Appunti di Elettrotecnica
November 27, 2016 | Author: Marco Salvatore Vanadìa | Category: N/A
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Dispense per l'esame di Elettrotecnica Prof. Acciani Prof. Brucoli Politecnico di Bari...
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CAPITOLO 1
1.1
INTRODUZIONE
2
1.2
LA LEGGE DI COULOMB PER L’ELETTROSTATICA
2
1.3
CARICA E CORRENTE ELETTRICA
4
1.3.1 CONVENZIONE DI SEGNO PER LE CORRENTI
1.4
TENSIONE ELETTRICA
1.4.1 CONVENZIONE DI SEGNO PER LA TENSIONE
4
4 5
1.5
ESEMPIO SULLE DIREZIONI DI RIFERIMENTO
6
1.6
LA LEGGE DI KIRCHHOFF DELLE CORRENTI (LKC)
7
1.7
LA LEGGE DI KIRCHHOFF DELLE TENSIONI (LKT)
9
1.8
CONCETTO DI ‘BLACK BOX’ O BIPOLO NEI CIRCUITI ELETTRICI
1.8.1 SCELTA APPROPRIATA DELLE VARIABILI TERMINALI DI UN BIPOLO 1.8.2 ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE VARIABILI TERMINALI Q(T) E ϕ(T)
1.9
CONVENZIONI DI SEGNO PER LE VARIABILI ASSOCIATE IN UN BIPOLO
12 13 14
15
1.10 LINEARITÀ E NON LINEARITÀ DI UN BIPOLO
16
1.11 TEMPO-VARIANZA E TEMPO-INVARIANZA DI UN BIPOLO
16
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
2
1.1
INTRODUZIONE
L’elettrostatica studia i dispositivi elettromagnetici considerati sia singolarmente, sia in collegamento fra di loro (sistemi elettromagnetici). Esiste da più di un secolo uno schema concettuale che consente di affrontare tutti i problemi riguardanti tali dispositivi. Esso è caratterizzato da un sistema di equazioni differenziali ed è stato sistematizzato per la prima volta da James Clerk Maxwell. Molto più recentemente, è stato messo a punto un differente schema concettuale che, sotto opportune ipotesi, consente lo studio in modo più semplice di una buona parte dei dispositivi o dei sistemi elettromagnetici. A tale modello è attribuito il nome di circuito elettrico. Più precisamente, al modello circuitale di un dispositivo elettromagnetico è dato il nome di elemento circuitale. È importante conoscere il campo di validità del modello circuitale. Occorre precisare che i dispositivi elettromagnetici sono sede di fenomeni elettromagnetici che possono essere descritti attraverso opportune grandezze fisiche (grandezze elettriche). Tali grandezze possono avere variazioni lente o rapide nel tempo. Se L è la dimensione massima del dispositivo elettromagnetico di interesse, il tempo di transito t di un’onda elettromagnetica è espresso da t = L c , dove c è la velocità di propagazione nello spazio libero (velocità della luce). Se il tempo t è molto piccolo rispetto alla rapidità delle variazioni temporali delle grandezze elettriche che interessano il dispositivo, allora possiamo modellare il dispositivo elettromagnetico come elemento circuitale. In particolare, se nel dispositivo si hanno grandezze che variano periodicamente, la rapidità di variazione può essere valutata attraverso il periodo T corrispondente alla frequenza massima f. Considerato il dispositivo diremo che le variazioni sono lente se T >> t . In pratica, considerata la lunghezza d’onda λ m corrispondente alla frequenza f m ;
λ m = c f m ; se λ m >> L si può ritenere che la propagazione della grandezza elettromagnetica avvenga istantaneamente da un punto all’altro del dispositivo. Questo equivale a dire che possono ritenersi trascurabili le dimensioni spaziali del dispositivo e perciò che esso possa essere considerato come un elemento a parametri concentrati. Il dispositivo è rappresentato, per comodità, con un rettangolo, da cui emergono due o più terminali filiformi. Non ha importanza, ovviamente, la dimensione del rettangolo e la posizione e la lunghezza dei terminali. Una connessione di elementi circuitali a parametri concentrati prende il nome di circuito elettrico a parametri concentrati. I problemi per i quali non sarà possibile adottare il modello circuitale, dovranno essere affrontati con metodologie generali basate sulle equazioni di Maxwell. Per concludere, gli obiettivi del Corso di Elettrotecnica consistono essenzialmente nel mettere a punto, privilegiando gli aspetti metodologici, modelli circuitali di dispositivi reali e nell’illustrare le più importanti tecniche di analisi dei circuiti elettrici a parametri concentrati. Nel seguito, per semplicità, si tratteranno i circuiti omettendo l’espressione “a parametri concentrati”.
1. 2
LA LEGGE DI COULOMB PER L’ELETTROSTATICA
La proprietà dell’ambra strofinata di attrarre pagliuzze ed altri corpi leggeri, nonché quella della magnetite di attrarre corpi ferrosi, sono note fin dall’antichità. I primi tentativi scientifici per inquadrare i fenomeni elettrici in un contesto razionale sono stati fatti ricorrendo, appunto, a corpi che, come l’ambra, potevano essere elettrizzati per strofinio. Fu proprio grazie all’uso di tali corpi che Coulomb in Francia e Cavendish in Inghilterra, indipendentemente, giunsero ad affermare quanto segue:
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la forza che si stabilisce tra due corpi elettrizzati è sempre diretta secondo la congiungente i due corpi; le azioni elettriche sono talvolta di tipo attrattivo e altre volte di tipo repulsivo. Tuttavia è sempre vero che: se due corpi elettrizzati sono entrambi attratti o entrambi respinti da un terzo corpo elettrizzato, essi mostreranno tra loro un’azione repulsiva quando vengono avvicinati. se invece due corpi elettrizzati esercitano azioni opposte su un terzo corpo elettrizzato, essi mostreranno un’azione attrattiva quando vengono avvicinati. Da ciò consegue che esistono soltanto due tipi di elettrizzazione che, convenzionalmente, sono indicati con il segno + (positivo) e con il segno – (negativo). Inoltre elettrizzazioni dello stesso tipo hanno effetto repulsivo, quelle di tipo diverso hanno effetto attrattivo. L’intensità della forza elettrica che si stabilisce tra due cariche puntiformi a distanza l’una dall’altra è data da:
F =k
q1 q 2 r2
(1.1)
con q1 e q 2 cariche puntiformi. Tale espressione della forza F rappresenta la ben nota legge di Coulomb. Nel sistema MKS l’unità di carica è il Coulomb (C). Quindi il valore di k è dato da:
N ⋅m2 k = 8,9874 ⋅ 10 9 ≅ 9 ⋅ 10 9 2 C Nello sviluppo formale dell’elettrostatica si preferisce sostituire la costante k con la seguente espressione:
k=
1 4πε 0
dove ε 0 è detta costante dielettrica del vuoto ed è pari a:
ε0 =
1 = 8,8544 ⋅ 10 −12 N −1 ⋅ m − 2 ⋅ C 2 4πk
[
]
Successivamente, fu opera di Millikan scoprire che l’elettrone possiede la carica elettrica più piccola e non ulteriormente divisibile:
e = 1,6021 ⋅ 10 −19 [C]
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Tutte le cariche in natura sono multiple della carica elementare e. La carica elettrica non è quindi da considerarsi un fluido continuo, ma ha una struttura granulare o quantizzata.
1.3
CARICA E CORRENTE ELETTRICA
Dal punto di vista del comportamento elettrico dobbiamo distinguere i corpi in conduttori ed isolanti. Nei primi la carica elettrica è mobile e può spostarsi da una posizione all’altra del corpo sotto l’azione di un campo elettrico: tale flusso di cariche prende il nome di corrente elettrica. Nei corpi isolanti, invece, la carica è vincolata a posizioni fisse nelle quali rimane praticamente immobile. Definiamo intensità I di una corrente elettrica la quantità di carica che attraversa una sezione retta S di un conduttore nell’unità di tempo:
I=
∆q ∆t
Se il regime di flusso è variabile nel tempo, il valore istantaneo dell’intensità di corrente dovrà essere riferito ad un intervallo di tempo infinitesimo, nell’intorno dell’istante considerato:
i = lim
∆t → 0
∆q dq = ∆t dt
L’unità di misura nel sistema MKS è l’Ampère (A), definita come intensità di corrente corrispondente al passaggio di un Coulomb in un secondo. Il simbolo adottato per la corrente nelle formule è la lettera i: se la corrente è costante nel tempo o se ne vuole indicare il valore massimo od efficace si utilizza il carattere maiuscolo; trattando, invece, correnti variabili nel tempo si adopera il carattere minuscolo.
1.3.1 Convenzione di segno per le correnti Per quanto concerne il flusso di cariche in un mezzo conduttore si suole distinguere tra corrente convenzionale e corrente effettiva: la prima è stata erroneamente attribuita al moto di cariche positive e la seconda giustamente al moto di cariche negative poiché, quando un conduttore è sottoposto all’azione di un campo elettrico, sono le cariche negative a muoversi. Per poter definire univocamente la corrente non basta determinarne l’intensità ma anche il verso di spostamento: per far ciò si fissa un sistema di riferimento elettrico e si attribuisce alla corrente un segno positivo se si muove in senso concorde al riferimento e un segno negativo se si muove in senso discorde al riferimento. A meno che non sia diversamente specificato, ci si riferirà sempre alla corrente convenzionale.
1.4
TENSIONE ELETTRICA
Si considerino due armature metalliche elettricamente neutre. Si voglia caricare positivamente quella superiore e negativamente quella inferiore, come in figura:
5
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+++
A
–––
B
G
Fig. 1.1
Sarà quindi necessario separare le cariche di segno opposto: poiché la legge di Coulomb stabilisce che cariche eteronime si attraggono, è necessario collegare alle due armature una sorgente di energia (il generatore G) che fornisca il lavoro sufficiente alla separazione delle cariche. Il lavoro per unità di carica è detto tensione. In altri termini, indicata con dw l’energia fornita dal generatore (espressa in Joule) e con dq la carica (in Coulomb) assunta da una delle due armature, si ha che la tensione v è definita da:
v=
dw [V ] dq
L’unità di misura delle tensioni è il Volt (V). Anche in questo caso si utilizzano le lettere minuscole se si tratta di tensioni variabili nel tempo e le maiuscole per le tensioni costanti, per i valori efficaci e per quelli massimi. Si noti che la tensione si manifesta tra le due armature anche se queste non sono elettricamente collegate cioè anche se, come si dice comunemente, il circuito è aperto. Si noti ancora che la tensione è una grandezza definita sempre tra due punti. Quando perciò si paragoneranno la tensione di un punto con quella di un secondo, si intende implicitamente confrontare la tensione tra il primo punto ed un terzo punto generico di riferimento, con la tensione tra il secondo punto e lo stesso riferimento. Così, per la figura di sopra, si dice che l’armatura carica positivamente è a tensione più alta di quella carica negativamente. Si osservi, inoltre, che se si scambiano i collegamenti della sorgente si inverte il segno della carica sulle armature; proprio come nel caso della corrente si comprende, allora, che la tensione tra le due armature è una quantità algebrica.
1.4.1 Convenzione di segno per la tensione Per definire univocamente la tensione fra due terminali è necessario stabilire un riferimento associando ad un terminale il segno + ed all’altro il segno – : si intende così dire che il primo ha una tensione maggiore del secondo nel senso precedentemente specificato. La tensione fra due terminali è perciò positiva se la polarità assegnata risponde alla situazione reale, ed è negativa in caso contrario. Si può allora scrivere (con riferimento alla fig. 1.1):
v = ( tensione al terminale +) − ( tensione al terminale −) = v a − v b = v ab = −v ba Questa relazione evidenzia il carattere algebrico della tensione che può assumere valori tanto positivi che negativi. La tensione definita come nella suddetta relazione è detta tensione punto-punto (o nodo-nodo).
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Nella formula precedente, la tensione v a rappresenta il lavoro speso dal campo elettrico per trasportare l’unità di carica positiva dal punto a all’infinito, la tensione - v b rappresenta, invece, il lavoro speso dal campo elettrico per trasportare l’unità di carica positiva dall’infinito al punto b. La tensione v ab , dunque, rappresenta il lavoro speso dal campo elettrico per trasportare dal punto a al punto b l’unità di carica positiva.
1.5
ESEMPIO SULLE DIREZIONI DI RIFERIMENTO
Riepilogando quanto detto, per stabilire un sistema elettrico di riferimento, si attribuisce arbitrariamente una direzione di riferimento per ciascuna corrente tramite una freccia, ed una polarità di riferimento per ogni tensione tramite una coppia di segni (+) e (-), come mostrato in figura per un elemento a tre terminali:
v2
+ 1
+
– i1
v1
2
–
Elemento a 3 terminali
i3
3 Fig. 1.2
i2
Su ogni reoforo (filo metallico conduttore di corrente elettrica) si traccia una freccia detta direzione di riferimento della corrente. Essa ha il seguente significato: se, ad esempio, in un certo istante t si ha:
i2 (t ) = 2 A ciò significa che all’istante t una corrente di 2A entra nell’elemento a tre terminali dal nodo 2. Se invece nell’istante t risultasse:
i 2 (t ) = −25 mA ciò significa che nell’istante t una corrente di 25mA esce dall’elemento a tre terminali attraverso il nodo 2. Il punto fondamentale è che la direzione di riferimento della corrente, insieme al segno di i (t ) , determina la direzione effettiva del flusso di cariche elettriche. Si assegnino ora i segni + e – a coppie di terminali, arbitrariamente: tali segni indicano la direzione di riferimento delle tensioni. Se ad un certo istante t risulta:
v1 (t ) = 3 mV ciò significa che all’istante t la tensione elettrica del terminale 1 è 3mV superiore alla tensione elettrica del terminale 2; se invece si ha:
v 2 (t ) = −10 V ciò significa che all’istante t la tensione elettrica del terminale 1 è 10V inferiore alla tensione elettrica del terminale 3.
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1.6
LA LEGGE DI KIRCHHOFF DELLE CORRENTI (LKC)
È stato già utilizzato nei paragrafi precedenti il termine nodo: esso rappresenta un punto o una ristretta zona di capacità elettrostatica trascurabile in cui si ha la giunzione di due o più conduttori filiformi (reofori) in un circuito elettrico. Una legge fisica fondamentale stabilisce la conservazione della carica elettrica: in nessun esperimento conosciuto si è mai verificata la creazione o la distruzione di carica elettrica netta. La legge di Kirchhoff delle correnti esprime tale legge nell’ambito dei circuiti concentrati. Egli stabilì quanto segue: in un qualsiasi nodo di un circuito non possono accumularsi cariche elettriche. Se, quindi, in un tempo infinitesimo dt una carica dq entra in un nodo, una carica uguale deve uscirne. Per ogni nodo si può allora concludere che: la somma delle correnti in ingresso deve essere uguale istante per istante alla somma delle correnti in uscita. Con riferimento alla figura 1.3 si può scrivere:
i1 (t ) + i2 (t ) = i3 (t )
(1.2)
i2 (t ) i3 (t )
i1 (t ) Fig. 1.3
D’altra parte, per quanto detto precedentemente, una corrente i (t ) che esce da un nodo è uguale ad una corrente − i (t ) che entra nel nodo stesso: quindi la situazione rappresentata in figura 1.4 è analoga a quella della figura 1.3 e si può scrivere:
i1 (t ) + i2 (t ) − i3 (t ) = 0
(1.3)
i2 (t )
− i3 (t )
i1 (t ) Fig. 1.4
L’equazione (1.3), perfettamente equivalente alla (1.2), consente di esprimere la legge di Kirchhoff delle correnti come segue:
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la somma algebrica delle correnti entranti in un nodo è istante per istante nulla. Cioè:
∑± i
k
(t ) = 0
(1.4)
k
dove il segno + vale per le correnti entranti e il segno – per quelle uscenti dal nodo. Osserviamo ancora che una corrente che entra in un nodo può essere interpretata come una corrente di segno opposto che esce dallo stesso nodo; quindi la situazione rappresentata in figura 1.5 è analoga alle due precedenti:
− i1 (t ) − i2 (t ) + i3 (t ) = 0
(1.5)
− i2 (t )
i3 (t )
− i1 (t )
Fig. 1.5
In questo caso la prima legge di Kirchhoff si esprime come segue: la somma algebrica delle correnti uscenti da un nodo è istante per istante nulla. La formulazione analitica generale è ancora quella della relazione (1.4) ma nella sommatoria si considerano positive le correnti uscenti e negative quelle entranti. Ora, definendo una superficie gaussiana come una qualsiasi superficie chiusa a due facce, la legge di Kirchhoff per le correnti può essere così generalizzata: per ogni superficie gaussiana Σ di un circuito concentrato qualsiasi, in un istante arbitrario t, la somma algebrica di tutte le correnti che fuoriescono dalla (o entrano nella) superficie gaussiana nell’istante t è uguale a zero.
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Ad esempio:
Σ3
Σ4
i6 i5
i2
Σ1
i4
– +
i1 i3
i10
i7
i9
i8
i11 i12
Σ2 Fig. 1.6
Applicando, allora, la LKC si ha (ritenendo positive le correnti uscenti da una superficie):
Σ1 :i11 (t ) − i10 (t ) − i4 (t ) − i7 (t ) = 0 Σ 2 : − i12 (t ) − i3 (t ) − i11 (t ) − i8 (t ) − i9 (t ) = 0 Σ 3 :i1 (t ) + i4 (t ) + i5 (t ) + i6 (t ) = 0 Σ 4 : i3 (t ) + i8 (t ) + i9 (t ) + i11 (t ) − i4 (t ) − i5 (t ) − i6 (t ) = 0 Si osservi che il verso delle correnti è fissato arbitrariamente allorché comincia l’analisi del circuito in esame. Poi, applicando la LKC, si ottengono delle equazioni algebriche lineari omogenee a coefficienti reali e costanti pari a 0, 1, e -1 le quali, una volta risolte, forniscono i valori con segno di tutte le correnti del circuito: se una di queste risulta essere positiva significa che il verso fissato per essa nel circuito è quello esatto, altrimenti, se tale corrente risulta essere negativa, vuol dire che si muove in verso opposto a quello fissato nel circuito. Quanto detto vale per tutte le correnti presenti nel circuito.
1.7
LA LEGGE DI KIRCHHOFF DELLE TENSIONI (LKT)
Si faccia riferimento all’esempio mostrato in figura 1.7: esso rappresenta un cammino chiuso ossia un percorso che inizia da un nodo, passa attraverso elementi a due terminali, e termina nel nodo di partenza (sono state arbitrariamente fissate le polarità ai capi di ciascun elemento ed un verso di circolazione nel cammino). Valgono le seguenti relazioni (per comodità si sottintende la dipendenza da t):
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10
4
–
– 7
8 1
+
+
+
–
3 5
6
–
+ 2
Fig. 1.7
v12 = v1 − v 2 = −v 21 v 23 = v 2 − v3 = −v32 v34 = v3 − v 4 = −v 43 v14 = v1 − v 4 = −v 41 Dove con v1 , v 2 , sono state indicate le tensioni ai terminali 1,2, e con v12 , sono state indicate le tensioni punto-punto. Definiamo ora le tensioni di lato in funzione delle tensioni punto-punto come la tensione nodo-nodo tra il nodo supposto a tensione maggiore (+) e il nodo a tensione minore (–):
v5 = v12 v6 = v 23 v7 = v34 v8 = v14 (Nota: nelle tensioni a secondo membro il primo pedice si riferisce sempre al polo positivo). Fissiamo un verso di percorrenza del cammino chiuso. Allora la legge di Kirchhoff delle tensioni si può così enunciare: fissato un verso di percorrenza per un cammino chiuso in un circuito a parametri concentrati, la somma algebrica delle tensioni di lato è nulla istante per istante:
∑± v
k
(t ) = 0
k
dove il segno + verrà preso se l’elemento k-esimo è attraversato dal (+) al (–), col segno – se è attraversato dal (–) al (+) ovvero se il verso di riferimento scelto per il lato k-esimo concorda con quello scelto per il cammino chiuso. Nell’esempio, in particolare, si avrà:
v5 (t ) + v 6 (t ) + v7 (t ) − v8 (t ) = 0 Tale enunciato è facilmente giustificabile se si tiene presente la definizione di tensione tra due punti (vedi pag. 5) e che il lavoro compiuto dal campo elettrico per spostare l’unità di carica lungo un cammino chiuso è nullo essendo il campo elettrico conservativo (il la-
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voro per portare l’unità di carica dal nodo 1 al nodo 1 è nullo). Ricordando che tale lavoro si può esprimere in funzione delle tensioni punto-punto, si può allora scrivere:
v12 (t ) + v 23 (t ) + v34 (t ) + v 41 (t ) = 0 ⇔ v12 (t ) + v 23 (t ) + v34 (t ) − v14 (t ) = 0 ⇔ ⇔ v5 (t ) + v 6 (t ) + v7 (t ) − v8 (t ) = 0 La legge di Kirchhoff per le tensioni può essere espressa in altri modi. Dato un qualsiasi circuito concentrato, avente n nodi, è possibile scegliere arbitrariamente uno di essi come nodo di riferimento per le tensioni. Rispetto al nodo di riferimento scelto si possono definire n-1 tensioni (che indicheremo con la lettera e), come illustrato in figura:
+
k
–
e1
n
e2 = v2 – vn
j
ek
+
e1 = v1 – vn
–
+
2 1
vkj
•••••
– –
en-1
en-1 = vn-1 – vn
n-1
+
en = 0 Fig. 1.8
Si osservi che la tensione relativa al nodo n è nulla essendo tale nodo quello scelto come riferimento. La LKT si può allora enunciare così: per ogni circuito concentrato connesso, scelto un nodo di riferimento qualunque, in ogni istante t, la tensione tra una generica coppia di nodi k e j è pari alla differenza delle corrispondenti tensioni nodali:
v k j (t ) = ek (t ) − e j (t ) infatti si ha:
vkj = vk – vj = vk – vn + vn – vj = ek – ej Ovviamente si ha:
v j k (t ) = e j (t ) − ek (t ) = −v k j (t )
(1.6)
Quanto detto può essere verificato utilizzando il seguente circuito connesso a cinque nodi: 3 e3
D
C
e4
2 e2
A 1
e1
T
4
E
B 5 e5 = 0
Fig. 1.9
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Tenendo presente la definizione di tensione punto-punto data a pagina 5, è facile mostrare che queste si possono esprimere in funzione delle tensioni nodali:
v12 = v1 − v 2 = (v1 − v5 ) − (v 2 − v5 ) = e1 − e2 che è proprio l’applicazione della LKT, nella forma vista alla pagina precedente, alla coppia di nodi 1 e 2: in modo analogo si possono scrivere le seguenti sette equazioni:
v15 = e1 − e5 = e1 v12 = e1 − e2 v 23 = e2 − e3 v34 = e3 − e4
(1.7)
v 45 = e4 − e5 = e4 v 24 = e2 − e4 v52 = e5 − e2 Si definisce sequenza chiusa di nodi una sequenza che inizia e termina con lo stesso nodo. Consideriamo ad esempio la sequenza 2-4-5-2 (si osservi che tale sequenza non è un cammino chiuso secondo la definizione data a pagina 9); sommando le ultime tre equazioni nella (1.7) si ha:
v 24 + v 45 + v52 = 0 Consideriamo poi la differente sequenza chiusa di nodi 1-2-3-4-5-1 (essa rappresenta anche un cammino chiuso); sommando le prime 5 equazioni nella (1.7) ed applicando la (1.6) si può scrivere:
v12 + v 23 + v34 + v 45 + v51 = 0 Si può allora enunciare la LKT in termini di sequenze chiuse di nodi: per ogni circuito concentrato connesso, lungo una qualsiasi sequenza chiusa di nodi, in ogni istante t, la somma delle tensioni punto-punto (prese nello stesso ordine della sequenza di nodi) è uguale a zero. Nota: anche la LKT conduce sempre ad equazioni algebriche lineari omogenee a coefficienti reali e costanti pari a 0, 1 e -1.
1.8
CONCETTO DI ‘BLACK BOX’ O BIPOLO NEI CIRCUITI ELETTRICI
È stato già detto che un sistema elettromagnetico è ottenuto collegando tra loro dispositivi elettromagnetici. Per analizzarlo si considera un suo modello astratto costituito da un’interconnessione di elementi circuitali che possono essere a due o più terminali (si parla rispettivamente di bipoli e multipoli): i terminali, detti anche morsetti, rappresentano la ‘porta’ di accesso per l’alimentazione esterna e per lo scambio di energia con gli altri elementi circuitali. Consideriamo, per il momento, solo dispositivi a due terminali. Poiché ciò che ci interessa studiare non è la costituzione fisica del componente ma
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il suo comportamento elettrico con l’esterno, occorrerà determinare un modello (bipolo) che meglio simuli il comportamento ai morsetti del dispositivo in esame. Per questo motivo tale dispositivo, in generale, è immaginato come una scatola ideale o ‘black box’ intendendo esprimere con ciò il concetto che l’interno della scatola è ‘oscuro’, nel senso che quello che importa è il comportamento elettrico e ciò che si può fare connettendola ad altri elementi. Precisato ciò, ci proponiamo ora di vedere quale sia l’elemento ideale (bipolo) ovvero il modello circuitale che possa meglio caratterizzare il dispositivo. Fissate le due variabili terminali occorre verificare l’esistenza di un legame funzionale tra le variabili terminali, ovvero che tutti i punti di funzionamento del bipolo giacciano su una curva del piano (caratteristica) individuato dalla coppia di variabili prescelte.
1.8.1 Scelta appropriata delle variabili terminali di un bipolo Le due grandezze che possono essere utilizzate per caratterizzare il comportamento ai morsetti di un bipolo devono essere misurabili ed indipendenti tra loro. Sono facilmente misurabili la corrente i (t ) , la tensione v(t ) ed inoltre le seguenti due grandezze: t
la carica:
q (t ) = ∫ i (τ )dτ
ed il flusso:
ϕ (t ) = ∫ v (τ )dτ
−∞
t
−∞
Dovendo poi essere le due grandezze indipendenti tra loro si possono avere solo i seguenti quattro accoppiamenti: 1)
tensione-corrente: v − i
2)
tensione-carica:
v−q
3)
corrente-flusso:
i −ϕ
4)
carica-flusso:
q −ϕ
Assegnato un bipolo, sorge ora il problema di stabilire quale sia la coppia più idonea a definirne la caratteristica: si tratta cioè di stabilire se tutti i punti di funzionamento possibili per il bipolo appartengono o meno ad una curva caratteristica rappresentabile nel piano v − i o v − q o i − ϕ o nel piano q − ϕ . Se tale curva caratteristica è definita nel piano v − i chiameremo il bipolo resistore; se la curva è definita nel piano v − q il bipolo si chiamerà condensatore; se è definita nel piano i − ϕ il bipolo si chiamerà induttore; se infine la curva è definita nel piano q − ϕ il bipolo si chiamerà memristore (nella pratica, però, è difficile trovare una ‘black box’ il cui comportamento ai morsetti possa essere rappresentato da un bipolo di questo tipo). Il problema è indubbiamente delicato ed un esempio potrà chiarire il concetto. Esempio: si abbia un componente racchiuso in una ‘black box’ ed accessibile all’esterno mediante i suoi morsetti. Applichiamo alla ‘black box’ la seguente tensione: v(t ) = A sin(t ) . Dopo una serie di misure si trova il seguente legame tra tensione e corrente:
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(*)
i = dv dt
In questo caso sembrerebbe che ci si possa riferire tanto al piano v − i che a quello v − q (infatti l’andamento della corrente consente di determinare la carica): la scelta è però univoca. Proviamo, infatti, a fare riferimento al piano v − i ; si ottiene:
v(t ) = A sin(t ) ⇒ i (t ) = A cos(t )
(1.8)
Si verifica facilmente che, mantenendo costante A e facendo variare t, i punti del piano che soddisfano la (1.8) si trovano su una circonferenza con centro nell’origine degli assi e raggio A; basta, infatti, elevare al quadrato entrambi i membri nelle due equazioni della (1.8) e sommare membro a membro:
v 2 (t ) = A 2 sin 2 (t ) 2 2 2 ⊕ ⇒ v (t ) + i (t ) = A 2 2 2 i (t ) = A cos (t ) Osserviamo, però, che al variare di A i punti di funzionamento del bipolo si dispongono su una circonferenza diversa: si conclude che non possiamo rappresentare il dispositivo in esame con un resistore perché non esiste nel piano v − i una curva che contenga tutti i possibili punti di funzionamento, visto che questi sono sparsi in tutto il piano. Vediamo ora cosa accade nel piano v − q . Si può scrivere:
q (t ) = ∫ i (t )dt = ∫
dv dt = v (t ) = A sin(t ) dt
Si ha dunque: q = v , cioè al variare di t, tutti i punti di funzionamento del bipolo si trovano sulla 1ª bisettrice del piano v − q . D’altra parte questo rimane vero anche al variare di A: possiamo concludere, allora, che il bipolo che meglio simula il comportamento ai morsetti della ‘black-box’ in esame è il condensatore, poiché la curva caratteristica di tale componente è definita nel piano v − q .
1.8.2 Alcune considerazioni sulle variabili terminali q(t) e ϕ(t) Dalla definizione di carica data a pagina 13 segue che: t
t0
t
t
−∞
−∞
t0
t0
q (t ) = ∫ i (τ )dτ = ∫ i (τ )dτ + ∫ i (τ )dτ = q 0 + ∫ i (τ )dτ , con t 0 < t
(1.9)
Se l’analisi di un certo bipolo comincia dall’istante t 0 , il primo integrale nella seconda uguaglianza della (1.9) rappresenta la storia precedente del bipolo (cioè prima dell’istante considerato) e per questo motivo è detto carica iniziale. Sussiste la cosiddetta proprietà di costanza della carica: se la forma d’onda della corrente i (t ) si mantiene limitata in un intervallo chiuso [t a , t b ] allora la carica q (t ) è una funzione continua nell’intervallo aperto (t a , t b ) . In particolare, per qualsiasi istante T tale che:
15
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
t a < T < t b si ha: q(T− ) = q(T) = q(T+ ) Questo significa che anche se la corrente subisce nell’istante T una brusca variazione, pur rimanendo limitata, la carica resta invece costante in un intorno immediato dell’istante considerato. Per dimostrare tale proprietà basta semplicemente sostituire t = T prima e t = T + dt poi nella (1.9) e sottrarre membro a membro:
T + dt ( − ) ⇒ (* * *) q ( T + dt ) − q ( T ) = i (τ )dτ ∫ T + dt T i (τ )dτ (**) q (T + dt ) = q0 + ∫ t0 T
(*) q (T ) = q0 + ∫ i (τ )dτ t0
con t a < T < t b e t a < T + dt < t b . Essendo i (t ) limitata in [t a , t b ] si può scrivere:
∀t ∈ [t a , tb ] : i (t ) ≤ M , con M ∈ ℜ + Segue che l’area sottesa dalla curva i (t ) da T a T + dt (ossia il valore dell’integrale a secondo membro nella (***)) vale al più M ⋅ dt (in valore assoluto), che tende a zero per dt che tende a zero: ciò significa che q (t ) è continua per t = T . Considerazioni analoghe si possono fare per il flusso: t
t0
t
t
−∞
−∞
t0
t0
ϕ (t ) = ∫ v(τ )dτ = ∫ v(τ )dτ + ∫ v(τ )dτ = ϕ 0 + ∫ v (τ )dτ , con t0 < t Similmente a quanto detto per la carica, il primo integrale nella seconda uguaglianza di questa relazione prende il nome di flusso iniziale. Vale, inoltre, la cosiddetta proprietà della costanza del flusso: se la forma d’onda della tensione v(t ) si mantiene limitata in un intervallo chiuso [t a , t b ] allora il flusso ϕ (t ) è una funzione continua nell’intervallo aperto (t a , t b ) . In particolare, per qualsiasi istante T tale che
t a < T < t b si ha: ϕ(T− ) = ϕ(T) = ϕ(T+ ) Questo significa che anche se nell’istante T la tensione dovesse subire una brusca variazione, pur senza raggiungere valori infiniti, il flusso rimane costante in un intorno immediato dell’istante considerato.
1.9
CONVENZIONI DI SEGNO PER LE VARIABILI ASSOCIATE IN UN BIPOLO
Nello studio dei bipoli è necessario stabilire una convenzione di segno per la tensione ed una per la corrente. Vi sono quattro possibili riferimenti per queste due variabili:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
16
i
i
i
i
+
+
–
–
v
v
v
v
–
–
+
+
Fig. 1.10
Fig. 1.11
Fig. 1.12
Fig. 1.13
Non vi è nessuna ragione particolare che faccia preferire una configurazione alle altre. In pratica, tuttavia, ci si riferisce a quella combinazione tra i versi assunti per le correnti e le tensioni tale che la potenza positiva: p (t ) = i (t ) ⋅ v(t ) > 0 , corrisponda ad una potenza entrante nel bipolo. I principi fondamentali dell’elettromagnetismo mostrano che questa condizione è soddisfatta quando la corrente entra dal morsetto positivo del bipolo (figura 1.10): la convenzione di segno così stabilita prende il nome di convenzione degli utilizzatori; a meno che non sia precisato diversamente, nel seguito si adotterà sempre questa convenzione. Accenniamo ad un’altra possibile convenzione di segno che è detta convenzione dei generatori. Essa consiste nel scegliere quella combinazione tra i versi assunti per tensioni e correnti tale che la potenza positiva: p (t ) = i (t ) ⋅ v(t ) > 0 corrisponda ad una potenza uscente dal bipolo: questa condizione sarà soddisfatta quando la corrente esce dal morsetto positivo del bipolo (figura 1.11).
1.10 LINEARITÀ E NON LINEARITÀ DI UN BIPOLO Si indichi, in generale, con ( y, u ) una coppia di variabili terminali e con y = T (u ) la relazione che definisce il comportamento del bipolo, ossia la sua caratteristica. Risulta:
Fissati u1 e u 2 , scelto α ∈ ℜ Un Bipolo e posto : y1 = T (u1 ) e y 2 = T (u 2 ) è ⇔ risulta : (*) y = T ( u + u ) = T ( u ) + T ( u ) = y + y 1 2 1 2 1 2 Lineare (**) y = T (αu ) = αT (u ) La relazione (*) esprime la condizione di additività mentre la relazione (**) esprime la condizione di omogeneità. Se solo una di queste due condizioni non è soddisfatta il bipolo si dice non-lineare.
1.11 TEMPO-VARIANZA E TEMPO-INVARIANZA DI UN BIPOLO Un bipolo si dice stazionario o tempo-invariante se la sua caratteristica non varia nel tempo. In caso contrario si dice tempo-variante o non stazionario. Per definire correttamente questa proprietà ed analizzarne le conseguenze, bisogna introdurre l’operatore traslazione Q che opera nel seguente modo:
17
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
se u (t ) è una variabile terminale del bipolo si avrà:
Q (u (t ) ) = u (t − a ), con a ∈ ℜ +
(1.10)
In altri termini l’operatore Q ritarda la variabile u (t ) di a secondi. Con queste premesse, un bipolo si dirà stazionario se e solo se:
y (t ) = T (u (t ) ) e contemporaneamente: y a = T (Q(u(t ))) = Q(T (u(t ))) = Q( y(t )) = y(t − a) . Tale equazione esprime il fatto che se il segnale di ingresso u (t ) di un certo bipolo è ritardato di a secondi; il segnale di uscita y (t ) rimane invariato nella sua forma d’onda ma è anch’esso ritardato di a secondi.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
18
CAPITOLO 2
2.1
RESISTORI A DUE TERMINALI
19
2.2
CONDENSATORI
25
2.3
INDUTTORI
28
2.4
GENERATORI INDIPENDENTI
31
2.5
FORME D'ONDA CANONICHE PER I SEGNALI
33
2.6
CARATTERIZZAZIONE DEI BIPOLI DA UN PUNTO DI VISTA ENERGETICO
36
2.6.1 POTENZA ED ENERGIA NEI RESISTORI 2.6.2 POTENZA ED ENERGIA NEI CONDENSATORI 2.6.3 POTENZA ED ENERGIA NEGLI INDUTTORI
37 39 41
19
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
2.1
RESISTORI A DUE TERMINALI
Un bipolo il cui comportamento è definito da una caratteristica nel piano v − i è detto resistore; in altri termini, un elemento a due terminali sarà definito resistore se la tensione e la corrente soddisfano la seguente relazione:
ℜ R = {(v, i ) : f (v, i ) = 0} Se tale equazione può essere risolta rispetto ad i come funzione ad un sol valore di v, ovvero:
i = g(v) si dice che il resistore è controllato in tensione. Se invece tale equazione può essere risolta rispetto a v come funzione ad un sol valore di i, ovvero:
v = h(i) si dice che il resistore è controllato in corrente. Esiste la seguente classificazione dei resistori: a)
resistori lineari tempo-invarianti: tali elementi sono detti lineari perché la loro caratteristica nel piano v − i soddisfa le condizioni di additività ed omogeneità e sono detti tempo-invarianti perché la loro caratteristica non cambia nel tempo (vedi pagina 16). La caratteristica di un tale resistore è una retta passante per l'origine del piano v − i di equazione: v(t ) = R ⋅ i (t ) ovvero, con G = 1 R , si ha
i (t ) = G ⋅ v(t )
(2.1)
La (2.1) esprime la cosiddetta legge di Ohm: la costante R rappresenta la resistenza del resistore lineare e si misura in ohm (Ω Ω) mentre G è la conduttanza e si misura in siemens (S). In figura è rappresentato il simbolo di un resistore lineare con resistenza R e la caratteristica di tale resistore tracciata nel piano v − i e nel piano i − v : v
i v
+ i
–
R
1 1
O
G v
O
R i
Fig. 2.1
In definitiva il resistore lineare è un caso particolare di resistore in cui si ha: f (v, i ) = v − R ⋅ i = 0 ovvero f (v, i ) = i − G ⋅ v = 0 , ossia la relazione tra tensione e corrente è espressa da funzioni lineari. Il singolo numero R (ovvero G), cioè la pendenza della caratteristica rispetto all'asse delle i (ovvero rispetto all'asse delle v), specifica completamente il resistore lineare a due terminali. Esistono, infine,
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
20
due casi speciali di resistori lineari che meritano di essere particolarmente citati, ossia il circuito aperto e il cortocircuito. Un resistore a due terminali viene definito circuito aperto se, e solo se, la corrente che lo attraversa è identicamente nulla, indipendentemente dalla tensione v, cioè: f (v, i ) = i = 0 . La caratteristica di un circuito aperto coincide con l'asse v del piano v − i o del piano i − v , come mostrato in figura 2.2: essa ha pendenza infinita nel piano i − v e pendenza nulla nel piano v − i : v
i R=∞
G=0 v
i
Fig. 2.2
Analogamente, un resistore a due terminali è definito cortocircuito se, e solo se, la tensione ai suoi capi è identicamente nulla indipendentemente dalla corrente i che lo attraversa, ossia f (v, i ) = v = 0 . La caratteristica di un cortocircuito coincide con l'asse i del piano v − i o del piano i − v ; come mostrato in figura 2.3: essa ha pendenza nulla nel piano i − v e pendenza infinita nel piano v − i : i
v R=0
G=∞ i
v
Fig. 2.3
Confrontando le due figure precedenti si nota che la curva del circuito aperto in un piano coincide con la curva del cortocircuito nell'altro piano. Per questa ragione, il circuito aperto viene definito come il duale del cortocircuito e viceversa. Generalizzando al caso non lineare, si dice che un dato resistore è il duale di un altro se la sua caratteristica nel piano v − i è rappresentata dalla stessa curva nel piano i − v dell'altro resistore. b)
resistori lineari tempo-varianti: l'esempio più comune che si può dare di un resistore lineare tempo-variante è quello di un resistore a tre morsetti uno dei quali costituisce un contatto mobile. Se si applica una tensione tra un contatto fisso e quello mobile di cui si varia nel tempo la posizione rispetto ad un certo riferimento, il legame tra tensione e corrente è dato da: v(t ) = R (t ) ⋅ i (t ) ovvero i (t ) = G (t ) ⋅ v(t ) . Il simbolo del resistore lineare tempo-variante è mostrato di seguito: + v(t)
i(t) R(t)
–
21
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Fig. 2.4
Un esempio interessante di resistore lineare tempo-variante è quello di un interruttore che si apre e chiude periodicamente con periodo T. Nella figura seguente se ne illustrano il simbolo, le proprietà e la caratteristica nel piano v − i : i
S(t)
+
i(t) S(t)
v(t)
O
Aperto
Aperto
v
– Chiuso
t
Chiuso
Quando l'interruttore è chiuso ( S = 0 ) la tensione è nulla e la caratteristica v − i coincide con l'asse i, quando l'interruttore è aperto ( S = 1 ) la corrente è nulla e la caratteristica v − i coincide con l'asse v. Un interruttore reale ha un comportamento leggermente diverso in quanto, invece di essere un circuito aperto o un cortocircuito, presenta una resistenza molto bassa ma non nulla quando è chiuso ed una resistenza molto alta ma finita quando è aperto: le proprietà e la caratteristica nel piano v − i di un interruttore reale sono riportate in figura: i
R(t)
Pendenza 1/R0 R∞
R0 O
c)
Pendenza 1/R∞ v
t
resistori non lineari: sono bipoli la cui caratteristica nel piano v − i non soddisfa le condizioni di additività e di omogeneità. Esaminiamo alcuni tra i più comuni tipi di resistori non lineari.
Diodo a giunzione PN. Il simbolo e la caratteristica v − i sono mostrati in figura:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
22
i +
A i O
v
A
–
v
Is
B Fig. 2.5
Applicando una tensione diretta, cioè tale che la tensione in A sia maggiore di quella in B, la corrente cresce con la tensione secondo la legge:
qv i = I S ⋅ e kT − 1
(2.2)
dove: q è la carica dell'elettrone, k è la costante di Boltzmann, T è la temperatura assoluta in gradi Kelvin e I S è la cosiddetta corrente di saturazione inversa, cioè la corrente che circola nel diodo quando esso è polarizzato inversamente (ossia quando la tensione di B è maggiore di quella in A e quindi v < 0 ). Dunque, invertendo la polarità della tensione ai capi del diodo, la corrente assume un valore molto piccolo pari a I S . Crescendo i valori della tensione inversa, la corrente assume un valore praticamente costante con la tensione, fin quando non si raggiunge il punto di ‘turnover’ (punto A nella figura precedente) a partire dal quale la corrente aumenta molto rapidamente a tensione costante. Infine osserviamo che la relazione (2.2) esprime la corrente in funzione della tensione: ciò significa che per un’arbitraria tensione v la corrente è ben definita. Si dice allora che il diodo a giunzione PN è controllato in tensione. Diodo ideale. Per definizione il diodo ideale è un resistore non lineare la cui caratteristica v − i è composta da due segmenti di linea retta nel piano v − i (o nel piano i − v ), cioè l'asse v negativo e l'asse i positivo. La relazione che caratterizza il diodo ideale è quindi la seguente:
ℜ ID = {(v, i ) : v ⋅ i = 0, con i = 0 per v < 0 e v = 0 per i > 0}
Il simbolo e la sua caratteristica sono mostrati in figura:
23
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
+
i
A i O
v
–
v
B Fig. 2.6
Quindi se il diodo è polarizzato inversamente ( v < 0 ) la corrente è nulla, ovvero il diodo si comporta come un circuito aperto; se il diodo è in conduzione ( i > 0 ) la tensione è nulla, per cui si comporta come un cortocircuito. Ovviamente la potenza fornita ad un diodo ideale è identicamente nulla in ogni istante: per questo motivo il diodo ideale rientra nella categoria degli elementi circuitali non energetici. Si noti, infine, che il diodo ideale non è controllato né in tensione né in corrente. Diodo tunnel. Il simbolo e la caratteristica sono mostrati in figura: i +
A i
i2 i2
v
O v1 –
v2
v
B Fig. 2.7
La corrente i può essere espressa in funzione della tensione v così:
i = i (v)
(2.3)
Si nota allora che assegnato un certo valore della tensione, la corrente è ben definita: si dice, quindi, che tale resistore è controllato in tensione.
Diodo shokley (tubo a scarica a bagliore). Il simbolo e la caratteristica sono mostrati in figura:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
24
i
A i
+
v
–
v
O
B
Fig. 2.8
La tensione v può essere espressa in funzione della corrente i così:
v = v (i )
(2.4)
Si nota allora che ad un certo valore della corrente corrisponde uno ed un solo valore della tensione: si dice, quindi, che tale resistore è controllato in corrente. Concludiamo osservando che i resistori non lineari appena descritti hanno una caratteristica non simmetrica rispetto all'origine del piano v − i ; questo comporta il fatto che invertendo la polarità dei morsetti la loro caratteristica cambia: tali resistori sono detti non bilaterali. Per tale motivo è importante che il simbolo di un resistore non lineare indichi il suo orientamento e quindi i resistori non lineari non bilaterali sono generalmente rappresentati come segue: +
v
i
Nota: l’estremità annerita della scatola è collegata al morsetto a tensione più bassa.
–
Quando invece la caratteristica è simmetrica rispetto all'origine degli assi nel piano v − i si parla di resistori bilaterali che, in generale, sono rappresentati come segue:
+
v –
i
25
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Un esempio di resistore non lineare bilaterale è rappresentato dalle lampade ad incandescenza (vedi rappresentazione a sinistra) la cui caratteristica è la seguente: +
i
A i O
v
–
v
B
Tutti i resistori lineari sono invece bilaterali.
2.2
CONDENSATORI
Un bipolo la cui carica q (t ) e tensione v(t ) appartengono, per qualsiasi istante t, ad una curva del piano v − q è definito condensatore: tale curva è detta caratteristica v − q del condensatore. Essa può essere rappresentata dall'equazione:
f e ( q, v) = 0
(2.5)
Se tale equazione può essere risolta rispetto a v come funzione ad un sol valore di q, ovvero:
v = v (q)
(2.6)
si dice che il condensatore è controllato in carica. Se invece l'equazione (2.5) può essere risolta rispetto a q come funzione ad un sol valore di v, ovvero:
q = q (v)
(2.7)
si dice che il condensatore è controllato in tensione.
Sussiste la seguente classificazione per i condensatori:
26
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
a)
condensatori lineari tempo-invarianti. Il loro simbolo e la loro caratteristica sono mostrati in figura:
+
q i C
v
C
1
v
O – Fig. 2.9
La caratteristica di tali condensatori è esprimibile mediante le seguenti relazioni:
q (t ) = C ⋅ v(t ) ovvero v(t ) = S ⋅ q (t )
(2.8)
La costante C nella suddetta relazione è detta capacità del condensatore e si misura, esprimendo la tensione in volt e la carica in coulomb, in farad [F], mentre la costante S = 1 / C è detta elastanza. I legami tra le variabili circuitali tensione e corrente sono i seguenti:
i (t ) =
dq (t ) dv(t ) =C dt dt
(2.9)
oppure
v(t ) =
t 1 t 1 t0 1 t i(τ )dτ = ∫ i (τ )dτ + ∫ i(τ )dτ = v(t 0 ) + S ∫ i (τ )dτ ∫ − ∞ − ∞ t t 0 C C C 0
(2.10)
con t 0 < t Se si considera la (2.10) si osserva che: •
per ottenere il valore della tensione al tempo t è necessario conoscere il valore della tensione nell'istante iniziale t 0 oltre che l'andamento della corrente in tutto l'intervallo (t 0 , t ) . Per questo motivo i condensatori sono detti elementi dotati di memoria;
•
in un condensatore lineare tempo-invariante se la forma d'onda della corrente i(t ) si mantiene limitata in un intervallo chiuso [t a , t b ] allora la forma d'onda della tensione v(t ) ai capi del condensatore è una funzione continua nell'intervallo aperto
(t a , t b ) .
In particolare, per qualsiasi istante T tale che
t a < T < t b si ha: v(T− ) = v(T ) = v(T+ )
27
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Questa è la cosiddetta proprietà di continuità della tensione del condensatore. Tale risultato poteva essere anche previsto tenendo presente la (2.8) e la proprietà di costanza della carica a pagina 13: infatti, per quest'ultima, si può scrivere, essendo il condensatore lineare:
q (T− ) = q (T ) = q (T+ ) ⇔ Cv (T− ) = Cv(T ) = Cv (T+ ) ⇔ v(T− ) = v(T ) = v(T+ ) b)
condensatori lineari tempo-varianti. Essi sono descritti nel piano v − q da una relazione di questo tipo: q (t ) = C (t ) ⋅ v(t ) ; in altri termini, la pendenza della caratteristica varia nel tempo. Ciò si può ottenere, per esempio, modificando la distanza tra le armature del condensatore mediante un meccanismo a camme azionato da un motore, di modo che la capacità vari secondo una prescritta funzione del tempo C (t ) . Un altro esempio è offerto dal condensatore ad armature mobili. In questo caso C varia al variare nel tempo dell'entità delle superfici affacciate. Il legame tensione-corrente è il seguente:
i (t ) =
dq (t ) dv(t ) dC (t ) = C (t ) + v(t ) dt dt dt
La caratteristica di un condensatore lineare tempo-variante consiste in una famiglia di rette, ciascuna valida per un dato istante di tempo, come mostrato in figura: q
v
O
Fig. 2.10
c)
condensatori non lineari. Sono quelli per cui la caratteristica nel piano v − q non soddisfa le condizioni di additività ed omogeneità: pertanto, tale caratteristica non è una retta passante per l'origine degli assi nel piano v − q . Un esempio importante di tali condensatori è il tipo MOS (Metal Oxide Semiconductor) che ha una caratteristica di questo tipo: q
O
v
Fig. 2.11
Come si può osservare, tale condensatore è controllato sia in carica sia in tensione. Per quanto riguarda, in particolare, i condensatori controllati in tensione (vedi la relazione (2.7) a pagina 22) si ha:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
28
i(t ) =
dq (t ) dq (v(t ) ) dq (v) dv(t ) dv(t ) = = ⋅ = C (v ) dt dt dv dt dt
C (v ) è detta capacità incrementale. Si osservi, infine, che la maggior parte dei condensatori non lineari sono anche non bilaterali, ossia hanno una caratteristica non simmetrica rispetto all'origine degli assi nel piano v − q : questo comporta la necessità di distinguere i morsetti ai fini dell'assegnazione delle polarità. Perciò tali condensatori saranno rappresentati col seguente simbolo: +
v
i Nota: l’estremità annerita della scatola è collegata al morsetto a tensione più bassa.
– I condensatori non lineari e bilaterali sono invece rappresentati così: +
i
v
– Ovviamente un condensatore lineare è anche bilaterale.
2.3
INDUTTORI
Un bipolo il cui flusso ϕ (t ) e corrente i (t ) appartengono, per qualsiasi istante t, a qualche curva del piano i − ϕ è definito induttore: tale curva è detta caratteristica i − ϕ dell'induttore. Essa può essere rappresentata dall'equazione:
f L (ϕ , i ) = 0
(2.11)
Se tale equazione può essere risolta rispetto ad i come funzione ad un sol valore di ϕ, ovvero:
i = i (ϕ )
(2.12)
29
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
si dice che l'induttore è controllato in flusso. Se invece l'equazione (2.11) può essere risolta rispetto a ϕ come funzione ad un sol valore della corrente i, ovvero:
ϕ = ϕ (i )
(2.13)
si dice che l'induttore è controllato in corrente. Sussiste la seguente classificazione per gli induttori: a)
induttori lineari tempo-invarianti. Il loro simbolo e la loro caratteristica sono mostrati in figura:
+
ϕ
i
L v
1
L
O
i
– Fig. 2.12
La caratteristica di tali induttori è esprimibile mediante le seguenti relazioni:
ϕ (t ) = L ⋅ i (t ) ovvero i (t ) = Γ ⋅ ϕ (t )
(2.14)
La costante L nella suddetta relazione è detta induttanza e si misura in Henry (H) se ϕ è espresso in Weber (Wb) ed i in Ampere (A), mentre la costante Γ = 1 L si chiama induttanza reciproca o inertanza. I legami tra le variabili circuitali tensione e corrente sono i seguenti:
v(t ) =
dϕ (t ) di(t ) =L dt dt
(2.15)
oppure
i (t ) =
t 1 t 1 t0 1 t v(τ )dτ = ∫ v(τ )dτ + ∫ v(τ )dτ = i(t 0 ) + Γ ∫ v(τ )dτ ∫ t0 L −∞ L −∞ L t0
(2.16)
Se si considera la (2.16) si osserva che: •
per ottenere il valore della corrente all'istante t è necessario conoscere il valore della corrente nell'istante iniziale t 0 oltre che l'andamento della tensione in tutto l'intervallo (t 0 , t ) . Per questo motivo gli induttori sono detti elementi dotati di memoria;
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
30
•
in un induttore lineare tempo-invariante, se la forma d'onda della tensione v(t ) si mantiene limitata in un intervallo chiuso [t a , t b ] , allora la forma d'onda della corrente i (t ) attraverso l'induttore è una funzione continua nell'in-
(t a , t b ) . In particolare, t a < τ < t b si ha: i(τ − ) = i(τ ) = i (τ + ) .
tervallo aperto
per qualsiasi istante τ, tale che
Questa è la cosiddetta proprietà di continuità della corrente di un induttore. Tale risultato poteva essere anche previsto tenendo presente la (2.14) e la proprietà di costanza del flusso a pag. 18: infatti, per quest'ultima, possiamo scrivere, essendo l'induttore lineare:
ϕ (τ − ) = ϕ (τ ) = ϕ (τ + ) ⇔ Li(τ − ) = Li (τ ) = Li(τ + ) ⇔ i (τ − ) = i(τ ) = i(τ + ) b)
induttori lineari tempo-varianti. Essi sono descritti nel piano i − ϕ da una relazione di questo tipo: ϕ (t ) = L(t ) ⋅ i (t ) ; in altri termini, la pendenza della caratteristica varia nel tempo. Ciò si può ottenere, per esempio, immaginando un induttore come un filo conduttore avvolto a spire intorno ad un toroide costituito da un certo materiale e facendo variare il numero di spire dell'avvolgimento per mezzo di un contatto strisciante azionato da un motore, di modo che l'induttanza vari secondo una prescritta funzione del tempo L (t ) . Il legame tensione-corrente è il seguente:
v(t ) =
dϕ (t ) di (t ) dL(t ) = L(t ) + i(t ) dt dt dt
(2.17)
La caratteristica di un induttore lineare tempo-variante consiste in una famiglia di rette, ciascuna valida per un dato istante di tempo, come mostrato in figura:
ϕ
O
c)
i
induttori non lineari. Sono quelli per cui la caratteristica nel piano i − ϕ non soddisfa le condizioni di additività ed omogeneità: pertanto tale caratteristica non è una retta passante per l'origine degli assi. Per quanto riguarda, in particolare, gli induttori controllati in corrente (vedi la relazione (2.17) della pagina precedente) si ha:
v(t ) =
dϕ (t ) dϕ (i(t )) dϕ (i) di(t ) di(t ) = = = L(i ) dt dt di dt dt
L (i ) è detta induttanza incrementale. Si osservi, infine, che la maggior parte degli induttori non lineari sono anche non bilaterali, ossia hanno una caratteristica
31
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
non simmetrica rispetto all'origine degli assi nel piano i − ϕ ; questo comporta la necessità di distinguere i morsetti ai fini dell'assegnazione delle polarità. Perciò tali induttori saranno rappresentati col seguente simbolo: +
i Nota: l’estremità annerita della scatola è collegata al morsetto a tensione più bassa.
v
– Per gli induttori non lineari bilaterali si utilizza, in generale, lo stesso simbolo della figura precedente senza però annerire l'estremità inferiore. Gli induttori lineari sono, ovviamente, bilaterali.
2.4
GENERATORI INDIPENDENTI
Nella teoria dei circuiti i generatori indipendenti hanno lo stesso ruolo delle forze esterne in meccanica: essi consentono infatti di simulare il funzionamento delle sorgenti di eccitazione presenti in un qualsiasi circuito fisico. Per semplicità ometteremo l'aggettivo ‘indipendente’. Tali generatori, detti ideali perché non esistono in realtà componenti fisici con le caratteristiche indicate, sono di due tipi: •
generatori di tensione. Un bipolo è detto generatore di tensione se la tensione ai suoi morsetti è sempre uguale ad un'assegnata forma d'onda v s (t ) indipendentemente dal flusso di corrente che lo attraversa. Le forme d'onda comunemente utilizzate comprendono il generatore di tensione continua, in cui v s (t ) è pari ad una costante
E per ogni t , la sinusoide, l'onda quadra, e così via. Il simbolo per un generatore di tensione con forma d'onda v s (t ) è mostrato in figura 2.13, dove i segni + e – specificano le polarità, mentre il simbolo per un generatore di tensione continua è mostrato in figura 2.14, con E > 0 :
i vs(t) + –
+ v(t)
i E
La sbarretta più lunga indica il polo positivo.
– Fig. 2.13
Fig. 2.14
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
32
Per ogni istante t , il generatore di tensione può essere rappresentato dalla relazione:
ℜ vs = {(v, i) : v = v s (t ) per − ∞ < i < ∞}
(2.18)
Di conseguenza, un generatore indipendente di tensione è un resistore a due terminali. Se v s (t ) = cost = E allora la sua caratteristica nel piano v − i è una retta parallela all'asse i : ciò è illustrato nella seguente figura. i
E
O
v
Da tale figura si osserva che il generatore di tensione è un resistore non lineare controllato in corrente. Esso è non lineare perché la linea retta non attraversa l'origine. Per v s (t ) = 0 , la caratteristica coincide con quella del cortocircuito. Nella figura di sotto è mostrato un generatore di tensione collegato ad un circuito esterno qualsiasi:
i vs(t) + –
+ v(t) –
Circuito Esterno
i’
Il significato fisico della definizione di generatore indipendente di tensione sta nel fatto che la tensione ai capi del generatore viene mantenuta uguale all'assegnata forma d'onda v s (t ) indipendentemente dal circuito esterno. La natura di quest'ultimo influenza soltanto il flusso di corrente i attraverso il generatore. Ciò accade perché un generatore ideale di tensione ha resistenza interna nulla, a differenza di una batteria reale che ha una resistenza finita diversa da zero. •
generatori di corrente. Un generatore di corrente è un bipolo la cui corrente è pari ad una forma d'onda assegnata i s (t ) , indipendentemente dalla tensione ai suoi morsetti. Un generatore indipendente di corrente è rappresentato simbolicamente nella seguente figura, dove la freccia indica la direzione positiva della corrente, ovvero i s (t ) > 0 significa che la corrente attraversa il generatore dal terminale 1 al terminale 2. Nella stessa figura è mostrata anche la caratteristica v-i per un generatore di corrente espressa dalla relazione:
33
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
ℜ is = {(v, i) : i = i s (t ) per − ∞ < v < ∞} 1
i
i(t)
+ is(t)
(2.19)
J
v
v
O
– 2
is +
– is(t)
v
v’
+
–
Circuito Esterno
In termini di piano v − i un generatore di corrente, se la sua forma d'onda è costante ed uguale a J, è rappresentato da una linea retta parallela all'asse v. Esso costituisce un resistore non lineare controllato in tensione. Per i s (t ) = 0 , la caratteristica coincide con l'asse v: quindi un generatore indipendente di corrente diventa un circuito aperto (resistenza infinita) quando la corrente è nulla. Nella seguente figura è mostrato un generatore di corrente collegato ad un circuito esterno arbitrario:
Il significato della definizione di generatore di corrente è che la corrente del generatore mantiene la forma d'onda i s (t ) assegnata mentre la tensione ai suoi capi è determinata dal circuito esterno. N.B.: In realtà il generatore di tensione è un resistore non lineare con resistenza nulla ed il generatore di corrente è un resistore non lineare con resistenza di valore infinito.
2.5
FORME D'ONDA CANONICHE PER I SEGNALI
Vengono elencate di seguito le principali forme d'onda mediante le quali è possibile esprimere un segnale di ingresso o uscita ai capi di un circuito. Esse sono tutte funzioni della variabile 'tempo' t :
•
FUNZIONE COSTANTE: f (t ) = k . f(t) k O
t
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
34
•
FUNZIONE SINUSOIDALE: f (t ) = A cos(ωt + ϕ ) . In particolare si ha:
2π è detta frequenza angolare o pulsazione (T è il periodo mentre T f è la frequenza pari all’inverso del periodo); ϕ è la fase.
ω = 2πf =
•
0 se t < 0 1 se t > 0
FUNZIONE GRADINO UNITARIO: u (t ) = u(t) 1
t
O Fig. 2.15
•
PULSE FUNCTION (Impulso di durata finita):
P∆ (t )
0 se t < 0 1 P∆ (t ) = se 0 < t < ∆ ∆ 0 se t > ∆
Area Unitaria
1 ∆
t
∆
O Fig. 2.16
È facile verificare che l'impulso di durata finita si può ottenere come differenza di due gradini opportuni:
1 ∆
1 u (t ) ∆
– t
O
1 ∆
1 u (t − ∆ ) ∆
O
∆
O
∆
t
Oppure 1 ∆
O
1 u (t ) ∆
+ t
1
t
35
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Da questa figura si osserva che l'impulso di durata finita ∆ può essere scritto nel seguente modo:
P∆ (t ) = •
u (t ) − u (t − ∆) ∆
FUNZIONE IMPULSO (o di DIRAC). Per ∆ che tende a zero, l'altezza dell'impulso di durata finita di figura 2.16 tende ad infinito in t = 0 ed è nulla altrove, mentre l'area sotto l'impulso rimane invariata cioè pari ad 1. In definitiva un segnale illimitato si definisce impulso se soddisfa le seguenti proprietà:
a)
singolare per t = 0 per t ≠ 0 0
δ (t ) =
b)
ε
∫ ε δ (t )dt = 1 per ogni ε > 0 −
Esso viene indicato simbolicamente come in figura:
δ (t )
t
O Fig. 2.17
Dalla figura 2.16 osservo che se ∆ tende a zero l'impulso di durata finita tende alla funzione di Dirac. D'altra parte sussistono le seguenti relazioni:
δ (t ) = lim P∆ (t ) = ∆ →0
•
t du (t ) ⇒ u (t ) = ∫ δ (τ )dτ −∞ dt
FUNZIONE RAMPA UNITARIA: r (t ) = t ⋅ u (t ) .
(2.20)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
36
La sua rappresentazione è la seguente:
Fig. 2.18
Si osserva che:
t dr (t ) = u (t ) ⇒ r (t ) = ∫ u (τ )dτ −∞ dt
(2.21)
Tenendo presente le relazioni (2.20) e (2.21) si ha il seguente schema di passaggio da una funzione all'altra:
derivazione
2.6
u(t)
integrazione
δ(t)
r(t)
CARATTERIZZAZIONE DEI BIPOLI DA UN PUNTO DI VISTA ENERGETICO
Consideriamo un qualsiasi bipolo in cui sia adottata la convenzione degli utilizzatori per il segno della coppia di variabili tensione-corrente: i(t) + v(t) –
Per quanto detto a pag. 16, con tale scelta, una potenza p (t ) = v(t ) ⋅ i (t ) positiva corrisponde ad una potenza entrante nel bipolo: generalmente, però, essendo la potenza un indice di trasferimento energetico, possiamo fare riferimento all'energia scambiata dal bipolo con l'esterno. L'energia associata ad un bipolo nell'intervallo di tempo infinitesimo dt può essere valutata come: dw = p (t ) dt . Se p è positiva, essa rappresenta l'energia entrante nel bipolo. Possiamo allora facilmente ricavare l'energia entrante nel bipolo in un intervallo di osservazione (t 0 , t1 ) :
37
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica t1
t1
t0
t0
w(t0 , t1 ) = ∫ p (t )dt = ∫ v (t ) ⋅ i(t )dt
(2.22)
Questa quantità è evidentemente dipendente dall'intervallo di tempo considerato; per poter però confrontare due bipoli da un punto di vista energetico occorre fare riferimento ad un indice di trasferimento che non dipenda dall'intervallo scelto. Posto t 0 = 0 e considerando t1 tendente ad infinito, si definisce potenza media:
Pm = lim
t1 →∞
t1 v (t ) ⋅ i (t ) w(0, t1 ) = lim ∫ dt 0 t → ∞ 1 t1 t1
(2.23)
Essa può essere considerata come un indice di trasferimento definitivo di energia. N.B. Nel caso di grandezze periodiche risulta: Pm = W0,T T ove T è il periodo del prodotto v ⋅ i . Utilizzando la (2.22) e la (2.23) analizzeremo il comportamento energetico dei bipoli precedentemente definiti.
2.6.1 Potenza ed energia nei resistori Come già detto in precedenza, i resistori non lineari possono essere classificati, in base alla caratteristica, in resistori controllati in tensione, controllati in corrente e controllati in tensione e corrente. Valutiamo potenza istantanea PE (t ) , energia WR (t 0 , t1 ) e potenza media PMR per ciascuno di essi.
•
Resistori controllati sia in tensione sia in corrente: i
I
O
v = v (i)
Q
oppure E
v
i = i (v )
Fig. 2.19
Possiamo allora scrivere quanto segue: t1 v (t ) ⋅ i (v (t )) t1 v(t ) ⋅ i(v(t ))dt lim dt t1 → +∞ ∫ 0 t1 v (t ) ⋅ i (v (t )) ∫ t0 p R (t ) = wR (t 0 , t1 ) = t PmR = 1 i(t ) ⋅ v (i(t )) ∫ i (t ) ⋅ v(i (t ))dt lim t1 i (t ) ⋅ v (i (t )) dt t0 t1 → +∞ ∫ 0 t1
•
Resistori controllati in tensione: i
I
Q
i = i (v )
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
38
Fig 2.20
Possiamo allora scrivere: t1
wR (t 0 , t1 ) = ∫ v(t ) ⋅ i (v(t ))dt
p R (t ) = v(t ) ⋅ i (v(t )) •
t0
PmR = lim
t1 → +∞
∫
t1 0
v(t ) ⋅ i(v(t )) dt t1
Resistori controllati in corrente: i Q
I
v = v (i ) O
v
Fig. 2.21
Possiamo allora scrivere:
p R (t ) = i (t ) ⋅ v(i (t ))
t1
wR (t 0 , t1 ) = ∫ i(t ) ⋅ v(i(t ))dt t0
PmR = lim
t1 → +∞
∫
t1 0
i(t ) ⋅ v(i(t )) dt t1
Si noti che, assegnato un generico istante t e quindi un punto Q di coordinate (v(t ), i (t ) ) sulla caratteristica, la potenza istantanea è rappresentata dalle aree rettangolari nelle figure 2.19, 2.20, 2.21. Inoltre, dalle relazioni precedentemente scritte si osserva che per ricavare la potenza media così come l'energia nell'intervallo (t 0 , t1 ) è necessario conoscere non solo la caratteristica nel piano v − i del resistore ma anche l'andamento della corrente o della tensione nel tempo. La potenza media può assumere, in generale, valori positivi e negativi. Poiché stiamo supponendo di riferirci alla convenzione degli utilizzatori, se la potenza media risulta essere positiva, essa indica che dell'energia è fornita al bipolo dal resto del circuito ossia dell'energia sta entrando nel bipolo dai suoi morsetti: tale energia non viene più restituita dal bipolo al circuito esterno. Un caso significativo è, per esempio, quello dei resistori lineari per i quali si può scrivere:
p (t ) = v(t ) ⋅ i(t ) = R ⋅ i 2 (t ) = G ⋅ v 2 (t )
(2.24)
39
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Essendo G o R positivi, si ha che in questi resistori lineari la potenza istantanea, ed anche quella media, saranno positive significando con ciò che tali resistori non potranno cedere energia al resto del circuito ma solo assorbirla. In conclusione diciamo che tutti quei resistori, lineari o non lineari, che sono caratterizzati da una potenza istantanea maggiore o uguale a zero in ogni istante t sono chiamati resistori passivi, in quanto possono solo assorbire energia dal circuito esterno: è facile verificare che in questo caso la caratteristica giace tutta nel primo e nel terzo quadrante del piano v − i (assi eventualmente inclusi). D'altra parte, tutti quei resistori per i quali la potenza assume, anche se in un solo istante, un valore negativo sono detti resistori attivi in quanto possono fornire energia al circuito esterno (per maggiore chiarezza si veda la definizione di passività di un elemento circuito fornita di seguito al paragrafo 2.6.4). Consideriamo, ad esempio, il caso di un generatore ideale di tensione la cui caratteristica è nel piano v − i : i
i
O
O
v
v
Il tratto di caratteristica situato nel secondo o quarto quadrante corrisponde a punti di funzionamento per i quali p (t ) < 0 , ossia il generatore eroga potenza; mentre il tratto di caratteristica nel primo o terzo quadrante corrisponde a punti di funzionamento per i quali questo bipolo si comporta come un utilizzatore perfetto assorbendo energia dai morsetti. Un discorso analogo vale per il generatore di corrente.
2.6.2 Potenza ed energia nei condensatori Anche per i condensatori non lineari vale la seguente classificazione in base al tipo di caratteristica: condensatori controllati in tensione, controllati in carica e controllati in tensione e carica. Prendiamo in esame, in particolare, gli ultimi due:
q
q q ( t1 )
q ( t1 )
v = v(q) q = q (v )
v = v(q )
q (t 0 )
O
v
q (t 0 )
O Fig. 2.22
v
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
40
Per tali condensatori, controllati nella carica, la potenza istantanea può essere scritta come:
p C (t ) = i(t ) ⋅ v(q (t )) e quindi l'energia utilizzata nell'intervallo (t 0 , t1 ) è ottenibile come: t1 t1 q ( t1 ) dq (t ) wC (t 0 , t1 ) = ∫ v(t ) ⋅ i (t ) dt = ∫ v (q (t )) ⋅ dt = ∫ v( q ) dq t0 t0 q ( t0 ) dt
(2.25)
Nel caso particolare di un condensatore lineare, per il quale si può scrivere: v = (1 C ) ⋅ q , la relazione (2.25) diventa:
wC (t 0 , t1 ) =
1 q (t1 ) 1 2 C q (t1 ) − q 2 (t 0 ) = v 2 (t1 ) − v 2 (t 0 ) qdq = ∫ C q ( t0 ) 2C 2
[
]
[
]
(2.26)
Queste due relazioni mostrano che l'energia assorbita nell'intervallo (t 0 , t1 ) è pari all'area tracciata nella figura 2.22 della pagina precedente: in altri termini per determinare l'energia sono necessarie e sufficienti le seguenti informazioni: la caratteristica v − q , il valore della carica all'istante t 0 , il valore della carica all'istante t1 . L'energia non dipende, quindi, né dalla forma d'onda della tensione né dalla forma d'onda della carica cioè non dipendono dalla funzione del tempo. Se i valori della carica in t 0 e t1 coincidono allora l'energia scambiata in questo intervallo di tempo è nulla. Infine, se si considera la potenza media in un condensatore controllato nella carica si ha:
wC (0, t1 ) 1 q (t1 ) = lim ⋅ ∫ v (q )dq q ( 0) t1 → +∞ t1 → +∞ t t1 1
PmC = lim
(2.27)
Tale limite è analiticamente indeterminato ma da un punto di vista fisico è pari a zero in quanto la carica q (t ) è sempre limitata in valore e quindi l'area sottesa dalla curva v = v(q ) in figura 2.22 è sempre finita (ossia il valore dell'integrale che compare nella relazione (2.27) è finito): poiché la quantità 1 t1 tende a zero ne segue che anche il valore del limite, nelle ipotesi suddette, sarà nullo. Si conclude perciò che la potenza media di un condensatore controllato nella carica è zero: in altri termini, un condensatore controllato nella carica non dissipa energia. Infatti l'energia che entra in un tale bipolo viene accumulata e può essere eventualmente restituita al resto del circuito: per questo motivo si dice che il condensatore è un elemento conservativo. Un discorso analogo vale per i condensatori controllati in tensione ma essendo più complesso non lo tratteremo.
41
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
2.6.3 Potenza ed energia negli induttori Anche per gli induttori non lineari vale la seguente classificazione in base al tipo di caratteristica: induttori controllati in corrente, controllati nel flusso e controllati in corrente e flusso. Prendiamo in esame, in particolare, gli ultimi due:
ϕ
ϕ ϕ ( t1 )
ϕ ( t1 )
ϕ = ϕ (i ) i = i (ϕ )
i = i (ϕ )
ϕ (t0 )
O
i
ϕ (t 0 )
i
O Fig. 2.23
Per tali induttori controllati in flusso la potenza istantanea può essere scritta come:
p I (t ) = v (t ) ⋅ i(t ) = v (t ) ⋅ i(ϕ (t ))
(2.28)
Di conseguenza, l'energia utilizzata nell'intervallo (t 0 , t1 ) vale: t1 t1 ϕ ( t1 ) dϕ (t ) wI (t 0 , t1 ) = ∫ i (t ) ⋅ v(t )dt = ∫ i(ϕ (t )) ⋅ dt = ∫ ϕ (t0 ) i(ϕ )dϕ t0 t0 dt
(2.29)
Se l'induttore è lineare e quindi: i = (1 L ) ⋅ ϕ , si ha:
wI (t 0 , t1 ) =
1 t1 1 2 L ϕdϕ = ϕ (t1 ) − ϕ 2 (t 0 ) = i 2 (t1 ) − i 2 (t 0 ) ∫ L t0 2L 2
[
]
[
]
(2.30)
La relazione (2.29) evidenzia che l'energia in gioco nell'intervallo (t 0 , t1 ) è pari all'area mostrata in figura 2.23: inoltre si deduce che per valutare tale energia sono necessarie e sufficienti le seguenti tre informazioni: la caratteristica nel piano i − ϕ , il valore del flusso concatenato nell'istante t 0 e il valore del flusso concatenato nell'istante t1 . La potenza media per un induttore controllato nel flusso vale:
p mI = lim
t1 →+∞
wI (0, t1 ) 1 = lim t → +∞ 1 t1 t1
ϕ ( t1 )
∫ϕ
(t0 )
i (ϕ )dϕ
Anche in questo caso, il valore di tale limite è analiticamente indeterminato ma da un punto di vista fisico lo si può ritenere nullo poiché l'integrale avrà sicuramente un valore finito (in quanto la funzione ϕ (t ) assume valori limitati in qualsiasi istante e perciò l'area mostrata in figura 2.23 è sicuramente finita) e la quantità 1 t1 tende a zero. In conclusione, la potenza media per un induttore controllato nel flusso è nulla: cioè tali induttori possono assorbire energia senza dissiparla ma, eventualmente, la restituisco-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
42
no al resto del circuito. Per questo motivo sono detti anch'essi elementi conservativi. Un discorso analogo vale anche per gli induttori controllati in corrente, ma essendo più complesso non lo tratteremo.
2.6.4 Passività ed attività La definizione di passività ed attività di un elemento circuitale è relativa alla capacità di fornire energia dell’elemento stesso. Considerato un bipolo e assunta per la tensione e la corrente ai suoi morsetti la convenzione dell’utilizzatore esso è detto passivo se per tutte le possibili coppie tensionecorrente v(t), i(t) ai suoi terminali, l’energia in esso immagazzinata è non negativa, per ogni istante di tempo t1 (la definizione è estendibile anche ad elementi a più morsetti). In termini matematici questo può essere espresso dalla condizione (2.31): t1
w(− ∞, t 1 ) = w( −∞, t 0 ) + ∫ t v(t ) ⋅ i (t )dt ≥ 0
(2.31)
0
dove il termine w( −∞, t 0 ) indica l’energia immagazzinata nel bipolo all’istante t0, supponendo che il bipolo sia inizialmente scarico, questo è rappresentato dal considerare come istante iniziale per il calcolo dell’energia t = - ∞. In altre parole, affinché un bipolo sia passivo deve accadere che, comunque si scelga l’istante di tempo t1, l’energia complessivamente immagazzinata in esso deve essere maggiore o al più uguale a zero. La distinzione fra l’energia immagazzinata nel bipolo fino all’istante t0 e quella immagazzinata da questo istante in poi ci fa comprendere che può accadere che ci sia un intervallo di tempo nel quale il bipolo considerato può fornire energia, ma questa non potrà essere superiore a quella che gli è stata fornita dall’esterno in altro intervallo di tempo, che nel nostro caso è fissato tra ]- ∞, t0], un esempio di un tale comportamento si può avere con i condensatori che possono assorbire energia, ma che possono anche fornirla al resto del circuito, essi sono comunque elementi passivi poiché non possono mai fornire un’energia superiore a quella che hanno ricevuto in precedenza. Ovviamente per la definizione di passività di un elemento la (2.31) deve valere qualsiasi sia l’istante di tempo t0. Un elemento circuitale si dice attivo se esso non è passivo. Perciò sarà attivo un elemento per il quale accade che non è verficata la (2.31) anche per un solo istante o per una sola coppia tensione corrente ai suoi morsetti. Infine un bipolo si dice strettamente passivo se per tutte le possibili coppie tensione-corrente v(t), i(t) non nulle ai suoi terminali, l’energia in esso immagazzinata è sempre maggiore di zero. A questo punto è immediato comprendere come ad esempio un condensatore sia un elemento passivo, infatti ricordando la (2.26)
wC (t 0 , t1 ) =
1 q (t1 ) 1 2 C qdq = q (t1 ) − q 2 (t 0 ) = v 2 (t1 ) − v 2 (t 0 ) ∫ q ( t ) 0 C 2C 2
[
]
[
e considerando che la (2.31) può essere scritta come: w(− ∞, t1 ) = w(−∞, t 0 ) + w(t 0 , t1 ) ≥ 0
(2.32)
]
43
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
se si considera il condensatore scarico in t0 si ha w( −∞, t 0 ) =0, e v(t0)=0, per cui la (2.32) 1 si riduce a: w(− ∞, t1 ) = Cv 2 (t1 ) ≥ 0 che è sempre vera se C è maggiore di zero, il che ac2 cade sempre se si considerano degli elementi discreti (capacità negative possono essere ottenute con opportuni circuiti elettronici). Notiamo, infine, come un resistore non-lineare possa essere attivo. Consideriamo il resistore non lineare la cui caratteristica è data da: v(t) = i(t) + i2(t) e calcoliamo l’energia da esso assorbita tra due generici istanti di tempo t0 e t1, attraverso la (2.31) essa è data da: t
(
)
w(− ∞, t1 ) = w(−∞, t 0 ) + ∫ t 1 i (t ) + i 2 (t ) ⋅ i (t )dt = 0
1 2t1 1 3t1 1 2t0 1 3t0 e − e − e + e 2 3 2 3
considerando che w(−∞, t 0 ) =0 si nota che per t1 >ln (1.5) e t0 ≤ ln (1.5) otteniamo w(−∞, t1 ) < 0. Viene così confermato il risultato già esposto a pagina 36 per cui un resistore lineare o no è passivo se e solo se la sua caratteristica giace tutta nel primo e nel terzo quadrante del piano v − i includendo anche gli assi. Conviene chiarire il concetto di sorgente ed utilizzatore. Ovviamente daremo il nome di sorgente a quel dispositivo che, nell’istante considerato, sta fornendo energia al resto del circuito. Evidentemente individueremo come utilizzatore un dispositivo che, in un determinato istante di tempo, riceve energia.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
44
CAPITOLO 3
3.1
BIPOLI EQUIVALENTI
41
3.2
COLLEGAMENTO IN SERIE DI RESISTORI
42
3.3
COLLEGAMENTO IN PARALLELO DI RESISTORI
49
3.4
COLLEGAMENTO SERIE-PARALLELO DI RESISTORI
56
3.5
TRASFORMAZIONE DI UN TRIANGOLO DI RESISTENZE IN UNA STELLA DI RESISTENZE EQUIVALENTE AL TRIANGOLO
60
3.6
CONNESSIONE IN SERIE E PARALLELO DI CONDENSATORI LINEARI
75
3.7
CONNESSIONE IN SERIE E PARALLELO DI INDUTTORI LINEARI
63
3.8
ESEMPI DI CIRCUITI EQUIVALENTI
65
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
3.1
BIPOLI EQUIVALENTI
45
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
46
Consideriamo due generici bipoli:
Essi si diranno equivalenti se, istante per istante, le loro variabili terminali assumono rispettivamente lo stesso valore, cioè si ha:
v 1 (t) = v 2 (t),
∀t
i 1 (t) = i 2 (t),
∀t
Osservo che nella definizione data non c'è nessun riferimento alla natura dei bipoli: si parla, infatti, di equivalenza agli effetti esterni. Quanto detto per i bipoli può essere esteso anche ai circuiti. Consideriamo, per il momento, circuiti nei quali gli scambi energetici con l'esterno avvengono mediante due terminali che rappresentano la 'porta' del circuito: la tensione e la corrente su tali terminali prendono il nome di variabili di por-
ta. Tali circuiti si diranno equivalenti se, istante per istante, le variabili di porta corrispondenti assumono lo stesso valore, cioè:
v 1 (t) = v 2 (t) e i 1 (t) = i 2 (t), ∀t
47
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Definiamo caratteristica d'ingresso di un circuito (detta anche DPC o Driving Point Characteristic) il legame funzionale tra le grandezze di porta tensione e corrente. Il nome deriva dall'osservazione che la caratteristica é costituita da punti su cui si porta a lavorare il circuito una volta che sia stato eccitato. Possiamo allora affermare che due circuiti sono equivalenti se hanno la stessa DPC.
Nei prossimi paragrafi vedremo come ricavare la caratteristica d'ingresso di circuiti costituiti da resistori a due terminali collegati in serie o in parallelo o in serie-parallelo: tali circuiti vengono definiti brevemente circuiti monoporta resistivi.
3.2
COLLEGAMENTO IN SERIE DI RESISTORI
Si consideri il circuito di fig.3.3 in cui due resistori non lineari sono collegati al nodo 2; i nodi 1 e 3 sono connessi al resto del circuito denotato con N.
Guardando verso destra dai nodi 1 e 3 si ha un circuito formato dal collegamento in serie di due resistori non lineari; ai fini presenti, la natura del circuito N è irrilevante. Si vuole ottenere la caratteristica d'ingresso del circuito con tensione di porta v e corrente di porta i. Si supponga che entrambi i resistori siano controllati in corrente, cioè:
v1 = v1(i1) e
v2 = v2(i2)
(3.1)
Esse costituiscono le caratteristiche dei resistori. Successivamente applichiamo la LKC ai nodi 1 e 2 ottenendo:
1) i − i 1 = 0 ⇔ i = i 1 2) i 1 − i 2 = 0 ⇔ i 1 = i 2 da cui segue : i = i = i 1
2
(3.2)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
48
Applicando poi la LKT alla sequenza chiusa di nodi 1-2-3-1 si ha:
v1 + v2 − v = 0 ⇔ v = v1 + v2
(3.3)
Combinando ora le equazioni (3.1),(3.2) e (3.3) si può scrivere:
v = v1(i) + v2(i)
(3.4)
che rappresenta la caratteristica v-i del circuito in esame. Essa definisce la caratteristica d'ingresso di un resistore controllato in corrente di caratteristica:
v = v(i)
(3.5a)
in cui risulta:
v (i) = v1(i) + v2 (i) ∀ i
(3.5b)
In definitiva il circuito resistivo monoporta costituito da due resistori non lineari controllati in corrente e collegati in serie è equivalente ad un resistore non lineare con caratteristica data dalle equazioni (3.5a) e (3.5b). Un esempio particolare del caso appena discusso si ha collegando in serie un resistore lineare ed un generatore ideale di tensione continua, che possono entrambi essere considerati come resistori controllati in corrente.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
49
Le equazioni caratteristiche dei due componenti sono:
v 1 = E e v 2 = Ri 2
(3.6)
Come nel caso precedente, applicando la LKC ai nodi 1 e 2 si ottiene:
i = i1 = i2
(3.7a)
mentre applicando la LKT alla sequenza chiusa di nodi 1-2-3-1 si ha:
v = v1 + v2
(3.7b)
che, per le equazioni (3.6), si può scrivere: v = E + Ri (*). In altri termini, il circuito monoporta costituito dal collegamento in serie di un resistore lineare e di un generatore ideale di tensione continua è equivalente ad un resistore non
50
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
lineare con caratteristica data dalla (*) e rappresentata in fig.3.5:
Il monoporta appena esaminato è il modello di una batteria reale con resistenza interna R. Consideriamo ora una batteria collegata in serie ad un diodo ideale: poiché un diodo ideale non è un resistore controllato in corrente, non possiamo sommare direttamente le tensioni come nei due casi precedenti.
La batteria è controllata sia in tensione sia in corrente:
v1 = E + Ri1.
Il diodo ideale, invece, non è controllato né in tensione né in corrente; tuttavia, osservo che:
1) v 2 = 0 con i 2 > 0 2) i 2 = 0 con v 2 < 0
51
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Considero, allora, indipendentemente, ciascun segmento della caratteristica del diodo ideale:
1) ponendo i2>0 la tensione ai morsetti del diodo ideale è nulla; quindi possiamo scrivere quanto segue:
L.K.C.
i = i1 = i2
L.K.T.
v = v 1 + v 2 ⇒ v = v 1 = E + Ri 1 ⇒ v = E + Ri
(*)
Ricordando, dunque, la limitazione posta, la caratteristica d'ingresso del bipolo sarà
così rappresentata: 2) Ponendo, invece, v20. Infatti se risulta G E 2
100
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Allora, partendo da sinistra verso destra, possiamo decomporre la caratteristica linearizzata nella somma di tre componenti, come mostrato in fig. 4.25: una retta passante per l'origine con pendenza G0; la caratteristica di un resistore concavo con tensione di break pari a E1 e pendenza negativa pari a G1; la caratteristica di un resistore concavo con tensione di break pari a E2 e pendenza positiva pari a G2:
In tal modo possiamo affermare che un circuito avente una D.P.C. simile alla caratteri-
stica linearizzata del diodo tunnel è il seguente: Perché esso corrisponda esattamente alla caratteristica linearizzata del diodo tunnel, i parametri devono evidentemente soddisfare le seguenti relazioni:
regione 1 : G 0 = G a regione 2 : G 0 + G 1 = G b regione 3 : G 0 + G 1 + G 2 = G c
Risolto tale sistema di tre equazioni in tre incognite si ottiene:
G0 = Ga G1 = G b − Ga G2 = Gc − Gb
101
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Possiamo, inoltre, facilmente ricavare la rappresentazione analitica della D.P.C. del circuito di fig. 4.26 (uguale a quella della caratteristica linearizzata del diodo tunnel) osservando che i tre resistori sono collegati in parallelo e quindi è sufficiente sommare le tre correnti come previsto dalla L.K.C. :
G1 [(v − E 1 ) + v − E 1 ] , i 2 = G 2 [(v − E 2 ) + v − E 2 ] 2 2 da cui si ottiene : i 0 = G0 v , i 1 =
i = i0 + i1 + i2 = −
G1E 1 G 2 E 2 G G G G − + G 0 + 1 + 2 v + 1 v − E 1 + 2 v − E 2 (*) 2 2 2 2 2 2
La relazione appena ottenuta può porsi nella forma:
i = a 0 + a 1 v + (b 1 v − E 1 + b 2 v − E 2 )
(**)
Le relazioni precedenti possono essere facilmente estese al caso in cui la caratteristica linearizzata possieda n punti di break. Si può, infatti, scrivere:
n
i = a + bv +
∑c
i
v − Ei
i =1
dove Ei rappresentano le tensioni di break e i coefficienti a,b e ci vanno opportunatamente determinati in funzione delle pendenze dei vari tratti della caratteristica.
4.5
ANALISI PER PICCOLI SEGNALI
L’analisi di circuiti nei quali siano inseriti elementi non lineari è piuttosto complessa. Una tecnica particolare, di grande importanza nel campo dell’ingegneria, che consente di risolvere questo tipo di circuiti, è l’analisi per piccoli segnali di un sistema non lineare. Questa è un’analisi di variazione del punto di lavoro in seguito all’applicazione di un nuovo segnale. Per illustrare i concetti dell’analisi per piccoli segnali facciamo riferimento ad un semplice circuito.
102
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Si consideri il circuito mostrato in figura:
Si supponga che esso sia progettato in modo tale da avere un unico punto di lavoro P e precisamente esso si trovi nel tratto di curva in cui la pendenza è negativa, come mostrato di seguito:
Il circuito di fig. 4.27 è detto circuito di polarizzazione perché porta il diodo tunnel a funzionare in uno specifico punto di lavoro. Alla tensione costante E di polarizzazione si può sovrapporre una tensione tempo-variante vs(t), che nel circuito di fig. 4.29 è for-
nita dal generatore di tensione vs(t), e che soddisfi la condizione v s (t ) W(I 1 , − I 2 ) ⇒ MI 1 I 2 > − MI 1 I 2
1)W(I 1 , I 2 ) =
Evidentemente, affinché quest'ultima relazione sia soddisfatta M deve essere positivo. Immaginiamo ora di cambiare il senso del secondo avvolgimento, come mostrato in figura:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
141
Come si può verificare applicando la regola della mano destra, il flusso del campo magnetico generato dalla corrente del primo avvolgimento è diretto in senso orario mentre il flusso del campo magnetico generato dalla corrente nel secondo avvolgimento è diretto in senso antiorario; possiamo, quindi, concludere che quest'ultimo si oppone al primo. Se invece invertiamo il verso della corrente sul secondo avvolgimento, cioè consideriamo una corrente sempre entrante ma pari a -I2, il flusso del campo magnetico generato da tale corrente sarà diretto in senso orario e perciò rafforza il flusso del campo magnetico generato dalla corrente nel primo avvolgimento. Si può allora ritenere che l'energia magnetica nel secondo caso sarà maggiore di quella nel primo caso, cioè:
1 1 1 1 L 11 I 21 + MI 1I 2 + L 22 I 22 2)W(I 1 ,− I 2 ) = L 11 I 12 − MI 1 I 2 + L 22 I 22 2 2 2 2 W(I 1 ,− I 2 ) > W(I 1 , I 2 ) ⇒ - MI 1 I 2 > MI 1 I 2
1)W(I 1 , I 2 ) =
Evidentemente, affinché quest'ultima relazione sia soddisfatta M deve essere negativo. Abbiamo così verificato che effettivamente il segno di M dipende dal senso di avvolgimento delle spire intorno al materiale magnetico. In pratica si tiene conto del senso di avvolgimento delle spire contrassegnando una delle estremità di ciascun avvolgimento. Viene poi utilizzata la seguente convenzione:
se le correnti nei due induttori accoppiati entrano o escono contemporaneamente dai due contrassegni allora si avrà M>0:
Se invece la corrente in un induttore entra (esce) e la corrente del secondo induttore accoppiato esce (entra) dal contrassegno, sarà M ω 0 : condizione di sovrasmorzamento. − Es 2 Es 1 v C (t) = k 1 e s1t + k 2 e s2t con k 1 = e k2 = s1 − s2 s1 − s2 2) α = ω 0 : condizione di smorzamento critico. s = −α ⇒ v (t) = Ee −αt (1 + αt ) 12
C
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
206
3) α < ω 0 : condizione di sottosmorzamento. s 1 2 = −α ± jω d
con ω d = ω o2 − α 2
v C (t) = ke −αt cos (ω d t + ϕ ) con ϕ = −arctg
E α e k=− cosϕ ωd
4) α = 0 : condizione di perdite nulle.
ω d = ω 0 ⇒ s 1 2 = ± jω 0 v C (t) = E cos(ω 0 t )
Consideriamo ora il caso analogo ma con un ingresso diverso da zero:
Vogliamo determinare l'andamento nel tempo della tensione ai capi del condensatore. Combinando le seguenti relazioni:
v g = E v R = Ri R dv i C = C C dt di L v L = L dt L.K.C. i R = i L = i C L.K.T. v L + v C + v R = E
si determina l'equazione differenziale del secondo ordine lineare a coefficienti costanti relativa al circuito in esame:
207
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
d2vC dv C R + 2α + ω o2 v C = ω o2 E con α = e ω0 = 2 dt 2L dt v C (0 + ) = 0 dv C (0 + ) i C (0 + ) i L (0 + ) = = =0 dt C C
1 LC
L'integrale generale della suddetta equazione si scrive come:
v C (t) = v Ch (t) + v Cs (t) con v Cs (t) = cost. = E
Le frequenze naturali del circuito sono le due radici dell'equazione caratteristica e cioè:
s 1 2 = −α ± α 2 − ω o2
Si distinguono i seguenti quattro casi:
1) α > ω 0 : condizione di sovrasmorzamento. Es 2 − Es 1 v C (t) = k 1e s1t + k 2 e s2t + E con k 1 = e k2 = s1 − s2 s1 − s2 2) α = ω 0 : condizione di smorzamento critico. s = −α ⇒ v (t) = − Ee −αt − αEte −αt + E 12
C
3) α < ω 0 : condizione di sottosmorzamento. s 1 2 = −α ± jω d
con ω d = ω o2 − α 2
v C (t) = ke −αt cos (ω d t + ϕ ) + E con ϕ = −arctg
−E α e k= ωd cosϕ
4) α = 0 : condizione di perdite nulle.
ω d = ω 0 ⇒ s 1 2 = ± jω 0 ⇒ ϕ = 0 v C (t) = − E cos (ω 0 t ) + E
Per i due circuiti appena esaminati possiamo definire un fattore di qualità o fattore di
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
208
risonanza serie:
1 Q=
ω0 1 L LC = = R R C 2α 2 2L
6.5
APPROCCIO AI CIRCUITI CON IL METODO DELLE VARIABILI DI STATO
Consideriamo il seguente circuito del secondo ordine di cui siano già assegnate le con-
dizioni iniziali:
Dalla conoscenza della corrente iniziale sull'induttore e della tensione iniziale sul condensatore cioè, in altri termini, dalla conoscenza del contenuto energetico immagazzinato nell'induttore e nel condensatore sino all'istante t=0, è stato possibile ricavare (vedi paragrafo 6.4) l'andamento di tutte le tensioni e correnti di lato, ossia qualsiasi risposta del circuito, non solo nell'istante iniziale t=0 ma anche in quelli successivi, cioè per t>0. Possiamo allora, sulla base di questa osservazione, generalizzare la procedura come segue: supponiamo che in un circuito dinamico siano presenti p accumulatori (condensatori o induttori, ossia elementi in grado di immagazzinare energia) e che sia possibile individuare p variabili (una per ogni accumulatore) le quali ci consentano di conoscere il contenuto energetico dell'accumulatore a cui sono rispettivamente associate in ogni istante t>0. Tali variabili sono dette variabili di stato e le indicheremo con:
209
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
x 1 (t) , x 2 (t) , ... , x p (t) x 1 (t) x (t) 2 è detto vettore di stato . mentre il vettore : x(t) = ..... x p (t)
(Nota: in generale le variabili di stato "fisiche" conviene che siano scelte in modo tale che il loro quadrato sia proporzionale al contenuto energetico dell'accumulatore a cui sono associate: per questo motivo si sceglie la tensione per i condensatori e la corrente per gli induttori). Possiamo a questo punto dare la definizione di stato di un circuito:
in assenza di ingressi, esso rappresenta il numero minimo di variabili di stato (ossia le variabili scelte devono essere fra loro indipendenti) la cui conoscenza in un istante iniziale t0 mi permette di ricavare le stesse variabili anche in quelli successivi a quello iniziale; se nel circuito sono presenti degli ingressi, lo stato del circuito viene definito allo stesso modo aggiungendo, però, che è necessario conoscere gli ingressi non solo nell'istante iniziale ma anche in quelli relativi all'intervallo di osservazione considerato.
Mostreremo con l'aiuto di esempi che mediante l'uso delle variabili di stato si perviene alla scrittura di un sistema di equazioni differenziali del primo ordine la cui soluzione porta alla conoscenza dell'andamento nel tempo delle stesse variabili di stato che consente di ricavare, successivamente, l'andamento nel tempo di tutte le correnti e tensioni di lato come combinazioni lineari delle variabili di stato. Il metodo delle variabili di stato viene frequentemente utilizzato perché consente una facile implementazione al calcolatore e si presta, in particolare, per l'analisi di quei circuiti la cui soluzione porterebbe alla scrittura di un'equazione differenziale di ordine elevato: con il metodo delle variabili di stato, invece, si perviene ad un sistema di n equazioni differenziali tutte del primo ordine. Il metodo è poi particolarmente utile per la soluzione dei circuiti non lineari. Vediamo ora di applicare il metodo delle variabili di stato al circuito di fig. 6.34: scegliamo come variabili di stato la corrente sull'induttore e la tensione sul condensatore; si tratta di ricavare due equazioni differenziali del primo ordine che coinvolgano tali variabili. Sussistono le seguenti relazioni: i R = Gv R con G = 1 R (6.97) dv Relazioni di lato : i C = C C (6.98) dt di L (6.99) v L = L dt L.K.T. : v R = v L = v C (6.100) L.K.C. : i R + i L + i C = 0
(6.101)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
210
Combinando le equazioni (6.99) e (6.100) si ottiene:
di L v C = dt L
(*)
Mentre la seconda equazione differenziale è data da:
i R + i L + i C = 0 ⇒ Gv R + i L + C
dv C dv = 0 ⇒ Gv C + i L + C C = 0 ⇒ dt dt
dv C i G = − L − vC dt C C
(**)
Si ottiene allora il seguente sistema di due equazioni differenziali del primo ordine:
di L v C = dt L dv C = − 1 i L − G v C C C dt
(6.102)
alle quali va associato lo stato iniziale: iL(0)=I0; vc(0)=V0. Posto ora:
x 1 (t) = i L (t)
e
x 2 (t) = v C (t)
possiamo scrivere il sistema (6.102) in forma matriciale come segue:
1 x 1 0 L x1 ⇔ x = Ax (6.103) x = 1 G x 2 2 − − C C x x con x = 1 vettore delle derivate prime e x = 1 vettore di stato. x 2 x 2
211
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Al sistema (6.103) vanno poi aggiunte le condizioni iniziali:
x 1 (0 + ) J 0 x (0 ) = V ⇔ x(0 + ) = x 0 2 + 0
J0 con x 0 = V0
(6.104)
La soluzione, in forma matriciale, del sistema (6.102) è la seguente:
x(t) = e At x 0 , dove e At è detta matrice di transizione di stato.
Tale soluzione è detta risposta libera del circuito perché non ci sono ingressi e, come si può osservare, essa dipende esclusivamente dalle condizioni iniziali nel circuito. Possiamo esprimere la soluzione del sistema (6.102) senza ricorrere alla matrice di transizione di stato ma servendosi degli autovalori della matrice A. In generale, gli autovalori di una matrice A, che indicheremo col simbolo s, si ottengono come soluzione della seguente equazione: det[A-sI]=0 , dove I è la matrice identica. Nel nostro caso si ha:
−s det[A − sI] = det 1 − C
1 L G − − s C
Nota.
E' facile verificare che gli autovalori della matrice A coincidono con le frequenze naturali precedentemente calcolate (vedi par. 6.4). Infatti:
det[A − sI] = s 2 +
posto α =
G 1 s+ =0 C LC
1 G e ω0 = si ha: s2+2αs+ ω 02 = 0 2C LC
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
212
da cui si ottiene: s 1/2 = −α ± α 2 − ω 02
che coincidono con le frequenze naturali del circuito. Supponiamo che i due autovalori ottenuti siano tra loro distinti. Una volta determinati gli autovalori della matrice A, bisogna calcolare gli autovettori ad essi associati. Nel nostro caso, se indichiamo tali autovettori con:
η 11 η 12 η1 = e η2 = η 21 η 22
essi sono i vettori non nulli che soddisfano la seguente equazione matriciale:
Aη i = s i η i ⇔ (A − s i I)η i = 0
con i=1,2
(*)
Per i=1 l'equazione matriciale (*) diventa:
1 − s 1η 11 + η 21 = 0 L 1 G − η 11 − + s 1 η 21 = 0 C C
Tenendo presente che bisogna escludere la soluzione banale di tale sistema omogeneo di due equazioni in quanto gli autovettori sono sempre diversi dal vettore nullo ed osservando che il sistema ammette infinite soluzioni, possiamo scrivere dalla prima equazione:
η11 =
1 Ls1
η 21 , da cui segue che le soluzioni del sistema sono tutte
del tipo : (β , Ls1 β ). Posto allora β = 1 ottengo come soluzione :
η 1 η 1 = 11 = η 21 Ls1
213
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
In modo del tutto analogo si ottiene:
η 12 1 η2 = = η 22 Ls 2
A questo punto, avendo supposto che gli autovalori siano distinti, si può scrivere la soluzione del sistema (6.103), cioè il vettore di stato, come segue:
(
x(t) = k 1 e
s1t
)η + (k e )η 1
2
s2 t
2
(6.105)
Il valore delle costanti k1 e k2 si ricava utilizzando lo stato iniziale; si può poi verificare la perfetta corrispondenza tra queste risposte (ossia la corrente sull'induttore e la tensione sul condensatore) ricavate con il metodo delle variabili di stato e le stesse ricavate in precedenza. Consideriamo ora il caso in cui l'ingresso non sia nullo (supporremo, comunque, che esso sia noto in tutto l'intervallo di osservazione e non solo nell'istante iniziale). Si prenda in esame il seguente circuito:
Si tenga presente che ciascuno dei due interruttori disposti in parallelo, quando è abbassato, serve per escludere completamente dal resto del circuito il generatore di corrente ad esso corrispondente. Le condizioni iniziali si ricavano osservando il circuito equivalente a t=0- in condizioni di regime stazionario e tenendo presente che nell'istante t=0 si ha una variazione istantanea ma limitata di corrente sul condensatore e di tensione sull'induttore:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
214
Consideriamo come variabili di stato, al solito, la corrente sull'induttore e la tensione sul condensatore. Valgono le seguenti relazioni:
i g = J s i R = Gv R Relazioni di lato : i = C dv C C dt di L v L = L dt L.K.C. : i R + i C + i L = J s L.K.T. : v R = v C = v L
(6.106) (6.107) (6.108) (6.109) (6.110) (6.111)
Tenendo conto della (6.111) si possono scrivere la (6.109) e la (6.110) come segue:
di L 1 dt = L v C dv C = − 1 i L − G v C + J s dt C C C
(6.112)
Posto ora:
x 1 (t) = i L (t)
e
x 2 (t) = v C (t)
215
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
possiamo scrivere il sistema (6.112) in forma matriciale come segue:
1 0 x 1 0 L x1 + 1 J = s x 1 G x 2 − − 2 C C C
x con x = 1 x 2
⇔
x = Ax + Bu
x vettore delle derivate prime e x = 1 vettore di stato. x 2
0 Inoltre B = 1 mentre u é scalare e pari a J s C
Al sistema (6.112) vanno poi aggiunte le condizioni iniziali:
x 1 (0 + ) J 0 x (0 ) = 0 ⇔ x(0 + ) = x 0 2 +
J0 con x 0 = 0
(6.114)
Il vettore di stato x(t) può essere così determinato:
x − Ax = Bu(t) ⇔ e − At (x − Ax ) = e − At Bu(t) ⇔ d dt
(e
− At
)
x(t) = e − At Bu(t) e quindi integrando tra 0 e t si ha : t
e − At x(t) − x 0 = ∫ e − Aτ Bu(τ )dτ ⇒ 0
At
t
x(t) = e x 0 + ∫ e A(t −τ ) Bu(τ )dτ 0
(6.113)
(6.115)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
216
Il primo addendo a secondo membro dell'equazione (6.115) rappresenta la risposta naturale del circuito perché dipende solo dalle condizioni iniziali, mentre il secondo addendo rappresenta la risposta forzata del circuito perché dipende solo dagli ingressi (nel caso in esame l'ingresso è unico ed è costituito dal generatore di corrente costante). Si tenga presente che la risposta libera e quella forzata non devono essere confuse con la risposta transitoria e quella a regime.
Consideriamo ora il circuito serie mostrato in figura; valgono considerazioni analoghe a quelle fatte finora:
Al solito, sceglieremo come variabili di stato la tensione sul condensatore e la corrente sull'induttore. Si può scrivere:
v g = E v R = Ri R Relazioni di lato : i = C dv C C dt di L v L = L dt L.K.T. : v R + v C + v L = E
(6.116)
L.K.C. : i R = i C = i L
(6.121)
(6.117) (6.118) (6.119) (6.120)
Tenendo conto della (6.121) si possono scrivere la (6.118) e la (6.120) come segue:
217
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
R 1 1 di L = − i L − vC + E dt L L L dv C = 1 i L C dt
(6.122)
Posto ora:
x 1 (t) = i L (t)
x 2 (t) = v C (t)
e
possiamo scrivere il sistema (6.122) in forma matriciale come segue:
R x 1 − L x = 1 2 C
1
1 L x1 + E x L 0 2 0
−
⇔
x = Ax + Bu
(6.123)
x 1 x1 vettore delle derivate prime e x = vettore di stato. x 2 x 2
con x =
1 Inoltre B = L mentre u é scalare e pari a E 0
Al sistema (6.122) vanno poi aggiunte le condizioni iniziali:
x 1 (0 + ) 0 x (0 ) = 0 ⇔ x(0 + ) = 0 2 +
(6.124)
Il circuito presenterà allora solo la risposta forzata (cioè quella dipendente dall'ingresso essendo nulle le condizioni iniziali) che è esprimibile come (vedi pagina precedente):
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
218 t
x(t) = ∫ e A (t −τ ) Bu(τ )dτ
(6.125)
0
Consideriamo, infine, un ultimo esempio dal quale sarà evidente come sia difficile, per circuiti leggermente più complessi di quelli esaminati finora, determinare le equazioni differenziali che coinvolgono le variabili di stato. Si faccia riferimento al circuito mo-
strato in figura:
Le relazioni di lato sono:
vg = E v =R i 1 1 1 v 2 = R 2 i 2 di L vL = L dt i C = C dv C dt
(6.126) (6.127) (6.128) (6.129) (6.130)
Applicando la L.K.C. si ottiene:
i1 + i2 + iC = 0 i2 = iL
(6.131) (6.132)
Mentre applicando la L.K.T. ai due percorsi chiusi evidenziati si ha:
v1 − vC = E v2 + vL − vC = E
(6.133) (6.134)
219
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Dalle relazioni (6.127),(6.131) e (6.132) posso scrivere:
v 1 = R 1 i 1 = −R 1 (i C + i L )
(6.135)
Dunque la relazione (6.133) si scrive come:
dv − R1 C C + i L − vC = E dt
(*)
Mentre, tenendo presente la relazione (6.132), possiamo scrivere la relazione (6.134) come segue:
R2i L + L
di L − vC = E dt
(**)
Riordinando le relazioni (*) e (**) si ottiene il sistema di due equazioni differenziali del primo ordine avente come incognite le variabili di stato scelte:
R2 1 E di L dt = − L i L + L v C + L dv 1 1 E C = − iL − vC − dt C CR 1 CR 1
Posto ora:
(6.136)
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220
x 1 (t) = i L (t)
e
x 2 (t) = v C (t)
possiamo scrivere il sistema (6.136) in forma matriciale come segue:
1 R2 1 − L x x 1 L L 1 E (6.137) + ⇔ x = Ax + Bu x = 1 1 1 x 2 − 2 − − CR 1 R 1C C x 1 x con x = vettore delle derivate prime e x = 1 vettore di stato. x 2 x 2
1 Inoltre B = L1 mentre u é scalare e pari a E − R 1C
Nel sistema (6.136) vanno poi aggiunte le condizioni iniziali:
x 1 (0 + ) 0 x (0 ) = 0 ⇔ x (0 + ) = 0 2 +
(6.138)
Il circuito presenterà allora solo la risposta forzata (cioè quella dipendente dall'ingresso essendo nulle le condizioni iniziali) che è esprimibile come:
t
∫
x(t) = e A (t −τ ) Bu(τ )dτ
(6.139)
0
Nota: abbiamo visto finora due metodi che ci consentono di descrivere la dinamica di un circuito, il primo mediante una sola equazione differenziale scalare di ordine n (generalmente n è uguale a 2) il secondo mediante un sistema di n equazioni differenziali del primo ordine. I due metodi sono comunque equivalenti ed è sempre possibile passare dal sistema di equazioni differenziali all'equazione differenziale scalare ad esso associata (il passaggio inverso è possibile ma richiede l'introduzione delle cosiddette variabili di fase). Ad esempio, nel caso in cui n=2 si ha:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
x 1 = a 11 x 1 + a 12 x 2 + u 1 x 2 = a 21 x 1 + a 22 x 2 + u 2
(*) (**)
derivando la prima equazione rispetto al tempo si ottiene:
x1 = a 11 x 1 + a 12 x 2 + x 1
e sostituendo la (*) e la (**) si ha:
x1 = a 11 (a 11 x 1 + a 12 x 2 + u 1 ) + a 12 (a 21 x 1 + a 22 x 2 + u 2 ) + u 1 (* * *)
Possiamo riscrivere la (***) come segue:
(
)
2 + a a x + a x (a + a ) + a u + a u + u x1 = a 11 12 21 1 12 2 11 22 11 1 12 2 1
Dalla (*) si ricava però:
a 12 x 2 = x 1 − a 11 x 1 − u 1
che sostituita nella relazione precedente dà:
2 x1 = (a 11 + a 12 a 21 ) x 1 + (x 1 − a 11 x 1 − u 1 )(a 11 + a 22 ) + a 11 u 1 + a 12 u 2 + u 1 ⇒
x1 − (a 11 + a 22 ) x 1 − (a 12 a 21 − a 11a 22 ) x 1 + a 22 u 1 − a 12 u 2 − u 1 = 0
221
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
222
Quest'ultima relazione rappresenta l'equazione differenziale del secondo ordine associata al sistema di due equazioni differenziali in esame.
6.6
RISPOSTA ALL'IMPULSO
Nel seguente paragrafo analizzeremo tre metodi attraverso i quali sarà possibile determinare la risposta di un circuito ad un ingresso rappresentato da una corrente o tensione impulsiva; per comodità, considereremo solo circuiti dinamici del primo ordine, ovviamente lineari e tempo-invarianti. Ad esempio, si prenda in esame il circuito mo-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
223
strato in figura: L'ingresso è costituito da un generatore di corrente impulsiva. Si vuole determinare l'andamento nel tempo della tensione sul condensatore. Possiamo utilizzare i seguenti tre metodi:
1) Metodo per approssimazione: esso consiste nel sostituire il generatore di corrente impulsivo con un generatore di corrente la cui forma d'onda è rappresentata da un impulso di durata finita; una volta calcolata la risposta del circuito a tale ingresso possiamo facilmente determinare la risposta all'impulso facendo tendere a zero l'intervallo di tempo durante il quale è applicato il segnale. L'impulso di durata finita ha il seguente
andamento nel tempo:
Da un punto di vista qualitativo possiamo affermare quanto segue: per t∆ possiamo ricavare il contributo alla tensione sul condensatore nel caso di ingresso nullo e stato diverso da zero come integrale generale della seguente equazione differenziale:
dv C2 v C2 + = 0 (*) , per t > ∆ dt RC
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
226
Tenendo conto che la precedente equazione vale solo per istanti di tempo successivi all'istante t=∆, il suo integrale generale sarà esprimibile mediante una relazione di questo tipo: v C2 (t) = v C2h (t) = ke
−
(t − ∆ ) RC u(t
− ∆)
Per trovare il valore della costante k sfrutteremo la seguente condizione iniziale:
v C2 ( ∆ + ) = v C2 ( ∆ − ) = v C1 ( ∆ ) =
∆ − R RC 1 − e ∆
La prima uguaglianza deriva dal fatto che la tensione sul condensatore non presenta discontinuità istantanee poiché la corrente rimane sempre limitata. Sviluppiamo in serie la seguente quantità:
e
−
∆ RC
2
= 1−
3
∆ 1 ∆ 1 ∆ ∆ + − + .... ≈ 1 − RC 2 RC 6 RC RC
Di conseguenza si ottiene:
v C 2 (∆ + ) ≈
R ∆ 1 1 , e quindi si ha :v C 2 ( ∆ + ) = = k 1 − 1 + = ∆ RC C C
In definitiva, l'integrale generale della (*) è dato da:
1 − v C2 (t) = v C2h (t) = e C
(t − ∆ ) RC
u(t − ∆)
(6.142)
Concludendo, la tensione sul condensatore, quando in ingresso è presente un impulso di durata finita, è data da:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
227
t per t ∈ [0, ∆ ] ∆C v C (t) = ( 6.143) (t − ∆ ) 1 e − RC per t > ∆ C
Per ricavare la tensione sul condensatore quando in ingresso è presente un impulso è sufficiente far tendere ∆ a zero ottenendo:
∆ → 0 allora : v C1 (t) =
1 essendo t e ∆ entrambi infinitesimi C del primo ordine
∆ → 0 allora : v C2 (t) =
1 − RC e u(t) C
t
Osservando che la prima di queste due relazioni corrisponde esattamente al valore che la seconda di esse assume per t=0 si ha che:
t
v C (t) =
1 − RC e u(t) C
(6.144)
Intuitivamente, possiamo immaginare l'impulso come costituito da un fronte di salita e da uno di discesa: durante il primo si ha una variazione istantanea della tensione sul condensatore sino al valore 1/C a cui segue, nel fronte di discesa, il processo di scarica dello stesso condensatore dovuto sia alla scomparsa dell'impulso sia alla presenza dell'elemento resistivo.
2) Metodo di derivazione: esso consiste nel calcolare la risposta del circuito (in questo caso la tensione sul condensatore) quando in ingresso è presente un gradino unitario; una volta calcolata tale risposta, diciamola s(t), sarà sufficiente derivarla rispetto al tempo per ottenere la stessa risposta del circuito ma con un ingresso rappresentato da una corrente impulsiva (ciò è vero se si tiene presente che l'impulso è ricavabile derivando rispetto al tempo il gradino e che il circuito è lineare e tempo-invariante). Allora, supponendo che l'ingresso sia un gradino, l'equazione differenziale associata al circuito è la seguente:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
228
dv c v c 1 + = u(t) dt RC C
(6.145)
il cui integrale generale è del tipo:
v c (t) = ke
−
t RC u(t) +
v Cs (t)
L'integrale particolare deve seguire l'ingresso ed essendo questo costante possiamo porre:
v C S (t) = A = cost
che sostituita nella (6.145) dà:
u(t) A = ⇒ v C S (t) = A = R RC C
Per ricavare poi il valore della costante k occorre imporre la condizione iniziale e cioè:
v C (0 + ) = 0 = k + Ru(t) ⇔ k = − R
e quindi l’integrale generale della (6.145) si scrive come:
t − v C (t) = s(t) = R 1 − e RC u(t)
Da quanto detto, la risposta del circuito all'impulso, diciamola h(t), sarà espressa come:
229
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
h(t) =
t 1 − t − ds(t) = R 1 − e RC δ (t) + R e RC u(t) RC dt
(6.147)
Il primo addendo a secondo membro della (6.147) è nullo in quanto, per t diverso da zero, si annulla l'impulso mentre, per t=0, si annulla la quantità tra parentesi. In conclusione, la risposta del circuito all'impulso è data da:
t
h(t) =
1 − RC e u(t) C
(6.148)
(Nota: si osservi l'analogia con la relazione (6.144)).
3) Metodo dell'equilibrio delle funzioni singolari. L'equazione differenziale associata al circuito di fig.1 quando in ingresso è presente un impulso è la seguente:
dv C v C 1 + = δ (t) dt RC C
(6.149)
Poiché il secondo membro di tale equazione differenziale è sempre nullo per t diverso da zero, l'integrale generale della (6.149) coincide con quello dell'equazione omogenea associata, cioè:
v C (t) = ke
−
t RC u(t)
(*)
Per determinare il valore della costante k basta sostituire la (*) nella relazione (6.149) come segue:
t
−
t
t
− k − RC k − RC 1 e u(t) + ke RC δ (t) + e u(t) = δ (t) ⇔ RC RC C
ke
−
t RC
δ (t) =
1 δ (t) (**) C
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
230
Osservando ora che il primo membro della (**) ha valore non nullo solo per t uguale a zero (in quanto per t diverso da zero l'impulso si annulla), possiamo scrivere la suddetta relazione come segue:
kδ (t) =
1 1 δ (t) ⇔ k = C C 1
e quindi : v C (t) =
1 − RC t e u(t) C
Si nota che tale risultato coincide con quelli determinati nei due casi precedenti. Si con-
sideri ora il seguente circuito:
Si vuole determinare l'andamento nel tempo della corrente i(t). Analizziamo prima il circuito da un punto di vista qualitativo: per t0):
i 1 (t) = ke
−
t RC
u(t)
Il valore della costante k si ricava imponendo la condizione iniziale:
t
v R (0 + ) v C (0 + ) 1 1 − = = 2 ⇒ i 1 (t) = 2 e RC u(t) R R R C R C t − δ (t) δ (t) 1 e quindi : i(t) = − i 1 (t) = − 2 e RC u(t) (*) R R R C i 1 (0 + ) = k =
Il primo addendo a secondo membro della (*) rappresenta il contributo alla risposta i(t) a stato nullo ed ingresso diverso da zero mentre il secondo addendo rappresenta il contributo alla risposta i(t) ad ingresso nullo e stato diverso da zero (si tenga presente che quest'ultimo vale solo per t>0). Vediamo ora di ricavare lo stesso risultato per via analitica usando il metodo dell'equilibrio delle funzioni singolari. Applicando la L.K.T. al circuito di fig. 6.42 si ottiene:
1t ∫ i(τ )dτ = δ (t) (6.150) , da cui derivando si ottiene : C0 di(t) δ ' (t) 1 + i(t) = (6.151) dt CR R
Ri(t) +
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
232
Note: • •
nella relazione (6.150) si tenga presente che la tensione iniziale sul condensatore è stata supposta nulla; nella relazione (6.151) compare, a secondo membro, la derivata prima dell'impulso che, generalmente, prende il nome di doppietto.
Di seguito sono indicate le proprietà che lo definiscono: ε
δ ' (t) = 0 ∀t ≠ 0 e
∫ε δ ' (t)dt = δ (t) ∀ε > 0
−
Da quanto detto si deduce che il secondo membro dell'equazione (6.151) è sempre nullo per t diverso da zero e, quindi, l'integrale generale della (6.151) coincide con quello dell'equazione omogenea associata, cioè:
i(t) = ke
−
t RC u(t)
In realtà, la risposta appena determinata non è completa e questo lo si deduce dal fatto che sostituendo tale espressione nell'equazione (6.151) non è possibile equilibrare il doppietto che compare a secondo membro. Quando si presentano situazioni di questo genere basta semplicemente aggiungere alla risposta dell'equazione omogenea associata tanti termini di tipo impulsivo quanti sono necessari per equilibrare la derivata dell'impulso (eventualmente anche di ordine superiore al primo) che compare nell'equazione differenziale completa. Nel caso in esame, allora, la risposta i(t) sarà scritta come: i(t) = ke
−
t RC u(t) + A
δ (t)
Per ricavare il valore delle costanti k e A basta sostituire la precedente espressione nell'equazione (6.151) ottenendo:
233
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica t
−
t
t
− k − RC k − RC A 1 e u(t) + ke RC δ (t) + Aδ '(t) + e u(t) + δ (t) = δ '(t) ⇔ RC RC RC R
ke
−
t RC
δ (t) + Aδ '(t) +
A 1 δ (t) = δ '(t) (**) RC R
Osservando ora che il primo addendo nel primo membro della (**) ha valore non nullo solo per t uguale a zero (in quanto per t diverso da zero l'impulso si annulla), possiamo scrivere la suddetta relazione come segue:
A 1 δ (t) = δ '(t) , da cui si ricava : RC R 1 = 0 k = − 2 R C ⇒ 1 A = R
kδ (t) + Aδ '(t) + A k+ RC A = 1 R
In definitiva, si ottiene:
t
i(t) = −
1 − RC 1 e u(t) + δ (t) 2 R R C
(Si noti l'analogia con la relazione (*) alla pagina precedente).
Osserviamo, infine, quanto segue: l'analisi qualitativa del circuito di fig. 6.42 può essere svolta anche in modo differente da quello seguito precedentemente e cioè basandosi sul cosiddetto principio di non amplificazione della tensione e della corrente: esso afferma che:
in un circuito dinamico lineare, eventualmente anche tempo-variante, se l'alimentazione è dovuta solo a generatori indipendenti costanti o a condizioni iniziali non nulle sugli elementi conservativi, allora in nessun lato del circuito si può avere un valore di tensione o corrente superiore a quello dell'alimentazione.
Allora, tenendo presente ciò e prendendo in esame il circuito di fig. 6.42, possiamo affermare che l'impulso di tensione in ingresso non può applicarsi ai capi del condensa-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
234
tore perché, in tal caso, si avrebbe sul condensatore un doppietto di corrente che, a sua volta, si stabilirebbe ai capi del resistore originando un doppietto di tensione: questo, però, è in contrasto col suddetto principio di non amplificazione e quindi possiamo concludere che l'impulso di tensione in ingresso si applica ai capi del resistore. L'analisi qualitativa procede poi in modo analogo a quanto fatto in precedenza.
6.7
METODO
GENERALE PER LA DETERMINAZIONE DI UN IMPULSO DI TENSIONE O DI CORRENTE IN UN CIRCUITO
Dai vari esempi trattati nei paragrafi precedenti possiamo concludere che, in generale, le variabili di stato di un circuito, ossia le tensioni sui condensatori e le correnti sugli induttori, possono subire variazioni istantanee in t=0 se si verificano le seguenti due condizioni: nel circuito sono presenti generatori indipendenti con forme d'onda impulsive oppure nel circuito stesso si originano correnti impulsive (sostenute da generatori di tensione) o tensioni impulsive (sostenute da generatori di corrente). E' facile verificare che condizione necessaria affinché ciò avvenga è che si formino nel circuito, a partire dall'istante t=0+, maglie costituite solo da generatori di tensione e condensatori o insiemi di taglio costituiti solo da generatori di corrente ed induttori.
Consideriamo a titolo di esempio il seguente circuito:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
235
Se si suppone che il circuito sia in condizione di regime, possiamo facilmente ricavare le condizioni iniziali sugli elementi conservativi esaminando il circuito equivalente per
t=0- :
Esaminiamo ora il circuito di fig. 6.44 con lo scopo di stabilire se può crearsi un impulso di corrente: se ciò fosse vero ai capi di ciascun induttore si avrebbe un doppietto di tensione ma questo sarebbe in contrasto col principio di non amplificazione enunciato nel paragrafo precedente; inoltre, se circolasse un impulso di corrente, ai capi di ogni resistore avremmo un impulso di tensione e ciò sarebbe ancora in contrasto col suddetto principio. In definitiva, ai fini dell'impulso di corrente, sia gli induttori sia i resistori si comportano come circuiti aperti (naturalmente questo vale anche per i generatori indipendenti di corrente costanti) mentre rimangono inalterati solo i generatori indipendenti di tensione ed i condensatori. Però, affinché tale impulso di corrente possa scorrere nel circuito è necessario che i condensatori ed i generatori di tensione formino una maglia: questa è, quindi, condizione necessaria affinché nel circuito si formi un impulso di corrente; diventa anche condizione sufficiente se la somma algebrica delle tensioni dei generatori indipendenti e delle tensioni iniziali sui condensatori è diversa da zero. In tal caso, infatti, bisogna ammettere l'esistenza di un impulso di corrente che faccia variare istantaneamente in t=0 le tensioni iniziali sui condensatori in modo che sia sempre soddisfatta la L.K.T. applicata alla maglia (vedi pag. 136-137). Ad esempio, il circuito equivalente a quello di fig. 6.44 ai fini dell'impulso di corrente è il seguente:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
236
che possiamo così semplificare:
(Nota: i due condensatori in fig. a sono entrambi scarichi e quindi si comportano come cortocircuiti). Essendo la tensione vs diversa da zero, si avrà un impulso di corrente sostenuto da tale tensione e diretto come mostrato in fig. b), e cioè dal morsetto positivo a quello negativo, che farà depositare una stessa carica q sulle armature dei due condensatori in modo tale che:
q q + =E ⇒q = C C q E = vδ 2 = = C 2
vδ 1 + vδ 2 = E ⇔ Quindi : vδ 1
∫
0+
0_
i δ (t)dt =
CE 2
Osservando ora il circuito di fig. a) possiamo scrivere: E 2 E E = E− = 2 2
v C1 (0 + ) = v C1 (0 − ) − v δ 1 = − vδ 1 = − v C2 (0 + ) = v C2 (0 − ) − vδ 2
Sono state così ricavate le tensioni iniziali sui due condensatori nel circuito in esame. E' possibile ora svolgere un discorso duale per quanto riguarda la determinazione delle correnti iniziali sui due induttori presenti nel circuito. Esaminiamo il circuito di fig.6.44 con lo scopo di stabilire se può crearsi un impulso di tensione: se ciò fosse vero ai capi di ciascun condensatore si avrebbe un doppietto di corrente che circolerebbe anche nei resistori determinando, ai loro capi, dei doppietti di tensione; ma questo sarebbe in contrasto col principio di non amplificazione enunciato nel paragrafo precedente. In definitiva, ai fini dell'impulso di tensione, sia i condensatori sia i resistori si comportano come cortocircuiti (naturalmente questo vale anche per i generatori indipendenti di tensione costanti) mentre rimangono inalterati solo i generatori indi-
237
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
pendenti di corrente e gli induttori. Però, affinché tale impulso di tensione possa sussistere nel circuito è necessario che gli induttori ed i generatori di corrente formino un insieme di taglio, ossia convergano in un unico nodo: questa è, quindi, condizione necessaria affinché nel circuito si formi un impulso di tensione; diventa anche condizione sufficiente se la somma algebrica delle correnti dei generatori indipendenti e delle correnti iniziali sugli induttori è diversa da zero. In tal caso, infatti, bisogna ammettere l'esistenza di un impulso di tensione che faccia variare istantaneamente in t=0 le correnti iniziali sugli induttori in modo che sia sempre soddisfatta la L.K.C. applicata all'insieme di taglio. Ad esempio, il circuito equivalente a quello di fig. 6.44 ai fini dell'impulso di tensione è il seguente:
che possiamo così semplificare:
(Nota: i due induttori in fig. a sono entrambi scarichi e quindi si comportano come circuiti aperti; in fig. b essi sono stati collegati a massa in quanto la tensione ai nodi 1 e 2 è la stessa). Essendo la corrente E/R diversa da zero, si avrà un impulso di tensione sostenuto da tale corrente e diretto come mostrato in fig. b) che originerà uno stesso flusso ϕ sui due induttori in modo tale che:
E ϕ ϕ E ⇔ + = ⇒ϕ = R L L R ϕ E Quindi : i δ 1 = i δ 2 = = L 2R iδ 1 + iδ 2 =
∫
0+
0_
v δ (t)dt =
LE 2R
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
238
Osservando ora il circuito di fig. a) possiamo scrivere:
E E E − = R 2R 2R E = iδ 2 = 2R
i L1 (0 + ) = i L1 (0 − ) − i δ 1 = i L2 (0 + ) = i L2 (0 − ) + i δ 2
Sono state così ricavate le correnti iniziali sui due induttori nel circuito in esame.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
239
CAPITOLO 7
7.1
ANALISI DEI CIRCUITI COMPLESSI
240
7.2
GRAFI, ALBERI, INSIEMI DI TAGLIO E MAGLIE FONDAMENTALI
242
7.3
MATRICE DI INCIDENZA
254
7.4
TEOREMA DI TELLEGEN
256
7.5
METODO GENERALE PER LA RICERCA DELLE EQUAZIONI DI UN CIRCUITI IN TERMINI DI VARIABILI DI STATO
257
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
240
7.1
ANALISI DEI CIRCUITI COMPLESSI
Un qualsiasi circuito costituito esclusivamente da componenti lineari e da generatori indipendenti è detto circuito lineare. I metodi che ora introdurremo per l'analisi dei circuiti complessi o reti valgono sia per circuiti lineari che non lineari. Supponiamo, per il momento, di considerare circuiti costituiti da soli bipoli. E' opportuno, inoltre, precisare il significato di alcuni termini: per lato di un circuito intendiamo ogni singolo bipolo presente nel circuito. Un nodo è invece un punto che congiunge almeno due lati del circuito: in particolare, il grado di un nodo è il numero di lati che convergono nel nodo. Una maglia è un cammino chiuso di lati del circuito che gode delle seguenti proprietà: i suoi lati devono essere attraversati una sola volta e ciascun nodo incontrato lungo il cammino deve connettere esattamente due lati del cammino chiuso. Lo studio di un qualsiasi circuito comporta la determinazione di tutte le correnti e tensioni di lato: gli strumenti a disposizione sono le relazioni di lato, che sono equazioni fra loro indipendenti ed in numero pari ai lati del circuito in esame, le equazioni di equilibrio delle correnti, che si ricavano applicando la L.K.C. ai nodi del circuito o a determinate superfici gaussiane e le equazioni di equilibrio delle tensioni, che si ricavano applicando la L.K.T. alle maglie del circuito. Se il circuito in esame ha b lati occorre determinare 2b incognite che sono tutte le correnti e tensioni di lato: servono allora 2b equazioni in tali incognite linearmente indipendenti. Una metà di esse è fornita proprio dalle relazioni di lato; le altre b equazioni vanno ricercate tra quelle di equilibrio delle correnti e quelle di equilibrio delle tensioni. Osserviamo, anzitutto, che le equazioni ricavate applicando la L.K.C. e la L.K.T. non tengono conto della natura dei bipoli che costituiscono il circuito ma di come questi sono connessi tra loro ossia, in altri termini, della topologia del circuito. Di conseguenza, agli effetti dell'applicazione delle leggi di Kirchhoff posso pensare di sostituire un generico bipolo con un segmento orientato, che chiameremo semplicemente lato, compreso tra due vertici di estremità che chiameremo, ancora per semplicità, nodi:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
241
La freccia sul lato k denota il verso della corrente nel bipolo ad esso associato mentre si conviene che il nodo, nel lato k, posto dalla parte della coda della freccia corrisponde al nodo nel bipolo a tensione maggiore. Se ogni elemento a due terminali è sostituito da un segmento orientato, l'insieme di segmenti così ottenuti, connessi allo stesso modo in cui sono collegati gli elementi del circuito di partenza, costituiscono il grafo orientato o, semplicemente, il digrafo associato al circuito in esame.
In figura è dato un esempio di costruzione di un grafo orientato associato a un circuito. Si noti che i segmenti orientati sono stati numerati per stabilire la corrispondenza con gli elementi del circuito cui si riferiscono. I vertici del grafo corrispondono ai nodi del circuito con identica numerazione. La cosa interessante è che si possono applicare le leggi di Kirchhoff direttamente sulla base del grafo orientato. Applicando, infatti, la L.K.C. ai quattro nodi del grafo orientato (considerando positive le correnti uscenti) si ha: nodo 1 : i 1 + i 3 − i 6 = 0 nodo 2 : − i 1 + i 2 + i 4 = 0 nodo 3 : − i 2 + i 5 + i 6 = 0 nodo 4 : − i 3 − i 4 − i 5 = 0 E' possibile verificare immediatamente che queste quattro equazioni non sono fra loro indipendenti. La loro somma è, infatti, nulla. Analogamente, applichiamo la L.K.T. ad alcune maglie del grafo (considerando come verso di percorrenza delle maglie quello orario) e si ha: maglia 1 - 4 - 3 : v 1 + v 4 − v 3 = 0 maglia 2 - 5 - 4 : v 2 + v 5 − v 4 = 0 maglia 1 - 6 - 2 : − v 6 − v 2 − v 1 = 0 maglia 6 - 5 - 3 : v 5 − v 3 − v 6 = 0 maglia 1 - 2 - 5 - 3 : v 1 + v 2 + v 5 − v 3 = 0
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
242
Anche queste equazioni non sono tutte indipendenti come si può verificare osservando che la quarta di esse è ottenuta dalla somma delle prime tre e la quinta è combinazione delle prime due. Gli esempi considerati evidenziano la necessità di mettere a punto una procedura sistematica che consenta di conoscere quante e quali sono, tra le equazioni di equilibrio delle correnti e delle tensioni, quelle indipendenti. Risulta essere di grande aiuto a tale scopo l'introduzione di alcune nozioni relative alla teoria dei grafi orientati. Nel seguito ometteremo, per semplicità, la parola orientato e parleremo semplicemente di grafo.
7.2 GRAFI, ALBERI, INSIEMI DI TAGLIO E MAGLIE FONDAMENTALI Si definisce grafo un insieme di lati e nodi con la proprietà che ciascuna estremità di ogni lato deve terminare in un nodo. Un nodo isolato è un grafo (degenere). Dato un grafo G, si definisce sub-grafo di G ogni sottoinsieme di lati e nodi di G disposti nello stesso modo del grafo di partenza. In particolare, un sub-grafo può essere ottenuto rimuovendo dal grafo iniziale dei lati e/o dei nodi. Si tenga presente che rimuovere un lato non significa rimuovere anche i nodi terminali del lato stesso ma significa cancellare il segmento che unisce i nodi, lasciando i nodi. Per esempio, il sub-grafo di fig. b) è ottenuto rimuovendo i lati 1,2 e 6 dal grafo di fig. a) :
Un grafo si dice connesso se, comunque si scelga una coppia di nodi, esiste almeno un cammino lungo i lati del grafo che congiunga i due nodi (per convenzione un nodo isolato è un grafo connesso). Se un grafo non è connesso esso sarà costituito da almeno due parti separate. Inoltre, un grafo connesso si dirà completo se comunque si scelga un nodo questo è collegato a tutti gli altri nodi del grafo mediante un solo lato (ovviamente un grafo completo è anche connesso): un esempio di grafo completo è quello mostrato in fig. a). Si definisce albero di un grafo G connesso un sub-grafo di G che soddisfi le seguenti condizioni: •
deve essere connesso;
•
deve contenere tutti i nodi di G;
•
non deve contenere maglie.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
243
Nel caso del grafo di fig. a) esempi di alberi sono:
I lati di un albero sono detti rami mentre i lati del grafo di partenza che non fanno parte dell'albero sono detti corde e formano il coalbero (nella figura precedente le corde sono tratteggiate). Nel caso in cui il grafo di partenza sia completo in esso si possono individuare nn-2 alberi, dove n indica il numero di nodi del grafo. Sussiste il seguente:
Teorema Dato un grafo connesso con n nodi e b lati, ogni albero del grafo avrà esattamente n-1 rami e quindi ogni coalbero avrà b-n+1 corde. Definizione di insieme di taglio: dato un grafo connesso, un suo insieme di taglio è un insieme di lati del grafo stesso tali che: (a) la rimozione dal grafo iniziale di tutti i lati dell'insieme di taglio conduce ad un subgrafo costituito da esattamente due parti separate (cioè non connesso); (b) la rimozione dal grafo iniziale di tutti i lati dell'insieme di taglio tranne uno qualsiasi conduce ad un subgrafo ancora connesso.
Per individuare gli insiemi di taglio si possono utilizzare le superfici gaussiane: i lati del grafo tagliati dalla superficie una sola volta costituiscono un insieme di taglio. Se, ad esempio, consideriamo nuovamente il grafo di fig. a), quello che si ottiene rimuovendo i lati attraversati rispettivamente dalle due superfici gaussiane indicate è mostrato di seguito:
244
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Poiché in entrambi i casi sono soddisfatte le condizioni imposte nella definizione data alla pagina precedente possiamo concludere che gli insiemi di lati {6,2,5} e {6,1,4,5} formano due insiemi di taglio. Osserviamo ancora che l'insieme di lati {6,2,5,3} non rappresenta un insieme di taglio perché non è soddisfatta la condizione (b) nella definizione data: infatti rimuovendo tutti i lati dell'insieme tranne il lato 3 non si ottiene un grafo connesso. E' ovvio che i lati che incidono un nodo costituiscono un insieme di taglio. Basta considerare, infatti, la gaussiana che circonda il nodo. Si supponga, a questo punto, di scegliere un albero arbitrario in un grafo connesso assegnato: si individuino poi gli insiemi di taglio tali che ognuno di essi sia formato da corde e da un solo ramo d'albero (quest'ultimo, peraltro, deve essere caratteristico di un solo insieme di taglio, cioè non deve essere contenuto negli altri insiemi di taglio trovati): questi sono detti insiemi di taglio fondamentali relativi all'albero scelto. Ad esempio, per l'albero mostrato in figura si ha:
Evidentemente, gli insiemi di taglio fondamentali relativi ad un albero in un grafo connesso sono pari al numero di rami dell'albero, cioè n-1 (dove n è il numero di nodi). Definizione di maglia fondamentale: dato un grafo connesso e scelto un albero, una maglia fondamentale è costituita da una sola corda del coalbero e da tanti rami dell'albero quanti sono necessari per completarla.
Ad esempio, per l'albero mostrato in figura si ha:
(Nota: i numeri sottolineati individuano le corde caratteristiche della corrispondente
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
245
maglia fondamentale). Evidentemente, le maglie fondamentali relative ad un albero in un grafo connesso sono pari al numero delle corde del coalbero, cioè b-n+1 (dove b è il numero di lati ed n è il numero di nodi). Enunciamo ora i seguenti due teoremi di notevole importanza.
Teorema 1
Dato un circuito a cui sia associato un grafo connesso con n nodi e b lati, il numero delle equazioni di equilibrio delle correnti fra loro indipendenti è pari a n-1. Dim.: la tesi può essere asserita dimostrando queste due affermazioni:
1) il numero di equazioni di equilibrio delle correnti linearmente indipendenti è al massimo n-1; 2) il numero di equazioni di equilibrio delle correnti linearmente indipendenti è al minimo n-1. Consideriamo, ad es., il seguente grafo connesso (il discorso ha comunque validità generale):
Applico la L.K.C. a ciascun nodo del grafo ottenendo così n equazioni (nel caso particolare n=4) di equilibrio che esprimono dei vincoli tra le correnti di lato. E' facile però verificare che tali n equazioni sono fra loro dipendenti: basta, infatti, sommarle membro a membro per ottenere un'identità del tipo: 0=0. Ciò si può dedurre dal fatto che, considerando una generica coppia di nodi del grafo, come quella mostrata in fig. b alla pagina precedente, la corrente di lato ik risulta essere uscente dal nodo i ed entrante nel nodo j: di conseguenza, nelle due equazioni di Kirchhoff delle correnti, una relativa al nodo i e l'altra relativa al nodo j, tale corrente di lato comparirà con segni opposti e quindi si annullerà quando le due equazioni verranno sommate; considerazioni analoghe valgono per tutte le correnti di lato e ciò conferma quanto appena detto. Tuttavia, in generale, è possibile scrivere equazioni di equilibrio per le correnti considerando delle superfici gaussiane che attraversano il grafo in esame: anche in questo caso, però, le equazioni che si ottengono risultano essere fra loro dipendenti per il fatto che una qualsiasi equazione di equilibrio per le correnti ricavata facendo riferimento ad una superficie gaussiana si può sempre ottenere come somma delle equazioni derivanti dall'applicazione della L.K.C. ai nodi racchiusi nella gaussiana in esame.
246
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Ad esempio, per il grafo di fig. a alla pagina precedente, possiamo applicare la L.K.C. alla superficie gaussiana tracciata e ai nodi 2 e 3 ottenendo: Σ : i1 − i4 − i5 − i6 = 0 (2 ) : i 1 − i 2 − i 4 = 0 (3 ) : i 2 − i 5 − i 6 = 0
( Nota : si sono scelte positive le correnti entranti ) Si osserva allora che la prima delle equazioni precedenti è ottenibile dalla somma delle ultime due in accordo con quanto appena detto. Da tutto ciò si può concludere che il numero di equazioni di equilibrio per le correnti fra loro indipendenti è al massimo n-1 (perché n di queste equazioni sono sicuramente fra loro dipendenti). La prima affermazione è così dimostrata; per dimostrare la seconda, basta osservare che, scelto un qualsiasi albero nel grafo in esame, ed individuato in esso gli insiemi di taglio fondamentali (che sono in numero pari a n-1) mediante opportune superfici gaussiane, le equazioni di equilibrio per le correnti che si ottengono applicando la L.K.C. a tali superfici sono sicuramente fra loro indipendenti (infatti, ricordando la definizione di insieme di taglio fondamentale, in ciascuna di tali equazioni di equilibrio comparirà una corrente di lato, corrispondente al ramo d'albero che individua l'insieme di taglio fondamentale in esame, che non è presente nelle altre equazioni: quindi, sommando tali equazioni di equilibrio, non si annullano tutte le correnti, come invece accadeva nel caso precedente). Poiché le equazioni di equilibrio per le correnti che si possono scrivere facendo riferimento agli insiemi di taglio fondamentali sono proprio n-1, possiamo concludere che le equazioni di equilibrio per le correnti fra loro indipendenti sono al minimo n-1. La seconda affermazione è così dimostrata e quindi la tesi è vera. Il teorema appena dimostrato non solo ci indica il numero di equazioni di equilibrio per le correnti fra loro indipendenti che si possono scrivere in un qualsiasi circuito ma ci dà anche informazioni su come ottenerle e cioè applicando la L.K.C. alle superfici gaussiane che individuano gli insiemi di taglio fondamentali relativi ad un certo albero nel grafo orientato associato al circuito in esame.
Teorema 2
Dato un circuito a cui sia associato un grafo connesso con n nodi e b lati, il numero delle equazioni di equilibrio delle tensioni fra loro indipendenti è pari a b-n+1. Dim.: la tesi può essere asserita dimostrando queste due affermazioni: 1) il numero di equazioni di equilibrio delle tensioni linearmente indipendenti è al massimo bn+1; 2) il numero di equazioni di equilibrio delle tensioni linearmente indipendenti è al minimo bn+1.
Diamo per vera la prima affermazione e verifichiamo che è vera anche la seconda affermazione. Ciò si deduce osservando che, scelto un qualsiasi albero nel grafo in esame, ed individuato in esso le maglie fondamentali (che sono in numero pari a b-n+1), le equazioni di equilibrio per le tensioni che si ottengono applicando la L.K.T. a tali maglie sono sicuramente fra loro indipendenti (infatti, ricordando la definizione di maglia
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
247
fondamentale, in ciascuna di tali equazioni di equilibrio comparirà una tensione di lato, corrispondente alla corda del coalbero che individua la maglia fondamentale in esame, che non è presente nelle altre equazioni: quindi, sommando tali equazioni di equilibrio, non si annullano tutte le tensioni di lato il che conferma che queste equazioni sono linearmente indipendenti). Poiché le equazioni di equilibrio per le tensioni che si possono scrivere facendo riferimento alle maglie fondamentali sono proprio b-n+1, possiamo concludere che le equazioni di equilibrio per le tensioni fra loro indipendenti sono al minimo b-n+1. La seconda affermazione è così dimostrata e quindi la tesi è vera. Il teorema appena dimostrato non solo ci indica il numero di equazioni di equilibrio per le tensioni fra loro indipendenti che si possono scrivere in un qualsiasi circuito ma ci dà anche informazioni su come ottenerle e cioè applicando la L.K.T. alle maglie fondamentali relative ad un certo albero nel grafo orientato associato al circuito in esame. In conclusione, dato un qualsiasi circuito con n nodi e b lati e nell'ipotesi che il grafo orientato ad esso associato sia connesso abbiamo visto che per risolverlo occorre determinare 2b incognite che sono tutte le correnti e tensioni di lato: si è detto anche che per far ciò è necessario scrivere un sistema di 2b equazioni linearmente indipendenti. Ora sappiamo che, una volta scelto un qualsiasi albero nel grafo associato al circuito (si noti che tale scelta conviene che sia identica sia per l'applicazione della L.K.C. sia per l'applicazione della L.K.T.) le suddette equazioni fra loro indipendenti sono date da: •
b equazioni di lato;
•
n-1 equazioni di equilibrio per le correnti (ricavate facendo riferimento agli insiemi di taglio fondamentali);
•
b-n+1 equazioni di equilibrio per le tensioni (ricavate facendo riferimento alle maglie fondamentali).
Vediamo ora alcuni esempi. Si consideri il circuito resistivo lineare mostrato in figura:
Tracciamo ora il grafo orientato associato al circuito e, scelto un albero, ne individuiamo gli insiemi di taglio fondamentali e le maglie fondamentali come mostrato in figura:
248
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Applichiamo la L.K.C. alle superfici gaussiane che individuano i tre insiemi di taglio fondamentali relativi all'albero scelto (scegliamo positive le correnti uscenti): Σ1 : i 1 − i 2 − i 6 = 0 Σ2 : i 2 + i 4 − i 5 = 0 Σ3 : − i1 − i 3 + i 5 = 0
Applichiamo ora la L.K.T. alle tre maglie fondamentali relative all'albero scelto (seguendo i versi di percorrenza indicati): 1 − 3 − 6 : v1 − v3 + v6 = 0 2 − 4 − 6 : v2 − v6 − v 4 = 0 5 − 4 − 3 : v3 + v4 + v5 = 0 Mettendo insieme le sei equazioni di lato e le sei equazioni appena ottenute applicando la L.K.C. e la L.K.T. si ottiene un sistema di dodici equazioni in dodici incognite che risolto fornisce tutte le tensioni e correnti di lato: in questo caso il sistema è sicuramente determinato, cioè ammette un'unica soluzione, in accordo con quanto detto nel paragrafo 4.1. Consideriamo ora un circuito resistivo non lineare:
(Nota: k e x sono costanti assegnate). Tracciamo ora il grafo orientato associato al circuito e, scelto un albero, ne individuiamo gli insiemi di taglio fondamentali e le maglie fondamentali come mostrato in figura:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
249
Applichiamo la L.K.C. alle superfici gaussiane che individuano i due insiemi di taglio fondamentali relativi all'albero scelto (scegliamo positive le correnti uscenti): Σ1 : i 1 + i 3 = 0 Σ2 : − i1 + i 2 + i 4 = 0
Applichiamo ora la L.K.T. alle due maglie fondamentali relative all'albero scelto (seguendo i versi di percorrenza indicati): 1 − 2 − 3 : − v1 − v2 + v 3 = 0 4 − 2 : v2 − v 4 = 0 Mettendo insieme le quattro equazioni di lato e le quattro equazioni appena ottenute applicando la L.K.C. e la L.K.T. si ottiene un sistema di otto equazioni in otto incognite che risolto fornisce tutte le tensioni e correnti di lato: si tenga presente, comunque, che in generale non è detto che esista la soluzione. Nel caso appena trattato, il sistema di equazioni che si ottiene è non lineare a causa della presenza della funzione esponenziale e può essere risolto utilizzando il metodo di Newton-Raphson. Può essere risolto anche con il metodo della caratteristica di carico. Consideriamo ora un esempio di circuito dinamico:
Supponiamo siano note le condizioni iniziali; valgono le seguenti relazioni di lato:
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250
v1 = L1
di 1 dt
v4 = R 4i 4 v7 = R7 i 7
v2 = L2
di 2 dt
v5 = E5
v3 = L3 v6 =
1 C6
di 3 dt
t
∫ i (τ )dτ 6
−∞
v8 = R8i 8
Scegliamo ora un albero nel grafo orientato associato al circuito:
Applichiamo ora la L.K.C. alle superfici gaussiane che individuano i cinque insiemi di taglio fondamentali relativi all'albero scelto: Σ1 : i 3 − i 5 − i 7 = 0 Σ2 : − i 4 + i 5 + i 8 = 0 Σ3 : i 1 − i 7 = 0 Σ4 : − i6 + i7 − i8 = 0 Σ5 : − i 2 + i 8 = 0 Applichiamo poi la L.K.T. alle tre maglie fondamentali indicate: 7 − 1 − 3 − 6 : v1 + v 3 + v6 + v7 = 0 8 − 2 − 4 − 6 : v2 + v 4 − v6 + v8 = 0 5 − 3 − 4 : v3 + v4 + v5 = 0 Mettendo insieme le otto equazioni appena ricavate con le otto relazioni di lato si ottiene un sistema di tipo integro-differenziale con sedici equazioni in sedici incognite (cioè tutte le correnti e tensioni di lato) che può essere risolto con opportuni metodi numerici tra cui quello di Eulero. La rappresentazione tramite grafi orientati che abbiamo sinora visto per circuiti con elementi a due terminali può essere facilmente estesa anche al caso in cui siano presenti nel circuito elementi multiterminali. Come è stato già messo in evidenza in precedenza, in un elemento a tre terminali è possibile, una volta fissato un nodo di riferimento, individuare una coppia di tensioni ed una coppia di correnti fra loro indipendenti. Di conseguenza, il grafo orientato associato ad un elemento a tre terminali sarà sempre costituito da due lati e tre nodi, come mostrato in figura, con frec-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
251
ce entranti nel nodo comune: (Nota: il nodo 3 è stato scelto come riferimento). In tal modo potremo continuare a parlare di tensioni e correnti di lato anche con elementi a tre terminali. Ovviamente, per un elemento a tre terminali esistono contemporaneamente tre possibili grafi orientati associati a seconda del nodo di riferimento scelto. La generalizzazione di quanto detto ad un elemento ad n terminali è banale; infatti, il grafo orientato associato a tale elemento avrà n-1 lati ed n nodi come mostrato in figura (si è scelto il nodo n come riferimento), con frecce entranti nel nodo comune:
Per quanto riguarda, invece, la rappresentazione mediante grafo orientato di un doppio bipolo basta semplicemente generalizzare quella di un solo bipolo, come mostrato
in figura: Si osserva allora che il grafo associato ad un doppio bipolo è costituito da quattro nodi e due lati ed è diverso dal grafo associato ad un generico elemento a quattro terminali che, invece, avrà, per quanto detto prima, quattro nodi e tre lati (in quanto ci sono tre tensioni e tre correnti di lato, mentre nel doppio bipolo avremo due tensioni e due correnti di lato corrispondenti alle tensioni e correnti di porta). Si può estendere il concetto di biporta a quello di multiporta; per esempio, il grafo orientato associato ad un triplo biporta è mostrato di seguito:
252
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Osserviamo ora quanto segue: il grafo orientato associato ad un doppio bipolo consta di due lati non connessi. Ciò comporta che le tensioni e le correnti di porta sulle varie coppie di terminali non sono correlate tra loro per motivi di connessione (cioè topologici) ma sono accoppiate a causa dei fenomeni fisici interni all'elemento. Di conseguenza, circuiti che contengono doppi bipoli o, in generale, multiporta, possono avere grafi orientati associati non connessi. Per evitare tale problema è possibile collegare le due parti separate del grafo tramite un lato: in tal modo non si altera nessuna tensione o corrente di lato nel circuito originale. Ciò si può verificare semplicemente applicando la L.K.C. ad una superficie gaussiana che avvolga una delle due parti separate nel gra-
fo in esame e che tagli il lato k di giunzione, come mostrato in figura: Ovviamente, la corrente ik risulta essere uguale a zero: ma allora il lato k si comporta come un circuito aperto il che implica che il comportamento del resto del circuito non viene alterato. Ma si può fare di più: poiché le tensioni sono misurate tra nodi, una volta scelto un nodo di riferimento per ciascuna parte separata del grafo in esame, è possibile saldare insieme tali nodi (che saranno entrambi caratterizzati da una tensione nodale nulla) ottenendo un riferimento comune. Il grafo così ottenuto è detto grafo articolato. In definitiva, possiamo affermare che dato un qualsiasi circuito, il grafo ad esso associato può essere ritenuto, agli effetti dell'applicazione delle leggi di Kirchhoff, sempre connesso. In questo modo, la trattazione fatta per i circuiti con elementi bipolari rimane ancora valida. Si noti che se si considera l'insieme di lati tagliato dalla gaussiana che circonda il nodo di articolazione, questo insieme non costituisce un insieme di taglio.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
253
Ad esempio, nel caso della figura precedente si ottiene il seguente grafo articolato scegliendo i nodi 3 e 5 come nodi di riferimento per ciascuna parte separata:
A titolo d'esempio, consideriamo il seguente circuito contenente un resistore a tre terminali di cui è nota la caratteristica espressa mediante il controllo in corrente:
Le altre relazioni di lato sono: v3 = R 3i 3 v4 = R 4i 4
v 5 = E v6 = R6i 6
Per quanto detto nelle pagine precedenti, il grafo orientato associato al circuito è il seguente:
Possiamo allora scrivere le altre equazioni che insieme alle relazioni di lato consentono di determinare tutte le correnti e tensioni di lato:
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254
Σ1 : i 3 + i 5 = 0 Σ2 : i1 − i 3 = 0 Σ3 : i 2 + i 4 − i 6 = 0 3 − 1 − 5 : - v1 − v 3 + v5 = 0 4 − 2 : v2 − v 4 = 0 6 − 2 : v2 + v6 = 0 (Nota: per la L.K.T. il verso di percorrenza delle maglie fondamentali è quello antiorario).
7.3
MATRICE DI INCIDENZA
Si supponga che ad un certo circuito sia associato il seguente grafo orientato connesso:
Applichiamo ora la L.K.C. a ciascuno dei quattro nodi con l'ipotesi di considerare positive le correnti uscenti da un nodo: nodo 1 : i 1 + i 2 − i 6 = 0 nodo 2 : - i 1 − i 3 + i 4 = 0 nodo 3 : - i 2 + i 3 + i 5 = 0 nodo 4 : - i 4 − i 5 + i 6 = 0 Queste equazioni possono essere poste in forma matriciale come segue:
i1 1 0 0 0 − 1 i 2 1 − 1 0 − 1 1 0 0 i 3 ⋅ = 0 ⇔ Aa ⋅ i = 0 0 1 0 i 4 0 −1 1 0 0 0 − 1 − 1 1 i 5 i6
(7.1)
La matrice Aa è detta matrice di incidenza e fornisce un'informazione globale sulla topologia del circuito; il vettore i è il vettore delle correnti. Si osserva che la matrice di incidenza ha un numero di righe pari al numero di nodi nel circuito in esame ed un numero di colonne pari al numero di lati nel circuito; si tenga, inoltre, presente che essa è
255
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
stata scritta con l'ipotesi di considerare positive le correnti uscenti da ogni nodo. Se il grafo è connesso, si può facilmente ricavare la matrice d'incidenza ispezionando il grafo in esame, senza cioè dover scrivere le equazioni di equilibrio delle correnti applicando la L.K.C. ad ogni nodo del circuito. Infatti, il generico elemento aik della matrice di incidenza è così definito:
1 , se il lato k esce dal nodo i. a ik = − 1 , se il lato k entra nel nodo i. 0 , se il lato k non tocca il nodo i. La precedente regola vale nell'ipotesi di considerare positive le correnti uscenti. Da quanto è stato detto nei paragrafi precedenti, le righe della matrice di incidenza (che sono pari ad n, cioè al numero di nodi) sono fra loro linearmente dipendenti, perché è stato dimostrato che il numero di equazioni di equilibrio per le correnti fra loro indipendenti è pari a n-1 (nell'ipotesi in cui il grafo associato al circuito sia connesso). D'altra parte è possibile anche verificare che, eliminando una qualsiasi riga nella matrice di incidenza, le righe rimanenti saranno fra loro linearmente indipendenti, cioè la matrice che si ottiene avrà rango massimo. Allora se nel circuito in esame si sceglie un nodo qualunque come riferimento (cioè si attribuisce ad esso una tensione nodale nulla) la matrice che si ottiene eliminando dalla matrice di incidenza la riga corrispondente al nodo scelto prende il nome di matrice di incidenza ridotta associata al nodo scelto come riferimento e la si indica semplicemente con A (si ricorda che le righe di tale matrice sono linearmente indipendenti). Ad esempio, nel caso del grafo di fig. 7.3, scegliendo come riferimento il nodo 4, si ha la seguente matrice di incidenza ridotta:
i 1 i 2 1 1 0 0 0 1 − i − 1 0 − 1 1 0 0 ⋅ 3 = 0 ⇔ A ⋅ i = 0 i 0 − 1 1 0 1 0 4 i 5 i 6
(7.2)
Inoltre, avendo scelto il nodo 4 come riferimento, possiamo esprimere le tensioni di lato in funzione delle tre tensioni nodali come segue (si faccia sempre riferimento al grafo di fig. 7.3 alla pagina precedente):
v 1 = e 1 − e 2 v1 1 − 1 0 v = e − e v 1 0 − 1 1 3 2 2 e v 3 = e 3 − e 2 v 3 0 − 1 1 1 ⇔ = ⋅ e ⇔ v = M ⋅ e (7.3) 1 0 2 v 4 = e 2 v 4 0 e v 5 = e 3 v 5 0 0 1 3 0 v 6 = − e 1 v 6 − 1 0 (Nota: il vettore v è il vettore delle tensioni di lato mentre il vettore e è il vettore delle tensioni nodali). Confrontando la matrice A con la matrice M si osserva che:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
256
M = A T , e quindi la (7.3) diventa : v − A T e = 0 (7.4) (Ovviamente anche la matrice M, essendo la matrice trasposta di A, sarà di rango massimo). In definitiva, assegnato un qualsiasi circuito il cui grafo orientato sia connesso e scelto in tale circuito un nodo di riferimento, ricavando la matrice di incidenza ridotta corrispondente posso facilmente scrivere, in forma matriciale, tutte le equazioni di equilibrio per le correnti e le tensioni fra loro indipendenti come segue: (*) A ⋅ i = 0 T (**) v − A e = 0
7.4
TEOREMA DI TELLEGEN
Si consideri un circuito arbitrario a cui sia associato un grafo orientato connesso con b lati ed n nodi. Si indichi poi con:
(
i = i 1 , i 2 ,..., i b
)T
un qualsiasi insieme di correnti di lato che soddisfino tutti i vincoli imposti dalla L.K.C. per G e con: v = (v 1 , v 2 ,...., v b )T
un qualsiasi insieme di tensioni di lato che soddisfino tutti i vincoli imposti dalla L.K.T. per G. b
Allora risulta che:
∑v
kik
= 0 ⇔ vT ⋅ i = 0
(7.5)
k =1
Dim.: si fissi nel circuito in esame un nodo qualsiasi come riferimento e si costruisca la matrice di incidenza ridotta A corrispondente. Poiché, per ipotesi, si è supposto che il vettore i e il vettore v sopra indicati soddisfino entrambi i vincoli imposti dalla L.K.C. e dalla L.K.T. rispettivamente, possiamo scrivere (per quanto detto nel paragrafo precedente):
A ⋅ i = 0 T v = A e Sfruttando queste relazioni si ottiene:
(
vT ⋅ i = ATe
)
T
⋅ i = e T ⋅ (A ⋅ i) = 0
(C.V.D.)
257
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Osservazioni:
•
si supponga che i' e i'', v' e v'' siano vettori, rispettivamente, di correnti e tensioni valutati in istanti di tempo differenti che soddisfino le ipotesi del teorema di Tellegen con riferimento ad uno stesso grafo. Poiché il suddetto teorema non impone alcuna condizione sull'istante di tempo in cui si valutano i due vettori di tensione e corrente, possiamo scrivere: v' T ⋅i' = 0 v' T ⋅i' ' = 0 v'' T ⋅i' = 0
•
v'' T ⋅i'' = 0
si fissi un certo istante t e si misurino tutte le tensioni di lato vk(t) e le correnti di lato ik(t), con K=1,2,...,b. Ovviamente, i vettori v(t) e i(t) soddisfano rispettivamente la L.K.T. e la L.K.C. e quindi per il teorema di Tellegen si ha: b
∑v
k (t)i k (t) =
0
⇔
v(t) T ⋅ i(t) = 0
(*)
k =1
Ora, poiché si impiegano le direzioni di riferimento associate relative alla convenzione degli utilizzatori, il prodotto vk(t)*ik(t) rappresenta la potenza fornita al lato k dal resto del circuito nell'istante t considerato; in altri termini, tale prodotto rappresenta la 'rapidità' con cui l'energia viene ceduta al lato k, nell'istante t, dal resto del circuito. Allora la relazione (*) indica che la somma delle potenze fornite ai singoli lati del circuito nell'istante t è nulla. Supponiamo, infine, che il circuito abbia α generatori indipendenti e supponiamo di numerare i lati a partire dai generatori indipendenti. Si porti, ora, nella (*) a primo membro gli addendi che si riferiscono ai generatori: α
−
∑ k =1
b
v sk (t) i sk (t) =
∑v
k (t) i k (t)
(**)
k =α + 1
Possiamo allora affermare che la somma delle potenze fornite dai generatori indipendenti é uguale alla somma delle potenze entranti in tutti gli altri lati della rete. Questo vale per ogni t. Poiché la (*) e la (**) sono vere per qualsiasi istante t, possiamo concludere che la suddetta relazione esprime la conservazione dell'energia per circuiti concentrati (essa è quindi, in ultima analisi, una conseguenza delle leggi di Kirchhoff).
7.5
METODO GENERALE PER LA RICERCA DELLE EQUAZIONI DI UN CIRCUITI IN TERMINI DI VARIABILI DI STATO
Il metodo che ora esamineremo è valido per qualsiasi circuito ma lo applicheremo, in particolare, a circuiti lineari tempo-invarianti. Consideriamo, a titolo d'esempio, il seguente circuito:
258
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
In generale, i passi da seguire per una facile ricerca delle equazioni in termini di variabili di stato sono i seguenti: 1. tracciare il grafo orientato associato al circuito in esame; 2. individuare un albero i cui rami corrispondano ai lati nel circuito contenenti i condensatori; se ci sono altri rami questi devono corrispondere ai lati del circuito che contengono, nell'ordine, generatori indipendenti o dipendenti di tensione e resistori, non devono, comunque, essere presi come rami dell'albero i lati del circuito contenenti induttori o generatori indipendenti o dipendenti di corrente. Un albero siffatto è detto albero proprio; 3. scelta delle variabili di stato; 4. applicazione della L.K.C. alle superfici gaussiane che individuano gli insiemi di taglio fondamentali i cui rami caratteristici corrispondono ai lati nel circuito contenenti i condensatori 5. applicazione della L.K.T. a quelle maglie fondamentali identificate da corde contenenti induttori per il completamento della scrittura delle equazioni di stato.
Vediamo di applicare questi passi nel caso del circuito precedente; il grafo orientato ad esso associato è il seguente:
A fianco è indicato l'albero proprio. Le variabili di stato da determinare sono le tensioni
259
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
sui due condensatori e la corrente sull'induttore, cioè: v1(t),v2(t) e i3(t). Applico ora la L.K.C. alle due superfici gaussiane indicate in figura, come previsto dal passo 4): Σ1 : i 3 + i 2 + i 6 = 0
(7.6)
Σ2 : i1 + i 3 + i 4 = 0
(7.7)
Il nostro scopo è quello di scrivere un sistema di tre equazioni differenziali del primo ordine in cui le incognite siano proprio le variabili di stato scelte. Posso allora scrivere la (7.6) come segue: i 3 + C2
dv 2 + i s6 = 0 ⇔ dt
i i dv 2 = − 3 − s6 dt C2 C2
(*)
Abbiamo così ottenuto una delle tre equazioni differenziali che stiamo cercando. Per ottenere la seconda scriviamo la (7.7) come segue: C1
dv 1 dv 1 + i3 + i4 = 0 ⇔ C1 = −i 3 − i 4 dt dt
(7.8)
Per ricavare la corrente i4 applico la L.K.T. alla maglia fondamentale basata sulla corda 4 che contiene il resistore (il verso di percorrenza è quello antiorario): 4 −1− 5:
v 4 + v 5 − v 1 = 0 ⇔ R 4 i 4 + v s5 − v 1 = 0 ⇔ i 4 =
v 1 v s5 − (7.9) R4 R4
Quindi la (7.8) diventa: C1
v dv 1 v dv 1 i v 1 = − i 3 − 1 − s5 ⇔ =− v 1 − 3 + s5 dt R R dt C R C C 4 1 4 1 1R 4 4
(**)
La terza equazione differenziale la ricavo applicando la L.K.T. alla maglia fondamentale basata sulla corda 3 che contiene l'induttore (verso antiorario): 3 − 2 − 5 − 1 : v 3 − v 2 + v 5 − v1 = 0 ⇔ L 3 di 3 v 1 v 2 v s5 = + − dt L 3 L 3 L 3
di 3 − v 2 + v s5 − v 1 = 0 dt
(* * *)
Il sistema di tre equazioni differenziali del primo ordine avente come incognite le variabili di stato scelte è allora il seguente:
dv 1 i v v = − 1 − 3 + s5 dt R C C R 4 1 1 4C1 dv 2 i i = − 3 − s6 C2 C2 dt di 3 v 1 v 2 v s5 = + − dt L 3 L 3 L 3 che può essere posto in forma matriciale come segue:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
260
dv 1 − dt dv 2= dt di 3 dt
1 R 4 C1
0
0
0
1 L3
1 L3
1 1 C 1 v 1 R 4 C 1 1 − ⋅ v2 + 0 C2 i 3 1 0 − L 3 −
0 1 v s5 − ⋅ C 2 i s6 0
A tale sistema vanno poi aggiunte le condizioni iniziali sui due condensatori e sull'induttore che abbiamo supposto essere note. E' possibile dimostrare che condizione necessaria e sufficiente affinché esista un albero proprio è che non ci siano maglie di soli condensatori o insiemi di taglio di soli induttori.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
261
CAPITOLO 8
8.1
METODO DELLO SPARSE TABLEAU
262
8.2
TEOREMA DI SOVRAPPOSIZIONE PER CIRCUITI LINEARI RESISTIVI
266
8.3
IL TEOREMA DI THEVENIN
271
8.4
IL TEOREMA DI NORTON
274
8.5
ULTERIORI OSSERVAZIONI SUI TEOREMI DI THEVENIN E NORTON
277
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
262
8.1
METODO DELLO SPARSE TABLEAU
Si tratta di un metodo generale per la risoluzione di un qualsiasi tipo di circuito. Ecco i passi da seguire per l'applicazione di tale metodo: 1. scelta nel circuito assegnato del nodo di riferimento (datum node); 2. tracciamento del grafo orientato associato al circuito; 3. scrittura in forma matriciale delle equazioni di equilibrio delle correnti e delle tensioni mediante la matrice di incidenza ridotta relativa al nodo di riferimento scelto; 4. scrittura in forma matriciale delle relazioni di lato. Una volta svolti tali passi si perviene ad un'equazione in forma matriciale, detta equazione di tableau, che risolta mediante opportuni metodi matematici consente di ricavare tutte le correnti di lato, le tensioni di lato e le tensioni nodali. Vediamo subito un esempio considerando un circuito resistivo lineare e tempo-invariante:
263
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Il nodo scelto come riferimento è il nodo 4; il grafo orientato associato al circuito è mostrato di seguito:
Scriviamo la matrice di incidenza ridotta relativa al nodo scelto come riferimento: 1 0 1 A = 0 − 1 1 0 0 0 equilibrio per le A ⋅i = 0
0 1 −1
0 0 da cui si ottengono − 1
le due equazioni
di
correnti e le tensioni in forma matriciale :
(*) con i = [i 1 , i 2 , i 3 , i 4 , i 5 ]T
v − A T e = 0 (**) con v = [v 1 , v 2 , v 3 , v 4 , v 5 ]T e e = [e 1 , e 2 , e 3 ]T Scriviamo ora le relazioni di lato come segue: v1 = vs1 v2 – R2 i2 = 0 v3 – R3 i3 = 0 v4 – R4 i4 = 0 i 5 – g5 v2 = 0
Nello scrivere tali relazioni si adottano le seguenti convenzioni: •
nelle equazioni relative ai generatori indipendenti le forme d'onda devono essere lasciate a secondo membro, preferibilmente con il segno +;
•
tutte le altre equazioni di lato devono essere poste in forma omogenea e nel caso di circuiti dinamici si deve evitare di far comparire degli integrali o delle frazioni(e' preferibile).
Le relazioni di lato sopra scritte possono allora essere poste in forma matriciale come segue:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
264
0 1 0 1 0 0 0 0 0 − g 5
0 0 0 v 1 0 0 0 0 0 v2 0 − R2 1 0 0 ⋅ v 3 + 0 0 0 1 0 v 4 0 0 0 0 0 v 5 0 0
0 0
0 0
− R3 0
0 − R4
0
0
0 i 1 v s1 0 i 2 0 0 ⋅ i 3 = 0 0 i 4 0 1 i 5 0
o, in forma più compatta, nel seguente modo: M ⋅ v(t) + N ⋅ i(t) = u s (t)
(* * *)
Si osservi che nel caso appena esaminato il vettore degli ingressi è stato indicato con us(t). Per quanto riguarda le matrici M e N esse non dipendono dal tempo solo nel caso di circuiti tempo-invarianti, mentre per circuiti tempo-varianti la relazione (***) deve essere scritta più esattamente come segue: M(t) ⋅ v(t) + N(t) ⋅ i(t) = u s (t)
(* * **)
In definitiva, abbiamo ottenuto le seguenti tre equazioni in forma matriciale:
A ⋅ i = 0 0 A e(t) 0 0 T T ⇔ − A I 0 ⋅ v(t) = 0 ⇔ v − A ⋅ e = 0 M ⋅ v + N ⋅ i = u 0 M N i(t) u s s T ⋅ W(t) = u(t) (8.1) : equazione di tableau. T è detta matrice di tableau ed è una matrice quadrata di ordine pari a [(n-1)+2b]. Nel caso di circuiti tempo-varianti l'equazione (8.1) diventa: T(t)W(t) = u(t)
(8.2)
L'equazione di tableau, risolta mediante opportuni metodi matematici, consente di ottenere tutte le correnti e tensioni di lato ed anche le tensioni nodali nel circuito in esame. Consegue banalmente da quanto detto il seguente teorema noto come: Teorema di esistenza ed unicità per circuiti resistivi lineari tempo-invarianti.
Un circuito resistivo lineare tempo-invariante ammette un'unica soluzione se, e solo se:
det[T]≠0 cioè la matrice di tableau è non singolare (e quindi invertibile).
Teorema di esistenza ed unicità per circuiti resistivi lineari tempo-varianti.
Un circuito resistivo lineare tempo-variante ammette un'unica soluzione in ogni istante se, e solo se:
det[T(t 0 )] ≠ 0
per ogni t0
265
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
cioè la matrice di tableau è non singolare (invertibile) ∀ t0.
Vediamo ora l'applicazione del metodo di tableau per un circuito dinamico quale quello mostrato in figura insieme al grafo orientato ad esso associato:
Il nodo scelto come riferimento è il nodo 4; la matrice di incidenza ridotta relativa a tale nodo è la seguente:
− 1 1 0 0 0 A = 0 − 1 1 1 0 da cui si ottengono le due equazioni di 0 0 0 − 1 1 equilibrio per le correnti e le tensioni in forma matriciale : (*) con i = [i 1 , i 2 , i 3 , i 4 , i 5 ]T
A⋅i = 0
v − A T e = 0 (**) con v = [v 1 , v 2 , v 3 , v 4 , v 5 ]T e e = [e 1 , e 2 , e 3 ]T Le relazioni di lato sono: -v1 = vs1 v2 -L *Di2 = 0 v3 -R i3 = 0 i4 - C *Dv4 = 0 i5 + α5 i2 = 0
(con D si é indicato l'operatore di derivazione rispetto al tempo). Pongo ora in forma matriciale le precedenti relazioni di lato (il punto sopra la variabile indica la derivazione rispetto al tempo):
0 0 0 0 0
0 0 0 0
0 0 0 0 0 0 0 −C
0 0
0
0 v 1 − 1 0 v 2 0 0 ⋅ v 3 + 0 0 v 4 0 0 v 5 0
0 v1 0 v 2 0 ⋅ v 3 + 0 v 4 0 0 0 0 v 5
0 1 0 0
0 0 1 0
0 0 0 0
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
266
0 0 0 − L + 0 0 0 0 0 0
0 0 0 i 1 0 0 0 0 0 i 2 0 0 0 0 0 ⋅ i 3 + 0 0 0 0 0 i 4 0 0 0 0 0 i 5 0 α 5
0 0
0 0 i 1 v s1 0 0 i 2 0 − R 0 0 ⋅ i 3 = 0 0 1 0 i 4 0 0 0 1 i 5 0
In forma compatta posso scrivere:
(M 0 D + M 1 )v + (N 0 D + N 1 )i = u s
(* * *)
In definitiva, abbiamo ottenuto le seguenti tre equazioni in forma matriciale alle quali, ovviamente, vanno aggiunte le condizioni iniziali, che abbiamo supposto note, e cioè le tensioni iniziali dei condensatori e la corrente iniziale dell'induttore:
A ⋅ i = 0 T v − A ⋅ e = 0 (M D + M ) ⋅ v + (N D + N ) ⋅ i = u 1 0 1 s 0 0 ⇔ − A T 0
0 I M 0D + M 1
⇔
e(t) 0 ⋅ v(t) = 0 ⇔ T ⋅ W(t) = u(t) 0 N 0 D + N 1 i(t) u s A
NOTA : nei paragrafi seguenti saranno enunciati e dimostrati alcuni teoremi generali sui circuiti resistivi lineari ( si ricordi che un circuito lineare resistivo può contenere, oltre a resistori lineari a due terminali e generatori indipendenti di tensione o corrente, qualsiasi resistore lineare multiterminale o multiporta come, ad esempio, trasformatori ideali, giratori e tutti i quattro tipi di generatori pilotati lineari). Tali teoremi risultano validi se, e solo se, come vedremo, il circuito in esame è univocamente risolubile o, in altri termini, se, e solo se, la matrice di tableau T associata al circuito è non singolare (cioè il suo determinante deve essere non nullo). Sebbene enunciati, per semplicità, solo per circuiti tempo-invarianti essi rimangono validi anche per circuiti tempo-varianti, supponendo semplicemente che tutti i parametri varino nel tempo.
8.2
TEOREMA DI SOVRAPPOSIZIONE PER CIRCUITI LINEARI RESISTIVI
Sia assegnato un circuito resistivo lineare tempo-invariante arbitrario che sia univocamente risolubile, cioè deve ammettere un'unica soluzione (ciò è vero se la matrice di tableau associata a tale circuito è non singolare) e che contenga α generatori indipendenti di tensione e β generatori indipendenti di corrente le cui forme d'onda siano date da: v s1 (t), v s2 (t),....., v sα (t) e
i s1 (t), i s2 (t),......, i sβ (t)
267
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
In queste ipotesi, qualsiasi risposta del circuito, cioè una tensione di lato o una corrente di lato o una tensione nodale, può essere espressa come segue: y j (t) = H 1 v s1 (t) + H 2 v s2 (t) + ... + Hα v sα (t) + K 1 i s1 (t) + K 2 i s2 (t) + ... + K β i sβ (t)
(8.3)
dove i coefficienti Hi e Ki sono costanti che dipendono solo dai parametri circuitali relativi al circuito in esame e dalla scelta della variabile d'uscita, ma non dagli ingressi, cioè dalle forme d'onda dei generatori indipendenti. Osservazione: gli addendi che compaiono nel secondo membro della relazione (8.3) sono suscettibili di questa interpretazione:
i termini del tipo yvk(t) = Hkvsk (t) possono essere considerati come la risposta del circuito quando tutti i generatori indipendenti presenti nel circuito sono esclusi tranne quello la cui forma d'onda è vsk(t); analogamente i termini del tipo yik(t)=Kkisk (t) possono essere considerati come la risposta del circuito quando tutti i generatori indipendenti presenti nel circuito sono esclusi tranne quello la cui forma d'onda è isk(t).
Allora la relazione (8.3) afferma che la risposta del circuito dovuta a tutti i generatori indipendenti presenti nel circuito può essere pensata come la somma di α+β contributi ognuno dei quali rappresenta la risposta del circuito dovuta a ciascun generatore indipendente agente da solo, cioè con tutti gli altri generatori indipendenti di tensione sostituiti da cortocircuiti, e tutti gli altri generatori indipendenti di corrente sostituiti da circuiti aperti. In altri termini, possiamo scrivere: β
α
y j (t) =
∑
y vk (t) +
k =1
∑
β
α
y ik (t) =
k =1
∑
H k v sk (t) +
k =1
∑K
k i sk (t)
(8.4)
k =1
DIM.: poiché il circuito in esame è, in particolare, lineare e tempo-invariante possiamo scrivere per esso la seguente equazione di tableau:
T*W(t)=u(t) dove la matrice T è la matrice di tableau ed è una matrice quadrata reale costante di ordine pari a [(n-1)+2b]. Inoltre, avendo supposto, per ipotesi, che il circuito ammetta un'unica soluzione possiamo affermare che la matrice T è non singolare (vedi il teorema di esistenza ed unicità enunciato nel paragrafo precedente) e quindi esiste la sua inversa. Di conseguenza l'unica soluzione del circuito è data da: w(t) = T-1.u(t)
(*)
dove il vettore u(t) può essere così schematizzato: u(t)=[00...0 00...0 00...0 vs1(t)...vsα(t) is1(t)...isβ(t)]T n-1 zeri
b zeri
b-α-β lati
generatori
generatori
non conten.
di tensione
di corrente
gener.indip.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
268
Nella scrittura di tale vettore u(t) si è assunto, senza perdita di generalità, che tutti i generatori indipendenti presenti nel circuito siano indicati per ultimi, nell'ordine sopra specificato (per maggiore chiarezza si può fare riferimento ai due circuiti esaminati nel paragrafo precedente ed osservare, in particolare, come, tra le relazioni di lato, quelle che non comportano la presenza di un termine nullo nel vettore u(t) sono soltanto le relazioni che si riferiscono ai generatori indipendenti). Ora, poichè ciascun componente di w(t) si ottiene, come mostra la precedente relazione (*), moltiplicando la corrispondente riga della matrice inversa di T con il vettore u(t), segue che ciascuna risposta del circuito (ossia, in altri termini, ciascun elemento del vettore w(t)) è data da un'espressione della forma dell'equazione (8.3). Inoltre, essendo la matrice inversa di T una matrice costante non comprendente alcun termine relativo ai generatori indipendenti presenti nel circuito, tali risultano anche i coefficienti Hk e Kk. Vediamo ora alcune applicazioni del teorema di sovrapposizione. Si consideri, ad esempio, il seguente circuito:
Si vogliono determinare, sfruttando il teorema di sovrapposizione, la corrente e la tensione ai capi del resistore di resistenza R2. Per far ciò occorre ricavare i contributi a queste due risposte del circuito (cioè a i2 e v2) dovuti, rispettivamente, al solo generatore di tensione ed al solo generatore di corrente. Cominciamo, allora, eliminando dal circuito il generatore di tensione (ossia lo sostituiamo con un cortocircuito), ottenendo:
Posso applicare un partitore di corrente al parallelo tra R1 e R2 e si ottiene: G2 J e quindi : v i2 = R 2 i i2 = G1 + G2 G1 + G2 1 1 con : G 2 = e G1 = R2 R1
i i2 = J
(*)
Abbiamo così ottenuto i contributi, rispettivamente, alla corrente i2 ed alla tensione v2 dovuti al solo generatore di corrente. Ora escludiamo dal circuito il generatore di corrente (cioè lo sostituiamo con un circuito aperto) ottenendo:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
269
Allora posso applicare un partitore di tensione alla serie tra R1 e R2 ottenendo quanto segue: v v2 = E
R2 v E e quindi : i v2 = v2 = (**) R2 R1 + R2 R1 + R2
Abbiamo così ottenuto i contributi, rispettivamente, alla tensione v2 ed alla corrente i2 dovuti al solo generatore di tensione. A questo punto possiamo sfruttare il teorema di sovrapposizione ed ottenere: G2 E + G1 + G2 R1 + R 2 R2 J = +E G1 + G2 R1 + R2
i 2 = i i2 + i v2 = J v 2 = v i2 + v v2
Si consideri ora il seguente circuito:
Si vuole valutare la corrente i2 mediante il teorema di sovrapposizione. Determiniamo, allora, il contributo a tale risposta dovuto al solo generatore di tensione (ossia sostituiamo il generatore di corrente con un circuito aperto), ottenendo:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
270
Anzitutto si ha: i v2 = i v1 (8.5) , essendo : i 3 = 0 . Applicando poi la L.K.T. al cammino chiuso indicato in figura si ha: v v1 + rm1 i 3 + rm2 i v1 = E ⇔ Ri v1 + rm2 i v1 = E ⇔ i v1 = e quindi dalla (1) : i v2 =
E R + rm2
E (8.6) R + rm2
(8.7)
Dobbiamo ora determinare il contributo alla corrente i2 dovuto al solo generatore di corrente e quindi escludiamo dal circuito il generatore di tensione sostituendolo con un cortocircuito ed ottenendo:
Applicando la L.K.C. al nodo A si ottiene: i i1 + i 3 − i i2 = 0 ⇔ i i2 = i i1 + J
(8.8)
Applicando poi la L.K.T. al cammino chiuso indicato in figura si ha:
271
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
v i1 + rm1i 3 + rm2 i i1 = 0 ⇔ Ri i1 + rm1J + rm2 i i1 = 0 ⇔ i i1 = −
rm1J R + rm2
(8.9)
Infine, sostituendo la (8.9) nella (8.8) si ha : R + rm2 − rm1 r i i2 = i i1 + J = J1 − m1 = J R + rm2 R + rm2
(8.10)
In definitiva, possiamo scrivere la corrente i2 come combinazione lineare degli ingressi presenti nel circuito nel seguente modo:
i 2 = i v2 + i i2 =
R + rm2 − rm1 1 E + R + rm2 R + rm2
J
(8.11)
(Nota: nei due esempi appena trattati si è supposto implicitamente che fosse soddisfatta l'ipotesi prevista dal teorema di sovrapposizione e cioè che sia unica la soluzione del circuito: in generale, bisognerebbe verificare ciò calcolando il determinante della matrice di tableau associata al circuito in esame e constatando che sia diverso da zero).
8.3
IL TEOREMA DI THEVENIN
Sia assegnato un circuito accessibile da due morsetti (monoporta) resistivo lineare tempo-invariante che sia anche ben definito intendendo con ciò che tale circuito non deve contenere alcun elemento accoppiato, elettricamente o non elettricamente, con qualche variabile fisica esterna al circuito in esame (al massimo possono dipendere dalle variabili di porta). Inoltre, si supponga che sia soddisfatta la seguente condizione di unicità della soluzione: il circuito che si ottiene collegando un generatore di corrente con forma d'onda i(t) alla porta del circuito iniziale deve ammettere un'unica soluzione per ogni valore di corrente i(t). In tali ipotesi, si ha che il circuito monoporta assegnato è equivalente al seguente circuito mostrato in figura:
RTH = resistenza equivalente di Thevenin rappresenta la resistenza di ingresso del circuito iniziale passivato, cioè dopo che siano esclusi tutti i generatori indipendenti presenti nel circuito. VTH = tensione alla porta quando essa è posta in circuito aperto.
272
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
(Nota: escludere i generatori indipendenti significa sostituire i generatori di tensione con cortocircuiti e quelli di corrente con circuiti aperti). Prima di dimostrare il teorema osserviamo quanto segue: 1. l'importanza fondamentale del teorema appena enunciato (e di quello che vedremo nel paragrafo successivo) sta nel fatto che esso consente di sostituire qualsiasi parte di una rete che sia assimilabile ad un monoporta resistivo lineare con due soli elementi circuitali, senza influenzare la soluzione della restante parte del circuito; e' importante notare che la restante parte del circuito può anche essere non lineare e che le due parti del circuito abbiano una porta in comune. 2. dall'enunciato del teorema si deduce che l'equivalente di Thevenin di un certo circuito monoporta lineare resistivo tempo-invariante esiste se, e solo se, è soddisfatta la condizione di unicità della soluzione sopra esposta. In generale, occorrerebbe, quindi, verificare che la matrice di tableau del circuito che si ottiene collegando un generatore di corrente i(t) alla porta del circuito assegnato sia non singolare, e questo deve risultare per ogni valore di corrente i(t). Poiché tale verifica può essere molto laboriosa è preferibile stabilire l'effettiva esistenza dell'equivalente di Thevenin del circuito in esame calcolando il valore della resistenza equivalente di Thevenin, cioè RTH. Infatti se il valore di tale resistenza è finito sicuramente esiste l'equivalente di Thevenin del circuito assegnato; in particolare, nel caso limite in cui RTH =0 allora l'equivalente di Thevenin coincide col solo generatore di tensione VTH (vedi fig. a) che, comunque, è sempre pilotabile in corrente. Se invece RTH assume un valore infinito allora non esiste l'equivalente di Thevenin del circuito in esame (dalla fig. b si osserva che collegando alla porta un generatore di corrente con forma d'onda i(t) verrebbe violata la L.K.C. per ogni valore di corrente):
DIM.: occorre dimostrare che i due circuiti rappresentati nella figura seguente sono equivalenti:
273
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Per far ciò verificheremo che hanno la stessa caratteristica d'ingresso o D.P.C. Per il secondo circuito mostrato in fig. 8.2 la D.P.C. si ricava facilmente ed è data da: v(t) = RTH i(t) + vTH
(*)
Il primo circuito mostrato in fig. 8.2 rappresenta, invece, il circuito assegnato che, per ipotesi, deve essere resistivo, lineare, tempo-invariante e ben definito: in particolare, per la prima affermazione, esso potrà contenere, oltre che ad elementi resistivi lineari a due o più terminali, anche generatori indipendenti di tensione e corrente. Allora indicheremo con α il numero di generatori indipendenti di tensione e con β il numero di generatori indipendenti di corrente presenti nel circuito, come mostrato in fig.2. Suppongo ora di collegare alla porta del circuito in esame un generatore di corrente con forma d'onda i(t), ottenendo il seguente circuito:
Poiché sono soddisfatte tutte le ipotesi del teorema di sovrapposizione posso esprimere la risposta v(t) del circuito in fig. 8.3 (cioè la tensione ai morsetti 1-2) come combinazione lineare degli ingressi presenti nel circuito, ossia: β
v(t) = K 0 i(t) +
∑ k =1
α
K k i sk (t) +
∑H
k v sk (t)
(8.12)
k =1
Nota : v sk (t) è la forma d' onda del generatore di tensione k - esimo mentre i sk (t) è la forma d' onda del generatore di corrente k - esimo. Supponiamo ora che: i(t)=0 , per ogni t (condizione di circuito aperto ai morsetti 1-2). Dalla (8.12) segue dunque:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
274 β
v ' (t) = v TH =
∑
α
K k i sk (t) +
k =1
∑H
k v sk (t)
(8.13)
k =1
Per ricavare, invece, il contributo alla tensione v(t) dovuto al solo generatore di corrente con forma d'onda i(t) occorre passivare il circuito iniziale sostituendo i generatori di tensione in esso presenti con dei cortocircuiti ed i generatori di corrente con dei circuiti aperti; allora, dalla (8.12), si ottiene:
v′′(t) = K 0 i(t)
da cui segue
K0 =
v ′′(t) = R TH i(t)
(8.14)
(per come é stata definita la resistenza di Thevenin). Sostituendo allora la (8.13) e la (8.14) nella relazione (8.12) si ottiene:
v(t) = R TH i(t) + v TH
(**)
Di conseguenza, confrontando la (*) con la (**), possiamo concludere che i due circuiti di fig. 8.2 alla pagina precedente hanno la stessa D.P.C. e quindi il teorema è dimostrato.
8.4
IL TEOREMA DI NORTON
Sia assegnato un circuito monoporta resistivo lineare tempo-invariante che sia anche ben definito intendendo con ciò che tale circuito non deve contenere alcun elemento accoppiato, elettricamente o non elettricamente, con qualche variabile fisica esterna al circuito in esame (al massimo possono riferirsi alle variabili di porta). Inoltre, si supponga che sia soddisfatta la seguente condizione di unicità della soluzione: il circuito che si ottiene collegando un generatore di tensione con forma d'onda v(t) alla porta del circuito iniziale deve ammettere un'unica soluzione per ogni valore di tensione v(t). In tali ipotesi, si ha che il circuito monoporta assegnato è equivalente al seguente circuito mostrato in figura:
GN = conduttanza equivalente di Norton rappresenta la conduttanza di ingresso del circuito iniziale passivato, cioè dopo che siano esclusi tutti i generatori indipendenti
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
275
presenti nel circuito. IN = corrente di porta diretta dal morsetto 1 al morsetto 2 nel circuito iniziale quando questi due morsetti vengono posti in cortocircuito.
(Nota: escludere i generatori indipendenti significa sostituire i generatori di tensione con cortocircuiti e quelli di corrente con circuiti aperti). Prima di dimostrare il teorema osserviamo quanto segue: Osservazione: dall'enunciato si deduce che l'equivalente di Norton di un certo circuito monoporta lineare resistivo tempo-invariante esiste se, e solo se, è soddisfatta la condizione di unicità della soluzione sopra esposta. In generale, occorrerebbe, quindi, verificare che la matrice di tableau del circuito che si ottiene collegando un generatore di tensione v(t) alla porta del circuito assegnato sia non singolare, e questo deve risultare per ogni valore di tensione v(t). Poiché tale verifica può essere molto laboriosa è preferibile stabilire l'effettiva esistenza dell'equivalente di Norton del circuito in esame calcolando il valore della conduttanza equivalente di Norton, cioè GN. Infatti se il valore di tale conduttanza è finito sicuramente esiste l'equivalente di Norton del circuito assegnato; in particolare, nel caso limite in cui GN=0 allora l'equivalente di Norton coincide col solo generatore di corrente (vedi fig. a) che è, comunque, sempre pilotabile in tensione. Se invece GN assume un valore infinito allora non esiste l'equivalente di Norton del circuito in esame (dalla fig. b si osserva che collegando alla porta un generatore di tensione con forma d'onda v(t) verrebbe violata la L.K.T. per ogni valore di tensione):
DIM.: occorre dimostrare che i due circuiti rappresentati nella figura seguente sono equivalenti:
Per far ciò verificheremo che hanno la stessa caratteristica d'ingresso o D.P.C. Per il secondo circuito mostrato in fig. 8.5 la D.P.C. si ricava facilmente ed è data da:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
276
i(t) = G N v(t) − i N
(*)
Il primo circuito mostrato in fig. 8.5 rappresenta, invece, il circuito assegnato che, per ipotesi, deve essere resistivo, lineare, tempo-invariante e ben definito: in particolare, per la prima affermazione, esso potrà contenere, oltre che ad elementi resistivi lineari a due o più terminali, anche generatori indipendenti di tensione e corrente. Allora indicheremo con α il numero di generatori indipendenti di tensione e con β il numero di generatori indipendenti di corrente presenti nel circuito, come mostrato in fig. 8.5. Suppongo ora di collegare alla porta del circuito in esame un generatore di tensione con forma d'onda v(t), ottenendo il seguente circuito:
Poiché sono soddisfatte tutte le ipotesi del teorema di sovrapposizione posso esprimere la risposta i(t) del circuito in fig. 8.6 (cioè la corrente entrante nel morsetto 1) come combinazione lineare degli ingressi presenti nel circuito, ossia: β
α
k =1
k =1
i(t) = H 0 v(t) + ∑ K k i sk (t) + ∑ H k v sk (t)
(8.15)
Nota : v sk (t) è la forma d' onda del generatore di tensione k - esimo mentre i sk (t) è la forma d' onda del generatore di corrente k - esimo. Supponiamo ora che: v(t)=0 , per ogni t (condizione di cortocircuito ai morsetti 1-2). Dalla (8.15) segue dunque: β
α
k =1
k =1
i ′(t) = −i N = ∑ K k i sk (t) + ∑ H k v sk (t)
(8.16)
Per ricavare, invece, il contributo alla corrente i(t) dovuto al solo generatore di tensione con forma d'onda v(t) occorre passivare il circuito iniziale sostituendo i generatori di tensione in esso presenti con dei cortocircuiti ed i generatori di corrente con dei circuiti aperti; allora, dalla (8.15), si ottiene: i ′′(t) = H 0 v(t)
da cui segue:
H0 =
i ′′(t) v(t)
= GN
(8.17)
(per come è stata definita la conduttanza di Norton). Sostituendo allora la (8.16) e la (8.17) nella relazione (8.15) si ottiene:
277
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
i(t) = G N v(t) − i N
(**)
Di conseguenza, confrontando la (*) con la (**), possiamo concludere che i due circuiti di fig.4 alla pagina precedente hanno la stessa D.P.C. e quindi il teorema è dimostrato.
8.5 ULTERIORI OSSERVAZIONI SUI TEOREMI DI THEVENIN E NORTON Per quanto detto nei due paragrafi precedenti, un generico circuito lineare resistivo tempo-invariante soddisfacente le ipotesi previste, rispettivamente, dal teorema di Thevenin e Norton ammette i seguenti due circuiti equivalenti come mostrato in figura:
E' possibile individuare delle relazioni tra i parametri caratteristici del circuito equivalente di Thevenin e quelli del circuito equivalente di Norton. Infatti dal circuito di fig. b) si ha: i(t) = G N v(t) − i N
(*)
Mentre dal circuito di fig. c) possiamo scrivere: v(t) = R TH i(t) + v TH , che possiamo scrivere come : v(t) v v 1 = i(t) + TH ⇔ i(t) = v(t) − TH R TH R TH R TH R TH
(**)
Confrontando quest'ultima relazione con la (*) ed imponendo la loro uguaglianza (infatti, essendo i circuiti equivalenti tra loro devono avere la stessa D.P.C.), si ottiene: GN =
1 (8.18) e R TH
iN =
v TH (8.19) R TH
Da ciò possiamo concludere, tenendo presente quanto detto nel paragrafo precedente, che condizione necessaria e sufficiente affinché esistano entrambi i circuiti equivalenti di Thevenin e Norton è che la resistenza di Thevenin oppure, analogamente, la conduttanza di Norton, abbiano valore finito e diverso da zero; se, invece, la resistenza di Thevenin fosse uguale a zero esisterebbe il circuito equivalente di Thevenin (costituito dal solo generatore di tensione) ma non esisterebbe il circuito equivalente di Norton
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
278
(infatti la conduttanza di Norton sarebbe infinita); in modo simile, se la conduttanza di Norton fosse nulla esisterebbe il circuito equivalente di Norton (costituito dal solo generatore di corrente) ma non esisterebbe il circuito equivalente di Thevenin (infatti, la resistenza di Thevenin sarebbe infinita). Vediamo ora alcuni esempi (si suppone siano verificate le ipotesi previste dai teoremi di Thevenin e Norton). Si consideri il seguente circuito:
Vogliamo calcolare l'equivalente di Thevenin e l'equivalente di Norton. Per calcolare la tensione equivalente di Thevenin dobbiamo considerare il circuito a vuoto, cioè porre: i(t)=0. In tal caso i due resistori sono collegati in serie e posso, dunque, applicare un partitore di tensione come segue: v TH (t) = v(t) = v 2 (t) = E
R2 R1 + R2
Per calcolare, invece, la resistenza equivalente di Thevenin è sufficiente considerare lo stesso circuito ma passivato, cioè sostituendo il generatore di tensione con un cortocircuito come segue:
Osservando che i due resistori sono collegati in parallelo ottengo: G TH =
i(t) R + R2 1 1 1 = = G1 + G2 = + = 1 v(t) circuito R TH R1 R2 R1R 2 passivo
e quindi : R TH =
R 1R 2 R1 + R2
Per quanto riguarda, invece, il circuito equivalente di Norton, facendo sempre riferimento al circuito di fig. 8.8, si ricava:
279
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
GN =
i(t) 1 1 R1 + R2 = G1 + G2 = + = v(t) circuito R1 R2 R 1R 2 passivo
Possiamo poi calcolare la corrente equivalente di Norton cortocircuitando i morsetti 1 e 2 nel circuito di fig. 8.7 come segue:
Si ha allora: v2 = 0 ⇒ i 2 = 0 L.K.T. : v 1 + E = 0 ⇔ R 1 i 1 + E = 0 ⇔ i 1 = −
E E , da cui : i N = −i 1 = R1 R1
Consideriamo ora il seguente circuito di cui si vuole determinare l'equivalente di Thevenin:
Cominciamo col valutare la resistenza equivalente di Thevenin; per far ciò occorre passivare il circuito sostituendo il generatore di tensione con un cortocircuito:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
280
Possiamo scrivere: R TH =
v(t) i(t) circuito
(*)
passivo
Valgono, inoltre, le seguenti relazioni : v(t) = R 2 i 2 (t) + µv 1 (t) ⇔ v(t) = R 2 i(t) + µv 1 (t)
(8.20)
v 1 (t) + µv 1 (t) = 0 ⇔ (1 + µ )v 1 (t) = 0 ⇔ v 1 (t) = 0 (8.21) Sostituendo la (8.21) nella (8.20) si ha : v(t) = R 2 i(t) ⇒ R TH =
v(t) = R2 i(t) circuito passivo
Per calcolare, infine, la tensione equivalente di Thevenin occorre considerare il circuito iniziale di fig. 8.10 a vuoto, cioè con: i(t)=0. In tal caso valgono le seguenti relazioni:
i 2 (t) = 0 ⇒ v 2 (t) = 0 L.K.T. : v1 + µv 1 = E ⇔ v1 =
E 1+ µ
E quindi : v TH (t) = v(t) = µv1 (t) = E
µ 1+ µ
Come ultimo esempio, si consideri il seguente circuito:
Applicando la L.K.C. al nodo A si ottiene: i − i0 + i0 = 0 ⇔ i = 0
(*)
Mentre, applicando la L.K.T. alla maglia indicata si ha: R 1i + v 0 − v 0 = v ⇔ v = v 0 − v 0 = 0
(**)
Di conseguenza, la caratteristica d'ingresso di tale bipolo è costituita da un solo punto, cioè l'origine degli assi nel piano v-i. Questo bipolo prende il nome di cortocircuito virtuale e caratterizza la porta d'ingresso di un amplificatore operazionale. Poiché la caratteristica d'ingresso per i bipoli equivalenti di Thevenin e Norton è costituita da una
281
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
linea retta, ne consegue che l'annullatore non ammette né il bipolo equivalente di Thevenin nè quello di Norton. Infatti, per tale bipolo, sono violate in entrambi i casi le condizioni di unicità della soluzione previste, rispettivamente, dai teoremi di Thevenin e Norton. Si osservi che l'annullatore può essere pilotato unicamente da un generatore di tensione da 0[V] o da un generatore di corrente da 0[A].
8.5
TEOREMA DI SOVRAPPOSIZIONE PER CIRCUITI DINAMICI LINEARI
Sia assegnato un generico circuito dinamico lineare,tempo-invariante, che sia univocamente risolubile, cioè che ammetta un'unica soluzione. Si supponga che in esso siano presenti, a partire dall'istante t=0, α generatori indipendenti di tensione e β generatori indipendenti di corrente le cui forme d'onda siano date, rispettivamente, da: v
s1
(t), v
s2
(t),...., v
sα
(t) e i
s1
(t), i
s2
(t),...., i
sβ
(t)
Indicata con y(t) una generica risposta del circuito (cioè una corrente o tensione di lato od una tensione nodale) e nell'ipotesi che siano nulle tutte le condizioni iniziali, si ha che tale risposta può essere scritta come somma di α+β termini ognuno dei quali rappresenta il contributo alla risposta y(t) dovuto ad ogni singolo generatore indipendente agente da solo nel circuito, cioè dopo che siano stati azzerati tutti gli altri generatori indipendenti (ovvero, i generatori di tensione sostituiti con cortocircuiti ed i generatori di corrente sostituiti con circuiti aperti): β
α
y(t) =
∑
yvk(t) +
k=1
∑y
ik (t)
(*)
k=1
dove: yvk(t) rappresenta la risposta del circuito con condizioni iniziali nulle, osservata all'istante t, quando tutti i generatori indipendenti, tranne quello con forma d'onda vsk(t), sono azzerati; yih(t) rappresenta la risposta del circuito con condizioni iniziali nulle, osservata all'istante t, quando tutti i generatori indipendenti, tranne quello con forma d'onda isk(t), sono azzerati.
COROLLARIO:
nelle stesse ipotesi del teorema precedente, supponendo però che le condizioni iniziali siano diverse da zero, una qualsiasi risposta y(t) del circuito può essere scritta come: y(t) = y0(t) + yg(t)
282
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
dove: yg(t) rappresenta la risposta del circuito con condizioni iniziali nulle, osservata all'istante t, dovuta ai soli generatori indipendenti presenti nel circuito; y0(t) rappresenta la risposta del circuito dovuta alla sola presenza delle condizioni iniziali (escludendo, cioè, tutti i generatori indipendenti).
Tale corollario è facilmente dimostrabile se si tiene presente che una condizione iniziale non nulla su un condensatore equivale ad un generatore di tensione in serie allo stesso condensatore ma scarico (cioè con tensione iniziale nulla) così come una condizione iniziale non nulla su un induttore equivale ad un generatore di corrente in parallelo allo stesso induttore ma scarico, cioè con corrente iniziale nulla.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
283
CAPITOLO 9
9.1
CIRCUITI IN REGIME SINUSOIDALE: GENERALITÀ
284
9.2
NOMENCLATURA DELLE GRANDEZZE SINUSOIDALI
286
9.3
NUMERI COMPLESSI.
288
9.4
RAPPRESENTAZIONE DELLE GRANDEZZE SINUSOIDALI MEDIANTE NUMERI COMPLESSI.
CONCETTO DI FASORE
9.5
IL METODO DEI FASORI O METODO SIMBOLICO
9.6
APPLICAZIONE DEL METODO DEI FASORI. IMPEDENZA E AMMETTENZA
291
295
DI UN CIRCUITO
297
9.7
EQUAZIONI DI KIRCHHOFF IN TERMINI DI FASORI
300
9.8
APPLICAZIONE DEL METODO SIMBOLICO A CIRCUITI ELEMENTARI
304
9.10 TEOREMA DI BOUCHEROT (ADDITIVITÀ DELLE POTENZE)
321
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
284
9.11 RIFASAMENTO
325
9.12 RISONANZA ED ANTIRISONANZA
329
9.13 APPLICAZIONE DEL METODO DEI FASORI A CIRCUITI COMPLESSI
335
9.14 TEOREMI DI THEVENIN E NORTON PER CIRCUITI IN REGIME SINUSOIDALE
340
9.15 CENNI SUGLI STRUMENTI DI MISURA ELETTRODINAMICI
347
9.1
CIRCUITI IN REGIME SINUSOIDALE: GENERALITÀ
Nell'analisi dei circuiti dinamici lineari tempo-invarianti con ingressi limitati è stato evidenziato come una qualsiasi risposta del circuito, cioè una corrente o tensione di lato, può essere espressa, in generale, come somma di due termini nel seguente modo:
y(t) = y h (t) + y s (t)
(*)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
285
dove il primo addendo a secondo membro rappresenta l'integrale generale dell'equazione differenziale omogenea associata all'equazione differenziale che governa la dinamica del circuito in esame, mentre il secondo addendo ne rappresenta un integrale particolare; è stato anche detto che se il circuito è lineare e tempo-invariante l'integrale particolare ha un andamento dello stesso tipo dell'ingresso, o degli ingressi se sono più di uno e tutti dello stesso tipo. Nel caso in cui il circuito dovesse risultare anche asintoticamente stabile allora ogni risposta del circuito, a regime (cioè una volta esaurita la fase transitoria), tende a seguire l'integrale particolare assumendo quindi lo stesso andamento nel tempo degli ingressi presenti nel circuito: in queste ipotesi, ha senso definire yh(t) come risposta transitoria del circuito e ys(t) come risposta a regime. Considereremo d'ora in avanti per questo capitolo solo circuiti dinamici lineari tempoinvarianti ed asintoticamente stabili; per essi si possono distinguere quattro tipi di regime intendendo con questo termine la fase successiva a quella transitoria:
• •
•
•
regime stazionario: tutte le correnti e tensioni di lato sono costanti nel tempo (si verifica se gli ingressi sono costanti); regime sinusoidale: tutte le correnti e tensioni di lato hanno un andamento nel tempo sinusoidale ed isofrequenziale con l'ingresso (se ci sono più ingressi sinusoidali, questi devono avere tutti la stessa frequenza angolare); regime periodico: tutte le correnti e tensioni di lato hanno un andamento periodico con lo stesso periodo dell'ingresso (se ci sono più ingressi, questi devono avere tutti lo stesso periodo):y(t)=y(t+nT) , dove T è il periodo ed n è un numero intero; regime variabile: quando non si verifica una delle precedenti condizioni di regime (ad esempio, nel caso in cui si abbiano ingressi di tipo sinusoidale ma con diverse pulsazioni).
Nei paragrafi successivi sarà affrontato lo studio dei soli circuiti in regime sinusoidale: tale scelta è stata dettata, oltre che dalla notevole frequenza con cui è possibile incontrare questo tipo di circuiti nelle varie applicazioni pratiche, anche dal fatto che l'analisi di un circuito in regime stazionario o periodico (e talvolta anche variabile) può essere sempre ricondotta all'analisi di un circuito in regime sinusoidale. Infatti, nel primo caso, un circuito in regime stazionario può sempre essere considerato come un circuito in regime sinusoidale con ingressi aventi tutti frequenza angolare nulla; nel caso, invece, di un circuito in regime periodico ci si può ricondurre ad un regime sinusoidale utilizzando il principio di sovrapposizione. A titolo d'esempio, supponiamo che il circuito abbia un solo ingresso di tipo periodico di periodo T e che questo soddisfi le seguenti condizioni (di Dirichlet):
1. l'ingresso x(t) deve avere un numero finito di discontinuità in un periodo; 2. deve essere una funzione monotona nei tratti di continuità; 3. il valor medio dell'ingresso in un periodo deve essere finito, cioè è sempre possibile trovare un numero M positivo tale che:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
286
x0 =
1 T
t0 +T
∫ x(t)dt < M
t0
In tali ipotesi, l'ingresso si può espandere in serie di Fourier nel seguente modo: x(t) = x 0 + x 1 cos(ωt + ϕ 1 ) + x 2 cos(2ωt + ϕ 2 ) + x 3 cos(3ωt + ϕ 3 ) + ... con ω =
2π T
dove x0 è il valore medio nel periodo, il secondo addendo prende il nome di armonica fondamentale e i rimanenti prendono il nome di armoniche superiori. A questo punto è sufficiente calcolare le risposte del circuito ai singoli ingressi rappresentati dalle armoniche che compaiono a secondo membro della precedente espressione (che come si può osservare sono funzioni sinusoidali tranne la prima che è costante) e ricavare la risposta finale del circuito all'ingresso periodico come somma delle suddette risposte secondo quanto previsto dal teorema di sovrapposizione. Prima di intraprendere lo studio dei circuiti in regime sinusoidale seguono alcuni paragrafi introduttivi e di riepilogo di alcune definizioni e concetti utili relativi ai numeri complessi e alle grandezze sinusoidali.
9.2
NOMENCLATURA DELLE GRANDEZZE SINUSOIDALI
Si dice che una generica grandezza y(t) ha un andamento periodico nel tempo se risulta: y(t)=y(t+nT), dove T è il periodo ed n è un numero intero; una grandezza periodica si dice poi alternata se il suo valor medio in un periodo è nullo, cioè:
1 y0 = T
t0 +T
∫ y(t)dt = 0
t0
In particolare, sono forme d'onda periodiche alternate le funzioni sinusoidali esprimibili mediante una relazione del tipo:
y(t) = y M cos(ωt + α )
Per una grandezza periodica alternata si definisce valor medio in un semiperiodo riferito
287
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
alla semionda positiva la quantità:
2 Ym = T
t0 +
T 2
∫ y(t)dt
(9.1)
t0
Nel caso di una funzione sinusoidale con fase nulla (α=0) si ha:
Ym =
2 T
t0 +
T 2
2
t0 +
T 2
∫ y(t)dt = T ∫ y
t0
ωt)dt =
M cos(
t0
2 T
5 T 4
∫y
ωt)dt =
M cos(
3 T 4
4y M 2y M = = 0,636y M ωT π
Nota. Per ricavare il valore di t0 si é imposto che:
cos(ωt ) = 0
⇔
t0 =
3π 3πT 3 = = T 2ω 4π 4
si ricordi che si fa riferimento alla semionda positiva (in modo da ottenere un valore diverso da zero) come mostrato nella seguente figura:
Si definisce, inoltre, valor efficace di una grandezza periodica alternata y(t) la quantità:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
288
Y=
1 T
t 0 +T
∫y
2
(t)dt (**) , dove l’istante t0 è del tutto arbitrario data la supposta perio-
t0
dicità di y(t) e quindi di y2(t).
La suddetta definizione vale, in particolare, anche per le grandezze sinusoidali. In tal caso, risulta anzitutto, per le formule di bisezione:
y 2 (t) = y 2M cos 2 (ωt + α ) =
y 2M y 2M + cos2(ωt + α ) 2 2
(9.2)
Si osserva, allora, che il valor medio in un periodo del secondo addendo della (9.2) è nullo trattandosi di una funzione sinusoidale con pulsazione doppia rispetto a quella assegnata e quindi sostituendo la (9.2) nella (**) si ottiene:
Y =
1 T
t0 + T
y 2M
t0
2
∫
dt =
yM 2
⇔ Y =
yM 2
= 0,707 y M
(9.3)
Si definisce, infine, fattore di forma il rapporto tra il valore efficace e il valor medio in un semiperiodo riferito alla semionda positiva di una grandezza periodica alternata. Nel caso delle grandezze sinusoidali vale:
Kf =
Y = 1.11 Ym
(9.4)
Tale valore è distintivo delle grandezze sinusoidali.
9.3
NUMERI COMPLESSI
289
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Saranno ora ripresi alcuni utili concetti relativi ai numeri complessi. Esistono diverse rappresentazioni per un numero complesso z. Nella notazione cartesiana o rettangolare esso viene espresso come: z = x + jy ,dove x è detta parte reale di z e si indica con Re(z), y è detta parte immaginaria di z e si indica con Im(z), mentre j è l'unità immaginaria. Tale notazione è detta cartesiana in quanto suggerisce di associare al numero complesso z il punto di coordinate (x,y) nel piano complesso:
La notazione trigonometrica di un numero complesso z si ricava dalla precedente osservando che:
x = ρcosθ ⇒ z = x + jy = ρcosθ + jρsenθ = ρ (cosθ + jsenθ ) y = ρsenθ
(9.5)
Nota : ρ = x 2 + y 2 è detto modulo di z
θ = arctg
y è detto argomento di z (si ricordi di considerare y e x col loro segno). x
Ricordando poi, dalla formula di Eulero, che:
e jθ = cosθ + jsenθ , si ha sostituendo nella (9.5) : z = ρe jθ (9.6), che è detta notazione polare o, semplicemente, esponenziale.
(Nota: sia nella rappresentazione polare che in quella trigonometrica l'argomento deve essere espresso in radianti).
Ancora più compatta è la notazione di Steinmetz :
z = ρ∠θ
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
290
che riporta soltanto il modulo e l'argomento di z (quest'ultimo deve essere espresso in gradi). Quest'ultima notazione si presta bene ogni volta che bisogna eseguire prodotti e rapporti di numeri complessi. Ad esempio:
z 1 = ρ 1∠θ 1 ρ z Dati : ⇒ z 1 ⋅ z 2 = ρ 1 ρ 2 ∠θ 1 + θ 2 e 1 = 1 ∠θ 1 − θ 2 ρ θ z = ∠ ρ z 2 2 2 2 2
A titolo d'esempio vengono ora riportate le rappresentazioni di alcuni numeri complessi:
z= j=e
j
π 2
= 1∠90°
z = 1 + j = 2e z = −1 + j =
j
z = −j = e
−j
π 2
= 1∠ − 90°
π 4
= 2∠ 45°
3 j π 2e 4
z = 1 − j = 2e
−j
π 4
= 2 ∠135° z = −1 − j = 2 e
= 2 ∠ − 45° 3 −j π 4
= 2 ∠ − 135°
Dimostriamo, infine, una proprietà che sarà utilizzata in seguito secondo la quale, assegnato un numero complesso z, risulta che:
Re[ jz ]=-Im[ z ] (9.7)
Infatti, posto z = x + jy si ottiene:
jz = jx + j 2 y ⇔ jz = − y + jx , da cui segue la (9.7).
9.4
RAPPRESENTAZIONE DELLE GRANDEZZE SINUSOIDALI MEDIANTE
291
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica NUMERI COMPLESSI.
CONCETTO DI FASORE
Ricordando dall'Analisi la nota formula di Eulero per la quale:
[ ]
e jx = cosx + jsenx , possiamo scrivere in generale : cosx = Re e jx
Allora una qualsiasi grandezza sinusoidale può essere posta nella forma:
[
]
[
]
y(t) = y M cos(ωt + α ) = y M Re e j(ωt +α ) = Re y M e j(ωt +α ) ⇔
[
]
[
y(t) = Re 2Ye jα ⋅ e jωt = Re 2 Ye jωt Y = Ye
jα
= Y∠α
]
(9.8), dove si è posto :
(9.9)
Il numero complesso definito dalla (9.9) prende il nome di fasore associato alla funzione sinusoidale y(t) e, come si osserva, ha il modulo pari al valore efficace di y(t) e l'argomento pari alla fase della funzione y(t). Da quanto detto si deduce che il fasore è l'elemento che distingue una generica grandezza sinusoidale da tutte le altre aventi la stessa pulsazione ω. Possiamo dunque affermare, e lo dimostreremo in seguito, che in un insieme di grandezze sinusoidali isofrequenziali (nella generica pulsazione ω) esiste una corrispondenza biunivoca tra ogni elemento dell'insieme, cioè una funzione sinusoidale, e il corrispondente fasore definito dalla (9.9):
y(t)
↔
Y
Inoltre, tenendo presente che derivando rispetto al tempo, un numero qualsiasi di volte, una funzione sinusoidale si ottengono ancora funzioni sinusoidali isofrequenziali con quella di partenza, si conclude che le derivate successive di una grandezza sinusoidale possono essere rappresentate anch'esse con fasori la cui determinazione è abbastanza immediata. Osserviamo, infine, che un fasore, così come un qualsiasi altro numero complesso, può essere rappresentato nel piano di Gauss mediante un vettore, come mostrato in figura:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
292
Si noti che l'asse reale funge da riferimento per le fasi. Enunciamo ora, e dimostriamo, i seguenti tre lemmi:
Lemma 1 (Linearità)
L'operatore parte reale Re(.) è lineare.
Per dimostrare ciò basta verificare che tale operatore soddisfa le proprietà di additività ed omogeneità, ossia:
Re[z 1 + z 2 ] = Re[z 1 ] + Re[z 2 ](*) z 1 = x 1 + jy 1 posto , si deve avere : (**) z 2 = x 2 + jy 2 Re[az 1 ] = aRe[z 1 ] ( Nota : a è un numero reale qualsiasi ).
La (*) si dimostra banalmente come segue:
Re[z 1 + z 2 ] = Re[(x 1 + jy 1 ) + (x 2 + jy 2 )] = Re[(x 1 + x 2 ) + j(y 1 + y 2 )] = = x 1 + x 2 = Re[z 1 ] + Re[z 2 ]
(C.V.D.)
In maniera analoga si dimostra la (**):
Re[az 1 ] = Re[a (x 1 + jy 1 )] = Re[ax 1 + jay 1 ] = ax 1 = aRe[z 1 ]
(C.V.D.)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
293
Lemma 2 (Commutatività)
L'operatore parte reale Re[.] è commutativo rispetto all'operazione di derivazione nel tempo.
In particolare, assegnata una certa funzione sinusoidale y(t) posta nella forma:
[
y (t ) = Re 2Y e d Re 2Y e dt
[
jωt
jωt
]= y
M
cos(ωt + α ) deve risultare :
] = Redtd (
2Y e
jωt
)
É facile verificare questa proprietà. Infatti,
d jωt d Re 2Y e = ( y M cos(ωt + α )) = ωy M (− sen(ωt + α )) = ωy M cos(ωt + α + (π /2)) dt dt d jα jωt jπ /2 jα jωt jωt jωt = Re 2Yωe e e = Re jω 2Ye e = Re 2 jωY e = Re 2Y e dt
Osserviamo ora che:
y ′(t) =
d dt
[
Re 2Y e
jωt
] = Re dtd ( 2Ye jωt ) = Re[ 2 jωYe jωt ]
cioè la derivata prima di y(t) è ancora una grandezza sinusoidale rappresentata dal fasore jω Y . In pratica il fasore rappresentativo di y' si ottiene moltiplicando per jω il fasore rappresentativo di y(t). E' facile dimostrare che il fasore rappresentativo di y'' si otterrà moltiplicando per jω il fasore rappresentativo di y'. Cioè derivare, nell'ambito dei fasori, equivale a moltiplicare per jω. Avremo perciò:
y(t) ↔ Y y ′(t) ↔ jω Y y ′′ (t) ↔ (jω ) 2 Y = −ω 2 Y y ′′′(t) ↔ (jω ) 3 Y = − jω 3 Y
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
294
e così di seguito.
E' facile dimostrare che integrare, nell'ambito dei fasori, equivale a dividere per jω.
Lemma 3 (Unicità)
Due funzioni sinusoidali isofrequenziali sono uguali se, e solo se, sono uguali i fasori che le rappresentano.
cioè posto:
[ [
] ]
y 1(t ) = Re 2Y1e jωt si ha : y 1(t ) = y 2 (t ) , ∀t ⇔ Y1 = Y 2 y 2 (t ) = Re 2Y 2e jωt
dim. ⇒) y 1 (t ) = y 2 (t ) , ∀t. In particolare per t = 0 si ha :
[
]
[
]
[ ]
[ ]
[ ]
[ ]
Re 2Y1 = Re 2Y 2 ⇔ 2 Re Y1 = 2 Re Y 2 ⇔ Re Y1 = Re Y 2 π si ottiene : Re 2Y1e 2ω
Mentre per t =
[ ]
[ ]
j
π 2
= Re 2Y 2e
[ ]
[ ]
j
π 2
(*)
⇔
[ ]
[ ]
⇔ 2 Re jY1 = 2 Re jY 2 ⇔ − Im Y1 = − Im Y 2 ⇔ Im Y1 = Im Y 2 (**)
Dalla (*) e (**) si deduce che i due fasori sono uguali avendo la stessa parte reale e la stessa parte immaginaria.
dim. ⇐) Y1 = Y2 ⇔ 2Y1e
[
⇔ Re 2Y1e
jωt
] = Re[
2Y2e
jωt jωt
= 2Y2e
jωt
⇔
]⇔ y (t ) = y (t ) 1
2
Possiamo ora enunciare il cosiddetto teorema principale che è un'ovvia conseguenza dei tre lemmi appena visti.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
295
Teorema principale
Una funzione ottenuta come combinazione lineare di funzioni sinusoidali isofrequenziali (eventualmente, comprendente anche le loro derivate) è ancora una funzione sinusoidale isofrequenziale con quelle di partenza.
Ad esempio, posto:
[
] y(t ) = Re[ 2Y e jωt ] z(t ) = Re[ 2Z e jωt ], si ha : jω t ]− Re[ 2Ye jωt ]+ Re[ 2 jωZ e jωt ] = s (t ) = x (t ) − y (t ) + z ' (t ) = Re [ 2 Xe jωt ], da cui segue che s(t) e' una funzione sinusoidal e = Re [ 2 ( X − Y + jωZ )e x (t ) = Re 2 Xe
jω t
di frequenza ω rappresent ata dal fasore S = X − Y + jω Z
9.5
Il metodo dei fasori o metodo simbolico
Ritorniamo ora all'argomento principale di questo capitolo e cioè lo studio dei circuiti in regime sinusoidale. Riprendendo quanto detto nel primo paragrafo, nell'ipotesi di linearità, tempo-invarianza ed asintotica stabilità del circuito in esame e nell'ipotesi che le sorgenti presenti nel circuito siano sinusoidali ed isofrequenziali tra loro, si può ritenere che, a regime, tutte le tensioni e correnti di lato avranno un andamento sinusoidale nel tempo con la stessa frequenza angolare degli ingressi. Di conseguenza, la ricerca delle risposte del circuito in esame (ossia correnti e tensioni di lato), delle quali si conosce già il tipo di funzione (sinusoidale) e la pulsazione (ω), si riduce alla determinazione dei corrispondenti valori efficaci e delle fasi cioè, in altri termini, dei fasori che rappresentano tali grandezze. E' chiaro che un tale tipo di ricerca, avendo come obiettivo la determinazione di incognite numeriche e non di funzioni, deve potersi effettuare attraverso la soluzione di equazioni algebriche e non differenziali. Il metodo dei fasori permette, appunto, di ricavare un sistema di equazioni algebriche aventi come incognite i fasori rappresentativi delle varie grandezze di lato, risolto il quale sono noti valori efficaci e fasi di ciascuna di queste grandezze e, quindi, nel complesso, tutte le correnti
296
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
e tensioni di lato. I passi da seguire sono mostrati nel seguente schema:
Si scrivono, anzitutto, le relazioni di lato e le equazioni di Kirchhoff ai valori istantanei: di tali equazioni siamo interessati a determinare i soli integrali particolari, cioè correnti e tensioni di lato a regime. Esclusa la determinazione diretta di tali incognite, richiedendo essa la soluzione di un sistema di equazioni differenziali, si procede nel seguente modo:
passo 1)
trasformazione delle equazioni di Kirchhoff differenziali in equazioni di Kirchhoff 'simboliche' (ciò vale anche per le relazioni di lato);
passo 2)
soluzione del sistema di equazioni simboliche e conseguente determinazione dei fasori rappresentativi delle varie correnti e tensioni di lato;
passo 2)
antitrasformazione, ossia passaggio dai fasori alle correnti e tensioni da essi rappresentate, che sono le vere incognite del problema.
Vedremo fra poco alcune applicazioni di questo metodo; per il momento, limitiamoci ad esporre qualche osservazione di carattere generale. Per quanto riguarda la fase di 'trasformazione', essa serve per dare al problema matematico un carattere puramente algebrico anziché differenziale. Infatti, tale processo consente di dedurre dalle equazioni differenziali di Kirchhoff un sistema di equazioni algebriche lineari e a coefficienti complessi in cui le incognite sono ora i fasori rappresentativi delle correnti e tensioni di lato. La linearità di tale sistema rende la sua soluzione (passo 2 del procedimento) priva di difficoltà, a parte il maggior onere di calcolo (rispetto a sistemi lineari nel campo reale) derivante dalla presenza di grandezze complesse. Infine, la fase di 'antitrasformazione' è immediata, a tal punto che spesso, restando sottintesa, non viene neppure effettuata: essa consiste, infatti, nella banale sostituzione dell'ampiezza e della
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
297
fase (ormai note in seguito alla soluzione del suddetto sistema) di ciascuna corrente e tensione di lato nell'espressione generica al fine di esplicitare, in forma definitiva, queste stesse grandezze. L'analisi ora effettuata del metodo simbolico può far pensare che si tratti di un metodo alquanto laborioso; in realtà, vedremo che la fase di 'trasformazione' conduce ad un sistema di equazioni formalmente coincidenti con quelle di Kirchhoff discusse in regime stazionario, salvo la presenza di grandezze complesse in luogo di quelle reali. Ciò semplifica notevolmente la tecnica operativa in quanto consente di scrivere direttamente le equazioni di Kirchhoff simboliche senza doverle dedurre ogni volta per 'trasformazione' dalle equazioni ai valori istantanei. In tal modo si evita di fatto la prima fase del procedimento e poiché, come si è detto, anche la terza può essere omessa, in pratica l'applicazione del metodo si riduce alla scrittura delle equazioni simboliche di lato e di Kirchhoff ed alla loro soluzione, in modo del tutto analogo a quello seguito per i circuiti in regime stazionario.
9.6
Applicazione del metodo dei fasori. Impedenza e ammettenza di un circuito
Vedremo ora come applicare il metodo dei fasori ad un caso abbastanza semplice che ci consentirà, tuttavia, di introdurre delle definizioni del tutto generali e che, una volta discusso, renderà immediata la generalizzazione ad un caso qualsiasi. Consideriamo, dunque, il seguente circuito monoporta alimentato, attraverso i morsetti A e B, da una
tensione sinusoidale v(t), in pulsazione ω, espressa da:
Dalle considerazioni fatte nei paragrafi precedenti, si può affermare che a regime, ossia una volta esaurita la fase transitoria, tutte le variabili di lato avranno un andamento di tipo sinusoidale ed anche isofrequenziale con la tensione di alimentazione. Proponiamoci, allora, di determinare l'andamento nel tempo, a regime, della corrente i(t): per quanto detto nel paragrafo precedente ciò equivale a calcolare il valore efficace e la fase
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
298
di tale forma d'onda ossia, in altri termini, il fasore associato alla corrente i(t). Anzitutto, riportiamo le equazioni differenziali che descrivono la dinamica del circuito:
v R (t) = Ri R (t) di (t) Relazioni di lato : v L (t) = L L dt t 1 i C (τ )dτ v C (t) = C −∞
∫
L.K.C. : i(t) = i R (t) = i L (t) = i C (t) t
L.K.T. : v(t) = v R (t) + v C (t) + v L (t) = Ri(t) +
di(t) 1 i(τ )dτ + L C −∞ dt
∫
Derivando rispetto al tempo quest'ultima equazione si ottiene:
L
d 2 i(t) di(t) i(t) dv(t) +R + = 2 dt C dt dt
(9.10)
Ricordiamo che siamo interessati a valutare la corrente a regime. Si tratta di ricavare un integrale particolare dell'equazione (9.10), che rappresenta la soluzione del nostro problema. Piuttosto che risolverla direttamente utilizziamo il metodo dei fasori. Il primo passo consiste nella fase di trasformazione. Possiamo scrivere:
[
v(t) = v M cos(ωt + α V ) = Re 2 Ve jωt
[
i(t) = I M cos(ωt + α i ) = Re 2 Ie jωt
]
]
con V = con I =
IM 2
vM 2
∠α V = V∠α V
∠α i = I∠α i
(Nota: I e αi sono da determinare)
Sostituendo queste espressioni nell'equazione (9.10) si ricava, sfruttando il lemma 2:
[
L Re 2 ( jω )2 Ie
jωt
]+ RRe[
2 jωIe
jωt
]+ C1 Re[
jωt
2I e
] = Re[
2 jωV e
da cui sfruttando il lemma di linearità si ottiene : 1 Re 2 − ω 2L + jωR + Ie C
jωt
= Re 2 jωV e
[
jωt
]
(9.11)
jωt
],
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
299
Per il teorema principale il primo ed il secondo membro della relazione (9.11) sono due funzioni sinusoidali isofrequenziali e dovendo essere uguali, per il lemma 3 saranno uguali anche i fasori che le rappresentano (per il lemma di unicità); si ottiene dunque:
1 j 2 ( jω ) L + jωR + C ⋅ I = jωV ⇔ V = jωL + R − ωC ⋅ I ⇔ 1 V = R + j ωL − ⋅ I = zI (9.12) , ωC 1 dove : z = R + j ωL − è detta impedenza in ingresso del circuito . ωC
Osserviamo che la (9.12) rappresenta già il risultato dell'operazione di 'trasformazione' in quanto essa è un'equazione algebrica lineare di primo grado dalla quale è immediato ricavare l'unica incognita e cioè il fasore della corrente. Si noti, inoltre, che l'impedenza in ingresso non è un fasore (perché non è associato a nessuna forma d'onda) ma è semplicemente un operatore complesso definito come il rapporto tra il fasore della tensione e quello della corrente di porta nel circuito in esame: la sua parte reale è la resistenza R del ramo di circuito considerato mentre la sua parte immaginaria, a cui si dà il nome di reattanza, dipende, oltre che dall'induttanza L e dalla capacità C del ramo in questione, anche dalla pulsazione ω di alimentazione. Spesso l'impedenza si scrive nella forma:
z = R + jX , dove : X = ωL −
1
ωC
rappresenta la reattanza sopra definita .
(L'impedenza si misura in ohm).
Infine definiamo ammettenza del monoporta considerato il reciproco della sua impedenza, e quindi:
y =
1
z
=
1 R + jX
R 2 R + X2 X B=− 2 R + X2
G=
=
R X R − jX = −j = G + jB , dove : 2 2 2 2 2 R +X R +X R + X2 è detta conduttanza è detta suscettanza .
( Si noti che G ≠ 1 R ).
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
300
Il secondo passo consiste nella soluzione dell'equazione algebrica ottenuta, in questo caso la (9.12), come segue:
V = z I ⇔ I =
V
z
=
V∠α v z∠θ
=
1 con z = R 2 + ωL − ωC
V z
∠(α v − θ ) ,
ωL −
2
e θ = arctg
1
ωC
R
L'ultimo passo consiste nell'antitrasformazione che si esegue facilmente come indicato:
[
i (t ) = Re 2Ie
jωt
] = Re
2
V e z
j (αv −θ )
e
jωt
= v M cos(ωt + α − θ ) v z
Si osservi, per concludere, che l'equazione (9.12) è analoga alla legge di Ohm in regime stazionario salvo il fatto che essa mette in relazione non direttamente la tensione e la corrente ma i fasori rappresentativi di tali grandezze; oltre a ciò la costante di proporzionalità è ora l'impedenza che corrisponde, nell'analogia citata, alla resistenza. Quanto si è detto giustifica la denominazione della (9.12) come legge di Ohm simbolica relativa ad un generico ramo di circuito. Applicazioni di tale legge saranno illustrate nel seguito, dopo l'estensione del metodo simbolico a circuiti comunque complessi (vedi paragrafo seguente).
9.7 Equazioni di Kirchhoff in termini di fasori
Il procedimento di trasformazione descritto nel semplice caso del paragrafo precedente si estende in modo ovvio a qualsiasi equazione ai valori istantanei facente parte del sistema di equazioni che descrive il comportamento di un circuito qualsiasi. E' infatti immediato riconoscere che la suddetta tecnica di trasformazione si applica, senza alcuna variante concettuale, alle equazioni di Kirchhoff. Si supponga, ad esempio, di considerare la seguente porzione di rete in condizioni di
301
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
regime sinusoidale:
Applicando la L.K.C. al nodo contrassegnato si ottiene:
i 1 (t) + i 2 (t) − i 4 (t) = 0
che possiamo porre nella seguente forma:
[
Re 2I 1e
jωt
]+ Re[
2 I 2e
jωt
]− Re[
2 I 4e
jωt
]= 0
D'altra parte, sfruttando il lemma di linearità e poi quello di unicità si ottiene:
[
Re 2 (I 1 + I 2 − I 4 )e
jωt
]= 0 ⇒ I
1
+I2 −I4 =0,
dove I , I e I sono i fasori corrispondenti, rispettivamente, alle correnti i (t), i (t) e i (t). 1 2 4 1 2 4 Data la generalità del procedimento possiamo concludere che, in regime sinusoidale, qualsiasi equazione di nodo può essere espressa direttamente in termini di fasori. Più in generale, abbiamo visto che per un generico circuito connesso (con n nodi e b lati) la L.K.C. afferma che: Ai(t)=0 per ogni t , dove A è la matrice di incidenza ridotta del circuito in esame, i cui elementi sono reali. Si può ripetere il precedente ragionamento e mostrare che è possibile scrivere la L.K.C. direttamente in termini di fasori come segue:
A ⋅ I = 0 , dove I è il vettore colonna i cui elementi sono i fasori I1 , I 2 ,..., I b che rappresen tano, rispettivamente, le correnti di lato sinusoidali i1 (t), i 2 (t),...i b (t).
Applichiamo ora la L.K.T. considerando un verso orario di percorrenza della maglia:
v 2 (t) + v 3 (t) − v 1 (t) = 0
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
302
Sfruttando ancora una volta il lemma di linearità e quello di unicità si ottiene quanto segue:
[ Re[ 2 (V
Re 2V 2e 2
jωt
]+ Re[
2V 3e
+V 3 −V 1 )e
jωt
jωt
]− Re[
] = 0 ⇒V
2
2V 1e
jωt
]= 0 ⇒
+V 3 −V 1 = 0 ,
dove V1 , V2 e V3 sono i fasori corrispondenti, rispettivamente, alle tensioni v 1 (t), v 2 (t) e v 3 (t).
In genere, la L.K.T. è espressa da:
v(t) − A T e(t) = 0 ∀t
che in termini di fasori diventa:
V − AT E = 0
dove E rappresenta il vettore colonna i cui elementi sono i fasori E 1 , E 2 , E 3 ,..., E n −1 corrispondenti alle tensioni nodali sinusoidali (rispetto al nodo scelto come riferimento), mentre V è il vettore colonna i cui elementi sono i fasori V 1 , V 2 ,..., V b corrispondenti alle tensioni di lato sinusoidali. (Si tenga presente che AT è una matrice ad elementi reali. In definitiva, l'identità formale tra le equazioni di Kirchhoff in regime stazionario e quelle simboliche per circuiti in corrente alternata (cioè in regime sinusoidale) consente di convalidare le seguenti affermazioni: anzitutto, le equazioni simboliche di Kirchhoff si possono scrivere direttamente senza dovere, ogni volta, procedere all'operazione di 'trasformazione' delle equazioni differenziali ai valori istantanei. Ciò equivale ad affermare che nel procedimento risolutivo di un circuito in corrente alternata si può omettere la prima fase del procedimento stesso e, pertanto, tenendo presente che anche la fase di 'antitrasformazione' è di regola sottintesa, resta provato che il metodo si riduce alla semplice scrittura delle equazioni di Kirchhoff simboliche ed alla loro soluzione, in perfetta analogia con quanto si fa in corrente continua. L'identità formale sopra evidenziata non si limita solo ai principi di Kirchhoff ma si estende ovviamente anche a tutte le conseguenze dei principi stessi. Così, ad esempio, le regole di composizione delle resistenze in serie e parallelo, dimostrate per circuiti in regime stazionario, mantengono intatta la loro validità anche in condizioni di regime sinusoidale purché si faccia riferimento alle impedenze (o alle ammettenze). Si supponga di avere un circuito monoporta costituito da n elementi collegati in serie. In regime sinusoidale ogni elemento e' caratterizzato da una opportuna impedenza.
303
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Applicando le leggi di Kirchhoff si ha:
L.K.C. : I = I1 = I 2 = ... = I n L.K.T. : V = V1 + V2 + ... + Vn = z 1 I1 + z 2 I 2 + ... + z n I n = (z 1 + z 2 + ... + z n )I ⇒ n
V = z I , con : z = ∑ z k k =1
Vale anche la regola del partitore di tensione : Vi = V
z i n
i = 1,.., n
∑ z k
k =1
L.K.T. : V = V1 = V2 = ... = Vn L.K.C. : I = I1 + I 2 + ... + I n = y 1 V1 + y 2 V2 + ... + y n Vn = (y 1 + y 2 + ... + y n )V ⇒ n
I = y V , con : y = ∑ y k k =1
Vale anche la regola del partitore di corrente : I i = V
y i n
∑ y k
k =1
i = 1,.., n
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
304
Rimangono, inoltre, invariate le regole di trasformazione stella- triangolo e viceversa:
Trasformazione triangolo - stella :
z 10 =
z 12 z 13 z 12 z 23 z 13 z 23 ; z 20 = ; z 30 = z 12 + z 13 + z 23 z 12 + z 13 + z 23 z 12 + z 13 + z 23
Trasformazione stella - triangolo :
y 12 =
9.8
y 10 y 20 y 10 y 30 y 20 y 30 ; y 13 = ; y 23 = y 10 + y 20 + y 30 y 10 + y 20 + y 30 y 10 + y 20 + y 30
APPLICAZIONE DEL METODO SIMBOLICO A CIRCUITI ELEMENTARI
A chiarimento di quanto esposto nei paragrafi precedenti, consideriamo anzitutto tre semplici circuiti per la soluzione di ciascuno dei quali è sufficiente l'applicazione della legge di Ohm simbolica essendo costituiti da un solo ramo. Si suppone di alimentare ciascun ramo con la stessa tensione v(t) espressa da:
v (t ) =V M cos(ωt ) , il cui fasore corrispondente sarà espresso da : V =
VM ∠0° =V∠0° , dove V è il valore efficace della funzione v(t). 2
Come si può osservare dall'espressione di v(t) si è supposta nulla la fase della tensione
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
305
e, di conseguenza, il fasore rappresentativo della tensione si riduce ad un numero reale: questa ipotesi non è restrittiva poiché equivale a porre l'origine dei tempi t=0 nell'istante in cui la tensione raggiunge il suo valore massimo e ciò, pur essendo arbitrario, è tuttavia lecito. In particolare questa scelta comporta il seguente vantaggio nella rappresentazione vettoriale dei numeri complessi e cioè, tenendo presente che il fasore della tensione presenta solo la parte reale, ne segue che la sua rappresentazione nel piano complesso sarà quella di un vettore poggiato sull'asse reale. Quindi nelle rappresentazioni vettoriali dei fasori relative agli esempi successivi si tralascerà di indicare gli assi del piano di Gauss e si assumerà come riferimento proprio il fasore rappresentativo della tensione. D'altra parte, la mancata indicazione del riferimento vuole anche evidenziare la sua inessenzialità, cioè quello che conta nella rappresentazione dei vettori è l'indicazione della posizione reciproca dei vettori stessi non la posizione assoluta rispetto agli assi cartesiani, posizione che dipende dalla scelta dell'istante t=0 e che, come tale, è del tutto arbitraria.
Consideriamo allora il seguente circuito: Essendo nota la tensione di alimentazione occorre determinare l'andamento nel tempo della corrente i(t): trattandosi, però, di un circuito in regime sinusoidale, per quanto detto nel paragrafo 9.5, basterà calcolarne il fasore corrispondente (per questo motivo, d'ora in avanti, indicheremo nei vari circuiti, al posto delle variabili terminali di ciascun elemento, i fasori ad esse associati). Sappiamo, infatti, che la corrente avrà un'espressione di questo tipo:
i (t ) = I M cos(ωt + α i ) , cha sarà completamente nota una volta calcolata l' ampiezza I M e la I fase α i , cioè, in altri termini, il fasore ad essa associato : I = I ∠α i = M ∠α i 2 Per far ciò basta semplicemente esprimere in termini fasoriali l'unica relazione di lato a disposizione e cioè: V = z r I , con z r = R ∠ 0 ° = R
(Nota: il valore dell'impedenza si può ricavare sia applicando il procedimento di tra-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
306
sformazione, sia dall'espressione generale tenendo conto che si tratta di un ramo puramente resistivo). Si ricava allora facilmente:
I=
V
z r
=
V∠0° R∠0°
=
V R
∠0° ⇒ I =
IM 2
=
V R
e αi = 0
(9.13)
Si osserva allora che per un circuito puramente resistivo la corrente è in fase con la tensione. In figura sono stati riportati i vettori della tensione e della corrente:
Si noti che la corrente risulta in fase con la tensione. Per ricavare, infine, l'andamento nel tempo della corrente basta effettuare un'operazione di antitrasformazione come segue:
[
i (t ) = Re 2I e
jωt
]=
2
V V cos(ωt ) = M cos(ωt ) R R
(9.14)
Nella figura è mostrato l'andamento nel tempo delle due grandezze:
307
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Consideriamo ora il seguente circuito e seguiamo un procedimento analogo a quello
appena visto per determinare la corrente i(t):
Trasformando in termini fasoriali l'unica relazione di lato a disposizione si ottiene:
v (t ) = L
di (t ) dt
⇒ V = jωLI = z l I , con z l = ωLj = ωL∠90°
Si ricava allora : I =
V
z l
=
V∠0°
ωL∠90°
=
V
ωL
∠ − 90° (9.15), da cui segue che :
I π V I= M = e αi = − 2 2 ωL
Si osserva allora che per un circuito puramente induttivo la corrente è sfasata di 90° in ritardo rispetto alla tensione. Nella figura successiva è mostrata la rappresentazione vettoriale dei fasori associati:
Per ricavare, infine, l'andamento nel tempo della corrente basta effettuare un'operazione di antitrasformazione come segue:
[
i (t ) = Re 2I e
jωt
]=
2
V π V π cos(ωt − ) = M cos(ωt − ) 2 2 ωL ωL
(9.16)
In figura è mostrato l'andamento nel tempo della corrente e della tensione:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
308
In pratica la corrente raggiunge il massimo con T/4 di ritardo rispetto alla tensione. Consideriamo ora il seguente circuito e seguiamo un procedimento analogo a quello
appena visto per determinare la corrente i(t): Trasformando in termini fasoriali l'unica relazione di lato a disposizione si ottiene:
i (t ) = C
dv (t ) dt
⇒ I = jωCV = y cV , con z c =
Si ricava allora : I =
I=
IM 2
V
z c
= ωCV e α i =
=
V∠0° 1 ωC ∠ − 90°
1
y c
=
1
jω C
=−
j
ωC
=
1
ωC
∠ − 90°
= ωCV∠90° (9.17), da cui segue :
π 2
Si osserva allora che per un circuito puramente capacitivo la corrente è sfasata di 90° in anticipo rispetto alla tensione. Nella figura successiva è mostrata la rappresentazione vettoriale dei fasori associati:
309
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Per ricavare, infine, l'andamento nel tempo della corrente basta effettuare un'operazione di antitrasformazione come segue:
i (t ) = 2ωCV cos(ωt +
π 2
) = ωCV M cos(ωt +
π 2
)
(9.18)
In figura è mostrato l'andamento nel tempo della corrente e della tensione:
La corrente raggiunge il massimo con T/4 di anticipo sulla tensione.
Consideriamo ora il seguente circuito e seguiamo un procedimento analogo a quello
appena visto per determinare la corrente i(t): Effettuando direttamente l'operazione di trasformazione si ottengono le seguenti rela-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
310
zioni in termini di fasori:
VR = z r I r , con z r = R VL = z l I L , con z l = jωL
Relazioni di lato :
L.K.C. : I = I R = I L L.K.T. : V = VR + VL = (z r + z l )I = (R + jωL)I = z I , con z = R + jωL 2 2 z = R + (ωL ) Si ottiene allora : I = = = ∠ − θ con ωL z z∠θ z θ = arctg R V
V∠0°
V
Essendo θ positivo ne segue che, per un circuito ohmico-induttivo, la corrente è sfasata di θ° in ritardo rispetto alla tensione.
L'andamento nel tempo della corrente è il seguente: V V cos(ωt − θ ) = M cos(ωt − θ ) z z (Nota : θ deve essere espresso in radianti). i (t ) = 2
(9.19)
Negli esempi sinora trattati si è assunto come fasore di riferimento quello della tensione; tuttavia data l'arbitrarietà con cui possiamo scegliere l'origine dei tempi t=0 possiamo fare in modo che essa coincida con l'istante in cui la corrente raggiunge il suo valore massimo: in tal modo avremo che la fase della corrente sarà nulla e quindi potremo considerare come fasore di riferimento non più quello della tensione bensì quello della corrente. Il vantaggio offerto da tale scelta consiste nella possibilità di tracciare il cosiddetto diagramma delle tensioni. Esso si ottiene semplicemente esprimendo i fasori delle varie tensioni di lato in funzione della corrente di porta (che ha fase nulla per ipotesi) ed applicando poi la L.K.T. per ricavare la tensione di porta; ad esempio, per quanto riguarda il circuito in esame si ha: VR = z r I R = z r I = RI∠0° e VL = z 1 I L = z 1 I = ωL∠90°I∠0° = ωLI∠90° avendo posto : I = I∠0°
Si ricava dunque il seguente diagramma vettoriale:
311
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Da tale diagramma si osserva che la tensione è in anticipo sulla corrente di θ° e quindi la corrente è in ritardo sulla tensione della stessa quantità, come avevamo già visto attraverso la relazione (9.19) precedente. Consideriamo ora il seguente circuito e seguiamo un procedimento analogo a quello appena visto per determinare la corrente i(t): Effettuando direttamente l'operazione di trasformazione si ottengono le seguenti rela-
zioni in termini di fasori:
VR = z r I r , con z r = R Relazioni di lato : j VC = z c I C , con z c = − ωC L.K.C. : I = I R = I L L.K.T. : V = VR + VL = (z r + z c )I = (R −
j
ωC
)I = z I , con z = R −
j
ωC
2 z = R 2 + 1 V V∠0° V ωC Si ottiene allora : I = = = ∠ − θ con z z∠θ z 1 θ = arctg − ωCR < 0
Essendo θ negativo ne segue che, per un circuito ohmico-capacitivo, la corrente è sfasata di θ° in anticipo rispetto alla tensione.
312
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
L'andamento nel tempo della corrente è il seguente:
V V cos(ωt − θ ) = M cos(ωt − θ ) (9.19) z z (Nota : θ deve essere espresso in radianti e, in questo caso, è intrinsecamente negativo). i (t ) = 2
Per il diagramma delle tensioni si ha:
VR = z r I R = z r I = RI∠0° e VC = z c I C = z c I =
1 I ∠ − 90°I∠0° = ∠ − 90° ωC ωC
avendo posto : I = I∠0° Si ricava dunque il seguente diagramma vettoriale:
Da tale diagramma si osserva che la tensione è in ritardo sulla corrente di θ° e quindi la corrente è in anticipo sulla tensione della stessa quantità, come avevamo già visto attraverso la relazione (9.19) precedente.
Consideriamo infine il seguente circuito e seguiamo un procedimento analogo a quello appena visto per determinare la corrente i(t):
313
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Effettuando direttamente l'operazione di trasformazione si ottengono le seguenti relazioni in termini di fasori:
V R = z r I r , con z r = R Relazioni di lato : V L = z l I L , con z l = jωL V = z I , con z = − j ωC c C c C L.K.C. : I = I R = I L = I C
1 L.K.T. : V = VR + V L + VC = ( z r + z l + z c ) I = R + j ωL − I = zI , ωC
2 z = R 2 + ωL − 1 ωC con z = z∠θ e con 1 ωL − ωC θ = arctg R Si ottiene allora : I =
V
z
=
V∠0° z∠θ
=
V z
∠ −θ
(9.20)
Escludendo, per il momento, il caso in cui la reattanza induttiva sia pari a quella capacitiva (è la condizione di risonanza che vedremo in seguito) gli altri due casi possibili sono:
1)
ωL >
1 ⇒θ > 0 ωC
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
314
Dalla (9.20) segue che la corrente è in ritardo sulla tensione di θ° cioè nel circuito prevale il fenomeno induttivo su quello capacitivo.
2)
ωL <
1 ⇒θ < 0 ωC
Dalla (9.20) segue che la corrente è in anticipo sulla tensione di θ° cioè nel circuito prevale il fenomeno capacitivo su quello induttivo.
Questi due risultati possono anche essere evidenziati attraverso il diagramma delle tensioni:
VR = z r I R = z r I = RI∠0° VC = z c I C = z c I =
1
∠ − 90°I∠0° =
I
∠ − 90° ωC ωC VL = z l I L = z l I = ωL∠90°I∠0° = ωLI∠90° avendo posto : I = I∠0°
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
315
Si ottiene allora:
9.9 POTENZE IN REGIME SINUSOIDALE
In questo paragrafo tratteremo questioni energetiche relative ai circuiti in regime sinusoidale: a tal fine sarà necessario introdurre la definizione di nuove grandezze e discutere alcune loro proprietà. Si faccia riferimento ad un circuito monoporta in regime sinusoidale alimentato dalla tensione v(t); sia i(t) la corrente di porta:
Definiamo angolo di sfasamento tra tensione e corrente la differenza tra la fase della tensione e quella della corrente, cioè:
ϕ = αv −αi
(9.21)
Nell' ipotesi di fase nulla per la tensione : α v = 0 (ipotesi che non è restrittiva per quanto detto nel paragrafo precedente ) si ha che :
ϕ = −α i
(9.22)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
316
Di conseguenza la tensione e la corrente si possono esprimere nel seguente modo:
v (t ) = VM cos(ωt ) e i (t ) = I M cos(ωt − ϕ )
(9.23)
L' impedenza in ingresso è data allora da :
z =
V I
d' altra parte :
= z∠θ
z = z∠θ =
V∠α v I∠α i
=
V
V V ∠(α v − α i ) = ∠ϕ = ∠ − α i I I I
(9.24)
Deduciamo allora che l'angolo di sfasamento ϕ coincide con l'argomento dell'impedenza d'ingresso del circuito monoporta. Considerando ora l'espressione (9.23) della tensione e della corrente si ha:
i (t ) = I M cos(ωt − ϕ ) = I M cos(ωt ) cos ϕ + I M sen(ωt ) sen ϕ = i a (t ) + i r (t ) (9.25)
Il primo addendo nell'espressione (9.25) prende il nome di componente attiva della corrente istantanea mentre il secondo addendo prende il nome di componente reattiva della corrente istantanea: si osserva che la componente attiva è in fase con la tensione istantanea mentre la componente reattiva è sfasata di 90° in ritardo rispetto alla tensione istantanea. La potenza istantanea si esprime sempre come prodotto della tensione e della corrente istantanea e quindi:
p(t) = v(t)i(t) = v(t)i a (t) + v(t)i r (t) = p a (t) + p r (t)
(9.26)
Dalla relazione (9.26) si osserva che anche la potenza istantanea si può scrivere come somma di due termini: il primo di essi, a cui si dà il nome di potenza istantanea attiva è, per definizione, il prodotto della tensione per la componente attiva della corrente istantanea, mentre il secondo, a cui si dà il nome di potenza istantanea reattiva è, per definizione, il prodotto della tensione per la componente reattiva della corrente istantanea. Le loro espressioni si deducono facilmente dalla (9.25) e (9.26) come segue:
p a (t ) = v (t )i a (t ) = V M I M cos ϕ cos 2 (ωt ) p r (t ) = v (t )i r (t ) = V M I M sen ϕ sen(ωt ) cos(ωt ) =
(9.27) VM I M sen ϕ sen(2ωt ) (9.28) 2
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
317
Nell'ipotesi che - π/2 < ϕ < π/2 avremo che cosϕ> 0 e Pa(t)≥ 0. In figura è riportato l'andamento nel tempo della potenza istantanea attiva e reattiva che può dedursi rispettivamente come prodotto delle curve della tensione e della componente attiva della corrente e come prodotto delle curve della tensione e della componente reattiva della corrente:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
318
Dalla fig. 9.10 si osserva chiaramente che la potenza istantanea attiva si mantiene sempre non negativa. Ciò si interpreta fisicamente affermando che essa corrisponde ad un flusso unidirezionale di energia ossia che, in ogni istante, l'energia associata alla potenza istantanea attiva è fornita al circuito senza mai 'rifluire' dal circuito verso la rete esterna; in altri termini, tale energia, una volta assorbita dal circuito non può essere più restituita. Dalla fig. 9.11 si osserva, invece, che la potenza istantanea reattiva è una funzione sinusoidale del tempo con pulsazione doppia rispetto a quella di alimentazione: si deduce da ciò che essa alterna ad intervalli in cui è positiva, intervalli uguali in cui è negativa e che, pertanto, l'energia ad essa associata (corrispondente alle aree colorate in fig. 9.11) fluisce alternativamente dal circuito verso la rete esterna e viceversa, in ugual misura nei due sensi, cosicché al termine di un qualsiasi numero intero di semiperiodi (riferiti alla frequenza di alimentazione) risulta nulla l'energia complessivamente scambiata dal circuito attraverso la porta in esame. Per la valutazione dei fenomeni energetici associati a circuiti in regime sinusoidale e relativi ad intervalli di tempo sufficientemente lunghi rispetto al periodo T, occorrerà introdurre altre potenze ovviamente non più istantanee.
Si definisce, allora, potenza attiva P (o potenza media, o potenza reale) assorbita da un circuito monoporta il valor medio in un periodo della potenza istantanea. In formule si ha:
T
T
T
T
1 1 1 1 P= p(t)dt = p a (t)dt + p r (t)dt = p a (t)dt T0 T0 T0 T0
∫
∫
∫
∫
(9.29)
(Nota: l'integrale relativo alla potenza istantanea reattiva è nullo in quanto si tratta del valor medio in un periodo di una funzione sinusoidale; lo si può verificare sostituendo la relazione (9.28) nell'espressione del suddetto integrale). Dalla relazione (9.29) si osserva, dunque, che la potenza attiva può intendersi anche come valor medio in un periodo della potenza istantanea attiva. Sostituendo ora la relazione (9.27) nella (9.29) si ottiene:
1 P = T
T T T cos( 2ωt )dt V M I M cos ϕ dt 1 2 p a (t )dt = V M I M cos ϕ cos (ωt )dt = + T 0 T 2 0 0 2 0
T
∫
∫
∫
∫
=
T
=
V M I M cos ϕ dt V M I M cos ϕ = ⇒ P =VI cos ϕ T 2 2 0
∫
(9.30)
In definitiva, quindi, la potenza attiva si può valutare come prodotto del valore efficace della tensione, del valore efficace della corrente e del coseno dell'angolo di sfasamento tra tensione e corrente; quest'ultimo fattore del prodotto è di solito indicato come fattore di potenza. Sotto il profilo tecnico l'importanza della potenza attiva appena definita è
319
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
legata al suo significato di valor medio: infatti generalmente si è interessati a conoscere l'energia assorbita (o ceduta) da un circuito in intervalli di tempo molto grandi rispetto al periodo T (il quale, spesso, è intorno a 0.02[s] corrispondente a f=50 [Hz]) e per far ciò basta semplicemente moltiplicare la potenza attiva P per l'intervallo di tempo ∆t che si considera (in realtà, questa operazione è corretta solo se ∆t è un multiplo intero di T; in caso contrario, essendo in generale ∆t>>T, l'operazione si ritiene ancora valida in quanto l'errore che si commette è molto piccolo). La potenza attiva si misura in watt [W].
Si definisce potenza reattiva Q assorbita da un circuito monoporta il valor massimo della potenza istantanea reattiva, cioè:
Q=
VM I M senϕ = VIsenϕ 2
(9.31)
Sotto il profilo tecnico l'importanza della potenza reattiva Q deve ricercarsi nel fatto che essa è un indice atto a rappresentare l'entità degli scambi energetici associati alla potenza istantanea reattiva, scambi che pur non implicando un flusso di energia definitivamente assorbita (o ceduta) dal circuito, devono tuttavia essere considerati per alcune loro conseguenze che esamineremo in seguito (vedi rifasamento). La potenza reattiva si misura in VAR.
Si definisce potenza complessa:
N = V I ∗ , dove V è il fasore rappresentativo della tensione mentre I ∗ è il coniugato del fasore rappresentativo della corrente.
Avendo supposto nulla la fase della tensione, la potenza complessa può anche scriversi come segue:
N = V∠0°I∠ϕ = VI∠ϕ = VIcosϕ + jVIsenϕ = P + jQ
(9.32)
da cui si osserva che la parte reale della potenza complessa è proprio la potenza attiva mentre la parte immaginaria è la potenza reattiva (l'unità di misura è VA).
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
320
Si definisce, infine, potenza apparente il modulo della potenza complessa ed è espressa da:
N = P 2 + Q 2 = VI
(9.33)
Calcoliamo, a titolo d'esempio, le potenze assorbite da una singola impedenza quale
quella mostrata di seguito: Si può scrivere che:
N = V I * = z I ⋅ I * = z I 2 = RI 2 + jxI 2
da cui segue che
P=RI2 e
Q=xI2
(9.34)
Dalla prima relazione nella (9.34) si deduce che la potenza attiva assorbita da un'impedenza dipende, per una data corrente, dalla resistenza ossia dall'unico componente in grado di assorbire definitivamente l'energia senza doverla poi restituire attraverso i morsetti di alimentazione; dalla seconda relazione nella (9.34) si osserva, invece, che la potenza reattiva, in quanto indice di un fenomeno di 'flusso' e 'riflusso' di energia, risulta dipendente dalla reattanza, ossia dal componente del circuito che è in grado di immagazzinare energia sotto forma conservativa (elettrica nei condensatori, magnetica negli induttori) e che, di conseguenza, è in grado di restituirla seguendo le alternanze della corrente. Sempre facendo riferimento all'impedenza mostrata nella figura prece-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
321
dente nell'ipotesi che - π/2 < ϕ < π/2, osserviamo che se l'angolo di sfasamento ϕ tra tensione e corrente risulta essere maggiore di zero, ossia l'impedenza è di tipo ohmicoinduttivo (infatti la corrente è in ritardo sulla tensione) allora la reattanza x dell'impedenza è positiva (infatti essa è pari a: x = ωL ) e tale sarà anche la potenza reattiva; se invece l'angolo di sfasamento ϕ tra tensione e corrente è minore di zero, ossia l'impedenza è di tipo ohmico-capacitivo (infatti la corrente è in anticipo sulla tensione) allora la reattanza x dell'impedenza è negativa (infatti essa è pari a: X = -1/ωC ) e tale sarà anche la potenza reattiva. Possiamo, allora, tracciare per i due casi appena esaminati i seguenti triangoli delle potenze:
9.10 TEOREMA DI BOUCHEROT (ADDITIVITÀ DELLE POTENZE)
Si consideri un circuito lineare tempo-invariante in regime sinusoidale pilotato da un certo numero di generatori indipendenti, tutti sinusoidali di ugual pulsazione ω.
Teorema di Boucherot
La somma geometrica delle potenze complesse fornite da ciascun generatore indipendente al circuito è pari alla somma geometrica delle potenze complesse assorbite da tutti gli altri elementi del circuito stesso.
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
322
Quanto enunciato si estende ovviamente anche alla potenza attiva e reattiva.
Dim. Per semplicità supporremo che nel circuito in esame sia presente un solo generatore indipendente e, precisamente, un generatore di corrente come mostrato in figura nella quale abbiamo numerato prima il lato contenente il generatore:
Sono state assegnate le direzioni di riferimento associate a tutti i lati del circuito e si sono indicati i fasori delle tensioni e correnti di lato: naturalmente i primi soddisfano i vincoli imposti dalla L.K.T. e i secondi i vincoli imposti dalla L.K.C.; in particolare si può scrivere A I = 0. Poiché gli elementi della matrice di incidenza ridotta A sono reali, se si considera il complesso coniugato della precedente equazione si ottiene:
A I∗ = 0
(9.35)
Da questa relazione si deduce che anche i fasori coniugati delle correnti soddisfano la L.K.C. e quindi, sfruttando il teorema di Tellegen, si può scrivere: b
∑V I
∗ k k
= 0 ( b è il numero di lati nel circuito), da cui segue:
k =1 b
− V I = ∑Vk I∗k ∗ 1 1
(9.36)
k =2
Nella relazione (9.36) il termine che compare nel membro di sinistra è la potenza complessa fornita dal generatore di corrente al circuito, mentre la somma nel membro di destra rappresenta la somma delle potenze complesse assorbite da ciascun lato del circuito. L'estensione al caso in cui esistano più generatori indipendenti è immediata.
323
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Un altro importante teorema riguardante la potenza attiva è il seguente.
Teorema del massimo trasferimento di potenza attiva
Si consideri il circuito in regime sinusoidale mostrato in figura:
La porzione di circuito alla sinistra dei morsetti è costituita da un'impedenza nota e da un generatore di tensione sinusoidale di cui, per comodità, si suppone nulla la fase (tale porzione di circuito può essere pensata come l'equivalente di Thevenin di un circuito comunque complesso): si dimostra che l'impedenza da collegare ai morsetti A-B affinché il generatore possa trasferire ad essa la massima potenza attiva è data da .
.
zu = zs* .
ossia è pari al coniugato dell'impedenza zs assegnata. . Dim.: si ponga zu = Ru + jxu. Indicato con I il valore efficace
. della corrente che attraversa l'impedenza zu si ha che la potenza attiva da essa assorbita vale P = RuI2 (9.37)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
324
D'altra parte risulta che:
I=
Vs
z s + z u
=
Vs (R s + R u ) + j(x s + x u )
da cui si ottiene : P = R u I 2 =
⇒I=
Vs (R s + R u ) 2 + (x s + x u ) 2
R u Vs2 (R s + R u ) 2 + (x s + x u ) 2
(9.38)
Da questa relazione si evince che la potenza attiva è funzione delle due variabili Ru e xu: per determinare i valori di tali variabili affinché la potenza attiva assuma il suo valore massimo possiamo osservare che ponendo: xu=-xs(*) il denominatore nella relazione (9.38) diminuisce e quindi la potenza attiva si avvicina al suo valore massimo. Così facendo, inoltre, la potenza attiva diventa funzione della sola variabile Ru e quindi è possibile risolvere il nostro problema di massimo imponendo che la derivata della potenza attiva rispetto a tale variabile sia nulla:
dP =0 dR u
⇔
Vs2 (R u + R s ) 2 − 2R u Vs2 (R u + R s ) =0 (R u + R s ) 4
R 2u + R s2 − 2R 2u = 0
⇔
⇔
Ru = Rs
abbiamo quindi trovato :
Ru = Rs x u = − x s
⇒
z u = z *s
Quando è soddisfatta questa condizione, diciamo che il carico è adattato al generatore. Sfruttando il risultato appena ottenuto calcoliamo quanto vale la massima potenza attiva dissipata sull’impedenza z ucome segue:
Pmax = R u I 2 =
R s Vs2 Vs2 = 4R s 4R 2s
Volendo, invece, calcolare la potenza attiva fornita dal generatore, possiamo sfruttare il teorema di Boucherot ottenendo:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Pg = (R s + R u )I 2 = 2R s I 2 = 2R s
325
Vs2 V2 = s 2 4R s 2R s
Il rendimento del circuito è dato allora da:
η=
Pmax = 0,5 Pg
Ciò significa che, in condizioni di adattamento cioè quando il generatore trasferisce sul carico la massima potenza attiva, il 50% di essa viene dissipata.
9.11
RIFASAMENTO
Si è visto, trattando della potenza reattiva, che essa è indice di un flusso di energia diretto alternativamente dall'alimentatore al circuito e viceversa: a prima vista si potrebbe pensare che il suddetto indice non abbia alcun interesse tecnico in quanto ad esso non è associato alcun trasferimento di energia definitivo; in realtà non è così, come adesso dimostreremo facendo riferimento ad una situazione pratica molto frequente. In figura è rappresentato, in modo molto semplificato, lo schema del sistema attraverso il
quale si provvede a distribuire energia ad una determinata utenza:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
326
Esso è costituito da un generatore di tensione sinusoidale G che alimenta, attraverso una linea di una certa lunghezza, un utilizzatore U che può essere costituito da una porzione di circuito comunque complessa. In generale la lunghezza della linea è tale da non poter trascurare la corrispondente impedenza cioè quella dovuta ai due conduttori di cui è formata. Noi, però, in questa trattazione non ne terremo conto. Il discorso si può facilmente estendere al caso di impedenza non nulla. Ricordiamo ora che vale la seguente relazione per una generica sezione di linea:
N = VI = P 2 + Q 2
e Q = P ⋅ tgϕ
(Nota: la precedente relazione si ricava dal triangolo delle potenze, con ϕ angolo di sfasamento tra la tensione e corrente ai terminali dell’utilizzatore).
Possiamo osservare, dunque, che riducendo il valore efficace della corrente di linea a parità di V e P si ha una riduzione della potenza apparente associata ad ogni sezione della linea ed, in particolare, alla generazione (e ciò comporta un risparmio economico essendo la potenza apparente un parametro di progettazione e dimensionamento) e una riduzione della potenza attiva dissipata dall'eventuale impedenza di linea. Se vogliamo diminuire la I di linea, a parità di P e V, occorrerà agire su Q, cioè diminuire Q. D'altra parte questo comporta una riduzione dell'angolo di sfasamento ϕ e quindi un aumento del fattore di potenza cosϕ dello stesso utilizzatore. Si definisce allora rifasamento una qualsiasi operazione atta a diminuire l'angolo di sfasamento tra tensione e corrente di linea a parità di V e P, e quindi a ridurre il valore efficace della corrente di linea. Nel caso più frequente in cui l'utilizzatore sia di tipo ohmico-induttivo (ϕ>0), il rifasamento si realizza disponendo in parallelo all'utilizzatore un condensatore di opportuna capacità C (nel caso in cui ϕ0) :
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
390
Dalla figura si osserva, tramite le relazioni (11.8), che anche la terna delle correnti di linea è simmetrica ed in sequenza diretta.
Di conseguenza, posto : I = I 1 = I 2 = I 3 si ricava facilmente che : I 3 V = I Ω cos30° = I Ω ⇔ I = 3I Ω = 3 2 2 z
(11.10)
Sempre dalla fig.8 si nota che le correnti interne al triangolo sono sfasate di ϕ° in ritardo (avendo supposto ϕ > 0) rispetto alle tensioni concatenate mentre le correnti di linea sono sfasate di 30° in ritardo rispetto alle correnti interne al triangolo delle impedenze.
Scegliendo, dunque, V12 come fasore di riferimento :V12 = V∠0° , V ∠(−ϕ − 30°) z I 3 = αI 1
si può scrivere : I 1 = 3I Ω ∠(−ϕ − 30°) = 3 Ovviamente risulta anche : I 2 = α 2 I 1
e
(11.11)
Per quanto riguarda la valutazione energetica, calcoliamo la potenza complessa assorbita dal carico nel caso generale in cui esso sia squilibrato, cioè le impedenze che costituiscono il triangolo non sono tutte uguali fra loro; per il teorema di Boucherot, tale potenza può essere ricavata come somma delle potenze complesse assorbite da ciascuna impedenza del triangolo:
391
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica * * * N = N 12 + N 23 + N 31 = V12 I 12 + V23 I 23 + V31 I 31 = (nota : V12 = V∠0°)
= V∠0°I 12 ∠ϕ 1 + V∠( −120°)I 23 ∠(120° + ϕ 2 ) + V∠( −240°)I 31∠(240° + ϕ 3 ) ⇒ N = VI 12 ∠ϕ 1 + VI 23 ∠ϕ 2 + VI 31∠ϕ 3 (11.12) , da cui si ottiene anche : P = VI 12 cosϕ 1 + VI 23 cosϕ 2 + VI 31 cosϕ 3 Q = VI 12 senϕ 1 + VI 23 senϕ 2 + VI 31 senϕ 3
(11.13) (11.14)
Se il carico è equilibrato risulterà:
ϕ 1 = ϕ 2 = ϕ 3 = ϕ e I 12 = I 23 = I 31 = I Ω , per le quali, sostituendo nelle precedenti relazioni (11.13) e (11.14) si ottiene : P = 3VI Ω cosϕ
e Q = 3VI Ω senϕ
da cui, ricordando che : I Ω =
(11.15)
P = 3 VIcosϕ I , si ha : (11.16) 3 Q = 3 VIsenϕ
(Nota: si tenga presente che ϕ è sempre l'angolo di sfasamento tra la terna delle tensioni concatenate e quella delle correnti interne al triangolo delle impedenze; in altri termini, ϕ è l'argomento comune delle tre impedenze che formano il triangolo in esame).
Stella di impedenze. Lo schema di questo tipo di utilizzatore è mostrato in figura:
Potremmo descrivere il funzionamento di tale carico sfruttando le seguenti relazioni di Kirchhoff:
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
392
V = z. I − z. I 1 1 2 2 12 . . (11.17) V23 = z 2 I 2 − z 3 I 3 I 1 + I 2 + I 3 = 0 (Nota : non sarebbe stato corretto utilizzare come terza equazione la seguente : .
.
V31 = z 3 I 3 − z 1 I 1 , perchè è combinazione lineare delle prime due equazioni) .
Si osserva, allora, che il sistema (11.17) fornisce le correnti incognite note che siano le tensioni concatenate e le impedenze che costituiscono la stella. Tuttavia, conviene, soprattutto in vista di considerazioni future, determinare le correnti di linea per altra strada. Si procede, allora, in questo modo; supponiamo sia assegnata la terna di tensioni concatenate simmetrica in sequenza diretta e la stella di impedenze:
V12 = V∠0° (riferimento) V23 = V∠ − 120° .
z 1 = z 1 ∠ϕ 1
.
z 2 = z 2 ∠ϕ 2
V31 = V∠ − 240°
.
z 3 = z 3 ∠ϕ 3
Si introduce una nuova terna di tensioni, dette tensioni di fase, che coincidono con le tensioni ai capi di ciascuna impedenza che costituisce la stella:
E = V − V = z. I 1 1 A O 1 . (11.18) E2 = VB − VO = z 2 I 2 . E 3 = VC − VO = z 3 I 3 dove VA , VB , VC sono le tensioni dei morsetti tramite i quali la stella è collegata alla linea e VO è la tensione del punto O . Applicando ora la L.K.T. si può scrivere:
V = z. I − z. I = E − E 1 1 2 2 1 2 12 . . V23 = z 2 I 2 − z 3 I 3 = E 2 − E 3 . . V31 = z 3 I 3 − z 1 I 1 = E 3 − E1
(11.19)
Quest'ultime relazioni legano le tensioni concatenate alle tensioni di fase. Ci poniamo ora il problema di ricavare le tensioni di fase.
393
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Dalle (11.19) si deduce l'esistenza di un punto C del piano complesso, tale che i vettori che congiungono C con i vertici del triangolo delle tensioni concatenate sono proprio le tensioni di fase della stella di impedenze considerata. Di conseguenza il problema si sposta nella determinazione di tale punto C, detto anche centro stella. Per far ciò si ricorre al vettore spostamento del centro stella che congiunge il baricentro G del triangolo delle tensioni concatenate, detto centro teorico, con il punto C, come mostrato in figura:
Evidentemente valgono le seguenti relazioni:
E 1 = E'1 −E 0 E 2 = E'2 −E 0 E 3 = E' −E 0 3
(11.20)
dove E 0 è il vettore spostamento del centro stella e dove E'1 , E'2 , E' 3 è una particolare terna di tensioni di fase, dette anche tensioni principali. Dalla fig.11.10 si osserva che la terna delle tensioni principali è simmetrica ed in sequenza diretta (come la terna delle tensioni concatenate) ed è facile ricavare la terna delle tensioni principali noto che sia il valore efficace V delle tensioni concatenate; infatti, si può scrivere:
V 3 = E' cos30° = E' ⇔ V = 3 E' 2 2 E'1 = E'2 = E'3 = E' .
(11.21) , dove E' è il valore efficace delle tensioni principali :
Inoltre, sempre dalla fig.11.10, si nota che la terna delle tensioni principali è sfasata di 30° in ritardo rispetto a quella delle tensioni concatenate; dunque, tenendo conto della
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
394
(11.21) e del riferimento scelto, possiamo scrivere: E '1 = E' ∠ − 30° =
V ∠ − 30° 3
E ' 2 = α 2 E '1
E ' 3 = α E '1
(11.22)
Avendo ottenuto le tensioni principali, possiamo ora ricavare il vettore spostamento del centro stella nel seguente modo ( Teorema di Millman ); utilizzando le relazioni (11.20) le correnti di linea si possono scrivere come: . I = E1 = y (E ' − E ) , con 1 0 1 1 . z1 E2 . I 2 = . = y 2 (E'2 − E0 ) , con z2 E3 . I 3 = . = y 3 (E' 3 − E0 ) , con z3
. . y1 = 1 z1 . . y2 = 1 z2
(11.23)
. . y3 = 1 z3
D'altra parte risulta:
. . . I1 + I2 + I3 = 0 ⇔ y1 (E'1 −E0 ) + y2 (E'2 −E0 ) + y3 (E'3 −E0 ) = 0 ⇔ . . . y1 E'1 + y2 E'2 +y3 E'3 E0 = . . . y1 + y2 + y3
(11.24)
In definitiva, noto il valore efficace delle tensioni concatenate e noti i valori delle ammettenze che costituiscono la stella, è possibile calcolare, attraverso la formula (11.24), il vettore spostamento del centro stella e, quindi, determinare le correnti di linea sfruttando le relazioni (11.23). Nel caso particolare in cui il carico sia equilibrato, cioè si abbia: . . . . . . . . 1 z 1 = z 2 = z 3 = z = z∠ϕ ° ⇔ y 1 = y 2 = y 3 = y = . z allora è facile verificare che il vettore spostamento del centro stella è nullo; infatti, ricordando che le tensioni principali formano una terna simmetrica in sequenza diretta e, quindi, la loro somma è nulla si ha: ⋅
E0 =
(
y E'1 + E'2 + E' 3 ⋅
)=0
3y Di conseguenza, dalle relazioni (11.20) si deduce che le tensioni di fase vengono a coin-
395
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
cidere con le tensioni principali (cioè il centro stella C coincide proprio col baricentro G del triangolo delle tensioni concatenate) e, perciò, le correnti di linea formano una terna simmetrica in sequenza diretta e si possono ricavare direttamente come:
E ' 1 E' ∠ − 30 ° V = = ∠( − 30 ° − ϕ ) . z∠ ϕ 3z z V I2 = α 2 I1 = ∠( − 150 ° − ϕ ) (11.25) 3z V I 3 = αI1 = ∠( − 270 ° − ϕ ) 3z I1 =
(Nota: si ricordi che le tensioni principali sono sfasate di 30° in ritardo rispetto alle tensioni concatenate). Per quanto riguarda le considerazioni di tipo energetico, poniamoci nel caso di carico squilibrato e valutiamo la potenza complessa fornita al carico, sfruttando il teorema di Boucherot, come potenza assorbita dalle tre impedenze che costituiscono la stella:
N = N 1 + N 2 + N 3 = E1 I 1* + E 2 I 2* + E 3 I 3* = E 1 I 1 ∠ϕ 1 + E 2 I 2 ∠ϕ 2 + E 3 I 3 ∠ϕ 3 (*), dove ϕ 1 ,ϕ 2 , ϕ 3 sono, rispettivamente, gli argomenti delle tre impedenze che formano la stella di impedenze in esame . Di conseguenza, si ottiene : P = E 1 I 1 cosϕ 1 + E 2 I 2 cosϕ 2 + E 3 I 3 cosϕ 3 Q = E 1 I 1 senϕ 1 + E 2 I 2 senϕ 2 + E 3 I 3 senϕ 3
(11.26) (11.27)
D'altra parte, tenendo conto delle relazioni (11.18), la (*) si può anche scrivere come:
. . . N = N 1 + N 2 + N 3 = E1 I 1* + E 2 I 2* + E 3 I 3* = z 1 I 1 I 1* + z 2 I 2 I 2* + z 3 I 3 I 3* ⇔ . . . N = z 1 I 21 + z 2 I 22 + z 3 I 23 (**) Di conseguenza, si ottiene : . . . P = Rez 1 I 12 + Re z 2 I 22 + Re z 3 I 23 . . . Q = Im z 1 I 12 + Im z 2 I 22 + Im z 3 I 23
Nel caso di carico equilibrato si avrà:
(11.28) (11.29)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
396
ϕ 1 = ϕ 2 = ϕ 3 = ϕ E 1 = E 2 = E 3 = E'
I1 = I2 = I 3 = I =
E' V = z 3z
e quindi si ottiene, osservando le relazioni (11.26) e (11.27):
P=3E’Icosϕ= 3 VIcosϕ (11.30)
Q=3E’Isenϕ= 3 VIsenϕ (11.31)
Dove cosϕ prende il nome di fattore di potenza del carico. V e che ϕ rappresenta l’angolo di sfasamento tra tensioni 3 principali, e non quelle concatenate, e correnti assorbite dalla linea cioè, in altri termini, è l’argomento comune delle tre impedenze che formano la stella in esame).
(Nota: si ricordi che E’=
Potenza istantanea per terne simmetriche e carichi equilibrati.
La potenza istantanea erogata da una terna simmetrica è pari a
p(t) = e1(t)*i1(t) + e2(t)*i2(t) + e3(t)*i3(t)
dove abbiamo indicato con ej (t) ed ij(t) (j=1,2,3) la tensione e la corrente istantanea per ogni fase. Se il carico è equilibrato si ha: p(t) = E M I M [cosωt ⋅ cos(ωt - ϕ ) + cos(ωt -
2π 2π 4π 4π ) ⋅ cos(ωt - ϕ ) + cos(ωt ) ⋅ cos(ωt - ϕ )] 3 3 3 3
da cui, con semplici passaggi, si ottiene
p(t) = 3EI cosϕ + Pf (t)
dove Pf(t) è la somma di tre grandezze di pulsazione doppia, ma sfasate di 120o tra lo-
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
397
ro (potenza fluttuante). Risulta, quindi, Pf(t) = 0 per cui:
p(t) = 3EI cosϕ = P cioè la potenza istantanea di un sistema trifase simmetrico ed equilibrato è costante. Essa coincide con la potenza media o reale P.
11.4
TEOREMA DI EQUIVALENZA
Sia assegnato un utilizzatore U qualsiasi (vedi fig. 11.11) tale che, alimentato da un certo sistema di tensioni concatenate V12 , V23 , V31 assorba dalla linea un determinato sistema di correnti I 1 , I 2 , I 3 :
Una stella di impedenze si dirà equivalente all'utilizzatore U nella condizione di funzionamento assegnata quando, alimentata con lo stesso sistema di tensioni concatenate del carico U, richiami dalla linea le medesime correnti del carico stesso. Si noti che l'equivalenza dipende dalla situazione di funzionamento considerata (caratterizzata dalle tensioni concatenate e dalle correnti di linea) cosicché una stella che sia equivalente ad U per un dato funzionamento, in genere non lo è più al variare di esso. Per definizione,
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
398
le impedenze di una stella equivalente devono, quindi, soddisfare il seguente sistema: . . V12 = z 1 I 1 − z 2 I 2 . . V23 = z 2 I 2 − z 3 I 3 . . V = z 3 I − z 1 I 31 3 1
D'altra parte, come già detto nel paragrafo precedente, l'ultima equazione di tale sistema si ottiene come combinazione delle prime due e, quindi, non va considerata. Essendo le incognite in numero superiore alle equazioni, il sistema ammette infinite soluzioni, una generica delle quali può essere ricavata fissando arbitrariamente un'incognita, ⋅
ad esempio z1 , e ricavando le altre due in funzione di essa. Si osservi che, essendo l'incognita che si sceglie arbitraria nel modulo e nell'argomento, vi sono due gradi di libertà nella scelta iniziale e pertanto le stelle di impedenze equivalenti ad U, nel senso sopra precisato, costituiscono una duplice infinità. Per individuare una fra le stelle equivalenti ad U si può procedere anche in modo leg⋅
germente diverso, dopo aver osservato che la scelta di un’impedenza, ad esempio z1 , equivale, essendo data la corrente, alla scelta della corrispondente tensione di fase ⋅
E 1 = z 1 I 1 e, quindi, del centro C del sistema di tensioni di fase relativo alla stella equivalente. Possiamo, perciò, affermare che ad ogni punto del piano é associata una stella di impedenze equivalente ad U. In definitiva, la scelta arbitraria di C (che può farsi anch'essa con una duplice infinità di modi, trattandosi di un punto del piano complesso) conduce a determinare un sistema di tensioni di fase, dal quale, dividendo ciascuna tensione per la corrispondente corrente (nota), si deducono le impedenze costituenti una stella equivalente ad U. La provata esistenza di una duplice infinità di stelle di impedenze equivalenti ad U, per una data situazione di funzionamento, è il contenuto del cosiddetto teorema di equivalenza per i sistemi trifase. Si osservi che una stella di impedenze che sia equivalente ad un carico U nel senso appena chiarito, lo è certamente anche sotto il profilo energetico, vale a dire essa assorbe dalla linea trifase le stesse potenze di U. In conseguenza di ciò è possibile esprimere la potenza complessa richiesta da U come somma delle potenze complesse assorbite dalle singole impedenze che formano una qualunque tra le infinite stelle equivalenti ad U. Si ha quindi:
N = E1 I 1* + E2 I 2* + E 3 I 3*
dove E 1 , E 2 , E 3 sono le tensioni ai capi di una generica stella equivalente e, per quanto detto precedentemente, possono intendersi come le componenti di un qualsiasi sistema di tensioni di fase corrispondente ad un centro C, scelto in modo del tutto arbitrario. Possiamo, allora, concludere affermando che:
399
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
la potenza complessa assorbita da un utilizzatore U in una data condizione di funzionamento è invariante rispetto alla scelta della stella di impedenze equivalente ad U.
Benché tale invarianza sia conseguenza ovvia del teorema di equivalenza, può essere opportuno verificarla direttamente. A tal fine si considerino sul piano complesso due generici centri C e C' e le corrispondenti terne di tensioni di fase, come mostrato in figura:
Evidentemente si può scrivere:
E '1 = E1 + Ecc'
E'2 = E2 + Ecc'
E '3 = E3 + Ecc'
(*) ,
dove Ecc' ha come estremi i centri considerati .
Dunque, la potenza complessa valutata facendo riferimento al centro C' è data da:
*
*
*
N' = E'1 I 1 + E'2 I 2 + E' 3 I 3 ( 1 )
mentre facendo riferimento al centro C la potenza complessa è data da:
*
*
*
N = E1 I 1 + E2 I 2 + E3 I 3
(2)
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
400
(Si noti che le correnti sono le stesse perché l’equivalenza vale solo in corrispondenza di una certa condizione di funzionamento e, quindi in corrispondenza di un determinato sistema di tensioni concatenate e di correnti di linea). Sostituendo ora le relazioni (*) nella (1) e ricordando che la somma delle correnti di linea è nulla si ha:
N' = E'1 I 1* + E '2 I 2* + E' 3 I 3* = (E1 + Ecc' )I 1* + (E2 + Ecc' )I 2* + (E 3 + E cc' )I 3* ⇔
(
)
N' = E1 I 1* + E2 I 2* + E 3 I 3* + Ecc' I 1* + I 2* + I 3* = E1 I 1* + E2 I 2* + E 3 I 3* + Ecc' (I 1 + I 2 + I 3 )
*
⇔ N' = E1 I 1* + E2 I 2* + E 3 I 3* = N , che è quanto volevamo dimostrare .
L'invarianza, ovviamente, si applica sia a P che a Q.
11.5 MISURA DELLA POTENZA NEI SISTEMI TRIFASE. INSERZIONE ARON.
Abbiamo visto nel paragrafo precedente che, per il teorema di equivalenza, possiamo valutare la potenza complessa assorbita da un certo utilizzatore come la potenza complessa assorbita da una qualsiasi fra le stelle di impedenze equivalenti all'utilizzatore in esame per una determinata condizione di funzionamento. Quanto detto per la potenza complessa vale anche per quella attiva e per quella reattiva. Perciò, scelta una stella di impedenze equivalente all'utilizzatore in esame, cioè fissato arbitrariamente un centro C del piano complesso, possiamo calcolare la potenza attiva come:
P=E1I1cosϕ1+ E2I2cosϕ2+ E3I3cosϕ3
(11.32)
Dove ϕ1,ϕ2,ϕ3 sono gli angoli di sfasamento delle tensioni E 1 , E 2 , E 3 costituenti la terna di tensioni di fase relativa al centro C scelto rispetto alle corrispondenti correnti
I1 , I2 , I3 .
401
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
La relazione (11.32) ci suggerisce, allora, il seguente schema per la misura della potenza attiva assorbita da un utilizzatore U:
E' facile osservare che il primo wattmetro misura proprio il primo addendo della relazione (11.32); infatti la sua bobina amperometrica è percorsa dalla corrente di linea I1 (a meno della corrente che scorre nella bobina voltmetrica che è trascurabile in quanto supponiamo la resistenza R di valore elevato) e la tensione ai capi della bobina voltmetrica è pari proprio alla tensione di fase E 1 essendo inserita tra la linea 1 ed il centro stella. Di conseguenza, ricordando che la lettura di un wattmetro è pari al prodotto scalare tra la corrente che scorre nella bobina amperometrica e la tensione ai capi della bobina voltmetrica si ha:
W1 = E1 ⋅ I 1 = E 1 I 1 cosϕ 1 . In maniera analoga si troverà : W2 = E2 ⋅ I 2 = E 2 I 2 cosϕ 2
e W3 = E 3 ⋅ I 3 = E 3 I 3 cosϕ 3 ;
in definitiva, si ottiene : P = W1 + W2 + W3
(11.33)
In altri termini, è possibile misurare la potenza attiva assorbita da U come somma delle letture dei tre wattmetri. Osserviamo che, nello schema di fig.11.13, la funzione della stella di centro O è quella di rendere disponibile un sistema di tensioni di fase da applicare alle bobine voltmetriche dei wattmetri, sistema che può essere qualsiasi e che pertanto non pone vincoli particolari alla stella suddetta. Approfittando dell'arbitrarietà del sistema di tensioni di fase che compare nella relazione (11.32), possiamo scegliere tale sistema con il centro C coincidente con un vertice, ad esempio il vertice 2, del triangolo delle tensioni concatenate, come mostrato in fig. 11.14a:
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402
In tal caso risulta:
E1 = V12
E2 = 0
E 3 = − V23 = V32
(11.34)
Di conseguenza, tenendo presente la relazioni (11.32), possiamo scrivere : P = V12 ⋅ I 1 + V32 ⋅ I 3
(11.35)
(dove si è fatto uso del prodotto scalare per indicare il prodotto dei moduli dei vettori per il coseno dell'angolo di sfasamento tra i vettori stessi). La relazione (11.35) suggerisce un metodo di misura della potenza attiva fondato sull'impiego di due soli wattmetri inseriti come in fig. 11.14b; Infatti si riconosce immediatamente (considerando quali correnti interessano le bobine amperometriche e quali tensioni sono applicate alle bobine voltmetriche) che le letture indicate dai due wattmetri coincidono, rispettivamente, con il primo ed il secondo addendo della relazione (11.35), cosicché risulta:
P = Wa + Wb
(11.36)
In altri termini, con lo schema di misura adottato (noto come inserzione Aron) la potenza attiva assorbita da U si deduce come somma delle letture di due soli wattmetri.
403
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
Consideriamo il caso particolare in cui il carico sia equilibrato:
Si osserva che l' angolo di sfasamento tra V12 e I 1 è pari a (30° + ϕ ) mentre l' angolo di sfasamento tra V32 e I 3 è pari a (30° - ϕ ); in conseguenza di ciò risulta che : 3 1 VIcosϕ − VIsenϕ 2 2 3 1 Wb = V32 ⋅ I 3 = VIcos(30° − ϕ ) = VIcosϕ + VIsenϕ 2 2 Wa = V12 ⋅ I 1 = VIcos(30° + ϕ ) =
(*) (**)
dove V è il valore efficace delle tensioni concatenate ed I è il valore efficace delle correnti di linea. Sommando membro a membro la (*) e la (**) si ottiene:
Wa + Wb = 3VIcosϕ = P D' altra parte sottraendo la (*) dalla (**) si ricava : Q ⇔ Q = 3 (Wb − Wa ) , Wb − Wa = VIsenϕ = 3 che consente di ottenere la potenza reattiva assorbita da U moltiplicando per 3 la differenza fra le letture dei due wattmetri .
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404
11.6
SISTEMI TRIFASE CON NEUTRO
Il loro schema è mostrato in figura: Si tratta di un generatore trifase G, equivalente a tre generatori monofase disposti a stella le cui forme d'onda costituiscono una terna simmetrica in sequenza diretta (vedi paragrafo 11.2), che alimenta una linea trifase normale ed un quarto filo, il 'neutro', collegato al centro stella del generatore G. Per quanto riguarda le correnti di linea si deve ora scrivere:
405
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
I1 + I2 + I 3 + In = 0
(11.37)
Per quanto riguarda, invece, le tensioni si ha a disposizione sia la terna delle tensioni concatenate (definite sempre allo stesso modo: vedi paragrafo 11.1) che è simmetrica ed in sequenza diretta (essendo tale la terna delle tensioni dei generatori) sia la terna delle tensioni esistenti fra ciascuno dei tre conduttori di linea ed il neutro. Dalla figura si osserva, però, che queste tensioni si identificano, a meno delle cadute, con la terna simmetrica delle tensioni del generatore trifase ed il valore efficace di ciascuna di esse risulta espresso da:
Eg =
V . 3
dove V è il valore efficace delle tensioni concatenate. Consideriamo, in particolare, il caso di un utilizzatore costituito da una stella di impedenze il cui centro è collegato al neutro, come mostrato nella precedente figura. Evidentemente possiamo scrivere (nell'ipotesi di considerare nulla l'impedenza del neutro):
E1 = E g1
E 2 = E g2
E 3 = E g3
(11.38)
Poichè E g1 , E g2 , E g3 formano una terna simmetrica in sequenza diretta tale sarà anche la terna delle tensioni di fase che, quindi, viene a coincidere con la terna delle tensioni principali .
In altri termini, qualunque siano le impedenze della stella, il centro C del sistema delle tensioni di fase coincide col baricentro del triangolo delle tensioni concatenate.
Di conseguenza le correnti sono date da:
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406
E g2 E g3 E E1 E g1 E = I2 = 2 = I3 = 3 = (11.39) . . . . . . z1 z1 z2 z2 z3 z3 (Si osservi che le correnti di linea non formano una terna simmetrica essendo, in generale, I1 =
le impedenze diverse tra loro) . La corrente nel neutro si ricava dalla (1) : I n = −(I1 + I 2 + I 3 ) (11.40)
Qualora il carico sia equilibrato, cioè si abbia : . . . . z1 = z2 = z3 = z , allora risulta : 1 Eg1 + Eg2 + Eg3 = 0 , z formano una terna simmetrica in sequenza diretta .
I n = −(I 1 + I 2 + I 3 ) = − poichè Eg1 , Eg2 , Eg3
(
)
Da quanto esposto emerge che la funzione del neutro, nel caso dell'utilizzatore a stella, è quella di stabilizzare il centro C del sistema di tensioni di fase nel baricentro del triangolo delle tensioni concatenate; si evita in tal modo che, a causa del diverso valore delle impedenze, si possano avere valori anche molto diversi (rispetto alle tensioni di alimentazione) delle tensioni sulle impedenze stesse, ciò che potrebbe compromettere il corretto funzionamento dell'utilizzatore. La sezione del neutro, secondo le norme CEI 64-8/5, viene scelta in questo modo: se la sezione del conduttore di fase è in rame ed è Scu25 mm2 allora la sezione del neutro Sn può essere inferiore a quella del conduttore di fase purché il conduttore scelto abbia una portata maggiore o uguale al valore efficace della corrente del neutro (la portata è uguale al massimo valore ammissibile di corrente di un conduttore). In questo caso, però, la Sn non deve essere mai inferiore a 16 mm2 o 25 mm2, rispettivamente.
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407
CAPITOLO 12
12.1
CIRCUITI MAGNETICI
408
12.2
ESEMPIO DI CIRCUITO MAGNETICO
414
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408
12.1
CIRCUITI
MAGNETICI
Si definisce circuito magnetico una zona di spazio costituita da un tubo di flusso del vettore induzione magnetica. Vale la seguente legge della circuitazione magnetica: si
409
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consideri un circuito magnetico elementare, costituito cioè da un solo tubo di flusso, ad esempio un solenoide toroidale (come quello mostrato in figura) che, per comodità, supporremo abbia una sezione costante S ed una struttura filiforme, in modo tale che una qualsiasi linea chiusa individuata all'interno del tronco non si discosti apprezzabilmente dalla linea media. Inoltre supporremo gli avvolgimenti disposti in maniera uniforme e a simmetria radiale su tutta la struttura in modo da trascurare (tranne casi particolari) i flussi dispersi. Con queste ipotesi si può ritenere che le linee di flusso del campo magnetico siano contenute tutte all'interno del toroide e che il campo magnetico risulti qui costante.
Sussiste allora la seguente relazione (legge di Hopkinson):
∫ H ⋅d l = ∑ N i I i ⇔ H ⋅ l m = ∑ N i I i i
Γ
(12.1) ,
i
dove H è il campo magnetico e N i è il numero di spire per ciascun concatenamento . Tra l' altro, definita la riluttanza magnetica del tubo l di flusso come segue : ℜ = m ( µ = permeabilità magnetica del tubo) , µS ∑N i I i sussiste la relazione : Φ = i (12.2) ℜ
dove Φ è il flusso del campo magnetico costante in ogni sezione del tubo. Mettendo insieme le relazioni (12.1) e (12.2) si ottiene:
∑N i
iIi
= H ⋅ l m = ℜΦ (legge di Rowland)
(*)
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410
e ℜΦ si misurano entrambe in [A ⋅ sp] e prendono il m nome di cadute di tensione magnetiche nel tubo di flusso .
Le quantità H ⋅ l
Si osserva, inoltre, che sussiste un'analogia (puramente formale) tra la relazione (12.2) e la legge di Ohm per circuiti elettrici che può essere così generalizzata:
→ Φ [Wb] : flusso
I [A] : corrente
J A m 2 : densità di corrente → B Wb m 2 : induzione magnetica E [V ] : forza elettro - motrice → NI [Asp] : forza magneto - motrice
→ ℜ H − 1 : riluttanza magnetica RI [V ] : caduta di tensione → ℜΦ [Asp] : caduta di tensione elettrica magnetica
R [Ω] : resistenza
Nella tecnica corrente delle costruzioni elettromeccaniche il circuito magnetico è realizzato da una struttura ferro-magnetica ad alta permeabilità nella quale si possono individuare diversi tubi di flusso che chiameremo tronchi magnetici di materiale omogeneo, di lunghezza media lmi, sezione costante Si e permeabilità magnetica µi. Per tali circuiti magnetici, indicata con NI la forza magneto-motrice totale presente nel circuito, la relazione (*) si può scrivere come:
NI =
∑H l
i mi
i
=
∑ℜ Φ i
i
(**)
i
dove la sommatoria è estesa a ciascuno dei tronchi magnetici presenti nel circuito in esame. Diamo, infine, le seguenti definizioni: un tronco magnetico si dice passivo quando non è sede di una forza magneto-motrice, altrimenti si dice attivo. Consideriamo un tronco passivo percorso da un flusso Φ; si definisce tensione magnetica del tronco la seguente quantità:
θ AB = ℜΦ = HAB ⋅ l m (12.3), doveℜ è la riluttanzamagneticadel tronco.
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411
Si osservi l'analogia con un resistore lineare. Consideriamo un tronco attivo percorso da un flusso Φ; si definisce tensione magnetica del tronco la seguente quantità:
θ AB = ℜΦ + NI = H AB ⋅ l m + NI
(12.4) , dove ℜ è la riluttanza magnetica del tronco.
Si osservino i segni associati alla forza magneto-motrice e al flusso, dove il verso della forza magneto-motrice è dato dalla "regola del cavatappi" ed il verso del flusso è scelto
in maniera arbitraria. Il circuito elettrico analogo è mostrato di seguito:
Ovviamente, modificando il verso del flusso si ha:
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412
Da quanto detto ne consegue che i circuiti magnetici possono essere considerati come vere e proprie reti magnetiche in cui possono esserci tronchi in parallelo, caratterizzati da una stessa tensione magnetica e da flussi distinti, o tronchi in serie, caratterizzati dallo stesso flusso ma da tensioni magnetiche diverse: ha senso, allora, parlare di nodo come punto di confluenza di almeno tre tronchi e di maglia come poligono chiuso costituito da tronchi del circuito. Possiamo, inoltre, estendere ai circuiti magnetici le leggi di Kirchhoff come segue:
1. la somma algebrica dei flussi magnetici che confluiscono in un nodo è nulla:
∑Φ
i
=0
(12.5)
i
2. la somma algebrica delle forze magneto-motrici agenti nei lati di una maglia uguaglia la somma delle cadute di tensione magnetiche:
∑N I = ∑H l i i
i
i mi
i
=
∑ℜ Φ i
i
(12.6)
i
Abbiamo, in questo modo, stabilito un'analogia formale tra reti elettriche e reti magnetiche estendendo le leggi valide per le prime alle seconde. Vi è, tuttavia, una differenza sostanziale di comportamento tra i due tipi di rete in quanto, mentre le reti elettriche sono costituite da elementi lineari, i circuiti magnetici sono costituiti da elementi non lineari (in realtà si tratta di una generalizzazione puramente teorica poiché negli impianti elettrici si trovano frequentemente esempi di elementi non lineari così come è possibile trovare circuiti magnetici con elementi lineari, costituiti cioè da materiale con permeabilità magnetica costante). Questa differenza, in pratica, si traduce nel fatto che le resistenze dei circuiti elettrici sono costanti ed indipendenti dalle correnti che vi si stabiliscono (e quindi sono note anche quando le correnti sono incognite) mentre le riluttanze dei tronchi di circuito magnetico dipendono, ed in modo non lineare, dai valori dei flussi che vi si stabiliscono (e quindi sono incognite quando i flussi non sono no-
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413
ti). Nelle strutture magnetiche semplici i problemi che si presentano sono sostanzialmente di due tipi:
a) problema diretto, cioè data la forza magneto-motrice applicata e le caratteristiche strutturali e geometriche del circuito determinare il flusso che vi si stabilisce; b) problema inverso, cioè date le caratteristiche strutturali e geometriche del circuito ed il flusso che in esso si stabilisce determinare la forza magneto-motrice di eccitazione.
Data, in generale, l'impossibilità di scrivere le equazioni che traducano le caratteristiche di magnetizzazione dei tronchi di un circuito magnetico (equazioni che sarebbero non lineari) non si possono adottare per le reti magnetiche metodi di risoluzione analitica. E' necessario, quindi, adottare dei metodi grafici che consistono nel disegnare, in un piano cartesiano, le caratteristiche di magnetizzazione dei tronchi che formano la rete magnetica in esame riportando sull'asse delle ordinate il flusso che attraversa il tronco in funzione della tensione magnetica applicata ai capi del tronco che viene riportata sull'asse delle ascisse. Occorrerà, inoltre, fare riferimento alle curve di magnetizzazione relative al materiale di cui è costituito il tronco in esame le quali curve, come è noto, riportano sull'asse delle ordinate il vettore B induzione magnetica e sull'asse delle ascisse il vettore H campo magnetico. Si osservi che essendo B proporzionale al flusso Φ a meno della sezione del tronco e H proporzionale alla tensione magnetica θ a meno della lunghezza media del tronco, mediante opportune variazioni di scala, si può considerare la curva di magnetizzazione del tronco come la sua caratteristica di magnetizzazione (per i tronchi passivi). Accenniamo, infine, all'eventuale presenza in un circuito magnetico di un traferro, ossia di una sezione, generalmente di spessore ridotto, in cui sia presente il vuoto e, quindi, caratterizzato da una permeabilità magnetica costante e pari a:
µ 0 = 4π ⋅ 10 −7 [H m ] .
Di conseguenza, un traferro può essere considerato come un tronco magnetico lineare per cui valgono le seguenti relazioni:
B = µ0H
e
θ t = H t l t = ℜt Φ t =
lt Φ µ0 S t t
Si osservi, inoltre, che in generale la permeabilità magnetica del vuoto è molto minore della permeabilità magnetica di un qualsiasi materiale e, perciò, la caduta di tensione nel traferro sarà molto maggiore rispetto alla caduta di tensione in un tronco magnetico costituito da un certo materiale.
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414
12.2
ESEMPIO DI CIRCUITO MAGNETICO
Si determini la frequenza di risonanza del circuito magnetico mostrato in figura:
I dati sono i seguenti:
l (lunghezza di ciascun lato) = 1 [m ]
[ ]
S (sezione costante) = 10 −2 m 2
µ r = 103 ⇒ µ = µ r µ 0 = 4π ⋅ 10 −4 [H m ] N 1 = N 3 = 100 [sp]
N 2 = 200 [sp]
Brucoli Acciani – Appunti di Elettrotecnica
415
Tracciamo, anzitutto, il circuito elettrico analogo al circuito magnetico in esame: Calcoliamo subito le riluttanze magnetiche dei tre tronchi in cui può essere diviso il circuito magnetico di fig.2.2 che sono date da:
R1 = R 3 =
3l µS
e
R2 =
l µS
Nel circuito di fig.12.2, Φ1 rappresenta il flusso del campo magnetico totale (cioè dovuto alle correnti che scorrono nei tre avvolgimenti, le quali correnti, tra l’altro, sono uguali fra loro essendo le tre bobine collegate in serie) concatenato ad una sola spira del primo avvolgimento; le stesse considerazioni valgono per Φ2 e Φ3. I valori di questi flussi possono essere determinati risolvendo il seguente sistema le cui equazioni si ottengono semplicemente applicando le leggi di Kirchhoff magnetiche al circuito di fig.2.2:
N 1 I 1 + N 2 I 2 = R 1 Φ 1 + R 2 Φ 2 Φ 1 = aI N I − N I = R Φ − R Φ 3 3 2 2 3 3 2 2 che risolto dà : Φ 2 = bI Φ = Φ + Φ 2 3 1 Φ = cI 3 I 1 = I 2 = I 3 = I dove a, b e c sono costanti dipendenti dai parametri circuitali .
Si ricava allora:
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Φ 1T Φ 2T Φ 3T
Φ 1T L 1 = I = aN 1 = N 1Φ 1 Φ = N 2 Φ 2 ⇒ L 2 = 2T = bN 2 I = N 3Φ 3 Φ 3T L 3 = I = cN 3
Otteniamo, dunque, l'induttanza equivalente alle tre bobine collegate in serie come:
L=L1+L2+L3
Di conseguenza, il circuito di fig. 12.1 si riduce ad un semplice circuito RLC serie la cui frequenza di risonanza è pari a:
ω0=
1 LC
dove L è l’induttanza equivalente appena ricavata e C è la capacità del condensatore che supponiamo nota.
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