bene tornare subito a una piu precisa linea di indagine. Se dunque un discorso storico esauriente in merito alla rimozione del baratro che un tempo separava il suono dal rumore non può andare troppo indietro nel tempo, il che richiederebbe un impegno assolutamente sproporzionato all'importanza del tema stesso ai fini che ci proponiamo, ci si dovrà limitare a brevi cenni su esperienze posteriori a certo uso rumoristico-percussivo in Haydn, Mozart e alla fin fine anche Beethoven. Esempi altamente significativi ce li fornisce, come è detto in precedenza, Héctor Berlioz. Dopo il compositore francese, che soprattutto nella Sinfonia fan-

rusrlcu (182Y-30i [nostra chiarainente di pensare in piii punti per agglomerati timbrici, per successioni di impasti differenziati anche nella varia densità delle figure ritmiche, prima ancora che in termini melodici e armonici, le fondamentali esperienze della scuola romantica tedesca e del poema sinfonico (Liszt. Waanerì. imboccano una strada. o almeno la suggeriscono, che conoscerà gli sviluppi piu rilevanti nella fondamentale ricerca di Debussy (1862-1918). Qui, veramente, il timbro assolve radicalmente a funzioni strutturali, sostituendo in punti non estremi gli altri parametri, o subordinandoli decisamente: giungendo cosi, per tale via, a quella paralisi del tempo vitalistico e della dinamica armonica che costituiscono fattori tra i piii "inquietanti" d e l l ' e ~ ~ e r i e n z a compositiva debussyana. Reinserito in un contesto ben maggiormente condizionato dal pulsare ritmico organizzato cineticamente, quindi maggiormente ancorato al classico segno d i battuta che scandisce il ritmo sia pure asimmetrico, anche lo Stravinskij delle opere fauve ( e massimamente in PetruSka del 1911-12 e nella Sagra della priinavera del 1912-13) dava ampio sfogo a inediti impasti timbrici, ad asprezze "rumoristiche," spingendo gli strumenti dell'orchestra verso i registri estremi, ricavandone sonorità ora sgargianti, ora acide e violente. Inoltre. e questo costituisce una testimonianza della derivazione d e b u s s ~ a n adi non poche soluzioni di Stravinskij, l'infrazione continua rispetto ai ritmi abituali delle misure regolari tra loro simmetriche, malgrado l'accentuazione metrica ben viva sullo sfondo percettivo, ingenerava un senso di cristallizzazione, di gelidificazione del tempo, riportando a una coalizione d'ascolto decisamente me-tonale. Sul piano dell'emancipazione del parametro timbrico, l'ungherese Béla Bart6k (1881-1945) ha indicato soluzioni destinate a proliferare in sempre nuove diramazioni attraverso il vivissimo senso di auscultazione di una materia sonora colta allo stato quasi larvale. Perseguendo una zona di ideale "estrAneitàn (ancorché sempre dialettica) dai parametri musicali della cultura borghese europea, quindi oltre le opposte ma complementari vie dell'espvessronismo atonale-dodecafonico e del neoclassicisn~orestaurativo, il musicista magiaro ha sviluppato da una parte i suoi studi etnoL,

musicologici facendo leva su un linguaggio mutuato dal ricchissimo folclore balcanico per elaborare un tessuto armonico-melodico originale, svolgendo contemporaneamente (almeno nelle opere maggiori) una formidabile indagine di carattere "matericon capace di suggerire una sorta di verginità espressiva, un'articolazione musicale che nasca dal suono stesso, un'invenzione di assoluta sorgività. Soprattutto trattando gli strumenti ad arco, Bart6k inventa modi d'attacco, sonorità davvero seducenti che nulla hanno dell'epidermica degustazione timbrica per 11 radicalismo con cui è perseguito un climax fatto di brividi timbrici, di strati sonori ora vitrei, ora vorticosamente agitati: giissati, pizzicati, suoni armonici, al ponticello, con sordina, considerazione delle peculiarità timbriche connesse alle singole corde di ciascuno strumento. I1 compositore ungherese manipola spesso la materia sonora come se non avesse storia ( e dunque non ribalta neppure polemicamente i termini di una storia passata), compiacendosi di associazioni audaci che nei luoghi piu significativi della produzione bartokiana ( e massimamente nei Quartetti) hanno nettamente la meglio sulle residue remore tradizionaliste. Sempre nell'Europa orientale si era segnalato in anni lontani il, cecoslovacco Alois Haba (1893), che attorno al 1920 aveva condotto serie ricerche sulla possibilità di ottenere dai consueti strumenti musicali i microintervalli (quarti e anche sesti di tono). Al coraggio dell'esordiente aveva però fatto seguito un ripiegamento verso soluzioni tutt'altro che rivoluzionarie che ben presto circoscrissero il peso effettivo del musicista nell'ambito dello sperimentalismo novecentesco. I n completa indipendenza, estremamente isolato sia sul fronte interno che su quello esterno, l'americano Charles Ives (1874-1954) era giunto a concepire, fin dai primi anni d i questo secolo, il collage di suoni e rumori ritagliati o almeno desunti dai piii vari contesti, come uno dei principi costitutivi di una rinnovata forma musicale: egli perseguiva per dastellamento (Sinfonia n. 4, 1910-16) o per spazializzazione (The Unanswered Question, 1911 ) la formazione di una struttura polimaterica intrecciatissima, dove il decorso musicale non piii linguisticamente rettilineo e forma-

lizzato lascia emergere il suono in tutta la sua concretezza, lascia che i fenomeni sonori per cosi dire "accadano" prima di significare; o, piu precisamente, il significato nasce dal modo in cui i fenomeni spesso già carichi di semanticità intrinseca sono concatenati (l'arte della citazione che in quegli anni o poco prima già era stata di Mahler, seppure in tutt'altra situazione culturale e con altro senso). Una particolarissima esperienza, punto di riferimento d'obbligo per qualsiasi discorso sulle origini della musica concreta, è quella svolta dal pittore e musicista in seconda Luigi Russolo, esponente del futurismo musicale italiano unitamente al romagnolo Ralilla Pratella. Le riserve sul velleitarismo barricadiero di questi personaggi, artisticamente poco consistenti oltreché compromessi politicamente con il fascismo, sono da considerarsi ovvie e indiscutibili. Tuttavia, se di Russolo si è parlato, all'indomani delle prime sperimentazioni di musica concreta ed elettronica, come di un precursore, sottolineando per lo piu certe "messe in coincidenza" storiche (piu che rigorose filiazioni), ciò non avviene a caso. Luigi Russolo, sebbene meno ferrato di Balilla Pratella nella tecnica musicale (nonostante gli studi di Conservatorio, rimase sempre in bilico tra la pratica della musica e quella, alla fine prevalente, della pittura), prosegui piu radicalmente del correligionario romagnolo la via di una musica ispirata alla tecnica, alla macchina, al rumore: s'intende, con tutti i limiti alla fin fine politici connessi a tale poetica, la quale esige appunto, come ha rilevato Luigi Pestalozza, una musica "in grado di riprodurre nei materiali l'estetizzante trionfo della tecnica sull'uomo socialmente annientato dal suo meccanico progredire," che viaggiasse di conserva alla spregiudicatezza nefasta della borghesia industriale del Nord Italia. Resta comunque il fatto che se Balilla Pratella ripiegò ben presto sull'esperienza neoclassica incrociando la via dei Rcspighi, dei Casella, dei Pizzetti per proseguire poi oltre verso le secche del piu becero provincialismo, Russolo, pur nei modestissimi limiti di compositore improvvisato, rimase piu fedele all'iniziale spinta sperimentalistica. Al punto che Pierre Schaeffer, apostolo del concretismo francese del secondo dopoguerra, lo chiama in causa come antecedente diretto dei suoi montaggi rumoristici. 22

L'l1 marzo 1913 Russolo, dopo l'ascolto della Musica futurista di Pratella, scriveva da Milano al collega: "Ci avviciniamo sempre di piu al suono rumore. Noi futuristi abbiamo tutti profondamente amato e gustato le armonie dei grandi maestri. Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto piu nel combinare idealmente rumori di tram, di motori a scoppio, di carrozze e folle vocianti ... Ci divertiremo a orchestrare idealmente insieme il fragore delle saracinesche dei negozi, le porte sbatacchianti, il brusio e lo scalpiccio delle folle, i diversi frastuoni delle stazioni, delle ferrovie, delle filande, delle tipografie, delle centrali elettriche, delle ferrovie sotterranee. Non bisogna dimenticare i rumori assolutamente nuovi della guerra moderna ..." I1 famoso intonarumori di Russolo, che fece scandalo e destò polemiche a non finire, comprendeva fra l'altro "ululatori, " " rombatori, " " scoppiatori, " " ronzatori," "gorgogliatori, " " sibilatori. " Famoso resta il concerto tenuto nell'aprile del '14 al teatro Dal Verme di Milano, dove ben diciannove intonarumori servirono per l'esecuzione di tre brani: Risveglio della città, Pranzo sulla terrazza dell'albergo e Incontro di aeroplani e automobili. Scriveva Russolo a proposito del funzionamento dei suoi strumenti: "Trovato il principio meccanico che dà un rumore, si potrà mutarne il tono regolandosi sulle stesse leggi generali dell'acustica. Si procederà per esempio con la diminuzione o l'aumento della velocità, se lo strumento avrà un movimento rotatorio, e con una varietà di grandezza o di tensione delle parti sonore, se lo strumento non avrà movimento rotatorio." I1 fatto che l'enarmonicità del suono scaturisse dalle rudimentali, patetiche e se si vuole un po' comiche macchine del pittoremusicista, aprendo la strada all'irruzione dei microintervalli e al superamento del sistema temperato, permette di considerare i tentativi di Russolo come punti di partenza da cui si può muovere coerentemente verso una ricerca di laboratorio seriamente impostata benché necessariamente empirica, oppure verso una negazione ironica che, puntando semplicemente sull'elemento polemico del rumore, tanto meglio se onomatopeico, dello scandalo, arrivi appunto alla totale negazione. all'astuzia nihilista di John Cage.

Se Pierre Schaefier riconosce la paternità di Russolo in alcuni tentativi fondamentali, sia pure minimizzandone la portata pratica, anche altri ebbero a che fare con il singolare pioniere milanese. Si sa per certo che Honegger accolse i suoi suggerimenti e si dichiarò ottimista sugli sviluppi del russolofono, e cosi pure Varèse, che nel 1929 presectò al pubblico parigino un altro strumento di Russolo, il rumorarmonio. Del resto anche Milhaud e Stravinskij, negli anni precedenti la prima guerra mondiale, ebbero a conoscere da vicino le infernali macchine futuriste. Dei rudimentali tentativi condotti con quegli strumenti non resta praticamente nulla: anzi, gli strumenti stessi sono andati perduti. In effetti, Russolo non si cimentò mai in opere musicali organiche, per cui la sua importanza si riduce unicamente ail'idea anticonformista, al coraggio e alla spregiudicatezza con cui condusse la guerra alla tradizione musicale nel suo complesso. Non vi 2 dubbio che Edgar Varèse (1885-1965), compositore americano di parziale formazione parigina, sia stato il musicista che maggiormente ha raccolto l'eredità futurista di Russolo nel senso di un acuito gusto per la materia fonica, per l'elemento acustico preso in sé, per la ricerca di laboratorio. Per lui gli oggetti e gli eventi sonori, nella concretezza della costruzione musicale, sono privati di ogni significato contenutistico o emblematico: appunto, si riducono a eventi puri, senza che neppure venga concesso troppo spazio a quella dialettica della "citazione" che Ives invece praticava su larga scala. Varèse, sfuggendo in diversi suoi pezzi dalla convenzione del temperamento equabile e rifiutando l'organico della grande orchestra ottocentesca e anzi ogni organico istituzionalizzato dalla pratica del concertismo, scopre ed elabora il suono e il rumore (categorie distinte che qui non hanno piti nessuna ragion d'essere), svincolati da ogni dialettica "discorsiva" di tipo tradizionale, da ogni "legalità" o schema preesistente, cercando piuttosto di ricostruire, con l'uso di materie sonore disparate e denaturate, il senso di una prorompente vitalità istintiva, di un primitivo dialogo dell'uomo con la natiira e con le "cose" (quindi mche con i materiali musicali) che lo circondano: al di là

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delle costrizioni del linguaggio musicale istituzionalizzato. Una verginità nuova infuria dunque in composizioni ricche di salute ed estro quali Ionzsation (per soli strumenti a percussione), Octandre, Integrales, dietro le quali pare di scorgere la sanguigna figura di Walt Whitman ( e ci si vuole limitare qui al Varèse d'anteguerra, vale a dire al musicista in veste di spericolato precursore). Varèse è stato' forse l'unico musicista capace di accogliere la spinta a un totale rinnovamento dei mezzi fonici fuori dalle convenzioni linguistiche tradizionali senza cadere nell'efficientismo apologetico, nel feticismo tecnologico. L'empirismo (nel senso migliore del termine) della ricerca varèsiana, se da una parte tende a liberare l'atto musicale da suggestioni metafisiche richiamando il lavoro a un criterio di autonomia dell'indagine materica, dall'altro evita anche il culto per la motorietà vitalistica, individuando per tale via nel suono colto allo stato primigenio una disponibilità che solo sperimentalmente può essere circoscritta e piegata alle esigenze del comporre. È qui che il modernismo apologetico e ingenuamente retorizzato (oltreché artisticamente inesistente) di un Russolo si tramuta nel rispecchiamento di una condizione di effettivo superamento dei mezzi tradizionali di produzione sonora. Schivando generalmente riferimenti acustici troppo compromessi naturalisticamente, Varèse indaga con spirito veramente pionieristico sui nuovi materiali liberamente enucleati. La "positività" dell'operazione sottintende certo uno scarto dialettico nei confronti dello storicismo, abito mentale dei piti avveduti compositori europei del '900; ne consegue un parziale emarginamento del momento "negativon all'interno della patologia linguistica, e questo può anche essere inteso come un limite in epoca capitalistica. È comunque certo che la curiosità per la materia, il fascino del suono vergine, l'evocazione di immagini sonore sconosciute scaturite dal contatto con materiali disparati e soprattutto dagli strumenti a percussione, la disponibilità ad allargare pressoché illimitatamente il raggio delle virtualità foniche sono fattori che, se coincidono con la scoperta della realtà naturale identificata nella sostanza fisica del dato acustico, forse solo in Varèse si sono sganciati senza equivoci possibili dal mito efficientistico,

reazionario nella misura in cui la retorizzazione della tecnologia quale espressione attivistica della moderna metropoli dilegua sotto l'incalzare di ben piu r;gorose istanze di rinnovamento (fin da Ionisation, che è il pezzo piu "futurista" in senso russoliano che mai l'americano abbia composto). All'emancipazione del linguaggio musicale dal plurisecolare sistema linguistico d'occidente contribuiscono fondamentalmente due direttrici di ricerca tra loro complementari: la prima, che si può definire del timbrismo o del materismo tendenziale, è stata descritta brevemente attraverso un rapido cenno al lavoro di musicisti pur tra loro dissimili come Debussy, Bartok, Haba, Ives, Varèse, il caotico rumorista Russolo, fin dall'inizio votati ad aprirsi verso orizzonti estranei alla prospettiva eurocentrica; la seconda, certo non subordinata in ordine di importanza ma anzi per taliini aspetti decisiva, è costituita dall'espressionismo dodecafonico e dai suoi derivati piii o meno stretti: serialismo, strutturalismo post-weberniano, dissociazione puntillistica e ricostituzione di un tessuto di maggiore spessore attraverso la tecnica dei gruppi di stockhauseniana invenzione. Questa seconda via, che ha costituito ovviamente il tronco magno dell'esperienza avanguardistica per i musicisti europei del dopoguerra, tende a far esplodere dall'interno del sistema tradizionale le contraddizioni, attraverso una serie di cortocircuiti che trasformano profondamente la prassi compositiva. L'esito è sempre la riduzione materica del suono, ma qui ciò si viene a determinare in seguito a razionale ribaltamento delle precedenti convenzioni linguistiche (I'adorniana dialettica negativa in musica), laddove per un Varèse era la risultante di una ipotesi di verginità che tutto può inglobare, anche gli elementi piu consunti, riprospettando ogni oggetto musicale in forma destoricizzata. Per comprendere la saldatura avvenuta tra l'avanguardia europea che nel dopoguerra ha preso le mosse dalla dodecafonia e dal serialismo, e le ricerche sperimentali di elettroacustica, va precisato il ruolo fondamentale assunto dalla tecnica dissociativa del puntillismo nella riuova mu-

sica in seguito all'applicazione del concetto di serie. a tutti i parametri. Qui si deve aprire una vasta parentesi e partire di lontano, dall'espressionismo prima atonale e poi dodecafonico. I1 superamento della tonalità, realizzato nei primi decenni del '900 dai tre esponenti della scuola viennese (Arnold Schonberg, Alban Berg, Anton Webern), da cui è scaturita poi l'organizzazione dodecafonica dello spazio sonoro (i dodici suoni della scala cromatica in relazione tra loro senza centri d'attrazione, senza una gerarchia che stabilisca a priori l'importanza di una nota musicale rispetto alle altre, senza leggi che impongano certe sovrapposizioni in accordi verticali dotati di funzioni precise), significò il superamento dell'armonia prestabilita, dei conseguenti moduli percettivi di larga prevedibilità, dell'ordine linguistico dato, insomma. L'espressionismo non è certo da intendersi però, neppure in campo musicale, semplicisticamente come culto deii'espressione individuale, rifiuto degli schemi formali preesistenti in quanto tali: pur avendo discendenza romantica, questo movimento scartava infatti soluzioni consolatorie innalzando la solitudine del musicista alla coscienza dell'operazione eversiva e dialettica insieme, configurandosi storicamente non come espressività positiva, bensi espressione dell'angoscia, di piu o meno consapevole rifiuto dei meccanismi sociali borghesi, vale a dire sul terreno specifico, di quel codice linguistico-musicale su cui fa leva il consumo per imporre i suoi prodotti e le sue immagini mistificatorie, volte solo ad accecare la coscienza critica dell'ascoltatore dandogli del mondo la migliore immagine possibile, fondamentalmente consolatoria. Perciò i modi dell'espressionismo e della dodecafonia privilegiano la dissonanza rispetto alla consonanza, come rivalsa storico-linguistica prima ancora che psicologica, interpretabile come negativa della tradizione. Prevalgono, sia in senso melodico che armonico, intervalli eccedenti o diminuiti, e poi quelli dissonanti per eccellenza come la seconda minore e, assai pi6 usata, la settima maggiore che paralizza ogni dialettica interna al campo armonic:) sovrapponendo quei poli opposti del sistema tonale

aperta che Pousseur ha relizzato nel 1956 anche in un pezzo elettronico, Scambi. I1 richiamo a Webern dei suddetti musicisti non è certo casuale, in quanto proprio il compositore austriaco aveva portato il suono singolo alla massima concentrazione, affievolendo l'aspetto schonberghiano e berghiano di ghermente e angosciosa gestualità ( o macerazione espressionistica), in favore di un processo di decentramento dei nuclei, di scheggiatura del tessuto musicale in punti timbricamente variati e isolati da una sempre piu acuta percezione del " silenzio " come valore musicale. Qualora risultasse strano il dedurre gli sviluppi successivi dell'informale materico dal sidereo mondo sonoro weberniano, si pensi per analogia a come il geometrico assoluto di Mondrian abbia contribuito, certo assieme e complementariamente ad altre esperienze, a svellere in anni già molto lontani le ultime tentazioni fieurative in camDo ~ittorico e a favorire sviluppi di segno opposto, aperte magari ai recuperi piu inattesi e disinibiti. Va detto poi che la contraddizione tra progresso e conservazione, tra ipercostruttività e negazione, risale in musica a Mahler e poi per filiazione percorre radicalmente la strada di Schonberg, Berg, Webern; essa riappare, sotto varia forma, in tutti i maggiori musicisti della crisi borghese, fino all'avanguardia del secondo dopoguerra (in seno alla quale, come sempre, Luigi Nono esige un discorso tutto per sé). Cosi lo scientismo del primo Boulez e del primo Stockhausen (ma altresi di Pousseur) offre spazio alle colossali lusinghe della salvazione esorcistica e costruttivistica proprio mentre, oggettivamente, inferisce un colpo decisivo al linguaggio della tradizione musicale d'Occidente disarticolandolo mediante l'assolutizzazione razionale e a tutti i livelli del principio asimmetrico e all'almeno tendenziale estensione del concetto di serie a tutti gli aspetti del fenomeno sonoro. La volontà di suscitare e utilizzare 'le forze occulte del numero, del calcolo probabilistico, del serialismo integrale insomma, per farne espediente di assoluta predeterminazione formale, mentre da un lato si alimentava alle ormai lontane sorgenti ciell'espressionisrno razionalizzato u

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nella serializzazione dodecafonica, dali'altro coagulava ogni aspetto sonoro intorno a un sistema logico-parametrico accentrato su se stesso, come Boulez fini con l'ammettere piu tardi. Esso finiva per perdere quella carica angosciosa che aveva costituito la ragione prima del sorgere dei meccanismi statistici antiripetitivi, improntati a una vertiginosa assenza di punti di riferimento stabili. Perciò T. W. Adorno. teorico ed eseaeta dell'es~ressionismo viennese, ha preso una posizione critica nei confronti di una fase della nuova musica letta in chiave di paradossale estetismo tecnologico, pur comprendendola e giustificandola sul. piano storico: "L'angoscia si rovescia in freddo orrore, al di là delle possibilità del sentimento, dell'identificazione e della viva inclinazione ... Ouell'orrore reagisce esattamente alla condizione sociale: i migliori tra i giovani compositori sono consci di tale sinistra implicazione." Secondo Adorno questi caratteri formano un complesso di circostanze che "conferisce alla razionalità il suo aspetto irrazionale, ciò che è disastrosamente cieco." I sineoli elementi interni alla struttura (figure ritmiche, brandiili di incisi melodici, punti-timbro) non si possono piu isolare nel momento dell'ascolto, che può solo permettere I'acquisizione di strati ormai definibili come materia fonica di varia lega timbrica e di vario spessore. La nullificazione dell'intervallo melodico fa quindi scadere la nota (che è tale solo quando viene inglobata in una costituzione di modi e scale all'interno delle auali assume un ruolo s~ecifico. cosi come la lettera dell'afiabeto l'assume nel linguaggio verbale) a suono puro. Quando Stockhausen compose i famosi Gruppen ('57), consegnò definitivamente alla coscienza d'ascolto la dimensione del magma di avvenimenti sonori simultanei, dall'impatto totalizzante, della "colata lavica" di suoni al limite dell'indifferenziato. L'attenzione dell'ascoltatore converge qui unicamente sul risultato fonico globale di cui i singoli .elementi costitutivi sono scomponibili in sede di analisi della partitura, ma non a livello immediatamente auditivo. Perfino l'introduzione della poetica del caso o della prassi aleatoria, avvenuta massicciamente negli anni '60, non è che l'esasperazione distruttiva-nihilista di un germe che pure lo strutturalismo post-weberniano portava

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coli sd, uiia volta condotto alle conseguenze stesse dell'indistinto materico. Ecco a questo punto profilarsi sull'orizzonte compositivo degli anni '50 l'ipotesi di uno sbocco con gli strumenti elettroacustici, sui quali fare leva a1 fine di provocare una sorta di choc liberatore nei confronti degli istituti linguistici della tradizione anche novecentesca (vedi l'uscita dal sistema temperato), per tentare infine la costruzione ex novo di un intero universo musicale. Appare evidente, in conclusione, al centro di quali stimoli e dentro quale contesto tecnico-culturale si possa collocare la maturazione degli esperimenti elettronico-concreti. Vi sono, certo, componenti diverse, messe in luce precedentemente: lenta e progressiva liberazione del parametro timbrico dalle posizioni subalterne in cui da sempre era stato relegato (attraverso Berlioz. Liszt, Wagner, Debussy, su su fino a Bart6k e Varèse), conseguente superamento della dicotomia suono-rumore, ecc. Ma è necessario ribadire che alla fine, oltre allo sviluppo anche della tecnologia generale (registrazione su nastro), il progredire dell'elettroacustica per fini compositivi sia maturato principalmente attraverso l'eliminazione (parziale o totale: tendenziale sempre) della "dialettica delle altezze" e del motorismo ritmico nell'ambito della musica prodotta con strumenti tradizionali, provocando per estensione del fenomeno dissociativo anti-polarizzante (già presente nell'espressionismo dodecafonico sia pure limitato alla componente melodica) una sorta di deflagrazione. Le note musicali, nella scrittura pulviscolare o "a gruppi," fondono, si tramutano in particelle di materia e precipitano quasi per forza d'inerzia verso orizzonti inesplorati, disponibili a ogni soluzione, riplasmabili nei piu diversi modi. Si ha in definitva uno scardinamento del significato convenzionale-espressivo inerente ai singoli interai singoli ritmi, mentre il peso e l'interesse valli mel*ci, viene a riversarsi sul fenomeno acustico oggettualizzato, con prevalenza schiacciante dello spessore rispetto a ogni altra istanza. Appunto in questo quadro di ambiguità storica, in questo clima di trapasso, la genesi del fenomeno musicale concreto ed elettronico viene a costituirsi come polo della positività, del rispecchiamento di una volontà

di ririnovameiito che muova dal terreno della dissoluzione del pensiero musicale inerente alla tradizione occidentale ( e dei significati ad essa immanenti), per proporre una diversa connessione tra i dati materici e l'articolazione strutturale. A Parigi, Colonia, Milano, sorgono i piu importanti centri di musica concreta ed elettronica, allestiti dagli enti radiofonici; in breve volgere di anni altri studi elettroacustici si aggiungono: Varsavia, Columbia-University, Eindhoven, Baden-Baden, Darmstadt, Tokio, Bruxelles. Di questo appunto, delle cronache di un'alacre ricerca, si parlerà nel capitolo che segue.

C~2pitofoterzo

Cronache d i una ricerca: d d i e origini ai 1960

1 ) Musica concreta a Parigi

Nella Parigi dell'immediato dopoguerra Pierre Schaeffer, singolare figura di ingegnere-musicista (tale da ricordare non poco quella piU patetica del futurista italiano Luigi Russolo, alla cui esperienza del resto il francese amava richiamarsi), si pose l'interrogativo di come addivenire a una musica sperimentale che tenesse conto del rtrvore, del suono non istituzionalizzato a livello artistico e invece (ierivato dal mondo della tecnica e dalla vita di strada dell'odierna metropoli. "I1 nostro grande scopo," diceva Schaeffer, " è quello di far saltare le scogliere di marmo dell'orchestrazions occidentale, di presentare nuove possibilità di composiziotie, un nuovo modo di scrivere e di parlare (sebbene non sappiamo n6 come viene scritta questa scrittura, né come viene parlata questa lingua)." T1 processo auspicato si rese possibile compiutamente solo nel 1950, allorché il grammofono fu sostituito dal nastro magnetico, con tutto quello che ne derivava (li potenzialità eiaborativa e di manipolazione. Nacque cosi a Parigi, anche con la collaborazione del musicista Pierre Henry, la musique concr2te: "noi abbiamo chiamato la nostra musica 'concreta,'" t. serripre Schaeffer che parla, "poiché essa è costituita da elementi pressistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro, sia rumore o niusica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a realizzare una volontà di composizione senza l'aiuto, divenuto impossibile, di una notazione musicale tradizionale. " Dunque, a Parigi, nessuna sottile dialettica tra "concretezza" e "astrazione": per Schaeffer, Henry e i loro

collaboratori (tra i quali spicca la figura del fisico André Moles) è concreto ciò che si costituisce a oggetto musicale (sonoro) tangibile per il solo fatto di esistere già. Di qui due conseguenze, che possono rivelarsi anche contrastanti: uno, la preminenza della materia fonica bruta sulla dialettica delle altezze determinate (cioè fatta "con le note"), come potenziale liberazione; due, l'inclinazione pericolosa verso un assai difficilmente scansabile naturalismo piatto e grossier, almeno fino a quando non si perfezionano certi mezzi di trasformazione dei dati acustici di Dartenza. L'eauazione oggetto sonoro esistente = autenticità è infatti equivoca proprio perché su questa strada si può arrivare presto a una sorta di misticismo materialista ingenuo e mistificatorio: appunto a questo condurranno certi ~ m o r i s m iscandalistici di John Cage. Né d'altra parte si possono evitare facilmente effetti di un surrealismo corrivo e probabilmente involontario, automatico. I primi esperimenti di Schaeffer, ancora con i dischi, non a caso prendevano spunto da rumori ben precisi: dallo Studio sulla trottola a quello sulle ferrovie o sulle pentole. Utilizzando tre " giradischi si Dotevano realizzare variazioni elementari del materiale acustico: imitazione canonica, moltiplicazione sonora, sfasamenti diacronici ottenuti mediante cambiamenti alterni di velocità. Inolne l'esecuzione. retrograda consentiva di invertire i rapporti dinamici: crescendi che si ribaltavano in dissolvenze e viceversa. Altri brani seguirono sulla stessa linea: Studio violetto e Studio nero, dove la fonte è costituita da un pianoforte preparato (cioè modificato con l'immissione di oggetti sulla cordiera al fine di ottenere suoni "anormali, " o .meglio ancora "anon~ali"), Studio per pianoforte. I primi saggi di musica concreta si nutrono di passione sperimentale contraddittoriamente mescolata a sfrontatezza compiaciuta e a palese ingenuità. Non mette conto allora discutere della qualità "estetica," sempre e totalmente inesistente. Le goffe ricerche rumoristiche "alla Russolon della prima ora avevano il compito principale di agitare dei problemi, di vincere delle inibizioni, di far cadere certi diaframmi tra suono istituzionalizzato in un pensiero strutturale dato in partenza e suono colto allo- stato grezzo.

Schaeffer ed Henry, proseguendo alla Iiice delle nuove porsibilità tecniche i tentativi di Russolo, tendevano a trarre suggerimento anche dalle audaci e ben altrimenti valide realizzazioni artistiche di Varèse. Tutti i pezzi "concreti" erano però gravidi di eccessivo spessore naturalistico non dialettizzato, come quello famoso originato dai rumori di una locomotiva, dove, come è stato detto, nessuna denaturazione cancella un dato di iiigombraiite semanticità preventiva. La Symphonie pour un homme seul, composta da Schaeffer ed Henry nel 1949. naturalmente non aveva nulla di "sinfonico " nell'accezione tradiziocale. Vi si mescolano, combinano e deformano variamentr elementi sonori presi dalla vita dell'uomo (respiri, grida, frammenti di canto, fischi, mugolii, melodie fischiate, passi, porte che sbattono) unitamente a suoni strumentali (percussione, pianoforte, strumenti d'orchestra vari). L e nove sezioni della Symphonie portano titoli indicativi di una ricerca esplicita di suggestioni frammista a posticce velleità "fo~mali": Prosopopea, Partita, Valzer, Scherzo, Collectiv, Erotica, Cadenza, Apostrofe, Stretto. Da Russolo, Schaeffer ed Henry ricavavano alcune nozioni d i ordine generale, come l'inaspettato recupero del bruitismo insieme al gusto sperimentale. Diversamente da Cage, alfiere della dissoluzione di ogni pensiero strutturale nella musica, il ricorso a suoni e rumori ricavati dalla vita quotidiana e sui quali, per cosi dire, l'uomo inciampa, non costituisce pretesto per un qualche misticismo zen "made in USA," né di ironie distruttive sofisticate e svalorizzanti: Schaeffer e Henry partivano da un dato sonoro realistico e tentavano di sfruttarlo per alimentare una struttura musicale positiva. Allorché però si trovavano a fare i conti con apparecchiature tecniche ancora primitive, dovevano per forza ripiegare verso una frenesia rumoristica poco concludente, fruibile non da ultimo sotto specie di divertissement puramente provocatorio. Se si sommano anche le tentazioni del vitalismo russoliano, quali il mito eacientista della tecnologia, del macchinismo, l'amore sociologicamente acritico per l'ambientazione sonora "modernistica," bisogna convenire che l'operazione compositiva di Schaeffer si è sviluppata in varie direzioni

secondo u n procedere indiscriminato, per taluni aspetti stimolante, per altri tendente a ingenerare confusione. Nel 1951 la Radio francese, a seguito di quel fatto rilevante costituito dall'acquisizione tecnica del nastro magnetico avvenuta poco prima (con tutto ciò che comportava nel senso di un decisivo ampliamento dei mezzi e delle modalità di ricerca), decideva di costituire uno studio di musica sperimentale. Il "Groupe d e recherches de musique concrète" scatenava una carica di febbrile ansia sperimentalistica. Si stabilivano immediati contatti con Darmstadt e con la cerchia dei musicisti significativi che gravitavano attorno ai corsi estivi della cittadina tedesca: Pietre Boulez e Karlheinz Stockhausen in prima fila; il primo volgerà subito lo sguardo altrove, Boulez conserverà con lo studio parigino rapporti molto sporadici. È naturale che soprattutto i musicisti tedeschi, i quali avevano acquisito una ben diversa mentalità musicale di tipo analitico-speculativo, si avvicinassero allo Studio parigino piu che altro per curiosità, senza condividerne minimamente la linea operativa. Al vecchio giradischi, che era servito per le prime patetiche sperimentazioni, fa seguito un magnetofono a tre piste. Si affaccia la possibilità di registrare simultaneamente vari passaggi musicali attraverso un'incisione multipla. Schaeffer inventa il fonogeno e il morfofono. Con il primo strumento vengono riprodotti mediante velocità differenziate del nastro i dodici suoni della scala temperata. con possibilità di trasposizione d'ottava: Z1 chiaro che, riprospettando la materia sonora tradizionale nata dal temperamento equabile secondo moduli tecnologicamente avanzati, esso non offre sbocchi nella direzione di un reale svincolo da connotazioni scontate e mira piuttosto a un potenziamento puramente timbricocoloristico, sia pure introducendo sistematicamente il "glissando." I1 morfofono si rivelava piu interessante per il meccanismo complesso costituito da teste di riproduzione e filtri. Le possibilità di modificazione del suono si moltiplicano e non a caso Schaeffer ci parla di una coerenza elaborativa fondata sui procedimenti analitici e selettivi delle macchine cibernetiche da cui ricavare meccanismi combinatori quantificabili, capaci di suggerire una struttura in virtu di aggregazioni che possono essere estranee a1 tradi-

zionale campo della musica: per esempio, suggerisce il singolare ingegnere-musicista, mediante traduzione in suoni di una composizione pittorica. Pur lasciandosi parzialinente impigliare nella rete di un misticismo tecnologico un po' caotico e alla lunga abbastanza stucchevole, il pioniere francese ancora una volta schiva il gioco al ribasso dell'incomunicabilità allusiva magari rovesciata in allegrezza ludica, in abbandono alle associazioni automatiche del eesto che secerne il suono (ancora Cage, con il suo problematico comportamentismo di attore musicale irripetibile), e accetta la casualità dello stimolo atto a dare avvio a una programmazione solo a patto di considerarla come una preventiva ipotesi di lavoro strutturale cui dovrà far seguito un serio lavoro sui materiali. Va da sé, poi, che sul piano degli effettivi risultati artistici raggiunti, Schaeffer, come anche il piu musicista Henry, non mantiene nella maniera piu assoluta le promesse che qualche intuizione teorica lascerebbe sperare. L'Orphée, opera concreta composta da Henry e Schaeffer, aveva se non altro il merito di proporre l'animazione di immagini diverse, un collage in continuo movimento, un misto di vocalità perfino ambiguamente neoclassica (secondo quanto vuole l'ennesima incarnazione aulica del mito di Orfeo) e di irriverenza verso il costituito, di rurnorismo forsennato e di impressionistica delibazione sonora. Cosi due soprani accompagnati dal clavicembalo possono alternarsi, in una sfida stilistica improbabile soprattutto per la palese modestia com~ositiva deeli autori. con le scariche " pi6 indiscriminate. Proprio per questo gusto aggressivo denso di effetti materici però, per questa disponibilità assoluta ad avvicinare materiali disparati, per il sincretismo stilistico cui mirano i nuovi mezzi di trasformazione ed elaborazione del suono. non si DUÒ chiudere sem~licisticamentela auestione della musica concreta nata nei primi anni di attività dello Studio parigino con un giudizio negativo di ordine unicamente estetico. Se riconsideriamo oggi, ad esempio, le intuizioni di quei lontani giorni, ci accorgiamo di dove esse abbiano contribuito a condurci. Se si pensa a certo polimaterismo nelle opere concreto-elettroniche recenti, è giocoforza rilevare allora come il lavoro di Schaeffer ed Henry abbia

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trasceso di gran lunga, sul piano storico, i raggiungimenti effettivamente acquisiti in proprio. Nel 1954, di passaggio a Parigi, Edgar Varèse terminava Désert. 11 compositore americano, che per il lavoro di preparazione si era giovato delle modeste apparecchiature della Columbia-University di New York per registrare rumori d'officina e altro, trovava modo nella capitale francese di portare a compimento la parte su nastro e di far ascoltare l'intero suo lavoro ai Champs-Elisées sotto la direzione di Herman Scherchen. Si tratta di u n ' o ~ e r amolto singolare. " composta per un'orchestra basata sui fiati e sulla percussione (due flauti, due clarinetti, due corni, tre trombe, tre tromboni, due tube, pianoforte, cinque gruppi di percussione) e comprendente tre brani elettronico-concreti. Il criterio a cui sono sottoposte materie d'ordine diverso è quello dell'alternanza, non ancora della sovrapposizione e dell'intreccio. Aspre associazioni timbriche e improvvise stupefazioni proposte dall'orchestra vengono riprese ed emancipate rumoristicamente nelle sezioni su nastro. Varèse certamente esplora nuovi territori generati elettroacusticamente muovendo da una concezione materica che già ., in ~recedenza aveva trovato applicazione in opere importanti, come il famoso lonis~tion per tredici percussionisti (1924). I n Désert, l'alternarsi di sezioni orchestrali ad altre registrate su nastro determina una tensione priva di fratture. Le parti elettronico-concrete "amplificano," in senso assai piu quantitativo che qualitativo, una tendenza a misurarsi direttamente, frontalmente con la materia sonora, che era del Varèse di sempre. L'eclettismo rumoristico della scuola concreta francese, la disinvoltura, l'ingenuo e un po' esterno modernismo che la animano sono alla base di molti equivoci. Ben presto, musicisti di livello assai inferiore a Varèse pensarono di foggiarsi una nuova veste aggiornata con brevi puntate nello Studio parigino, sempre disposto ad accettare chicchessia. Lasciamo stare Darius Milhaud (1892-1974). ,, musicista nei suoi limiti prospettici (in senso storico-stilistico) geniale addirittura e anche l'israeliano di origine polacca Roman Haubenstock-Ramati (1919), della corrente post-weberniana: ma davvero non si $ustificherebbe in un contesto piu rigoroso

la presenza di un autore votato alla superficialità elegante ed edonistica quale Henri Sauguet (1901), abile mailipolatore di pasta armonica tradizionale ma totalmente estraneo a un processo di serio rinnovamento. Sauguet affrontò i materiali concreti con la giuliva innocenza del bambino alla scoperta di nuovi balocchi. Basta pensare che, oltre a varie musiche di scena, Sauguet compose nel 1957 un pezzo il cui titolo, Tre quadri sentimentali. è già tutto un programma. Anche Boulez fu ospite dello Studio, ma francamente i suoi apporti alla musica concreta non costituiscono che un'esperienza marginale per questo autentico maestro della nuova musica, destinato invece a lasciare opere vocali-strumentali di livello altissimo. La stessa presenza di Messiaen, santone della musica d'avanguardia francese e interessato golosamente a qualsivoglia stimolo immaginativo, non è stata determinante nello Studio parigino (composizione di Tirnbres-durées in collaborazione con Henry, 1958). Nel 1958, Schaeffer, Luc Ferrari, Franqois Mache e Mireille Chamass s'impegnano in un lavoro che impone la sterzata verso un maggior rigore, una seria catalogazione, descrizione, analisi dei suoni, della loro tipologia, della morfologia: l'elenco attivo di possibilità si concretizza in una serie di brevi pezzi che per lo piu portano il titolo Studio. In questo periodo Schaeffer realizza appunto, oltre a Continuo, Étude aux sons anirnés, Étude aux allures, Étude aux objets. La tensione verso un pensiero organico in seno alla musica concreta, che superi l'accozzaglia di materiali sd-lori messi insieme in aualche modo con l'alibi di una misteriosa "oggettività" degli eventi, sul piano metodologico permette di rispondere con piu appropriati strumenti di verifica e di elaborazione alla realtà dell'enunciato sonoro. Per questa via si comprende come possano coesistere ora anche nella musica "tecnologica" francese modi propri del concretismo e altri di ascendenza elettronica pura, fuori del vecchio schema divisorio. I1 primo tentativo di sintesi è dovuto a Phillipot con Arnbiance I ( 1959). Dello stesso anno, 1959, è Visage V di Luc Ferrari, "scenario poeticon in tre parti. In questo brano varie figu-

razioni, oggetti ritmici ("creature") si presentano alternate a un "personaggio" o suono principale, consistente in uno strato denso e prolungato. Di struttura, come si è detto, tripartita, cmosce nella seconda sezione un'agitazione, una dinamizzazione degli elementi strutturali e infine sfocia in una sorta &i ripresa dove però il suono principale è sottoposto a metamorfosi. 'Tutti i dati strutturali si trovano sovrapposti nella "coda." Qui, come in altri pezzi concreti, Luc Ferrari si dimostra debitore del suo maestro Messiaen nel gusto incantatori0 per un materiale delibato o preso di petto senz;, preoccupazioni rigoristiche e invece votato a una sorta di rapito, tumultuoso "racconto sonoro.'' Molto piu sensibile a una serialità combinatoria come preventiva cernita del materiale sonoro è il greco Yannis Xenakis (1922), naturalizzato francese. Architetto, oltreché musicista, e collaboratore di Le Corbusier, Xenakis ha fondato i suoi procedimenti sulla tecnica stocastica da lui elaborata, e mira a predisporre la nuova materia tendenzialmente indeterminata mediante il "calcolo delle probabilità." La matematica entra nel processo di formalizzazione totale della musica con la teoria degli insiemi, con l'algebra di Boole e cosi via. I principi compositivi del musicista greco, applicati sia nel campo strumentale che in quello elettronico, si sono giovati dei campo di possibilità offerto da un calcolatore I.B.M. Come ha tenuto a precisare Messiaen, che di Xenakis è stato maestro, i calcoli matematici non pesano all'audizione, non determinano l'impressione di freddo calcolo, in quanto si limitano a una preventiva organizzazione logica del materiale, mediano per cosi dire la materia rispetto all'artefice. All'indagine preliminare, probabilistica, fa seguito in Xenakis un trattamento del suono certamente piu libero, meno intransigente e piu irnrnanente all'opera di quanto non avvenisse qualche anno prima con la predeterminazione assoluta dei parametri nelle opere dello strutturalismo postweberniano, in Boulez ad esempio. Tanto è vero che qualche anno dopo i1 compositore greco farà emergere con semplicità e chiarezza un sentimento espressionistico fin troppo esplicitato e da sempre latente. Tra il 1959 e il 1960 Yannis Xenakis elabora alcuni brani elettronico-concreti quali Diarnorphoses, Concret P.H.e Orient-Occident ove l'applica-

zione delle teorie probabilistiche, algebriche, insiemistiche, non impedisce che i risultati sonori lascino intendere una tensione soggettiva che sempre urge nel musicista, malgrado i paludamenti apparentemente di segno opposto. Ancora Messiaen, padre spirituale della "nuova musica" francese, ebbe a rilevare che i risultati sono sempre "delicatamente poetici o violentemente brutalin : e un simile riconoscimento, da parte di un mistico "mediterraneo" di tale portata, può suonare ben equivoco, accreditando la tesi di un sensualistico abbraccio con la materia sia pur scaturita inizialmente da programmazioni effettuate tramite un computer. Resta il fatto che, con tutte le contraddizioni che si possono rilevare nella posizione di uno Xenakis, nel suo dividersi tra alambicchi e provette da una parte, e immaginazione esuberante ed eterogenea dall'altra, le composizioni del musicista greco sono comunque ad un livello superiore a quello di qualsiasi altro collaboratore dello Studio parigino; a cominciare naturalmente da Pierre Henry, le cui prove rasentano e spesso superano il limite dell'insignificanza. Basti ricordare, per tutte, la composizione Entité, datata 1959: in essa il gioco sonoro, fondato su un'esile grandinare di impulsi, all'ascolto non va oltre ad un banale sgocciolamento onomatopeico (lo voglia o meno l'autore), un jeux d'eau in piena regola secondo la piu tipica e corriva tradizione francese, davvero risolto però questa volta nel facile gioco della trovata coloristica ripetuta alla noia.

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2) Il purismo elettronico di Colonia

Su posizione simmetricamente opposta, rispetto al concretismo della scuola parigina, stava negli anni '50 il rigore formale della musica elettronica elaborata nello Studio di Colonia, ove operava l'apostolo dello sperimentalisrno tecnologico tedesco, il teorico e compositore Erbert Eimert (1897), unitamente all'allora giovanissimo sebbene già prestigioso Karlheinz Stockhausen ( 1928). All'approccio immediato con una realtà sonora colta in tutto il suo spessore, in tutta la sua concretezza fonica, oggettuale perfino, attraverso il microfono e successiva ma-

nipolazione dei dati registrati, si contrappone a Colonia (soprattutto per volere di Eimert) l'instaurazione di un nuovo ordine costruttivo che desuma dall'esperienza di Schonberg e di Webern il principio di serializzazione delle particelle sonore e della "melodia di timbri." Senza l'intervento di elementi fonici della auotidianità o di suoni ricavati da strumenti e voci, i materiali prodotti elettricamente sono registrati direttamente su nastro attraverso un generatore. I1 microfono, elemento base di mediazione tra suoni preesistenti e prassi elaborativa, all'inizio non ha avuto ragione di essere a Colonia. Nell'impostazione del lavoro agiscono ipoteche storiche del post-webernismo, del puntillismo. della razionalizzazione strutturale: laddove. come s'è detto ampiamente in precedenza, Schaeffer ed Henry discendevano idealmente da un filone Russolo-Varèse. Non si tratta tanto e solo di aristocratico distacco dei musicisti tedeschi d'avanguardia ai loro primi tentativi elettronici dalla verginità di un suono-rumore ricercato con entusiasmo un po' caotico e goliardico (Parigi): anche questo distacco in termini di sufficienza orgogliosa, altezzosamente eurocentrica, dall'alto della propria superiorità tecnica e culturale, certamente era nell'aria a Colonia. Ma naturalmente c'è dell'altro, e di piii significativo. I1 discorso attiene al senso ultimo delle ricerche di uno Stockhausen, anche sul terreno della musica vocale-strumentale: rigorosa prosecuzione di un iter storico che si pensava dovesse venire percorso fino in fondo, senza mutamenti di segno improvvisi. Scriverà piii tardi Eimert, nel 1959: "In nessun caso si dovrà tracciare un limite tecnico e artigianale tra la musica strumentale e quella elettronica. Gli aspetti teorico-musicali sono gli stessi ... Questo significa che i suoni non controllati, quali si possono ottenere facilmente attraverso procedimenti di montaggio delle bande sonore, non appartengono alla musica elettronica. Alcuni credono che questi 'mixaggi' sonori con procedimenti di taglio e montaggio siano una sorta di metodo compositivo." E piu avanti: "I1 sistema di suoni resi disponibili dai mezzi elettronici non può essere altro che un sistema di rapporti virtuali, dal quale il compositore ricava delle strutture, ora seriali, ora basate su relazioni matematiche, gruppi, ecc."

L'applicazione capillare del principio seriale, che contrassegnava l'operare dei post-weberniani negli anni '50, determinava notevoli difficoltà nell'esecuzione sui normali strumenti: soprattutto la ritmica irrazionale, con le sue sfaccettature estreme, inpediva in molti casi la precisione assoluta nel campo delle durate dei suoni; non solo, ma financo rendeva problematica e approssimativa la scelta del momento di "entrata" di uno strumento in rapporto agli altri. I n punti non estremi la coccatenazione logica dei fatti musicali era messa sottosopra e la struttura tendeva, malgrado la scrittura precisa al millimetro, a farsi "aperta" e disordinata. Sappiamo come tale "apertura" sia diventata a un certo momento, da incidentale, strutturale rispetto al contenuto dell'opera, ma resta il fatto che nelle composizioni degli anni '50 (almeno per il primo lustro) essa era principalmente conseguenza involontaria della messa in moto di meccanismi logico-matematici avulsi dalla possibilità di reale e spontaneo controllo da parte dell'esecutore. Eimert e Stockhausen rifiutano uno sperimentalismo bruitistico fatto di contatto diretto con la materia colta allo stadio primigenio e invece si servono dei mezzi elettroacustici per potenziare e dare sbocchi ulteriori al diuisionismo tirnbrico, ritmico e piu tardi alla tecnica dei gruppi sonori e ai problemi di sempre piu ardua esecuzione da esso posti. Per i musicisti del gruppo di Colonia, le macchine elettroniche sono dunque uno sbocco, anche se non l'unico, di un processo di deduzioni e applicazioni mutuate dal pensiero musicale di Anton Webern. La musica concreta e quella elettronicd, benché destinate a incoctrarsi e fondersi, hanno operato inizialmente in campi ben distinti per materiale di base ma soprattutto, sia ben chiaro, per metodologia operativa. Nel caso della priiiiz, lJap?ruc:io con materiali già esistenti schiudeva all'indagine suozi, rumori di provenienza disparata verso i quali il compositore si poneva con aderenza giuliva e ingorda senza schemi aprioristici; nella seconda, l'esperienza musicale era inquadrata in una prospettiva intellettuale precisa, elaborava ipotesi di lavoro condizionate dall'evoluzione del!a tecnica dodecafonico-seriale e dalle estreme conseguenze del puntillismo dissociativo, della disintegrazione

del discorso estensivo. Di qui la razionalità della ricerca avviata a Colonia. Certo non si ripeterà mai abbastanza che i prodotti dello sperimentalismo concreto ed elettronico, fondendo e integrando progressivamente le reciproche esperienze, oltrepasseranno abbastanza presto i limiti programmatici che teorici di opposta formazione come Schaeffer ed Eimert hanno tentato di assegnare alle ricerche da loro promosse. E tuttavia risulta evidente al centro di quali convergenze venissero a situarsi i primi pezzi realizzati nello Studio della WDR, e principalmente la melodia di timbri di s ~ h o n b e r ~ h i a nmemoria a e lo scheggiamento di Weberri, fattori destinati a integrare e a sostituire la dialettica delle altezze, vale a dire, in soldoni, la musica fatta in primo luogo con le nole musicali tra loro in rapporto logico, in senso lato "linguistico." Va detto che prima di produrre lavori di un certo significato musicale, i compositori dello Studio di Colonia sottoposero a u n serio vaglio le possibilità dell'elettroacustica attraverso catalogazioni preventive delle varie combinazioni. La rigorosa mentalità strutturalistica di Eimert e di Stockhausen non poteva accettare, come s'è visto, la concezione del "montaggio" rumoristico e concentrava l'attenzione sui processi di agglutinamento di quella materia sonora scheggiata attraverso i procedimenti di smembramento dei nuclei fin da Schonberg e Webern. Perciò la determinazione delle altezze acustiche, sebbene non costituisca piu una dialettica reale, nondimeno evita di essere assorbita dal magma fonico. Schivando in partenza I'empirismo cresciuto in passato all'interno della matrice russoliana e varèsiana e ripreso a Parigi da Schaeffer, ossia l'urgente approccio con qualsiasi materia sonora esistente attivata vitalisticamente, logora o nuova che sia, gli sperimentatori di Colonia intendono i mezzi elettronici in un rapporto di continuità con gli sviluppi del pos t-webernismo. Una critica, anche fondata, che ha circolato largamente concerne l'aridità delle prospettive iniziali. Restringere il campo delle possibilità predisponendo meccanismi costruttivi mutuati dall'ultimo stadio evolutivo della musica strumentale voleva dire però costituzione di solide fondamenta

per Lin controllo razionale sulla materia. Che poi la componente estetistico-tecnologica, misticheggiante perfino, fosse dietro l'angolo pronta a entrare in azione, questa è una verità che non deve impedirci di scorgere l'autentico sforzo per la creazione di uno spazio funzionale alle successive elaborazioni; d'altra parte, anche in sede vocale-strumentale le opere stockhauseniane di quegli anni sono improntate a ferreo determinismo, ad "astrazione" formalistica. Un ascolto di Studie I (1953) e Studie I 1 (1954), pezzi elettronici di Stockhausen (non si fa che un fugace accenno a precedenti brani preparatori, pure schedature di processi operazionali, quali Figure e ritmi ostinati, Studio timbrico, Studio so-

noro I , Studio sonoro I I , Suono nello spazio illimitato, Gioco per melocordo, realizzati da Eimert e Robert Beyer), può risultare illuminante, nel bene e nel male, ai fini della definizione di uno stile. A tal punto che ben difficilmente si può condividere la curiosa opinione espressa dal critico tedesco H. H. Stuckenschmidt, secondo il quale "siccome, a Parigi come a Colonia, entrambi i gruppi (come quelli poi formati a Milano, a Tokio e altrove) operavano servendosi degli stessi procedimenti tecnici, gli effetti, in realtà, offrivano parentele molto evidenti. L'ascoltatore impreparato, o non ammaestrato, ricava impressioni analoghe da un primo incontro con le composizioni di Schaeffer, Henry, Eimert, Beyer o Stockhausen." Laddove sorprende il credito o quanto meno l'attenzione che si ~ccordaalle reazioni di ascoltatori impreparati e vittime di radicati pregiudizi. Affrontare il problema dal punto di vista esclusivo della ricezione, in una fase di ricerca, può condurre a semplificazioni inopportune. Cosi sottolineare che i pezzi concreti ed elettronici suggerivano tutti "molto di piu di qualsiasi forma tradizionale di musica, delle associazioni d'idee che non erano affatto nelle intenzioni dei compositori," non ha senso se non si tiene conto dei molteplici condizionamenti cui è soggetto il gusto di un pubblico medio votato a un ascolto superficialmente psicologistico e naturalistico: ascolto che se può essere funzionale alla rozzezza di qualche balbettio concreto, non è certo immanente all'organicità (certo anche "astratta") dei brani composti a Colonia. I1 richiamo ai derivati della melodia di timbri, al puntil46

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lismo, faceva si che Eimert rifiutasse di accogliere presso di sé giovani interessati magari alla problematica tecnica dei microintervalli, ai suoi occhi troppo empirici, e cercasse invece la collaborazione solo di quei musicisti impegnati in altra sede (strumentale) in una precisa determinazione strutturalistica dello spazio pancromatico: Pierre Boulez, che però si è avvicinato al lavoro condotto sia nello Studio di Parigi che in quello di Colonia con vigile attenzione ma senza soverchio entusiasmo, abbandonando presto ogni interesse compositivo in prima persona per l'elettroacustica; i belgi Karel Goeyvaerts (1923), autore di una Composizione n. S ed Henry Pousseur ( 1929), che compose allora Seismogramme; lo svizzero Paul Gredinger (1927), autore di FOYmanten I e I I I pezzi elettronici ora citati, unitamente ai due Studi di Stockhausen e ad altri due brani di Eimert, vennero presentati nell'autunno del 1954 in un concerto a Colonia, nel quadro delle manifestazioni promosse dal Festiva1 del Nordwestdeutscher. Fred. K. Prieberg, autore di un discusso e molto discutibile libro (pure documentatissimo), che va sotto il titolo di Musica ex machina, scrive a proposito delle musiche elettroniche elaborate a Colonia dal 1951 al '54 circa: "Tutti questi pezzi soffrono di un'impressionante mancanza di contrasti, poiché il principio seriale non conosce ampi svolgimenti di tensione ottenuti mediante la costruzionc: di elementi musicali contrastanti ( . .). Sembra che il suono non si muova. Germi di cellule ritmiche si sviluppano in frazioni di secondo, ma anch'esse si irrigidiscono all'ascolto in un fenomeno senza movimeilto e senza vita (...). Sebbene i pezzi abbiano una solida costruzione interna, non è possibile, o lo è solo dopo ripetute audizioni, scoprirvi dei rapporti. Sembra che l'ordine estremo a un certo punto si capovolga dialetticamente nel piu confuso disordine." Ciò di cui Prieberg non sembra accorgersi che parzialmente e senza ricavare dalle osservazioni particolari deduzioni di portata piu generale consiste ancora una volta nel rapporto stretto istituitosi a Colonia tra ld nuova musica strumentale e vocale dedotta dall'applicazione del meccanismo seriale a tutte le componenti sonore e i primi tentativi di produzione elettronica Come s'è visto nel prece-

Jente capitolo, lo strutturalismo conduceva anche nell'uso degli strumenti tradizionali alla nozione di agglomerato sonoro percepibile secondo una nozione globale della sostanza fonica, che attutiva o addirittura neutralizzava totalmente l'impulso alla continuità del "discorso" musicale. Si era venuta cioè determinando una riduzione del tessuto a raggruppamenti di particelle sonore disposti secondo criteri di densità variabile in un'ipotetica lavagna di silenzio: la spazirrlità tendeva irresistibilmente a sostituire la temporalztà, a mimare la negazione del divenire. Le posizioni critiche che hanno accompagnato la musica elettronica fin dall'inizio hanno riproposto sempre le stesse perplessità, le incertezze nei confronti di un materiale considerato monocorde sul piano tiinbrico, "artificiale," privo di contrasti. Se però si esamina da vicino la questione, al d i là della monotonia possibile e anzi probabile allorché si ricorra unicamente a impulsi elettrici, balza agli occhi il nodo principale, che riguarda solo parzialmente le caratteristiche intrinseche al suono elettronico sorgivo. Era infatti la pianificazione razionale delle componenti costruttive volute dai musicisti post-weberniani, il sistema delle rotazioni intervallari, dinamiche, metriche (si pensi solo all'estrema prismaticità dei ritmi *irrazionali" sottratti ad un'elasticità agogica di tipo vitalistico), a produrre il livellamento. la paralisi di ogni proiettività. Certo, Prieberg ci descrive l'amorfismo dei primi pezzi elettronici prodotti a Colonia e gli si può anche dare tranquillamente ragione; ma poi, come è suo costume, sfugge per la tangente e rimane allo stadio epidermico della descrizione di un fenomeno acustico. La monotonia di quei remoti tentativi non era tanto frutto di un accostamento a mezzi insufficienti, di un errore di calcolo e neppure di un'incapacità a trattare le apparecchiature nuovissime. Per Eimert, per Stockhausen, per Pousseur, dovrebbe essere ormai pacifico che si trattava di vivrre un momento preciso della storia musicale contemporanea, condizionando e razionalizzando mediante l'applicazione d i meccanismi seriali il campo aperto dall'elettroacustica e venendone poi al tempo stesso, e di riflesso, condizionati. Quella stessa tendenza al blocco sonoro, alla sostanza fonica atomizzata o stratificata massivamente che

troviamo nei pezzi elettronici degli anni '50, ha riscontro anche nei pezzi per strumenti "tradizionali": è ormai di pubblico dominio il fatto che nel post-webernismo rigoroso, paradossalmente (ma non tanto dopo tutto quanto detto in precedenza), la varietà e la sfaccettatura servono a rendere uniforme la materia, al limite dell'actio non agens: bisogna muoversi molto per essere sicuri di stare fermi. Tanto è vero che nel breve volgere di qualche anno anche nello Studio di Colonia, presa coscienza della necessaria evoluzione di una ricerca che non può non mirare a costituire objets musicaux nouveaux, vale a dire opere nuove per scarto tecnico-fattuale e inventivo suggerite dalle possibilità dell'elettronica e dalla manipolazione del nastro magnetico in generale, il processo di 5erializzazione e di livellamento del materiale si attenua. Non già che questo non avvenga parallelamente anche nella musica strumentale (il discorso vale principalmente per Stockhausen). È assurdo separare drasticamente le ricerche in un settore dal complesso dell'esperienza, giacché l'un aspetto si diffonde nell'altro e viceversa, ed entrambi si influenzano reciprocamente: specialmente là dove ( e questo accade pressoché sempre), gii autori di brani elettronici sono musicisti a tutti gli effetti e contano al loro attivo importanti lavori nel settore vocale-strumentale. È abbastanza probabile che la decifrazione del campo di possibilità foniche ma soprattutto strutturali e m e t ~ d o l o ~ i c h eaffacciatesi , con l'apparizione di suoni di produzione tecnica, abbia contribuito a un piu pronunciato distacco da schemi preesistenti, da normative scadute. Inoltre sempre piu rilievo assume la tendenza ad assorbire procedimenti della musica concreta. Pezzi nati nello studio di Colonia e presentati dalla Westdeutscher Rundfunk nella primavera del 1956 sono Interferenze del tedesco Giselher Klebe (1928), Doppia valvola 2 dello svedese Bengt Hambraeus (1928) e Figure sonore 11di Gottfried Koenig (1926), quest'ultimo collabc ratore dal '54 di Eimert e Stockhausen. L'omogeneità di questo gruppo di autori era molto relativa, e solo Koenig rivelava qualcosa piu che un generico interessamento per le nuove apparecchiature, mettendo a fuoco elastiche soluzioni agogiche.

Ma è con Gesang der Junglinge di Stockhausen che nel 1956 la musica su nastro, comprensiva di apporti elettronici e concreti, giunge a un primo importante risultato musicale e pone le basi per l'effettivo superamento di un purismo sperimentale visto peggiorativamente come meta catalogazione di materiali e di astratte possibilità o latenze. I n questa composizione elettronica non vengono utilizzati soltanto suoni elettronici prodotti dai generatori, bensi viene esplorata la possibilità di ricorrere a un materiale preesistente come la voce di un fanciullo, elaborata e modificata in studio. I1 testo, desunto dal biblico Canto dei giovani nella fornace, è udibile solo in alcuni punti e sempre là dove si elevano lodi a Dio. Lo stravolgimento della voce in passaggi polifonici ottenuti sovrapponendo il canto del fanciullo è contraddistinto da una visione fortemente spazialistica. Cinque gruppi di altoparlanti proiettano il suono in tutte le direzioni, di modo che l'ascoltatore rimane investito da ogni parte, è come avvolto dalle fasce sonore. L'alternativa stockhauseniana tra uno sperimentalismo vissuto con la mentalità speculativa dello scienziato e la fascinosa disposizione a inventare soluzioni di stravolta espressività a contatto con i materiali impiegati (alternativa mai risolta) trova qui modo di manifestarsi in tutta la sua cattivante "ambiguità. " Coesistono scariche improvvise di particelle dovute a impulsi puramente elettronici, ancora al modo delle piu dense strutture puntillistiche, e suggerimenti derivati d a un contatto sensibile con l'esile e poeticissjma voce dell'adolescente, di un angelismo improbabile quanto conturbante. Stockhausen realizza qui, attraverso moltiplicazioni, echi, riverberazioni sonore di una voce ora in primo piano ora in dissolvenza, lontanissima, ora parlante ora cantante, una spazialità che "mima" l'universalismo cristiano. Vale a dire, in altre parole, che la spazialità tende a sostituire la proiettività della musica, la quale non vive nel tempo secondo una dialettica strutturale estensiva. Inoltre risulta sottolineata una componente "letteraria" (il timbro della voce bianca come volontario o involontario richiamo a una qualche "innocenza") che mette a nudo la natura "mistica" di Stockhausen, altrove espressa in maniera piu sottile e indiretta. I n Gesang der Jiinglin~edunque il fatto nuovo di

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irradiare i siioni o gruppi sonori da vari punti non rimane fine a se stesso, né costituisce una pura e semplice dilatazione: sostituendo in un certo modo lo spazio al tempo attraverso una successione di "istanti" non legati tra loro da una "logica" di tipo continuativo-discorsivo, la spazialità è qui profondamente strutturale e conduce a una virtuale circolarità degli eventi, diviene (questa volta legittimamente anche grazie al materiale impiegato) suscitatrice di sensazioni, atmosfere "non terrene," immateriali e simili. Dopo Gesang der Junglinge il salto tra musica elettronica di derivazione seriale e musica regolata ampiamente sulle caratteristiche intrinseche dei mezzi elettroacustici e sui processi di elaborazione tecnica è avvenuto. D'ora in avanti il discorso sullo Studio di Colonia non delimiterà pi6 rigidamente una scuola chiusa in se stessa, benché certo sia difficile scalzare certe costanti metodologiche proprie a un ambiente culturale, e, anche senza negare le origini di un fenomeno nato all'insegna del purismo, riconfluirà in un pi6 generale campo di esperienze. Le strade imboccate a Parigi, Colonia e poi (come si vedrà) Milano, sembrano incrociarsi, anzi convergere, e la distanza tra impostazioni, solo qualche anno prima antitetiche, appare sempre piu destinata a contrarsi. È significativo ad esempio che, proprio negli anni 19551956, un musicista come Ernst Kfenek (1900), già legato per gusto e formazione a un tardo espressionismo non esente da eclettismi, abbia pensato di lavorare, sia pur episodicamente, nello Studio coloniense, accoltovi con rispetto e simpatia: significativo se si pensa che l'oratorio di Pentecoste Spiritus intelligentiae sanctus per varie voci, recitante e suoni elettronici, accosta con abilità echi di modi compositivi classici, ampiamente fruiti, con sezioni nettamente avanzate ove però la materia originata tecnologicamente è pi6 che altro tesii a colorire situazioni e saltuariamente è pensata in senso strutturalistico. Tuttavia non mancano, all'approssimarsi degli anni '60, esempi di composizione elettronica abbarbicata allo strutturalismo, sia pure rinnovato. Henry Pousseur, con Scambi I e I 1 (1957), affrontava il problema delle forme aperte per primo in una composizione elettronica; invece di dare

una forma iri via definitiva, egli costituiva un campo di possibilità mutevoli, dove singole sezioni possono essere giustapposte secondo un ordine sempre variabile. L'idea del compositore sarebbe stata quella di dare al fruitore la possibilità di intervenire attivamente, scegliendo l'ordine di successione. I1 problema dell'intercambiabilità in semito al concentrarsi della percezione su momenti, anche brevissimi, esauriti nell'autonon~o respiro formale del singolo raggruppamento sonoro, lo ritroviamo puntualmente anche in alcune musiche strumentali di quegli anni: da Mobile per due pianoforti dello stesso Pousseur, alla Terza Sonata per pianoforte di Pierre Boulez, al Klavierstucke XI di Stockhausen. Sempre su premesse strutturalistiche si muoveva il romano Franco Evangelisti (1926), allora attivo nello Studio di Colonia. 1 suoi Inconlri di frlscr sonore costituiscono, insieme a Studio II di Stockhausen, una delle due prime partiture notate rigorosamente e pubblicate. Si tratta di una composizione di notevole lim~idità.che realizza efficacemente ciò che il titolo annuncia, mescolando sette suoni sinusoidali e scartando ogni seduzione impressionistica connessa all'ideazione di cluster elettronici. Cosi Eimert, teorico della serializzazione di particelle elettroniche. in Études sur les mélanees sonores e in Sélection I oscilla tra l'apertura verso soluzioni piu libere e rigorosa organizzazione dello spazio sonoro. Particolarmente in Sélection I (1959), lo schema razionale prevale su ogni altra sollecitazione: il materiale viene articolato mescolando cinque t i ~ idi suoni ottenuti tramite variazioni wriodiche e ordinati secondo rapporti che tengono conto della qualità acustica e dei diversi intervalli di durata. Altri compositori, come l'ungherese Ligeti (1923) e l'argentino Kagel ( 193l ) , tedeschi d'elezione. hanno subito avvertito l'impulso a seguire vie operative diverse. A Ligeti si deve una sola composizione elettronica: Artikulation (1968). Naturalmente influenzato dai collaboratori fissi dello studio coloniense (Eimert. Stockhausen. Koenig), non è che di colpo imbocchi una strada radicalmentk opposta. Anzi, sotto un certG aspetto la vena inventiva di Artikulation è sensibilizzata dal puntiliismo. Ligeti ha precisato che il pezzo mira "ad articolare nel tempo e - con

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!'aiuto dei quattro altoparlanti - nello spazio successioni di note, suoni, rumori e impulsi, in modo tale che dalla loro reciproca azione, mescolanza e combinazione nasca una forma musicale. I frammenti. pih grandi sono strettamente proporzionati. Piu si accorciano le parti, piu si rilassa la rigidezza della regola. Nell'ambito delle particelle piu piccole il limite, entro il quale l'orecchio può ancora riconoscere singoli suoni, è superato, e i rapporti ritmici si trasformano in timbro." La staticità contemolativa e neo- la tonica che è propria del Ligeti orchestrale eLcorale in ~rtjkulationnon è ravvisabile affatto, e in questo senso il brano costituisce un unicum interessante. Sta di fatto che il rigore di partenza serve solo per mettere in moto meccanismi elaborativi entro i quali le particelle piu brevi precipitano per affastellamento in un timbrismo assoluto, come il compositore ha precisato. Ancora diverso il caso di Mauriciu Kagel, uno degli alfieri del dissolvimento della musica intesa come fatto puramente sonoro e invece piu interessati alla nozione di "gesto." Contrariamente a Cage, però, egli proviene dall'esperienza di un materismo e di una ricognizione della da vicino un Varèse fonicità inesdorata che riguardano " e uno Stockhausen, e questo lo porta a tentare di risolvere l'antinomia tra sovrabbondanza bruitistica e riduzione al silenzio. Kagel. nel suo teatro da camera, concerto in forma di teatro ( o viceversa, che è lo stesso), aspira a costituire organismi musicali che secernano il gesto e lo integrino rappresentativamente organizzando una rete di rapporti e segni abbastanza precisi. Si pensi solo a Match per tre esecutori, un copione di istrionismo teatrale richiesto a due violoncellisti e a un percussionista. Su questa strada, è chiaro, una musica puramente elettronica ci darà sempre di Kagel una visione parziale. Transition I (1958-60). realizzato a Colonia. è comunaue un brano che presenta motivi di interesse. In esso appare una molteplicità di atteggiamenti: la frantumazione del tessuto è massima e passa da scatti di violento materismo, di ghermente gestualità virtuale sul suono, alla piu totale inanità di oggetti sonori proiettati in uno spazio neutro, sfibrati in vischiosi impasti. TI tempo, come dimensione attiva, è

straniato, riempito di materiali sonori vari, il continuum inghiotte ogni velleità proiettiva. Ma naturalmente chi vorrà tentare un'indagine compiuta della musica di Kagel inglobante materiale registrato farà bene a porre attenzione non tanto a Transicibn I, bensi a Transici6n I I (1958-59), per pianoforte, percussione e due nastri magnetici. I n questo pezzo, ancora sostanzialmente vicino alla direzione di ricerca stockhauseniana post-strutturalista e anzi composto parallelamente al ben altrimenti riuscito Kontakte del tedesco, la ricerca di agglutinamenti sonori va però di pari passo con interreazioni gestuali dei musicisti che operano dal vivo, con veri "corpo a corpo" con la sostanza sonora e con la struttura simbolica dei segni, ampiamente facenti ricorso alla problematica dell'alea, o "apertura " sull'interprete. Come ha scritto Bortolotto, che di Kagel è attento esegeta, "la registrazione magnetica, sommandosi a nuovi eventi sonori, ne ostacola la processione, e insieme altera il registrato medesimo, senza scampo." Dunque niente è piu lontano dal compositore argentino che un esclusivismo tecnologico: il mezzo elettronico fornisce combustibili ulteriori a un fare musicale sempre fondato su una nozione gestuale, oggettivamente svalorizzante. " 3 ) L'empirismo nello studio di Milano

Quasi parallelamente, con breve ritardo d'anni rispetto a Parigi e Colonia, la Radio italiana convertiva il suo

laboratorio elettroacustico, già nato per ottenere effetti particolari da inserire in trasmissioni extra-musicali (prosa, varietà, sport, attualità, ecc.) in uno Studio di musica elettronica. I1 merito della nascita del centro, che si attivò come tale ufficialmente nel 1966, va attribuito al compositore Luciano Berio (1925) e al compositore e direttore d'orchestra Bruno Maderna (1920), che già in precedenza avevano utilizzato il laboratorio milanese per alcuni esperimenti. Il primo brano elaborato da Berio e Maderna, Ritratto di città (1966), è un reportage sonoro sulla vita della città dall'alba a sera. Una voce recitante si sovtap-

pone e si alterna a effetti rumoristici vari. a mescolanze di suoni elettronici, sfiorando assai da vicino la pura onomatopea. Con questo esempio di radiofonia musicale, votato alla fusione di suono e rumore secondo modi di un empirismo abbastanza disinvolto, Berio e Maderna (in un lavoro peraltro puramente "d'assaggio" ) sembravano accostarsi al concretismo della scuola parigina. Mese per mese piu ancora che anno per anno, in rapidissima evoluzione, i due musicisti italiani hanno però ricercato una strada che escludesse il rumorismo unilaterale, un po' compiaciuto e caotico di Schaeffer, senza ricorrere alla rigida applicazione dei principi seriali cara a Colonia, aprendosi in tal modo al sensibile studio di permutazioni timbriche. Giova ricordare che i compositori italiani, a causa del loro breve ritardo, partivano da una posizione di vantaggio: vantaggio tecnico, in quanto potevano contare su apparecchiature perfezionate; vantaggio d'esperienza dato dall'osservazione e dallo studio di precedenti lavori composti a Parigi e Colonia, dai quali trarre preziose indicazioni, scartando ipotesi deludenti e sviluppando premesse valide. L'alternativa milanese. tra conc:etismo e purismo elettronico, consiste nella compresenza di vari e apparentemente opposti filoni: sintomo di maggiore disponibilità a lasciare spazio alle virtu intrinseche dei materiali nuovissimi ma senza feticismo alcuno. Cosi, se accadeva a Berio di notare, in un suo articolo sulla moderna tecnologia, che "la musica elettronica non va identificata con i suoi mezzi, ma, piuttosto, con le idee di organizzazione musicale a cui s'è oggi pervenuti e che tale esperienza è chiaramente definibile in rapporto alla storia della nostra civiltà musicale," poco pifi avanti sentiva il dovere di precisare che .ell'oblio. Lo studio Avelan, - diretto da Hervé Thys, è legato al nome del compositore Henry Pousseur, il quale aveva già compiuto le piti importanti esperienze elettroacustiche a Colonia e poi a Milano. Ma di lui si ri~arleràpiu avanti. In Olanda il discorso sulla musica elettronica veniva portato avanti da un musicista di tendenze alla fin fine tradizionaliste, anche se ovviamente di una certa apertura: Henk Badings ( 1 9 0 7 ) . Già nella sua opera radiofonica Oreste ( 1 9 5 4 ) , unitamente ai modi di estrinsecazione musicale "normali," figurano generatori d'onda a dente di sega e generatori di rumore. I1 rapporto che Badings istituiva con le nuove sonorità non era certamente di tipo strutturale, ma puramente ed esteriormente sensorio, effettistico, senza grandi sforzi per avvicinarsi alla natura profonda dei materiali usati. Presso il laboratorio sperimentale della Philips ad Eindhoven, sufficientemente fornito in fatto di generatori di suono e di apparecchiature in genere, Badings ebbe modo di approfondire maggiormente i problemi di articolazione del campo elettronico. Tra i suoi lavori anteriori al 1960, si possono ricordare Genesis ( 1 9 5 8 ) , per cinque generatori di suono; Jungle ( 1 9 5 9 ) ; Cain and Abel (1956), tutti e tre balletti; e inoltre, Dialogues for man and machine ( 1 9 5 8 ) , Elektrom~~netische Klangfiguren e De spreeken ( 1959). Non bisogna pensare che in Germania funzionasse solo lo Studio di Colonia: altri ne sorsero a Baden-Baden. Karlsruhe e Darmstadt, talora in polemica con l'estetica coloniense. Nel 1956 il compositore Hermann Heiss (18971966) tenne una conferenza a Darmstadt nella quale prese decisamente partito contro l'articolazione seriale dello spazio acustico elettronico, giudicando arbitraria e pericolosa l'applicazione "dall'esterno" di schemi totalmente eterogenei

rispetto alla nuova materia, dotata di caratteristiche sue proprie. L'anno successivo Heiss si staccò definitivamente dalla prospettiva metodologica di Eimert lavorando esclusii vamente a Darmstadt, nel nuovissimo studio sorto appunto la linea operativa di nel 1957. Ciò che ~ontraddistin~ue Heiss è innanzitutto un ritorno a quella libera associazione di timbri e di stratificazioni sonore che la corrente seriale aveva dichiarato tabu. Dopo varie musiche di commento a trasmissioni radiofoniche nelle quali si ha anche una distorsione ed elaborazione di dati sonori "concreti," e alcuni altri brani preparatori, Heiss compose nel 1958 due Saggi elettronici, nonché la Compos~zioneelettronica I I che porta come sottotitolo "Suono e silenzio. " Nel 1957 veniva fondato a Varsavia, per iniziativa del musicologo Jozef Patkowski e del compositore Zbignew Wiszniewski, il primo studio elettroacustico polacco, che entrerà effettivamente in funzione l'anno successivo. Già da qualche tempo si era notato un affrancamento dell'ambiente musicale polacco dai moduli stereotipati di certo facile "realismon in voga nei paesi socialisti, equivalente di conservatorismo tout court ed estensione equivoca del piti trito gastronomismo musicale borghese alla fruizione delle classi popolari giunte poco prima ad acquisire i beni culturaji: i concerti di musica d'avanguardia in Polonia erano sempre piti frequenti, musiche su nastro accompagnavano ormai spesso films e spettacoli teatrali. Wiszniewski compose nello studio della capitale polacca otto radiocommedie in cui abbondavano effetti elettronici molto abili anche se inevitabilmente di carattere per lo piti descrittivofunzionale. Mentre esperienze similari furono condotte da Andrej Markowski, nel 1958 Wiszniewski compose una musica per l'Orfeo di Cocteau che rappresenta il primo esempio di musica elettronica "assolutaw prodotto nel nuovo studio. Varsavia divenne rapidamente un centro importante d'incontro per musicisti di ogni parte del mondo: tra quelli ~ i t attenti i all'im~ortanza da attribuire ad un medium artistico nuovo, al ;ateriale fisico e alla sua manipolazione formale, vi furono Stockhausen e l'italiano Franco Evangelisti. Anche Vienna, che nonostante dia il nome alla quasi mitica scuola dell'espressionismo germanico è oggi in realtà

una delle citti piu tradizionaliste d'Europa (benché vi si svolga un'attività teatrale e concertistica densissima per quanto concerne il repertorio), ebbe nel 1959 uno studio elettronico: testimonianza di quanto fosse acuta, sul finire degli anni '50, la curiosità verso ciò che si faceva di nuovo nei territori della tecnologia artistica. Chi voglia dare un'inquadraturd storica degli anni '50 non può limitarsi alle prerogative europee: resta però il fatto che solo in America, nel bene e nel male, si è tentato di muoversi con re1 >tiva indipenden: 11 dalle coordinate storiche della musica eciropea. L'autonomia, ad esempio non è stata certo la qualitA espressa dalla musica elettron.ca giapponese; per cominciare la radio di Tokio si servi di apparecchiature tecniche che ricalcavano pari pari lo Studio di C.3lonia: dodici gene -atori di suono con frequenze fisse e variabili senza gradazioni, un modulatore ad anello, un monocordo elettrico, generatore di rumori, filtri vari, ecc. I compositori giapponesi non iniziano una nuova via, bensi continuano, in un clima di monotono conformismo cosmopolita "tipo festival," la metodologia formale suggerita da Eimert, Koenig e dal primo Stockhausen. D'altra parte Toshiro Mayuzumi, primo musicista giapponese attivo nel settore, aveva frequentato sia lo studio coloniense che i corsi estivi di Darmstadt per Ia nuova musica. Già i titoli dei suoi pezzi, Musica per onda sinusoidale in rapporto a numeri primi, Musica per onda modulata in rapporto a numeri primi, Invenzione su onda quadra e onda a dente di sega, denunciano una problematica esclusivamente tecnico-formale, volta alla presa di possesso del mezzo e alla regolamentazione del medesimo attraverso sperimentazioni su schemi precisi, selettivi e volutamente limitati. Insieme a Makoto Moroi, Mayuzumi compose nel 1956 Variazioni su filtri, brano piu vario e modulato timbricamente. Una vistosa contaminazione di ricerche su nuovi materiali elettroacustici e impiego degli strumenti piu ovvii, fino alla grande orchestra sinfonica, si p,uò dire tipica di certa musica americana negli anni '60. I1 fenomeno della sperimentazione di nuove sorgenti acustiche è caratteristico di molta musica americana del Novecento storico, Ives e

Varèse in testa: non si dice di Cage, in cui però la complessità rumoristica ottenuta in modo elementare per accumulazione e giustapposizione ironica approda nihilisticamente alla neutralizzazione di ogni impulso positivo teso verso la scoperta materica, verso l'indagine sistematica. Compositori come Vladimir Ussachevski ( 1911), americano di origine russa, e Otto Luening (1900) si muovono tra impulsi vecchi e nuovi con una baldanza disinibita e molto yankee. Fin dal 1951 Ussachevski aveva compiuto esperimenti nel piccolo studio della Columbia-University; dal '53, unitamente a Luening, ha tentato combinazioni tra suoni registrati su nastro magnetico e orchestra. Pezzi quali A Poem in Cycles and Bel1 (1954), Rapsodie Vmiations (1954) e Concerted piece (1960), firmati insieme dai due compositori, sono tentativi assurdi di conciliare il suono sensuosamente retorico dell'orchestra sinfonica tardo-romantics o pseudo-impressionistica con invenzioni timbriche mutuate dalla moderna tecnologia. Gradualmente però sia Ussachevski che Luening hanno avvertito la necessità di protendersi oltre i limiti di una contaminazione di dubbio gusto e di nessun significato, affrontando con maggior coscienza il problema di un'impostazione metodologica non dilettantesca. Qualcosa essi hanno poi fatto nella direzione di un sistematico uso di suoni strumentali denaturati prima, e di suoni ottenuti sinteticamente poi. Indubbiamente, malgrado il livello tutt'altro che eccelso delle loro composizioni, gli americani in questione hanno avuto la precoce intuizione della precarietà di ogni esclusivismo tecnologico. A causa della situazione culturale e musicale del loro paese, essi non hanno saputo trarre le dovute conseguenze da premesse in linea generale potenzialmente proficue (fusione di suoni concreti; sintetici e strumentali), naufragando in un mare di cattivo gusto e di pressapochismo ideologico. In questo contesto acquistano carattere a loro modo positivamente critico le paradossali, volutamente ironiche esperienze di Cage. Tra le benemerenze dello studio approntato alla Columbia-University, con la consulenza tecnica dell'ingegnere Olson, starebbe una sorta di rivoluzione tecnica legata a vn nuovo metodo di lavoro basato sul "musical Synthe-

sizer": ma non è un caso se tale apparecchiatura, pensata evidentemente anche sulla scorta delle idee di Luening e Ussachevsky, appariva destinata piu che altro alla ricostruzione per via sintetica di un numero enorme di suoni musicali già noti. I1 processo di automazione, positivo quando si limita a sostituire complesse operazioni di catalogazione del materiale, montaggio e cosi via, si rivela micidiale allorché pretende di circoscrivere il campo d'azione al fine di razionalizzarlo e renderlo facile all'uso, di bloccare per cosi dire il lavoro di ricerca continua, di associazione sempre nuova di elementi sonori, di sperimentazione salutarmente empirica. Altri tipi di sintetizzatori sono stati costruiti. e sembrano meno fossilizzati a schemi angusti. Anche lo studio di Monaco. Densato fin dal 1955 e aperto definitivamente nel 1959: Si basa ampiamente sull'automazione, sull'uso di schede perforate attraverso le quali si impartiscono ordini ai regolatori di comandi sonori. Se teniamo conto che l'iniziativa del centro monacense si deve a Carl Orff, principale esponente della restaurazione neoclassica di marca fascista nel periodo tra le due " mierre e sostenitore di una musica sem~licee non problematica, possiamo facilmente capire con quale spirito si sia ricorso all'automazione: culto della funzionalità, ridimensionamento della musica elettronica entro argini prevedibili e ampiamente rassicuranti. Una riproposizione della musica d'uso sotto veste scaltramente aggiornata. Rimes I I di Henry Pousseur, realizzato nello studio Apelac di Bruxelles, è il pezzo pi6 rigoroso e avanzato che tra il 1950 e il '60 sia stato prodotto fuori del triangolo Colonia-Milano-Parigi. I1 grado di sintesi che vi si realizza tra musica ottenuta elettronicamente e strumenti tradizionali non va estraneo alle ricerche di Stockhausen: sappiamo appunto dallo stesso Pousseur quanto la stretta amicizia e convergenza culturale con il musicista tedesco, il quale proprio in quegli anni stava componendo Kontakte, abbia influito sulla configurazione di Rimes per diverse sorgenti sonore. Né mancano modalità operative che risalgono a Berio, come il ritaglio e il montaggio dei nastri effettuati secondo un unico modulo: il quindicesimo di secondo (del

resto Pousseur, come s'è detto, aveva fatto le sue prime esperienze elettroacustiche proprio a Colonia e a Milano). Il micromontaggio di cellule viene sottoposto ad approfonditi processi di accelerazione. Un dato "concreto" rimarchevole è rappresentato dal suono di un wood-block (importante specialmente nella prima parte del lavoro), accelerato una prima volta secondo diverse proporzioni, in modo da ottenere, come tiene a dire l'autore, una vera e propria scala timbricamente omogenea, utile quale materiale di partenza. Pousseur utilizza in Rimes suoni di origine strettamente elettrica (onde sinusoidali e rettangolari, mescolanze semplici o col "Ringmodulator," rumore bianco, impulsi e filtraggi vari), materiali fonici anche vocali "catturatin attraverso il microfono e lavorati successivamente, e inoltre il suono orchestrale agito in combinazioni timbriche varie e ricercate con molta precisione. Nel 1960, con Elecire, il musicista belga riprende alcuni modi compositivi di Rimes e sviluppa il procedimento di ripetizione automatica di masse d'elementi vocali registrati.

Cupitoio quarto

Cronache di una ricerca: dal 1960 ad oggi

1 ) Maderna, Berio e Pousseur Gli anni tra il 1960 e il 1970 (oltre non è lecito andare se non si vuol fare una discutibile cronaca dell'awenire) offrono dati tra loro contraddittori e di non sempre facile interpretazione. Mentre da una parte sorgono come funghi in tutto il mondo piccoli centri di musica elettronica dotati di modeste apparecchiature ( e anche qualche studio di rilievo, soprattutto nell'Europa orientale), mentre si diffonde l'uso del "musical Synthesizer" (editio minor, in senso sia qualitativo che quantitativo, dei veri studi elettroacustici), e insieme 1'"elettrificazione" di taluni strumenti singoli i quali risultano enormemente potenziati quanto a possibilità tecniche, timbriche ed espressive, mentre l'automazione dei procedimenti pare facilitare il musicista nell'atto laborioso e poco esaltante del montaggio, muta l'atteggiamento di ,fondo dei p i i rilevanti compositori legati alla storia dello sperimentalismo tectrologico: dall'esclusivismo un po' fanatico per il suono sintetico, considerato capace di sostituire ogni altro modo di produzione fonica, essi sono passati all'integrazione di musica elettronica e concreta, e inoltre, piu significativamente, di musica registrata (sia elettronica che concreta o mista) ed eseguita dal vivo (voci e strumenti). Altri musicisti hanno abbandonato addirittura il campo elettronico tornando ai mezzi sonori consolid~ti dalla tradizione, meno costosi, piu facilmente reperibili e consolidati in formazioni fisse. istituzionalizzate (il coro, l'orchestra, il complesso da camera e cosi via). Luciano Berio, Henry Pousseur e Bruno Maderna sono i compositori che piu vistosamente hanno sfumato la loro presenza nel settore di cui ci occupiamo.

Si fa soltanto cenno al disimpegno progressivo di Bruno Maderna nel campo elettroacustico: il relativo dileguare del suo lavoro di ricerca può in effetti derivare dagl'interessi molteplici e fatalmente un po' dispersivi di questo formidabile, multiforme musicista. Ma ~robabilmente, valgono anche in questo caso le osservazioni sociologiche che si fanno nel corso del sesto capitolo. Dopo l'lnvenzione su una solu voce (1960) e le Serenute 111 e IV (1962). Maderna compose nel 1964 un brano arguto, esilarante, paradossale, dal titolo appunto Le rire, manipolazione sfrontata, geniale pastitbe a1 limite dell'onomatopeico: una scommessa, insomma, di guizzante gaiezza. Berio aveva dato, in anni precedenti, contributi essenziali allo sviluppo di una sensibilità legata profondamente alla natura dei mezzi impiegati: lavori quali Momenti e Thema (Omaggio a Joyce) lo testimoniano ampiamente. Negli anni '60 una sola opera, sia pur significativa, figura nel catalogo beriano: Visage per voce, nastro magnetico e suoni elettronici. Al centro dell'immagipazione musicale del com~ositoreha messo fieurato l'articolazione vocale in tutte le sue molteplici e inusitate implicazioni: cantato, parlato, soffiato. as~irato. materismo rumoristico delle consonanti isolate dalle vocali; estremamente positiva era stata per Berio la vicinanza di Caty Berberian, cantante spregiudicata di enormi possibiltà. Per l'autore di Visage la vocalità non è che un modo di prendere possesso della varietà comportamentistico-fenomenologica dell'essere umano: un mezzo materiale, "fisico." ma anche saturo di storia, che può essere sublime come sconcertante e "volgare," disponibile e cangiante. Appunto il rapporto tra materia vocale variamente lavorata e stratificazioni elettroniche sta alla base della fantasiosa, libera e aperta disponibilità sperimentale di Luciano Berio: talmente libera e polisensa da indurre a legittimi sospetti quanti si aspettano di cogliere nei fatti musicali il segno di una posizione ideologica preventivamente formulata con precisione. I n Visage la fusione tra voce, suoni elettronici e nastro (inteso quest 'ultimo quale serbatoio di molteplici virtualità, anche di riverberazione), la "contaminazione" tra mezzi tradizionali e nuovissimi, producono effetti estremamente u

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suggestivi: fin troppo insistiti, volutamente seducenti, amabilmente "corruttori," volti a un edonismo (si badi: anche intellettuale) di alta classe. Momenti di recitazione travalicanti verso il cantato o viceversa (memori alla lontana delle indicazioni dell'espressionismo viennese) si alternano al cantato e al recitato puro, mentre tutti gli atteggiamenti vocali si trovano poi sovrapposti con la registrazione e il montaggio. Interessante anche l'articolazione spaziale, proprio nel senso della "parete sonora" sottratta ad ogni impulso agogico: superfici massive di suoni elettronici o elaborati elettronicamente internamente mosse in modo da creare, nell'immobilità, un gioco di riflessi fonici. Questo suono che sfocia nell'infinito, la cui lega s'imparenta con il coro o l'orchestra ligetiana, è rilevante proprio nella chiusa sospensiva di Visage, che segue immediatamente i fascinosi incastri fonematici e vocali. Nel 1961. Pousseur aveva intanto comDosto Trois Visages de Liège: mediando il passato rigore preventivo della scuola di Colonia con la pi6 sensibile e diretta percezione della materia sonora empiricamente rilevata da Berio e Ma,derna, il compositore belga si serve del montaggio d i un materiale complesso desunto da 28 suoni sinusoidali variamente trasportati e anche di alcuni "oggetti musicali" precostituiti e lavorati in studio, i quali si limitano però poi solo a voci di fanciullo e a un accordo pizzicato. La prevalenza del materiale ottenuto per via sintetica contribuisce a tener lontana l'ipotesi onomatopeica di un qualche "ritratto rumoristico di città": va ricordato che la commsizione di Pousseur era nata non come banale descrizione, bensi doveva accompagnarsi, doveva per cosi dire costituire una formante di uno spettacolo luminoso tendenzialmente astratto.

2 ) La ricerca di Stockhausen Due ordini di ragioni possono spingere a fare iniziare la seconda fase della musica sperimentale-tecnologica dal 1960, anche se è pacifico che si tratta comunque di una delimitazione di comodo e inevitabilmente ultraschematica: la prima è dovuta al fatto che, proprio negli anni immedia-

tamente precedenti, era avvenuta una parziale fusione di musica elettronica e musica concreta, con avvicinamento dei due fronti, vale a dire quello fenomenologico-oggettuale di Parigi (teso ora, malgrado i limiti costituzionali e la pochezza dei musicisti che lo componevano, verso un maggior rigore) e quello "purista" di Colonia (basato sui suoni sinusoidali e derivati, sulla proiezione ulteriore del metodo seriale, e ora disposto ad accogliere sempre piu anche elementi fonici preesistenti: si pensi a Gesang der Junglinge di Stockhausen); le esperienze del Centro di Fonologia milanese in un certo senso mediavano gli opposti schieramenti, favorendo indubbiamente la sutura. Inoltre, proprio nel 1960 (e questo rappresenta il secondo fattore), un'importante opera di Stockhausen coronava il processo in atto di superamento dell'antitesi tra musica registrata e musica eseguita dal vivo, compenetrando fonti e atteggiamenti fonici di origine diversa: si parla di Kontakte, composizione realizzata tra il 1958 e il 1960 (selezione preliminare del materiale acustico in studio dal febbraio 1958 all'autunno 1959; stesura definitiva terminata nel maggio 1960). La prima esecuzione, avvenuta nel giugno 1960 durante il 34" Festiva1 della SIMC a Colonia, si giovò della partecipazione di Christoph Caskel (percussione) e del pianista David Tudor, attivo anche lui su taluni strumenti a percussione. Kontakte è offerto in due versioni: l'una, su nastro a quattro piste, per soli suoni elettronici (a uno o due canali), è pensata, come Stockhausen ha indicato, per l'esecuzione radiofonica o l'incisione discografica; l'altra, d i gran lunga pi6 interessante per una quantità di implicazioni che porta con sé, per suoni elettronici, pianoforte e percussione. Sarà bene prendere subito in esame la seconda versione: essa partecipa, a un livello di superiore riuscita o almeno di pi6 tormentata e impervia ricerca, a quel filone che stava dando lavori quali Transicion I I di Kagel, Musica su due dimensioni di Maderna, Différences di Berio. La sostanza elettronica viene emessa da quattro altoparlanti, mentre due musicisti agiscono dal vivo sul pianoforte e su strumenti a percussione in metallo, legno e membrana. Come orientamento tecnico mette conto di segnalare, oltre alla produ-

zionr dei suoni elettronici dovuta a un generatore di impulsi, l'uso di un amplificatore selettivo regolabile (vale a dire usato come un filtro variato continuativamente il quale determina anche la durata d'estinzione dei suoni). Inoltre vi è un filtro a "banda passante" prestabilita. Oltre alle onde sinusoidali appaiono anche onde quadre, le quali, essendo formate da armonici dispari, producono un suono particolarmente aspro. Già Gesang der. Jinglinge, dove l'elaborazione di uno stimolo acustico dotato di una sua preventiva e "concreta" fisicità e inoltre portatore di inevitabili riverberazioni naturalistico-contenutistiche (la voce di fanciullo), dimostrava come Stockhausen volesse ridimensionare la ricerca sulla mera individuazione di nuovi suoni sintetici, svelando contemporaneamente un'insospettata attenzione per suggestioni d'altra natura. Sicché non sorprende, in Kontakte, la volontà di sintesi tra avanzatissima ricerca tecnica e una nuova gestualità che si sprigiona dalla paurosa, fors'anche suggestivamente "arida" strutturazione. I n un senso molto (moltissimo) lato, si potrebbe perfino parlare di analogia con la tradizionale concezione "concertante": materiali, atteggiamenti contrastanti e complementari che producono attriti, contatti, non però contrapponendosi a scacchiera, qua il bianco là il nero. Infatti il nastro raccoglie suggerimenti timbrici della percussione e del pianoforte, contribuendo a intersecare gli stimoli acustici. I due musicisti agenti "dal vivo" si pongono in stato di interreazione rispetto alle sonorità che arrivano dai quattro altoparlanti senza uscire, alla fine, né vinti né vincitori. Un'interpretazione maliziosa è data da Bortolotto allorché scrive che "è agevole avvertire la preoccupazione di includere, di inquadrare e perciò regolamentare il fluido, il magmatico del nastro entro i saldi piloni dello strumentale," e insinua che in questo match truccato viene neutralizzata la carica esplosiva elettronica in quanto ricondotta "entro argini ampiamente rassicuranti." Ma, per chi ponga mente all'allergia del critico citato verso ogni operare compositivo che non spinga a fondo la determinazione di una totale assenza della forma sarà facile attraverso una deduzione "al negativo" ottenere la convalida di come si evidenzi qui non tanto una "conciliazione,"

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bensi una condizione ulteriormente ambigua. Stockhausen mira a contrarre la continuità del flusso musicale in strutture destinate a evocare "un mondo sonoro in rotazione, senza evoluzione possibile, " dove si aboliscono, secondo quanto ebbe a dichiarare il compositore a proposito di altri suoi lavori, concetti quali principio, sviluppo, fine, centro o estremi, e dove "passato, presente e futuro" rappresentano "una cosa sola." Questo aspetto statico, mistico-sacrale è palesemente estraneo al concetto di contrasto implicito nel titolo stesso: Kontakte, appunto. Emergono allora le contraddizioni insanabili tipiche di un formidabile musicista operante nel clima di benessere ottuso e socialmente rinunciatario della Germania Occidentale, nel vuoto dell'esperienza comunitaria ovviamente mancata dal capitalismo: Stockhausen, dopo aver tentato di rifugiarsi in una ricerca che fosse l'equivalente artistico-musicale (perciò feticistico) della civiltà tecnologica, rischiando di assumere atteggiamenti apologetici ( e I'apologia del mezzo tecnico è sempre, inevitabilmente, apologia della classe sociale che ne detiene politicamente il controllo), lascia filtrare tra le maglie del suo pseudo-razionalismo (vissuto con a-dialettica e quindi alla lunga irrazionale unilateralità) suggerimenti eterogenei che finiscono però pur senipre con l'approdare a un misticismo equivoco. Si veda in Kontakte: la fusione di interpreti operanti dal vivo e nastri elettronici scarica automaticamente un attivismo: una gestualità (anche visivamente riscontrabile) che però è già bloccata, nel momento stesso in cui tenta di farsi strada, dalla struttura musicale circolare, protesa verso una tensione non "accrescitiva," non sorretta da un dinamismo atto a vivere in tutta la sua pienezza il tempo musicale. I1 magma elettronico fuoriesce dai quattro altoparlanti con sonorità cupe e minacciose, di originalissimo rilievo fonico e già tende a quella lunghezza ostentata ed estrnuante che costituirà l'aspetto peculiare di un'opera quale Hymnen: frutto di una paralisi del tempo in musica che può darsi sotto forma di frantumazione (Webern aforistico e i primi post-weberniani), ma anche di abuso del medesimo. Rivoltando il senso della pur acuta annotazione bortolottiana, si può dire che il match tra strumentisti e

nastro, truccato senz'altro, non lo è tanto per l'alveo distributivo entro cui dovrebbe comprimersi la stessa ipotesi materico-informale, bensi proprio per l'esistenza di un impianto (nel quale, si ricordi, "prima," "poi," "premesse," "sviluppi," ecc., diventano "una cosa sola"), che non ammette in Dartenza match alcuno. né dialettica reale. Particolare attenzione esige certa ritmica nella parte su nastro: è noto che fino a Kontakte la musica elettronica aveva teso ad annullare ogni impulso ritmico puntando invece sulle proprietà derivate dalla tecnica del montaggio dei frammenti di nastro, vale a dire un continuum di fasce sonore di durata assai lunga e non misurabile in valori proporzionali, oppure di guizzi scheggiati, di miriadi di suoni brevissimi. Ascoltiamo invece qui anche continue accelerazioni o decelerazioni di colpi che si capisce essere nel pensiero base, nello schema base, perfettamente isoctoni: qualcosa di analogo allo stringendo o al rubato dei romantici, appannaggio della musica strumentale-vocale, ove l'interpretazione richieda sottolineature ed elastiche articolazioni del fraseggio. Nel campo elettronico, tale procedimento era apparso in precedenza, se non si va errati, solo nelle interessanti Figure sonore I I di Goffried Koenig, del 1956. Inutile dire che in Stockhausen il senso di tali varianti agogiche acquista connotati apocalittici, insistiti sull'ossessività annichilente della scansione. Altre opere di Stockhausen soggette come e piu di Kontakte a integrazione di strumenti "tradizionali" e apparecchiature eleitroacustiche anche se di minore importanza, sono: Mikrophonie I per tam tam, due filtri e regolatori (1964); Mixtur per cinque gruppi strumentali, quattro modulatori ad anello, quattro generatori d'onde sinusoidali i 1964-65); Mikrophonie I I per coro, organo Hammond, quattro modulatori ad anello e nastro magnetico (1965); Solo per strumento melodico con moltiplicazioni del medesimo su nastro (1966). A partire da Prozession per tam tani, viola, electronium, pianoforte, due microfoni, due filtri e regola tori (1967), l'ex paladino dello strutturalismo ~ i ustrenuo tende a concedere s ~ a z i oalle ~ r a s s ialeatorie. &li interpreti, giovandosi di un kargine aperto all'irnprovvisazione, sono chiamati a collaborare alla nascita della com-

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posizione, anche se malgrado la tlessibilità formale il compositore non rinuncia a controllare il rapporto tra i singoli avvenimenti. Con Telemusik per nastro magnetico (1966), avviene uno scarto improvviso nella prassi compositiva stockhauseniana. Dopo anni di purismo, di ricerca autosufficiente, a senso unico (puntillismo, tecnica di gruppi, spazialismo, rifiuto sistematico di ogni aggancio con elementi formali o esistenziali del passato e del presente quali armonia, melodia, ritmo, fonti acustiche "concrete" larvatamente "naturalistiche": ciò che Stockhausen stesso ha indicato retrospettivamente quali contrassegni di un periodo dell'astrattismo), il musicista tedesco ipotizza una sorta di rilevamento del "reale musicale," un'apertura all'intero mondo sonoro che consiste, operativamente, nell'utilizzare frammenti, figure musicali precostituite, ricavate dalla musica di ogni epoca e di ogni paese, mescolati e variamente elaborati. I1 rinvio al collage è immediato (si pensa subito agli antecedenti di Varèse e Cage), anche se l'autore, nelle intenzioni, vorrebbe andare oltre. È giocoforza sottolineare che proprio la tecnica di montaggio caratterizzante la musica su nastro è quella che piu di ogni aItra si presta ad operazioni di immagazzinamento e modificazione di materiali eterogenei, precostituiti, per cosi dire "ritagliati." TeLemusik impiega frammenti di musica folclorica dell'Africa, Amazzonia, Bali, Brasile, Cina, Giappone, Russia, Spagna, Vietnam. Al fine di superare il semplice collagc, Stockhausen è ricorso ai modulatori elettronici, attraverso i quali ha tentato di sovrapporre e intersecare organicamente vari materiali: n~odulando, ad esempio, una melodia raccolta con il ritmo di un'altra musica sempre preesistente, colorando timbricamente quanto acquisito in maniera nuova, e ancora riversando il tutto entro stampi indicati dal diagramma dinamico-intensivo di un'altra melodia presa a prcstito. Durante una conferenza tenuta a Roma nel 1967, Stockhausen fu prodigo di esemplificazioni: "Immaginate un prete, la voce di un prete, diciamo, di un tempio nahra: una musica che non s'è mossa affatto da mille anni: io faccio una modulazione di questa melodia del prete con il ritmo di una sevilluna spagnola; e aggiungo come curva dinamica

quella di un canto di una madre indiana (Amazzonia) che ha cantato per il bambino, che ha una curva assai tipica. Aggiungo questa curva o faccio una modulazione con questa curva sovrapposta alla melodia del prete, ritmicizzata con la sevillana Si va molto avanti. D'un tratto una nuova qualità nasce, che non è piii la somma dei differenti componenti. Si arriva ad avvenimenti che hanno senso multiplo...'' L'impianto elettroacustico, da produttore autosufficiente di suoni sintetici puri o di rumori indeterminati, diviene momento di sintesi, di promozione di un processo unificante di tutti i materiali possibili. Il superamento dell'" astrattismo " musicale post-weberniano, cioè della volonth di riorganizzare dalle fondamenta il linguaggio musicale, di scartare tutto quanto fosse, sia pure alla lontana, compromesso con i modi storici del fare musica, non ci viene però motivato da Stockhausen. Egli si limita a constatare che "da parecchi anni, come nelle altre arti, i musicisti hanno comunicato il pensiero di essere andati fino in fondo nella direzione della microrganizzazione come delle macroproporzioni." Ci troviamo di fronte al consueto uso terroristico dell'ormai, cosi connaturato al compositore tedesco: ormai è cosi, una ristretta élite di artisti ha deciso che una moda è cambiata, nessun riferimento sociologico è ritenuto necessario. II fascinoso ed equivoco idealismo estremizzato che si nascondeva dietro le opere strutturalistiche a senso unico, il culto quasi feticistico della tecnologia quale maschera di una violenza moraleggiante proprio in senso cattolico, l'aristocratico rifugio nella "purezzan e intransigenza della ricerca (che però mai riusciranno a cancellare, nel dato musicale stockhauseniano, il senso di un'oscura angoscia) si rovesciano dunque nella disponibilità verso qualsivoglia stimolo o ambientazione sonora. I1 perché di tutto questo rimane un mistero. Nessuna sorpresa, d'altra parte. Si sa come Stockhausen sia sempre stato incline a giustificare le sue scelte e il suo operare sulla base di criteri evoluzionistici: nel caso di Telemusik, e di tutto quanto ad esso è seguito, si tratterebbe di un nuovo filone aperto in seguito all'abbandono di un altro ritenuto, sulla base di considerazioni puramente interne al linguaggio musicale, esaurito. Ma sappiamo bene come rinunciare alla formulazione di una

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propria ideologia voglia dire poi accettare per forza d'inerzia quella degli altri, e anzi quella imperante. Ma vi sono finestrelle segrete, in ogni discorso, che gettano luce sull'intero contesto e dalle quali si può osservare meglio la situazione. Cosi, è sintomatico che Stockhausen, nel corso della conferenza alla quale ci si è richiamati precedentemente, abbia sostenuto la tesi secondo la quale "il dualismo fra tradizione e avanguardia, o, diciamo, tra le forze conservatrici e le forze del progresso, non ha piii importanza, perché la tradizione diviene una riserva," dichiarando anche che "siamo proiettati in tutte le direzioni, nel domani cosi come nella vasta riserva dell'ieri": questo, si badi dopo aver detto testualmente: "Per me ogni opera è un modello. Siccome sono compositore, immagino come composizione l'organizzazione del mondo e specialmente del mondo umano. Quando organizzo i suoni mi limito al mondo sonoro, ma, naturalmente penso a tutto. Se fossi un politico, organizzerei il mondo in altro modo: cosi, se fossi matematico o scienziato in genere. Trovo che la ricerca nel dominio dell'estetica pura non è piii bastante." Dunque, operare sui suoni significa proporre modelli di organizzazione che metaforicamente alludono ad altro che una sistemazione semplicemente "estetica." L'endomodulazione proposta come integrazione della molteplicità, il ricorso in Telemusik a musiche folcloristiche d'ogni Paese, astratte però dal contesto d'origine e quindi utilizzate come puri materiali (al modo dello Stravinskij neoclassico), si rivela alla fine un ulteriore espediente di conservazione eurocentrica. A riassorbire ogni reperto musicale legato a civiltà diverse e lontane, ad ambienti umani e sonori disparati, è la tecnologia concepita come piovra, in grado di tutto stritolare: i materiali immagazzinati per,dono i loro connotati di origine e diventano strumenti di un pluralismo livellatore che ogni cosa riduce a combustibile immaginativo, neutralizzando le qualità specifiche di ciascuna tradizione. L'universalismo utopistico assume dunque significato analogo a quello dell'interclassismo politico, e il richiamo a civiltà extraeuropee, alla fin fine colonialistico addirittura. Non a caso Hymnen per suoni elettronico-concreti e strumenti solisti operanti dal vivo (pianoforte, viola e vio-

loncello), monumentale opera nata nel 1967 e ampliata in una seconda versione del 1970 (vi è compreso un brano per orchestra), utilizza inni nazionali di tutto il mondo. Bisogna ricordare che l'innodica si fonda infatti, anche nei Paesi asiatici e africani, su quegli schemi tonali imposti da secoli all'intero globo terrestre tramite l'egemonia politica, e quindi culturale-musicale, dell'Europa. È vero che in questo collage (perché tale risulta, ad onta delle dichiarazioni in contrario fatte dall'autore), proprio la raccolta e il livellamento degradante di fatti sonori preesistenti appartenenti senza eccezioni alla stessa specie linguistica (la lingua musicale del colonizzatore divenuta forzatamente anche lingua del colonizzato) può dare adito a interpretazioni diverse. Ad esempio, possiamo essere indotti a considerare come il legame ~ r o f o n d oche unisce Stockhausen alla cultura occidentale i s i pensi solo al superomismo costruttivista), si accompagni nel vivo dell'opera al presentimento che la supremazia culturale europea abbia le ore contate. In effetti c'è anche questo senso di oscura, angosciosa fatalità. La vastità di Hymnen, la manipolazione di musiche preesistenti e da tutti conosciute, la crudeltà della deformazione timbrica, sono dati che richiamano l'esperienza apocalittica di Gustav Mahler. Senonché, poi, a esser schivata è appunto la dialettica mahleriana, sia che Stockhausen ricorra all'endomodulazione (vedi quanto detto a proposito di Telemusik) o al collage truccato. Infatti, nelle Sinfonie di Mahler le musiche citate non confluivano, confondendosi, l'una nell'altra, devitalizzandosi in partenza e livellandosi, ma anzi. attraverso l'accostamento spericolato di caratteri differenziati immessi nella struttura compositiva proprio per le loro peculiarità stilistico-es~ressivo. , ~roducevanoattriti. contrasti. attrazioni-repulsioni. Inoltre, in una musica come quella stockhauseniana, dove passato, presente e futuro si equivalgono, dove l'abuso del tempo musicale nella lunghezza estrema porta aZla paralisi del medesimo, riafiora fatalmente l'aspirazione a una "musica infinita" di wagneriana memoria; in essa. come ha scritto Luigi Pestalozza, "la stessa tendenza a prevaricare l'ascoltatore mediante il discorso senza fine, a bloccarlo cosi, per asservirlo, è riconducibile in ultima analisi ai meccanismi dell'ipnosi sociale che, come quello

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pubblicitario, fanno strutturalmente parte del potere economico capitalista." I1 materiale tonale dei vari inni determina ovviamente il carattere dell'intera composizione. Stilemi melodici, a r m e nici e ritmici della tradizione vengono recuperati e fatti emergere, galleggiare come oggetti trasportati dalla fiumana elettronica, ma spesso riescono ad avere partita vinta sul flusso magmatico; si profila pertanto il pericolo della regressione, della disponibilità acritica nei confronti del materiale. In effetti, se tanto si è parlato e si continuerà a parlare di Hymnen, non è solo per la mostruosa capacità compositiva di Stockhausen, per l'inventiva in taluni punti straripante che scaturisce dalla manipolazione di inni nazionali consunti, ma anche per la sostanziale ambiguità contenutistica dell'opera. Le figure musicali precostituite vengono infatti immesse in un vasto disegno, in una gigantesca arcata formale entro la quale risultano alternativamente macerate ed esaltate. I1 pressapochismo ideologico fa tutt'uno con la pifi strepitosa esibizione di bravura tecnica, di capacità musicale, di fantasia. I vari inni sono esibiti ora uno alla volta, ora sovrapposti in un continuo variare di prospettive dinamiche, ritmiche, spaziali, mentre non si contano le soluzioni timbriche nuove e originali. Hymnen si articola in quattro Regioni: ogni regione ha determinati inni centrali, intorno ai quali ruotano incipit di altre sigle nazionali. La prima Regione si basa sull'Internazionale e sulla Marsigliese; la seconda ha quattro inni: quello della Repubblica Federale Tedesca, un gruppo di inni africani mescolati o alternati con quello sovietico e infine con un inno nazista. I centri della terza Regione sono tre: la ripresa dell'inno sovietico, che è l'unico composto esclusivamente di suoni elettronici sintetici, l'inno americano e quello spagnolo. La quarta Regione si basa sull'inno svizzero e un altro che dovrebbe appartenere a un inesistente e utopistico regno della Inni-Unione nella Armonia tra Plura-

mortdi. Varie ipotesi sono state formulate, e altre sono formulabili, circa la priorità concessa ad alcuni inni, in veste di centri nevralgici. Si tratta di ipotesi, anche ingegnose e motivate, che non spostano comunque l'asse interpretativo

in alcuna direzione. Stockhausen ha costruito Hymnen, come si è detto, pescando indiscriminatamente nel sacco dei materiali piu triti e convenzionali, alcuni irrimediabilmente compromessi, senza che però emerga dal loro accostamento alcun rapporto di reciproca ostilità. I1 risultato è quello di una struttura pseudo-collagistica nelle intenzioni ideologicamente neutra: i "ritagli" musicali, malgrado le continue distorsioni, emergono in virtu della sola prepotenza "fisica," della l o r ~paradossale e contraddittoria vistosità esibita senza alcun collegamento o rapporto di causa-effetto. I n Hymnen altri elementi concreti intervengono a fianco degli oggetti musicali ritagliati e intersecati al modo già segnalato da Stockhausen discorrendo di Telemusik (ritmo di un inno modulato per l'armonia di un altro e per la curvatura melodica di un terzo e cosi via): rumori della folla, brusii, conversazioni registrate durante manifestazioni pubbliche, meeting, ricevimenti ufficiali. Stockhausen ha previsto molteplici utilizzazioni di questa sua opera, dalla sala per concerti al teatro, dall'ascolto in disco all'esecuzione in un3 chiesa o all'aria aperta. Inoltre ha indicato la possibilità, per ragioni drammatiche, di operare una scelta optando per una piuttosto che per l'altra Regione, sopprimendo liberamente delle parti. I1 nastro originale a quattro piste è stato preparato a Colonia. Muovendo da questa matrice è stata realizzata una versione stereofonica a due piste ma con un regolatore panoramico. Per l'ascolto di qucsta versione stereofonica su disco oppure su nastro, l'autore consiglia la distribuzione in sala di otto altoparlanti, onde ottenere quella spazializzazione che il brano esige.

3 ) Presenza di Nono Già nel 1960, con un pezzo d'assaggio di non eccessivo rilievo (Omaggio a Vedova), Luigi Nono aveva preso contatto con il campo elettroacustico. Non è senza significato che ciò sia avvenuto subito dopo la composizione della grande trilogia corale degli anni 1956-58 (11 Canto sospeso, Cori di Didone, La terra e la compagna), e dopo un vasto lavoro teatrale, Intolleranza (1960): Nono infatti coglie una

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direttrice nello sviluppo delle tecniche vocali per mezzo dei microfoni e inoltre individua nella pluralità dei materiali elettronico-concreti una disposizione al gesto musicale significativo, all'intrecciarsi relazionato dei piani significativi, sempre però ricorrendo a materiali d'oggi, gravidi di tensione conoscitiva. Sarà la Fabbrica illuminata (1964) a segnare definitivamente l'ingresso, nel campo della piu avanzata tecnologia musicale, di un musicista per nulla suggestionato feticisticamente dai mezzi usati e che anzi è portato ad assegnare all'opera musicale il compito di contribuire alla lotta di classe, alla battaglia culturale per il socialismo. La posizione rivoluzionaria di Nono non è mai stata delle piu comode, dovendo egli usare mezzi tecnici detenuti dalle organizzazioni musicali del potere borghese. D i qui contrasti, dissapori, censure assurde. D'altra parte Nono si è trovato sempre nella drammatica condizione di lavorare pensando a un pubblico virtuale, potenzialmente diverso da quello mummificato che solitamente frequenta le sale da concerto e questo acuisce la contraddizione. Perciò egli è arrivato a pensare a una musica-manifesto radicata nella realtà, coniugata con i movimenti rivoluzionari in tutto il mondo, di agitazione, di lotta di classe. Lo sfruttamento capitalistico del lavoro operaio, denunciato con implacabile e intransigente determinazione, è al centro del pensiero compositivo nella Fabbrica illuminata. Il testo della Fabbrica si deve, per le prime due sezioni, a Giuliano Scabia, che riassume nella struttura verbale serrata e spasmodicamente tesa a conseguire il massimo di funzionalità rappresentativa la denuncia della dura condizione operaia (esposizione alle esalazioni nocive, a materiali proiettati, a cadute, a luci abbaglianti, a ritmi disumani) e successivamente la stravolta proiezione e dilatazione angosciosa, onirica. La terza parte si condensa nell'alto, struggente lirismo di alcuni versi di Cesare Pavese cantati dal soprano solo, che agisce "dal vivo": "Passeranno i mattini / passeranno le angoscie / non sarà sempre cosf / ritroverai qualcosa. " Criteri nuovissimi sono alla base della Fabbrica illuminata. Le fonti acustiche sono tre:

a ) materiali-grezzi in larga misura preformati e di carattere "esistenziale" registrati all'Italsider di Genova-Corninliano (altiforni. laminatoi a caldo e a freddo): ,, b ) musica elettronica approntata originalmente presso lo Studio di Fonologia; C ) varie registrazioni, dal vivo ed elaborate, di interpretazioni del testo da parte del soprano e del coro. Selezione dei materiali fonici, processo elaborativo e definitiva realizzazione sonora furono svolte presso lo Stu-. dio di Milano (RAII nell'estate del 1964. Luigi Nono ha affrontati nella Fabbrica un deciso polimaterismo, portando alle conseguenze estreme le prospettive che si erano aperte con il superamento delle rigide barriere tra genere e genere musicale, e piu ampiamente tra genere e genere artistico: suoni, parole, "rumori" tratti dalla quotidianità dell'odierno mondo tecnologico, "gesti" sonori, espressivi e comunicativi non incasellabili nelle consuete categorie artistiche, fungono da materiali da immettere in una struttura fortemente dialettizzata e dinamicizzata, ricca di soluzioni mai prima udite. Non si tenga conto, insomma, del concetto di collage, o all'assemblage orizzontale delle cose puramente citate e incollate su nastro. Nono muove da materiali che vogliono essere documenti sonori, testimonianze acustiche di una situazione abnorme di tensione disumanizzante e di sfruttamento: per questo non si dovrà pensare a un'intenzione piattamente descrittiva della fabbrica, a una banale riproduzione rumoristica; la complessità naturalistica del nostro tempo, esplicitata a mo' di catalogo acustico da John Cage, non interessa minimamente Nono. A renderci agevole il significato è, come sempre, la struttura sonora; non solo o non tanto per il lirismo sovrano che nella parte finale ci propone la voce femminile, e che funge da termine dialetticamente insostituibile, ma anche per quanto avviene in precedenza: per la vorticosa, tellurica animazione dei dati sonori (impressionanti oltretutto per la totalizzazione spaziale del campo acustico), per il concentrarsi e decentrarsi furibondo degli spessori materici che si fanno diagrammi tormentati di un ritmo d'azione psicotico che nulla allinea ma al contrario tutto fa ribollire e trascina nell'im~-

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petuosu slancio della denuncia. Nono punta infatti al centro nevralgico di un'esperienza (l'operaio nella fabbrica) che non può oggi essere contemplata o descritta freddamente ma deve essere corredata della nostra indignazione. Davvero la Fabbrica noniana è illuminata: per illuminarci, s'intende. Ugualmente illuminante la successiva opera elettronica: Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz, cori da "l'istruttoria" di Peter Weiss. Con mezzi puramente musicali, vale a dire privi della suggestione semantica della parola cantata, Nono ricerca e ottiene una carica espressiva e comunicativa estrema, di stravolgente denuncia. Erwin Piscator si era rivolto a lui per le musiche necessarie all'allestimento del lavoro teatrale di Weiss, un atto di accusa contro i crimini nazisti: erano cosi nati dei cori che cercavano di interpretare autonomamente, come "formanti" della rappresentazione e non orpelli ausiliari o ambientazioni acustiche esterne all'azione, il senso della terribile tragedia umana di Auschwitz. Nel 1966, dai cori composti per Piscator e Weiss, Nono ricavava ulteriore materiale elaborato presso il Centro di Fonologia di Milano e portava a compimento un'opera totalmente indipendente dalla scena: Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. I materiali acustici registrati su nastro magnetico sono, come al solito in Nono, assai vari: suoni e fonemi della soprano polacca Stefania Woytowitz, voci di bambini, materiali corali-strumentali e prodotti sinteticamente nello studio elettronico. Si attua una saldatura tra momento della ricerca tecnica, della sperimentazione di nuovi mezzi di elaborazione, e vocazione comunicativa. Proprio in virtu dell'assunzione di procedimenti nuovissimi, fuori dalle pastoie di modalità compositive e percettive logorate, i "cori" di Auschwitz si caricano di una potente forza di evocazione. Le voci, spesso operanti in registri acutissimi, si spingono fino ai limiti di quella zona espressiva in cui cade la necessità della parola cantata, e dove l'ascoltatore è violentemente immesso in una dimensione angosciosa che da sola giunge al cuore della sostanza contenutistica. A Florerta é jovem e cheja de vida (1966) riprende e dilata la problematica formale e contenutistica deiia Fabbrica illuminata e dei cori di Auschwitz. Dedicata al Fronte Na-

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zionale di Liberazione del Vietnam., Dorta avanti l'intenrazione di materiali acustici eterogenei, registrati e dal vivo, vale a dire escogita soluzioni formali non fini a se stesse, bensi mutuate da una precisa ideologia: soluzioni che coinvolgono, relazionandolo a sé, l'ascoltatore-spettatore e dove davvero nulla è sacrificato all'ascetismo della "bella forma " artistica. I1 materiale acustico della Floresta, nella parte su nastro, proviene da quattro fonti: a) suoni del clarhettista William O. Smith, ottenuti con tecnica nuova e particolare; b) parti vocali della soprano Liliana Poli; C) lastre di rame percosse; d ) interpretazioni e fonemi studiati con il Living Theatre e partecipazione delle attrici Elena Vicini, Kadigia Bove, Enrica Minini, Franca Piacentini. Con la collaborazione dei tecnici del suono Marino Zuccheri e G. Battista Merighi, tra i migliori in campo internazionale, Nono ha elaborato nello studio di fonologia i vari elementi sonori, utilizzando un modulatore dinamico, un modulatore ad anello, un variatore di velocità, oscillatori a onda quadra, filtro variabile a 113 di ottava, eco a piastre con tempo di riverberazione variabile. Al fine di spazializzare il materiale fonico, in sede di esecuzione dal vivo è prevista l'utilizzazione di due magnetofoni a quattro piste con fonti differenziate: i suoni giungono all'ascoltatore da ogni parte, di fronte, dietro, ai lati, coinvolgendolo massicciamente. I1 clarinetto, le voci e le lastre di rame, dopo aver fornito cosi vasto materiale "concreto" alla sezione registrata su nastro, intervengono anche dal vivo. Sorge cosi, dalla varietà degli atteggiamenti sempre rigorosamente relazionati, dalla provocante impurità dei mezzi fonici usati mai però ammiccante al collage, un tipo di composizione nuovissima, che non rientra nei consueti generi teatrali e musicali e che propone un rapporto fortemente dialettico tra invenzione artistica e tecnologia: non rifiuto dello spazio tecnologico in nome di un qualche patetico ritorno alle origini, alla "semplicità," motivato magari con rozze argomentazioni falsamente populistiche, bensi duplice impegno, e politico e di

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sperimentazione musicale. Per Luigi Nono la conoscenza del nostro mondo è sempre il fine ultimo di ogni esperienza artistica: perciò egli cerca soluzioni anche tecnicamente e tecnologicamente adeguate alla complessità dei contenuti, delle situazioni politiche ed esistenziali che interpreta da musicista. I testi. elaborati da Giovanni Pirelli. sono ricavati da testimoniaAze, lettere, discorsi, deposizioni n processi, documenti di lavoro riferiti alla lotta operaia nei paesi capitalistici e alla lotta di liberazione nei paesi del cosiddetto "terzo mondo." Si tratta dunque di materiali verbali non a carattere letterario, ma che documentano direttamente e senza mediazioni di concrete situazioni umane e sociali. Cosi una frase di Fidel Castro si alterna con quella di un anonimo operaio biellese o di Detroit. quella di un partigiano o di uno studente di Berkeley alla Seconda dichiarazione dell'Avana, o alle parole di Lumumba. Di particolare importanza le ricerche di carattere fonematico sulla voce, attraverso le quali si annullano definitivamente le barriere tra canto, recitazione pura, canto parlato e cosi via. Oeni residuo naturalistico connesso ai campi fonematici tradizionali viene eliminato con determinazione. Nel trattare le voci e il clarinetto, Nono fa uso strutturale dei microfoni a condensatori fissi e mobili. Voci, clarinetto, lastre di rame, sovrapponendosi, alternandosi, integrandosi "dal vivo" con le parti registrate, creano dunque soluzioni sempre nuove dove ancora una volta è il gesto a prendere il soDravvento determinando l'estrema mobilizzazione e dinamizzazione dello spazio acustico e visivo. Conflagrazioni terribili, colate laviche, violentissime esplosioni sonore impressionanti specialmente nell'Escalrrtion distruttiva (il testo è di Herman Kahn, specialista militare del dipartimento della difesa USA). eià ,, sono costanti di Nono che . , in Intolleranra avevano coinciso con la denuncia del terrore oppressivo. Nella Floresta, anziché ricorrere all'articolazione magmatica ed es~losivadel tessuto orchestrale. come era avvenuto appunto nella precedente opera teatrale, il musicista si serve di dati sonori ricavati da qualsiasi contesto, con netta preminenza del suono o rumore acusticamente indeterminato nell'altezza assoluta. I", significativo ritrovare l'or-

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ganicità fatta di episodi e atteggiamenti cosi disparati eppure serrati in una stretta relazionalità, in una composizione ove si registra la preponderante presenza di materiali acustici sottratti alla preventiva selezione del sistema temperato e della precisa determinazione acustica del suono, il che avrebbe potuto far scivolare il tutto verso un banale naturalismo rumoristico o verso l'assoluto informe. Questo metodo compositivo è il segno di una consapevolezza etica che scarta risolutamente il gusto naturalistico per l'indiscriminato e inerte allineamento di fatti sonori spesso banalissimi, accatastati acriticamente per rappresentare l'impossibilità di significare alcunché. Allo stesso tempo non può che osteggiare l'uso ammiccante di materiali musicali "storici" ritagliati e incollati su nastro secondo il gusto neoclassico della citazione stilistica praticato da qualche tempo sia da Berio che da Stockhausen. In definitiva ciò che vale per Nono è la scelta, nell'attuale vastissima area di disponibilità foniche, di elementi la cui direzione ideologica sia inequivocabile e che poi l'elaborazione dovrà ulteriormente potenziare. Dunque materiali di oggi, legati a esperienze concrete, piegati in laboratorio non già ai fini di un qualche sia pur raffinato gioco estetico, bensi per realizzare una precisa funzione. Di qui l'articolazione febbricitante, esaltata, la pressione drammatica che nella Floresta urge ad ogni istante secondo un ritmo d'azione turbinoso. Di qui anche le attonite sonorità che ci vengono dal clarinetto e dalla voce, soprattutto nella parte conclusiva dell'opera, i tersi lirismi che non approdano certo a significati metafisici, a esiti consolatori o al contrario a pessimismi gratuiti, ma costituiscono un polo dialettico, quello dell'integrità umana, assolutamente necessario. 11 respiro musicale che mima i tempi lunghi della storia si scontra con l'ottusa violenza dell'Escalation trascendendola senza peraltro riassorbirla compiutamente: perciò le rade figurazioni finali, le poeticissime estenuazioni, non chiudono una partita ma urgono verso un pressante poi. L'estraneità noniana rispetto ad ogni pastiche, contaminazione stilistica o divertimento neoclassico appare tanto pid evidente nella successiva opera, Contrappunto dialettico a l b mente ("composizione stereofonica" del 1967-68), che pure già nel titolo denuncia un rapporto con il famoso Con-

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trappunto bestiale alla mente e lo spirito parodistico che anima "il festino nella sera del giovedi grasso avanti cena" di Adriano Banchieri (1608). I titoli dei quattro episodi fanno riferimento ad altrettanti madrigali di Banchieri : "I1 diletto moderno per introduzionew diviene "il diletto delitto moderno "; " Giustiniana di vecchietti chiozzotti " e "mascherata di villanelle" si trasformano in "mascherata di vecchietti"; "Intermedi di venditori di fusi" suona invece "intermedio di venditori di soffio"; per finire, 'L La zia Bernardina racconta una novella" si trasforma ironicamente in "Lo zio Sam racconta una novella." Giovandosi della collaborazione linguistica di Nanni Balestrini, Nono si serve, a tutti i livelli, della deformazione che ingenera uno stravolgimento ironico mai prima tentato con i mezzi della recente tecnologia. I sarcasmi rivolti alla politica americana nel Vietnam, in Venezuela, all'imperialismo alimentato dai gerarchi del Pentagono, al razzismo ancora praticato su larga scala, valsero a Luigi Nono un'assurda e illegale censura: commissionato infatti dalla RAI per partecipare al Premio Italia del 1968 dedicato ad opere musicali radiofoniche, il Contrappunto dialettico alla mente non venne presentato perché il quarto e ultimo episodio f u ritenuto "offensivo" nei riguardi dell'alleato statunitense. Anche qui tecnica e ideologia sono tutt'uno. I materiali sono ancor pid vari del solito: voci e rumori registrati al mercato del pesce e della verdura di Rialto (Venezia), suoni delle campane di S. Marco, rumori d'acque, vale a dire elementi acustici di carattere naturalistico sono profondamente trasformati in studio dando luogo a strati magmatici in continua animazione (il vociare della folla di fronte a fatti sconvolgenti come la guerra nel Vietnam o l'assassinio di Malcom X), coniugati con suoni elettronici puri ottenuti con normali generatori, materiali fonetici di quattro voci femminili e una maschile e altro. Nell'ampio schermo dei fatti e movimenti del 1968 (Maggio francese e tutto quanto ne derivò di contraccolpo nell'occidente capitalista) si inserisce il dittico Non consumiamo Marx, terminato nel 1969. Si tratta di una vasta opera in due parti: la prima, Un volto, del mare, pet voci e nastro magnetico, utilizza il testo di una poesia di

Cesare Pavese (Mattino); la seconda, che dà il titolo all'insieme (appunto Non consumianro Marx), sempre per voci e nastro, ricorre a testi tratti dalle scritte murali parigine in occasione del Maggio francese e documenti della contestazione contro la Biennale veneziana sempre del '68, e si giova di registrazioni di strada ricavate dal vivo durante le manifestazioni e le lotte. In Un volto, del mare, gli struggenti echi monodici, i sospesi intrecci vocali, cosi vicini al mondo espressivo delle grandi pagine corali noniane degli "anni '50," si inseriscono comunque nella ricerca di inedite combinazioni sonore. fonematiche, come l'intersecarsi di canto e recitazione elaborate elettronicamente. La poeticissima trama pare percorrere lo spazio temporale con segni sonori essenziali emergenti da grandi campiture madreperlacee, anch'esse di ondulata flessibilità pur nell'apparente, a tratti uniforme immaterialità timbrica. L'unità espressiva, rifiutando un rilievo fonico troppo accusato, scansa anche tentazioni di tipo impressionistico, ponendosi quale indispensabile premessa allo scatto furibondo della seconda parte. La stupefazione timbrica iniziale evolve quasi impercettibilmente, nel corso di Un volto, del mare, verso intensificate figurazioni e stratificazioni. La seconda parte, Non consumiamo Marx, utilizza in larghissima misura materiali di strada, ossia registrazioni dal vivo delle lotte contestative, di suoni, canti, urla, vocii, equivalenti sonori di "gesti" rivoluzionari, elaborati in sede di studio fonologico e frammisti, nel montaggio magmatico dei gruppi, a campioni di "musica" nell'accezione piana e convenzionale del termine. Certamente in questo piu che in qualsiasi altro brano di Nono, già nella scelta di un materiale sonoro significante in quanto reperto esistenziale ("antimusica" secondo i codici delle buone maniere artistiche), si rende esplicita una disposizione contestativa nei confronti del "bello scrivere" in musica fine a se stesso. Ma dove per esempio Cage e i cageani si servono degli spezzoni sonori ricavati magari anche dalla quotidianità per ricomporli in un immobile coliage nel quale i singoli elementi si annullano, si paralizzano vicendevolmente in una scrupolosa e un po' ottusa elencazione che serve a una ritualistica effimera e alla fine snob, Luigi Nono, proiettato in avanti dalla

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forza delle sue convinzioni ideologiche e dalla volontà, dall'urgenza di "fare storia," muove dai materiali esistenziali per condurli parossisticamente alle piu alte temperature, per serrarli in un ritmo (nel senso lato e non metrico-proporzionale del termine) che è sempre il ritmo di un'azione. In Non consumiamo Marx urla, frasi rivoluzionarie, spezzoni esistenziali d'ogni genere e d'ogni estrazione si aggrovigliano, si alternano freneticamente, in un ribollire che tutto sembra travolgere nella sua impetuosa dilatazione. L'ascoltatore è trascinato nel vivo della mischia, aggredito dal marasma fonico che a ondate discontinue si rovescia nello spazio acustico in modi sempre cangianti, con impressionante torrenzialità. Diversamente non solo da Cage, ma anche dallo Stockhausen di Momente, di Telemusik, di Hymnen, Nono, pur usando materiali eterogenei e preformati, organizza un ritmo. scandisce la ~ulsazionedi un eesto. costituisce una rete di rapporti. I Gumi fonici, l'impitto delle diverse sorgenti sonore, la loro sccumulazione parossistica, i parlati individuali che solcano il mareggiare dello sfondo materico con apodittiche affermazioni ideologiche e umane, le improvvise insorgenze " tutte musicali" : elementi, questi, che non sono affatto assaporati in sé e per sé, come blocchi o eifettucci indipendenti, ma cementati l'uno nell'altro con una tecnica di montaggio estremamente responsabile, di tipo filmico. Non a caso, proprio riferendosi ai materiali usati e alla coscienza ideologica della scelta, Nono ha parlato spesso della strada, della fabbrica come di luoghi tipici da cui nascerebbe un nuovo folclore proletario: registrando suoni e rumori all'Italsider, davanti alla Biennale, canti operai, o utilizzando per i testi scritti murali, egli si comporta forse (in senso ovviamente molto lato) analogamente a un Bart6k quando girava dall'ungheria all'Asia Minore per ricercare con rigore un legame musicale (sonoro) autentico con il mondo contadino. Nono ha definito la sua posizione quando ha dichiarato: "Per me ~ersonalmentefare musica è intervenire nella vita contemporanea, nella situazione contemporanea, nella lotta contemporanea di classe, secondo una scelta che io ho fatto; quindi, contribuire non solo a una forma di quella che Gramsci chiamava l'egemonia culturale, cioè diffusione, propagazione di idee della lotta di classe (...)

non limitarsi solo aila presa di coscienza o contribuire alla presa di coscienza, ma produrre qualcosa per un modo di provocazione e di discussione (...) I n questo senso non mi sento musicista come crede la quasi totalità dei musicisti contemporanei, che sono sul piano nettamente restaurativo e istituzionalizzato, quindi legati al potere economico, di classe, governativo oggi, sia in Italia che in Germania, soprattutto nei paesi capitalisti ..." Qui si precisa anche la linea tecnica di Nono, la sua ricerca di modi e potenzialità che la tecnologia offre, non già per farne dei feticci, ma per precisarne ulteriormente la funzione: una strutturazione piii duttile, agile e ricca che possa ricomporsi in soluzioni sempre nuove a seconda dell'ambiente in cui la composizione viene a situarsi rendendo continuamente mobili le fonti acustiche a seconda del luogo d'esecuzione, che può essere una sala ma anche una piazza, un luogo di lavoro, una sede concertistica ma anche una fabbrica o lo spazio aperto di una dimostrazione politica. I n Non consumiamo Marx c'è infatti l'intuizione di quanto Nono porterà poi avanti, tecnicamente, in Y entonces comprendi6 (1969-70), cioè blocchi-strutture sonore fissate e sovrapposte. Se però in Non consumiamo Marx la fonte stabilita Der l'audizione è ancora ferma. statica. data una volta per tutte, nell'opera successiva la ricerca sulla complessità dell'ambiente acustico come elemento strutturale si radicalizza. Nono mira ora a stabilire un gruppo o struttura di armonici secondo l'uso della scala delle frequenze e principalmente i battimenti su nastro. L'interesse per gli elementibase fa tutt'uno ed è com~lementarecon l'awrtura verso una composizione dello spazio acustico sempre diversa da un'esecuzione all'altra, da un luogo ali'altro per l'uso del modulatore di velocità o di altezza continuamente mobile. I1 materiale unico di partenza non è fissato, bensi creato nello spazio acustico vivo, costituito dalle quattro piste. I1 procedimento consiste nel fissare un campo armonico composto di vari materiali acustici (frequenze - voce unica sovrapposta - strumenti - modalità elettroniche diverse come onde sinusoidali, quadre, a dente di sega, ecc.) mescoL .

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lando poi le irequenze elettroniche a voci e strumenti; ciascuna delle quattro piste, muovendo da simile materiale, risulta variata e modulata in altezza e ampiezza, con estensione del principio dei battimenti mobili. Se dunque è fisso il materiale su nastro, non altrettanto si può dire della fonte sonora, che è mobile, componibile e scomponibile. Sorge sorprendentemente un tipo particolarissimo di contrappunto spaziale mobile, che varia da sala a sala ed esige un preventivo, ferreo controllo acustico. Nono pensa ora a una musica che si compone nell'aria, anche a seconda del luogo ove è situato l'ascoltatore (avanti, indietro, al centro, ai lati): la percezione pertanto non è schematica, ma continuamente cangiante. La complessità del procedimento fa sfumare l'individuazione della fonte acustica, nel punto d'ascolto, creando un vero e proprio ondeggiamento. I nastri diventano "componenti che si compongono, svincolati dalla loro origine," e naturalmente "la sorpresa è nella sala, non sul nastro" (Nono). Peraltro bisogna dire che il processo di dinamizzazione dello spazio, di dilatazione qualitativa oltreché quantitativa del fatto musicale poco o nulla ha da spartire con la poetica dell'alea, della casualità, dell'effimero programmatico, propugnata dal settore nihilista o snobisticamente negatore dell'odierna avanguardia. La ricerca noniana si fonda sempre su una capillare ricognizione, su una sperimentazione preventiva accurata, su studi del materiale e della possibilità od opportunità di moltiplicazione del medesimo per se stesso, di modulazione per ampiezza e per altezza. A questo punto la sostanza fonica ottenuta può essere ulteriormente modulata e composta nel vivo dell'esecuzione, nell'ascolto, oppure elaborata con un altro tipo di materiale, aperta a ulteriori integrazioni che si sommano a ingenerare sempre nuove sorprese, sempre nuove possibilità sia pur scaturite dal rigoroso lavoro di partenza. I n Entonces comprendid Nono ha poi sviluppato l'approfondimento del fenomeno vocale, derivando il modo d'impiego delle sei voci (cantato, parlato, ecc.) non in astratto, sulla base di categorie generiche, ma direttamente sulle caratteristiche delle persone fisiche: Liliana Poli, cantante tipicamente italiana; Gabriella Ravazzi, voce italiana

'li tipo leggero; Mary Lindsay, voce negra; e ancora la voce italiana di Elena Vicini, quella somala di Kadigia Bove, quella cubana di Miriam Acevedo. Con formidabile intuito, quasi infallibile, Nono ha visto l'esistenza di un campo d'azione che finora era rimasto ai margini del suo impegno di musicista ma che pure rientra perfettamente nell'orizzonte ideologico-musicale che da anni viene disegnando, fatto di concretezza comunicativa localizzata in eventi dotati di un loro spessore specifico, non a caso basati sulla presenza determinante della voce umana. D a Entonces cornprendid, poi, voce umana significa studio, analisi e sperimentazione di voci specifiche trattate in maniera diversificata, a seconda delle sollecitazioni che un certo tipo di timbro vocale, personalità scenica, dimensione culturale connesse al modo di cantare o di recitare o comunque di produrre gesti sonori, sa ingenerare nel compositore. Non fa giustizia di tutte le convenzioni accademiche sul trattamento delle voci, ma sempre avendo bene in vista gli scopi, la funzione del suo operare, ancora una volta estraneo a uno sperimentalismo fine a se stesso, astratto. Cosi la tensione estrema delle sei voci femminili reeistrate e dal vivo è anche frutto dell'esalta" zione di caratteristiche individuali immanenti alle interpreti: memorabili, in Entonces comprendib, dedicato ai movimenti rivoluzionari in America centrale e meridionale, taluni passaggi drammatici, come l'impressionante rievocazione del "Muro del Fusiliamento." L'incontro dell'orchestra con il nastro magnetico, già sperimentato da Nono in Per Bastiana l'ai-yang cheng (L'Oriente è rosso) dei 1967, nonché nella seconda versione del Diario Polacco, ritorna e si precisa ulteriormente nella recentissima composizione Corno una ola de fuerza y luz (Come un'ondata di forza e di luce) (1972), per voce di soprano, pianoforte, nastro magnetico e orchestra, su testi del poeta Julio Huasi rievocanti la morte del giovane rivoluzionario Luciano Cruz. Elaborato in stretta collaborazione con gli interpreti (il direttore d'orchestra Claudio Abbado, la soprano Slavka Taskova Paoletti, il pianista Maurizio Pollini e il tecnico del suono Marino Zuccheri). secondo una prassi aperta agli stimoli e alle inclinazioni degli interpreti (ma fuori, s'intende. d'ogni svagata e dilet-

tantesca "aleatorietà" decorativa), questo complesso lavoro utilizza il nastro magnetico assai variamente, facendone elemento unificatore, catalizzatore, senza per questo assegnargli un ruolo schiacciante, preminente. Particolarmente notevoli, per quanto concerne il rapporto tra suoni registrati e dal vivo, le riverberazioni della voce, davvero poeticissime, e la dilatazione del materiale acustico tratto dal pianoforte, che opera prevalentemente nel registro grave e che viene spinto, attraverso elaborazioni elettroacustiche, verso zone ancor piu cupe e minacciose. La sorpresa offerta dall'approccio con il pianoforte (strumento che era stato sempre estraneo alla ricerca del nostro musicista, forse per certa aura romantica e poi per un non meno paralizzante motorismo neoclassico ritenuti per molto tempo difficilmente scalzabili) si inquadra in un superamento deciso, da parte di Nono, delle residue anche se da molto tempo ormai esilissime inibizioni puristiche, o almeno stilistiche. I1 polimaterismo dialettico si annette qui un modo di trattare il pianoforte non lontano da quello analitico e germinale di Béla Bartok. Naturalmente un ruolo decisivo l'ha giocato Maurizio Pollini, pianista di grande apertura intellettuale. È chiaro infatti che per Nono oggi scrivere musica per Pollini significa anche scrivere su Pollini, approfondire le sue potenzialità musicali, la sua ghermente presa sul suono azionato dalla tastiera, estendendo cosi al settore strumentale i segni di un metodo che aveva già dato in campo vocale frutti rilevanti. -i)Allri contributi

Se a Nono, Stockhausen, Berio e Pousseur, sia pure su posizioni tra loro diversissime, si devono i contributi decisivi ai fini di una definizione dell'attuale modo di fare musica su nastro, tuttavia il panorama degli anni '60 non sarebbe completo se non si segnalassero altre esperienze, vuoi di autori "specializzati " nel settore elettroacustico e vuoi di compositori che solo saltuariamente si sono avventurati nei territori della tecnologia musicale. Un tipico esempio di eclettismo, di uso "facile" ed ,

epidermico delle sonorità elettroniche integrate in un contesto musicale essenzialmente tradizionale, talora neo-tonale o impressionistico-debussyano, ci viene dal già citato olandese Henk Badings, che pure si dice possieda una buona preparazione tecnico-scientifica (ha insegnato Acustica all'università di Utrecht nel 1961). Soprattutto nell'opera teatrale Mnrtin Korda D. P. (1960), ove sono comprese sezioni per nastro elettronico, la commistione appare evidente e la funzionalizzazione teatrale non rende sufficientemente credibili effetti la cui efficacia si affida alla mera seduttività rumoristica e sensoriale, rievocativa di allucinazioni a buon mercato (terzo atto, scena del sognoincubo). L'estraneità di Badings all'avanguardia, nonostante l'uso di taluni mezzi della piu avanzata tecnologia, è confermata dall'oratorio Jonah (1963), con suoni elettronici, e ancora dal recente Concerto per tre cori, fiati e nastro magnetico, del 1970. Una posizione simile a quella di Badings, conciliativa di vecchio e nuovo, sostanzialmente conservatrice, è quella dello svedese Erik Sven Back (1919): appunto Vecchio sul nuovo è il titolo di una sua composizione per strumenti antichi, laddove la proposizione dovrebbe essere rigorosamente rovesciata. Ne è ulteriore dimostrazione In principio, lavoro elettronico de! 1969. Anche Boris Blacher (1903-1975), rappresentante tedesco tra i piu autorevoli della cosiddetta "generazione di mezzo," conciliatore della secchezza ritmica di marca stravinskiana con taluni portati della serialità, ha inteso accostarsi alla composizione elettroacustica liberamente, senza accettare la ferrea consequenzialità che aveva portato, nei precedenti stadi, a fare tabula rasa del linguaggio tradizionale. La posizione di Blacher s'imparenta abbastanza con quella, peraltro forse ancor piu eclettica, dell'olandese Badings. Con l'aiuto del tecnico Fritz Winckel, Blacher ha iniziato a lavorare a Berlino su reperti sonori "concreti" (voce, accordi pianistici, glissati di trombone, ecc.). I primi saggi compositivi sono stati resi di pubblico dominio nel 1963, ma è con l'opera teatrale Piccoli episodi in un atterraggio di fortuna (Berlino 1966; titolo originale: Zwischenfalle bei einer Notlandung), che Boris Blacher ha imboccato la dire~ioneope-

rativa di un'ampia integrazione tra elementi sonori consolidati dalla tradizione e fonicità tecnologica attraverso molteplici elaborazioni su nastro di voci e strumenti. La preoccupazione del musicista tedesco non è comunque mai quella di lasciare spazio alle cose musicali (concretisticamente), di definire aprioristicamente una nuova concezione del suono. Come è stato rilevato da alcuni critici, nell'opera di Blacher si delinea uno spazio intermedio tra musica tradizionale ed elettronica in funzione nettamente drammatica: modificazione e dilatazione del suono vocale-strumentale non frantumano programmaticamente una concezione lineare, "discorsiva" del tessuto musicale, ma anzi ne potenziano la presa psicologica. Un tentativo isolato è lo sconfinamento elettronico di Roberto Gerhard (1896-197l ) , compositore spagnolo di origine franco-svizzera rifugiatosi in Inghilterra dopo l'andata al potere del franchismo: allievo di Schonberg, autore di musiche atonali e dodecafoniche legate però ancora a un impianto formale rigoroso, classicamente atteggiato malgrado le aperture nelle piu avanzare direzioni, ha voluto cimentarsi nel 1960 in Collages (Sinfonia n. 3) con i nastri magnetici, dando singolare esempio di volontà di aggiornamento. Anche Roman Haubenstock-Ramati, dietro la spinta delle interessanti ricerche sull'associazione voce-suoni elettronici condotte da Berio e Stockhausen, ha composto Twice for Cathy or City Garden, e lo stesso Eimert, che già prima del '60 aveva inteso mitigare 1'assolutismo tecnologico dei suoni prodotti sinteticamente impiegando materiali registrati attraverso i1 microfono, ha proseguito il nuovo corso nel 1962, con Epithaph fur Aikichi Kuboyama per voce recitante e suoni elettronici. Evidentemente la vicinanza di Stockhausen, nello Studio di Colonia, ha giovato all'intransigente assertore della purezza elettroacustica. Su una linea di rigoroso tecnicismo continua a muoversi invece Koenig, sia in Materialien zu einem-Ballet (1961) che in Terminus ( 1962) e Funktion Grun (1964-65). Non si dice poi di Projekt 1 e 2 sempre del 1964-65, modelli di composizione per calcolatori elettronici che si inseriscono nello stadio ultimo della ricerca tecnologica. Koenig è però un

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musicista interessante, non un semplice estensore di cataloghi acustici, di potenzialità sonore, anche se la sua sperimentazione, nonostante la novità di taluni procedimenti, sembra ferma ai postulati teorici e ideologici della scuola coloniense neeli anni '50. La stessa rigorosità, almeno nella selezione del materiale-base, permane nel lavoro di Xenakis, che però ha preferito applicare i suoi schemi compositivi basati sul calcolo delle probabilità e sulla stocastica prevalentemente nel campo della musica orchestrale. Bahor per nastro magnetico, composto nel 1963, d'altra parte, poco o nulla aggiunge che già non si conoscesse del musicista greco-parigino. Orizzonti plumbei, uno spessore non di rado greve, una saldezza e coerenza d'impianto priva però di contrasti e di interne tensioni: manca in questo brano anche quel climax vagamente mistico e sensorio desunto dal suo maestro Messiaen, timbricamente interessante, che in altre opere di Xenakis riscatta, naturalmente da un particolare e sempre discutibile angolo di visuale, le fumose e velleitarie formule algebriche e probabilistiche. Nel 1969, Xenakis ha composto Kraanug, balletto per orchestra e nastro magnetico, inserendosi intelligentemente in quella linea di tendenza che postula un'integrazione del materiale tecnologico con quello suonato dagli strumenti "tradizionalin e agito dal vivo. Va detto però che negli anni '60 il suo contributo nel settore elettronico, neppure in precedenza rilevantissimo del resto, si è ulteriormente contratto, sia quantitativamente che qualitativamente. Nel frattempo, sempre in Francia, Pierre Henry (il quale ha lasciato nel 1960 il gruppo parigino per fondare un proprio studio di ricerca aperto verso ogni tendenza) continua anche d o ~ oil 1960 nei vani tentativi di dare un qualche senso alla manipolazione di materiali acustici "vissutin e gravidi di grezzo naturalismo. Ciò che però dieci o vent'anni prima poteva ancora costituire un esperimento stravagante ma a suo modo rappresentativo di una tendenza, sia pure frutto di un'ingenua prospettiva votata ad un esistenzialismo materico mescolato a ebbrezze tecnologiche velleitarie e di bassissimo prezzo, allo stadio attuale della ricerca non è altro che sintomo di risibile regressione, di deprimente pochezza concettuale. Pezzi quali La noire u

a soixante (1963), Variation pour une porte et un soupir (1963) e Le voyage (dal Libro dei Morti tibetano) (1966) sono totalmente indifendibili, e la poetica legata al concetto di 'objets sonores," sottratta alla contingenza polemica degli anni '50, non giustifica a nessun livello le sconcertanti banalità onomatopeiche e psicologizzanti. Risultato di una ben piu avvertita dialettica tra ricorso a oggetti sonori "concreti" ed esigenza di perseguire una dotata di sicura ~lausibilità. struttura musicale si~nificativa. ., è senza dubbio la composizione Prison Song (Canto di prigionia) del tedesco ma romano d'elezione Hans Werner Henze (1926). Pensata per il formidabile percussionista giapponese Stomu Yamash'ta, questa opera di dichiarato impegno politico (datata 1971, ispirata in larga parte dal diario di prigionia di H o Chi Minh), oltre naturalmente agli strumenti a percussione utilizza un nastro magnetico sul quale sono registrati eventi sonori destinati a tievocare rumori esterni alla cella del condannato: voci e passi dei carcerieri. il vuoto sauallore dei corridoi del carcere. ecc. ~ e n c h édal punto di iista tecnici Henze non si imbarchi in approfondite ricerche, l'uso del nastro è indicativo del desiderio di includere elementi non legati al tradizionale concetto di "musican dotati però di una precisa funzione: vi si ~ a l e s auna transizione dall'estetico assoluto (contrassegnato da monodirezionalità stilistica) caro a Henze in anni neppure lontani, all'integrazione esistenziale. In Italia si è avuta nel 1961 una fugace, isolatissima puntata di Franco Donatoni (1927), con il suo Quartetto 111. Ma ormai il musicista veronese stava abbandonando i tentativi strutturalistici in favore di un progressivo annichilimento del linguaggio, di una continua aggiunta di fogli al 'protocollo del nostro naufragio," com'egli ebbe a dire. È perciò perfettamente comprensibile che l'esperimento nel campo tecnologico (neppure impegnatissimo, poi) non avesse alcun seguito. Gli strumenti "agitin dal vivo sono senz'altro i piu ideali ai fini di un sottile gioco senza limitazioni inteso a dissociare il suono dal gesto necessario a produrlo e a porre le fondamenta di un teatro totalmente interno al far musica, legato alla mutevolaza pressoché sistematica degli esiti sonori in rapporto ai segni indicati

in partitura o per l'interna ambiguità di una notazione magari graficamente precisissima e "tradizionale. " Fugace anche l'apparizione di Niccolò Castiglioni (1932) al Centro di Fonologia di Milano: con Divertimento (1962), egii ha riproposto il suo solito illusionismo impressionisticheggiante, fatto di preziose rutilanze, di barbagli nei registri acuti. Diversa la posizione di Giacomo Manzoni (1932). Nell'opera teatrale Atomtod ("Morte atomica "), rappresentata alla Piccola Scala nel 1965 (direzione di Abbado. reeia di Puecher, scenografia di ~ w ò b o d a ) ,egli utilizza in $versi momenti il nastro elettronico, le cui sonorità minacciose accolgono il pubblico in sala immettendolo fin dall'inizio nel clima di esasperata tensione distruttiva, di incombente pericolo. I n Atomtod le sonorità elettroniche si alternano e si sovrappongono con passaggi aleatori, jazzistici, melopee gregorianeggianti, con momenti di concessione al gastronomismo musicale pi6 languidamente corrivo e con leziosità settecentesche. I1 fatto di derivare da contesti preesistenti una certa quantità di materiali diversi e variamente combinarli non risale certo ad alcun gusto collagistico, ma è al contrario strumento di una precisa multipolarità rappresentativa. Gli accostamenti sono funzionali ai fini di un'efficace dialettica teatrale, secondo certe indicazioni che già ci vennero da Weill o dal Wozzeck di Berg, e che ora si arricchisce di ulteriori ~ossibilitàtecnoloeiche. Anche qui il nastro magnetico viene integrato con tutti gli altri mezzi di produzione sonora. Va semmai notato come, attraverso di esso, si manifesta in Atomtod l'intenzionalità a significare sempre una condizione alienata, asfittica, di esasperato globalismo materico. Anche in Parole da Beckett (1970), per voci, coro, strumenti e nastro magnetico, lavoro contrassegnato da una fin: ricerca di strutturazione dello spazio acustico (il pubblico. nell'esecuzione dal vivo. è sol!ecitato da fonti sonore provenienti da direzioni diverse), permangono atteggiamenti estremamente diversificati ed echi, sia pur vaghi, appena accennati, di stilemi musicali del passato. Si ricordano qui il colore cadaverico, archeologico del clavicembalo e dell'organo, certi lirismi corali, il salmodiare senìiu

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lit~irgico;diversamente da Atomtod, i moduli stilistici diversi, anziché calarsi in un meccanismo dialettico lucido e a senso unico, risultano fin dall'inizio soverchiati o estenuati dal magma, che a w i a ogni eventuale riporto verso toni improbabili e comunque "aperti." Questo vasto lavoro di Manzoni inizia aDDunto con una sezione elettronica costituita da sonorità massive, prevalentemente gravi e minacciose, che ritornano poi intrecciandosi alle voci parlanti e cantanti, ai suoni strumentali, legandosi ad essi nel comune destino, nella continua distorsione di una realtà che sembra perdere progressivamente senso, ridursi allo stato di fisicità neutra (vedi ad esempio l'inudibil'ità delle parole beckettiane). Un momento di soggettiva meditazione, dunque, per Manzoni, che fa pendant con il precedente, esplicito impegno politico di Atomtod. Nella situazione italiana, a fianco di musicisti che alle sperimentazioni di nuove fonti acustiche hanno associato un proposito di musica impegnata ( e quindi hanno proceduto a definire gli strumenti del loro operare in rapporto alle pressanti intenzioni musicali e contenutistiche), troviamo altri che si sono limitati a coltivare problemi di ordine metodologico e attività nell'ambito prevalentemente della ricerca pura, appannaggio in precedenza dei laboratori di fisica acustica. Naturalmente può venire il sospetto che chi tt portato a impostare il proprio lavoro su tali basi non abbia interesse alcuno verso risultati musicali convincenti da ottenere "in proprio." I1 metodo prevalente nella ricerca pura è quello matematico: varianti statistiche su diverse cellule ritmiche, studio sui battimenti, determinazione di campi di frequenza limitati e capillarmente enucleati. Dalla ricerca metodologica condotta con criteri astrattamente statistici, derivano varie applicazioni, in genere molto acerbe sotto il profilo della validità musicale-inventiva. I n Pietro Grossi (1917), fondatore di uno Studio di Fonologia musicale a Firenze, ciò che dovrebbe costituire la premessa del comporre con materiali tecnologici (ricerca preliminare sul suono) diventa esso stesso composizione torrt court. I1 comporre con materiali tecnologici diventa un comporre tecnologico per giunta abbastanza elementare oltreché velleitario. Tra i L L

lavori di Grossi si ricordano Compr~sizionerz. 13, Composizione n. 14 (1961), P? Pl M4;Tetrofono; RF/RR; P, 3 / 2 3 (lavoro d'équipe). Tra quanti hanno lavorato nello studio fiorentino di Grossi figura Vittorio Gelmetti (1926), che dal 1959 si è occupato di musica su nastro anche presso il laboratorio di Ekttroacustica dell'lstituto superiore delle Poste e Telecomunicazioni. Gelmetti pratica dal 1965-66 la tecnica del collage acustico, utilizzando stereotipi d'ogni sorta. Anche a Torino, nel 1964, è sorto uno Studio di n ~ u sica elettronica diretto da Enore Zaffiri, con l'intento di elaborare strutture-base mutuate non tanto da formule matematiche, bensi da formulazioni a carattere geometrico. I vari progetti consistono nell'organizzazione sonora di uno spazio articolato sulla base di postulati arbitrari, come ha voluto precisare lo stesso Zaffiri, e non hanno la pretesa di formulare una grammatica sonora a priori. A responsabilità musicali precise richiama invece Collage n. 3 (1967) prima e finora unica composizione elettronica di Aldo Clementi (1925). H a scritto il compositore: "La prima idea, nel novembre '66, era stata quella di fare un breve collage elettronico sulla canzone Michelle dei Beatles. I1 suggerimento era determinato (oltre che da un progetto analogo in vista di un film del pittore Nato Frascà) dalla volontà di rompere con alcuni miei vecchi clichés, di essere stimolato - in maniera totalmente diversa - da sorgenti sonore naturali, vive. organiche, da un mondo di simmetrie e di blocchi chiusi; in breve, da materiali ovvii, consunti dall'uso delle masse, pregnanti dell'odierno costume, atti ad essere poi adattati con una tecnica, appunto, a collage, in modo da poter essere immessi in seguito nell'atmosfera e nella problematica volute." Atmosfera e problematica che sono poi quelle dell'annientamento, dato che le figure musicali ritagliate dal quotidiano sono sfibrate e deformate in un continuum informale che significativamente porta come sottotitolo "Dies Irae," e che dall'autore si sa avrebbe potuto intitolarsi anche e indifferentemente 'Agonia." L'assunzione di figure sonore preformate non sfiora mai il tasto della piacevolezza spavalda, come pure accade in alcuni momenti degli stock-

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hauseniani HYmnen, ma punta sempre su una voluta, tragica inonotonia, soffocazione, ossessività. Clementi, anziché una, ha poi usato quattro canzoni dei Beatles, anche per assicurare sufficiente combustibile collagistico a un'opera di vaste dimensioni. Collage n. 3 vede il superamento (momentaneo o meno, questo non è lecito ipotizzarlo) del purismo che caratterizzava da sempre i1 fare compositivo di Aldo Clementi, contrassegnato in precedenza dalla flessibilità materica di blocchi sonori fermi e insieme internamente cangianti per lo scambio continuo delle linee, immobili e luccicanti come vetrose superfici policrome sottoposte alle rifrazioni della luce. Angelo Paccagnini (1930), dopo aver composto varie musiche vocali e strumentali, si cimentò nel 1961 con un brano elettronico, Seqlrenze e strutture, punto di partenza di un'esperienza che lo avrebbe portato, anni dopo, a dirigere il Centro di Fonologia della radio di Milano. I n Sequenze e strutture l'interesse si concentra principalmente in una zona di suoni staccati ottenuti con onde a forma sinusoidale, quadra, triangolare e a rampa. I n Purtner (1969) viene espressa la base ideologica del Paccagnini successivo alle Sue ragioni (1959), prima opera teatrale post-weberniana neUa quale si tentava di esplicarli una sorta di spietata demistificazione esistenziale: base ideologica, va detto, pessimistico-rinunciataria. "Partner" è, per l'autore, "l'altra parte, la parte che fa coppia con qualcosa O con qualcuno," e che finisce per subire lo smacco dell'esperienza mancata, fallimentare, che costituisce in definitiva l'emblema dell'uomo in rapporto negativo con la società (attuale o di sempre, questo Paccagnini non lo dice). La voce femminile, che campeggia acusticamente in questo pezzo, non subisce manipolazioni di sorta nella registrazione e mira a darci "al naturale" un diagramma frutto di un'esperienza emozionale traumatizzante; essa si appoggia a una fascia di suoni elettronici inserita in un circuito programmato (modulatore ad anello) che attraverso la mutazione ciclica rende instabile e come priva di punti d'appoggio la percezione sonora di fondo. I1 coro finale, costituito di cellule ripetute periodicamente, si fonde con

sinusoidi in un rapporto interno costante di quinta (si- fa diesis). Nella successiva compos~zione di Paccagnini, È l'ora (1970), sono in azione una voce di soprano, quattro voci di attori, un'orchestra registrata su nastro magnetico e suoni elettronici. Si possono avere sia un'esecuzione stereofonica per la radio ( o il disco) e sia un'esecuzione dal vivo; nel secondo caso le voci riprese dai microfoni sono diffuse e mixate assieme alle parti fissate su nastro mediante quattro o sei altoparlanti. 11 suono dell'orchestra è sottoposto a varie trasformazioni, a volte diviene "suono bianco," e poi ancora filtrato si riduce a sinusoide, con tutte le gradazioni intermedie. Diversamente da Partner anche la voce, questa volta filtrata, cambia connotati, si disumanizza. I1 testo di Juan Arias, utilizzato in quattro lingue, è indecifrabile e si riduce a presenza fqnica. Di UnJergroun
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