Archi in Muratura Soggetti a Cedimenti Alle Imposte

November 24, 2017 | Author: Ale85to | Category: Mechanical Engineering, Science, Mathematics, Nature, Technology (General)
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archi muratura...

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TECNOLOGIA

Silvia Briccoli Bati* Michele Paradiso* Giacomo Tempesta*

Archi in muratura soggetti a carichi e cedimenti delle imposte

1. Leonardo da Vinci. Codice Foster: considerazioni sulla stabilità degli archi. 2. Leonardo da Vinci. I Codici di Madrid: studi sui meccanismi di collasso di archi. 3. Leonardo da Vinci. Codice Foster: valutazione empirica della spinta esercitata da un arco sulle imposte. 4. Particolare della tavola allegata al Mémoire di C.A. Coulomb relativa alla statica degli archi.

Il modello di riferimento per l’analisi di archi in muratura è ancora oggi quello già individuato nei primi studi del XVIII secolo; sulla base delle ipotesi semplificative generalmente accettate si descrive sinteticamente un procedimento numerico per l’analisi statica e cinematica di archi in muratura

Introduzione

riguarda la determinazione della linea delle pressioni relativa ai carichi assegnati. Nel loro progressivo sviluppo, questi studi arrivano ad individuare, nella situazione limite di collasso dell’arco e quindi nella corrispondente curva delle pressioni, lo strumento che permette di determinare la spinta sulle imposte. Infatti, nelle due memorie “De la poussée des voûtes” del 1729 e “Seconde partie de l’éxamen de la poussée des voûtes” del 1730, Claude Antoine Couplet fornisce una completa soluzione sia del problema della linea delle pressioni che dei meccanismi di collasso di un arco. Le sorprendenti osservazioni legate ai concetti di “engrenèment entre le voussoirs”, ovvero aderenza e attri-

* Dipartimento di Costruzioni, Università degli Studi di Firenze

Per arco in muratura si intende una struttura, convenzionalmente monodimensionale, costituita da elementi lapidei o in laterizio, detti conci, posti direttamente in mutuo contrasto o assemblati con interposizione di letti di malta. L’analisi degli archi in conci di pietra o in muratura di mattoni può essere affrontata facendo riferimento a due schematizzazioni diverse a seconda che l’obiettivo che ci si prefigge di cogliere consista nel determinare il grado di stabilità, oppure lo stato di sforzo e la configurazione deformata della struttura per assegnate condizioni di carico e/o cedimenti. Nel primo caso, trattandosi di una analisi limite della struttura, nota la geometria e la posizione dei carichi, si fa ricorso a procedimenti che permettono di determinare per quale valore dei carichi e/o dei cedimenti delle imposte avverrà il collasso dell’arco; nel secondo caso, trattandosi di una verifica di resistenza, vengono usati tutti quei procedimenti che permettono, noti i carichi agenti, la geometria e le leggi di comportamento dei materiali che costituiscono la struttura, di determinarne lo stato di tensione in ciascun punto verificandone l’ammissibilità con le proprietà del materiale usato. Ai due differenti obiettivi sottostanno, ovviamente, schematizzazioni e modelli di calcolo fondamentalmente diversi. Infatti, qualora si voglia procedere alla determinazione dello stato di sollecitazione in una struttura ad arco, non si può prescindere dalla deformabilità del materiale o dei materiali che la costituiscono; tuttavia, la grande differenza tra i valori dei parametri meccanici che rappresentano la deformabilità della pietra e della malta rende accettabile l’ipotesi di conci indeformabili permettendo così di schematizzare la struttura con un insieme di elementi rigidi collegati da vincoli deformabili e fessuranti tali da simulare il comportamento effettivo del giunto di malta. Questa schematizzazione risulta sufficientemente aderente all’effettivo comportamento di un arco in muratura, di pietra o mattoni e malta di calce, materiali di cui peraltro risulta costituita la maggior parte delle costruzioni dell’edilizia storica. Quando invece interessi conoscere il carico o il cedimento limite, non intervenendo, nella ricerca dello stato ultimo, le proprietà del materiale che ne descrivono gli aspetti deformativi, è sufficiente fare riferimento ad uno schema costituto da conci rigidi con interfacce fessuranti. Un tale modello, costituito da blocchi

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rigidi geometricamente definiti e dotati di peso, sebbene già adottato nelle prime teorie statiche sugli archi che risalgono al XVIII secolo, appare ancora oggi, come fa rilevare J. Heyman [ 24], sufficientemente espressivo e pertanto ancora idoneo alla analisi di archi in muratura. Le teorie, inizialmente formulate alla fine del XVII secolo – rivolte soprattutto alla individuazione dei meccanismi di collasso, gli unici, d’altronde, suscettibili di verifica sperimentale – e quelle successivamente sviluppate per la ricerca della “curva di pressione” e della migliore forma da attribuire ad un arco, contenevano già gli elementi essenziali alla descrizione del comportamento degli archi in muratura. La statica degli archi: lo sviluppo delle teorie del XVIII secolo Il primo riferimento chiaro all’arco come elemento strutturale, si deve a Leonardo da Vinci il quale propone una serie di osservazioni e di promettenti intuizioni che solo alcuni secoli dopo avrebbero trovato sviluppo e approfondimento. Infatti la sua affermazione “l’arco non si romperà, se la corda dell’archi di fori non tocherà l’arco di dentro” (fig. 1) verrà riproposta come regola, seppur in forma più ampia, negli studi del Settecento ed in particolar modo nella seconda Memoria di Couplet. Altrettanto significativi appaiono inoltre i passi di seguito riportati: “Se ll’arco fia carico nel mezo della sua alteza e che tal graveza superi la potentia d’esso arco, cierto esso arco si romperà in ciascun quarto della sua lunghezza, cioé infra lla potentia del peso che lo carica e lla resistentia de’ piedi d’esso arco...” ed ancora: “Perché il peso è tucto per tucto e tutto nella parte della lunghezza del suo sustentaculo, il peso S essendo sosstenuto dalla parte dell’arco bm, esso per la 5a del 9° vole rompere in mezo nel punto d, il quale punto d non ciederà se prima la parte dell’arco fob non si ronpe nel suo mezo o. Ma quel peso che ronperà in d sarà sì potente che facil cosa li fia a ronpere in detto o, ancora che’l peso dell’arco fob s’appoggi e aggravi sopra b e che dia aumento al peso S di ronpere in detto loco d” (fig. 2). Infine nel codice Foster, II fol. 82v, sono contenuti alcuni schizzi che esemplificano molto chiaramente il tentativo di misurare la spinta dell’arco sull’imposta attraverso il valore del peso applicato alla catena (fig. 3). Nei primi studi teorici sulla statica di strutture voltate, condotti tra il 1695 e il 1730 da P. De la Hire [4], A. Parent [2], B. F. De Belidor [3] e C. A. Couplet [5], il problema, su cui fondamentalmente si dibatte,

to che impediscono lo scorrimento lungo i giunti, e di “charnièrs”, la cui formazione permette la rotazione mutua tra i conci intorno ai punti delle linee di intradosso o di estradosso, vanno considerate come intuizioni decisive per la sistemazione degli studi sulla statica degli archi. È abbastanza singolare constatare come il contributo dato da Couplet sia stato, di fatto, ignorato al punto che nel 1773 Charles A. Coulomb, nel lavoro “Essai sur une application de maximis et minimis à quelques problèmes de statique, relatifs a l’Architecture”, ne ripropone i contenuti generali come aspetti assolutamente originali. Pur utilizzando come punto di partenza le teorie esposte da De la Hire, ridefinendone

gli ambiti applicativi nel capitolo in cui si occupa delle “volte i cui giunti non hanno nè attrito nè coesione”, Coulomb riconosce successivamente la necessità di considerare “l’attrito e l’aderenza” tra i giunti. All’interno sia della formulazione che della risoluzione del problema, a Coulomb va assegnato l’indubbio merito di aver sostanzialmente modificato l’orientamento delle indagini. L’interesse originario, legato alla determinazione della geometria ottimale dell’arco soggetto a carichi esterni, si sposta verso la definizione del quesito teorico, praticamente inverso, della determinazione del grado di stabilità di un arco di dimensioni e geometria assegnate. Coulomb esprime chiaramente il concetto che,

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5. Frézier. Meccanismi di collasso di archi. 6. Villarceau. Definizione del profilo di un arco senza attrito e senza aderenza. 7. Barlow. Modello sperimentale ideato per esemplificare il carattere indeterminato dell’equilibrio di un arco. 8. J. Heyman. Dominio ammissibile per la sicurezza di un arco a conci.

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9. Vincoli di connessione di interfaccia tra due conci generici.

per la stabilità dell’arco, la linea delle pressioni deve essere in ogni punto contenuta all’interno dello spessore. Proponendosi poi di discutere il problema del collasso di un arco soggetto a peso proprio, determina il valore della forza orizzontale H, agente nel punto S, per il quale si ha il collasso dell’arco per scorrimento dei giunti lungo il piano Mm (fig. 4). Tuttavia, ponendo in risalto il fatto che il comportamento dell’arco dipende dalle ipotesi assunte per le proprietà del materiale, Coulomb fa subito dopo rilevare come l’attrito sia di solito talmente elevato da impedire, di fatto, che i conci possano scorrere l’uno sull’altro. Ciò lo porta a concludere che, se nella sezione Mm una sconnessione deve avere luogo, essa sarà tale da permettere la rotazione di una porzione di arco rispetto all’altra nei punti m o M. Se ϕ rappresenta il peso della porzione di arco GaMm, agente lungo la retta g’g, dall’equilibrio alla rotazione rispetto ai punti M ed m, è facile ottenere i valori massimo e minimo di H forniti rispettivamente da:

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gM H = ϕ –––– MQ 7

qg’ H = ϕ –––– mq

Come fa rilevare J. Heyman [24], ambedue le espressioni, pur contenendo variabili quali le dimensioni dell’arco ed il suo peso, non coinvolgono la resistenza del materiale, e assumono, quindi, la forma di semplici relazioni geometriche. Il contributo di Coulomb, pur non trovando pieno apprezzamento nel XVIII secolo, forse perché non corredato da regole pratiche per il progetto degli archi, assume, come afferma E. Benvenuto [36], il ruolo importantissimo di “un itinerario di ricerca”, chiarendo definitivamente gli aspetti riguardanti i meccanismi di rottura dell’arco. Il contributo dato da D. Gregory [1] nel 1697 alla definizione della catenaria come forma effettiva dell’arco a spessore costante e caricato dal solo peso proprio, l’osservazione che un arco di qualsiasi altra forma è in equilibrio solo se una curva catenaria può essere contenuta all’interno del suo spessore, le esperienze di A.A.H. Danizy [8], riportate nel 1737 da A.F. Frézier [ 6 ] (fig. 5), l’ampio e fondamentale approfondimento per la sistemazione del calcolo a rottura dell’arco fornito da L. Mascheroni [9] nel 1785, fanno si che alla fine del Settecento si possa ritenere conclusa una teoria unitaria sul comportamento statico degli archi in muratura che diviene, come precisato in E. Benvenuto [36], “un dato acquisito dal quale dedurre tutti

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gli elementi per un corretto dimensionamento”. Le direttrici secondo le quali si sviluppa la ricerca nel XIX secolo sono, specialmente nei primi anni, diretta conseguenza dei temi istruiti nel secolo precedente. Alla continuazione degli studi sulla sistemazione teorica del problema si affiancano i contributi di tipo pratico applicativo forniti da M. Audoy, nel 1820, e, tra gli altri, da E. M. Gauthey contenuti nel suo poderoso trattato “Traité de la costruction des ponts”. In particolare M. Audoy [12], facendo diretto riferimento sia alle indicazioni di Coulomb che al contributo sperimentale fornito alla comprensione del problema da L. C. Boistard [10] nel 1800, si occupa della individuazione dei giunti di rottura in archi di vario profilo. È abbastanza singolare, invece, come gli stessi temi, seppur arricchiti da interessanti note ed osservazioni, vengano affrontati nel 1823 da G. Lamè e B. P. E. Clapeyron nelle "Mémoire sur la stabilité des voûtes", senza menzione alcuna dei contributi di Coulomb. Il problema delle “linee di pressione” L’analisi settecentesca e quella dei primi anni del XIX secolo, facendo riferimento ad un modello a conci rigidi, implicitamente accettava l’ipotesi che le forze, all’interno dell’arco, si potessero trasmettere da un concio all’altro anche solo attraverso gli spigoli dei giunti. È proprio all’interno di questa impostazione che vengono definiti i meccanismi di collasso dell’arco in una sorta di analisi limite per nulla diversa da quella recentemente riproposta, con illuminante chiarezza, da J. Heyman. Durante il XIX secolo, con la nascita della teoria dell’elasticità, l’interesse degli studiosi si orienta sempre più verso la individuazione e descrizione del reale comportamento delle strutture e delle proprietà dei materiali di cui esse sono costituite. È L. Navier [15] che, nel 1839, pone per la prima volta in risalto la questione della resistenza e della deformabilità del materiale facendo dipendere da queste la determinazione dei punti di applicazione delle risultanti in chiave ed in corrispondenza dei giunti di rottura. La condizione limite di stabilità, che ne scaturisce, impone che la spinta in chiave sia applicata sul terzo medio superiore e la risultante al giunto di rottura sul terzo medio inferiore della sezione, sottintendendo così l’ipotesi di non resistenza a trazione del materiale. Il problema dell’equilibrio, staticamente indeterminato, ricondotto a quello della determinazione della posizione della linea

di pressione, diviene l’aspetto centrale del dibattito ottocentesco sul tema degli archi e delle volte. Nel 1830, F. J. Gerstner [14], nella ricerca della definizione delle linee di pressione o linee di resistenza, si accorge della possibilità di costruirne un numero infinito, tutte soddisfacenti l’equilibrio. Gli studi condotti da E. Méry, pubblicati nel 1840 in “Mémoire sur l’équilibre des voûtes en berceau”, sia per la diretta attinenza al problema che per alcune considerazioni che possono essere fatte circa l’applicabilità del metodo proposto, assumono particolare significato. A tal proposito Benvenuto [36] afferma “(...) la sua ricerca era basata sull’interpretazione della stabilità data da Navier e faceva ampi riferimenti alle esperienze di Boistard per la scelta dei giunti di rottura. Come è noto, la teoria di Méry, da ritenere valida per volte simmetriche con carico simmetrico uniforme e il cui intradosso si avvicina alla forma circolare, prevede che la curva delle pressioni sia contenuta entro il terzo medio dell’arco, passando per il suo estremo superiore alla chiave e per il suo estremo inferiore al giunto di rottura. Essa è quindi una curva limite, corrispondente allo stato in cui la volta è sul punto di aprirsi nelle sezioni critiche per l’insorgere degli sforzi di trazione tali da superare l’aderenza della malta. Ciò nonostante il suo impiego fu esteso, impropriamente, anche per la verifica di costruzioni stabili, cosa che generò un fraintendimento dei suoi limiti applicativi”. Il merito di aver riportato la questione in ambiti significativamente più chiari va a W.H. Barlow [17] il quale, seguito sullo stesso tema da Y. Villarceau [18] qualche anno dopo, nel 1846, propone un modello sperimentale che rende evidente l’indeterminazione del problema dell’equilibrio dell’arco. Con tale modello, costituito da conci separati per mezzo di giunti realizzati da quattro spessori di legno, rimuovendo opportunamente, per ogni giunto, tre dei quattro elementi, è possibile individuare posizioni alternative della curva di pressione ognuna delle quali soddisfa la condizione di equilibrio (figg. 6, 7). L’applicazione dei teoremi dell’analisi limite al problema degli archi in muratura Gli esperimenti su modelli di archi condotti successivamente da F. Jenkin [19] nel 1876, ridiscussi da J. A. Ewing [21] nel 1899, e quelli più recenti effettuati da A. J. S. Pippard et al. [22] nel 1937, avevano chiara-

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mente mostrato l’aderenza del modello settecentesco a blocchi rigidi all’effettivo comportamento degli archi in muratura, cogliendo il ruolo delle “cerniere di apertura” nella individuazione dei meccanismi di collasso. Rifacendosi a questi A. Kooharian [23], nel 1953, mostra la prima applicazione dei teoremi dell’analisi limite al problema della stabilità degli archi in muratura. Una delle più recenti e significative rielaborazioni delle teorie settecentesche, rilette nell’ambito dell’analisi limite, si deve a J. Heyman che, nel 1966 e successivamente nel 1969, in due famosi articoli “The stone skeleton” e “The safety of masonry arches”, formalizza, in modo chiaro e definitivo, alcune ipotesi sul materiale muratura discutendone le implicazioni nell’analisi di archi e volte. Con il suo lavoro Heyman restituisce enfasi e nuovo significato ai punti di vista che avevano caratterizzato le teorie del XVIII secolo ed, in particolar modo, ai contributi offerti da Couplet e da Coulomb. Lo spiccato interesse che Heyman mostra per quest’ultimo è dimostrato dall’importante lavoro “Coulomb’s Memoir on Statics An essay in the History of Civil Engineering”, del 1972, dove propone la rilettura dell’opera di tale studioso. Nell’intento di applicare i metodi del calcolo a rottura all’analisi degli archi in muratura, Heyman pone tre note ipotesi 9

10. Cerniere di apertura. Modelli sperimentali e casi reali.

per la definizione del dominio di ammissibilità del materiale: – la pietra non possiede alcuna resistenza a trazione (Stone has no tensile strength). Una tale ipotesi risulta certamente verificata nel caso in cui si consideri l’arco come costituito da blocchi assemblati a secco o con apporto di malta di scarsa resistenza; 10

11. Modello sperimentale di arco a cinque conci soggetto a carichi e cedimenti. Cedimento orizzontale dell’imposta sinistra (esperimenti eseguiti su modelli da A. Chilleri). 12. Modello sperimentale di arco a cinque conci soggetto a carichi e cedimenti. Cedimento verticale dell’imposta sinistra (esperimenti eseguiti su modelli da A. Chilleri).

– la pietra ha infinita resistenza a compressione (Stone has an infinite compressive strength). Questa ipotesi trova giustificazione nel fatto che nelle normali condizioni di esercizio i valori delle tensioni sono sempre molto al di sotto di quelle di rottura; – i conci in pietra non possono scivolare l’uno sull’altro (Sliding of one stone upon another cannot occur). Quest’ultima ipotesi equivale ad asserire che la componente di taglio della forza che si esercita tra due conci contigui non supera mai l’attrito tra concio e concio. Heyman fa notare ancora una volta che, sotto queste ipotesi, fu proprio Coulomb il primo a proporre come unico meccanismo di rottura quello individuato dalla formazione di cerniere di apertura per rotazione relativa di due conci. Con riferimento ad una porzione di un arco in muratura (fig. 8), la formazione di una cerniera di apertura è resa possibile quando si verifica la condizione M = Nh, dove h è la distanza della forza assiale N dall’asse geometrico del concio. Nel riferimento N-M le due semirette di equazione M = ± Nh, rappresentate dai segmenti OA e OB, delimitano la regione degli stati ammissibili di sollecitazione per i quali non si verificano rotazioni tra i conci e, di conseguenza, la curva delle pressioni rimane ovunque contenuta nello spessore dell’arco. I punti che giacciono sulle due semirette OA o OB sono rappresentativi della formazione di una cerniera all’intradosso o all’estradosso dell’arco; in tal caso la curva delle pressioni risulta tangente al bordo inferiore o superiore del giunto. Per tutti i punti esterni al dominio si manifestano stati di sollecitazione non ammissibili per i quali la curva delle pressioni cadrebbe fuori dello spessore dell’arco. Se si vuole rimuovere l’ipotesi di infinita resistenza a compressione, al dominio AOB deve sostituirsi quello formato dai due archi parabolici OCDEO; tuttavia, per valori molto bassi della forza assiale N, cioè per stati di sollecitazione che si trovano all’interno del triangolo OCE, i due domini sono praticamente coincidenti.

ad assegnate condizioni di carico, la effettiva struttura reagente. Con lo scopo di semplificare, per quanto possibile, la trattazione di problemi strutturali che coinvolgono materiali non isoresistenti, si assume la assoluta non reagenza a trazione per il materiale muratura, ipotesi semplificativa non sempre aderente alla realtà, ma in ogni caso a vantaggio della sicurezza. L’ipotesi di assoluta non reagenza a trazione è rigorosamente verificata, ad esempio, sulle interfacce di archi in pietra costituiti da conci posti in mutuo contrasto senza interposizione di malta o con giunti di malta che abbiano subito consistenti processi di degrado. In ogni caso, il problema, sia statico che cinematico di una struttura costituita da materiale non isoreagente, è retto non solo da equazioni, ma anche da disequazioni che traducono la circostanza che il materiale può trasmettere sforzi solo di compressione. In genere per la soluzione di problemi con vincoli unilateri, retti dunque da sistemi di equazioni e disequazioni, si fa ricorso ai metodi di programmazione quadratica, oppure, in alternativa, si può pervenire alla soluzione utilizzando un procedimento per successive approssimazioni che, specie in campo numerico, consiste nell’assumere, come punto di partenza, la soluzione relativa al materiale standard (elastico lineare ed isoreagente) per poi correggerla successivamente tenendo conto delle effettive risorse del materiale fino a pervenire alla individuazione, all’interno della sagoma della struttura, di quale sia la parte effettivamente reagente. Tale via era già stata praticata con successo da C. A. Castigliano [20] nel 1879. In quanto segue si propone una via che per raggiungere lo stesso scopo appare meno dispendiosa, in termini di oneri computazionali, di quanto richiesto con i metodi della programmazione quadratica e si basa sulla introduzione di distorsioni ad hoc, la cui potenzialità è stata ricordata per primo da S. Di Pasquale in [28], consentendo, allo stesso tempo, una più’ immediata interpretazione meccanica delle operazioni necessarie al raggiungimento della soluzione.

Analisi statica e cinematica ed equilibrio limite di strutture ad arco a vincoli unilateri

Formulazione generale del problema

Il problema, fondamentale nell’analisi di qualsivoglia struttura in muratura, è costituito dal fatto che tale materiale presenta diversa resistenza a compressione e a trazione; questa circostanza implica la non conoscenza a priori di quale sia, all’interno di una configurazione assegnata, soggetta

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Si consideri il problema di una struttura ad arco costituita da conci lapidei con o senza interposizione di malta; il modello cui si fa riferimento è quello proposto da Heyman per cui la crisi può sopraggiungere solo per formazione di un meccanismo di tipo rigido caratterizzato dalla presenza di quattro cerniere di apertura poste alternativamente sulla curva di intradosso ed

estradosso dell’arco si da garantire una configurazione compatibile. Secondo tale modello l’arco risulta costituito da blocchi rigidi connessi da un numero minimo di tre bielle ideali che a loro volta possono essere assunte con comportamento elastico-fessurante o rigido-fessurante per l’unilateralità del vincolo. Si consideri dapprima il caso in cui i conci siano vincolati tra di loro con elementi a comportamento rigido fessurante; se il sistema, sottoposto ad una condizione di carico F e di cedimenti ∆1 assegnati, è costituito da n conci ed m = n+1 interfacce, con riferimento alla figura 9, si avrà’: =F { AX A x=∆ +∆ X≤0 sub { ∆ ≥0 T

1

2

(1) (2)

2

dove si sono indicati con: A ed AT le matrici di assetto; X il vettore incognito delle forze nelle bielle di interfaccia; 11 x il vettore incognito delle componenti di spostamento dei baricentri dei conci; ∆1 il vettore dei cedimenti impressi; ∆2 il vettore incognito delle distorsioni da imprimere al sistema affinché il segno delle variabili sia compatibile con la natura del materiale non resistente a trazione. La soluzione del problema nel rispetto delle (1) e (2) è fornita da:

chi un ruolo fondamentale nella determinazione del suo grado di stabilità. Infatti se per i soli carichi le incognite cinematiche risultano ovunque nulle e, quindi, l’analisi della stabilità può limitarsi al controllo della compatibilità tra la sagoma iniziale dell’arco e la curva funicolare dei carichi stessi, nel caso di compresenza di cedimenti vincolari tale controllo dovrà essere effettuato tra la funicolare dei carichi e la configurazione finale assunta dall’arco a sua volta funzione di incognite cinematiche che dipendono sia dai cedimenti che dai carichi applicati. Per l’ipotesi di rigidità l’apertura delle cerniere può manifestarsi solo per formazione di un meccanismo monolabile che, se l’arco e’ stabile per soli carichi, dipende dal cedimento. Il problema consiste quindi nel determinare il poligono funicolare connesso al meccanismo monolabile individuato dal cedimento impresso e dalle tre cerniere di apertura che istantaneamente si formano per effetto del cedimento stesso (fig. 10). Sotto questa

ottica, il procedimento adottato per il caso di soli carichi diventa il passo generico di un ulteriore processo iterativo tendente a determinare il moltiplicatore λ del cedimento corrispondente alla configurazione limite. Il primo passo consiste, tramite le (1) e (2), nella individuazione della posizione delle tre cerniere di apertura che trasformano la struttura da tre volte iperstatica in isostatica; di conseguenza il poligono funicolare è condizionato a passare per i tre punti nei quali si sono localizzate le cerniere. Per determinare il moltiplicatore λ del cedimento occorre trovare per quale configurazione variata l’arco è ancora in equilibrio. La configurazione variata dell’arco, divenuto isostatico, per effetto del cedimento impresso è facilmente desumibile dalle leggi della cinematica dei grandi spostamenti e quindi il controllo dell’equilibrio viene effettuato sulla configurazione variata secondo la forma: A(x)X = F. Si definisce cedimento limite quello relativo ad una configurazione di spostamenti 12

X = AT (AAT)-1 F +(I– AT (AAT) -1 A) ∆1 + +(I – AT (AAT)-1 A) ∆2 dove ∆2 è un vettore variabile incognito tale che risulti X ≤ 0 e può essere ottenuta sia con procedimento iterativo – il numero delle iterazioni coincide al massimo con il numero delle variabili di segno non ammissibile – sia per inversione di una opportuna sottomatrice di: (I– AT (AAT) -1 A) = C con determinante diverso da zero, le cui righe e colonne corrispondono alle variabili di segno non ammissibile. Non è possibile in questa sede, per ovvi motivi di spazio, discutere il problema della individuazione della opportuna sottomatrice di C, per il quale si rimanda alla bibliografia in [37, 38, 39]; né è essenziale ai fini di quanto qui ci si propone poiché, come già detto, la soluzione può essere colta anche con procedimento iterativo poco oneroso. È evidente come in un arco in muratura, schematizzato con conci rigidi e interfacce rigido-fessuranti, la contemporanea presenza di carichi e cedimenti vincolari gio-

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14. Arco a quattordici conci soggetto a carichi e cedimenti orizzontali e verticali (esperimenti eseguiti su modelli da A. Chilleri).

13. Arco a cinque conci. Cinematismi dovuti a cedimenti delle imposte e posizione della linea delle pressioni.

della deformabilità del materiale che costituisce i giunti e quello di cui sono costituiti i conci. Il procedimento da adottare, considerando i vincoli di connessione tra i conci con comportamento elastico lineare a compressione e assolutamente non reagenti a trazione, non differisce sostanzialmente da quello molto brevemente sopra descritto e relativo al caso di strutture costituite da soli elementi rigidi fessuranti. Occorre tuttavia precisare che, per una migliore aderenza del modello al comportamento reale della struttura, conviene schematizzare il giunto con una cortina di bielle normali all’interfaccia in luogo delle due strettamente necessarie e sufficienti nel caso di sistemi rigidi. Il sistema di equazioni e disequazioni che governano il problema nel caso specifico assumono la forma:

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{ AAXx=+FKX = ∆ + ∆– X≤0 sub { ∆ ≥0 T

1

2

(3) (4)

2

x tale che lo stato di sollecitazione, nel rispetto delle (1) e (2), denunci il formarsi di una ulteriore quarta cerniera. Il procedimento numerico proposto, applicato a titolo di esempio ad un arco a cinque conci, soggetto contemporaneamente ad una condizione di carico per la quale, nella configurazione iniziale la struttura risulta stabile, ed ad un cedimento di una delle imposte, fornisce i medesimi risultati che è possibile trovare per via sperimentale ed illustrati nelle figure 11, 12. In particolare, nel caso di un cedimento orizzontale si manifesta un meccanismo che comporta l’apertura di tre cerniere alternativamente posizionate sull’intradosso ed estradosso dell’arco (fig.11); nel caso di cedimento verticale due delle cerniere si aprono in corrispondenza dei punti di estradosso ed una all’intradosso (fig. 12). Nella figura 13 sono rappresentate, per

ambedue i casi di cedimento orizzontale e verticale dell’imposta, le posizioni del poligono funicolare corrispondenti alle successive configurazioni assunte dal sistema fino a quella limite denunciata dalla apertura della quarta cerniera. Sostanzialmente quindi l’applicazione del metodo numerico, ancorché derivante dalla medesima formulazione generale, si differenzia nei due casi, risultando immediata in presenza di soli carichi ed opportunamente integrata nel caso di contemporanea presenza di carichi e cedimenti. Nel caso in cui si voglia, invece, tenere conto della deformabilità dei giunti di malta la struttura ad arco può essere schematizzata con un assemblaggio di elementi rigidi e deformabili. Come già detto tale schematizzazione risulta efficace nell’analisi di archi in muratura di pietra o mattoni dato il grande divario esistente tra i valori

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dove, oltre ai simboli A, AT, X, x, ∆ 1, già definiti, si è indicato con K la matrice di deformabilità delle bielle che schematizza– = ∆• + ∆•• il no i giunti di malta e con ∆ 2 2 2 vettore delle distorsioni che occorre imprimere per ottenere una soluzione equilibrata, congruente e compatibile con le condizioni sul segno. Il procedimento, per giungere alla soluzione di un problema siffatto, consiste nell’assumere come soluzione iniziale quella relativa a materiale elastico lineare bilatero e nel modificare tale soluzione rendendola compatibile con le condizioni di segno che descrivono la natura del materiale. Ciò comporta l’introduzione di opportune distorsioni ∆•2, capaci di annullare gli sforzi di segno non ammissibile, e ∆••2 in grado di modificare solo alcune componenti di spostamento in modo tale che il sistema (3) risulti infine equilibrato e congruente nel rispetto delle condizioni sul segno delle variabili. La soluzione iniziale, corrispondente a materiale elastico lineare bilatero: X0 = K-1 AT (AK-1 AT)-1 F + + K-1 (I– AT (AK-1 AT)-1 AK-1) ∆1 viene modificata aggiungendo a questa il vettore : XN = (I – K-1 AT (AK-1 AT)-1 A) ∆•2 tale che sommato a X0 soddisfi la prima delle (3).

La soluzione del problema cinematico, una volta ottenuta quella del problema statico, viene perseguita determinando il vettore ∆•• 2 in modo tale da ristabilire la compatibilità della seconda delle (3). Le componenti del vettore ∆•2 ≠ 0 forniscono la posizione e l’ampiezza delle fratture localizzate in corrispondenza dei giunti di malta.

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