Appunti Prof - Cavagnino

August 20, 2021 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Prof. Andrea CAVAGNINO

Appunti delle lezioni

MACCHINE ELETTRICHE

ANNO ACCADEMICO 2005/2006

PROF. ANDREA CAVAGNINO

II

MACCHINE ELETTRICHE

SOMMARIO In queste note sono riportati gli argomenti illustrati durante le lezioni del corso di “Macchine Elettriche” per allievi meccanici ed energetici del secondo anno di Ingegneria del Politecnico di Torino. I presenti appunti sono stati tratti, a volte integralmente ed a volte operando opportune semplificazioni, dalle dispense del corso di Macchine Elettriche tenuto dal prof. Mario Lazzari per gli allievi elettrici. È doveroso ringraziare il professore per la disponibilità dimostrata. Il corso, di natura propedeutica, presenta i principi di funzionamento e le prestazioni ottenibili a regime delle principali macchine elettriche. Non saranno presentati aspetti dinamici, quali avviamenti, guasti, ecc. Si noti che anche le regolazioni saranno analizzate come stati successivi di regime. A valle di una parte introduttiva (della durata di circa 8 ore di lezione durante la quale verranno richiamate/presentate nozioni utili alla comprensione successiva), si tratteranno le seguenti macchine elettriche: La macchina a corrente continua

8 ore di lezione e 4 ore di esercitazione

Il trasformatore (monofase e trifase)

10 ore di lezione e 4 ore di esercitazione

Il motore asincrono trifase

12 ore di lezione e 4 ore di esercitazione

La macchina sincrona

4 ore di lezione

All’inizio del corso saranno assegnati alcuni temi di esame e vari esercizi utili per la preparazione della prova scritta. Vista la natura propedeutica del corso, oltre agli appunti forniti si può fare riferimento a qualsiasi libro sulle macchine elettriche, anche dedicato alle scuole medie superiori. Nella tabella seguente sono riportati alcuni testi relativi agli argomenti trattati.

Appunti di teoria unificata delle macchine elettriche rotanti (1) - Martinelli Giovanni - Morini Augusto - CLEUP - - € 6,20 Argomenti fondamentali di macchine elettriche - 1995 - Guadagni Gualtiero Piccoli Eleonora - Spiegel - - € 4,13 Corso di elettrotecnica e macchine elettriche. Per le Scuole superiori - 2001 Rodomonte Luigi - Liberti Alfredo - Scorza Guido - Calderini - - € 27,60 Elementi di macchine elettriche. Per gli Ist. Tecnici - 1991 - Pellizzaro Dino Jackson Libri - - € 12,91 Elementi di macchine elettriche. Per gli Ist. Tecnici industriali indirizzo elettronica e telecomunicazioni e per gli Ist. Professionali - Del Rosso Mauro Cupido - - € 13,43 Elementi di macchine elettriche. Per le Scuole superiori - 1996 - Pezzi Mario Zanichelli - - € 24,00 Elettrotecnica e macchine elettriche. Per gli Ist. tecnici industriali indirizzo elettronica e telecomunicazioni e gli Ist. professionali - 2002 - Bobbio Giampiero Sammarco Santo - Petrini Editore - - € 27,15 Elettrotecnica e macchine elettriche. Per le Scuole superiori - 2003 - Bobbio Giampiero - Sammarco Santo - Petrini Editore - - € 28,00 III

PROF. ANDREA CAVAGNINO Esercizi sulle macchine elettriche. Appendice. Per il 4º e 5º anno degli Ist. Tecnici industriali - 1998 - Baldan Giovanni - Durano Giuseppe - CEDAM - - € 10,33 Esercizi sulle macchine elettriche. Per il 4º e 5º anno degli Ist. Tecnici industriali 1998 - Baldan Giovanni - Durano Giuseppe - CEDAM - - € 20,19 Il nuovo libro di macchine elettriche. Per gli Ist. Professionali - Di Maggio Giovanni - Federico & Ardia - - € 14,46 Laboratorio di macchine elettriche. Per le Scuole superiori - 2001 - Conte Gaetano - Hoepli - - € 9,50 Lezioni di elettrotecnica. Principi di macchine elettriche - 1996 - Ghigi Paolo Esculapio - - € 12,39 Lezioni di teoria unificata delle macchine elettriche rotanti - 2000 - Martinelli Giovanni - Morini Augusto - SGE - - € 20,66 Macchine elettriche - 1990 - Pezzi Mario - Zanichelli - - € 39,50 Macchine elettriche - 1997 - Ubaldini Mario - Esculapio - - € 28,00 Macchine elettriche - 2001 - Votano Francesco - Iiriti - - € 41,32 Macchine elettriche - Civalleri P. Paolo - Levrotto & Bella - - € 12,91 Macchine elettriche - 2001 - Manigrasso Renato - CUSL (Milano) - - € 24,79 Macchine elettriche - Tibo Alberto - La Sovrana - - € 28,00 Macchine elettriche - 1994 - Biasutti Giuseppe - Hoepli - - € 17,04 Macchine elettriche - 1991 - Fitzgerald A. E. - Kinsley C. jr. - Kusko A. - Franco Angeli - - € 40,00 Macchine elettriche - 1996 - Crepaz Sergio - CittàStudi - - € 25,31 Macchine elettriche (1) - 1999 - Ferraris Luca - CLUT - - € 16,00 Macchine elettriche (2) - 1999 - Ferraris Luca - CLUT - - € 16,00 Macchine elettriche e automazione. Per le Scuole superiori - Calabrigo G. - Trento G. - Sansoni - € 20,81 Macchine elettriche e dispositivi elettronici di potenza. Per le Scuole superiori 1999 - Kaltani B. - Principato - - € 15,70 Macchine elettriche rotanti - 1995 - Miglio Riccardo - Esculapio - - € 15,00 Macchine elettriche rotanti - 1998 - Andriollo Mauro - Martinelli Giovanni Morini Augusto - Cortina (Padova) - - € 20,00 Macchine elettriche. Con esercitazioni di laboratorio. Per gli Ist. Tecnici industriali - 1999 - Sammarco Santo - Bobbio Giampiero - Petrini Editore - - € 24,30 Macchine elettriche. Per le Scuole superiori - 2001 - Conte Gaetano - Hoepli - € 21,50 Materiali e macchine elettriche - 1994 - Carminati Edoardo - Esculapio - € 22,00 Metodologia di progettazione delle macchine elettriche - 2001 - Bianchi Nicola Bolognani Silverio - CLEUP - - € 20,66 IV

MACCHINE ELETTRICHE

Principi di funzionamento delle macchine elettriche. Per gli Ist. Tecnici industriali - 1991 - Cottignoli Franco - Calderini - - € 22,70 Conversione elettrica ed elettromeccanica dell'energia. Vol 1: macchne elettriche Brunelli Benito - Pitagora - - € 55,00 Meccanica degli azionamenti - Vol. 1 : Azionamenti elettrici - G. Legnani - M Tiboni - R. Adamini - Esculapio Si ricorda la possibilità di reperire materiale didattico, cataloghi di macchine e materiali nel web. Alcuni siti interessanti[1] sono i seguenti: http://www.electroportal.net/ http://www.barrascarpetta.org/m_0_s0/01_ele.htm http://www.unipv.it/energy/conversione/index.htm http://it.wikipedia.org/wiki/Ingegneria_elettrica http://corsiadistanzaold.polito.it/cetem/corsi/db/07BNMH/esercitazioni.html http://corsiadistanzaold.polito.it/cetem/corsi/db/9320H/esercitazioni.html http://web.tiscali.it/egidiorezzaghi/

[1]

Attivi al momento della stesura di questi appunti.

V

Capitolo

1 INTRODUZIONE 1.1 – Generalità sulla conversione dell’energia elettrica Nella moderna tecnologia, l’energia elettrica assume un importante ruolo di intermediario. Nonostante che nella maggior parte dei casi l’energia si presenti sotto forme diverse, sia come disponibilità che come utilizzo (es. meccanica, termica), risulta conveniente il passaggio intermedio alla forma elettrica in quanto l’energia elettrica è facilmente trasportabile e controllabile con relativa facilità, affidabilità ed efficienza. Si definisce macchina elettrica un dispositivo in grado di convertire l’energia elettrica tramite l’interposizione, a livello macroscopico, di un campo elettromagnetico. Secondo questa definizione esempi di macchine elettriche sono: i trasformatori (conversione da energia elettrica ad energia elettrica); i motori, i generatori, gli elettromagneti (conversione dell’energia elettrica ad energia meccanica e viceversa). Oggigiorno è possibile convertire l’energia elettrica in energia elettrica tramite dispositivi che utilizzano componenti a semiconduttori. In tal caso esiste ancora l’interposizione di campi elettrici e magnetici di accoppiamento, ma a livello microscopico (a livello atomico). In tal caso si parla di conversione statica dell’energia e di convertitori statici o convertitori elettronici di potenza. La conversione elettromeccanica dell’energia comporta la trasformazione di energia elettrica in energia meccanica o viceversa. L’accoppiamento tra i due sistemi avviene tramite un campo elettromagnetico. In generale, sono presenti sia il campo magnetico che quello elettrico ed è proprio l’energia immagazzinata in tali campi o meglio la sua tendenza a liberarsi ed a compiere lavoro che permette la conversione. Una rappresentazione schematica della conversione elettromeccanica dell’energia è la seguente, dove le frecce grigie rappresentano i flussi di energia. Sistema

Campo di

Sistema

Elettrico

accoppiamento

Meccanico

Perdite elettriche (RI2)

Perdite dovute al campo

Perdite meccaniche

Schema di principio della conversione elettromeccanica dell’energia.

1

PROF. ANDREA CAVAGNINO Ovviamente il rendimento della trasformazione non è unitario a causa delle perdite indicate. Si osservi la reversibilità della conversione (frecce grigie bidirezionali). Ne consegue l’esistenza sia di generatori elettrici, sia di motori elettrici. La conversione elettromeccanica dell’energia risulta possibile grazie all’esistenza in natura di fenomeni fisici che legano da una parte i campi elettromagnetici e dall’altra le forze meccaniche. I principali fenomeni utilizzati in pratica sono i seguenti: 1. Forza meccanica su conduttori percorsi da corrente quando sono immersi in un campo magnetico. La conversione è reversibile poiché in un conduttore in movimento in un campo magnetico nasce una tensione indotta. 2. Forza meccanica su materiali ferromagnetici quando sono immersi in un campo magnetico. Tale forza tende ad allinearlo con il campo ed a spostarlo dove il campo è più intenso. Riferendosi ad un campo magnetico generato da un avvolgimento percorso da corrente si può osservare che la conversione è reversibile in quanto lo spostamento del materiale produce una variazione del flusso concatenato con l’avvolgimento e quindi una tensione indotta in quest’ultimo. 3. Forza meccanica sulle armature di un condensatore carico e sul dielettrico immerso nel campo elettrico. Anche in questo caso la conversione è reversibile perché il movimento delle armature o del dielettrico si traduce in un cambiamento della carica e/o della tensione. 4. Effetto piezoelettrico: quando certi cristalli vengono opportunamente deformati generano un campo elettrico e quando viene applicato un campo elettrico si deformano. Anche se le deformazioni sono di piccola entità, la forza associata può essere elevata. 5. Magnetostrizione: la maggior parte dei materiali ferromagnetici evidenzia una deformazione sotto l’azione di un campo magnetico e viceversa. Durante il corso verranno analizzati solo i primi due fenomeni ed il loro utilizzo nelle macchine elettriche.

1.2 – Richiami di elettromagnetismo I fenomeni magnetici sono descritti nello spazio tramite due grandezze vettoriali: l’intensità del campo magnetico H (in A/m) e l’induzione magnetica B (in T o Wb/m2). Nei mezzi magneticamente inerti queste due grandezze sono dipendenti l’una dall’altra secondo la relazione (1.1), nota come caratteristica costitutiva del mezzo.

B = µ⋅H

(1.1)

ove µ è la permeabilità magnetica del mezzo (nel vuoto µ = µo = 4π ⋅10-7 H/m ) Si ricorda che i campi vettoriali di B ed H devono rispettare le seguenti equazioni di Maxwell: ∇⋅B = 0

(II equazione di Maxwell in forma differenziale)



(1.2)

∇ H = J (IV equazione di Maxwell in forma differenziale[1]) (1.3) 2 dove il vettore J è il vettore densità di corrente (in A/m ). La relazione (1.3) evidenzia come le correnti elettriche siano le sorgenti del campo magnetico. [1]

2

Valida per campi magnetici stazionari o quasi stazionari.

MACCHINE ELETTRICHE Nelle applicazioni dell’elettromagnetismo può essere utile interpretare il ruolo di queste due grandezze secondo il seguente schema di pensiero: 1. la corrente (eccitazione) produce il campo H (legge della circuitazione magnetica); 2. il campo H produce l’induzione B (caratteristica costitutiva del mezzo); 3. l’induzione B produce effetti elettrici (tensioni indotte) e meccaniche (forze) (leggi di Lenz e Lorentz).

1.2.1 - Legge della circuitazione magnetica Si supponga presente in una regione dello spazio una corrente descritta in ogni punto da un vettore densità J. Scelta una qualunque linea chiusa l nella regione suddetta, si definisca con I il valore della corrente che attraversa la superficie S delimitata dal contorno l. Il valore della corrente è definito dal seguente integrale:

J

dS

H dl

Legge della circuitazione magnetica

I = ∫ J ×dS

(1.4)

S

La legge della circuitazione, che lega il campo magnetico alla corrente che lo produce, è definita dalla seguente identità[2]: I = ∫ H × dl

(1.5)

l

Osservazione: In generale la legge della circuitazione, espressa dalla relazione (1.5), non è sufficiente da sola a definire in ogni punto dello spazio il modulo e il verso del campo magnetico in funzione della corrente. Solo in particolari condizioni di simmetria geometrica, ove si possano ipotizzare a priori la forma delle linee di campo e la costanza del campo lungo una linea, si può calcolare attraverso l’equazione (1.5) il valore del campo magnetico. Esempio: conduttore rettilineo indefinito percorso da corrente Con riferimento alla figura a fianco e sulla base di considerazioni sulla simmetria del problema, si osserva che le linee di campo devono essere delle circonferenze concentriche giacenti su piani ortogonali al conduttore. Inoltre, il campo deve avere un’intensità costante lungo ciascuna circonferenza. In questo caso, applicando la legge della circuitazione si ottiene:

I = H ⋅ 2πr

[2]



H=

I 2πr

I

r H

Scrivendo la IV equazione di Maxwell in forma integrale ed applicando il teorema di Stockes si ottiene: ∧

∫ H × dl = ∫ ∇

l = ∂S

S

H × dS = ∫ J × dS = I S

3

PROF. ANDREA CAVAGNINO Esempio: avvolgimento toroidale

Nel caso di un avvolgimento uniformemente distribuito su un anello e percorso dalla corrente I, considerazioni generali di simmetria consentono di esprimere il campo magnetico nella seguente forma: NI = H ⋅ 2πr



H=

I

N

NI 2πr

H r

Esternamente all’avvolgimento il campo magnetico è nullo poiché qualsiasi linea chiusa non concatena corrente. Esempio: solenoide rettilineo infinito

∆l

In questo caso le considerazioni di simmetria del problema permettono di concludere che il campo è confinato all’interno del solenoide. Inoltre il campo risulta uniforme su una sezione ortogonale all’asse del solenoide. Si noti che un solenoide rettilineo indefinito può essere interpretato come un avvolgimento realizzato su un anello di raggio infinito.

l H

Nella figura sono indicate alcune spire percorse da una corrente I (dove il pallino indica una corrente uscente dal piano del disegno e la crocetta una corrente entrante). Sia l la linea chiusa su cui si esegue la circuitazione ed N il numero di spire contenute in essa. Si noti che in questo esempio la linea su cui si esegue la circuitazione non coincide completamente con una linea di campo. Applicando la legge della circuitazione su ogni tratto della linea scelta si ottiene:

∑ H tratto × l tratto

= N ⋅I

⇒ H ⋅ ∆l = N ⋅ I



H=

N ⋅I = n⋅I ∆l

dove n rappresenta la densità lineare di conduttori. Osservazione: Negli esempi precedenti il verso del vettore campo magnetico viene determinato in base al verso della corrente secondo la regola della mano destra (o del cavatappi).

Regola della mano destra Figura di sinistra: il pollice viene allineato alla direzione assunta positiva per la corrente, le dita indicano il verso positivo del campo magnetico. Figura di destra: le dita vengono allineate alla direzione assunta positiva per la corrente (corrente uscente in rosso, corrente entrante in blu), il pollice indica il verso positivo del campo magnetico.

4

MACCHINE ELETTRICHE

1.2.2 – Relazione costitutiva del mezzo Rappresenta come sono legati il vettore induzione magnetica e il vettore campo magnetico. In mezzi magneticamente inerti si ha: B = µ ⋅ H = µr ⋅ µ0 ⋅ H

(1.6)

dove µr = µ/µ0 è la permeabilità relativa del mezzo. Per materiali ferromagnetici la relazione (1.6) è una relazione non lineare in quanto la permeabilità di questi materiali viene a dipende dal valore del campo (µr = µr(H)).

1.2.3 - Effetti dell’induzione. Flusso e leggi di Lenz e Lorentz Come indicato in precedenza, in presenza di induzione magnetica esiste la possibilità di indurre tensioni nei conduttori (denominate Forze Elettro Motrici, F.e.m.) e di creare forze meccaniche agenti su di essi. E’ conveniente definire il flusso del vettore B attraverso una superficie S delimitata da un contorno c (vedi figura). Tale grandezza viene calcolata nel modo seguente. Φ = ∫ B × dS

B dS

S

c

(1.7)

S

ove il simbolo × è l’operatore prodotto scalare tra vettori. Nel caso in cui il valore del vettore induzione sia costante in tutti i punti della superficie (campo uniforme), e la sua direzione sia normale alla superficie, l’espressione (1.7) si semplifica nella seguente:

Φ = B⋅S

Φ1 Flusso uscente da S1 S1

Φ1=Φ2

S2

Φ2 Flusso entrante in S2

Poiché il vettore B è solenoidale ( ∇ ⋅ B = 0 ) le sue linee di campo sono chiuse. Ne consegue che il valore del flusso attraverso una superficie S non dipende dalla forma della superficie, ma esclusivamente dal suo contorno. Se la superficie è chiusa (contorno nullo) il valore fornito dalla (1.7) è identicamente nullo, come schematizzato nella figura a fianco.

Si definisce tubo di flusso la porzione di spazio delimitata dalle linee di induzione che passano per un contorno c. Poiché l’induzione B è solenoidale (linee di campo chiuse), il flusso di B presente nel tubo è costante e, pertanto, dove la sezione del tubo aumenta, l’induzione diminuisce di valore e viceversa (figura 1.1).

5

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il concetto di tubo di flusso è utile per introdurre il significato di flusso concatenato (Λ) con un circuito elettrico. Si consideri una bobina di N spire. Il flusso concatenato con la bobina è la somma dei flussi che attraversano le singole spire. Riferendosi alla figura 1.2, nell’ipotesi che ciascuna spira della bobina concateni lo stesso flusso Φ delle altre, il flusso concatenato si esprime come:

Λ=N⋅Φ

linea di induzione

B1 c

B2

(1.8) Fig. 1.1: Tubo di flusso

Tubo di flusso

Λ = ΝΦ N

Φ

Fig. 1.2: Concetto di flusso concatenato

Fig. 1.3: esempio delle linee di induzione create da una bobina

In figura 1.3 è rappresentato l’andamento delle linee di induzione create da una bobina. Si noti come esistano delle linee che interessano localmente le singole spire e non tutta la bobina. Nelle macchine elettriche la produzione di un campo magnetico di induzione B è fondamentale nella conversione dell’energia. L’induzione magnetica interviene infatti in due forme diverse nella conversione dell’energia: Produzione di f.e.m. indotta in un circuito elettrico. Produzione di una forza meccanica. Il primo effetto si può convenientemente analizzare, secondo i casi, attraverso una delle seguenti leggi:

e=±

dΛ dt

dE = v ∧ B × dl dove: B, Λ v, dl

6

(Legge di Lenz – f.e.m trasformatorica) (Legge di Lorentz – f.e.m. mozionale)

(1.9) (1.10)

sono l’induzione magnetica e il flusso concatenato con il circuito elettrico; sono la velocità e la lunghezza del conduttore.

MACCHINE ELETTRICHE Il secondo effetto si può valutare secondo l’espressione (1.11), dove I rappresenta la corrente che fluisce nel conduttore. dF = I ∧ B × dl

(Legge di Lorentz)

(1.11)

Si noti che se le grandezze vettoriali nelle relazioni (1.10) e (1.11) sono mutuamente perpendicolari tra loro nello spazio, si ottengono le seguenti espressioni:

dE = ν ⋅ B ⋅ dl dF = I ⋅ B ⋅ dl Nelle leggi di Lorentz, per posizionare il verso della forza (o la polarità della f..e.m. indotta) note le direzioni dell’induzione e della corrente (o dell’induzione e della velocità), si usa la regola della mano sinistra (vedi figura).

Regola della mano sinistra

Osservazione:

La legge di Lenz indica che se il flusso concatenato da un avvolgimento varia nel tempo allora in questo si induce una tensione. Il segno corretto da usare nella (1.9) dipende dalla convenzione di segno adottata per studiare il circuito elettrico. Si ricorda infatti che la forza elettromotrice indotta tende a far circolare nel circuito elettrico una corrente che si oppone alla causa che la ha generata, ovvero alla variazione temporale del flusso concatenato. Si considerino quindi le seguenti due possibilità, dove le frecce indicate nei disegni indicano i versi assunti convenzionalmente positivi per le relative grandezze. Convenzione di segno degli utilizzatori

Φ(t) i(t)

R

Equazione alla maglia: v(t ) = R ⋅ i (t ) + e(t ) Allora deve risultare: e = +

dΛ dt

Infatti: v(t)

e(t)

Se ∆i > 0 ⇒ ∆Λ > 0 ⇒ E > 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente. Se ∆i < 0 ⇒ ∆Λ < 0 ⇒ E < 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente. 7

PROF. ANDREA CAVAGNINO Convenzione di segno dei generatori i(t)

Equazione alla maglia: v(t ) = − R ⋅ i (t ) + e(t )

R

Allora deve risultare: e = − e(t)

v(t)

dΛ dt

Infatti: Se ∆i > 0 ⇒ ∆Λ > 0 ⇒ E < 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente. Se ∆i < 0 ⇒ ∆Λ < 0 ⇒ E > 0 (rispetto alla freccia) per opporsi alla variazione di corrente.

Φ(t)

Osservazione:

Si comprende come, per produrre gli stessi effetti in termini di f.e.m. ovvero di forza meccanica, l’utilizzo di un materiale ad alta permeabilità riduca notevolmente le correnti di eccitazione necessarie. Per questo motivo i circuiti magnetici delle macchine elettriche sono realizzati con materiali ferromagnetici.

≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈ Nella tabella seguente sono riportati le principali grandezze, con le relative unità di misura, usate per descrivere i fenomeni elettromagnetici. Unità di misura delle principali grandezze elettromagnetiche Grandezza Corrente Densità di corrente Campo magnetico Flusso magnetico Induzione magnetica Induttanza di un avvolgimento Permeabilità magnetica Riluttanza di un circuito magnetico Forza magnetomotrice

8

Simbolo I J, δ H

Φ B L

µ ℜ A, NI

Unità di misura [A] - ampere [A/m2] [A/m] [Wb] - weber [T]- tesla o [Wb/m2] [H] - henry [H/m] [H-1] [A] o [A⋅spire]

MACCHINE ELETTRICHE

1.3 – Classificazione dei materiali magnetici In un materiale magneticamente inerte (vuoto, aria,...) tra H e B intercorre una relazione di pura proporzionalità espressa dalla (1.6). I valori della permeabilità magnetica sono, in questi casi, molto prossimi a µo e la definizione di B, nella descrizione del fenomeno magnetico, sarebbe ridondante rispetto alla definizione di H. In generale, dal punto di vista magnetico i materiali sono classificati nel seguente modo: Materiali diamagnetici:

µr < 1 (≈ 1)

Materiali paramagnetici:

µr > 1 (≈ 1)

Materiali ferromagnetici:

µr elevata (102 ÷ 104) e funzione del campo H.

I primi due tipi sono di scarsa utilità nelle applicazioni, mentre i materiali ferromagnetici rivestono un ruolo fondamentale nella realizzazione delle macchine elettriche.

1.3.1 Materiali ferromagnetici I materiali ferromagnetici risultano attivi dal punto di vista magnetico, in quanto partecipano alla magnetizzazione attraverso la propria struttura cristallina, interagendo con il campo magnetico prodotto esternamente. Le modalità di azione sono giustificabili in forma intuitiva attraverso l’analisi del comportamento magnetico della particolare struttura a domini magnetici tipica di questi materiali. Definizione: Un dominio magnetico è costituito da un insieme di atomi i cui ‘spin’ elettronici sono orientati tutti nello stesso verso. Internamente al dominio esiste pertanto un campo magnetico dotato di un orientamento preferenziale. A causa del disordine naturale, i vari domini risultano polarizzati magneticamente in modo casuale e non danno luogo ad un effetto combinato macroscopico come schematizzato nella figura di sinistra.

Campo esterno

Schema di polarizzazione di un materiale ferromagnetico

Tuttavia, sotto l’azione di un campo magnetico esterno, i domini tendono a disporsi in modo da favorire il campo eccitante. Questo può avvenire sia attraverso uno spostamento delle pareti di separazione, volto a favorire l’allargamento dei domini già polarizzati nel verso del campo esterno, sia attraverso una rotazione in verso concorde con il campo della polarizzazione del singolo dominio. L’azione si produce in modo graduale ed è legata all’intensità del campo eccitante. Per campi particolarmente intensi si può arrivare al completo orientamento del materiale (fenomeno della saturazione). L’effetto magnetico prodotto in termini macroscopici equivale alla presenza nel materiale di una corrente nascosta che tende a rafforzare l’effetto della corrente di eccitazione esterna.

9

PROF. ANDREA CAVAGNINO corrente di eccitazione Hspin

B corrente equivalente di spin

I H

e-

Ih

Ispin

ωspin l a)

b) a) Rappresentazione dello spin b) Corrente equivalente di spin

Nella applicazione della legge della circuitazione (1.5) occorrerebbe tenere conto anche di questa corrente nascosta per poter valutare il campo risultante prodotto dall’azione del materiale magnetico. Poiché questa corrente risulta di difficile valutazione si preferisce attribuire a B l’effetto risultante generato dal materiale magnetico e dalla corrente di eccitazione, lasciando ad H il significato di campo originato dalla sola corrente di eccitazione. I = ∫ H × dl l

I + Ih = ∫

Ne consegue che per i materiali ferromagnetici deve essere fornita la relazione B=B(H). Tale andamento, per un materiale magnetizzato per la prima volta, variando il campo da un valore nullo fino ad uno massimo, è indicato nella figura a fianco. La caratteristica indicata viene denominata curva di prima magnetizzazione. La pendenza massima della caratteristica di magnetizzazione di un materiale ferromagnetico risulta dell’ordine di 103÷104 volte la pendenza della caratteristica magnetica del vuoto. Questo significa che, per produrre uguali valori di induzione, vengono richiesti valori del campo (e quindi della corrente di eccitazione) 104 volte più piccoli nel ferro di quelli necessari nel vuoto (ovvero nell’aria). Diminuendo con continuità il campo H dal valore massimo a zero non si ripercorre più la caratteristica di prima magnetizzazione a causa degli attriti nei moti di orientamento dei domini.

l

B × dl µ0

B Ginocchio

saturazione magnetica permeabilità ridotta

permeabilità elevata

H

Curva di prima magnetizzazione

Br

Si noti che annullando il campo esterno rimane un orientamento residuo dei domini e quindi un valore di induzione residua (Br). Per annullare l’induzione residua si deve applicare al materiale un campo esterno negativo (cioè di verso opposto al precedente), denominato campo coercitivo (Hc). 10

MACCHINE ELETTRICHE

Ciclo di isteresi simmetrico

Sulla base di quanto esposto, sottoponendo il materiale ad una magnetizzazione alternativa (ad esempio sinusoidale) si percorrerà un ciclo. Tale ciclo viene denominato ciclo di isteresi. L’area del ciclo d’isteresi (in giallo) assume il significato di energia per unità di volume perduta nel materiale per un ciclo completo di magnetizzazione. Tale dissipazione di energia è imputabile agli attriti connessi con il movimento delle pareti dei domini; essa assume un’espressione del tipo:

Ei = K i ⋅ B η

(1.12)

ove Ki ed η dipendono dal tipo di materiale. Tipicamente η varia tra 1.6 e 2.2. Si definisce curva di normale magnetizzazione del materiale il luogo dei punti costituito dai vertici dei cicli di isteresi simmetrici di ampiezza crescente.

Curva di normale magnetizzazione (quadrati)

11

PROF. ANDREA CAVAGNINO I materiali ferromagnetici vengono a loro volta classificati in due famiglie a seconda della forma del loro ciclo di isteresi: Materiali magnetici dolci. Materiali magnetici duri.

Materiale magnetico dolce

Materiale magnetico duro

I primi sono caratterizzati da un ciclo di isteresi stretto e molto pendente (cioè con permeabilità molto elevate) e vengono utilizzati nella realizzazione dei circuiti magnetici delle macchine elettriche (in forma massiccia per flussi costanti o in forma laminata per flussi variabili nel tempo). I materiali magnetici duri sono invece caratterizzati da un ciclo di isteresi molto ampio con valori di induzione residua e campo coercitivo elevati. Vengono utilizzati per la realizzazione di magneti permanenti. Vista la forma del loro ciclo di isteresi, questi materiali non possono essere eccitati con campi alternativi in quanto le perdite per isteresi sarebbero troppo elevate. I materiali ferromagnetici previsti per lavorare con flussi variabili nel tempo sono laminati. Si parla quindi di lamiere magnetiche. Le lamiere magnetiche per macchine elettriche si dividono in due tipi: Lamiere a grani non orientati Lamiere a grani orientati In entrambi i tipi viene aggiunta una opportuna percentuale di silicio per limitare le perdite in presenza di magnetizzazione variabile. Le lamiere a grani orientati, grazie ad una opportuna tecnica di laminazione, garantiscono lungo la direzione della laminazione ottime prestazioni sia in termini di permeabilità che di perdite. Ne consegue che esse devono essere utilizzate quando la direzione del campo magnetico è determinata (ad esempio nel circuito magnetico dei trasformatori).

12

MACCHINE ELETTRICHE

1.4 - Perdite nei materiali magnetici eccitati in c.a. Quando un materiale ferromagnetico viene magnetizzato con un campo alternato (ovvero le correnti di eccitazione sono alternate) si verificano perdite di potenza originate dalla variazione nel tempo del campo magnetico. Queste perdite sono da collegare a due fenomeni distinti: l’isteresi magnetica la circolazione di correnti parassite.

1.4.1 - Perdite per isteresi. Le perdite di potenza dovute all’isteresi magnetica sono associate all’energia dissipata dall’unità di volume del materiale per descrivere un ciclo di isteresi completo. Questa energia è descritta dalla relazione (1.12). Se la magnetizzazione alternativa avviene con una frequenza f, le perdite specifiche di potenza (espresse in W/kg) per isteresi sono esprimibili nel modo seguente:

Pi = K ⋅ Bη ⋅ f

(1.13)

Per ridurre questo tipo di perdite occorre ridurre l’area del ciclo di isteresi del materiale. Questo viene usualmente ottenuto con l’impiego di lamiere di ferro legato al silicio.

1.4.2 - Perdite per correnti parassite. Quando nel materiale ferromagnetico il flusso è variabile nel tempo, oltre all’isteresi magnetica occorre considerare un altro fenomeno. Infatti nel materiale magnetico si induce, per la legge di Lenz una f.e.m. che tende a contrastare in ogni istante la variazione del flusso. In regime sinusoidale, questa f.e.m. assume un valore proporzionale alla pulsazione ω e all’ampiezza dell’oscillazione del flusso, ovvero dell’induzione B presente nel ferro.

Φ(t)

E ∝ω ⋅B

Poiché il ferro è anche un materiale conduttore, la f.e.m. prodotta dà origine a correnti di circolazione, che risultano limitate dalla resistenza ohmica offerta dal materiale. La potenza specifica perduta per effetto Joule in questo fenomeno è esprimibile in linea di massima nel seguente modo: E2 ω2 B 2 Pcp = ∝ Req Req

Andamento delle correnti parassite (linee nere) all’interno di un materiale ferromagnetico massiccio

(1.14)

dove Req rappresenta la resistenza equivalente del nucleo al passaggio delle correnti indotte. Allo scopo di limitare questo tipo di perdite si può intervenire in due modi sul materiale: • aumento della resistività del materiale (ad esempio attraverso l’impiego di percentuali di silicio dal 2% al 6% ); • laminazione del nucleo parallelamente alla direzione del campo magnetico, in modo da offrire piccole sezioni al passaggio delle correnti parassite con conseguente incremento della resistenza equivalente.

13

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Φ(t)

Φ(t)

SI

NO

Laminazione dei circuiti magnetici

1.4.3 - Cifra di perdita di una lamiera magnetica Le perdite complessive di potenza che si producono in un chilogrammo di materiale magnetico in conseguenza della magnetizzazione alternativa possono essere espresse attraverso una relazione del seguente tipo: Psp = k ⋅ B η ⋅ f + h ⋅ B 2 ⋅ f

2

(1.15)

ove f è la frequenza della corrente di eccitazione che crea il campo e B è l’ampiezza dell’oscillazione dell’induzione (valore massimo). Psp indica le perdite specifiche ed è espressa in W/kg. 10 Perdite spec. a 50 Hz (W/kg) 0,65 mm 0,65 mm

0,50 mm

1

0,50 mm 0,35 mm

B (Tesla)

0,1 0,5

1

1,5

2

Perdite specifiche tipiche di lamiere magnetiche di diverso spessore e diverso tenore di silicio

Si definisce cifra di perdita di una lamiera magnetica la potenza perduta in un chilogrammo di materiale sottoposto a magnetizzazione sinusoidale di ampiezza Bmax = 1 T, alla frequenza di 50 Hz. 14

MACCHINE ELETTRICHE Oggigiorno, in considerazione alle prestazioni garantite dalle lamiere disponibili sul mercato ed al loro utilizzo, la cifra di perdita viene anche riferita ad una magnetizzazione sinusoidale a 50 Hz di ampiezza massima di1.5 T. Nota

Le lamiere magnetiche a grani non orientati vengono commercialmente denominate con un codice di 4 cifre in cui le prime due cifre indicano la cifra di perdita a 1.5 T moltiplicata per dieci, mentre le ultime due cifre indicano lo spessore di laminazione in centesimi di millimetro. Esempio Il codice 2535 descrive una lamiera da 2.5 W/kg a 1.5 T di spessore uguale a 0.35 mm.

2.0

Induzione (B), [T]

1.5

Lamierino 2535 (non orientato)

1.0

Lamierino M6T35 (grano orientato)

0.5

Campo (H), [A/m]

0.0 0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

Caratteristica B-H a 50 Hz: lamierino a grano non orientato (2535) e a grano orientato (M6T35)

4.0

Psp a 50 Hz [W/kg] 3.5

Lamierino 2535 (non orientato) 3.0

Lamierino M6T35 (grano orientato) 2.5

2.0

1.5

1.0

0.5

Induzione (B), [T] 0.0 0.00

0.20

0.40

0.60

0.80

1.00

1.20

1.40

1.60

1.80

2.00

Perdite specifiche a 50 Hz: lamierino a grano non orientato (2535) e a grano orientato (M6T35)

15

PROF. ANDREA CAVAGNINO

1.5- Materiali conduttori Nelle macchine elettriche i conduttori vengono utilizzati per realizzare gli avvolgimenti. I principali tipi di conduttori utilizzati sono il rame e l’alluminio. I materiali conduttori sono caratterizzati da un basso valore della resistività ρ. I migliori materiali conduttori presentano valori di resistività dell’ordine di 10-8 Ωm. La resistenza [Ω] che un conduttore di lunghezza l e sezione trasversale A presenta al passaggio di corrente vale: l (1.16) A Quando il conduttore è attraversato da una corrente I, uniformemente distribuita nella sua sezione, dissipa sotto forma di calore una potenza data da: R=ρ

Pj = R ⋅ I 2

(Perdite Joule, [W])

(1.17)

e si scalda di conseguenza raggiungendo temperature tanto più elevate, quanto più alta è la corrente. Si definisce densità di corrente δ (A/m2) il rapporto tra la corrente e la sezione del conduttore: I (Densità di corrente, [A/m2]) (1.18) A Le perdite in un conduttore possono essere espresse in funzione della densità di corrente nel seguente modo: δ=

Pj = R ⋅ I 2 = ρ

l ⋅ (δ ⋅ A)2 = ρ ⋅ δ 2 ⋅ volume A

(1.19)

Questa espressione delle perdite è analoga all’espressione delle perdite che si verificano in un materiale magnetico (vedi relazione 1.14). I valori di B per il ferro e di δ per i conduttori assumono quindi il significato di indici di sfruttamento dei materiali: maggiore è il loro valore maggiori sono le perdite nei materiali.

1.5.1 - Riscaldamento dei conduttori Le perdite che si verificano nei conduttori al passaggio di corrente provocano un aumento della temperatura. Immaginando che lo scambio termico tra il conduttore e l’ambiente esterno, alla temperatura θa, avvenga esclusivamente secondo la legge convezione (vedi paragrafo 1.11), la temperatura raggiunta dal conduttore a regime risulta data da:

θc = θa +

Pj k⋅S

(1.20)

dove S è la superficie attraverso cui avviene lo scambio termico con l’ambiente e k è il coefficiente di scambio termico. Appare pertanto chiaro che, più bassa è la resistività del materiale con cui è realizzato il conduttore, minore risulta la sua sovratemperatura a parità di corrente. In altri termini, a parità di sovratemperatura raggiunta, maggiore risulta il valore di corrente che il conduttore può sopportare. Il limite massimo di temperatura tollerabile per un conduttore è generalmente dettato dal tipo di materiale usato per l’isolamento. Gli isolanti con cui sono rivestiti i conduttori subiscono un degrado chimico (invecchiamento) tanto più veloce quanto maggiore è la loro temperatura di lavoro. Per questo motivo gli isolanti vengono divisi in classi caratterizzate dalla massima temperatura di impiego (vedi paragrafo 1.6). 16

MACCHINE ELETTRICHE Il riscaldamento di un conduttore, oltre a portare ad un più rapido degrado dell’isolamento, provoca anche un aumento del valore della resistività ρ. Tale aumento è espresso dalla seguente formula attraverso il coefficiente di temperatura α caratteristico del materiale:  

ρ(θ ) = ρ ( 0)1 +

θ  α

(1.21)

dove ρ(0) è la resistività del materiale a 0 °C (vedi tabella seguente). Il gradiente positivo della resistività con la temperatura, può portare in qualche raro caso, a fenomeni di instabilità termica e ad un accrescimento della temperatura dei conduttori oltre ogni limite con conseguente distruzione dell’isolamento e dell’apparecchiatura. La temperatura di regime di un conduttore può infatti essere calcolata usando le relazioni 1.19, 1.20 e 1.21 nel modo seguente:

ρ0 δ volume  2

θc  1 +  =  α

θa +

ρ0δ 2 volume

k⋅S (1.22) k⋅S ρ0δ volume 1− α ⋅k⋅S I fenomeni di instabilità termica si verificano quando il denominatore della frazione (1.22) diventa prossimo a zero. Dall’analisi dell’espressione (1.22) si osserva che il rischio può diventare consistente in presenza di alti valori di perdita (grossi volumi di rame sfruttati ad alta densità di corrente) e bassi valori di superfici di scambio termico e di coefficiente di scambio.

θc = θa +

Materiale Rame Alluminio

2

Principali materiali conduttori Resistività a 0 °C Coefficiente Temperatura ρ [Ω⋅m] α [°C] 0.0159e-6 234.5 0.0258e-6 230.0

Peso specifico γ [kg/m3] 8890 2650

1.5.2 - Effetto pelle La resistenza di un conduttore calcolata secondo la (1.16) risulta corretta solo se la corrente è distribuita uniformemente entro la sezione A del conduttore. Questo accade sempre quando la corrente è continua, quando invece la corrente è alternata o comunque variabile nel tempo si osserva che sua la distribuzione internamente al conduttore non è più uniforme, ma tende ad addensarsi sulla sua superficie esterna dando luogo al così detto “effetto pelle” (skin effect). Per comprendere questo fenomeno si pensi di suddividere idealmente la sezione del conduttore in un certo numero di strati concentrici di eguale area, come illustrato nella figura seguente, in modo che ciascuno strato presenti la stessa resistenza per unità di lunghezza. Occorre osservare che, in presenza di corrente elettrica, dentro e fuori dal conduttore viene generato un campo magnetico le cui linee di campo concatenano in misura diversa i diversi strati concentrici. Gli strati più interni sono circondati ovviamente da un numero maggiore di linee di campo degli strati più esterni. Si può quindi asserire, sia pure in modo approssimativo, che gli strati più interni sono caratterizzati da una induttanza[3] maggiore rispetto agli strati più esterni.

[3]

Il coefficiente di autoinduttanza o induttanza è definito come il rapporto tra flusso autoconcatenato e la corrente che circola nel conduttore. Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 1.7.1.

17

PROF. ANDREA CAVAGNINO L’insieme degli strati può essere schematicamente rappresentato attraverso diversi rami di circuito in parallelo. Ciascun ramo possiede lo stesso valore di resistenza, ma ha una induttanza L diversa a seconda della profondità ( con riferimento alla figura seguente risulta: L1 > L2 > L3 > L4 ). Campo magnetico 1

R

L1

R

L2

R

L3

R

L4

i1

i2

2 3 4

i i3 i4

Suddivisione della sezione retta del conduttore in strati di eguale area

Quando il conduttore è attraversato da una corrente costante nel tempo, il ruolo delle induttanze è nullo e la corrente tra gli strati viene ripartita in ragione inversa delle resistenze. La distribuzione di corrente risulta in questo caso uniforme. Se la corrente che percorre il conduttore è alternata sinusoidale di pulsazione ω, la corrente nei vari strati si ripartisce in ragione inversa delle singole impedenze R + jωLi. A causa del diverso valore della parte induttiva delle impedenze dei diversi strati, la corrente tende ad addensarsi verso la parte più esterna del conduttore. La disuniformità di distribuzione si accentua al crescere della frequenza della corrente ed, in conseguenza di questo fatto, la resistenza apparente e le perdite del conduttore per effetto Joule aumentano. Infatti, si può ritenere che a causa dell’addensamento superficiale della corrente non tutta la sezione del conduttore venga utilizzata per il passaggio della corrente e quindi nella formula (1.16) che definisce la resistenza, l’area utile A risulta ridotta rispetto all’area geometrica. Il fenomeno dell’effetto pelle si presenta come un aspetto negativo nella conduzione di correnti alternate in quanto produce maggiori dissipazioni di energia, tuttavia in diverse applicazioni può essere sfruttato vantaggiosamente. Ad esempio, nel caso di apparecchiature elettromedicali che prevedano il passaggio di corrente nel corpo umano, l’impiego di frequenze elevate consente di fare in modo che la corrente si distribuisca sulla pelle del corpo anziché andare ad interessare fibre muscolari o nervose in profondità con ovvii rischi per l’incolumità del paziente. Nel caso di processi di tempra superficiale di particolari metallici, l’impiego di correnti ad alta frequenza viene utilmente sfruttato per produrre riscaldamenti localizzati sulla superficie dei pezzi: regolando la frequenza si può dosare in modo estremamente semplice lo spessore di penetrazione della corrente e lo spessore della zona temprata. Molti motori asincroni usano in misura maggiore o minore questo fenomeno per apportare le modifiche desiderate alla forma delle caratteristiche di coppia in funzione della velocità.

18

MACCHINE ELETTRICHE

1.6 – Materiali isolanti I materiali isolanti hanno il compito di isolare elettricamente le parti in tensione (avvolgimenti) dalle altre parti della macchina (circuiti magnetici, carcassa, ..). Ovviamente, gli isolanti servono anche per isolare tra loro le singole spire di un avvolgimento ed avvolgimenti diversi. Il funzionamento e la durata delle macchine elettriche dipendono essenzialmente dagli isolanti che costituiscono la parte più sensibile alle sollecitazioni termiche, dielettriche e meccaniche. Infatti, mentre l'usura degli organi di meccanici (cuscinetti, commutatori, spazzole, …) e quindi i corrispondenti guasti sono relativamente prevedibili ed evitabili, grazie ad una corretta manutenzione, non altrettanto succede per i guasti dovuti alle alterazioni degli isolanti causate da riscaldamento, sovratensioni e sollecitazioni meccaniche. Le principali proprietà degli isolanti sono: la rigidità dielettrica (il più alto valore del gradiente di tensione che il materiale può sopportare senza che avvenga la scarica) costante dielettrica la conducibilità termica. Alcuni esempi di isolanti usati nelle macchine elettriche sono la carta ed il cartone, la mica, le resine, gli smalti, le vernici, il vetro, le plastiche, ecc. Esistono anche isolanti liquidi (oli) e gassosi (azoto, esafluoruro di zolfo, …) Le norme CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) definiscono alcune classi di isolamento in base alla massima temperatura che gli isolanti elettrici possono sopportare senza perdere le loro proprietà dielettriche. Le classi di isolamento sono codificate con una lettera. Quelle di maggior interesse nella realizzazione delle macchine elettriche solo la classe F (temperatura massima = 155°C) e la classe H (temperatura massima = 180 °C).

1.7 – Elettromagneti - circuiti magnetici Un elettromagnete è una struttura costituita da un nucleo di materiale ferromagnetico, destinata a convogliare il flusso magnetico prodotto da un avvolgimento di eccitazione percorso da corrente alternata o continua. Molto spesso l’elettromagnete può essere trattato, dal punto di vista del campo magnetico, come un tubo di flusso; infatti, l’alta permeabilità del materiale ferromagnetico fa in modo che l’induzione magnetica sia presente esclusivamente entro la struttura fisica dell’elettromagnete. Le diverse macchine elettriche sono interpretabili come elettromagneti dotati di diverse forme circuitali e di diverse modalità di eccitazione. Si consideri l’elettromagnete elementare illustrato nella figura a fianco, formato da una struttura in materiale ferromagnetico (nucleo), intercalata con uno strato in aria (traferro) e da una bobina di eccitazione. Si consideri la linea media del tubo di flusso alla quale applicare la legge della circuitazione (linea tratteggiata). Si ipotizza la costanza della sezione del tratto in ferro e del traferro lungo la linea media.

Sm I lt Ll m

St

Elettromagnete Circuito magnetico con traferro

19

PROF. ANDREA CAVAGNINO Si indichino con: l t, l m

lunghezze medie del circuito in aria e in ferro;

St, Sm

aree delle sezioni del traferro e del ferro (trasversali alla linea media);

N, I

numero di spire e corrente della bobina.

Il calcolo dell’elettromagnete consiste nella determinazione della caratteristica di eccitazione, ovvero nella determinazione della relazione tra il flusso prodotto dall’elettromagnete e la corrente nella bobina. Il procedimento si basa sul seguente algoritmo: 1. - Si fissa un valore di flusso Φ nel circuito magnetico. 2. - Si determinano le induzioni presenti nel traferro e nel ferro attraverso le relazioni: Bt =

Φ ; St

Bm =

Φ Sm

3. - Dalla caratteristica magnetica del materiale ferromagnetico si ricava il valore del campo magnetico nel nucleo (si ricorda la non linearità del materiale, Hm=Hm(Bm)). Il campo al traferro si calcola immediatamente come: Ht =

Bt

µ0

4. - Dalla legge della circuitazione magnetica (1.5) si ricava il prodotto NI (corrente concatenata alla linea di circuitazione). Grazie all’ipotesi che il circuito magnetico sia costituito da tronchi a sezione costante e che in ogni tronco il campo sia uniforme ed ortogonale alla sezione, la legge della circuitazione assume l’espressione seguente:

N ⋅ I = H m l m + H t lt

(1.23)

5. - Si ripete il procedimento per diversi valori di flusso e si riportano i risultati in un diagramma, che rappresenta la caratteristica magnetica dell’elettromagnete (molte volte si diagramma il flusso concatenato con la bobina anziché il flusso nel circuito magnetico). caduta di tensione magnetica al traferro Φ

Ht⋅lt Hm⋅lm caduta di tensione magnetica nel ferro f.m.m necessaria per produrre il flusso Φ NI Caratteristica magnetica dell’elettromagnete

La retta trattgiata nella figura precedente viene denominata retta di traferro. Si osservi che Per piccoli valori del flusso e quindi dell’induzione, il ferro mette in gioco valori molto modesti di campo. Come conseguenza la quota preponderante di caduta di tensione magnetica è da imputare al traferro (si parla di “effetto linearizzante” dei traferri). Per alti valori del 20

MACCHINE ELETTRICHE flusso e quindi di induzione, la caduta di tensione magnetica nel ferro non è più trascurabile a causa della saturazione. Si noti che la caratteristica magnetica dell’elettromagnete non è la curva di magnetizzazione del materiale magnetico. Infatti, la prima caratteristica si può interpretare come una proprietà “macroscopica” dell’elettromagnete, mentre la seconda è una proprietà “puntuale” del materiale ferromagnetico utilizzato nella costruzione dell’elettromagnete. I termini che compaiono nella relazione (1.23) vengono definiti nel seguente modo: Il prodotto NI viene definito forza magnetomotrice applicata al circuito magnetico. I prodotti Htlt e Hmlm vengono definiti cadute di tensione magnetica. Se nell’espressione (1.23) si esprimono i valori del campo direttamente attraverso i valori del flusso, si ottiene la seguente importante espressione:

N⋅I =

lm l Φ + t Φ = ℜm ⋅ Φ + ℜt ⋅ Φ µ ⋅ Sm µ0 ⋅ S t

La relazione (1.24) è nota come legge di Hopkinson. Le grandezze ℜ = l / (µ S) vengono denominate riluttanze magnetiche del tronco e si misurano in H-1. Se il tronco avesse una sezione non costante lungo la linea media di circuitazione la riluttanza assume la seguente formulazione:

(1.24)

ltronco

Φ

S(l)

1 ⋅ dl ( ) µ ⋅ S l l

ℜ=∫

Si osservi che la corrente concatenata con la linea di circuitazione può quindi venire determinata in due modi equivalenti. Ad esempio, nel caso di più forze magnetomotrici agenti sulla linea di circuitazione si può scrivere:  ∑ H tronco × l tronco tronchi  I Concatenata = ∑ N k ⋅ I k =   k ℜ ⋅ Φ tronco  ∑ tronco tronchi 

Legge della circuitazione

Legge di Hopkinson

Il problema della non linearità del ferro rimane inalterato in entrambe le formulazioni. Infatti, nella legge della circuitazione è contenuto nel valore Htronco = Htronco(Btronco), mentre nella seconda equazione è contenuto nel valore µtronco = µ(Btronco). Ne consegue che non è possibile calcolare il flusso in un elettromagnete quando viene fornito il valore della forza megnetomotrice (NI). Infatti, non essendo noto il flusso, non è possibile determinare il valore dell’induzione e quindi i valori di campo o i valori di permeabilità. Questo problema non lineare viene quindi risolto per via indiretta calcolando preliminarmente la caratteristica magnetica dell’elettromagnete. Successivamente si valuta per via grafica il flusso che compete alla forza magnetomotrice fornita. L’espressione (1.24) permette di definire un’analogia formale tra i circuiti magnetici e quelli elettrici. Infatti, la (1.24) si può interpretare come la legge di Ohm assegnando alle grandezze il seguente significato: Forza magnetomotrice (NI) ⇒ tensione (V) Riluttanza (ℜ) ⇒ resistenza (R) Flusso Φ ⇒ corrente (I)

21

PROF. ANDREA CAVAGNINO Nel caso dell’elettromagnete finora considerato, l’analogia formale permette di definire la seguente rete elettrica (si noti l’uso delle grandezze magnetiche anche nella rete equivalente). ℜm I NI

ℜt

Φ

Poiché si possono applicare le tecniche di risoluzione note per le reti elettriche, l’impiego dell’analogia tra reti magnetiche ed elettriche è particolarmente interessante per giungere velocemente alla possibile soluzione di circuiti magnetici complessi. Si osservi inoltre che la rete elettrica equivalente conserva la “topografia” della rete magnetica di partenza (stesse “connessioni” dei tronchi). Ad esempio, una volta identificati i tronchi del circuito magnetico, la definizione della rete elettrica equivalente per il seguente elettromagnete risulta immediata. Si osservino i versi assegnati alle F.m.m. (regola della mano destra) ℜ

N1 Φ

Φ1

N2 I1

ℜ1

I2 ℜt Φ2

Φ1

Φ

+

ℜ2 Φ2 N2 I2

N1I1 +

1.7.1 – Coefficiente di autoinduttanza e mutua induttanza Si consideri una bobina percorsa da corrente. Il coefficiente di autoinduttanza (o semplicemente induttanza) della bobina è il rapporto tra il flusso concatenato alla bobina e la corrente che lo genera (da qui i termini autoinduttanza e flusso autoconcatenato). L=

Λ N ⋅Φ = I I

(1.25)

Ricordando la legge di Hopkinson (NI = ℜeqΦ), la relazione (1.25) può essere riscritta nel seguente modo: Λ N ⋅Φ N N ⋅ I N2 = ⋅ L= = = I I I ℜ eq ℜ eq

(1.26)

L’unità di misura dell’induttanza è l’Henry ([H] = [Wb/A] = [Vs/A] = [Ω s]). Si noti che in presenza di materiali magnetici non lineari anche l’induttanza è un parametro non lineare per gli stessi motivi per cui non lo è la riluttanza. La formulazione attraverso la riluttanza, evidenzia l’influenza sul valore di induttanza delle dimensioni dell’elettromagnete e della permeabilità equivalente del circuito magnetico. 22

MACCHINE ELETTRICHE Osservazione

Φp

Nella figura a fianco sono schematizzate le line di campo di una bobina avvolta su un nucleo ferromagnetico. Esiste un flusso concatenato alla bobina che non passa nel nucleo e si richiude nell’aria circostante. Tale flusso viene denominato flusso disperso (Φd). Il flusso all’interno del nucleo viene generalmente interpretato come flusso principale (Φp). Ne consegue che il flusso concatenato totale con la bobina vale:

(

Φd

)

Λ = N ⋅ Φ p + Φd = Λ p + Λd

e l’autoinduttanza della bobina risulta: L=

N2 N2 Λ Λ p Λd = + = + = L p + Ld I I I ℜ p ℜd

(1.27)

dove Ld è l’induttanza di dispersione dell’avvolgimento. Il parametro ℜd è la riluttanza del tubo di flusso in cui passano i flussi dispersi. Poiché tali flussi evolvono in gran parte in aria, la riluttanza di dispersione non è influenzata da fenomeni di saturazione. Si noti che il calcolo analitico di ℜd è in generale molto complesso vista la difficoltà di definire la lunghezza e la sezione del relativo tubo di flusso. I coefficienti di muta induttanza servono per calcolare il flusso concatenato con una bobina creato da un altro avvolgimento. Si noti che tale flusso esiste anche quando la bobina non è percorsa da corrente. Si consideri la seguente situazione:

Le due bobine (di N1 e N2 spire) sono caratterizzate ciascuna dalla loro induttanza calcolabile come indicato in precedenza. Per valutare correttamente il flusso concatenato con ogni bobina si deve tener conto del flusso “mutuamente” scambiato. Si ipotizzi nulla la corrente nell’avvolgimento di destra, il flusso concatenato con la bobina 2 dovuto alla corrente I1 vale: N ⋅I N ⋅N (1.28) Λ c 2 = N 2 ⋅ Φ c 2 = N 2 ⋅ 1 1 = 2 1 ⋅ I1 = M 21 ⋅ I ℜx ℜx dove ℜx è la riluttanza del tubo di flusso comune alle due bobine (indicato in azzurro). 23

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il coefficiente M21 è il coefficiente di mutua induttanza del circuito 2 rispetto al circuito 1. Ripetendo il calcolo considerando l’avvolgimento 2 percorso da corrente e calcolando il flusso concatenato con la bobina 1 si ricaverà il coefficiente M12. Tale coefficiente risulterà numericamente uguale a M21. Si noti che al coefficiente di mutua induttanza risulta negativo quando il flusso scambiato tra le bobine ha direzione opposta a quella assunta convenzionalmente positiva per ogni singola bobina. Invece il coefficiente di autoinduttanza è un parametro sempre positivo. Definiti i coefficienti di mutua induttanza, il flusso concatenato totale di ciascun avvolgimento può essere valutato nel modo seguente: Λ1 = L1 ⋅ I1 + M 12 ⋅ I 2   Λ = M ⋅ I + L ⋅ I 21 1 2 2  2

(1.29)

Esempio

Φ2

Φ1 I1

I2 Φ3

N1

N2

ℜ3 ℜ2

ℜ1 Con I1 > 0 e I2 = 0 Φ1 = Φ2 =

N1 ⋅ I1 ℜ eq1 N1 ⋅ I 1 ℜ*eq

dove

ℜ eq1 = ℜ1 +

dove

ℜ*eq =

ℜ 2 ⋅ ℜ3 ℜ 2 + ℜ3

ℜ1 ⋅ ℜ 2 + ℜ1 ⋅ ℜ 3 + ℜ 2 ⋅ ℜ 3 ℜ3

Calcolando i flussi concatenati delle bobine ed applicando le definizioni date si ottengono i seguenti coefficienti: L1 =

N12 ℜ eq1

M 21 = +

N 2 ⋅ N1 ℜ*eq

Si osservi che il parametro M21 è positivo in quanto il flusso Φ2 è concorde al flusso creato dalla bobina due quando in questa si invia una corrente positiva rispetto alla freccia indicata (regola della mano destra). Con I1 = 0 e I2 > 0 Φ2 =

24

N2 ⋅ I2 ℜ eq 2

dove

ℜ eq 2 = ℜ 2 +

ℜ1 ⋅ ℜ 3 ℜ1 + ℜ 3

MACCHINE ELETTRICHE Φ1 =

N2 ⋅ I2

ℜ*eq =

dove

ℜ*eq

ℜ1 ⋅ ℜ 2 + ℜ1 ⋅ ℜ 3 + ℜ 2 ⋅ ℜ 3 ℜ3

Ne consegue: L2 =

N 22 ℜ eq 2

N ⋅N M 12 = + 1 2 = M 21 ℜ*eq

1.7.2 – Circuiti magnetici eccitati con magneti permanenti Per produrre flusso costante risulta particolarmente utile nelle costruzioni elettromeccaniche l’impiego di magneti permanenti. Con questa soluzione si evita di dover predisporre avvolgimenti di eccitazione percorsi da corrente continua e si ottengono costruzioni più compatte ed energeticamente più efficienti. I materiali per magneti permanenti sono dotati di un ampio ciclo di isteresi, che consente loro di mantenere valori di induzione elevati anche in assenza di eccitazione esterna. Si definisce induzione residua del magnete permanente l’induzione prodotta in assenza di campo di eccitazione e il campo coercitivo del magnete permanente il campo di segno opposto alla magnetizzazione che occorre applicare perché l’induzione del magnete si annulli.

Curve B-H di alcuni tipi di magneti permanenti

Caratteristiche di pregio per imagneti permanenti sono alti valori dell’induzione residua e del campo coercitivo. Il calcolo di un magnete permanente consiste nella determinazione del punto di lavoro del magnete (Hm ,Bm) in relazione alla geometria del circuito magnetico in cui è inserito. Ovvero, fissato il punto di lavoro (Hm,Bm) consiste nella determinazione del volume di magnete necessario a produrre al traferro il flusso desiderato. traferro Bm Punto di lavoro del magnete a carico

Br induzione residua St, lt

Retta di traferro ciclo di isteresi

lm

Sm

Hm

Hc campo coercitivo

Magnete permanente Magnete permanente e suo impiego

25

PROF. ANDREA CAVAGNINO 1.7.2.1 - Calcolo del punto di lavoro del magnete

Per il calcolo del punto di lavoro di un magnete si segue la stessa tecnica del calcolo dell’elettromagnete e ci si avvale dell’applicazione delle due leggi fondamentali dell’elettromagnetismo: la legge della circuitazione magnetica; la solenoidalità dell’induzione. Con riferimento allo schema di magnete permanente rappresentato nella figura precedente si può scrivere: H m l m + H t lt = 0;

Bm S m = Bt S t

Ricordando che Bt = µ0 H t , si ottiene la seguente relazione tra Bm ed Hm: Bm = - µ0 H m

lm S t lt S m

(1.30)

Questa relazione (retta di traferro) unitamente al ciclo di isteresi del materiale consente di determinare il punto di funzionamento del magnete. È possibile fare le seguenti osservazioni: Il campo magnetico Hm internamente al magnete ha segno opposto all’induzione (si tratta quindi di un campo smagnetizzante). Un aumento della lunghezza del traferro comporta un aumento del campo smagnetizzante ed un abbassamento dell’induzione e del flusso forniti dal magnete. Valori elevati di campo coercitivo ovvero di lunghezze di magnete consentono una maggiore stabilità dell’induzione prodotta da variazioni di lunghezza di traferro. 1.7.2.2 - Scelta delle dimensioni del magnete

Fissati i valori Bm, Hm sulla curva caratteristica del magnete, si possono agevolmente determinare le dimensioni Sm, lm necessarie a produrre un determinato valore di flusso Φt in un traferro di lunghezza lt e sezione St. Infatti: Sm =

Φ t Bt S t = ; Bm Bm

lm =

H t lt Bl = tt µ0 H m Hm

Bm Hm*Bm=cost

Punto di massimo sfruttamento

t

i

Hm

Punto di massima energia del magnete permanente

26

MACCHINE ELETTRICHE Il volume di magnete Vm necessario allo scopo risulta dato da: Bt S t H t lt Bt2Vt Vm = S m l m = ⋅ = µ0 H m Bm Bm H m

(1.31)

dove Vt è il volume del traferro. La (1.31) indica che per ridurre al minimo il volume di magnete, la scelta del punto di lavoro (Hm ,Bm) va eseguita in modo che sia massimo il prodotto Bm ⋅ Hm (vedi figura precedente ).

NdFeB SmCo NdFeB Alnico Ceramic Flexible

Br Tesla 1.28 1.05 0.68 1.25 0.39 0.16

Materiali per magneti permanenti Hc Br/Hc (BH)max A/m H/m kJ/m3 978803 1.30772E-06 400 732113 1.43421E-06 260 459958 1.4784E-06 100 50930 2.45437E-05 55 254648 1.53153E-06 35 109021 1.46761E-06 6

Tmax °C 150 300 150 540 300 100

1.8 – Energia immagazzinata nel campo magnetico Nel campo magnetico viene immagazzinata (e non dissipata) una energia per unità di volume pari a: wm =

1 1 B2 1 ⋅B⋅H = ⋅ = ⋅µ⋅ H 2 2 2 µ 2

[J/m3]

(1.32)

La relazione (1.32) vale per un materiale magnetico lineare, contraddistinto cioè da una permeabilità costante. L’energia specifica wm si interpreta sul piano B-H del materiale come l’area indicata nella figura seguente: B B = µ⋅H H

wm

tg(α) = µ dvolume

H Interpretazione grafica dell’energia magnetica

Nei circuiti magnetici con traferri, la quota maggiore di energia magnetica è immagazzinata nelle parti in aria. Si consideri l’elettromagnete schematizzato a fianco. Assumendo uguali la sezione del ferro e quella dell’aria, l’induzione in questi due tronchi è la stessa (l’elettromagnete si può considerare un tubo di flusso). Poiché la permeabilità del ferro è molto maggiore di quella dell’aria si ha che la maggior parte dell’energia magnetica si trova nel tratto in aria, come si desume dalla (1.33).

Sf I lt St

lf

27

PROF. ANDREA CAVAGNINO 1 B2 1 B2 wm = wm ferro + wm aria = ⋅ + ⋅ 2 µ ferro 2 µ 0

(1.33)

Finora si è ragionato in termini di energia per unità di volume. Per ottenere l’energia immagazzinata nell’elettromagnete è necessario integrare l’espressione (1.32) sul volume del circuito magnetico. Si ottiene: 1 1 1 1 Wm = ∫ ⋅ B ⋅ H ⋅ dvol = ⋅ ∫ H ⋅ dl ⋅ ∫ B ⋅ dS = ⋅ ( N ⋅ I ) ⋅ Φ = ⋅ Φ c ⋅ I 2 2 l 2 2 Volume S dove Φ è il flusso principale nel circuito magnetico e Φc è il flusso concatenato con la bobina. Ricordando che il flusso concatenato con la bobina vale Φc = L I, si ricava la seguente relazione: Wm =

1 ⋅L⋅I2 2

[J]

(1.34)

La relazione (1.34) vale solo per mezzi magneticamente lineari. Per due avvolgimenti mutuamenti accoppiati (si ricordi la (1.29)), il calcolo porta alla seguente definizione di energia magnetica (valida sempre per mezzi lineari). Wm =

1 1 ⋅ L1 ⋅ I12 + ⋅ L2 ⋅ I 22 + M 12 ⋅ I1 ⋅ I 2 2 2

(1.35)

Osservazione

Nel caso in cui il materiale costituente il circuito magnetico abbia caratteristica non lineare, la definizione dell’energia per unità di volume risulta più complessa e data dalla seguente formulazione integrale. wm =

B Lavoro

∫ H ⋅ dB

0

L’interpretazione grafica dell’energia specifica sul piano B-H è analoga a quella indicata nel caso di mezzi lineari. B

B BLavoro

BLavoro wm

wm’

H HLavoro

H HLavoro

Interpretazione grafica dell’energia e della coenergia

La grandezza wm’ si chiama coenergia ed è definita dal seguente intergrale: ' wm =

H Lavoro

∫ B ⋅ dH

0

28

MACCHINE ELETTRICHE La coenergia non ha il significato fisico di una energia e si può considerare come una grandezza accessoria utile nei calcoli delle forze e delle coppie. Si osservi come nel caso di mezzi lineari energia e coenergia coincidano.

1.8.1 – Forze meccaniche La presenza di energia immagazzinata nel campo magnetico implica la possibilità di scambiare forze tra le varie parti costituenti il circuito magnetico. Tali azioni meccaniche possono essere ricavate dall’energia (o dalla coenergia) applicando il principio dei lavori virtuali. Si può dimostrare che valgono le seguenti relazioni. F =−

∂Wm ∂Wm' =+ ∂x ∂x

(nel caso di spostamento lineare tra le parti)

C=−

∂Wm ∂Wm' =+ ∂θ ∂θ

(nel caso di rotazione tra le parti)

Si noti che nelle formule precedenti compaiono le energie (coenergie) immagazzinate nell’elettromagnete e non le energie (coenergie) per unità di volume.

1.9 – Classificazione delle macchine elettriche Le macchine elettriche possono essere classificate in vari modi. Un primo modo può essere in base al tipo di trasformazione energetica che attuano. Conversione energetica Energia elettrica ⇒ Energia elettrica Energia elettrica ⇒ Energia meccanica Energia meccanica ⇒ Energia elettrica

Esempi Trasformatori Convertitori elettronici di potenza Motori elettrici in corrente continua Motori elettrici in corrente alternata Generatori in corrente continua (dinamo) Generatori in corrente alternata (alternatori)

Un’altra possibile classificazione è la seguente:  Statiche   Macchine Elettriche  Rotanti  

       

Trasformatori Convertitori elettronici di potenza in corrente continua  Sincrone in corrente alternata   Asincrone o ad induzione

Le macchine sincrone sono macchine rotanti in grado di fornire coppia solo ad una determinata velocità (denominata velocità di sincronismo). Le macchine asincrone sono invece in grado di fornire coppia a velocità diverse da quelle di sincronismo. Anche se non verranno trattati nel corso, conviene definire e classificare i convertitori elettronici di potenza utilizzati per comandare i motori elettrici in continua ed in alternata. Si ricorda che questi dispositivi permettono di regolare la velocità di rotazione del motore con elevata efficienza ed elevate prestazioni dinamiche. 29

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Classificazione dei convertitori elettronici di potenza

Non controllati Alternata ⇒ Continua Ponti raddrizzatori Semicontrollati Total controllati Variano la tensione efficace e Continua ⇒ Alternata Inverter frequenza in uscita Ad un quadrante A due quadranti Continua ⇒ Continua Chopper A quattro quadranti

1.9.1 – Convenzioni di segno per motori e generatori Per studiare l’azione meccanica all’asse delle macchine rotanti si adottano le convenzioni di segno indicate nella figura seguente (dove T, dall’inglese torque, indica la coppia).

Convenzioni di segno: (a) azione motrice nei motori, (b) azione frenante nei generatori.

Si noti che la convenzione di segno assunta al “morsetto meccanico” è indipendente da quella assunta per studiare i “morsetti elettrici” della macchina. In ogni caso, conviene usare ai morsetti elettrici della macchina la convenzione di segno degli utilizzatori elettrici (vedi paragrafo 1.2.3) quando si studia un motore. Conviene invece usare ai morsetti elettrici la convenzione dei generatori quando si studia una macchina che sta funzionando come generatore (azione frenante). Se si opera questa scelta i flussi di energia sono concordi alle frecce riportate nella figura precedente.

30

MACCHINE ELETTRICHE

1.10 - Grandezze di targa e criteri di similitudine nelle macchine elettriche 1.10.1 - Grandezze di targa Le macchine elettriche e le apparecchiature elettriche sono caratterizzate attraverso una targa che ne contraddistingue i limiti di impiego. Le principali grandezze comunemente riportate nella targa sono la tensione nominale, la corrente nominale e la potenza nominale. Tensione nominale

La tensione nominale di un’apparecchiatura elettrica è il valore di tensione di alimentazione idoneo al suo corretto funzionamento. Le implicazioni fisiche relative al valore di tensione nominale possono variare da un tipo di apparecchiatura ad un altro. In alcuni casi la tensione nominale può avere relazione con il grado di rigidità dielettrica degli isolanti impiegati, in altri casi può essere legata a problemi di funzionalità meccanica od elettrica (motori a corrente continua), in altri ancora può essere associata a condizioni di tenuta a polarizzazione inversa di semiconduttori (convertitori elettronici di potenza). Tuttavia, nel caso delle macchine elettriche in c.a. (trasformatori, motori), la tensione nominale è particolarmente legata allo sfruttamento magnetico del ferro. Ad esempio, considerando l’avvolgimento primario di un trasformatore durante il funzionamento a vuoto, risulta che tra la tensione di alimentazione ed il flusso concatenato con l’avvolgimento esiste, in condizioni di regime sinusoidale, la seguente relazione: V = ω⋅ N ⋅

Φ max

2

≅ 4.44 ⋅ f ⋅ N ⋅ Φ max

(1.36)

Quindi la tensione di alimentazione determina il flusso presente nella struttura magnetica del trasformatore. Alimentare il primario del trasformatore con valori di tensione diversi dal valore nominale significare far funzionare il trasformatore in condizioni magnetiche diverse. V’ Φ’ Vnom Φnom

P’ P

i imagn

i’magn

Caratteristica di eccitazione del trasformatore a vuoto

E’ noto che al crescere del flusso in un elettromagnete la corrente magnetizzante cresce secondo una caratteristica di eccitazione affetta da saturazione come illustrato indicativamente in figura. In un trasformatore correttamente progettato la tensione nominale è fissata in modo che il suo circuito magnetico lavori poco sopra il ginocchio della caratteristica. In tal modo si ottiene il compromesso tra il raggiungimento di elevati valori di flusso ed il contenimento della corrente magnetizzante. Se si alimenta il trasformatore ad una tensione anche poco più alta del valore nominale si rischia di assorbire una corrente a vuoto molto elevata con conseguente aumento delle perdite nei conduttori dell’avvolgimento e riduzione dell’efficienza del trasformatore. Valutazioni analoghe possono essere condotte per i motori in corrente alternata. 31

PROF. ANDREA CAVAGNINO Corrente nominale

Il concetto di corrente nominale è usualmente collegato con l’effetto Joule che si manifesta in un conduttore percorso da corrente. La corrente nominale di un’apparecchiatura elettrica è quel valore di corrente che in condizioni convenzionali di impiego produce un riscaldamento tollerabile dall’apparecchiatura. In linea di massima si può affermare che il valore di corrente nominale di un’apparecchiatura elettrica è condizionato dal tipo di isolamento utilizzato per i conduttori e dal sistema di smaltimento del calore prodotto. Temperatura di regime termico

Temperatura limite

θ(t) Corrente nominale per servizio continuativo

θ(t)

Corrente nominale per servizio intermittente

Andamento delle temperature dei conduttori per diverse condizioni di servizio

Va osservato inoltre che per apparecchiature destinate a particolari tipi di servizi non continuativi il valore nominale della corrente può essere correlato al particolare tipo di servizio. Uno stesso motore potrebbe essere targato con un valore di corrente nominale più basso se è previsto per un funzionamento continuativo, ovvero con un valore di corrente più elevato, se è previsto che il tipo di servizio sia discontinuo o intermittente. In questo secondo caso, infatti, la temperatura dei conduttori potrebbe mantenersi costantemente inferiore a quella di regime termico come illustrato nella figura precedente. Va inoltre evidenziato che, nel caso di motori auto-ventilati e destinati a funzionare a velocità diverse, molto spesso il valore di corrente nominale diventa funzione della velocità di rotazione in quanto le temperature del motore mutano in conseguenza delle mutate condizioni di ventilazione. Riassumendo il valore di corrente nominale dipende dalle seguenti considerazioni: sezione del conduttore; tipo di isolamento e temperatura massima sopportata; tipo di raffreddamento (irraggiamento, convezione, ventilazione forzata, etc.) a cui è soggetto l’avvolgimento; tipo di servizio dell’avvolgimento (continuativo, intermittente, etc.). Potenza nominale

In generale la potenza nominale di una apparecchiatura elettrica è la potenza utile fornita in uscita quando l’apparecchiatura sia alimentata alla tensione nominale e sia caricata in modo da assorbire la corrente nominale. Pertanto è evidente che il concetto e il valore di potenza nominale di una apparecchiatura risulta condizionato dagli stessi fattori che condizionano la definizione di corrente nominale. Nel caso delle macchine elettriche, quando la potenza utile di uscita è una potenza elettrica, essa viene espressa come potenza apparente in kVA (trasformatore, alternatore) o come potenza attiva in kW (dinamo) secondo che si tratti di potenza erogata in alternata oppure in continua. Quando la potenza fornita in uscita è una potenza meccanica (tutti i motori) la potenza nominale è sempre espressa in kW. 32

MACCHINE ELETTRICHE

1.10.2 - Relazioni tra potenza e dimensioni delle macchine elettriche Sulla base di quanto discusso sinora è possibile stabilire una relazione tra la potenza nominale e le dimensioni di una macchina elettrica sulla base di alcune ipotesi preliminari. Si supponga di voler costruire una macchina elettrica prendendo come modello un esemplare già costruito ed alterandone secondo un rapporto σ tutte le dimensioni. Nell’eseguire questa operazione si immagini di mantenere inalterati gli indici di sfruttamento dei materiali attivi (ferro e rame). Tali indici sono rappresentati rispettivamente dai valori di induzione nominale Bnom e di densità di corrente nominale δnom usati nell’esemplare preso a modello. Ci si chiede quali saranno le caratteristiche nominali della nuova macchina. Si prenda innanzitutto in considerazione la potenza nominale della nuova macchina. Occorre a questo punto eseguire una considerazione sulla espressione della potenza nominale. Per macchine che producono energia elettrica, come il trasformatore, la potenza nominale è esprimibile attraverso il prodotto di grandezze elettriche: S nom = qVnom ⋅ I nom dove q dipende dal numero di fasi

(1.37)

mentre per i motori elettrici la potenza nominale è esprimibile attraverso grandezze meccaniche: Pnom = Cnom ⋅ ω nom

(1.38)

Relazione tra grandezze nominali e dimensioni del trasformatore

In questo caso l’espressione della potenza può essere riportata agli indici di sfruttamento dei materiali attivi attraverso l’esame del significato di tensione e corrente nominale: S nom = qNωΦ nom ⋅ I nom = qωBnom ⋅ δ nom S fe ⋅ NS cu

(1.39)

ove Sfe ed NScu sono rispettivamente la sezione del nucleo magnetico destinato a contenere il flusso e l’area della finestra destinata a contenere le N spire degli avvolgimenti destinati a portare la corrente. Se nel processo di similitudine geometrica non alterano ne la frequenza di alimentazione né gli indici di sfruttamento, la macchina copiata in scala σ :1 per le dimensioni lineari viene ad avere grandezze di targa fornite dalle relazioni seguenti (nel caso che il numero di spire N resti invariato): S ' nom = σ 4 S nom ;

V ' nom = σ 2V nom ;

I ' nom = σ 2 I nom

(1.40)

Si può quindi asserire che tendenzialmente la potenza nominale di un trasformatore cresce con la quarta potenza delle dimensioni lineari. Se nel processo di copiatura si volesse mantenere invariato il valore di tensione nominale della macchina sarebbe sufficiente modificare il numero di spire degli avvolgimenti in base al seguente criterio: V ' nom = Vnom

⇒ N ' ωΦ' nom = NωΦ nom

e poiché: Φ' nom = σ 2 Φ nom

⇒ N'=

N

σ2

In tal caso la sezione dei conduttori dell’avvolgimento aumenterebbe ulteriormente nel rapporto σ2 e la nuova corrente nominale risulterebbe: I ' nom = σ 4 I nom

Una ulteriore importante considerazione può essere condotta osservando la (1.37): la dipendenza della potenza nominale di un trasformatore dalla frequenza di alimentazione oltre che dalle dimensioni. Se alimentassimo ad esempio il nostro modello ad una frequenza doppia 33

PROF. ANDREA CAVAGNINO rispetto a quella prevista, lasciandone inalterate le dimensioni e gli indici di sfruttamento, potremmo ottenere dalla stessa macchina una potenza doppia, ovvero a parità di potenza richiesta potremmo utilizzare una macchina più piccola. Questo principio è sfruttato quando si vogliano ridurre i rapporti peso/potenza delle apparecchiature elettriche in corrente alternata. Per questo motivo ad esempio negli impianti di bordo di aeromobili la frequenza utilizzata è di 400 Hz. Relazione tra potenza nominale e dimensioni di un motore

Analoghe valutazioni possono essere condotte nel caso dei motori elettrici. Infatti la coppia prodotta risulta generalmente collegabile al prodotto del flusso di macchina con la corrente nei conduttori secondo una relazione del tipo: Cnom = kNΦ nom ⋅ I nom = kBnom ⋅ δ nom S fe ⋅ NS cu

(1.41)

Da questa relazione si osserva che le dimensioni del motore dipendono in realtà dalla coppia e non dalla potenza. Con deduzioni analoghe a quelle condotte per il trasformatore si può giungere ai seguenti risultati: C' nom = σ 4 Cnom ;

V ' nom = σ 2V nom ;

I ' nom = σ 2 I nom

(1.42)

Il ruolo della velocità in questo caso è analogo al ruolo della frequenza nel caso del trasformatore: a parità di potenza motori più veloci sono più piccoli.

1.10.3 - Altre influenze delle dimensioni sulle caratteristiche delle macchine elettriche Gli aspetti dimensionali influenzano anche altre caratteristiche importanti delle macchine elettriche. Si considerino le perdite presenti nei materiali attivi delle macchine. In base a quanto visto ai paragrafi 1.4 e 1.5, sia le perdite nel ferro che quelle nel rame sono proporzionali ai volumi dei rispettivi materiali attivi una volta fissati gli indici di sfruttamento B e δ. Con riferimento al rapporto di similitudine lineare σ si può quindi dedurre: P' cu + P' fe = σ 3 ( Pcu + Pfe )

(1.43)

Le perdite nel rame Pcu e nel ferro Pfe aumentano con il cubo delle dimensioni lineari della macchina. Per macchine simili si può quindi prevedere una dipendenza delle perdite complessive dalla potenza nominale del tipo: 3 4 Pperduta = Pnom

(1.44)

Nella tabella e nei grafici che seguono si può osservare come tale dipendenza sia rispettata con buona approssimazione per tutta una famiglia di trasformatori attualmente in commercio. La relazione (1.44) in particolare indica che al crescere della potenza di una macchina elettrica il suo rendimento tende a migliorare. Appare inoltre evidente come anche i rapporti peso-potenza e costo-potenza migliorino riducendosi al crescere delle dimensioni. Queste valutazioni spiegano il motivo per cui, laddove non siano presenti esigenze di altra natura, sia preferibile attuare la trasformazione di energia attraverso una unica macchina di grandi dimensioni anziché attraverso più macchine di dimensioni e potenza inferiori.

34

MACCHINE ELETTRICHE Targa di trasformatori da distribuzione con isolamento in resina V1n/V2n = 20[kV]/400[V]

25

0.992

Pfe [kW] Pcu [kW]

0.990

20

Rendimento

0.988

0.7631

Pcu = 50.191Snom

0.986

15

0.984 10

0.982 0.7373

0.980

Pfe = 14.786Snom

5

0.978 Snom [kVA] 0

1000

2000

3000

Snom [kVA]

0.976 4000

0

1000

2000

3000

4000

Andamento delle perdite e del rendimento in funzione della potenza nominale in una famiglia di trasformatori da distribuzione.

Tuttavia la crescita dimensionale delle macchine non può procedere indefinitamente. Limitazioni di tipo meccanico e di trasportabilità condizionano le massime potenze raggiungibili con una unica unità. Anche considerazioni termiche suggeriscono di non eccedere nelle dimensioni. Infatti, per quanto osservato, le perdite aumentano con il cubo delle dimensioni lineari della macchina, mentre le superfici naturali di scambio termico attraverso le quali il calore prodotto deve essere smaltito crescono solo con il quadrato delle dimensioni. La sovratemperatura della macchina crescerebbe quindi linearmente con le dimensioni secondo l’espressione[4]:

θ '−θamb =

P' fe + P' cu k ⋅ S'

=

σ 3 ( Pfe + Pcu ) k ⋅σ 2S

= σ (θ − θamb )

(1.45)

Questo fatto spiega il motivo per cui le grandi macchine elettriche abbiano bisogno di particolari circuiti di raffreddamento ed anche il motivo per cui gli indici di sfruttamento dei materiali attivi non possano essere mantenuti costanti al crescere delle dimensioni, ma debbano essere opportunamente ridotti.

[4]

Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 1.11

35

PROF. ANDREA CAVAGNINO

1.11 – Riscaldamento delle macchine elettriche e modello termico semplificato Durante il funzionamento, una macchina elettrica dissipa una potenza totale Pd dovuta a diversi fenomeni. Ad esempio, nei trasformatori si hanno le perdite nel ferro e nel rame, mentre nelle macchine rotanti si devono considerare, oltre alle perdite precedenti, anche le perdite per attrito e ventilazione. In ogni caso l’energia dissipata degrada in calore provocando un riscaldamento della macchina. Durante il transitorio di riscaldamento, una parte di calore viene accumulato internamente alla macchina provocando l’aumento della sua temperatura θ ed una parte viene scambiata con l’ambiente esterno. Assumendo che lo scambio termico verso l’ambiente avvenga solo per convezione, l’equazione differenziale che descrive il transitorio di riscaldamento è la seguente: dQ = Pd ⋅ dt = c ⋅ G ⋅ dθ + k ⋅ S ⋅ θ ⋅ dt

(1.46) Calore scambiato con l’esterno Calore accumulato

dove dQ è la quantità di calore prodotta nell’intervallo di tempo dt, c è il calore specifico equivalente, G è la massa dell’apparato, S è la superficie di scambio verso l’ambiente e k il coefficiente di scambio termico. In condizioni di regime termico, non si ha più accumulo di calore e tutta l’energia dissipata viene ceduta all’ambiente esterno. In questa condizione, assumendo la temperatura dell’ambiente pari a θa, la temperatura raggiunta vale: θ regime = θ a +

Pd = θ a + ∆θ regime k⋅S

(1.47)

Durante il transitorio di riscaldamento, la temperatura θ(t) viene determinata risolvendo l’equazione (1.46)[5]. P θ(t ) = θ a + d k ⋅S

t  −   τ ⋅ 1 − e     

(1.48)

c ⋅G rappresenta la costante di tempo termica durante il riscaldamento. k ⋅S L’equazione (1.46) permette di definire un’analogia tra i fenomeni termici e le reti elettriche. In particolare, facendo le seguenti posizioni:

dove τ =

Potenza dissipata (Pd) ⇒ Corrente elettrica (I) Temperatura (θ) ⇒ Tensione (V) Resistenza termica ( Rth =

1 , in [°C/W]) ⇒ Resistenza elettrica (R) k ⋅S

Capacità termica (Cth = c⋅G, in [J/°C]) ⇒ Capacità elettrica (C) [5]

Si assume che all’istante t = 0 la temperatura della macchina sia pari a quella ambiente: θ(t) = θa.

36

MACCHINE ELETTRICHE è possibile definire la seguente rete elettrica equivalente. Rth

∆θ(t) Pd

θ(t)

Cth

+

θa

Modello termico semplificato di una macchina elettrica

In termini di circuito equivalente la costante di tempo termica risulta essere il prodotto della capacità e della resistenza termica. Si noti che il modello termico presentato non è in grado di descrivere le temperature delle varie parti della macchina (ad esempio, avvolgimenti, nucleo, carcassa,…). Qualora si volesse avere un’indicazione delle temperature interne bisogna derivare un modello termico molto più complesso che evidenzi i diversi percorsi per i flussi di calore all’interno della macchina. La difficoltà principale risiede nel determinare i valori delle resistenze termiche che descrivono gli scambi termici.

37

Capitolo

2 LA MACCHINA A CORRENTE CONTINUA 2.1 – Generalità e caratteristiche costruttive La macchina a corrente continua converte l’energia elettrica fornita da un generatore elettrico di corrente continua in energia meccanica (motore a corrente continua), o, viceversa, l’energia meccanica fornita da un motore primo in energia elettrica in corrente continua (generatore a corrente continua o dinamo). Oggi l’uso della macchina in corrente continua come generatore elettrico è raro, più diffuso è invece il suo impiego come motore elettrico. Tuttavia anche come motore la diffusione di questa macchina è in lenta ma continua riduzione. Occorre infatti osservare che, mentre in passato il motore a corrente continua aveva dei campi di impiego specifici (trazione elettrica, regolazione di velocità, attuazione di posizione) in cui rappresentava la soluzione tecnicamente più valida, oggi, anche in questi settori, questo tipo di motore subisce la concorrenza dei più robusti motori elettrici in corrente alternata. Ciò si deve alla disponibilità di strutture di conversione dell’energia elettrica in c.a., capaci di regolare la frequenza e l’ampiezza della tensione di alimentazione, con le quali si possono ottenere da motori a induzione o da motori sincroni le stesse regolazioni tipiche del motore a c.c. Il funzionamento è basato sul principio della macchina elettromagnetica di Pacinotti (1865) rappresentata schematicamente nella figura seguente. In tale macchina il rotore, costituito da un cilindro forato, reca un avvolgimento ad elica, uniformemente distribuito lungo il cilindro e chiuso su se stesso. 1 2

Anello di Pacinotti

3 4 5 6

7 8

1. Spazzola 2. Espansione polare 3. Traferro 4. Avvolgimento di armatura 5. Rotore 6. Statore 7. Corrente di armatura 8. Giogo di statore 9. Avvolgimento di eccitazione 10. Corrente di eccitazione

9 10

39

PROF. ANDREA CAVAGNINO Nel funzionamento da generatore, per effetto della rotazione dell’anello nel campo magnetico prodotto dall’avvolgimento di eccitazione, si inducono sui conduttori esterni dell’avvolgimento di armatura delle f.e.m. secondo la legge: E = B ⋅ l ⋅ω ⋅ r

dove: B

valore dell’induzione al traferro,

l

lunghezza attiva del conduttore[1],

ω

velocità angolare di rotazione del rotore,

r

raggio esterno del rotore.

Queste f.e.m. possono essere raccolte attraverso spazzole striscianti a contatto diretto con i conduttori esterni al cilindro. Nel funzionamento da motore, la corrente inviata tramite le spazzole all’avvolgimento genera, per interazione col campo magnetico prodotto dall’eccitazione, l’azione elettromeccanica richiesta. Infatti, secondo la legge di Lorentz, la coppia che si genera sul un conduttore esterno quando esso è percorso dalla corrente I, vale: C = B ⋅ I ⋅l ⋅r

La coppia totale sviluppata dalla macchina è ottenibile come somma dei diversi contributi elementari sopra descritti. Tuttavia, ormai da lungo tempo la struttura elettromagnetica dell’anello di Pacinotti illustrata precedentemente è divenuta obsoleta; in particolare sono stati abbandonati gli indotti ad anello. I motivi di questa scelta sono i seguenti: Necessità di un migliore ancoraggio dell’avvolgimento contro le forze centrifughe e tangenziali sui conduttori. Necessità di ridurre il traferro della macchina (al fine di ridurre le correnti di eccitazione). Opportunità di spostare l’azione meccanica sulla dentatura in ferro della struttura di rotore, anziché sui conduttori. Possibilità di utilizzare nella conversione elettromeccanica dell’energia anche i conduttori che nella struttura ad anello fungevano esclusivamente da conduttori passivi di ritorno per la corrente. Nella figura seguente è rappresentata, in forma semplificata, la struttura di una macchina di concezione moderna. Le parti principali della struttura sono l’induttore, l’indotto e il commutatore a lamelle (o collettore).

[1]

Si definisce lunghezza attiva del conduttore di un avvolgimento quella porzione del conduttore che si trova affacciata al traferro ed immersa nel campo magnetico della macchina. Nell’anello di Pacinotti, la lunghezza attiva è la lunghezza assiale del conduttore esterno al cilindro di rotore.

40

MACCHINE ELETTRICHE

Spazzola Espansione polare Traferro Avvolgimento di armatura Rotore Statore

Nucleo polare Avvolgimento di campo Corona di statore Commutatore a lamelle Macchina a corrente continua ad una coppia polare

2.1.1 - Induttore L’induttore è la parte della macchina destinata a produrre il campo magnetico necessario ad attivare il fenomeno di conversione elettromeccanica dell’energia. Esso costituisce normalmente la parte fissa della macchina e viene spesso indicato con il termine statore. Sull’induttore sono disposti, a intervalli regolari, i poli magnetici (alternativamente un nord ed un sud nelle macchine a più coppie polari). Ciascun polo è una struttura saliente costituta da: Il nucleo polare attorno al quale è avvolta la bobina di eccitazione o di campo. Tali bobine, percorse nel verso opportuno da corrente continua, producono le polarità magnetiche richieste. Il nucleo polare può essere realizzato in forma massiccia o laminata. Dall’espansione polare, o scarpa polare, destinata a distribuire il campo magnetico in una porzione più ampia della circonferenza di traferro. Ove presente, l’espansione polare è sempre laminata a causa del fenomeno dello spennellamento di flusso[2]. I poli magnetici sono tra loro collegati attraverso la corona o giogo di statore, che funge da strada preferenziale per la richiusura delle linee di campo. Il giogo di statore è realizzato in materiale ferromagnetico con struttura per lo più massiccia (ad esempio, si utilizzano tubi di ferro fucinato). Tuttavia, quando si prevede una alimentazione attraverso convertitori statici (chopper, ponti raddrizzatori, etc.), lo statore deve essere totalmente laminato. Infatti, queste sorgenti forniscono tensioni continue ricche di disturbi a frequenza più o meno alta e conseguentemente le correnti ed i flussi da esse generati sono affetti da pulsazioni che possono produrre nel ferro massiccio dell’induttore forti circolazioni di correnti parassite. Nel caso in cui la corona sia laminata, essa assume una forma poligonale piuttosto che cilindrica, proprio a causa delle esigenze legate al processo di laminazione (come indicato in figura). [2]

Brusche variazioni di flusso che si hanno sulla superficie delle espansioni polari quando il rotore gira. Tali variazioni sono dovute alla presenza delle cave di rotore.

41

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il numero di poli, sempre pari, può variare da 2 a 4 a qualche decina nelle macchine di elevata coppia. L’aumento del numero di poli consente in generale una riduzione della sezione della corona di statore in conseguenza del maggior frazionamento del flusso utile. Si definisce passo polare τp l’estensione angolare di una polarità magnetica dell’induttore. Ne consegue che il passo polare dell’induttore dipende dal numero di poli secondo la seguente relazione:

τp =

2π Np

dove Np è il numero di poli.

Nei motori di piccola taglia il flusso magnetico di induttore può essere generato da magneti permanenti. Alcune possibili strutture magnetiche sono indicate nella figura seguente.

Passo polare

a)

b)

c)

d)

Strutture di motori a corrente continua a due coppie polari e percorso del flusso generato dall’induttore. a) b) c) d)

Motore eccitato elettricamente Motore a magneti permanenti superficiali Motore a magneti permanenti interni Motore a magneti permanenti a concentrazione di flusso

Nel caso di magneti permanenti la scelta della geometria di induttore può essere dettata dalle caratteristiche del magnete. Ad esempio, la soluzione c), che prevede un maggiore sviluppo del magnete in lunghezza, si adatta a magneti con alto valore di induzione residua ma basso campo coercitivo (es. magneti Alnico), mentre la soluzione d) (magneti corti e larghi ) può essere utile con l’impiego di materiali a basso valore di induzione residua e con elevato campo coercitivo (es. ferriti).

42

MACCHINE ELETTRICHE

2.1.2 Indotto e commutatore L’indotto della macchina costituisce la parte rotante interna (denominata anche rotore o armatura). Esso è un cilindro di materiale ferromagnetico formato da lamierini al fine di ridurre le perdite per correnti parassite e per isteresi che si generano durante la rotazione nel campo magnetico induttore. L’indotto è regolarmente scanalato lungo la sua periferia. Tali scanalature sono dette cave ed hanno il compito di contenere i conduttori che costituiscono l’avvolgimento d’indotto (o avvolgimento di armatura). Le parti in ferro tra due cave contigue vengono denominate denti.

a)

b)

c)

Lamierino di indotto e forme tipiche di cava a) b) c)

cava rettangolare aperta cava rettangolare semichiusa cava semichiusa sub-trapezia.

L’avvolgimento di armatura (o semplicemente armatura) viene distribuito nelle cave ed è realizzato come un’elica chiusa su se stessa (vedi figura seguente). 1

12

Conduttori strato esterno

2

11 11

3

4

10 9

8

12

7

1

6 2

3

4

10

9

5

Conduttori strato interno 8

5 6

7

Fig. 2.1 - Sistemazione dell’avvolgimento ad elica in doppio strato per una macchina ad una coppia polare.

Tale avvolgimento può pensarsi originato dall’avvolgimento ad elica iniziale dell’anello di Pacinotti immaginando di trasportare i conduttori che si trovano nel foro interno dell’anello sul lato esterno diametralmente opposto. In tal modo questi conduttori, che nella macchina di primitiva avevano esclusivamente il ruolo passivo di richiusura delle spire, vengono ora ad assumere anche la funzione attiva di conversione elettromeccanica attuata dai conduttori affacciati al traferro. Tipicamente la realizzazione dell’avvolgimento di indotto prevede la formazione di due strati di conduttori nella cava: uno strato superiore (vicino al traferro) ed uno strato interno (nella parte più interna della cava); i due lati di ciascuna bobina (detti anche tratti attivi perché unici responsabili della conversione elettromeccanica) sono costituiti da uno o più conduttori 43

PROF. ANDREA CAVAGNINO appartenenti alternativamente allo strato esterno e allo strato interno, come illustrato nella figura seguente.

Possibili configurazioni delle bobine: a) b)

con rotazione di 180° del conduttore senza rotazione del conduttore

Le singole bobine possono inoltre essere formate da un’unica spira o da più spire in serie e la loro estensione angolare deve essere prossima all’estensione del passo polare dell’induttore, in modo da concatenare il maggior flusso possibile. Ciascuna bobina possiede, su uno dei due collegamenti frontali, la connessione ad una lamella del commutatore a lamelle (o collettore), che, congiuntamente alle spazzole, rappresenta l’organo di adduzione della corrente all’avvolgimento.

Conduttori di due diverse bobine

a)

b)

Forcella Lamella

Isolamento tra lamelle Collettore

Collegamenti dei conduttori al collettore. a) avvolgimento in piattina b) avvolgimento in filo

Nella figura seguente è rappresentato l’avvolgimento di Figura 2.1 secondo uno schema che evidenzia il collegamento delle singole bobine alle lamelle del collettore e la loro posizione rispetto alle polarità di induttore.

44

MACCHINE ELETTRICHE

Bobina

12

1

3

2

5

4

7

6

8

Lato inferiore

Lato superiore

SUD

NORD

10 11 12 1

Collettore

1

10 11 12

9

2

3

4

5

6

7

8

9

10

Spazzole

Avvolgimento su 12 cave: connessioni al collettore e distribuzione della corrente nei conduttori (relativo allo schema di Fig. 2.1).

Nelle macchine a più coppie polari l’avvolgimento può essere costruito in due forme diverse: avvolgimento embricato o parallelo avvolgimento ondulato o serie

a)

NORD

SUD

NORD

SUD

b) NORD

SUD

NORD

SUD

a) Avvolgimento embricato b) Avvolgimento ondulato

Come illustrato in figura, l’avvolgimento embricato si sviluppa in modo che le spire successive giacciano sotto la stessa coppia polare, mentre nell’avvolgimento ondulato le spire successive si trovano sotto coppie polari successive.

45

PROF. ANDREA CAVAGNINO Dal punto di vista del collegamento al collettore, se si parte da una lamella si giunge alla lamella successiva: nel caso dell’avvolgimento embricato, dopo aver percorso una singola bobina sotto una coppia polare; nel caso dell’avvolgimento ondulato, dopo aver percorso un giro completo dell’indotto e tante bobine quante sono le coppie polari della macchina.

a)

b)

Bobine formate da più spire in serie a) Avvolgimento embricato b) Avvolgimento ondulato

Nell’avvolgimento embricato, la f.e.m. prodotta sui conduttori dal moto dell’indotto rispetto all’induttore viene raccolta in parallelo per ogni coppia polare della macchina (di qui la dizione parallelo riservata all’avvolgimento embricato). Nell’avvolgimento ondulato, i conduttori presenti sotto ciascun polo sono collegati in serie e la f.e.m. raccolta è la somma delle f.e.m. indotte sotto ciascuna coppia polare (di qui il termine di serie usato per l’avvolgimento ondulato). Dal punto di vista della scelta tra le due possibili soluzioni di avvolgimento descritte si può asserire, in linea di principio, che l’avvolgimento embricato è adatto per macchine con tensione di armatura modesta e corrente elevata (a parità di corrente nei conduttori di indotto, la corrente ricavata dalla macchina è la somma delle correnti provenienti da ciascuno dei paralleli); l’avvolgimento ondulato, a parità di numero complessivo di conduttori, è invece in grado di fornire f.e.m. più elevate e pertanto questo avvolgimento si adatta a macchine per tensioni alte[3].

[3]

A proposito dei termini tensioni elevate e correnti elevate occorre precisare che il concetto di elevato è puramente indicativo e fortemente dipendente dalle dimensioni geometriche della macchina. Più corretto sarebbe l’impiego del termine ‘più elevate’ ove la comparazione è quella relativa ai due avvolgimenti realizzati con lo stesso numero e sezione di conduttori.

46

MACCHINE ELETTRICHE

2.1.3 - Immagini di particolari costruttivi A conclusione di questa parte introduttiva, si riportano alcune immagini di particolari costruttivi per meglio comprendere la struttura dell’indotto delle macchine a corrente continua.

Esempi di rotori finiti

Possibile realizzazione del commutatore: incastro a coda di rondine e schema di assemblaggio.

Esempi di spazzole

Le spazzole vengono montate sopra dei portaspazzole e strisciando sul commutatore permettono di addurre corrente all’avvolgimento di armatura. Ovviamente le spazzole devono essere costituite da materiale conduttore. Per ridurre l’attrito al contatto strisciante, le spazzole vengono realizzate in grafite. A seconda dei livelli di tensione e corrente cui sono soggette, le spazzole vengono realizzate in metalgrafite (rame e grafite), in grafite pura o in elettrografite (grafite trattata in forno elettrico). Si noti che la grafite non è un conduttore ohmico, ovvero non rispetta la legge di Ohm. In pratica, alla spazzola si ha una caduta di tensione circa costante al variare della corrente che l’attraversa (indicativamente circa 1 V a spazzola).

47

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2.2 – Campo magnetico al traferro Durante il funzionamento a carico, il campo magnetico presente al traferro della macchina è prodotto sia dalla corrente dell’avvolgimento di eccitazione (induttore) che dalla corrente dell’avvolgimento di armatura (indotto). Nell’ipotesi di poter trascurare i fenomeni di saturazione magnetica, il campo generato congiuntamente dalla corrente di statore (eccitazione) e dalla corrente di rotore (reazione d’indotto) può essere pensato come sovrapposizione degli effetti dovuti alle singole azioni.

2.2.1 – Campo magnetico dovuto alla corrente di eccitazione Se ad essere alimentato è esclusivamente l’avvolgimento di eccitazione, l’andamento tipico del campo magnetico prodotto è quello illustrato nella figura seguente. Le linee di campo costituiscono tendenzialmente un insieme simmetrico rispetto all’asse polare della macchina, come testimonia anche il tracciato della componente radiale dell’induzione al traferro. Lievi dissimmetrie possono prodursi durante la rotazione del rotore a causa della diversa posizione assunta dalle cave rispetto al polo di statore. Queste dissimmetrie hanno una periodicità pari ad un passo cava[4] e, durante il funzionamento, sono l’origine di disturbi sulla coppia e sulla f.e.m. generata dalla macchina. Come si osserva dalla figura, la presenza delle scanalature di indotto produce una riduzione locale dell’induzione al traferro la cui entità dipende direttamente dall’apertura delle cave ed inversamente dall’altezza del traferro sotto i poli. Questo fenomeno, oltre ai disturbi cui si è accennato, produce anche un aumento della riluttanza del circuito magnetico della macchina rispetto al valore che si avrebbe se la superficie di indotto fosse liscia. Nei calcoli magnetici il suo effetto viene cumulativamente tenuto in conto attraverso un coefficiente moltiplicativo, maggiore di uno, da applicare alla lunghezza geometrica di traferro (Coefficiente di Carter).

Asse neutro

a)

b)

Br,traferro Br,media α

α

Asse polare

0

90

180

270

Campo prodotto dalla corrente di eccitazione in una macchina a due poli. a) b)

Distribuzione delle linee di campo Distribuzione della componente radiale dell’induzione al traferro (il tracciato grigio si riferisce ad una rotazione antioraria di 7.5° della posizione del rotore)

Si osservi che la variazione della posizione degli “intagli” nella forma d’onda di induzione al traferro, che si ottiene quando il rotore gira, è responsabile del cosiddetto “fenomeno dello spennellamento di flusso” sulle espansioni polari.

[4]

Si definisce il passo cava di indotto il rapporto tra la circonferenza di rotore ed il numero di cave.

48

MACCHINE ELETTRICHE

2.2.2 – Campo magnetico dovuto alla corrente di armatura Nella figura seguente sono illustrati i tracciati delle linee di campo e dell’induzione radiale al traferro qualora sia alimentato solo l’avvolgimento di indotto. L’adduzione, attraverso le spazzole, di una corrente nell’avvolgimento di armatura fa si che i conduttori, che si trovano a destra dell’asse neutro nel piano della sezione, siano percorsi da corrente uscente (o entrante), mentre i conduttori della metà destra dell’avvolgimento sono percorsi da corrente di segno opposto. Da questo punto di vista, l’avvolgimento di armatura può essere interpretato come un solenoide avente come asse l’asse neutro della macchina. In altre parole, il commutatore a lamelle fa sì che la distribuzione spaziale di corrente nell’avvolgimento di armatura sia fissa nel tempo, anche quando il rotore della macchina è posto in rotazione (per maggiori dettagli si veda il paragrafo 2.3.1). Il campo prodotto è, ancora una volta, tendenzialmente simmetrico e diretto secondo l’asse neutro della macchina ed, a causa di questa simmetria, si può ritenere che il flusso prodotto da questo campo non si concateni con l’avvolgimento di eccitazione se non per le piccole dissimmetrie generate dal moto di rotazione delle cave. Questo fatto si riassume nell’affermazione che i due avvolgimenti della macchina in corrente continua sono magneticamente disaccoppiati. In realtà, tale l’affermazione deve essere attenuata attraverso le seguenti condizioni: il numero delle cave deve essere molto elevato; la posizione delle spazzole deve essere quella teorica (asse neutro); devono essere assenti fenomeni di saturazione magnetica.

Tensione magnetica

Asse neutro

a)

b)

2 Br,traferro α

1

Asse polare

1 3

0

90

180

270

2 3

Campo prodotto dalla corrente di armatura in una macchina a due poli. a) b)

Distribuzione delle linee di campo. Distribuzione della componente radiale dell’induzione al traferro e della f.m.m. al traferro.

La distribuzione dell’induzione radiale lungo il traferro assume, in questo caso, un tipico andamento a scalinata. Per spiegare questo andamento è opportuno ricorrere al concetto di distribuzione della tensione magnetica prodotta al traferro (usualmente detta semplicemente f.m.m. al traferro). A questo scopo si indichi con Ic la corrente presente in ciascuna cava e si supponga infinita la permeabilità del ferro della macchina.

49

PROF. ANDREA CAVAGNINO Con riferimento alla figura, si scriva la legge della circuitazione magnetica relativa alle linee di campo relative ai denti identificati dai numeri 1, 2, 3. Grazie alla simmetria del problema, il risultato è così riassumibile:

∫ H × dl

≈ H 1 ⋅ 2lt1 = 5 I c

∫ H × dl

≈ H 2 ⋅ 2lt 2 = 3I c

∫ H × dl

≈ H 3 ⋅ 2lt 3 = I c

1

2 3

dove lt1, lt2 ed lt3 sono le lunghezze in aria delle corrispondenti linee di campo. La differenza di potenziale magnetico o tensione magnetica esistente tra superficie di statore e superficie dei denti affacciati 1,2,3 risulta definita da: 5 Ic 2 3 A2 = H 2 ⋅ lt 2 = I c 2 1 A3 = H 3 ⋅ lt 3 = I c 2 A1 = H 1 ⋅ lt1 =

(2.1)

Il diagramma della tensione magnetica o della f.m.m. al traferro è riportato con linea tratteggiata nella figura precedente. Il corrispondente diagramma del campo magnetico (ovvero dell’induzione magnetica) può essere ricavato, in forma approssimata dalle relazioni precedenti, per divisione della f.m.m. per la lunghezza stimata del corrispondente traferro. Nel caso considerato, il campo sotto i denti 2 e 3 risulta particolarmente intenso e proporzionale al diagramma di f.m.m. in quanto il traferro relativo è modesto ed uguale per i due denti. Per il dente 1, che si trova nel vano interpolare, il traferro corrispondente è più elevato ed il campo magnetico risultante risulta più debole anche a fronte di un maggior valore di f.m.m. Nel caso di macchine con numero elevato di cave la gradinata di f.m.m., prodotta dalla corrente di indotto, diventa particolarmente fitta e può essere più semplicemente rappresentata da un’onda triangolare, come illustrato qui di seguito. Asse neutro

α

F.m.m. al traferro prodotta dalla corrente di armatura.

Il diagramma indicato si riferisce alla macchina ad una coppia di poli: per macchine a più coppie polari tale diagramma si ripete nell’arco dei 360°, tante volte quante sono le coppie polari.

50

MACCHINE ELETTRICHE

2.2.3 – Campo magnetico risultante Come indicato in precedenza, in condizioni di linearità magnetica tale andamento può essere valutato sovrapponendo gli effetti delle due correnti, ovvero sommando punto a punto lungo il traferro le componenti radiali del campo di eccitazione e del campo di armatura. L’effetto della contemporanea presenza di corrente nel circuito di eccitazione e nel circuito di indotto provoca una distorsione nella simmetria del campo come illustrato, a titolo di esempio, nella figura seguente. In particolare il campo magnetico sotto le espansioni polari non è più “costante”, ma tende a rafforzarsi sotto una metà di ciascun polo e ad indebolirsi sotto l’altra metà. La parte di polo principale che viene rafforzata o indebolita dipende dal verso della corrente di armatura. Si noti che dove i campi vengono rafforzati ci possono essere fenomeni di saturazione magnetica. Questo aspetto sarà meglio analizzato in seguito (cfr. paragrafo 2.8.2).

Asse neutro

a)

α

Br

b)

90 Passo polare

180

270 α

Campo prodotto dalla corrente di eccitazione e di armatura in una macchina a due poli. a) b)

Distribuzione delle linee di campo. Distribuzione della componente radiale dell’induzione al traferro e della f.m.m. al traferro.

51

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2.3 - Principio di funzionamento della macchina a corrente continua. Il principio di funzionamento della macchina in corrente continua si basa sulle leggi di Lorentz di interazione tra campi magnetici e correnti elettriche. Nella figura seguente viene evidenziato il principio di conversione elettromeccanica dell’energia elettrica che scaturisce da queste leggi. Si consideri un tratto rettilineo di conduttore di lunghezza l, mobile con velocità v in senso trasversale e perpendicolarmente ad un campo magnetico di induzione costante B. Le leggi dell’interazione elettromagnetica sono descritte dalle seguenti relazioni: F = I ∧ B ⋅l

(2.2)

E = v ∧ B ⋅l

F ed E sono rispettivamente la forza meccanica e la f.e.m. prodotte sul tratto di conduttore considerato.

B

B F F E

v

v E

caso A

i

caso B

i

Azioni elettrodinamiche su un conduttore percorso da corrente e mobile in un campo magnetico

Nel semplice caso in cui i vettori v, I e B formino una terna trirettangola, i prodotti vettoriali che compaiono nelle equazioni (2.2) diventano semplici prodotti algebrici. Si osserva facilmente che la potenza elettrica e la potenza meccanica associata a questo embrione di macchina assumono lo stesso valore assoluto. Pmeccanica = F ⋅ v = I ⋅ B ⋅ l ⋅ v (2.3) Pelettrica = E ⋅ I = v ⋅ B ⋅ l ⋅ I Le equazioni (2.3) rappresentano le basi della conversione della potenza da meccanica ad elettrica o viceversa e tale fenomeno elementare viene riprodotto nella macchina in corrente continua. Si considerino ora i due casi riportati in figura. Caso A

Per realizzare praticamente il caso A è necessario alimentare dall’esterno il tratto di conduttore con un generatore di tensione di valore sufficiente a far circolare la corrente I nel conduttore contro la f.e.m. indotta E. In questo caso la forza agisce sul conduttore nello stesso verso della velocità; questo significa che il conduttore, a fronte della potenza elettrica assorbita dal generatore esterno produce potenza meccanica. Si ha quindi un funzionamento da motore. 52

MACCHINE ELETTRICHE Caso B

In termini pratici si può pensare di realizzare questo caso attraverso il collegamento del conduttore ad un carico elettrico (ad esempio, una resistenza). La f.e.m. indotta fa circolare corrente nel conduttore e nel carico e, tale corrente ha lo stesso verso della f.e.m. La forza prodotta sul conduttore e la velocità hanno segno opposto. Questo significa che, mentre il conduttore produce potenza elettrica, richiede potenza meccanica per potersi muovere. Il comportamento è quello tipico del generatore.

2.3.1 – Ripartizione della corrente nell’avvolgimento di armatura In figura è rappresentato lo schema di una macchina a due poli, dotata di un avvolgimento ripartito in 6 cave di rotore. Nella figura di sinistra sono evidenziati i collegamenti dell’avvolgimento sviluppati in piano; nella parte destra della figura è rappresentato lo sviluppo di una delle due vie interne dell’avvolgimento. Le connessioni frontali (lato collettore) sono riportate con linee spesse, mentre le connessioni posteriori sono in tratto sottile. Si può osservare che la corrente Ia di una spazzola si distribuisce per la quota Ia/2 nelle due metà dell’avvolgimento che hanno origine dalla lamella a contatto con la spazzola. Le due metà dell’avvolgimento hanno termine nella lamella diametralmente opposta a quella di ingresso, dove si trova la spazzola destinata al recupero della corrente Ia. Durante il moto di rotazione dell’avvolgimento, essendo fissa la posizione delle spazzole, le varie lamelle verranno, in successione, a passare in contatto con le spazzole e, per questo, i punti di immissione e di emissione della corrente varieranno in riferimento all’avvolgimento, ma resteranno fissi rispetto alla struttura di statore. In ogni istante e per qualunque posizione del rotore, in una sezione trasversale dell’armatura osserviamo conduttori percorsi da corrente entrante nel piano del disegno in metà circonferenza della macchina e conduttori percorsi da corrente uscente nell’altra metà. Le due metà sono simmetriche rispetto all’asse teorico delle spazzole che viene detto asse neutro o asse di commutazione.

Asse neutro 1 11 12 2 11 12

1 2

S

3 4

5 6

7 8

N

9 10

11 12

1 2

N

S

6

Ia/2

5

3

10 4

1

9

4

Ia/2

Ia/2

6

1

2

3

4 -

5

6

1

2

6

Ia

Ia

5

Asse polare

3

8 7

Distribuzione della corrente nei conduttori di armatura

53

PROF. ANDREA CAVAGNINO In generale: se l’armatura è articolata in a coppie di vie interne e se Ia è la corrente alle spazzole (corrente di armatura), la corrente nei singoli conduttori dell’avvolgimento vale:

Iz =

Ia 2a

se la macchina a p coppie polari e le spazzole sono nella posizione teorica[5], i conduttori che si trovano sotto poli omonimi sono percorsi da corrente nello stesso verso.

Polo Nord

Polo Sud Assi neutri e posizione teorica delle spazzole

Verso della corrente nei conduttori attivi

Polo Sud

Polo Nord

Posizione teorica delle spazzole nella macchina a 4 poli. (Le spazzole tratteggiate sono obbligatorie solo per l’avvolgimento embricato)

2.3.2 – Azione meccanica Per la formulazione dell’azione meccanica prodotta dalla macchina in corrente continua è essenziale che siano contemporaneamente presenti il campo magnetico al traferro (prodotto dall’induttore) e la corrente nei conduttori di armatura (introdotta attraverso le spazzole). Lo studio verrà impostato attraverso le relazioni elettrodinamiche (2.2) supponendo che i conduttori attivi di armatura siano disposti sulla superficie dell’indotto (come avviene, ad esempio, nel caso dell’anello di Pacinotti). Gli effetti delle scanalature di rotore vengono considerati esclusivamente al fine della determinazione di un traferro equivalente della macchina[6].

[5]

Si ricorda che la posizione teorica delle spazzole è quella che consente di raccogliere la massima f.e.m. indotta nell’avvolgimento. Tale posizione coincide con gli assi interpolari della macchina. Nel caso dell’anello di Pacinotti, con spazzole montate sulla periferia dell’anello e a diretto contatto con i conduttori attivi, la posizione teorica coincide con la posizione effettiva. Nel caso di macchine a collettore, per esigenze costruttive, la posizione reale delle spazzole appare ruotata di 90° elettrici rispetto alla posizione teorica. [6]

Una trattazione più rigorosa dovrebbe in realtà prevedere la diversa ripartizione del campo magnetico tra denti e cave di rotore e la conseguente suddivisione dell’azione meccanica tra denti e conduttori. In questo caso un approccio più corretto all’analisi del problema dovrebbe essere basato sulla determinazione della pressione magnetica che si esercita sulle superfici dell’indotto e dell’avvolgimento. Tuttavia le ipotesi introdotte conducono ad un risultato finale complessivamente corretto e consentono una maggiore semplicità di analisi dei fenomeni.

54

MACCHINE ELETTRICHE Con riferimento alla figura seguente, raffigurante la sezione trasversale di una macchina a corrente continua a due poli, si assumano le seguenti convenzioni di segno: La corrente Iz = Ia/2 nei conduttori è positiva se uscente dal piano della sezione (contrassegno •) La componente radiale dell’induzione al traferro è positiva quando passa del polo di statore al rotore Ia Asse neutro

B(α) Bi

Fi

Iz

ai

Bi

-Iz

α

αi Iz

Ia

Azioni elettromeccaniche nella macchina a corrente continua

Con riferimento alla figura, B(α) rappresenta una generica distribuzione di induzione al traferro, comunque prodotta. Il diagramma di B(α) deve rispettare esclusivamente la condizione di solenoidalità dell’induzione; esso deve essere ad area nulla sull’arco di 360°. Sia Bi il valore di detta distribuzione in corrispondenza ad un generico conduttore in posizione αi. La forza elementare Fi che si esercita sul conduttore, in base alla prima delle (2.2), è orientata tangenzialmente al rotore e vale in modulo: Fi = Bi ⋅ l ⋅ I z dove l è la lunghezza attiva del conduttore.

(2.4)

Il momento della forza Fi rispetto all’asse di rotazione può essere scritto come: M i = Fi ⋅ r = Bi ⋅ l ⋅ I z ⋅ r

(2.5)

dove r è il raggio del rotore Il verso della forza e del suo momento sono determinati in base alla regola della mano sinistra (cfr. paragrafo 1.2.3). Il valore del momento esercitato sul conduttore in esame non è costante al variare della posizione angolare del conduttore; esso dipende dal valore locale Bi della componente radiale dell'induzione al traferro. Durante un giro completo del conduttore (tenuto conto che il valore medio dell’induzione tra 0 e π è uguale al valor medio dell’induzione tra π e 2π a causa della ricordata solenoidalità del vettore B) il valore medio di tale momento risulta: M i , medio = Bmedio ( 0 −π ) ⋅ l ⋅ r ⋅ I z =

1

π

Φu ⋅ I z

(2.6)

Φu viene definito flusso utile o flusso di macchina e la sua definizione discende dall’integrale che definisce l’induzione media nella (2.6). 55

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il flusso di macchina o flusso utile è il flusso della distribuzione di induzione al traferro che attraversa la sezione del rotore al piano delle spazzole. Se si indica con Z il numero totale di conduttori attivi dell’avvolgimento, la coppia media sviluppata dalla macchina a due poli vale: Z

Cmedia =

Z

Z

∑ M i ,medio = π Φ u I z = 2π Φ u I a

(2.7)

i =1

Nel caso generale di macchine con p coppie polari ed a coppie di vie interne, se Φu mantiene il significato di flusso utile relativo ad un polo, la coppia media vale: Cmedia =

Z p IaΦu 2π a

(2.8)

Conglobando i dati di avvolgimento in una costante k, l’espressione (2.8) assume la seguente formulazione finale. C media = kΦ u ⋅ I a

(2.9)

Coppia L’equazione (2.9) esprime il valore medio della istantanea coppia sviluppata dalla macchina su una Coppia rotazione completa. In realtà la coppia non è media costante nell’arco di un giro completo del rotore; infatti, come osservato, la coppia complessiva risulta dalla somma di contributi Mi non costanti dovuti ai singoli conduttori, come illustrato nella figura a fianco. Fortunatamente, grazie allo sfasamento α regolare di tali contributi, il disturbo totale presente è tanto più modesto quanto maggiore è Disturbo residuo presente sulla coppia il numero Z di conduttori disposti sulla periferia complessiva della macchina di indotto. Ovviamente la sua frequenza è proporzionale a Z. In realtà, nelle macchine i cui conduttori sono sistemati in cave, sia il contributo complessivo dato dai conduttori alla coppia media, sia il disturbo residuo illustrato in figura sono trascurabili. In queste macchine la maggior parte dell’azione meccanica si esercita sul ferro dei denti. Tuttavia, anche in questo caso, si producono irregolarità sulla coppia istantanea prodotta dalla macchina. Quando il rotore è scanalato, infatti, la riluttanza presentata al traferro dal circuito magnetico della macchina risente delle variazioni di posizione reciproca tra espansioni polari ed aperture di cava durante il moto della macchina. Queste variazioni di riluttanza producono una disturbo sulla coppia che è funzione non solo al numero complessivo delle cave, ma anche alla loro apertura. Per ridurre questo disturbo possono essere convenienti le seguenti opzioni costruttive:

adozione di cave del tipo semi-chiuso, idonea scelta del numero di cave di indotto (numero dispari di cave per coppia polare), inclinazione delle cave rispetto all’asse di rotazione (in modo da graduare ed attenuare il transitorio di attacco o distacco tra bordo del dente e bordo dell’espansione polare). E’ bene sottolineare a questo punto che il flusso utile, che compare nell’equazione (2.5) e successive, non deve essere confuso con il flusso prodotto dalla sola corrente di eccitazione di 56

MACCHINE ELETTRICHE induttore. Φu è infatti il flusso relativo alla distribuzione di induzione che si genera nella macchina a carico (si osservi a questo proposito il diagramma riportato al paragrafo 2.2.3). In questo senso esso dipende non solo dall’azione del circuito di eccitazione, ma anche dall’azione della stessa corrente di armatura Ia (reazione di indotto). In linea generale si può ritenere: Φ u = Φ u (I ecc , I a )

(2.10)

Tuttavia, come si è osservato al paragrafo 2.2, il campo magnetico prodotto dalla corrente di armatura non produce flusso attraverso il piano delle spazzole e quindi non è in grado di dare contributo al flusso utile (vedi figura al paragrafo 2.2.2). In assenza di fenomeni di non linearità magnetica (saturazione), grazie al principio di sovrapposizione degli effetti, si può ritenere che il flusso utile corrisponda solo alla quota prodotta dall’avvolgimento di eccitazione ed, in questo caso, è lecito scrivere: Φ u = Φ u (I ecc )

(2.11)

Sotto quest’ipotesi, il valore di Φu che compare nelle equazioni precedenti è di fatto indipendente dalla corrente di armatura[7].

2.3.3 Azione elettrica Si supponga ora che il rotore venga posto in rotazione dall’esterno alla velocità angolare ω e che l’avvolgimento di armatura non sia alimentato. In questo caso non si avrà corrente nei conduttori, ma la rotazione nel campo magnetico indurrà negli stessi forze-elettromotrici. Lo schema di di questa situazione è riportato nella figura seguente.

Asse neutro

B(α)

Bi

ai Ea Bi

Ei

Ei

ω

α

αi

Passo polare

Azioni elettriche nella macchina a corrente continua

I conduttori di armatura sono rappresentati attraverso le loro sezioni. I conduttori contrassegnati con punti indicano che la f.e.m indotta è uscente dal piano della sezione; i [7]

Si noti che la relazione (2.11) è valida quando si trascura la saturazione per analizzare il fenomeno della reazione di indotto. Il legame tra il flusso utile e corrente di eccitazione è generalmente non lineare proprio a causa della saturazione in quanto il circuito magnetico di eccitazione è caratterizzato da traferri molto corti.

57

PROF. ANDREA CAVAGNINO conduttori contrassegnati con + indicano f.e.m. entrante nel piano della sezione (regola della mano sinistra). Con riferimento alla figura, indicato con Bi il valore dell’induzione al traferro in corrispondenza ad un generico conduttore, il verso e il modulo della f.e.m. elementare Ei indotta sul conduttore, si ottengono dalla seconda equazione delle (2.2). Il valore è espresso da: Ei = Bi ⋅ l ⋅ r ⋅ ω

(2.12)

L’impiego della (2.12) per la determinazione della f.e.m. può tuttavia essere fuorviante quando i conduttori sono disposti entro cave. In questo caso, infatti, diventa problematico valutare sia il valore di Bi nel conduttore, sia definire correttamente la velocità relativa del conduttore rispetto alle linee del campo. E’ opportuno a questo punto, per definire senza equivoci il valore della f.e.m. indotta, riferirsi al concetto di spira e di flusso concatenato. Come osservato in precedenza, ad ogni conduttore disposto su un lato dell’armatura ne corrisponde un secondo sull’altro lato in posizione diametrale; i due conduttori formano perciò una spira che si muove nel campo magnetico presente al traferro. La variazione del flusso concatenato dalla spira, quando questa ruota di 180° a partire dal piano neutro vale: ∆Φ = 2Φ u dove Φu è lo stesso flusso utile già definito al paragrafo precedente per descrivere l’azione meccanica della macchina. La f.e.m. media indotta nella spira vale, secondo la legge di Lenz: E s , media = dove ∆T =

2Φ u ∆Φ = ∆T ∆T

π è il tempo necessario per compiere la rotazione di 180°. In definitiva la f.e.m. ω

media sviluppata da una spira è data da: E s ,media =

2Φ u

π

ω

Se, come al solito, Z è il numero totale di conduttori dell’indotto e Z/2 il numero di conduttori di ciascuna delle due vie interne in parallelo dell’avvolgimento il numero complessivo di spire di una via interna vale Z/4. Poiché le spire di una via interna sono in serie tra loro, la f.e.m. media complessivamente raccolta alle spazzole è data da: E a ,media =

Z Φ uω 2π

(2.13)

Nel caso di una macchina dotata di p coppie polari e di a coppie di vie interne la (2.13) risulta: E a ,media =

Z p Φ uω 2π a

(2.14)

In analogia a quanto visto per l’azione meccanica, introducendo la costante di avvolgimento k, la f.e.m generata alle spazzole diventa:

E a, media = kΦ u ⋅ ω

58

(2.15)

MACCHINE ELETTRICHE Il valore della f.e.m. non dipende dalla eventuale corrente che circola nei singoli conduttori. Ovviamente, anche per la f.e.m. come per la coppia occorre distinguere tra a f.e.m. istantanea e la f.e.m. media data dalla (2.15). La presenza delle cave di rotore e la non uniforme distribuzione dell’induzione al traferro causano nella f.e.m. raccolta alle spazzole delle ondulazioni di disturbo.

2.3.4 – La conversione elettromeccanica nella macchina a corrente continua Le equazioni (2.9) e (2.15) sono fondamentali per lo studio del funzionamento della macchina a corrente continua, in quanto descrivono il modo in cui avviene la conversione elettromeccanica. Anche per la macchina nel suo complesso vale l’equilibrio di potenze visto per la macchina elementare e descritto dalle equazioni (2.3). Infatti si osserva che, in qualunque condizione di funzionamento, vale sempre la seguente identità:

E a ⋅ I a = k ⋅ Φ u ⋅ ω ⋅ I a = kΦ u ⋅ I a ⋅ ω = C ⋅ ω ⇒

Ea ⋅ I a = C ⋅ ω

(2.16)

Si ricorda il significato delle grandezze che compaiono in questa relazione:

Φ flusso al traferro in corrispondenza ad un passo polare della macchina; Ea f.e.m. prodotta alle spazzole del circuito di armatura in conseguenza della rotazione; C coppia prodotta all’albero dalla corrente Ia che viene addotta alle spazzole; k costante di avvolgimento. Il verso della f.e.m dipende dal segno della velocità di rotazione. Se si inverte la velocità cambia conseguentemente il verso della f.e.m complessiva indotta nell’avvolgimento. In maniera analoga, il segno della coppia dipende dal verso della corrente: invertendo il verso di quest’ultima la coppia si inverte di segno. Per macchine a magneti permanenti, in cui il flusso utile è praticamente costante, si è soliti definire il termine k⋅Φu come costante di coppia (kT) ovvero costante di f.e.m. (kv) della macchina. In accordo a quanto specificato al paragrafo 1.9.1, quando la macchina funziona come motore il verso della coppia prodotta e della velocità angolare coincidono (caso a). Questo significa che la macchina trasferisce al rotore potenza meccanica. In questa situazione, la f.e.m. indotta nell’avvolgimento di armatura deve contrastare la corrente che lo percorre. L’avvolgimento assorbe quindi potenza elettrica. Quando la macchina funziona come generatore, il verso della coppia prodotta e della velocità angolare sono discordi (caso b). Questo significa che alla macchina deve essere somministrata potenza meccanica per farla restare in rotazione. In questo caso, la f.e.m. indotta nell’avvolgimento di armatura risulta concorde con la corrente che lo percorre. L’avvolgimento eroga quindi potenza al circuito elettrico esterno.

a) Ia

ω Ea

C

Motore a c.c.

Potenza

b) Ia

ω Ea

C

Generatore a c.c. Potenza

Schema di funzionamento a) motore b) generatore

59

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2.4 - Caratteristiche elettromeccaniche della macchina a corrente continua Poiché la macchina a corrente continua è oggi impiegata principalmente per la conversione dell’energia elettrica in energia meccanica, nel seguito verranno esaminati unicamente gli aspetti caratteristici del suo funzionamento come motore. In particolare verranno esaminate le caratteristiche funzionali del motore nelle ipotesi semplificative di assenza di fenomeni di saturazione magnetica e di perdite meccaniche e nel ferro. Nell’impiego come motore, assume fondamentale importanza la conoscenza del modo in cui esso è in grado di esprimere l’azione meccanica in funzione dell’alimentazione e della velocità. Nel caso di un motore elettrico, la caratterizzazione può essere convenientemente fornita attraverso le cosiddette caratteristiche elettromeccaniche. Con tale termine si intendono generalmente le espressioni (o i diagrammi) della coppia erogata, della corrente assorbita, della potenza elettrica e meccanica, del rendimento in funzione della velocità angolare o del numero di giri al minuto dell’albero. Le caratteristiche elettromeccaniche di un motore a corrente continua sono variabili in relazione alla sua eccitazione, all’alimentazione dell’armatura ed anche al modo in cui i due circuiti possono essere interconnessi. Nei paragrafi successivi si analizzerà il comportamento del motore nei seguenti due casi di collegamento: Motore ad eccitazione separata. Motore ad eccitazione serie. Motore ad eccitazione separata

Quando l’alimentazione è fornita separatamente al circuito di eccitazione e al circuito di armatura attraverso due sorgenti ideali di tensione, secondo lo schema raffigurato in figura, il motore viene detto ad eccitazione separata. Ia

Va

Iecc Armatura

Campo

Vecc

Schema di alimentazione di un motore a corrente continua con armatura ed eccitazione indipendenti.

In questo tipo di configurazione le tensioni e correnti che alimentano il circuito di armatura e il circuito di eccitazione sono regolabili in modo indipendente una dall’altra. Il motore ad eccitazione separata costituisce, oggi, la tipologia più comune di motore a corrente continua usato in ambito industriale. In questa tipologia di macchina si possono far rientrare, in particolare, anche i motori a magneti permanenti, in cui il circuito elettrico di eccitazione è sostituito da magneti permanenti. Ovviamente in quest’ultimo caso, a fronte ai vantaggi di non dover provvedere ad una alimentazione esterna e alla assenza di dissipazione termica sulla resistenza dell’avvolgimento di eccitazione, si perde la possibilità di regolare il flusso utile di macchina.

60

MACCHINE ELETTRICHE

Motore ad eccitazione serie

Nel motore ad eccitazione serie i due avvolgimenti (armatura, campo) sono collegati in serie ed alimentati attraverso un’unica sorgente; essi sono quindi percorsi dalla stessa corrente. Questo tipo di collegamento condiziona le dimensioni dei conduttori dell’avvolgimento di eccitazione che dovranno essere adeguate a sopportare l’intera corrente di armatura. Tipicamente la f.m.m. di eccitazione è in questo caso ottenuta con un numero contenuto di spire di grande sezione. Al contrario, nel caso di eccitazione separata, lo stesso valore di f.m.m può essere realizzato con un numero maggiore di spire percorse da corrente più piccola e quindi la sezione dei conduttori risulta contenuta e le bobine di eccitazione possono essere realizzate con minore difficoltà. Ia Iecc=Ia Va

Armatura

Campo

Schema di alimentazione di un motore a corrente continua con armatura ed eccitazione in serie.

Questo tipo di collegamento ha trovato, in passato, particolare fortuna nel campo della trazione elettrica; oggi esso è caduto in disuso. Attuali applicazioni del motore ad eccitazione serie sono limitate a motorizzazioni di potenza ridotta (ad esempio, avviamento di motori a scoppio). Una particolarità del motore ad eccitazione serie è quella di poter funzionare sia in corrente continua che in corrente alternata. Come motore in c.a. esso trova oggi una discreta diffusione nel campo delle motorizzazioni monofase per applicazioni domestiche o per apparecchiature portatili. In questi casi viene convenzionalmente denominato motore monofase a collettore o motore universale. In passato hanno trovato applicazione anche motori con collegamenti diversi tra armatura e campo (motori ad eccitazione derivata, motori ad eccitazione composta serie-parallelo etc.); per lo più queste configurazioni sono state studiate per modificare e rendere più idonee alle diverse applicazioni le caratteristiche elettromeccaniche dei motori. Oggi queste forme non sono più in uso; solo nel caso di motori ad eccitazione separata può essere presente un secondo avvolgimento di eccitazione, in serie con l’armatura, con l’esclusivo compito di stabilizzare la caratteristica di coppia ( serie stabilizzatrice).

61

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2.4.1 – Motore ad eccitazione separata Con riferimento ad una generica condizione di funzionamento a regime, si indichino con:

Ra .........il valore di resistenza dell’avvolgimento di armatura misurato tra le spazzole, Recc ......il valore di resistenza dell’avvolgimento di eccitazione, Va .........il valore di tensione di alimentazione di armatura, Vecc ....... il valore della tensione di eccitazione, Ia ..........il valore della corrente di armatura, Iecc.........il valore della corrente di eccitazione, ω........... la velocità angolare del motore espressa in rad/s, C........... la coppia prodotta. Essendo assenti, per ipotesi, i fenomeni di non linearità magnetica (ovvero ammettendo la proporzionalità tra flusso e corrente), il flusso utile prodotto al traferro della macchina dalla sola corrente di eccitazione risulta essere:

Φ u = M ⋅ I ecc

(2.17)

Ricordando le relazioni (2.9) e (2.15), le equazioni dei due circuiti elettrici di armatura e di eccitazione e l’espressione della coppia possono essere così descritte:

Vecc = Recc ⋅ I ecc Φ u = M ⋅ I ecc

(2.18)

Va = Ra ⋅ I a + Ea = Ra ⋅ I a + kΦ u ⋅ ω C = kΦ u ⋅ I a

Il circuito elettrico equivalente a regime dell’armatura del motore è illustrato nella figura seguente. Ra

Ia

Va

Ea=kΦu(Iecc)⋅ω

Circuito equivalente dell’armatura del motore ad eccitazione separata

Se si conoscono le condizioni di alimentazione dell’armatura e del circuito di eccitazione (Va e Iecc) e data la velocità angolare del rotore, si possono determinare i valore della corrente di armatura e della coppia con le seguenti relazioni: Ia =

Va − kΦ u ⋅ ω ; Ra

V − kΦ u ⋅ ω C = kΦ u ⋅ I a = kΦ u ⋅ a Ra

62

con Φ u = M ⋅ I ecc (2.19)

MACCHINE ELETTRICHE

Coppia di spunto: Csp= kΦ⋅Va/Ra Corrente di spunto: Ia,sp=Va/Ra C=C(ω) Ia=Ia(ω)

Velocità a vuoto: ω0=Va/kΦ ω

Caratteristiche elettromeccaniche del motore ad eccitazione separata

Con le convenzioni di segno usate, valori positivi di corrente e di coppia corrispondono ad un funzionamento della macchina come motore. Le relazioni (2.19) consentono di calcolare le due principali caratteristiche elettromeccaniche del motore (coppia motrice C e corrente di armatura Ia) in funzione della velocità di rotazione; entrambe le caratteristiche sono rappresentate da linee rette come illustrato nella figura precedente. Ciascuna retta incrocia gli assi coordinati in due punti che rappresentano per la macchina altrettante condizioni di funzionamento di interesse. Condizione di spunto o di avviamento (ω = 0)

I valori di coppia e di corrente relativi al funzionamento del motore con rotore fermo sono dati da: I a , sp = C sp

Va Ra

V = kΦ u ⋅ a ; Ra

(2.20) con Φ u = M ⋅ I ecc

La corrente di spunto del motore dipende dalla tensione di armatura. Essa è limitata esclusivamente dalla resistenza dell’avvolgimento indotto e dalla caduta di tensione al contatto spazzola – lamella. Il suo valore è tipicamente elevato e non risulta sopportabile per troppo tempo dal motore. Nel caso di motori a magneti permanenti occorre spesso ridurre l’entità di tale corrente per evitare danni permanenti al magnete. La coppia di spunto dipende dalla corrente di spunto e dal flusso utile del motore; essa è pertanto influenzata dalla tensione di armatura e dalla tensione di eccitazione. Condizione di funzionamento a vuoto (Ia = 0, C = 0)

Sia la corrente di armatura che la coppia si annullano per un determinato valore della velocità di rotazione della macchina: questo accade quando la f.e.m. Ea uguaglia il valore della tensione di alimentazione. In questo caso si dice che la macchina funziona a vuoto. La velocità di rotazione del funzionamento a vuoto vale:

ω 0=

Va kΦ u

(2.21)

63

PROF. ANDREA CAVAGNINO Essa dipende sia dalla tensione di armatura che dal flusso utile (cioè dalla corrente di eccitazione). Osservando le caratteristiche elettromeccaniche di corrente e di coppia, si nota che le rispettive rette rappresentative attraversano tre dei quattro quadranti in cui il piano viene diviso dagli assi coordinati. Ciascuno di questi quadranti contraddistingue un particolare modo operativo del motore. In particolare, si può osservare: 1° quadrante Coppia, corrente e velocità di rotazione sono positive; il motore assorbe potenza elettrica (Va⋅Ia>0) ed eroga potenza meccanica (C⋅ω >0). Questo è il quadrante di riferimento per il funzionamento della macchina come motore. Si può affermare che per velocità comprese tra 0 (spunto) e ω0 (funzionamento a vuoto) la macchina funziona come motore elettrico. 4° quadrante Per velocità superiori ad ω0, le caratteristiche di coppia e corrente passano nel quarto quadrante; entrambe le grandezze cambiano segno; la macchina funziona come dinamo, cioè come generatore elettrico (Pelettrica ω’). La diminuzione del flusso, attuata tramite la diminuzione della corrente di eccitazione, viene indicata con il termine “deflussaggio”. Si noti che in assenza di coppia resistente, se il flusso venisse annullato mantenendo applicata la tensione di armatura, il motore ruoterebbe ad una velocità teoricamente infinita. Tale condizione, assolutamente da evitare, viene indicata come fuga in velocità del motore a corrente continua. Per i motori a magneti permanenti è, ovviamente, possibile la sola regolazione di armatura. Negli azionamenti [8]dei motori a corrente continua, queste due possibilità di regolazione intrinseche della macchina vengono generalmente combinate per ottenere due campi di regolazione della velocità: Regolazione della velocità a coppia costante. Regolazione della velocità a potenza costante. La prima regolazione, attuata controllando la tensione di armatura e mantenendo il flusso utile costante, permette di garantire la costanza di una prestazione in coppia (ad esempio la coppia nominale) da velocità nulla fino ad una velocità denominata velocità base (ωb). Questa velocità viene realizzata applicando al motore la massima tensione di armatura disponibile (saturazione in tensione dell’azionamento). Durante la regolazione a coppia costante, la corrente assorbita dal motore è anch’essa costante, in quanto il flusso utile è costante. Per aumentare la velocità oltre la velocità base, si ammette una diminuzione della prestazione di coppia desiderata attuando un deflussaggio della macchina. Diminuendo il flusso utile e mantenendo la tensione di armatura costante è possibile ottenere un campo di regolazione a potenza costante tra la ωb e la velocità massima prevista. Per far ciò si deve diminuire il flusso in modo inversamente proporzionale alla velocità. Infatti, se si vuole una potenza all’asse costante, la coppia deve risultare inversamente proporzionale alla velocità. Risulta conveniente realizzare questa condizione mantenendo costante la corrente assorbita, come [8]

Si definisce azionamento di un motore elettrico il sistema costituito da un convertitore elettronico di potenza, dal motore e da un sistema di controllo che aziona il motore al fine di realizzare determinate leggi del moto.

66

MACCHINE ELETTRICHE indicato nelle relazioni (2.23). Ovviamente, questo tipo di regolazione risulta applicabile solo se il carico meccanico richiede una potenza costante al variare della velocità (ad esempio, lavorazioni di tornitura, aspi avvolgitori,…).  E a = kΦ u ⋅ ω = costante  V − Ea  1 ⇒ I a = a = costante ⇒ C = kΦ u ⋅ I a ∝ 1 kΦ u ∝ ω ω R a   Passe = C ⋅ ω = E a ⋅ I a = costante

(2.23)

La figura seguente illustra i campi di regolazione della velocità a coppia ed a potenza costante. Si noti che tutti i punti sotto la caratteristica di coppia limite indicata sono punti operativi: in tali punti il motore assorbirà una corrente minore di quella che compete alla prestazione di coppia scelta.

C Va aumenta C*

a) Φu diminuisce

ωb

ωmax

ω

Passe, Va Ia b)

Φu, C

ωb

ωmax

ω

Regolazione di velocità a coppia ed a potenza costante a) Andamento della prestazione in coppia b) Potenza all’asse, corrente d’armatura e flusso utile

67

PROF. ANDREA CAVAGNINO Analisi approssimata di alcuni effetti dinamici delle regolazioni

Si supponga che il motore a corrente continua sia alimentato a tensione Va e caricato con una coppia resistente Cr. Il punto di funzionamento, che descrive il sistema nel piano C-ω, è rappresentato dal punto P in cui si incrociano la caratteristica del motore e quella del carico meccanico (vedi figura seguente). dω = 0 e la velocità del sistema si In questo punto si verifica la condizione Cm − C r = J dt mantiene costante. C Cm

Ia

C’m

Ea C ω

Va

P’

P

Cr

ω ω’

ω Q

Va

Ia Va

Ea

C ω

Va-∆Va

Transitorio meccanico di regolazione

Se ad un certo istante la tensione di armatura viene ridotta di una quantità ∆Va, con l’intento di portare il motore a lavorare ad una velocità più bassa ω', la nuova caratteristica di coppia valida per il motore diventa C’m. Considerando che i transitori elettrici sono molto più veloci di quelli meccanici e che, a causa dell’inerzia, il motore non può ridurre istantaneamente la sua velocità, il punto di funzionamento si sposta transitoriamente nel punto Q. In questa fase la coppia del motore e la coppia resistente non si fanno più equilibrio; la coppia risultante è negativa e tende a frenare il motore in base alla legge:

C ' m −Cr = J

dω 0 Motore indietro III quadrante

Cm

I quadrante

II quadrante

Cm.ω > 0 Motore avanti

Va.Ιa < 0 Generatore

P1(ω1, C1)

Ia

I quadrante

Va.Ιa > 0 Utilizzatore

P2(V2, I2)

ω

Va

Cm.ω < 0 Freno avanti IV quadrante

Va.Ιa > 0 Utilizzatore III quadrante

Va.Ιa < 0 Generatore IV quadrante

Definizione dei quadranti sul piano C-ω e sul piano Ia-Va

Il concetto di quadrante può essere legato alla partizione del piano delle condizioni operative della macchina attraverso i due assi ortogonali coppia (Cm) e velocità (ω) del motore. Il significato di quadrante è, in questo caso, di natura meccanica. I punti del piano sono identificati da coordinate misurate parallelamente agli assi di riferimento, essi definiscono le condizioni operative della macchina in termini di velocità e di coppia. Su questo piano è possibile identificare le zone in cui la macchina funziona come freno o come motore (vedi figura di sinistra). Ma il concetto di quadrante può avere anche valenza elettrica e la partizione del piano operativo può essere eseguita sulla base della tensione e della corrente di armatura. Il significato di quadrante è legato in questo caso al verso dell’assorbimento di potenza elettrica dalla sorgente di alimentazione e al segno di tensione e corrente, come illustrato nel diagramma a destra della figura. Per poter valutare le condizioni operative della macchina sia dal punto di vista elettrico che meccanico sarebbe utile poter sovrapporre i due quadranti. Questa operazione non è immediatamente possibile. Per fare in modo che i punti del piano possano essere interpretati sia in termini sia meccanici che elettrici occorre deformare uno dei due piani. Nella figura seguente viene illustrata la modalità di sovrapposizione. Si riportino nel piano un sistema di assi ortogonali per le grandezze meccaniche (Cm,ω). Su tale piano si disegni quindi la caratteristica di coppia del motore corrispondente alla tensione di alimentazione nulla[9]. La retta così ottenuta può essere interpretata come asse Ia, mentre l’asse della tensione Va risulta sovrapposto all’asse delle velocità del motore. La graduazione di questi nuovi assi del “piano elettrico” è ottenuta in relazione agli assi meccanici secondo la regola seguente, dove ω0 è la velocità a vuoto del motore. Va = kΦ u ⋅ ω0 ;

Ia =

Cm kΦ u

[9]

Si ricorda che questa caratteristica corrisponde al funzionamento del motore con le spazzole chiuse in corto circuito.

73

PROF. ANDREA CAVAGNINO II quadrante

c)

Ia

I quadrante

Cm

a)

b) I1

P1

C1

ω1

d)

III quadrante

e)

Va

V1

ω

ω01

f)

IV quadrante

Sovrapposizione dei quadranti meccanici ed elettrici.

Con riferimento alla figura, il punto P1, che rappresenta le condizioni operative del motore, può essere letto in temini meccanici: C1,ω1 sulla coppia di assi ortogonali, oppure in termini elettrici sulla coppia di assi obliqui. Dalla rappresentazione appare evidente che i quadranti elettrici non sono sovrapponibili esattamente ai quadranti meccanici: sono possibili, in realtà, 6 condizioni operative diverse della macchina a corrente continua. Tali condizioni sono individuabili nelle regioni contrassegnate dalle lettere a), b), c), d), e), f) nella figura. In particolare è possibile osservare quanto segue: zona a) – La macchina funziona con coppia e velocità positive; tensione di alimentazione e corrente sono anch’esse positive. La potenza elettrica (positiva) è realmente assorbita dalla macchina e la potenza meccanica (positiva) è corrispondentemente ceduta al carico. La macchina funziona da motore in marcia avanti. Questa zona è quella tipica di funzionamento per i motori a c.c.. zona b) – La macchina funziona con coppia positiva e velocità negativa; tensione e corrente sono entrambe positive. La potenza elettrica (positiva) è realmente assorbita dalla macchina e la potenza meccanica (negativa) è anch’essa assorbita. Questa condizione è anomala, infatti entrambe le forme di energia vengono contemporaneamente assorbite e cedute sotto forma di calore dissipato principalmente sulla resistenza di armatura. I punti operativi corrispondenti a questa zona sono da evitare accuratamente perché inefficienti dal punto di vista della conversione elettromeccanica e pericolosi per il surriscaldamento della macchina. zona f) – La macchina funziona con coppia negativa e velocità positiva; la tensione di alimentazione è positiva mentre la corrente assorbita è negativa. Dal bilancio delle potenze si evince che a fronte di una potenza meccanica (negativa) fornita alla macchina esiste una potenza elettrica ceduta dalla macchina alla sorgente di alimentazione. La macchina funziona come freno dal punto di vista meccanico e come generatore dal punto di vista elettrico. Questa zona viene spesso usata per produrre una frenatura rigenerativa del carico meccanico collegato al motore. Le zone d), e), c) sono corrispondenti ordinatamente alle zone a), b), f) quando la macchina sia alimentata con tensioni negative per il funzionamento in marcia invertita. 74

MACCHINE ELETTRICHE Nella figura seguente sono riepilogate le considerazioni di cui ai punti precedenti. Freno dissipativo Pe > 0 Pm < 0 2° quadrante

1° quadrante

Cm

Freno generatore indietro Pe < 0 Pm < 0

Va = 0

Va < 0 Ia > 0 Cm > 0 ω < 0

Motore indietro Pe > 0 Pm > 0

Motore avanti Pe > 0 Pm > 0

Va>0

Va 0 Ia > 0 Cm > 0 ω > 0

ω Freno generatore avanti Pe < 0 Pm < 0 Va > 0 Ia < 0 Cm < 0 ω > 0

Va < 0 Ia < 0 Cm < 0 ω < 0 3° quadrante

4° quadrante

Freno dissipativo Pe > 0 Pm < 0 Zone operative del motore in corrente continua

Per far funzionare il motore in un certo punto nei quadranti operativi indicati, il convertitore elettronico di potenza deve essere in grado di poter fornire la tensione e la corrente (in valore e segno) richieste. Ad esempio, se l’applicazione impone di lavorare in tutti e quattro i quadranti, si deve usare un convertitore capace di invertire sia il segno della tensione media che della corrente media fornita al motore.

75

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2.6 – Perdite e rendimento del motore a corrente continua Nel processo di conversione elettromeccanica dell’energia del motore a c.c. sono presenti inevitabili perdite di potenza; l’energia associata viene dissipata sotto forma di calore. L’identificazione e la valutazione quantitativa di queste perdite è importante sia dal punto di vista dell’economia di esercizio della macchina sia dal punto di vista tecnico del contenimento delle sovratemperature raggiunte. Nel caso di una macchina a corrente continua, le perdite possono essere suddivise nelle seguenti voci: Pja

Perdite Joule di armatura.

Pje

Perdite Joule di eccitazione (ove presente).

Pfe

Perdite nel ferro.

Pmecc Perdite meccaniche.

Pertanto il bilancio energetico può essere scritto, secondo il funzionamento da motore o da generatore, nel seguente modo: Pi = P ja + P je + P fe + Pmecc + Pu = ∑ Perdite + Pu

(2.29)

dove, nel caso di funzionamento da motore: Pi ..... è la potenza elettrica complessiva di alimentazione dei due circuiti di armatura Pa e di eccitazione Pe; Pu .... è la potenza meccanica utile resa disponibile all’albero della macchina per l’applicazione[10].

mentre, nel caso di funzionamento da generatore, Pi ..... è la potenza complessiva assorbita pari alla somma della meccanica Pm fornita all’albero della macchina e della potenza elettrica di eccitazione Pe, Pu .... .è la potenza elettrica erogata ai morsetti del circuito di armatura Pa.

Si definisce rendimento della macchina il rapporto tra la potenza utile (meccanica o elettrica) e la potenza fornita in ingresso (elettrica o meccanica):

η=

Pu Pi

(2.30)

Si noti che il rendimento di un motore si annulla in corrispondenza all’annullarsi della potenza meccanica, ovvero per ω = 0 ( motore fermo) e per ω = ω0 (funzionamento a vuoto). Il rendimento per una dinamo si annulla quando si annulla la potenza elettrica erogata ai morsetti di armatura, ovvero per ω = ω0 (funzionamento a vuoto) e, idealmente, per ω = ∞. Il rendimento di una macchina varia necessariamente in funzione del carico meccanico applicato e della velocità di rotazione, ed una corretta valutazione del suo valore richiede un’analisi delle singole voci di perdita.

[10]

76

Si ricorda che in condizioni nominali la potenza meccanica fornita all’asse è la potenza nominale del motore.

MACCHINE ELETTRICHE Perdite Joule nel circuito di armatura

Queste perdite sono sostanzialmente legate alla resistenza presentata dall’avvolgimento di armatura ed il loro valore cresce quadraticamente con la corrente assorbita dal circuito[11].

Pja = Ra I a2

(2.31)

Una considerazione più precisa del meccanismo di adduzione della corrente a tale circuito porta ad una valutazione leggermente diversa di questa voce di perdita. Infatti la presenza del contatto strisciante spazzola-lamella introduce una caduta di tensione anomala nel circuito. Questa caduta, indicata con il simbolo ∆Vs, non rispetta la legge di Ohm, ma tende ad essere indipendente dalla corrente. Un rilievo volt-amperometrico eseguito alle spazzole del motore fermo, o ruotante molto lentamente, fornisce tipicamente un andamento di tensione applicata e corrente assorbita del tipo illustrato nella figura seguente; la caratteristica mostra una dipendenza lineare tra tensione e corrente, ma non passa per l’origine. L’intercetta sull’asse delle tensioni può essere interpretata come caduta di tensione di contatto spazzola-lamella. Il diagramma ottenuto risponde alla seguente approssimazione:

∆Va = ∆Vs + Ra ⋅ I a

(2.32)

Da questo punto di vista, la potenza dissipata nel circuito di armatura assume la seguente formulazione:

Pja = ∆Vs I a + Ra I a2 La resistenza Ra è la resistenza ohmica complessiva dell’avvolgimento di armatura e di eventuali altri avvolgimenti ausiliari in serie al circuito di armatura (ad esempio, l’avvolgimento di eccitazione nel motore ad eccitazione serie). Il valore di Ra deve essere riportato alla temperatura dell’avvolgimento. Le formule di riporto sono le stesse già viste al paragrafo 1.5.1 e devono essere applicate al solo contributo Ohmico. La caduta di tensione al contatto, infatti, non risente delle variazioni di temperatura in modo facilmente determinabile.

(2.33) ∆Va

RaIa

∆Vs

Ia

Caratteristica tensione- corrente del circuito di armatura

Perdite Joule nel circuito di eccitazione

Le perdite nel circuito di eccitazione, qualora non comprese nelle perdite di armatura (come nel caso del motore ad eccitazione serie), sono determinabili semplicemente attraverso l’espressione:

Pje = Re I e2

(2.34)

con ovvio significato dei simboli. Anch’esse devono essere riportate alla temperatura di normale funzionamento del motore. Queste perdite sono identicamente nulle nel caso di motori a magneti permanenti e, in generale, costituiscono una voce costante nel bilancio energetico del motore.

[11]

Se all’avvolgimento di armatura sono collegati in serie altri avvolgimenti ausiliari (serie, serie stabilizzatrice, avvolgimenti compensatori, avvolgimenti di commutazione, etc.) la loro resistenza deve essere compresa nella (2.31).

77

PROF. ANDREA CAVAGNINO Perdite nel ferro

In un motore a corrente continua le perdite nel ferro sono localizzate principalmente sul rotore a causa del suo movimento rispetto al campo magnetico. Tuttavia anche nello statore possono verificarsi delle perdite. Esse sono da correlare sostanzialmente ai fenomeni dell’isteresi e delle correnti parassite. Tuttavia, in questo caso, verrà operata una diversa classificazione in relazione alle modalità in cui i due fenomeni dissipativi (isteresi e correnti parassite) vengono originati. Si distingue, pertanto, tra: Perdite rotazionali: questa voce costituisce il termine principale delle perdite nel ferro; essa comprende le perdite dovute al moto dell’indotto nel campo magnetico originato complessivamente dalla macchina. Questo tipo di perdite ha sede nel rotore ed è associabile a fenomeni di correnti parassite e di isteresi. Tuttavia anche sulle espansioni polari dello statore possono esistere perdite dovute alle pulsazioni locali prodotte dal moto dei denti di indotto sotto le espansioni polari. L’effetto è quello di sottrarre potenza alla rotazione attraverso la produzione di una coppia contraria al moto e proporzionale al flusso di macchina e alla velocità di rotazione. Per ridurre questa tipologia di perdite i motori a corrente continua sono costruiti con rotore ed espansioni polari laminate. Perdite trasformatoriche. Oggi, più frequentemente che in passato, i motori a corrente continua sono sottoposti ad alimentazione tramite convertitori statici. Le forme d’onda della corrente che circola nell’armatura possiede in questi casi un contenuto armonico residuo non trascurabile. Come conseguenza, il flusso Λa concatenato con l’avvolgimento di armatura non è costante nel tempo. I tubi di flusso, in cui il flusso concatenato Λa è idealmente decomponibile, interessano nel loro percorso non solamente il rotore, ma anche i gioghi e le espansioni polari di statore come è stato illustrato al paragrafo 2.2.2. Se Λa è variabile nel tempo esso induce pulsazione di induzione nelle parti di macchina citate e conseguenti perdite per isteresi e correnti parassite di tipo trasformatorico. Per contenere queste perdite, i motori in c.c. che sono destinati ad alimentazione tramite convertitori elettronici, hanno, oltre al rotore, anche lo statore completamente laminato. Le perdite nel ferro di tipo trasformatorico non dipendono dalla rotazione del motore; esse sono presenti nella macchina anche a rotore fermo. Sono invece nulle, anche se il rotore è in movimento, purché la corrente di armatura sia ben livellata. Quando il circuito di eccitazione viene alimentato tramite un convertitore statico si hanno perdite nel ferro di tipo trasformatorico nel circuito magnetico di eccitazione. Perdite meccaniche

Quando il rotore è in movimento si hanno delle perdite meccaniche; esse si suddividono in perdite per attrito (alle spazzole ed ai cuscinetti) e perdite per ventilazione (dovute all’aria posta in rotazione dal motore). Le coppie d’attrito sono poco influenzate dalla velocità di rotazione, mentre quelle di ventilazione dipendono, in prima approssimazione, dal quadrato della velocità di rotazione. Ne consegue che le perdite meccaniche dalla velocità secondo le seguenti relazioni.

Pattrito = C attrito ⋅ ω ∝ ω Pventilazione = C ventilazione ⋅ ω ∝ ω3

78

MACCHINE ELETTRICHE

2.6.1 – Funzionamento a vuoto reale La condizione di funzionamento a vuoto analizzata al paragrafo 2.4.1 è da indentersi come una condizione di funzionamento a vuoto ideale, in quanto si erano ipotizzate nulle le perdite nel ferro e le perdite meccaniche. Si ricorda che, in detta condizione di funzionamento, il motore non assorbe corrente e ruota ad una velocità ω0 = Va / kΦu. In realtà, a causa delle perdite nel ferro e delle perdite meccaniche, il motore dovrà assorbire una corrente per mantenersi in rotazione anche quando non eroga coppia al carico. Tale corrente si chiama corrente a vuoto (Ia0) Riferendosi ad un motore ad eccitazione separata, il bilancio di potenza relativo al funzionamento a vuoto reale diventa: Pi = P ja 0 + P je + P fe + Pmecc = P ja 0 + P je + P0

(2.35)

dove P ja 0 = Ra ⋅ I a20 è la potenza dissipata a vuoto sulla resistenza di armatura e P0 = P fe + Pmecc è il termine di potenza a vuoto. Tale potenza può essere scritta come:

P0 = E0 ⋅ I a 0 = kΦ u ⋅ ω'0 ⋅ I a 0

(2.36)

dove ω0’ è la velocità di rotazione durante il funzionamento a vuoto reale. Si noti che tale velocità è necessariamente minore della velocità a vuoto ideale ω0. Il motore deve generare una coppia a vuoto C0 per sopperire alle perdite meccaniche, in accordo alla (2.37). Tale coppia è “consumata” internamente al motore. P C 0 = kΦ u ⋅ I a 0 = 0 ω'0

(2.37)

Considerando costante la potenza P0 al variare della velocità, la coppia utile (netta) fornita all’asse durante il funzionamento a carico vale:

Cu = C m − C 0 = kΦ u ⋅ (I a − I a 0 )

(2.38)

La corrente (Ia - Ia0) rappresenta, pertanto, la quota della corrente di armatura che risulta disponibile per la produzione di coppia utile all’albero del motore.

79

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2.7 – Problema dell’avviamento del motore a corrente continua Nonostante il motore a corrente continua sua un motore in grado di avviarsi da solo, la fase di avviamento può non essere tollerata dalla macchina in virtù delle forti correnti di spunto assorbite. Si ricorda infatti che la corrente allo spunto vale: V I sp = a Ra

La resistenza di armatura (o la resistenza totale nel caso di motori ad eccitazione serie) ha valori generalmente bassi e solo lei limita la corrente durante l’avviamento. La relazione precedente indica come procedere per limitare la corrente di avviamento. La strade percorribili sono ovviamente due: Diminuzione della tensione di alimentazione grazie ad una sorgente di alimentazione regolabile. Aumento della resistenza del circuito tramite l’interposizione di un reostato di avviamento tra l’alimentazione e il motore. La prima prima soluzione richiede un convertitore elettronico di potenza adatto e costituisce un tecnica energeticamente efficiente. La seconda soluzione, di costi più contenuti, ha il difetto di dissipare potenza nel reostato di avviamento e quindi, nel caso di frequenti avviamenti, di ridurre il rendimento del sistema. Ra

Ia R1

R2

R3

Va

Ea= kΦu⋅ω

Reostato di avviamento a tratti

Generalmente si utilizzano reostati costituiti da più tratti di resistenze, come indicato in figura. Tramite un selettore è possibile inserire un certo valore di resistenza oppure escludere totalmente il reostato. Il reostato e quindi i suoi tratti, vengono dimensionati in modo da assorbire una corrente compresa tra un determinato valore massimo ed uno minimo, come indicato nella figura seguente. Ad ogni esclusione di una resistenza la velocità di rotazione si mantiene praticamente costante grazie all’inerzia meccanica. Durante il transitorio si percorrono le parti di caratteristica indicate in grassetto nella figura, fino ad arrivare al punto di lavoro imposto dalla coppia resistente con reostato totalmente escluso. E’ immediato osservare: R1 + R2 + R3 =

Va

− Ra

(2.39)

V − (Ra + R x ) ⋅ I Min ω* = a kΦ u

(2.40)

I max

dove ω* rappresenta la massima velocità raggiungibile con la corrente minima e un valore di resistenza inserita pari a Rx. 80

MACCHINE ELETTRICHE

Ia, Cm Ra+R1+R2

Ra+R1 Ra

Imax

Imin Ra+R1+R2+R3 Cresistente

ω ω0 =Va / kΦu Avviamento del motore a corrente continua ad eccitazione separata tramite reostato

Osservando la figura, si comprende che la limitazione reostatica della corrente di avviamento può anche essere utilizzata come metodo di regolazione della velocità durante il funzionamento a carico (intesezioni della caratteristica di coppia resistente con le caratteristiche di coppia motrice con resistenze inserite). Questa tecnica di regolazione, utilizzata in trazione ferroviaria e tramviaria, è ormai in declino in quanto risultano poco convenienti dal punto di vista energetico.

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2.8 – Fenomeni di saturazione magnetica nella macchina a corrente continua. Reazione d’indotto I fenomeni di saturazione del ferro, che costituisce la struttura magnetica della macchina in c.c., possono assumere importanza rilevante nella determinazione delle caratteristiche elettromeccaniche della macchina. Il meccanismo della saturazione è legato alla f.m.m complessivamente sviluppata dai due avvolgimenti della macchina ed è di natura complessa. Per poterne meglio comprendere le caratteristiche si analizzeranno separatamente i fenomeni collegati alla sola azione della corrente di eccitazione e i fenomeni legati all’azione congiunta della corrente di eccitazione e della corrente di armatura.

2.8.1 – Saturazione del circuito di eccitazione e caratteristica di eccitazione Questo fenomeno è rilevabile durante il funzionamento a vuoto della macchina, quando, cioè, l’avvolgimento di armatura non è percorso da corrente e l’unica corrente presente è quella di eccitazione. Si ricorda che il circuito magnetico dell’eccitazione è caratterizzato da traferri ridotti (localizzati tra le espansioni polari ed il rotore); ne consegue che l’influenza dei fenomeni di saturazione per questo circuito sono, in generale, evidenti. La saturazione del circuito magnetico provocata dalla corrente di eccitazione, si manifesta nella non linearità della caratteristica del flusso di macchina Φu = Φu (Ie), oltreché nella non linearità del flusso concatenato con l’avvolgimento di eccitazione:

Λ e = Lσ I e + N e Φ u (I e )

(2.41)

Ne rappresenta il numero di spire totale dell’avvolgimento di eccitazione. Nella (2.41) il termine induttivo Lσ si riferisce al contributo relativo a quei tubi di flusso che non attraversano il traferro, ma si richiudono localmente attorno ai conduttori delle bobine di eccitazione. Dato il prevalente percorso in aria, questi contributi dipendono linearmente dalla corrente di eccitazione. Il flusso utile, invece, non dipende linearmente dalla corrente. Questa non-linearità è facilmente rilevabile attraverso una prova a vuoto della macchina usata come generatore elettrico. L’apparato sperimentale che consente di valutare la dipendenza del flusso utile dalla corrente di eccitazione è illustrato in figura. Tachimetro

ω Macchina C.C.

Motore C.A.

eccitazione Ea Voltmetro

giunto

Iecc Amperometro

Prova a vuoto della macchina a corrente continua.

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MACCHINE ELETTRICHE La macchina è messa in rotazione, a velocità angolare costante, attraverso un motore ausiliario. La sua eccitazione viene fornita da un generatore di tensione continua variabile. Si procede quindi ad una misura contemporanea della la corrente di eccitazione (Iecc), della f.e.m. prodotta alle spazzole (E0) e della velocità di rotazione (ω). Poiché, come è noto, la relazione tra flusso utile e f.e.m. indotta vale: E0 (costante di coppia o di f.e.m.), (2.42) ω il valore kΦu può essere facilmente determinato nella misura; esso può quindi essere posto in relazione con la corrente di eccitazione utilizzata. La prova ripetuta per diversi valori della corrente di eccitazione consente di tracciare graficamente una legge che descrive l’influenza della saturazione magnetica nel funzionamento a vuoto della macchina. Un tipico andamento di tale caratteristica, denominata caratteristica di eccitazione o caratteristica a vuoto, è indicata nella figura seguente. kΦ u =

E0 ∝Φu P

ω‘

E’0=kΦuω’ E0=kΦuω

Q

ω Effetto di magnetizzazione residua dei poli

Range tipico per l’eccitazione nominale

Iec

O

Caratteristiche di eccitazione della macchina a corrente continua per due velocità di rotazione diverse (ω’ > ω).

Nella figura non è riportato il valore del flusso utile, bensì, direttamente, il valore (ad esso proporzionale) della f.e.m. indotta misurata alla velocità di rotazione costante ω. Si può osservare l’effetto della saturazione magnetica del ferro: la f.e.m. tende a crescere sempre meno rapidamente al crescere della corrente di eccitazione. Per questo motivo il valore di corrente di eccitazione nominale della macchina corrisponde ad un punto della caratteristica di eccitazione situato poco sopra il ginocchio della curva. E’ inoltre da sottolineare che, anche in assenza di eccitazione, la macchina può fornire una f.e.m. a causa della magnetizzazione residua dei poli. Dalla caratteristica sperimentale, relativa alla velocità di rotazione ω, sono immediatamente deducibili, attraverso un processo di similitudine, le caratteristiche analoghe relative a diverse velocità di rotazione. In figura è illustrato il metodo per ricavare il valore di f.e.m. che sarebbe prodotto dalla macchina qualora ruotasse ad una velocità ω’ > ω. La relazione tra i segmenti OP ed OQ è la seguente:

OP = OQ ⋅

ω' ω

(2.43)

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PROF. ANDREA CAVAGNINO La conoscenza della caratteristica di eccitazione della macchina permette di calcolare immediatamente il valore della costante di coppia (ovvero di f.e.m.) della macchina in corrispondenza ad ogni valore della corrente di eccitazione (in accordo alla relazione (2.42)). Essa, spesso, è sufficiente per la soluzione di molti problemi relativi al funzionamento della macchina a vuoto oppure con carichi sufficientemente ridotti da poter ritenere trascurabili gli effetti aggiuntivi di saturazione dovuti alla corrente di armatura Ricordando il tracciato del campo riportato al paragrafo 2.2.1, si può osservare che le linee di campo, prodotte dalla sola azione di eccitazione, si concatenano praticamente tutte con l’avvolgimento di eccitazione. Ne consegue che, al crescere della corrente di eccitazione la saturazione magnetica si manifesta simultaneamente, e praticamente nella stessa misura, per tutti i tubi di flusso del tracciato di campo. I diagrammi di campo, e quindi di induzione al traferro, mantengono la stessa forma, ma le loro ampiezze non variano in modo proporzionale con la corrente di eccitazione.

2.8.2 - Saturazione dovuta all’azione congiunta dell’eccitazione e dell’armatura Come già indicato brevemente al paragrafo 2.2.3, quando la macchina in c.c. funziona a carico sono congiuntamente presenti la corrente di eccitazione e la corrente di armatura. Il fenomeno della saturazione si manifesta in forma localizzata e la sua analisi risulta più complessa. Analizzando il problema per gradi, si osserva α che il campo prodotto dalla corrente di armatura (reazione d’indotto) ha andamento trasversale rispetto al campo prodotto dalla corrente di eccitazione (figura a). In questa a) figura è riprodotta, qualitativamente, la distribuzione delle linee di campo nel caso di un indotto liscio (privo di cave). Si può osservare che, lungo il traferro e sotto le espansioni polari, la direzione delle linee di campo magnetico è radiale esattamente come α nel caso di sola eccitazione. In assenza di saturazione magnetica, l’intensità del campo magnetico risultante al traferro può essere valutata come semplice b) somma algebrica dei campi prodotti dai due avvolgimenti della macchina. Se si osservano i versi del campo dei due tracciati di eccitazione e di armatura (paragrafi 2.2.1 e 2.2.2), si nota che, sotto metà espansione polare essi sono equiversi, mentre sotto l’altra Reazione d’indotto metà sono opposti. Quindi il campo risultante a) Linee di campo dovute alla sola reazione d’indotto. al traferro si rafforza sotto mezzo polo e b) Campo risultante da eccitazione e reazione d’indotto. corrispondentemente si indebolisce nella parte restante. Questo effetto è detto ‘azione distorcente della reazione d’indotto’ ed è illustrato nella figura. Si osservi inoltre che l’asse neutro (definito come l’asse geometrico passante per i punti dove si annula il campo risultante al traferro) non coincide più con l’asse interpolare, ma risulta ruotato rispetto a quest’ultimo.

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MACCHINE ELETTRICHE E’ evidente che in assenza di saturazione, e in conseguenza della simmetria delle azioni di eccitazione e di reazione d’indotto, l’entità del rafforzamento del campo sotto mezza espansione polare è compensata dal corrispondente indebolimento sotto l’altra metà. Il flusso utile, cioè il flusso complessivo che attraversa il piano neutro, non viene modificato. In questa situazione risulta che il flusso utile non dipende dalla corrente di armatura, ma solo da quella di eccitazione, ovvero Φu = Φu (Ie). Nella realtà, nelle zone di rafforzamento del campo possono subentrare fenomeni di saturazione che limitano localmente proprio la crescita del campo o dell’induzione. Questa saturazione locale della macchina, implica che l’entità del rafforzamento del campo sotto mezza espansione polare è minore dal corrispondente indebolimento sotto l’altra metà Tutto ciò comporta una riduzione del flusso complessivo che attraversa il piano delle spazzole, ed una conseguente riduzione del valore di f.e.m. e di coppia forniti dal motore. Il fenomeno descritto prende il nome di effetto smagnetizzante della reazione d’indotto. Dal punto di vista pratico, quanto detto si può riassumere nel seguente legame funzionale:

Φ u = Φ u (I ecc ; I a )

(2.44)

Sulla base di quanto riportato, è possibile osservare che: L’entità della smagnetizzazione è tanto maggiore quanto più è elevata la corrente di armatura. Per bassi valori di quest’ultima l’effetto è generalmente trascurabile. L’effetto smagnetizzante della reazione di indotto può essere quantificato come una riduzione equivalente della corrente di eccitazione. Ad esempio, se Ie0 è la corrente del circuito di eccitazione cui corrisponde a vuoto il flusso Φu0, si può definire una nuova corrente I’e < Ie0 che, percorrendo l’avvolgimento di eccitazione, provoca una riduzione di flusso eguale a quella prodotta dalla reazione d’indotto. Il flusso concatenato dall’avvolgimento di eccitazione, che dipende dal flusso utile secondo la (2.41), risente delle variazioni della corrente di armatura. Quindi si può affermare che, a causa della saturazione dovuta alla reazione d’indotto, i due avvolgimenti della macchina risultano magneticamente accoppiati. L’accoppiamento è tale che la presenza della corrente su un’asse, qualunque sia il suo verso, provoca sempre un’azione di tipo smagnetizzante per l’altro asse. 2.8.2.1 - Caratteristiche elettromeccaniche a regime in presenza di saturazione

Al paragrafo precedente è stato chiarito che, nel passaggio da vuoto a carico, il motore a corrente continua subisce una smagnetizzazione parziale del flusso utile. Se gli effetti della reazione di indotto sono intensi, si può assistere ad una deformazione della caratteristica della corrente di armatura e della coppia prodotta al variare della velocità di rotazione. La figura seguente illustra qualitativamente la deformazione della caratteristica Cω del motore a causa del fenomeno considerato. Carichi meccanici, che intercettino la caratteristica del motore in corrispondenza di questo intervallo, non possono dar luogo ad un funzionamento stabile e producono pertanto un funzionamento irregolare lungo un ciclo limite indicato in figura. Lo studio della stabilità di funzionamento del motore in queste condizioni è abbastanza complicato, in quanto le variazioni di flusso utile si ripercuotono sull’avvolgimento di eccitazione e, pertanto i due circuiti della macchina non possono essere ritenuti disaccoppiati.

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C

Caratteristica di coppia per saturazione

Pendenza positiva

Caratteristica di coppia ideale

C

Zona di instabilità Coppia motore Coppia carico

ω ω0

ω

Deformazione della caratteristica di coppia per effetto della smagnetizzazione (a sinistra) Instabilità meccanica del motore (a destra)

Per eliminare o quanto meno ridurre questo disturbo, vengono usualmente adottate diverse soluzioni: Aumento del traferro in corrispondenza dei corni polari di uscita. Nella figura a fianco è rappresentata la configurazione tipica dell’espansione polare atta a ridurre l’influenza della reazione d’indotto sul flusso utile. Questa soluzione comporta come conseguenza la necessità di maggiorare la f.m.m. di eccitazione per compensare la riduzione del flusso utile prodotta dall’aumento del traferro medio.

Incremento del traferro

Asse polare

Aumento del traferro

Avvolgimento ausilario di eccitazione serie (serie stabilizzatrice) Il motore può essere dotato di un circuito Serie stabilizzatrice supplementare di eccitazione, che controbilanci l’effetto smagnetizzante Eccitazione principale della corrente di armatura. Questo circuito vien tipicamente realizzato con Ia alcune spire percorse dalla corrente di armatura e disposte sui nuclei polari della macchina come illustrato schematicamente in figura. Per evitare, che con l’inversione della Asse polare corrente d'armatura, il fenomeno si ripresenti nel funzionamento da Inserzione di una eccitazione serie per la generatore o, soprattutto, da motore in stabilizzazione meccanica. marcia indietro, occorre che la corrente nella serie stabilizzatrice continui a produrre lo stesso effetto della corrente principale di eccitazione. Uno schema d'inserzione tipico può pertanto essere realizzato con un ponte a diodi come illustrato. 86

MACCHINE ELETTRICHE Poli ausiliari Si dispongono dei poli ausiliari a statore posizionati sugli assi interpolari della macchina. Le bobine montate sui poli ausiliari sono percorse dalla corrente di armatura. Il principio di funzionamento è analogo a quello degli avvolgimenti compensatori: si cerca di annullare il campo dovuto alla reazione di indotto posizionando le bobine ausiliarie sull’asse dell’avvolgimento di armatura in modo che creino un campo opposto al precedente. In questo modo si ottiene una compensazione “globale” della reazione d’indotto (gli avvolgimenti compensatori attuano invece una compensazione “locale”). Per maggiori dettagli si veda il paragrafo 2.9, relativo al problema della commutazione. Avvolgimenti di compensazione. Questa soluzione è da ritenersi quella più efficiente nella soluzione del problema, ma è anche la meno economica e per questo viene adottata solo su macchine di grosse potenza. Le espansioni polari della macchina vengono scanalate e nelle cave viene distribuito un avvolgimento percorso dalla stessa corrente di armatura, ma in modo tale che i suoi conduttori siano percorsi dalla corrente in senso opposto a quella dei conduttori di indotto affacciati. In figura è schematizzata una tipica conformazione dei poli principali atta a realizzare l’avvolgimento di compensazione. La presenza dei conduttori disposti nelle espansioni polari e percorsi da corrente di armatura fa in modo che le linee di campo del tipo illustrato al paragrafo 2.8.2, che sarebbero prodotte dalla reazione d’indotto, non siano più sostenute da alcuna f.m.m. Pertanto l’effetto distorcente sotto le espansioni polari viene eliminato e con esso decadono i problemi di saturazione e smagnetizzazione locale. Eccitazione Avvolgimento compensatore

Avvolgimento di armatura

Linea di campo di reazione d’indotto

Disposizione degli avvolgimenti compensatori

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PROF. ANDREA CAVAGNINO 2.8.2.2 – Effetto della reazione di indotto sulle macchine a magneti permanenti

Nei motori, che utilizzano magneti permanenti per produrre l’eccitazione, il problema della distorsione di campo, provocata dalla reazione d’indotto, riveste un’importanza particolare e di natura diversa da quella descritta al paragrafo precedente. Occorre premettere che i tipi di magneti permanenti impiegati sono classificabili, di norma, nelle seguenti tre famiglie: Magneti AlNiCo Magneti ceramici, ferriti Magneti al Samario-Cobalto e Neodimio-Ferro-Boro (terre rare) Nella figura sono illustrate le curve di smagnetizzazione tipiche per questi materiali. B [T] 1.4 1.2 1 SmCo e NdFeBo

0.8 Alnico 8 Alnico 5

0.6 0.4

Sr Ferrite

400

350

0.2

Ba Ferrite

H [kA/m] 300

250

200

150

100

50

0

0

Caratteristiche di magneti permanenti

Un magnete permanente, destinato all’eccitazione di un motore in c.c., lavora generalmente nel 2° quadrante del piano B-H del suo ciclo di isteresi e, nel caso di funzionamento a vuoto del motore, il punto di lavoro è definito dall’intersezione della caratteristica magnetica del magnete permanente con la ‘retta di traferro’ (si riveda il paragrafo1.7.2.1).

Bm

Escursione del punto di lavoro del magnete

B Caratteristica del magnete

Br

A

Hm Hc

Effetto della reazione di indotto sul punto di lavoro del magnete

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MACCHINE ELETTRICHE Come visto nel paragrafo 2.8.2, quando il motore viene caricato, la reazione d’indotto tende a modificare la distribuzione di campo sotto i poli di eccitazione. Quindi le diverse porzioni del magnete affacciate al traferro vengono ad essere sottoposte ad una azione di magnetizzazionesmagnetizzazione. Il punto di lavoro del magnete nel piano Bm, Hm non è più unico, ma una porzione del magnete tenderà a sovramagnetizzarsi per l’azione concorde della reazione d’indotto (punto B della figura precedente) e l’altra porzione subirà, invece, una smagnetizzazione per la corrispondente azione discorde della reazione d’indotto (punto A). Quando il motore torna al suo funzionamento a vuoto e la reazione d’indotto scompare, la porzione di magnete che aveva subito la smagnetizzazione non riesce a tornare esattamente alle condizioni iniziali a causa dell’isteresi magnetica del materiale. Come schematizzato nella figura precedente, la curva di ritorno del magnete per il punto A risulta più bassa della curva di andata. Come conseguenza il flusso prodotto dal magnete permanente subisce un’attenuazione definitiva. Nel gergo si dice che il motore si è “smagnetizzato”. Solitamente i costruttori di motori sottopongono il magnete, montato sulla macchina, ad un ciclo di stabilizzazione sottoponendolo a successive fasi di lavoro con correnti di armatura di segno opposto. Bm

B1

Ciclo minore di stabilizzazione

Caratteristica del magnete

Br

A1 Punto di lavoro stabilizzato Hm

Hc

Stabilizzazione del magnete

In conseguenza di questa operazione il magnete non lavora più sulla sua caratteristica originaria, ma su un ciclo di isteresi parziale (ciclo minore) leggermente più basso, come illustrato in figura. Pertanto, se si ha cura di mantenere l’impiego del motore con assorbimenti contenuti di corrente, il magnete non subirà alcun degrado significativo delle sue prestazioni. Se invece la corrente assorbita supera i limiti consentiti dal processo di stabilizzazione, l’effetto smagnetizzante risulta permanente e il magnete recupererà solo una parte della sua induzione al cessare dell’azione smagnetizzante. In questo caso il motore non sarà più in grado di funzionare correttamente alla sua potenza di targa. I costruttori forniscono il valore di corrente massima tollerabile dal motore da questo punto di vista sotto la voce massima corrente prima della smagnetizzazione. Poiché il ciclo minore di stabilizzazione del magnete è tipicamente poco pronunciato ed approssimabile con un andamento di tipo rettilineo e il traferro equivalente (aria + magnete) è molto alto, non si osservano i vistosi fenomeni di riduzione del flusso utile tipici del funzionamento a carico dei motori con eccitazione elettrica. Per questo motivi nei motori a magneti permanenti è possibile definire, indipendentemente dal carico e con una certa precisione (tipicamente entro il 10%), un coefficiente di proporzionalità tra corrente d’armatura e coppia (Costante di coppia, KT [N.m/A]) ovvero un coefficiente di proporzionalità tra velocità e f.e.m. di armatura (Costante di f.e.m., KV [V.s/rad]). 89

PROF. ANDREA CAVAGNINO Le due costanti assumono rigorosamente lo stesso valore se descritte in un sistema coerente di unità di misura e misurate nelle stesse condizioni operative del motore:

KV [V ⋅ s/rad ] ≡ K T [N ⋅ m/A] Per rendere più robusti i motori contro i rischi di smagnetizzazione sono state proposte ed adottate diverse soluzioni costruttive. Esse sono basate, in generale sull’allontanamento del magnete dalla zona in cui si manifesta l’effetto distorcente della reazione d’indotto. Nella figura seguente sono illustrate alcune di queste possibili disposizioni dei magneti. Queste forme costruttive sono in grado di proteggere il magnete contro il rischio di smagnetizzazione, ma consentono una più facile saturazione della dentatura di rotore ed una maggiore variabilità della costante di coppia nel passaggio da vuoto a carico. Magnete Ferro

Reazione d’indotto

Magnete

Reazione d’indotto Magnete

Possibili disposizioni dei magneti per migliorare la robustezza alla smagnetizzazione

90

MACCHINE ELETTRICHE

2.9 – La commutazione Le spazzole ed il collettore forniscono il mezzo con cui addurre la corrente all’avvolgimento di armatura. Durante il moto, le spazzole strisciano ± I/2 I/2 I/2 sulla superficie del collettore e mediante questo contatto la corrente è commutata tra le diverse lamelle agli istanti appropriati perché il motore N 2 3 1 possa produrre la coppia richiesta. Il termine commutazione indica l’inversione della corrente nei conduttori dell’avvolgimento I di armatura quando la spira o la bobina, a cui appartengono, viene messa in cortocircuito Commutazione attraverso il contatto simultaneo dei suoi terminali con la spazzola (vedi figura). Questo fenomeno è molto importante e costituisce un evento molto delicato nel funzionamento della macchina in corrente continua. La sua ottimizzazione è molto spesso affidata a soluzioni empiriche e basate sull’esperienza più che su valutazioni matematiche. Lo studio matematico e sperimentale è infatti complicato dalla molteplicità dei fenomeni che intervengono, dalla variabilità e, spesso, dalla aleatorietà dei parametri. Tra i diversi fattori che influenzano il fenomeno si possono citare i seguenti: Tipo di materiale della spazzola. Tipo di materiale del collettore. Pressione delle spazzole sulle lamelle. Densità di corrente nella zona di contatto spazzola-lamella. Condizioni ambientali come temperatura, umidità, etc. Tuttavia, nel seguito, si cercherà di fornire una rappresentazione semplificata, ma utile a definire le principali problematiche della commutazione e a giustificare le metodologie atte a correggere gli eventuali difetti.

2.9.1 – La commutazione ideale o per resistenza Si immagini che, durante il moto di rotazione della macchina, nella spira che commuta non siano presenti f.e.m. indotte di alcun genere: né di natura rotazionale (Lorentz), né di natura trasformatorica (Lenz). In questo caso il fenomeno ideale sarà regolato esclusivamente dalla resistenza. Per la trattazione si assumeranno le seguenti ulteriori ipotesi semplificative: La larghezza della spazzola è uguale alla larghezza di una lamella. L’unica resistenza presa in considerazione è quella della spazzola. Il regime di correnti nella restante parte dell’avvolgimento non è perturbato dalla commutazione. Riferendosi alla sequenza temporale illustra nella figura seguente, si indichi con T la durata di una commutazione, cioè l’intervallo di tempo impiegato, nel moto di rotazione, dalla lamella 2 del collettore a sostituirsi alla lamella 1 sotto la spazzola. In questo intervallo di tempo la corrente nella spira, che fa capo alle lamelle 1 e 2, si inverte di segno.

91

PROF. ANDREA CAVAGNINO

I/2

I/2

I/2

I/2

I/2

i

i1

N

1

2

N

3

1 S1

I

i2

2

I/2

N

3

I/2

1

I/2

3

2

S2 I

I

Sequenza di commutazione

In un certo istante t, compreso tra 0 e T , la spazzola tocca entrambe le lamelle 1 e 2. La corrente I della spazzola, nelle ipotesi precedentemente descritte, si ripartisce tra le due lamelle nelle quote i1, i2 proporzionali alle aree (S1,S2) di spazzola affacciata alle due lamelle. Si può quindi scrivere la seguente relazione:

t   i1 = I  1 − ; T 

i2 = I

t T

(2.45)

La corrente i nella spira in commutazione vale: i = i1 −

I I I t  = − i2 = 1 − 2  T 2 2 2

(2.46)

In questo caso si parla di commutazione lineare, in quanto l’andamento delle correnti coinvolte nella commutazione hanno un andamento lineare nel tempo, come indicato nella figura a fianco. 1.00 Il valore delle correnti i1 ed i2 nelle lamelle risultano in ogni istante proporzionale alla sezione di contatto 0.75 i2 con la spazzola; pertanto la densità di corrente sul contatto spazzola0.50 i collettore rimane costante durante i1 tutta la commutazione. 0.25 i1 i I = 2 = = cost. S1 S 2 S

Quando la spazzola abbandona la lamella, nello stesso istante si annulla la corrente nella lamella. Una commutazione, che avvenga secondo questa regola, viene anche detta commutazione completa.

0.00

S2

S1

-0.25 -0.50 0

0.2

0.4

0.6

0.8 t/T

1

Andamento delle correnti nella commutazione lineare

2.9.2 – La commutazione in presenza di fenomeni induttivi Alcuni fenomeni intervengono a modificare le condizioni ideali di commutazione descritte nel punto precedente; in generale si tratta di fenomeni di natura induttiva che tendono a peggiorarne lo svolgimento. Nella spira che commuta risultano infatti presenti due tipi di f.e.m. che tendono a ritardare l’inversione della corrente i. 92

MACCHINE ELETTRICHE Una prima f.e.m. è causata dall’induttanza della spira; questa f.e.m. risponde alla legge di Lenz e si oppone alla variazione del flusso prodotto dalla corrente i e, come conseguenza, si oppone a qualunque variazione della corrente stessa. di (2.47) dt Tale f.e.m. è detta tensione di reattanza. Una seconda f.e.m. è, invece, causata dalla presenza di campo magnetico radiale nella zona di commutazione. Tale campo magnetico è quello generato dalla reazione d’indotto nel piano interpolare della macchina (cfr. paragrafo 2.8.2); esso produce a causa della rotazione una f.e.m. nei conduttori che sono in fase di commutazione. Anche questa f.e.m., si oppone, sempre e indipendentemente dalle condizioni di funzionamento della macchina, all’inversione della corrente. Sulla base della legge di Lorentz, essa risulta proporzionale all’induzione e alla velocità di rotazione: EL = −L

ER = K R BRω

(2.48)

dove: ω

è la velocità angolare del motore;

KR

è una costante che dipende dalla lunghezza complessiva dei conduttori in fase di commutazione e dal raggio del rotore;

BR

è il valore di induzione magnetica prodotto dalla reazione d’indotto nella zona di commutazione.

Questa f.e.m. è chiamata f.e.m. di reazione d’indotto, L’influenza, che entrambe queste f.e.m. hanno sullo sviluppo della commutazione, consiste in un’azione di ritardo, come illustrato qualitativamente nella seguente figura, in cui sono riportati i tipici andamenti delle correnti i1, i2 ed i in presenza di questi fenomeni induttivi. a)

i1

i2

J1

0 .2

0.4

b)

i1

0.6

0.8

i2

I/2 i

i1

i 0.0

I

S1

0 0.0

0 .2

0.4

0.6

0.8

1.0

Commutazione in presenza di f.e.m. indotte. a) Commutazione completa b) Commutazione incompleta.

A sinistra è illustrata l’esecuzione di una commutazione completa: all’istante finale T in cui la spazzola abbandona la lamella 1, nonostante il ritardo introdotto dai fenomeni induttivi, la corrente nella lamella 1 si annulla. A destra è presentato, invece, il caso di una commutazione incompleta: l’effetto del ritardo è più pesante e fa sì che, quando la spazzola abbandona la lamella 1, la corrente di lamella non si sia ancora annullata. In questo caso il transitorio perdura oltre il tempo T e la corrente tra i due elementi che non sono più a contatto si manifesta come arco elettrico. 93

PROF. ANDREA CAVAGNINO La presenza di arco elettrico (scintille) in fase di commutazione crea un serio problema per il corretto funzionamento della macchina a corrente continua, in quanto accelera l’usura di spazzole e collettore, e, in casi estremi, può portare al cortocircuito tra le due spazzole di polarità opposta attraverso la propagazione degli archi elettrici lungo tutto il collettore (flash al collettore). Nella figura precedente (a sinistra) è riportato l’andamento della densità di corrente (J1) nella zona di contatto tra spazzola e lamella 1. J1 =

i1 I > S1 S

(2.49)

Si osservi come l’effetto ritardante possa provocare un forte addensamento della corrente nella zona di spazzola a contatto con la lamella che viene abbandonata. L’accrescimento della densità della corrente provoca nella zona di contatto, oltre al surriscaldamento, anche un aumento del campo elettrico (si ricordi la relazione E = ρJ che lega il campo elettrico E al campo di corrente di densità J; dove ρ è la resistività del materiale). Se il campo elettrico supera i limiti di rigidità del dielettrico circostante (aria) si ottiene l’innesco di un arco elettrico tra spazzola e lamella ancor prima che il contatto reciproco sia cessato. Dalla precedente discussione si evidenziano le seguenti considerazioni generali: Innanzitutto, si sottolinea la notevole importanza assunta dalla resistenza delle spazzole nel garantire una buona commutazione. Si verifica dall’esperienza che la scelta di spazzole di maggiore resistività consente spesso di risolvere i problemi di una cattiva commutazione. D’altra parte un’operazione di questo tipo porta necessariamente a peggiorare le perdite del motore. Un’operazione equivalente all’aumento della resistenza del contatto spazzola-lamella, ai fini della commutazione, può consistere in una riduzione della induttanza della spira in commutazione o in un aumento del tempo T di commutazione. •

La riduzione dell’induttanza può essere ottenuta attraverso un opportuno disegno della sezione delle cave (cave aperte); oppure attraverso l’adozione ( soprattutto nel campo dei piccoli servomotori) di circuiti di indotto in aria (iron-less rotors)



L’aumento del tempo T di commutazione (ovviamente a pari velocità di rotazione ) si ottiene dimensionando la spazzola in modo che sia estesa per più di una lamella. Con questo si ha anche il vantaggio di ridurre la densità di corrente nella spazzola. Se però la spazzola ricopre più di una lamella, la commutazione non riguarda più una sola spira alla volta e la descrizione del fenomeno di commutazione si complica ulteriormente. Infatti sulla spira in commutazione vengono, in questo caso, ad agire oltre alla f.e.m. di auto induttanza, anche le f.e.m. di mutua induttanza prodotte dalle altre spire vicine, anch’esse in fase di commutazione. La tensione di reattanza che agisce su una spira, risulta dalla somma di contributi sfasati nel tempo durante l’arco di commutazione.

Una riduzione sensibile della densità di corrente al termine della commutazione e un corrispondente miglioramento delle condizioni di commutazione possono essere ottenuti attraverso l'iniezione, nella spira che commuta, di una f.e.m. atta a favorire l’inversione della corrente. Questa operazione può essere attuata in modi diversi: •

94

Attraverso la predisposizione di poli ausiliari o poli di commutazione. I poli ausiliari vengono disposti con asse coincidente con l’asse interpolare della macchina (vedi figura seguente); essi sono eccitati attraverso un avvolgimento

MACCHINE ELETTRICHE

Disposizione dei poli ausiliari in una macchina a quattro poli

percorso dalla stessa corrente di armatura, in modo da produrre, nella zona di commutazione, un campo magnetico di verso e intensità tali da controbilanciare le f.e.m. che contrastano la commutazione. •

Attraverso uno spostamento delle spazzole rispetto alla zona neutra, in modo da sfruttare le linee di campo prodotte dai poli principali per produrre la f.e.m. desiderata. Lo spostamento utile delle spazzole deve purtroppo avvenire in direzioni opposte secondo che la macchina funzioni da motore o da generatore: - nella direzione di marcia nel funzionamento come generatore; - in direzione opposta al senso di marcia nel funzionamento da motore. Tale accorgimento non può essere utilizzato quando la macchina è prevista per ruotare in entrambi i sensi di marcia.

A conclusione sull’argomento conviene sottolineare che il fenomeno della commutazione limita in potenza le macchina a corrente in continua in quanto: la commutazione peggiora all’aumentare della velocità di rotazione; la commutazione peggiora all’aumentare della corrente di armatura (o della coppia prodotta). Nel piano Ia , ω , ( o equivalentemente nel piano C , ω) per un motore ad eccitazione fissa o a magneti permanenti, i limiti di impiego imposti dalla necessità di una buona commutazione sono del tipo illustrato nella figura a fianco.

C,Ia Limiti di buona commutazione

Zona di corretto uso delle caratteristiche del motore

ω

Limiti di impiego del motore imposti dalla commutazione

95

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2. 10 – Applicazioni del motore a corrente continua Occorre premettere che il motore in c.c. è un motore ‘delicato’ e non economico, se raffrontato con i più robusti motori in c.a.. La presenza del commutatore (organo tipico ed esclusivo di questo motore) e l’adduzione della corrente attraverso contatti striscianti possono renderne problematico l’impiego in ambienti particolari (atmosfere umide, esplosive, etc.). Pertanto i tradizionali settori di impiego del motore a corrente continua sono da correlare esclusivamente alla preminente necessità di regolazione della velocità prevista dall’applicazione. E’ proprio la semplicità di regolazione delle caratteristiche elettromeccaniche di questo motore il motivo che ne ha favorito lo sviluppo e l’uso in molti settori dell’ingegneria. Va, per altro, osservato che oggi, grazie allo sviluppo e alla sempre maggiore affidabilità di strutture di alimentazione in grado di variare la frequenza e l’ampiezza della tensione alternata, molte delle funzioni di regolazione, esclusive di questo motore, sono diventate patrimonio anche dei motori in corrente alternata. Si assiste oggi ad una lenta ma inesorabile sostituzione del motore in c.c. con altri tipi di motori, che non presentano gli svantaggi sopraccitati. E’ prevedibile che il motore in corrente continua non scomparirà del tutto dalle applicazioni dell’ingegneria, ma sicuramente la sua diffusione è destinata a diminuire. Nel seguito viene proposta una classificazione dei principali campi di impiego di questo motore. Parlando di motori in c.c. occorre distinguere fra alcune distinte tipologie, che sono da correlare al tipo di applicazione e alla forma costruttiva del motore. Queste tipologie rispondono alle seguenti denominazioni: Servomotori Micromotori e piccoli motori a magneti permanenti Motori ad eccitazione separata

Sotto la voce servomotori sono compresi quei motori a magneti permanenti, generalmente di potenza ridotta o frazionaria (101-103 watt), destinati ad essere alimentati (esclusivamente sull’armatura) attraverso una sorgente di tensione regolabile. Il tipo di regolazione prevede, come caratteristica comune, il controllo della coppia e della corrente. Questi motori sono destinati ad assolvere compiti di posizionamento di organi meccanici e a produrre ripetute e frequenti regolazioni di velocità. Spesso queste macchine vengono indicate, nel gergo, col nome di ‘motori per assi’ (con chiaro riferimento agli assi di movimentazione e posizionamento delle macchine utensili ). Le problematiche su cui si basa la loro scelta sono inerenti alle fasi transitorie di funzionamento tipiche del loro impiego: accelerazione, decelerazione, prontezza nell’esecuzione dei comandi, regolarità di marcia etc. Il carico principale con cui sono caricati è tipicamente un carico inerziale. Sotto la voce micromotori e piccoli motori a magneti permanenti si possono riunire quei motori destinati ad applicazioni di piccola potenza (10-1-102 watt) che non richiedono un controllo molto sofisticato della velocità (ad esempio, motori per alzacristalli elettrici). Sotto la voce motori ad eccitazione separata possono essere riunite tutte quelle macchine il cui compito fondamentale è quello di produrre la coppia motrice e la potenza meccanica necessarie ad espletare una lavorazione meccanica (motori per mandrini) o, più in generale, quello di produrre la potenza meccanica primaria necessaria all’applicazione (motori per trazione, sollevamento, etc.). Queste macchine sono tipicamente di potenza più elevata delle precedenti (103-106 watt) e vengono dotate di un circuito di campo ad alimentazione separata. Tipicamente è prevedibile, infatti, per questi motori l’opportunità di una doppia regolazione, 96

MACCHINE ELETTRICHE sia della tensione di armatura, sia della tensione di eccitazione. Per questa classe di macchine possono essere predisposti, in relazione alla potenza, gli avvolgimenti ausiliari discussi nei capitoli precedenti: serie stabilizzatrice, avvolgimenti di compensazione, avvolgimenti per i poli ausiliari o di commutazione. Non saranno prese in considerazione le applicazioni, ormai obsolete, della macchina a corrente continua come generatore elettrico. Va tuttavia ricordato che, anche parlando esclusivamente di motori, il funzionamento come freno rigenerativo di questa macchina è estremamente importante sia sotto l’aspetto energetico che sotto l’aspetto della dinamica.

2.10.1 – Riferimento normativi Le Norme IEC definiscono diverse grandezze che possono essere specificate per identificare le corrette condizioni di funzionamento dei motori in c.c.; tuttavia non tutte queste grandezze vengono prese in considerazione nella caratterizzazione dei diversi tipi di motori. Pertanto, per ciascuna tipologia di macchina saranno fornite e illustrate nel seguito le specifiche tipiche presenti nei cataloghi dei costruttori. Da un punto di vista generale si possono ricordare le seguenti definizioni.

Potenza nominale, (Pn) [W]

Potenza utile disponibile all’albero del motore. Questa potenza è quella al netto delle perdite meccaniche e di ventilazione proprie del motore. Il valore di potenza nominale che il costruttore assegna alla macchina deve essere riferito al tipo di servizio cui la macchina è destinata. La potenza nominale è il prodotto della coppia nominale per la velocità nominale. Tipo di servizio [Sx] Le Norme prevedono 10 differenti tipologie di servizio per i motori elettrici in generale e per il motore in c.c. in particolare. I tipi di servizio vengono identificati dalle sigle S1-…- S10. Nel seguito vengono illustrati i tipi di servizio più frequenti:

Servizio S1 o servizio continuativo Funzionamento a carico costante del motore per un tempo superiore a quello necessario per raggiungere il regime termico. E’ il tipo di servizio più frequente per i motori elettrici e ad esso si fa riferimento in mancanza di altre indicazioni. Servizio S2 o servizio di durata limitata Funzionamento del motore a carico costante per un tempo prefissato, insufficiente a raggiungere la temperatura di regime termico. Deve essere presente una successiva fase di riposo del motore di durata tale da riportare il motore alla temperatura ambiente. All’indicazione S2 deve essere associata la durata del servizio, ad esempio: S2 60 min

Servizio S1

P carico Pv

t

Θmax Θambiente Servizio S2

t

P carico Pv

t

Θmax Θambiente

t

97

PROF. ANDREA CAVAGNINO Servizio S3 o servizio intermittente Sequenza di cicli operativi identici costituiti da fasi a carico costante e da fasi di riposo. Si deve poter ritenere ininfluente sulla sovratemperatura la fase di avviamento. Si ricorda che la condizione di riposo si ottiene con motore non alimentato. All’indicazione S2 deve essere associato il fattore di intermittenza, ad esempio, S3 25%

Servizio S3

P carico

Tciclo

Pv

t

Θmax t Tcarico

Triposo

Servizio S4 ed S5 Questi tipi di servizio sono identici al servizio S3, ma nei due casi non possono essere trascurate, dal punto di vista termico, le fasi di avviamento (S4) e le fasi di frenatura elettrica (S5). Accanto al rapporto di intermittenza occorre specificare i momenti di inerzia (JM) del motore e del carico (Jext). Ad esempio: S5 25% JM = 0.15 kg.m2 Jext = 0.7 kg.m2. Servizio S6 o servizio ininterrotto periodico con carico intermittente Sequenza di cicli operativi identici costituiti da fasi a carico costante e da fasi di funzionamento a vuoto. Non esiste tempo di riposo. Nel funzionamento a vuoto il motore assorbe ancora potenza elettrica, ma in misura ridotta, e ridotte sono anche le perdite. All’indicazione S6 deve essere associato il fattore di intermittenza, ad esempio, S6 25%

Servizio S6

P carico

Tciclo

Pv

t

Θmax t Tcarico

Tvuoto

E’ da tenere presente che la durata di vita di un motore elettrico coincide con la durata di vita del suo isolamento. I materiali isolanti infatti degradano le loro caratteristiche meccanicochimiche con il tempo e la temperatura di esercizio. Più alta è la temperatura cui è sottoposto l’isolante, più veloci sono le reazioni chimiche di ossidazione che vedono coinvolte le sue molecole, più rapidamente il materiale isolante perde elasticità, tende a diventare fragile e a sgretolarsi, venendo meno al suo compito e provocando il corto circuito dei conduttori o la perdita di isolamento verso massa. Pertanto è opportuno che l’attribuzione della potenza nominale ad una particolare classe di servizio coincida con un valore del carico costante (applicato secondo i modi previsti dal servizio) che consente di contenere la sovratemperatura degli avvolgimenti entro i valori di sicurezza previsti per il particolare tipo di isolante impiegato. Le Norme IEC prescrivono che al sistema di isolamento, usato nelle macchine elettriche, si debba assegnare una classificazione termica definita per mezzo di lettere. A ciascuna lettera corrisponde uno specifico valore limite di sovratemperatura ammissibile. Nella tabella seguente è riportato, a titolo puramente indicativo, uno stralcio delle prescrizioni normative valide per gli avvolgimenti di armatura di motori in c.c. Classificazione termica isolamento

CLASSE SOVRATEMPERATURE [°C]

98

A 60

E 75

B 85

F H 105 125

MACCHINE ELETTRICHE Per i motori in corrente continua previsti per essere alimentati attraverso convertitori statici di tensione esistono dati di targa specifici. Le sorgenti statiche di conversione quali i ponti a diodi, ad SCR e i chopper producono una tensione continua ondulata o parzializzata come illustrato in figura. va

va

Ponte a diodi

va

Ponte a SCR

t

t

Chopper

t

Tipiche forme d’onda delle tensioni continue prodotte da sorgenti statiche di alimentazione.

Conseguentemente la corrente assorbita dal motore non è esattamente costante ma risulta generalmente affetta da una ondulazione (ripple), che può aumentare la dissipazione di potenza sulla resistenza dell’avvolgimento e può peggiorare le condizioni di commutazione del motore. I motori, per cui è previsto questo tipo di alimentazione, possono riportare, tra le indicazioni di targa, i seguenti fattori di qualità richiesti alla sorgente. Fattore di forma della corrente di armatura

Viene così definito il rapporto tra il massimo valore efficace ammissibile per la corrente di armatura Irms,max,N e il suo valore medio IavgN. K fN =

I rms, maxN I avgN

Fattore di ondulazione della corrente di armatura

Rapporto tra l’ampiezza picco-picco dell’ondulazione di corrente tollerata e la corrente media nominale della macchina. I − I min qi = max I avgN

I motori di potenza nominale superiore a 5 kW sono di norma previsti per funzionare con un alimentatore statico specificato e, se il costruttore lo ritiene necessario, con una induttanza aggiuntiva idonea a livellare l’ondulazione della corrente. In questo caso, tipo e caratteristiche dell’alimentatore associato al motore devono comparire sulla targa del motore. Per motori di potenza inferiore ai 5kW possono essere progettati senza riferimento ad uno specifico convertitore e possono quindi essere impiegati, con o senza induttanza di spianamento, con qualunque tipo di sorgente a condizione che il fattore di forma della corrente sia contenuto entro il limite massimo KfN specificato. E’ in ogni caso raccomandato che il fattore di ondulazione della corrente qi sia inferiore a 0.1.

99

PROF. ANDREA CAVAGNINO

2.10.2 – Servomotori in corrente continua Si tratta di motori c.c. eccitati con magneti permanenti: le loro forme costruttive (nonché le caratteristiche elettromeccaniche) sono fortemente condizionate dalla tipologia del magnete adottato e dalla sua disposizione. L’impiego dei magneti, anziché di un avvolgimento di eccitazione, consente costruzioni estremamente compatte e dotate di una migliore efficienza energetica. Inoltre, poiché a questi motori vengono spesso richieste accelerazioni angolari esasperate, è opportuno che il flusso utile sia il massimo possibile per poter esprimere la massima coppia con correnti di armatura di valore contenuto e quindi con perdite Joule ridotte. D’altra parte l’adozione di magneti permanenti comporta i noti rischi di smagnetizzazione da parte della reazione d’indotto (cfr. paragrafo 2.8.2.2) e, pertanto, la disposizione, la forma ed il materiale dei magneti devono essere idonei a ridurre questi rischi. I magneti AlNiCo possiedono in generale una buona induzione residua, ma il loro campo coercitivo è modesto; per evitare smagnetizzazione la loro forma deve risultare allungata. Le ferriti hanno generalmente bassi valori di induzione residua, ma campi coercitivi relativamente alti. Sono magneti stabili e a basso rischio di smagnetizzazione, ma, per poter produrre un flusso utile adeguato, devono essere estesi nel senso trasversale. I magneti alle terre rare (Samario-Cobalto e Neodimio-Ferro-Boro) sono magneti che uniscono ad elevati valori di induzione residua, alti valori di campo coercitivo. Da questo punto di vista sono i materiali migliori, ma il loro costo ne limita l’impiego. 2.10.2.1 – Caratteristiche dei servomotori

Nei dati forniti a catalogo dai costruttori di servomotori vengono tipicamente indicate diverse grandezze atte a caratterizzare il prodotto e a facilitarne la scelta. Purtroppo, non esiste una normativa che sia in grado di unificare il significato e i metodi di misura da adottare per la valutazione di questi dati. E’ quindi utile porre molta attenzione nel confronto tra motori di produttori diversi. Nel seguito viene illustrato il significato delle grandezze più ricorrenti che caratterizzano un servomotore. Tensione nominale di alimentazione, [V]

Tensione nominale applicata al motore alla quale vengono riferite tutte le caratteristiche. Coppia continuativa, [Nm]

La coppia continuativa è quella che il motore può sviluppare indefinitamente senza eccedere i limiti termici specificati per l’avvolgimento. I limiti termici sono, di regola, relativi ad una vita media di 20.000 h dell’isolamento. Il valore di coppia continuativa è anche basato sulle condizioni ambientali di temperatura e sulle modalità di asportazione del calore prodotto dal motore. Alcuni costruttori forniscono un diagramma della coppia continuativa in funzione della velocità di rotazione, infatti le sovratemperature raggiunte dal motore a parità di coppia prodotta possono essere influenzate alle basse velocità da una minore autoventilazione ed alle alte velocità da un aumento delle perdite nel ferro. La coppia continuativa corrisponde alla coppia nominale del motore per servizio S1. Nel caso di impiego del motore in un servizio periodico intermittente, occorre confrontare con questo valore la coppia efficace del ciclo di servizio e cioè la media quadratica della coppia del carico nel ciclo. Alle volte la coppia continuativa è definita in condizioni di rotore bloccato: in questo caso si parla di coppia continuativa allo stallo. Corrente continuativa o corrente nominale, [A]

E’ il valore di corrente richiesto dal motore per sviluppare la coppia continuativa. 100

MACCHINE ELETTRICHE Potenza nominale, [W]

E’ la potenza meccanica massima sviluppabile all’albero del motore in condizioni continuative. Coppia di picco o coppia massima, [Nm]

La coppia di picco di un servomotore è la massima coppia che il motore può erogare in corrette condizioni di impiego per un tempo sufficientemente breve da impedire il surriscaldamento del motore. Purtroppo il concetto di corrette condizioni di funzionamento può essere basato su diversi fattori. Il più comune di questi è il limite massimo imposto alla corrente per prevenire la smagnetizzazione del motore. Un limite meno drastico per la coppia di picco può essere basato sul valore di coppia che (ad esempio a causa della saturazione magnetica) fa uscire dalla linearità per oltre il 10% la relazione coppia-corrente del motore. In alcuni casi il limite di coppia massima viene fatto dipendere dal tempo. In altri casi viene considerata come coppia massima quella erogabile dal motore in condizioni di rotore bloccato. A causa di questa diversità di definizioni è importante valutare approfonditamente il significato del valore numerico riportato a catalogo. Corrente di picco, [A]

E’ il valore di corrente che il motore assorbe per sviluppare la coppia di picco Velocità a vuoto o velocità massima, [rad/s]

Massima velocità raggiungibile a vuoto alla tensione nominale. Alcuni costruttori definiscono invece come velocità massima del motore quella alla tensione nominale e a carico nominale. Coefficiente di attrito viscoso, (Fi) [Nm.s/rad]

Sotto questa voce è riportato il rapporto tra la quota di coppia resistente interna il cui valore è circa proporzionale alla velocità di rotazione e la stessa velocità. Tipicamente questo coefficiente è imputabile alle perdite per correnti parassite nel ferro di rotore. Coppia di attrito statico, (Cf) [Nm]

E’ la coppia risultante dagli attriti dovuti alle spazzole, ai cuscinetti e alle perdite per isteresi del ferro rotorico. Questa coppia è ragionevolmente indipendente dalla velocità. Corrente a vuoto, [A]

Assorbimento di corrente del motore in assenza di carico alla tensione nominale. Questo valore dipende dall’insieme delle coppie di attrito statico e viscoso ed è, pertanto, fortemente influenzato dalle condizioni di lubrificazione, dalla temperatura e dal tipo e pressione delle spazzole e dalla velocità di rotazione. Esso fornisce indirettamente la coppia di attrito C0 del motore alla velocità massima: C 0 = Fi ⋅ ω0 + C f = K T ⋅ I a 0

Costante di coppia, (KT) [Nm/A]

E’ il rapporto costante tra coppia sviluppata e la corrente corrispondentemente assorbita. Dal punto di vista teorico la coppia di cui si tratta dovrebbe essere quella interna al motore, ancora al lordo della coppia di attrito. Pertanto la coppia utile del motore dovrebbe essere valutabile secondo la relazione seguente: C u = K T ⋅ (I a − I a 0 )

In realtà, molto spesso la costante di coppia viene determinata come rapporto tra coppia utile e corrente di armatura, confidando nel ridotto valore degli attriti. 101

PROF. ANDREA CAVAGNINO La costante di coppia decresce con la temperatura: infatti, il flusso utile prodotto dai magneti diminuisce con la temperatura in ragione di 0.01-0.2% per grado. La costante di coppia decresce anche con il valore di corrente di armatura in misura maggiore o minore in relazione alla struttura del motore ed alla qualità dei magneti. Tipicamente la diminuzione è contenuta entro un campo del 10%. Costante di f.e.m., (KE) [V.s/rad]

Rapporto tra la f.e.m. sviluppata dall’armatura e la velocità di rotazione. I valori di KT e KE sono coincidenti se le unità di misura appartengono ad un sistema coerente e se la misura viene eseguita nelle stesse condizioni operative del motore. Costante del motore, (Km) [Nm/W0.5]

La costante del motore è definita come rapporto tra la coppia di picco e la radice quadrata delle corrispondenti perdite di armatura: T pk

Km =

Ra I 2pk

Questo rapporto indica la capacità del motore di produrre coppia a fronte delle perdite. La sua indicazione compare frequentemente nella caratterizzazione dei servomotori che sono destinati a funzionare a velocità nulla, o che devono essere accoppiati senza riduttori intermedi al carico (Servomotori di coppia). Resistenza di armatura, [Ω]

Resistenza misurata ai terminali di armatura (spazzole comprese). Questo valore dipende dalla temperatura. Induttanza di armatura, [H]

Induttanza presentata dall’avvolgimento di armatura. Inerzia di rotore, (Jr) [kg.m2]

Momento d’inerzia del rotore. Costante di tempo elettrica, [s]

Questa grandezza è di derivazione matematica dalle altre grandezze di targa: La Ra

τe =

Costante di tempo meccanica, [s]

Anche questa grandezza è di derivazione matematica dalle altre grandezze di targa:

τm =

Ra ⋅ J r KT ⋅ K E

Accelerazione angolare, [rad/s2]

Massima accelerazione angolare realizzabile dal motore nel funzionamento senza carico. E’ generalmente una grandezza derivata dalla seguente relazione:

α=

102

Tmax Jr

MACCHINE ELETTRICHE Resistenza termica, (Rth) [°C/W]

E’ la resistenza che si oppone al flusso di calore dal motore all’ambiente esterno. Consente di calcolare la sovratemperatura raggiunta, in condizione di regime termico, dall’avvolgimento di armatura rispetto all’ambiente. ∆θ = Rth ⋅ Ra I a2

Costante di tempo termica, (τth) [s]

Costante di tempo che regola il transitorio termico del 1° ordine del motore:

(

∆θ (t ) = Rth ⋅ Ra I a2 ⋅ 1 − e −t / τ th

)

E’ utilizzabile per stimare le sovratemperature raggiunte dall’armatura in condizioni di carico intermittenti o transitorie. Massima temperatura di rotore, [°C]

Valore massimo della temperatura sopportabile dal motore. Tale limite è correlato alla vita dell’isolamento e/o alla stabilità dei magneti.

103

Capitolo

3 IL TRASFORMATORE 3.1 – Generalità e caratteristiche costruttive Il trasformatore è una macchina elettrica statica, priva cioè di elementi rotanti, che trasforma la potenza elettrica in corrente alternata, alterando i valori di tensione e di corrente con cui essa viene erogata. Come verrà meglio chiarito in seguito, il principio di funzionamento del trasformatore si basa sulla legge dell’induzione elettromagnetica (legge di Lenz) tra circuiti mutuamente accoppiati. Ne consegue che il trasformatore non può funzionare con alimentazioni in corrente continua, ma necessita di alimentazioni variabili nel tempo. Pur non convertendo l’energia elettrica in energia meccanica, come avviene per le macchine elettriche rotanti, esso riveste un ruolo essenziale nell’ambito elettrico. Grazie alle sue prerogative è infatti possibile produrre, trasportare e distribuire l’energia elettrica ai valori di tensione più convenienti dal punto di vista tecnico ed economico. Tipicamente, infatti, il trasformatore permette la possibilità di generare l'energia elettrica alla tensione più economica per i generatori (indicativamente 10 kV), di trasmetterla alla tensione più economica per i sistemi di trasmissione (230 - 400 kV) e di utilizzarla alla tensione più adatta per i dispositivi utilizzatori (230-400 V). Le applicazioni del trasformatore sono tuttavia ben più ampie di quelle che riguardano strettamente l’aspetto energetico. Il trasformatore può, di caso in caso, svolgere ruoli diversi: isolamento galvanico fra due circuiti, adattamento di impedenze, misurazione di tensioni e correnti, etc. Esso è realizzato da due parti fondamentali: il nucleo magnetico; gli avvolgimenti. Il nucleo ha il compito di ottimizzare l’accoppiamento magnetico tra gli avvolgimenti, come indicato in figura.

Schema di principio del trasformatore monofase

105

PROF. ANDREA CAVAGNINO Se si alimenta uno dei due avvolgimenti (primario) con una tensione alternata, nel nucleo nasce un flusso magnetico alternato la cui ampiezza dipende dalla tensione di alimentazione, dalla frequenza e dal numero di spire dell’avvolgimento. Grazie all’azione del nucleo, questo flusso si concatena quasi per intero con il secondo avvolgimento (secondario) e induce in esso una f.e.m. la cui ampiezza dipende dal numero di spire secondarie e dalla frequenza. Scegliendo opportunamente i numeri di spire primarie e secondarie è possibile variare il valore del rapporto tra la tensione di alimentazione primaria e la tensione indotta secondaria. Il nucleo del trasformatore è normalmente costruito con materiale magnetico ad alta permeabilità. Questo consente di ottenere un buon accoppiamento magnetico tra i due circuiti e allo stesso tempo consente di contenere il valore della corrente assorbita a primario per produrre il flusso necessario. Trasformatori in aria (ovvero senza nucleo ferromagnetico) possono trovare applicazione in circuiti di piccola potenza e comunque solo in corrispondenza a frequenze di alimentazione molto alte.

3.1.1 – Il nucleo per trasformatori monofasi Il nucleo del trasformatore viene realizzato in forma laminata al fine di ridurre le perdite per correnti parassite che sono generate dall’alternanza del flusso. Vengono di regola impiegati lamierini al silicio i cui spessori possono variare da 0.28 mm a 0.5 mm. I valori più bassi sono usati nelle macchine di più grande dimensione. Tipicamente si usano lamierini a cristalli orientati, in quanto la direzione dei flusso nelle varie parti del nucleo è ben determinata. Per la realizzazione di piccoli trasformatori monofase sono generalmente disponibili sul mercato tranciati sagomati a C, ad E, ad U ed a I attraverso i quali è possibile comporre la forma desiderata del nucleo magnetico (vedi figura a, b, c). Per piccoli trasformatori alimentati in alta frequenza si utilizzano nuclei stampati realizzati in ferriti dolci. Nelle macchine più grandi i lamierini sono tranciati in forma rettangolare nelle dimensioni desiderate (Figura d). Nella struttura si distinguono colonne e gioghi. Le colonne sono le parti a sviluppo generalmente verticale attorno alle quali vengono avvolte le bobine. I gioghi costituiscono la richiusura del circuito magnetico tra le colonne.

a)

b)

c)

d)

Nuclei tipici per trasformatori monofase. a) Nucleo a mantello realizzato con tranciati ad E b) Nucleo ad O realizzato con tranciati a C c) Nucleo realizzato con lamierini U,I d) Nucleo assemblato con lamierini rettangolari

Nelle macchine di minore potenza, la sezione delle colonne e dei gioghi è di forma quadrata, e le bobine primarie e secondarie sono avvolte, generalmente sovrapposte una all’altra sulla stessa colonna, seguendo la forma della sezione, come illustrato nella figura seguente. Nelle macchine di potenza maggiore, le bobine vengono sagomate in forma cilindrica a sezione circolare (principalmente per problemi di piegatura dei conduttori che possono assumere 106

MACCHINE ELETTRICHE dimensioni rilevanti). In tal caso, per ottenere una migliore utilizzazione degli spazi le sezioni delle colonne vengono ad assumere tipiche forme a gradinata. In macchine di grande potenza, le sezioni in ferro delle colonne possono essere interrotte da canali di raffreddamento per agevolare lo smaltimento del calore dovuto alle perdite nel ferro. Nella figura seguente si osservi la laminazione della sezione. Ovviamente, tra le bobine ed il nucleo si inseriscono dei cartocci isolanti. Generalmente, per macchine di media e grossa potenza, la gradinata realizzata per le colonne viene replicata anche nei gioghi.

A.

C.

B.

Tipi di sezioni delle colonne dei trasformatori. A) sezione quadrata B) sezione a gradini C) sezione a gradini con canali di raffreddamento

Un problema importante, nella realizzazione della struttura magnetica del trasformatore, è costituito dalla necessità di ridurre i tratti in aria nelle zone di congiunzione tra colonne e gioghi. Tali tratti, detti traferri, portano ad un incremento della f.m.m. necessaria ad magnetizzare il trasformatore in condizioni di flusso nominale e di conseguenza portano ad un incremento della corrente a vuoto della macchina. Si possono prevedere diverse soluzioni costruttive in relazione all’importanza della macchina.

andamento linee di

delle

campo

possibile percorso delle correnti parassite

b)

a) Tipi di giunti tra colonne e gioghi a) Giunti sovrapposti b) Giunti intrecciati

Costruzione a giunti sovrapposti o piallati In questo caso i gioghi vengono sovrapposti alle colonne con la semplice interposizione di un sottile strato isolante. Lo strato isolante si rende necessario per evitare la formazione di grosse maglie in cortocircuito nella zona di giunzione come illustrato nella figura precedente. Queste maglie originate da un non perfetto allineamento 107

PROF. ANDREA CAVAGNINO delle lamiere del giogo con quelle della colonna, favoriscono la circolazione di intense correnti parassite con conseguenti anomali effetti termici localizzati. Costruzione a giunti intrecciati Per ridurre il traferro che consegue alla costruzione a giunti sovrapposti, si può usare una tecnica di formazione dei giunti basata sull’intreccio di lamierini di colonna e di giogo, come indicato in figura. In tal caso il passaggio del flusso da colonna a giogo è facilitato dalla possibilità di percorsi trasversali tra lamierini. Il traferro equivalente della connessione si riduce sensibilmente rispetto al caso precedente, ma possono nascere perdite maggiori per correnti parassite connesse con la componente trasversale dell’induzione magnetica nelle zone di passaggio del flusso tra lamierini contigui. Costruzione a giunti inclinati Questa soluzione costruttiva è adottata quando si usino lamiere a grani orientati. In questo caso, al fine di sfruttare la maggiore permeabilità magnetica del materiale e le minori perdite che esso presenta secondo l’asse di laminazione, i lamierini di gioghi e colonne terminano con un taglio a 45° in modo da ridurre al minimo le componenti dell’induzione nella direzione trasversale al verso di laminazione. Per la realizzazione di giunti inclinati di tipo intrecciato sono possibili anche soluzioni con tagli a 30 e 60 gradi. B

Principio dei di giunti inclinati a 45° direzioni di laminazione

3.1.2 – Le bobine Gli avvolgimenti vengono realizzate in bobine, generalmente di forma cilindrica quando vengono avvolte con una bobinatrice. Gli avvolgimenti primari e secondari di un trasformatore vengono normalmente disposti sulla stessa colonna, al fine di ridurre i flussi dispersi. Essi possono essere realizzati in modi diversi. Avvolgimento a bobine concentriche Le due bobine sono realizzate in forma di due strati cilindrici concentrici, separati da uno strato isolante e da un canale di raffreddamento, come indicato nella figura a) seguente. Normalmente l’avvolgimento ad alta tensione risulta esterno, per consentire un migliore coordinamento dell’isolamento tra gli avvolgimenti e rispetto al nucleo. Questa soluzione si applica a quei casi in cui lo sviluppo della colonna è verticale. In tal modo la posizione verticale, assunta dal canale di raffreddamento, agevola i moti convettivi del fluido refrigerante (ad esempio, aria, gas od olio). 108

MACCHINE ELETTRICHE

a)

b)

c)

Disposizione degli avvolgimenti primari e secondari a) Bobine concentriche b) Bobine concentriche intercalate c) Bobine discoidali intercalate

Per diminuire ulteriormente i flussi dispersi tra gli avvolgimenti primari e secondari, la bobina a bassa tensione può essere realizzata in due parti ed intercalata a questa viene inserita la bobina ad alta tensione (figura b). Avvolgimento a bobine discoidali Questa soluzione prevede un frazionamento dell’avvolgimento primario e secondario in più bobine di piccola altezza e di sviluppo prevalentemente radiale (figura c). Bobine primarie e secondarie sono alternate con interposizione di strati isolanti lungo la colonna. La disposizione intercalata consente di migliorare l’accoppiamento dei due avvolgimenti. Tale tecnica costruttiva viene utilizzata, in particolare, dove le colonne del trasformatore hanno sviluppo orizzontale; in questo modo gli spazi tra le bobine consentono una migliore circolazione ai moti convettivi del fluido refrigerante.

3.1.3 – Il nucleo per trasformatori trifasi Il trasferimento di energia elettrica tra due reti trifasi a tensione diversa può essere eseguita impiegando tre trasformatori monofasi identici e connettendo opportunamente i primari ed i secondari al fine di realizzare un sistema trifase. Ad esempio, la figura seguente schematizza tre trasformatori monofasi con primari collegati a triangolo. L’utilizzo di tre unità monofasi comporta dei vantaggi in termini di continuità di servizio e di maggiore facilità di trasporto nel caso di potenze molto elevate. Esiste però lo svantaggio di usare una grande quantità di materiale per la realizzazione del circuito magnetico.

Esempio di realizzazione di un trasformatore trifase con tre unità monofasi.

109

PROF. ANDREA CAVAGNINO In realtà, nel caso di trasformatori trifase, è possibile realizzare un unico nucleo magnetico capace di alloggiare sulle sue colonne sia il sistema trifase primario sia quello secondario. Sono possibili diverse soluzioni. Nucleo a tre colonne Si immagini di “collegare a stella” i tre nuclei monofasi indicati in precedenza (figura a) seguente). La somma dei tre flussi nella colonna centrale, nel caso comune di un sistema di alimentazione trifase simmetrico, è nulla. Ne consegue che tale colonna può essere eliminata (figura b). Successivamente la struttura si può poi semplificare, a scapito della perfetta simmetria magnetica, eliminando i gioghi di una colonna e rendendo il nucleo complanare (figura c).





a)

b)

c)

Sintesi del nucleo trifase a tre colonne a partire da tre nuclei monofasi

Il nucleo a tre colonne è quello più utilizzato in ambito delle applicazioni industriali. Si noti che su ciascuna colonna viene avvolta una fase del sistema primario ed una fase del sistema trifase secondario. Nucleo a cinque colonne Se si immagina, invece, di “collegare a triangolo” i tre nuclei monofase (figura seguente), essendo il flusso nei gioghi pari a 1 3 quello nelle colonne, si può ridurre la sezione e quindi l'altezza dei gioghi. Se si taglia uno dei tre gioghi ed, una volta disposta la struttura su di un piano, si richiude ai due estremi il giogo tagliato, si ottiene un nucleo planare a cinque colonne (figura b). Ovviamente, rispetto alla struttura di partenza, si deve mettere in conto una modesta perdita di simmetria del circuito magnetico. Il nucleo a cinque colonne, rispetto a quello a tre colonne, presenta una minore altezza dei gioghi. Ciò comporta, nel caso di trasformatori di grossa potenza, un vantaggio dal punto di vista del trasporto. Nella costruzione a 5 colonne solo le colonne centrali sono destinate alle bobine; quelle laterali servono come vie di richiusura per il flusso.



a)

b)

Sintesi del nucleo trifase a cinque colonne a partire da tre nuclei monofasi

110

MACCHINE ELETTRICHE Nucleo a mantello o corazzato

In figura è schematizzata la struttura di un nucleo trifase a mantello. Tale nucleo può essere pensato come l’unione di tre nuclei monofasi a mantello. Anche questa soluzione comporta il contenimento dell’altezza dell’unità trifase. Nel nucleo a mantello le bobine di fase sono disposte con asse orizzontale sulla colonna centrale.

Nucleo a mantello trifase.

Osservazione

Indipendentemente dal tipo di soluzione adottata per la costruzione del nucleo, gli avvolgimenti trifasi primari e secondari possono essere collegati a stella, a triangolo o a zigzag, come illustrato nella figura seguente. I trasformatori di grossa potenza hanno generalmente il lato ad alta tensione connesso a stella (Y) e quello a bassa tensione a triangolo (d). I trasformatori di distribuzione che devono alimentare anche carichi monofasi presentano invece una configurazione opposta, in modo che il neutro sia disponibile nel lato bassa tensione.

Esempio di collegamento delle bobine primarie e secondarie

111

PROF. ANDREA CAVAGNINO

3.1.4 – Esempi di trasformatori e particolari costruttivi

Trasformatori monofasi di piccola potenza Realizzazione con nucleo toroidale (a sinistra), con nucleo a mantello (a destra)

Assemblaggio di un trasformatore monofase a colonne Dettaglio della bobina primaria e secondaria (a sinistra) Realizzazione del giogo superiore dopo l’inserzione delle bobine (a destra)

Trasformatori trifasi a tre colonne di piccola potenza Dettaglio delle bobine e della sezione delle colonne, con giogo superiore rimosso (a sinistra) Esempio di trasformatore isolato a secco (a destra)

112

MACCHINE ELETTRICHE

Esempio di sezione a gradinata di una colonna

Trasformatore trifase MT/BT da distribuzione (connessioni: ∆y) Bobine MT impregnate in resina

113

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Trasformatori da distribuzione MT/BT Isolamento a secco (a sinistra) A bagno d’olio (a destra)

Esempio di trasformatore di grande potenza MT/AT

114

MACCHINE ELETTRICHE

3.2 – Trasformatore ideale e principio di funzionamento Dal punto di vista didattico risulta conveniente analizzare il principio di funzionamento del trasformatore considerando inizialmente il trasformatore ideale. Il trasformatore ideale gode delle seguenti proprietà. Assenza di perdite Joule negli avvolgimenti primari e secondari, ovverro la resistenza ohmica delle bobine è nulla. Assenza di perdite nel ferro, ovvero la resistività elettrica del lamierino magnetico costituente il nucleo è infinita ed il ciclo di isteresi del materiale ha area nulla. Riluttanza principale del nucleo magnetico nulla, ovvero la permeabilità magnetica dei lamierini è infinita. Tale condizione implica che il flusso magnetico generato dagli avvolgimenti è confinato solo nel circuito magnetico (flusso principale) e sono assenti flussi dispersi dalle singole bobine. Riferendosi al caso monofase, la struttutura del trasformatore ideale ed il relativo simbolo da utilizzare nei circuiti elettrici è riportato nella figura seguente.

i1

v1

i2

e1

e2

v2

Struttura del trasformatore monofase ideale (sopra) e simbolo elettrotecnico corrispondente (sotto).

Si osservi che nello studio si adotterà la convenzione di segno degli utilizzatori al primario e quella dei generatori al secondario. Questa scelta non è l’unica possibile, ma risulta intuitiva osservando che il trasformatore costituisce un carico per la rete di alimentazione a monte, mentre si può considerare un generatore per la rete connessa al secondario. Si applichi una tensione v1(t) al primario. Grazie alle ipotesi indicate, nel nucleo magnetico si avrà un flusso principale ΦP e la forza elettromotrice indotta nella bobina primaria controbilancerà esattamente la tensione imposta. Analogamente a secondario la tensione ai morsetti (v2) sarà pari alla f.e.m. e2. Si può quindi scrivere: v1 = e1 = +

dΦ p dλ1 = + N1 ⋅ dt dt

(3.1)

115

PROF. ANDREA CAVAGNINO e2 = −

dλ 2 dΦ P = −N2 ⋅ = v2 dt dt

(3.2)

Le relazioni precedenti sono vere anche quando il trasformatore ideale non eroga corrente al secondario, cioe’ durante il suo funzionamento a vuoto. Riferendosi al caso comune di alimentazione sinusoidale a frequenza f è possibile utilizzare i fasori per scrivere le equazioni. Assumento arbitrariamente il flusso principale con fase nulla all’istante t = 0, si può scrivere: ) ) Φ P = Φ P ⋅ sen(ωt ) ⇒ Φ P = Φ P ∠0 ) dove Φ P rappresenta l’ampiezza massima della sinusoide (ampiezze del fasore) di flusso principale. Ne consegue che le tensioni efficaci indotte sulle bobine diventano: ) ) ) 2π ⋅ f ⋅ N1 ⋅ Φ P = + j ⋅ N1 ⋅ Φ P = + j ⋅ 4.44 ⋅ f ⋅ N1 ⋅ Φ P 2 2 ) ) ) jω 2π ⋅ f E2 = − ⋅ N 2 ⋅ ΦP = − j ⋅ N 2 ⋅ Φ P = − j ⋅ 4.44 ⋅ f ⋅ N 2 ⋅ Φ P 2 2

E1 = +



(3.3) (3.4)

Nelle equazioni precedenti si tiene conto che i moduli dei fasori rappresentativi di grandezze elettriche sono i valori efficaci delle stesse, mentre per le grandezze magnetiche si usa il valore massimo. È possibile osservare che il rapporto tra i moduli delle f.e.m. indotte vale: V E1 N1 = =t = 1 V2 E2 N 2

(3.5)

dove t è il rapporto spire o di trasformazione del trasformatore monofase. Come sarà chiarito meglio in seguito, l’ultima uguaglianza nella (3.5) è rigorosa solo nel caso di trasformatore monofase. Considerando il funzionamento a carico (interruttore chiuso nella figura della pagina precedente) si può scrivere la legge della circuitazione magnetica alla linea media dell’elettromagnete (si osservino il verso con cui sono avvolte le bobine nella figura indicata). N1 ⋅ I1 + N 2 ⋅ I 2 = ℜ P ⋅ Φ P = 0 ⇒ I1 = −

N2 ⋅ I2 N1

(3.6)

dove ℜP ,riluttanza del nucleo, è nulla per ipotesi. Si osservi che la relazione (3.6) vale sia in temini di grandezze istantanee che in termini di fasori. Ne consegue che anche i moduli delle correnti primaria e secondaria sono legate dal rapporto spire. I1 N 2 1 = = I 2 N1 t

(3.7)

Utilizzando il rapporto di trasformazione di tensione (3.5) e quello in corrente (3,7), si ottiene l’uguaglianza tra la potenza apparente assorbita ed erogata dal trasformatore. E1 ⋅ I1 = E 2 ⋅ I 2

(3.8)

Dalla (3.8) si intuisce immediatamente la modalità secondo cui la potenza elettrica, che transita attraverso la macchina, viene alterata nei suoi due fattori principali, la tensione e la 116

MACCHINE ELETTRICHE corrente in modo inversamente proporzionale. Dove si hanno alte tensioni si hanno basse correnti e viceversa. Poiché il trasformatore ideale al suo interno non dissipa alcuna potenza attiva (macchina a rendimento unitario) ed non impegna nessuna potenza reattiva, si ha l’immediata uguaglianza del triangolo delle potenze ai morsetti primari e secondari.

V1 = E1 = +j 4.44 N1 f ΦP

Nella figura a fianco è riportato il diagramma vettoriale a carico del trasformatore ideale, nell’ipotesi di un trasformatore abbassatore (t = N1 / N2 >1). Si ricorda che lo sfasamento tra tensione e corrente secondaria è imposto dall’argomento dell’impedenza di carico (ϕ2). Ovviamente, per tracciare il diagramma vettoriale a vuoto (nessun carico al secondario) basta cancellare i due fasori delle correnti.

ϕ2

I1 = -N1 / N2 I2

ΦP

ϕ2

V2 = E2 = -j 4.44 N2 f ΦP

I2

Diagramma vettoriale a carico del trasformatore ideale

3.3 – Trasformatore reale e circuito equivalente Lo studio del trasformatore reale viene introdotto eliminando una alla volta le condizioni di idealità indicate al paragrafo precedente. Riluttanza principale del nucleo magnetico non nulla – Concetto di corrente magnetizzante del trasformatore. Il nucleo magnetico di un trasformatore presenta una riluttanza magnetica non nulla. Ciò significa che per sostenere il flusso magnetico principale nel nucleo si deve impegnare una forza magnemotrice. Riconsiderando lo schema dell’elettromagnete, si puo scrivere: N1 ⋅ I1 + N 2 ⋅ I 2 = ℜ P ⋅ Φ P > 0

È prassi comune associare le amperspire necessarie per magnetizzare il nucleo al solo avvolgimento primario grazie alla definizione ( ℜP ) della corrente magnetizzante Im. In altre parole la corrente magnetizzante primaria ha il compito esclusivo di produrre il flusso principale di macchina. La relazione precedente permette di definire la corrente di magnetizzazione nel seguente modo: N1 ⋅ I1 + N 2 ⋅ I 2 = ℜ P ⋅ Φ P = N1 ⋅ I m I m = I1 +

  N N2 ⋅ I 2 = I1 −  − 2 ⋅ I 2  = I1 − I 2' N1   N1

(3.9) (3.10) 117

PROF. ANDREA CAVAGNINO Nella relazione (3.9) la corrente I2’ = - (N2 / N1) I2 è interpretabile come la corrente secondaria riportata al lato primario del trasformatore. Durante il funzionamento a vuoto della macchina la corrente erogata al secondario è nulla; ne consegue che il primario assorbirà una corrente pari alla corrente magnetizzante. Si noti che la corrente magnetizzante è di piccola entità rispetto alle correnti primaria e secondaria di normale utilizzo del trasformatore. Infatti, essendo il nucleo realizzato in materiale ferromagnetico con traferri dovuti a giunti di piccola entità, la riluttanza principale risulta essere molto piccola. Quindi, per sostenere il flusso principale servono poche amperspire ed una corrente percentualmente piccola (pochi percento delle correnti nominali). Dalla (3.10) si può ricavare il flusso principale, ottenedo: ΦP =

N1 ⋅ I m ℜP

(3.11)

Sostituendo la (3.11) nella equazione della forza elettromotrice primaria (3.3) si ottiene, in termini di valori efficaci: N12 E1 = + j ⋅ 2 ⋅ π ⋅ f ⋅ ⋅ I m = + j ⋅ ω ⋅ Lm ⋅ I m ℜP

(3.12)

La (3.12) indica che la corrente magnetizzante, fluendo nella reattanza di magnetizzazione Xm = ω Lm, da luogo ad una caduta pari ad E1. Sulla base di quanto finora indicato, gli effetti di un nucleo con riluttanza non nulla (equazioni (3.10) e (3.12)) permettono di definire il seguente circuito equivalente del trasformatore. I1

I’2

I2

t :1

Im V1

Xm

E1

E2

V2

Circuito equivalente che tiene conto della corrente di magnetizzazione

Si sottolinea il fatto che per creare il flusso nel nucleo non viene dissipata potenza attiva, ma si impegna solo potenza reattiva nella reattanza Xm. Perdite nel ferro – Concetto di corrente a vuoto del trasformatore Il nucleo del trasformatore, costituito di materiale ferromagnetico, è sede di perdite nel ferro in quanto il flusso magnetico al suo interno è variabile nel tempo. Le perdite nel ferro vengono generalmente suddivisa in due contributi: Perdite per isteresi. Perdite per correnti parassite.

118

MACCHINE ELETTRICHE Questo argomento verrà approfondito maggiormente nel seguito; per il momento, in prima approssimazione, si può asserire che le perdite nel ferro dipendono cumulativamente dal flusso principale secondo la seguente relazione: P fe ∝ B 2 ∝ Φ 2P ∝ E12 Per tenere conto di queste perdite attraverso il circuito equivalente, si usa introdurre una resistenza fittizia di opportuno valore Rfe in parallelo all’induttanza di magnetizzazione. Infatti, la presenza di tensione ai capi di Xm indica l’esistenza di flusso nel nucleo e quindi di perdite. Il valore di questa resistenza è scelto in modo che essa dissipi formalmente la potenza Pfe perduta nel nucleo. Pertanto Rfe deve soddisfare la relazione seguente: P fe

E12 = R fe

Il circuito equivalente del trasformatore che tiene conto delle perdite nel ferro è riportato nella figura seguente. I1

I’2 Ife

V1

Rfe

I2

t :1

Im Xm

E1

E2

V2

I0

Rappresentazione equivalente delle perdite nel ferro.

In assenza del carico a secondario, il trasformatore assorbe al primario una corrente pari alla somma della corrente magnetizzante e della corrente rappresentativa delle perdite nel ferro. Tale corrente viene denominata corrente a vuoto I0. La corrente a vuoto risulta di piccola entità rispetto alle correnti I1 e I2 di normale utilizzo della macchina. Ovviamente il trasformatore continua a dissipare le perdite nel ferro sia nel funzionamento a carico che durante quello a vuoto (Pfe = Rfe Ife2 = E12/Rfe). Flussi dispersi degli avvolgimenti primario e secondario

In un trasformatore reale, esistono dei flussi non confinati esclusivamente nel nucleo magnetico. Tali flussi, denominati flussi dispersi evolvono principalmente in aria e si concatenano con una singola bobina. Tali flussi non sono utili alla conversione elettromagnetica dell’energia tra primario e secondario. Per tenere conto dei flussi dispersi nel circuito equivalente si deve osservare che quest’ultimi partepano alla produzione di flusso concatenato dell’avvolgimento e quindi alla nascita di forza elettromotrice. Con riferimento all’avvolgimento primario si può scrivere: 119

PROF. ANDREA CAVAGNINO

(

λ 1 = N1 ⋅ Φ p + Φ d 1

v1 = e1 tot = +

)

(3.13)

dΦ p dΦ d1 dλ1 = + N1 ⋅ + N1 ⋅ dt dt dt

(3.14)

Il flusso disperso può essere messo in relazione alla corrente che lo crea secondo la relazione: Φ d1 = =

N1 ⋅ I 1 ℜ d1

(3.15)

dove ℜd1 rappresenta la riluttanza del circuito magnetico in cui evolve il flusso disperso (la cui determinazione è generalmente complicata). Sostituendo la (3.15) nella (3.14) e riferendosi al regime sinusoidale, si può esprimere il fasore della tensione primaria nel seguente modo: V1 = E1 tot =

N12 + jω ⋅ N1 ⋅ Φ p + jω ⋅ N1 ⋅ Φ d1 = E1 + jω ⋅ ⋅ I1 = E1 + jω ⋅ Ld1 ⋅ I1 ℜ d1 2

1

(

)

In termini di circuito equivalente i flussi dispersi primari vengono modellizzati tramite una reattanza di dispersione primaria Xd1 = ω Ld1 percorsa dalla corrente I1. Anche in questo caso si ricorda che per sostenere un flusso non si dissipa potenza attiva, ma si deve mettere in conto una caduta di tensione reattiva. Applicando gli stessi ragionamenti all’avvolgimento secondario si può disegnare il seguente circuito equivalente. I1

Xd1

I’2 Ife

V1

Rfe

Xd2

t :1

I2

Im Xm

E1

E2

V2

Rappresentazione circuitale dei flussi dispersi.

Perdite negli avvolgimenti primari e secondari

L’ultima condizione di idealità da rimuovere è l’assenza di resistenza ohmica degli avvolgimenti. Quando si considera la resistenza delle bobine (R1 ed R2), le equazioni di tensione alle maglie primarie e secondarie diventano: V 1 = R 1 ⋅ I 1 + jω ⋅ Ld1 ⋅ I 1 + E 1 E 2 = R 2 ⋅ I 2 + jω ⋅ Ld 2 ⋅ I 2 + V 2

La presenza di perdite Joule negli avvolgimenti viene tenuta in conto inserendo le rispettive resistenze(1) serie nel circuito equivalente. (1)

Il valore delle resistenze risulta maggiore del valore misurato con il metodo volt-amperometrico in corrente continua perché, con alimentazione alternata, si hanno fenomeni di addensamento di corrente nella sezione dei conduttori. Ciò comporta un aumento della resistenza equivalente degli stessi. Il fenomeno di addensamento è tanto più gravoso quanto è più alta la sezione del conduttore e la frequenza di alimentazione.

120

MACCHINE ELETTRICHE

I1

R1

Xd1

I’2 Ife

V1

Rfe

Xd2

t :1

R2

I2

Im Xm

E1

E2

V2

Circuito equivalente del trasformatore reale.

Considerando il circuito equivalente che descrive il trasformatore reale, risulta immediato tracciare il diagramma vettoriale che ne descrive il funzionamento a carico (I2 >0) in regime sinusoidale. Qui di seguito viene ripotato il diagramma vettoriale per un trasformatore abbassatore (t = N1 / N2 >1). Si ricorda che l’angolo ϕ2 è l’argomento dell’impedenza collegata al secondario del trasformatore. Si lascia al lettore la stesura del diagramma vettoriale per il funzionamento a vuoto. j Xd1 I1 V1 R1 I1 E1

ϕ1 ≠ ϕ2

I 2’

I1 I0

ΦP

ϕ2

I2

I0

V2 R2 I2

E2

j Xd2 I2

IFe Im

Diagramma vettoriale a carico

121

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il diagramma vettoriale del funzionamento a carico del trasformatore riportato nella figura precedente è disegnato in forma qualitativa: alcune grandezze vettoriali sono state forzatamente ingrandite rispetto alla realtà per pure esigenze di rappresentazione. In particolare: La corrente I0 risulta normalmente di due, tre ordini di grandezza inferiore alle normali correnti di carico (I2 ,I1), pertanto la corrente secondaria I2 riportata al primario e la corrente primaria sono circa coincidenti ( I1 ≅ I 2' ). Le cadute di tensione primarie ∆V1 e secondarie ∆V2 (sui parametri in serie del circuito equivalente: R1, Xd, R2, Xd2) assommano in genere a poche unità percentuali delle rispettive tensioni di lavoro degli avvolgimenti. Per riassumere alcuni concetti introdotti nel presente paragrafo si ritiene utile riportare le seguenti riflessioni conclusive: Le reattanze di dispersione sono legate ai flussi dispersi dei due avvolgimenti, mentre la reattanza di magnetizzazione è correlata al flusso principale del trasformatore. Poiché i flussi dispersi hanno un percorso prevalente in aria, mentre il flusso principale si svolge completamente in ferro, le reattanze di dispersione sono di 2-3 ordini di grandezza inferiori alla reattanza di magnetizzazione. Poiché i valori di resistenza R1 e di reattanza Xσ1 sono tipicamente modesti, si possono, in prima approssimazione, trascurare le relative cadute di tensione e, quindi, si può pensare che la tensione di alimentazione V1 equivalga alla sola f.e.m. E1: ) V 1 ≈ E1 = + j ⋅ 4.44 ⋅ f ⋅ N1 ⋅ Φ P Questa relazione sottolinea il fatto che il flusso principale del trasformatore viene imposto dalla tensione di alimentazione primaria e resta praticamente costante (o, comunque, poco variabile) al variare della corrente di carico I2. Per questo motivo si afferma comunemente che il trasformatore in regime sinusoidale di funzionamento lavora a flusso costante. Nel funzionamento a vuoto la corrente erogata al secondario è nulla ed il trasformatore equivale ad una reattanza di elevato valore (in prima approssimazione pari a Xm). La corrente I1 assorbita, in queste condizioni, dal trasformatore è molto piccola rispetto alle normali correnti di carico (I1 vuoto ≈ 0). Quando il secondario del trasformatore viene chiuso su un carico, la corrente I2 erogata dalla seconda bobina ha, sul circuito della prima bobina, un effetto di reazione rappresentata dalla corrente I2’ del circuito equivalente. L’azione di questa corrente è tendenzialmente di tipo smagnetizzante: esso tende a ridurre l’entità della corrente magnetizzante Im ed il relativo flusso principale. La potenziale alterazione del flusso principale e la conseguente riduzione della f.e.m. E1 provoca uno squilibrio tra V1 ed E1 e, da parte del primario, un maggiore assorbimento di corrente che tende a ripristinare il valore del flusso e della f.e.m. E1. La corrente I1 primaria, che ripristina le condizioni di flusso principale, è data da: I 1 = I m + I '2 . Nella presente trattazione lo studio del funzionamento del trasformatore è stato condotto in termini di circuito equivalente. Poiché il trasformatore è sostanzialmente un circuito accoppiato, ci si potrebbe basare, in modo del tutto equivalente, sulla teoria generale dei circuiti accoppiatti. In realtà, i vantaggi nell’usare il circuito equivalente sono molteplici. Essi sono da riferire ad una maggiore aderenza del circuito equivalente agli aspetti costruttivi e alle esigenze di misura. Ma una considerazione, in particolare, assume un ruolo decisivo. 122

MACCHINE ELETTRICHE Le equazioni che descrivono il comportamento di due circuiti accoppiati diventano fortemente non lineari e di difficile interpretazione (variazione dei parametri di auto e mutua induttanza in funzione delle correnti I1 e I2 dei due circuiti). Viceversa, grazie al circuito equivalente è possibile confinare queste non linearità praticamente in un solo parametro, la reattanza di magnetizzazione, e di stabilire la variabilità di questo parametro in funzione di una sola grandezza (la corrente magnetizzante). Inoltre, visto l’elevato valore assunto dal parametro Xm, il circuito equivalente consente di evidenziare le condizioni di funzionamento del trasformatore in cui l’influenza dei fenomeni di saturazione magnetica è fondamentale (funzionamento a vuoto) e quelle in cui tale influenza è irrilevante (funzionamento a carico).

123

PROF. ANDREA CAVAGNINO

3.4 – Modifiche del circuito equivalente del trasformatore Il circuito equivalente ricavato al paragrafo precedente, e qui di seguito nuovamente riportato per chiarezza, può essere opportunamente semplificato riportando alcuni parametri dal primario al secondario o viceversa. Occorre subito chiarire che lo stesso parametro assume valori numerici diversi nel caso venga riferito al primario oppure al secondario.

Z1

I1

I’2

Z2

t:1

I2

I0 V1

Z0

E1

E2

V2

Circuito equivalente del trasformatore.

Z1 = R1 + j ⋅ X d1 Impedenza dell’avvolgimento primario Z 2 = R2 + j ⋅ X d 2 Impedenza dell’avvolgimento secondario R ⋅ j⋅ Xm Z 0 = R Fe // X m = Fe = R0 + j ⋅ X 0 Impedenza a vuoto riferita al primario R Fe + j ⋅ X m Qualora tutte le impedenze posizionate a monte del trasformatore ideale (Z1 e Z0) vengono riportate a secondario, alterandone opportunamente i valori, si dice che i parametri primari sono riportati a secondario e che il circuito equivalente ottenuto è anch’esso riportato a secondario. Viceversa se il trasformatore ideale è spostato a valle del circuito, occorre modificare opportunamente i parametri del circuito secondario: in questo caso si dice che i parametri secondari sono riportati a primario e che il circuito equivalente ottenuto è anch’esso riportato a primario. Le due soluzioni sono perfettamente equivalenti e la scelta può essere dettata da puri motivi di comodo. Nel seguito si propone una soluzione intermedia tra queste due possibilità. Si mantiene l’impedenza a vuoto Z0 al primario e si riporta a secondario la sola impedenza Z1. Il circuito equivalente che si otterrà dopo le modifiche risulta particolarmente comodo per gli esercizi di calcolo. La prima semplificazione introdotta è lo spostamento dell’impedenza a vuoto Z0 a monte dell’impedenza Z1 del primario, come indicato nella figura seguente. Questo spostamento può essere facilmente giustificato ricordando che: l’impedenza Z0 è molto più grande dell’impedenza Z1. il valore della corrente a vuoto I0 è molto minore della corrente di normale funzionamento a carico I1 (circa 1÷5%) Ne consegue che, a spostamento avvenuto, gli errori che si commettono nel calcolo della corrente a vuoto e nella caduta di tensione sull’impedenza Z1 sono del tutto trascurabili ai fini pratici.

124

MACCHINE ELETTRICHE Z1

I1

I’2

Z2

t:1

I2

I0 V1

Z0

E2

E1

V2

Circuito equivalente del trasformatore: spostamento dell’impedenza Z0.

Riporto a secondario dell’impedenza primaria Z1 Affinchè il modello risponda ancora correttamente dopo lo spostamento dell’impedenza primaria al secondario, si deve garantire che la nuova impedenza dissipi la stessa potenza attiva ed impegni la stessa potenza reattiva. Questo concetto di equivalenza, porta a scrivere: 2   '   R ' ' =  I 2  ⋅ R = R1 Resistenza primaria riportata a secondario 1  1  2   '2 '' 2 I t 2 R1 ⋅ I 2 = R1 ⋅ I 2       ⇒    2 2  I 2'   '' X d1 ⋅ I 2' = X 1' 'd ⋅ I 22  X 1d  X 1d =   ⋅ X 1d = 2 Reattanza primaria riportata a secondario t   I2 

Ne consegue che per riportare l’impedenza primaria al secondario si deve dividere per il rapporto spire al quadrato. Ovviamente, se si vuole riportare l’impedenza secondaria Z2 al primario (ottenendo l’impedenza equivalente Z2’ ) la si deve moltiplicare per il rapporto spire al quadrato(1). L’impedenza Z1’’ risulta connessa in serie all’impedenza del secondario. L’impedenza equivalente serie viene denominata impedenza di cortocircuito riferita al secondario (o più brevemente impedenza di cortocircuito secondaria). Risulta possibile valutare l’impedenza di cortocircuito primaria moltiplicando per t2 quella secondaria. I1

I’2

Z’’cc= Z’’1+ Z2

t:1

I2

I0 V1

Z0

E1

E2

V2

Circuito equivalente del trasformatorecon impedenza ci cortocircuito riferita al secondario

(1)

Secondo il ragionamento indicato, il riporto dell’impedenza a vuoto da primario a secondario si esegue con la stessa regola.

125

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Osservazione L’operazione di riporto a primario/secondario delle impedenze trova una peculiare applicazione nell’impiego del trasformatore come adattatore di impedenze. Ad esempio, l’amplificatore di un impianto HIFI è progettato per lavorare su altoparlanti dotati di impedenza nominale pari a 16 Ω. Dovendo collegare all’amplificatore delle casse acustiche di impedenza pari a 8Ω si può interporre tra l’amplificatore e le casse un trasformatore con un opportuno rapporto di trasformazione che renda compatibile l’impedenza del carico all’amplificatore. t:1

Cassa 8Ω

Amplificatore

Immaginando ideale il funzionamento del trasformatore, il riporto a primario dell’impedenza della cassa fornisce: Z 'cassa = t 2 Z cassa  16 ⇒ t= ≅ 1.41  2 8 

16Ω = t ⋅ 8Ω



3.4.1 Significato fisico delle operazioni di riporto a primario/secondario Le relazioni che legano tra loro i parametri del circuito equivalente del trasformatore nelle operazioni di riporto da un lato all’altro della macchina possono essere interpretate ‘fisicamente’ attraverso l’introduzione di un concetto di equivalenza tra gli avvolgimenti di un trasformatore. Tale concetto estende la sua validità, non solo ai trasformatori, ma anche alle altre macchine elettriche. Si può dimostrare che il riporto dei parametri resistivi e induttivi di una bobina primaria di N1 spire al secondario (bobina di N2 spire), corrisponde a riavvolgere la bobina primaria con lo stesso numero di spire della bobina secondaria. In questa operazione ideale di riavvolgimento devono restare inalterati il flusso presente nel nucleo del trasformatore e la sezione trasversale della bobina. Per chiarire il significato di queste affermazioni si prenda in considerazione l’avvolgimento primario di un trasformatore monofase (vedi figura) caratterizzato dai seguenti parametri e dalle seguenti caratteristiche geometriche:

R1 ......... resistenza dell’avvolgimento, Xd1 ........ reattanza di dispersione, Xm......... reattanza di magnetizzazione primaria, A1 ......... sezione netta di rame della bobina, N1 ......... numero di spire dell’avvolgimento primario. N2 ........ numero di spire dell’avvolgimento secondario. t............ rapporto spire o di trasformazione.

126

A1

N2

N1

Geometria degli avvolgimenti del trasformatore

MACCHINE ELETTRICHE Sulla base dei dati sopra esposti, si può ritenere che la sezione e la lunghezza complessiva del filo conduttore impiegato per la realizzazione dell’avvolgimento primario valgano: A1 ; lc1 = N1l s , m N1 dove ls,m è la lunghezza della spira media. Quindi la resistenza R1 dell’avvolgimento risulta legata alle dimensioni geometriche ed al numero di pire della bobina secondo la relazione: S c1 =

N12 ls,m A1

R1 = ρ

Dovendo riavvolgere la suddetta bobina con N2 spire e volendo usare completamente la sezione A1 disponibile, si potrà usare un conduttore la cui sezione e la cui lunghezza complessiva sono date da:

A1 ; N2

S " c1 =

l "c1 = N 2 l s , m

e, conseguentemente la resistenza R”1 del nuovo avvolgimento vale:

R"1 = ρ

R N2 N 22 l s, m = 2 R1 = 1 A1 t2 N12

Anche per i parametri induttivi della bobina vale una regola analoga, infatti: X d1 =

N12 ℜ d1

N 2 Xm = 1 ℜp

2

N22  N2   X d1 = ℜ d1  N1 



X "d 1 =



N 2 N  X "m = 2 =  2  X m ℜ p  N1 

2

I valori R”1 , X”d1 e X”m dei parametri della nuova bobina sono legati ai corrispondenti valori della bobina originaria dalle stesse relazioni che regolano il riporto di questi ultimi ad un secondario di N2 spire. Inoltre, se si indica con V1n il valore efficace della tensione normale di alimentazione per l’avvolgimento primario originario di N1 spire, è noto che tale valore è legato al flusso principale concatenato con l’avvolgimento dalla relazione:

V1n ≅ 4.44 fN1Φ p , max L’avvolgimento di N2 spire avrà come tensione corrispondente, a parità di flusso (quindi ad eguale sfruttamento magnetico del nucleo), la seguente tensione normale:

V "1n ≅ 4.44 fN 2 Φ p , max =

N2 V1n N1

(3.16)

Volendo, inoltre, utilizzare nei conduttori della nuova bobina la stessa densità di corrente utilizzata nella bobina originaria, varrà la seguente relazione:

I " n1 S" N = c1 = 1 I n1 S c1 N2

(3.17)

127

PROF. ANDREA CAVAGNINO Le relazioni (3.16) e (3.17), oltre a confermare ulteriormente l’equivalenza tra l’operazione di riporto a secondario e l’operazione di riavvolgimento della bobina, sottolineano il fatto importante che il nuovo avvolgimento, realizzato con le indicazioni sopra specificate, è in grado di trasformare la stessa potenza apparente dell’avvolgimento originario:

V "1n I "1n = V1n I1n Il concetto di equivalenza non si esplica soltanto nel fatto che i due diversi avvolgimenti primari possiedono (a pari sfruttamento del ferro del nucleo e del rame dei conduttori) la stessa potenza caratteristica. Ma, dalle relazioni precedenti, si evince che, se la vecchia bobina primaria venisse effettivamente sostituita con la nuova bobina di N2 spire e se venisse alterata corrispondentemente alla (3.16) la tensione di alimentazione (in modo che il rapporto spire del trasformatore risultante diventi unitario), un osservatore posto sul secondario del trasformatore non noterebbe alcuna differenza di funzionamento. Il circuito equivalente riportato a secondario del nuovo trasformatore (a rapporto di trasformazione unitario) sarebbe identico al vecchio circuito equivalente. Ovviamente, per la simmetria della macchina, ragionamenti identici potrebbero essere sviluppati qualora fosse coinvolto nelle modifiche R”1 X”d1 Xd2 R2 l’avvolgimento secondario anziché il I”1n I2n primario. Si può pertanto affermare che il rapporto spire di un trasformatore, pur V”1n X”m V2n avendo una importanza fondamentale nelle applicazioni pratiche, risulta di fatto ininfluente nella trattazione del funzionamento. La teoria del funzionamento del trasformatore Circuito equivalente riportato a secondario. potrebbe comodamente essere sviluppata fissando tale rapporto al valore unitario (N1=N2). Riassumendo si può affermare che l’operazione di riporto a secondario (primario) dei parametri primari (secondari) di un trasformatore a rapporto spire t equivale a riavvolgere per la stessa potenza il primario (secondario) con lo stesso numero di spire del secondario (primario) in modo da studiare un trasformatore a rapporto spire unitario. Si può dimostrare che la quantità di rame impiegata nella costruzione dei due avvolgimenti sarebbe sempre esattamente la stessa. Nei normali trasformatori queste regole sono sempre verificate con una certa approssimazione e i parametri di un lato di macchina sono circa uguali ai parametri dell’altro lato, una volta eseguito il riporto.

128

MACCHINE ELETTRICHE

3.5 – Determinazione dei parametri del circuito equivalente I parametri del circuito equivalente possono essere determinati tramite opportune prove sperimentali. In ogni caso, i trasformatori devono essere sottoposti a prove che ne garantiscano la conformità ai dati di targa e alle specifiche di ordinazione. Tali prove, eseguite di norma presso le officine del costruttore, devono essere condotte ad una temperatura ambiente compresa tra 10°C e 40°C e per la loro esecuzione deve essere usata strumentazione conforme alle norme 4.11 ISO 9001. Poiché alcuni risultati di prova sono sensibili alla temperatura, si richiede spesso che essi siano riportati ad una temperatura convenzionale. Tipicamente, questa temperatura vale 75°C per i trasformatori raffreddati in olio e può invece essere stabilita d’accordo tra cliente e costruttore per trasformatori a secco. Le prove tipiche cui può essere sottoposto un trasformatore si possono suddividere in: Prove di routine o di accettazione Prove di tipo Prove speciali Per ciascuna di queste tipologie le norme CEI 14-4.1 prevedono una serie di misure convenzionali. In questo paragrafo verranno illustrate le principali prove di routine che vengono, con maggior frequenza, condotte su trasformatori e che permettono la determinazione dei parametri del modello. Nel seguito si fa riferimento al trasformatore monofase; le differenze rispetto al caso trifase saranno specificate in seguito.

3.5.1 – Misura della resistenza degli avvolgimenti Questa prova è necessaria per la valutazione delle perdite a carico, per la valutazione della tensione di corto circuito e delle sovratemperature medie degli avvolgimenti. La misura va eseguita con il trasformatore non alimentato da almeno 3 ore ed in equilibrio termico con l’ambiente ed i valori di resistenza ottenuti vanno riferiti alla temperatura ambiente. Per il calcolo della resistenza si può usare un metodo volt-amperometrico: si alimenta la coppia di morsetti della singola bobina con un generatore di tensione costante e si misurano il valore di tensione e di corrente a carico dell’avvolgimento. La resistenza cercata è ottenuta dalla legge di Ohm.

Ravv =

V prova I prova

(3.18)

La corrente di prova non deve superare il 10% della corrente nominale dell’avvolgimento, per evitare che il riscaldamento, conseguente alle inevitabili perdite, alteri sensibilmente la temperatura durante la sessione di misure.

3.5.2 – Prova a vuoto Lo scopo di questa prova è quello di valutare le perdite e la corrente assorbita al primario nel funzionamento a vuoto. Questa prova permette di determinare la resistenza equivalente delle perdite nel ferro e la reattanza di magnetizzazione che costituiscono l’impedenza a vuoto Z0. La prova a vuoto viene effettuata alimentando un avvolgimento della macchina alla sua tensione nominale e lasciando aperti i morsetti dell’altro avvolgimento. E’ praticamente indifferente, ai fini dei risultati, alimentare il trasformatore dall’avvolgimento primario o da quello secondario: l’avvolgimento che si assume come primario può essere scelto in relazione alle caratteristiche della sorgente di alimentazione disponibile presso il laboratorio di prova. 129

PROF. ANDREA CAVAGNINO Le norme prescrivono che le tensioni di alimentazione devono essere ‘sinusoidali’ e specificano la ‘sinusoidalità’ stessa tramite alcuni parametri (distorsione armonica, fattore di forma, …). Lo schema del circuito per la prova a vuoto è illustrato nella figura sottostante.

A Rete sinusoidale

W V1

Variatore di tensione

Sezione di misura lato

V2

Trasformatore in prova

Sezione di misura secondaria

Schema di misura per la prova a vuoto sul trasformatore monofase

Il trasformatore in prova è alimentato da una rete alternata ‘sinusoidale’ a tensione fissa attraverso un regolatore di tensione. Questo regolatore consiste, tipicamente, in un autotrasformatore a rapporto di trasformazione variabile con continuità. La possibilità di regolazione introdotta si rende necessaria per adeguare con precisione la tensione con cui si alimenta il primario al valore nominale relativo all’avvolgimento trasformatore in prova. Le Norme consigliano di eseguire le misure per diversi valori di tensione di alimentazione attorno al valore nominale in modo da ridurre eventuali errori accidentali e ottenere una determinazione più precisa della condizione nominale. La sezione di misura lato alimentazione consiste di un amperometro (A), di un voltmetro (V1) e di un wattmetro (W). Attraverso questi strumenti si rilevano i valori di corrente I10, di tensione V1 e di potenza attiva P0 assorbita dal trasformatore nelle condizioni di prova. Ai morsetti dell’avvolgimento non alimentato può essere misurata con un voltmetro (V2) la tensione secondaria a vuoto V20. Questa misura consente di determinare il rapporto di trasformazione della macchina. Esso vale:

t =

V1 V20

(3.19)

Il valore del rapporto di trasformazione dedotto dalle misure è ampiamente stabile al variare della tensione di alimentazione attorno al valore nominale.

Elaborazione della prova a vuoto Durante il funzionamento a vuoto la presenza dell’impedenza Z1 = R1 + jXd1 è del tutto trascurabile. Infatti, la corrente a vuoto è generalmente piccola (pochi percento delle correnti nominali) e l’impedenza Z1 da luogo ad una caduta di tensione di pochi percento della tensione nominale quando è percorsa da correnti dell’ordine della corrente nominale. Ne consegue che durante la prova, le cadute sull’impedenza Z1 sono dell’ordine di pochi per mille della tensione nominale. Per l’elaborazione della prova si può quindi far riferimento al seguente circuito equivalente semplificato.

130

MACCHINE ELETTRICHE

I10

R1

I’2=0

Xd1 Ife

V1 prova

Xd2

t :1

R2

I2=0

Im

Rfe

Xm

E1

E2

V20

Circuito equivalente del trasformatore per descrivere il funzionamento a vuoto.

Si considerino il set di valori misurati {V1 prova, I10, P0}. Sulla base del circuito equivalente indicato si possono fare le seguenti valutazioni:

V1 prova 2

R Fe = Xm =

P0 V1 prova 2

dove

Q0

= =

V1 prova

I10 ⋅ cos(ϕ 0 ) V1 prova 2

P0 ⋅ tg (ϕ 0 )

cos(ϕ 0 ) =

=

V1 prova

I10 ⋅ sin (ϕ 0 )

P0 V1 prova ⋅ I10

Si ricorda nuovamente che i risultati di prova devono essere valutati alla tensione nominale (V1prova = V1N).

I risultati di prova sono generalmente espressi in valore percentuale (rispetto a grandezze di targa) per svincolare il calcolo dei parametri dal lato utilizzato durante la prova. Tali valori percentuali valutati nel seguente modo:

I0 % = P0 % =

I 0 lato prova I N lato prova

* 100

P0 * 100 SN

(corrente a vuto percentuale) (perdite a vuoto percentuali, riferite alla potenza nominale SN [kVA] del trasformatore)

Esempio Le prove eseguite su un piccolo trasformatore monofase di potenza pari a 3kVA hanno dato i seguenti risultati: V1N [V] 380

I10 [A] 0.327

P0 [W] 46.6

V20 [V] 386.3

Il valore della resistenza equivalente alle perdite nel ferro e della reattanza di magnetizzazione sono: RFe = 3099 Ω

Xm = 1253 Ω

131

PROF. ANDREA CAVAGNINO Al contrario del rapporto di trasformazione, i valori di RFe ed Xm , desunti dalla prova a vuoto tramite le relazioni precedenti, sono fortemente influenzati dal valore di tensione di alimentazione V1prova. Per questo motivo le Norme impongono che il loro valore deve essere determinato in corrispondenza della tensione nominale dell’avvolgimento, come illustrato nella figura seguente. RFe, Xm [Ω]

t

3500

1.0

t

0.9

3000

0.8

Rfe

2500

0.7

Xm

0.6

2000

0.5 1500

0.4

1000

0.3 0.2

V1prova =V1N

500

V1prova [V]

0 0

100

200

300

0.1 0.0

400

Rapporto di trasformazione, resistenza delle perdite nel ferro e reattanza di magnetizzazione del trasformatore in funzione della tensione di alimentazione

3.5.2 – Prova in cortocircuito Questa prova serve a determinare le perdite dovute al carico ed il valore della tensione di cortocircuito (vedi paragrafo 3.6). La misura può essere condotta a temperatura ambiente, ma i risultati devono essere riportati alla temperatura convenzionale prevista per la macchina. Per eseguire la prova si pongono direttamente in corto circuito i terminali di linea di uno dei due avvolgimenti e si alimenta l’altro alla frequenza nominale e misurando, nel contemporaneamente, le correnti, la potenza assorbita e le tensioni applicate. La tensione di prova deve essere tale da far circolare la corrente nominale nei due avvolgimenti. Tuttavia, in caso di difficoltà, possono essere condotte prove a valori ridotti di corrente. In questo caso i risultati devono essere riportati al valore di corrente di riferimento. Lo schema di prova è del tutto analogo a quello visto per la prova a vuoto, salvo per il fatto che i morsetti dell’avvolgimento non alimentato sono cortocircuitati.

A Rete sinusoidale

I1

W V

Variatore di tensione

Sezione di misura lato

Trasformatore in prova

Avvolgimento in cortocircuito

Schema di misura per la prova in corto circuito sul trasformatore monofase

132

MACCHINE ELETTRICHE Ovviamente la tensione da applicare all’avvolgimento alimentato, perché in esso circoli la corrente nominale, risulta essere una frazione modesta (poche unità per cento) della tensione nominale dell’avvolgimento e, come conseguenza, il flusso principale si riduce nella stessa misura e le perdite nel ferro (che variano quadraticamente con il flusso e con la tensione di alimentazione) si riducono in misura maggiore (poche unità per diecimila). Tale osservazione giustifica il fatto di trascurare, nell’elaborazione della prova, l’impedenza a vuoto Z0. I2cc = I2N

R’’1

X’’d1

Xd2

R2

V2cc

Circuito equivalente del trasformatore in corto circuito riportato a secondario.

Si può ritenere che la potenza assorbita e letta sui wattmetri rappresenti, in pratica, esclusivamente le perdite Joule nei conduttori delle bobine primaria e secondaria. In figura è riportato il circuito equivalente monofase semplificato valido per la prova in corto circuito Il calcolo dei parametri del circuito equivalente viene condotto secondo il seguente procedimento.

Dati misurati: V2cc = V1cc / t

: tensione di cortocircuito secondaria

I2cc = I2N

: corrente nominale secondaria

Pcc

: potenza di cortocircuito

Elaborazione: V R ' 'cc = R1' ' + R2 = 2cc cos(ϕ cc ) = I 2N

Pcc I 22N

V X ' 'cc = X ' ' d1 + X d 2 = 2cc sin (ϕ cc ) = I 2N dove

cos(ϕ cc ) =

Qcc I 22N

=

Pcc ⋅ tg (ϕ cc ) I 22N

Pcc V2cc I 2 N

Anche per la prova in cortocircuito risulta conveniente riferire i valori misurati a grandezze di targa. I valori percentuali permettono infatti di svincolare il calcolo dei parametri dal lato del trasformatore su cui si esegue la prova (come dimostrato al paragrafo 3.6). vcc % =

Vcc lato prova ⋅ 100 V N lato prova

P Pcc % = cc ⋅ 100 SN

133

PROF. ANDREA CAVAGNINO Durante la prova non viene usualmente rilevata la corrente sul lato in corto circuito; tuttavia questa corrente è immediatamente deducibile dalla corrente misurata e dal rapporto di trasformazione. I valori della resistenza e reattanza di corto circuito del trasformatore risultano ampiamente indipendenti dalla tensione e dalla corrente di alimentazione, ma il termine resistivo è influenzato dalla temperatura a cui si trovano gli avvolgimenti. Per questo motivo le Norme prescrivono il riporto dei risultati ad una temperatura convenzionale Tc. Questa operazione è relativamente complicata in quanto, anche a parità di temperatura, la resistenza di cortocircuito misurata in corrente alternata è maggiore di quella misurata in corrente continua (a causa del fenomeno di addensamento di corrente che si verifica nei conduttori percorsi da corrente alternata). Pertanto il valore misurato di R’’cc congloba un termine ‘ohmico’ (misura in corrente continua) ed un termine ‘addizionale’ (valutabile per differenza da una misura in alternata ed una in continua eseguite alla stessa temperatura T0). Senza entrare nel dettaglio, il riporto di temperatura del resistenza di cortocircuito alla temperatura convenzionale deve avvenire secondo la modalità indicata dalla relazione (3.20). R (T ) Rc.a. (Tc ) = add 0 + K T ⋅ Rohm (T0 ) KT

235 + Tc  rame  K T = 235 + T 0 (3.20) dove  225 + Tc KT = alluminio  225 + T0

Una volta riportata la resistenza di cortocircuito alla temperatura convenzionale Tc, si devono ricalcolare i valori di perdita, di impedenza e di tensione di corto circuito riferendoli alla temperatura convenzionale e alla corrente nominale dell’avvolgimento primario. Pcc (Tc ) = R' 'cc (Tc ) ⋅ I 22N 2 Z ' 'cc (Tc ) = R' ' cc (Tc )2 + X ' ' cc V2cc (Tc ) = Z ' ' cc (Tc ) ⋅ I 2 N

134

MACCHINE ELETTRICHE

3.6 – Tensione di cortocircuito Si definisce inoltre tensione di cortocircuito del trasformatore, riferita ad uno dei suoi avvolgimenti, la tensione che occorre applicare all’avvolgimento di riferimento, essendo l’altro avvolgimento chiuso in corto circuito, perché la rispettiva corrente nominale circoli in entrambi gli avvolgimenti. Per un trasformatore monofase, le tensioni di corto circuito riferite rispettivamente a primario e a secondario valgono,:

V1cc = Z 'cc I1N

(3.21)

V2cc = Z "cc I 2 N dove I1N ed I2N sono le correnti nominali dei due avvolgimenti.

Usualmente i due valori forniti dalle (3.21) vengono indicati da un unico valore in termini percentuali; a questo scopo si definisce tensione di corto circuito percentuale del trasformatore il rapporto, espresso in centesimi, tra la tensione di corto circuito e la tensione nominale dell’avvolgimento di riferimento(1):

V V vcc % = 1cc ⋅ 100 = 2cc ⋅ 100 V1N V20

(3.22)

L’uguaglianza dei due valori si giustifica in base alle relazione seguenti:

I V2cc = Z "cc 2 N ; V20 V20

I 1N N = 2; I 2N N1

V1N N = 1; V20 N2

2

I V V2cc  N1   Z "cc 1N = 1cc =  V1N V1N V20  N 2 

Poiché il valore dell’impedenza di cortocircuito è piccolo, la tensione di cortocircuito è percentualmente piccola (3÷10 %) rispetto alla tensione nominale di riferimento. Si noti che la tensione di cortocircuito coincide numericamente con la caduta di tensione sull’impedenza di cortocircuito solo se il trasformatore lavora con correnti nominali.

Esempio Si considerino i seguenti dati caratteristici di un trasformatore monofase. Dati di targa:

SN : V1N : V20 :

10 [kVA] 380.0 [V] 227.6 [V]

N1/N2 : 1.67 I1N : 26.3 [A] I2N : 43.9 [A]

Funzionamento a vuoto:

I10

: 0.41 [A]

P0

: 81.9 [W]

Parametri del circuito equivalente:

RFe Xm R”1 R2

= 1765 [Ω] = 1100. [Ω] = 0.062 [Ω] = 0.048 [Ω]

(riferita al primario) (riferita al primario)

X”d1 = 0.059 [Ω] Xd2 = 0.059 [Ω]

(riferita al secondario) (riferita al secondario)

(1)

Come sarà riportato meglio nel seguito la tensione nominale secondaria è la tensione a vuoto del trasformatore quando quest’ultimo è alimentato alla sua tensione nominale primaria V1n.

135

PROF. ANDREA CAVAGNINO Sulla base dei dati sopra riportati si possono fare le seguenti valutazioni: Valore percentuale della tensione di cortocircuito Riferendosi al secondario, si può scrivere '' Z cc =

(R"1 + R2 )2 + ( X "d1 + X d 2 )2

= 0.112 + 0.118 2 = 0.161 Ω

'' '' Vcc = Z cc ⋅ I 2 N = 0.161 ⋅ 43.9 = 7.01 V

V '' 7.01 Vcc % = cc ⋅ 100 = ⋅ 100 = 3.1 % V20 227.6

Riferendosi al primario, si ottiene: ' = Z cc

(R1 + R2' )2 + (X d1 + X d' 2 )2 = t 2 ⋅ Z cc'' = 1.67 2 ⋅ 0.161 = 0.449 Ω

' ' = Z cc ⋅ I1N = 0.449 ⋅ 26.3 = 11.81 V Vcc

V' 11.81 ⋅ 100 = 3.1 % Vcc % = cc ⋅ 100 = 380 V1N Valore percentuale della corrente a vuoto primaria rispetto alla corrente nominale I 0.41 i0 % = 10 ⋅ 100 = ⋅ 100 = 1.56 % 26.3 I 1N

136

MACCHINE ELETTRICHE

3.7 – Caduta di tensione del trasformatore da vuoto a carico Si definisce caduta di tensione del trasformatore, ovvero caduta di tensione industriale del trasformatore, la differenza algebrica tra il modulo della tensione ai morsetti secondari a vuoto e il modulo della tensione ai morsetti secondari quando il trasformatore eroga una corrente di carico. R”cc

P C V”1=V20

jX”cc I2 B

X”cc

I”1

I2 A

R”cc I2

V2

V”1

V2 I2

ϕ2 Calcolo della caduta di tensione industriale

O

La caduta di tensione industriale è definita da:

∆V = V20 − V2

(3.23)

Per il calcolo è opportuno riferirsi al circuito equivalente semplificato del trasformatore di figura ed al corrispondente diagramma vettoriale a carico. Si possono scrivere le seguenti relazioni:

OC = V2 + I 2 ⋅ (R"cc cos ϕ 2 + X "cc senϕ 2 ) PC = I 2 ⋅ (− R"cc senϕ 2 + X "cc cos ϕ 2 ) da cui: V2 = V202 − (R"cc sen ϕ 2 − X "cc cos ϕ 2 ) I 22 − (R"cc cos ϕ 2 + X "cc sen ϕ 2 )I 2 ≅ 2

(R"cc sen ϕ 2 − X "cc cosϕ 2 )2 I 22 − (R"

cc cos ϕ 2 + X "cc sen ϕ 2 )I 2 2 ⋅ V20 Pertanto l’espressione (3.23) è calcolabile come segue:

≅ V20 −

∆V ≅

(R"cc sen ϕ 2 − X "cc cos ϕ 2 )2 I 22 + (R" 2 ⋅ V20

cc

cos ϕ 2 + X "cc sen ϕ 2 )I 2

(3.24)

Una relazione più semplice di quella ora ricavata viene usata per il calcolo della caduta di tensione nel caso, per altro frequente, in cui il segmento OC possa essere confuso con la tensione a vuoto V20. In questo caso si ha immediatamente che: ∆V ≅ I 2 (R"cc cos ϕ 2 + X "cc senϕ 2 )

(3.25)

137

PROF. ANDREA CAVAGNINO La variazione di tensione ai morsetti secondari del trasformatore, quando questo eroga corrente su un carico, è praticamente proporzionale all’entità della corrente stessa; tuttavia essa dipende, in misura non indifferente, anche dal fattore di potenza del carico. In particolare, dalla (3.25) si deduce facilmente che, nel caso di carico prevalentemente capacitivo (ϕ2 < 0), la caduta di tensione può diventare negativa: in questo caso, nel passaggio da vuoto a carico, la tensione secondaria aumenta anziché diminuire. Esempio Si riprenda in esame il trasformatore monofase presentato al paragrafo precedente. Si supponga di voler calcolare la tensione presente ai morsetti secondari del trasformatore quando esso eroga la corrente nominale secondaria con un fattore di potenza pari a 0.8 in ritardo. La resistenza e la reattanza di corto circuito secondario valgono rispettivamente: R”cc = R”1 + R2 = (0.062 + 0.048) = 0.110 Ω

X”cc = X”d1 + X d 2 = (0.059 + 0.059 ) = 0.118 Ω

La tensione a vuoto e la corrente nominale secondaria valgono rispettivamente: V20 = 227.6 V;

I 2 N = 43.9 A

Applicando la (3.24) si calcola la caduta di tensione industriale e quindi per decremento dalla tensione a vuoto si ottiene la tensione a carico: ∆V ≅

(0.11 × 0.6 − 0.118 × 0.8)2 × 43.9 2 2 ⋅ 227.6

+ (0.110 × 0.8 + 0.118 × 0.6) × 43.9 = = ( 0.003 + 6.971) ≈ 7.0 V

Tensione a carico : V2 = 227.6 - 7.0 = 220.6 V

Si può osservare la modesta correzione apportata dall’uso della (3.24) al valore calcolato con la relazione semplificata (3.25).

138

MACCHINE ELETTRICHE

3.8 – Rendimento del trasformatore Il rendimento di un trasformatore è definito come rapporto tra la potenza attiva erogata dal secondario e la potenza attiva corrispondentemente assorbita al primario. La differenza tra le due potenze è costituita dalle perdite all’interno della macchina. Si noti che per un trasformatore a pieno carico le perdite sono normalmente una piccola frazione della potenza trasformata. In altre parole, il trasformatore è una macchina con rendimenti molto elevati. Le perdite di un trasformatore consistono essenzialmente di due voci: Perdite nel ferro, PFe, presenti nel nucleo magnetico a causa dei fenomeni di isteresi e di correnti parassite, dovuti alla magnetizzazione alternata. Queste perdite sono da ritenere praticamente costanti per ampie variazioni della corrente di carico. Dipendono invece dalla tensione di alimentazione della macchina, come si può facilmente desumere dal circuito equivalente. Perdite nel rame, Pcu, localizzate negli avvolgimenti primario e secondario, sono dipendenti dalla corrente di carico e possono essere espresse dalla seguente relazione, conformemente alla definizione di impedenza di cortocircuito secondaria:

Pcu = R"cc ⋅I 22

(3.26)

Si noti che la corrente secondaria indicata in (3.26) è la corrente erogata dal trasformatore nelle condizioni di carico specificate e non è, in generale, la corrente nominale secondaria. Introducendo il fattore di carico α del trasformatore, definito come il rapporto tra la corrente effettivamente erogata al carico e la corrente nominale del trasformatore, la (3.26) può essere riscritta nel seguente modo.  I  Pcu = R"cc ⋅I 22 = R"cc ⋅I 22N ⋅  2   I 2N 

2

= α 2 ⋅ R"cc ⋅I 22N = α 2 ⋅ Pcc

(3.27)

dove Pcc sono le perdite di cortocircuito (valore specificato a targa). Il rendimento del trasformatore monofase può quindi essere calcolato come: η=

Putile V2 I 2 cos ϕ 2 ≅ Putile + P fe + Pcu V2 I 2 cos ϕ 2 + R"cc I 2 + PFe 2

(3.28)

La (3.28) indica che il rendimento del trasformatore risulta nullo in due condizioni: a vuoto, in quanto è nulla la corrente I2, ma sono presenti le perdite nel ferro e quelle nel rame primario (quest’ultime generalmente trascurabili); in cortocircuito, in quanto è nulla la tensione V2. Per valori di corrente di carico intermedi tra zero e la corrente di cortocircuito il rendimento presenta un massimo. Per semplificare la ricerca del fattore di carico che massimizza il rendimento per un certo valore del fattore di potenza del carico applicato (cosϕ2), conviene introdurre il concetto di rendimento convenzionale. Nelle normali condizioni di impiego del trasformatore si può ragionevolmente trascurare la caduta di tensione sull’impedenze di cortocircuito secondaria; ovvero si può ritenere che la tensione V2 ai morsetti secondari sia costante al variare della corrente di carico e pari al valore della tensione secondaria a vuoto (V2 ≈ V20). Inoltre, è generalmente verificato che la tensione di alimentazione del trasformatore è pari alla tensione 139

PROF. ANDREA CAVAGNINO nominale primaria della macchina: ciò implica che le perdite nel ferro sono uguali alle perdite a vuoto (specificate sulla targa). Il rendimento convenzionale si può quindi scrivere nel seguente modo: ηconvenzionale = ηconvenzionale =

V20 I 2 cos ϕ 2 V20 I 2 cos ϕ 2 + R"cc I 22 + P0 α ⋅ S N ⋅ cos ϕ 2

=

α ⋅ V20 I 2 N cos ϕ 2 α ⋅ V20 I 2 N cos ϕ 2 + α 2 Pcc + P0 (3.29)

α ⋅ S N ⋅ cos ϕ 2 + α 2 Pcc + P0

Fissato il fattore di potenza del carico, è facile dimostrare che il rendimento convenzionale raggiunge il suo valore massimo per un fattore di carico pari a: α η max =

P0 Pcc

(3.30)

Quindi il rendimento massimo si realizza per un valore di corrente di carico tale che le perdite nel rame (e non di cortocircuito) uguaglino le perdite nel ferro. Normalmente, in fase di progetto si opera una ripartizione delle perdite nel ferro e nel rame in modo che il rendimento massimo si raggiunga quando il trasformatore eroga circa i ¾ della corrente nominale (αηmax = 0.75). In virtù del fatto che la curva di rendimento è abbastanza piatta nell’intorno del suo massimo, questa scelta porta ad avere un buon compromesso energetico anche a carichi minori e maggiori del carico che massimizza il rendimento. Si tenga inoltre presente che un utente acquista generalmente un trasformatore leggermente sovradimensionato rispetto alle sue reali esigenze. Sulla base della (3.29) si può ritenere che il massimo rendimento assoluto si realizza nel caso di carico resistivo puro (cos ϕ2 = 1). In realtà, se si tenesse conto della caduta di tensione che si verifica nel passaggio da vuoto a carico del trasformatore, il massimo rendimento assoluto si otterrebbe in corrispondenza ad un carico leggermente capacitivo (cos ϕ < 1). Nella figura seguente vengono riportate le curve tipiche di rendimento di un trasformatore per diversi valori del fattore di potenza del carico (si noti la scala logaritmica per le ascisse). 1,0 cos ϕ =1.00 0,9

cos ϕ =0.90 cos ϕ =0.80

0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,01

0,10

α

1,00

10,00

Curve di rendimento del trasformatore al variare del fattore di carico α = I2 / I2N e per diversi fattori di potenza del carico.

140

MACCHINE ELETTRICHE In termini assoluti, il rendimento di un trasformatore è estremamente elevato: 0.95÷0.99 in dipendenza della potenza nominale della macchina, dove i valori più elevati sono tipici dei trasformatori di grossa potenza. Nonostante il rendimento sia elevato, le potenza gestite dai grandi trasformatori di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica sono elevate (centinaia di kVA), per cui in termini assoluti anche le perdite dissipate, determinabile secondo la relazione ∑ Perdite = Pcu + PFe = (1 − η) ⋅ Passorbita , risultano altrettanto elevate. Per questo motivo i grandi trasformatori richiedono complessi sistemi di raffreddamento per smaltire il calore generato dalle perdite. I trasformatori da distribuzione vedono variare, nell’arco della giornata, il carico richiesto dal pieno valore a frazioni modeste di esso. Tipicamente, in questi trasformatori la corrente di massimo rendimento è scelta pari a circa metà, o anche meno, la corrente nominale, in modo da mantenere buoni valori di rendimento in un’ampia gamma di carichi. Da questo punto di vista il rendimento massimo del trasformatore assume un significato puramente indicativo della qualità del trasformatore. Dal punto di vista generale, e cioè in una valutazione economica globale delle perdite introdotte dal trasformatore, interessa il calcolo dell’energia consumata nell’arco di un intero ciclo di utilizzo della macchina. Tale ciclo ha usualmente durata giornaliera. Per poter valutare l’efficienza reale del trasformatore occorre conoscerne il diagramma di carico (correnti e fattori di potenza relativi) nell'arco delle 24 ore. In questo caso, indicati con I2i e cosϕi i valori di corrente e fattore di potenza mediamente assorbiti nel generico intervallo di tempo ∆Ti , si possono valutare sia le energie mediamente dissipate nel periodo T del ciclo, sia la potenza media nel ciclo nel seguente modo.

(

)

Energia dissipata nel ciclo = ∑ R ' ' cc I 22i + PFe ⋅ ∆Ti Energia erogata nel ciclo = ∑ V2 I 2i cos ϕ i ⋅ ∆Ti ≅ ∑ V20 I 2i cos ϕi ⋅ ∆Ti Perditemedie = Putilemedia =

Energia dissipata nel ciclo T

Energia erogata nel ciclo T

Il rendimento effettivo del trasformatore durante il ciclo di lavoro considerato si ottiene dal seguente rapporto:

η eff =

Putilemedia Putilemedia + Perditemedie

(3.31)

141

PROF. ANDREA CAVAGNINO

3.9 – Grandezze di targa e aspetti dimensionali 3.9.1 Generalità Le Norme CEI distinguono diverse classi di trasformatori in base alla loro potenza ed al loro impiego: Trasformatori di potenza (CEI-14) Sono i trasformatori destinati ai processi di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica. Le Norme ne danno la seguente definizione: “ Macchina statica con due o più avvolgimenti che, per induzione elettromagnetica, trasforma un sistema di tensione e corrente alternata in un altro sistema generalmente di differenti valori di tensione e corrente, alla stessa frequenza, allo scopo di trasmettere la potenza elettrica.” Trasformatori di misura (CEI-38) I trasformatori di misura sono “Trasformatori destinati ad alimentare strumenti di misura, contatori, relè o apparecchi analoghi”. I principali tipi di questa categoria sono: I.

i trasformatori di tensione (TV) usati per convertire, secondo una costante di proporzionalità, le tensioni da misurare a valori compatibili con gli strumenti di misura.

II.

i trasformatori di corrente (TA) impiegati per convertire, secondo una costante di proporzionalità, le correnti da misurare a valori compatibili con gli strumenti di misura.

Trasformatori di separazione (CEI-96) Sono trasformatori “con uno o più avvolgimenti primari separati dagli avvolgimenti secondari mediante almeno un isolamento fondamentale”. Tra gli impieghi più diffusi di questi trasformatori (generalmente di potenza non elevata) si possono citare i seguenti: I.

alimentazione di bordo di apparecchiature elettriche;

II.

separazione elettrica di circuiti;

III.

adattamento della tensione al carico;

IV.

isolamento e sicurezza di un circuito elettrico.

Trasformatori di conversione (CEI-14) Sono trasformatori destinati ad essere integrati in strutture di conversione a semiconduttori dell’energia elettrica. Le Norme distinguono due tipi di applicazione fondamentali:

142

I.

Applicazioni con tensione praticamente sinusoidale, in cui il convertitore è tipicamente un circuito di raddrizzamento posto al secondario del trasformatore.

II.

Applicazioni con tensione non sinusoidale, in cui il primario del trasformatore è alimentato con forma d’onda distorta di tensione prodotta da un convertitore (tipicamente un inverter) comandato in c.a. a frequenza variabile.

MACCHINE ELETTRICHE I trasformatori, come tutte le apparecchiature elettriche, sono caratterizzati attraverso una targa che ne definisce le normali condizioni di funzionamento attraverso la specificazione dei valori normali delle principali grandezze di alimentazione e di carico. Le principali grandezze che verranno discusse nel seguito sono: la tensione nominale, la corrente nominale e la potenza nominale. Tensione nominale

Il concetto di tensione nominale di un trasformatore è in realtà un concetto associato ai singoli avvolgimenti dello stesso. Per un trasformatore esistono tanti valori nominali di tensione quanti sono gli avvolgimenti di cui è dotato. Le Norme CEI stabiliscono, nel caso dei trasformatori di potenza, che la tensione nominale di un avvolgimento (VN) è la: “tensione specificata per essere applicata o indotta in funzionamento a vuoto fra i terminali di linea di un avvolgimento …. Per un avvolgimento trifase è la tensione fra i terminali di linea” (concatenata). E ancora: “Nel funzionamento a vuoto, le tensioni nominali di tutti gli avvolgimenti compaiono simultaneamente quando la tensione applicata ad uno di questi ha il suo valore nominale.” Queste definizioni non hanno validità per tutti i tipi di trasformatori; ad esempio, nel caso di trasformatori di isolamento, la definizione di tensione nominale per gli avvolgimenti indotti è leggermente diversa: “Tensione nominale secondaria è la tensione, assegnata dal costruttore al trasformatore, quando il trasformatore è alimentato alla tensione primaria nominale, alla frequenza nominale, con la corrente secondaria nominale e fattore di potenza nominale”. Fatte salve queste diverse definizioni, resta il fatto che la tensione nominale primaria o tensione nominale di alimentazione del trasformatore è una grandezza molto importante per il corretto impiego di questa macchina. Da un punto di vista puramente astratto si potrebbe pensare che un trasformatore possa essere convenientemente impiegato, per soddisfare richieste diverse di tensione secondaria, qualora se ne vari corrispondentemente la tensione di alimentazione. Un’operazione di questo tipo prevederebbe di alimentare il trasformatore a valori di tensione diversa da quella definita dal costruttore. Tale operazione può essere lecita, ma occorre tenere presenti le implicazioni fisiche del concetto di tensione nominale. Tali implicazioni riguardano non tanto i problemi di rigidità dielettrica degli isolamenti, quanto lo sfruttamento magnetico del nucleo in ferro con cui l’avvolgimento si concatena. Se, ad esempio, si considera l’avvolgimento primario di un trasformatore durante il funzionamento a vuoto, è noto che tra la tensione di alimentazione ed il flusso concatenato con l’avvolgimento esiste, in condizioni di regime sinusoidale, la seguente relazione: V =ω ⋅N ⋅

Φ max 2

≅ 4.44 fNΦ max

Quindi la tensione di alimentazione determina il flusso presente nella struttura magnetica del trasformatore. Alimentare il primario del trasformatore con valori di tensione diversi dal valore nominale significa far funzionare il trasformatore in condizioni magnetiche diverse da quelle previste dal costruttore.

V’ Φ’ Vnom Φnom

P’ P

i imagn

i’magn

Caratteristica di eccitazione del trasformatore a vuoto

143

PROF. ANDREA CAVAGNINO E’ noto che, al crescere del flusso in un elettromagnete, la corrente magnetizzante cresce secondo una caratteristica di eccitazione affetta da saturazione come illustrato indicativamente nella figura precedente. In un trasformatore correttamente progettato la tensione nominale è fissata in modo che il suo circuito magnetico lavori poco sopra il ginocchio della caratteristica: in tal modo si ottiene il compromesso tra il raggiungimento di elevati valori di flusso ed il contenimento della corrente magnetizzante. Se si alimentasse il trasformatore ad una tensione più alta del valore nominale si rischierebbe di assorbire una corrente a vuoto molto elevata con conseguente aumento delle perdite nei conduttori dell’avvolgimento e riduzione dell’efficienza del trasformatore. Viceversa se si alimentasse il primario ad una tensione più bassa del valore normale, non si avrebbero gli inconvenienti sopra descritti, ma il ferro del trasformatore sarebbe sotto sfruttato magneticamente e conseguentemente anche la macchina sarebbe male utilizzata rispetto alle sue potenzialità. L’espressione della tensione (pagina precedente) evidenzia che il concetto di tensione normale di alimentazione è legato anche alla frequenza. In particolare, fermo restando lo sfruttamento del ferro del nucleo, al variare della frequenza di alimentazione si dovrebbe variare corrispondentemente il valore della tensione normale. Il condizionale è necessario poiché un aumento della frequenza di alimentazione a parità di flusso provocherebbe un aumento consistente delle perdite nel ferro(1); è quindi prudente ridurre gradualmente il flusso normale del trasformatore al crescere della frequenza al fine di mantenere inalterate le perdite. Potenza nominale

Il trasformatore deve avere una potenza nominale assegnata per ciascun avvolgimento che deve essere riportata sulla targa. Questo è un valore di riferimento per le garanzie e le prove concernenti le perdite a carico ed il riscaldamento. Le Norme CEI definiscono la potenza nominale (SN) come “valore convenzionale della potenza apparente assegnata ad un avvolgimento che, insieme con la tensione nominale dell’avvolgimento, ne definisce la sua corrente nominale”. Le Norme aggiungono inoltre che: “per trasformatori di potenza a due avvolgimenti il valore di potenza nominale è uguale per entrambi gli avvolgimenti e questo valore costituisce la potenza nominale del trasformatore. Nel caso di trasformatori a più avvolgimenti, la metà della somma aritmetica delle potenze nominali di tutti gli avvolgimenti fornisce un’indicazione grossolana del dimensionamento del trasformatore equivalente a due avvolgimenti”. Il concetto di potenza di dimensionamento di un trasformatore e la sua relazione con il concetto di potenza nominale sarà illustrato al paragrafo 3.9.2. Per chiarire il concetto di potenza nominale le Norme aggiungono che, “quando al primario del trasformatore è applicata la tensione nominale e al secondario circola la corrispondente corrente nominale, il trasformatore opera alla sua potenza nominale”. Appare evidente da questa definizione normativa che, quando il trasformatore opera in condizioni di potenza nominale, la potenza apparente che esso fornisce al carico, è diversa dalla potenza nominale. Tale differenza è da imputare alla differenza di valori tra la tensione nominale secondaria (tensione a vuoto) e la tensione secondaria operativa (tensione a carico). Il trasformatore deve essere adatto a trasmettere la sua potenza nominale senza eccedere i limiti di temperatura previsti per il suo funzionamento.

(1)

Si riveda la dipendenza delle perdite nel ferro per correnti parassite ed isteresi dalla frequenza al paragrafo 1.4.

144

MACCHINE ELETTRICHE Appare evidente dalle sopra esposte definizioni che: il concetto di potenza nominale del trasformatore è strettamente dipendente, dal punto di vista progettuale e normativo, dai valori di tensione e corrente nominali dei singoli avvolgimenti. Il valore di potenza nominale attribuibile ad un trasformatore è fisicamente collegato al riscaldamento che la macchina subisce a carico, in conseguenza delle perdite nel rame e nel ferro. Da quest’ultimo punto si evince l’utilità di definire la potenza nominale del trasformatore in termini di potenza apparente (VA) e non di potenza attiva (W). Da quanto visto al paragrafo 3.8 il trasformatore si riscalda:

1. per effetto di perdite nel rame che dipendono dal quadrato della corrente efficace di carico; 2. per effetto di perdite nel ferro che dipendono dal quadrato del valore efficace della tensione di alimentazione. Nessuna rilevanza ha lo sfasamento tra tensione e corrente erogata nella determinazione delle perdite totali e nel riscaldamento della macchina. I valori di potenza nominale fino a 10 MVA sono generalmente unificati secondo una serie preferenziale di numeri:

… - 1 – 1.25 – 1.6 – 2.0 – 2.5 – 3.15 – 4.0 – 5.0 – 6.3 – 8.0 –10.0 - …

Corrente nominale

Corrente nominale (IN) di un avvolgimento è la “corrente che passa per un terminale di linea di un avvolgimento e che si ricava dalla potenza nominale (SN) e dalla tensione nominale (VN) dell’avvolgimento”. La corrente nominale si calcola secondo le seguenti relazioni: S IN = N VN IN =

per avvolgimenti monofase (3.32)

SN

per avvolgimenti trifase 3V N Il significato di corrente nominale è usualmente collegato con l’effetto Joule che si manifesta in un conduttore percorso da corrente. La corrente nominale di un avvolgimento è quel valore di corrente che in condizioni normali di alimentazione produce un riscaldamento tollerabile, dove il concetto di riscaldamento tollerabile è identificato da una temperatura massima ammissibile per l’avvolgimento (fissata dagli isolanti). In pratica e con una certa approssimazione, si può ritenere che valga la seguente relazione lineare tra perdite Joule e la sovratemperatura dell’avvolgimento. ∆θ = θ − θ amb =

2 Rb I eff

K S ⋅ Sb

(3.33)

dove: θamb .......temperatura ambiente; Rb ..........resistenza dell’avvolgimento; 145

PROF. ANDREA CAVAGNINO Ieff .........corrente efficace dell’avvolgimento; KS .........coefficiente di scambio termico dell’avvolgimento; Sb ..........superficie dell’avvolgimento verso l’ambiente. Quindi la corrente nominale risulterebbe valutabile dalla seguente espressione: IN =

K S ⋅ S b (θ lim − θ amb ) Rb

(3.34)

La (3.34) ha una valenza puramente qualitativa, tuttavia essa fornisce precise indicazioni generali sulle grandezze che possono influenzare la definizione della corrente ammissibile o corrente nominale dell’avvolgimento. Infatti, si può osservare che la corrente nominale dell’avvolgimento: cresce al diminuire della resistenza (aumento della sezione del conduttore); cresce al crescere della superficie di scambio termico Sb (avvolgimento suddiviso in più strati separati da canali di raffreddamento); cresce al migliorare del coefficiente di scambio termico (raffreddamento in aria per convezione naturale, in aria per circolazione forzata, in olio etc.) cresce al crescere della temperatura limite ammissibile θlim (isolamento in olio, isolamento in classe A,B,F,H ) Va osservato infine che, per trasformatori destinati a particolari tipi di servizio non continuativo, il valore nominale della corrente può essere correlato al particolare tipo di utilizzo. Le Norme prevedono i seguenti tipi di servizio: Funzionamento continuativo è il funzionamento per un periodo illimitato. Funzionamento temporaneo è un funzionamento per un periodo determinato a partire dalla temperatura ambiente, con gli intervalli tra ciascun periodo di funzionamento sufficienti da permettere all’apparecchio di tornare ad una temperatura simile alla temperatura ambiente. Funzionamento intermittente è un funzionamento in una serie di cicli identici specificati. Il valore di corrente nominale di uno stesso avvolgimento può risultare conseguentemente più basso se è previsto un funzionamento continuo del trasformatore, ovvero più elevato, se è previsto che il tipo di servizio sia temporaneo o intermittente come illustrato in figura. θ∞ di regime termico

θlim θ(t) IN per servizio continuo

θ(t)

Corrente nominale per servizio intermittente

Andamento delle temperature dei conduttori per diverse condizioni di servizio

146

MACCHINE ELETTRICHE

3.9.2 Potenza di dimensionamento di un trasformatore Sulla base di quanto discusso sinora è possibile stabilire una relazione tra la potenza nominale e le dimensioni di un trasformatore sulla base di alcune ipotesi preliminari. Si consideri allo scopo un trasformatore monofase di cui siano date la potenza nominale SN, le tensioni nominali primaria e secondaria V1N, V20. Le correnti nominali, primaria e secondaria sono desumibili dalla seguente relazione: S N = V1N I1N = V2 N I 2 N

(3.35)

Indicati con ΦN e con BN rispettivamente i valori massimi del flusso nominale e dell’induzione nominale si può scrivere: 1 ~ ˆ = 1 N ωBˆ S V1N = N1ωΦ N 1 N fe 2 2 1 ~ ˆ = 1 N ωBˆ S V2 N = N 2 ωΦ N 2 N fe 2 2

(3.36)

dove: ~, ^ N1, N2 ω = 2π ⋅ f

indicano rispettivamente valori efficaci e valori massimi; sono i numeri di spire degli avvolgimenti primari e secondari; è la pulsazione elettrica di alimentazione;

Sfe

è la sezione netta di ferro del nucleo del trasformatore.

Le espressioni (3.36) pongono in relazione le tensioni nominali degli avvolgimenti del trasformatore con i principali parametri geometrici dell’avvolgimento (N1) e del nucleo (Sfe), attraverso la frequenza d’alimentazione e l’impostazione di un opportuno valore d’induzione (BN). Per quanto concerne la scelta di BN, va detto che essa è frutto di un compromesso: un valore troppo piccolo comporta grandi sezioni di nucleo e/o elevati numeri di spire dell’avvolgimento; viceversa, alti valori d’induzione possono portare a saturazione del ferro con conseguente eccessivo aumento della corrente magnetizzante e delle perdite. Tipicamente i valori di induzione usati nelle costruzioni si attestano tra i valori 1.2 T ÷ 1.9 T, in relazione alla taglia del trasformatore e alla qualità del materiale magnetico. Dalle (3.36) è possibile anche osservare che al crescere della frequenza di alimentazione l’avvolgimento viene a rimpicciolire. Questo fatto è tipico non solo del trasformatore ma di tutte le macchine elettriche in alternata. Un secondo gruppo di relazioni riguarda le dimensioni dei conduttori con cui vengono costruiti gli avvolgimenti. La sezione dei conduttori deve essere adeguata alle correnti nominali. Il problema della scelta della sezione del conduttore in funzione della corrente che esso dovrà sopportare è collegato al problema del riscaldamento dell’avvolgimento, alla temperatura massima di funzionamento dell’isolamento, alle modalità di asportazione del calore prodotto per effetto Joule. Tuttavia si può ritenere che un parametro mediamente significativo delle condizioni termiche sia la densità di corrente efficace J adottata nel dimensionamento dei conduttori. In questi termini e ritenendo di usare la stessa densità di corrente per i conduttori dei due avvolgimenti, si possono scrivere le seguenti relazioni: ~ ~ I1N I 2N S c1 = ~ ; S c 2 = ~ ; (3.37) J J dove: Sc1, Sc2

sono rispettivamente le sezioni dei conduttori primari e secondari. 147

PROF. ANDREA CAVAGNINO Se si considera la definizione di potenza nominale rappresentata dalle (3.35) e si sostituisce alle tensioni e correnti nominali le loro espressioni (3.36) e (3.37), si ottiene: SN =

1 ~ ~ N1ωBˆ N S fe J S c1 = N 2 ωBˆ N S fe J S c 2 2 2

1

(3.38)

Tenendo presente che, in base alla (3.38), i prodotti N1Sc1 ed N2 Sc2 sono circa uguali, si può osservare che essi rappresentano la sezione netta di rame delle bobine primarie e secondarie, come illustrato nella figura seguente.

Sfe

Sa1

Sa2

Dimensioni del ferro e del rame del trasformatore

Sa1 = N1Sc1 e Sa2 = N2Sc2 rappresentano la richiesta netta di spazio per poter collocare i due avvolgimenti entro la finestra del nucleo. Occorre precisare, a questo proposito, che Sa1, Sa2, Sfe sono tutte sezioni nette di materiale; nella realtà gli ingombri così definiti devono essere maggiorati in base alla possibilità di stipare il materiale attivo: ferro e rame. Al momento questo aspetto non è rilevante; supporremo quindi che lo stipamento sia perfetto e che ingombri netti e lordi coincidano. Indicando con l’unico simbolo Sa la sezione delle due bobine, la (3.38) potrà essere scritta nel modo seguente: SN =

1 2

~ ω ⋅ Bˆ N ⋅ J ⋅ S fe ⋅ S a

(3.39)

Questa espressione assume un significato importante. Essa può essere assunta come base per il dimensionamento del trasformatore. Infatti, supponendo di aver definito, sulla base delle considerazioni sopra delineate, gli indici di sfruttamento dei due materiali attivi (BN : densità di flusso per il ferro, J: densità di corrente per i conduttori), la (3.39) pone in relazione la potenza nominale del trasformatore con le principali dimensioni e trasforma il problema di dimensionamento in un problema strettamente geometrico. Per questo motivo la potenza nominale del trasformatore assume, almeno in questo caso, il significato di potenza di dimensionamento. Questa coincidenza di concetti è valida quando i due avvolgimenti del trasformatore devono trasferire la stessa potenza elettrica. Quando il trasformatore è dotato di più avvolgimenti di potenza diversa, o quando i due avvolgimenti non hanno la stessa potenza nominale, la sezione di rame di ciascun avvolgimento e il corrispondente ingombro sarà commisurato alla rispettiva potenza.

148

MACCHINE ELETTRICHE Pertanto il trasformatore non avrà una potenza nominale unica, ma tante potenze nominali diverse quanti sono gli avvolgimenti. La potenza di dimensionamento in questo caso dovrà essere definita come segue: S dim =

~  S + S a 2 + L + S an  ω ⋅ Bˆ N ⋅ J ⋅ S fe ⋅  a1  n 2  

1

(3.40)

Tornando alla relazione (3.39) si può osservare facilmente che il problema geometrico, che tale relazione pone, non ha un’unica soluzione. A parità di sfruttamento dei materiali attivi e di potenza nominale richiesta si possono prospettare soluzioni che prevedano sezioni di ferro maggiori e corrispondentemente sezioni di rame minori, o viceversa. Questo grado di libertà può essere sfruttato per fornire al trasformatore caratteristiche particolari. A titolo d’esempio ed in linea generale si può sottolineare quanto segue. Una maggiorazione di Sfe e la corrispondente riduzione di Scu comportano: un aumento del volume di ferro, una riduzione del volume di rame, un aumento delle perdite a vuoto, una riduzione delle perdite a carico, una riduzione delle reattanze di dispersione, una riduzione della tensione di corto circuito.

3.9.3 Considerazioni di scala sul trasformatore Queste considerazioni riguardano la possibilità di prevedere come si modificano le caratteristiche funzionali e i parametri di un trasformatore, quando se ne varino le dimensioni e si lascino inalterati gli indici di sfruttamento dei materiali attivi (induzione BN nel ferro e densità di corrente J nei conduttori ). Attraverso ragionamenti basati sui concetti di scala è possibile non solo procedere ad un pre-dimensionamento estremamente rapido di esemplari di potenza diversa, ma anche rendere ragione di alcuni aspetti peculiari e di alcuni limiti concernenti i trasformatori. Si supponga di voler costruire un trasformatore prendendo come modello un esemplare già costruito ed alterandone secondo un rapporto fisso λ tutte le dimensioni. Nell’eseguire questa operazione si immagini di mantenere inalterati i valori di induzione nominale BN e di densità di corrente nominale J usati nell’esemplare preso a modello. Ci si chiede quali saranno le caratteristiche della nuova macchina. Per il nuovo trasformatore verranno presi in esame nel seguito i valori delle grandezze nominali, dei parametri del circuito equivalente, delle perdite, del rendimento e delle sovratemperature raggiunte. Questi valori verranno contrassegnati con apice per distinguerli da quelli relativi al modello di partenza. Potenza nominale Secondo quanto visto al precedente paragrafo e in base alla (3.39) la potenza nominale dipende dal prodotto di due aree: Sfe ed Sa; tale prodotto varia con la 4a potenza delle dimensioni lineari del trasformatore e pertanto, dato il rapporto di similitudine lineare λ, si ottiene:

S' N = λ4 ⋅ S N

(3.41) 149

PROF. ANDREA CAVAGNINO Tensione nominale Analogamente, sulla base della (3.36), la tensione nominale di ciascun avvolgimento varia in relazione alla sezione del nucleo e al numero di spire secondo la seguente relazione:

1

VN =

2

NωBˆ N S fe

(3.42)

Se nel processo di copiatura non si altera il numero di spire (N’ = N) la tensione nominale cresce quadraticamente col rapporto di similitudine: V ' N = λ2 ⋅ V N

(3.43)

Se nel processo di copiatura si vuole mantenere invariato il valore di tensione nominale della macchina, sarebbe sufficiente modificare il numero di spire degli avvolgimenti in base al seguente criterio: N'=

N λ2

→ V ' N = VN

In generale, se si pensa di alterare il numero di spire dell’avvolgimento secondo un rapporto ν = N’/N, dalla (3.42) si ha: V ' N = ν ⋅ λ2 ⋅ V N Corrente nominale L’espressione della corrente nominale è fornita dalla relazione: S IN = a JN N

(3.44)

In tal caso la sezione dei conduttori dell’avvolgimento aumenta proporzionalmente con la sezione della bobina e inversamente al numero di spire: I 'N =

λ2 IN ν

(3.45)

Corrente magnetizzante La corrente magnetizzante è, come noto, la corrente necessaria a produrre il campo magnetico nel nucleo del trasformatore. Nota l’induzione nominale BN nel nucleo e nota la caratteristica magnetica del ferro, tale corrente (se si trascurano i piccoli traferri tra le giunzioni del nucleo) è esprimibile nella seguente forma:

( )

NIˆm ≅ l fe ⋅ H fe Bˆ N

(3.46)

dove lfe è la lunghezza della linea media di campo nel nucleo. Conseguentemente la relazione tra nuova e vecchia corrente magnetizzante è data da: λ (3.47) Im ν Si osserva che la corrente magnetizzante cresce meno rapidamente della corrente nominale dell’avvolgimento al crescere delle dimensioni del trasformatore. Il suo valore, riferito percentualmente alla corrente nominale, varia secondo la seguente espressione: I 'm =

150

MACCHINE ELETTRICHE i 'm % =

1

λ

im %

(3.48)

Si deduce che trasformatori di grossa potenza hanno una corrente magnetizzante percentuale tendenzialmente più piccola rispetto ai trasformatori di piccola potenza. Pesi, perdite e rendimento Il peso dei materiali attivi del trasformatore e del trasformatore nel suo complesso varia con i rispettivi volumi. Quindi:

G ' fe = λ3G fe ;

G ' cu = λ3Gcu ;

G ' tot = λ3Gtot

(3.49)

conseguentemente, poiché le perdite nei materiali attivi, a parità di indici di sfruttamento, dipendono dal peso degli stessi, si ottiene: P ' fe = λ3 Pfe ;

P ' j , cu = λ3 Pj , cu ;

P ' tot = λ3 Ptot

(3.50)

Il fatto che perdite e pesi varino con la 3a potenza del rapporto di similitudine λ, congiuntamente alla considerazione che la potenza nominale del trasformatore varia con la 4a potenza dello stesso , chiarisce le ragioni per cui i trasformatori hanno rapporti Potenza/Peso e rendimenti tanto più elevati quanto maggiore è la loro potenza nominale. Un unico grande trasformatore pesa meno, consuma meno energia e costa meno di un gruppo di trasformatori più piccoli di potenza complessiva equivalente. Temperature Le sovratemperature raggiunte da un trasformatore nel funzionamento a carico a causa delle perdite, dipendono dalla capacità dello stesso di smaltire il calore prodotto verso l’ambiente esterno. Una relazione estremamente semplice per descrivere il fenomeno di trasmissione del calore può essere la seguente:

∆θ =

Ptot K S ⋅ St

(3.51)

dove: ∆θ.........è la sovratemperatura media tra il trasformatore e l’ambiente, Ptot ........sono le perdite totali del trasformatore, KS .........è il coefficiente di scambio termico, St ..........è la superficie attraverso cui viene trasmesso il calore. Poiché le perdite del trasformatore crescono con la 3a potenza delle dimensioni lineari, mentre le superfici naturali di scambio termico crescono solo con il quadrato delle dimensioni, risulta: ∆θ ' = λ ⋅ ∆θ

(3.52)

Più grande è il trasformatore, maggiori difficoltà si incontrano a raffreddarlo. Per questo motivo, mentre piccoli trasformatori non hanno particolari dispositivi, se non la convezione naturale dell’aria circostante, per provvedere al loro raffreddamento, i grandi trasformatori hanno sistemi sofisticati di raffreddamento basati sia sull’aumento delle superfici di scambio (canali di ventilazione, superfici radianti alettate, etc.), sia sul miglioramento del coefficiente di scambio (raffreddamento in olio a circolazione naturale, a circolazione forzata, etc.). 151

PROF. ANDREA CAVAGNINO Parametri del circuito equivalente

N 2 ⋅ lm Sa

Resistenza di bobina:

R= ρ

Resistenza perdite ferro:

V2 R fe = N P fe Xd =

Reattanza di dispersione:

Reattanza di magnetizzazione: X m =



N2 ℜd

R' =

ν2 R λ



R' fe = ν 2 λ R fe



X 'd = ν 2 λ X d

N ⋅ S fe Bˆ N ~ 2I m



X 'm = ν 2 λ X m

Sulla base di queste ultime relazioni si può osservare che, al crescere delle dimensioni del trasformatore la resistenza di cortocircuito tende a diminuire mentre la reattanza di corto circuito aumenta; pertanto l’impedenza di cortocircuito di un grande trasformatore assume un carattere prevalentemente reattivo e la tensione di corto circuito risulta: Vcc ≈ X cc I N



V 'cc = νλ 3Vcc

(3.53)

mentre il corrispondente valore percentuale varia nel modo seguente: V vcc % = 100 cc VN



v'cc % = λ ⋅ vcc %

(3.54)

Al crescere delle dimensioni e della potenza del trasformatore il valore della tensione percentuale di corto circuito, sia pure molto lentamente, aumenta. Nei trasformatori di grossa taglia esso può risultare eccessivo ed occorre in questo caso ricorrere ad artifici costruttivi che consentano di ridurre le reattanze di dispersione (ad esempio, adottando avvolgimenti a bobine primarie e secondarie intercalate) Le valutazioni di scala fin qui svolte forniscono informazioni sullo sviluppo naturale della crescita di dimensioni del trasformatore qualora venissero mantenuti inalterati gli sfruttamenti dei materiali e le proporzioni geometriche della macchina. Ovviamente non tutte le tendenze sopra esposte possono essere accettate in modo acritico in fase di progetto e quindi correttivi diversi dovranno essere presi per riportare lo sviluppo del dimensionamento entro i binari delle particolari esigenze di impiego. Nella seguente tabella sono riportati i dati di una famiglia di trasformatori da distribuzione isolati in resina. Targa di trasformatori da distribuzione con isolamento in resina V1n/V20 = 20[kV]/400[V] SN [kVA]

100

160

250

315

400

500

630

800

1000

1250

1600

2000

2500

3150

Perdite Fe [kW]

0.46

0.65

0.88

1.03

1.20

1.40

1.65

2.00

2.30

2.80

3.10

4.00

5.00

6.30

Perdite Cu 75° [kW]

1.80

2.30

3.40

4.00

4.80

5.70

6.80

8.20

9.60

11.5

14.0

17.5

20.0

23.0

Perdite Cu 120°

2.05

2.70

3.80

4.60

5.50

6.50

7.80

9.40

11.0

13.1

16.0

20.0

23.0

26.0

Vcc % a 75°

6

6

6

6

6

6

6

6

6

6

6

6

6

7

Io %

2.5

2.3

2

1.8

1.5

1.5

1.3

1.3

1.2

1.2

1.2

1.1

1

1

152

MACCHINE ELETTRICHE I diagrammi riportati qui di seguito illustrano gli andamenti delle perdite nel ferro, nel rame ed il rendimento in funzione della potenza nominale delle macchine, ad illustrazione ed a parziale conferma delle deduzioni sopra riportate. Pcu, 30 Pfe

im3%

[kW] 25

2.5

0.992 0.990

im % = 8.68 Sr-0.28

Rendimento

20

Pcu = 0.058 Sr0.76

2

0.988 0.986 0.984 0.982 0.980

15

1.5

10

1

5

0.978

0.5 Pf e = 0.0148 Sr0.74

Sr [kVA]

0.976

0

0

1000

2000

3000

4000

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

0 3500

Andamento della corrente magnetizzante percentuale, delle perdite e del rendimento in funzione della potenza nominale in una famiglia di trasformatori da distribuzione.

Sulla base delle relazioni (3.41), (3.48) e (3.50) dovrebbe risultare: 0.75 P fe = K fe ⋅ S N 0.75 Pcu = K cu ⋅ S N

− 0.25 im % = K im ⋅ S N

In effetti, le indicazioni ottenute da interpolazione delle distribuzioni non differiscono molto dagli andamenti ideali.

153

PROF. ANDREA CAVAGNINO

3.10 – Trasformatore trifase Poiché l’energia elettrica è prodotta, trasportata e distribuita con sistemi trifasi caratterizzati ognuno da un diverso livello di tensione nasce l’esigenza di interconnetterli tramite trasformatori trifasi. In linea di principio la connessione di due reti trifasi potrebbe essere ottenuta attraverso l’impiego di tre trasformatori monofase. Un esempio di questa possibilità è riportato nella figura seguente. In questo caso, le tre bobine del sistema trifase primario sono collegate a stella così come quelle del sistema secondario: ciascun trasformatore provvede quindi alla conversione di potenza di una singola fase. r

s

t

R

S

T

Trasformazione con tre trasformatori monofase e connessione a stella.

Questa soluzione si rivela dispendiosa, ingombrante e, nella stragrande maggioranza dei casi, non necessaria. Al paragrafo 3.1.3 è stato chiarito come sia possibile realizzare un’unica struttura di trasformatore trifase sfruttando le simmetrie del sistema trifase stesso. Infatti, la somma di tre flussi sinusoidali egualmente sfasati e di eguale ampiezza è nulla. La figura seguente illustra nuovamente le strutture dei nuclei magnetici per trasformatori trifasi commentate al paragrafo indicato.

a tre colonne

a cinque colonne

corazzato

Nuclei magnetici di trasformatori trifase.

La struttura a 3 colonne è quella usualmente impiegata nella trasformazione MT-BT. La colonna centrale del trasformatore si trova in una posizione magneticamente asimmetrica rispetto alle altre due, pertanto la struttura viene anche detta asimmetrica a tre colonne. Nella figura seguente è rappresentato lo schema un tipico trasformatore trifase a 3 colonne e sono evidenziati i possibili percorsi dei flussi e la disposizione delle bobine primarie e secondarie. Si noti che ogni colonna porta l’avvolgimento primario e secondario di una fase.

154

MACCHINE ELETTRICHE

N2 N1

Φo

ΦpR

ΦpS

flusso omopolare

ΦpT

Trasformatore trifase e schema dei percorsi di flusso principale e omopolare

Con riferimento alla figura si indicano con ΦpR , ΦpS , ΦpT i flussi principali che, in ciascuna colonna, si concatenano con entrambe le bobine primarie e secondarie delle rispettive fasi del trasformatore. Se la somma dei tre flussi principali non risulta nulla in ogni istante di tempo, si deve prevedere un percorso in aria per la richiusura delle linee di campo. Questo flusso, che si richiude tra giogo superiore e giogo inferiore del trasformatore con un percorso esterno alla struttura magnetica, viene detto flusso omopolare. Il flusso omeopolare può essere responsabile di eventuali interferenze e disturbi su apparecchiature e circuiti posti in prossimità del trasformatore.

3.10.1 – Trasformatore trifase con alimentazione simmetrica e carico equilibrato. Circuito equivalente del trasformatore trifase. Il funzionamento in regime sinusoidale del trasformatore trifase viene analizzato solo nel caso in cui il sistema di alimentazione sia simmetrico ed il carico connesso al secondario sia equilibrato (carico costituito da tre impedenze uguali in modulo e fase). In queste condizioni la macchina trifase lavora come tre trasformatori monofasi indipendenti. Ne consegue che anche il circuito equivalente descrittivo del funzionamento di una fase coinciderà con il circuito equivalente della macchina monofase. A rigore, per poter considerare valide le affermazioni precedenti, sono necessarie ulteriori ipotesi per il trasformatore. In particolare si suppone che: Simmetria magnetica delle tre fasi: il percorso delle linee di flusso di ciascuna fase è identico a quello delle altre fasi. Linearità magnetica del nucleo: il ferro del nucleo viene considerato esente da fenomeni di non linearità e di isteresi. Uguaglianza elettrica delle fasi primarie e secondarie: le tre bobine primarie possiedono la stessa resistenza e la stessa reattanza di dispersione. Inoltre sono tutte e tre costituite da N1 spire. Analogamente le tre bobine secondarie sono identiche in termini di resistenza, reattanza di dispersione e numero spire (N2). 155

PROF. ANDREA CAVAGNINO Per fissare le idee si ipotizzi inizialmente che sia le bobine primarie che le bobine secondarie siano connesse a stella (come sarà meglio specificato in seguito tale connessione viene indicata connessione Yy). Anche le impedenze che costituiscono il carico del trasformatore siano collegate a stella. Grazie alle ipotesi fatte il conduttore di neutro al secondario non è necessario in quanto non è percorso da corrente (stella dei fasori delle correnti secondarie equilibrata, tensione VNN’ = 0). V2 fase

V1 fase R

I1 V1

N

S

s

T

V2 carico

I2

r

Zc V2

V2

Zc

t

N’

Zc

Configurazione elettrica del trasformatore trifase: connessione Yy (sistema simmetrico ed equilibrato)

I1R

I2S

I3T

V1R

V2S

V3T

I1r

I2s

I3t

V1r

V2s

V3T

Φ0

ΦpT

ΦpR ΦpS

Struttura magnetica del trasformatore Sono rappresentate le grandezze elettriche di fase di ogni bobina.

Le figure precedenti rappresentano, rispettivamente, lo schema delle connessioni elettriche del trasformatore e del carico, la struttura magnetica ed i percorsi dei flussi principali di macchina. Grazie alle ipotesi di simmetria magnetica ed elettrica indicate in precedenza, si possono fare le seguenti considerazioni: Il flusso omeopolare è nullo: Φ pR + Φ pS + Φ pT = Φ 0 = 0 Tutte le terne delle grandezze elettriche (tensioni di fase primarie e secondarie, correnti primarie e secondarie) sono a somma nulla. Pertanto ogni colonna (fase) del trasformatore risulta disaccoppiata dalle altre e lavora come un trasformatore monofase con rapporto di trasformazione pari al rapporto spire N1 / N2. È immediato osservare che il rapporto di trasformazione del trasformatore trifase con connessione Yy, definito come il rapporto della tensione nominale concatenata primaria e la tensione a vuoto concatenata secondaria, coincida con il rapporto spire. Si presti però attenzione che questa non è una regola generale: quando il collegamento del primario è diverso da quello del secondario, il rapporto di trasformazione non coincide con il rapporto spire. 156

MACCHINE ELETTRICHE Tornando al caso in studio, si può quindi definire il seguente circuito equivalente monofase a stella, ovvero descrittivo del funzionamento di una singola fase del sistema. Tale circuito permette di calcolare le grandezze di fase (tensioni e correnti) di un trasformatore trifase con collegamento Yy. Le potenze gestite dal trasformatore trifase sono tre volte le potenze calcolabili dal circuito equivalente monofase.

I1

I’2

t:1

Z’’cc= Z’’1+ Z2

I2

I0 V1 fase = V1/

3

V20 fase = V20/

Z0

3

V2 fase = V2/

3

Circuito equivalente monofase a stella del trasformatore (impedenza ci cortocircuito riferita al secondario)

Nelle applicazioni di calcolo si farà sempre riferimento al circuito equivalente monofase a stella, indipendentemente dall’effettivo tipo di collegamento delle bobine primarie e secondarie. Ciò è possibile a patto che il riporto dei parametri avvenga con il rapporto di trasformazione della connessione reale t = V1N/V20 (e non del rapporto spire, n = N1 / N2). Ovviamente anche l’elaborazione della prova a vuoto e della prova in cortocircuito deve essere eseguita pensando ad un collegamento equivalente Yy del trasformatore.

Per completezza si riporta il circuito equivalente trifase del trasformatore Yy, nel caso simmetrico ed equilibrato finora considerato. V1 fase R

I1 V1

t :1

V20 fase

I2

V2 carico Z’’cc Z’’cc

T

Z’’cc

Z0

Z0

Zc

V2

V20

S

r

s

t

Zc Zc

Z0

Circuito equivalente del trasformatore trifase: connessione Yy (sistema simmetrico ed equilibrato)

157

PROF. ANDREA CAVAGNINO 3.10.1.1 – Formule per il trasformatore trifase

Il funzionamento in regime sinusoidale del trasformatore trifase è risolto con il circuito equivalente monofase a stella indicato alla pagina precedente. Ne consegue che tutte le argomentazioni proposte per il trasformatore monofase rimangono vere anche per la macchina trifase. Si ritiene però cosa utile fornire una raccolta di formule relativa al caso trifase da usare negli esercizi di calcolo. Grandezze di targa Potenza nominale, [VA]

S N = 3 ⋅ V1N ⋅ I1N = 3 ⋅ V20 ⋅ I 2 N

Tensione nominale primaria (concatenata), [V]

V1N

Tensione nominale secondaria (concatenata), [V] V20 Corrente nominale primaria (di linea), [A]

I1N

Corrente nominale secondaria (di linea), [A]

I2N

Rapporto spire

n = N1 N 2

Rapporto di trasformazione

t = V1N V20

Prova a vuoto (eseguita alla tensione nominale, parametri riferiti al primario)(1) Dati di prova

{V1N, I0, P0}

Fattore di potenza a vuoto

cos(ϕ 0 ) =

Potenza reattiva a vuoto, [VAR]

Q0 = P0 ⋅ tg (ϕ 0 )

P0 3 ⋅ V1N ⋅ I 0

V2 Resistenza equivalente delle perdite nel ferro, [Ω] R Fe = 1N P0 Reattanza di magnetizzazione, [Ω]

V12N Xm = Q0

Impedenza a vuoto, [Ω]

Z 0 = R Fe // j ⋅ X m =

Corrente percentuale a vuoto, [%]

I0 % =

Potenza percentuale a vuoto, [%]

P0 % =

(1)

I 0 lato prova I N lato prova

R Fe ⋅ j ⋅ X m R Fe + j ⋅ X m

⋅ 100

P0 ⋅ 100 SN

Per la misura della potenza (trifase) nella prova a vuoto ed in cortocircuito si utilizzano, tipicamente, due wattmetri (inserzione Aron).

158

MACCHINE ELETTRICHE Prova in cortocircuito (eseguita alla corrente nominale, parametri riferiti al secondario) Dati di prova

{V2cc, I2N, Pcc}

Fattore di potenza di cortocircuito

cos(ϕ cc ) =

Potenza reattiva di cortocircuito, [VAR]

Qcc = Pcc ⋅ tg (ϕ cc )

Resistenza di cortocircuito secondaria, [Ω]

'' Rcc =

Reattanza di cortocircuito secondaria, [Ω]

'' '' X cc = Rcc ⋅ tg (ϕ cc ) =

Impedenza di cortocircuito, [Ω]

'' '' '' '' Z cc = Rcc + j ⋅ X cc = Rcc + X cc

Tensione percentuale di cortocircuito, [%]

vcc % =

Potenza percentuale di cortocircuito, [%]

P Pcc % = cc ⋅ 100 SN

Pcc 3 ⋅ V2cc ⋅ I 2 N

Pcc 3 ⋅ I 22N Qcc 3 ⋅ I 22N 2

''

Vcc lato prova V N lato prova

2

∠ϕ cc

⋅ 100

Tensione di cortocircuito '' V2cc = 3 ⋅ Z cc ⋅ I 2N ;

' V1cc = 3 ⋅ Z cc ⋅ I1N

Caduta di tensione da vuoto a carico (caduta di tensione industriale)

(

)

'' '' ∆Vindustriale = V20 − V2 ≅ 3 ⋅ I 2 Rcc ⋅ cos(ϕ 2 ) + X cc ⋅ sin (ϕ 2 )

Corrente di cortocircuito (alla tensione nominale, guasto trifase franco) I1cc =

V1N ' 3 ⋅ Z cc

;

I 2cc =

V20 '' 3 ⋅ Z cc

Rendimento e rendimento convenzionale η=

Perogata Perogata + ∑ Perdite ηconvenzionale =

=

3 ⋅ V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 )

'' ⋅ I 22 + PFe 3 ⋅ V2 ⋅ I 2 ⋅ cos(ϕ 2 ) + 3 ⋅ Rcc

α ⋅ S N ⋅ cos(ϕ 2 )

α ⋅ S N ⋅ cos(ϕ 2 ) + α 2 ⋅ Pcc + P0

dove α è il fattore di carico (α = I2 / I2N).

159

PROF. ANDREA CAVAGNINO

3.10.2 – Collegamenti del trasformatore trifase e rapporto di trasformazione. La struttura trifase degli avvolgimenti primari e secondari del trasformatore consente diversi modi di connessione degli stessi alla rete di alimentazione ed al carico. Le due forme di connessione usate più frequentemente sono quelle denominate rispettivamente stella (simbolo Y per il primario e y per il secondario) e triangolo (simbolo D o d). Tuttavia, anche se più raramente, viene usata anche la connessione a zig-zag (simbolo Z o z). Queste possibilità di connessione portano ad alcune differenziazioni tipiche rispetto ai trasformatori monofase.

Connessione a stella I1_linea

I2_linea

V12_linea

1

2

I1_fase

V23_linea

I3_linea

3

I2_fase

V31_linea

I3_fase

V2fas

V1fas

1

I1_linea=I1_fase

V1_fase V12_linea

V3_fase V2_fase

3

V3fas

V23_linea

I2_linea=I2_fase I3_linea=I3_fase

2

Connessione a stella: relazioni tra grandezze di linea e di fase

Nel caso di alimentazione e carico simmetrici, valgono le seguenti relazioni: V fase =

Vlinea

I fase = I linea ;

;

3

(3.55)

Connessione a triangolo I1_linea

1

I2_linea

V12_linea

2

I1_fase

I3_linea

V23_linea

I2_fase

1

V12_linea=V1_fase

3

1 I1_fase

I3_fase

I1_linea

I2_linea

I3_fase V1_fase

e

V2_fase

3

V3_fase

V31_linea=V3_fase

2

V23_linea=V2_fase

3

I2_fase I2_linea

2

Connessione a triangolo: relazioni tra grandezze di linea e di fase

Nel caso di alimentazione e carico simmetrici valgono le seguenti relazioni: V fase = Vlinea ;

160

I fase =

I linea 3

;

(3.56)

MACCHINE ELETTRICHE Connessione a zig-zag

I1_linea 1

I2_linea

V12_linea

2

V1_fase I1_fase

V23_linea V2_fase

I2_fase

I3_linea 3 V3_fase

V1_fase - E”2

I3_fase

E’1= E”1 E’1

E’1

E’2

E’3

E’2= E”2

E’3

E’3= E”3

E’2

V2_fase -E”3

- E”1

E”1

E”2

E”3

V3_fase

Connessione a zig-zag: relazioni tra grandezze di linea e di fase

Nell’avvolgimento a zig-zag ciascuna fase consta di due semi-bobine disposte su colonne diverse e collegate in senso opposto. Detta E la forza elettromotrice indotta in una semibobina la tensione di fase può essere ricostruita secondo il diagramma precedente. In questo caso si ottiene: V fase = 3E

(3.57)

Nel caso di alimentazione e carico simmetrici, valgono le seguenti relazioni: V fase =

Vlinea 3

;

I fase = I linea ;

(3.58)

A livello costruttivo, la connessione a stella è, in generale, preferibile rispetto alla connessione a triangolo, specie negli avvolgimenti per alta tensione. Nel collegamento a stella, a parità di tensione concatenata, la tensione che si localizza sulla bobina è √3 volte inferiore a quella che si localizza sulla bobina del triangolo. Questo consente di ridurre l’isolamento e di sfruttare meglio lo spazio a disposizione per l’avvolgimento. Per quanto concerne, invece, il peso di materiale conduttore impiegato non ci sono differenze tra i due tipi di connessione: se nella connessione a stella si ha un avvolgimento che necessita di meno spire (in ragione di √3) rispetto al triangolo, in quest’ultimo la sezione del conduttore è inferiore (sempre nella stessa ragione di √3) per il fatto che la corrente nel lato del triangolo è inferiore alla corrente di linea. La connessione a triangolo viene preferita alla connessione a stella quando il trasformatore lavora in condizioni squilibrate ed origina un flusso omeopolare. Senza sviluppare i dettagli del caso, l’avvolgimento a triangolo è in grado di reagire al flusso omopolare e di ridurre lo squilibrio di flussi. Anche la connessione a zig-zag può essere utilizzata per quest’ultimo scopo, ma la sua realizzazione prevede (a parità di potenza gestita dall’avvolgimento) un maggior peso di rame ed un maggiore ingombro.

161

PROF. ANDREA CAVAGNINO Analizzando il diagramma di tensioni dell’avvolgimento a zig-zag, si osserva che, se si ricollegano le 6 bobine dello zig-zag in modo da realizzare un normale collegamento a stella con bobine di fase tutte sulla rispettiva colonna, si otterrebbe un avvolgimento caratterizzato dalla stessa corrente ma con una tensione di fase pari a 2E ( anziché √3E ). Questo significa che a parità di tensione complessiva di fase l’avvolgimento a zig-zag richiede una quantità di rame pari a 2/√3 volte la quantità impiegata nella costruzione di un avvolgimento a stella. Questo tipo di connessione è piuttosto raro ed, in quanto tale, non sarà più considerato nel seguito. È importante osservare che, quando il collegamento primario è dello stesso tipo del secondario (trasformatori Yy e trasformatori Dd), il rapporto di trasformazione corrisponde al rapporto delle spire tra la bobina primaria (N1)e la bobina secondaria (N2). V N t = 1N = 1 = n V20 N 2

Nel caso in cui il collegamento primario è diverso da quello secondario (trasformatori Yd e trasformatori Dy), il rapporto di trasformazione di un trasformatore non corrisponde al rapporto delle spire tra la bobina primaria e la bobina secondaria. In particolare, per i trasformatori del tipo Yd, il rapporto di trasformazione vale: V t = 1N = V20

3 ⋅ V1N Fase V20 Fase

= 3⋅

N1 = 3⋅n N2

(3.59)

mentre per i trasformatori del tipo Dy esso vale V t = 1N = V20

162

V1N Fase 3 ⋅ V20 Fase

=

N1 1 = ⋅n 3 N2 3

1



(3.60)

MACCHINE ELETTRICHE

3.10.3 – Gruppo di appartenenza di un trasformatore trifase. Le diverse possibilità di connessione degli avvolgimenti di un trasformatore trifase possono dare origine ad uno sfasamento tra la terna delle tensioni primarie e la terna delle corrispondenti tensioni secondarie. A titolo di illustrativo, nella figura seguente è rappresentato il caso di un trasformatore con collegamento primario a triangolo e secondario a stella. Dall’esame della figura si osserva che, mentre la terna delle tensioni di fase primarie E’ e secondarie E” sono in fase tra loro(1), la terna delle tensioni concatenate secondarie, a causa delle diverse connessioni, è ruotata di un angolo pari a 330° in verso orario rispetto alla terna primaria. In altre parole, la terna di tensioni concatenate secondarie ritarda di 330° elettrici rispetto alla corrispondente terna primaria. V’31 2’

1’

E’1

3’

V’12

V’12

V’23

V’12 E’1

E’2

V”31 2”

1” V”12 E”1

V”23 E”2

E’3

E’3

E’2

E”1

3”

V”12

V”12 330°

E”3 E”3

E”2

Connessione Dy11

Si definisce gruppo di un trasformatore trifase la sigla letterale che identifica il tipo di connessione degli avvolgimenti primari e secondari e l’indice numerico che identifica il multiplo di 30° di cui la terna delle tensioni secondarie ritarda (cioè è ruotata in verso orario) rispetto alla terna corrispondente delle tensioni primarie. Nell’esempio di figura, il trasformatore è indicato con la sigla Dy11. Cambiando il tipo di collegamento e la numerazione dei morsetti corrispondenti primari e secondari è possibile realizzare dodici diversi valori dell’angolo di rotazione della terna di tensioni secondarie, rispetto alla terna primaria. I dodici valori dell’angolo di rotazione sono multipli di 30° e possono essere disegnati come le ore sul quadrante di un orologio. Si definiscono i gruppi omonimi i gruppi caratterizzati dalla stessa lettera per primario e secondario (ad esempio Yy, Dd). Viceversa, i gruppi eteronomi sono caratterizzati da lettere diverse per primario e secondario (ad esempio Yd, Dy). I gruppi omonimi danno origine esclusivamente a indici pari, mentre i gruppi eteronimi danno origine esclusivamente ad indici dispari. Dal punto di vista delle applicazioni i gruppi più rilevanti sono rappresentati dai gruppi 0 ed 11.

(1)

Si ricorda che ogni fase è avvolta sulla stessa colonna.

163

PROF. ANDREA CAVAGNINO Osservazione Le norme CEI considerano gruppi normali i seguenti: Gruppo normale 0 5 6 11

Sfasamento 0° 150° 180° 330°

Possibili collegamenti Dd – Yy - Dz Dy – Yd - Yz Dd – Yy – Dz Dy – Yd - Yz

Gli altri gruppi possono essere ricondotti ai gruppi normali effettuando una permutazione ciclica dei nomi dei morsetti. Si osservi come questa operazione non richieda nessuna modifica dei collegamenti interni del trasformatore. La modifica del gruppo normale di un trasformatore richiede invece il “cambio fisico” delle sue connessioni interne. Gruppo normale 0 5 6 11

164

Gruppi riconducibili per permutazione ciclica dei nomi dei morsetti 4, 8 1, 9 2, 10 3, 7

MACCHINE ELETTRICHE

3.11 – Parallelo di trasformatori Due o più trasformatori funzionano in parallelo quando sono alimentati dalla stessa rete primaria ed erogano potenza sullo stesso carico. Nell’utilizzo dell’energia elettrica può spesso accadere che si debbano disporre in parallelo più trasformatori per alimentare l’utenza elettrica. Questa esigenza può avere diverse origini: Necessità di affiancare ad un trasformatore esistente un secondo trasformatore per sopperire alle aumentate richieste di potenza da parte dell’utenza. Necessità di frazionare la richiesta di potenza del carico attraverso più trasformatori, in modo da garantire una continuità di servizio anche in caso di guasto di una macchina. Opportunità di migliorare il rendimento della trasformazione adeguando di volta in volta al carico richiesto il numero di trasformatori in servizio. A fronte dei vantaggi citati vanno tuttavia enumerati anche alcuni svantaggi, che derivano da questo tipo di scelta: Occorre ricordare che l’impiego di una sola macchina di potenza corrispondente alla potenza complessivamente richiesta dall’utenza, è più economico, in termini di acquisto, rispetto all’impiego di più macchine di potenza inferiore. L’impiego di più trasformatori in parallelo comporta una riduzione dell’impedenza di cortocircuito complessiva, con aumento conseguente delle correnti di guasto in caso di cortocircuito al secondario e maggior costo delle relative protezioni. Sbarre primarie

Sbarre secondarie

Carico

Schema unifilare di due trasformatori trifasi in parallelo

Perché due o più trasformatori possano funzionare correttamente in parallelo, occorre che siano rispettate alcune condizioni. La trattazione qui condotta si riferisce al caso di trasformatori trifase, ma le conclusioni raggiunte possono essere estese anche al caso di trasformatori monofase. Per comodità di studio l’analisi è eseguita in due passi successivi: funzionamento in parallelo a vuoto funzionamento in parallelo a carico.

165

PROF. ANDREA CAVAGNINO Funzionamento in parallelo a vuoto

I trasformatori in parallelo funzionano a vuoto quando nessun carico viene richiesto alle sbarre secondarie. Condizione di corretto funzionamento: Nel funzionamento a vuoto non deve essere presente corrente di circolazione tra i secondari dei trasformatori. Ovviamente, in queste condizioni, una corrente di circolazione tra i diversi trasformatori provoca un’inutile dissipazione di energia. Qualora non fosse possibile l’esatto annullamento della corrente di circolazione, quest’ultima deve essere piccola (dell’ordine delle correnti a vuoto delle macchine). Per rispettare la condizione di corretto funzionamento a vuoto si devono soddisfare i seguenti requisiti: Poiché i trasformatori devono essere alimentati dalla stessa rete primaria, occorre che abbiano lo stesso valore di tensione nominale primaria. Poiché, a vuoto, non deve circolare corrente nel secondario dei trasformatori, è necessario che le tensioni secondarie a vuoto siano uguali in modulo e fase. Questa condizione può essere anche enunciata in modo più articolato: • I trasformatori devono avere la stessa tensione nominale secondaria, cioè lo stesso rapporto di trasformazione. • I trasformatori devono essere collegati in modo da presentare le tensioni secondarie in fase (collegamento dei morsetti corrispondenti). Questo implica, per i trasformatori trifasi, l’appartenenza allo stesso gruppo. Le condizioni qui di sopra riportate si possono comprendere più facilmente facendo riferimento al seguente circuito equivalente valido per due trasformatori in parallelo durante il funzionamento a vuoto. I parametri dei due trasformatori vengono identificati, rispettivamente, con i pedici A e B.

Z’’cc_A

tA : 1

I10_A

Icirc = 0

Z’’cc_B

1 : tB

I0A V1 fase = V1N/

3

I0B V20 fase A =

Z0A

I10_B

V20_A/

3

V20 fase B = V2 fase_A = V2 fase_B

V20_B/

3

Z0B V1 fase = V1N/

Circuito equivalente monofase a vuoto di due trasformatori connessi in parallelo

166

3

MACCHINE ELETTRICHE Funzionamento in parallelo a carico (ottimizzazione del parallelo)

Il parallelo dei trasformatori funziona a carico quando alle sbarre secondarie viene prelevata una corrente Ic. Condizioni di corretto funzionamento: a) Nel funzionamento a carico ciascun trasformatore deve erogare una quota della corrente di carico proporzionale alla propria corrente nominale secondaria. In questo modo si evita il rischio che qualche trasformatore possa essere sovraccaricato rispetto agli altri con conseguente surriscaldamento dei suoi avvolgimenti. b) Ciascun trasformatore deve erogare la propria quota di corrente in fase con quella erogata dalle altre macchine ed in fase con la corrente di carico Ic. Se questo accade, i trasformatori erogano ciascuno la minima corrente possibile a parità di corrente di carico, come indicato nella figura seguente. I2A

I2B Ic

I2A

I2B

Ic

Composizione delle correnti dei singoli trasformatori nella corrente di carico in presenza o meno della condizione di minime correnti erogate

Per comprendere i requisiti da richiedere ai trasformatori A e B per garantire le condizioni descritte ai punti a) e b), conviene considerare il loro circuito equivalente monofase a carico. Lo schema del funzionamento in parallelo è rappresentato nella figura seguente. Z’’cc_A

tA : 1

I1A

I2A

I0A V1 fase = V1N/

3

I2B

Z’’cc_B

1 : tB I0B

IC V20 fase A =

Z0A

V20_A/

I1B

V20 fase B = V2 fase

3

ZC

V20_B/

3

Z0B V1 fase = V1N/

3

Circuito equivalente monofase a carico di due trasformatori connessi in parallelo

Questo circuito equivalente può essere semplificato pensando al circuito equivalente di Thevenin visto dall’impedenza di carico. Dalle nozioni acquisite durante il corso di elettrotecnica è facile disegnare tale circuito equivalente. ''

''

Z eq = Z ccA // Z ccB = ''

V eq = V 20 A − Z ccA ⋅

''

''

''

''

Z ccA ⋅ Z ccB Z ccA + Z ccB

V 20 A − V 20 B ''

''

Z ccA + Z ccB

(tensioni di fase)

167

PROF. ANDREA CAVAGNINO

X”ccA

R”ccA I2A

Ic X”ccB

R”ccB I2B Veq fase

Zeq

V2 fase Zc

Cercuito equivalente di Thevenin ai capi dell’impedenza di carico Composizione delle correnti dei singoli trasformatori

Si noti che, in assenza di corrente di circolazione a vuoto nei secondari (cioè quando V 20 A = V 20 B ), si ha che V eq = V 20 A = V 20 B . La corrente IC del carico si ripartisce nelle quote I2A e I2B nei due trasformatori. Queste quote possono facilmente essere calcolate a partire dalle impedenze di cortocircuito dei trasformatori: '' Z ccA ⋅ I2A

=

'' Z ccB

⋅ I 2B



'' I 2 A Z ccB = '' I 2 B Z ccA

(3.61)

L’espressione (3.61) è da ritenersi valida vettorialmente, pertanto le due correnti I2A ed I2B risultano in fase se le due impedenze di cortocircuito ZccA , ZccB hanno lo stesso argomento. Quindi la condizione b) viene verificata se ϕccA = ϕccB. Inoltre, per rispettare la condizione a), i moduli delle due correnti I2A ed I2B devono essere nello stesso rapporto delle rispettive correnti nominali dei due trasformatori: I 2A I 2N A = I 2B I 2N B

(3.62)

Dalla (3.61) e (3.62) discende pertanto la seguente relazione: '' '' I 2 N A ⋅ Z ccA = I 2 N B ⋅ Z ccB

(3.63)

Ricordando la definizione di tensione di cortocircuito di un trasformatore si può affermare che la condizione a) è verificata se i due trasformatori hanno la stessa tensione di cortocircuito ( VccA = VccB ).(1)

(1)

Sia in termini assoluti che percentuali in quanto i due trasformatori hanno la stessa tensione nominale.

168

MACCHINE ELETTRICHE

3.12 – Autotrasformatore Quando il rapporto di trasformazione di un trasformatore è prossimo all’unità può essere utile ricorrere ad una tecnica costruttiva degli avvolgimenti che consenta di ridurre notevolmente la quantità di rame necessaria alla loro realizzazione. Allo scopo di comprendere questa possibilità si faccia riferimento alla figura seguente(1). Si esamini il trasformatore monofase a due avvolgimenti illustrato in a). Esso consta di due avvolgimenti separati di N1 e N2 spire. Per fissare le idee si supponga N1>N2; le tensioni nominali V1N e V20 sono commisurate ai numeri di spire, mentre le correnti nominali I1N e I2N e le sezioni di avvolgimento sono inversamente proporzionali al numero di spire. Secondo quanto visto a paragrafo 3.9.2, la potenza di dimensionamento dei due avvolgimenti è identica; essa coincide con la potenza di dimensionamento del trasformatore: S d = V1N ⋅ I1N = V20 ⋅ I 2 N I1N

I1N

I1N V1N

(3.64)

N2

a)

V1N - V20

N1- N2

I2N

N1

V1N V20

I2N I1N

I2N V20 N2 b)

N1- N2 I1N

V1N - V20 I2N

V1N N2

I2N -I1N

V20

c)

Passaggio ideale dal trasformatore all’autotrasformatore

Si pensi ora di suddividere l’intero avvolgimento primario in due sezioni formate rispettivamente da N2 e da N1-N2 spire; la porzione di avvolgimento primario di N2 spire risulta, punto per punto, equipotenziale con l’avvolgimento secondario e quindi questa porzione potrebbe essere collegata in parallelo con l’avvolgimento secondario senza alterare il funzionamento del trasformatore ( vedi figura b) ). I due avvolgimenti così connessi sono percorsi dalle rispettive correnti I1N ed I2N in sensi opposti. Essi possono essere sostituiti da un unico avvolgimento comune di N2 spire percorso dalla differenza delle due correnti, come evidenziato in figura c). Le spire dell’avvolgimento comune dovranno possedere una sezione adeguata al passaggio della corrente I2N - I1N. La struttura di figura c) viene chiamata autotrasformatore e il suo funzionamento è del tutto equivalente a quello del trasformatore di partenza. Il vantaggio che appare evidente nella soluzione proposta consiste in un minor peso di rame negli avvolgimenti a parità di potenza nominale della macchina. A fronte di questo vantaggio occorre tuttavia rinunciare all’isolamento tra rete di alimentazione primaria e rete secondaria che, invece, verrebbe garantita dall’impiego del trasformatore. La riduzione di dimensioni e di costo relativa all’impiego di un autotrasformatore può utilmente essere evidenziata attraverso il concetto di potenza di dimensionamento, introdotto al paragrafo 3.9.2. La relazione (3.64) definisce la potenza di dimensionamento del trasformatore. La potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore equivalente si può calcolare come media della potenza di dimensionamento dei suoi due avvolgimenti. Poiché le N1-N2 spire del primario sono percorse dalla corrente I1N e sono soggette alla tensione V1N -V20 , la corrispondente potenza di dimensionamento vale: (1)

Nel seguito si farà riferimento solo ad autotrasformatori monofasi; ovviamente esistono anche autotrasformatori trifasi.

169

PROF. ANDREA CAVAGNINO S d1 = (V1N − V20 ) ⋅ I1N

(3.65)

Le restanti N2 spire comuni sono percorse dalla corrente I2N – I1N e sono sottoposte alla tensione V20. La loro potenza di dimensionamento vale: S d 2 = (I 2 N − I1N ) ⋅ V20

(3.66)

E’ noto che, in un trasformatore, i rapporti tra le tensioni nominali primarie e secondarie, e i rapporti tra le correnti nominali sono legate al rapporto di trasformazione. Ne consegue che le relazioni (3.65) e (3.66) possono essere riscritte nella seguente forma:  N  S d1 = 1 − 2  ⋅ V1N I1N N1   N   N  S d 2 =  1 − 1V20 I1N = 1 − 2  ⋅ V1N I1N N1   N2   Le potenze di dimensionamento delle due parti dell’avvolgimento dell’autotrasformatore sono uguali tra loro. La potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore coincide quindi con la potenza di dimensionamento di uno qualunque dei suoi due avvolgimenti. In definitiva, dal confronto con il trasformatore equivalente e avendo indicato con Sda la potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore, vale quanto segue:  N  S da =  1 − 2  ⋅ S d N1  

(3.67)

Il risparmio in termini di costruzione, conseguibile attraverso l’autotrasformatore è legato al rapporto di trasformazione desiderato. Più prossimo all’unità è questo rapporto, più piccola risulta la potenza di dimensionamento rispetto alla potenza nominale. Dall’uguaglianza delle due potenze Sd1 e Sd2 e quindi dalla relazione:

(V1N

− V20 ) ⋅ I1N = (I 2 N − I1N ) ⋅ V20

(3.68)

si può osservare che la potenza relativa al tratto di bobina comune è uguale alla potenza della restante parte di bobina. Dal mero punto di vista del dimensionamento, tutto accade come se lo scambio di potenza trasformatorico (cioè per via elettromagnetica) avvenisse tra la parte comune di avvolgimento e la restante parte; l’entità di questo scambio fittizio di potenza costituisce la potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore. E’ importante sottolineare che, contrariamente a quanto potrebbe suggerire lo schema di collegamento illustrato nella figura c) riportata alla pagina precedente, l’auto trasformatore ha un ruolo completamente diverso dal partitore di tensione induttivo realizzato con due induttori disaccoppiati. In quest’ultimo non è infatti presente l’effetto trasformatorico dovuto al mutuo accoppiamento degli avvolgimenti. I1

I1

Q1

I2

S1 V1

Q2

V2 a)

I2

S1

S2

V2

V1 b)

a) Partitore induttivo b) Autotrasformatore

170

S2

MACCHINE ELETTRICHE A questo proposito è sufficiente osservare che nel partitore induttivo è presente un impiego di potenza reattiva da parte delle due induttanze del partitore mentre nell’autotrasformatore esiste equilibrio tra le potenze apparenti in ingresso ed uscita; questo equilibrio è perfetto nell’autotrasformatore ideale (perdite Joule nulle, flussi dispersi nulli): S1 = S 2

Inoltre l’autotrasformatore può funzionare non solo come abbassatore di tensione ma anche come elevatore di tensione quando il flusso di potenza si inverte rispetto a quello rappresentato in figura b). La stessa cosa non può avvenire nella struttura del partitore induttivo formato da due reattori disaccoppiati magneticamente. Ritornando al concetto di potenza di dimensionamento dell’autotrasformatore è utile affrontare la genesi di questo tipo di macchina da un secondo punto di vista. Occorre notare che, in realtà, l’autotrasformatore non è una macchina diversa dal trasformatore, ma può essere riguardato come il risultato di un diverso collegamento degli avvolgimenti di un normale trasformatore. Un normale trasformatore può essere connesso come autotrasformatore se si dispone l’avvolgimento secondario in serie con l’avvolgimento primario come illustrato qui di seguito.

t:1 I1N

I’1N

I2N V20

V1N

a) trasformatore

I1N V1N

t:1

I2N V20 V’20

b) autotrasformatore

Collegamenti da trasformatore e da autotrasformatore

Sotto questo aspetto è naturale osservare che le macchine che compaiono in figura sono in realtà la stessa macchina e conseguentemente la potenza di dimensionamento è unica e può essere immediatamente calcolata sulla base della configurazione normale; in questo caso essa coincide con la potenza elettrica trasferita: S d = S N = V1N I1N = V20 I 2 N

(3.69)

dove Sd è la potenza di dimensionamento ed SN è la potenza apparente trasferita. Nel collegamento come autotrasformatore la potenza trasferita risulta invece superiore alla potenza di dimensionamento. Fermi restando i valori delle tensioni e delle correnti nelle due bobine si ottiene: S ' N = V1N I '1N = V ' 20 I 2 N

171

PROF. ANDREA CAVAGNINO Ne consegue che:  1  1 S ' N = V1N ⋅ (I1N + I 2 N ) = V1N I1N 1 +  = S N 1 +   t  t

(3.70)

Queste relazioni sono perfettamente in linea con la (3.67) se si tiene presente il significato attribuito al rapporto di trasformazione t. E’ evidente che, più piccolo è il valore di t, maggiore risulta il guadagno in termini di potenza trasferibile nel collegamento autrasformatorico. Per rendersi conto dell’entità del guadagno in termini di potenza elettrica trasformata nella connessione normale e nella connessione da autotrasformatore, si consideri seguente esempio numerico. Sia dato un trasformatore monofase caratterizzato, in collegamento normale, dai seguenti dati: S N = 5 kVA

V1N /V20 = 200 / 10 V

vcc % = 5

Le correnti nominali dei due avvolgimenti valgono: 5000 A = 25 A 200 5000 I 2N = A = 500 A 10 I1N =

Nel collegamento da autotrasformatore le tensioni nominali e le correnti nominali risultano: V '1N = 200 V

I '1N = 500 + 25 = 525 A

V ' 20 = 210 V I ' 2 N = 500 A e la potenza nominale corrispondente vale: S ' N = 200 × 525 VA = 105 kVA Il circuito equivalente dell’autotrasformatore è analogo a quello del trasformatore, tuttavia qualche osservazione specifica deve essere fatta circa la determinazione dell’impedenza e della tensione percentuale di cortocircuito. Poiché l’autotrasformatore è interpretabile come semplice modifica del collegamento dei due avvolgimenti di un trasformatore, il suo circuito equivalente può essere dedotto da quello del trasformatore normale attraverso il metodo illustrato in figura. Z”cc I2N h V1N 1 : 1+h

1:h I1N V1N

Z”cc I2N h V1N

I1N

I’1N

V2

V1N

a) Circuito equivalente trasformatore

b) autotrasformatore

V’2

I’1N V1N

(1+h)V1N

V’2

c) Circuito equivalente autotrasformatore

Circuito equivalente dell’autotrasformatore

172

Z”cc I2N

MACCHINE ELETTRICHE Dalla figura precedente si osserva che l’impedenza di cortocircuito misurata al secondario ha lo stesso valore sia per il trasformatore in collegamento normale sia per il trasformatore collegato da autotrasformatore. Al contrario la tensione nominale secondaria è nettamente diversa: V20 = h ⋅ V1N

trasformatore

V ' 20 = (1 + h ) ⋅ V1N

autotrasformatore

Si noti che h rappresenta l’inverso del rapporto di trasformazione t = V1N / V20 del trasformatore equivalente. Le relazioni precedenti indicano che, nel caso di cortocircuito del secondario, le correnti di cortocircuito siano nettamente diverse: h ⋅ V1N Z "cc

I 2cc =

trasformatore

(1 + h ) ⋅ V1N

I 2cc =

Z "cc

autotrasformatore

Se il valore di h è particolarmente piccolo (ovvero il rapporto di trasformazione dell’autotrasformatore è prossimo all’unità), la corrente di cortocircuito in connessione autotrasformatorica diventa molto elevata. Questo fatto viene riassunto dal raffronto tra i valori della tensione percentuale di cortocircuito nei due casi: vcc % auto =

h ⋅ vcc % trasf 1+ h

E’ evidente che l’autotrasformatore non è in grado di limitare le correnti di guasto della rete in cui è inserito nella stessa misura dei normali trasformatori. Ovviamente, qualora si debba limitare la corrente di corto circuito a valori più modesti occorre aumentare artificiosamente l’induttanza di dispersione della macchina. Con riferimento al caso numerico precedentemente illustrato si possono eseguire le seguenti valutazioni. Dati di targa del trasformatore normale: S N = 5 kVA

V1N /V20 = 200 / 10 V

vcc % = 10

Le correnti nominali dei due avvolgimenti valgono: I1N =

5 000 A = 25 A 200

I 2N =

5 000 A = 500 A 10

L’impedenza e la corrente di cortocircuito secondaria valgono: Z "cc =

0.1 × 10 Ω = 0.002 Ω 500

I 2 cc =

10 A = 5 000 A 0.002

Nel collegamento da autotrasformatore l’impedenza di cortocircuito ha lo stesso valore, ma la corrente di cortocircuito vale: I ' 2cc =

210 A = 105 000 A 0.002

e la tensione percentuale di cortocircuito: v' cc % =

0.002 × 500 × 100 ≅ 0.48% 210

173

PROF. ANDREA CAVAGNINO

3.13 – Funzionamento a vuoto del trasformatore monofase Un trasformatore funziona a vuoto quando i morsetti secondari non sono collegati ad alcun carico e pertanto la corrente secondaria I2 è nulla. In queste condizioni la corrente assorbita dal primario serve a produrre il flusso di magnetizzazione della macchina e la potenza dissipata nel ferro. Essa risulta molto piccola rispetto al valore nominale della corrente primaria ( ordine di grandezza : 10-2 I1nom) e viene definita corrente a vuoto. Nel normale funzionamento a carico lo studio del trasformatore può essere condotto senza particolari cautele riguardo ai fenomeni di saturazione e di isteresi e, pertanto, il modello che lo rappresenta è un modello lineare riconducibile, nella maggior parte dei casi di interesse pratico, alla semplice impedenza di cortocircuito. Nel funzionamento a vuoto i fenomeni di non linearità magnetica e le eventuali dissimmetrie della struttura geometrica del nucleo svolgono un ruolo importante e non possono essere trascurati. Il problema generale affrontato in questo paragrafo è la determinazione della corrente magnetizzante del trasformatore: della sua forma d’onda e del suo contenuto armonico. E’ fondamentale, a questo scopo, la conoscenza della caratteristica di magnetizzazione delle varie parti della struttura magnetica del trasformatore. Nel caso del trasformatore monofase la caratteristica di eccitazione è unica, essa rappresenta la relazione tra il flusso principale (flusso interno al nucleo in ferro che si concatena con la bobina primaria) e la caduta di tensione magnetica A che questo flusso genera nel circuito magnetico e che viene equilibrata dalla f.m.m. N⋅i messa in gioco dall’avvolgimento (vedi figura) ϕp ϕp

i N

A=Ni

Struttura magnetica e caratteristiche di magnetizzazione del trasformatore monofase.

La corrente assorbita dal trasformatore durante il funzionamento a vuoto, risulta normalmente molto contenuta. Tuttavia la sua forma d’onda è fortemente distorta, anche quando la tensione di alimentazione è perfettamente sinusoidale. Questo fatto è da addebitare al fenomeno di saturazione del materiale magnetico del nucleo ed esso è tanto più evidente, quanto più alto è il valore di induzione che corrisponde alle condizioni di alimentazione nominali. Per comprendere meglio il meccanismo che origina la distorsione della corrente assorbita, si supponga di poter trascurare, nel funzionamento a vuoto, le cadute di tensione sulla resistenza e sulla reattanza di dispersione dell’avvolgimento primario. Se la tensione di alimentazione primaria è sinusoidale si può pertanto scrivere: V1 max cos(ωt ) ≅ N 1

dϕ p dt

ed il flusso risulta: ϕ p (t ) = Φ p max sen(ωt )

174

V dove : Φ p max = 1 max N1 ⋅ ω

(3.71)

MACCHINE ELETTRICHE Questa relazione sottolinea come il flusso principale presente nel trasformatore dipenda dalla tensione di alimentazione, e come la forma d’onda di quest’ultima determini la forma d’onda del flusso. Qualunque variazione nell’ampiezza della tensione sinusoidale comporta una analoga variazione della ampiezza del flusso principale. Φp

caratteristica di eccitazione

ϕp(t)

t

i0

i10(t)

t

Forma d’onda della corrente a vuoto: effetto della saturazione magnetica.

Noto l’andamento temporale del flusso, si può facilmente ricavare, attraverso la caratteristica di magnetizzazione, la forma d’onda della corrente necessaria a sostenerlo. La figura precedente mostra il metodo grafico che consente l’operazione. Poiché la caratteristica di eccitazione è simmetrica rispetto all’origine, le armoniche della corrente magnetizzante sono solamente di ordine dispari. E’ evidente la presenza di una terza armonica, che risulta tanto più elevata quanto più spinta è la saturazione del nucleo magnetico. i 0 (t ) = I 1max sen(ωt ) + I 3max sen(3ωt ) + I 5max sen(5ωt ) + L

(3.72)

Tutte le componenti armoniche sono in fase con l’onda di flusso sinusoidale. L’ampiezza della corrente magnetizzante cresce in modo non lineare al crescere della tensione di alimentazione e del flusso di macchina. Alla tensione nominale, i valori efficace e di picco di tale corrente sono molto modesti, ma, se si aumenta il valore della tensione, a causa della saturazione, il valore di picco della corrente cresce molto rapidamente e, sia pure in misura leggermente inferiore, cresce il valore efficace. Queste valutazioni e la costruzione illustrata in figura consentono di determinare in forma molto rozza la corrente assorbita a vuoto dal trasformatore. L’unico valore ragionevolmente attendibile, desumibile da queste valutazioni, è il valore massimo della corrente. In realtà, nel funzionamento a vuoto, il trasformatore non si comporta esattamente come un induttore privo di perdite. Sono stati discussi, in precedenti paragrafi, i fenomeni che portano il trasformatore a dissipare, a vuoto, una certa quota di potenza. Se portiamo in relazione il flusso istantaneo che si produce in un nucleo monofase in funzione della corrispondente corrente istantanea i0(t) assorbita dall’avvolgimento di eccitazione, si osserva che nel piano ϕ, i0 il diagramma è rappresentato non da una semplice linea, bensì da una curva chiusa detta “ciclo di isteresi dinamico del nucleo”. L’area di tale ciclo è determinata non solo dalle vere e proprie perdite per isteresi, ma anche dalle perdite per correnti parassite. 175

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Caratteristica di eccitazione Cicli di isteresi dinamici

Cicli di isteresi dinamici simmetrici per diversi valori del flusso massimo in un nucleo monofase.

In figura sono riportati diversi cicli di isteresi dinamici prodotti da alimentazione del nucleo con tensioni sinusoidali a 50 Hz di ampiezza diversa rilevati su un nucleo di un trasformatore monofase. Il luogo dei vertici di tali cicli di isteresi costituisce la caratteristica di eccitazione del nucleo (caratteristica di normale eccitazione) a cui sin qui si è fatto riferimento. Volendo fornire una precisa caratterizzazione della forma d’onda della corrente assorbita a vuoto a diversi valori della tensione di alimentazione, occorrerebbe conoscere con esattezza la forma di tutti i possibili cicli di isteresi simmetrici del nucleo. In questo caso la determinazione della forma della corrente dovrebbe avvenire secondo una costruzione leggermente diversa da quella indicata in precedenza. Φp

caratteristica di normale eccitazione

ϕp(t)

Ciclo di isteresi dinamico t

I10

effetto dell’isteresi

i10(t)

t

Forma d’onda della corrente a vuoto: effetto dell’isteresi magnetica.

176

MACCHINE ELETTRICHE Nella figura precedente è evidenziato un andamento più realistico della corrente a vuoto basato sull’impiego del ciclo di isteresi dinamico anziché sulla caratteristica di normale eccitazione del nucleo. Fin quando la magnetizzazione alternativa del nucleo è simmetrica anche i cicli di isteresi sono simmetrici. Questo porta ad affermare che il contenuto armonico della corrente a vuoto non cambia rispetto a quanto detto precedentemente; le armoniche della corrente sono ancora solo armoniche di ordine dispari. L’effetto dell’isteresi dinamica è quello di sfasare in anticipo la corrente a vuoto rispetto al flusso, come illustrato nella figura citata e di alterare l’ampiezza delle armoniche di corrente. i0 ( t ) = I '1max sen(ωt + ϕ1 ) + I ' 3max sen( 3ωt + ϕ 3 ) + I '5max sen(5ωt + ϕ 5 ) + L Osservazione Nei trasformatori trifasi il calcolo della corrente magnetizzante è generalmente più complesso. Basti sapere che la forma d’onda della corrente dipende dal tipo di struttura magnetica del trasformatore (simmetrica, asimmetrica, a 3 o a 5 colonne, a mantello), dal tipo di collegamento dell’avvolgimento primario e, in certi casi, anche dalla connessione dell’avvolgimento secondario.

177

Capitolo

4 IL CAMPO MAGNETICO ROTANTE 4.1 – Interpretazione intuitiva del campo magnetico rotante Prima di procedere nello studio del campo magnetico rotante vero e proprio, si prova a darne una interpretazione qualitativa. In particolare, si vuole illustrare come sia possibile scambiare una coppia tra due strutture coassiali. Questo aspetto è la base della conversione elettromeccanica dell’energia che si attua nelle macchine rotanti in alternata. A tal scopo si consideri la struttura rappresentata in figura, costituita da due parti pseudo cilindriche in materiale ferromagnetico con permeabilità infinita, coassiali ed entrambe libere di muoversi attorno al loro asse (indicato in figura dalla crocetta). Sia la struttura esterna che quella interna portano dei magneti permanenti magnetizzati come indicato. Le parti ferrose hanno il compito di convogliare il flusso prodotto dai magneti nella zona d’aria che separa le due parti rotanti. Tale zona d’aria viene indicata con il termine di traferro. In assenza di attriti e di coppie frenanti esterne applicate alle due strutture, se si porta in rotazione alla velocità ω una parte del dispositivo traferro (agendo dall’esterno), l’altra parte ω rimarrà rigidamente agganciata a questa nella posizione illustrata. ω Pertanto la parte non azionata S N N dall’esterno ruoterà anch’essa alla velocità ω. Per le ipotesi fatte, l’operatore esterno non deve fornire S N S coppia, così come nessuna coppia è scambiata tra le due parti. Ovviamente i campi magnetici generati dai magneti ruotano, rispetto ad un riferimento fisso sempre alla velocità ω. Si supponga, per semplicità, che la Struttura dimostrativa per l’analisi del campo rotante parte azionata dall’esterno sia quella esterna. Se si applica una coppia frenante alla parte interna, questa, dopo un transitorio legato ai momenti di inerzia in gioco, ritarderà di angolo γ costante nel tempo, ovvero entrambe le strutture continueranno a girare alla velocità imposta. Ovviamente in questo caso l’operatore dovrà fornire una coppia motrice alla parte esterna pari alla coppia frenante applicata alla struttura interna. 179

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il dispositivo si comporta quindi come un γ giunto elastico con una torsione tra l’albero di ingresso e quello di uscita che dipende dalla coppia trasmessa. La massima coppia trasmettibile dal dispositivo si ha per una ω angolo γ = 90°. Se l’angolo di ritardo ω diventa maggiore di 90°, la coppia diminuisce, ma rimane positiva. Se si oltrepassano i 180° la coppia si inverte di segno opponendosi al moto imposto. Qualora si applicasse una coppia frenante maggiore della coppia massima ottenibile per interazione tra i due campi magnetici (creati dai magneti sulla parte esterna ed interna), la parte interna ruoterebbe ad una velocità diversa da quella imposta per la Ritardo tra le due parti (ovvero delle due parte esterna. Il modo relativo tra le due magnetizzazioni) a seguito di una coppia parti farà sì che l’angolo γ vari nel tempo. frenante applicata alla parte interna. Ne consegue che la coppia scambiata tra le due strutture sarebbe di natura alternata con valor medio nullo. In questa situazione i due alberi sarebbero disaccoppiati ed il “giunto” perderebbe la sua funzionalità. Sulla base di quanto sinora esposto, si può intuire che, se si riesce a creare un campo magnetico rotante al traferro, una struttura libera di ruotare e dotata anch’essa di una magnetizzazione può “agganciarsi” a tale campo espletando una azione meccanica. Risulta altrettanto intuitivo che in una macchina elettrica rotante il campo magnetico rotante deve essere creato da una struttura fissa nello spazio. Si vedrà tra breve che ciò è possibile usando un sistema di avvolgimenti fissi nello spazio, opportunamente sfasati e percorsi da correnti alternate sfasate nel tempo. Si ribadisce nuovamente il concetto che lo scambio di coppia tra le due magnetizzazioni rotanti può avvenire solo se tali magnetizzazioni sono sincrone tra loro. In caso contrario la coppia media scambiata tra le due parti è nulla. A fianco è schematizzata la struttura generalmente utilizzata nella costruzione delle macchine elettriche rotanti. Si tratta di due cilindri coassiali di materiale ferromagnetico: il cilindro esterno fisso, denominato statore, ed il cilindro interno libero di ruotare sul suo asse (rotore). Lo statore ed il rotore sono separati da una zona d’aria molto stretta denominata traferro. La zona di statore affacciata al rotore porta gli avvolgimenti di statore che hanno il compito di creare il campo magnetico rotante nel traferro.

statore avvolgimenti di statore traferro rotore albero

Tipica struttura per macchina elettrica rotante

180

MACCHINE ELETTRICHE

4.2 – Distribuzione di F.m.m e di campo al traferro Lungo il traferro di una macchina elettrica rotante sono normalmente distribuiti, su un arco più o meno ampio, e almeno su una delle due parti della macchina (statore, rotore), avvolgimenti percorsi da corrente. In un avvolgimento si distinguono i cosiddetti tratti attivi e le cosiddette connessioni frontali o testate (vedi figura seguente). I primi sono costituiti da conduttori affacciati al traferro e disposti, nelle macchine usuali, in direzione prevalentemente assiale dentro scanalature (cave, realizzate nel cilindro ferroso di statore) ed ad essi è demandato il compito di produrre, attraverso l’interazione con il campo magnetico presente al traferro, l’azione elettromeccanica tipica della macchina. Le seconde hanno semplicemente il compito di consentire alla corrente di richiudersi e di passare da un tratto attivo all’altro; esse non hanno, in linea generale, alcuna influenza diretta sulla conversione elettromeccanica dell’energia. Guardando una sezione della macchina perpendicolare all’asse, un avvolgimento ideale risulta costituito da due zone formate ciascuna da gruppi di cave contigue, che ospitano rispettivamente conduttori percorsi da corrente entrante nel piano della sezione e conduttori percorsi da corrente uscente. Dal punto di vista puramente funzionale della macchina non ha alcuna rilevanza come e quali conduttori di una zona risultino collegati ai conduttori dell’altra zona, purché il collegamento esista e sia corretto. Rilevante, invece, è la distribuzione dei tratti attivi dell’avvolgimento lungo il traferro. Dal modo in cui i tratti attivi sono disposti dipendono infatti, sia la progressione della caduta di tensione magnetica tra statore e rotore, nota come ‘distribuzione di f.m.m. al traferro’, sia la produzione di f.e.m. indotta nell’avvolgimento dalle variazioni del flusso concatenato. Nei paragrafi seguenti verrà affrontato il problema della determinazione delle distribuzioni di f.m.m. prodotte da avvolgimenti di cui sia nota la distribuzione geometrica dei tratti attivi. Le determinazioni condotte si basano su alcune ipotesi semplificative: Spessore del traferro costante. Permeabilità del ferro infinita: questa ipotesi consente di ritenere che la f.m.m. prodotta da un avvolgimento cada tutta nell’attraversamento del traferro. Apertura delle cave infinitesima: questa ipotesi consente di schematizzare i conduttori contenuti in una cava, come se fossero privi di dimensioni trasversali e pertanto assimilabili a conduttori puntiformi concentrati in corrispondenza alla mezzeria della cava al traferro. Andate

Tratti attivi Connessioni frontali Circonferenza di traferro

Ritorni

Conformazione di un avvolgimento distribuito

181

PROF. ANDREA CAVAGNINO

4.2.1 – Distribuzione di F.m.m prodotta da una bobina diametrale

Statore Traferro Rotore

Bobina di N1 spire in serie

Fondamentale

N1I/2

2 N1I/π

α

µr>>1 0

π



Linee di campo

α µr>>1

F.m.m. di una bobina diametrale formata da N1 spire percorse dalla corrente I.

Si consideri la struttura elettromagnetica illustrata in figura rappresentante una bobina di N1 spire in serie. I conduttori di andata (a sinistra, percorsi da corrente uscente dal piano della figura) ed i conduttori di ritorno (a destra, percorsi da corrente entrante dal piano della figura) della bobina siano collocati in posizione diametrale e percorsi dalla corrente I. Per il momento si consideri che I sia una corrente continua fittizia con il solo compito di evidenziare la distribuzione di F.m.m. Data la simmetria della struttura, si può ritenere che le linee di campo magnetico, prodotte dalla bobina, abbiano l’andamento qualitativo illustrato nella parte sinistra della figura. Secondo la legge della circuitazione magnetica, la f.m.m. concatenata da ciascuna linea di campo vale in valore assoluto 0.5⋅N1 I. Tale f.m.m. serve a compensare la caduta di tensione magnetica nei due attraversamenti di traferro relativi ad ogni linea di campo. Pertanto, tenendo conto del verso delle linee di campo, la distribuzione di caduta di tensione magnetica lungo la circonferenza di traferro (detta distribuzione di f.m.m. al traferro) assume la forma ad onda quadra illustrata nel diagramma a destra. La convenzione di segno è scelta in modo da considerare positiva la distribuzione di f.m.m., quando le linee di campo vanno da statore a rotore. A(α ) =

N1 I ⋅ sqw (α ) 2

(4.1)

La distribuzione A(α) può essere scomposta in serie di armoniche spaziali secondo Fourier: A(α ) =

4 N1 ⋅ I sin (h ⋅ α ) ⋅ h h =1,3,5,7,... π 2



(4.2)

Ai fini dello studio semplificato delle macchine a campo rotante assume particolare rilevanza l’armonica fondamentale della distribuzione di f.m.m. A fondamentale (α ) = A1 sin (α );

A1 =

4 N1 I π 2

(4.3)

La (4.3) rappresenta la distribuzione fondamentale di f.m.m. al traferro prodotta da una bobina diametrale concentrata, formata da N1 spire (ovvero da 2 N1 lati attivi). 182

MACCHINE ELETTRICHE

4.2.2 – Distribuzione di F.m.m prodotta da un avvolgimento distribuito.

3

1

β

2



Fondamentale risultante Distribuzione risultante Bobina 1 Bobina 2 Bobina 3

3

2

−β

0 β

π



α

1

α

F.m.m. di una avvolgimento formato dalla serie di 3 bobine diametrali uguali e dislocate di un angolo β lungo il traferro.

Normalmente, nelle macchine elettriche a campo rotante, gli avvolgimenti sono frazionati in più bobine, che vengono distribuite entro scanalature disposte regolarmente lungo il traferro. In figura è illustrata l’azione magnetica prodotta da un avvolgimento formato da 3 bobine diametrali uguali, disposte in tre cave successive sfasate di un angolo β lungo il traferro. Si indichi con q il numero di cave in cui sono distribuiti uniformemente le N1 spire dell’avvolgimento (ne consegue che in ogni cava saranno presenti N1/q spire). Sia inoltre β l’angolo di cui sono sfasate le q cave di andata e le corrispondenti q cave di ritorno. In questa configurazione, la distribuzione spaziale di f.m.m. complessivamente prodotta dalla corrente I che percorre l’avvolgimento si ottiene dalla somma di q onde quadre sfasate di un angolo β, come illustrato nel diagramma a destra nella figura per il caso q = 3.

A =

N1 I 2⋅q

q

Arisultante (α ) = A∑ sqw(α + i ⋅ β ) i =1

Il valore massimo della distribuzione vale ancora: Amax =

N1 I 2

(4.4)

Dovendo valutare l’ampiezza della componente fondamentale della distribuzione di f.m.m. generata dall’avvolgimento frazionato in q bobine dislocate reciprocamente di β radianti, occorre ricordare che la distribuzione cercata è la somma delle q distribuzioni sinusoidali associate alle singole bobine diametrali e il cui valore è dato dalla (4.3). Ciascuna distribuzione sinusoidale è rappresentabile con un vettore di ampiezza (4.3) orientato secondo l’asse della rispettiva bobina, come verrà chiarito al paragrafo 4.2.5. La distribuzione fondamentale di f.m.m. risultante può essere ottenuta dalla somma vettoriale secondo il metodo illustrato nella figura seguente.

183

PROF. ANDREA CAVAGNINO F.m.m. di una bobina: A1 0

β

1 2 β

r Arisultante q ⋅β

q-1

q

Costruzione vettoriale della f.m.m. risultante di un avvolgimento distribuito.

La circonferenza in cui è iscritta la poligonale dei vettori f.m.m. ha raggio: r=

A1 ; 2 ⋅ sin (β / 2)

dove

A1 =

4 N1 ⋅I π 2⋅q

e l’ampiezza della F.m.m. fondamentale risultante vale: A fondamentale = 2r sin (q ⋅ β / 2 ) =

4 N1 ⋅ I sin (q ⋅ β / 2 ) ⋅ π 2 q ⋅ sin (β / 2 )

(4.5)

L’ampiezza della fondamentale di f.m.m. al traferro prodotta da un avvolgimento formato da N1 spire distribuite in q cave diametrali sfasate di un angolo β è data dalla seguente relazione generale:

A fondamentale = K d ⋅

2 ⋅ N1 ⋅ I π

(4.6)

dove Kd è detto coefficiente di distribuzione dell’avvolgimento e vale: Kd =

sin (q ⋅ β / 2 ) q ⋅ sin (β / 2 )

Coefficiente di distribuzione

q 1 2 3 4 5 6 8 ∞

184

Motore trifase Kd 1.0000 0.9659 0.9598 0.9577 0.9567 0.9561 0.9556 0.9549

(4.7) A titolo di esempio, nella tabella sono indicati i diversi valori del coefficiente di distribuzione per avvolgimenti di fase distribuiti di motori trifase. I coefficienti sono calcolati sotto l’ipotesi di cave distribuite uniformemente; in questo caso l’angolo β viene a dipendere dal numero q di cave per fase e dal numero m di fasi secondo la regola seguente:

β=

2π 2π = N cave 2m ⋅ q

La tabella testimonia che un avvolgimento di N1 spire distribuito in q cave genera una fondamentale di F.m.m minore della fondamentale che si avrebbe se le stesse spire fossero concentrate in una sola bobina diametrale (q = 1). Da questo ragionamento si potrebbe erroneamente concludere che non sia conveniente suddividere un avvolgimento su più cave contigue.

MACCHINE ELETTRICHE Ciò non è vero perché la distribuzione reale complessiva di F.m.m. al traferro, prodotta da un avvolgimento distribuito in cave, possiede, oltre all’armonica fondamentale (4.6), tutta una schiera di armoniche di ordine dispari conseguenti alla scomposizione in serie di Fourier dell’onda quadra, che costituisce il mattone base della distribuzione su q cave (si veda l’equazione (4.2)). Queste armoniche vengono viste, nello studio delle macchine elettriche, come effetti secondari della magnetizzazione prodotta dall’avvolgimento. Tali effetti sono generalmente indesiderati e sono considerati come disturbi. Senza entrare nel dettaglio, si afferma che una maggior distribuzione dell’avvolgimento permette di ridurre l’ampiezza delle armoniche spaziali di F.m.m di ordine superiore. Si osservi che la distribuzione risultante di F.m.m al traferro disegnata all’inizio del paragrafo 4.2.2 per q = 3 è “più vicina ad una sinusoide” in confronto con la distribuzione ad onda quadra prodotta da una bobina diametrale (paragrafo 4.2.1). La relazione (4.6) è una espressione fondamentale per la descrizione dell’effetto magnetizzante prodotto da un avvolgimento distribuito. Attraverso questa relazione, qualunque avvolgimento può essere identificato attraverso un numero di spire equivalenti N’ definito da(1): N1' = K d

2 ⋅ N1 π

(4.8)

N1’ viene sinteticamente definito numero equivalente di spire ai fini della produzione di f.m.m.. Attraverso la conoscenza del numero N1’ e della corrente I che percorre l’avvolgimento è possibile ricavare immediatamente l’ampiezza dell’armonica fondamentale di f.m.m. generata al traferro: A fondamentale (α ) = N1' ⋅ I ⋅ sin (α )

(4.9)

Due avvolgimenti diversi, che siano caratterizzati dallo stesso numero N1’, potranno essere considerati identici (equivalenti) limitatamente ai fini della valutazione dei fenomeni legati alla distribuzione fondamentale del campo al traferro.

(1)

In verità, nella relazione (4.8) dovrebbe comparire il coefficiente di avvolgimento anziché quello di distribuzione. Non si ritiene utile aggiungere altro sull’argomento

185

PROF. ANDREA CAVAGNINO

4.2.3 – Avvolgimenti a più coppie polari. Nelle analisi fin qui svolte si è sempre ipotizzato di trattare con avvolgimenti costituiti da spire diametrali. Per questi avvolgimenti si è osservato che la distribuzione di f.m.m. generata al traferro presenta una unica alternanza di segno; l’avvolgimento viene detto, in questo caso, avvolgimento ad una coppia polare (p = numero paia poli =1). Per motivi che saranno più chiari in seguito, nelle macchine a campo rotante vengono spesso impiegati avvolgimenti dotati di più coppie polari (p > 1). In questo caso la distribuzione di f.m.m. presenta più alternanze di segno in un giro completo. Ne consegue che lungo la circonferenza del traferro sono ravvisabili più coppie polarità di magnetiche Nord-Sud. Nella forma più semplice le polarità dell’avvolgimento vengono realizzate per ripetizione ciclica lungo il traferro della disposizione dei tratti attivi di un avvolgimento ad una coppia polare secondo un procedimento di principio schematizzato nella figura seguente.

β/3

β/2 β

ideale di realizzazione di un P=Processo 1 P=2avvolgimento a p coppie polari per P=3 deformazione dell’avvolgimento ad una coppia polare

Nella figura seguente vengono rappresentate le linee di campo al traferro e la distribuzione di F.m.m per un avvolgimento a due poli formato di N1 spire in serie. Avvolgimento p=2

Fondamentale N1I/4

α

µr>>1

α

µr>>1

N1I/π

0

π



Linee di campo

F.m.m. e linee di campo di un avvolgimento a 2 coppie polari

Immaginando di collegare in serie i p avvolgimenti, in modo che i conduttori attivi siano attraversati dalla stessa corrente I, e indicando con N1 il numero complessivo di spire utilizzate per realizzare l’avvolgimento a p coppie polari, l’espressione generale della distribuzione fondamentale di f.m.m., prodotta da un avvolgimento a p coppie polari, può essere posta nella seguente forma generale. 186

MACCHINE ELETTRICHE A fondamentale = K d ⋅

2 N1 ⋅ I π p

(4.10)

Per quanto concerne il calcolo del coefficiente di distribuzione Kd, occorre osservare che l’angolo β, introdotto dallo sfasamento delle cave, deve essere valutato non più in termini di rotazione geometrica, bensì in termini di rotazione elettrica. A questo scopo è utile introdurre il concetto di angolo elettrico come prodotto del valore geometrico di β per il numero di coppie polari: βe = p ⋅ β

(4.11)

Il coefficiente di avvolgimento per un avvolgimento a p coppie polari mantiene la stessa espressione formale ricavata nel caso di macchina a 2 poli (p = 1), se all’angolo geometrico β si sostituisce l’angolo elettrico βe . Le relazioni (4.7), (4.8) e (4.9), che descrivono la distribuzione fondamentale di f.m.m. per una sola coppia polare, possono essere riscritte nella seguente forma più generale, che tiene conto del numero di polarità elettriche dell’avvolgimento. Kd =

sin (q ⋅ β e / 2 ) q ⋅ sin (β e / 2 )

Coefficiente di avvolgimento

(4.12)

2 N1 ⋅ π p

Numero equivalente di spire

(4.13)

N1' = K d ⋅

A fondamentale (α ) = N1' ⋅ I ⋅ sin ( p ⋅ α ) Distribuzione fondamentale di f.m.m. (4.14) L’introduzione del concetto di angolo elettrico è estremamente utile, in quanto consente di ricondurre lo studio di un avvolgimento a p coppie polari allo studio di un avvolgimento a una sola coppia polare. Tutte le relazioni, che coinvolgono funzioni angolari di angoli al traferro (α, β, etc.) nella descrizione della distribuzione della f.m.m. relativa alla macchina a 2 poli, risultano ancora valide per avvolgimenti a più coppie polari se, al posto dell’angolo ‘meccanico’, si introduce l’angolo elettrico.

187

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4.2.4 – Relazione tra distribuzione di F.m.m e campo al traferro Nella trattazione seguente verranno introdotte alcune ipotesi semplificative relative alla produzione di campo magnetico al traferro come conseguenza della presenza di una distribuzione di f.m.m. generata da uno o più avvolgimenti eccitati. In primo luogo si ritiene di poter trascurare l’effetto della saturazione magnetica del ferro che costituisce la struttura magnetica della macchina. In tal caso la distribuzione di f.m.m. considerata al capitolo precedente deve compensare esclusivamente la caduta di tensione magnetica attraverso il traferro. In secondo luogo si suppone che la struttura magnetica stessa sia isotropa, cioè presenti lo stesso spessore di traferro in tutte le direzioni: macchina a traferro costante. Sotto queste condizioni è usualmente possibile scrivere una relazione semplice tra distribuzione di f.m.m. e distribuzione di induzione magnetica lungo la circonferenza di traferro esprimibile nella forma seguente: Bt (α ) = µ 0 ⋅ H t (α ) = µ 0 ⋅

A(α ) lt

(4.15)

Se lo spessore lt di traferro fosse realmente costante con la coordinata α, le due distribuzioni di f.m.m. e di campo sarebbero simili come illustrato dalla relazione (4.15). In questa situazione l’ampiezza della fondamentale di induzione al traferro vale: Bˆ t fondamentale = µ 0 ⋅ Hˆ t fondamentale = µ 0 ⋅

Aˆ fondametale

(4.16)

lt

Con il simbolo ∧ si esprimono le ampiezze massime delle relative distribuzioni sinusoidali spaziali. Nella realtà, le cave che ospitano gli avvolgimenti non presentano una apertura trascurabile e di conseguenza la lunghezza equivalente di traferro da inserire nella (4.15) risulta anch’essa funzione di α. In corrispondenza dell’apertura di una cava il campo magnetico si indebolisce rispetto alla mezzeria del dente (parte in ferro tra due cave consecutive). Immaginando scanalata una sola delle superfici del traferro, e ritenendo liscia l’altra, un andamento qualitativo della forza magnetomotrice e del campo magnetico al traferro è riportato qui di seguito.

Fondamentale della f.m.m. Distribuzione della f.m.m. Distribuzione reale del campo Fondamentale del campo α 0

30

60

90

120

150

180

210

240

270

300

330

Effetto dell’apertura delle cave sul tracciato del campo magnetico al traferro.

188

360

MACCHINE ELETTRICHE La figura precedente indica che, mentre la distribuzione di F.m.m resta sempre la classica gradinata (la cui fondamentale si può valutare con le relazioni fornite ai paragrafi precedenti), l’andamento del tracciato di campo presenta dei “buchi” a causa della presenza delle cave. Ne consegue che tale distribuzione avrà una fondamentale inferiore a quella calcolabile tramite la (4.16). Nella pratica, si tiene conto di questa diminuzione di fondamentale di campo tramite un coefficiente moltiplicativo (> 1) applicato alla lunghezza geometrica di traferro. Ovvero, dal punto di vista delle fondamentali, si suppone che la presenza delle cave porti ad un aumento della lunghezza equivalente di traferro. Tale coefficiente è noto con il nome di coefficiente di Carter Kc; una formulazione del fattore di Carter può essere reperita sui testi di costruzioni elettromeccaniche. Sulla base di quanto esposto la fondamentale di induzione al traferro dovrà essere valutata secondo la (4.17). Bˆ t fondamentale = µ 0 ⋅ Hˆ t fondamentale = µ 0 ⋅

Aˆ fondametale K c ⋅ lt

(4.17)

189

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4.2.5 – Rappresentazione vettoriale delle distribuzioni spaziali al traferro create da un avvolgimento distribuito. Le distribuzioni fondamentali di F.m.m. e di campo magnetico lungo il traferro possono, in quanto sinusoidi, essere rappresentati da dei vettori spaziali. Si noti subito che un vettore spaziale non è una fasore. Il vettore spaziale descrive una distribuzione spaziale lungo il traferro, mentre un fasore descrive una grandezza sinusoidale nel tempo. Si consideri l’avvolgimento distribuito di N1 spire rappresentato in figura. Inviando una corrente con il segno specificato, le linee di campo hanno l’andamento indicato (regola della mano destra). Il massimo positivo della distribuzione fondamentale di F.m.m e di campo al traferro si trova per α = 90°, cioè sull’asse dell’avvolgimento (paragrafo 4.2.1 e 4.2.4). Si ricorda che la convenzione di segno è scelta in modo da considerare positiva la distribuzione di f.m.m., quando le linee di campo vanno da statore a rotore. Il vettore spaziale del campo magnetico si disegna sull’asse dell’avvolgimento, con il verso della freccia diretto verso il massimo positivo della fondamentale. Invertendo il segno di corrente nell’avvolgimento, si inverte il verso del vettore spaziale. N1 conduttori di andata distribuiti in q cave

Asse dell’avvolgimento N1 conduttori di ritorno distribuiti in q cave Piano dell’avvolgimento

+I

-I

α

Ht Vettore spaziale rappresentante la distribuzione spaziale di campo magnetico al traferro per un avvolgimento distribuito

Si ricorda che l’ampiezza massima delle distribuzioni fondamentali al traferro si calcolano nel seguente modo: ) ) A fondamentale = N1' ⋅ I ) ) N1' ⋅ I H t fondamentale = lt

Generalmente, per evitare di disegnare l’avvolgimento distribuito sul cerchio di traferro, si ricorre a due possibili rappresentazioni schematiche. In particolare, si adotta una delle seguenti rappresentazioni: Spira simbolo (posizionata sul piano dell’avvolgimento). Avvolgimento “concentrato” (posizionato sull’asse dell’avvolgimento). 190

MACCHINE ELETTRICHE

b)

a) N1’ α α

Ht sen(α)

Ht sen(α)

α Ht

α Ht

N1’ a) b)

Rappresentazione di un avvolgimento distribuito mediante spira simbolo posizionata sul piano dell’avvolgimento mediante avvolgimento concentrato posizionato sull’asse dell’avvolgimento

+I

In figura sono illustrate le due possibilità di rappresentazione dell’avvolgimento distribuito. A fronte di una corrente positiva il vettore campo risulta orientato come illustrato in figura. Si noti che compito dell’avvolgimento è di generare una fondamentale di campo al traferro. Per tale ragione è caratterizzato dal numero di spire equivalenti N1’ ai fini della produzione di F.m.m. (vedi figura). La rappresentazione della fondamentale del campo magnetico al traferro tramite un vettore spaziale risulta molto utile quando ci sono più avvolgimenti eccitati nella macchina. Grazie all’ipotesi di linearità magnetica, il campo risultante generato da tutti gli avvolgimenti si ottiene componendo i vettori spaziali dei singoli avvolgimenti. Si ricorda invece che, anche in presenza di fenomeni di saturazione, è sempre possibile comporre i vettori spaziali di F.m.m al traferro.

191

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4.3 – Campo magnetico al traferro generato da un avvolgimento distribuito alimentato in corrente alternata. Fino ad ora la corrente inviata nell’avvolgimento distribuito era supposta continua, cioè di valore costante nel tempo. La distribuzione spaziale di campo al traferro prodotta dalla corrente rimane quindi fissa nello spazio ad ogni istante di tempo. Si ricorda che per un avvolgimento a p coppie polari tale distribuzione vale: N1' ⋅ I ⋅ sin ( p ⋅ α ) H t fondamentale (α ) = lt

(4.18)

Si supponga ora di inviare nell’avvolgimento una corrente sinusoidale del tipo: ) i (t ) = 2 ⋅ I ⋅ cos(2 ⋅ π ⋅ f ⋅ t ) = I ⋅ cos(ω ⋅ t )

(4.19)

dove I rappresenta il valore efficace della corrente. La distribuzione spaziale del campo al traferro verrà a dipendere, istante per istante, dal valore della corrente. Formalmente basta sostituire l’espressione (4.19) nella (4.18). ) N1' ⋅ I ⋅ sin ( p ⋅ α ) ⋅ cos(ω ⋅ t ) (4.20) H t fondamentale (α, t ) = lt La (4.20) indica che il valore del campo in un certo punto α lungo il traferro varia con il valore istantaneo di corrente. La figura a lato illustra la variazione del vettore spaziale di campo al traferro al variare della corrente nel tempo. Si noti che l’ampiezza ed il verso del vettore pulsano alla frequenza f della corrente, ma la direzione rimane quella dell’asse dell’avvolgimento. Quindi i massimi della sinusoide spaziale di campo al traferro si trovano sempre sull’asse dell’avvolgimento. Nella figura Ht max rappresenta il valore del campo per la massima corrente positiva.

i(t) t Ht max α

La relazione (4.20) può essere riscritta in un modo diverso ricordando la relazione sin ( x ) ⋅ cos( y ) =

1 [sin (x + y ) + sin (x − y )] 2

Si ottiene: ) ) N1' ⋅ I N1' ⋅ I ⋅ sin ( p ⋅ α − ω ⋅ t ) ⋅ sin ( p ⋅ α + ω ⋅ t ) + H t fondamentale (α, t ) = 2 ⋅ lt 2 ⋅ lt

(4.21)

La (4.21) permette di scrivere il campo pulsante al traferro come la somma di due funzioni che dipendono dal tempo e dallo spazio. È noto dai corsi di fisica che tali funzioni sono delle onde, cioè delle sinusoidi di ampiezza costante i cui zeri si muovono (nel caso in studio ruotano al traferro) nello spazio ad una certa velocità. 192

MACCHINE ELETTRICHE La velocità di rotazione di queste due onde si può determinare valutandone la posizione degli zeri, come indicato qui di seguito: Prima onda: sin ( p ⋅ α + ω ⋅ t )



p ⋅ α* + ω ⋅ t = 0

⇒ α* = −

ω⋅t p



dα * ω =− dt p



dα * ω =+ dt p

Seconda onda sin ( p ⋅ α − ω ⋅ t )



ω⋅t ⇒ α =+ p

*

*

p ⋅ α − ω⋅t = 0

Le due onde ruotano quindi alla stessa velocità ma in versi diversi. Si parla, in gergo, di due campi controrotanti. La velocità di rotazione risulta pari alla pulsazione della corrente di alimentazione dell’avvolgimento divisa per il numero di paia poli. La trasformazione trigonometrica usata in precedenza dimostra che un campo magnetico con distribuzione sinusoidale fissa nello spazio e pulsante sinusoidalmente nel tempo può essere scomposto in due onde controrotanti di campo magnetico di ampiezza costante nel tempo (pari a metà dell’ampiezza di Ht max). La figura seguente illustra la trasformazione usata in termini di vettori spaziali, dove H + e H sono i due campi controrotanti riportati a secondo membro dell’equazione (4.21).

i(t) t Ht max



H

+

Ht H

-



H



+

H-ω

H+

Ht = 0





H+ω H+

-ω H-

Ht

-ω H-

+ω H+ Ht max

Rappresentazioni di un campo sinusoidale pulsante al traferro in termini di due campi sinusoidali controrotanti di ampiezza fissa.

193

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4.4 – Campo magnetico al traferro generato da un avvolgimento polifase (trifase) alimentato in corrente alternata – Campo magnetico rotante. Nei motori elettrici, come nei generatori in c.a., l’avvolgimento disposto sullo statore è nella grande maggioranza dei casi un avvolgimento trifase. In questo caso il numero di cave di statore è tipicamente multiplo di 6 e del numero di paia poli p:

NS = 6 ⋅ q ⋅ p in modo da poter ospitare 3 avvolgimenti monofase identici distribuiti ciascuno su 2q cave per polo e con assi di simmetria sfasati di 120° secondo lo schema simbolico di figura. Si ossevi che alla q cave di andata e di ritorno di una singola fase competono sempre 60° elettrici, mentre in angoli meccanici corrispondono 60°/p. 1 i1(t)

120° 120°

i2(t)

120°

2

i3(t)

3

Disposizione una coppia polare completa di un avvolgimento trifase

Si supponga l’avvolgimento trifase formato da tre avvolgimenti monofase (fasi) identici tra loro e sfasati di 120° elettrici. Ogni fase sia caratterizzata dallo stesso numero N1 di spire in serie, dallo stesso numero di poli e quindi dallo stesso numero di spire equivalenti N1’ ai fini della produzione di forza magnetomotrice al traferro (vedi relazione (4.13)). Le tre fasi siano percorse da una terna simmetrica di correnti sinusoidali: 2π   ik +1 (t ) = Iˆ cos ω ⋅ t − k ⋅ ; 3  

k = 0,1,2

(4.22)

e siano disposte sequenzialmente lungo il traferro, come illustrato nella precedente figura. Si consideri esclusivamente la distribuzione fondamentale di F.m.m. prodotta al traferro da ciascuna fase. Scegliendo opportunamente l’origine della coordinata angolare α, per il generico avvolgimento di fase di ordine k si ha: 2π   Ak +1 (α, t ) = N1' sin  p ⋅ α − k  ⋅ ik (t ); 3  

194

N'= Kd ⋅

2 N1 π p

(4.23)

MACCHINE ELETTRICHE Da quanti riportato al paragrafo precedente, la (4.23) rappresenta un’onda sinusoidale di F.m.m. stazionaria nello spazio e di ampiezza variabile nel tempo in proporzione al valore istantaneo ik(t) della corrente che la genera. Tale onda spaziale presenta il suo massimo in corrispondenza dell’asse dell’avvolgimento della fase considerata e, se la corrente varia sinusoidalmente con pulsazione ω , l’ampiezza di quest’onda varia nel tempo con legge sinusoidale di pulsazione ω . Ciascuna fase dell’avvolgimento genera, in questo modo, una propria onda di f.m.m. dislocata lungo il traferro in relazione alla sua posizione spaziale, e pulsante con una legge temporale regolata dalla corrispondente corrente. L’azione risultante in termini di F.m.m. al traferro è ottenibile come somma spazio-temporale delle singole azioni e la relativa distribuzione di induzione, è descritta dalla seguente relazione: µ 2π  2π    Bt (α, t ) = 0 N1' ⋅ Iˆ ∑ sin  p ⋅ α − k   ⋅ cos ω ⋅ t − k 3  lt 3    k = 0,1, 2

(4.24)

Riapplicando ad ogni prodotto della sommatoria la trasformazione trigonometrica usata al paragrafo precedente si ottiene, dopo alcuni semplici passaggi, la seguente espressione: 3 µ0 ⋅ ⋅ N1' ⋅ Iˆ ⋅ sin ( pα − ω ⋅ t ) (4.25) 2 lt Tale espressione fornisce la descrizione, in funzione della coordinata α e del tempo t, dell’induzione al traferro. La relazione (4.25) è ancora l’equazione di un’onda a distribuzione sinusoidale lungo il traferro, ma quest’onda non è più stazionaria e la sua fase spaziale varia nel tempo con legge ω t/p. Quindi la (4.25) sintetizza il concetto di campo magnetico rotante. Bt (α, t ) =

Bt t=0 t=t1

t=t2

α

ω t1/p

ω t2/p

Rappresentazione della rotazione dell’onda di induzione lungo il traferro

Per quanto osservato e con l’ausilio della figura si può asserire che l’onda di campo, prodotta da un avvolgimento trifase alimentato con una terna simmetrica di correnti alternate sinusoidali di pulsazione ω, ruota lungo il traferro con velocità angolare pari alla pulsazione delle correnti diviso il numero di paia poli. In particolare, le espressioni (4.23) e (4.25) evidenziano i seguenti aspetti: A parità di numero complessivo di spire, l’ampiezza dell’onda di f.m.m. prodotta dall’avvolgimento è inversamente proporzionale al numero di coppie polari. Un avvolgimento trifase, a p coppie polari, produce al traferro un campo magnetico dotato dello stesso numero di polarità dell’avvolgimento. L’onda di campo viaggia lungo il traferro con una velocità angolare ω/p (nello studio delle macchine rotanti in alternata tale velocità viene chiamata velocità di sincronismo, ωs). 195

PROF. ANDREA CAVAGNINO Come conseguenza si può affermare che la velocità del campo rotante può essere impostata, sia pure in modo discreto, attraverso la scelta di un opportuno numero di coppie polari dell’avvolgimento. Questo aspetto riveste una particolare importanza dal punto di vista tecnico, come sarà chiaro nello studio del funzionamento delle principali macchine a campo rotante. Fase 1 Â

Distribuzione Bt(α,t)

ωt

i1(t)

Bt

Î

i1(t)

i2(t) i3(t) Fase 2

Fase 3

L’onda fondamentale di induzione generata dall’avvolgimento polifase, come qualunque distribuzione sinusoidale (e come già fattto per la distribuzione sinusoidale di campo al traferro), può convenientemente essere rappresentata simbolicamente attraverso un vettore. Sia Bt il vettore associato alla sinusoide del campo al traferro; il modulo di questo vettore sia uguale all’ampiezza della distribuzione spaziale e il suo orientamento corrisponda alla posizione del massimo della distribuzione come illustrato in Figura. Con lo stesso procedimento può essere definito il vettore A, rappresentativo della distribuzione sinusoidale di F.m.m. che dà origine all’onda di induzione. Tra i due vettori A e Bt intercorre, in condizioni di linearità magnetica, la seguente relazione: µ Bˆ t = 0 A lt

(4.26)

In una macchina a traferro costante i vettori A e Bt sono in fase tra loro. Il vettore A è determinato, in modulo e fase, dall’ampiezza e dalla posizione della distribuzione fondamentale di f.m.m. prodotta dall’avvolgimento polifase. Esso è dipendente, quindi, dall’ampiezza e dalla fase temporale del sistema simmetrico delle correnti che alimentano l’avvolgimento. Alla luce di quest’ultima osservazione si può introdurre convenzionalmente nel diagramma di figura un vettore I, in fase con il vettore A e legato ad esso dalla seguente relazione, dove m è il numero delle fasi: ˆ = m N ' ⋅ Iˆ A 1 2

(4.27)

Il significato attribuibile a questo nuovo vettore è diverso da quello dei vettori A e Bt; mentre questi descrivono distribuzioni spaziali lungo il traferro delle corrispondenti grandezze, il nuovo vettore I è suscettibile di una diversa interpretazione geometrica: esso rappresenta con le sue proiezioni sugli assi delle singole fasi dell’avvolgimento polifase i valori istantanei delle rispettive correnti. 196

MACCHINE ELETTRICHE La trasformazione trigonometrica che permette di scrivere la (4.25) può essere interpretata graficamente tramite i vettori spaziali (in particolare tramite i due vettori controrotanti di ogni fase) come illustrato nella figura seguente. Per comodità grafiche conviene riferirsi all’istante di tempo t = 0. Le correnti istantanee valgono, coerentemente con la (4.22): i1 (0 ) = Iˆ;

i2 (0 ) = − Iˆ 2 ;

i3 (0 ) = − Iˆ 2 ;

Per decidere il verso di rotazione dei vettori controrotanti, si osservi che all’istante t = 0+, la corrente i1(t) diminuisce leggermente mantenendosi positiva, la corrente i2(t) aumenta (risultando “meno” negativa) e la corrente i3(t) diminuisce (risultando “più” negativa).

i1(0)

B1 +

B

B -1

1



-ω B+3

B+2 B2



B3

-ω B -2

B -3

+ω -ω

i2(0)

i3(0)

B1+

B -1

+ω B+2 +ω +ω

B+3

-ω Bt=3/2 B1 max

Somma nulla in ogni punto α del traferro

-ω B -3



B -2

Genesi del campo rotante dalla composizione dei campi pulsanti di ogni fase

197

PROF. ANDREA CAVAGNINO

4.4.1 – Cenni sul campo rotante in avvolgimenti a gabbia L’avvolgimento a gabbia di scoiattolo viene utilizzato nella costruzione dell’avvolgimento rotorico nei motori asincroni. Una sua Sbarre schematizzazione è riportata in figura. La gabbia di scoiattolo è classificabile come un caso atipico d’avvolgimento polifase. Infatti ogni conduttore (sbarra) della gabbia è percorso da una propria corrente, diversa da quelle che percorrono i conduttori vicini, ed è per questo interpretabile come fase dell’avvolgimento. Un avvolgimento a gabbia è, da questo punto Anelli di vista, un avvolgimento polifase caratterizzato da un numero di fasi m uguale Gabbia di scoiattolo al numero di sbarre NR e ciascuna fase è costituita da un unico conduttore (numero di conduttori in serie per fase Zf = Zc= 1). Inoltre l’avvolgimento a gabbia non possiede un numero di polarità proprio, come accade per un avvolgimento tradizionale. Il sistema di correnti, che percorrono i conduttori, è indotto dal campo rotante al traferro, prodotto generalmente da un altro avvolgimento di tipo convenzionale, e ne riflette automaticamente il numero di coppie polari p. In questa trattazione ci limiteremo ad analizzare gli effetti magnetici, prodotti da questa struttura, quando le sbarre siano percorse da un sistema di correnti indotte da una campo con una coppia di paia poli. Per valutare la distribuzione fondamentale di f.m.m. prodotta complessivamente dalla gabbia, si supponga che le NR sbarre siano percorse da un sistema polifase regolare di correnti di sequenza:  2π ik (t ) = Iˆ cos ω ⋅ t − k ⋅ NR 

 ; 

k = 0,1,2,3, L , N R − 1

(4.28)

occorre sommare i contributi fondamentali di f.m.m. prodotti ciascuna sbarra:  2π   ⋅ ik (t ); Ak (α, t ) = N1' ⋅ sin  α − k N R  

N1' =

1 π

(4.29)

Si ricorda che il numero N’1 è il numero di spire equivalenti, ai fini della produzione dell’onda fondamentale di f.m.m., ad una singola sbarra della gabbia. Operando in modo analogo al caso dell’avvolgimento trifase, la distribuzione fondamentale di induzione al traferro può essere descritta dalla seguente relazione:   µ0 ' ˆ 2π  2π   ⋅ cos ω ⋅ t − k  sin  α − k N1 ⋅ I ∑ lt N N R R  k =0,1,2..N R −1  e il risultato dei calcoli fornisce la seguente espressione per l’onda fondamentale di f.m.m. prodotta dalla gabbia. Bt ,

Bt ,

198

NR

NR

(α, t ) =

(α, t ) =

N R µ0 ' ˆ N1 ⋅ I sin (α − ω ⋅ t ) 2 lt

(4.30)

MACCHINE ELETTRICHE Tale espressione è formalmente simile alla (4.25), eccezion fatta per il coefficiente NR /2, che sostituisce il coefficiente 3/2 dell’avvolgimento trifase. In effetti, la gabbia si comporta come un avvolgimento polifase formato da NR fasi, costituite ciascuna da un unico tratto attivo. La trattazione, nel caso in cui il numero di coppie polari del campo induttore, che origina le correnti di sbarra, fosse uguale a p, porterebbe alla seguente formulazione del campo rotante: Bt , N R (α, t ) =

N R µ0 1 ˆ ⋅ I sin ( pα − ω ⋅ t ) 2 lt π ⋅ p

(4.31)

.

4.5 – Flusso di macchina Si definisce flusso di macchina o flusso di un polo il valore del flusso della componente fondamentale della distribuzione di induzione al traferro attraverso la superficie relativa ad un polo magnetico. Se Bt è l’ampiezza della distribuzione e Rt ed La sono rispettivamente raggio al traferro e lunghezza attiva dei conduttori, nel caso della macchina a una coppia polare si può scrivere: π

ˆ u = Bˆ t sinα ⋅ Rt La dα ; Φ ∫

ˆ u = Bˆ t ⋅ 2 Rt La Φ

(4.32)

0

Se la macchina possiede p coppie polari il flusso di macchina vale: π

ˆu = Φ

P

∫ Bˆ t sin pα ⋅ Rt La dα;

0

ˆ u = Bˆ t ⋅ 2 Rt La Φ p

(4.33)

Tale flusso viene anche definito flusso utile al traferro, per il motivo che ad esso possono essere imputate le azioni di conversione dell’energia elettrica operate dalle macchine a campo rotante. Anche il flusso utile può essere rappresentato convenzionalmente con un vettore che risulta orientato come il vettore Bt.

Φu Bt

Φu

Bt(α)

Bˆ t

Bt

α passo polare

Definizione del flusso utile al traferro e sua rappresentazione vettoriale

199

Capitolo

5 IL MOTORE ASINCRONO 5.1 – Generalità e caratteristiche costruttive La macchina asincrona utilizza il principio del campo rotante introdotto da Galileo Ferraris nel 1885. Il campo magnetico, prodotto da un avvolgimento polifase ancorato ad una struttura magnetica fissa (statore), induce un sistema di f.e.m. e di correnti in un avvolgimento polifase ancorato alla struttura magnetica mobile (rotore). L’interazione tra il campo rotante ed il sistema di correnti rotoriche indotte produce un effetto meccanico di trascinamento del rotore. Questo effetto si esplica attraverso la generazione di una coppia motrice che tende a sincronizzare il rotore con il campo rotante induttore. Naturalmente, qualora il rotore risultasse possedere la stessa velocità del campo di statore (generalmente indicata con il termine velocità di sincronismo, ωs), verrebbero meno i fenomeni di induzione e la stessa coppia motrice si annullerebbe. Questa macchina necessita, per poter attuare la conversione elettromeccanica, della presenza di uno scorrimento tra rotore e campo: di qui il nome di macchina asincrona. Come tutte le altre macchine elettriche, anche la macchina asincrona può funzionare sia da motore, sia da generatore elettrico. Quest’ultima possibilità richiede, tuttavia, che la macchina sia allacciata ad una rete in grado di provvedere alla generazione del campo rotante e che il rotore sia trascinato a velocità ipersincrona attraverso l’impiego di un motore primo. Oggi la macchina asincrona trova le sue principali applicazioni come motore elettrico: si parla quindi di motore asincrono o motore a induzione. I motori a induzione sono tra i motori elettrici più diffusi nel campo dello sfruttamento industriale dell’energia elettrica a fini meccanici. Nei paesi industrializzati si stima che una percentuale compresa tra il 40% ed il 60% dell’energia elettrica globalmente prodotta venga utilizzata dai motori a induzione.

5.1.1 – Aspetti costruttivi Struttura magnetica I motori asincroni presentano una struttura magnetica, destinata a contenere il flusso generato dagli avvolgimenti, realizzata in ferro laminato (vedi figura seguente). Tale struttura magnetica è costituita in due parti concentriche, mobili l’una rispetto all’altra, separate da un sottile strato d’aria denominato traferro. La parte esterna, solitamente fissa, viene chiamata statore. La parte interna, mobile e solidale con l’albero del motore, viene detta rotore. 201

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Corona statore

Cave rotore Carcassa

Corona rotore Foro

Raggio traferro Cave statore

Struttura magnetica di un motore asincrono

Sia lo statore che il rotore presentano, lungo il traferro, le scanalature destinate a contenere gli avvolgimenti della macchina. Tali scanalature vengono chiamate cave. Le parti in ferro tra due cave contigue vengono chiamate denti e servono per convogliare il flusso dal traferro alle corone di statore o rotore. A volte le corone sono chiamate gioghi. Le due parti vengono tranciate direttamente, o in passi successivi, sulla stessa lamiera; i dischi così ottenuti, completi di cave e di fori, vengono impilati nel numero sufficiente a ottenere la lunghezza desiderata del motore. Le due pile di lamiere di statore e di rotore vengono dette comunemente pacco statorico e pacco rotorico. Entrambi i pacchi possono essere continui o, nelle taglie più grandi, interrotti da canali di ventilazione trasversali. Il pacco rotorico viene reso solidale all’albero (accoppiamento a chiavetta, a giunto mille righe , etc.) mentre il pacco statorico è inserito con forzamento a caldo o con altri collegamenti in una carcassa metallica (acciaio, ghisa, alluminio). Tale carcassa è quasi sempre alettata al fine di favorire lo smaltimento del calore, anche grazie ad un flusso assiale di aria prodotto da una ventola solidale all’albero del motore. Molto spesso, per motivi legati alla soppressione o riduzione di disturbi di funzionamento del motore, al pacco di lamiere di rotore (più raramente al pacco di statore) viene data una rotazione continua in modo che ciascun lamierino si presenti leggermente ruotato di un piccolo angolo rispetto al precedente. In tal modo si ottengono strutture dette a cave inclinate. In assenza di questa operazione si parla di pacco a cave diritte. Avvolgimenti Tipicamente un motore asincrono industriale possiede un avvolgimento di tipo trifase sullo statore ed un avvolgimento trifase o una gabbia di scoiattolo sul rotore. L’avvolgimento di statore è tipicamente organizzato in bobine preformate in filo o in piattina di rame smaltato. I lati delle bobine (tratti attivi) vengono inseriti nelle cave attraverso le aperture che devono avere larghezza adeguata a favorire l’operazione. I principi e le fini di ciascuna fase vengono riportati alla morsettiera, posta sulla carcassa, in modo sfalsato, come illustrato nella figura seguente.

202

MACCHINE ELETTRICHE

W2 U1

U2 V1

V2

U1

V1

W1

W2

U2

V2

Collegamenti di morsettiera

W1

Sistema degli avvolgimenti statorici e disposizione dei morsetti in morsettiera

In questa maniera è possibile collegare le tre fasi nella configurazione a stella ( connessione a tratto continuo in figura) ovvero a triangolo (connessione a tratteggio nella stessa figura). Il motore può essere alimentato con tensioni diverse. Ad esempio, se le fasi sono dimensionate singolarmente per una tensione di 230 V, il motore connesso a triangolo potrà essere alimentato da una rete trifase con tensione di linea (concatenata) pari a 230 V; se il motore è invece collegato a stella, potrà essere alimentato da una rete trifase a 400 V concatenati. La duplice possibilità di collegamento Y/D può inoltre essere utilizzata per risolvere alcuni problemi di avviamento, come sarà illustrato in seguito. Nella figura precedente si possono osservare le testate di avvolgimento o connessioni frontali, cioè i tratti di avvolgimento che non sono inseriti all’interno delle cave. Questi conduttori hanno il compito di richiudere opportunamente le spire per realizzare la distribuzione voluta di corrente nei tratti attivi di avvolgimento. Le testate non servono quindi per la conversione elettromeccanica dell’energia che si attua al traferro della macchina. Per quanto riguarda il rotore esistono due tipologie di avvolgimento. Rotore avvolto Rotore a gabbia Nel primo caso l’avvolgimento è tipicamente trifase e deve avere lo stesso numero di polarità dello statore; anch’esso è organizzato in bobine inserite nelle cave di rotore. In questo caso le cave rotoriche devono essere del tipo aperto o semichiuso, come illustrato alla fine di questo paragrafo. Nei motori a rotore avvolto viene sfruttata la possibilità di accedere agli avvolgimenti rotorici attraverso dei contatti striscianti (spazzole) e degli anelli a cui fanno capo i terminali liberi delle tre fasi di rotore, come illustrato schematicamente in figura. Legature di testata anelli Pacco di rotore a cave inclinate

Testate dell’avvolgimento Configurazione di principio di un rotore avvolto.

203

PROF. ANDREA CAVAGNINO Questa soluzione costruttiva, abbastanza in uso in passato, è oggi praticamente abbandonata nei motori industriali. Motori asincroni a rotore avvolto vengono ancora costruiti esclusivamente per grosse taglie di potenza, laddove si pensi di realizzare una regolazione di velocità del motore con interventi sull’avvolgimento rotorico. Oggi, nel campo delle applicazioni industriali, la tipologia di motori a induzione più impiegata prevede la versione a gabbia di scoiattolo dell’avvolgimento rotorico.

Anelli di corto-circuito Alette di ventilazione interna

Motore con rotore a gabbia presso-fusa

Il nome di questo tipo di avvolgimento derivata dall’idea che se si eliminassero i lamierini di rotore, le sbarre e gli anelli di cortocircuito relizzerebbero una struttura simile a quella delle ruote per far giocare i criceti e gli scoiattoli (vedi figura al paragrafo 5.1.2). Tale gabbia viene realizzata, almeno per le taglie di potenza orientativamente inferiori ai 250 kW, in alluminio attraverso un processo di pressofusione. Questo procedimento è estremamente veloce e vantaggioso, in termini economici, per una vasta produzione di serie; esso consiste nell’iniettare alluminio fuso, sotto pressione, nelle scanalature del rotore con l’ausilio di appositi stampi. In questa maniera in un'unica operazione vengono realizzate sia le sbarre che gli anelli terminali di corto circuito della gabbia. La struttura del rotore appare come quella raffigurata in figura. La tecnica di pressofusione permette di realizzare forme di cava anche molto complesse. Il numero di sbarre della gabbia deve essere convenientemente scelto in relazione al numero di poli e di cave dello statore, al fine di ridurre possibili disturbi o irregolarità di funzionamento. La possibili combinazioni sono riportate nella tabella seguente. N. poli N. cave statore 18 14 16 N. cave rotore 22 24 26

Cave di rotore compatibili 2 4 24 30 36 24 36 48 36 16 22 24 18 26 30 26 20 24 28 30 30 40 28 28 37 42 32 42 54 44 29 46 34 46 58 45 30 62 46 32

6 54 38 40 64 68 70 72

8 72 36 48 52 44 34 56 46 36 58 38 92 60 94

72 54 58 86 90 96

Nel caso di motori asincroni ‘general purpose’, si ricorre spesso ad un disegno di cava di rotore particolarmente sviluppato in senso radiale (motori a cave profonde), oppure a soluzioni a gabbie multiple concentriche, come illustrato nella figura seguente. Questi accorgimenti consentono di ottenere buone prerogative di avviamento, come verrà spiegato in seguito. 204

MACCHINE ELETTRICHE a)

b)

c)

d)

e)

Forme di cave rotoriche a) cava aperta d) cava profonda

b) cava semichiusa e) cave per doppia gabbia

c) cave chiuse

5.1.2 – Immagini del motore asincrono trifase

Assemblaggio del pacco statorico e dell’avvolgimento di statore

Spaccato di un motore ad induzione a gabbia di scoiatttolo

205

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Esploso di un motore asincrono a gabbia

Motore asincrono a rotore avvolto (a sinistra) ed a gabbia (a destra) Sbarre di rotore

Esempio di gabbia di scoiattolo

Anelli di cortocircuito

206

MACCHINE ELETTRICHE

5.2 – Principio di funzionamento e circuito equivalente Nello studio semplificato del funzionamento a regime della macchina asincrona, affrontato in questo paragrafo, si farà costantemente riferimento, per aderenza alle tipologie di macchine più importanti a livello applicativo, ad uno statore dotato di avvolgimento trifase. Nessuna ipotesi viene fatta circa la connessione a stella o a triangolo delle bobine; tensioni e correnti di statore sono pertanto da intendersi come tensioni e correnti di fase. Per il rotore si tenderà a prescindere dal numero di fasi e l’avvolgimento potrà essere interpretato indifferentemente, sia come avvolgimento trifase, sia come avvolgimento polifase. Occorre ricordare che questa generalità della trattazione è possibile se si accetta di trascurare, dal punto di vista della conversione elettromeccanica dell’energia, gli effetti delle armoniche spaziali di F.m.m prodotte dagli avvolgimenti reali. In altre parole, lo studio considera solo le fondamentali delle distribuzioni spaziali al traferro definite al capitolo 4.

5.2.1 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore fermo Si immagini che l’avvolgimento trifase di statore di una macchina asincrona sia alimentato con una terna simmetrica di tensioni sinusoidali e che esso sia percorso da una corrispondente terna simmetrica di correnti. Sia ω la pulsazione di queste grandezze elettriche. Si supponga, inoltre, che l’avvolgimento di rotore sia aperto e non lasci circolare alcuna corrente. Il campo rotante è quindi prodotto dalle sole correnti di statore. Il flusso di macchina (o flusso utile, Φu), ruotando al traferro indurrà delle forze elettromotrici nei vari avvolgimenti presenti. Infatti ogni avvolgimento vede variare nel tempo il suo flusso concatenato a seguito della rotazione, lungo il traferro, dell’onda di flusso Φu. Si ricorda ancora che l’ampiezza della distribuzione fondamentale di flusso è costante nel tempo. È possibile dimostrare che i flussi concatenati massimi(1) con una fase di statore ed una fase di rotore valgono: λ s max = N s* ⋅ Φ u ;

λ r max = N r* ⋅ Φ u

dove Ns* e Nr* rappresentano rispettivamente il numero di spire equivalenti ai fini della produzione di forza elettromotrice (o del concatenamento di flusso) dell’avvolgimento di statore e di rotore. Si osservi che il concatenamento di flusso da parte di una fase dipende da come la fase stessa è distribuita lungo il traferro. Ne consegue che fenomeni indotti in due cave contigue saranno sfasati temporalmente. Tale osservazione permette di concludere che se le fasi di statore sono sfasate di 120° elettrici nello spazio, i fenomeni indotti nelle stesse sono sfasati di 120° nel tempo. In analogia a quanto visto per il trasformatore (a parte la modalità di concatenamento di flusso appena illustrate), si possono esprimere tali F.e.m indotte nel seguente modo: Forza elettromotrice di statore e s (t ) = +

dλ s (t ) dt



ˆ E s = + j ⋅ ω ⋅ Λ s = + j ⋅ 4.44 ⋅ N s* ⋅ f ⋅ Φ u

(5.1)

Forza elettromotrice di rotore (per ipotesi il rotore è fermo, ωr = 0) er (t ) = −

(1)

dλ r (t ) dt



ˆ E r = − j ⋅ ω ⋅ Λ r = + j ⋅ 4.44 ⋅ N r* ⋅ f ⋅ Φ u

(5.2)

condizione che si verifica quando il vettore spaziale di flusso utile è posizionato sull’asse della fase.

207

PROF. ANDREA CAVAGNINO Le relazioni precedenti rimangono valide anche per un motore a p paia poli. In questo caso i vettori spaziali al traferro ruotano alla velocità ω/p, ma lungo l’intera circonferenza si susseguono p paia poli. Dal punto di vista elettrico, le F.e.m indotte avranno sempre la stessa pulsazione ω = 2πf. In altre parole, la pulsazione delle F.e.m. indotte è pari alla velocità elettrica del campo magnetico rotante (ω = p ωs =2 π f). Le equazioni (5.1) e (5.2) dimostrano che, nelle condizioni di funzionamento specificate (avvolgimento di rotore aperto e rotore fermo), il motore asincrono si comporta esattamente come un trasformatore a vuoto. Si parla di trasformatore a campo rotante. Pregio di questa macchina è la possibilità di variare a piacere il numero di fasi del sistema elettrico secondario, che viene a coincidere con il numero di fasi dell’avvolgimento rotorico. Ovviamente in questo caso l’avvolgimento di rotore deve essere di tipo avvolto (con anelli e spazzole) per collegare il carico elettrico. Nel trasformatore a campo rotante il trasferimento di potenza elettrica tra statore e rotore (entrambi fermi) avviene grazie al campo magnetico rotante al traferro anziché tramite il campo pulsante nel nucleo magnetico di un trasformatore convenzionale (fisso nello spazio). Si noti che per attuare questo trasferimento di potenza, lo statore ed il rotore si scambiano reciprocamente una coppia. Sempre dalle equazioni (5.1) e (5.2) e possibile osservare che il rapporto dei moduli delle tensioni indotte a statore ed a rotore vale: E s N s* = (5.3) E r N r* Per le analogie viste, il funzionamento del motore asincrono nelle condizioni specificate può essere studiato con un circuito equivalente uguale a quello del trasformatore dove il primario si interpreta come statore ed il secondario come rotore. Si osservi ancora l’isofrequenzialità del circuito di statore e rotore.

5.2.2 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore in movimento Si supponga ora di trascinare dall’esterno il rotore ad una velocità ωr. Se l’avvolgimento di rotore è aperto non possono circolare correnti ed il campo magnetico al traferro continua ad essere generato solo dalle correnti di statore. La F.e.m. indotta in una fase di statore rimane inalterata (vedi equazione (5.1)), mentre la (5.2) non è più vera a causa del moto relativo tra il campo magnetico rotante ed il rotore. Si noti che il moto relativo deve essere valutato in termini di “velocità elettrica” e non di “velocità meccanica” in quanto i concatenamenti di flusso dipendono dall’angolo elettrico. Ne consegue che la forza elettromotrice indotta a rotore vale:

E r = − j ⋅ (ω − pω r ) ⋅ Λ r

(5.4)

Il fasore Er possiede una pulsazione diversa da quella del fasore Es. Questi due fasori non possono quindi essere rappresentati in un unico diagramma vettoriale. Si vedrà in seguito come risolvere tale problema. Si definisce scorrimento del rotore il rapporto tra la velocità relativa del campo rotante rispetto al rotore e la velocità del campo rotante stesso (in valore assoluto o percentuale). Nel caso generale di una macchina a p coppie polari la velocità del campo rotante vale ωs = ω /p, quindi lo scorrimento è dato da: s=

208

ω − p ⋅ ωr ω p − ωr ω s − ωr = ; = ω p ωs ω

s% =

ωs − ωr ⋅ 100 ωs

(5.5)

MACCHINE ELETTRICHE Il concetto di scorrimento rappresenta una grandezza fondamentale nello studio della macchina asincrona. Due particolari valori di scorrimento assumono una certa importanza: il valore s = 0 corrispondente alla rotazione del rotore sincrona con il campo ωr = ω/p; il valore s = 1 corrispondente alla condizione di rotore fermo ωr = 0 La velocità relativa del campo rotante rispetto al rotore viene comunemente detta anche velocità di scorrimento ed è data da: ω sc =

ω − ωr p

velocità di scorrimento meccanica

(5.6)

Le grandezze elettriche (tensioni, correnti), indotte dal campo rotante negli avvolgimenti rotorici presentano una pulsazione denominata pulsazione di scorrimento, proporzionale alla velocità di scorrimento e al numero di coppie polari p del campo al traferro. Questa pulsazione vale: sω = ω − p ⋅ ω r

pulsazione elettrica di scorrimento

(5.7)

Grazie alla definizione di pulsazione di scorrimento la F.e.m. indotta a rotore può essere scritta come: ˆu E r = − j ⋅ (ω − pω r ) ⋅ Λ r = − j ⋅ s ⋅ ω ⋅ Λ r = − j ⋅ 4.44 ⋅ N r* ⋅ (s ⋅ f ) ⋅ Φ

(5.8)

La (5.8) dimostra che l’ampiezza della F.e.m. indotta nell’avvolgimento di rotore varia linearmente con lo scorrimento e la sua pulsazione corrisponde alla pulsazione di scorrimento sω. Ovvero i fenomeni indotti a rotore sono ad una frequenza pari a s·f, dove f è la frequenza di alimentazione dello statore. Nella pratica, la velocità di sincronismo del campo rotante viene espressa in giri al minuto (ns in [rpm]) e può essere calcolata nel seguente modo: ωs =

ω 2 ⋅ π ⋅ f 2 ⋅ π ⋅ ns = = 60 p p



ns =

60 ⋅ f p

(5.9)

Quindi la velocità di sincronismo è una grandezza che dipende dal numero di poli del motore e dalla frequenza di alimentazione. Ne consegue che per un motore, alimentato a frequenza costante, la velocità di sincronismo è una costante. La tabella a fianco riporta le velocità di Velocità di sincronismo con f = 50 Hz sincronismo al variare del numero di poli della ns 2p p macchina nel caso comune di una alimentazione numero poli [rpm] paia poli a 50 Hz. 1 2 3000 Si anticipa il concetto che, nelle normali 2 4 1500 condizioni di funzionamento del motore (ad esempio, per il funzionamento nominale), il 3 6 1000 valore dello scorrimento è un numero molto 4 8 750 piccolo (pochi percento della velocità di … … … sincronismo). Ne consegue che la velocità meccanica del rotore sarà molto prossima alla velocità di sincronismo. Come esempio si considerino i seguenti dati:

sn = 3%;

ns =

60 ⋅ f = 1500 rpm; p

f = 50 Hz;

p = 2 (paia poli)

nr = (1 − s n ) ⋅ n s = (1 − 0.03) ⋅ 1500 = 1455 rpm

209

PROF. ANDREA CAVAGNINO

5.2.3 – Funzionamento con avvolgimento di rotore in cortocircuito e con rotore in movimento Se l’avvolgimento indotto di rotore è chiuso in corto circuito, come accade nelle condizioni di funzionamento normale di una macchina asincrona(1), il sistema di f.e.m. di rotore rappresentato dal fasore Er (5.8) produce nell’avvolgimento di rotore un sistema isofrequenziale di correnti alla pulsazione elettrica di scorrimento sω. Grazie alle ipotesi fatte, tale sistema di correnti è una stella equilibrata e simmetrica che, fluendo nelle fasi rotoriche, produce una campo magnetico rotante al traferro. Il campo magnetico generato dal rotore ruota rispetto al rotore stesso (cioè rispetto alla struttura di avvolgimento che lo ha generato) alla velocità sω/p. Si ricordi che il numero di poli di rotore è uguale a quello di statore. In questo modo si è indotta una magnetizzazione a rotore dallo statore (ovvero “il magnete permanente” a rotore considerato al paragrafo 4.1). Si presti però attenzione al fatto che il rotore ruota alla velocità meccanica ωr. Ne consegue che la velocità del campo rotante generato dal rotore rispetto ad un riferimento fisso vale, componendo i moti relativi:

ωr +

s⋅ω p

Ricordando la definizione di scorrimento, la relazione precedente può essere riscritta nel seguente modo:

ωr +

s ⋅ ω p ⋅ ω r + s ⋅ ω p ⋅ ω r + (ω − p ⋅ ω r ) ω = = = = ωs p p p p

(5.10)

La (5.10) indica che il campo magnetico generato dal rotore (e non il rotore) è sincrono con il campo magnetico di statore. Questa condizione permette uno scambio di coppia tra la struttura di rotore e di statore, come chiarito al paragrafo 4.1. A questo punto si comprende che, in caso di avvolgimento di rotore in cortocircuito, il campo magnetico risultante al traferro deriva dall’azione congiunta dei due sistemi di corrente di statore e di rotore che percorrono i rispettivi avvolgimenti. Come già visto nel caso del trasformatore l’avvolgimento indotto reagisce all’avvolgimento induttore esplicando un’azione di tipo smagnetizzante. Non si ritiene utile proseguire sull’argomento. Sulla base di quanto finora esposto e ricordando le analogie con il trasformatore si può pensare al seguente circuito equivalente per descrivere il funzionamento del motore asincrono nelle condizioni specificate. Tale circuito equivalente deve intendersi come circuito equivalente monofase, nel senso che descrive una fase di statore ed una fase di rotore. Il significato dei parametri riportati nel circuito è il seguente: Vs fase Rs Lds ω = 2πf Lm Es (1)

: tensione di fase di statore : resistenza di fase di statore : induttanza di dispersione di fase di statore : pulsazione elettrica delle grandezze di statore : induttanza di magnetizzazione : F.e.m. di fase indotta a statore

La connessione elettrica tipica dell’avvolgimento di rotore è quella in cortocircuito. Si pensi a tal proposito ad un rotore a gabbia. Non si deve confondere la connessione elettrica dell’avvolgimento di rotore con il funzionamento in cortocircuito del motore, in cui si osservano correnti assorbite elevate. Il funzionamento in cortocircuito di un motore asincrono si ha per s = 1, vale a dire con il rotore bloccato (fermo).

210

MACCHINE ELETTRICHE Er Rr Ldr sω

: F.e.m. di fase indotta a rotore : resistenza di fase di rotore : induttanza di dispersione di fase di rotore : pulsazione elettrica delle grandezze di rotore

Le induttanze di dispersione tengono conto dei flussi dispersi dall’avvolgimento di statore e di rotore, ovvero di flussi che non si concatenano con entrambi gli avvolgimenti. Tali flussi si annidano principalmente in cava e nelle testate di avvolgimento ed evolvono per lunghi tratti in aria. L’induttanza di magnetizzazione tiene conto del fatto che per creare il flusso utile al traferro si deve assorbire una corrente magnetizzante. Si noti che, al contrario del trasformatore, la corrente di magnetizzazione Im non è percentualmente piccola rispetto alle correnti di normale funzionamento in quanto si deve magnetizzare il traferro (zona d’aria che presenta una riluttanza elevata). Xds= ωLds

Rs Is Vs fase

ω

Xdr=sωLdr Ir

Im Xm=ωLm

Rr

Es

Er



Circuito equivalente della macchina asincrona con due circuiti a frequenza diversa.

Prima di spiegare il significato dei generatori pilotati che compaiono in figura, è conveniente riportare grandezze e parametri di uno dei due avvolgimenti allo stesso numero di spire dell’altro avvolgimento (sempre in analogia a quanto visto per il trasformatore). Nel caso del trasformatore poteva essere utile, secondo le necessità, condurre il riporto verso il primario oppure verso il secondario; nella macchina asincrona l’operazione di riporto è condotta esclusivamente verso l’avvolgimento di statore, poiché nella maggior parte dei casi l’avvolgimento di rotore è inaccessibile (avvolgimento a gabbia) e quindi l’operazione inversa non riveste particolare interesse. Tuttavia, mentre per il trasformatore il riporto poteva basarsi su un concetto univoco di rapporto spire o di trasformazione, nel caso delle macchine a campo rotante il numero di spire equivalenti di un avvolgimento è definito diversamente secondo che si tratti di valutare le f.m.m. (N’) ovvero le f.e.m. indotte (N*), come illustrato ai paragrafi precedenti ad al capitolo 4. Senza entrare nei dettagli, è possibile definire opportuni coefficienti che permettono di riportare i parametri di rotore allo statore. A valle delle operazioni descritte, l’avvolgimento di rotore risulta apparentemente costituito dallo stesso numero di fasi (generalmente 3) e dallo stesso numero equivalente di spire dell’avvolgimento di statore. I fenomeni elettrici di rotore continuano ancora avere una pulsazione pari alla pulsazione elettrica di scorrimento. Il circuito equivalente così ottenuto è riportato nella pagina seguente. Si osservi che nel riporto (cioè nella variazione fittizia del numero di fasi e di spire del rotore), la F.e.m di rotore diventi pari a s volte la tensione indotta a statore.

211

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Xds= ωLds

Rs Is Vs fase

ω

Xdr’=sωLdr’ Ir ’

Im Xm=ωLm

R r’

Es

Er’=sEs



Circuito equivalente della macchina asincrona con due circuiti a frequenza diversa e parametri di rotore riportati a statore.

Il confronto di questo circuito con il circuito equivalente del trasformatore mette in evidenza molte analogie ed alcune sostanziali differenze. Il sistema dei due generatori pilotati ha il compito di adattare le frequenze tra statore e rotore. Il generatore dipendente Ir’ ,così come nel trasformatore, mette in risalto l’effetto prodotto dalla corrente equivalente di reazione d’indotto sull’avvolgimento di statore: la corrente '

I m = I s − I r (dove la corrente di rotore riportata a statore è da intendersi a frequenza f) può essere interpretata come corrente magnetizzante, in quanto ad essa è dovuta la produzione del flusso di macchina creato da tutti gli avvolgimenti. La differenza sostanziale tra il circuito equivalente precedente e quello corrispondente del trasformatore è la seguente: nel trasformatore i due circuiti, primario e secondario, sono isofrequenziali e il generatore dipendente di f.e.m. indotta al secondario corrisponde esattamente alla tensione indotta sul circuito primario. Al contrario, nel caso del motore asincrono, i due circuiti sono relativi a frequenze diverse e il generatore di tensione dipendente Er’ è legato alla tensione Es attraverso lo scorrimento. L’operazione di fusione dei due circuiti in un unico semplice circuito non è al momento possibile. Inoltre si può osservare che la trasmissione di potenza meccanica tra statore e rotore non viene descritta in modo evidente da nessun elemento del circuito equivalente.

212

MACCHINE ELETTRICHE

5.2.4 – Circuito equivalente riportato alla frequenza di alimentazione Ai fini dei calcoli e della valutazione delle caratteristiche elettromeccaniche della macchina è necessario operare ancora una trasformazione sul circuito equivalente precedente. Attraverso tale trasformazione si tenderà a riunire in un unico circuito elettrico isofrequenziale i due circuiti separati di statore e di rotore. L’operazione deve prevedere l’eliminazione dei due generatori dipendenti Ir’ ed Er’ e, perché ciò sia possibile occorre alterare le scale di tensione del circuito di rotore in modo da portare a coincidere i valori di Er’ e di Es. Il riporto alla frequenza di statore del circuito rotorico avviene modificando, secondo il rapporto di frequenze s, le impedenze e le f.e.m. rotoriche in modo da non alterare il regime di correnti. In altre parole, si divide per il valore di scorrimento s l’equazione di tensione del circuito rotorico scrivibile sulla base del circuito equivalente precedente. In questo modo il valore del generatore dipendente di tensione secondario uguaglia, come desiderato, il valore ES della f.e.m. di statore. Inoltre la reattanza di dispersione viene espressa da ωLσR e la relativa caduta di tensione corrisponde a quella prodotta da una corrente Ir’ a pulsazione ω e quindi isofrequenziale con lo statore. In tal modo i due circuiti, ormai isofrequenziali, possono essere fusi tra loro, come indicato in figura, e i generatori dipendenti possono essere definitivamente eliminati. La resistenza rotorica viene anch’essa alterata da questa operazione passando dal valore Rr’ al valore fittizio Rr’/s e questo comporta una variazione della potenza attiva gestita a rotore. Xds= ωLds

Rs Is Vs fase

ω

Xdr’=ωLdr’ Ir ’

Im Xm=ωLm

Rr’/s

Es

ω traferro

Circuito equivalente monofase della macchina asincrona riportato alla frequenza di statore.

La divisione per s, in effetti, altera il bilancio energetico e tutta la potenza elettrica trasmessa al traferro dall’avvolgimento di statore risulta, a questo punto, interamente ricevuta dal rotore in forma elettrica. Occorre osservare che la modifica delle tensioni e delle impedenze del circuito secondario ed, in particolare, della resistenza di rotore porta a definire un valore fittizio di resistenza R’R/s in cui confluiscono non solo le perdite di rotore per effetto Joule, ma anche quella quota di potenza che prima scompariva dal bilancio elettrico e costituiva la potenza meccanica sviluppata dalla macchina (prelevata all’albero della macchina dal carico meccanico). Finora, nello studio della macchina, si sono trascurati gli effetti dissipativi presenti nel ferro. Occorre ricordare che la generazione di un campo magnetico rotante al traferro produce un’induzione continuamente variabile nella struttura in ferro (denti, corone) con conseguenti fenomeni di isteresi e di correnti parassite. Poiché le perdite associabili a questi fenomeni dipendono oltre che dall’induzione anche dalla frequenza, si può completare il circuito equivalente precedente con un elemento resistivo Rfe disposto in parallelo alla reattanza di magnetizzazione, come già visto nel caso del trasformatore. 213

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il seguente circuito equivalente, comprensivo anche delle perdite nel ferro, rappresenta il circuito equivalente definitivo per il motore asincrono. Si noti che negli esercizi di calcolo si farà sempre riferimento ad una connessione a stella per la macchina trifase, indipendentemente dall’effettivo collegamento dell’avvolgimento di statore. Ciò equivale a dire che i parametri da utilizzare nel circuito equivalente sono quelli equivalenti a stella. Xds= ωLds

Rs

Xdr’=ωLdr’ I0

Is Vs fase

ω

RFe IFe

Rr’/s

Ir ’ Xm

ω

Es

Im

traferro

Circuito equivalente monofase della macchina asincrona.

Come per il trasformatore le perdite nel ferro sono praticamente indipendenti dalle condizioni di carico del motore (correnti IS, I’r) e dipendono esclusivamente dall’ampiezza del campo rotante e, quindi in definitiva, dalla tensione di alimentazione. Questa voce di perdita aggiuntiva deve essere pensata praticamente a carico della sola struttura magnetica di statore. Infatti, nel normale funzionamento a regime, il rotore della macchina asincrona scorre molto lentamente rispetto al campo rotante e la frequenza con cui varia l’induzione nel ferro di rotore è molto bassa e non dà luogo a fenomeni dissipativi consistenti. A differenza di quanto visto per il trasformatore, per la macchina asincrona non è in generale ammesso spostare i parametri Xm e RFe a monte dell’impedenza di statore poiché la corrente a vuoto I0 non è trascurabile rispetto alle correnti nominali. La presenza del traferro fa sì che la corrente a vuoto valga dal 40 % al 60 % della corrente nominale, secondo la potenza nominale del motore.

5.2.5 – Bilancio energetico nel motore asincrono Sulla base del circuito equivalente appena riportato è immediato fare un bilancio di potenze, identificando le singole quote in cui è suddivisa la potenza assorbita. La potenza elettrica assorbita dallo statore vale: Ps = 3 ⋅ Vs fase ⋅ I s ⋅ cos(ϕ s ) = 3 ⋅ Vs ⋅ I s ⋅ cos(ϕ s )

(5.11)

Nello statore vengono dissipate le seguenti perdite: perdite joule negli avvolgimenti perdite nel ferro di statore

P js = 3 ⋅ Rs ⋅ I s2 PFe = 3 ⋅

E s2

fase

R Fe

La differenza tra la potenza assorbita e le perdite localizzate a statore rappresenta la potenza elettrica trasmessa Pt da statore e rotore. Tale potenza vale: Pt = Ps − P js − PFe

214

(5.12)

MACCHINE ELETTRICHE Con riferimento al circuito equivalente la potenza trasmessa viene interamente gestita dalla resistenza fittizia Rs/s. Ovvero: 2 R' Pt = 3 ⋅ r ⋅ I r' s

(5.13)

Le perdite joule nell’avvolgimento di rotore sono dovute alla resistenza Rr’ e valgono:

P jr = 3 ⋅ Rr' ⋅ I r'

2

(5.14)

La differenza tra la (5.13) e la (5.14) non potrà che essere pari alla potenza meccanica Pm convertita per via elettromagnetica. Tale potenza vale: 2 2 R' 1− s ' ' 2 Pm = Pt − P jr = 3 ⋅ r ⋅ I r' − 3 ⋅ Rr' ⋅ I r' = 3 ⋅ ⋅ Rr ⋅ I r s s

(5.15)

La (5.15) dimostra come la resistenza fittizia Rr’/s possa essere considerata pari alla serie di due contributi: la resistenza Rr’ che modellizza le perdite joule di rotore; 1− s ' ⋅ Rr che rappresenta, nel mondo elettrico, la potenza meccanica la resistenza s convertita dal motore.

Dalle relazioni precedenti è possibile ricavare che: Pm = (1 − s ) ⋅ Pt

(5.16)

P jr = s ⋅ Pt

Le relazioni (5.16) sono molto interessanti poiché indicano che il rotore si comporta come un partitore della potenza trasmessa in funzione dello scorrimento, cioè della velocità di rotazione. Infatti, a scorrimento unitario (a rotore bloccato) tutta la potenza trasmessa viene dissipata nella resistenza di rotore, mentre ad una certa velocità la potenza meccanica convertita viene gestita dal rapporto (1-s)/s. Dalla (5.15) risulta immediato calcolare la coppia motrice prodotta all’albero della macchina, a meno delle perdite meccaniche interne al motore (attriti e ventilazione). P Cm = m = ωr

3⋅

1− s ' ' 2 ⋅ Rr ⋅ I r s ωr

(5.17)

Ricordando che la velocità del rotore può essere scritta come ω r = (1 − s ) ⋅ ω s = (1 − s ) ⋅ ω / p si vede che la coppia motrice può essere calcolata come: Cm =

3⋅

1− s ' ' 2 ⋅ Rr ⋅ I r P s = t (1 − s ) ⋅ ω s ωs

ovvero

Pt = C m ⋅ ω s

(5.18)

La relazione (5.18) riveste un significato estremamente importante nelle valutazioni energetiche della macchina. Qualunque sia la velocità ωR di rotazione della macchina, la coppia prodotta è rigidamente collegata alla potenza trasmessa da statore a rotore. In altri termini, se alla macchina viene richiesto un dato valore di coppia, occorre che lo statore trasmetta attraverso il traferro un valore di potenza Pt = ω Cm / p. Tale valore è sempre lo stesso indipendentemente dal fatto che il motore sia fermo o in rotazione ad una generica velocità ωR.

215

PROF. ANDREA CAVAGNINO

5.3 – Caratteristica di coppia del motore asincrono L’espressione della coppia sviluppata dalla macchina alle diverse velocità di rotazione può essere dedotta agevolmente dal circuito equivalente e dal bilancio energetico descritto al paragrafo precedente. P 3 ⋅ p Rr' ' 2 Cm = t = ⋅ ⋅ Ir ωs ω s

(5.19)

Dal circuito equivalente si deve ricavare la corrente di rotore per poterla sostituire nella relazione della coppia motrice. Al fine di semplificare i passaggi analitici, risulta conveniente determinare il circuito equivalente di Thevenin ai capi dell’impedenza rotorica '

' Z r (s ) = Rr' / s + jX dr . Il circuito equivalente semplificato è riportato nella figura seguente.

Req

Xdr’=ωLdr’

Xeq

Z s = Rs + jX s

Rr’/s

Z 0 = R Fe // jX m =

Ir ’

Zeq Veq traferro

R Fe ⋅ jX m R Fe + jX m

V eq =

Z0 ⋅ V s fase Zs + Z0

Z eq =

Zs ⋅Z0 = Req + jX eq Zs + Z0

Circuito equivalente semplificato della macchina asincrona.

Il valore efficace della corrente di rotore risulta: V eq

'

Ir =

' Z eq + Z r (s )



I r' =

Veq 2

(5.20)

(

)

'   2  R + Rr  + X + X ' eq eq dr  s  

Sostituendo la (5.20) nella (5.19) si ottiene la caratteristica di coppia del motore asincrono.

Cm = 3 ⋅

Rr' s

p 2 ⋅ ⋅ Veq 2 ω  '  2  R + Rr  + X + X ' eq eq dr  s  

(

)

(5.21)

Fissati i parametri del circuito equivalente e la tensione di alimentazione si può diagrammare l’andamento della coppia motrice prodotta in funzione dello scorrimento. Tale caratteristica è riportata qui di seguito.

216

MACCHINE ELETTRICHE

Funzionamento da freno (ipersincrono)

Funzionamento da motore (iposincrono)

Coppia massima motore

Coppia di spunto

Scorrimenti di coppia massima Scorrimento -1

-0.5

0

0.5

1

Coppia massima freno

Caratteristica di coppia in funzione dello scorrimento

Per tracciare velocemente la caratteristica illustrata si può osservare il comportamento della funzione (5.21) per valori di scorrimento tendenti a zero ed ad infinito. Limite per s → 0 p Cm s →0 ≈ 3 ⋅ ⋅ ω  '  Rr  s 

Rr' s 2

(

)

 2  + X + X' eq dr  

2 ⋅ Veq

2

p Veq ≈ 3⋅ ⋅ ⋅s ω Rr'

Per piccoli valori di s, la coppia risulta lineare con lo scorrimento. Limite per s → ∞ p Cm s →∞ ≈ 3 ⋅ ⋅ ω

Rr' s

(Req )2 + (X eq + X dr' )

2

2 ⋅ Veq

Per valori di scorrimento elevati la coppia ha quindi un andamento iperbolico Il grafico evidenza i seguenti aspetti: La coppia sviluppata dalla macchina ha il segno dello scorrimento. La coppia dipende quadraticamente dalla tensione di alimentazione. La coppia si annulla in corrispondenza a scorrimento nullo (sincronismo) e teoricamente per scorrimento ∞ (velocità infinita). Il valore di coppia sviluppata è compreso tra due limiti estremi (uno positivo ed uno negativo) che si ottengono per valori di scorrimento uguali ed opposti. È prassi comune disegnare la caratteristica di coppia in funzione della velocità di rotazione del rotore anziché in funzione dello scorrimento. Senza sostituire l’espressione dello scorrimento nella relazione (5.21), ma ricordando che ωr = (1-s) ωs, si osserva immediatamente che la caratteristica in funzione della velocità può essere ottenuta “ribaltando” la curva precedentemente rispetto all’asse s= 0 ed operando una traslazione a destra pari a ωs. 217

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Cm Q’ A

M Cr

Q’’ Cr O

0

ωs = ω /p

ωr

Caratteristica di coppia in funzione della velocità

Sulla base della curva precedente si possono fare le seguenti considerazioni: Stabilità

Considerando la zona di funzionamento da motore (0 ≤ ωr ≤ ωs, 1 ≤ s ≤ 0), si nota che inizialmente la coppia aumenta con la velocità fino al raggiungimento della coppia massima (tratto AM). Per velocità ulteriormente crescenti, la coppia si riduce rapidamente fino ad annullarsi in corrispondenza alla velocità di sincronismo (tratto MO). Il tratto AM viene convenzionalmente definito tratto instabile, mentre il tratto MO viene definito tratto stabile della caratteristica di coppia. Il concetto di stabilità, di cui si tratta in questo caso, è un concetto grossolano, basato sulla idea che si possa discutere l’evoluzione dinamica del motore attraverso l’impiego di una sua caratteristica di funzionamento stazionario. Ad ogni modo, supponendo che il motore lavori su un carico costante, si osserva che quando il punto di equilibrio tra coppia motrice (Cm) e coppia resistente (Cr) si trova in corrispondenza al punto Q’, qualunque piccola perturbazione nella velocità del sistema libera delle coppie che tendono ad allontanarlo dalla posizione di equilibrio. Viceversa se l’equilibrio tra motore e carico è raggiunto in un punto Q’’ appartenente al tratto discendente della caratteristica di coppia, piccole perturbazioni sulla velocità producono azioni meccaniche di richiamo verso il punto di equilibrio. Si noti che la pendenza del tratto stabile è generalmente molto elevata; ne consegue che nei punti di normale utilizzo i valori di scorrimento sono molto piccoli (pochi percento della velocità di sincronismo). Funzionamento al sincronismo (s=0) o a vuoto

Quando la macchina ruota sincrona con il campo non si inducono F.e.m. né correnti negli avvolgimenti di rotore (I’r = 0). Il funzionamento a sincronismo del motore è una condizione teorica; questa condizione viene approssimativamente raggiunta quando al motore non sono applicate coppie resistenti esterne, ovvero durante il funzionamento a vuoto. In quest’ultima condizione operativa le uniche coppie frenanti presenti sono quelle proprie del motore (attriti ai cuscinetti, effetti ventilanti) e lo scorrimento del motore è molto basso (ad esmpio, s0 ≈ 0.001). Ne consegue che il funzionamento reale a vuoto ed il funzionamento al sincronismo vengono normalmente confusi tra loro assumendo: IS = I0 218

corrente a vuoto

MACCHINE ELETTRICHE Il valore di corrente assorbito dalla rete di alimentazione è esclusivamente quello necessario a provvedere alla generazione del campo rotante ed a sostenere le perdite nel ferro. Nel funzionamento a vuoto l’assorbimento di corrente della macchina è il minimo possibile. Tipicamente, nei motori asincroni, il valore della corrente a vuoto, riferito alla corrente nominale è variabile dal 20% al 60% in relazione alla taglia di potenza, al numero di coppie polari e allo spessore di traferro. Funzionamento a rotore bloccato (s=1) o all’avviamento o in cortocircuito

Questa condizione operativa si verifica allo spunto della macchina come motore. Tale condizione è generalmente di breve durata e quindi l’aspetto transitorio del funzionamento è prevalente su quello stazionario descritto dal circuito equivalente. In ogni caso, basandosi sul circuito equivalente semplificato e sull’equazione (5.20), la corrente di rotore durante l’avviamento (s = 1) vale: I r'

avv

=

Veq

(

(5.22)

) + (X eq + )

2 Req + Rr'

' 2 X dr

Ne consegue che la coppia di avviamento o di spunto vale: p C avv = 3 ⋅ ⋅ ω

(

Rr'

) + (X eq + X dr' )

2 Req + Rr'

2

2 ⋅ Veq

(5.23)

La (5.22) evidenza come, durante l’avviamento, le correnti di spunto (a rotore e quindi anche a statore) siano molto elevate. Nell’impiego della macchina asincrona come motore, la fase di avviamento corrisponde al massimo assorbimento di corrente dalla rete di alimentazione. Per i normali motori il valore di questa corrente è variabile da 5 a 10 volte il valore della corrente nominale; esso dipende dalle soluzioni costruttive adottate per l’avvolgimento e le cave di rotore. La condizione di spunto, indicata a volte come condizione di cortocircuito della macchina, costituisce una condizione critica nel funzionamento del motore asincrono e può richiedere tecniche e dispositivi particolari per l’alimentazione del motore. Ragionando sull’equazione (5.22) è possibile vedere come sia possibile ridurre la corrente di avviamento. Senza entrare nel dettaglio, si citano: Inserzione di reattanze in serie allo statore che devono essere escluse (cortocircuitate) dopo l’avviamento del motore. Avviamento tramite autotrasformatore al fine di fornire una tensione ridotta in fase di avviamento. Avviamento stella triangolo: questo tipo di avviamento consistente nell’avviare connettendo a stella un motore realizzato per funzionare normalmente a triangolo. In questo modo la tensione applicata ad ogni fase del motore viene ridotta di un fattore pari a 3 con una conseguente riduzione della corrente assorbita in linea di un fattore 3 (rispetto all’avviamento a piena tensione con connessione a triangolo). Ovviamente anche la coppia di avviamento diminuisce di un fattore 3 (si veda l’equazione (5.23)). Inserzione di resistenze rotoriche (solo per rotori di tipo avvolto): in questo caso si ottiene una diminuzione della corrente ed un aumento della coppia di spunto (paragrafo 5.5.1). Si ribadisce il concetto che se la riduzione della corrente di avviamento viene attuata tramite una diminuzione della tensione di alimentazione si avrà una diminuzione della coppia. 219

PROF. ANDREA CAVAGNINO Punto a coppia massima (s = sCmax)

Derivando rispetto allo scorrimento l’espressione analitica della coppia (5.21) è possibile determinare la massima coppia che il motore può produrre. Per evitare questo passaggio, si può ricordare che il massimo trasferimento di potenza attiva su un carico (nel caso in studio sulla resistenza Rr’/s del circuito equivalente semplificato riportato all’inizio del paragrafo) avviene quando il valore del modulo dell’impedenza della rete di alimentazione a monte risulta uguale al valore della resistenza di carico. Ne consegue che nel motore asincrono si avrà il massimo della potenza trasmessa, e quindi della coppia, quando sarà verificata la seguente condizione:

Rr' sC max

(

' = ± Req 2 + X eq + X dr

sC max = ±

(

Rr'

' Req 2 + X eq + X dr

)2 )

2

(5.24)

Per ottenere il valore di coppia massima, basta sostituire l’espressione (5.24) nella (5.21). Per analizzare l’influenza dei parametri del motore sulla prestazione di coppia massima, si osservi che: il termine Xeq + Xdr’ risulta praticamente uguale alla reattanza dispersa totale di macchina Xds + Xdr’ = Xdt. La reattanza totale di macchina Xdt è maggiore della resistenza equivalente Req (Xdt >>Req) Sulla base di queste ipotesi lo scorrimento di coppia massima può essere riscritto come: sC max ≈

Rr' X dt

Sostituendo quest’ultima espressione nella (5.21) ed operando le opportune semplificazioni si ottiene: 2 X dt p Veq p 2 C max ≈ 3 ⋅ ⋅ ⋅ Veq ≈ 3 ⋅ ⋅ ω Req + X dt 2 + X dt 2 ω 2 ⋅ X dt

(

)

(5.25)

La (5.25) indica che la coppia massima risulta, in prima approssimazione, inversamente proporzionale alla reattanza di dispersione totale della macchina. La reattanza di dispersione totale rappresenta quindi uno dei parametri chiave durante il progetto del motore per definire la sovraccaricabilità della macchina (cioè il rapporto tra la coppia massima e la coppia nominale). Motori asincroni di tipo industriale presentano una sovraccaricabilità compresa tra 1.5 e 2.5 e quindi una buona capacità di sovraccarico. Coppia nominale (s = sN)

Il punto a coppia nominale dipende dalla capacità del motore a smaltire le sue perdite senza eccedere i limiti di temperatura. Per quanto detto in precedenza, durante il dimensionamento della macchina, il punto di coppia nominale si posiziona a circa metà del tratto stabile della caratteristica di coppia.

220

MACCHINE ELETTRICHE

5.4 – Dati di targa del motore asincrono I principali dati riportati sulla targa di un motore asincrono sono i seguenti: Potenza nominale

[W]

Frequenza nominale

[Hz]

Velocità nominale

[rpm]

Coppia nominale

[Nm]

Tensione nominale

[V]

Corrente nominale

[A]

Rendimento

-

Fattore di potenza

-

potenza meccanica erogata all’asse della macchina in condizioni nominali frequenza dell’alimentazione velocità del rotore quando il motore è alimentato in condizioni nominali ed eroga la potenza nominale. coppia all’asse in condizioni nominali, determinabile come rapporto tra la potenza nominale e la velocità nominale tensione nominale concatenata (dipende dal tipo di connessione delle fasi) corrente di linea assorbita quando il motore eroga le potenza nominale Rendimento in condizioni nominali, definito come rapporto tra la potenza nominale e la potenza elettrica assorbita a statore Fattore di potenza ai morsetti di statore quando il motore eroga la potenza nominale.

Si noti che la potenza elettrica assorbita del motore funzionante in condizioni nominali vale: P Pelettrica = N = 3 ⋅ V N ⋅ I N ⋅ cos(ϕ N ) ηN

Nel motore asincrono oltre alle perdite determinabili dal circuito equivalente (perdite joule di statore e rotore, perdite nel ferro) si devono considerare le perdite meccaniche dovute agli attriti ai cuscinetti ed ai fenomeni di ventilazione. Come sarà chiarito in seguito, le perdite meccaniche possono essere misurate da una prova a vuoto eseguita a tensione variabile.

Esempio della targa di un motore asincrono trifase

221

PROF. ANDREA CAVAGNINO

5.5 – Influenza dei parametri sulla caratteristica di coppia I parametri del circuito equivalente e la tensione di alimentazione hanno un’influenza più o meno importante sulle forme della caratteristica elettromeccanica della macchina asincrona. L’influenza parametrica può essere sfruttata a livello costruttivo o di regolazione per adattare le caratteristiche della macchina alle esigenze della particolare applicazione. Nel seguito verranno analizzate da un punto di vista generale le principali influenze.

5.5.1 – Variazione della resistenza rotorica Un esame delle espressioni della corrente rotorica (5.20) e della coppia (5.21) consentono di evidenziare come la dipendenza dallo scorrimento delle corrispondenti caratteristiche sia in realtà da collegare al rapporto R’r /s, piuttosto che al solo valore R’r. I r' =

Veq 2

(

)

'   2  R + Rr  + X + X ' eq eq dr  s  

Cm = 3 ⋅

Rr' s

p 2 ⋅ Veq ⋅ 2 ω  '  2  R + Rr  + X + X ' eq eq dr  s  

(

)

Questo fatto significa che, in seguito ad una variazione percentuale della resistenza rotorica, le stesse condizioni operative (corrente e coppia) si presentano in corrispondenza ad uno scorrimento variato nella stessa misura percentuale, come indicato nella figura. Cm, IS

Corrente 2R’R

Coppia

s 0

2s

scorrimento 0.2

0.4

0.6

0.8

1

Modifica delle caratteristiche Cm, IS per un raddoppio del valore di resistenza di rotore

La scelta del valore di resistenza rotorica in fase di progetto ovvero la sua regolazione in condizioni di esercizio consente di posizionare il massimo valore della coppia del motore in corrispondenza al valore di scorrimento più conveniente. Un valore di resistenza di rotore elevato, tale da portare il punto di massima coppia in corrispondenza all’avviamento, è utile al fine di facilitare il transitorio di accelerazione del 222

MACCHINE ELETTRICHE motore anche in presenza di coppie resistenti elevate sin dalla partenza (motori per impianti di sollevamento, per compressori, etc.). D'altronde una elevata resistenza di rotore comporta un abbassamento del rendimento nelle normali condizioni di funzionamento. Cm R’r(2)

R’r(1)

Pt = C •ωs Pmecc(1) = C •ωr(1)

P2

P1

C ωr

ωr(2)

Pmecc(2) = C ωr(2)

ωr(1)

Variazione della resistenza di rotore : bilancio energetico

In figura sono rappresentati i punti P1 e P2 relativi al funzionamento a pari coppia di carico C di due motori identici, indicati con (1) e (2), dotati di due valori diversi di resistenza rotorica. In particolare si suppone che R’r(2) > R’r(1). Il motore (2) dotato di resistenza maggiore presenta una coppia di spunto particolarmente elevata, ma, in condizioni di regime su un carico C, ha uno scorrimento maggiore del motore (1) a minore resistenza rotorica. I due motori, lavorando alla stessa coppia, trasmettono al traferro la stessa potenza Pt: Pt = C ⋅ ω s Ma il motore (1) utilizza una quota maggiore di tale potenza per la trasformazione elettromeccanica: Pmecc(1) = C ⋅ ω r (1) >

Pmecc(2 ) = C ⋅ ω r (2 )

Il motore (2) trasforma una maggior quota di potenza trasmessa in perdite sulla resistenza rotorica.

(

∆PJr (2 −1) = C ⋅ ω r (1) − ω r (2 )

)

In passato, l’uso di motori a rotore avvolto dotati di anelli e spazzole, consentiva una regolazione della resistenza di rotore attraverso l’impiego di resistori esterni variabili. Con tale sistema si riusciva ad adattare la caratteristica meccanica in modo da avere alti valori di coppia di spunto (resistori esterni completamente inseriti) e allo stesso tempo basso scorrimento in condizioni di normale funzionamento (anelli cortocircuitati). Oggi questo sistema è praticamente in disuso, sia per la maggiore diffusione di motori a gabbia di scoiattolo, sia per l’adozione di tecniche di regolazione per la coppia di tipo non dissipativo. Nel caso di motori a gabbia, quando al motore siano richieste alte coppie di avviamento e, allo stesso tempo, alto rendimento nelle condizioni operative nominali, esistono tecniche costruttive della gabbia che consentono di riunire le due caratteristiche. 223

PROF. ANDREA CAVAGNINO Distribuzione della densità di corrente allo spunto

Distribuzione della densità di corrente in condizioni nominali

h

JR

Linee di campo ed effetto pelle di un conduttore massiccio immerso in una cava.

Le soluzioni costruttive si basano tutte sullo sfruttamento dell’effetto pelle, che può produrre la variazione di resistenza apparente di un conduttore, quando questo sia attraversato da una corrente alternata a frequenza variabile. Poiché il fenomeno di addensamento di corrente si manifesta in misura crescente con l’altezza h del conduttore, i rotori, che sfruttano questo fenomeno, vengono detti ‘a cave profonde’. Quando il motore è fermo, la frequenza delle correnti indotte nella gabbia è uguale alla frequenza di alimentazione e pertanto le sbarre della gabbia vedono la corrente addensarsi verso il traferro, come illustrato nella figura precedente. In queste condizioni la gabbia risulta fortemente resistiva e conseguentemente può dare origine ad una coppia di spunto elevata. Quando viceversa il rotore ha raggiunto la velocità normale di rotazione, la frequenza delle correnti indotte diventa molto modesta e la corrente si distribuisce in modo praticamente uniforme nella sezione della sbarra. Quest’ultima presenta quindi un valore di resistenza basso e consente al motore di funzionare con scorrimento ridotto. Ovviamente il fenomeno di addensamento varia progressivamente al variare della velocità del motore dalla condizione di avviamento alla condizione finale di lavoro normale. La forma della caratteristica di coppia assume la configurazione tipica evidenziata nella figura seguente. Cm Motore a cave profonde

Motore normale

ωR

Caratteristiche di coppia di un motore a cave profonde

Nel caso di motori di grossa potenza l’effetto pelle può essere sfruttato attraverso l’adozione di gabbie multiple di rotore. Qui di seguito sono illustrate alcune tipiche disposizioni a doppia gabbia. La gabbia esterna è formata da conduttori di sezione modesta e quindi di resistenza elevata, mentre la gabbia più interna è formata da sbarre di sezione elevata a bassa resistenza e ad elevato valore di induttanza. 224

MACCHINE ELETTRICHE Allo spunto risulta attiva la gabbia resistiva più esterna, la quale funge da schermo magnetico verso la gabbia interna, che, essendo dotata di elevata induttanza di dispersione, non viene sensibilmente istmo attraversata da corrente. Il motore si avvia con resistenza rotorica elevata ed alta coppia di spunto. Quando il motore raggiunge velocità di rotazione prossime a quelle di funzionamento normale la reattanza della gabbia interna diminuisce sensibilmente ed anche le sbarre interne intervengono nella conduzione abbassando il valore complessivo di resistenza rotorica. Disposizioni a doppia gabbia Nella sistemazione a doppia gabbia l’effetto pelle può essere gestito in modo più efficiente che nei motori a cave profonde. In questo caso il progettista può infatti scegliere il dosaggio resistivo tra le due gabbie, attraverso la scelta delle sezioni di sbarra, ed il dosaggio induttivo, attraverso la determinazione delle dimensioni degli istmi che influenzano il valore di induttanza della gabbia interna.

5.5.2 – Variazione della reattanza di dispersione La reattanza di dispersione non influenza sensibilmente le condizioni normali di funzionamento mentre incide in modo evidente sullo scorrimento e sul valore di coppia massima, come anche sul valore della corrente e della coppia allo spunto. In particolare, sulla base di quanto presentato al paragrafo 5.3, una riduzione della dispersione conduce ad una maggiore sovraccaricabilità del motore e ad un aumento della coppia e della corrente di spunto. Corrente 0.9 Xdt

Coppia

Scorrimento

Riduzione della reattanza di dispersione al 90%

225

PROF. ANDREA CAVAGNINO

5.5.3 – Variazione della tensione di alimentazione Variazioni del valore della tensione di alimentazione si ripercuotono sulle caratteristiche di assorbimento di corrente e di erogazione di coppia come illustrato in figura.

Corrente

.9VS

Coppia

Scorrimento 0

0.2

0.4

0.6

0.8

1

Riduzione della tensione al 90%

L’ampiezza della caratteristica di coppia, a pari velocità e in assenza di fenomeni di saturazione magnetica, dipende quadraticamente dalla tensione (vedi (5.21)), mentre l’assorbimento di corrente, sempre sotto le stesse condizioni, è in relazione di proporzionalità con la tensione di alimentazione (vedi (5.20)). Tuttavia va osservato che una variazione della tensione di alimentazione, in fase di lavoro a carico costante del motore, può provocare variazioni di corrente di ordine inverso, come illustrato nella figura seguente. Caratteristiche di coppia a 100% VS nero V grigioS 90% VS Q

Q’ P’ P

Caratteristiche di corrente a 100% VS nero 90% VS grigio

Scorrimento

Variazione della corrente assorbita a pari coppia erogata, per una riduzione della tensione di alimentazione

Dalla figura si può notare che, quando il motore funziona con carico resistente sufficientemente elevato, una riduzione della tensione di alimentazione costringe il motore a rallentare (Q→Q’) e ad assorbire una corrente maggiore (P→P’).

226

MACCHINE ELETTRICHE

5.6 – Prove sul motore asincrono - Rendimento Le principali prove condotte sulla macchina asincrona prevedono il suo utilizzo come motore. Queste prove possono essere condotte sia ai fini della determinazione dei parametri del circuito equivalente, sia ai fini della valutazione delle principali voci di perdita, sia allo scopo di certificare la potenza e il rendimento nominale del motore. Nel presente paragrafo si prendono in considerazione le prove tipiche previste dalle normative nazionali ed internazionali per i motori asincroni a gabbia e si farà riferimento, per tutte le grandezze elettriche di alimentazione, al concetto di grandezza di fase, indipendentemente dal tipo di connessione dell'avvolgimento di statore. Pertanto tensioni e correnti considerate nel seguito devono intendersi relative ai singoli avvolgimenti che costituiscono le fasi della macchina. Le prove esaminate sono le seguenti: misura in corrente continua della resistenza di fase di statore; prova in corto circuito, a rotore bloccato; prova a vuoto; prova di riscaldamento o prova a carico. Sia per la prova a rotore bloccato che per la prova a vuoto occorre predisporre un sistema di alimentazione e di misura del tipo illustrato in via di principio nello schema seguente. Sezionatore per la misura della resistenza statorica in c.c.

W Alimentatore Trifase

A Motore Asincrono

W

A

V

Schema di misura per le prove a vuoto e a rotore bloccato

Per la prova a carico è inoltre necessario predisporre, oltre al sistema illustrato in figura, un sistema di frenatura collegato all’albero del motore corredato di dispositivi per la misura della velocità di rotazione ed, eventualmente, della coppia trasmessa.

5.6.1 – Misura della resistenza di fase di statore La misura della resistenza di fase può essere condotta, per motori a tensione industriale e di potenza contenuta entro poche decine di kW, con il metodo volt-amperometrico. Per motori di potenza più elevata, ovvero per motori a tensione inferiore possono rendersi necessari metodi più precisi di misura (metodi di confronto). E' importante che la misura di resistenza sia condotta con macchina a riposo da un tempo sufficiente a garantire che i suoi avvolgimenti siano alla temperatura ambiente. Soprattutto per valutazioni energetiche è importante riferire la resistenza, misurata in questa prova, alla temperatura ambiente, in modo da poter individuare con una certa 227

PROF. ANDREA CAVAGNINO approssimazione l'entità delle perdite Joule quando la macchina funzioni ad una temperatura diversa. La misura di resistenza va condotta per tutte tre le fasi della macchina e il valore medio delle tre misure effettuate va assunto come valore del parametro Rsa (resistenza di fase di statore) del circuito equivalente riferito alla temperatura ambiente θa a cui è stata eseguita la misura.

5.6.2 – Prova a rotore bloccato Nella prova a rotore bloccato occorre immobilizzare il rotore della macchina e quindi alimentare lo statore con una terna di tensioni ridotte rispetto alla tensione nominale, misurando contemporaneamente correnti e potenza assorbite. L'impedenza presentata in queste condizioni dalla macchina è molto bassa e quindi occorre condurre la prova tenendo sotto controllo la corrente (indicativamente si può adottare la seguente progressione di correnti: 0.25-0.5-0.75-1-1.25 Inom). Non è consigliabile, e in generale non è necessario, eseguire misure a valori di corrente troppo superiori alla corrente nominale, al fine di evitare un eccessivo surriscaldamento degli avvolgimenti. Infatti, poiché uno degli scopi di questa prova è quello di determinare le resistenze del circuito equivalente, è opportuno cercare di alterare il meno possibile la temperatura degli avvolgimenti durante l'esecuzione delle misure, in modo da poter riferire, con una certa precisione, i valori di resistenza ricavati ad una temperatura nota. Al termine della prova deve essere quindi rilevata la temperatura θc dell’avvolgimento di statore attraverso una misura di resistenza. Indicando con RSc la resistenza di statore misurata in corrente continua al termine della prova e indicando con RSa la corrispondente resistenza ottenuta dalla misura preliminare a temperatura ambiente, il valore di θc può essere desunto dalla seguente relazione:

θ c = (234.5 + θ a )

RSc − 234.5 RSa

(5.26)

I risultati delle misure vengono riportati in una tabella unitamente alla temperatura θc. Prova in corto circuito alla temperatura θc Nmis

IScc

1

I1

VScc V1

Pcc P1

2

I2

V2

P2

3

I3

V3

P3

4 5

… …

… …

… …

Tipicamente, in questa prova, la legge di variazione della potenza assorbita in funzione della corrente è di tipo quadratico, mentre la variazione della tensione di alimentazione è di tipo lineare. 2 Pcc ∝ I Scc ;

228

VScc ∝ I Scc

MACCHINE ELETTRICHE

RS

IScc

Xds

X’dr

R’r

VScc

Circuito equivalente di riferimento per la valutazione dei parametri nella prova a rotore bloccato.

In prima, e spesso sufficiente approssimazione, il circuito equivalente del motore relativo alle condizioni di prova può essere semplificato, trascurando i parametri trasversali relativi alla magnetizzazione e alle perdite nel ferro secondo lo schema di figura. Con riferimento a tale figura si possono scrivere le seguenti relazioni per il calcolo dei parametri del circuito. Noti dalla misura i termini VScc , IScc , Pcc si determinano: 2 2 2 ; Qcc = 9VScc I Scc − Pcc

Rcc =

Pcc 2 3I Scc

;

X cc =

Qcc 2 3I Scc

(5.27)

In assenza di altre informazioni e con una certa approssimazione, per altro non molto influente per i calcoli delle caratteristiche di macchina, si potrà ritenere: X ds = X ' dr = 1 X cc ; 2

R' r = Rcc - Rsc

(5.28)

Occorre ricordare che il valore di resistenza Rcc è frutto di una misura in corrente alternata, mentre il valore RSc , impiegato nella (5.28), discende da una misura in corrente continua. Nel valore di R’r vengono, quindi, ad essere compresi i contributi addizionali di resistenza per addensamento di corrente relativi sia all’avvolgimento di statore, sia all’avvolgimento di rotore. Nel caso di motori di piccola, media potenza si può supporre che la resistenza addizionale a 50 Hz per l’avvolgimento di statore sia trascurabile (tipicamente < 3%), in quanto i conduttori sono generalmente formati da filo di piccolo diametro, poco sensibili all’effetto pelle. Al contrario la resistenza addizionale di rotore può assumere valori percentuali non trascurabili della pura resistenza ohmica della gabbia. In conclusione il valore di resistenza R’r , calcolato secondo la (5.28), è corretto solo per lo studio del funzionamento del motore allo spunto. Nelle condizioni operative nominali questo valore è certamente sovrastimato e, per ottenerne una valutazione più rispondente alle condizioni di carico normale, occorre avere informazioni sulla geometria della cava di rotore. Dovendo procedere ad un riporto delle misure e dei parametri ad una temperatura convenzionale di riferimento θrif diversa da quella di prova si può ricorrere al seguente schema di calcolo: K rif =

234.5 + θ rif 234.5 + θ c

( ) Vcc (θ rif ) =

;

Rcc θ rif = K rif ⋅ Rcc (θ c ); fase

( ) Pcc (θ rif ) = K rif ⋅ Pcc (θ c );

X cc θ rif = X cc (θ c );

2 2 2 (θ c ) ⋅ I cc ; X cc + K rif ⋅ Rcc

(5.29)

229

PROF. ANDREA CAVAGNINO

5.6.3 – Prova a vuoto La prova a vuoto della macchina consiste nella misura della corrente e della potenza elettrica assorbite dalla macchina, quando essa sia alimentata con una tensione data e sia lasciata libera di ruotare alla sua velocità di regime. Tale velocità è normalmente poco diversa dalla velocità di sincronismo, poiché le coppie resistenti dovute ad attriti ed effetti ventilanti sono usualmente modeste. E' importante che la terna di tensioni di alimentazione utilizzata sia simmetrica e sinusoidale. Prima dell’esecuzione delle misure è necessario un periodo di riscaldamento per la stabilizzazione delle perdite nei cuscinetti. Secondo la normativa si ritiene che questa stabilizzazione sia raggiunta se, dopo due letture consecutive intervallate di mezz’ora, alla stessa tensione, la potenza P0 letta in ingresso non varia di oltre il 3%. La prova a vuoto deve essere condotta per diversi valori di tensione di alimentazione, che vanno dalla tensione minima di autosostentamento del motore, fino ad un valore superiore (di alcuni punti percentuali) alla tensione nominale. Al termine della prova deve essere rilevata la temperatura θv dell’avvolgimento di statore attraverso una misura di resistenza analogamente a quanto visto per la prova a rotore bloccato. Poiché si può ragionevolmente ritenere che, nel funzionamento a vuoto, la velocità di rotazione della macchina sia molto prossima alle condizioni di scorrimento nullo, il circuito equivalente relativo a queste condizioni operative può essere ridotto a quello illustrato qui di seguito.

jXds IS0,n

PjS0

ϕ0

RS

I0

Xds

RS IS0,n

Ir ≈ 0 P0 VS

PFe

Pmec RFe IFe

Xm

ES0

VS,n

ES0,n

ϕ0

Im

IS0,n

Ife,n

Im,n

Circuito equivalente di riferimento e diagramma vettoriale di riferimento per la valutazione dei parametri nella prova a vuoto.

La prova deve essere condotta per valori decrescenti di tensione di alimentazione e deve terminare quando un ulteriore abbassamento della tensione di alimentazione provoca un incremento del valore di corrente assorbita. Al temine, come per la prova a rotore bloccato, deve essere calcolata la temperatura media θv attraverso la misura della resistenza statorica RSv .

230

MACCHINE ELETTRICHE Prova a vuoto alla temperatura θv Nmis IS0 VS0 P0 1 V1 P1 I1

2

I2

V2

P2

3

I3

V3

P3

… N

… …

… …

… …

Durante il funzionamento a vuoto, la potenza elettrica P0, assorbita dal motore, è scomponibile in tre parti convenzionali: perdite nell’avvolgimento di statore; PjS0 PFe perdite convenzionali nel ferro (di statore); potenza meccanica necessaria a compensare le perdite per attrito, ventilazione. Pmecc Le perdite nella gabbia di rotore sono trascurabili e, di fatto, vengono incluse nella voce PFe. Dalla potenza misurata nella prova a vuoto dovranno innanzitutto essere separate le perdite resistive nei conduttori di statore (PjS0) dalle perdite meccaniche e nel ferro: PFe + Pmecc = P0 - 3 RSv ⋅ I S20

(5.30)

Immaginando che le perdite meccaniche siano indipendenti dalla tensione di alimentazione, si potrà giungere alla loro determinazione attraverso il processo di estrapolazione illustrato nella figura seguente. Per poter efficacemente estrapolare la curva delle perdite nel ferro e meccaniche è necessario che le misure condotte sul motore funzionante a vuoto siano estese a valori molto bassi di tensione.

Pmecc+Pfe

Pmecc

Pfe,nom

IS0 Vnom

VS0

Processo di separazione delle perdite meccaniche nella prova a vuoto.

Le quote Pfe e Pmecc così isolate rappresentano rispettivamente le perdite nel ferro convenzionali e le perdite meccaniche convenzionali del motore. In realtà la voce Pmecc risulta variabile con la tensione di alimentazione a causa del diverso carico radiale prodotto dal campo rotante sui cuscinetti ed il suo valore, estrapolato a tensione e campo nulli, risulta in difetto rispetto al funzionamento a tensione nominale. La quota Pfe contiene al suo interno, oltre alle vere perdite nel ferro, anche quote di potenza meccanica dovuta ai campi armonici rotanti, che alla velocità di sincronismo del motore, 231

PROF. ANDREA CAVAGNINO producono coppie che contrastano il moto della macchina e quote di potenza dissipata nei conduttori di rotore a causa delle correnti indotte. Il risultato di questa elaborazione consente pertanto di ricavare una tabella di dati in corrispondenza alla tensione nominale di alimentazione da cui è possibile ricavare convenzionalmente i valori dei parametri trasversali Xm, Rfe del circuito equivalente del motore. Elaborazioni della prova a vuoto alla tensione nominale di fase Vnom

Corrente a vuoto a Vnom Potenza a vuoto a Vnom Perdite nel rame a Vnom Perdite meccaniche Perdite nel ferro a Vnom

IS0,n P0,n PjS0,n= 3RSv IS0,n2 Pmecc Pfe,n= P0,n- PjS0,n- Pmecc

Con riferimento al circuito equivalente valido per la prova a vuoto ed al diagramma vettoriale disegnato in condizioni di tensione nominale, si possono eseguire le seguenti valutazioni. Noto il fattore di potenza della misura, ricavabile dalla seguente formula: cos ϕ 0 =

P0,n

(5.31)

3Vnom I S 0,n

e, dato il valore della reattanza di dispersione di statore XdS stimato nella prova a rotore bloccato, si può determinare il valore della f.e.m indotta a statore ES0,n : E s 0, n =

[Vnom − (RS cos ϕ0 + X dS senϕ0 )I S 0, n ]2 + [( X dS cos ϕ0 − RS senϕ0 )I S 0, n ]2 (5.32)

e conseguentemente si possono valutare i seguenti parametri e le seguenti grandezze del circuito equivalente: R fe =

2 3E S0 ,n

P fe

I m = I S20, n − I 2fe

I fe = E S0, n /R fe Xm =

E S 0, n

(5.33)

Im

Si ricorda nuovamente che le tensioni e correnti che compaiono nelle formule precedenti sono grandezze di fase. Ne consegue che, ipotizzando sempre un collegamento a stella ( Vnom = Vnom concatenata 3 ) indipendentemente dal collegamento reale delle fasi di statore, i parametri ricavati secondo le (5.33) sono relativi ad un circuito equivalente monofase a stella del motore. Occorre ricordare che, a causa della non linearità magnetica del ferro, il valore di questi parametri è estremamente sensibile al valore della tensione a cui vengono calcolati, come evidenziato dalla figura seguente. Da quanto esposto si vede che l’elaborazione della prova a vuoto deve essere condotta a valle di quella di cortocircuito in quanto la presenza dei parametri Rs e Xds non è in genere trascurabile durante il funzionamento a vuoto (come è lecito assumere nel caso del trasformatore).

232

MACCHINE ELETTRICHE

RFe (Ω)

800

Xm (Ω)

Rfe

40

700

35

600

30

500

25

400

20

300

15

200

10

Xm

100

5

Vnom

0 0

50

100

150

200

250

0 300

Andamento dei valori dei parametri trasversali del circuito equivalente in funzione della tensione di alimentazione

5.6.4 – Prova a carico in condizioni di regime termico La prova di riscaldamento si esegue collegando la macchina asincrona ad un carico in modo che possa fornire la coppia nominale alla velocità nominale. Il collegamento meccanico deve avvenire in modo da poter misurare la coppia trasmessa dal motore. Durante l’esecuzione si controlla periodicamente la temperatura della macchina finché non venga raggiunto il regime termico. Ad intervalli regolari, di almeno 30 minuti, si registrano le temperature delle parti fondamentali del motore (pacco lamiere, carcassa, avvolgimenti di statore), oltre a quella ambiente; si ritiene raggiunto l’equilibrio termico quando le variazioni di temperatura tra due letture successive non superano 1 °C. Una volta che il motore abbia raggiunto il regime termico nelle condizioni nominali di alimentazione e di carico, la coppia resistente viene rapidamente variata in corrispondenza alla seguente sequenza di carico: 150%, 125%, 100%, 75%, 50%, 25% della coppia nominale. Partendo dal carico più elevato a decrescere per tutti i carichi si acquisiscono i valori delle grandezze elettriche, termiche e meccaniche necessarie al calcolo delle perdite e del rendimento. La temperatura degli avvolgimenti di statore non deve scendere di oltre 10 °C dalla temperatura più elevata misurata durante la prova di riscaldamento a carico nominale. Occorre inoltre svolgere la prova rapidamente al fine di minimizzare le variazioni termiche. Lo scopo principale della prova a carico è quello di verificare l’idoneità del motore a fornire la potenza di targa nelle condizioni nominali di alimentazione e a determinarne il rendimento convenzionale in corrispondenza ad alcuni valori di carico prestabiliti. In generale il rendimento di un motore è definito come rapporto tra la potenza meccanica utile all’albero e la potenza elettrica assorbita:

η=

Putile Passorbita

(5.34)

La differenza tra le due voci è costituita dall’insieme delle perdite, che nel caso di un motore, possono essere classificate in:

233

PROF. ANDREA CAVAGNINO PjS

perdite Joule nell’avvolgimento statorico;

PjR Pfe Pmecc Padd

perdite Joule nell’avvolgimento rotorico; perdite magnetiche nel ferro; perdite meccaniche; perdite addizionali.

È prassi suddividere le diverse voci di perdita in due classi: perdite fisse: costanti al variare della potenza in uscita (tipicamente Pmecc, Pfe). perdite variabili, con la potenza in uscita, costituite essenzialmente dalle perdite per effetto joule negli avvolgimenti e dalle perdite addizionali. Pertanto il rendimento può assumere anche una delle due seguenti formulazioni:

η=

Putile

Putile + PjS + PjR + Pfe + Pmecc + Padd

(5.35)

η=

Passorbita − PjS − PjR − Pfe − Pmecc − Padd Passorbita

La determinazione del rendimento può concettualmente essere eseguita con diversi metodi: Metodo diretto Metodo indiretto Metodo ibrido

attraverso la misura delle due voci di potenza entrante (elettrica) ed uscente (meccanica), relazione (5.34). attraverso la misura di una delle due potenze e, separatamente, delle singole perdite, relazioni (5.35). attraverso la misura delle due potenze (entrante, uscente) e, separatamente, di alcune voci di perdita.

Qualche considerazione di chiarimento è necessaria a proposito della voce perdite addizionali. Essa raggruppa tutta una serie di fenomeni dissipativi non direttamente assimilabili alle perdite canoniche e causati, in modo principale, dalla azione delle armoniche spaziali presenti nella distribuzione di campo al traferro. Queste perdite sono evidenziate come voce di aggiuntiva necessaria a far quadrare il bilancio energetico del motore. Per la determinazione del rendimento dei motori ad induzione industriali a gabbia di scoiattolo di potenza da 1 a circa 100-200 kW esistono, a livello mondiale, tre principali normative: IEEE Standard 112-1996 (impiegata negli USA) IEC 34-2 (impiegata nella UE) JEC 37 (impiegata in Giappone) I valori di efficienza dichiarati dal costruttore possono variare, anche sensibilmente, in relazione al metodo impiegato ed alle procedure seguite per identificare le diverse perdite (in particolare, le perdite addizionali).

234

MACCHINE ELETTRICHE

5.7 – Regolazione della velocità del motore asincrono Il motore asincrono, alimentato a tensione e frequenza nominale, può essere considerata una macchina a velocità costante al variare del carico meccanico applicato. Infatti, essendo il tratto stabile caratterizzato da una pendenza elevata (ovvero, i valori di scorrimento sono molto piccoli durante il funzionamento normale), le variazioni di velocità dovute a variazioni della coppia di carico sono molto modeste. Nelle applicazioni industriali la variazione della velocità di rotazione, intesa come regolazione in un ampio intervallo di velocità, è da sempre una esigenza molto sentita. Proprio per questi motivi, storicamente, il motore asincrono ha trovato applicazione prevalente in tutte le motorizzazioni a velocità fissa, mentre al motore in corrente continua, facilmente regolabile in velocità, sono state demandate le applicazioni a velocità variabile. Tuttavia, la casistica delle applicazioni del motore a induzione riporta, anche per il passato, tentativi più o meno efficienti e complessi di regolazione di velocità. Per questo genere di regolazioni si è spesso ricorsi ad una struttura di motore a rotore avvolto, che consentisse di intervenire sulle grandezze elettriche di rotore. Oggi le possibilità offerte dalla diffusione di convertitori statici di frequenza (inverter) consentono di attuare regolazioni di velocità basate esclusivamente sul controllo dell’alimentazione e pertanto applicabili anche ai più economici motori a gabbia. La velocità di rotazione dell’albero del motore vale (cfr. paragrafo 5.2): nr = (1 − s ) ⋅ n s = (1 − s ) ⋅

60 ⋅ f p

(5.36)

Dalla (5.36) appare evidente che per variare la velocità di rotazione della macchina si può ricorrere ad uno dei seguenti metodi: 1.

Variazione del numero di coppie polari dell’avvolgimento.

2.

Variazione dello scorrimento, attuabile tramite la: 2.1. variazione della resistenza rotorica, ove possibile; 2.2. variazione della tensione di alimentazione.

3.

Variazione della frequenza di alimentazione.

I primi due metodi vengono, a volte, indicati come metodi di regolazione a frequenza fissa.

5.7.1 – Variazione del numero di poli In alcuni particolari tipi di impiego può essere richiesto al motore di funzionare a due velocità nettamente diverse. Si pensi ad esempio al motore di una lavatrice che deve produrre sia la velocità necessaria al lavaggio, sia la velocità necessaria all’asciugamento (‘centrifuga’), oppure ad un motore per ascensore, che deve produrre sia la velocità normale di sollevamento, sia la velocità ridotta di avvicinamento al piano. Queste esigenze possono essere soddisfatte, in modo economico, attraverso una semplice operazione di variazione delle connessioni dell’avvolgimento di statore, in modo da configurare l’avvolgimento stesso con numeri di polarità differenti. La modifica del numero di polarità porta, come è noto, ad una corrispondente modifica della velocità del campo rotante e della velocità di rotazione del motore. Si osservi come questa variazione di velocità sia discreta e non regolabile con continuità. Il cambiamento di polarità dell’avvolgimento di statore può essere eseguito in due modi: Con un doppio avvolgimento di statore: i due avvolgimenti sono eseguiti con numero di polarità diverse e solo uno dei due è alimentato in relazione alla velocità desiderata. 235

PROF. ANDREA CAVAGNINO Questa soluzione porta, a parità di dimensioni, ad una riduzione della potenza nominale della macchina. Con un unico avvolgimento, che può essere collegato tipicamente a p coppie polari, oppure a 2p coppie polari (avvolgimento Dahlander) In figura è illustrato lo schema del principio secondo cui opera questo metodo.

(b)

(a)

(a)

(b)

(b)

(a)

(b)

(a)

Avvolgimento a commutazione di numero di polarità (Dahlander)

In entrambe le tecniche il rotore deve essere a gabbia con numero di sbarre compatibile con entrambe le disposizioni dell’avvolgimento statorico (vedi tabella al paragrafo 5.1.1). In ogni caso il lamierino di statore è ottimizzato solo per una delle due polarità. Tipicamente nei motori trifase dotati di avvolgimento Dahlander, la commutazione di polarità avviene attraverso la commutazione, effettuata a morsettiera, del collegamento da triangolo a doppia stella, come schematizzato dalla figura seguente.

Collegamenti a morsettiera per un avvolgimento a doppia polarità di tipo Dahlander

Si può dimostrare che, a parità di scorrimento, per il numero minore di polarità (YY) la coppia è 2/3 della coppia corrispondente al numero maggiore di polarità (∆). Ma, poiché la velocità, nella connessione (YY), è doppia, la potenza meccanica in quest’ultima connessione vale 4/3 la potenza relativa al collegamento ∆. La corrente nella gabbia, a pari scorrimento, risulta più alta nella connessione YY con conseguente maggiorazione delle perdite, ma questo può essere generalmente tollerato in quanto la maggiore velocità di rotazione garantisce un più efficiente raffreddamento. 236

MACCHINE ELETTRICHE

5.7.2 – Variazione della resistenza rotorica Il principio di funzionamento di questo metodo, possibile solo per motori con rotore di tipo avvolto, può essere compreso con l’ausilio della seguente figura.

Potenza meccanica Pm = C •ωR

Cm

Pt C

P3

P2

P1

ωR ωR(3) Potenza totale trasmessa Pt = C •ω

ωR(2) ωR(1)

Perdite spontanee di rotore Quote di potenza dissipata o recuperata per la regolazione di velocità

Regolazione di velocità con motore a rotore avvolto

Se al motore viene richiesta dal carico una coppia C, inevitabilmente deve essere trasmessa da statore a rotore una potenza elettrica pari a : Pt = C ⋅

ω p

Potenza trasmessa

dove ω / p è la velocità di sincronismo. Una quota della potenza trasmessa viene dissipata sulla resistenza dell’avvolgimento di rotore (perdite spontanee) e la parte restante rimane a disposizione per la conversione elettromeccanica (potenza meccanica). Se una porzione di questa seconda parte viene in qualche modo riutilizzata in forma elettrica (dissipazione su resistenze addizionali, recupero in rete), la potenza disponibile per la conversione elettromeccanica si riduce ed, essendo fissata la coppia del carico, la riduzione di potenza meccanica avviene con un rallentamento del motore. Nelle due figure seguenti sono illustrate due soluzioni pratiche che si fondano su questo principio. Nella prima è illustrato il principio della regolazione reostatica della velocità. Al crescere della resistenza dei reostati esterni, una quota sempre maggiore della potenza trasmessa è prelevata dal rotore per essere dissipata esternamente. Come si osserva nella figura, la regolazione di velocità ottenibile con questa tecnica è modesta; infatti, aumentando i valori di resistenza, le caratteristiche di coppia tendono ad ‘appiattirsi’ e producono una scarsa stabilità in termini di velocità del punto di funzionamento (modeste variazioni del carico producono ampie variazioni della velocità). Questo sistema è stato largamente in uso in passato grazie alla sua semplicità e grazie al fatto che con esso si potevano risolvere in modo efficiente i problemi di avviamento del motore. In ogni caso, dal punto di vista energetico questa regolazione (di tipo dissipativo) è poco efficiente.

237

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Cm

Rete industriale ~ 50Hz

ωR

Regolazione reostatica di velocità con motore a rotore avvolto

PjR

Rete industriale ~ 50Hz

ERcc

Pr

Vcc

Rete industriale ~ 50Hz

Pt

Schema di potenza per la regolazione di velocità di motori asincronio a rotore avvolto con recupero di energia in rete (azionamento Scherbius o cascata iposincrona).

Una tecnica più efficiente di regolazione, fondata sempre sul principio descritto, è illustrata nello schema qui di sopra riportato. Attraverso il circuito di raddrizzamento, viene prelevata potenza elettrica dal rotore; questa potenza viene convertita in corrente continua e recuperata in rete attraverso un ponte ad SCR che lavora in condizioni di recupero. La quota di potenza recuperata, e quindi la regolazione di velocità, viene definita dalla tensione Vcc, che il ponte ad SCR impone sul circuito intermedio in corrente continua. Senza entrare nei dettagli, si può dimostrare come questa regolazione può coprire un ampio intervallo di velocità; inoltre il sistema di controllo può essere attuato con prestazioni che, in termini di prontezza ed precisione (dinamica della regolazione), sono nettamente superiori alla semplice regolazione reostatica.

5.7.3 – Variazione della tensione di alimentazione Una variazione di scorrimento può essere ottenuta modificando l’ampiezza della tensione di alimentazione. Tale soluzione porta a regolazioni in un campo abbastanza ristretto, come si può dedurre dalla figura riportata a fianco. La tensione di alimentazione può essere variata con un parzializzatore a tiristori. Si Coppia resistente noti che le caratteristiche si riducono col quadrato della tensione e di conseguenza cambia la loro pendenza nel tratto utile: il punto di equilibrio tra coppia motrice e coppia resistente si ottiene a velocità più basse. Non si modifica invece lo scorrimento di coppia massima, che non dipende, in prima approssimazione, dalla tensione (sCmax ≈ Rr’ / Xdt, paragrafo 5.3).

238

MACCHINE ELETTRICHE

5.7.4 – Variazione della frequenza di alimentazione Le possibilità di regolazione di tensione e frequenza di alimentazione offerte dagli inverter trifase hanno enormemente ampliato il campo di regolazione di velocità dei motori asincroni, al punto che oggi, in molte applicazioni che impiegavano motori in corrente continua regolati di campo e di armatura, sono utilizzati motori a induzione con inverter. Per comprendere in linea di principio queste possibilità è sufficiente ricordare che le normali operazioni di un motore asincrono corrispondono ai punti del cosiddetto tratto stabile della caratteristica di coppia. Data la forte inclinazione di tale tratto nel piano Cm - ωR , le velocità ottenute sono normalmente poco diverse dalla velocità di sincronismo. Attraverso la modifica della frequenza di alimentazione si modifica la velocità di sincronismo e, con essa, l’intervallo di velocità caratteristiche del motore. In questo modo il motore può compiere escursioni di velocità ben più ampie di quelle ottenibili attraverso tecniche di regolazione rotorica. Tuttavia, quando si altera il valore della frequenza di alimentazione, anche le altre grandezze nominali del motore devono essere ridiscusse in modo che il motore possa funzionare correttamente nelle nuove condizioni. In altre parole, non si potrà variare solo la frequenza, ma si dovrà anche variare la tensione di alimentazione. Un criterio, che può essere accettato nella definizione di corretto funzionamento del motore a frequenza di alimentazione diversa dalla nominale, può consistere nel mantenere invariato lo sfruttamento dei materiali attivi del motore in tutto il campo di regolazione. Un siffatto criterio prevede che le correnti del motore e il flusso utile assumano gli stessi valori, quando all’albero del motore sia applicato il carico nominale, qualunque sia la frequenza di alimentazione. Per quanto riguarda le modifiche degli aspetti dissipativi e di riscaldamento del motore, che conseguono ad una variazione della frequenza secondo la regola indicata, si possono produrre le seguenti considerazioni di massima1. Le perdite nel rame di statore restano praticamente costanti, poiché resta costante il valore della corrente nominale del motore. All’aumentare della frequenza di alimentazione può aumentare l’effetto dissipativo della resistenza di fase a causa del progressivo manifestarsi dell’effetto pelle; tuttavia, almeno per avvolgimenti in filo di piccola sezione, l’effetto pelle diventa sensibile per valori di frequenza notevolmente più alti della frequenza nominale del motore. Le perdite nel rame di rotore restano anch’esse costanti, in quanto resta costante la corrente rotorica. In questo caso l’influenza della frequenza di alimentazione sull’effetto pelle è nullo dal momento che, in condizioni nominali di carico, i fenomeni elettrici di rotore avvengono alla frequenza di scorrimento. Le perdite nel ferro aumentano, a parità di flusso, con la frequenza (linearmente per la quota dovuta all’isteresi e quadraticamente per la quota dovuta alle correnti parassite). Tuttavia, poiché alla frequenza nominale questa voce di perdita è normalmente piccola rispetto alle altre voci di perdita, si può ritenere che, in un ragionevole campo di frequenze superiori al valore nominale, l’aumento delle perdite nel ferro sia accettabile; tanto più se si considera che l’aumentata velocità di rotazione del motore, che consegue all’aumento della frequenza, porta ad un miglioramento dello scambio termico per ventilazione.

1

Tali considerazioni vengono condotte nell’ipotesi, puramente di principio, che le forme d’onda di tensione si mantengano sempre sinusoidali al variare della frequenza. Gli effetti della distorsione della forma d’onda di tensione, conseguenti all’adozione di sorgenti reali di alimentazione a frequenza variabile (inverter) non saranno trattate nei presenti appunti.

239

PROF. ANDREA CAVAGNINO Restando nel campo del funzionamento in regime strettamente sinusoidale e riconsiderando il circuito equivalente monofase del motore asincrono (paragrafo 5.2.4), l’espressione della coppia si può scrivere, in termini di valori efficaci di fase, nel seguente modo: Cm =

p p Ptrasmessa = ⋅ 3 ⋅ E s ⋅ I r' ⋅ cos ψ ω ω

jωLdSIS*

e, poiché vale (relazione (5.1), dove Ns* è il numero di spire equivalenti ai fini del concatenamento di flusso): Es =

ω

ˆ N s*Φ u

2

RSIS* VS(ω)

(5.37)

ES= (ω/ω* ) ES*

ϕ∗

si ottiene la seguente formulazione della coppia: Cm =

3p 2

ˆ ⋅ N s* ⋅ Φ u

⋅ I r'

⋅ cos ψ

ψ∗

(5.38)

IR* IS*

Si indichino con l’apice * i valori nominali I0* delle correnti e della coppia del motore valutati alla pulsazione nominale ω*. Φu* Con riferimento al diagramma vettoriale di Diagramma vettoriale delle figura il sistema di vettori corrente e flusso, correnti in condizioni nominali indicati con tratto continuo, deve rimane identico a qualunque frequenza, se si vuole che permangano inalterati i moduli del flusso utile e delle correnti di statore e rotore, quando al motore viene richiesta la coppia nominale (proporzionale all’area del rettangolo punteggiato). Indicando con ω una generica frequenza di alimentazione diversa dalla pulsazione nominale ω*, il completamento del diagramma vettoriale con la costruzione della tensione di alimentazione, necessaria per mantenere inalterata la configurazione del sistema dei vettori di corrente e flusso relativi alla condizione di carico nominale, è rappresentata con linee punteggiate nella figura. Dalla costruzione si ricava il valore di tensione che può essere ritenuta nominale alla nuova pulsazione ω. V s (ω) =

ω *

ω

*

*

*

E s + RS I s + jωLds I s

(5.39)

Approssimativamente, in modulo, si può scrivere: Vs (ω) ≈

ω *

ω

(

)

E S* + RS cos ϕ* + ωLds senϕ* I s*

(5.40)

Quest’ultima relazione indica che la tensione di alimentazione deve aumentare in modo circa lineare con la frequenza, se si vuole che i materiali attivi, ferro e rame, vengano sollecitati sempre nella stessa misura quando al motore è applicato lo stesso carico. La relazione VS(ω) viene definita legge tensione-frequenza ed il suo andamento, illustrato nel diagramma seguente, è praticamente lineare per alti valori di frequenza. Esso si discosta dall’andamento lineare alle basse frequenze a causa dell’effetto prevalente delle cadute resistive nella determinazione della tensione corretta, così come indicato nella (5.40).

240

MACCHINE ELETTRICHE Mantenendo costante, al variare della frequenza, il valore della corrente Ir* e del flusso Φ*u, in corrispondenza alla richiesta della coppia nominale C*m, si desume che anche l’angolo di fase ψ∗ tra corrente rotorica e f.e.m. ES deve restare costante. Dal circuito equivalente e dal diagramma vettoriale precedente si può scrivere: tan ψ * =

sω* Ldr = cost; R' r



sω* = cost

(5.41)

e quindi la coppia nominale viene raggiunta, ad ogni frequenza, quando il motore è nelle stesse condizioni di velocità di scorrimento nominale. Tutto questo indica che il tratto di caratteristica di coppia compreso tra il valore nominale e il valore nullo trasla sull’asse delle velocità mantenendo sempre la stessa pendenza, come illustrato nella figura seguente. VS

Legge tensione-frequenza VS(ω)

Caratteristiche di coppia VS*

Cm* coppia nominale sω*

sω*

ω∗

ω

Legge tensione-frequenza e traslazione del tratto utile della caratteristica di coppia.

Da un punto di vista puramente teorico, un motore asincrono, alimentato a frequenza crescente con la corretta tensione, sarebbe in grado di produrre una potenza meccanica crescente in modo proporzionale alla frequenza. Ad esempio un motore targato: 400V, 4kW a 50 Hz potrebbe diventare un motore da 8 kW, se la frequenza di alimentazione fosse portata a 100Hz. Ma in questo caso il motore dovrebbe essere alimentato da una rete trifase a 800V. Diversi fattori possono intervenire a limitare l’accrescimento della frequenza e della velocità del motore: la tenuta dei cuscinetti; la tenuta degli isolamenti; le sollecitazioni centrifughe e le vibrazioni; l’aumento delle perdite nel ferro. Ma oltre a questi fattori, più spesso, ci si imbatte in un limite dovuto alla tensione disponibile per l’alimentazione del motore. In altre parole le sorgenti di alimentazione a frequenza variabile, impiegate nella realtà, sono generalmente limitate in termini di valore massimo della tensione alternata erogabile, prima ancora che in termini di frequenza. Capita comunemente che, al crescere della frequenza, l’alimentatore non sia più in grado di far crescere la tensione di alimentazione. La legge lineare tensione-frequenza, deve quindi, essere abbandonata, come illustrato in seguito. Le condizioni di alimentazione a cui si verifica questo evento vengono definite condizioni base.

241

PROF. ANDREA CAVAGNINO A partire dalla frequenza (indicata dal valore di pulsazione ωbase) la tensione di alimentazione resta costante VS = Vbase; aumentando ulteriormente la frequenza la macchina si deflussa, come si evince dalle relazioni (5.40) e (5.37) che viene qui riscritta nella forma seguente: V S = cost ⇒

ES =

ω

N s*Φˆ u = cost

(5.42) 2 Il valore nominale della coppia non può più essere mantenuto ulteriormente mantenendo la corrente costante, in quanto si ha una diminuzione di flusso. Per valori di frequenza e velocità superiori ad ωbase e tensione di alimentazione costante (VS = Vbase), si può ragionevolmente pensare che il motore sia in grado di fornire una potenza meccanica costante: potenza base (Pbase). Il valore richiesto di coppia di carico deve variare in modo inversamente proporzionale alla velocità: C m = C base

ω base Pbase = ω ω

(5.43)

In queste condizioni operative le correnti di macchina permangono approssimativamente attorno ai valori nominali, come evidenziato nella figura seguente. Intervallo a coppia costante

Vbase

Cmax V*S(ω) Cbase

Intervallo a potenza costante: Cm=Cbase·ωbase/ω

Intervallo a potenza decrescente

Cm

ωbase

ω1

ωmax

Vbase V*S(ω) IS

I*S

I’R

Intervalli di velocità caratteristici nell’impiego di motori asincroni alimentati a frequenza variabile

Tuttavia il valore di coppia massima che il motore è in grado di garantire con tensione di alimentazione costante decresce al crescere della frequenza di alimentazione in modo più rapido di quanto non faccia la richiesta di carico espressa dalla (5.43). Infatti, riprendendo in esame la relazione (5.25) che esprime il valore massimo di coppia motrice ed esplicitando la sua dipendenza dalla pulsazione ω di alimentazione si ottiene la seguente equazione: Cmax ≈ 3 ⋅

242

2 p Veq cos t ⋅ ∝ ω 2 ⋅ ωLdt ω2

(5.44)

MACCHINE ELETTRICHE da cui si evince che, al crescere della frequenza, la coppia massima erogabile dal motore diminuisce quadraticamente e, ad un certo punto, raggiunge il valore di coppia richiesta dal carico secondo la (5.43). Il valore di frequenza a cui questo fatto si verifica è indicato dalla pulsazione ω1 nella figura precedente. Oltre questo valore di frequenza il motore non potrà più funzionare alla potenza base, ma la potenza ottenibile dal motore diminuirà per un ulteriore accrescimento di frequenza e velocità. L’intervallo di velocità in cui il motore può erogare la massima potenza è quindi definito dai due estremi ωbase e ω1. Dai ragionamenti esposti si desume che l’ampiezza dell’intervallo in cui al motore può essere richiesta la potenza base, è tanto maggiore quanto maggiore è la sovraccaricabilità del motore alla pulsazione base ωb, ovvero tanto più è elevato il rapporto Cmax/Cbase. Le figure seguenti illustrano come si modificano le caratteristiche di coppia applicando le leggi di regolazione tensione-frequenza indicate in precedenza. Tali figure evidenziano, in particolare, la possibilità di regolare in velocità del motore asincrono in modo che esso fornisca una coppia costante tra zero e la velocità base (usando una legge V / f = costante) ed una potenza costante tra la ωbase e la ω1 (usando una regolazione con V = costante ed aumentando f). Si osservi che la regolazione a V / f = costante permette di risolvere i problemi di avviamento della macchina: come si evince dalla figura precedente la corrente assorbita a velocità nulla è praticamente uguale al valore assorbito alla velocità base. Ne consegue che usando un inverter il motore può essere avviato sotto carico.

Cm = Cbase

Campo di regolazione a coppia costante (regolazione V / f = cost)

Cmax ∝ 1 / ω2

Cm = Cbase ωbase / ω

Campo di regolazione a potenza costante (V = costante)

243

Capitolo

6 LA MACCHINA SINCRONA 6.1 – Generalità e aspetti costruttivi La macchina sincrona è tradizionalmente la macchina destinata alla generazione su larga scala dell’energia elettrica. In questo impiego essa prende il nome di generatore in c.a. ovvero di alternatore. Il principio elementare di funzionamento è basato sulla legge dell’induzione magnetica: se in una bobina viene fatto variare il flusso concatenato, in essa viene indotta una forza elettromotrice. Nella macchina sincrona questa variazione di flusso è realizzata facendo ruotare, internamente alle spire della bobina, un elettromagnete eccitato in corrente continua, come illustrato, in linea di principio, nella figura a fianco. La frequenza della f.e.m. indotta è Elettromagnete induttore strettamente legata alla velocità di Nord rotazione e al numero di coppie polari dell’induttore. Se l’induttore è dotato di Spira p coppie polari, ad un giro completo Indotta della ruota polare corrispondono p alternanze complete del flusso concatenato con una bobina e Sud corrispondentemente, p alternanze Schema di principio dell’alternatore. complete della f.e.m. indotta. Nella figura seguente è rappresentato schematicamente il caso di un induttore dotato di 2 coppie polari. La relazione generale tra la pulsazione indotta ω, la velocità di rotazione ωr ed il numero di coppie polari p è la seguente: ω = p ⋅ ωr

A parità di frequenza generata, la velocità di rotazione con cui trascinare il rotore della macchina è tanto minore quanto più elevato è il numero di coppie polari. Nelle grandi macchine sincrone, quali gli alternatori da centrale, lo statore reca un avvolgimento trifase analogo a quello dei motori a induzione. Tipicamente le tre fasi sono collegate a stella e, grazie allo sfasamento spaziale di 120° elettrici degli assi delle bobine, le f.e.m. indotte

Spire Indotte

Elettromagnete induttore Nord Sud Sud Nord Spire Indotte

Macchina a due coppie polari

245

PROF. ANDREA CAVAGNINO generano una terna regolare trifase di tensioni in c.a.. L’avvolgimento in c.a. di statore prende anche il nome di armatura o di avvolgimento indotto, mentre l’avvolgimento di rotore prende il nome di avvolgimento di eccitazione o di campo.

6.1.1 –Struttura della macchina La macchina sincrona è costituita da una parte fissa, statore, e da una mobile, rotore. Lo statore porta gli avvolgimenti indotti in c.a., mentre il rotore viene ad assumere il ruolo di induttore e crea il campo magnetico necessario attraverso un avvolgimento di eccitazione alimentato in corrente continua. Lo statore costituisce normalmente la parte esterna della macchina. Solo per piccole macchine e per particolari esigenze meccaniche le posizioni possono essere invertite. L’avvolgimento di armatura e la conformazione geometrico-magnetica dello statore di una macchina sincrona sono identiche a quelle delle macchine asincrone. Molto diversa, invece, può risultare la conformazione del rotore. Nella macchina sincrona infatti il rotore può assumere forme molto diversificate in relazione alla potenza, al tipo di applicazione (generatore, motore) e alla velocità di rotazione del motore di trascinamento. Forme costruttive degli alternatori Restando nel campo delle grandi macchine destinate alla produzione dell’energia elettrica, si possono distinguere due forme distinte del rotore. Macchine a rotore liscio. Macchine a poli salienti. Le macchine appartenenti alla prima categoria vengono anche dette macchine isotrope in quanto il rotore presenta sezione circolare ed il traferro è praticamente costante in tutte le direzioni (vedi figura a) seguente). In questa configurazione il numero di polarità realizzabile è molto basso (p = 1, 2) e la velocità di rotazione necessaria a produrre f.e.m. a 50 Hz è di conseguenza elevata (3000 rpm, 1500 rpm). Questi generatori sono destinati ad essere alimentati attraverso motori primi veloci come turbine a vapore, a gas, etc. , di qui il nome di turbo-alternatori che comunemente viene loro assegnato. In questa configurazione si ottengono le macchine con la potenza unitaria più alta: 1500-2000 MVA. Data l’alta velocità di rotazione di queste macchine, i rotori assumono forma allungata e relativamente poco sviluppata nel senso radiale per contenere le forze centrifughe che si esercitano sui conduttori del circuito di eccitazione. a)

b)

Struttura di alternatori: a) macchina a rotore liscio , turboalternatore b) macchina a poli salienti

246

MACCHINE ELETTRICHE Nel caso di motori primi più lenti, come ad esempio le turbine idrauliche, caratterizzati da regimi di rotazione dell’ordine di alcune decine o centinaia di giri al minuto, il numero di polarità dell’alternatore deve necessariamente crescere per generare tensioni indotte sempre a 50 Hz. Non sono infrequenti generatori con numeri di poli superiori a 100. La forma costruttiva del rotore si sviluppa, in questi casi, in forma radiale per creare lo spazio necessario ad ospitare i numerosi poli. Le polarità vengono ottenute attraverso nuclei magnetici, eccitati ciascuno da un proprio avvolgimento, che sporgono da una ruota (denominata ruota polare) di grande diametro come illustrato schematicamente nella figura b) precedente e nella figura seguente. Questo tipo di macchina viene detta ‘a poli salienti’ e, come si può osservare dalla figura, il traferro della macchina risulta variabile a seconda della direzione considerata: esso risulta minimo sotto l’asse polare mentre è massimo in corrispondenza al vano interpolare. Una simile struttura viene definita anisotropa. In questa versione le potenze massime unitarie possono superare i 500MVA. Le tensioni nominali degli alternatori possono andare dall’ordine del centinaio di Volt a qualche decina di kVolt. Le tensioni più alte risultano convenienti per le potenze maggiori; un alto valore di tensione permette infatti di limitare l’entità delle correnti di armatura e di rendere meno problematica l’esecuzione dell’avvolgimento. Superficie polare laminata

Fori per avvolgimenti smorzatori Espansione polare

Nucleo Polare Avvolgimento di campo Ruota polare Struttura dei poli salienti di una macchina anisotropa

Sia nella versione isotropa che in quella anisotropa il rotore è costruito in forma massiccia, in quanto il campo magnetico nel rotore è costante nel tempo e non sono presenti fenomeni di correnti parassite; le uniche parti laminate possono trovarsi, nelle macchine a poli salienti, esclusivamente in corrispondenza alle espansioni polari che possono essere sottoposte a perturbazioni del campo magnetico dovute alla presenza delle cave di statore ed alle armoniche spaziali asincrone dovute alla corrente di armatura. Traferro della macchina sincrona Poiché in una macchina sincrona, l’eccitazione viene ottenuta attraverso un circuito in corrente continua, non si ha consumo di potenza reattiva dalla rete, come invece accade nella macchina asincrona. In queste condizioni le ampiezze di traferro possono essere tenute più alte e, a fronte di traferri massimi di pochi millimetri caratteristici dei grandi motori asincroni, nei grandi alternatori i traferri possono raggiungere il centinaio di millimetri. La necessità di tenere alto lo spessore di traferro è particolarmente sentita nelle grandi macchine, dove l’ esecuzione in piattina degli avvolgimenti di statore richiede l’adozione di cave di tipo aperto. In questo caso, se il traferro è modesto, le perturbazioni, prodotte dalle aperture di cava sulla distribuzione del campo, possono provocare ondulazioni eccessive della forma d’onda della f.e.m. indotta come illustrato nella figura seguente.

247

PROF. ANDREA CAVAGNINO

5mm 15mm

10mm 15mm

Forme d’onda di f.e.m. di fase nel caso di cave aperte.

Avvolgimenti smorzatori Nei generatori allacciati alla rete elettrica a 50 Hz possono manifestarsi, in conseguenza di transitori di carico, di eccitazione o di risonanze con il motore primo, delle oscillazioni di velocità attorno alla velocità di sincronismo. La caratteristica meccanica della macchina sincrona non è in grado di smorzare adeguatamente queste oscillazioni e, pertanto, il rotore viene a ruotare con una velocità oscillante, che risulta inaccettabile dal punto di vista dello scambio della potenza elettrica e che può innescare fenomeni gravi di instabilità fino alla perdita del sincronismo. Questo tipo di oscillazioni, di frequenza molto bassa (inversamente proporzionale al momento di inerzia del sistema motore-generatore) prende il nome di oscillazioni pendolari o pendolazioni. Per attutire adeguatamente questo fenomeno, vengono disposte sulla superficie esterna del rotore delle spire in corto circuito; esse sono, in genere, assimilabili ad una gabbia di scoiattolo e prendono il nome di avvolgimenti smorzatori. Tali avvolgimenti sono inerti quando la macchina lavora sincrona con la frequenza di rete, ma intervengono, nel caso di oscillazioni di velocità attorno alla velocità di sincronismo, mettendo in gioco una coppia asincrona con effetto smorzante. Altre forme costruttive della macchina sincrona Se per le grandi macchine sincrone, destinate a produrre energia elettrica in c.a. a 50Hz, le forme costruttive sono standardizzate nelle strutture sopra descritte, per le macchine di piccola e media potenza, fino a qualche centinaio di kW, le forme costruttive possono subire nette diversificazioni secondo l’uso precipuo come generatore o come motore. Un caso particolarmente interessante dal punto di vista applicativo è costituito dai generatori per alta frequenza (100-20000Hz) che possono venire destinati all’alimentazione di motori veloci (motori per la lavorazione di legno o leghe leggere) o di impianti elettrici di bordo (aerei : 400Hz). Per poter ottenere elevati valori di frequenza senza dover ricorrere a velocità di rotazione eccessive, queste macchine possiedono un elevato numero di polarità. Esse vengono realizzate attraverso l’impiego di due tecniche costruttive distinte: Macchine a poli alterni. Macchine omopolari.

248

MACCHINE ELETTRICHE

SN NN

Campo

Corona Sud Bobina di campo Rotore assemblato Corona Nord Anelli di adduzione della corrente di eccitazione Schema costruttivo di un generatore Lundell

Un esempio abbastanza originale di realizzazione di generatori elettrici a poli alternati è illustrato nella figura precedente (generatori Lundell o claw-pole o con poli ad artiglio). L’eccitazione del rotore è prodotta da un solenoide disposto assialmente sull’albero ed il flusso prodotto viene convogliato verso lo statore attraverso due corone contrapposte che assumono polarità di segno contrario. Ciascuno dei rebbi o ‘artigli’ della corona di polarità Nord viene a trovarsi affiancato dai rebbi o ‘artigli’ della corona opposta di polarità Sud, e viceversa. Lungo la circonferenza del traferro si determina, quindi, un numero di polarità alternate uguale al numero di rebbi delle due corone. Con questo assetto costruttivo si possono realizzare rotori con elevato numero di coppie polari in dimensioni radiali contenute e impiegando un’unica bobina di eccitazione, con notevole risparmio di rame e di perdite Joule. La sagoma degli artigli può inoltre essere studiata in modo da generare f.e.m. indotte praticamente sinusoidali. Bobina di eccitazione in c.c.

Bobine di armatura

Flusso Ruote polari Schema di principio di un generatore omopolare per alta frequenza.

Alla seconda categoria di macchine (macchine sincrone omopolari) destinate essenzialmente alla produzione di frequenze elevate appartengono macchine in cui i poli di rotore non vengono eccitati attraverso bobine ad essi solidali, ma l’eccitazione è provvista da un’apposita bobina alimentata in c.c. e collocata sullo statore. 249

PROF. ANDREA CAVAGNINO Il rotore di queste macchine è spezzato in due ruote polari dotate di un elevato numero di poli o denti, come illustrato nella figura precedente. Attraverso una bobina di eccitazione assiale sistemata sullo statore, le due ruote polari assumono ciascuna una polarità opposta e, quindi, tutti i poli o denti di una ruota risulteranno di polarità Nord, mentre i poli o denti dell’altra prendono polarità Sud. Anche l’avvolgimento di armatura è spezzato in due gruppi di bobine, ciascuno dei quali concatena il flusso prodotto dalla corrispondente ruota polare. Il numero di denti di statore è multiplo del numero di denti di rotore e al muoversi di quest’ultimo la riluttanza e il flusso Flusso di macchina indotto dalla bobina di eccitazione saranno Valore medio modulati. Il flusso nella macchina del flusso assumerà valore massimo quando i denti di statore e rotore saranno affacciati (traferro minimo); viceversa il flusso presente sarà massimo se ad essere f.e.m. indotta in armatura affacciati saranno denti e cave. Se con ZS si indica il numero di denti di statore, per Flusso e f.e.m. nell’alternatore omopolare. un giro completo del rotore si produrranno ZS ondulazioni complete del flusso attorno al valore medio, come illustrato in figura. Conseguentemente nelle bobine di armatura viene indotta una f.e.m. con una pulsazione elettrica pari a ZS volte la velocità di rotazione della macchina. Collegando opportunamente in serie o parallelo le bobine si può erogare la potenza elettrica con i requisiti di tensione e corrente richiesti dall’applicazione. Macchine a magneti permanenti Nelle soluzioni costruttive fin qui esaminate, il flusso induttore della macchina viene prodotto dal rotore attraverso un apposito circuito di eccitazione. d

d q

a) magneti esterni

q

d

q

b) magneti interni

c) magneti radiali

Strutture di rotori a magneti permanenti

Tuttavia, quando nelle normali operazioni della macchina non sia richiesta una regolazione di tale flusso, si possono realizzare macchine sincrone con eccitazione a magneti permanenti. Questa possibilità, che consente di ridurre gli ingombri del rotore e di annullare le perdite Joule di eccitazione, è particolarmente sfruttata nella realizzazione di motori sincroni di piccola e media potenza, destinati ad una alimentazione a frequenza variabile. Il sistema 250

MACCHINE ELETTRICHE formato da un motore sincrono a magneti permanenti, dal suo alimentatore e dal suo sistema di controllo viene usualmente definito “motore brushless”. La disposizione dei magneti sul rotore può essere superficiale, come illustrato nella figura a) precedente, oppure i magneti possono essere immersi nel ferro di rotore (magneti interni: figura b). In entrambi i casi, i magneti presentano le superfici magnetizzate in corrispondenza al traferro. Nella sistemazione di figura c), i magneti sono disposti radialmente nel rotore, la magnetizzazione assume andamento trasversale e il flusso viene convogliato al traferro attraverso i settori di materiale ferromagnetico dolce. In questa maniera si possono realizzare macchine con elevato numero di poli e allo stesso tempo ottenere una concentrazione di flusso al traferro con valori di induzione più alti di quelli disponibili nei singoli magneti. Lo statore mantiene generalmente la forma tipica delle grandi macchine (identica a quella vista per le macchine asincrone), ma in alcuni tipi di macchina Statore a poli salienti particolare può presentarsi nella versione a poli salienti come illustrato nella figura a fianco.

Macchine a riluttanza Tra le macchine a struttura sincrona meritano un cenno particolare le macchine a traferro variabile, dette comunemente macchine a riluttanza. In queste macchine il rotore è privo di eccitazione e la sua sezione è opportunamente sagomata in modo da creare delle strade preferenziali per il passaggio del flusso magnetico prodotto al traferro dall’avvolgimento di armatura. Come per le macchine a magneti permanenti, lo statore può presentare la tipica forma a corona circolare con avvolgimenti disposti in cave lungo la circonferenza interna come per i motori asincroni, oppure può presentare una struttura a poli sporgenti. Nella figura seguente sono illustrate in via di principio alcune configurazioni assunte dal rotore di una macchina a riluttanza. Nelle figura è indicato con la lettera d, l’asse diretto che corrisponde all’asse di minima riluttanza del rotore e con la lettera q l’asse in quadratura, ovvero l’asse a massima riluttanza. Questa tipologia di macchine trova applicazione quasi esclusivamente nel campo delle motorizzazioni, dove si fa apprezzare per la robustezza e semplicità del suo rotore. q

d

q

d

Strutture di rotori a riluttanza variabile

251

PROF. ANDREA CAVAGNINO Sia le macchine a riluttanza che quelle a magneti permanenti costituiscono il punto di partenza nella realizzazione dei motori a passo, che rappresentano una vasta famiglia di motori in grado di produrre moto incrementale per applicazioni del tutto particolari di posizionamento (ad esempio nelle stampanti). Raffreddamento Come si è già detto in precedenza, le macchine sincrone possono raggiungere potenze ragguardevoli. In effetti, il ‘gigantismo’ nelle macchine elettriche porta dei vantaggi in termini economici. Si può ricordare che la potenza di una macchina elettrica cresce con un esponente 4 delle dimensioni lineari, mentre peso e perdite crescono in misura minore (esponente 3 delle dimensioni). Le principali limitazioni tecniche all’accrescimento della potenza unitaria di una macchina sono da riferire a problemi di smaltimento del calore. Al crescere delle dimensioni della macchina le perdite, come detto, crescono con i volumi dei materiali attivi, mentre la potenza termica dissipabile cresce con le superfici di scambio disponibili e, quindi, all’aumentare delle dimensioni e della potenza, si origina ben presto uno squilibrio tra perdite e capacità di smaltimento, con aumento delle sovratemperature della macchina. Per fissare le idee si pensi che il calore, espresso in termini di perdite, prodotto da un alternatore da 100 MVA con rendimento 0.9 e fattore di potenza 0.75 corrisponde a 7500 kW. Per asportare questo calore dall’interno della macchina sono necessari metodi di raffreddamento particolarmente efficaci. Il fluido di raffreddamento di più semplice impiego è usualmente l’aria. Per grandi macchine il circuito di raffreddamento in aria è del tipo a circuito chiuso per limitare l’ingresso di polveri all’interno della macchina. Per macchine di potenza maggiore, come ad esempio i turbogeneratori, l’aria viene sostituita da idrogeno, la cui maggiore conducibilità termica consente un raffreddamento più efficace. Tuttavia l’acqua è il fluido che possiede le migliori caratteristiche dal punto di vista dell’asportazione del calore e le unità più grandi vengono equipaggiate con raffreddamento ad acqua o emulsione acqua-olio. Canali di circolazione aria

Canali di circolazione fluido di raffreddamento lamiere

Conduttori cavi con circolazione interna fluido di raffreddamento (H2, H2O+olio) Sistemi di raffreddamento dei conduttori di armatura e di eccitazione in grandi alternatori

252

MACCHINE ELETTRICHE Osservazione Le macchine sincrone sono macchine elettriche in corrente alternata in grado di generare coppia solo alla velocità di sincronismo. Si ricorda che tale velocità è legata alla frequenza ed al numero di paia poli p della macchina secondo la seguente relazione: ns =

60 ⋅ f p



ωs =

2⋅π⋅ f ω = p p

(6.1)

dove ω è la pulsazione elettrica delle grandezze di statore. La figura seguente illustra la forma della caratteristica coppia-velocità per una macchina sincrona. +Cmax

Cm Funzionamento da motore

+CN

ωr ωs Funzionamento da generatore

-CN -Cmax

Caratteristica coppia-velocità della macchina sincrona

Si noti che oggi la macchina sincrona trova sempre più frequentemente impiego come motore regolato in velocità; infatti, grazie alla disponibilità di strutture di conversione statica quali gli inverter, risulta possibile regolare facilmente la velocità di sincronismo e quindi la velocità di rotazione della macchina. Senza entrare nel dettaglio, si ribadisce il fatto che l’utilizzo della macchina sincrona come motore è ormai imprescindibile dall’uso di un convertitore elettronico di potenza e di un sistema di controllo (ovvero di un azionamento). Per attuare le leggi di moto e di velocità desiderate, al sistema di controllo serve tipicamente l’informazione della posizione istantanea del rotore rispetto ad un riferimento fisso di statore. Tale misura viene acquisita tramite opportuni sensori montati sull’albero della macchina (encoder, revolver, …) oppure tramite misure ai morsetti elettrici noto il modello dinamico della macchina (controlli di tipo sensorless).

253

PROF. ANDREA CAVAGNINO

6.2 – Impiego della macchina sincrona come generatore Come chiarito al paragrafo precedente, la macchina sincrona trova il suo impiego più usuale come generatore (alternatore). Il generatore sincrono è, infatti, tipicamente presente in tutti i processi che prevedono la conversione dell’energia dalla forma meccanica alla forma elettrica in corrente alternata, e può essere usato sia come generatore autonomo su carichi locali, sia in collegamento con una rete elettrica già esistente. Nel primo caso la velocità di rotazione, la frequenza e la tensione generata non costituiscono un vincolo funzionale come capita invece nel secondo caso. La quasi totalità dell’energia elettrica, oggi prodotta ed immessa nella rete di trasporto e distribuzione, è generata da macchine sincrone collegate in parallelo e mosse da motori primi di diversa natura (turbine a gas, a vapore e idrauliche, motori diesel, …). Poiché la frequenza della rete è unica (50 Hz), tutti i generatori con essa collegati devono produrre energia elettrica alla stessa frequenza. Questo fatto si enuncia dicendo che tutti i generatori collegati in rete sono sincroni tra loro. Ma, poiché i motori primi, che forniscono ai singoli generatori la necessaria potenza meccanica, sono caratterizzati da velocità ottimali di erogazione della potenza anche molto diverse tra loro, il necessario sincronismo elettrico deve essere ottenuto attraverso la scelta del numero di coppie polari dell’alternatore. Nel presente paragrafo si analizzeranno le caratteristiche dell’alternatore come generatore connesso in parallelo ad una rete con tensione e frequenza fissate. Lo studio sarà affrontato considerando una macchina sincrona isotropa, o a traferro costante. Nello sviluppo della teoria si farà riferimento all’ipotesi di linearità dei fenomeni magnetici che avvengono all’interno della macchina. Verrà pertanto trascurata l’influenza del ferro con le sue caratteristiche di saturazione e di isteresi (ipotesi di linearità magnetica). Inoltre per tutte le distribuzioni di campo, di f.m.m. e di induzione presenti nel traferro si prenderà in considerazione esclusivamente la componente sinusoidale fondamentale, trascurando in tal modo gli effetti della distribuzione degli avvolgimenti e della presenza di cave. Questo approccio consente, come già visto nel caso della macchina ad induzione, di operare attraverso l’introduzione di vettori spaziali nella rappresentazione delle diverse grandezze distribuite.

6.2.1 – Funzionamento a vuoto dell’alternatore Inviando la corrente continua di eccitazione nell’avvolgimento di rotore si crea un flusso (detto flusso di eccitazione), a distribuzione sinusoidale lungo il traferro, di tipo unidirezionale rigidamente fissato alla struttura di rotore. La direzione del vettore spaziale del flusso di eccitazione coincide con l’asse magnetico dell’avvolgimento che lo ha creato. Tale asse asse q viene denominato asse diretto. È possibile definire il seguente legame tra la fondamentale del flusso di eccitazione e la Iecc corrente di eccitazione: ˆ Φ ecc = K ecc ⋅ I ecc

asse d

(6.2)

Quando il motore primo trascina in rotazione il rotore alla velocità di sincronismo ωs, nelle tre fasi dell’avvolgimento di statore si inducono delle forze elettromotrici sinusoidali, sfasate nel tempo di 120°. 254

Φecc

ωs Iecc

Rappresentazione del vettore spaziale del flusso di eccitazione

MACCHINE ELETTRICHE Ricordando quanto visto al paragrafo 5.2 ed in particolare che i concatenamenti di flusso dipendono dagli angoli elettrici e non da quelli meccanici (αelettrico = p αmeccanico, dove p è il numero di paia poli dell’avvolgimento) e che il numero delle spire equivalenti ai fini della produzione di F.e.m. di un avvolgimento distribuito vale Ns*, la F.e.m. indotta a vuoto nelle fasi di statore si può scrivere nel seguente modo.

e0 (t ) = −

dλ s (t ) dt



E0 = − j ⋅

ω 2

ˆ ecc = − j ⋅ 4.44 ⋅ N s* ⋅ f ⋅ Φ ˆ ecc ⋅ N s* ⋅ Φ

(6.3)

Per scrivere la (6.3) si è ipotizzato di studiare i morsetti elettrici di statore dell’alternatore con la convezione di segno dei generatori elettrici (segno meno nella legge di Lenz). Si ricorda nuovamente che la pulsazione elettrica ω del fasore E0 è pari a p volte la pulsazione di sincronismo ωs. Riconsiderando la relazione (6.2), si può mettere in relazione l’ampiezza della F.e.m a vuoto con la corrente di eccitazione. E0 = K ⋅ ω ⋅ I ecc

(6.4)

È quindi possibile ricavare la caratteristica di magnetizzazione della macchina al variare della corrente di eccitazione come illustrato nella figura E0 a fianco. Tale caratteristica risulta in genere non lineare a causa dei fenomeni di saturazione del ferro che si ω = costante osservano per correnti di eccitazione elevate. I casi in cui i fenomeni di saturazione influenzino in modo rilevante il funzionamento della macchina verranno via via sottolineati nel seguito. Iecc Caratteristica di magnetizzazione

Durante il funzionamento a vuoto si può quindi disegnare il seguente diagramma vettoriale.

asse q E0

Iecc asse d Φecc

ωs Iecc

Diagramma vettoriale a vuoto

255

PROF. ANDREA CAVAGNINO Anche per l’alternatore è conveniente pensare ad un circuito equivalente monofase, ad esempio per valutarne le caratteristiche di funzionamento Sulla base di quanto finora visto e sulle conoscenze acquisite per la macchina ad induzione si può pensare al seguenti circuito equivalente. Si noti la convenzione di segno dei generatori elettrici. Rs

Xd

E0 = K ω Iecc

Is fase = 0

Vs fase = E0

a)

Xd

Rs

Is fase

E = E(Iecc, I)

Vs fase

b)

Circuito equivalente monofase dell’alternatore a) Funzionamento a vuoto b) Funzionamento a carico

La reattanza di dispersione di statore Xd tiene conto dei flussi dispersi a statore (in cava, in testata) mentre la resistenza Rs tiene conto delle perdite Joule di statore. In generale, per i grandi alternatori la resistenza di statore è un parametro trascurabile ai fini del calcolo delle prestazioni ad eccezione, ovviamente, del rendimento. Si osservi che durante il funzionamento a carico la F.e.m indotta a statore viene a dipendere, oltre che dalla corrente di eccitazione, anche dalla corrente erogata dal generatore a causa del fenomeno di reazione di indotto (fenomeno di cui si parlerà più avanti). Questa dipendenza fa sì che il circuito equivalente appena presentato sia di fatto inutilizzabile; nel seguito si vedrà come giungere ad un circuito equivalente più adatto agli esercizi di calcolo. Per ora basti sapere che nel circuito equivalente b) la forza elettromotrice E è la F.e.m. indotta nelle fasi di statore dal flusso complessivo di macchina prodotto dall’azione congiunta della corrente di eccitazione e della corrente di statore.

6.2.2 – Parallelo dell’alternatore sulla rete La prima manovra che conviene analizzare, nelle operazioni di funzionamento dell’alternatore su una rete elettrica, è la manovra di parallelo. Questa operazione comporta il collegamento dei morsetti di armatura del generatore sincrono con quelli della rete e consente alla macchina di scambiare potenza elettrica attiva e reattiva con i carichi e con gli altri alternatori (preponderanti in termini di potenza), che costituiscono, nel loro insieme, il sistema rete. Si può ragionevolmente reputare che la frequenza e la tensione della rete non siano in alcun modo influenzate da questa operazione; si ritiene, in altri termini, che la rete sia di potenza prevalente rispetto alla potenza dell’alternatore. Nella fase di messa in parallelo è prevista una successione di interventi da eseguire sul motore primo e sull’eccitazione della macchina allo scopo di evitare transitori violenti nel momento della chiusura degli interruttori di connessione. Per le grosse macchine la sequenza delle azioni da fare viene gestita da un sistema di controllo automatico. Lo schema del sistema di potenza, coinvolto nell’operazione, è rappresentato in modo semplificato nella figura seguente. Preliminarmente si deve verificare, con l’interruttore aperto, che i due sistemi trifase (quello creato dal generatore e quello della rete) abbiano la stessa sequenza delle fasi. 256

MACCHINE ELETTRICHE

Alternatore

Interruttore di rete

Motore Rete

V1

Regolazione Eccitazione

V2 V3

Voltmetri di Parallelo

Parallelo di un alternatore sulla rete elettrica.

Per procedere al parallelo si deve innanzitutto intervenire sul motore primo di trascinamento della macchina in modo che la velocità di rotazione sia grossolanamente prossima a quella di sincronismo. Quindi si eccita il rotore e si osservano le indicazioni dei voltmetri di parallelo. Questi strumenti leggono la differenza di tensione tra la f.e.m. indotta dall’alternatore e la tensione di rete. Tale differenza è proporzionale, in ampiezza, al vettore ∆V illustrato nella figura seguente. Se la velocità di rotazione non è sincrona, l’ampiezza di ∆V varia nel tempo con la pulsazione di scorrimento ωsc = ωrete – p.ωs e le indicazioni dei voltmetri variano conseguentemente. A questo punto si regola finemente la velocità di rotazione del motore primo, cercando di stabilizzare le indicazioni dei voltmetri, o, quanto meno, cercando di rendere la loro frequenza di oscillazione molto piccola. Regolando l’eccitazione si possono trovare intervalli di tempo prolungati, per cui la differenza ∆V, letta dai voltmetri, risulta praticamente nulla. Queste condizioni si manifestano quando il vettore E0 e il vettore Vrete sono pressochè uguali in modulo e fase. Nel momento in cui la lettura voltmetrica è minima possono ωe essere chiusi gli interruttori di ∆V1,2,3,4 parallelo; in questo modo la macchina Vrete=E0 Vrete è collegata alla rete in condizione di funzionamento a vuoto e senza E0,1,2,3,4 particolari transitori di corrente. Dopo la chiusura degli interruttori, nella condizione ideale rappresentata in figura b), apparentemente non si hanno ripercussioni sul comportamento dell’alternatore. Esso continua a ωR Iecc ruotare nella stessa maniera precedente e continua a non essere presente scambio di corrente con la rete. Tuttavia, se a questo punto si a) b) modificano le condizioni operative del a) Variazioni voltmetriche in condizioni asincrone motore primo, la macchina reagirà, di rotazione. restando agganciata alla velocità di b) Condizione ideale di parallelo. sincronismo e, qualunque azione (entro certi limiti) venga esercitata sull’albero, non sarà più in grado di modificare la velocità di rotazione. 257

PROF. ANDREA CAVAGNINO

6.2.3 – Funzionamento a carico dell’alternatore connesso in rete Poiché nei grandi alternatori le cadute resistive negli avvolgimenti statorici sono normalmente di piccola entità rispetto alle cadute reattive, in molte delle considerazioni e dei diagrammi che seguiranno, si trascurerà l’influenza della resistenza di fase di statore RS. Il circuito equivalente della macchina a cui fare riferimento è il seguente, in cui il parametro Xd rappresenta la reattanza di dispersione di statore. Si ricorda ancora che la forza elettromotrice E che compare in figura è quella indotta dal flusso complessivo di macchina (generato dalla corrente di eccitazione e da quella di statore). Xd

Rs

E = E(Iecc, I)

Is fase = Irete

Vs fase = Vrete

Circuito equivalente monofase dell’alternatore

Regolazione della potenza reattiva

Supponendo che l’alternatore si trovi in parallelo alla rete, nella condizione di funzionamento a vuoto descritta al paragrafo precedente (ed illustrata nella figura a) seguente), si immagini di aumentare inizialmente la corrente di eccitazione. Come conseguenza aumenteranno il flusso e la f.e.m. prodotti dalla macchina. Lo squilibrio tra f.e.m. e tensione di rete generano una corrente IS: Is =

E − V rete jX d

(6.5)

Tale corrente è in quadratura con i vettori E e Vrete. In queste condizioni si dice che l’alternatore è ‘sovra-eccitato’: non c’è scambio di potenza elettrica attiva tra alternatore e rete, ma esclusivamente scambio di potenza reattiva. Il comportamento della macchina è assimilabile a quello di un condensatore (condensatore sincrono: figura b) seguente); come un condensatore, infatti, l’alternatore invia potenza reattiva alla rete, che, ai morsetti di connessione, viene vista come carico induttivo. La potenza reattiva scambiata può essere regolata regolando la corrente di eccitazione. Caratteristiche diametralmente opposte presenta il funzionamento dell’alternatore in condizioni di sotto-eccitazione. Se si riduce la corrente di eccitazione sotto il valore per cui la f.e.m. indotta fa equilibrio alla tensione di rete, la caduta di tensione sulla reattanza di dispersione si inverte e anche la corrente scambiata ruota la sua fase di 180°, come rappresentato nel diagramma c) della figura seguente. In questo caso l’alternatore si comporta come induttore (induttore sincrono). Nelle modalità di funzionamento qui descritte non è necessaria la presenza di un motore primo per il trascinamento della macchina, ovvero non si deve fornire coppia all’asse dell’alternatore. Questo può essere mantenuto in sincronismo dalla stessa rete di alimentazione, che provvede automaticamente a sopperire la piccola quota di potenza necessaria per compensare le perdite nel ferro e le perdite Joule connesse con il passaggio della corrente IS, oltre che le perdite meccaniche conseguenti alla rotazione.

258

MACCHINE ELETTRICHE E

jXd IS Vrete

E0

E0

Vrete

E0

Vrete jXd IS

E

Iecc

I’ecc

(a)

IS

(b)

IS

I”ecc

(c)

Regolazione dell’eccitazione dell’alternatore e scambio di potenza reattiva con la rete.

Regolazione della potenza attiva Per comprendere il modo in cui un alternatore scambia potenza elettrica attiva con la rete a cui è connesso, si parta nuovamente dalla condizione ideale di funzionamento a vuoto illustrata nella figura a) seguente. Sotto questo presupposto la f.e.m., prodotta per effetto dell’eccitazione, equilibra esattamente la tensione di rete e non si ha corrente erogata. Se si trascurano tutte le perdite interne alla macchina si può ritenere che la condizione operativa può essere mantenuta senza la necessità di richiedere potenza meccanica al motore primo e quindi senza coppia trasmessa all’albero. Nel diagramma vettoriale di figura a) i due vettori Vrete ed E0 viaggiano di conserva, ruotando sincroni nel senso antiorario convenzionalmente positivo. Tuttavia, mentre il vettore Vrete ha una velocità di rotazione imposta dalla rete elettrica, il vettore E0 deve essere pensato solidale alla posizione spaziale del rotore e ruota con la velocità di quest’ultimo. Se a questo punto si aumenta la coppia prodotta dal motore primo e, con essa, la potenza meccanica trasmessa all’albero, il rotore della macchina tende inizialmente ad accelerare ed il vettore E, ad esso collegato, tende ad anticipare rispetto alla tensione di rete. Il diagramma vettoriale si modifica come illustrato nella figura b), nell’ipotesi di regolare la corrente di eccitazione in modo da garantire l’uguaglianza E = Vrete. Lo sfasamento tra il vettore E ed il vettore Vrete dà luogo al passaggio di una corrente tra alternatore e rete, che, nel caso di una macchina isotropa, è direttamente determinabile dal circuito equivalente semplificato attraverso la relazione (6.6):

Is =

E − V rete jX d

(6.6)

La corrente di armatura presenta una componente (ISq) in fase con la f.e.m. (E), che testimonia, la nascita di una coppia di origine elettromagnetica che contrasta la rotazione e quindi la coppia motrice applicata all’albero. Poiché questa componente aumenta al crescere dell’angolo β di anticipo del vettore E, prima o poi la coppia elettromagnetica della macchina eguaglierà esattamente la coppia motrice applicata all’albero, consentendo una nuova posizione sincrona di equilibrio dei diversi vettori del diagramma. 259

PROF. ANDREA CAVAGNINO (a)

(b)

Vrete=E0

(c)

Vrete

E

Vrete

β

E

β

IS ISq

ωe

ωe

ISa

ωe

Cmot

Cmot

Iecc

ISq

ISa IS

Scambio di potenza attiva tra l’alternatore e la rete

Dal punto di vista meccanico la macchina si comporta come se esistesse un collegamento elastico tra gli estremi del vettore Vrete e del vettore E . Contestualmente la corrente IS, scambiata con la rete, presenta anche una componente attiva positiva ISa con la tensione Vrete; questo testimonia il fatto che la potenza meccanica, fornita all’albero dal motore primo, viene convertita direttamente in potenza elettrica, secondo il tipico funzionamento da generatore. Sulla base delle ipotesi fatte e del diagramma vettoriale b) si possono scrivere le seguenti relazioni. Pmeccanica all ' asse = C m ⋅ ω s = 3 ⋅ E ⋅ I s ⋅ cos(β / 2 ) Pelettrica erogata = 3 ⋅ Vs ⋅ I s ⋅ cos ϕ = 3 ⋅ E ⋅ I s ⋅ cos(β / 2 )

Un fenomeno perfettamente identico, ma di segno opposto, si verifica quando all’albero venga applicata una coppia frenante: in questo caso le due componenti ISq, ISa della corrente si invertono di segno e la macchina opera come motore (figura c)). In generale è possibile analizzare il funzionamento dell’alternatore a partire dalle condizioni di carico ai suoi morsetti, cioè dalla conoscenza della corrente erogata e del fattore di carico, come indicato nella figura seguente. E

j Xd IS

β VS ϕ

IS

Posizione del vettore E in base ad una certa situazione di carico

260

MACCHINE ELETTRICHE

6.2.4 – Fenomeno della reazione di indotto. Reattanza sincrona Come accennato precedentemente, durante il funzionamento a carico dell’alternatore la forza elettromotrice E che si induce negli avvolgimenti della macchina viene prodotto dal flusso complessivo di macchina Φm, come richiamato nella figura seguente. E

j Xd IS

Φm β VS ϕ

IS

È bene ricordare che il sistema trifase delle correnti di statore, fluendo nei rispettivi avvolgimenti di fase, crea un campo magnetico rotante sincrono con il rotore. A tale campo magnetico rotante si può associare una distribuzione di flusso al traferro, denominato flusso di reazione di indotto Φr, secondo i ragionamenti visti al paragrafo 4.5. Il flusso di macchina Φm è la risultante del flusso di eccitazione Φecc e del flusso di reazione Φr. Ragionando in termini di vettori spaziali, equivalenti alle diverse distribuzioni fondamentali di flusso al traferro, si può scrivere la seguente relazione. ˆ =Φ ˆ ˆ Φ m ecc + Φ r

(6.7)

Occorre precisare che il legame (6.7) tra i flussi al traferro è corretto solo nell’ipotesi di linearità magnetica del ferro. Viceversa è sempre valida la composizione dei vettori rappresentativi delle distribuzioni di forza magnetomotrice creati dalle correnti. ' Fˆm = Fˆecc + Fˆr = N ecc ⋅ I ecc + N s' ⋅ Iˆs

(6.8)

Nella (6.8), Necc’ ed NS’ rappresentano il numero di spire equivalenti ai fini della produzione di F.m.m. dei rispettivi avvolgimenti. La relazione (6.8) evidenzia che il vettore spaziale Fr risulta in fase con il vettore spaziale delle corrente di statore, come indicato nella figura seguente. E

j Xd IS

β VS ϕ

IS

Φr Fr

261

PROF. ANDREA CAVAGNINO Sulla base dell’ipotesi di linearità magnetica della macchina, si può disegnare il seguente diagramma vettoriale. Nel caso di presenza di fenomeni di saturazione del ferro i triangoli di forza magnetomotrice e di flusso non sarebbero più tra loro simili.

Fr

Fecc

Φr

Fm

Φecc

E

Φm

j Xd IS

β VS ϕ

IS

Φr Fr

La figura precedente dimostra che il fenomeno di reazione di indotto produce una pesante variazione del flusso di macchina nel passaggio da vuoto a carico della macchina. In particolare, con carichi ohmico-induttivi il fenomeno comporta una pesante smagnetizzazione dell’alternatore rispetto alla condizione di funzionamento a vuoto (corrente di statore nulla e flusso di macchina pari al flusso di eccitazione). Il diagramma vettoriale precedente può essere completato indicando anche il vettore della F.e.m a vuoto E0. Tale vettore risulta sfasato in ritardo di 90° rispetto al flusso di eccitazione. Poiché le F.e.m E0 ed E sono proporzionali ai flussi che le generano (rispettivamente Φecc e Φm) tramite il numero di spire equivalenti dell’avvolgimento di statore ai fini della produzione di tensione indotta, si ha che il triangolo delle F.e.m deve essere simile al triangolo dei flussi. E0 ∆E

Fr

Fecc

Φr Φecc

Fm

E

Φm

j Xd IS

β VS ϕ

262

IS

MACCHINE ELETTRICHE Sulla base di questa osservazione si può concludere che il vettore ∆E deve necessariamente avere la stessa direzione della caduta di tensione sulla reattanza di dispersione, ovvero del vettore j Xd Is. Quindi, indipendentemente dalla situazione di carico (Is e cosϕ), il vettore ∆E risulta in anticipo di 90° rispetto al vettore Is e la sua ampiezza risulta proporzionale alla corrente erogata dalla macchina. Queste considerazioni permettono di poter interpretare il vettore ∆E come una caduta di tensione su una reattanza induttiva. Tale reattanza, denominata reattanza di reazione di indotto, può essere inserita nel circuito equivalente in serie alla reattanza di dispersione. La serie di queste due reattanze viene denominata reattanza sincrona XS della macchina, come indicato nella figura seguente. Xd

Rs

E = E(Iecc, I)

XS

Is fase = Irete

Vs fase = Vrete

Fenomeno della reazione di indotto

Rs

E0 = E0(Iecc)

Is fase = Irete

Vs fase = Vrete

Circuito equivalente monofase dell’alternatore

Pregio del circuito equivalente trovato, e se si vuole della definizione della reattanza sincrona, è la dipendenza della tensione indotta dalla sola corrente di eccitazione. Si noti che i fenomeni di smagnetizzazione della macchina a causa della reazione di indotto sono estremamente pesanti. Nel caso dei grossi alternatori utilizzati nelle centrali elettriche la caduta di tensione percentuale dovuta alla presenza della reazione di indotto (cioè il valore di ∆E rapportato alla tensione nominale della macchine) può raggiungere il 100 % - 150 %. Questo significa che la caduta di tensione sulla reattanza di dispersione è molto minore di quella sulla reattanza di reazione (Xd Q). Si noti come la regolazione della potenza reattiva, ottenuta secondo il procedimento indicato, non richieda la regolazione della coppia fornita dal motore primo (equazione (6.12)).

E0’

E0

ϕ’

ϕ j XS IS δ’

δ

j XS IS’

E0’ sen δ‘ = E0 sen δ

Vrete

ϕ ϕ’

IS

XS IS’ sen ϕ’ = E0’ cos δ’ – Vrete ∝ Q’ > Q

IS’ Regolazione della potenza reattiva

266

MACCHINE ELETTRICHE

Si riparta ora dalla condizione di carico assunta inizialmente e si ipotizzi di variare la potenza attiva erogata (ad esempio aumentarla, P” > P), mantenendo costante la corrente di eccitazione. Per far ciò si deve aumentare l’ampiezza del segmento E0 ⋅ senδ e quindi la coppia (equazione (6.12)). Poiché l’ampiezza del vettore E0 si mantiene costante, il vettore E0 deve routare in senso antiorario per realizzare il nuovo angolo di carico δ”. La figura seguente illustra che l’aumento della coppia e della potenza attiva si accompagna ad una diminuzione della potenza reattiva (Q” < Q). Per riportarsi nelle stesse condioni di potenza reattiva di partenza basta aumentare la corrente di eccitazione, secondo il procedimento indicato in precedenza.

E0” j XS IS” E0

j XS IS ϕ

δ” δ ϕ IS

E0” sen δ” ∝ P” E0 sen δ ∝ P

ϕ” Vrete

ϕ” IS”

XS IS” sen ϕ” = E0” cos δ” – Vrete ∝ Q” < Q

Regolazione della potenza attiva e reattiva

In conclusione, si possono rassumere i principi di regolazione dell’alternatore nel seguente modo: per regolare la potenza attiva generata si deve agire sulla coppia applicata all’asse; per regolare la potenza reattiva erogata si deve agire sulla corrente di eccitazione.

267

INDICE SOMMARIO Capitolo 1 – Introduzione

pp. 1

1.1 – Generalità sulla conversione dell’energia elettrica

1

1.2 – Richiami di elettromagnetismo

2

1.2.1 - Legge della circuitazione magnetica

3

1.2.2 – Relazione costitutiva del mezzo

5

1.2.3 - Effetti dell’induzione. Flusso e leggi di Lenz e Lorentz

5

1.3 – Classificazione dei materiali magnetici 1.3.1 Materiali ferromagnetici 1.4 - Perdite nei materiali magnetici eccitati in c.a.

9 9 13

1.4.1 - Perdite per isteresi.

13

1.4.2 - Perdite per correnti parassite.

13

1.4.3 – Cifra di perdita di una lamiera magnetica.

14

1.5- Materiali conduttori

16

1.5.1 - Riscaldamento dei conduttori

16

1.5.2 - Effetto pelle

17

1.6 – Materiali isolanti

19

1.7 – Elettromagneti - circuiti magnetici

19

1.7.1 – Coefficiente di autoinduttanza e mutua induttanza

22

1.7.2 – Circuiti magnetici eccitati con magneti permanenti

25

1.7.2.1 - Calcolo del punto di lavoro del magnete

26

1.7.2.2 - Scelta delle dimensioni del magnete

26

1.8 – Energia immagazzinata nel campo magnetico 1.8.1 – Forze meccaniche 1.9 – Classificazione delle macchine elettriche 1.9.1 – Convenzioni di segno per motori e generatori 1.10 - Grandezze di targa e criteri di similitudine nelle macchine elettriche

27 29 29 30 31

1.10.1 - Grandezze di targa

31

1.10.2 - Relazioni tra potenza e dimensioni delle macchine elettriche

33

1.10.3 - Altre influenze delle dimensioni sulle caratteristiche delle macchine elettriche

34

1.11 – Riscaldamento delle macchine elettriche e modello termico semplificato

36

269

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Capitolo 2 – La macchina a corrente continua

pp. 39

2.1 – Generalità e caratteristiche costruttive

39

2.1.1 - Induttore

41

2.1.2 - Indotto e commutatore

43

2.1.3 - Immagini di particolari costruttivi

47

2.2 – Campo magnetico al traferro

48

2.2.1 – Campo magnetico dovuto alla corrente di eccitazione

48

2.2.2 – Campo magnetico dovuto alla corrente di armatura

49

2.2.3 – Campo magnetico risultante

51

2.3 - Principio di funzionamento della macchina a corrente continua.

52

2.3.1 – Ripartizione della corrente nell’avvolgimento di armatura

53

2.3.2 – Azione meccanica

54

2.3.3 - Azione elettrica

57

2.3.4 – La conversione elettromeccanica nella macchina a corrente continua

59

2.4 - Caratteristiche elettromeccaniche della macchina a corrente continua

60

2.4.1 – Motore ad eccitazione separata

62

2.4.2 – Motore ad eccitazione serie

69

2.5 – Quadranti di funzionamento del motore a corrente continua

73

2.6 – Perdite e rendimento del motore a corrente continua

76

2.6.1 – Funzionamento a vuoto reale

79

2.7 – Problema dell’avviamento del motore a corrente continua

80

2.8 – Fenomeni di saturazione magnetica nella macchina a corrente continua. Reazione d’indotto

82

2.8.1 – Saturazione del circuito di eccitazione e caratteristica di eccitazione

82

2.8.2 - Saturazione dovuta all’azione congiunta dell’eccitazione e dell’armatura

84

2.8.2.1 - Caratteristiche elettromeccaniche a regime in presenza di saturazione

85

2.8.2.2 – Effetto della reazione di indotto sulle macchine a magneti permanenti

88

2.9 – La commutazione 2.9.1 – La commutazione ideale o per resistenza

91

2.9.2 – La commutazione in presenza di fenomeni induttivi

92

2. 10 – Applicazioni del motore a corrente continua 2.10.1 – Riferimento normativi 2.10.2 – Servomotori in corrente continua 2.10.2.1 – Caratteristiche dei servomotori

270

91

96 97 100 100

MACCHINE ELETTRICHE

Capitolo 3 – Il trasformatore 3.1 – Generalità e caratteristiche costruttive

pp. 105 105

3.1.1 – Il nucleo per trasformatori monofasi

106

3.1.2 – Le bobine

108

3.1.3 – Il nucleo per trasformatori trifasi

109

3.1.4 – Esempi di trasformatori e particolari costruttivi

112

3.2 – Trasformatore ideale e principio di funzionamento

115

3.3 – Trasformatore reale e circuito equivalente

117

3.4 – Modifiche del circuito equivalente del trasformatore

124

3.4.1 Significato fisico delle operazioni di riporto a primario/secondario

126

3.5 – Determinazione dei parametri del circuito equivalente

129

3.5.1 – Misura della resistenza degli avvolgimenti

129

3.5.2 – Prova a vuoto

129

3.5.2 – Prova in cortocircuito

132

3.6 – Tensione di cortocircuito

135

3.7 – Caduta di tensione del trasformatore da vuoto a carico

137

3.8 – Rendimento del trasformatore

139

3.9 – Grandezze di targa e aspetti dimensionali

142

3.9.1 Generalità

142

3.9.2 Potenza di dimensionamento di un trasformatore

147

3.9.3 Considerazioni di scala sul trasformatore

149

3.10 – Trasformatore trifase 3.10.1 – Trasformatore trifase con alimentazione simmetrica e carico equilibrato Circuito equivalente del trasformatore trifase 3.10.1.1 – Formule per il trasformatore trifase

154 155 158

3.10.2 – Collegamenti del trasformatore trifase e rapporto di trasformazione

160

3.10.3 – Gruppo di appartenenza di un trasformatore trifase.

163

3.11 – Parallelo di trasformatori

165

3.12 – Autotrasformatore

169

3.13 – Funzionamento a vuoto del trasformatore monofase

174

271

PROF. ANDREA CAVAGNINO

Capitolo 4 – Il campo magnetico rotante

pp.179

4.1 – Interpretazione intuitiva del campo magnetico rotante

179

4.2 – Distribuzione di F.m.m e di campo al traferro

181

4.2.1 – Distribuzione di F.m.m prodotta da una bobina diametrale

182

4.2.2 – Distribuzione di F.m.m prodotta da un avvolgimento distribuito

183

4.2.3 – Avvolgimenti a più coppie polari

186

4.2.4 – Relazione tra distribuzione di F.m.m e campo al traferro

188

4.2.5 – Rappresentazione vettoriale delle distribuzioni spaziali al traferro create da un avvolgimento distribuito

190

4.3 – Campo magnetico al traferro generato da un avvolgimento distribuito alimentato in corrente alternata

192

4.4 – Campo magnetico al traferro generato da un avvolgimento polifase (trifase) alimentato in corrente alternata – Campo magnetico rotante.

194

4.4.1 – Cenni sul campo rotante in avvolgimenti a gabbia 4.5 – Flusso di macchina

Capitolo 5 – Il motore asincrono 5.1 – Generalità e caratteristiche costruttive

198 199

pp.201 201

5.1.1 – Aspetti costruttivi

201

5.1.2 – Immagini del motore asincrono trifase

205

5.2 – Principio di funzionamento e circuito equivalente

207

5.2.1 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore fermo

207

5.2.2 – Funzionamento con avvolgimento di rotore aperto e con rotore in movimento

208

5.2.3 – Funzionamento con avvolgimento di rotore in cortocircuito e con rotore in movimento

210

5.2.4 – Circuito equivalente riportato alla frequenza di alimentazione

213

5.2.5 – Bilancio energetico nel motore asincrono

214

5.3 – Caratteristica di coppia del motore asincrono

216

5.4 – Dati di targa del motore asincrono

221

5.5 – Influenza dei parametri sulla caratteristica di coppia

222

5.5.1 – Variazione della resistenza rotorica

222

5.5.2 – Variazione della reattanza di dispersione

225

5.5.3 – Variazione della tensione di alimentazione

226

5.6 – Prove sul motore asincrono - Rendimento

272

227

5.6.1 – Misura della resistenza di fase di statore

227

5.6.2 – Prova a rotore bloccato

228

MACCHINE ELETTRICHE 5.6.3 – Prova a vuoto

230

5.6.4 – Prova a carico in condizioni di regime termico

233

5.7 – Regolazione della velocità del motore asincrono

235

5.7.1 – Variazione del numero di poli

235

5.7.2 – Variazione della resistenza rotorica

237

5.7.3 – Variazione della tensione di alimentazione

238

5.7.4 – Variazione della frequenza di alimentazione

239

Capitolo 6 – La macchina sincrona

pp.245

6.1 – Generalità e aspetti costruttivi

245

6.1.1 –Struttura della macchina

246

6.2 – Impiego della macchina sincrona come generatore

254

6.2.1 – Funzionamento a vuoto dell’alternatore

254

6.2.2 – Parallelo dell’alternatore sulla rete

256

6.2.3 – Funzionamento a carico dell’alternatore connesso in rete

258

6.2.4 – Fenomeno della reazione di indotto. Reattanza sincrona

261

6.2.5 – Espressione della coppia elettromagnetica

264

6.2.6 – Regolazione della potenza attiva e reattiva

266

273

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